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L'uomo dal campanello d'oro

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L'uomo dal campanello d'oro, Lavinia Scolari - Fantasy - 0111edizioni

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Lavinia Scolari

L’uomo dal campanello d’oro

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L’UOMO DAL CAMPANELLO D’ORO Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2010 Lavinia Scolari ISBN: 978-88-6307-305-8

In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Luglio 2010 da Digital Print

Segrate - Milano

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Glauco

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Circe Il mare è placidamente adagiato sul suo letto di rena, d’un blu cobalto che sfida la coltre tenebrosa della notte. Sono in attesa. Verrà qualcuno questa notte, qualcuno che aspetto da tempo. Me lo ha sussurrato il vento che ha corso sulla spuma dei flutti sino al mio orecchio. Mi è stato ordinato di condurlo qui, sulla soglia del mare, perché si risvegli. Ho sollevato la mano fendendo l’aria di cristallo: solo allora il vento ha taciuto i suoi segreti e il mare si è assopito, ma io ne posso sentire ancora i chiassosi ruggiti. Il cielo si vela di nubi rarefatte. Che nessun astro risplenda in questa notte nera, e nessuna luce mostri la via a chi l’ha perduta. Sono in attesa. Presto ti desterai dal tuo sonno e verrai da me. Edoardo La notte era frizzante e non volevo tornare a casa. Era ancora presto e avrei voluto fare una passeggiata lungo il pontile, in direzione della spiaggia, perché sapevo che Fulvio e gli altri si sarebbero riuniti lì. Clelia era con me. Mi camminava al fianco, sembrava stanca di seguirmi a ogni passo, tuttavia non obiettava mai. “Ti va di andare alla spiaggia?” le proposi. Dovetti ripetere la domanda perché la sua aria assente mi diede a intendere di non aver udito altro che la mia voce risuonare senza significato. Sembrava stanca, preoccupata. Non ricordo un giorno della mia vita in cui non conoscessi già Clelia, eppure in quei momenti mi domandavo se il mio conoscerla non si risolvesse soltanto nella mera

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percezione di lei che viveva e di me che sapevo della sua presenza, senza conoscerla a fondo. Forse a fondo non conoscevo neppure me stesso. Chinò la testa e mi rassicurò dicendo che andava tutto bene. Sorrise, ma io provai come una punta di amarezza quando si girò verso di me e socchiuse gli occhi curvando le labbra. Disse che stava solo pensando a che fine avesse fatto Fulvio, quindi tutto si riduceva a lui e mi consolava, dato che avevo in mente proprio di raggiungerlo: non avrei dovuto convincerla. Stavano organizzando un falò sulla spiaggia e non volevo perderlo. Le indicai una lingua di fuoco vermiglia che si muoveva vibrando contro l’orizzonte. C’era della gente seduta tutt’intorno. Qualcuno ci faceva già cenno con la mano e ci chiamava per nome rompendo il silenzio. Noi ricambiammo. Il mare era calmo, immobile e scuro. Nessuna stella vi si specchiava ed io non riuscivo a scorgere l’orizzonte che lo separasse dal cielo plumbeo. Quando mi concentravo per cogliere il suono monotono della risacca, non riuscivo a udire nulla. Era irreale. Solo le voci dei miei amici mi impedivano di impazzire per l’assordante silenzio della natura. Clelia Sentii un bisbiglio e mi voltai di scatto verso Edoardo. “Che cosa?” gli chiesi, ma lui si strinse nelle spalle: disse di non aver detto nulla. Eppure io avevo sentito distintamente una voce. Da quando era successo non riuscivo a non pensarci. Edoardo non sembrava accorgersene. Camminavamo da qualche minuto. Non sapevo dove fossimo diretti, ma non volevo domandarlo perché forse me lo aveva già detto e io non l’avevo ascoltato. “Ti va di andare alla spiaggia?” mi chiese d’un tratto. Fulvio! Me ne ero dimenticata! Dovevamo vederci tutti alla spiaggia per il falò di fine estate, prima che lui e Marzia ripartissero. A Edoardo non risposi subito, e lui si chinò su di me e mi fissò in viso. Mi domandò se andasse tutto bene. Mi affrettai a dire di sì, ma non udii la mia voce. Sentii di nuovo quell’altra voce ripetermi la stessa frase che le avevo già sentito dire. Un nodo che mi strinse la gola. Sperai non

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si fosse accorto di nulla, sarebbe stato imbarazzante dirgli che sentivo un mormorio mentre non c’era nessun altro all’infuori di noi due. Lei diceva che ci stava aspettando, non diceva dove, ma quando lui nominò la spiaggia mi parve che ridesse, e la sua risata era tersa e dolce, ma mi rendeva inquieta. Mentendo, dissi a Edoardo che stavo proprio pensando a Fulvio. Non mi sembrava che mi ascoltasse davvero, stava già salutando qualcuno in lontananza. Vidi il falò, c’era Marzia, e Fulvio con lei. Si sbracciavano verso di noi. Ero felice di vederli. Forse la notte e il silenzio ci fanno dispettosi scherzi. Corsi verso di loro per allontanarmi da quella voce, come se, una volta in mezzo agli altri, non potesse più raggiungermi. Oh, se solo il mare si fosse gonfiato infrangendosi contro il molo e il suo fragore avesse spazzato via questi miei spettri! Circe Non ignorare la mia voce. Non puoi negare di udirla fin dentro alle ossa scardinarti il corpo minuto. Sei vicina, molto vicina a me, sebbene non sia tu che cerco e che ho il compito di condurre dal mio signore. Brami forse la medesima cosa per la quale ardo dal desiderio, nel grembo impetuoso del mare? Dimenticala, dunque, perché è destinata a me, in essa non c’è nulla che ti appartenga, né il suo alito di vita le sarà concesso senza che il mio signore lo voglia. Tutto muterà per tornare come avrebbe dovuto essere. Non ignorare la mia voce. Conducilo da me, non puoi opporti. Vieni tu stessa. Edoardo “Dove stai andando?” chiesi a Clelia. Si era alzata di scatto, mi era parsa agitata, scossa. Non mi diede una risposta precisa, ma balbettò qualcosa senza fissare lo sguardo su di me. Marzia la raggiunse. Riuscivo a malapena a vederla scuotere la testa. Credevo le stesse

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dicendo la stessa cosa che aveva detto a me: ‘va tutto bene’, ma era talmente evidente che mentiva. “Che cosa le prende?” “Non lo so, Fulvio. Non è successo nulla prima che arrivassimo al molo, eppure ha cambiato umore all’improvviso.” Marzia tornò e sedette accanto a Fulvio, scrollando le spalle. Non sembrava preoccupata, in realtà nessun altro lo era a parte me. Io sentivo una grossa ansia nel petto, un groppo che mi soffocava. Il vento stava fischiando. Edoardo. Mi voltai verso Fulvio: “Che c’è?” “Io non ho detto nulla” mi rispose. Forse era solo il vento. Cercai con lo sguardo Clelia e la vidi ormai piccola e lontana, sulla battigia, con i piedi nudi che scavavano una scia di orme tortuose. Il mare era gonfio proprio vicino al punto dove lei si era fermata, si ingrossava e ruggiva. Scattai in piedi sgomento. Clelia! Avrei voluto che la mia voce la raggiungesse, perché la marea infuriava e tremavo per lei come se scorgessi da lontano un uomo ubriaco sull’orlo di un abisso. Ma dalla mia bocca non udii fuoriuscire nessun suono; né Fulvio né Marzia si erano voltati verso di me, come se non avessi emesso che fiato. Il fuoco divampava scoppiettando davanti a me, solleticando il cielo e distendendosi verso di esso, ma nessun soffio di vento lo scompigliava. Perché, allora, davanti a Clelia che osservava il mare, sembrava essersi scatenata una burrasca? Non potevo resistere, dovevo andare da lei. Dovevo affrettarmi. Corsi a perdifiato sulla sabbia che tentava di inghiottirmi a ogni balzo. La raggiunsi. La chiamai, ma lei non si voltava: stava fissando qualcosa nell’acqua e più mi avvicinavo, più lei avanzava verso le onde che le lambivano i piedi. Si stava immergendo. “Non vedi che il mare è in tempesta? Torniamo indietro!” urlai. Tese una mano verso il pelo dell’acqua torbida. Sulla sabbia qualcosa di soffice e umido solleticò il mio tallone: erba, erba che sfioravo, e che a me si univa baciando una pelle non più mia; tra le sue scaglie avrei trovato il seme della metamorfosi, e tra i capelli glauchi… Clelia... Le andai incontro e le cinsi le spalle per condurla con me, fuori dall’acqua, ma non appena incrociai il suo sguardo, indietreggiò d’impulso.

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I suoi occhi erano spenti, vacui, come di vetro chiaro. Stava fissando rapita qualcosa nell’acqua. Mi sporsi per scoprire che cosa fosse. Sussultai, ma il mio grido morì sulle mie labbra. Un volto. Un volto nell’acqua! Circe Eccoti da me, Edoardo. Dimentica questo nome non tuo che ti fu imposto, torna a essere il mio Glauco. Troppo a lungo sei rimasto assopito come gli altri nostri compagni. Sono stata mandata per trovarti e consentire il tuo risveglio. Anch’io ho dormito, ma il tintinnio del campanello mi ha ridestata. Ricordi l’erba che ti tramutò la prima volta? Eccola! Ora tendi solo l’orecchio. Edoardo Sul pelo dell’acqua vidi il volto di una donna, bellissima ed eterea. “Svegliati, Glauco.” mi sussurrava, e la sua voce pervadeva ogni anfratto del mio corpo. D’improvviso udii alle mie spalle il tintinnio cristallino di un campanello. Quel suono è l’ultima cosa che Edoardo rammenta. Poi Glauco si svegliò. Clelia Il fuoco saliva fino in cielo, emanava un odore intenso, d’erba bruciata, di sale, di sogni remoti, borbottava simile al ruggito del mare. Eravamo seduti a cerchio come per difenderci, mentre riecheggiavano le risate di volti d’ombra. Eravamo tutti, eppure eravamo cambiati, dentro e fuori. E l’assenza di chi mancava era un vuoto, era un nulla che non sentivo, perché chi non c’era più in verità non c’era mai stato. Salutai Fulvio in un abbraccio, baciai Marzia, non conoscevo nessun altro. Infine me ne andai. Non c’era più nessun altro. Da sola, così com’ero arrivata, ritornai a casa. L’orlo della mia gonna era d’un verde più scuro, umido, e dita bianche di sale lo graffiavano

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dove il fuoco aveva asciugato l’acqua salmastre che rilasciava la sua polvere lucente. Mi ero immersa davvero e avevo perso qualcosa. Ero sola, e da sola andai a dormire. Non c’era più nessun altro. Glauco “Clelia! Clelia, guardami!” La chiamavo gridando il suo nome, ma lei non poteva sentire la mia voce lontana. Sedeva intorno al falò di fine estate coi nostri amici, ma nessuno di essi si ricordava di me. Edoardo non era mai esistito davvero, per loro. Guardo le mie mani: sono cambiato. No, sono tornato come ero prima di cadere esanime nella vita di un altro. Qualcosa di Edoardo, però, rimane in me, lo custodisco in un piccolo frammento di memoria. Ma adesso sono stato richiamato indietro. Io, Glauco, creatura del mare, addormentato per volere del più possente dei sovrani che tutto logora e governa, sono stato risvegliato. Circe, vedo te al mio fianco, mi sorridi come se mi avessi fatto un dono incomparabile. Ma io dormivo placidamente e in Edoardo avevo trovato il mio rifugio, il senso del tempo. Io ero Edoardo! Sono Edoardo! Non volevo essere ridestato! Mentre cerco vanamente di attirare gli occhi di Clelia che osservano le lingue di fuoco alzarsi e danzare, una voce mi parla, ma non mi volto neppure. “Ben risvegliato, Glauco! Ti abbiamo cercato a lungo per liberarti dal sonno che ti fu imposto.” Circe è ancora accanto a me, si rivolge a colui che si vanta di essere il mio liberatore: “E adesso, signore?” Quello si muove appena alle mie spalle, fa oscillare un campanello, il campanello che mi ha strappato da Clelia, e soggiunge: “Ora tocca a Nereo.”

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Nereo

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I Rintocco Il quadrivio

Cassandra Ricordo che ci incontrammo la prima volta all’incrocio di quattro sentieri ghiaiosi, quando il sole già inclinava e l’aria del pomeriggio era tersa e profumava di gelsomino. Non ci eravamo mai visti prima di allora, eccetto i due fratelli, che si tenevano per mano senza parlare. Camminammo a pochi passi l’uno dall’altro verso il sole che screziava il cielo. Mi chiesi dove fossero diretti gli altri. Dopo qualche minuto il giovane dai lunghi capelli castani si accostò alla ragazza che viaggiava da sola. Le chiese qualcosa a bassa voce e lei estrasse rapidamente un accendino rosso dalla sua borsa di tela. Il ragazzo lo prese sorridendo e fece scattare una scintilla vicino all’estremità della sua sigaretta. Inspirò socchiudendo gli occhi, come un accanito fumatore cui è stato negato il tabacco per molte ore. Mi parve che la assaporasse con un piacere eccessivo, quasi sospirando. I suoi lineamenti erano gentili e dolci, e i suoi occhi sorridevano in un modo malizioso e penetrante. Era l’unico di cui avrei potuto ricordare con precisione i tratti del volto se la nostra insolita comitiva si fosse sciolta in quell’istante. Ero attratta da lui come da un oggetto sconosciuto e seducente, ma avanzavo senza mostrargli il mio interesse. “Dove state andando?” disse d’un tratto, sbuffando una nuvola di fumo acre. Ci voltammo tutti e quattro verso di lui, guardandoci titubanti. “Dici a noi?” chiese il ragazzo che viaggiava con la sorella. Il giovane sorrise facendo una smorfia. “Dico a tutti voi.” rispose. “Non siamo insieme.” intervenne la ragazza che gli aveva prestato l’accendino “Per parte mia, sto tornando a casa.” La fanciulla che non aveva ancora aperto bocca si strinse ancora di più al fratello, mi parve tremasse, ma lui non se ne curò, le lanciò solo una fuggevole occhiata e lei abbassò lo sguardo.

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Il giovane con la sigaretta tra le labbra si rivolse quindi a me, parandosi davanti al mio viso. Mi tese la mano: “Il mio nome è Nereo.” disse, con quei suoi occhi corvini che brillavano socchiudendosi in un sorriso arcano, come se provenisse da un luogo remoto del suo animo. “Cassandra.” risposi in un balbettio. “Hai un bellissimo nome, Cassandra.” mi disse, ripetendolo come se gustasse un buon vino. E così la ragazza con la borsa di tela, di nome Verdiana, e i due fratelli, Cloe e Leandro, si presentarono a loro volta in un intreccio di mani. “Dietro quel colle c’è la mia casa.” disse Nereo, indicando di fronte a noi in direzione di un piccolo monte immerso nel verde. “Fermatevi a riposare.” Solo Cloe si strinse nelle spalle e mormorò qualcosa al fratello, mentre noi tutti accettavamo di buon grado. Non so se Verdiana e Leandro provassero lo stesso, ma io improvvisamente presi a desiderare di bere qualcosa di caldo e di entrare a visitare la casa di quel giovane di cui non sapevo nulla se non il nome. Leandro Quando giungemmo a quel crocicchio ero talmente esausto che mi sarei buttato per terra, ma Cloe non rallentava il passo, anzi, ogni tanto dava un’occhiata preoccupata al sole e accelerava. Penso che avesse timore che calasse la notte e ci trovassimo ancora in un sentiero polveroso senza un tetto sopra le nostre teste. Mi chiesi se non avesse dolore alle gambe. Le mie stavano per sganciarsi dalle ginocchia e piantare in asso il resto del corpo! Le vedevo nella mia mente salutarmi distese sull’erba mentre il resto di me proseguiva il cammino come un fantasma dimezzato. All’improvviso Cloe mi afferrò la mano. Non le domandai che cosa avesse, perché mi accorsi che tre ragazzi provenienti da tre sentieri che convergevano nel crocevia ci venivano incontro. Uno di essi mi guardò dritto negli occhi e così profondamente che per un attimo mi parve stesse rubando il mio fiato. Distolsi lo sguardo e respirai a pieni polmoni, d’istinto.

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Imboccammo tutti lo stesso sentiero, cosa alquanto strana, perché si trattava di un crocevia - quattro strade, ovviamente - e noi eravamo quattro, o meglio, eravamo cinque, ma io e Cloe contavamo per uno. Sebbene ognuno di noi provenisse da un sentiero diverso, tutti imboccammo la stessa strada. Qualcuno stava ripercorrendo all’indietro la via dalla quale proveniva. Solo ora mi è venuto in mente questo particolare. Per quanto mi sforzi, non ricordo chi fra di noi volse le spalle e tornò a ripercorrere la strada dalla quale era sbucato, ma posso immaginare chi fosse, dato che conosco il resto della storia e so quello che accadde poi. Già allora, se avessimo osservato con attenzione, avremmo potuto capire. Verdiana Finalmente tornavo a casa mia dopo una lunga assenza. I miei piedi fagocitavano avidamente la strada davanti a me. Avevo tanta voglia di ritornare almeno quanta ne avevo avuta di partire. Il perché l’ho dimenticato. Molte cose ci sono nascoste e sfuggono al nostro controllo. Viaggiavo da sola, anche se avevano tentato di dissuadermi. Ma perché la solitudine avrebbe dovuto farmi più paura della compagnia di altri esseri umani? E poi non c’è nessuno che sia mai veramente, profondamente solo, anche quando nessun uomo si stringe intorno a lui. Quando scorsi da lontano la sagoma di Nereo ritagliarsi ombrosa contro il sole che affondava nell’erba, pensai senza una ragione ‘eccolo’, benché non lo avessi mai visto prima. Mi sembrò che tutto quel mio vagabondare avesse avuto come unico scopo quell’incontro. Eppure non provavo attrazione nei suoi riguardi, anzi, non mi piaceva affatto, suscitava in me un senso di tristezza e sdegno. Sorrideva in modo prepotente anche se le sue labbra disegnavano una mezza luna assai dolce. Era la prepotenza di quella dolcezza a infastidirmi, una dolcezza che attirava a sé anche chi era immune dalla sua cupa bellezza. Non mi piacque, ma mi colpì. Mi divertiva e indignava che fra tutti si fosse avvicinato a me, anche se l’altra ragazza che come me viaggiava da sola lo osservava fissamente, forse sperando in cuor suo che lui le rivolgesse la parola.

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Sapevo che mi aveva parlato per prima perché io sola ero pronta a lasciarmelo alle spalle senza rimorsi e desideri. Di lui, come di molti altri, non mi importava nulla. Dovette avvertire quel mio sentimento e fu allora che decise di catturarmi con un laccio più stretto. A quel tempo io non avevo paura di perdere una parte di me stessa. Volevo sfidare quel suo sorriso pieno di storia e conoscenza. Forse volevo essere catturata per dimostrare di potermi svincolare dalle sue trappole. Fra tutti i ragazzi che conobbi quel giorno per la prima volta (era questo che credevo), devo ammettere che in particolare fui incuriosita da Cloe, la giovane che viaggiava stretta al fratello. Teneva il capo biondo sempre chino a terra, schivava gli sguardi, non parlava. Mi parve quasi sussultare quando Leandro, suo fratello, acconsentì all’invito di Nereo. L’unico movimento di quella fanciulla era un flebile tremore. Lei era tutto quello che io non avrei mai voluto diventare. Cloe Perché Leandro ha rivolto loro la parola? Perché ha ignorato la stretta con cui ho afferrato la sua mano? E ora perché seguiamo quest’uomo con la sigaretta che sbuffa fumo sottile? Si dirige verso il tramonto, e noi gli andiamo dietro. Nessuno ha rifiutato di seguirlo. Se fossi stata da sola, io mi sarei rifiutata… Se fossi stata da sola… Non credo che sarei sopravvissuta, da sola. Se lo desideri, vattene pure. Non ha mosso le labbra, ma ha detto questa frase, l’ho udita nel mio cuore. Lui non è venuto a prendere me, ma tutti gli altri. Non gli importa che anche io lo segua. Non importa mai a nessuno, tranne a Leandro. Eppure temo che, stavolta, persino lui non si volterebbe indietro a cercarmi.

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II Rintocco La dimora

Nereo Allora non sapevo che cosa ci fosse ancora di inesatto e impreciso nella mia persona, nel mio modo di tendere la mano o di chinare la testa, che potesse irritare Verdiana, sedurre Cassandra, o influenzare Leandro. Ero al centro della loro attenzione, e questo perché percepivano distintamente che non ero come loro. Ma non ero migliore, o più saggio, o più interessante di loro, solo meno me stesso. Mi serviva tempo, come serve a tutti per entrare nella parte che si sono scelti, una parte che spesso dura per tutta la vita. La mia vita però, da poco ricominciata, l’avrei assaporata come una lunga, infinita, boccata di tabacco. Verdiana Della villa di Nereo non rammento molto, né di quanto tempo impiegammo per raggiungerla, né di cosa provai quando la vidi ergersi come un maniero davanti a noi, tutta rivestita di un tappeto di edera scura, con strette finestre chiuse da serrande ombrose. “Sei certo di abitare qui?” gli chiesi con ironia. Lui sorrise. “Che cosa c’è? Hai paura, Verdiana?” disse a voce alta, davanti a tutti. Paura? Pensava davvero di spaventarmi solo per quel tono gelido della sua voce? Che sbruffone! Che cosa avrei dovuto temere? Forse quella sua figura sinuosa che si contorceva attorno a me, che solleticava i capelli di Cassandra o che si appoggiava con confidenza sul braccio di Leandro? Scrollai le spalle e varcai l’uscio per prima.

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Leandro “Non essere arrabbiata, non accadrà nulla.” confortavo con questi giri di frase mia sorella. Ma lei non si fidava di nessuno e non voleva rimanere con nessun altro, tranne che con me. Se me l’avesse chiesto, sarei andato via con lei. Non potevo sopportare di vederla triste o impaurita. Lei era tutto per me, e io per lei. Ma Nereo era un giovane di cuore, amabile e gentile, affettuoso persino con me che lo conoscevo appena. Mi parlò per tutto il tempo finché non raggiungemmo la sua casa. Era molto bella, immersa in un boschetto di faggi, con ampie vetrate e porticati. A Verdiana non parve piacere: “Sei certo di abitare qui?” sbottò con un certo sarcasmo di cui mi sfuggì il senso. Credetti che quei due si conoscessero da prima, considerate le occhiate che lei gli gettava con stizza e le attenzioni che lui le rivolgeva. A pensarci bene, era attento nei confronti di tutti, tranne di Cloe. Nereo rispose a Verdiana cortesemente: “Se hai cambiato idea, dillo pure liberamente, mia cara Verdiana. Mi preoccuperò che tu venga accompagnata fino in città, a casa tua, se desideri così e hai fretta di andartene.” Ma lei si irrigidì e lo fissò con rabbia. Non rispose neppure ed entrò per prima. Cloe Sentii come un brivido solcarmi la schiena quando oltre ai faggi corvini apparve il castello di Nereo. Sì, castello. Perché definirlo con un altro termine se quello che avevo davanti a me era un cupo, fatiscente palazzo di nuda pietra che scorreva gelida, stagliandosi contro un cielo che sembrava oppresso da quella costruzione quanto il mio cuore dal suo proprietario? L’unico colore di cui il castello era dotato era il rosso scarlatto delle tende al di là delle sue finestre scure. Il cancello era spalancato, ma se fossi stata da sola non lo avrei mai varcato. Verdiana, invece, lo attraversò con passo svelto, drizzando la schiena fiera. Leandro fu colpito dal suo cipiglio, e fece per seguirla,

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ma fui io a trattenerlo. Si volse appena e cercò il mio sguardo: i miei occhi gli sussurrarono tutta la mia diffidenza, o almeno era quello che tentai di comunicargli, ma i suoi lessero un cieco silenzio e tornarono a fissare quel luogo che ci attendeva quasi impaziente. Entrò senza indugio e Nereo gli si accostò con un largo sorriso sollevando la mano per posarla sulla sua spalla. Dovevo essere davvero stanca, perché i miei occhi, offesi da una luce sinistra, scambiarono quella mano affusolata per un groviglio di rami rinsecchiti. Cassandra Fui l’ultima a varcare la soglia del muro di cinta che circondava la baita di Nereo. Mi diede subito l’impressione che fosse calda e accogliente, con quelle assi orizzontali di legno di un nocciola intenso che sembravano fatte di cioccolato. Eppure notai che Cloe la guardava con un’espressione attonita, quasi inorridita, mentre Leandro, che era pur sempre suo fratello e non il mio, ne ammirava la bella fattura come me, o almeno credo, dato che il suo volto era luminoso di un sorriso infantile, estasiato dal tetto spiovente come quello delle case disegnate nei libri di fiabe. Nereo tornò indietro a prendermi, perché, come ho già detto, solo io non ero entrata assieme agli altri. Verdiana, invece, non si era fatta pregare. Bastò che il padrone della baita le dicesse col suo tono affabile: “Prego, Verdiana, vuoi essere la prima?” Non so per quale ragione, ma lei mi sembrò come offesa da quell’esortazione più che cortese. Io, al contrario, ero affascinata da Nereo. Quando mi venne incontro e i suoi capelli lucenti splendettero al sole tiepido, mi sentii quasi mancare. “Che cosa c’è, Cassandra?” mi domandò prendendomi la mano “Quello che vedi forse non ti piace?” Arrossii. “No, al contrario, Nereo!” Lui mi offrì il braccio e la sua voce solleticò il mio orecchio: “Sei molto dolce, Cassandra. Spero che la mia casa ti piacerà ancora, anche quando sarai dentro.” “Sarà così!” mi affrettai a replicare. “E spero che resterai a lungo.”

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“Lo spero anch’io.” dissi senza riflettere, ma lui parve non udirmi. “Nessun uomo potrebbe vivere senza speranza.” disse improvvisamente. “C’è chi la perde.” soggiunsi. A me non era mai capitato, fino ad allora. Lui lo sapeva. “Ma tutti devono avere speranza per essere vivi, non credi?” mi chiese, accentuando la parola vivi con un certo ardore. “E tu, ne hai?” non so perché lo domandai, me ne pentii subito. Lui si incupì e quell’espressione triste gli corrugò la fronte. Per un secondo parve più vecchio dell’età che gli avevo dato nella mia mente. “No, non ancora.” si limitò a rispondere, e in un attimo tornò a essere Nereo.

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III Rintocco La luce oltre il corridoio

Cassandra Nereo ci servì della cioccolata calda e la sorseggiammo vicino al caminetto, mentre il fuoco scoppiettava. La sua luce danzava sui nostri volti, ma non su quello del giovane padrone, che sedeva a debita distanza dalle fiamme. D’un tratto mi accorsi che nella stanza era scesa una tenebra opprimente, nonostante la luce calda del fuoco. Le mie palpebre erano pesanti e Nereo, afferrata una candela di cera bianca, disse che ci avrebbe accompagnato nelle stanze degli ospiti. Aveva pensato proprio a tutto! Cloe guardò il fratello contrariata. Forse l’idea di pernottare a casa di Nereo non le piaceva, e Leandro, che di certo conosceva il suo cuore e le sue paure, le sussurrò amorevolmente qualcosa all’orecchio. Poi non ricordo molto. Credo che mi addormentai. Il letto era comodo e le coperte morbide. Non feci nessun sogno, non ne ricordo nessuno, almeno, ma una sensazione sgradevole, come quella di un incubo, mi ridestò e mi condusse fuori dalla stanza. Attraversai il corridoio diretta nel piccolo salotto col camino, ma dappertutto era scesa un’ombra pesante e i miei occhi faticavano a distinguere le forme delle cose. Finalmente una luce tremò alla mia destra, da una porta socchiusa, e le andai incontro sperando che fosse Nereo. Verdiana Quel caffè al sapore di cannella che Nereo ci offrì non appena ci fummo accomodati nel salotto della sua lussuosa villa mi impedì di dormire. Tutti gli altri, invece, si assopirono senza sforzi, infatti non sentivo le loro voci, ma solo un irreale silenzio e il fruscio del vento contro le foglie, fuori.

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Era notte. Forse se avessi fatto silenzio anch’io, nella mia mente, avrei udito il suono di un trillo, o la cadenza ritmata di una canzone notturna, ma non udii nulla, solo la mia coscienza ordinarmi di uscire dalla stanza. Per andare dove, non mi è chiaro neppure adesso. Forse avrei potuto evitarlo, ma non credo che, in quell’occasione, fosse stata davvero la mia coscienza a parlare. Probabilmente fu lui a chiamarmi, e forse persino allora ne avevo il sospetto, ma quella sfida che mi gettò, la raccolsi con il mio solito orgoglio. Volevo solo dimostrare che non avevo paura, neppure di quello che ignoravo. La porta della mia camera cigolò e mi ritrovai in un lungo, buio corridoio, in fondo al quale brillava fiocamente una luce, forse la stessa della lanterna che Nereo aveva adoperato per condurci alle nostre stanze. Avanzai con andatura né troppo veloce né troppo lenta. Sia la velocità che la lentezza sarebbero stati sintomo di paura, paura dell’oscurità la prima e di timore di ciò che mi attendeva oltre il corridoio la seconda; sentimenti che non mi appartenevano allora, ma che adesso, forse, conosco anche io. Leandro Quando Nereo scostò dalle labbra il bicchiere di liquore e, accortosi dell’ora tarda, si offrì di accompagnarci ognuno in una stanza del maniero dove mi pareva di trovarmi, Cloe si chinò subito su di me: “Non vorrai dormire qui?” mi apostrofò. “Non temere!” le mormorai “Appena sarà notte fonda verrò nella tua stanza, se sarai più tranquilla così.” Non si oppose e io mi illusi di aver chetato la sua ansia. Mi svegliai all’improvviso con un amaro senso di colpa, perché avevo dimenticato la promessa fatta a mia sorella, e questo non era da me. L’ampia finestra, però, mi rincuorò mostrandomi la notte ancora profondamente nera. Mi alzai da quel letto caldo e mi diressi verso la camera di Cloe, ma un fievole alone mi attirò oltre il corridoio che si apriva davanti ai miei piedi nudi. Forse anche Nereo era sveglio, e magari stava sorseggiando dell’altro liquore. Cloe avrebbe aspettato. Ora quel pensiero risuona assurdo nella

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mia memoria. In vita mia non avevo anteposto mai nessuno a Cloe, ma per Nereo era diverso. Mi diressi deciso verso quella fonte di luce chiara, dove lui di certo mi attendeva.

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IV Rintocco Il vecchio scolpito sul tronco di rovere

Nereo Alla portata della mia mano avevo le tre dolci coppe che mi erano state promesse e da cui avrei attinto una nuova linfa che soppiantasse quella vecchia, perché la mia vita fosse completa: speranza, amore, coraggio. Non è forse questo che rende vivo un uomo? Che altro mi sarebbe mancato, poi? Quel volto rinsecchito nella rovere non lo avrei mai più rivisto. Ma perché il mio sogno si realizzasse, ciascuno di loro avrebbe dovuto guardare nei solchi nodosi di quel legno fradicio e scorgere un nuovo viso. Quel tintinnio, come di sonaglio… Riecheggia ancora nella mia mente, insieme alla soave sensazione del risveglio. Cassandra Sbucai in una sala rotonda, con al centro un tappeto trapunto di fili di porpora e d’oro. Alle pareti un quadro più lungo che largo. La scena era affollata di soldati e cavalli imbizzarriti, addobbati come per una parata, col muso schiumoso per il freno troppo stretto. La stanza era illuminata da un lampadario scintillante, con fili di perle che ricadevano verso il basso, formando come degli archi. Pensai che quella stanza fosse meravigliosa, intensa e pregna di un odore di muschio. “Muschio?” mi chiesi esterrefatta e mi voltai di scatto. Che sciocca! Forse non c’era nessun tappeto, perché al centro della stanza ricordo nitidamente che cosa ci fosse: un ceppo di legno, o meglio, una piccola rovere malamente mutilata, senza fronde, ma solo con qualche ramo potato con violenza. Bassa e robusta. Era lei a profumare la stanza. Mi accostai per guardarla meglio e quando lo feci il mio cuore sussultò come avrebbe fatto quello di Cloe: intagliati nel legno mi parve di

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scorgere i lineamenti marcati e nodosi di un volto, il volto di un vecchio accigliato e dolente. “Proprio così” disse la voce di Nereo alle mie spalle, ma io non fui sollevata al vederlo. “L’hai scolpito tu?” domandai balbettando e lui rise. Per la prima volta quella risata mi diede i brividi. “No, non l’ho scolpito io,” mi rispose con calma surreale “ma io l’ho animato, per troppo tempo è rimasto così, senza cambiare mai, senza muoversi mai, senza vivere.” “Ma è solo un grosso ceppo di legno!” esclamai, interrompendolo. “No.” mi disse soffiando come un gatto “Guarda con più attenzione, Cassandra, fino a perderti tra le sue fessure legnose. Se guarderai meglio, allora lo riconoscerai anche tu.” Tentennai. Che cosa avrei dovuto guardare? Forse quel viso era il ritratto di qualcuno. Obbedii e fissai lo sguardo sulla rovere. Leandro Nella sala rotonda un lampadario rifulgeva di una luce più intensa di quella soffusa che mi aveva attirato. Le pareti erano soffici come di velluto. Nereo mi stava davvero aspettando: nella mano destra faceva oscillare appena un calice di cristallo con del vino rosso. Mi disse che sapeva che sarei arrivato perché aveva sentito i miei passi rintoccare nel corridoio. “Non è un po’ tardi per bere?” gli chiesi scherzando. Mi rispose che se ne era privato talmente a lungo che non era mai tardi per sentire il sapore del vino contro il palato. Quindi indicò con la mano il centro della sala e la luce mi parve si affievolisse intorno a noi. Non avevo notato che al centro c’era un ceppo, forse un piccolo tronco... Sì, piccolo e nodoso, devo ammettere assai ripugnante. “Che cos’è?” domandai. “Tu che cosa credi che sia?” Mi avvicinai incurvando la schiena per vederlo più da vicino e le pieghe della corteccia disegnarono improvvisamente un profilo nel legno. “Oh Cielo!” esclamai balzando indietro “Che diavolo è?”

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Nereo sorseggiò il suo vino. Non rispose, quindi tentai di darmi una risposta da solo: “Sembra il viso di un vecchio, rugoso e con una barba lunga e crespa. È scolpito con arte, non ne avevo mai visti di così reali, non nel legno. È una quercia, non è così?” “Dimmi, Leandro, perché non sei andato da Cloe come le avevi promesso?” La risposta a quella domanda che mi aveva posto all’improvviso, la diedi a parole io stesso, ma nella mia mente la sussurrò qualcun altro: “Immagino, per vedere la rovere.” Nereo sorrise: “Non c’è nulla per te più importante di Cloe. Non l’hai mai delusa, né mai vorresti farlo, come tenti di non deludere nessuno, neppure me, che ti aspettavo, lo sai. Sai perché?” Non capii se mi stesse chiedendo il perché della sua attesa o del mio desiderio di non deludere Cloe. A ogni modo scossi la testa. “Perché tu sai amare, Leandro. È quello il tuo dono.” “Credo sia umano.” balbettai. “Non sai quanto hai ragione! Per questo motivo quella rovere doveva incontrare il tuo sguardo, per cambiare dopo interminabili ere.” Ebbi un tuffo al cuore e mi volsi verso la rovere dinanzi a me. Quello che vidi non ho il coraggio di scriverlo. Verdiana “Nereo!” chiamai, badando a non alzare troppo il tono della voce. Gli altri dormivano profondamente nelle loro camere e non volevo svegliarli. Nessuno mi rispose e non appena varcai la soglia della sala circolare mi accorsi anche del motivo: lì non c’era nessuno, neppure il padrone di casa, tuttavia il lampadario che pendeva dal soffitto era acceso e le sue lampade a forma di vecchie candele illuminavano la stanza. Sotto di esso c’era un grosso albero secco e massiccio, con rami nodosi che si allungavano contorcendosi alla sommità, ma la cui altezza non superava la mia. Anzi, credo fosse molto più basso, perché per guardarlo meglio mi chinai poggiando le mani sulle ginocchia. Sorrisi di quello che vidi: il volto grinzoso di un vecchio che sembrava dormire, con un’espressione disfatta e addolorata. Era questo il

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passatempo di Nereo? Scolpire volti di vecchi incartapecoriti su un enorme ceppo di rovere? Che delusione! Chissà che cosa mi ero immaginata... Mi voltai ravviando la chioma come per andarmene, ma alla mie spalle si erse Nereo, e quando mi volsi i suoi occhi ardevano come braci a un palmo dal mio viso. Tirai un sospiro. Gli dissi che il suo era uno scherzo davvero sciocco. “Hai paura?” mi chiese. Ancora quella storia? Iniziava a diventare molesta! “No.” ribadii seccamente. Nereo sorrise e annuì: “Lo so, tu non hai mai paura. Per questo sei venuta fin qui, a vedere il mio volto.” L’ha davvero scolpito lui, allora! pensai, e dentro di me una risata lo canzonò. “L’hai guardato bene?” mi domandò con viva apprensione. “Certo, un vecchio addormentato intagliato nel legno.” Dissi a conferma dell’attenzione che gli avevo profuso. “No, ormai non più, guarda ancora!” Ma che stava blaterando? Con un sospiro di noia mi chinai verso il ceppo nodoso e indirizzai freddamente i miei occhi verso di esso. Fu allora che scoprii che il mio coraggio se n’era andato. Nereo Tra le linee increspate del legno, nella raggrinzita corteccia, che cosa vedi adesso, sul tronco della rovere? Cassandra, Verdiana, Leandro Vedo il mio volto!

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V Rintocco La paura di Cloe

Nereo Hanno guardato il tronco della rovere, hanno scorso con gli occhi i lineamenti di quel volto che era stato lì per secoli, e io, invece di provare completezza e pienezza come mi era stato promesso da lui, ho avvertito un senso di assenza e di disagio. Qualcosa manca! Una saetta ha percorso la mia mente e la sua luce ha squarciato ogni mio dubbio. Sì, è quello ciò di cui ho bisogno! Cloe Leandro tardava. Nel mio cuore sapevo che quella sera non lo avrei visto varcare la soglia della mia camera. Ero io a dovere andare da lui, e benché la paura divorasse il mio cuore, fu proprio quel timore irrazionale di non rivederlo che mi spinse a uscire dalla stanza e a oltrepassare l’uscio. Il corridoio era buio e spettrale, come nel peggiore dei miei incubi. Un alito esalava lieve lontano, e se avessi teso l’orecchio avrei udito come un sospiro. Tremavo come le foglie al vento, fuori dal castello. Seguii la luce oltre il corridoio ed entrai in una piccola sala immersa nella penombra. Un’alta finestra alla mia sinistra lasciava entrare un tremulo alone lunare. Nel centro della sala stava immobile un profumato tronco scuro, mozzo forse, ancora piccolo eppure avvizzito. Stavo per fuggire via, perché sentivo nel mio cuore che quello che avrei visto sarebbe stato terribile da sopportare. Sentivo mormorii intorno a me. Chiamai Leandro mentre i miei occhi si chiudevano da soli per nascondermi una vista orribile.

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“Sembra che anche tu debba guardare la rovere.” disse la gelida voce di Nereo, che mi fece sobbalzare. Lui stava col viso nell’ombra e io non scorgevo i suoi lineamenti. “Dove sono tutti? Dov’è mio fratello?” “Guarda la rovere!” mi ripeté. “Dimmi dov’è Leandro!” gli urlai andandogli incontro, ma quando lo afferrai per il bavero e lui si lasciò trascinare sotto la luce sgranai gli occhi allibiti: il bellissimo volto di quel giovane era raggrinzito come quello di una ruvida corteccia, la sua fronte solcata da terribili cicatrici legnose, e la sua bocca una smorfia sempre spalancata su denti spezzati e intricati. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola, ma quando riaprii gli occhi davanti a me c’era ancora Nereo, giovane e seducente, coi suoi lineamenti dolci e sottili. “Non badare a me, guarda la rovere!” mi ordinò imperturbabile. Con gli occhi imperlati di lacrime mi volsi a guardare quel tronco grottesco. Qualcosa era scolpito su di esso, ma non riuscivo a distinguere le linee sulla corteccia irregolare. Riconobbi un occhio, anzi due, e il profilo di una naso… Un viso era intagliato nel legno, ma innaturalmente sproporzionato. “Che cos’è?” chiesi, singhiozzando, ma solo allora riconobbi gli occhi spalancati verso di me, ciechi e vacui della rovere: erano quelli di Leandro, il naso, invece, era di Verdiana, e il viso che lo incorniciava di Cassandra. Mi gettai a terra piangendo disperatamente e Nereo prese a parlarmi: “Ho dormito per secoli e generazioni di uomini, finché non l’ho udito: un tintinnio acuto, il suono terso di un campanello, di quelli il cui batacchio riecheggia contro il metallo. Ho aperto gli occhi ancora legnosi e ho visto un uomo reggere un campanello d’oro e tenderlo verso di me. Mi fece una promessa e voi siete venuti perché fosse mantenuta. Avrei vissuto una vita di uomini, che, imprigionato nel tronco di una rovere, mi era stata negata. Ma dovevo prendere quello che fa di un uomo un uomo. E di che altro avrei avuto bisogno se non di coraggio, speranza e amore? Verdiana mi ha dato il primo, Cassandra la seconda, e tuo fratello il terzo.” “Che cosa vuoi da me?” gli domandai. “Per tornare a essere un uomo mi manca ancora qualcosa, qualcosa che provano tutti gli uomini, prima o poi, qualcosa che li rende deboli, ma

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vivi. Non riuscivo a capire che cosa fosse, finché non mi rammentai di te, Cloe.” “Di che parli? Che cosa vuoi ancora?” singhiozzai in lacrime. “Voglio la tua paura!” sibilò e vidi di nuovo il suo volto come una corteccia ispessita e rugosa venire contro di me. Mi afferrò il viso e mi impose di guardare ancora una volta l’orribile spettacolo di quella quercia mutilata che era stata la sua prigione. Io la guardai e stavolta vidi anche il mio volto. Fu un attimo. La terra tremò, il cielo tuonò con forza, il lampadario oscillò sopra le nostre teste e Nereo urlò come impazzito, portando entrambe le mani al suo volto e nascondendo gli occhi neri dietro di esse. Gridava come un forsennato, mentre io rimanevo immobile e attonita, senza capire. La sua bocca si contrasse in nuove urla strazianti mentre lui si dimenava, e infine si rannicchiò in un angolo tremando, con gli occhi vacui fissi nel vuoto e le mani premute contro le tempie. Tornò il silenzio. Mi avvicinai a lui senza alcuna esitazione. Non avevo timore, tutta la mia paura l’aveva fagocitata lui, rubando il mio volto e scolpendolo sulla rovere. Non appena mi vide muovermi verso di lui, si ritrasse e mi supplicò di andarmene, di lasciarlo stare. Mentre piangeva a dirotto, si strappava i capelli e dilaniava la bocca con le mani arcuate. “Dove sono gli altri?” urlai. Stavo per chiederglielo ancora, ma un rintocco di passi mi distolse e, nella stanza, apparve un giovane uomo con un cappello a larghe falde e un corto mantello. Sollevò la mano e io vidi che reggeva un campanello d’oro. “Perché sei tornato? Avevi promesso! Avevi promesso! Vattene!” urlava Nereo dimenandosi. L’uomo non fiatò, né io vidi il suo volto adombrato dal largo copricapo. Alzò ancora il campanello finché non fu all’altezza degli occhi sgranati di Nereo, a terra in un angolo della sala. Prima che il suo ultimo urlo si frantumasse contro le pareti della stanza, l’uomo fece oscillare il campanello dorato, che suonò con un trillo argentino: la figura di Nereo si allungò e si distese come un’ombra, la sua bocca si contrasse, i suoi occhi si gonfiarono, le sue mani si stesero come dei rami biforcuti verso il cielo, e infine la sua essenza si stracciò in mille frammenti e di lui non rimase nulla, tranne una piccola gemma che cadde per terra senza infrangersi, la cui forma ricordava quella di una lacrima.

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Lo sconosciuto dal campanello d’oro si chinò e la raccolse, ma quando tentai di fermarlo, udii la voce di Leandro alle mie spalle. Lui, Cassandra e Verdiana giacevano stesi a terra nel punto esatto dove prima si ergeva il tronco della rovere, che era scomparso. Solo allora ricordai ogni cosa. Mi voltai, ma l’uomo dal campanello d’oro non c’era più.

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Ritorno al I Rintocco Cassandra Sono tornata al quadrivio. Quattro strade si incrociano in una prateria che si staglia contro il cielo luminoso. Una ragazza viene verso di me rapidamente, facendo dondolare una borsa di tela. Sta tornando a casa. È Verdiana. Ora ricordo tutto distintamente. Ero io che l’aspettavo nella casa che abbiamo preso in affitto insieme, perché io conosco Verdiana ormai da otto anni, forse più. È come dire che la conosco da tutta la vita. Dall’altro capo della strada Leandro e Cloe si tengono per mano e mi sorridono. Li conosco da più tempo di quanto non conoscessi Verdiana, perché sono i miei cugini. Anche loro attendevano insieme a me il ritorno della mia amica. Uno dei quattro sentieri è deserto, nessuno ci viene incontro da lì. Ho chiesto a Cloe, a Leandro e a Verdiana, nell’intimità del mio salotto, se ricordano di quella lunga notte alla baita di Nereo. La risposta non è stata quella che mi aspettavo o temevo. Non hanno detto sì, ma neppure no. Ciascuno di loro ha dato una risposta diversa. Leandro non ricorda la baita, ma un labirinto di porticati, Verdiana mi parla di una villa, Cloe di un castello. E non solo il nome della casa differisce nella nostra memoria. Ogni particolare si infrange contro uno diverso che l’altro ricorda perfettamente come io rammento il mio. Ma tutti concordiamo nel ricordare il giovane Nereo. Hai raccontato loro di quanto è successo a te, Cloe, quando Nereo ti ha mostrato il suo volto di rovere, e un uomo ha fatto tintinnare un campanello d’oro. È per questo che Leandro cammina avanti e indietro nervosamente, non sa spiegarselo, è deciso a trovare la chiave di tutto, poiché ancora molte domande riecheggiano nel suo cuore, come in quello di Verdiana, o come nell’animo della dolce Cassandra. Ma tu, Cloe, che hai visto persino me nella penombra di una stanza

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irreale, sapresti riconoscermi? Perfino adesso ti osservo a poca distanza, non visto, mentre domandi a tuo fratello che cosa stia ancora cercando. Lui vorrebbe trovare quell’uomo, l’origine di tutto, l’uomo che solo Cloe ha visto. Lo cercherà finché non lo avrà trovato, forse per chiedergli chi egli sia, chi sia Nereo, che cosa sia la gemma lucente che ha raccolto da terra prima di svanire. Vuoi davvero imboccare quella strada? Non sarà più il rintocco del quadrivio ad accogliervi, quando varcherete il limite. Ma se è me che cercate, io sono qui, ad attendervi. L’uomo dal campanello d’oro FINE ANTEPRIMACONTINUA...