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Blaise Pascal «L'uomo non è che una canna, la più debole della natura ma è una canna che pensa. [...] Tutta la nostra dignità consiste dunque ne pensiero. [...]»(Blaise Pascal, Pensieri, 347) «Non potendo far s che sia forza ad ubbidere alla giustizia, si è stabilito che sia giusto ubbidire alla forza»( Blaise Pascal, Pensieri, 238)

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BlaisePascal

• «L'uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna che pensa. [...] Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. [...]»(Blaise Pascal, Pensieri, 347)

• «Non potendo far sì che sia forza ad ubbidere alla giustizia, si è stabilito che sia giusto ubbidire alla forza»( BlaisePascal, Pensieri, 238)

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Nato a Clermont-Ferrand, nell'Auvergne, Pascal perse la

madre, Antoinette Begon, all'età di 3 anni, quando essa non si riprese dal parto della

figlia Jacqueline Pascal (1625 -1661). A causa di questo il

padre, Étienne Pascal (1588 -1651), magistrato e

matematico, si occupò personalmente della sua

educazione. Il giovane Blaisesi rivelò assai precoce nello studio e nella comprensione

della matematica e della fisica, tanto che fu ammesso alle

riunioni scientifiche del circolo intorno a Marin Mersenne, che era in corrispondenza con i più grande ricercatori del tempo,

tra cui Girard Desargues, Galileo Galilei, Pierre de

Fermat, René Descartes ed Evangelista Torricelli.

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• A seguito di un incidente avvenuto nel 1654 sul ponte di Neuilly, nel quale i cavalli finirono oltre il parapetto ma la carrozza si salvò miracolosamente, Pascalabbandonò definitivamente lo studio della matematica e della fisica per dedicarsi alla filosofiae alla teologia. Da quel momento, Pascal entrò a far parte dei "solitari" dell'abbazia di Port-Royal, fra i quali vi era già sua sorella, e qui diventò membro della setta dei giansenisti, fondata e guidata dal vescovo Giansenio. Proprio in quel periodo si era accesa un'aspra controversia tra i giansenisti e i teologi dell'Università della Sorbona di Parigi, ed egli intervenne in tale disputa in difesa del Giansenismo.

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L'uomo fra due abissi La filosofia di Pascal ha come centro la profonda analisi della

condizione umana, in rapporto alla verità divina rivelata dal Cristo. Egli scrive:

«[...] Noi navighiamo in un vasto mare, sempre incerti e instabili, sballottati da un capo all'altro. Qualunque scoglio, a cui pensiamo di attaccarci e restar saldi, vien meno e ci abbandona e, se l'inseguiamo, sguscia alla nostra presa, ci scivola di mano e fugge in una fuga eterna. Per noi nulla si ferma. [...]»(BlaisePascal, Pensieri, 72)

Dunque, per Pascal la condizione umana è nient'altro che estrema precarietà, impossibilità di raggiungere punti fermi, insanabilecontraddizione fra il volere e l'ottenere, volubilità e continuomovimento nell'avere e nel volere stesso. L'uomo è una pura contraddizione in sé, posto tra i due abissi dell'infinito e delnulla, fra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, fral'essere spirituale (eterno) e l'essere corporeo (temporale). L'uomo non può sapere né ignorare totalmente. In sostanza:

«[...] che cos'è l'uomo nella natura? Un nulla in confronto all'infinito, un tutto in confronto al nulla, un qualcosa di mezzo fra nulla e tutto. [...]»(Blaise Pascal, Pensieri, 72)

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• In sostanza, Pascal vuole dare all'uomo l'autentica misura della sua condizione, ché è un intreccio di "angelo" e di "bestia". Inoltre, secondo Pascal, l'uomo vive perennemente nell'illusione e nell'errore, indotti soprattutto dall'immaginazione, lasciandosiingannare persino dai principi etici e morali, che mutano in realtà da luogo a luogo, da tempo a tempo, dimostrandone la relatività;quest'ultimo pensiero, che era stato usato dagli stessi libertini per sostenere la loro posizione, viene rivoltato da Pascal contro la limitatezza della ragione umana, che non basta mai a sé stessa, ma che necessità della fede, per aver significato e fine.

DIVERTISSEMENT• Il divertimento è la nostra più grande miseria poiché, per Pascal, ci

distoglie dalla nostra unica dignità e ricchezza, cioè il pensiero, con l'illusione della dignità stessa (cioè lo svago). Infatti, l'uomo non ha dignità se non nel riconoscere che è senza dignità, e questo lo rende più di una bestia, anche se egli continua ad esser meno di un angelo. Nel divertimento non ci si può dunque accostare a Dio, perché tale accostamento dev'essere l'umiliazione (e quindi il riconoscimento) di sé stessi e della propria infinita miseria di fronte all'Onnipotente, per riceverne cosí la Sua misericordia e la Sua Grazia.

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LA SCOMMESSA SU DIO

• Estremamente importante nella filosofia di Pascal risulta anche l' argomento della scommessa su Dio , riguardante la sua esistenza . Non é importante dimostrare che Dio esista , ma é fondamentale dire se valga o no la pena puntare sull' esistenza di Dio . Quando uno ha le carte in mano , non potrà mai sapere se vincerà o perderà , può solo sapere se ha un grado di probabilità di vittoria alto o basso e può sapere se vale la pena giocare con quelle carte o no . Magari in termini di probabilità non mi converrà giocare , tuttavia non é impossibile che io vinca ( anche se improbabile ) ; sono poi spinto a giocare dal fatto che il premio in palio é così grande che , se vinco , mi cambia la vita ; c' é un rapporto infinito tra quello che possiedo e quello che posso possedere vincendo : é proprio questo che mi fa venir voglia di giocare . Così vanno anche le lotterie : la possibilità é una su un milione ( o anche meno ) , le probabilità di vittoria sono bassissime , tuttavia gioco perchè c' é un rapporto infinito tra il premio in palio e quello che possiedo : la vittoria mi cambierebbe la vita ; in ogni caso vale la pena giocare . Supponiamo che la posta in gioco sia un infinito guadagno : qualsiasi fosse la posta da giocare e qualsiasi fosse la probabilità di vincere , varrebbe sempre e comunque la pena giocare . Pascal fa una scommessa del genere puntando sull' esistenza di Dio ; nella sua religione di derivazione giansenista e antigesuitica , é chiaro che scegliere Dio comporta una radicale rinuncia al mondo : ecco allora che Pascal sui piatti della bilancia mette da una parte Dio , dall' altra il mondo .

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• Esaminiamo entrambi i casi : punto sul mondo ; Dio non esiste e vivo come se non esistesse , dandomi interamente al mondo e alla vita terrena . Se punto su Dio , invece , se vinco , vinco una realtà infinita , una felicità infinita ( la beatitudine ) ; mettiamo il caso che Dio non esista ; io che ho puntato sulla sua esistenza ho perso , ma che cosa ? Perdo l' infinito ( Dio ) e mi rimane il finito ( il mondo ) . Pascal gioca tutto sul fatto che il rapporto di probabilità tra esistenza e inesistenza di Dio é finito , mentre infinito é il rapporto tra Dio e mondo ( ossia tra le cose puntate ) . Conviene sempre puntare su Dio perchè se non esistesse avrei comunque sempre a mia disposizione il mondo finito ; ma se esistesse oltre al mondo finito , guadagnerei anche l' infinito ( Dio ) . Chi non punta su Dio vince il mondo finito , ma se Dio esistesse , allora perderebbe l' infinito . Qualche possibilità che Dio esista ci deve essere per forza , dice Pascal , ( anche solo una ) , altrimenti chi sostiene che Dio non esista dovrebbe essere in grado di dimostrare in modo razionale che non c' é ( ma non é possibile ) . Quindi , magari le probabilità che Dio esista saranno bassissime , ma conviene puntare su di lui perchè quello che si vince , nel caso esista , ( e quello che si perde nel caso non si punti su di lui e lui esista ) é talmente grande ( infinito ) che vale la pena giocare , qualunque siano le probabilità di vincere .

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Esistenzialismo• Pascal é importante sia come filosofo sia come scrittore e rappresenta

uno dei più remoti precursori della filosofia esistenzialista ; indubbiamente egli é un pensatore piuttosto anomalo ed isolato nel suo contesto , che é andato a toccare corde non strettamente legate alla fase storica in cui stava vivendo , che vedeva l' affermarsi sempre più netto del meccanicismo . Egli vive nella generazione immediatamente successiva a Cartesio , il quale aveva appena dato al meccanicismo la veste più netta e radicale . Pascal é un filosofo anomalo nel 1600 perchè , a differenza di tutti gli altri , non si inserisce nel filone meccanicistico , non perchè non nutra interessi scientifici ( egli era anzi bravissimo in matematica e in fisica ) , ma perchèriconosce una netta differenza tra le due dimensioni , quella filosofica e quella scientifico-matematica . Ecco allora che la sua filosofia non sarà molto attenta alle questioni gnoseologiche , bensì si occuperà di quelle esistenziali , delle problematiche che riguardano l' esistenza dell' uomo . La concezione stessa che Pascal ha di Dio é radicalmente diversa da quella dei pensatori del suo tempo : il suo Dio non é quello dei filosofi e degli scienziati , un puro e semplice garante dell' ordine nel mondo ( il Dio cartesiano e aristotelico , per intenderci , la cui esistenza é dimostrabile razionalmente e la cui funzione consiste esclusivamente nel dare l' impulso iniziale al mondo ) ; il Dio in cui crede Pascal é quello di Abramo , di Isacco , di Giacobbe .

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Spirito di geometria e spirito di finezza

Infine, Pascal, attraverso la sua filosofia, si accosta anche alle discipline scientifiche, facendo delle importanti considerazioni. Infatti, secondo lui, la conoscenza umana è limitata sempre dai due abissi dell'infinito e del nulla, dai quali nessun uomo (e quindi nessuna scienza) può prescindere. Il pensiero è infatti ovviamente finito, e coloro che hanno indagato la natura hanno invece pensato di poterne scoprire i principi primi ed ultimi (cioè il tutto), che però si trovano proprio al "limite" di tali abissi infiniti (infinitamente grande e infinitamente piccolo). Pascal, dunque, afferma che del mondo si può avere solo una conoscenza limitata, parziale, ma comunque valida. Detto ciò, fa una differenza sostanziale nel campo della conoscenza, cioè, afferma che ci sono 2 possibili forme di conoscenza, che partono da fondamenti diversi: la prima è data dal cosiddetto "spirito di geometria" ("esprit géométrique"), ed è appunto la conoscenza scientifica, ottenuta con procedimenti perfettamente geometrici e razionali, seppur lontani dall'uso comune. L'altra forma di conoscenza è quella data dallo "spirito di finezza" (esprit de finesse), ed è la conoscenza esistenziale dell'uomo, dei moti della sua anima, dei principi che governano la sua sfera spirituale.

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Il pensiero scientifico• Tra i suoi apporti matematici vi è il triangolo di Pascal (noto in Italia

come Triangolo di Tartaglia), che è un modo di presentare i coefficienti binomiali, e porta appunto il suo nome, anche se i matematici conoscevano tali coefficienti già da tempo.

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• Pascal è anche considerato uno dei precursori dell'informaticapoiché, appena diciottenne, progettò e costruì circa cinquanta esemplari di un calcolatore meccanico, detto Pascalina, capace di eseguire addizioni e sottrazioni (alcuni di questi esemplari originali sono stati conservati fino ad oggi, come quello al Museo Zwinger di Dresda).

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• Un altro suo importante apporto alla matematica è il Teorema di Pascal, che è uno dei teoremi-base della teoria delle coniche. Premesso che sei punti ordinati A1, A2, A3, A4, A5, A6 di una conica individuano un esagono inscritto in essa, il teorema di Pascal fornisce una condizione grafica caratteristica affinché un dato esagono sia inscrittibile in una conica.

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Meccanica della Pascalina

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«La filosofia è scritta in questo grandissimo

libro che continuamente ci sta aperto innanzi a

gli occhi (io dico l'universo), ma non si

può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è

scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i

quali mezi è impossibile a intenderne

umanamente parola; senza questi è un

aggirarsi vanamente per un oscuro

laberinto.»(Galileo Galilei, Il Saggiatore)

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Galileo Galilei (Pisa, 15 febbraio 1564 – Arcetri, 8 gennaio 1642) è stato un

fisico, filosofo, astronomo e matematico italiano, uno dei

più grandi scienziatidell'epoca moderna.

Il suo nome è associato ad importanti contributi in cinematica (principio di

inerzia, legge della caduta dei gravi) ed in astronomia (con

la scoperta della rotazione del Sole, delle macchie solari, delle montagne della Luna,

dei satelliti di Giove, le fasi di Venere, le stelle che

compongono la Via Lattea) ed all'introduzione del metodo

scientifico (detto spesso metodo galileiano). Accusato di voler sovvertire la filosofia

naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galileo venne

condannato come ereticodalla Chiesa Cattolica e

costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni

astronomiche.

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Il rapporto fra scienza e fede

• Il primo documento in cui Galilei affronta tale questione è una sua lettera al Padre Benedetto Castelli, nel 1613. Egli vi espone la sua concezione di cristiano e scienziato che rivendica l'autonomia della scienza dalla religione. Vi conclude che scienza e fede non interferiscono affatto, dato che lavorano su piani separati: la fede parla ed opera sul piano metafisico del mondo, mentre la scienza sul piano fisico.Dovette difendersi poiché le sue scoperte contrastavano, apparentemente, con alcuni passi della Bibbia: nell'Antico Testamento si dice, infatti, che Diotenne il Sole fermo per tre giorni per permettere a Giosuè e agli Ebrei di vincere sul nemico, mentre invece Galileo sosteneva che fosse la Terra a girare intorno al Sole. Galilei, tuttavia, obiettò alle accuse, affermando che la Bibbia non è un trattato d'astronomia

• Nasce così la visione galileiana secondo la quale esistono due "libri", che sono in grado di rivelare la stessa verità, anche se attraverso due diversi campi: uno è la Bibbia, che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell'anima, scritto in termini scientificamente approssimativi per il volgo, l'altro è l'universo (cioè la natura), che, a differenza del primo, va letto in maniera scientifica e quindi, per essere ben interpretato, deve essere studiato oggettivamente.

• Secondo Galileo, i due libri, essendo opera di un unico Autore, non potevano contraddirsi. La sua visione della verità non era dunque, come molti credono, antireligiosa ed atea; al contrario, Galileo fu uno dei primi scienziati a voler conciliare le verità scientifiche con le verità di fede, senza intaccare minimamente né le une né le altre.

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• La lettera al Padre Castelli suscitò però polemiche violentissime e sarcastiche da parte del clero fiorentino, totalmente conservatore, tali che Galilei si vide costretto a fare pubbliche manifestazioni di Cattolicesimo e ad accorrere perfino a Roma, per difendere in ambienti curiali la propria opera di scienziato credente. Dopo decenni di polemiche ed un processo, la Chiesa costrinse Galilei all'abiura, censurò le sue scoperte e condannò all'indice le opere di Copernico e Galileo fino al 1823.

• Nel 1757 la Congregazione del Sant'Uffizio riabiliterà la figura di Galileo riconoscendo vere le teorie galileiane. Finalmente nel 1992 Papa Giovanni Paolo II, che ha chiesto nel 1979 la revisione del "Caso Galilei", ritira la condanna della Chiesa cattolica allo scienziato; pubblicamente riconosce la validità e verità scientifica delle teorie di Galileo Galilei e chiede scusa, da parte della Chiesa, per avere ingiustamente condannato non solo il fondatore della scienza moderna ma indiscutibilmente una delle menti più brillanti, geniali e serie dello scorso millennio.

• Venne infine assolto dall'accusa di eresia solo nel 1992, 350 anni dopo la sua morte. Due anni prima, il 15 marzo 1990 il cardinale Joseph Ratzinger, poi eletto Papa con il nome Benedetto XVI, citò, nella città di Parma, a proposito della crisi della fede nella scienza, un giudizio sintetico di P. Feyerabend : «La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione.»

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Gli studi dei moti parabolici, pendolari e lungo piani inclinati permisero a Galilei di scoprire l'universalità del moto.Gli studi sul moto delle pietre levigate a sfera lungo i piani inclinati e le misure di come gli oggetti in movimento aumentano e diminuiscono le loro velocità consentirono a Galileo di scoprire che le loro traiettorie erano parabole. Elaborando i dati con un metodo matematico scoprì che, volendo lanciare una palla di cannone il più lontano possibile, l'inclinazione della canna deve essere di 45°. Variando in alto o in basso l'inclinazione, per valori identici, la gittata è la stessa: la traiettoria a 40° e quella a 50° hanno la stessa gittata.

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Galilei riuscì a determinare il valore dell'accelerazione di gravità, cioè della grandezza che regola il moto dei corpi che cadono verso il centro della Terra, studiando la caduta di sfere ben levigate lungo un piano inclinato, anch'esso ben levigato. Poiché il moto della sfera dipende dall'angolo di inclinazione del piano, con semplici misure ad angoli differenti riuscì a ottenere un valore di poco inferiore a quello oggi noto (9,80665 m/s2), a causa di errori sistematici dovuti all'attrito, che non poteva essere completamente eliminato.

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• La velocità della luce• Galileo fu certamente fra i

primi ad avere intuito che la velocità della luce non è infinita, e ideò per primo un esperimento per ottenerne la misura. La sua idea era quella di portarsi su una collina con una lanterna coperta da un drappo e quindi lanciare un segnale ad un amico, posto su un'altra collina lontana un chilometro e mezzo, alzando il drappo. Il suo amico, visto il segnale, avrebbe quindi alzato il suo drappo, inviandogli così il segnale di ritorno: una misura precisa del tempo intercorso fra l'invio e la ricezione del segnale luminoso avrebbe consentito misurare la velocità della luce. Tuttavia, il tentativo fu infruttuoso: si consideri che la luce impiega solamente un centesimo di millesimo di secondo per percorrere la distanza di 3 chilometri.

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Anche se forse era gia' conosciuto in precedenza, il telescopio comparve per la prima volta nel 1608 in Olanda, dove venne presentata richiesta di brevetto da parte di H. Lipperhey e di J. Metius. La notizia della sua invenzione si diffuse presto in tutta Europa, dove venne costruito ed utilizzato nel 1609 da vari scienziati per le osservazioni astronomiche. Galileo non fu dunque ne' l'inventore del telescopio, ne' il primo ad usarlo per questo scopo, tuttavia fu lui che compi' le prime scoperte fondamentali di astronomia e che rese famoso lo strumento; egli costrui' un telescopio ad otto ingandimenti e lo presento' al Senato di Venezia nell'agosto del 1609. Piu' tardi, con uno strumento ancora piu' perfezionato, a 20 ingrandimenti, osservo' la Luna e scopri'i satelliti di Giove.

Copia di uno degli strumenti originali di Galileo(Firenze, Museo di Storia della Scienza)

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Con il suo cannocchiale, Galileo osservo' non solo i "mari" della Luna, quei grandi avvallamenti che ad occhio nudo apparivano come regioni scure sulla sua superficie, ma anche molte regioni di dimensioni minori, contornate da righe scure. Egli noto' che la larghezza di queste linee cambiava al variare delle fasi lunari, cioe' dell'angolo di incidenza della luce del Sole. Galileo concluse quindi che esse sono ombre e che la superficie lunare ha montagne e crateri. La Luna, dunque, non e' sferica ne' perfetta.

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Il primo a scoprire i quattro maggiori satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto) fu Galileo, che sul finire del 1609, mentre concludeva le sue osservazioni della Luna al cannocchiale, noto' dapprima tre e poi quattro "stelline" vicine al pianeta. Dopo averle osservate, l'astronomo noto' che esse sembravano seguire Giove nel suo moto attraverso il cielo, cambiando pero'posizione sia tra loro che rispetto al pianeta. Nel gennaio del 1610, Galileo giunse alla conclusione che non si trattava di stelle, bensi' di quattro "lune" che ruotano attorno a Giove, come la Luna attorno alla Terra. Questa scoperta fu di fondamentale importanza per l'imporsi della teoria copernicana del moto planetario.

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Obiettivo del cannocchiale

con il quale Galileo scopri' i

satelliti di Giove

(Firenze, Museo di

Storia della Scienza)

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Invenzioni fra stelle e corpi in movimento

Nel corso della sua vita, Galileo propose originalmente alcune invenzioni, utili non solo nello studio delle stelle, ma anche dei corpi in movimento:

• il piano inclinato per studiare il moto dei corpi;

• la bilancia idrostatica per misurare la densitàdei corpi;

• il termoscopio per misurare le variazioni di densità dell'aria in funzione della temperatura;

• una macchina azionata da energia animale per innalzare acqua dai pozzi profondi;

• il compasso proporzionale per fare calcoli sulla quadratura del cerchio e risolvere problemi di matematica e geometria;

• il celatone, uno strumento per misurare la longitudine in mare usando i satelliti di Giove;

• il giovilabio, uno strumento per calcolare la posizione relativa di Terra e Giove;

• il micrometro;

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Galileo lavoro' al Dialogo fino al 1630. Il testo e' diviso in quattro giornate, durante le quali il copernicano Salviati (che rappresenta lo stesso Galileo) e l'aristotelico Simplicio si confrontano esponendo le due teorie; un terzo personaggio, Sagredo, interviene spesso nel dialogo tra i due, a favore di Salviati. Durante le prime tre giornate, i tre prendono in considerazione il moto terrestre e alcuni fenomeni celesti che sembrerebbero invalidare la cosmologia aristotelica. La quarta giornata e' dedicata invece all'analisi del fenomeno che piu' degli altri convinse Galileo della validita' della teoria copernicana, cioe'quello delle maree. Egli spiegava il fenomeno in maniera errata, semplicemente come la combinazione del moto annuale di rivoluzione terrestre con quello diurno di rotazione; non prese invece in considerazione l'attrazione gravitazionale della Luna.Nel Dialogo vengono presentate alcune conclusioni a favore della teoria copernicana. Quando Galileo sottopose l'opera al giudizio della Chiesa, Papa Urbano VIII gliene impedi' la diffusione e segnalo' la questione al Tribunale dell'Inquisizione. Galileo venne processato e costretto all'abiura.

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In quest'opera, pubblicata nel marzo del 1610, Galileo descirsse la scoperta di 4 satelliti di Giove al cannocchiale; egli noto' dapprima tre e poi quattro "stelline" vicino al pianeta, che sembrano seguirlo nel suo moto e che si spostano l'una rispetto all'altra.

"Adi' 7 di gennaio 1610 Giove si vedeva col cannone (il cannocchiale) con 3 stelle fisse, delle quali senza il cannone niuna si vedeva"

Non potendosi trattare, per questo motivo, di stelle fisse, l'unica conclusione possibile era che fossero dei satelliti di Giove: "...quattro stelle erranti attorno a Giove, cosi' come la Luna attorno alla Terra...". Questa conclusione rappresento' una prova a sfavore della cosmologia tolemaica, che non ammetteva altro centro del moto oltre alla Terra, centro delle sfere celesti. L'astronomo volle dedicare la scoperta a Cosimo II de' Medici, allora Granduca di Toscana, com'e' scritto anche sul frontespizio dell'opera.

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In quest‘opera, scritta tra il 1633 e il 1636, Galileo tratta laresistenza dei materiali e alcuni argomenti di dinamica. L'operae' articolata, come il "Dialogo", in quattro giornate durante lequali gli stessi personaggi (Salviati, Simplicio e Sagredo) discutono di vari argomenti di fisica. Le prime due giornate sono scritte sotto forma di un vero e proprio dialogo, durante il quale vengono presentati incidentalmente molti esperimenti di fisica; nelle ultime due, invece, vengono trattati alcuni teoremi di dinamica con formalismo matematico. In quest'opera, Galileo dimostra la sua abilita' nello svelare i paradigmi che stanno alla base dei fenomeni della fisica "quotidiana". Egli confronta per esempio la velocita' del suono con quella della luce, il moto di caduta libera dei corpi col moto lungo un piano inclinato, le vibrazioni acustiche con gli intervalli musicali, il moto libero dei corpi con quello forzato (ad esempio quello dei proiettili). Egli cerco' sempre di trovare il denominatore comune dei vari fenomeni, abbinando l'intuito per il fenomeno fisico con il rigore della sua descrizione matematica.

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René Descartes

Cartesio è considerato il padre della

filosofia moderna per aver proposto

un nuovo metodo di ricerca.

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Il metodoLa filosofia tradizionale, basata ancora sul sapere aristotelico, era diventata totalmente estranea alle nuove teorizzazioni e scoperte. E’ urgente una filosofia che giustifichi la comune fiducia nella ragione: una filosofia che sia metafisicamente fondata, capace di sorreggere nella ricerca della verità, e che dia un metodo universale e fecondo. Il metodo che Cartesio cercò e che ritenne di aver trovato è una guida per l’orientamento dell’uomonel mondo. Esso deve condurre ad una filosofia non puramente speculativa, ma anche pratica, per la quale l’uomo possa rendersi padrone e possessore della natura. In altre parole, il metodo deve essere un criterio unico e semplice di orientamento che serva all’uomo in ogni campo teoretico e pratico e che abbiacome ultimo fine il vantaggio dell’uomo nel mondo. Cartesio doveva dunque formulare le regole del metodo tenendo presente il procedimento matematico, in cui esse sono già in qualche modo presenti; fondare con una ricerca metafisica il valore assoluto e universale del metodo; dimostrare la fecondità del metodo nelle varie branche del sapere.

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• La prima regola è quella della evidenza, per la quale non si accetta mai nulla di vero se non è evidente. Ed evidenza vuol dire intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero e l’esclusione di qualsiasi dubbio.

• La seconda regola è quella della analisi, per cui un problema è risolto dapprima nelle sue parti più semplici.

• La terza regola è quella della sintesi, per cui si passa dalle conoscenze più semplici a quelle via via più complesse.

• La quarta regola è quella della enumerazione e revisione, per poter "fare in ogni caso enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro da non omettere nulla". L’enumerazione controlla la completezza dell’analisi, larevisione la correttezza della sintesi.

LE REGOLE DEL METODO

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Il dubbioCartesio ritiene che bisogna provvisoriamente considerare come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile e che nessun grado o forma di conoscenza possa sottrarsi al dubbio. La prima cosa di cui si deve dubitare è la testimonianza dei sensi. E' infatti comune l' esperienza che a volta i sensi ci ingannano. Ma se essi ci ingannano anche una volta soltanto, perchè non potrebbero ingannarci sempre? In fondo é lo stesso discorso che facevano gli Scettici: così come i sensi mi inganno quando mi sembra spezzato un remo immerso in acqua per via di effetti ottici, chi mi dice che i sensi non mi ingannino sempre, su ogni cosa? Analogamente dobbiamo dubitare della nostra esistenza corporea e di tutta la realtà esterna, poiché potrebbero essere il risultato di un' illusione analoga a quelle che subiamo nei sogni: chi infatti ci assicura che la nostra vita non è un sogno continuo ? Infine, si dovrà dubitare delle stesse certezze matematiche, poiché non si può escludere che Dio mi voglia ingannare o almeno permetta che io stesso mi inganni, oppure, se ciò ripugna alla bontà che inerisce necessariamente alla sua essenza, è possibile supporre che in luogo di Dio esista un genio maligno, che impieghi tutta la sua onnipotenza per ingannarmi. In tal modo il dubbio si estende ad ogni cosa e diventa universale (dubbio iperbolico).

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Cogito ergo sumMalgrado l' applicazione metodica del dubbio sia così radicale, una cosa tuttavia si sottrarrà sempre al mio dubitare: il fatto stesso che io dubito; anche questa in fondo é una concezione di matrice scettica e agostiniana: non ho certezze se non la certezza di non avere certezze: tuttavia si può muovere la critica che se non si hanno certezze non si può neanche avere la certezza di non avere certezze. Se è evidente che dubito, dice Cartesio, è altrettanto evidente che penso, e quindi che esisto come sostanza pensante. Cogito ergo sum.

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Le discussioniFacendo leva sull' ergo contenuto nella forma del cogito, già i contemporanei accusarono Cartesio di essersi servito di un ragionamento di cui si tace, presupponendo la premessa maggiore: "Tutto ciò che pensa esiste", "Io penso" "Dunque sono". Il cogito non sarebbe dunque la conoscenza "prima e certissima" su cui tutto il resto si deve fondare, ma dipenderebbe da una premessa non sottoposta a dubbio, e quindi non dimostrata. Inoltre Cartesio avrebbe così in qualche modo introdotto quella logica sillogistica di matrice aristotelica che tanto aborriva. Ma Cartesio stesso risponde all' obiezione, precisando che il cogito ergo sum non è un ragionamento discorsivo, ma un' intuizione immediata, con la quale colui che dubita o che pensa - il che è lo stesso - percepisce la propria esistenza come un' evidenza certissima e inconfutabile.

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Le idee

Il principio del cogito, però, non mi rende sicuro che della mia esistenza. Infatti io sono un essere pensante che ha delle idee (a proposito, l’idea è per Cartesio ogni oggetto del pensiero; è proprio da lui che deriva la nostra accezione del termine). Ma come poter dimostrare che esistono le altre cose, oltre a me stesso? Per rispondere, Cartesio comincia col suddividere le idee in tre gruppi: vi sono le idee innate (nate con me, presenti in me fin dalla nascita), le idee avventizie (provenienti dalle cose fuori di me) e le idee fattizie(trovate, inventate da me). Ora, per scoprire se a qualcuna di queste idee corrisponde una realtà esterna, non c’è altro da fare se non chiedersi qual è la causa di esse Cartesio ritiene che, per quanto riguarda le idee delle cose naturali, esse non contengano nulla di così perfetto che, eventualmente, non possa essere stato prodotto da me.

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L’idea di DioPer quanto riguarda invece l’idea di Dio, secondo Cartesio, non posso averla inventata io stesso. Io infatti non ho tutte quelle perfezioni che l’idea di Dio rappresenta (si tenga presente che per Cartesio la causa di un’idea deve avere sempre almeno tanta perfezione quanta è quella che l’idea stessa rappresenta). La causa dell’idea di una sostanza infinita quale è Dio non posso essere io che sono finito; questa causa deve appunto essere una sostanza infinita che, pertanto, deve esistere. La semplice presenza in me dell’idea di Dio dimostra l’esistenza di Dio: questa è la prima prova che può dimostrare l’esistenza di Dio. In secondo luogo, per dimostrare l’esistenza di Dio posso considerare la finitudine del mio io: io sono finito e imperfetto, come è dimostrato dal fatto che dubito; se fossi la causa di me stesso, mi sarei dato le perfezioni che concepisco nell’idea di Dio; è dunque evidente che non mi sono creato da me e che ha dovuto crearmi un essere che ha tutte le perfezioni di cui io ho la semplice idea. Come terza prova, Cartesio prende di nuovo spunto dall’argomento ontologico: come non è possibile concepire un triangolo che non abbia gli angoli interni uguali a due retti, così non è possibile concepire Dio come non esistente. infatti l’essere perfettissimo non può essere privato della perfezione dell’esistenza; l’esistenza gli appartiene con la stessa necessità del triangolo. In altre parole, Dio esiste in virtù della sua stessa essenza, per la sovrabbondanza di essere, quindi di perfezione, che lo costituisce. In una battuta: che essere perfettissimo sarebbe se non esistesse?

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L’errore

Da dove deriva l’errore?L’errore deriva dalla volontà umana, che è libera e quindi assai più estesa dell’intelletto, che è limitato e procede a fatica nella conoscenza. In questa possibilità di affermare o di negare quello che l’intelletto non riesce a percepire chiaramente, risiede la possibilità dell’errore. Lo si può evitare soltanto se ci si attiene alle regole del metodo e in primo luogo a quella della evidenza.

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Il dualismoAbbiamo visto che per Cartesio esiste la sostanza pensante e anche il mondo esterno. Ora, di tutto quello che mi viene dato dai sensi, come poter distinguere quello che appartiene veramente alle cose da quello che invece è accidentale? La risposta è che, del mondo materiale, si può considerare come essenziale solo la proprietà della estensione (= occupare spazio), perché solo questa è concepibile in modo chiaro e distinto dalle altre. Infatti tutte le altre proprietà come il colore, il sapore, il peso ecc. sono secondarie, perché di esse non è possibile, secondo Cartesio, averne un’idea chiara e distinta. Il mondo delle cose materiali è così ridotto alla estensione: ogni cosa è res extensa, contrapposta alla res cogitans, al pensiero. Pur essendo le due parti eterogenee, esse comunicano tramite la ghiandola pineale (epifisi).

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La geometria (La Géométrie) fu pubblicata da RenéDescartesnel 1637 come una delle tre appendici al Discorsosul metodo

L'opera in particolare discusse la rappresentazione di un puntodi un piano mediante un numero reale e la rappresentazione di curva per mezzo di un'equazione. In tal modo i problemi geometrici possono venire tradotti in problemi algebrici e risolti con le regole dell’algebra. In effetti La Géométrie ebbe grande influenza sullo sviluppo del sistema di coordinate cartesiane.

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La fisicaLa fisica Cartesiana pretende di ricondurre tutta l’infinita varietà dei fenomeni del mondo fisico ai due soli ingredienti dell’estensione e il moto. Secondo Cartesio non esistono infatti spazi vuoti all' interno della materia, cosicché tutte le parti della sostanza estesa sono a contatto reciproco e interagiscono le una con le altre: ciò che sembra vuoto é in realtà riempito di materia fluida: classico esempio di materia fluida é l' ari. Due sole leggi dominano l’universo fisico cartesiano: il principio d’inerzia e il principio di conservazione della quantità di moto.

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La morale

Nell’anima Cartesio distingue tra azioni ed affezioni. Le prime dipendono dalla volontà, le seconde sono involontarie e sono costituite da percezioni, sentimenti, emozioni. La forza dell’anima consiste evidentemente dal non lasciarsi dominare dalle emozioni (tristezza, gioia sono le due emozioni fondamentali), che, comunque, di per sé, non sono nocive. Esse però tendono sovente a far apparire le cose diverse da come sono e dunque l’uomo deve farsi guidare non da esse ma dall'esperienza e dalla ragione, e solo così potrà evitare gli eccessi e distinguere nel giusto valore il bene e il male. In questo dominio delle emozioni consiste in pratica la saggezza.

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Le regole di morale provvisoria

• La prima regola è quella di obbedire alle leggi e ai costumi, conservando la religione tradizionale e seguendo le opinioni più moderate

• la seconda regola è quella di perseverare nelle proprie azioni una volta che sono state decise e ritenute valide

• la terza regola è quella di cercare di vincere se stessi piuttosto che la fortuna e cambiare i propri pensieri più che l’ordine del mondo