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RIVISTA DELLA CORTE DEI CONTI 3-4 Rivista della Corte dei conti - www.rivistacorteconti.it Anno LXVIII - n. 3-4 - Maggio-Agosto 2015 In questo fascicolo: Coordinamento della finanza pubblica Relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2014 Riforma del bilancio dello Stato Riforma amministrativa Riordino delle province Debiti pregressi delle regioni e degli enti locali Controlli sugli enti territoriali

Anno LXVIII - n. 3-4 - Maggio-Agosto 2015

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Page 1: Anno LXVIII - n. 3-4 - Maggio-Agosto 2015

R I V I S T AD E L L AC O R T EDEI CONTI

3-4

Rivista della Corte dei conti - www.rivistacorteconti.itAnno LXVIII - n. 3-4 - Maggio-Agosto 2015

In questo fascicolo:

› Coordinamento della finanza pubblica › Relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2014

› Riforma del bilancio dello Stato › Riforma amministrativa › Riordino delle province › Debiti pregressi delle regioni e degli enti locali

› Controlli sugli enti territoriali

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La Rivista della Corte dei conti è a cura del Servizio Massimario e Rivista

Comitato scientifico

Umberto AllegrettiStefano BattiniAntonio BrancasiMarco CammelliFrancesco CapalboVincenzo Caputi JambrenghiBeniamino Caravita di TorittoSabino CasseseLucia Cavallini CadedduRoberto Cavallo PerinVincenzo Cerulli IrelliMario P. ChitiMarcello ClarichGiovanna ColombiniMaurizio ConversoAlfredo Corpaci

Guido CorsoGiorgio CostantinoMarco D’AlbertiMariano D’AmoreGiacinto della CananeaGian Candido De MartinGiuseppe Di GaspareMario DoglianiGiuseppe FarnetiErminio FerrariFabrizio FracchiaClaudio FranchiniFranco GalloFabio Giulio GrandisGiampaolo LaduAlberto Massera

Antonio PedoneBernardo Giorgio MattarellaRita PerezCesare PinelliGiuseppe PisauroAristide PoliceStefano PozzoliGiulio SalernoAldo SandulliMaria Alessandra SandulliMassimo SiclariDomenico SoraceLuisa TorchiaAldo TraviLuciano VandelliAlberto Zuliani

Hanno collaborato alla redazione di questo fascicolo:

Filippo Barbagallo; Walter Berruti; Giulia Borgia; Anna Rita Bracci Cambini; Mirella Cannata; Ernesto Capasso; Guido Carlino; Aldo Carosi; Carlo Chiappinelli; Agnese Colelli; Antonio Contu; Raffaele Dainelli; Stefano De Filippis; Luciana De Santis; Piergiorgio Della Ventura; Eleonora Di Fortunato; Luca Di Giovanni; Giancarlo Di Lecce; Massimo Di Stefano; Antonio Franco; Valeria Gallo; Luigi Gallucci; Carlo Greco; Paola Lo Giudice; Oriella Martorana; Alessandra Marzialetti; Lucia Pascucci; Paola Pellecchia; Vincenzo Pergola; Marco Pieroni; Eleonora Rubino; Carla Serbassi; Vito Tenore.

Gaetano D’Auria, coordinatore e direttore responsabile

Gli articoli pubblicati dalla Rivista sono, di norma, sottoposti a una procedura di valutazione anonima.

La rivista è consultabile anche in:www.rivistacorteconti.it

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Rivista della Corte dei contiAnno LXVIII - n. 3-4Maggio-Agosto 2015

Pubblicazione bimestraledi servizio

Direttore responsabileGaetano D’Auria

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Avviso

Nel Fascicolo n. 6/Novembre 2015 della Rivista web della Corte dei conti, liberamente consultabile all’indirizzo www.rivistacorteconti.it, si segnalano:

Corte dei conti europea- Relazione speciale n. 10/2015, Occorre intensificare gli sforzi per risolvere i problemi

degli appalti pubblici nell’ambito della spesa dell’Ue nel settore della coesione - Relazione annuale sull’esecuzione del bilancio per l’esercizio finanziario 2014

Cour des comptes - Francia- Rapport public annuel 2015 (capitoli estratti): I. L’organisation de la Cour des comptes et des chambres régionales et territoriales

des comptes II. Le contrȏle de la gestion

Corte dei conti- Sezioni riunite in sede di controllo, Relazione sulla tipologia delle coperture adottate

e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nell’anno 2015

- Quadrimestre maggio-agosto 2015

Ministero dell’interno- D.m. 25 settembre 2015, Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di

agevolare l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo da parte degli uffici della pubblica amministrazione

La corruzione amministrativa- Autorità nazionale anticorruzione, Linee guida per l’esercizio dei compiti di alta

sorveglianza e di garanzia della correttezza e della trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del Giubileo straordinario della misericordia

Fondazione Bruno Visentini- Fondazione Bruno Visentini, in collaborazione con Ceradi-Luiss, La riscossione in

Italia, Germania, Spagna, Francia e Regno Unito: un’analisi comparata, a cura di F. Marchetti, G. Melis, A. Papa Marchetti

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III

S O M M A R I O

Parte I: ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA- Sezioni riunite in sede di controllo 1- Sezioni riunite in sede consultiva 89- Sezione centrale controllo legittimità 98- Sezione centrale controllo gestione 103- Sezione controllo enti 107- Sezione delle autonomie 143- Sezioni regionali di controllo 184 - Abruzzo 184 - Campania 186 - Friuli-Venezia Giulia 201 - Liguria 212 - Lombardia 217 - Piemonte 228 - Toscana 239 - Trentino-Alto Adige 245 - Veneto 247

Parte II: ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE- Sezioni riunite in sede giurisdizionale 264- Sezioni riunite in sede giurisdizionale (in speciale composizione) 284- Sezione II centrale d’appello 301- Sezioni giurisdizionali regionali 323 - Basilicata 323 - Campania 327 - Friuli-Venezia Giulia 331 - Lazio 336 - Lombardia 347 - Piemonte 355 - Sardegna 358 - Veneto 361

Parte III: DOCUMENTAZIONE- Corte di giustizia dell’Unione europea 392- Corte dei conti. Sezioni riunite, Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario

2014. Udienza di parificazione del rendiconto generale dello Stato, 25 giugno 2015 410I. Premessa in apertura d’udienza del Presidente della Corte dei conti Raffaele Squitieri 410II. Relazione in udienza del Presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo Enrica

Laterza 411III. Requisitoria orale del Procuratore generale Martino Colella 416

- Corte costituzionale 422- Corte di cassazione 463- Consiglio di Stato e Tar 525- Anac-Corte dei conti, Protocollo d’intesa tra l’Autorità nazionale anticorruzione e la Corte dei conti, 28

maggio 2015 564

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IV

Parte IV: DOTTRINA- Filippo Barbagallo, Le operazioni di ricapitalizzazione delle società partecipate dagli enti locali e il prin-

cipio di sana gestione finanziaria 568- Aldo Carosi, Il ruolo della Corte dei conti nella salvaguardia delle regole di bilancio nazionali e comuni-

tarie 577- Giovanna Colombini, Il “nuovo” sistema dei controlli della Corte dei conti sui bilanci degli enti territoria-

li. Spunti di riflessione 588- Piergiorgio Della Ventura, I confini della cognizione delle Sezioni riunite in speciale composizione 604

Note- Corte di giustizia dell’Unione europea, Il programma Omt annunciato dalla Bce nel settembre 2012 è com-

patibile con il diritto dell’Unione (Comunicato-stampa - Lussemburgo, 16 giugno 2015) 407- Antonio Brancasi, La Corte dei conti prende posizione sulla nuova legge di bilancio 85- Luca Di Giovanni, Spunti riflessivi sulla giurisdizione amministrativa e contabile in relazione al servizio di

riscossione delle entrate degli enti locali 485

Letture storiche- Sergio Ristuccia, Procedure e metodi per l’esame parlamentare delle gestioni degli enti pubblici controlla-

ti dalla Corte dei conti, in Foro amm., 1978, 1470-1479 623

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V

Ambiente (tutela dell’)v.: Responsabilità amministrativa e contabile

Amministrazione dello Stato e pubblica in genereAmministrazioni centrali dello Stato – Rapporto

2015 sul coordinamento della finanza pubblica – Tendenze della spesa (anni dal 2000 al 2014) – Funzioni e organizzazione amministrativa (Corte conti, Sez. riun. contr., 11 giugno 2015, n. 8) 8

Ente pubblico – Incarico di consulenza giuridica – Rinnovo – Non conformità a legge (Corte conti, Sez. centr. contr. legittimità, 3 luglio 2015, n. 16) 101

Ministeri – Gestione delle autovetture di servizio (Corte conti, Sez. centr. contr. gestione, 10 aprile 2015, n. 2) 104

Norme statali in materia di contenimento e razio-nalizzazione della spesa pubblica – Applicazio-ne alle autorità nazionali di regolamentazione per le reti e i servizi di comunicazione elettronica – Possibile violazione dei principi di imparzialità e indipendenza riconosciuti dall’art. 13 della diret-tiva 2002/21/Ce – Rimessione alla Corte di giu-stizia dell’Unione europea (Cons. Stato, Sez. VI, ord. 15 maggio 2015, n. 2475) 524

Organizzazione amministrativa – Riforma – Dise-gno di legge A.C. 3098 (XVII legislatura) – Ca-mera dei deputati – Indagine conoscitiva della Commissione affari costituzionali – Documen-to per l’audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Corte conti, Sez. riun. contr., 3 giugno 2015, n. 10) 1

v. pure: Contabilità dello Stato e pubblica in gene-re – Società

Atto amministrativoProvvedimento oggetto di rilievo da parte della Ra-

gioneria territoriale dello Stato – Esecuzione del provvedimento nonostante la presenza del rilievo – Invio del provvedimento alla Corte dei conti – Controllo successivo di legittimità – Esclusione – Valutazione dell’atto nell’ambito del controllo sulla gestione (Corte conti, Sez. contr. reg. Cam-pania, 29 aprile 2015, n. 146) 192

Comune e provinciaAderenti a organizzazioni di volontariato – Lavo-

ro prestato gratuitamente in favore del comune – Ammissibilità – Condizioni (Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 11 maggio 2015, n. 192) 217

Assunzioni di personale a tempo determinato – Mo-

bilità volontaria – Limiti di spesa alle assunzioni a tempo indeterminato – Condizioni (Corte conti, Sez. autonomie, 16 giugno 2015, n. 19) 168

Avvocatura dell’ente locale – Sentenza favorevo-le all’ente – Recupero delle spese legali a cari-co della controparte – Attribuzione di quota parte della somma recuperata ai dipendenti dell’avvo-catura comunale – Condizioni – Iscrizione all’al-bo degli avvocati (Corte conti, Sez. contr. reg. Abruzzo, 17 luglio 2015, n. 187) 184

Farmacie comunali – Personale – Assunzioni – Li-miti (Corte conti, Sez. autonomie, 12 giugno 2015, n. 18) 165

Gestione finanziaria – Personale – Assunzioni sta-gionali (Corte conti, Sez. contr. reg. Toscana, 19 maggio 2015, n. 114) 239

Personale – Assunzioni a tempo determinato – Uti-lizzazione delle graduatorie di concorsi presso al-tri enti locali – Condizioni (Corte conti, Sez. au-tonomie, 16 giugno 2015, n. 19) 168

Personale – Assunzioni di personale con specifica professionalità per l’espletamento di servizi es-senziali – Previa ricerca fra il personale sopran-numerario delle province – Necessità (Corte con-ti, Sez. autonomie, 16 giugno 2015, n. 19) 168

Personale – Assunzioni mediante procedure di mo-bilità – Precedenza per il personale soprannume-rario delle province (Corte conti, Sez. autonomie, 16 giugno 2015, n. 19) 168

Presidente della provincia e sindaco – Relazione di fine mandato – Scioglimento dell’organo consi-liare della provincia o del comune – Redazione della relazione ad opera del commissario straor-dinario – Esclusione (Corte conti, Sez. autono-mie, 30 aprile 2015, n. 15) 143

Provincia – Rendiconto – Controllo della sezione re-gionale della Corte dei conti – Alienazione del patrimonio immobiliare mediante cartolarizza-zione – Società veicolo interamente partecipata dall’ente locale – Somme anticipate dalla società al bilancio dell’ente – Imputazione nel bilancio dell’ente – Entrate a titolo di anticipazioni e non di proventi da alienazione (Corte conti, Sez. riun. giur., 11 giugno 2015, n. 25) 296

Province – Disciplina di riordino (l. n. 56/2014) – Effetti di carattere finanziario – Relazione al Par-lamento (Corte conti, Sez. autonomie, 11 maggio 2015, n. 17) 148

Realizzazione di opere pubbliche – Partenariato pubblico-privato – Pagamento dei canoni con-

INDICE ANALITICO[si riferisce alle pronunce di controllo e giurisdizionali pubblicate nelle parti I, II e III]

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VI

trattuali da parte dell’ente locale – Imputazio-ne in bilancio quale spesa corrente – Condizio-ni (Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 30 lu-glio 2015, n. 266) 223

Società partecipata – Perdita di esercizio – Liquida-zione della società – Pagamento dei debiti della società da parte dell’ente – Limiti (Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 30 luglio 2015, n. 260) 219

Società partecipate – Piani comunali di raziona-lizzazione – Invio alla Corte dei conti – Finali-tà – Verifica delle condizioni per il mantenimen-to o l’acquisizione delle partecipazioni – Verifi-ca degli effetti del piano sul bilancio del comune (Corte conti, Sez. contr. reg. Campania, 24 aprile 2015, n. 143) 186

Società partecipate – Ricognizione periodica – Ne-cessità – Mantenimento e acquisizione di nuo-ve partecipazioni – Condizioni (Corte conti, Sez. contr. reg. Campania, 24 aprile 2015, n. 143) 186

v. pure: Contabilità regionale e degli enti loca-li – Responsabilità amministrativa e contabile – Società

Concessioni amministrativeSardegna – Concessioni marittime – Proroga del ter-

mine di scadenza – Violazione dei principi co-munitari di libertà di stabilimento, non discrimi-nazione e tutela della concorrenza – Questione pregiudiziale – Rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Cons. Stato, Sez. VI, sent.-ord. 14 agosto 2015, n. 3936) 554

Contabilità dello Stato e pubblica in genereAmministrazioni pubbliche diverse dallo Stato, dal-

le regioni e dagli enti locali – Schema di regola-mento concernente l’amministrazione e la conta-bilità – Parere (Corte conti, Sez. riun. cons., 19 marzo 2015, n. 1) 89

Bilancio dello Stato – Riforma – Deleghe legislati-ve (l. n. 89/2014) – Camera dei deputati e Sena-to della Repubblica – Indagine conoscitiva delle Commissioni bilancio riunite – Documento per l’audizione di rappresentanti della Corte dei con-ti (Corte conti, Sez. riun. contr., 26 giugno 2015, n. 12) 76

Corte dei conti – Parificazione del rendiconto gene-rale dello Stato per l’esercizio finanziario 2014 – Verifica di affidabilità dei conti – Criteri metodo-logici (Corte conti, Sez. riun. contr., 25 giugno 2015, n. 11) 30

Corte dei conti – Relazione al Parlamento sul rendi-conto generale dello Stato per l’esercizio finan-ziario 2014 – Disciplina dell’ordinamento con-tabile (Corte conti, Sez. riun. contr., 25 giugno 2015, n. 11) 30

Elenchi Istat degli enti che concorrono al con-to economico consolidato delle amministrazio-ni pubbliche – Ente inserito negli elenchi relati-vi agli anni 2009 e 2010 – Inserimento automati-co dell’ente negli elenchi successivi – Esclusione (Cons. Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2643) 534

Ente regionale teatrale del Friuli-Venezia Giulia (Ert) – Inserimento nell’elenco Istat degli en-ti che concorrono al conto economico consoli-dato delle amministrazioni pubbliche per l’anno 2012 – Modalità (Cons. Stato, Sez. VI, 26 mag-gio 2015, n. 2643) 534

Enti e organismi che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato – Casse di previdenza priva-tizzate – Riduzione delle spese per consumi in-termedi – Questione di legittimità costituzionale – Non manifesta infondatezza (Cons. Stato, Sez. VI, ord. 4 giugno 2015, n. 2756) 547

Federazioni sportive nazionali affiliate al Coni – In-serimento nell’elenco Istat degli enti compresi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione – Legittimità (Corte conti, Sez. riun. giur., 31 marzo 2015, n. 12) 285

v. pure: Processo contabile

Contabilità regionale e degli enti localiFinanza regionale e locale – Esercizio 2014 – Ri-

sultati di cassa – Relazione al Parlamento (Corte conti, Sez. autonomie, 27 luglio 2015, n. 25) 175

Gestione finanziaria – Debiti pregressi – Anticipa-zione di liquidità – Indebitamento – Esclusione – Utilizzo dell’anticipazione per il finanziamen-to di nuove spese – Esclusione (Corte conti, Sez. contr. reg. Toscana, 8 luglio 2015, n. 198) 240

Province – Regione Piemonte – Riduzione degli stanziamenti a favore delle province per l’eser-cizio delle funzioni loro conferite o delegate – Il-legittimità costituzionale (Corte cost., 24 luglio 2015, n. 188) 458

Province – Regione Piemonte – Riduzione degli stanziamenti a favore delle province per l’eserci-zio delle funzioni loro conferite o delegate – Vio-lazione dell’autonomia finanziaria e del principio del buon andamento – Illegittimità costituzionale (Corte cost., 24 luglio 2015, n. 188) 458

Regione Piemonte – Rendiconto generale per l’eser-cizio finanziario 2013 – Anticipazioni dello Sta-to per il pagamento dei debiti pregressi – Legge regionale – Utilizzo per il finanziamento di nuo-ve spese – Illegittimità costituzionale (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 181) 445

Regione Piemonte – Rendiconto generale per l’eser-cizio finanziario 2013 – Anticipazioni dello Sta-to per il pagamento dei debiti pregressi – Legge regionale – Utilizzo per il ripiano del disavanzo

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VII

corrente e per nuove spese – Illegittimità costitu-zionale (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 181) 445

Regione Piemonte – Rendiconto generale per l’eser-cizio finanziario 2013 – Anticipazioni dello Sta-to per il pagamento dei debiti pregressi – Leggi regionali – Utilizzo delle anticipazioni – Omes-sa previsione del vincolo al pagamento dei debi-ti regionali pregressi – Illegittimità costituziona-le (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 181) 445

Regione Piemonte – Rendiconto generale per l’eser-cizio finanziario 2013 – Giudizio di parificazione – Somme ricevute dallo Stato per il pagamento di debiti pregressi – Legge regionale – Istituzione di capitoli dell’entrata e della spesa per la desti-nazione delle somme a finalità diverse da quelle stabilite dalla legge statale – Incidenza sull’equi-librio del bilancio – Questione di legittimità co-stituzionale – Non manifesta infondatezza (Cor-te conti, Sez. contr. reg. Piemonte, 10 novembre 2014, n. 246) 229

Regione Piemonte – Rendiconto generale per l’eser-cizio finanziario 2013 – Giudizio di parificazione – Somme ricevute dallo Stato per il pagamento di debiti pregressi – Legge regionale di assestamen-to del bilancio – Istituzione di capitoli dell’entra-ta e della spesa per la destinazione delle somme a finalità diverse da quelle stabilite dalla legge statale – Incidenza sull’equilibrio del bilancio – Questione di legittimità costituzionale – Non ma-nifesta infondatezza (Corte conti, Sez. contr. reg. Piemonte, 10 novembre 2014, n. 246) 228

Regioni a statuto speciale – Friuli-Venezia Giulia – Sezione regionale della Corte dei conti – Rappor-to 2014 sul coordinamento della finanza pubblica regionale (Corte conti, Sez. contr. reg. Friuli-Ve-nezia Giulia, 29 giugno 2015, n. 68) 207

v. pure: Comune e provincia

Contratti pubbliciControlli – Mancanza del visto della Corte dei con-

ti – Risoluzione del contratto per inadempimento dell’amministrazione – Esclusione (Cass., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636) 464

Locazione – Immobili adibiti a uso istituzionale – Contratti scaduti e non rinnovati – Riduzione dei canoni locativi – Calcolo – Criteri (Corte conti, Sez. centr. contr. legittimità, 21 luglio 2015, n. 18) 102

Servizi di informazione istituzionale – Produzione e messa in onda di contenuti audiovisivi – Servi-zio escluso dall’ambito di applicazione del codi-ce dei contratti pubblici – Affidamento diretto – Esclusione – Svolgimento di procedura compara-tiva – Necessità (Corte conti, Sez. centr. contr. le-gittimità, 22 maggio 2015, n. 13) 98

v. pure: Giurisdizione e competenza

Corte dei contiGiudizi a istanza di parte – Concessionario della ri-

scossione di tributi comunali – Inadempienze contrattuali – Controversia instaurata dal comune nella forma del giudizio a istanza di parte – Am-missibilità – Distinzione dall’azione di responsa-bilità (Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 6 mag-gio 2015, n. 255) 337

Sezione regionale di controllo – Deliberazione rela-tiva alla gestione dei contributi erogati a un grup-po politico del consiglio regionale – Scadenza del termine per l’impugnazione davanti alle Se-zioni riunite in speciale composizione – Effetti – Irretrattabilità della deliberazione (Corte con-ti, Sez. giur. reg. Friuli-Venezia Giulia, 9 luglio 2015, n. 52) 331

v. pure: Amministrazione dello Stato e pubblica in genere – Atto amministrativo – Comune e pro-vincia – Contabilità dello Stato e pubblica in ge-nere – Contratti pubblici – Impiegato dello Stato e pubblico in genere

Enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinariaFondazioni lirico-sinfoniche – Gestione finanzia-

ria 2013 – Relazione al Parlamento (Corte con-ti, Sez. contr. enti, 28 aprile 2015, n. 44) 116

Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti ita-liani “G. Amendola” (Inpgi) – Gestione finanzia-ria 2014 – Relazione al Parlamento (Corte conti, Sez. contr. enti, 30 giugno 2015, n. 70) 137

Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a. – Gestione fi-nanziaria 2013 – Relazione al Parlamento (Corte conti, Sez. contr. enti, 9 marzo 2015, n. 20) 107

Farmaciav.: Comune e provincia

Giudizi di conto e per resa del contoAgente contabile – Sezione regionale della Corte dei

conti – Decreto per resa del conto – Revocabili-tà per intervenuto mutamento giurisprudenziale – Esclusione – Fattispecie (Corte conti, Sez. giur. reg. Sardegna, 22 aprile 2015, n. 2) 358

Agenti contabili delle case circondariali – Beni per i quali non sussiste obbligo di custodia – Obbli-go di resa del conto giudiziale – Esclusione (Cor-te conti, Sez. giur. reg. Veneto, 3 giugno 2015, n. 86) 363

v. pure: Regione in genere e regioni a statuto ordi- nario

Giurisdizione e competenzaAppalti pubblici – Contenzioso tra ditta appaltatri-

ce e pubblica amministrazione – Costituzione di

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VIII

una commissione di accordo bonario – Compo-nenti – Responsabilità – Giurisdizione contabile – Esclusione (Cass., S.U., ord. 8 luglio 2015, n. 14187) 509

Federazione sportiva – Fondi acquisiti mediante tesseramenti e affiliazioni – Responsabilità de-gli amministratori – Giurisdizione contabile – Esclusione (Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 22 maggio 2015, n. 280) 338

Lavoro (contratto collettivo di) – Impiegato del-lo Stato e pubblico in genere – Accordi collet-tivi – Rappresentanti sindacali dei dipendenti – Responsabilità per le conseguenze degli accordi stipulati – Giurisdizione contabile – Esclusione (Cass., S.U., 14 luglio 2015, n. 14689) 515

Partiti politici – Rimborso delle spese elettora-li – Appropriazione del tesoriere – Responsabi-lità erariale – Esclusione – Responsabilità civi-le – Giurisdizione ordinaria (Cass., S.U., ord. 18 maggio 2015, n. 10094) 470

Pensioni civili – Consiglieri regionali cessati dalla carica – Assegno vitalizio – Controversie – Natu-ra non pensionistica del vitalizio – Giurisdizione ordinaria (Corte conti, Sez. giur. reg. Lombardia, 24 giugno 2015, n. 117) 347

Pensioni civili – Ex dipendente comunale – Perce-zione di ratei indebiti – Rivalsa del comune – Giurisdizione contabile (Cass., S.U., 8 giugno 2015, n. 11769) 494

Processo contabile – Giudizio di responsabilità – Competenza per territorio – Danno derivante dall’attività del commissario delegato per l’e-mergenza rifiuti nella Regione Campania – Com-petenza della Sezione giurisdizionale della Cor-te dei conti per la Campania (Corte conti, Sez. II centr. app., 10 marzo 2015, n. 95) 301

Pronunce del Consiglio di Stato – Applicazione di norme in materia di ricusazione dei giudici e pe-renzione dei giudizi – Ricorso cumulativo per cassazione per motivi di giurisdizione – Inammis-sibilità (Cass., S.U., 22 luglio 2015, n. 15358) 519

Regione in genere e regioni a statuto ordinario – Gruppi politici dei consigli regionali – Rendicon-ti – Deliberazioni di controllo delle sezioni re-gionali della Corte dei conti – Impugnazione – Ricorso notificato alla controparte prima del 12 agosto 2014 – Giurisdizione del giudice ammi-nistrativo (Tar Veneto, Sez. I, 21 agosto 2015, n. 939) 558

Regolamento preventivo di giurisdizione – Declara-toria di giurisdizione del giudice contabile – Ef-ficacia di giudicato – Conseguenze – Decisione di merito della Corte dei conti – Ricorso per cas-sazione – Inammissibilità (Cass., S.U., 2 luglio 2015, n. 13567) 504

Regolamento preventivo di giurisdizione – Limiti – Pronuncia di una sentenza sulla giurisdizione o su altra questione processuale – Effetto preclu-sivo del regolamento – Conversione del regola-mento preventivo in denuncia di conflitto di giu-risdizione – Ammissibilità – Condizioni (Cass., S.U., 23 luglio 2015, n. 15477) 521

Riscossione delle imposte – Concessionario – Ri-chiesta di sgravio provvisorio – Giurisdizione contabile (Cass., Sez. VI, ord. 4 giugno 2015, n. 11524) 481

Servizio di riscossione dei tributi – Rapporti con-trattuali tra il comune e il concessionario della riscossione – Giurisdizione del giudice ammini-strativo (Cons. Stato, Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3072) 481

Società a totale partecipazione pubblica – Svolgi-mento di attività imprenditoriale in regime di mercato – Amministratori e dipendenti – Danni cagionati alla società – Giurisdizione ordinaria – Sottoposizione della società a indirizzi ministe-riali e al controllo della Corte dei conti – Irrile-vanza (Cass., S.U., 21 luglio 2015, n. 15199) 517

v. pure: Processo contabile

Giustizia amministrativaSentenze definitive della Corte europea dei diritti

dell’uomo – Esecuzione – Giudizio di ottempe-ranza – Inammissibilità (Cons. Stato, Sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2866) 551

Impiegato dello Stato e pubblico in genereContrattazione collettiva nazionale – Organizzazio-

ni sindacali non ricorrenti nel giudizio principale – Partecipazione al giudizio di legittimità costi-tuzionale – Condizioni – Fattispecie (Corte cost., ord. 23 giugno 2015) 436

Corte dei conti – Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica – Impiego pubblico – An-damenti dell’occupazione e della spesa – Politi-che del personale – Province – Ricollocamento del personale in esubero (Corte conti, Sez. riun. contr., 11 giugno 2015, n. 8) 8

Dirigente – “Chiamata diretta” – Esclusione – Inca-rico conferito per un posto di funzione nell’ambi-to della Provincia autonoma di Bolzano – Irrile-vanza (Corte conti, Sez. contr. reg. Trentino-Alto Adige, Bolzano, 24 luglio 2015, n. 13) 245

Dirigente – Passaggio ad altra carriera – Preceden-te retribuzione di posizione – Parte variabile – Computo nell’assegno personale non riassorbibi-le – Esclusione (Cass., Sez. lav., 13 luglio 2015, n. 14568) 511

Incarichi extraistituzionali – Svolgimento in man-canza di autorizzazione da parte dell’amministra-

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IX

zione di appartenenza – Obbligo di restituzione dei compensi percepiti – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta inammissibilità (Cor-te cost., ord. 26 maggio 2015, n. 90) 422

Incarichi extraistituzionali non autorizzati dall’am-ministrazione di appartenenza – Obbligo degli enti pubblici e privati di comunicare alle ammi-nistrazioni i compensi erogati – Illegittimità co-stituzionale (Corte cost., 5 giugno 2015, n. 98) 422

Misure di contenimento della spesa – Incremento dei trattamenti economici dei pubblici dipenden-ti – Preclusione – Estensione fino al 31 dicembre 2014 – Questioni di legittimità costituzionale – Infondatezza (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 178) 435

Misure di contenimento della spesa – Incremento dei trattamenti economici dei pubblici dipenden-ti – Preclusione per gli anni 2011, 2012 e 2013 – Questioni di legittimità costituzionale – Infonda-tezza (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 178) 435

Misure di contenimento della spesa – Prolungata so-spensione della contrattazione collettiva per il periodo 2010-2014 – Illegittimità costituziona-le – Decorrenza dal giorno successivo alla pub-blicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 178) 435

v. pure: Giurisdizione e competenza

Impiegato regionale e degli enti localiComune – Servizio pubblico gestito da un’azienda

speciale – Reinternalizzazione da parte dell’ente locale – Personale dell’azienda speciale – Inqua-dramento nei ruoli dell’ente – Condizioni (Corte conti, Sez. contr. reg. Veneto, 7 agosto 2015, n. 374) 258

Comune e provincia – Contrattazione integrativa – Fondi speciali – Somme erroneamente erogate al personale – Recupero – Modalità (Corte con-ti, Sez. contr. reg. Veneto, 12 giugno 2015, n. 289) 255

v. pure: Comune e provincia – Pensioni civili e mili- tari

Lavoro (contratto collettivo di)v.: Giurisdizione e competenza – Impiegato dello

Stato e pubblico in genere – Impiegato regiona-le e degli enti locali

Opere pubblicheDelibera Cipe – Variante al progetto definitivo di

un’opera pubblica – Rilevante incremento dei co-sti dell’opera – Omessa modifica del piano eco-nomico-finanziario e del cronoprogramma – Non conformità a legge della delibera (Corte con-ti, Sez. centr. contr. legittimità, 5 giugno 2015, n. 14) 100

v. pure: Comune e provincia – Responsabilità ammi-nistrativa e contabile

Partiti politiciv.: Giurisdizione e competenza

Pensioni civili e militariDipendenti della Regione Calabria – Trattamento

accessorio del personale di gabinetto e delle se-greterie particolari – Computo ai fini pensioni-stici – Criteri (Corte conti, Sez. II centr. app., 29 aprile 2015, n. 219) 316

Esposizione all’amianto – Supervalutazione del ser-vizio – Condizioni (Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 17 luglio 2015, n. 349) 346

Pensioni militari – Indennità operativa per repar-ti di campagna – Computo nella base di calco-lo dell’indennità di ausiliaria – Esclusione (Corte conti, Sez. giur. reg. Veneto, 13 maggio 2015, n. 73) 361

Perseguitato per motivi politici e razziali – Assegno di benemerenza – Reversibilità a favore di orfa-no maggiorenne – Condizioni – Rinvio alla nor-mativa sulle pensioni di guerra (Corte conti, Sez. riun. giur., 15 giugno 2015, n. 26) 274

v. pure: Processo pensionistico

Prescrizione e decadenzaDanno erariale – Occultamento doloso del danno –

Decorrenza della prescrizione nei confronti di corresponsabili a titolo di colpa grave – Esclu-sione (Corte conti, Sez. giur. reg. Veneto, 22 giu-gno 2015, n. 107) 388

Responsabilità amministrativa – Danno indiretto – Decorrenza dalla data del pagamento a favore del danneggiato – Fattispecie (Corte conti, Sez. II centr. app., 27 maggio 2015, n. 271) 318

v. pure: Processo contabile – Processo pensioni- stico

Previdenza e assistenza socialev.: Pensioni civili e militari

Processo contabileAmministrazione danneggiata – Costituzione di par-

te civile nel processo penale – Sentenza di con-danna di primo grado nel processo penale – In-staurazione del giudizio di responsabilità ammi-nistrativa – Sospensione necessaria del proces-so contabile – Esclusione (Corte conti, Sez. riun. giur., 18 maggio 2015, n. 5) 270

Appello – Danno erariale – Prescrizione del diritto al risarcimento dichiarata dalla sentenza di pri-mo grado – Accoglimento dell’appello – Effetti –

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X

Rinvio della causa al primo giudice (Corte conti, Sez. II centr. app., 27 maggio 2015, n. 271) 318

Danno all’immagine della pubblica amministrazio-ne – Azione di responsabilità – Presupposti (Cor-te conti, Sez. riun. giur. 19 marzo 2015, n. 8) 264

Federazioni sportive affiliate al Coni – Inserimen-to nell’elenco Istat 2015 degli enti compresi nel conto economico consolidato della pubblica am-ministrazione – Norme statali di contenimento della spesa pubblica – Applicazione alle federa-zioni sportive – Differimento al 2016 – Interes-se ad impugnare l’inserimento nell’elenco Istat 2015 – Sussistenza (Corte conti, Sez. riun. giur., 31 marzo 2015, n. 12) 284

Giudizio di responsabilità – Competenza territoria-le inderogabile – Eccezione sollevata per la pri-ma volta in appello – Inammissibilità (Corte con-ti, Sez. II centr. app., 10 marzo 2015, n. 95) 301

Impugnazione dell’elenco Istat degli enti compresi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione – Vizi del procedimento di for-mazione dell’elenco – Irrilevanza (Corte conti, Sez. riun. giur., 31 marzo 2015, n. 12) 284

Invito a dedurre – Audizione dell’invitato per dele-ga ad altra autorità – Inammissibilità – Successi-vo atto di citazione – Inammissibilità (Corte con-ti, Sez. giur. reg. Piemonte, 24 settembre 2014, n. 113) 355

Invito a dedurre – Reiterabilità – Divieto di ne bis in idem – Fattispecie – Decadenza dall’azione – Esclusione (Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 22 aprile 2015, n. 228) 336

Pendenza del regolamento preventivo di giurisdi-zione – Precedente sentenza di merito in tema di giurisdizione – Sospensione del processo – Esclusione (Corte conti, Sez. giur. reg. Basilica-ta, 1 luglio 2015, n. 36) 323

Superamento del limite di ragionevole durata – Successivo decesso del difensore o della parte – Estinzione del giudizio – Irrilevanza – Dirit-to all’equa riparazione – Sussistenza (Cass., Sez. II, 27 febbraio 2015, n. 4009) 463

v. pure: Giurisdizione e competenza – Pubblico mi-nistero contabile

Processo pensionisticoAppello – Riconoscimento del diritto a pensione –

Prescrizione dei ratei maturati prima del quin-quennio dalla proposizione del ricorso – Attività interpretativa del giudice di merito – Asserito ec-cesso di potere giurisdizionale – Ricorso per cas-sazione – Inammissibilità (Cass., S.U., 8 giugno 2015, n. 11771) 496

Pubblico ministero contabileAccertamento dei presupposti dell’azione di respon-

sabilità – Invito a produrre deduzioni – Desti-natario dell’invito – Diritto di accesso agli atti dell’istruttoria – Modalità (Corte conti, Sez. riun. giur., 18 giugno 2015, n. 28) 278

Istruttoria – Violazioni procedurali – Effetti inva-lidanti sulla successiva fase processuale – Con-dizioni (Corte conti, Sez. riun. giur., 18 giugno 2015, n. 28) 278

Istruttoria finalizzata all’esercizio dell’azione di re-sponsabilità – Presupposti – Articolo pubblicato sulla stampa locale – Avvio dell’istruttoria – Le-gittimità (Corte conti, Sez. giur. reg. Basilicata, 1 luglio 2015, n. 36) 323

v. pure: Processo contabile

Radiotelevisionev.: Enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria

Reato in genereTruffa – Fatto commesso nei confronti di un’azienda

comunale di trasporti – Aggravante – Fatto com-messo ai danni dello Stato o di un altro ente pub-blico – Sussistenza – Autonomia giuridica e di bilancio dell’azienda – Irrilevanza (Cass., Sez. II pen., 17 giugno 2015, n. 28085) 498

Regione in genere e regioni a statuto ordinarioRegione Piemonte – Gruppi politici del consiglio re-

gionale – Contributi pubblici – Ordine di deposi-to del conto giudiziale presso la sezione giurisdi-zionale della Corte dei conti – Non spettanza allo Stato (Corte cost., 9 giugno 2015, n. 107) 430

Regione Toscana – Gruppi politici del consiglio re-gionale – Contributi pubblici – Ordine di deposi-to del conto giudiziale presso la sezione giurisdi-zionale della Corte dei conti – Giudizio per con-flitto di attribuzione – Costituzione tardiva del Presidente del Consiglio dei ministri – Inammis-sibilità (Corte cost., ord. 28 aprile 2015) 430

Regione Toscana – Gruppi politici del consiglio re-gionale – Contributi pubblici – Ordine di deposi-to del conto giudiziale presso la sezione giurisdi-zionale della Corte dei conti – Giudizio per con-flitto di attribuzione – Intervento dei presidenti dei gruppi politici del consiglio regionale – Am-missibilità (Corte cost., ord. 28 aprile 2015) 430

Regione Toscana – Gruppi politici del consiglio re-gionale – Contributi pubblici – Ordine di deposi-to del conto giudiziale presso la sezione giurisdi-zionale della Corte dei conti – Non spettanza allo Stato (Corte cost., 9 giugno 2015, n. 107) 429

Regione Veneto – Gruppi politici del consiglio re-

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XI

gionale – Rendiconti 2014 – Esame della sezione regionale di controllo della Corte dei conti (Cor-te conti, Sez. contr. reg. Veneto, aprile 2015, n. 227) 247

v. pure: Contabilità regionale e degli enti locali – Giurisdizione e competenza – Responsabilità amministrativa e contabile

Regioni a statuto specialeFriuli-Venezia Giulia – Personale degli enti locali

– Contenimento della spesa – Patto di stabilità interno – Attuazione nella Regione Friuli-Vene-zia Giulia – Modalità – Disciplina di fonte sta-tale e di fonte regionale – Norme statali di coor-dinamento della finanza pubblica – Applicazione diretta nell’ordinamento regionale (Corte conti, Sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giulia, 21 maggio 2015, n. 51) 201

v. pure: Concessioni amministrative – Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Contabilità re-gionale e degli enti locali – Contratti pubblici – Impiegato dello Stato e pubblico in genere

Responsabilità amministrativa e contabileAgente di custodia – Illecito favoritismo verso dete-

nuti dietro compenso corruttivo – Danno da dis-servizio – Sussistenza – Fattispecie (Corte conti, Sez. II centr. app., 26 marzo 2015, n. 148) 310

Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nel-la Regione Campania – Spese non riconducibi-li alla finalità di fronteggiare l’emergenza rifiuti – Danno erariale (Corte conti, Sez. II centr. app., 10 marzo 2015, n. 95) 302

Componenti dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale – Illegittimo affidamento di un incari-co esterno – Danno erariale – Fattispecie (Cor-te conti, Sez. giur. reg. Basilicata, 1 luglio 2015, n. 36) 323

Comune – Dirigente – Trasferimento di un dipen-dente da un servizio ad un altro con profilo pro-fessionale equivalente – Sentenza del giudice ci-vile di reintegro del dipendente nelle mansioni originarie – Responsabilità amministrativa del dirigente per danno indiretto – Esclusione – Fat-tispecie (Corte conti, Sez. II centr. app., 16 aprile 2015, n. 186) 311

Esercizio abusivo della professione sanitaria – Valu-tazione dei vantaggi conseguiti dall’amministra-zione – Esclusione (Corte conti, Sez. giur. reg. Veneto, 22 giugno 2015, n. 107) 388

Gestione di una riserva naturale – Attività industriali nell’area della riserva – Danno ambientale – Spe-sa per il ripristino dello stato dei luoghi – Danno

erariale (Corte conti, Sez. giur. reg. Lombardia, 31 luglio 2015, n. 137) 350

Presidente di un gruppo politico del consiglio regio-nale – Contributi erogati al gruppo – Somme ir-regolarmente rendicontate – Accertamento con deliberazione della sezione regionale di control-lo della Corte dei conti – Responsabilità ammini-strativa del presidente – Giurisdizione della Cor-te dei conti (Corte conti, Sez. giur. reg. Friuli-Ve-nezia Giulia, 9 luglio 2015, n. 52) 331

Scelte discrezionali della pubblica amministrazione – Sindacato del giudice contabile – Limiti (Cor-te conti, Sez. giur. reg. Veneto, 17 giugno 2015, n. 98) 380

Segretario comunale, dirigenti e componenti del collegio dei revisori – Indebita corresponsione di retribuzioni di posizione e di risultato – Man-cato rispetto di vincoli finanziari posti alla con-trattazione collettiva integrativa – Danno eraria-le – Disposizioni di sanatoria – Irrilevanza (Cor-te conti, Sez. giur. reg. Veneto, 17 giugno 2015, n. 98) 379

Sindaco – Esecuzione di lavori pubblici – Pagamen-to di fatture a soggetto diverso dall’impresa ap-paltatrice – Danno erariale (Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 3 giugno 2015, n. 289) 343

Sindaco – Realizzazione di un opera pubblica – Ce-dimento strutturale – Revoca dell’incarico di di-rettore dei lavori – Mancanza di adeguata istrut-toria sulla responsabilità per il cedimento dell’o-pera – Rifiuto di pagare i compensi al diretto-re dei lavori – Contenzioso giudiziario – Con-danna del comune al risarcimento del danno nei confronti del direttore dei lavori – Responsabili-tà erariale del sindaco (Corte conti, Sez. II centr. app., 8 giugno 2015, n. 296) 320

Sindaco e responsabile dell’ufficio tecnico comunale – Mancato completamento dell’iter espropriativo – Danni subiti dal privato a seguito dell’occupa-zione illegittima – Condanna dell’amministrazio-ne al risarcimento dei danni – Responsabilità am-ministrativa – Sussistenza (Corte conti, Sez. giur. reg. Campania, 24 giugno 2015, n. 647) 327

v. pure: Contratti pubblici – Prescrizione e decaden-za – Responsabilità civile

Responsabilità civileContratti pubblici – Anticipata esecuzione del-

la prestazione su richiesta dell’amministrazione – Mancata registrazione del decreto di approva-zione del contratto da parte della Corte dei con-ti – Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione (Cass., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636) 464

Page 14: Anno LXVIII - n. 3-4 - Maggio-Agosto 2015

XII

Contratti pubblici – Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione – Presupposti – Accertamento – Criteri (Cass., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636) 464

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Con-clusione del giudizio di responsabilità ammini-strativa – Successiva sentenza di condanna al ri-sarcimento del danno civile – Ricorso per cassa-zione avverso la sentenza civile – Infondatezza – Duplicazione delle pretese risarcitorie – Esclu-sione (Cass., Sez. III, 14 luglio 2015, n. 14632) 513

Servizi pubbliciv.: Comune e provincia

SocietàAmministrazione dello Stato e pubblica in genere –

Contratti pubblici – Affidamento diretto di ser-vizi pubblici a società in house – Partecipazio-ne pubblica totalitaria al capitale della società – Necessità – Direttive europee in materia di ap-palti non ancora recepite nell’ordinamento na-zionale – Compatibilità dell’in house con for-me minime di partecipazione privata al capi-tale – Superamento della precedente disciplina – Esclusione (Cons. Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660) 538

Società di servizi pubblici locali – Personale – As-sunzioni – Personale munito del solo titolo di scuola dell’obbligo – Assunzione diretta – Esclu-sione (Corte conti, Sez. contr. reg. Liguria, 13 maggio 2015, n. 48) 212

v. pure: Comune e provincia – Giurisdizione e com-petenza

Spettacolov.: Contabilità dello Stato e pubblica in genere – En-

ti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria

Sportv.: Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Giu-

risdizione e competenza – Processo contabile

Tributiv.: Corte dei conti – Giurisdizione e competenza

Unione europea Politica economica e monetaria – Decisioni del

Consiglio direttivo della Banca centrale euro-pea (Bce) in materia di Outright Monetary Tran-sactions (Omt) dell’Eurosistema sui mercati se-condari del debito sovrano – Attribuzioni del-la Bce nel Sistema europeo di banche centrali – Meccanismo di trasmissione della politica mone-taria – Mantenimento della stabilità dei prezzi – Proporzionalità – Divieto di finanziamento mo-netario degli Stati membri della zona euro (Cor-te giustizia Ue, Grande sezione, 16 giugno 2014, C-62/14) 392

v. pure: Contratti pubblici – Giustizia amministrativa

Volontariato v.: Comune e provincia

Page 15: Anno LXVIII - n. 3-4 - Maggio-Agosto 2015

XIII

Parte IAttività di controllo e consultiva

Sezioni riunite in sede di controllo3 giugno 2015, n. 10 111 giugno 2015, n. 8 825 giugno 2015, n. 11 3026 giugno 2015, n. 12 76

Sezioni riunite in sede consultiva19 marzo 2015, n. 1 89

Sezione centrale controllo legittimità22 maggio 2015, n. 13 985 giugno 2015, n. 14 1003 luglio 2015, n. 16 10121 luglio 2015, n. 18 102

Sezione centrale controllo gestione10 aprile 2015, n. 2 103

Sezione controllo enti9 marzo 2015, n. 20 10728 aprile 2015, n. 44 11630 giugno 2015, n. 70 137

Sezione delle autonomie30 aprile 2015, n. 15 14311 maggio 2015, n. 17 14812 giugno 2015, n. 18 16516 giugno 2015, n. 19 16827 luglio 2015, n. 25 175

Sezioni regionali di controllo

Abruzzo17 luglio 2015, n. 187 184

Campania24 aprile 2015, n. 143 18629 aprile 2015, n. 146 192

Friuli-Venezia Giulia21 maggio 2015, n. 51 20129 giugno 2015, n. 68 207

Liguria13 maggio 2015, n. 48 212

Lombardia11 maggio 2015, n. 192 21730 luglio 2015, n. 260 21930 luglio 2015, n. 266 223

Piemonteord. 10 novembre 2014, n. 246 228

Toscana19 maggio 2015, n. 114 2398 luglio 2015, n. 198 240

Trentino-Alto Adige, Bolzano24 luglio 2015, n. 13 245

Veneto22 aprile 2015, n. 227 24712 giugno 2015, n. 289 2557 agosto 2015, n. 374 258

Parte IIAttività giurisdizionale

Sezioni riunite in sede giurisdizionale19 marzo 2015, n. 8 264ord. 18 maggio 2015, n. 5 27015 giugno 2015, n. 26 27418 giugno 2015, n. 28 278

Sezioni riunite in sede giurisdizionale (in speciale composizione)31 marzo 2015, n. 12 28411 giugno 2015, n. 25 296

Sezione II centrale d’appello10 marzo 2015, n. 95 30126 marzo 2015, n. 148 31016 aprile 2015, n. 186 31129 aprile 2015, n. 219 31627 maggio 2015, n. 271 3188 giugno 2015, n. 296 319

Sezioni giurisdizionali regionali

Basilicata1 luglio 2015, n. 36 323

Campania24 giugno 2015, n. 647 327

INDICE CRONOLOGICO

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XIV

Friuli-Venezia Giulia9 luglio 2015, n. 52 331

Lazio22 aprile 2015, n. 228 3366 maggio 2015, n. 255 33726 maggio 2015, n. 280 3383 giugno 2015, n. 289 34317 luglio 2015, n. 349 346

Lombardia24 giugno 2015, n. 117 34731 luglio 2015, n. 137 350

Piemonte24 settembre 2014, n. 113 355

Sardegnadecr. 22 aprile 2015, n. 2 358

Veneto13 maggio 2015, n. 73 3613 giugno 2015, n. 86 36317 giugno 2015, n. 98 37922 giugno 2015, n. 107 388

Parte IIIDocumentazione

Corte di giustizia dell’Unione europea16 giugno 2015, n. C-62/14 392

Corte costituzionaleord. 28 aprile 2015 430ord. 28 aprile 2015 430

ord. 26 maggio 2015, n. 90 4225 giugno 2015, n. 98 4229 giugno 2015, n. 107 429ord. 23 giugno 2015 43623 luglio 2015, n. 178 43523 luglio 2015, n. 181 44524 luglio 2015, n. 188 458

Corte di cassazioneSez. II, 27 febbraio 2015, n. 4009 463Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636 464S.U., ord. 18 maggio 2015, n. 10094 470Sez. VI, ord. 4 giugno 2015, n. 11524 481S.U., 8 giugno 2015, n. 11769 494S.U., 8 giugno 2015, n. 11771 496Sez. II pen., 17 giugno 2015, n. 28085 498S.U., 2 luglio 2015, n. 13567 504S.U., ord. 8 luglio 2015, n. 14187 509Sez. lav., 13 luglio 2015, n. 14568 511Sez. III, 14 luglio 2015, n. 14632 513S.U., ord. 14 luglio 2015, n. 14689 515S.U., 21 luglio 2015, n. 15199 517S.U., 22 luglio 2015, n. 15358 519S.U., 23 luglio 2015, n. 15477 521

Consiglio di StatoSez. V, 17 giugno 2014, n. 3072 481Sez. VI, ord. 15 maggio 2015, n. 2475 525Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2643 534Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660 538Sez. IV, ord. 4 giugno 2015, n. 2756 547Sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2866 551Sez. VI, sent.-ord. 14 agosto 2015, n. 3936 554

Tribunali amministrativi regionali

VenetoSez. I, 21 agosto 2015, n. 939 558

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

1

ATTIVITÀ DI CONTROLLOE CONSULTIVA

Sezioni riunite in sede di controllo

10 – Sezioni riunite in sede di controllo; delibera-zione 3 giugno 2015; Pres. Squitieri, Rel. Chiap-pinelli, Granelli, Nispi Landi, D’Evoli, Corsetti, D’Amico.

Amministrazione dello Stato e pubblica in gene-re – Organizzazione amministrativa – Rifor-ma – Disegno di legge A.C. 3098 (XVII legisla-tura) – Camera dei deputati – Indagine cono-scitiva della Commissione affari costituzionali – Documento per l’audizione di rappresentan-ti della Corte dei conti.

Le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno ap-provato il documento recante gli elementi per l’audi-zione di rappresentanti della stessa Corte presso la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul disegno di legge delega (A.C. 3098, XVII legislatu-ra) in materia di riorganizzazione delle amministra-zioni pubbliche. (1)

1. Introduzione – La Corte ha già offerto, in oc-casione dell’audizione dinanzi alla competente com-missione del Senato della Repubblica, nello scorso mese di ottobre, una prima valutazione del provvedi-mento, affrontando le tematiche di maggiore rilievo delle materie in esso disciplinate e si era resa dispo-nibile a fornire al Parlamento il proprio supporto in relazione ad ulteriori esigenze informative.

Nel confermare le valutazioni fornite in quella sede sul complessivo disegno di legge in discussio-ne e sull’importanza di un attento esame delle nume-rose e complesse disposizioni nelle quali esso si arti-cola, si intendono ora fornire esclusivamente alcune considerazioni sul nuovo testo scaturito dalle modifi-che intervenute in sede di discussione parlamentare.

Ovviamente, alcune tematiche richiederebbero istruttorie più ampie ed approfondite, ma si è inteso far luogo con immediatezza a riflessioni volte sia ad

(1) V., ora, la l. 7 agosto 2015, n. 124, “deleghe al gover-no in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pub-bliche”.

Il documento per l’audizione di rappresentanti della Corte dei conti dinanzi alla Commissione affari costituzionali del Senato in occasione dell’esame dell’A.S. 1577 (poi A.C. 3098) si legge in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 1.

evidenziare i punti per i quali sono state recepite le osservazioni precedentemente formulate, sia a con-fermare quelle che risultano non accolte.

Si è voluto anche proporre elementi di approfon-dimenti sugli aspetti innovativi apportati al testo a seguito della discussione parlamentare.

Si constata, comunque, che buona parte delle in-dicazioni fornite dalla Corte hanno trovato esito nel-le modifiche apportate al testo originario.

Nel prendere atto dell’opportuna modifica dell’art. 18 del d.d.l. che, aggiungendo i cc. 2 e 3, rafforza la clausola di neutralità finanziaria, va osser-vato che resta comunque ferma l’esigenza di valuta-re nel tempo i riflessi, in termini di impatto finanzia-rio, delle riforme previste.2. Semplificazione innovazione e anticorruzione (artt. 1, 2, 3 e 6)

L’art. 1, rubricato “Carta della cittadinanza digi-tale”, reca la delega al governo ad adottare decreti le-gislativi in materia di amministrazione digitale, al fi-ne di garantire ai cittadini e alle imprese, anche attra-verso l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, il diritto di accedere in modali-tà digitale a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse e di garantire la semplificazione nella frui-zione dei servizi alla persona, riducendo la necessità dell’accesso fisico agli uffici pubblici. I decreti legi-slativi saranno rivolti anche a modificare ed integrare il Codice dell’amministrazione digitale (Cad), di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

La Corte condivide tale nuova impostazione, ri-tenendo opportuno che le finalità che si intendono perseguire con la disposizione in esame siano ricon-dotte nell’ambito del quadro generale di riferimento normativo in materia di “amministrazione digitale” delineato dal Cad, al fine di evitare antinomie e diffi-coltà interpretative.

Si condividono, in particolare, tra i criteri e prin-cipi direttivi posti dalla norma:

- la definizione del livello minimo di qualità, fru-ibilità, accessibilità e tempestività dei servizi on li-ne delle amministrazioni pubbliche, con la previsio-ne di speciali regimi sanzionatori e premiali. Si ritie-ne, questo, un intervento necessario per garantire ai cittadini standard minimi di fruibilità dei servizi on line delle pubbliche amministrazioni. Si rivela inol-tre essenziale che le norme delegate prevedano mo-dalità organizzative e tecniche che assicurino il mo-nitoraggio del raggiungimento di detti standard, nel-le amministrazioni centrali, regionali e locali;

- l’obiettivo della realizzazione del principio “in-

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nanzitutto digitale” (digital first), al fine di ridefini-re e semplificare i procedimenti amministrativi. Si tratta della “reingegnerizzazione dei processi”, sul-la quale la Corte ha già espresso piena condivisione;

- la disponibilità di connettività a banda larga e ultra larga e l’accesso alla rete internet presso gli uf-fici pubblici e altri luoghi che, per la loro funzione, richiedono le suddette dotazioni. L’obiettivo risulta in linea con quelli dell’Agenda digitale europea;

- il coordinamento e la razionalizzazione delle vigenti disposizioni di legge in materia di strumen-ti di identificazione, comunicazione e autenticazio-ne in rete con la disciplina di cui all’art. 64 Cad e la relativa normativa di attuazione in materia di Si-stema pubblico per la gestione dell’identità digitale (Spid), anche al fine di promuovere l’adesione a ta-le sistema delle amministrazioni pubbliche e dei pri-vati. Al riguardo la Corte non può non rilevare come in materia di identificazione, comunicazione e auten-ticazione in rete, si registrino ritardi non più giusti-ficabili, tenuto conto delle attuali conoscenze tecni-che. Si rende necessaria, quindi, un’incisiva norma-tiva delegata, accompagnata da un adeguato crono-programma per la definizione delle fasi di realizza-zione del progetto;

- la razionalizzazione degli strumenti di coordi-namento delle amministrazioni pubbliche, al fine di conseguire obiettivi di ottimizzazione della spesa nei processi di digitalizzazione e di risparmio energe-tico. A tal fine, opportuno parrebbe il prevedere un “piano nazionale per la digitalizzazione delle pub-bliche amministrazioni”, allo scopo di raggiungere il duplice risultato di integrare in termini di funzionali-tà i progetti di sviluppo avviati ai diversi livelli di go-verno e di ottenere risparmi di spesa.

La Corte rappresenta l’opportunità di una rapida emanazione dei decreti legislativi, in quanto even-tuali ritardi, in tale ambito, potrebbero incidere ne-gativamente sul recupero di competitività dell’inte-ro sistema produttivo.

L’art. 2 reca delega al governo per il riordino del-la disciplina in materia di conferenza di servizi. Ri-spetto al precedente, tra i principi ed i criteri direttivi contenuti nel nuovo testo, ai fini della ridefinizione dei tipi di conferenza, circa l’introduzione di modelli di istruttoria pubblica, per garantire la partecipazio-ne degli interessati al procedimento, è stata introdot-ta la limitazione “alle ipotesi di adozione di provve-dimenti di interesse generale, in alternativa a quan-to previsto dall’art. 10 l. 7 agosto 1990, n. 241, e nel rispetto dei principi di economicità, proporzionali-tà e speditezza dell’azione amministrativa”. Tale più

prudente approccio ai nuovi modelli di “istruttoria pubblica” appare condivisibile, risultando opportuno sperimentare con gradualità i modelli nell’ambito dei procedimenti per l’adozione di provvedimenti di in-teresse generale. Tenuto conto delle esperienze ma-turate, sarà in seguito possibile estendere tali moda-lità ad altre tipologie di provvedimenti.

Altro aspetto di novità e di interesse, tra i prin-cipi e criteri direttivi posti dal nuovo testo dell’art. 2, è quello relativo all’esigenza da tempo sentita da-gli operatori (pubblici e privati) di tempi certi di de-finizione dei procedimenti nei quali si fa ricorso alla conferenza di servizi, da soddisfare anche attraverso l’imposizione a tutti i partecipanti di un onere di chia-rezza e di inequivocità delle conclusioni espresse. Sa-rebbe stato, forse, opportuno prevedere, tra i principi e criteri direttivi, anche quello del ricorso a meccani-smi sanzionatori, per garantire l’effettiva operatività della norma. È inoltre da ribadire quanto dalla Corte già osservato in ordine all’esigenza che siano dettate rigide regole sulla validità delle decisioni adottate a maggioranza ed automatismi collegati al perfezionar-si del silenzio-assenso di cui all’art. 3. Istituto que-sto che, molto opportunamente, è stato esteso a tut-te le amministrazioni pubbliche (nel precedente testo era limitato alle sole amministrazioni statali). Scel-ta pienamente condivisibile, perché tiene conto del-la dimensione e della rilevanza sempre crescenti del-le competenze delle amministrazioni non statali ed, in particolare, delle regioni e degli enti locali.

Sempre in tema di silenzio assenso, opportuna appare anche la previsione che, nel caso di manca-to accordo tra le amministrazioni, sia il Consiglio dei ministri, con apposita deliberazione, a decidere sul-le modifiche da apportare allo schema di provvedi-mento.

Pure condivisibile appare il nuovo testo dell’art. 6, c. 1, lett b), che prevede la “definizione, in relazione al-le esigenze connesse allo svolgimento dei compiti isti-tuzionali, dei diritti dei membri del Parlamento inerenti all’accesso ai documenti amministrativi e alla verifica dell’applicazione delle norme sulla trasparenza ammi-nistrativa”, in quanto rivolto a dare effettività al prin-cipio di trasparenza dell’azione amministrativa, anche con riferimento alle attribuzioni del Parlamento.

Per ciò che concerne la riduzione e la concentra-zione degli oneri gravanti sulle amministrazioni pub-bliche previste tra i principi e i criteri direttivi della norma di delega di cui all’art. 6, la Corte ribadisce la necessità che, sul piano sostanziale, non vi siano arretramenti in ordine all’adeguamento delle misure di prevenzione della corruzione agli standard ormai

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consolidati in tutti i paesi economicamente e social-mente più avanzati.

3. La riorganizzazione dell’amministrazione statale (artt. 7 e 8)

Come la Corte ha avuto modo di evidenzia-re in occasione della precedente audizione, la dele-ga di cui all’art. 7, concernente la riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato, pur iscrivendosi, sotto alcuni profili, nel solco del percorso di riduzio-ne degli apparati ministeriali – che, sulla spinta del-le esigenze di contenimento della spesa, ha connota-to gli obiettivi di riforma degli ultimi anni – presen-ta anche profili di contenuto più squisitamente ordi-namentale.

Sul piano generale, rimangono attuali le consi-derazioni della Corte circa l’esigenza di una atten-ta verifica delle funzioni svolte, anche alla luce di un possibile ripensamento del perimetro dell’inter-vento pubblico, a fronte delle competenze demanda-te ai livelli territoriali e ad altri soggetti pubblici. Re-sta anche ferma la necessità di un raccordo tra bilan-cio e organizzazione, anche nell’ottica del processo di spending review in atto.

In tal senso si inserisce positivamente – con ri-guardo al previsto riordino o alla soppressione de-gli uffici e organismi in ordine ai quali risultino di-sfunzioni organizzative o finanziarie, o duplicazioni di funzioni o strutture – anche il richiamo all’art. 17, c. 1, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con mo-dificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, che ha di-sposto l’istituzione di una banca dati in cui inserire alcuni dati relativi agli enti pubblici e privati vigila-ti e le proposte di razionalizzazione degli stessi (1).

Si prende atto, comunque, che il testo ora all’e-same della Camera, pur mantenendo l’impianto di quello presentato al Senato, tiene anche conto dell’e-sigenza, a suo tempo evidenziata dalla Corte, che la struttura della Presidenza del Consiglio sia impron-tata a flessibilità e snellezza.

Così è a dirsi riguardo alla delega per la riduzione ed il riordino degli uffici territoriali del governo, in quanto il nuovo testo risulta raccordato, secondo an-che quanto osservato dalla Corte in sede di audizio-

(1) Il c. 2 del citato art. 17 ha inoltre stabilito che, entro il medesimo termine e con le stesse modalità, il Dipartimento della funzione pubblica predispone un sistema informatico di acquisizione dati sulle modalità di gestione dei servizi stru-mentali, con particolare riguardo ai servizi esternalizzati, in cui le amministrazioni statali inseriscono i relativi dati. Il mancato inserimento rileva ai fini della responsabilità dirigen-ziale del dirigente responsabile.

ne sul testo iniziale, con la l. n. 56/2014, che ha pre-visto il riassetto delle province e la istituzione delle città metropolitane (lett. d).

Anche la delega (art. 8) relativa al riordino del-le funzioni e del finanziamento delle Camere di com-mercio pare recepire le considerazioni svolte dalla Corte nel prevedere (lett. d) il riordino delle compe-tenze relative alla tenuta ed alla valorizzazione del registro delle imprese presso le Camere di commer-cio e nell’assegnare al Ministero dello sviluppo eco-nomico una funzione di coordinamento e di continu-ità operativa del sistema informativo nazionale.

Il nuovo testo dedica una più attenta considera-zione alla revisione dell’assetto dei corpi di polizia, con particolare riguardo al riordino delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, e sottolinea l’esigenza che siano salvaguardate le professionalità esistenti.

Nuova è invece la previsione di un riordino dei corpi di polizia provinciale, che si rivela in linea con la definizione dell’assetto delle funzioni delle pro-vince prevista dalla l. n. 56/2014. Materia che neces-sita, peraltro, che siano ben definiti i limiti dell’inter-vento del legislatore nazionale (art. 7, lett. a).

La clausola di salvaguardia di cui al c. 4 è stata introdotta nel corso dell’esame al Senato, con rife-rimento alle regioni a statuto speciale e alle provin-ce autonome di Trento e Bolzano, per le quali resta-no ferme tutte le attribuzioni esercitate dai rispettivi corpi forestali, regionali e provinciali.

Rimangono, poi, attuali le considerazioni formu-late dalla Corte sul testo inizialmente proposto relati-vamente alle funzioni degli enti pubblici non econo-mici nazionali espressamente menzionati al c. 1 (per i quali, peraltro, non si rinvengono nel testo specifi-ci criteri direttivi), ed, in particolare, sulla necessità che un riordino si raccordi con il processo, da anni avviato – ma che non ha dato sinora i risultati attesi – di soppressione, incorporazione e riordino di enti ed organismi pubblici. È, peraltro, da osservare che, nel nuovo testo, non si rinvengono criteri direttivi per un riordino generale degli enti pubblici non economici, mentre vengono previste indicazioni di dettaglio per talune categorie di soggetti privati, quali quelle con-cernenti la semplificazione ed il coordinamento del-le norme riguardanti l’ordinamento sportivo, il rior-dino del Formez e le amministrazioni competenti in materia di autoveicoli.

Va anche evidenziata la soppressione, nel nuovo testo, della delega per la definizione del perimetro della pubblica amministrazione.

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4. La riforma della dirigenza pubblica (art. 9)Il disegno relativo alla dirigenza pubblica non ri-

sulta sostanzialmente modificato. Restano, pertan-to, confermate le osservazioni formulate al riguardo nell’audizione presso il Senato, in particolare in or-dine:

- alla necessità di contemperare la flessibilità dei modelli organizzativi con la salvaguardia di un effet-tiva autonomia dei dirigenti nei confronti degli orga-ni politici;

- alle modalità per la selezione dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali, che non tengo-no in adeguata considerazione le competenze speci-fiche dei potenziali interessati;

- al mancato coordinamento delle previsioni con quelle del d.lgs. n. 165/2001 relative al conferimen-to di incarichi a soggetti esterni all’amministrazione;

- alla difficoltà della concreta gestione dei ruoli unici, che rischia di innescare una sorta di conflittua-le concorrenza tra le diverse amministrazioni per la individuazione dei candidati migliori;

- al non chiaro riparto di ambiti tra legge e con-trattazione collettiva relativamente al trattamento economico dei dirigenti;

- ai dubbi di costituzionalità sollevabili in ordine all’istituzione di ruoli unici anche per i dirigenti del-le regioni e degli enti locali, alla luce del disposto art. 117 Cost., che attribuisce alle regioni la potestà legi-slativa esclusiva sull’ordinamento del proprio perso-nale e di quello degli enti locali presenti nel territorio;

- alle possibili ricadute finanziarie della discipli-na relativa ai segretari comunali e provinciali, per l’eventuale completa equiparazione di questi alla di-rigenza statale.

Anche la previsione di una semplificazione e di un ampliamento delle ipotesi di mobilità tra le am-ministrazioni pubbliche e tra queste ed il settore pri-vato (c. 1, lett. e) desta perplessità, in quanto potreb-be prefigurare un più ampio discrezionale ricorso al conferimento di incarichi dirigenziali ad estranei.

Sul nuovo testo paiono formulabili anche le se-guenti ulteriori osservazioni:

- il criterio direttivo riformulato alla lett. b 1) esclude la confluenza nel ruolo unico dei dirigen-ti dello Stato del personale appartenente alla carrie-ra diplomatica. Previsione che si ritiene opportuna, attesa la specificità di funzioni, di reclutamento, di trattamento economico e ordinamentale del perso-nale diplomatico e che, peraltro, potrebbe estender-si anche alla carriera prefettizia, per la quale possono valere considerazioni analoghe;

- sempre con riferimento con la lett. b 1), si ritie-ne che la confluenza nel ruolo unico della dirigen-za statale dei dirigenti degli enti di ricerca andreb-be limitata alla dirigenza amministrativa, in consi-derazione della professionalità specifica dei dirigen-ti ricercatori;

- quanto al nuovo disposto della lett. b 4), che ha trasformato in obbligo la facoltà per i comuni di minori dimensioni di nominare un dirigente apicale, imponendo, peraltro, al fine di evitare maggior oneri finanziari, l’esercizio in via associata di tale funzio-ne, andrebbe considerato che – come evidenziano i dati del conto annuale 2013 – oltre il 57 per cento dei comuni (4.597 su un totale di 8.015) è privo sia di di-rigenti, che di segretario comunale, trattandosi di en-ti che, se con popolazione inferiore ai 500 abitanti, hanno una media di soli tre dipendenti. Solo per i co-muni con più di centomila abitanti è prevista la figu-ra del dirigente generale.

Va anche rilevato al riguardo che appare difficile ipotizzare la neutralità finanziaria della nuova previ-sione, tenuto anche conto delle difficoltà di una ge-stione associata della predetta funzione in enti non necessariamente contigui.

Ed è da soggiungere che la funzione di dirigen-za apicale ed anche l’eventuale incarico congiunto comportano l’attribuzione di trattamenti economici superiori, pur se si intenda conferire i nuovi compiti a dirigenti già in servizio.

Proseguendo nella disamina delle modifiche ap-portate al testo originario:

- si condividono le previsioni del possesso di una laurea magistrale per l’accesso alla dirigenza (punti 1 e 2, lett. c), e di un riordino del sistema di forma-zione (punto 3, lett. c);

- suscita, viceversa, forti perplessità la previsione di una revisione, con quella sulla responsabilità diri-genziale, della disciplina della responsabilità ammi-nistrativo-contabile. Il criterio, introdotto dall’art. 9, lett. 1), è riproposto nell’art. 13, lett. o), tra le dispo-sizioni sul riordino della disciplina del lavoro alle di-pendenze delle amministrazioni pubbliche.

Sul punto non si può non sottolineare come la materia della responsabilità per danno erariale, come precisato dalla Corte costituzionale, attiene all’or-dinamento civile e non all’organizzazione ammini-strativa ed appare, quindi, esorbitante dall’oggetto dell’intervento legislativo all’esame.

Eventuali modifiche al regime della responsabili-tà contabile, destinate ad impattare sul concreto svol-gimento della giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, non possono che formare oggetto di un even-

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tuale, organico riordino che concerna tutti i sogget-ti legati da rapporto di servizio con le pubbliche am-ministrazioni e non riguardare esclusivamente la ca-tegoria dei dirigenti.

Pur se il criterio dell’esclusiva responsabilità dei dirigenti per l’attività gestionale si ponga quale na-turale corollario della separazione delle attività di in-dirizzo politico da quelle di amministrazione attiva, lo stesso necessita di essere declinato salvaguardan-do la autonomia dei giudici contabili nel ricostrui-re le fattispecie di danno e nell’individuare i presup-posti oggettivi e soggettivi per l’esistenza di una re-sponsabilità patrimoniale.

Come già più sopra evidenziato, il criterio dell’e-sclusiva responsabilità amministrativo-contabile dei dirigenti è ribadito anche nelle modifiche apportate al successivo art. 13, che concerne il riordino della disciplina di tutti i dipendenti pubblici.

Tale integrazione, in relazione alla sua colloca-zione sistematica nell’articolo riguardante tutti i di-pendenti pubblici, sembrerebbe escludere ogni re-sponsabilità per i funzionari amministrativi, che ri-sulterebbero coperti dalla sottoscrizione dei provve-dimenti finali da parte del dirigente preposto all’uf-ficio.

Al riguardo va appena osservato che la responsa-bilità per danno erariale concerne non l’adozione di provvedimenti, ma la concreta attività svolta e ben può configurarsi anche in ipotesi di espletamento di compiti istruttori o consultivi.

Da ultimo, non può non rilevarsi, con riferimento alla abrogazione della previsione di percentuali pre-fissate per le retribuzioni di risultato e di posizione (nuovo testo della lett. m), come si riveli rischioso il demandare la materia alla contrattazione integrativa di secondo livello che, come l’esperienza ha dimo-strato, ha sempre posto scarsa attenzione alle compo-nenti premiali della retribuzione legate al consegui-mento dei risultati e all’impegno individuale.

La mancata fissazione di un tetto alle singole voci accessorie potrebbe, inoltre, determinare sperequa-zioni connesse al diverso dimensionamento dei fon-di unici di amministrazione.

5. Riordino della disciplina del lavoro delle pubbli-che amministrazioni (art. 13)

Al riguardo la Corte non può che confermare l’auspicio, sempre nel rispetto della natura priva-tistica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di una organica revisio-ne e di un coordinamento delle disposizioni, ripetu-tamente modificate ed integrate, contenute nel d.lgs.

n. 165/2001. Quanto sopra anche mediante la piena applicazione dei criteri di delega contenuti nel prece-dente art. 12 del d.d.l. all’esame.

I criteri direttivi per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche ammini-strazioni contenuti nell’art. 13 del d.d.l. risultano no-tevolmente ampliati rispetto al testo di partenza. Le integrazioni sono in gran parte finalizzate, attraver-so opportuni limiti alle materie oggetto di contratta-zione di secondo livello, ad una maggiore attenzio-ne alle tematiche riguardanti il merito e la premialità.

Tra i nuovi criteri suscita, peraltro, perplessità quello contenuto nel c. 1, lett. a), in materia di pro-cedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti pubblici. Il testo originario prevedeva genericamente la valorizzazione del servizio prestato in forma fles-sibile presso le amministrazioni, mentre la modifica prefigura la possibilità di concorsi riservati al perso-nale a tempo determinato, sia pur con la salvaguardia di un adeguato accesso dall’esterno.

6. Riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche e dei ser-vizi pubblici locali (artt. 14 e 15)

Gli artt. 14 e 15 recano una delega legislativa per il riordino della disciplina delle partecipazioni azio-narie delle amministrazioni pubbliche e dei servizi pubblici locali.

Pur apparendo recepite le osservazioni a suo tem-po formulate dalla Corte riguardo ad aspetti sia di ca-rattere generale, che di carattere specifico, riferiti al-le singole disposizioni, è rimasto inascoltato il rilie-vo sull’esigenza di una più attenta delimitazione dei criteri e principi direttivi, alla luce dell’art. 76 Cost.

In particolare, non risulta chiarito il rapporto tra i criteri di delega e quelli già rinvenibili nella normati-va attualmente in vigore; aspetto, questo, già sottoli-neato dalla Corte, che si rivela oggi di particolare at-tualità con riferimento a specifiche disposizioni già recate nella legge di stabilità 2015.

Quanto alla previsione dell’art. 14 concernente il “Riordino della disciplina delle partecipazioni so-cietarie delle amministrazioni pubbliche”, non può dubitarsi dell’attualità dell’esigenza di un interven-to organico nella materia, tenuto anche conto che, nel tempo, è andato aumentando il numero delle so-cietà partecipate dalle amministrazioni centrali e lo-cali, nonché quello di interventi legislativi recanti di-scipline speciali, che si sono affiancate, sostituite, od hanno integrato quella civilistica.

Il legislatore si dà ora carico di questi proble-mi, richiamando esplicitamente i fini della chiarez-

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za della disciplina e della semplificazione normativa, obiettivi, questi, che pure rientrano nel campo di ap-plicazione dell’art. 12, dedicato all’elaborazione di un testo unico delle disposizioni vigenti.

Nell’ambito di tale operazione di riordino del set-tore, sarebbe stato forse opportuno tenere in conside-razione le disposizioni normative preesistenti che, di volta in volta, hanno regolato la materia.

Inoltre, sempre nell’art. 14, appare riduttivo il pe-rimetro di enti cui l’articolo stesso si riferisce, essen-do ben più ampio l’universo degli organismi parteci-pati/controllati dalle pubbliche amministrazioni.

Sul punto è da osservare che, in base all’art. 11-bis, d.lgs. n. 118/2011, integrato dal d.lgs. n. 126/2014, l’ambito del consolidamento del bilancio degli enti territoriali – che consente di pervenire a un risultato economico unitario, tenendo conto sia del risultato di amministrazione della pubblica ammini-strazione che dei profitti e delle perdite degli organi-smi partecipati – include aziende, società controllate e partecipate, enti e organismi strumentali.

Sull’argomento va pure ricordato che, a norma dell’art. 148-bis, c. 2, d.lgs. n. 267/2000, “le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertano altresì che i rendiconti degli enti locali tengano con-to anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività locale e di servizi strumentali all’ente”.

Condivisibile si ritiene, invece, la previsione di considerare, nel delineare un percorso di riordino delle partecipazioni pubbliche, non solo quelle azio-narie ma, più in generale, le partecipazioni societa-rie, tenuto conto che è molto frequente il ricorso an-che a società a responsabilità limitata.

Manca l’esplicita indicazione di obiettivi di tipo quantitativo, espressi in termini di risparmi da realiz-zare, o di numero di società da aggregare o scioglie-re, ovvero di volumi finanziari entro cui contenere i trasferimenti a tali società partecipate.

Rispetto alla precedente formulazione, la defini-zione complessiva degli ambiti in cui dovranno tro-vare applicazione i principi di delega appare più pre-cisa e dettagliata. Permangono, peraltro, ancora di-verse disposizioni connotate da insufficiente specifi-cazione, che potrebbero determinare il rischio di ec-cesso di delega, se non di restare inattuate proprio per la loro genericità.

Ciò è a dirsi, in particolare, con riferimento al-le previsioni di cui alla lett. m), n. 2 e n. 5, dell’art. 14, i cui criteri di delega relativi alle società parteci-pate appaiono eccessivamente generici ed ampi. La delicatezza e la complessità di tali ambiti postulano

un’indicazione espressa di criteri direttivi, che orien-tino l’esecutivo verso scelte facilmente individuabi-li e condivise.

Parrebbe, poi, opportuno far riferimento, nel te-sto, agli enti territoriali, e non solo agli enti locali, ed è, comunque, da osservare che i criteri enunciati sono già in gran parte contenuti nella normativa sui piani operativi di razionalizzazione di cui all’art. 1, cc. 611 e 612, l. n. 190/2014 e non risulta chiaro co-me dovrebbe essere innovata la normativa di recen-te introduzione.

Analoghe considerazioni valgono in ordine alla lett. d) dello stesso art. 14 con riferimento ai crite-ri in materia di composizione e nomina degli organi di controllo societario, sull’incompatibilità e sull’in-conferibilità degli incarichi, materia, peraltro, anche richiamata nel successivo art. 15, lett. 1).

Andrebbe meglio chiarita anche la portata dei criteri e principi in ambiti già regolati normativa-mente, o prossimi ad esserlo (consolidamento delle partecipazioni nei bilanci degli enti proprietari, pia-ni di riduzione delle partecipazioni, trasparenza dei dati contabili).

Con specifico riguardo ai profili di consolida-mento, è da osservare che uno dei criteri direttivi (lett. g) è dedicato all’attuazione dell’art. 151, c. 8, d.lgs. n. 267/2000, secondo cui “entro il 30 settem-bre l’ente approva il bilancio consolidato con i bilan-ci dei propri organismi e enti strumentali e delle so-cietà controllate e partecipate, secondo il principio contabile applicato n. 4/4 di cui al d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118”. Trattandosi di materia già ampiamente disciplinata dalla legge, non parrebbe opportuno di-sporre ulteriori interventi legislativi, volti esclusiva-mente ad attuare una norma primaria.

Con riguardo alla portata delle deroghe rispet-to alla disciplina privatistica, rimane fermo quanto la Corte ha avuto modo di sottolineare in occasione della precedente audizione.

Ma occorre che le deroghe alla disciplina civili-stica siano espressamente previste, oltre che circo-scritte, in ossequio alla tutela ed alla promozione del-la concorrenza, che risultano tra le finalità del d.d.l. delega (art. 14, c. 1), nella nuova versione. In parti-colare, le deroghe alla disciplina civilistica dovreb-bero essere ben ponderate con riferimento alla crisi d’impresa e alla previsione di piani di rientro per le società in disavanzo con eventuale commissariamen-to (art. 14, lett. a, e lett. m), tenuto conto del premi-nente obiettivo della loro riduzione.

Infatti, la norma sembra destinata ad individuare un regime di gestione delle insolvenze, o un regime

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preventivo delle insolvenze, alternativo sia agli ordi-nari strumenti privatistici che alla liquidazione coat-ta amministrativa; sarebbe forse opportuna una mag-giore esplicitazione di tale criterio di delega consi-derato che, anche in assenza di indicazioni più espli-cite, i creditori degli enti partecipati dalle ammini-strazioni pubbliche potranno temere “piani di rien-tro” per loro particolarmente onerosi, il che finireb-be per far venir meno la stessa disponibilità a conce-dere credito.

Allo stesso modo, sarebbe utile una maggiore esplicitazione del criterio di delega che dispone, con riferimento alle società partecipate dagli enti locali, “l’introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli occupazionali nei pro-cessi di ristrutturazione e privatizzazione” (lett. m, punto 5).

Rispetto alla versione originaria del disegno di legge, vengono rafforzati i criteri di delega che atten-gono ai profili delle responsabilità, sia degli ammini-stratori delle amministrazioni partecipanti, sia di di-pendenti e amministratori delle partecipate (c. 1, lett. c); e viene anche esplicitamente previsto che il de-creto legislativo dovrà regolare la materia della no-mina dei componenti gli organi di controllo delle so-cietà partecipate, al fine di garantirne l’autonomia ri-spetto agli enti proprietari (c. 1, lett. d).

Si tratta di obiettivi condivisibili. Tuttavia, tenu-to conto che a queste disposizioni si affiancano espli-cite prescrizioni in ordine alle politiche retributive, agli acquisti, al reclutamento del personale, sarebbe, comunque, opportuno definire chi debba vigilare af-finché le nuove prescrizioni siano concretamente ri-spettate, nonché, più in generale, prevedere una si-stematica attività di vigilanza e controllo.

La materia della responsabilità degli amministra-tori ha assunto ora caratteri di maggiore ampiezza, essendosi ampliato l’ambito della delega a tutte le società partecipate ed agli organi di gestione e con-trollo, oltre che ai dipendenti. Anche in questo ca-so, poiché in presenza di danno al patrimonio del-la società e del socio pubblico la giurisprudenza ci-vile e quella amministrativo-contabile risultano atte-state su posizioni non del tutto coerenti tra loro, sem-brerebbe opportuno che il legislatore precisasse cri-teri e principi direttivi di maggior ampiezza, soprat-tutto tenendo conto che il controllo pubblico presup-pone oneri importanti sulla finanza pubblica, che de-ve essere sempre salvaguardata e tutelata dinanzi alla Corte dei conti, suo giudice naturale ex art. 103 Cost.

La riformulazione dell’articolo introdotta al Se-nato ha fatto ampio rinvio a criteri di trasparenza,

con riferimento, non solamente ai dati contabili, ma anche agli indicatori di efficienza (c. 1, lett. f, e lett. m, n. 4).

Proprio con riferimento al richiamato sistema di vigilanza e di controllo sulla trasparenza, ma anche sulle politiche retributive, va evidenziato che mol-ti aspetti sono già normati, anche con recenti dispo-sizioni.

A titolo di esempio, può osservarsi che sui limiti alle assunzioni e sulle politiche retributive (art. 14, c. 1, lett. e) è già intervenuto, anche di recente, il legi-slatore, che ha disposto il venir meno dei vincoli di-retti nei confronti delle società a partecipazione pub-blica locale, delle aziende speciali e delle istituzioni. È, infatti, previsto che gli enti territoriali coordinino le politiche assunzionali degli organismi partecipa-ti al fine di garantire, anche per questi soggetti, una graduale riduzione della percentuale tra spese di per-sonale e spese correnti. Tale percorso è tracciato nel-le modifiche che hanno interessato l’art. 18, c. 2-bis, d.l. n. 112/2008, novellato, prima dall’art. 1, c. 557, l. n. 147/2013 e, successivamente, dall’art. 4, c. 12-bis, d.l. n. 66/2014 e, da ultimo, dall’art. 3, c. 5-quin-ques, d.l. n. 90/2014.

Alla luce dell’attuale approdo normativo, non ap-pare chiaro cosa si intenda per “rafforzamento dei criteri pubblicistici” in materia.

L’art. 15 appare riformulato in maniera più com-pleta e chiara.

In primo luogo, va sottolineato il recepimen-to dell’osservazione della Corte in merito alla de-finizione di servizio pubblico locale, nel presuppo-sto che “la nozione comunitaria di servizi pubblici di interesse economico generale (Sieg), ove limita-ta all’ambito locale, e quella interna di servizio pub-blico locale di rilevanza economica hanno contenuto omologo” (Corte cost., n. 325/2010).

Per omogeneità con l’art. 14, lett. m), n. 2, il ti-tolo dovrebbe essere semplificato in “Riordino della disciplina dei servizi pubblici di interesse generale”, eliminando la parola “locali”.

Peraltro, sotto il profilo più generale vi è a dirsi che permangono, con riferimento ai principi di dele-ga contenuti nell’art. 15, le considerazioni circa l’in-determinatezza della formulazione; quasi tutte le di-sposizioni attribuiscono all’esecutivo un potere di at-tuazione non ben definito, in quanto la precisazione dei criteri è spesso oggetto stesso della delega.

Va inoltre rilevato che taluni principi contenuti nell’art. 15 (indicati anche nell’A.S. 1577), sono già stati recepiti dalla legge di stabilità 2015.

Si fa riferimento, in particolare, alla definizione

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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degli ambiti territoriali ottimali dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (art. 15, lett. d), mate-ria che è stata ridisegnata dall’art. 3-bis, c. 1-bis, d.l. n. 138/2011, come modificato dall’art. 1, c. 609, l. n. 190/2014.

Sono stati recentemente normati anche gli incen-tivi intesi a favorire le aggregazioni nei servizi pub-blici locali (di cui all’art. 15, lett. f), che vengono appositamente previsti in sede di attuazione dei pia-ni operativi di realizzazione di cui all’art. 1, c. 612, l. n. 190/2014. Trattasi delle misure fiscali e in ma-teria di personale previste dall’art. 1, cc. 563-568, l. n. 147/2013 e richiamate all’art. 1, c. 614, l. n. 190/2014.

Hanno già formato oggetto di apposita regola-mentazione, tra gli altri aspetti, gli strumenti di tute-la non giurisdizionale degli utenti dei servizi pubbli-ci locali (art. 15, lett. h, e lett. o), da ultimo discipli-nati con la l. n. 69/2009.

Il tema dell’eccessivo ampliamento dei principi del d.d.l. emerge anche nelle previsioni relative al-le modalità di gestione dei servizi (art. 15, lett. e), all’individuazione dei regimi tariffari (art. 15, lett. g), alla distinzione tra proprietà delle reti, gestione dei servizi e funzioni di regolazione (art. 15, lett. 1, m, e lett. n), nonché alla disciplina delle sanzioni e degli interventi sostitutivi (art. 15, lett. p, e lett. q).

Va, peraltro, osservato che taluni principi e cri-teri direttivi, essendo preordinati al coordinamento formale e sostanziale e alla risoluzione delle antino-mie, potrebbero rientrare nell’ambito dell’art. 12 del-la proposta in esame (art. 15, lett. c, i, e lett. r).

8 – Sezioni riunite in sede di controllo; deliberazione 11 giugno 2015; Pres. Squitieri, Rel. Flaccadoro, Nispi Landi, Barisano, D’Amico, Tutino.

Amministrazione dello Stato e pubblica in gene-re – Amministrazioni centrali dello Stato – Rapporto 2015 sul coordinamento della finan-za pubblica – Tendenze della spesa (anni dal 2000 al 2014) – Funzioni e organizzazione am-ministrativa.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Cor-te dei conti – Rapporto 2015 sul coordinamen-to della finanza pubblica – Impiego pubblico – Andamenti dell’occupazione e della spesa – Politiche del personale – Province – Ricolloca-mento del personale in esubero.

La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede di controllo, nell’ambito del Rapporto 2015 sul coordi-

namento della finanza pubblica, ha elaborato un’a-nalisi dell’andamento della spesa delle amministra-zioni centrali nel periodo 2000-2014 e ha verifica-to il grado di realizzazione, negli stessi anni, degli obiettivi programmatici; inoltre, al fine di amplia-re le informazioni sull’organizzazione complessiva e sul costo delle amministrazioni centrali dello Stato, ha effettuato una ricognizione delle forme di ester-nalizzazione messe in atto dai ministeri (concentran-do l’attenzione sugli enti esterni ai ministeri che, in molti casi, non rientrano nel perimetro Istat delle pubbliche amministrazioni). (1)

La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede di controllo, ha elaborato, nell’ambito del Rappor-to 2015 sul coordinamento della finanza pubblica, un’analisi delle politiche contrattuali e di spesa per il pubblico impiego, anche con riferimento al ricol-locamento del personale in esubero delle provin-ce, a seguito del loro riordino per effetto della l. n. 56/2014. (2)

I

Le amministrazioni centrali: tendenze della spesa e dell’assetto organizzativo

La spesa delle amministrazioni centrali nell’ultimo quindicennio

1. In linea con il tema di fondo del Rapporto, che intende esaminare la alterna vicenda della distribu-zione di competenze e funzioni tra i diversi livelli di governo, a partire dall’originario disegno del federa-lismo (inizio anni 2000), in questo capitolo si affron-ta la questione dal lato dell’amministrazione centra-le, verificando, in un arco di tempo di un quindicen-nio, sia l’evoluzione della spesa che le variazioni in-tervenute nell’impianto organizzativo, con particola-re attenzione al ricorso, da parte dei ministeri, all’ap-porto esterno di enti strumentali per la prestazione dei servizi.

Si tratta di una verifica utile per tentare di valuta-re la razionalità degli assetti che si vanno afferman-do, con riguardo, da un lato, ai costi che gravano sul-

(1-2) Si pubblicano, di seguito, due capitoli del Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica, approvato con delib. Sez. riun., 11 maggio 2015, n. 8 (il testo integrale del Rapporto si legge in Rivista web Corte conti, fasc. n. 4/Lu-glio 2015, www.rivistacorteconti.it). Si tratta del capitolo “Le amministrazioni centrali: tendenze della spesa e dell’assetto organizzativo” (sub I) e del capitolo “Il pubblico impiego: il riavvio della contrattazione e la questione delle province” (sub II).

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la finanza pubblica – soprattutto a causa di sovrappo-sizioni o, almeno, di aree di incerta definizione delle competenze – e, dall’altro, ai riflessi sulla qualità dei servizi resi alla collettività.

L’attenzione va rivolta anche a un altro aspet-to. La linea di confine che separa l’area delle ammi-nistrazioni centrali, così come definite e classifica-te sulla base delle regole della contabilità naziona-le, e l’area che comprende numerosi soggetti ester-ni, affidatari di compiti e funzioni da parte dei mi-nisteri vigilanti, è una linea per sua natura mutevo-le ed incerta, cosicché non può essere escluso che il travaso da (ma soprattutto verso) il perimetro vali-do per i conti nazionali determini in prospettiva mo-difiche non trascurabili dei livelli della spesa pubbli-ca e, quindi, degli stessi saldi rilevanti per il rispet-to dei vincoli generali di finanza pubblica. È, questa, una questione delicata, che coinvolge in misura mag-giore l’area delle amministrazioni locali, interessate da un fenomeno più vasto di esternalizzazione delle proprie funzioni, ma che riguarda anche l’organizza-zione delle amministrazioni centrali.

I margini di incertezza che, inevitabilmente, ca-ratterizzano le operazioni di inclusione-esclusione dagli elenchi delle amministrazioni pubbliche (com-pito per legge dell’Istituto nazionale di statistica) ali-mentano un contenzioso molto esteso, affidato ora alla competenza giurisdizionale esclusiva della Cor-te dei conti.

2. Una prima sezione del capitolo è dedicata all’analisi dell’andamento della spesa delle ammini-strazioni centrali fino al 2014, diretta principalmen-te a verificare il grado di realizzazione degli obietti-vi programmatici definiti negli anni e affidati, soprat-tutto, a una ripetuta serie di interventi di “taglio” del-la spesa statale. Una rivisitazione delle analisi e del-le conclusioni già avanzate nei rapporti di coordina-mento degli anni passati è resa opportuna dall’ado-zione, a partire dall’autunno 2014, del nuovo siste-ma di contabilità nazionale (Sec 2010), sulla base del quale sono state ricostruite le serie storiche dei con-

ti pubblici dal 1995 al 2014 e che modifica i flussi di entrata e di spesa, in parte per le diverse convenzio-ni contabili e in parte per una variazione dello stes-so perimetro che definisce il settore dell’amministra-zione centrale.

La spesa dell’amministrazione centrale è, qui, sottoposta a un esame che consente di evidenzia-re l’andamento registrato nei diversi intervalli che hanno caratterizzato il periodo considerato (la fase dell’espansione, la crisi finanziaria internazionale e la lenta uscita dall’emergenza) e a una verifica com-parata che ha lo scopo di misurare la distribuzione del riaggiustamento operato tra i diversi livelli di go-verno, soprattutto confrontando l’evoluzione relati-va amministrazioni centrali-amministrazioni locali.

Al contrario di quanto esposto negli anni passa-ti, invece, è risultato impossibile, per il 2014, repli-care l’analisi che puntava ad isolare il contributo al riequilibrio assegnato alle amministrazioni centrali – e, in particolare, al bilancio dello Stato – attraver-so una verifica degli obiettivi programmatici fissa-ti in sede Def, degli strumenti di intervento utiliz-zati e dei risultati effettivi conseguiti. Mentre, infat-ti, i documenti programmatici, fino al Def dell’aprile 2014, esponevano i conti pubblici secondo il sistema Sec95, i consuntivi, come già ricordato, sono ormai rappresentati nelle serie Sec 2010, precludendo que-sto importante confronto obiettivi-risultati.

3. Nei referti degli ultimi anni, la Corte si è espressa più volte sulla questione del controllo del-la spesa pubblica, anche al fine di verificare la sus-sistenza di punti critici e/o di resistenza nella politi-ca dei tagli.

Le analisi condotte hanno consentito di eviden-ziare come, nel periodo successivo all’esplosione della crisi mondiale, la dinamica della spesa pubblica in Italia abbia subito una netta decelerazione – che, per alcune componenti della spesa, si è risolta persi-no in una riduzione assoluta dei livelli – rispetto alla continua e sostenuta espansione che aveva contrasse-gnato l’intero arco degli anni duemila.

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Tavola 1 – La spesa primaria nell’ultimo quindicennio (variazioni percentuali medie annue)

Voci

Amministrazionipubbliche

Amministrazioni centrali Amministrazioni locali Enti di previdenza

2000-2009

2010-2012

2013-2014

2000-2009

2010-2012

2013-2014

2000-2009

2010-2012

2013-2014

2000-2009

2010-2012

2013-2014

Spesa corrente 3,7 1,5 0,8 3,6 1,0 1,0 5,0 -0,5 0,2 4,4 2,2 1,4Spesa corrente primaria 4,3 0,9 1,5 4,9 -0,2 2,3 5,1 -0,5 0,3 4,4 2,3 1,4Spesa corrente primaria al netto trasferimenti PA 4,3 0,9 1,5 3,5 -0,3 3,4 5,0 -0,4 0,2 4,3 2,4 1,5Investimenti fissi lordi 5,2 -8,5 -6,7 5,9 -9,3 -4,6 3,8 -6,2 -8,7 = = =Spesa in conto capitale (al netto degli “Altri trasferimenti in con-to capitale”) 6,2 -8,5 -8,5 10,3 -9,0 -12,4 3,7 -8,3 -7,1 = = =Spesa primaria totale 4,4 0,0 1,0 4,9 -1,1 1,4 5,0 -2,5 -0,5 4,5 2,1 1,5Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA) 4,4 0,0 1,0 4,3 -1,5 2,4 4,8 -1,5 -0,7 4,3 2,3 1,5Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA e “Altri trasferi-menti in conto capitale”) 4,4 0,0 0,8 4,1 -1,8 1,5 4,8 -1,5 -0,8 4,3 2,3 1,5Pil 3,0 0,9 0,0

Fonte: Istat – Sintesi dei conti e aggregati economici delle amministrazioni pubbliche, maggio 2015

Nel primo decennio degli anni duemila, infat-ti, la spesa pubblica primaria dell’intera amministra-zione pubblica era cresciuta a un ritmo medio annuo di poco inferiore al 4,5 per cento, con il settore del-le amministrazioni centrali ancora più dinamico (po-co meno del 5 per cento all’anno). Ciò è intervenuto in un periodo già segnato dal rallentamento struttura-le dell’economia italiana: tra il 2000 e il 2009 il Pil è aumentato in misura di poco inferiore al 3 per cento, in media annua, in termini nominali. A fine periodo, dunque, l’incidenza della spesa primaria totale sul Pil ha segnato un forte incremento, passando dal 39,3 per cento del 2000 al 46,5 del 2009 (tavole 1 e 2).

L’impatto della crisi finanziaria internazionale e i conseguenti ripetuti interventi correttivi del disavan-zo pubblico hanno prodotto, nei conti pubblici dell’I-talia, un riaggiustamento rilevante, da imputare non soltanto all’aumento del prelievo fiscale, ma anche al contenimento della spesa.

Nelle nuove serie storiche della contabilità nazio-nale (Sec 2010), il livello nominale delle spese del-le amministrazioni pubbliche al netto degli interessi resta sostanzialmente invariato tra il 2009 e il 2012; mentre, nello stesso triennio, la spesa primaria delle amministrazioni centrali presenta una flessione cu-mulata del 3,2 per cento, che diviene quasi il 4,5 per cento se si escludono dal calcolo i trasferimenti alle altre amministrazioni pubbliche: una esclusione che permette di cogliere, con più efficacia, la sola spesa finale per prestazioni dirette di servizi a famiglie ed imprese e per la realizzazione di investimenti ed ope-re pubbliche.

Il quadro descritto richiede, tuttavia, una impor-tante puntualizzazione: il riequilibrio realizzato nel quadriennio è caratterizzato da un crescente sacrifi-cio degli investimenti fissi e delle spese in conto ca-pitale. Una tendenza che accomuna amministrazione centrale e amministrazioni territoriali.

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Tavola 2 – L’incidenza della spesa pubblica sul Pil(valori percentuali)

Settore/Sottosettore Voci 2000 2009 2012 2013 2014

Amministrazionipubbliche

Spesa corrente primaria 36,3 41,5 41,6 42,5 42,8Investimenti fissi lordi 2,8 3,4 2,6 2,4 2,2Spesa in conto capitale (al netto degli altri trasferimenti in conto capitale) 3,0 4,9 3,6 3,3 3,1

Spesa primaria totale (al netto altri trasferimenti in conto capitale) 39,3 46,5 45,2 45,8 45,9

Amministrazionicentrali

Spesa corrente primaria (al netto trasferimenti pubbliche amministrazioni) 9,5 10,1 9,7 10,0 10,4

Investimenti fissi lordi 1,1 1,5 1,1 1,0 1,0Spesa in conto capitale (al netto degli altri trasferimenti in conto capitale) 1,4 3,2 2,3 2,2 1,8

Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA) 10,1 12,7 11,8 11,8 12,4Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA e Altri trasfe-rimenti in conto capitale) 10,1 12,5 11,5 11,5 11,8

Amministrazionilocali

Spesa corrente primaria (al netto trasferimenti PA) 10,8 13,0 12,5 12,6 12,5Investimenti fissi lordi 1,7 1,9 1,5 1,4 1,2Spesa in conto capitale (al netto degli Altri trasferimenti in conto capitale) 2,6 2,7 2,0 2,0 1,8

Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA) 13,2 15,4 14,4 14,4 14,2Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA e Altri trasfe-rimenti in conto capitale) 13,2 15,4 14,3 14,4 14,1

Enti di previdenza

Spesa corrente primaria (al netto trasferimenti PA) 16,0 18,5 19,4 19,9 19,9Investimenti fissi lordi 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0Spesa in conto capitale (al netto degli Altri trasferimenti in conto capitale) 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0

Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA) 16,0 18,6 19,4 19,9 20,0Spesa primaria totale (al netto trasferimenti PA e Altri trasfe-rimenti in conto capitale) 16,0 18,6 19,4 19,9 20,0

Pil nominale (milioni di euro) 1.239.759 1.573.655 1.615.131 1.609.462 1.616.254Variazioni percentuali 4,8 -3,6 -1,4 -0,4 0,4

Fonte: Istat – Sintesi dei conti e aggregati economici delle amministrazioni pubbliche, maggio 2015

In altri termini, lo sforzo di contenimento della spesa è stato nel “triennio dell’austerità” di grande rilievo, ma del tutto sbilanciato nella sua composi-zione interna: per il complesso delle amministrazioni pubbliche, la spesa corrente primaria ha registrato un incremento medio annuo dello 0,9 per cento, mentre le spese in conto capitale si sono ridotte dell’8,5 per cento annuo (con una caduta cumulata, nel periodo, superiore al 25 per cento).

La spesa in conto capitale è qui calcolata al net-to della voce “altri trasferimenti in conto capitale”, nella quale sono classificate operazioni straordinarie di natura contabile per importi che, nel periodo con-siderato, risultano anche rilevanti e che alterano il significato della serie storica, pur non riguardando la realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche, né l’attività di incentivazione delle imprese. A parti-re dall’inizio degli anni duemila, le operazioni stra-ordinarie più rilevanti hanno riguardato regolazioni

contabili di anni pregressi, l’accollo del debito del-le Ferrovie dello Stato, gli effetti della deducibilità dell’Irap e rimborsi di imposte (Iva sulle auto e im-posta sui dividendi), i crediti di imposta rimborsabili, gli accantonamenti a titolo di riserva di quote di cre-dito garantito dallo Stato.

Nel caso delle amministrazioni centrali – ma con una misura dello scostamento spese correnti/spe-se di conto capitale sostanzialmente sovrapponibile a quella rilevabile per le amministrazioni locali – la spesa corrente primaria ha segnato, negli anni 2010, 2011 e 2012, una riduzione media annua di circa lo 0,3 per cento (dello 0,4 nel caso delle amministrazio-ni locali), mentre le spese in conto capitale, nella de-finizione “normalizzata” sopra descritta, si sono ri-dotte di quasi il 9 per cento annuo, cumulando a fi-ne periodo una caduta di quasi il 27 per cento in soli tre anni (per gli enti locali le cifre corrispondenti so-no -8,4 per cento e -25 per cento).

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4. Nel biennio 2013-2014, invece, si avvertono i segni di una inversione di tendenza negli andamen-ti della spesa pubblica che, tuttavia, si accompagna, questa volta, ad una netta divaricazione tra ammini-strazioni centrali e amministrazioni locali.

Il ritorno alla crescita della spesa è evidente nel ca-so delle amministrazioni centrali: al netto dei trasfe-rimenti alle altre amministrazioni pubbliche, la spesa primaria corrente cresce a un tasso medio annuo del 3,4 per cento e la spesa primaria totale del 2,4 per cen-to medio annuo. Ma vanno posti in luce almeno due fattori anomali di natura meramente contabile:

- il trattamento del bonus di 80 euro disposto dal d.l. n. 66/2014, classificato tra le prestazioni sociali in denaro (per un importo di circa 5,8 miliardi per il 2014), anche se la percezione effettiva tende a con-siderare il beneficio come una riduzione del prelievo fiscale sui contribuenti interessati;

- gli effetti, a partire dal 2013, dell’inclusione nel bilancio dello Stato, sia in entrata che in uscita, del-le poste relative a giochi, scommesse e lotterie, che si traducono in maggiori spese per consumi interme-di per oltre 2,5 miliardi a titolo di aggi per i conces-sionari e per i rivenditori.

Si tratta, con tutta evidenza, di contabilizzazio-ni di dimensioni rilevanti, che pertanto costituiscono fattori distorsivi nella lettura del profilo di spesa del-le amministrazioni centrali.

Se, anche con riguardo a tali fattori si “norma-lizza” la serie storica, i consuntivi del biennio 2013-2014 per le amministrazioni centrali indicano che la spesa corrente primaria è aumentata in media an-nua di circa lo 0,7, con i contributi alla produzione che presentano la dinamica più accentuata (circa il 9 per cento in media annua), con i redditi da lavoro di-pendente stazionari senza alcun recupero rispetto al-le flessioni registrate negli ultimi anni e con i consu-mi intermedi in diminuzione dell’1,5 per cento, sem-pre in media annua.

Permane, infine, l’orientamento a concentrare i ta-gli sulla componente in conto capitale che, sempre per le amministrazioni centrali, segna un’ulteriore com-pressione di ben il 24 per cento cumulato nel biennio.

Come anticipato, la differenza con l’evoluzione della spesa delle amministrazioni locali è avvertibi-le soprattutto con riguardo alla spesa corrente: in ta-le settore, infatti, la spesa corrente primaria è rimasta sostanzialmente immutata nel biennio 2013-2014, mentre la spesa in conto capitale (al netto dei fattori contabili straordinari) ha registrato ancora una ridu-zione cumulata di quasi il 15 per cento.

Sull’andamento complessivo della spesa pubbli-ca, nel biennio considerato, influisce anche il com-portamento della spesa degli enti previdenziali (in particolare, la spesa per pensioni) che seguita a cre-scere a un tasso medio annuo dell’1,5 per cento, ma con un netto divario tra i due ultimi anni: nel 2013, la crescita è in linea con il trend sostenuto degli ultimi anni (oltre il 2,3 per cento in media all’anno), mentre nel 2014 il rallentamento risulta di dimensioni rile-vanti e, in parte, inattese (+ 0,6 per cento).

Nel complesso, il conto delle amministrazioni pubbliche – come già illustrato nel cap. I del Rap-porto – segna incrementi medi annui dell’1 per cen-to per la spesa primaria totale e dell’1,6 per cento per quella corrente (sempre al netto degli interessi passi-vi) e un decremento medio dell’8,5 per cento per la spesa in conto capitale (così come ridefinita ai fini delle analisi di questo capitolo).

Va osservato che questa tendenza si è registrata in un biennio nel quale la variazione del Pil nomina-le è stata sostanzialmente nulla. Ritorna ad ampliarsi, quindi, il grado di intermediazione del bilancio pub-blico nell’economia.

5. Le limitate informazioni che il Def 2015 – a differenza dei documenti programmatici degli anni passati – contiene con riguardo ai quadri tendenziali e programmatici di finanza pubblica, rendono impos-sibile una verifica per sotto settori degli andamenti della spesa pubblica, soprattutto al fine di confron-tare le proiezioni 2015-2017 con le tendenze rilevate per il periodo più recente.

Una indicazione di massima si può ricavare so-lo dall’esame del quadro tendenziale (a legislazione vigente) contenuto nel Def, secondo il quale la spe-sa primaria totale crescerebbe, nell’arco della previ-sione, ad un tasso medio annuo dell’ordine dell’1,3 per cento, ma come effetto di una composizione as-sai più equilibrata rispetto al passato, che vedrebbe in lieve ripresa anche le spese in conto capitale e, so-prattutto, gli investimenti fissi (tav. 3). Ciò rappre-senterebbe una parziale correzione della grave ten-denza, da anni evidenziata, all’erosione delle risor-se destinate a tale categoria di spesa. I dati di pro-iezione che risultano dal quadro governativo segna-lano un profilo temporale oscillante e di non facile comprensione. Ma, nel complesso del periodo esa-minato, gli investimenti fissi lordi delle amministra-zioni pubbliche dovrebbero segnare un incremento medio annuo superiore al 2 per cento (a fronte del-la flessione di quasi il 39 per cento cumulata nel pe-riodo 2010-2014).

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Tavola 3 – La spesa pubblica nella proiezione al 2019: il conto delle amministrazioni pubbliche nel Def 2015

Voci milioni variazioni %

2014 2015 2016 2017 2018 2019 2015 2016 2017 2018 2019media 2015-2019

cumula-ta 2015-

2019Spesa corrente 767.513 766.955 778.437 784.670 793.992 804.646 -0,1 1,5 0,8 1,2 1,3 1,0 4,8Spesa corrente prima-ria 692.331 697.569 707.210 715.419 725.791 737.008 0,8 1,4 1,2 1,4 1,5 1,3 6,3

Spesa in conto capitale 58.749 60.191 63.735 59.967 60.416 59.473 2,5 5,9 -5,9 0,7 -1,6 0,3 1,6Investimenti fissi lordi 35.993 36.671 38.327 39.253 39.501 40.021 1,9 4,5 2,4 0,6 1,3 2,2 10,8Spesa in conto capita-le (al netto degli Altri trasferimenti in conto capitale)

48.940 51.429 53.421 51.595 51.884 52.599 5,1 3,9 -3,4 0,6 1,4 1,5 7,5

Spesa primaria totale 751.080 757.760 770.945 775.386 786.207 796.481 0,9 1,7 0,6 1,4 1,3 1,2 5,9Spesa primaria totale (al netto delle Altre uscite in conto capitale)

741.271 748.998 760.631 767.014 777.675 789.607 1,0 1,6 0,8 1,4 1,5 1,3 6,4

Totale uscite 826.262 827.146 842.172 844.637 854.408 864.119 0,1 1,8 0,3 1,2 1,1 0,9 4,5Pil nominale 1.616.254 1.638.983 1.687.708 1.738.389 1.788.610 1.840.954 1,4 3,0 3,0 2,9 2,9 2,6 13,2

Fonte: Def 2015, Sez. II.

L’aspetto che merita maggiore attenzione, tutta-via, è il recupero di moderati trends di aumento della spesa in una fase per la quale il Def prevede un con-testuale relativamente forte incremento del Pil nomi-nale, per il quale si proiettano tassi di crescita me-diamente di circa il 3 per cento all’anno. Si delinea, pertanto, una graduale riduzione dell’incidenza del-la spesa pubblica sul prodotto: una condizione la cui realizzabilità è soggetta a non trascurabili elemen-ti di incertezza.

Si ripropone, in conclusione, una osservazione da tempo avanzata dalla Corte: gli obiettivi di razio-nalizzazione, efficientamento e contenimento della spesa statale sono largamente condivisi, ma l’effet-tiva realizzazione di risparmi consistenti appare un traguardo molto difficile allorché ci si misuri con le limitate categorie di spesa realisticamente aggredibi-li, per le quali, tra l’altro, i margini ancora disponi-bili per ulteriori tagli sono ridotti dalle ripetute ridu-zioni di risorse intervenute negli ultimi anni (si pen-si al blocco di lunga data delle retribuzioni pubbliche e ai modesti spazi residuali offerti dai consumi inter-medi; una voce di spesa che incide per meno dell’1 per cento sul totale della spesa primaria corrente del-le amministrazioni centrali). Di nuovo, dunque, va riaffermato che la condizione ineludibile per ridurre una troppo gravosa pressione fiscale è che si metta in discussione il perimetro stesso dell’intervento pub-blico e che si reingegnerizzino i processi produttivi dell’amministrazione pubblica.

6. L’esame degli andamenti della spesa delle am-

ministrazioni centrali nel 2013 e nel 2014 e, verosi-milmente anche nel profilo temporale fino al 2017, segnala e conferma una dinamica in moderata ripre-sa e, comunque, superiore a quella degli altri sotto-settori della pubblica amministrazione, in particola-re rispetto alla spesa degli enti territoriali: un primo indicatore del recupero del ruolo dello Stato centra-le nella prestazione di servizi collettivi che si disco-sta dal disegno federalista.

A conferma dell’inversione di marcia dalla peri-feria al centro – più netta ed evidente in alcuni setto-ri d’intervento che in altri – nel Rapporto si è ritenu-to utile analizzare gli sviluppi intervenuti nell’asse-gnazione di risorse e nell’attribuzione di competenze con riguardo alla programmazione e alla realizzazio-ne di investimenti in opere pubbliche.

Nel capitolo “Verso un riordino delle politiche degli investimenti pubblici”, al quale si fa rinvio, è evidenziato come, in un rinnovato processo di cen-tralizzazione e di meglio definita ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, torneranno rilevan-ti la clausola di salvaguardia dell’interesse naziona-le e l’aspetto dimensionale e strategico delle opere. In ogni caso, l’opera di razionalizzazione e di acce-lerazione non potrà ritenersi conclusa. E questo non solo perché, pur se programmazione e realizzazio-ne di grandi opere potranno essere rimesse allo Stato ove non si pervenisse in tempi rapidi a intese regio-nali, ad esse si farà comunque ricorso, con evidenti ricadute in termini di celerità dei processi decisiona-li. Ma anche perché restano comunque da affronta-

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re le numerose altre problematiche che rappresenta-no, nello stesso tempo, effetti fisiologici del sistema attuale e indubbi fattori di rallentamento e di incre-mento di costi, che si auspica abbiano adeguata va-lorizzazione nell’attuazione della legge delega di cui al d.d.l. A.S. 1678 di recepimento delle nuove diret-tive comunitarie in materia di concessioni, servizi e appalti pubblici.

L’assetto organizzativo dell’amministrazione cen-trale: il peso delle esternalizzazioni

7. Al fine di ampliare le informazioni sull’orga-nizzazione complessiva e sul costo dell’amministra-zione centrale nella resa dei servizi, si è ritenuto op-portuno, in questa edizione del Rapporto, esporre i primi elementi acquisiti nell’ambito di una rilevazio-ne avviata dalla Corte sul fenomeno delle esternaliz-zazioni di attività da parte dei ministeri.

Il percorso per pervenire a risultati più comple-ti e affidabili richiederà, infatti, di portare a compi-mento una indagine che si presenta complessa sia per le modalità di svolgimento necessariamente adottate (un articolato questionario relativo ai soggetti vigila-ti è stato inviato a ciascun ministero), sia per la diffi-coltà oggettiva di operare scelte entro una numerosa platea di enti e società molto diversificate nell’attivi-tà, nell’inquadramento istituzionale e nelle interrela-zioni finanziarie con il bilancio dello Stato.

Poiché il tema di fondo del Rapporto resta la verifica circa l’efficacia degli strumenti di control-lo della spesa pubblica, è sembrato comunque utile occuparsi di un’area poco indagata, quella degli en-ti esterni ai ministeri, concentrando l’attenzione su quelli funzionalmente più vicini all’attività istituzio-nale del ministero di riferimento, ma che, in molti casi, non rientrano nel perimetro Istat delle ammi-nistrazioni pubbliche (rectius, delle amministrazio-ni centrali) e il cui costo, di conseguenza, non costi-tuisce una componente diretta della spesa pubblica a livello centrale.

Se è vero che gli obiettivi di finanza pubblica (co-me il contenimento della spesa) sono normalmente fissati con riferimento al perimetro delle amministra-zioni pubbliche utilizzato in contabilità nazionale, il fenomeno crescente dell’affidamento di compiti e funzioni, strettamente connesse a quelle dei ministe-ri, a enti e società esterni definisce un’area non im-mune dai rischi di ricadute negative sul bilancio pub-

blico e che offre condizioni per comportamenti (nel-le decisioni di spesa, come nella gestione del perso-nale) più al riparo dai vincoli rigidi della politica di bilancio.

Una prima rilevazione in questa area non pun-tualmente definita fu effettuata in occasione del Rap-porto 2014 sul coordinamento della finanza pubbli-ca. Nell’aggiornamento e nella messa a punto più se-lettiva decisi quest’anno, lo scopo principale consi-ste nella raccolta e nella lettura ragionata di informa-zioni che permettano alcune valutazioni sulla razio-nalità e sui costi di una organizzazione amministrati-va e di competenze che vede lo Stato centrale anco-ra largamente presente (se non, come in alcuni setto-ri, con un peso crescente), in controtendenza rispetto alle attese originarie del federalismo.

Va subito precisato, che l’approccio e la natura della ricognizione che la Corte si è proposta – e che potrebbe costituire un contributo propedeutico ad una riflessione ponderata sul riordino degli enti pubblici e, quindi, in ultima analisi, ad una mirata politica di spending review in un campo sempre affrontato so-lo nell’ottica emergenziale e con impostazioni talvol-ta semplicistiche – integrano le informazioni che pro-vengono dalle istruttorie che l’Istat conduce annual-mente allo scopo di rendere noto l’elenco delle am-ministrazioni pubbliche, ripartito per amministrazio-ni centrali, amministrazioni locali ed enti di previden-za. Inoltre, la ricognizione risponde a criteri metodo-logici affatto diversi, essendo la lista dell’Istat costru-ita secondo le regole della contabilità nazionale (che privilegiano il controllo pubblico e il test di merca-to circa l’adeguatezza delle risorse proprie di ciascun ente ai fini dell’inclusione o meno tra le amministra-zioni pubbliche), mentre il “censimento” della Corte pone maggiore attenzione alla strumentalità e all’affi-nità delle funzioni svolte dagli enti scrutinati rispetto ai compiti istituzionali dei ministeri vigilanti.

Alla base della ricognizione della Corte vi è il censimento che discende dalle rilevazioni sugli en-ti vigilati, disposte, per tutte le amministrazioni pub-bliche, dal d.lgs. n. 33/2013 in materia di trasparen-za. La differenza di approccio e di criteri tra tale ri-levazione e quelle dell’Istat è evidenziata dal fatto che numerosi enti inclusi nell’elenco delle ammini-strazioni pubbliche ai fini della contabilità naziona-le non figurano tra i soggetti vigilati dai ministeri. E viceversa.

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Tavola 4 – Enti e società vigilati dalle amministrazioni dello Stato

Amministrazioni dello StatoAmministrazioni centrali Amministrazioni locali

Entiprevidenza

Totalecomplessivototale di cui

società totale di cuisocietà

Presidenza del Consiglio dei ministri 11 1 11Economia e finanze 22 19 1 1 23Sviluppo economico 16 5 16Lavoro e politiche sociali 26 1 24 50Giustizia 22 0 22Affari esteri e cooperazione internazionale 25 0 1 26Istruzione, università e ricerca 25 6 25Interno 10 0 10Ambiente e tutela del territorio 2 1 22 24Infrastrutture e trasporti 9 5 1 10Difesa 6 1 6Politiche agricole, alimentari e forestali 10 4 10Beni, attività culturali e turismo 31 5 12 43Salute 24 0 20 44Totale complessivo 239 48 57 1 24 320

Fonte: elaborazioni su rilevazioni ex art. 22 d.lgs. n. 33/2013 alla data del 31 gennaio 2015

La ricognizione degli esiti di tale adempimento di legge, effettuata dalla Corte al 31 gennaio 2015, ha evidenziato un’area di 320 soggetti “comunque denominati, istituiti, vigilati, controllati, partecipati e finanziati” dai ministeri (tav. 4).

Per quanto già anticipato, questa lista presen-ta parziali sovrapposizioni con gli elenchi Istat del-le amministrazioni pubbliche, proprio in ragione dei criteri e delle finalità diverse delle due rilevazioni.

Entro tale ampia raccolta di elementi informati-vi, nel Rapporto si è inteso operare una scelta mol-to restrittiva, intesa a tracciare i confini della sola area nella quale agiscono i soggetti (enti e società) in una evidente posizione di strumentalità e comple-mentarietà nei confronti dei ministeri di riferimen-to. Va osservato, infatti, che il “censimento” ex tra-sparenza si estende da organismi che appaiono qua-si come mere articolazioni periferiche delle struttu-re ministeriali a enti e società che assicurano servi-zi pubblici essenziali (come nel caso di Poste, Ferro-vie dello Stato, Enel ecc.) o svolgono attività di in-termediazione finanziaria di sistema (come la Cassa depositi e prestiti), delineando un campo per il qua-le sarebbe improprio ragionare in termini di even-tuale “reinternalizzazione” delle attività rese e che, in ogni caso, richiede forme di controllo e indagini di diverso approccio.

In sostanza, la scelta della Corte è stata quella di perimetrare un’area definibile come “organizzazione

dell’amministrazione centrale” (si potrebbe dire an-che “settore statale allargato”), che di fatto è compo-sta dall’intero elenco delle unità istituzionali ricom-prese dall’Istat nell’amministrazione centrale (setto-re S1311, nella nomenclatura Sec) e, in aggiunta, da una lista ristretta di altri enti e società, selezionate, sulla base della ricordata strumentalità nei confronti dell’amministrazione statale, all’interno dei 320 sog-getti della più ampia rilevazione condotta.

8. Ai sensi della l. n. 196/2009, l’Istat è tenuto a pubblicare ogni anno l’elenco delle unità istituziona-li che compongono il settore amministrazioni pub-bliche; in particolare, per quanto attiene alle ammi-nistrazioni centrali il numero degli appartenenti a ta-le settore risulta, nel 2014, pari a 163 unità. Di que-ste ultime, solo 74 sono presenti anche nella rileva-zione di cui al d.lgs. n. 33/2013.

La ricognizione delle amministrazioni centra-li effettuata dall’Istat, per finalità diverse, di costru-zione dei conti nazionali non è, tuttavia, sufficiente al fine di identificare il perimetro di un’area funzio-nale definibile come organizzazione dello “Stato al-largato”. A tal fine, come detto, si è reso necessario integrare tale ricognizione con quella derivante dal d.lgs. n. 33/2013, escludendo preventivamente i sog-getti che, ancorché vigilati dai ministeri, appartengo-no ai comparti delle amministrazioni locali (57 uni-tà) e degli enti di previdenza (24 unità), come evi-denziato nella tavola precedente.

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Tavola 5 – La definizione allargata di amministrazione centrale

Settori di interventoamministrazioni centrali (S1311) enti e società vigilate extra PA Totale

complessivoStato altro società totale enti società totaleServizi generali delle PA 11 21 5 37 2 3 5 42

Giustizia difesa e ordine pubblico 7 7 3 1 4 11

Affari economici commerciali e del lavoro 5 7 4 16 32 14 46 62

Agricoltura 1 16 17 3 6 9 26

Trasporti 1 3 1 5 1 6 7 12

Combustibili ed energia 1 3 1 5 3 3 8

Ambiente e territorio 1 3 4 1 1 5

Sanità 1 7 8 1 1 2 10

Attività ricreative 39 2 41 36 1 37 78

Attività culturali 1 11 1 13 37 3 40 53

Istruzione 1 6 7 7 7 14

Protezione sociale 1 2 3 2 2 4 7

Totale complessivo 31 118 14 163 124 41 165 328

Fonte: elaborazioni su dati Istat e rilevazioni ex art. 22 d.lgs. n. 33/2013 alla data del 31 gennaio 2015

Si ottiene, in tal modo, un primo quadro d’assieme dell’“organizzazione centrale”, nel quale 328 sogget-ti istituzionali sono riclassificati sulla base di attribu-zioni effettuate dalla Corte in relazione al settore pre-valente di attività: 163 soggetti compongono l’ammi-nistrazione centrale nella definizione Istat e i restan-ti 165 sono tratti dalla rilevazione sulla trasparenza.

In altri termini, nella rappresentazione proposta, solo ai 163 soggetti ricompresi nel settore S1311 del Sec (amministrazione centrale) vanno imputati i flus-si di spesa pubblica esposti e commentati nella prima parte del presente capitolo, mentre la stima del costo aggiuntivo degli enti “esterni” ha richiesto l’adozio-ne di criteri di stima e di rilevazione di cui, di seguito, si darà conto, ma che offrono soltanto primi elemen-ti sulle dimensioni del fenomeno del ricorso da parte dei ministeri a soggetti extra pubblica amministrazio-ne. Il ricorso a questionari non sempre puntualmente compilati, così come le interrogazioni sulle transazio-ni Stato-enti esterni limitate ai mandati di pagamen-to, pur implicando un’istruttoria di mole e comples-sità rilevanti, lasciano ampi margini di incertezza (e di possibile perfezionamento) sui risultati consegui-ti. Il che nulla toglie alla significatività di alcune indi-cazioni quantitative sugli importi delle risorse stata-li mobilitate per il funzionamento della costellazione degli enti esterni strumentali e sulla consistenza (e sul costo) del personale operante presso di essi.

In proposito, è opportuno precisare che per alcu-ne tipologie di enti la ricognizione proposta contabi-lizza esclusivamente il soggetto “capofila”, al quale

fa riferimento una rete di partecipazioni di secondo livello, talvolta numericamente rilevante.

9. Definito in tal modo il quadro di riferimento dell’“organizzazione centrale” si è poi proceduto alla più complessa operazione di misurazione della spe-sa che il bilancio dello Stato mobilita per il funzio-namento dell’intero perimetro così ridefinito. In pra-tica, si tratta di avanzare stime, in primo luogo, sul-le risorse statali “trasferite” dallo Stato (definizio-ne contabilità nazionale) agli altri enti del settore S1311, vale a dire alle amministrazioni centrali elen-cate dall’Istat; in secondo luogo, di fornire una mi-sura della spesa che i ministeri sostengono comples-sivamente a qualsiasi titolo in favore dei 165 orga-nismi, riferibili all’organizzazione centrale, ma che non appartengono al perimetro Istat.

Quanto alla prima misura relativa ai “trasferi-menti” che, ai fini del consolidamento dei dati, l’I-stat nel quadro delle amministrazioni centrali identi-fica come diretti dallo Stato agli “Altri enti dell’am-ministrazione centrale”, si tratta di oltre 16 miliardi, nel 2013. Quanto invece alla più complessa opera-zione di misurazione delle risorse mobilitate in favo-re dei 165 soggetti esterni si è operato, con l’utilizzo dei codici fiscali, estraendo tutti i pagamenti eroga-ti, a qualunque titolo, dal bilancio statale in direzio-ne dei 165 soggetti censiti, per settore di intervento.

Da questa prima misurazione non selettiva emer-gerebbe che l’ammontare delle risorse “pagate” an-nualmente dallo Stato agli enti e alle società del “censimento” è stato dell’ordine di circa 24 miliardi

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per il 2012, di 25 miliardi per il 2013 e di 20 miliar-di per il 2014 (tav. 6).

Va tuttavia considerato che la rilevazione per co-dici fiscali si estende a tutte le categorie economiche del bilancio dello Stato, comprese le partite finanzia-rie che, invece, come è noto sono escluse dai flussi della spesa pubblica rilevanti per la contabilità na-zionale. Al netto di tali partite, nonché degli interes-si passivi (sostanzialmente destinati alla Cassa depo-siti e prestiti e alle Poste), una stima più omogenea con i 16 miliardi di consolidamento intra A.C. [Am-miniztrazioni centrali] (pur avendo a mente i diffe-renti criteri di contabilizzazione tra la cassa e la com-petenza economica), indicherebbe in poco meno di 8 miliardi il volume di risorse statali mobilitate a favo-re dei 165 enti esterni.

Una seconda avvertenza riguarda l’inevitabile sottostima del costo sostenuto dallo Stato per gli en-ti esterni, ricavato dall’utilizzazione dei soli manda-ti di pagamento direttamente assegnati agli organi-smi. Non sono rari, infatti, i casi di organismi anche di primaria importanza che, pur non risultando desti-natari di risorse “trasferite”, si avvalgono principal-mente del cosiddetto “parafiscale”, trovando coper-tura dei costi sostenuti per l’espletamento della lo-ro attività in componenti tariffarie costituenti “one-ri generali di sistema”, corrisposte dagli utenti finali.

Tavola 6 – Pagamenti dal bilancio dello Stato agli enti esterni alla amministrazione centrale (*)

(in migliaia)

Settori di intervento 2012 2013 2014Servizi generali delle PA 391.974 235.611 228.440 Giustizia difesa e ordine pubblico 100 230 164

Affari economici commerciali e del lavoro 19.106.489 19.521.006 15.915.839

Agricoltura 47.239 22.396 23.926 Trasporti 4.205.210 4.648.655 3.445.590 Combustibili ed energia 77.309 32.826 55.182 Ambiente e territorio 10.749 11.724 10.662 Sanità 1.870 1.856 1.901 Attività ricreative 160.606 157.556 166.676 Attività culturali 61.046 50.096 65.013 Istruzione 4.243 6.631 4.130 Protezione sociale 12.230 13.853 366.866 Totale complessivo 24.079.064 24.702.440 20.284.389

(*) Rilevazione dei pagamenti attraverso i codici fiscali dei soggetti de-stinatari.Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati Sicr

Se l’esclusione delle partite finanziarie e degli interessi passivi consente di isolare i rapporti tra bi-

lancio statale e la Cassa depositi e prestiti (1) (di gran lunga il principale destinatario dei pagamen-ti statali rilevati), lo scopo centrale dell’indagine, che mira a esprimersi sui rapporti di strumentalità e complementarietà degli enti esterni rispetto ai mini-steri, induce ad escludere dalla misurazione dei costi anche le imprese industriali e quelle di servizi (St-microelectronics holding n.v., Finmeccanica s.p.a., Alitalia in a.s., Ferrovie appulo lucane, Ferrovie del sud-est e servizi automobilistici s.r.l., Enel s.p.a., Fs-Ferrovie dello Stato italiane s.p.a., Rai-radio te-levisione italiana s.p.a., Poste italiane s.p.a., Enav s.p.a., Eni s.p.a.).

Con tale opportuna delimitazione, che riporta a 153 il numero dei soggetti esterni funzionalmente rapportabili in via più diretta ai ministeri, i trasferi-menti dal bilancio statale ammonterebbero nel 2014 a poco più di un miliardo.

Tavola 7 – Pagamenti dal bilancio dello Stato agli enti esterni all’amministrazione centrale(con esclusione di Cassa depositi e prestiti e imprese pubbliche di servizi)

(in migliaia)Settori di intervento 2012 2013 2014

Servizi generali delle PA 391.974 235.611 228.440 Giustizia difesa e ordine pubblico 00 230 164

Affari economici commerciali e del lavoro 78.616 53.338 117.995

Agricoltura 47.239 22.396 23.926 Trasporti 26.442 30.239 30.483 Combustibili ed energia 66.068 - 19.991 Ambiente e territorio 10.749 11.724 10.662 Sanità 1.870 1.856 1.901 Attività ricreative 151.072 141.226 157.234 Attività culturali 61.046 50.096 65.013 Istruzione 4.243 6.631 4.130 Protezione sociale 12.230 13.853 366.866 Totale complessivo 851.648 567.202 1.026.806

Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati Sicr

(1) La Cassa depositi e prestiti svolge indubbiamente, oltre al tradizionale finanziamento degli investimenti degli enti loca-li mediante la raccolta postale, alcune funzioni strumentali lega-te alla gestione di finanziamenti agevolati alle imprese per con-to dello Stato e alla concessione di mutui ad enti pubblici (ad esempio autorità portuali) a fronte dei contributi pluriennali stanziati nel bilancio dello Stato. D’altro canto, però, l’eteroge-neità delle fonti e modalità di finanziamento di queste attività, la difficoltà di collocarle esattamente nella “gestione separata” ov-vero nella “gestione ordinaria” – legata alla raccolta di fondi sul mercato mediante obbligazioni non garantite dallo Stato – la difficoltà di individuare analiticamente i costi attribuibili alle specifiche funzioni strumentali da considerare, sono tutte circo-stanze che hanno consigliato un rinvio di questo complesso esa-me ad un futuro e specifico approfondimento.

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Va osservato che la distribuzione per settori del-le risorse oggetto di rilevazione è molto differenzia-ta. Per il 2014, la maggior quota è destinata al set-tore protezione sociale, rappresentato in tal sen-so principalmente dai pagamenti verso la società Consap-Concessionaria servizi assicurativi pubblici s.p.a. e il Fondo nazionale di assistenza per il perso-nale della polizia di Stato. Anche il settore “Servizi generali della pubblica amministrazione”, all’inter-no del quale figurano pagamenti verso l’Istituto Po-ligrafico e Zecca dello Stato, l’Invimit Sgr-Investi-menti immobiliari italiani società di gestione del ri-sparmio s.p.a. e la società Studiare sviluppo s.r.l., as-sorbe il grosso delle risorse per il 2014.

A integrazione del quadro di risorse finanziarie “trasferite” (e che, si ribadisce, sottostimano le mo-dalità attraverso le quali gli enti esterni possono fi-nanziarsi), l’indagine condotta ha consentito di rile-vare come al ristretto gruppo di soggetti dalla Corte ritenuti più affini e strumentali all’attività dei mini-steri faccia capo una consistenza di personale supe-riore alle 10 mila unità (2).

10. Venendo all’esposizione dei primi provviso-ri risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati raccolti nell’indagine della Corte, la tavola 8 offre, per gli 85 enti che hanno fornito informazioni sul costo di pro-duzione, una rappresentazione della quota di esso fi-nanziata con risorse del bilancio dello Stato; tale per-centuale è ottenuta rapportando la media dei paga-menti nel triennio 2012-2014 al valore del costo di produzione relativo all’anno 2013 (3).

Tavola 8 – Enti esterni alla amministrazione centrale: costo di produzione e risorse statali

Settori di intervento (in migliaia)

Indice % di copertura

Media dei pagamentidel triennio 2012-2014

Costo della produzione

Servizi generali delle PA 285.342 2300.907 94,8

(2) In proposito si deve precisare che la ricordata incom-pletezza delle risposte ai questionari inviati ha permesso, al momento, di disporre dei dati sul personale (consistenza e re-tribuzione) solo con riguardo a 75 enti su 165.

(3) Tra gli organismi per i quali non si dispone di dati di costo figurano soggetti come i patronati e gli ordini professio-nali, numericamente rilevanti ma che non sono destinatari di risorse statali direttamente erogati di importi significativi. Nel caso dei patronati, ad esempio, l’approvvigionamento di risor-se avviene a valere sui contributi previdenziali ed è commisu-rato al numero di pratiche svolte.

Giustizia difesa e ordine pubblico 165 108.892 0,2

Affari economici commer-ciali e del lavoro 83.209 236.018 35,3

Agricoltura 30.237 128.202 23,6 Trasporti 29.055 66.298 43,8 Combustibili ed energia 28.686 368.386 7,8 Ambiente e territorio 11.045 25.954 42,6 Attività ricreative 4.003 49.665 8,1 Attività culturali 56.388 484.319 11,6 Istruzione 4.748 14.579 32,6 Protezione sociale 130.918 32.180 406,8 Totale complessivo 663.795 1.815.399 36,6

Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati Sicr e dati forniti dai ministe-ri vigilanti

I dati evidenziano, nel complesso, una inciden-za del contributo pubblico fornito a qualsiasi titolo pari al 36,6 per cento del costo di produzione totale degli enti considerati. Nell’esaminare i dati per set-tori bisogna considerare che il valore estremamen-te elevato della protezione sociale è principalmente dovuto ai trasferimenti delle risorse finanziarie che alimentano i fondi gestiti dalla Consap s.p.a. (fondo solidarietà mutui, fondo fallimenti immobiliari, fon-do studio, ecc.). Bisogna dunque tener conto del fat-to che, seppure in misura inferiore, analoghi trasfe-rimenti di fondi potrebbero aver determinato un in-cremento della percentuali in alcuni settori rispetto ad altri, in cui la gestione di trasferimenti verso terzi è assente o meno rilevante. Accanto a questo possi-bile presenza di forme di prelievo parafiscale – a fa-vore degli enti e non transitanti per il bilancio dello Stato – che implicherebbe, per converso, una sotto-stima del costo fiscale ottenuto mediante i valori del-la tavola in esame. Con questi caveat, ed escluden-do la protezione sociale, si noti che i settori caratte-rizzati dalla maggiore incidenza sono i servizi gene-rali delle pubbliche amministrazioni, seguiti dai tra-sporti, ambiente e territorio, affari economici, com-merciali e del lavoro.

Un secondo tipo di informazione riguarda la sti-ma del costo di produzione totale dei servizi resi dal ministero vigilante e dagli enti esterni alla ammini-strazione centrale da esso vigilati, con evidenza del-la incidenza percentuale del costo degli enti esterni sul totale. Per quanto riguarda la valutazione dei co-sti delle attività svolte dei ministeri vigilanti, ai quali corrispondono gli enti considerati, si sono esaminati i dati di contabilità economica del budget dello Sta-to e in particolare dei costi propri che rappresentano l’aggregato che meglio approssima i costi di produ-zione degli enti rilevati nell’indagine.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

19

Tavola 9 – I costi di produzione degli enti sul costo totale dei servizi

Ministero vigilante(in migliaia) Incidenza % del costo

produzione enti sul totale

Enti Ministeri vigilantiCosto totale

Costo della produzione Costi propriEconomia e finanze 374.759 5.383.003 5.757.762 6,5 Sviluppo economico 537.503 252.434 789.937 68,0 Affari esteri e cooperazione internazionale 34.180 975.237 1.009.417 3,4 Istruzione, università e ricerca 12.353 40.914.077 40.926.429 0,0 Interno 35.931 9.167.124 9.203.056 0,4 Ambiente e tutela del territorio 25.954 131.692 157.646 16,5 Infrastrutture e trasporti 70.300 1.149.462 1.219.762 5,8 Difesa 111.076 19.229.433 19.340.509 0,6 Politiche agricole, alimentari e forestali 128.137 598.546 726.683 17,6 Beni, attività culturali e turismo 485.207 929.605 1.414.812 34,3 Totale complessivo 1.815.399 78.730.613 80.546.012 2,3

Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati forniti dai ministeri vigilanti e budget economico dei ministeri

Dalla tavola si evince che, nell’aggregato, i co-sti di produzione degli enti e società esterni alla am-ministrazione centrale hanno un peso relativamente modesto sui costi totali. Ma il dato medio è il risulta-to di situazioni molto differenziate, che evidenziano un’incidenza particolarmente elevata per il Ministe-ro dello sviluppo economico (68 per cento), segui-to dal ministero dei beni culturali (34 per cento) e da quelli delle politiche agricole e forestali (18 per cen-to) e dell’ambiente (16 per cento).

Un’ultima analisi, condotta con riferimento a 75 enti prende in esame i dati relativi alle unità di per-sonale e alle retribuzioni medie. Il confronto con gli analoghi dati ministeriali, tratti dalla contabilità eco-nomica del budget dello Stato, permette di effettuare una valutazione comparata dei costi di produzione, della retribuzione media del personale, della struttu-ra dei costi.

Tavola 10 – Il personale negli enti esterni: consistenza, costo e retribuzione media

Ministero vigilante

Dati riferibili agli enti Dati riferiti ai ministeri vigilanti(in migliaia) Incidenza %

del costo del personale

sul costo di produzione

(in migliaia) Incidenza % Costo del per-sonale

sui Costi propri

Costodella

produzione

di cuiCosto del personale

Numero Unità

personale

Retribuzione media

Costipropri

Costo del personale

Annipersona

Retribuzione media

Economia e finanze 374.759 139.237 2.231 62 37,2 5.383.003 3.856.001 70.458 55 71,6Sviluppo economico 537.503 153.366 2.333 66 28,5 252.434 174.970 3.248 54 69,3Affari esteri e coopera-zione internazionale 34.180 12.226 329 37 35,8 975.237 803.384 7.933 101 82,4

Istruzione, università e ricerca 12.353 4.539 135 34 36,7 40.914.077 39.889.940 978.220 41 97,5

Interno 35.576 3.432 107 32 9,6 9.167.124 7.803.060 157.738 49 85,1Ambiente e tutela del territorio 25.954 8.688 137 63 33,5 131.692 57.720 987 58 43,8

Infrastrutture e trasporti 70.300 35.858 754 48 51,0 1.149.462 893.513 18.837 47 77,7Difesa 111.076 42.562 1.165 37 38,3 19.229.433 14.855.153 303.189 49 77,3Politiche agricole, alimentari e forestali 128.137 20.177 341 59 15,7 598.546 509.421 10.698 48 85,1

Beni, attività culturali e turismo 365.157 151.506 2.780 54 41,5 929.605 743.221 18.607 40 80,0

Totale 1.694.994 571.592 10.312 55 33,7 78.730.613 69.586.385 1.569.915 44 88,4

Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati forniti dai ministeri vigilanti e budget dei ministeri

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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Limitandosi all’esame dei dati aggregati, è possi-bile porre in evidenza alcuni elementi:

- la retribuzione media del personale degli enti e società esterni alla pubblica amministrazione è supe-riore di circa 11 mila euro rispetto a quanto percepi-to dal personale dei ministeri vigilanti; tale differen-za, moltiplicata per le oltre 10 mila unità di personale degli enti vigilati, equivarrebbe ad un “onere aggiun-tivo di oltre 100 milioni di euro, scostamento che, a parità di funzioni esercitate, potrebbe essere letto co-me un indicatore di inefficienza, anche se riferito al-la sola remunerazione del fattore lavoro;

- il costo di produzione dei fattori diversi dal la-voro risulta negli enti vigilati molto superiore, rap-portato al costo di produzione totale, rispetto a quel-lo rilevato per i ministeri vigilanti (66 per cento con-tro 12 per cento): un elemento che richiederebbe una indagine più mirata allo scopo di verificare il grado di efficienza complessivo (1).

In conclusione, le prime e provvisorie indicazioni che possono essere tratte dall’indagine avviata dalla Corte su amministrazione centrale ed enti strumenta-

(1) Sulla base di queste indicazioni è possibile calcolare un indicatore di inefficienza complessiva, costruito come rap-porto tra costi per unità di prodotto del ministero vigilante e del gruppo degli enti vigilati.

Il rapporto individua il potenziale guadagno di efficienza (ovvero la riduzione di costi a parità di output) derivante dall’internalizzazione delle attività degli enti e delle società esterni. Nell’ipotesi di una eguale produttività del lavoro tra ministero e gruppo degli enti vigilati, tale indice si ottiene co-me rapporto tra i costi di produzione dei due gruppi (ministe-ro/enti) moltiplicato per il rapporto tra personale degli enti e dei ministeri assumendo, sulla base dei dati esposti, un valore pari a 0,3: il costo unitario dei servizi resi dai ministeri sareb-be, in altri termini, pari al 30 per cento dell’analogo costo de-gli enti e delle società da essi vigilati. Ciò, in astratto, equivar-rebbe a dire che circa il 70 per cento dei costi di produzione degli enti e società potrebbe essere risparmiato a seguito di una internalizzazione che applicasse gli stessi parametri di co-sto dei ministeri vigilanti (retribuzione media ed impiego me-dio di lavoro, prezzo medio ed impiego medio di fattori pro-duttivi diversi dal lavoro). In tale ipotesi il risparmio teorico sul costo di produzione degli enti e società vigilati sarebbe di circa un miliardo di euro. Chiaramente, questa stima di ineffi-cienza complessiva si ridurrebbe in presenza di un differenzia-le positivo nel livello di produttività degli enti vigilati rispetto a quello dei ministeri. In ogni caso, il valore quantitativo del-la stima proposta appare sufficientemente affidabile poiché, ad esempio, un livello di produttività degli enti che fosse del 20 per cento superiore a quello dei ministeri vigilanti compor-terebbe solo una limitata diminuzione del grado di inefficien-za (dal 70 per cento iniziale al 63 per cento). Rimarrebbero, dunque, solidi gli indizi di inefficienze di costo legate al pro-cesso di esternalizzazione.

li costituiscono già uno stimolo ad approfondire una tematica così strategica in una fase nella quale il ri-equilibrio dei conti pubblici affida un ruolo decisivo alla spending review.

Il riordino degli enti pubblici statali e la riduzio-ne dei loro costi di funzionamento sono, del resto, obiettivi ricorrenti da molti anni. Molto meno evi-denti sono i risultati concreti finora conseguiti, vero-similmente anche per la mancanza di una sistematica ricognizione della situazione in essere.

È fondamentale, al riguardo, ricostruire il qua-dro delle competenze e delle funzioni che, anche a livello centrale, vede la contemporanea presenza del-le strutture ministeriali e di numerosi organismi stru-mentali e complementari. Senza che sia chiara la di-stinzione di ruoli, vi è il rischio di sovrapposizione di compiti e di duplicazione di funzioni e costi.

Un rischio che la finanza pubblica italiana non è più in grado di sopportare.

II

Il pubblico impiego: il riavvio della contrattazione e la questione delle province

L’occupazione nel settore pubblico e la spesa per redditi da lavoro dipendente

1. Nel 2014, secondo i dati diffusi dall’Istat agli inizi del mese di marzo, la spesa per redditi da lavoro dipendente si è attestata sul valore di 163,8 miliardi (il 10,1 per cento del Pil) con una riduzione dello 0,6 per cento rispetto al precedente esercizio.

Il dato di consuntivo rivede in lieve aumento le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento al Def 2014 per un importo di 820 milioni (+0,5 per cento). Resta, comunque, confermato, sia pure con una minor evidenza rispetto alle previsioni, il trend avviato a partire dal varo delle misure di conteni-mento della spesa recate dal d.l. n. 78/2010 – più vol-te prorogate nella loro efficacia temporale e rese pro-gressivamente più complete e severe dalla legislazio-ne successiva. A partire dall’esercizio 2011 – il pri-mo interessato all’applicazione delle citate misure – la diminuzione complessiva della spesa per redditi da lavoro è stata di circa il 5 per cento (8,7 miliardi in valore assoluto) (2).

L’andamento sopra evidenziato deriva (in un pe-

(2) Va considerata inoltre la minor spesa derivante dal protratto blocco della contrattazione collettiva e degli automa-tismi stipendiali, non evidenziata nel quadro programmatico a legislazione vigente.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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riodo di blocco della dinamica retributiva) dalla con-sistente flessione del numero dei dipendenti. Il con-to annuale predisposto dalla Ragioneria generale del-lo Stato evidenzia, nella nota introduttiva alla lettu-ra dei dati, che il 2013 rappresenta il quinto anno consecutivo di riduzione della forza lavoro impiega-ta presso le pubbliche amministrazioni, con un calo (-0,2 per cento) peraltro decisamente meno evidente di quello registrato nei precedenti esercizi. La ridu-zione di personale nel periodo compreso tra l’1 gen-naio 2008 e il 31 dicembre 2013 ha riguardato circa 200.000 unità (di cui 104.000 con contratto di lavo-ro a tempo determinato – prevalentemente persona-le precario della scuola stabilizzato nei ruoli) corri-spondenti, in percentuale, al 5,7 per cento del totale.

Le prime anticipazioni sulla consistenza del per-sonale nel 2014 segnalano una ulteriore riduzione di dipendenti, più robusta di quella registrata nel 2013 (-1,4 per cento) e dovuta soprattutto alla dinamica del personale della scuola (-1,7 per cento nel mese di settembre 2014), con un dato rilevato all’inizio delle attività didattiche che può, quindi, ritenersi definiti-vo nella dinamica dell’anno.

2. Gli interventi in materia di personale, nel pe-riodo interessato dagli effetti della crisi economica, si sono sostanziate nel blocco della contrattazione collettiva (ferma al biennio 2008-2009), nell’intro-duzione di limiti al turn over del personale, nel di-vieto di crescita dei trattamenti economici individua-li, con particolare riferimento alle componenti acces-sorie della retribuzione, attraverso la previsione di un tetto al dimensionamento dei fondi unici che alimen-tano la contrattazione di secondo livello parametra-ti al loro valore del 2010 e al numero dei dipendenti presenti in ciascun esercizio finanziario.

La legge di stabilità per il 2015, con una signi-ficativa inversione di tendenza, proroga solo alcune delle predette misure, disponendo un ulteriore rinvio di un anno della contrattazione collettiva (fino a tut-to il 2015). Il blocco della dinamica retributiva vie-ne pertanto a incidere su due periodi triennali (2010-2012 e 2013-2015) (3).

Fino al 31 gennaio 2015 è inoltre previsto il con-gelamento dei meccanismi di adeguamento retributi-vo per il personale non contrattualizzato (4).

(3) In mancanza di tale norma, peraltro, la legge di stabi-lità avrebbe dovuto prevedere la copertura delle disponibilità per la ripresa dell’attività negoziale per l’intero triennio, come stabilito dall’art. 11 l. n. 196/2009, con una maggior spesa sti-mata 6,5 miliardi.

(4) La relazione tecnica prevede un impatto migliorativo, sull’indebitamento nel 2015, pari a 19,3 milioni.

Non viene, viceversa, prorogata la disposizione contenuta nell’art. 9, c. 1, d.l. n. 78/2010 (divieto di crescita dei trattamenti economici individuali). Per-tanto, a partire dal 2015, dovranno essere corrispo-sti agli interessati (sia pure senza arretrati) i benefi-ci connessi con promozioni, avanzamenti di carriera e passaggi di livello, utili fino al 2014 esclusivamen-te a fini giuridici. Si tratta di oneri già previsti a legi-slazione vigente, particolarmente importanti con ri-ferimento al personale delle Forze armate e dei Cor-pi di polizia.

Con riferimento al dimensionamento dei fondi unici di amministrazione, il duplice vincolo di cre-scita previsto nell’art. 9, c. 2-bis, d.l. n. 78/2010 cit. (5) cessa di avere efficacia nel 2014 e viene so-stituito a regime con un taglio permanente di impor-to pari alle riduzioni effettuate per effetto della cita-ta normativa.

Non risultano prorogate neppure le norme in ma-teria di vincoli assunzionali, con la conseguenza che le percentuali di nuovi ingressi restano quelle rimo-dulate nei diversi esercizi, fino al 2017, dalla legge di stabilità 2014 (6).

3. In coerenza con quanto disposto dalla legge di stabilità 2015 le previsioni tendenziali a legisla-zione vigente del Def 2015 stimano, un incremento di mezzo punto percentuale della spesa di persona-le, per l’anno in corso, e di un punto nel 2016, con-siderando non solo la mancata proroga di alcune del-le citate misure, di contenimento della spesa, ma an-che gli effetti dell’istituzione del cosiddetto: Fondo per la buona scuola (7), finalizzato all’immissione in ruolo di nuovo personale docente.

Dopo un periodo di sostanziale stabilità, un’ul-teriore, modesta, crescita è ipotizzata a partire dal 2019 scontando l’ipotesi tecnica della corresponsio-ne, a partire da tale anno, di una nuova indennità di vacanza contrattuale.

Il quadro a politiche invariate tiene conto degli effetti derivanti dal riavvio della contrattazione col-lettiva per il triennio 2016-2018 e per quello succes-sivo.

(5) Ai sensi della citata disposizione presso ciascun ente il fondo unico non poteva superare il valore certificato nel 2010 ed era progressivamente ridotto in relazione al personale effet-tivamente in servizio in ciascun anno.

(6) Vengono, peraltro, differite all’1 dicembre 2015 le as-sunzioni già previste per i Corpi di polizia e per il Corpo na-zionale dei Vigili del fuoco, a partire dal mese di gennaio del predetto anno, con un risparmio complessivo di 27,2 milioni (al lordo delle minori entrate fiscali).

(7) L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, c. 4.

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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Rispetto alle previsioni tendenziali, nel 2017 la spesa di personale è stimata in crescita di un ulterio-re punto percentuale, mentre nell’esercizio successi-vo – a fronte di un calo dello 0,4 per cento nel qua-dro a legislazione vigente – è previsto un incremento dell’1,1 per cento. Nel 2018 e nel 2019 lo scarto tra il programmatico e il tendenziale è stimato in una per-centuale dell’1,5 per cento In assenza di un definito scenario di riferimento, gli effetti finanziari della ri-presa della contrattazione vengono stimati applican-do una metodologia che tiene conto della media (de-purata dai picchi) degli incrementi retributivi rilevati negli ultimi anni interessati dal rinnovo dei contratti.

Ipotizzando che la sottoscrizione dei contrat-ti collettivi avvenga all’interno del quadro definito dall’accordo di maggio 2009 sull’assetto delle rela-zioni sindacali nel pubblico impiego, la stima si rive-la prudenziale.

La faticosa e lenta elaborazione di politiche di per-sonale post crisi

4. Esaurita la fase più severa della crisi econo-mica – al cui superamento hanno in parte contribui-to anche le misure di contenimento della spesa per il personale pubblico – occorre, ad avviso della Corte, riprendere il percorso di definizione di una ordinaria politica di personale in grado di intervenire sulla de-bolezze e sulle criticità di sistema, in parte acuite da un approccio fortemente condizionato dalle esigenze di rispettare i vincoli di bilancio.

In tale contesto la fisiologica ripresa dell’attivi-tà negoziale – da condurre sulla base di parametri di crescita retributiva compatibili con il quadro pro-grammatico dell’evoluzione della finanza pubblica – dovrà essere accompagnata da un riequilibrio nel-la composizione delle retribuzioni oggi caratterizza-te dalla assoluta prevalenza delle componenti fisse e continuative, con minime disponibilità per una po-litica di personale incentrata sulla premialità e sulla valorizzazione del merito individuale (8).

(8) Nel Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica la Corte evidenziava come a partire dal completa-mento del disegno di privatizzazione del pubblico impiego la dinamica retributiva, elevata fino al 2008, ha praticamente ri-guardato esclusivamente le componenti fisse della retribuzio-ne. Mentre il peso delle risorse utilizzabili a fini incentivanti e premiali si è percentualmente ridotto.

In alcuni comparti di contrattazione la retribuzione pre-miale per il personale non dirigente incide sul complessivo trattamento economico con percentuali inferiori al 5 per cento, pari a poco più di mille euro lordi annui per ciascun addetto.

Siamo dunque ben lontani dall’attuazione della norma di principio contenuta nell’art. 40, c. 3-bis, d.lgs. n. 150/2009, che

Il dimensionamento del personale va affrontato, a regime, superando l’approccio in termini di tagli li-neari, attraverso un’attenta valutazione dell’effettivo fabbisogno di attività amministrativa al centro e so-prattutto sul territorio e la conseguente necessità di disporre di professionalità specifiche anche in rela-zione alla auspicata ripresa di investimenti in nuove tecnologie (9).

Con riferimento alla mobilità del personale pub-blico, da sempre uno dei punti critici, sul piano ope-rativo, delle politiche di personale, va positivamen-te sottolineata l’emanazione del d.p.c.m. contenente una tabella di equiparazione tra le qualifiche e le po-sizioni retributive esistenti nei vari comparti che do-vrebbe favorire un corretto inquadramento del per-sonale interessato e limitare la conflittualità sindaca-le ed il contenzioso.

Si tratta di considerazioni condivise dal Rappor-to finale dell’allora commissario per la revisione del-la spesa che, in un apposito paragrafo, sottolinea co-me le misure di contenimento della spesa (reso no-to nel marzo 2014) di personale sinora adottate – ri-duzione del numero degli addetti e congelamento dei trattamenti economici – benché indubbiamente effi-caci, non possono essere reiterate in condizioni nor-mali e, conseguentemente, segnala l’urgenza di defi-nire un strategia post crisi.

La medesima relazione richiama l’attenzione sul-la necessità di un attento monitoraggio delle cause che nei periodi precedenti al 2010 hanno dato luogo a una crescita disordinata e sperequata delle retribu-zioni nei diversi comparti dovuta in parte alla con-trattazione di secondo livello.

Il mancato completamento del quadro normativo 5. Il lungo periodo di blocco della contrattazio-

ne di parte economica non è stato, utilizzato, diver-samente da quanto auspicato, per la necessaria ride-finizione e per il completamento del vigente quadro normativo.

Allo stato restano da definire aspetti importan-ti, prodromici alla ripresa dell’attività negoziale, ri-

affidava alle successive tornate negoziali l’ambizioso obiettivo di destinare alla retribuzione di produttività “una quota preva-lente del trattamento accessorio comunque denominato”.

(9) Nel citato Rapporto 2014 sul coordinamento della fi-nanza pubblica la Corte evidenziava, in relazione ai vincoli assunzionali e al prolungamento dell’età lavorativa, il pro-gressivo invecchiamento dei dipendenti pubblici, che regi-strano – come sottolineato dalla Rgs-Igop nella nota introdut-tiva al conto annuale 2013 – un’età media ormai prossima a 50 anni.

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guardanti la redistribuzione del personale nei diver-si comparti, come prefigurato dall’art. 54, c. 2, d.lgs. n. 150/2009 e i limiti all’autonomia negoziale per il personale non statale, da modulare in modo coeren-te con il processo di revisione del quadro ordinamen-tale riguardante i rapporti tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali.

Da valutare e da rivedere anche la cornice ordina-mentale, relativa al concreto svolgimento della con-trattazione collettiva, derivante dall’accordo di mag-gio 2009 sull’assetto delle relazioni sindacali nel pubblico impiego e dalla normativa non sempre co-ordinata contenuta nel successivo d.lgs. n. 150/2009.

Verso una controriforma della dirigenza pubblica6. La Corte è stata chiamata a esprimere le pro-

prie valutazioni presso la Commissione affari costi-tuzionali del Senato sul disegno di legge delega ri-guardante la riorganizzazione delle pubbliche am-ministrazioni contenente, tra l’altro, i criteri direttivi per la revisione della normativa sulla dirigenza pub-blica (10).

Ad avviso della Corte, il disegno di legge non ga-rantisce il delicato equilibrio raggiunto nei rapporti tra politica e dirigenza in quanto, nel nuovo delinea-to assetto ordinamentale, aumentano i margini di di-screzionalità per il conferimento degli incarichi.

L’abolizione della distinzione in fasce degli uffi-ci da ricoprire, l’ampliamento della platea degli inte-ressati, la breve durata degli incarichi attribuiti, il ri-schio che il mancato conferimento di una funzione possa provocare la decadenza dal rapporto di lavo-ro, costituiscono, ad avviso della Corte, un insieme di elementi che potrebbero in concreto limitare l’au-tonomia dei dirigenti.

Sotto altro aspetto, i criteri direttivi della rifor-ma delineano un modello organizzativo che privile-gia, per il conferimento della titolarità di uffici anche di piccole dimensioni, non già le competenze speci-fiche legate alla conoscenza della complessa norma-tiva dei settori di intervento, quanto piuttosto gene-riche attitudini e competenze manageriali che, come l’esperienza ha dimostrato, risultano di difficile ap-plicabilità nell’ordinamento amministrativo.

La nuova disciplina proposta assegna, infatti, un peso prevalente alla pluralità delle esperienze e al-la diversificazione della carriera, rispetto alla valu-

(10) Il testo dell’intervento del presidente della Corte dei conti presso la Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica svoltasi il 21 novembre 2014, è stato appro-vato dalle Sez. riun., 9 ottobre 2014, n. 10, in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 1.

tazione di una sperimentata professionalità specifica, criterio non preso in considerazione tra quelli previ-sti per il conferimento della titolarità di un ufficio. Le competenze tecniche rischiano dunque di restare pa-trimonio esclusivo del personale non dirigente privo di sbocchi di carriera.

Ad avviso della Corte andrebbe, pertanto, meglio delineato il criterio dell’interscambiabilità dei titola-ri degli uffici e le modalità per la selezione delle pro-fessionalità migliori, che rappresentano gli obiettivi della riforma.

Sotto il profilo del trattamento economico i cri-teri direttivi per la delega legislativa non definisco-no con chiarezza il riparto di competenze tra la di-sciplina normativa e quella di fonte contrattuale, re-siduando comunque a quest’ultima limitati margini di intervento.

I limiti all’autonomia dei dirigenti e la sostan-ziale ripubblicizzazione della disciplina, riguardan-te non solo la parte normativa ma anche quella eco-nomica del rapporto di lavoro, prefigurano una con-troriforma dell’assetto ordinamentale della dirigenza pubblica quale delineato all’interno della normativa concernente la privatizzazione del pubblico impiego.

Si tratta di considerazioni che vengono ripropo-ste in questa sede in quanto tutt’ora attuali, conside-rato che il testo approvato dal Senato in prima lettura e trasmesso alla Camera dei deputati non si discosta sostanzialmente da quello proposto dal governo sul quale la Corte era stata chiamata ad esprimere il pro-prio motivato avviso.

Una mobilità sostenibile per i soprannumerari del-le province

7. Il secondo banco di prova delle politiche di personale è rappresentato dalla nota vicenda del ri-collocamento del personale soprannumerario delle province.

Il riordino delle funzioni tra regioni, province, città metropolitane ed enti locali, prefigurato dalla l. n. 56/2014, ha trovato, infatti, attuazione sul pia-no operativo nella legge di stabilità per il 2015, in una obbligatoria ridefinizione delle dotazioni organi-che degli enti di area vasta da correlare allo svolgi-mento esclusivo di quelle che la citata l. n. 56/2014 (art. 1, c. 85) definisce come funzioni fondamentali (pianificazione territoriale, servizi di trasporto, edi-lizia scolastica, repressione di fenomeni discrimina-tori in ambito lavorativo e promozione delle pari op-portunità).

In esito a tale processo i dipendenti sopranume-rari – cioè quelli eccedenti l’organico ridetermina-

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to – risultano destinatari di una complessa operazio-ne di mobilità che vede coinvolti in prima battuta le regioni e gli enti locali (con possibilità di transito di un numero di unità pari al cento per cento dei cessa-ti presso i predetti enti qualora non fosse sufficien-te utilizzare ai fini del riassorbimento le ordinarie fa-coltà assunzionali).

8. Nel rapporto sulle prospettive della finanza pubblica dopo la legge di stabilità per il 2015, tra-smesso alle Camere lo scorso mese di febbraio, la Corte evidenziava come, alla luce dei dati contenu-ti nel conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, a livello complessivo le regioni e gli enti loca-li, utilizzando le facoltà assunzionali previste a legi-slazione vigente, siano teoricamente in grado di as-sorbire nel breve periodo le eccedenze di personale delle province.

La procedura di mobilità si rivela praticabile an-che qualora si intenda garantire una prioritaria collo-cazione dei soprannumerari nella regione o addirittu-ra presso enti ubicati nella provincia di attuale svol-gimento della attività lavorativa.

Va, infatti, considerato che in alcune province ri-sulta particolarmente accentuato il fenomeno dell’in-nalzamento dell’età media dei dipendenti, numerosi dei quali risultano collocati nella fascia di anzianità anagrafica prossima al collocamento a riposo.

Anche per le province in cui il personale da ri-collocare è numericamente più elevato, tenuto con-to della possibilità di assunzioni in deroga da parte delle regioni e degli enti locali nei limiti del 100 per cento delle cessazioni, l’assorbimento dei soprannu-merari dovrebbe concludersi nel periodo ipotizzato dalla legge di stabilità.

Occorre, peraltro, tener conto dell’elevato nume-ro di enti che non può effettuare assunzioni nel bre-ve periodo in relazione al mancato rispetto del pat-to di stabilità interno ovvero di disposizioni che pon-gono divieti assoluti di assunzione a qualunque titolo in caso di mancato adeguamento a specifiche prescri-zioni (pagamento dei debiti, predisposizione di piani anticorruzione, ecc.).

Si tratta, in ogni caso, di un’operazione impegna-tiva, da compiere in modo coerente con il riordino delle funzioni attraverso una accurata sorveglianza ed un adeguato presidio, in modo da contemperare l’esigenza del personale di ottenere trasferimenti non distanti dalla sede di residenza con, al contempo, una

distribuzione di professionalità coerente con le fun-zioni attribuite ai diversi enti, secondo il rinnovato riparto di competenze.

Ma soprattutto non va sottovalutato l’impatto che il processo di riassorbimento dei soprannumerari può avere sul ridisegno degli organici delle amministra-zioni territoriali.

Non è un caso infatti che i maggiori spazi per un riassorbimento degli esuberi appaiano prodursi nelle realtà territoriali che presentano squilibri complessi-vi in termini di personale per abitante.

L’inserimento delle eccedenze deve essere reso compatibile con il processo di riequilibrio dei con-ti degli enti di destinazione. Tale riequilibrio, infat-ti, spesso implica una ridefinizione delle modalità or-ganizzative e un più limitato assetto degli organici.

Il riassorbimento a carico di enti in squilibrio strutturale finirebbe per portare solo ad un allunga-mento dei tempi per il riequilibrio e, in alcuni ca-si, ad una semplice posposizione del problema sotto-stante alla identificazione degli esuberi.

L’impatto del ricollocamento degli esuberi delle pro-vince: il quadro di riferimento

9. Il complessivo scenario sul quale è destinata a impattare la descritta operazione di mobilità si pre-senta disomogeneo e frammentato ed evidenzia l’e-sistenza di criticità strutturali, in parte acuite dai re-centi interventi di contenimento della spesa, sia sotto il profilo del dimensionamento organizzativo dei di-versi enti, sia sotto quello dell’esistenza di non sem-pre giustificate differenze nel trattamento economi-co complessivo per le diverse categorie di dipenden-ti (11).

10. Come si rileva dalla tavola 1 con riferimen-to alle 15 regioni a statuto ordinario (Rso), la distri-buzione dei circa 36.700 dipendenti tra i diversi en-ti non trova un significativo riscontro con la popola-zione residente.

(11) Utili elementi per ricostruire la composizione funzio-nale ed il costo del personale delle regioni e degli enti locali, possono essere desunti dalla recente Relazione della Sezione delle autonomie di questa Corte, approvata con delib. 30 apri-le 2015, n. 16 corredata da un ampio apparato di tabelle elabo-rate sulla base dei dati contenuti nel conto annuale 2013 predi-sposto dalla Rgs ai sensi dell’art. 60 d.lgs. n. 165/2001.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Tavola 1 – Personale delle regioni a statuto ordinario al 31 dicembre 2013

REGIONE Dirigenti(1)

Nondirigenti

(2)

Altropersonale

(3) Totale Distribuzione %

del personale

Rapporto di lavoro flessibile

(4)

Dipendenti (non dirigenti) per

dirigente

Dipendenti ogni 1.000 residenti

Piemonte 159 2.502 100 2.761 8 233,4 15,7 0,6Liguria 86 1.126 5 1.217 3 3,3 13,1 0,8Lombardia 227 2.986 91 3.304 9 15,9 13,2 0,3Veneto 193 2.476 97 2.766 7 65,7 12,8 0,6Emilia Romagna 135 2.648 110 2.893 8 63,5 19,6 0,7Toscana 131 2.395 57 2.583 7 180,2 18,3 0,7Umbria 77 1.165 40 1.282 3 21,2 15,1 1,4Marche 57 1.226 110 1.393 4 18,8 21,5 0,9Lazio 304 3.771 244 4.319 11 9,2 0,7Abruzzo 90 1.557 88 1.735 5 26,8 17,3 1,3Molise 61 649 - 710 2 35,5 10,6 2,3Campania 243 5.394 4 5.641 16 470,3 22,2 1,0Puglia 159 2.458 9 2.626 7 187,7 15,5 0,6Basilicata 68 1.035 10 1.113 3 32,6 15,2 1,9Calabria 166 1.897 263 2.326 6 46,0 11,4 1,2TOTALE 2.156 33.285 1.228 36.669 100 1.410,2 15,4 0,7

(1) Direttori generali, dirigenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, dirigenti ex art. 110 Tuel.(2) Personale appartenente alle categorie da A a D e alte specializzazioni ex art. 110 Tuel.(3) Personale a tempo determinato ex art. 90 Tuel e personale contrattista.(4) Personale a tempo determinato, con contratto di formazione lavoro, interinali, Lsu. Espressi in unità annue.Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop e Istat

Le regioni di minore rilevanza demografica han-no in genere un numero di dipendenti più che propor-zionale agli abitanti – ben oltre quanto necessario a garantire, comunque, un livello essenziale omogeno dei servizi – segno di evidenti diseconomie di scala.

A fronte di una media di 0,7 dipendenti ogni mil-le abitanti tale valore si attesta, infatti, a 2,3 in Moli-se, a 1,9 in Basilicata e a 1,4 in Umbria.

Altre regioni evidenziano un elevato stock di per-sonale da tempo consolidato, non ridotto, anzi in ta-luni casi incrementato nel recente periodo pur nel-la vigenza di limiti assunzionali. La Campania, ad esempio, presenta circa il 70 per cento di dipendenti in più della Lombardia, pur avendo una popolazione pari al 60 per cento di quella della Lombardia.

Anche il rapporto tra dirigenti e restante perso-nale di ruolo – che rappresenta un significativo in-dicatore dell’efficienza dei modelli organizzativi – a fronte di una media di 15,4 dipendenti per dirigente – oscilla nelle singole realtà regionali su valori ricom-presi tra 22,2 per la Campania e 10,6 per il Molise.

I dipendenti con rapporto di lavoro flessibile (1), infine, non risultano distribuiti ordinatamente tra le vari regioni con picchi dell’8 per cento sul totale del personale in servizio in Piemonte e in Campania.

(1) A tempo determinato, con contratto di formazione la-voro, lavoratori interinali e Lsu.

Nel triennio 2011-2013, si è verificata una dina-mica occupazionale non omogenea, come evidenzia-to nella tavola 2.

Tavola 2 – Variazione del personale delle regioni a statuto ordi-nario nel triennio 2011-2013

Regione Dirigenti(1)

Nondirigenti

(2)

Altropersonale

(3)Totale

Piemonte -6,5 -4,3 -4,8 -4,5Liguria -6,5 -1,4 0,0 -1,8Lombardia -2,6 -2,6 24,7 -2,0Veneto -4,5 -0,9 5,4 -1,0Emilia Romagna -6,9 -1,0 -7,6 -1,6Toscana -5,8 1,5 3,6 1,1Umbria 2,7 -3,6 -7,0 -3,3Marche -16,2 0,9 -11,3 -1,0Lazio 38,2 27,4 -43,5 19,5Abruzzo -4,3 21,2 -2,2 18,1Molise -12,9 -6,2 -6,8Campania -2,0 -6,9 -6,6Puglia 6,7 -5,7 0,0 -5,0Basilicata -1,4 14,4 11,1 13,2Calabria -3,5 -8,8 7,3 -6,9TOTALE 0,5 0,6 -12,3 0,1

(1) Direttori generali, dirigenti a tempo indeterminato e a tempo determina-to, dirigenti ex art. 110 Tuel.(2) Personale appartenente alle categorie da A a D e alte specializzazio-ni ex art. 110 Tuel.(3) Personale a tempo determinato ex art. 90 Tuel e personale contrattista.Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop e Istat

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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A livello complessivo, il numero dei dipendenti resta sostanzialmente stabile.

I dirigenti aumentano di mezzo punto percentua-le, dato fortemente influenzato dall’incremento veri-ficatosi nella Regione Lazio (+38 per cento) (2).

Non omogeneo anche il dato relativo alla dinami-ca occupazionale dei non dirigenti che evidenzia – a

fronte di un aumento analogo a quello dei dirigenti – incrementi molto più significativi non solo nel La-zio, ma anche in Abruzzo (+21,2 per cento) e in Ba-silicata (+14,4).

11. Considerazioni analoghe valgono con riferi-mento alla consistenza e alla composizione del per-sonale delle 86 province ubicate nelle Rso (tav. 3).

La media dei dipendenti per provincia (pari a 506) si abbassa a 200 in Molise e raggiunge i 902 nel Lazio (dato, ovviamente, influenzato dalla Pro-vincia di Roma).

Ogni mille abitanti i dipendenti delle province sono 0,6 in Campania, Veneto e Lombardia, 1,5 in Umbria e Calabria e 1,8 in Basilicata.

Anche nelle province il rapporto tra dirigenti (1) e restante personale non è omogeneo e oscilla tra 27 in Emilia Romagna e Molise e 64 in Basilicata.

12. Più complesso il discorso relativo alla consi-stenza e alla composizione del personale dei comu-ni (2), estremamente diversificate in relazione alle dimensioni dei diversi enti (v. tav. 4).

(1) Nel calcolo del rapporto, nella dirigenza sono stati in-clusi anche i segretati provinciali.

(2) Ai fini della presente relazione sono stati presi in con-siderazione, attraverso una specifica elaborazione dei dati del conto annuale 2013, esclusivamente i comuni ubicati nelle Rso che hanno adempiuto all’obbligo di trasmissione dei dati relativi al personale alla Ragioneria generale dello Stato per la redazione del predetto conto annuale. Si tratta di 6.629 enti.

(2) L’incremento dei dirigenti e del restante personale del-la Regione Lazio deriva dal disposto della l. reg. 24 dicembre 2010, n. 9 che ha previsto il transito nei ruoli della regione dei dipendenti degli enti parco, con un impatto finanziariamente neutrale in quanto i relativi oneri erano già a carico diretto del bilancio della regione.

Tavola 3 – Personale delle province delle regioni a statuto ordinario al 31 dicembre 2013

Regione Dirigenti (1)

Nondirigenti (2) Segretari

Altropersonale

(3) Totale

Rapporto di lavoro flessibile

(4)

Media dipendenti per provin-

cia

Dipendenti (non diri-genti) per

dirigente e/o segretario

Dipendenti ogni 1.000 residenti

Piemonte 102 4.081 7 22 4.212 42,9 527 37,4 0,9 Liguria 49 1.771 3 7 1.830 57,4 458 34,1 1,1 Lombardia 145 5.869 12 96 6.122 201,1 510 37,4 0,6 Veneto 72 2.818 6 24 2.920 142,4 417 36,1 0,6 Emilia Romagna 135 3.934 9 34 4.112 38,4 457 27,3 0,9 Toscana 99 4.171 9 104 4.383 70,5 438 38,6 1,2 Umbria 34 1.325 2 3 1.364 41,9 682 36,8 1,5 Marche 42 2.045 5 7 2.099 87,9 420 43,5 1,4 Lazio 72 4.386 4 48 4.510 35,9 902 57,7 0,8 Abruzzo 28 1.409 4 8 1.449 62,9 362 44,0 1,1 Molise 12 379 2 7 400 20,8 200 27,1 1,3 Campania 66 3.193 5 67 3.331 371,0 666 45,0 0,6 Puglia 73 2.553 6 69 2.701 30,2 450 32,3 0,7 Basilicata 14 967 1 52 1.034 13,5 517 64,5 1,8 Calabria 58 2.959 5 22 3.044 74,0 609 47,0 1,5 TOTALE 1.001 41.860 80 570 43.511 1.290,8 506 38,7 0,8

Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop e Istat

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Tavola 4 – Personale dei comuni delle regioni a statuto ordinario per classe demografica

Classe demografica Dirigenti (1)

Non dirigenti (2) Segretari Altro

personale (3) Totale Distribuzione

% delpersonale

Rapporto di lavoro

flessibile (4) Classe 0 (da 1 a 499 residenti) - 1.844 35 17 1.896 1 267,6 Classe 1 (da 500 a 999 residenti) 6 4.568 179 28 4.781 2 726,7 Classe 2 (da 1.000 a 1.999 residenti) 10 10.729 361 42 11.142 4 1.458,8 Classe 3 (da 2.000 a 2.999 residenti) 4 9.918 296 40 10.258 3 1.209,6 Classe 4 (da 3.000 a 4.999 residenti) 9 17.676 362 81 18.128 6 1.751,9 Classe 5 (da 5.000 a 9.999 residenti) 48 32.666 525 116 33.355 11 3.144,3 Classe 6 (da 10.000 a 19.999 residenti) 335 40.908 479 172 41.894 13 3.436,7 Classe 7 (da 20.000 a 59.000 residenti) 1.187 58.619 312 333 60.451 19 3.132,1 Classe 8 (da 60.000 a 99.999 residenti) 493 24.915 50 129 25.587 8 1.332,8 Classe 9 (da 100.000 a 249.999 residenti) 533 27.255 27 108 27.923 9 1.355,9 Classe 10 (da 250.000 a 499.000 residenti) 292 14.910 5 58 15.265 5 593,7 Classe 11 (oltre 500.000 residenti) 695 63.970 5 381 65.051 20 3.765,5 TOTALE 3.612 307.978 2.636 1.505 315.731 100 22.175,5

Classe % popolazione residente

Numero di comuni

Distribuzione % dei comuninelle classi

Mediadipendenti per comune

Dipendentiogni 1.000residenti

Dipendenti (non dirigenti)

per dirigente e/o segretario

Classe 0 (da 1 a 499 residenti) 0 695 10 3 9,3 52,7 Classe 1 (da 500 a 999 residenti) 1 881 13 5 7,3 24,7 Classe 2 (da 1.000 a 1.999 residenti) 4 1.251 19 9 6,1 28,9 Classe 3 (da 2.000 a 2.999 residenti) 4 ……..803 12 13 5,2 33,1 Classe 4 (da 3.000 a 4.999 residenti) 7 939 14 19 4,9 47,6 Classe 5 (da 5.000 a 9.999 residenti) 14 1.008 15 33 4,7 57,0 Classe 6 (da 10.000 a 19.999 residenti) 17 618 9 68 4,9 50,3 Classe 7 (da 20.000 a 59.000 residenti) 22 346 5 175 5,3 39,1 Classe 8 (da 60.000 a 99.999 residenti) 8 51 1 502 6,6 45,9 Classe 9 (da 100.000 a 249.999 residenti) 8 27 0 1.034 7,1 48,7 Classe 10 (da 250.000 a 499.000 residenti) 3 5 0 3.053 9,5 50,2 Classe 11 (oltre 500.000 residenti) 13 5 0 13.010 9,7 91,4 TOTALE 100 6.629 100 48 6,1 49,3

(1) Direttori generali, dirigenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, dirigenti ex art. 110 Tuel.(2) Personale appartenente alle categorie da A a D e alte specializzazioni ex art. 110 Tuel.(3) Personale a tempo determinato ex art. 90 del Tuel e personale contrattista.(4) Personale a tempo determinato, con contratto di formazione lavoro, interinali, Lsu. Espressi in unità annue.Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop e Istat

I comuni di minime e minori dimensioni demo-grafiche hanno una media di dipendenti in organi-co che varia da poco più di 3, per quelli appartenen-ti alla classe demografica con meno di 500 abitanti, a 33 per quelli della classe demografica da 5 a 10 mi-la abitanti. I dipendenti dei comuni appartenenti alla classe da 20.000 a 60.000 residenti, la più importan-te in termini di popolazione complessiva dell’intero aggregato, sono in media 175.

Nei dieci comuni più popolati (che raggruppano il 16 per cento della popolazione dell’aggregato) si concentra il 25 per cento del totale dei dipendenti.

I dirigenti – presenti in modo significativo a par-tire dai comuni con più di diecimila abitanti – coordi-nano mediamente circa 50 dipendenti, valore che ar-riva a 91 nei comuni di maggiori dimensioni. Il rap-porto supera il valore di 1/100 a Milano e si avvicina a tale valore a Napoli e a Roma.

13. Con riferimento al trattamento economico, i dati del conto annuale 2013 evidenziano un valo-re della retribuzione complessiva superiore in media per i dipendenti delle regioni rispetto a quella perce-pita dal personale delle province e dei comuni (tav. 5 e 6).

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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Tavola 5 – Retribuzioni medie 2013 del personale di regioni a statuto ordinario, province e comuni

REGIONE

REGIONI PROVINCE COMUNIDirigenti

(1) Non dirigenti

(2) Dirigenti

(1) Non dirigenti

(2) Dirigenti

(1) Non dirigenti

(2)

TOTALE%

Accessorio su totale

TOTALE Accessorio su totale TOTALE Accessorio

su totale TOTALE Accessorio su totale TOTALE Accessorio

su totale TOTALE Accessorio su totale

Piemonte 115.903 50 39.370 32 101.667 54 30.498 21 86.391 45 29.776 22Liguria 95.145 43 34.100 23 94.526 52 28.617 16 89.443 48 27.995 17Lombardia 116.146 44 34.373 27 104.435 52 29.079 18 94.716 52 28.234 18Veneto 95.973 46 30.789 24 102.405 54 28.592 18 91.333 49 28.139 18Emilia Roma-gna 103.785 53 32.235 23 85.528 46 27.755 14 82.247 41 26.849 15Toscana 109.245 52 33.759 27 91.997 47 27.496 15 84.036 46 27.223 15Umbria 90.002 37 32.228 20 95.585 46 27.856 16 84.068 43 27.472 16Marche 101.628 48 31.053 20 94.847 50 27.792 15 83.660 43 27.144 16Lazio 117.410 58 36.352 33 127.171 62 30.160 21 112.386 58 29.740 22Abruzzo 100.891 52 32.059 25 102.552 55 27.444 16 85.418 45 26.689 17Molise 112.576 59 36.501 30 113.231 58 29.438 15 81.973 45 27.079 17Campania 117.385 60 34.537 27 110.037 54 29.128 15 86.818 47 27.907 16Puglia 95.674 47 33.832 24 93.614 49 28.837 17 87.719 48 28.186 18Basilicata 105.109 46 34.439 24 109.838 53 28.506 15 88.458 47 26.801 16Calabria 103.589 54 32.419 24 104.173 54 27.905 13 82.215 47 26.263 14TOTALE 107.513 51 34.109 27 100.438 52 28.854 17 90.610 48 28.116 18

(1) Direttori generali, dirigenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, dirigenti ex art. 110 Tuel.(2) Personale appartenente alle categorie da A a D e alte specializzazioni ex art. 110 Tuel.Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop

Tavola 6 – Rapporto fra le retribuzioni medie 2013 del personaleregioni a statuto ordinario, province e comuni

Categoria Regioni su province

Regioni sucomuni

Province sucomuni

Dirigenti 1,07 1,19 1,11Non dirigenti 1,18 1,21 1,03

Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop

La differenza è meno evidente per i dirigenti re-gionali rispetto a quelli provinciali (+7 per cento – dato, peraltro, non omogeneo e fortemente influen-zato dalle elevate retribuzioni nella Regione Lazio e in Campania). Più elevata la differenza tra le retribu-zioni dei dirigenti regionali rispetto a quelli dei co-muni (+10 per cento).

Per quanto attiene al restante personale di ruolo, la differenza è pari al 18 per cento fra regioni e pro-vince e al 21 per cento tra le regioni e i comuni (1).

(1) La differenza nelle retribuzioni medie è evidente an-che tra enti della medesima tipologia.

Per le regioni le retribuzioni medie oscillano, per la diri-genza, dai 90.000 euro in Umbria ai 117.000 in Campania e Lazio e, per i funzionari, dai 31.000 in Veneto ai 39.000 in Pie-monte.

Significative le differenze anche nelle province dove il

Particolarmente significativo il divario nei tratta-menti accessori che dipendono dal diverso dimensio-namento dei fondi unici di amministrazione nei sin-goli enti (2).

dato relativo all’amministrazione provinciale di Roma alza la media retributiva dei dirigenti di tutte le province del Lazio (127.000 euro a fronte di una media di 100 mila euro). La re-tribuzione più elevata per il personale non dirigente si registra in Lazio e Piemonte (30.000 euro annui lordi a fronte di una media 28.800).

Per i comuni il diverso trattamento retributivo dipende più che dalla ubicazione geografica dalle diverse caratteristiche demografiche degli enti.

Per una analisi dettagliata delle differenze retributive, si rinvia alle tabelle contenute nella citata delibera della Sezione delle autonomie.

(2) Con riferimento alle componenti stipendiali della retri-buzione (il cui valore è determinato in modo uniforme per

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Più volte la Corte ha sottolineato gli effetti di-storsivi, in termini di entità complessiva della spesa di personale, anche sotto il profilo della disomoge-neità delle retribuzioni nei diversi enti per effetto di alcune norme introdotte nella contrattazione collet-tiva a partire dal quadriennio normativo 1998-2001 che hanno consentito, senza la fissazione di un tetto massimo, l’integrazione delle risorse per la contrat-tazione di secondo livello a fronte del raggiungimen-to di parametri non sufficientemente severi di virtuo-sità finanziaria.

Numerosi enti hanno altresì fatto ampiamente ri-corso alla possibilità – anch’essa prevista dalla con-trattazione collettiva nazionale – di incrementare i fondi unici in connessione con asserite operazioni di riordino amministrativo e di assunzione di nuovi ser-vizi.

Da una apposita indagine compiuta sulla base di specifiche elaborazioni effettuate dalla Rgs-Igop e trasfuse nella Relazione 2013 sul costo del lavo-ro pubblico è emersa, inoltre, una non uniforme ap-plicazione della normativa in materia di vincoli al-la crescita dei fondi unici. Per numerosi enti è sta-to evidenziato un aumento delle risorse pur nel pe-riodo di vigenza dei predetti limiti previsti dal d.l. n. 78/2010.

Per i dirigenti le differenze nel trattamento ac-cessorio riflettono il diverso valore dell’indennità di posizione di parte variabile (per la quale comunque la contrattazione collettiva fissa un tetto massimo) e dell’indennità di risultato che dipende esclusivamen-

te dal numero dei dirigenti in servizio e dall’ammon-tare della residue disponibilità dei fondi unici.

Le modalità di pagamento dell’indennità di risul-tato (corrisposta spesso in anni successivi a quello di svolgimento delle attività) rende difficile l’interpre-tazione dei dati del conto annuale che sono espressi in termini di cassa.

Relativamente al personale non dirigente (cate-gorie da A a D) le disponibilità presenti nei fondi so-no state utilizzate in gran parte per finanziarie nel tempo procedure di progressione verso livelli eco-nomici superiori.

A carico dei fondi unici è posta, inoltre, la corre-sponsione al personale di categoria D titolare di po-sizione organizzativa delle indennità di posizione e risultato.

Le predette indennità presentano valori medi par-ticolarmente significativi per i funzionari delle re-gioni e contribuiscono a determinare le evidenziate differenze nella retribuzione media, tenuto conto del forte addensamento (47 per cento) del personale re-gionale nella categoria più elevata.

La tavola 7 evidenzia, al netto delle disponibili-tà utilizzate per le progressioni economiche, l’utiliz-zo delle risorse presenti nei fondi unici tra le diver-se finalità.

Emerge una disponibilità per i compensi lega-ti alla produttività significativa solo per le regioni, mentre per il personale dei comuni, la politica incen-tivante può beneficiare di poco più di 800 euro lor-di annui.

Tavola 7 – Trattamento accessorio 2013 – personale delle categorie da A a D – regioni a statuto ordinario e relative province e comuni

Categoria Indennità di Comparto

Indennità di vacanza

contrattualeStraordinario Rischio -

Disagio Produttività Posizioni organizzative Altre voci TOTALE

Regioni 565 170 242 536 2.683 3.290 1.607 9.094 Province 543 163 287 439 1.259 775 972 4.439 Comuni 530 155 733 716 817 1.052 948 4.951

Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop

tutti gli enti del comparto dalla contrattazione collettiva nazio-nale) il divario per la dirigenza riflette, da un lato, la maggiore o minore presenza di figure atipiche (dirigenti generali, diri-genti con contratto a termine, dirigenti fiduciari assunti ai sen-si dell’art. 110 Tuel) che beneficiano mediamente di trattamen-ti superiori e, dall’altro, il peso della tredicesima mensilità,

che include la quota relativa alla retribuzione di posizione e a quella di risultato.

Per il restante personale la differenza di trattamento fisso medio è da ricondurre alla percentuale di concentrazione dei dipendenti nei livelli più elevati delle fasce professionali e delle categorie economiche all’interno di queste ultime.

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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Un discorso particolare riguarda la retribuzione dei segretari comunali e provinciali (tav. 8).

A fronte di un trattamento fisso analogo a quel-lo dei dirigenti, i segretari con incarico presso le pro-vince percepiscono un accessorio di gran lunga supe-riore nei valori medi rispetto a quelli in servizio pres-so i comuni.

In particolare, la retribuzione di posizione risul-ta il doppio per gli incarichi presso la provincia (tut-ti riservati ai soggetti collocati nella fascia più eleva-

ta di inquadramento), così come maggiormente ele-vato è il valore medio delle altre voci retributive pre-viste dalla contrattazione collettiva (risultato, rogi-to, diritti di segreteria, perequazione con i dirigen-ti generali).

Si tratta di differenze che dovrebbero venire rias-sorbite nella prospettiva indicata dal disegno di leg-ge sulla riorganizzazione della pubblica amministra-zione, che prevede la soppressione della categoria e l’ingresso dei segretari appartenenti alla fasce supe-riori nel ruolo della dirigenza unica di regioni ed en-ti locali.

14. Lo scenario sopradescritto sottolinea con forza l’urgenza di mirati interventi di riequilibrio degli assetti organizzativi e di revisione della nor-

mativa contrattuale che regola la costituzione e l’u-tilizzo dei fondi unici per riequilibrare le differen-ze esistenti nei diversi enti e fra le diverse catego-rie di personale.

Il rischio da evitare, attraverso opportuni accor-gimenti operativi, è che l’assorbimento dei sopran-numerari delle province determini un ulteriore con-solidamento dell’attuale situazione rendendo, quin-di, più difficile anziché favorire la predetta necessa-ria operazione di riordino.

11 – Sezioni riunite in sede di controllo; decisione 25 giugno 2015; Pres. Squitieri, Rel. Laterza; de-cisione e relazione al Parlamento sul rendicon-to generale dello Stato per l’esercizio finanzia-rio 2014.

Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Corte dei conti – Parificazione del rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2014 – Verifica di affidabilità dei conti – Crite-ri metodologici.

Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Corte dei conti – Relazione al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2014 – Disciplina dell’ordinamen-to contabile.

Tavola 8 – Focus sulla retribuzione dei segretari di province e comuni (Rso)

Regione

PROVINCE COMUNI

Vocistipendiali (1) Posizione Risultato Altre voci

(2) Retribuzione Voci sti-pendiali

(1)Posizione Risultato Altre

voci (2)Retribu-

zione

Piemonte 51.112 45.347 16.645 24.714 137.818 44.684 15.587 4.829 26.745 91.845

Liguria 47.230 45.206 8.892 64.350 165.677 44.699 18.613 5.118 24.167 92.598

Lombardia 48.568 45.678 9.565 41.768 145.579 45.039 20.284 5.957 28.954 100.234

Veneto 47.304 46.342 8.849 48.986 151.482 44.980 21.206 5.111 26.311 97.609

Emilia Romagna 48.608 44.309 9.522 26.884 129.324 45.677 21.558 5.526 24.614 97.375

Toscana 49.446 45.476 12.011 38.302 145.234 44.918 21.633 5.338 20.218 92.107

Umbria 48.083 47.637 6.344 41.076 143.138 44.983 20.351 5.764 19.265 90.364

Marche 48.328 46.480 6.410 7.308 108.526 45.552 18.670 3.917 18.950 87.089

Lazio 48.395 36.057 15.655 64.100 164.208 44.230 20.038 5.172 16.640 86.081

Abruzzo 49.404 48.265 4.432 47.602 149.703 44.384 16.335 2.467 13.254 76.440

Molise 47.990 47.181 8.277 5.070 108.518 43.440 12.355 2.885 12.126 70.806

Campania 51.577 47.986 8.357 36.141 144.061 44.777 17.897 4.748 11.822 79.243

Puglia 47.939 46.758 7.568 21.297 123.563 45.485 23.722 4.803 15.389 89.400

Basilicata 48.404 45.947 19.652 54.117 168.119 44.472 17.760 4.049 15.240 81.522

Calabria 49.511 48.013 8.207 39.088 144.819 44.681 16.253 3.049 12.828 76.812

TOTALE 48.958 45.609 10.141 36.688 141.395 44.868 19.023 4.852 20.815 89.558

Fonte: elaborazione su dati Rgs-Igop

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La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede di controllo, ha deliberato, ai fini della parificazione del rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finan-ziario 2014, i criteri metodologici (relativi alle proce-dure di campionamento, alla tipologia dei titoli di pa-gamento, alle fasce di importo dei titoli, alla rappre-sentatività del campione rispetto a tutti i ministeri) in base ai quali verificare l’affidabilità degli aggregati contabili contenuti nel bilancio dello Stato. (1)

La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede di controllo, ha deliberato, nell’ambito della relazio-ne al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2014, un’analisi dell’or-dinamento contabile e delle sue criticità, anche con riguardo alle misure finora adottate dall’Italia per adeguare la legge di contabilità e le regole della ge-stione alle esigenze della stabilità finanziaria e al ri-spetto dei vincoli europei. (2)

I

Rendiconto della spesa

Sommario: 1. Premessa e metodologie di indagine adottate. – 2. Significatività del campione statistico. – 3. Sintesi e conclusioni.

1. Premessa e metodologie di indagine adottateLa valutazione di alcune poste della spesa del ren-

diconto generale dello Stato, mediante verifica dei pa-gamenti effettuati nell’esercizio al quale detto rendi-conto si riferisce (a valere sia sulla competenza che sui residui), è ormai diventata parte integrante delle attività di accertamento necessarie ai fini del giudizio di parificazione. Tali verifiche – dirette ad accertare la regolarità dei procedimenti di spesa posti in esse-re dalle amministrazioni centrali dello Stato e finaliz-zate alla dichiarazione di affidabilità dei dati contabi-li esposti nel conto del bilancio – sono peraltro previ-ste nell’ambito della programmazione dei controlli e delle analisi della Corte dei conti per l’anno 2015, ap-provata dalle Sezioni riunite in sede di controllo (de-

lib. n. 14/2014). Nella citata deliberazione è stato sta-bilito, inoltre, che, nel corso del 2015, anche in sede regionale, con la collaborazione delle sezioni di con-trollo competenti, fossero sperimentate, avvalendosi di metodologie statistiche di tipo campionario, attività di verifica analoghe a quelle svolte in sede di parifica del rendiconto generale dello Stato (1).

In tal senso, la valutazione dell’affidabilità del-le scritture contabili relative ai rendiconti regiona-li, diretta ad accertare la regolarità dei procedimen-ti di spesa delle amministrazioni regionali in specifi-che aree di interesse, è stata avviata nell’anno in cor-so, in via sperimentale, in tre regioni: Lazio, Lom-bardia e Liguria. In coerenza con le esperienze ma-turate nell’ambito del rendiconto generale dello Sta-to, i titoli di spesa da sottoporre a verifica sono sta-ti “campionati”, adottando modelli statistici consoli-dati in ambito europeo, in grado di esprimere i rischi tecnici insiti nel modello di controllo e la percentua-le di affidabilità del modello stesso (2).

La sperimentazione nelle sedi regionali interes-sate è stata ispirata a criteri di semplificazione rispet-to al modello adottato per le amministrazioni centra-li dello Stato, pur conservandone le principali carat-teristiche di operatività (3). L’avvio di tali procedu-re potrà essere di supporto anche al processo di co-noscenza finalizzato all’armonizzazione dei sistemi contabili, prevista dal d.lgs. n. 118/2011 e successive modificazioni e integrazioni.

Anche per il rendiconto generale dello Stato re-lativo all’anno 2014, le Sezioni riunite hanno con-fermato i criteri di svolgimento delle attività di con-trollo, volte alla misurazione del grado di affidabilità

(1) Analogamente, per quanto riguarda la parificazione dei rendiconti regionali, la delib. n. 14/2014, in Rivista web Corte conti, fasc. n. 3/Marzo 2015, www.rivistacorteconti.it, ha previsto, tra l’altro, che accanto alle altre attività istruttorie finalizzate al giudizio di parificazione, sia eventualmente esplorata la possibilità di procedere a stime dell’attendibilità e dell’affidabilità degli aggregati contabili mediante campiona-mento statistico, basate su modelli consolidati in ambito euro-peo, posto che le relative valutazioni, in linea di massima, so-no parte integrante della relazione allegata e non della decisio-ne di parifica in senso stretto.

(2) Si citano le esperienze maturate in Sicilia e Friuli-Ve-nezia Giulia; in quest’ultima previste da apposita disposizione normativa (art. 33 d.p.r. n. 902/1975, così come modificato dal d.lgs. n. 125/2003).

(3) La sperimentazione necessiterà, altresì, di una verifica a posteriori dei criteri di selezione adottati, in relazione alle ri-sultanze dei controlli eseguiti; ciò consentirà di acquisire mag-giori elementi di conoscenza sui rendiconti delle regioni inte-ressate e, conseguentemente, sulle poste di rendiconto che si intendono sottoporre alle verifiche di affidabilità.

(1-2) Si pubblicano, di seguito, due capitoli della Relazio-ne della Corte dei conti al Parlamento sul rendiconto genera-le dello Stato per l’esercizio finanziario 2014, Roma, 2014, il cui testo integrale si legge in Rivista web Corte conti, fasc. n. 4/Luglio 2015, www.rivistacorteconti.it.

Il capitolo sub I, “Rendiconto della spesa”, è tratto dal vol. III della relazione, relativo all’“Attendibilità delle scrit-ture contabili”. Il capitolo sub II, “L’ordinamento contabile”, è tratto dal vol. I, “I conti dello Stato e le politiche di bilancio”.

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dei conti, come strumento integrativo del giudizio di parificazione (4). Tali criteri prevedono l’evidenzia-zione delle criticità riscontrate, per le quali non sia-no stati forniti elementi di chiarimento dalle ammi-nistrazioni o per le quali detti elementi non siano sta-ti ritenuti sufficienti.

Come negli anni precedenti, anche per l’analisi svolta con riferimento all’esercizio finanziario 2014, la Corte dei conti ha potuto operare esclusivamen-te sulle risultanze del “pagato”, persistendo l’impos-sibilità di accedere direttamente al c.d. “conto im-pegni” del Sistema informativo integrato Corte dei conti-Rgs. A tale riguardo non può non ribadirsi quanto già evidenziato nella precedente relazione in merito alla prioritaria esigenza informativa: tale esi-genza costituisce base necessaria per la messa a pun-to di un più ampio sistema conoscitivo della Corte, finalizzato a mettere la Corte stessa nella condizio-ne di svolgere al meglio i compiti di referto e di con-trollo sulla gestione che ad essa sono dalla legge as-segnati. Ciò anche alla luce dell’art. 30 l. 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis). È auspicabi-le, pertanto, che al più presto si trovi adeguata solu-zione ai competenti livelli istituzionali (5).

L’attività è stata svolta con riferimento a stime di affidabilità degli aggregati contabili contenuti nel bi-lancio dello Stato. Al riguardo, particolare valore ri-veste, per la validità tecnica del progetto, l’attività di campionamento, basata su modelli statistici consoli-dati anche in ambito europeo (6).

L’estrazione del campione statistico, relativa ai pagamenti desunti dal rendiconto generale dello Sta-to per l’esercizio finanziario 2014, si è basata sulla metodologia statistica adottata negli anni scorsi (7),

(4) A tal fine, l’attività di auditing finanziario-contabile attraverso accertamenti diretti sulla regolarità dei procedimen-ti seguiti in specifiche aree di intervento, è stata posta in esse-re con l’ausilio di strumenti informatici e di approcci metodo-logici tratti dall’esperienza internazionale.

(5) Al riguardo, peraltro, è utile osservare che l’integrale accesso alle basi informative delle amministrazioni pubbliche da parte degli organi esterni di controllo è da tempo realtà ne-gli altri paesi europei.

(6) L’approccio campionario si adegua al sistema Mus (Monetary unit sampling) adottato dalla Corte dei conti euro-pea per effettuare, nel contesto della dichiarazione annuale di affidabilità (Déclaration d’assurance et de sincérité-Das), i c.d. “test di convalida”, mirati alla verifica ex post della legit-timità e regolarità delle operazioni sottostanti ai conti del bi-lancio.

(7) Le fasi qui di seguito riportate, nelle quali si è articolata l’indagine, sono quelle tipiche di un’indagine campionaria:

- determinazione dell’universo di riferimento (c.d. “popo-lazione obiettivo”);

salvo alcune modifiche necessarie ad adeguare il pia-no di campionamento alle risultanze emerse negli esercizi pregressi, in termini sia di tipologia di spesa sottoposta a controllo, sia di irregolarità riscontrate.

Tra le tipologie dei titoli di pagamento (ordini di accreditamento, ordinativi diretti, note d’imputazio-ne, ruoli di spesa fissa, spese di giustizia e spese per debito vitalizio) anche per il rendiconto 2014 è stata confermata la scelta di considerare solo gli ordinati-vi diretti emessi nell’esercizio finanziario cui il ren-diconto si riferisce.

È stata confermata, anche per continuità di anali-si, l’individuazione delle categorie economiche rite-nute di maggiore interesse (8) e la suddivisione del-le stesse in due sottoinsiemi rappresentati, da un lato, dalle categorie II e XXI, dall’altro, dalle rimanenti categorie selezionate: ciò al fine di consentire, in ter-mini di rispondenza al fattore di maggior “rischio”, di privilegiare nell’estrazione campionaria le unità statistiche presenti nel primo aggregato.

Per quanto riguarda le fasce di importo è stata con-fermata la suddivisione della popolazione obiettivo in fasce di importo in termini di “pagato”, per le quali è stato stimato un rischio differenziato. Con riferimento alla fascia di ordinativi di pagamento (Op) di impor-to più basso, si è ritenuto opportuno non considerare, nella procedura d’estrazione delle unità campionarie, i titoli con importo inferiore o uguale a 200 euro (c.d. “titoli polvere”, che rischiano di ridurre la significati-vità complessiva delle analisi svolte). Tale scelta, pe-raltro, comporta un’esclusione di titoli da sottoporre a campione, in termini quantitativi, di valore modesto.

- esecuzione del “piano di campionamento” e costruzione del “campione statistico adeguatamente rappresentativo”;

- raccolta dei dati;- elaborazione e analisi dei dati.(8) Categorie considerate:- categoria II: consumi intermedi;- categoria V: trasferimenti correnti a famiglie e istituzio-

ni sociali private;- categoria VI: trasferimenti correnti a imprese “non pub-

bliche” (solo cat. VI.1.1; VI.1.2.1; VI.1.2.5; VI.1.3.1; VI.1.4.1; VI.2);

- categoria XII: altre uscite correnti;- categoria XXI: investimenti fissi lordi e acquisti di terreni;- categoria XXIII: contributi agli investimenti a imprese

“non pubbliche” (solo cat. XXIII.1);- categoria XXIV: contributi agli investimenti a famiglie e

istituzioni sociali private;- categoria XXVI: altri trasferimenti in conto capitale a

imprese “non pubbliche”, famiglie e istituzionali sociali priva-te (solo cat. XXVI.2 e XXVI.3).

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Nell’all. 1 (allegato statistico-numerico) sono de-scritti i titoli di spesa appartenenti alla fascia di cui sopra sottratta al campione.

È stato confermato anche per il 2014 il numero dei titoli da sottoporre a controllo: le Sezioni riunite hanno ritenuto di confermare in 400 il numero dei ti-toli da sottoporre a esame.

Alcuni elementi di selezione di tipo qualitativo permangono anche per il rendiconto 2014: in primo luogo è stata confermata l’esclusione dalla popola-zione obiettivo delle contabilità speciali, istituto di-sciplinato dagli artt. 585 e 591 del regolamento di contabilità generale dello Stato, poiché i relativi ren-diconti possono essere oggetto di specifiche verifiche nell’ambito del controllo successivo sulla gestione.

Ulteriore esclusione, già prevista dal rendiconto 2013, riguarda le spese a carattere riservato. Nel pren-dere atto del carattere di riservatezza di tali spese, si è avuto riguardo alla circostanza che esse sono assogget-tate al controllo di altre sezioni della Corte dei conti.

Inoltre, al fine di consentire un’analisi più estesa

nell’ambito dei singoli capitoli di spesa, è stata con-fermata l’adozione di criteri che consentano alla pro-cedura di campionamento di estrarre titoli che non appartengano allo stesso piano gestionale. In tal mo-do si è ridotto il rischio di duplicazioni di controllo e quindi di verifiche che ricadano su tipologie di spesa sostanzialmente analoghe.

In ultimo, seguendo prassi consolidate nelle in-dagini campionarie più diffuse, sono stati censiti (os-sia considerati nella loro totalità) e sottoposti a con-trollo i titoli di spesa superiori o uguali a 100 milio-ni di euro.

I ministeri, come si evince dalla tavola che segue, sono egualmente rappresentati in termini di numero-sità campionaria. Il campione estratto riguarda 390 ordinativi di pagamento, a cui si aggiungono 10 titoli censiti che rappresentano in termini finanziari i valo-ri più alti della popolazione obiettivo, ossia ordinati-vi di pagamento superiori ai 100 milioni.In sintesi, il piano di campionamento è rappresenta-to dalla tavola che segue:

Tavola 1 – Piano di campionamento 2015

Ministero

Fascia 1 (<=15.000) Fascia 2 (>15.000; <=125.000) Fascia 3 (>125.000)TotaleCons.

inte & Inv

Altro (No 2 e 21) Totale Cons. inte

& InvAltro (No

2 e 21) TotaleCons. inte &

Inv

Altro (No 2 e 21) Totale

Estratti in modo causale (MUS)Min. economia e delle finanze 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30

Min. sviluppo economia 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. lavoro 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. giustizia 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. affari esteri 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Miur 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. interno 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. ambiente 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. infrastrutture 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. difesa 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. politiche agricole 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. i beni culturali 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Min. salute 8 2 10 12 3 15 3 2 5 30Totale 104 26 130 156 39 195 39 26 65 390% rispetto fascia/totale 80% 20% 33% 80% 20% 50% 60% 40% 17% 100%

Estratti in modo deterministica (OP con importo uguale o superiori a 100 milioni di euro)Min. economia e delle finanze 3 5 8

Min. lavoro 1 1Min. difesa 1 1Totale 4 6 10

Totale complessivo 104 26 130 156 39 195 43 32 75 400

Fonte: elaborazioni su dati Sogei s.p.a.

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2. Significatività del campione statisticoIl piano di campionamento che si riferisce all’e-

sercizio finanziario 2014 è stato realizzato mediante un algoritmo (9) che ha tenuto conto delle variabili definite preventivamente ed in particolare della stra-tificazione per ministero, dei sottoinsiemi di catego-rie, delle fasce di importo predefinite e delle variabi-li innovative sopra descritte.

L’unità statistica è rappresentata dall’ordinativo di pagamento emesso nell’anno di riferimento del rendiconto, individuato in base agli elementi deri-vanti dal sistema informativo (ministero competen-te, categoria economica di spesa, capitolo, denomi-nazione capitolo, piano gestionale, numero dell’or-dinativo, clausola d’impegno, beneficiario, importo, ragioneria e tesoreria di competenza, ecc.).

Le contabilità speciali, escluse dalla popolazione obiettivo rappresentano circa il 51 per cento del bi-lancio dello Stato, in termini di pagato.

Quanto alle ulteriori esclusioni, si evidenzia che le spese a carattere riservato rappresentano un valo-re, in termini di pagato, molto esiguo (circa 98 mln), che rappresenta, insieme alle spese per personale co-mandato, inserite nella categoria di consumi interme-di (10), lo 0,7 per cento della popolazione obiettivo.

La popolazione obiettivo, in termini di spesa, è pari a 14,6 miliardi e rappresenta circa il 2 per cen-to dell’intero bilancio dello Stato (al netto delle con-tabilità speciali è pari al 4,2 per cento). In termini di ordinativi diretti emessi essa rappresenta il 25,8 per cento del totale dei titoli di pagamento del bilancio dello Stato (al netto delle contabilità speciali il 37,4 per cento) e il 32,9 per cento del totale degli ordina-tivi diretti del bilancio dello Stato (al netto delle con-tabilità speciali il 48,8 per cento).

In relazione a tale popolazione obiettivo e ai di-versi livelli di rischio, l’estrazione ha riguardato complessivamente n. 390 titoli per le 13 amministra-zioni centrali, in maniera uniforme. A tale numero sono stati aggiunte 10 unità che si riferiscono ai tito-li superiori ai 100 milioni.

Il campione estratto e le unità censite (11) sono state in termini di spesa pari a 3,1 miliardi di spesa

(9) Elaborato con il supporto tecnico della Sogei s.p.a.(10) Tali spese ammontano a circa 2 milioni.(11) L’estrazione del campione dal sistema informativo

Rgs-Corte dei conti è stata effettuata il giorno 23 gennaio 2015. I dati di riferimento, pertanto, sono stati quelli relativi alla popolazione obiettivo osservata a quella data. La verifica di eventuali scostamenti per gli ordinativi superiori ai 100 mi-lioni è stata effettuata il 12 gennaio e non ha comportato alcu-na modifica dei titoli censiti.

e rappresentano il 21,3 per cento della popolazione obiettivo, attestandosi quindi ad un livello di signifi-catività compatibile con gli standard europei.

A titolo riepilogativo, nella tavola che segue so-no riportati i dati che hanno costituito la base di rife-rimento relativa alla procedura adottata per la defini-zione del campione estratto.

Tavola 2 – Dati finanziari – Campione esercizio finanziario 2014(in milioni)

N. titoli emessi Pagato totaleTotale bilancio dello Stato Totale spese finali (tit I+tit II)

658.543 714.651563.115

Popolazione obiettivoFino a 15.00015.000-125.000125.000-1000.000.000Oltre 100.000.000

165.948135.61720.7579.564

10

14.587347955

10.5602.723

Campione estratto200-15.00020.000-125.000125.000-100.000.000

40013019565

3871

11376

Ordinativi censitiOltre 100.000.000 10 2.723

Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati Rgs – dati al 12 gennaio 2015

L’attività di valutazione della regolarità ammini-strativo-contabile dei singoli atti di spesa oggetto del campione selezionato ha riguardato le amministra-zioni centrali dello Stato, con le quali si è sviluppa-to un costruttivo contraddittorio con la preziosa col-laborazione degli uffici centrali di bilancio e delle ra-gionerie territoriali del Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della ragioneria genera-le dello Stato. In particolare, a seguito dell’estrazio-ne del campione è stata inoltrata, per il tramite degli uffici centrali di bilancio e delle ragionerie territoria-li competenti, la richiesta della documentazione giu-stificativa della spesa, corredata di eventuali elemen-ti illustrativi sul procedimento presupposto all’emis-sione dell’ordinativo di pagamento. Con riferimento ai 45 titoli pagati attraverso le ragionerie territoria-li dello Stato, per l’acquisizione della documentazio-ne, ci si è avvalsi della cooperazione dell’ispettorato generale di finanza del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato.

L’accertamento della regolarità amministrati-vo-contabile è stato svolto, relativamente ad ogni ti-tolo di spesa (12), sugli atti presupposti e sulla rela-tiva documentazione giustificativa. Inoltre, sono sta-ti convocati i responsabili del procedimento di emis-sione del titolo di spesa delle amministrazioni cen-trali dello Stato, competenti per materia, che, in au-

(12) Si ricorda che l’unità statistica di riferimento è il sin-golo titolo di spesa.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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dizione ovvero successivamente con separate note, hanno fornito elementi di informazione e di valuta-zione (13).

Nella tavola che segue si riportano le ragionerie territoriali interessate ed il numero di titoli sottopo-sti a controllo.Tavola 3 – Ordinativi di pagamento territoriali

Ministero – Ragioneria n. titoli estratti

Ministero dell’economia e delle finanzeRagioneria territoriale dello Stato di Vincenza 1Ragioneria territoriale dello Stato di Frosinone 1Ragioneria territoriale dello Stato di Roma 1Ragioneria territoriale dello Stato di Bari 1

Ministero della giustiziaRagioneria territoriale dello Stato di Milano 4Ragioneria territoriale dello Stato di Genova 1Ragioneria territoriale dello Stato di Venezia 1Ragioneria territoriale dello Stato di Bologna 2Ragioneria territoriale dello Stato di Roma 1Ragioneria territoriale dello Stato di Pescara 1Ragioneria territoriale dello Stato di Napoli 2Ragioneria territoriale dello Stato di Palermo 1

Ministero delle infrastrutture e trasportiRagioneria territoriale dello Stato di Milano 1Ragioneria territoriale dello Stato di Venezia 3Ragioneria territoriale dello Stato di Trieste 1Ragioneria territoriale dello Stato di Bologna 1Ragioneria territoriale dello Stato di Firenze 1Ragioneria territoriale dello Stato di Roma 2Ragioneria territoriale dello Stato di Napoli 1Ragioneria territoriale dello Stato di Bari 2Ragioneria territoriale dello Stato di Potenza 1Ragioneria territoriale dello Stato di Palermo 2

Ministero delle politiche agricole e forestaliRagioneria territoriale dello Stato di Treviso 1Ragioneria territoriale dello Stato di Napoli 1

Ministero della saluteRagioneria territoriale dello Stato di Napoli 3Ragioneria territoriale dello Stato di Catania 1Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientificaRagioneria territoriale dello Stato di Torino 1Ragioneria territoriale dello Stato di Genova 1Ragioneria territoriale dello Stato di Firenze 1Ragioneria territoriale dello Stato di Roma 2Ragioneria territoriale dello Stato di Palermo 1Ragioneria territoriale dello Stato di Cagliari 1Totale titoli 45

Fonte: elaborazione Corte dei conti

(13) Le analisi sono state condotte seguendo una checklist precedentemente definita, che rileva le informazioni necessa-rie alle verifiche in termini di normativa di riferimento della procedura contabile, dei dati contabili e finanziari ai fini di una classificazione univoca dei fenomeni riscontrati, distinta-mente per le varie tipologie di spesa delle amministrazioni.

Le amministrazioni sottoposte a controllo, gli uffici centrali di bilancio e le ragionerie territoriali hanno fattivamente collaborato con le Sezioni riun-Le amministrazioni sottoposte ite in sede di control-lo, presenziando alle attività di verifica e producen-do, a richiesta, elementi informativi e documentazio-ne integrativa (14).

3. Sintesi e conclusioniPer quanto attiene all’esito degli accertamenti

svolti in ordine al campione estratto, sono emerse al-cune criticità e per alcuni ordinativi è stato necessa-rio acquisire integrazioni documentali utili per l’e-same degli ordinativi stessi. Di seguito si sintetizza-no le criticità e le raccomandazioni rivolte alle am-ministrazioni.

Le irregolarità riscontrate sul rendiconto 2014 hanno riguardato una percentuale, calcolata in termi-ni di rapporto tra l’importo del titolo e l’ammontare della spesa campionata, che non suscita allarme sul piano dell’affidabilità dei conti.

Tuttavia, è in corso l’istruttoria relativamente a 15 ordinativi di pagamento, per i quali le ammini-strazioni interpellate non hanno fatto pervenire, alla data del giudizio di parificazione, gli elementi di ri-sposta richiesti.

Su tali titoli di spesa la Corte si riserva di valuta-re la regolarità amministrativa e contabile dei proce-dimenti presupposti all’esito dell’istruttoria.

In particolar modo, sono state evidenziate le se-guenti criticità:

a) mancato espletamento di gara pubblica per l’attribuzione della concessione dell’esercizio di scommesse ippiche. Trasmissione del fascicolo alla competente procura della Corte dei conti;

b) mancata applicazione della riduzione del 15 per cento del canone di locazione sulla mensilità di luglio 2014 mese di luglio. Trasmissione del fasci-colo alla competente procura della Corte dei conti;

c) esborso da parte dell’amministrazione della somma di 1 milione di euro, a fronte di risultati di un progetto non utilizzato. Trasmissione del fascico-lo alla competente procura della Corte dei conti;

d) non corretta imputazione della spesa relativa ad un ordinativo di pagamento, sulla base della mo-tivazione dell’insufficienza di somme disponibili sul capitolo di spesa specifico (incapienza) e conseguen-te imputazione delle somme ad altro capitolo aven-te disponibilità (capiente). L’amministrazione, in os-

(14) Sono stati richiesti documenti aggiuntivi per circa 150 ordinativi di pagamento.

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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sequio ai principi di trasparenza e veridicità del bi-lancio, avrebbe dovuto, infatti, ricorrere tempestiva-mente alle forme di flessibilità del bilancio consenti-te (variazioni di bilancio), in modo da evitare errate imputazioni. Su tali fenomeni è necessaria, peraltro, una più stringente azione di verifica da parte degli uf-fici della ragioneria generale dello Stato;

e) assunzione di un impegno nell’anno finanzia-rio 2014, anziché nel 2012, in contrasto con i princi-pi di annualità e trasparenza di bilancio. Su tali feno-meni è necessaria, peraltro, una più stringente azio-ne di verifica da parte degli uffici della ragioneria ge-nerale dello Stato;

f) la ricezione di una fattura in formato elettroni-co non esime l’amministrazione dalla dichiarazione di regolare esecuzione della fornitura. Pertanto, tenuto conto dell’impossibilità di apporre sul documento in-formatico detta dichiarazione (come di norma era pos-sibile sulla tradizionale fattura in formato analogico), occorre comunque che su un separato documento (in-formatico o analogico), che indichi in modo inequi-voco gli estremi della fattura, sia contenuta la dichia-razione in parola, firmata dal funzionario responsabi-le dell’accertamento della regolarità dell’esecuzione;

g) necessità di valutare la possibilità di utilizzare immobili, la cui esistenza sia stata segnalata dall’A-genzia del demanio;

h) necessità di reiterare la richiesta, all’appros-simarsi della scadenza contrattuale, all’Agenzia del demanio per l’eventuale assegnazione di alloggi de-maniali idonei;

i) necessità della verifica della possibilità di ap-provvigionarsi presso la Consip s.p.a. In mancanza di tale opzione l’amministrazione dovrà al più presto avviare la procedura ad evidenza pubblica;

j) non corretta imputazione della medesima for-nitura, effettuata ripartendo la somma complessiva, in parte su un capitolo di spesa in conto capitale, e in parte su un capitolo di spesa corrente;

k) mancato recupero di somme erroneamente percepite da società erogatrici di un servizio. La Cor-te si riserva, pertanto, di verificare l’operato dell’am-ministrazione e di segnalare alla competente procu-ra della Corte dei conti gli eventuali profili di dan-no all’erario;

l) mancato invio al controllo preventivo di legit-timità della Corte dei conti di un incarico di studio che, pur non rientrando tra le fattispecie disciplina-te dall’art. 7, c. 6, d.lgs. n. 165/2001, in relazione al suo oggetto, deve comunque ritenersi ricompreso tra le ipotesi indicate all’art. 3, c. 1, lett. f-ter), della l. n. 20/1990 e, quindi, soggetto al suddetto controllo;

m) mancata applicazione, anche all’indennità di occupazione, dell’ulteriore riduzione del 10 per cen-to, ai sensi del c. 478 dell’art. 1 della legge finanzia-ria 2006. Trasmissione del fascicolo alla competente procura della Corte dei conti;

n) mancato recupero di somme indebitamen-te percepite dall’ex presidente di una fondazione. La Corte si riserva, pertanto, di verificare l’operato dell’amministrazione e di segnalare alla competente procura della Corte dei conti gli eventuali profili di danno all’erario;

o) pagamento a titolo di interessi legali e morato-ri dovuti per ritardato pagamento della rata di saldo per eseguiti lavori di messa in sicurezza. Trasmissio-ne del fascicolo alla competente procura della Cor-te dei conti;

p) affidamento in economia, viziato dal manca-to esperimento della procedura di evidenza pubblica prevista per importi sopra soglia;

q) lentezza dell’iter procedimentale per un ac-quisto in economia (iniziato a febbraio 2010 e con-clusosi a dicembre 2014), con conseguente rischio dell’obsolescenza del materiale informatico oggetto del contratto;

r) esigenza di tener conto, in sede di programma-zione, degli obblighi derivanti dalle servitù militari che, avendo cadenza pluriennale, comportano impe-gni di spesa anche per gli anni successivi al primo;

s) esigenza di allocare in un capitolo, o quanto meno in un articolo separato, le somme necessarie a far fronte agli obblighi internazionali assunti. In di-fetto risulta necessaria un’attenta programmazione e un costante monitoraggio delle risorse destinate a far fronte, indistintamente, agli obblighi internazionali e alle attività scaturenti dagli Accordi al fine di evitare il perpetuarsi di situazioni debitorie;

t) la possibilità legislativamente prevista di avva-lersi anche di soggetti privati professionalmente ri-conosciuti per il raggiungimento di scopi istituzio-nali, non esclude, in relazione anche all’importo og-getto della convenzione, il ricorso a forme di eviden-za pubblica per la scelta del contraente o, quanto me-no, l’obbligo di fornire un’adeguata motivazione sul-le modalità di individuazione del contraente;

u) la natura non obbligatoria di un capitolo spesa, destinato a far fronte a obblighi discendenti da impe-gni internazionali assunti, potrebbe ingenerare debiti sommersi, che necessitano di essere successivamen-te comunque ripianati;

v) la prevista solidarietà in sede di responsabilità civile dispiega i suoi effetti nei soli confronti del sog-getto danneggiato, mentre nei rapporti interni tra am-

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ministrazione datore di lavoro e soggetto che ha pro-curato il danno è necessario che il ministero eserci-ti l’azione di rivalsa per intero nei confronti dell’au-tore del danno.

Peraltro, si segnala che, in alcuni casi, a seguito delle verifiche effettuate in sede di controllo, la am-ministrazioni hanno provveduto, in una data succes-siva all’espletamento dell’audit, ad inviare alla com-petente procura della Corte dei conti la segnalazione ai fini dell’accertamento dell’eventuale responsabili-tà del danno all’erario. (Omissis)

II

L’ordinamento contabile

Sommario: 1. L’Italia nell’Unione europea. – 2. Il nuovo assetto ordinamentale. – 2.1. L’adegua-mento della legge quadro. – 2.2. L’Ufficio parla-mentare di bilancio. – 2.3. Il nuovo sistema euro-peo dei conti. – 2.4. Le misure anticorruzione e per la trasparenza. – 2.5. L’attuazione delle nor-me sul controllo degli enti territoriali. – 2.6. Con-trollo di costituzionalità e vincoli europei. – 2.7. La giurisprudenza costituzionale. – 3. I provve-dimenti contabili del 2014. – 3.1. L’assestamen-to di bilancio. – 3.2. Il rendiconto 2013. – 3.3. La nota di aggiornamento. – 3.4. Il rapporto sull’e-vasione fiscale. – 3.5. Il documento programma-tico di bilancio. – 3.6. La legge di stabilità. – 3.7. Il bilancio di previsione. – 3.8. Anomalie della legislazione. – 4. Prospettive di riforma. – 4.1. Struttura del bilancio e potenziamento della cas-sa. – 4.2. La banca dati unitaria. – 4.3. Il coordi-namento della finanza pubblica. – 4.4. Evoluzio-ne del patto di stabilità interno. – 4.5. Il bilancio a base zero. – 4.6. Il nuovo Documento di eco-nomia e finanza. – 4.7. Analisi e valutazione del-la spesa. – 4.8. Il rendiconto 2014. – 4.9. Il ritar-do dei pagamenti. – 4.10. Fatturazione elettroni-ca, integrazione informatica e semplificazione. – 4.11. L’armonizzazione contabile. – 4.12. Ritardi e inadempimenti. – 4.13. La nuova legge quadro.

1. L’Italia nell’Unione europeaNel biennio 2012-2013, l’Unione europea ha gra-

dualmente mutato la linea d’indirizzo politico, af-frontando la fase acuta della crisi economica globa-le, che ha messo a dura prova la tenuta della mone-ta unica, facendo emergere le lacune del sistema. Gli interventi hanno, dapprima, reso più cogenti le rego-le a salvaguardia dei conti pubblici, anche con la cre-

azione di strumenti finanziari di garanzia (firewalls); in seguito, riconoscendo alla Banca centrale europea, nella pienezza della sua indipendenza, la funzione a tutela di stabilità e integrità dell’eurozona, nonché delineando importanti innovazioni per migliorarne i meccanismi di funzionamento, contestualmente al varo, anche su esplicito impulso italiano, di specifi-che misure a favore della crescita economica e della creazione di posti di lavoro.

L’avvio del nuovo ciclo del bilancio Ue 2014-2020 offre al “sistema Italia”, nelle sue componenti pubbliche e private, l’occasione per dimostrare una capacità di utilizzo degli ingenti mezzi finanziari di-sponibili sensibilmente migliore rispetto al passa-to. Del resto, essendo l’Italia, in ragione del suo Pil, contributore netto del bilancio Ue (vale a dire, uno Stato membro che versa più di quanto riceva in fi-nanziamenti), il pieno e ottimale utilizzo dei Fondi europei costituisce un dovere verso i cittadini con-tribuenti, tenuto conto della investment clause, che consente ai paesi non sottoposti a procedura per disa-vanzo eccessivo o a programmi di aiuti, di versare la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strut-turali, in deroga all’obiettivo del pareggio strutturale del bilancio pubblico.

Peraltro, in coerenza con l’ordinamento dell’U-nione, l’Italia deve ridurre l’elevato numero di infra-zioni al diritto comunitario, affinando l’analisi d’im-patto delle regole europee sul nostro sistema legi-slativo e chiedendo una complessiva semplificazio-ne della normativa. Nel contempo, a livello naziona-le, occorre perseguire un’effettiva politica di rifor-me strutturali e istituzionali, opportunamente incen-tivandole con meccanismi di solidarietà, dando così luogo a interventi di modernizzazione, per superare la situazione di evidente svantaggio competitivo nel mondo, la cui geografia economica, negli ultimi an-ni, si è profondamente modificata.

Nel secondo semestre 2014 è entrato in funzio-ne il meccanismo unico di vigilanza bancaria (sin-gle supervisory mechanism-Ssm), con l’attribuzione alla Banca centrale europea di compiti di vigilanza prudenziale sulle banche “sistemiche” (le più gran-di, circa 130 su un totale di 6.000 banche europee). Inoltre, nel corso del 2014 sono stati approvati tre at-ti legislativi che completano l’unione bancaria: il re-golamento sul meccanismo unico di risoluzione del-le crisi bancarie, che affida la ricapitalizzazione degli istituti di credito, in primo luogo, ad azionisti, obbli-gazionisti e creditori, con eventuale ricorso al Fondo unico, alimentato da contributi del settore creditizio, in sostituzione dei fondi nazionali; nonché le diretti-

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ve sul quadro comune degli strumenti nazionali di ri-sanamento e risoluzione delle crisi degli enti crediti-zi e sui sistemi di garanzia dei depositi bancari, che assicura, in caso di liquidazione di una banca, la co-pertura dei conti correnti fino a 100 mila euro. On-de evitare effetti sui debiti sovrani, sono previsti cri-teri operativi per consentire al meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm) di ricapitalizzare direttamente le banche, nel rispetto di appropriate condizioni, tra cui l’osservanza delle re-gole sugli aiuti di Stato, specifiche per ciascuna ban-ca, per ciascun settore o per l’intera economia. In ta-le contesto, si sta anche valutando l’opportunità, a fronte della realizzazione di una più stretta integra-zione delle politiche economiche e dei controlli sui bilanci, di introdurre strumenti per la mutualizzazio-ne del debito pubblico degli Stati membri dell’area euro, anche attraverso l’emissione congiunta di titoli.

Nell’ambito della procedura per la sorveglian-za sugli squilibri macroeconomici, l’Italia, segnala-ta tra i paesi con squilibri eccessivi, ha sinora evitato l’avvio di ulteriori fasi, in quanto gli impegni assun-ti con i piani correttivi sono stati ritenuti sufficienti. Nell’ultima relazione, la Commissione Ue ha indica-to le seguenti priorità: affrontare il livello molto al-to del debito e la debole competitività esterna; rag-giungere e mantenere un avanzo primario adeguato e una robusta crescita del Pil, necessari per un percor-so discendente del debito; incidere su competitività, cuneo fiscale e quota elevata di piccole imprese, che trovano difficoltà a competere a livello internazio-nale; affrontare le inefficienze della pubblica ammi-nistrazione e del sistema giudiziario; combattere gli elevati livelli di corruzione e di evasione fiscale; af-frontare le carenze del sistema di istruzione e forma-zione, ulteriore ostacolo al miglioramento della pro-duttività. La valutazione complessiva evidenzia il ri-schio di deviazioni significative dal percorso di ag-giustamento verso l’obiettivo di medio termine, con conseguente invito ad adottare misure per assicurare il rispetto del patto di stabilità e crescita.

Il riconoscimento di alcuni progressi nella parte strutturale delle raccomandazioni, formulate nel con-testo del semestre europeo, costituisce un incitamen-to a porre in essere ulteriori sforzi, in particolare, nel-le politiche che migliorano le prospettive di cresci-ta, mantenendo uno stretto controllo sulla spesa pri-maria corrente e migliorando l’efficienza complessi-va della spesa pubblica, nonché nelle privatizzazio-ni programmate. Ad avviso della Commissione, gli squilibri macroeconomici restano molto preoccupan-ti ed evidenziano la necessità di un intervento poli-

tico decisivo, globale e coordinato, che agisca sui li-velli elevati di debito nella maggior parte dei paesi, sul quadro degli indicatori sociali e sui fattori che pe-sano sulla riduzione degli squilibri e dei rischi.

Il semestre di presidenza italiana dell’Unione si è svolto in un quadro caratterizzato dalla congiuntura economica negativa e da uno scenario internazionale ancora instabile. Secondo le più recenti previsioni, nel 2016, il livello del Pil resterebbe di ben sette punti al di sotto di quello del 2007, l’anno precedente la crisi finanziaria. Obiettivo prioritario è divenuto il rilancio della crescita, cambiando la direzione delle politiche focalizzate soltanto sulla disciplina di bilancio, con vasto consenso sulla nuova strategia fondata su misu-re contestuali degli Stati membri: riforme strutturali, incentivi al lavoro, sostegno agli investimenti pubblici e privati, accompagnati da una politica monetaria ade-guata. Inoltre, è in corso una riflessione per un’azione rafforzata che, senza modificare i trattati, possa porta-re alla piena utilizzazione degli strumenti esistenti. Al-la chiusura del semestre, la Commissione europea ha optato per un approccio più flessibile nell’interpreta-zione delle regole di bilancio; ne discende la possibi-lità per gli Stati membri di effettuare, nel rispetto del patto di stabilità e crescita e attuando le necessarie ri-forme strutturali, gli investimenti indispensabili per il rilancio dell’economia e la creazione di nuovi posti di lavoro. La lunga durata della recessione ha, tra l’al-tro, favorito fenomeni di cattiva gestione e di corru-zione, incidendo negativamente sull’efficienza del si-stema, con effetti devastanti sull’allocazione delle ri-sorse e sui presupposti della crescita e con rischi di as-suefazione, che occorre assolutamente evitare (1). Di qui l’esigenza di piena coerenza nelle politiche di bi-lancio, destinando ai processi di riforma le risorse rese disponibili dai recenti più favorevoli andamenti, supe-rando storiche distorsioni, rivedendo i confini dell’in-tervento pubblico e normalizzando la politica fiscale. L’avvio del quantitative easing della Banca centrale europea, il calo del prezzo del petrolio, il più realistico cambio dell’euro con il dollaro USA, la tenuta dei tas-si d’interesse su livelli bassi senza precedenti e il mi-glioramento delle aspettative configurano una combi-nazione straordinariamente positiva, fornendo al no-stro paese l’occasione, forse unica, per una decisiva accelerazione delle riforme.

Le ultime raccomandazioni della Commissione europea sull’Italia, nel ritenere sufficienti gli aggiu-

(1) Si veda, al riguardo, la relazione del presidente della Corte dei conti in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario, 10 febbraio 2015, in questa Rivista, 2015, fasc. 1-2, 1.

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stamenti del deficit strutturale previsti (0,25 per cen-to nel 2015 e 0,1 per cento nel 2016), riconoscono la flessibilità richiesta in virtù del programma di rifor-me presentato e la conformità alla regola del debi-to del pareggio strutturale nel 2017, indicando come prioritari le privatizzazioni e la delega fiscale; il pia-no per i porti e la logistica; l’operatività dell’agenzia per la coesione territoriale; la riforma della pubblica amministrazione e della giustizia; la revisione della governance bancaria; l’attuazione delle riforme del lavoro e della scuola; la semplificazione e l’amplia-mento della concorrenza.

In tale contesto, acquista particolare rilievo l’atti-vità di controllo della Corte dei conti, elemento car-dine del sistema, in un quadro economico e gestiona-le sempre più complesso e difficile, che impone pro-cessi di riforma volti a garantire l’ammodernamento della pubblica amministrazione, orientare la politica di bilancio su obiettivi di crescita e rispettare i vin-coli posti dall’appartenenza all’Unione europea. Ol-tre alla garanzia di uso corretto delle risorse pubbli-che, l’attività demandata alla Corte consente di da-re credibilità e affidabilità ai conti delle diverse uni-tà istituzionali comprese nel perimetro delle ammi-nistrazioni pubbliche. L’ulteriore riconoscimento in sede di legge europea sull’affidamento della verifica di “rispondenza alla normativa contabile dei dati di bilancio delle pubbliche amministrazioni” (2), esal-ta il ruolo cruciale dell’Istituto nel nuovo sistema co-stituzionale, che recepisce le intese europee.

(2) Si riporta l’art. 30 l. n. 161/2014, recante “Disposizio-ni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’apparte-nenza dell’Italia all’Unione europea – legge europea 2013-bis”, intestato “Attuazione di disposizioni non direttamente applicabili della direttiva 2011/85/Ue e del reg. Ue n. 473/2013”: 1. Al fine di dare piena attuazione, per le parti non direttamente applicabili, alla direttiva 2011/85/Ue del Consi-glio dell’8 novembre 2011, e al reg. Ue n. 473/2013 del Parla-mento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, con parti-colare riferimento all’attività di monitoraggio sull’osservanza delle regole di bilancio, la Corte dei conti, nell’ambito delle sue funzioni di controllo, verifica la rispondenza alla normati-va contabile dei dati di bilancio delle pubbliche amministra-zioni di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e suc-cessive modificazioni. 2. La Corte dei conti, per le verifiche di cui al c. 1, definisce le metodologie e le linee guida cui devo-no attenersi gli organismi di controllo interno e gli organi di revisione contabile delle pubbliche amministrazioni. 3. La Corte dei conti può chiedere alle amministrazioni pubbliche, di cui al c. 1 l’accesso alle banche dati da esse costituite o ali-mentate. 4. Ai fini di cui al c. 1, per valutare i riflessi sui con-ti delle pubbliche amministrazioni, la Corte dei conti, nell’am-bito delle sue funzioni di controllo, può chiedere dati econo-mici e patrimoniali agli enti e agli organismi dalle stesse par-tecipati a qualsiasi titolo.

2. Il nuovo assetto ordinamentale2.1. L’adeguamento della legge quadro

La struttura del nostro ordinamento contabile è stata profondamente modificata dalle recenti modi-fiche costituzionali, che rinviano alla legge “rinfor-zata” la definizione di alcuni istituti; quest’ultima, a sua volta, rinvia sia all’adeguamento della legge or-dinaria di contabilità, sia all’ordinamento dell’Unio-ne europea, con una sorta di recepimento permanen-te e automatico della relativa disciplina. Il protrar-si del ritardo dell’adeguamento della legge quadro di contabilità e finanza pubblica al nuovo assetto co-stituzionale incide negativamente sulla legislazione, consolidando tendenze in qualche modo non coeren-ti con le nuove disposizioni e dando luogo a riflessi sull’azione amministrativa anche costituzionalmen-te censurabili.

In questo quadro di sostanziale labilità dei pun-ti di riferimento, si è posto opportunamente mano al rinvio, alla fine dell’anno in corso, dell’esercizio del-le deleghe, già previste dagli artt. 40 e 42 della vi-gente legge quadro, per il completamento della revi-sione della struttura del bilancio dello Stato e per il potenziamento del bilancio di cassa, nell’ambito del doppio vincolo, competenza e cassa, che caratteriz-za il nostro sistema contabile; alla fine del prossimo anno è slittato, invece, il termine per l’esercizio della delega per l’emanazione del testo unico di contabili-tà (3). Per i necessari adeguamenti degli apparati in-formatici, anche con riferimento alla nuova legge di bilancio che assorbirà, a decorrere dal 2016, l’attuale legge di stabilità, si è provveduto a specifici stanzia-menti (4). L’imminenza del nuovo bilancio, eleva-to a rango costituzionale dalla legge “rinforzata” n. 243/2012, sottolinea, ad avviso della Corte dei conti, l’assoluta esigenza di varare entro il corrente anno il cennato adeguamento della legge quadro di contabi-lità e finanza pubblica, anche nell’ipotesi di effettiva decorrenza dell’accorpamento della legge di stabili-tà nel nuovo bilancio dall’esercizio 2017, sulla base dell’interpretazione meramente “letterale” della nor-ma della legge rinforzata (5).

In tale attesa, è proseguito il fenomeno, già no-tato in precedenza, di interventi normativi non co-ordinati e privi di una visione d’insieme, che han-

(3) Art. 1, c. 2, l. n. 89/2014, di conversione del d.l. n. 66/2014.

(4) Art. 1, c. 188, l. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).(5) Art. 21, c. 3, l. n. 243/2012, che si riporta: “3. Le di-

sposizioni di cui alla presente legge si applicano a decorrere dall’1 gennaio 2014, ad eccezione del capo IV e dell’art. 15, che si applicano a decorrere dall’1 gennaio 2016”.

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no modificato la legge quadro in modo marginale, per aspetti particolari interessanti materie diverse; così, in tema di trasparenza, per l’accessibilità dei dati Siope (6); per l’inclusione nelle note integra-tive al rendiconto del prospetto di riferimento per la pubblicazione dell’indicatore annuale di tempestivi-tà dei pagamenti (7); per l’introduzione, in via spe-rimentale per il biennio 2014-2015, della possibili-tà di ulteriori variazioni compensative, per compe-tenza e cassa, tra i capitoli di consumi intermedi (cat. II) e investimenti fissi lordi (cat. XXI), esclusi i fat-tori legislativi (8); per la non applicazione tempo-ranea, per il 2015, delle norme di contenimento delle spese per acquisto di beni e servizi e per l’assunzio-ne di personale alla società per azioni Expo 2015, in-clusa nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbli-che (9); per la proroga al 2016 delle variazioni com-pensative tra missioni diverse, in deroga alla legge quadro di contabilità (10). Nel medesimo ambito va considerata la semplificazione, varata con provvedi-mento d’urgenza, dei controlli della Corte dei conti, che incide sulla verifica del funzionamento dei con-trolli interni degli enti locali e sulle procedure per l’effettuazione del controllo preventivo di legittimi-tà (11).

Appare utile richiamare, in proposito, alcune del-le principali problematiche che dovrebbero essere risolte dall’adeguamento, ormai indifferibile, della legge quadro di contabilità.

Quanto alla copertura finanziaria dei provvedi-menti legislativi recanti nuovi o maggiori oneri, va precisato, in primo luogo, se essa debba espressa so-lo in termini nominali, come sembra desumersi dal novellato c. 3 dell’art. 81 Cost., ovvero anche in ter-mini strutturali, come sembrerebbe discendere dai

(6) Art. 8, c. 3, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014: “3. All’art. 14 l. 31 dicembre 2009, n. 196, dopo il c. 6, è aggiunto il seguente: 6-bis. I dati Siope delle amministra-zioni pubbliche gestiti dalla Banca d’Italia sono di tipo aperto e liberamente accessibili secondo modalità definite con decre-to del Ministero dell’economia e delle finanze nel rispetto del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82”.

(7) Art. 9, c. 8, d.p.c.m. 22 settembre 2014 recante: “Defi-nizione degli schemi e delle modalità per la pubblicazione su internet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci pre-ventivi e consuntivi dell’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni”.

(8) Art. 50, c. 2, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014; Mef-Rgs circ. n. 18/2014.

(9) Art. 1, c. 547, l. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).(10) Art. 10, c. 11, d.l. n. 192/2014, convertito dalla l. n.

11/2015.(11) Art. 33 d.l. n. 91/2014, convertito dalla l. n. 116/2014;

Mef-Rgs circ. n. 6/2015.

primi commi degli artt. 81 e 97; le due impostazioni potrebbero, infatti, divergere, come nel caso di poste una tantum escluse dai saldi strutturali (12).

Altrettanto rilevante si mostra l’opzione se la de-cisione legislativa debba essere espressa solo in ter-mini di contabilità finanziaria, come accaduto sino-ra, ovvero anche in termini di contabilità naziona-le, atteso il vincolo dell’equilibrio strutturale del bi-lancio. Ancora, la regola del limite alla spesa, assur-ta a livello costituzionale, potrebbe avere conseguen-ze sia sul sistema delle coperture, imponendo solo ri-duzioni di altre spese in caso di superamento del tet-to, sia sulle clausole di salvaguardia, in caso di suc-cessive riclassificazioni di oneri in base alla norma-tiva comunitaria.

Il nuovo assetto comporta, pertanto, una profon-da connessione tra obbligo di copertura, equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito pubblico, che in-teragiscono, facendo sistema. L’effettiva coesistenza in Costituzione di due contabilità, quella economi-ca e quella finanziaria tradizionale, potrebbe dar luo-go alla configurazione delle leggi onerose sotto en-trambi i profili, con tutte le conseguenti implicazioni.

In definitiva, l’assoluta esigenza dell’auspicato immediato adeguamento della legge quadro emerge anche dal recente provvedimento d’urgenza, che, nel recepire la sentenza della Consulta sull’incostituzio-nalità del blocco della rivalutazione monetaria del-le pensioni (sent. n. 70/2015), opera una sorta di rin-vio della copertura finanziaria all’assestamento del 2015 (13).

2.2. L’Ufficio parlamentare di bilancioDopo una non breve fase preparatoria, l’Ufficio

parlamentare di bilancio, organismo indipendente istituito, in base alle intese europee (14), con la legge costituzionale n. 1 e con la successiva legge “rinfor-zata” n. 243/2012, per effettuare analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pub-blica e valutazioni sul rispetto delle regole di bilan-cio nazionali ed europee, ha avviato concretamen-te la sua attività, anche sulla base di un protocollo

(12) Si vedano, al riguardo, il Documento di economia e finanza 2014 e l’art. 7 d.l. n. 66/2014.

(13) Art. 1, c. 5, d.l. n. 65/2015, in corso di conversione, norma che si riporta: “5. Restano fermi i livelli del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato fissati dall’art. 1, c. 1, l. 23 dicembre 2014, n. 190. Il provvedimento di assestamento per l’anno 2015 e le previsioni di bilancio per gli anni succes-sivi terranno conto degli effetti della richiamata sentenza del-la Corte costituzionale e del presente articolo”.

(14) Reg. Ue n. 473/2013.

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d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finan-ze, validando i quadri macroeconomici tendenziale e programmatico della Nota di aggiornamento al Do-cumento di economia e finanza 2014 (15).

Significative appaiono le conclusioni cui giunge l’Ufficio sulla Nota di aggiornamento e documen-ti connessi: il quadro programmatico di riferimen-to 2016-2018 si presenta ottimistico, poiché sareb-be stato preferibile escludere gli effetti delle rifor-me strutturali, attesa la complessità e l’incertezza della loro stima; sembra opportuna l’introduzione di una clausola di salvaguardia automatica nel pe-riodo di programmazione; nel 2015, gli eventi ec-cezionali che consentono lo scostamento tempora-neo dal percorso verso l’obiettivo di medio termi-ne, sussistono, ma occorre garantire che l’ampiezza dello scostamento non metta a rischio la sostenibi-lità di medio periodo della finanza pubblica; la de-roga nella correzione del saldo strutturale non deve attenuare l’attenzione verso il rapporto debito-Pil, vincolo permanente per le politiche di bilancio ita-liane (16).

Tenuto conto delle variazioni degli obiettivi pro-grammatici indotti dalle osservazioni delle Autorità europee, l’Ufficio ha confermato la validazione del-le previsioni macroeconomiche, ritenendole “tutto-ra accettabili”; inoltre, sulla base degli elementi di-sponibili, considera rispettata sia la regola del sal-do strutturale per il triennio 2014-2016, con devia-zioni non significative, sia la regola della spesa per il biennio 2014-2015, mentre non risulta del tutto ri-spettata quella della dinamica del debito pubblico, che migliora, comunque, rispetto agli obiettivi ini-ziali della manovra (17). Peraltro, l’ufficio ha sottoli-neato che le circostanze che giustificano un rallenta-mento del percorso di avvicinamento all’Omt posso-no incidere anche sulla valutazione del rispetto del-la regola di riduzione del debito, insieme all’accele-

(15) Le intese europee precisano che i quadri di bilancio devono essere basati su previsioni indipendenti e, a tal fine, ciascuno Stato membro deve indicare se le proprie stime sono state prodotte o validate (endorsed) da un organismo indipen-dente; il nostro paese ha optato per la validazione delle stime governative.

(16) Audizione del presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla Nota di aggiornamento al Documento di eco-nomia e finanza 2014, Commissioni riunite V Camera dei de-putati e 5ͣ Senato della Repubblica, 13 ottobre 2014.

(17) Audizione preliminare nell’ambito dell’attività cono-scitiva all’esame dei documenti di bilancio per il triennio 2015-2017 del presidente dell’Ufficio parlamentare di bilan-cio, Commissioni riunite V Camera dei deputati, e 5ͣ Senato della Repubblica, 4 novembre 2014.

razione dei pagamenti dei debiti pregressi e alla bas-sa inflazione (18).

Con il suo primo rapporto sulla politica di bilan-cio, l’ufficio ha inteso adempiere alla raccomanda-zione rivolta all’Italia dal Consiglio europeo del giu-gno 2014, che auspicava l’esame dell’Organismo sul Documento programmatico di bilancio 2015. Oltre all’analisi delle previsioni macroeconomiche e dei quadri tendenziale e programmatico, il rapporto va-luta organicamente il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee e gli effetti economici di alcu-ne misure di particolare rilievo della manovra di fi-nanza pubblica.

La prima esperienza di validazione delle previ-sioni macroeconomiche del governo ha messo in lu-ce aspetti critici che investono il consolidato proces-so di formazione del bilancio, con l’inserimento del-la valutazione indipendente troppo a ridosso delle fa-si successive. Per superare le palesate difficoltà, l’uf-ficio propone di definire prima le principali linee d’a-zione sul quadro complessivo dei conti pubblici, in sede di Nota di aggiornamento, e solo successiva-mente predisporre, col disegno di legge di stabilità, la manovra di bilancio, che diverrebbe strumento di attuazione di decisioni adottate in precedenza (19); ciò comporterebbe, tra l’altro, una revisione dei con-tenuti e della tempistica del processo di programma-zione, da definire con sollecitudine nell’ormai urgen-te adeguamento della legge quadro di contabilità e fi-nanza pubblica.

2.3. Il nuovo sistema europeo dei contiDal settembre 2014, viene adottato dagli Sta-

ti membri dell’Unione europea il nuovo sistema eu-ropeo dei conti nazionali e regionali-Sec 2010, in sostituzione del Sec95, ai sensi del regolamento n. 549/2013, elaborato in stretta collaborazione tra uffi-cio statistico della Commissione e i contabili nazio-nali, in accordo con le linee guida internazionali sta-bilite nel Sistema dei conti nazionali delle Nazioni unite (2008 Sna). Rispetto alla precedente versione del 1995 (in vigore dal 1999), il nuovo sistema riflet-te gli sviluppi e i progressi metodologici conseguiti nella misurazione delle economie moderne, consoli-dati a livello internazionale, e, allo stesso tempo, vie-ne incontro alle esigenze degli utilizzatori, miglio-rando in alcuni casi la tempestività nella diffusione dei risultati.

(18) Ufficio parlamentare di bilancio, par. 3.3, Rapporto sulla politica di bilancio 2015.

(19) Ufficio parlamentare di bilancio, 13-14, Rapporto sulla politica di bilancio 2015.

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Il Sec 2010 si differenzia dal sistema precedente, soprattutto con riferimento a:

- spese per ricerca e sviluppo (R&S), riconosciu-te come spese d’investimento, che danno luogo a prodotti della proprietà intellettuale, incidendo sulla domanda finale e contribuendo al Pil, mentre in pre-cedenza erano considerate costi intermedi dell’unità economica agente;

- spese per armamenti, che soddisfano la defini-zione generale di attività di investimento, classificate come investimenti fissi, anziché come spese per con-sumi intermedi, includendo le spese per l’acquisto di beni utilizzati ripetutamente per oltre un anno (ad esempio veicoli e altri apparecchi quali navi da guer-ra, aerei militari, carri armati, lanciamissili, ecc.);

- criterio della proprietà economica nella defini-zione di importazioni e esportazioni di beni, ora re-gistrati quando vi è un trasferimento della proprietà, a prescindere dal corrispondente movimento fisico attraverso le frontiere, con le conseguenti modifiche nella stima dei flussi con l’estero di beni e servizi, con effetto netto sulla bilancia commerciale (e quin-di sul Pil) pressoché nullo;

- ampliamento del settore delle società finanzia-rie, allo scopo di ottenere una maggiore coerenza con il sistema delle statistiche finanziarie della Ban-ca centrale europea (Bce) e del Fondo monetario in-ternazionale (Fmi);

- definizione di regole più stringenti per le società veicolo, che hanno per oggetto esclusivo la realizza-zione di operazioni di cartolarizzazione e che, in ta-le ambito, emettono strumenti finanziari negoziabi-li, con l’imputazione delle passività assunte dalle so-cietà veicolo non residenti controllate ai conti dalle amministrazioni pubbliche controllanti;

- registrazione delle operazioni delle società a controllo pubblico, al fine di migliorare la misurazio-ne di elementi che influiscono sul debito pubblico;

- super dividendi corrisposti da società pubbli-che, ora considerati pagamenti eccezionali e prelie-vi di capitale;

- contratti di partenariato pubblico-privato, per le eventuali implicazioni sui conti delle amministrazio-ni pubbliche, e delle agenzie di ristrutturazione;

- indennizzi di assicurazione per eventi catastro-fici, considerati trasferimenti in conto capitale e non più trasferimenti correnti;

- redditi da lavoro dipendente, che includeranno il valore delle stock options conferite dalle aziende ai propri dipendenti;

- diritti pensionistici accumulati, con una tavola

aggiuntiva in cui sono registrati i diritti pensionisti-ci relativi ai sistemi di previdenza pubblici e priva-ti, con o senza costituzione di riserve, compresi i si-stemi pensionistici della sicurezza sociale. Gli Sta-ti membri dovranno trasmettere tale tavola nel 2017 con dati riferiti all’anno 2015;

- superamento di riserve relative alla applicazio-ne omogenea tra i paesi Ue di standard già esisten-ti, il che comporta per l’Italia l’inserimento nei con-ti delle attività illegali, in ottemperanza al principio di esaustività, già introdotto dal Sec95, con la consi-derazione, in coerenza con le linee guida Eurostat, di tutte le attività che producono reddito, indipenden-temente dal loro status giuridico: traffico di sostan-ze stupefacenti, prostituzione e contrabbando (di si-garette o alcol);

- classificazione dei flussi derivanti da operazio-ni sui derivati come operazioni finanziarie, unifican-do le distinte versioni dell’indebitamento netto del-le amministrazioni pubbliche, una coerente con il Sec95 e l’altra predisposta ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi.

Si prende atto che, ai fini della chiusura delle contabilità dello Stato, il rendiconto del 2014 è l’ul-timo a fare riferimento al precedente sistema euro-peo dei conti Sec95, anche per quanto concerne la classificazione delle poste attive e passive del Conto del patrimonio (20).

2.4. Le misure anticorruzione e per la trasparenzaDopo il varo del Piano nazionale anticorruzio-

ne, è emersa sempre più la necessità di una decisa azione preventiva, nel quadro di una politica integra-ta costantemente monitorata, soprattutto con riferi-mento alla sua efficacia, al fine di adottare eventua-li correttivi.

L’Autorità, sulla base delle vigenti disposizio-ni (21), ha sostenuto l’esigenza di realizzare con im-mediatezza l’accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pub-bliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzio-ni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, con particolare riguardo ai componenti degli organi di indirizzo politico e ai dirigenti, tenuti a trasmette-re, ai fini della pubblicazione sul sito ufficiale della propria amministrazione, alcuni dati personali sulla

(20) V., in proposito, Mef-Rgs circ. n. 25/2014.(21) Art. 1 d.lgs. n. 33/2013, recante “Riordino della disci-

plina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e dif-fusione di informazioni da parte delle pubbliche amministra-zioni”, in applicazione dell’art. 1, cc. 35 e 36, l. n. 190/2012.

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situazione patrimoniale e sui compensi percepiti per gli incarichi ricoperti; funzionali allo scopo si rivela-no i chiarimenti e le istruzioni impartite (22). Lungo la stessa linea si inquadra l’attività di verifica dell’ef-fettiva pubblicazione dei dati, demandata agli Or-ganismi interni di valutazione o strutture analoghe, per l’attestazione degli avvenuti adempimenti a fi-ne 2014, da completare entro il gennaio 2015 (23).

Quanto alle società controllate o partecipate, so-no stati rafforzati i meccanismi di prevenzione della corruzione e di garanzia di trasparenza, chiarendo le modalità di applicazione delle norme in materia, sia mediante una direttiva del Ministero dell’economia e delle finanze per le società di propria competenza, ba-sata su un documento condiviso dall’Autorità, sia con l’adozione, da parte di Anac, di linee guida e indiriz-zo per l’intero comparto delle società partecipate dal-le pubbliche amministrazioni. In particolare, il docu-mento condiviso per il rafforzamento dei meccanismi di prevenzione della corruzione e di trasparenza nel-le società partecipate e/o controllate, precisa l’ambi-to di applicazione, rinviandola a una più approfondita valutazione per i soggetti con azioni quotate nei mer-cati regolamentati, con il coinvolgimento anche del-la Consob; integra il modello di prevenzione di cui al d.lgs. n. 231/2001, prevedendo il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza nel-le società controllate, mentre per le società solo par-tecipate le disposizioni della l. n. 190/2012 si appli-cano limitatamente alle attività di pubblico interesse.

Per le amministrazioni centrali, sono state ema-nate istruzioni per la pubblicazione sul web, a parti-re dal 2015, dei dati relativi al bilancio e all’indica-tore di tempestività dei pagamenti (24), mentre sono state definite le modalità per la libera accessibilità ai dati Siope (incassi e pagamenti delle amministrazio-ni pubbliche), a decorrere dal 16 giugno 2014 (25).

In tale contesto, rilevante appare il tavolo di col-laborazione permanente tra Corte dei conti e Autorità anticorruzione, insediato all’inizio del corrente anno. L’iniziativa mira ad arginare un fenomeno criminale

(22) In particolare, v. delibera Anac n. 144/2014.(23) Delibera Anac n. 148/2014.(24) Art. 8, cc. 1, 3 e 3-bis, d.l. n. 66/2014, convertito dal-

la l. n. 89/2014, che ha modificato la disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni di cui al d.lgs. n. 33/2013; d.p.c.m. 24 settembre 2014, recante “Defini-zione degli schemi e delle modalità per la pubblicazione su in-ternet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci pre-ventivi e consuntivi e dell’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni”; Mef-Rgs circ. n. 3/2015.

(25) Mef-Rgs, n. 47989 del 30 maggio 2014.

che determina riflessi negativi sull’intero paese, an-che mediante iniziative comuni, quali l’individuazio-ne e la condivisione di possibili indicatori di illeciti corruttivi e l’utilizzo degli strumenti tecnologici di-sponibili, formalizzando un Protocollo d’intesa, che costituisce un valido esempio di coordinamento e di cooperazione nella lotta alla corruzione; tale Proto-collo d’intesa indica, tra l’altro, l’adozione di comu-ni iniziative per la definizione di significativi indica-tori di illeciti corruttivi attraverso l’utilizzo dei siste-mi informativi (26).

Particolare importanza assumono le recenti istru-zioni operative sul procedimento per l’irrogazione delle sanzioni connesse con l’inadempimento del-le norme sulla trasparenza (27), che sottolineano la competenza Anac nel procedimento, nel quadro del rafforzamento del ruolo e dei poteri dell’Autorità, in-tervenuto con le recenti norme primarie sulla traspa-renza di cui al d.l. n. 90/2014, convertito dalla l. n. 114/2014, che ha, tra l’altro, soppresso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici-Avcp, trasferen-done competenze e funzioni all’Anac. L’accessibili-tà totale delle informazioni costituisce ora strumento primario di prevenzione e contrasto della corruzio-ne, funzioni demandate alla vigilanza dell’Anac e al-la competenza statale, quale livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, ai sen-si dell’art. 117, c. 2, lett. m), Cost.

Altrettanto rilevanti appaiono le linee guida Anac sia per l’affidamento dei contratti pubblici attinenti ai servizi di manutenzione degli immobili, in parti-colare dei contratti misti, nei quali i servizi sono fun-zionalmente prevalenti rispetto ai lavori, col sugge-rimento dell’affidamento mediante il criterio dell’of-ferta economicamente più vantaggiosa, individuando possibili elementi di valutazione tecnica per la qua-lità; sia in materia di tutela del dipendente pubbli-co che segnala illeciti (c.d. whistleblower), intese a chiarire la disciplina applicativa della l. n. 190/2012 (c.d. “legge Severino”) (28).

Sempre in materia di contratti pubblici, le comu-nicazioni Anac (ex Avcp) alla Corte dei conti delle amministrazioni inadempienti agli obblighi di pub-blicazione delle prescritte informazioni nei propri

(26) Protocollo d’intesa sottoscritto tra i presidenti della Corte dei conti e dell’Anac il 28 maggio 2015, in questo fasci-colo, 564.

(27) Delibera Anac n. 10/2015, recante “Individuazione dell’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni relative alla violazione di specifici obblighi di traspa-renza (art. 47 d.lgs. n. 33/2013)”.

(28) Delibere Anac n. 6 e n. 7/2015.

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siti istituzionali (29), regolarmente effettuate, sono state oggetto di elaborazione informatica (realizza-zione di un applicativo per l’interrogazione), onde consentirne l’utilizzo, ormai imminente, anche ai fi-ni sanzionatori.

Occorre, infine, segnalare che la relazione annua-le, già di competenza della Commissione per la va-lutazione, la trasparenza e l’integrità delle ammini-strazioni pubbliche, ora Autorità nazionale anticor-ruzione e per la valutazione e la trasparenza del-le amministrazioni pubbliche-Anac, è tuttora ferma al 2013 (30); un suo aggiornamento al 2014 sareb-be estremamente utile, oltre a rispondere appieno al dettato legislativo.

2.5. L’attuazione delle norme sul controllo degli en-ti territoriali

Il nuovo impianto dei controlli sugli enti territo-riali (31) ha superato il pieno collaudo operativo del-la Corte dei conti, con l’attività del plesso Sezione delle autonomie-sezioni regionali di controllo. Nel biennio 2013/2014, l’attività è stata orientata alla ve-rifica della salvaguardia degli equilibri dei bilanci e della sana gestione finanziaria degli enti, nel qua-dro generale del concorso di regioni ed enti locali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del principio del pareggio di bilancio. Il percorso verso la tenden-ziale omogeneità delle pronunce delle articolazioni regionali della Corte è stato assicurato sia dalle de-liberazioni di orientamento della Sezione delle auto-nomie, sia dalle linee guida per le relazioni degli or-gani di revisione degli enti territoriali e del Servizio sanitario nazionale.

Con riferimento al primo profilo, la Sezione del-le autonomie, al fine di garantire il corretto e omoge-neo funzionamento dei controlli, superando contra-sti interpretativi nell’applicazione delle norme, adot-ta deliberazioni di orientamento, alle quali le sezio-ni regionali hanno l’obbligo di conformarsi. Quan-to al secondo aspetto, l’esigenza di più estesi con-trolli esterni sugli enti si è tradotta nella rivisitazione dell’assetto dei controlli affidati alla Corte dei conti.

Sul versante regionale, la linea ispiratrice è sta-ta quella di incrementare il controllo sulla gestione finanziaria delle regioni, per un maggiore coordina-

(29) Art.1, c. 32, l. n. 190/2012; art. 1, c. 418, l. n. 228/2012, nel testo sostituito dall’art. 26, c. 1, d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013.

(30) Art. 13 d.l. n. 150/2009, come modificato dall’art. 5 d.l. n. 101/2013, convertito dalla l. n. 125/2013.

(31) D.l. n. 174/2012, convertito dalla l. n. 213/2012.

mento della finanza pubblica, a garanzia del rispet-to dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. A tal fine, è stato introdotto un modello di controllo sui bilanci preventivi e sui ren-diconti, da parte delle sezioni di controllo della Cor-te dei conti, con la collaborazione dei revisori regio-nali, incentrato sul profilo del rispetto degli obietti-vi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’os-servanza dei vincoli costituzionali, della sostenibi-lità dell’indebitamento, dell’assenza di irregolari-tà suscettibili di pregiudicare gli equilibri economi-co-finanziari degli enti. Nel corso dei primi mesi del 2015, la Sezione delle autonomie ha adottato le linee guida per le relazioni annuali dei presidenti delle re-gioni sul sistema dei controlli interni (32) e per quel-le dei collegi dei revisori dei conti sui bilanci preven-tivi e consuntivi (33). Il giudizio di parificazione, in-trodotto per la prima volta per le regioni a statuto or-dinario e già previsto dagli ordinamenti delle regio-ni a statuto speciale, ad eccezione della Valle d’Ao-sta, e delle province autonome di Trento e Bolzano, è stato pressoché pienamente attuato, con giudizi ce-lebrati in tutte le regioni sui rendiconti 2012 e 2013, con esclusione delle Regioni Abruzzo e Campania, per particolari contingenze.

Per gli enti locali, la recente normativa ha ripor-tato i controlli e le verifiche su bilancio e rendicon-to all’interno del t.u. degli enti locali. Il nuovo art. 148-bis, al fine di evitare ulteriori aggravi alla finan-za locale, prevede pronunce di accertamento in ca-si di irregolarità, che, se non rimosse con provvedi-menti idonei a ripristinare gli equilibri, comportano la preclusione dei programmi di spesa per i quali si accerti la mancata copertura. Va sottolineato che, in conseguenza degli anomali differimenti del termine di approvazione del bilancio di previsione degli en-ti locali, per gli anni 2013 e 2014 la Corte ha rimar-cato la sostanziale vanificazione della funzione pro-grammatoria del bilancio di previsione così tardiva-mente approvato (34); in tali occasioni, in luogo del-

(32) Art. 1, c. 6, d.l. n. 174/2012, convertito dalla l. n. 213/2012.

(33) Con delib. n. 5/2015 sono state approvate le linee guida per le relazioni del collegio dei revisori dei conti sui ren-diconti delle regioni per il 2014; con delib. n. 6/2015, le linee guida per i revisori dei conti sui bilanci di previsione delle re-gioni per l’anno 2015; con delib. n. 7/2015, le linee guida per la relazione del presidente della regione, per l’anno 2014, tut-te in www.corteconti.it. Le predette linee guida sono adottate previo preliminare confronto con i rappresentanti delle confe-renze delle assemblee e delle giunte regionali che intervengo-no anche in sede di adunanza.

(34) Sez. autonomie, 17 ottobre 2013, n. 23, in questa Ri-

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le usuali linee guida, ha fornito indicazioni ai colle-gi dei revisori, sulle verifiche da effettuare in sede di esercizio provvisorio, in carenza di approvazione del bilancio (35).

Per la conservazione e il recupero delle condizio-ni di equilibrio dei bilanci, un importante impatto si è avuto con l’introduzione della procedura di riequi-librio (art. 243-bis del t.u.) (36). Le linee guida e i criteri per l’istruttoria del piano di riequilibrio hanno avuto il positivo effetto di sistematizzare l’attività di valutazione della congruità del “progetto di risana-mento” predisposto dai comuni che vi hanno fatto ri-corso (37). La lacunosità, da un lato, della disciplina procedimentale e, dall’altro, la complessità e la va-rietà delle fattispecie emerse nella fase di prima ap-plicazione, hanno comportato il previsto intervento della Sezione delle autonomie per dirimere questioni di particolare rilevanza.

Dal 2012, hanno fatto ricorso alla procedura n. 132 enti, di cui 9 province. Nel primo anno di vigen-za della norma erano in piano di riequilibrio 33 en-ti (2 province e 31 comuni), nel 2013 si sono aggiun-ti altri 57 enti (3 province e 54 comuni) e nel 2014 n. 37, di cui 3 province; nei primi mesi del 2015, so-no in procedura di riequilibrio altri 5 comuni. Va no-tato che i recenti interventi normativi (38), tesi a evi-tare le conseguenze della mancata conclusione della procedura o della non approvazione dei piani, deter-minano una significativa dilatazione dei tempi di de-finizione delle misure di risanamento, incidendo ne-gativamente sugli assetti dei rapporti patrimoniali tra amministrazioni e creditori e accentuando la debo-lezza finanziaria dell’ente, già in precarie condizioni strutturali di equilibrio.

2.6. Controllo di costituzionalità e vincoli europei2.6.1. Di rilievo è, anzitutto, la sent. n. 40/2014,

con la quale Corte costituzionale ha chiarito che il

vista, 2013, fasc. 5-6, 129; 17 giugno 2014, n. 18, ivi, 2014, fa-sc. 3-4, 137.

(35) Per quanto riguarda i rendiconti, cfr. Sez. autonomie, n. 11/2014 per le linee guida al rendiconto 2013 per gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali; n. 13/2015 per le linee guida al rendiconto 2014; nelle appendici A, unite alle citate deliberazioni, viene chiesto di relazionare in merito all’eventuale gestione in esercizio provvisorio dei bilanci 2013 e 2014.

(36) Art. 3, c. 1, lett. r), d.l. n. 174/2012, convertito dalla l. n. 213/2012.

(37) Delib. 13 dicembre 2012, n. 16, integrata con delib. n. 11/2013 e n. 8/2015.

(38) Art. 1, cc. 573 e 573-bis, l. n. 147/2013 (legge di sta-bilità 2014); art. 3 d.l. n. 16, convertito dalla l. n. 68/2014.

patto di stabilità esterno e, più in generale, i vinco-li di finanza pubblica obbligano l’Italia, nei confron-ti dell’Unione europea, ad adottare politiche di con-tenimento della spesa, il cui rispetto viene verifica-to in relazione al bilancio consolidato delle ammi-nistrazioni pubbliche (sent. n. 138/2013, n. 425 e n. 36/2004). Al fine di assicurare il rispetto degli ob-blighi comunitari, è necessario predisporre controlli sui bilanci delle amministrazioni interessate al con-solidamento, per verificare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, derivanti dai vincoli eu-ropei, direttamente riconducibili, oltre che al coordi-namento della finanza pubblica, anche ai parametri di cui agli artt. 11 e 117, c. 1, Cost.

Il sindacato delle sezioni regionali della Corte dei conti è esercitato nell’interesse dello Stato per fina-lità che riguardano la finanza pubblica nel suo com-plesso e non può essere confuso e sovrapposto a con-trolli esercitati da un ente ad autonomia speciale. Per la sua intrinseca finalità questo tipo di verifica non può essere affidato ad un singolo ente autonomo ter-ritoriale, ancorché a statuto speciale, che non ne po-trebbe assicurare la conformità ai canoni nazionali, la neutralità, l’imparzialità e l’indipendenza con ri-guardo agli interessi generali della finanza pubblica coinvolti.

2.6.2. Per contemperare il principio dell’autono-mia regionale con gli obiettivi e i vincoli concorda-ti in sede europea (sent. n. 118/2012), la Corte ha rimarcato la centralità del principio della leale col-laborazione, che trova nello strumento dell’accor-do (sent. n. 19/2015, in relazione al patto di stabili-tà e successivamente sent. n. 89/2015) il momento di composizione, nel loro complesso, dei punti contro-versi o indefiniti delle relazioni finanziarie tra Stato e regioni, sia ai fini del raggiungimento degli obiet-tivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli eu-ropei, sia al fine di evitare che il necessario concor-so comprima oltre i limiti consentiti l’autonomia fi-nanziaria, anche modulando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti, in relazione al-la diversità delle situazioni esistenti nelle varie real-tà territoriali.

Particolare rilevanza assumono nel 2015 le sent. n. 10 e n. 70, entrambe con riflessi sugli equilibri di finanza pubblica. Trattasi di “sentenze di spesa” fo-riere di oneri per il bilancio dello Stato e in relazione alle quali, ai sensi dell’art. 17, c. 13, l. n. 196/2009, il Ministro dell’economia e delle finanze è chiamato a proporre soluzioni per regolarne gli aspetti finanzia-ri, assicurando il rispetto dell’art. 81, c. 3 (già quar-to), Cost.

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Nel primo caso (sent. n. 10/2015), il parametro dell’equilibrio di bilancio è stato espressamente evo-cato dalla Corte per limitare, con una pronuncia di-chiaratamente produttiva di effetti ex nunc, gli effet-ti di annullamento della disposizione caducata “addi-zionale” all’imposta sui redditi delle società, Ires, in-trodotta dall’art. 81, cc. 16, 17 e 18, d.l. n. 112/2008, convertito dalla l. n. 133/2008: perdita del gettito at-teso 1,7 miliardi nel 2009 e 849 milioni per gli eser-cizi 2010-2011.

Nel secondo caso (sent. n. 70/2015), in una si-tuazione di conseguenze più marcate sugli “equili-bri” (39), la Consulta, accogliendo la questione in relazione agli artt. 3, 36, c. 1, e 38, c. 2, Cost., ha formulato un tipico dispositivo di incostituzionalità dell’art. 24, c. 25, d.l. n. 201/2014, convertito dal-la l. n. 214/2011, sul blocco della rivalutazione del-le pensioni. Peraltro, la medesima Corte, con sent. n. 6/2015, aveva dichiarato l’inammissibilità del-la richiesta di referendum popolare per l’abrogazio-ne dell’art. 24 d.l. n. 201/2014 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito dalla l. n. 214/2011, individuan-do quale motivo di inammissibilità (anche) l’assimi-lazione di detta normativa alla legge di bilancio, pre-cisando che l’assimilazione ben può riferirsi anche a provvedimenti successivi, che si rendano necessari per l’equilibrio della manovra finanziaria.

2.6.3. Attesa la sua rilevanza, appare opportuno soffermarsi, in particolare, sul problema dell’equili-brio del bilancio e della garanzia dei diritti di pre-stazione.

La Corte, nella sent. n. 310/2013, nello scrutinare disposizioni di legge statali di blocco di stipendi, ha ri-tenuto che le norme impugnate superassero “il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pub-blico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diver-si statuti professionali delle categorie che vi apparten-gono − e per un periodo di tempo limitato, che com-prende più anni in considerazione della programma-zione pluriennale delle politiche di bilancio”. Medesi-ma ratio decidendi è alla base della successiva ord. n. 113/2014, con la quale la Corte rigetta le questioni sol-levate come manifestamente infondate.

(39) La “nota di lettura” del Servizio del bilancio del Se-nato, p. 100, riguardante la norma in questione riporta, in ter-mini di indebitamento netto, minori oneri per spesa pensioni-stica, al netto degli effetti fiscali – e dunque maggiori oneri nell’ipotesi di annullamento della misura – per 1,8 miliardi nel 2012 e 3,1 miliardi annui nel biennio 2013-2014.

Tale modo di argomentare ripropone, in un con-testo costituzionale completamente mutato, la tesi della legittimità dell’introduzione di misure restrit-tive prolungate nel tempo, la cui ragionevolezza per l’innanzi veniva condizionata al loro carattere ecce-zionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato; in realtà, il prolungamento tempo-rale di dette misure, secondo il nuovo orientamento della Corte, rischia di entrare in conflitto con la cir-costanza che esse sono finalizzate a garantire l’equi-librio, con sacrifici a carattere sostanzialmente strut-turale.

2.6.4. Per i profili concernenti l’indebitamento degli enti territoriali, la Corte costituzionale, con la sent. n. 175/2014, ha ritenuto non fondata la questio-ne di legittimità costituzionale dell’art. 8, c. 3, l. n. 183/2011, in quanto la norma denunciata è stata qua-lificata quale disposizione espressiva del principio fondamentale di coordinamento della finanza pub-blica.

Inoltre, con la sent. n. 224/2014, è stato dichia-rato costituzionalmente illegittimo l’art. 25 della l. prov. di Bolzano n. 10/2013, sulla riorganizzazione di funzioni dell’ente territoriale, in quanto si omette di determinarne gli effetti finanziari, violando l’art. 81, c. 4.

In primo luogo, la Corte ha ricordato che non “si può assumere che mancando nella legge ogni indica-zione della così detta ‘copertura’, cioè dei mezzi per far fronte alla nuova o maggiore spesa, si debba per questo solo fatto presumere che la legge non impli-chi nessun onere o nessun maggiore onere. La man-canza o l’esistenza di un onere si desume dall’og-getto della legge e dal contenuto di essa”; che la ri-duzione compensativa di autorizzazioni derivanti da disposizioni di legge modificate “deve essere sem-pre espressa e analiticamente quantificata, in quan-to [finalizzata] a compensare gli oneri indotti dalla nuova previsione legislativa. Si tratta di un princi-pio finanziario immanente all’ordinamento, enuncia-to esplicitamente dall’art. 81, c. 4, di diretta applica-zione secondo la costante interpretazione di questa Corte” (sent. n. 115/2012).

In questa prospettiva ermeneutica, non assume rilevanza il fatto che le risorse destinate a un com-plesso così vasto di funzioni provinciali siano rife-rite a un capitolo o a una unità previsionale di base. Il principio di copertura, infatti, ha natura di precet-to sostanziale, cosicché ogni disposizione che com-porta conseguenze finanziarie di carattere positivo o negativo deve essere corredata da apposita istruttoria e successiva allegazione degli effetti previsti e della

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relativa compatibilità con le risorse a disposizione. Nel caso di norme a regime, come quello di specie, dette operazioni devono essere riferite sia all’eserci-zio di competenza, che a quelli successivi, in cui le norme esplicheranno effetti.

2.7. La giurisprudenza costituzionale2.7.1. Da segnalare, nella giurisprudenza della

Corte costituzionale, il sempre più frequente richiamo dei principi di contabilità pubblica, cui devono esse-re informati i documenti contabili, quale, ad esempio, il principio dell’unità “secondo il quale tutte le entra-te correnti, a prescindere dalla loro origine, concorro-no alla copertura di tutte le spese correnti, con conse-guente divieto di prevedere una specifica correlazione tra singola entrata e singola uscita” (sent. n. 224/2014 e n. 192/2012). La Corte ha più volte ricordato che una convincente e fondata quantificazione degli one-ri si pone a garanzia non solo ai fini di un corretto as-solvimento dell’obbligo di copertura, facente parte del nostro sistema costituzionale sin dal 1948, ma anche in relazione al mutato art. 81, entrato in vigore l’1 gen-naio 2014, nel senso di una profonda connessione con i vincoli di merito in tema di politica finanziaria, san-citi ora dal quadro costituzionale. Lo stesso obbligo di copertura ha acquisito una nuova rilevanza rappresen-tando, con maggiore evidenza, un passaggio essenzia-le, in vista della garanzia di coerenza tra gli aspetti fi-nanziari della nuova legislazione ordinaria e la conse-guibilità degli obiettivi di finanza pubblica fissati in sede programmatica, a loro volta in conformità con l’ordinamento comunitario e i vincoli posti ora a livel-lo costituzionale.

2.7.2. La richiamata sent. n. 40/2014 afferma, tra l’altro, che la finalità del controllo di legittimità e re-golarità, di cui agli artt. 148, c. 1, e 148-bis Tuel, e la stretta correlazione di tale attività con gli artt. 81, c. 4, e 117, c. 3, Cost., giustificano il conferimento alla Corte dei conti di poteri atti a prevenire con efficacia diretta pratiche lesive del principio della previa co-pertura e dell’equilibrio dinamico del bilancio degli enti locali (sent. n. 266, n. 250 e n. 60/2013).

Tali misure interdittive, ha osservato la Corte, non sono indici di una supremazia statale né di un potere sanzionatorio nei confronti degli enti locali e neppure sono riconducibili al controllo collaborati-vo in senso stretto, ma sono strumentali al rispetto degli “obblighi che lo Stato ha assunto nei confron-ti dell’Unione europea in ordine alle politiche di bi-lancio”. In questa prospettiva, funzionale ai principi di coordinamento e di armonizzazione dei conti pub-blici, i controlli possono essere accompagnati anche

da misure atte a prevenire pratiche contrarie ai prin-cipi della previa copertura e dell’equilibrio di bilan-cio (sent. n. 266 e n. 60/2013), che ben si giustifica-no in ragione dei caratteri di neutralità e indipenden-za del controllo di legittimità della Corte dei conti (sent. n. 39/2014).

In particolare, il controllo di legittimità e regola-rità contabile, attribuito alla Corte dei conti per que-sti particolari obiettivi, si risolve nel senso che ad es-so è affidato il giudizio se i bilanci preventivi e suc-cessivi siano o meno rispettosi del patto di stabilità, siano deliberati in equilibrio e non presentino vio-lazioni delle regole espressamente previste per det-te finalità.

2.7.3. Con la sent. n. 39/2014, la Corte ha dichia-rato non fondata la questione di legittimità costitu-zionale sollevata sul d.l. n. 174/2012, convertito dal-la l. n. 213/2012, che introduce la relazione seme-strale delle sezioni regionali della Corte dei conti ai consigli regionali sulla tipologia delle coperture fi-nanziarie adottate nelle leggi regionali e sulle tecni-che di quantificazione degli oneri. Secondo la Con-sulta, il controllo introdotto trova fondamento costi-tuzionale, riveste natura collaborativa e l’istituto di-sciplinato dalla norma impugnata risulta funzionale, da un lato, ad ampliare il quadro degli strumenti in-formativi a disposizione del consiglio regionale, per consentire la formulazione di meglio calibrate valu-tazioni politiche del massimo organo rappresentati-vo della regione, anche nella prospettiva dell’attiva-zione di processi di “autocorrezione” nell’esercizio delle funzioni legislative e amministrative; dall’al-tro, a prevenire squilibri di bilancio. La relazione semestrale ai consigli regionali sulla tipologia del-le coperture finanziarie adottate nelle leggi regiona-li e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, an-corché obbligatoriamente prevista, si mantiene per-tanto nell’alveo dei controlli di natura collaborativa e di quelli comunque funzionali a prevenire squilibri di bilancio e non può conseguentemente ritenersi le-siva dei parametri invocati.

Circa la verifica delle sezioni regionali di con-trollo della Corte dei conti sui bilanci preventivi (an-nuali e pluriennali) e sui rendiconti consuntivi delle regioni e degli enti che compongono il Servizio sani-tario nazionale, la sentenza ha precisato che la dispo-sizione dell’art. 1, c. 7, del citato decreto-legge con-trasta, limitatamente alla parte che si riferisce al con-trollo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consun-tivi delle regioni, con gli invocati parametri costitu-zionali e statutari che garantiscono alle regioni la po-testà legislativa nelle materie di loro competenza.

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In realtà, pur a fronte di una non perspicua for-mulazione della norma, occorre considerare che la norma censurata non è espressamente indirizzata agli organi della sovranità legislativa, bensì alle “ammi-nistrazioni”; peraltro, la caducazione della norma non potrà esimere gli organi amministrativi respon-sabili dal proporre al consiglio regionale misure e in-terventi volti a ripristinare il vulnerato equilibrio di bilancio. D’altro canto, previsioni di analogo conte-nuto sono riscontrabili nel vigente ordinamento con-tabile; si fa, ad esempio, riferimento alle norme in-trodotte dal d.l. n. 194/2002, convertito dalla l. n. 246/2002, con l’inserimento del c. 6-bis nell’ambi-to dell’art. 11-ter l. n. 468/1978 (40).

Ulteriori analoghe misure sono contenute nell’art. 1, cc. 2, 3 e 4 cit., d.l. n. 194/2002, quali: a) l’obbli-go degli organi amministrativi responsabili di rap-presentare opportune iniziative, da adottare ad ope-ra del Parlamento (c. 2); b) iniziative dirette rimes-se Ministro dell’economia e delle finanze, su propo-sta del dipartimento della ragioneria generale dello Stato, di disporre, con proprio decreto, la limitazio-ne all’assunzione di impegni di spesa o all’emissio-ne di titoli di pagamento a carico del bilancio dello Stato (c. 3); c) interventi del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il ministro vigilante, intesi a disporre, con il decreto di cui al medesimo comma, la riduzione delle spese di funzionamento degli enti e o*rganismi pubblici non territoriali previste nei ri-spettivi bilanci (c. 4).

2.7.4. Di rilevo è anche la sent. n. 79/2014, con la quale la Corte costituzionale ha scrutinato l’art. 16 d.l. n. 95/2012, convertito dalla l. n. 135/2012 (41),

(40) “Le disposizioni che comportano nuove o maggiori spese hanno effetto entro i limiti degli oneri finanziari previsti nei relativi provvedimenti legislativi. Con decreto dirigenzia-le del Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da pubblicare in G.U., è comunicato l’avvenuto raggiungimento dei predetti limiti di spesa, anche al fine dell’applicazione del disposto di cui al c. 7. Per le amministrazioni dello Stato, il Mef-Rgs, anche attra-verso gli uffici centrali del bilancio e le ragionerie provinciali dello Stato, vigila sulla corretta applicazione della disposizio-ne di cui al presente comma. Per gli enti e organismi pubblici non territoriali provvedono agli analoghi adempimenti di vigi-lanza e segnalazione gli organi interni di revisione e di con-trollo”.

(41) La norma prevede che le regioni concorrono alla rea-lizzazione degli obiettivi di finanza pubblica anche mediante la riduzione delle spese per i consumi intermedi (c. 1); deter-minano l’ammontare complessivo di tale concorso con riferi-mento agli anni 2012, 2013, 2014 e “a decorrere dal 2015” (c. 2, primo periodo); dispongono che la ripartizione di tale con-corso fra le regioni è determinata con delibera della Conferen-

dichiarando costituzionalmente illegittimo il terzo periodo del c. 2, nella parte in cui non prevede che, in caso di mancata deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il decre-to del Ministero dell’economia e delle finanze “è co-munque emanato entro il 15 febbraio di ciascun an-no”, “sino all’anno 2015”;

In proposito va osservato che il requisito della “transitorietà” di una misura per il riequilibrio del-la finanza pubblica cui sono tenute le pubbliche am-ministrazioni (art. 97, c. 1, Cost.) sembra di proble-matica riconciliazione con l’art. 81, c. 1, Cost, non-ché con il fiscal compact, che, hanno introdotto la re-gola del pareggio di bilancio, stabilendo che esso si considera realizzato quando il saldo strutturale, defi-nito come saldo corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum, delle amministrazioni pubbliche, sia pari all’obiettivo di medio termine specifico per il paese. Ne discende che il principio del pareggio strutturale ha come corollario quello della sostenibi-lità delle finanze pubbliche; talché, nel mutato scena-rio della Costituzione economica, sembra problema-tico che una misura di contenimento di un aggregato di spesa pubblica corrente possa essere di per sé con-notato da “transitorietà”; tanto più ove si consideri che l’obiettivo del pareggio strutturale discende non tanto dall’art. 117, c. 3, Cost. (“coordinamento della finanza pubblica”), bensì, come ha chiarito di recente dalla stessa Corte costituzionale, dagli artt. 11 e 117, c. 1, Cost. (Corte cost. n. 39 e n. 40/2014).

3. I provvedimenti contabili del 20143.1. L’assestamento del bilancio

Il disegno di legge concernente l’assestamento del bilancio risulta presentato alle Camere il 15 lu-glio 2014, unitamente al disegno di legge di approva-zione del rendiconto generale per il 2013, per la pri-ma volta in evidente ritardo rispetto ai termini pre-scritti dalla legge di contabilità, nonostante il tempe-

za permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provin-ce autonome di Trento e Bolzano, anche tenendo conto delle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario di cui all’art. 2 d.l. 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modifi-cazioni, dall’art. 1, c. 1, l. 6 luglio 2012, n. 94, delibera che è recepita da un apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze entro il 30 settembre 2012 (c. 2, secondo perio-do); prevedono che, in caso di mancata delibera della predetta Conferenza, il decreto del Ministero dell’economia e delle fi-nanze è comunque emanato entro il 15 ottobre 2012, “ripar-tendo la riduzione in proporzione alle spese sostenute per con-sumi intermedi desunte, per l’anno 2011, dal Siope” (c. 2, ter-zo periodo).

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stivo varo da parte del Consiglio dei ministri del 30 giugno. Il provvedimento, al netto delle regolazio-ni contabili e debitorie, recepisce gli effetti del qua-dro macroeconomico contenuto nel Def, con un de-cremento di circa 2 miliardi per le entrate e di 2,6 miliardi per le spese; il saldo netto da finanziare, te-nuto conto anche delle variazioni di bilancio adotta-te nel periodo gennaio-maggio, si colloca intorno ai 41,6 miliardi.

Continua a mancare, nella relazione al disegno di legge, un’analisi dei residui attivi analoga a quel-la effettuata per i residui passivi, la cui utilità è sta-ta sottolineata dalla Corte dei conti anche nelle pre-cedenti relazioni al Parlamento; la carenza andreb-be sollecitamente superata, tenuto conto del patri-monio informativo disponibile dal lato delle entra-te e dell’esigenza di fornire al legislatore un prezio-so contributo di conoscenza su un fenomeno di di-mensioni di gran lunga più rilevante, atteso che, a fi-ne 2013, l’entità dei residui attivi era di 261,1 miliar-di, mentre quelli passivi ammontavano a 84,2 miliar-di. Quest’ultimo importo, accertato nel rendiconto 2013, risulta superiore del 42,5 per cento rispetto alle stime effettuate nel bilancio di previsione 2014 (59,1 mld), scostamento, peraltro, analogo a quelli riscon-trabili nei precedenti esercizi. Come risulta dall’ana-lisi predetta, il sistema di valutazione dei residui pas-sivi presunti, in sede previsionale, consiste in un me-ro computo aritmetico, che sottrae dalla massa spen-dibile le autorizzazioni di cassa, senza tener conto dei prevedibili effettivi andamenti gestionali, che, in-vece, sono considerati in sede di valutazione dei pa-gamenti per l’elaborazione delle relazioni trimestrali di cassa. Ad avviso della Corte dei conti, una più ac-curata stima dei residui passivi presunti in sede pre-visionale, avvicinando per quanto possibile il siste-ma di valutazione ai prevedibili andamenti effettivi, limiterebbe notevolmente i rilevati scostamenti, ren-dendo, nel contempo, più agevole l’intero processo di formazione del bilancio.

Si rileva, ancora, la mancata presentazione, nel corso dell’iter parlamentare del provvedimento, ap-provato con l. n. 145/2014, di specifico emendamen-to sugli effetti, in particolare sulle entrate tributarie, del nuovo peggioramento del quadro macroecono-mico formalizzato nella Nota di aggiornamento al Def presentata il 20 settembre scorso; analogamente, si sottolinea il limitato ricorso delle amministrazio-ni di spesa alla flessibilità di bilancio, disposta dalla legge quadro di contabilità e successivamente este-sa da ormai numerose disposizioni, anche in via spe-rimentale.

3.2. Il rendiconto 2013Anche il disegno di legge di approvazione del

rendiconto 2013 risulta presentato alle Camere in ri-tardo, nonostante il tempestivo varo del Consiglio dei ministri. Permane l’assenza, nella relazione, di un’analisi complessiva e dettagliata delle variazio-ni che riflettono l’utilizzo della flessibilità di bilan-cio, una delle più rilevanti novità della riforma, no-nostante le chiare indicazioni del legislatore. Tratta-si delle variazioni compensative di spese rimodula-bili all’interno dei programmi o tra programmi della stessa missione, su proposta delle amministrazioni; di spese per fabbisogno in ciascun programma, di-sposte dal Ministro dell’economia e delle finanze su proposta dei ministri competenti, ovvero dai ministri competenti all’interno del medesimo macro aggrega-to; nonché delle variazioni compensative tra missio-ni diverse, consentite per il periodo 2011-2016 (42), allo scopo di ampliare ulteriormente la flessibilità in sede previsionale e di assestamento, anche per un più agevole assorbimento delle reiterate riduzioni di stanziamenti.

Si confermano, altresì, i rilievi sull’attendibilità del rendiconto dal lato delle entrate, per le quali il bi-lancio di competenza giuridica appare, in parte non trascurabile, ricostruito induttivamente e non rispec-chia necessariamente l’effettiva realtà contabile. Al disegno di legge sono allegati il rendiconto econo-mico (art. 36, c. 5) e l’ecorendiconto (art. 36, c. 6, della riforma), trasmessi entrambi alla Corte dei con-ti per la parifica, sia pure con qualche ritardo per il secondo.

Le tavole di raccordo tra consuntivo e conto eco-nomico del comparto statale, elaborate in corrispon-denza di quelle prodotte nella nota tecnico-illustrati-va del disegno di legge di stabilità, evidenziano di-mensioni e complessità delle elaborazioni necessarie per passare dall’aggregato finanziario a quello eco-nomico di contabilità nazionale, funzione demandata all’Istat in base alle intese europee e non ancora resa del tutto trasparente per le valutazioni parlamentari.

L’auspicata estensione al conto del Patrimonio, a decorrere dal consuntivo 2013, dell’agile pubbli-cazione “Il rendiconto in breve”, inaugurata l’anno precedente ma limitata al conto del bilancio, è sta-ta apprezzabilmente attuata dalla Ragioneria genera-le dello Stato, dando luogo a un documento che de-scrive sinteticamente, ma efficacemente, i fenomeni

(42) Art. 2, c. 1, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010, come modificato dall’art. 10, c. 11, d.l. n. 192/2014, convertito dalla l. n. 11/2015.

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gestionali e la situazione patrimoniale, illustrando le principali grandezze finanziarie in relazione agli anni precedenti e alle previsioni iniziali della legge di bi-lancio, l’andamento dei saldi e degli aggregati artico-lati per categorie economiche e per missione e pro-grammi, nonché l’evoluzione nel tempo delle poste attive e passive del patrimonio.

3.3. La Nota di aggiornamentoLa presentazione, oltre i termini prescritti dalla

legge quadro di contabilità, della Nota di aggiorna-mento del Documento di economia e finanza 2014, trova giustificazione nella contestuale revisione dei dati di finanza pubblica e di contabilità nazionale, operata all’Istat in base alla disciplina europea, in oc-casione del passaggio dal Sec95 al Sec 2010, di cui si è fatto cenno (par. 2.3), adempimento definito nel settembre 2014.

La Nota, deliberata dal Consiglio dei ministri il 30 settembre e presentata alle Camere l’1 ottobre, approvata con due analoghe risoluzioni (43), rive-de il quadro macroeconomico, in linea con le inat-tese tendenze negative, prevedendo un’ulteriore de-crescita del prodotto interno lordo nel 2014 (-0,3 per cento rispetto al 2013) e un deficit nominale del bi-lancio pubblico del 3 per cento del Pil per il terzo an-no consecutivo. Gli interventi da inserire nella legge di stabilità consentirebbero nel 2015 l’uscita dalla re-cessione, con una crescita del Pil dello 0,6 per cento, un lieve calo del rapporto deficit/Pil al 2,9 per cen-to e della disoccupazione al 12,5 per cento, un incre-mento del rapporto debito/Pil al 131,6 per cento nel 2014 e al 133,4 per cento nel 2015, un aggiustamento del deficit strutturale pari a circa un decimo di punto percentuale rispetto al 2014. Il rallentamento del per-corso di avvicinamento comporterebbe che l’obietti-vo di medio termine (Omt), il pareggio strutturale del bilancio pubblico, sia raggiunto nel 2017, un anno dopo l’indicazione del Documento di economia e fi-nanza. Nonostante che la Commissione europea, nel-la raccomandazione n. 1, avesse indicato il pareggio per il 2015, la Nota valuta il rinvio compatibile con le regole dell’Unione, che, in caso di severo peggio-ramento dell’economia, prevedono deviazioni tem-poranee funzionali a riforme strutturali, a vantaggio della competitività del paese.

Nel delineare il quadro programmatico di medio e lungo termine, la Nota stima, tra l’altro, gli effetti di quattro riforme strutturali, in corso di attuazione o

(43) Risoluzioni 14 ottobre 2014, n. 6.83 della Camera dei deputati, e n. 6.65 del Senato della Repubblica.

di prossimo avvio: pubblica amministrazione, lavoro, giustizia e competitività. Nel breve periodo, la stima appare ispirata a criteri prudenziali (+0,4 per cento nel 2015 rispetto al tendenziale), mentre assume dimen-sioni rilevanti nel medio/lungo periodo (+3,4 per cen-to nel 2020, +8,1 per cento in prospettiva) (44).

Nel rispetto della disciplina europea, il quadro tendenziale della Nota ha preventivamente ottenu-to la validazione dell’Ufficio parlamentare del bilan-cio, il nuovo organismo indipendente istituito con la l. cost. n. 1/2012; successivamente, l’ufficio ha prov-veduto a validare anche il quadro macroeconomico programmatico di riferimento per il biennio 2014-2015, valutando come accettabile, anche dopo le va-riazioni alla manovra indicate dall’Unione europea, la previsione macroeconomica della Nota di aggior-namento, confermata nel Documento programmati-co di bilancio (45).

La Nota individua tre disegni di legge collega-ti alla manovra di finanza pubblica: gli interventi per la riorganizzazione della pubblica amministrazione, già presentato alle Camere (A.S. n. 1577, ora A.C. n. 3098, sui quali la Corte dei conti si è espressa in due audizioni (46); le misure per la revisione della spesa e per lo sviluppo del cinema e dello spettacolo; la dele-ga per la revisione dell’ordinamento degli enti locali.

Come l’anno precedente, non si rinviene nella Nota l’articolazione per sottosettori del nuovo qua-dro programmatico di finanza pubblica, disposta dal-la legge contabile e dal two-pack (47). Inoltre, si os-serva ancora il mancato invio, entro il 10 settembre, delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi al-le Camere e alla Conferenza permanente per il co-ordinamento della finanza pubblica, in relazione al-le modifiche degli obiettivi di finanza pubblica (48),

(44) Cfr., al riguardo, l’audizione della Corte dei conti sul disegno di legge delega sulla riorganizzazione delle ammini-strazioni pubbliche, dinanzi alla Commissione affari costitu-zionali della Camera (A.S. 1577) tenuta il 9 ottobre 2014, in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 1.

(45) Audizione dell’Ufficio parlamentare del bilancio sul disegno di legge di stabilità, Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, 4 novembre 2014.

(46) Audizioni della Corte dei conti, nell’ambito dell’in-dagine conoscitiva sul disegno di legge in materia di riorga-nizzazione delle amministrazioni pubbliche, presso la Com-missione affari costituzionali del Senato (A.S. 1577) del 9 ot-tobre 2014 (in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 1) e presso la Commissione affari costituzionali della Camera (A.C. 3098) del 3 giugno 2015 (in questo fascicolo, 1).

(47) Art. 10-bis, c. 1, l. n. 196/2009 e art. 6 reg. Ue n. 473/2013.

(48) Art. 10-bis, c. 2, l. n. 196/2009.

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importante elemento istruttorio per il successivo iter parlamentare; il previsto prezioso coinvolgimento degli altri livelli di governo è venuto, in tal modo, a mancare nella fase iniziale della programmazione operativa, anche se ha influito, senza dubbio, sulla nuova disapplicazione della norma l’aggiornamento del quadro macroeconomico di riferimento dovuto al passaggio dal Sec95 al Sec 2010.

Contestualmente alla Nota, il governo ha presen-tato alle Camere la specifica relazione per aggiorna-re il piano di rientro verso il pareggio strutturale del bilancio pubblico (49); l’approvazione parlamenta-re è intervenuta con due conformi risoluzioni, appro-vate a maggioranza assoluta dei rispettivi compo-nenti delle Assemblee legislative (50), consolidando la procedura inaugurata l’anno precedente, ai sensi dell’art. 6, c. 3, della legge “rinforzata” n. 243/2012. Successivamente, le Assemblee legislative hanno varato, sempre con due risoluzioni conformi (51), una nuova relazione di aggiornamento del piano di rientro, che recepisce sostanzialmente le indicazio-ni delle Autorità europee, portando nell’anno in cor-so al 2,6 per cento del Pil l’indebitamento nominale e allo 0,6 per cento quello strutturale delle pubbliche amministrazioni.

Su tali documenti, la Corte dei conti ha fornito al Parlamento le proprie valutazioni in apposita au-dizione (52), osservando un cambiamento nell’im-postazione della politica economica, a motivo dalla gravità della situazione recessiva dell’economia. Per riprendere il processo di convergenza verso l’obietti-vo di medio termine, occorre l’effettiva capacità del-le riforme avviate di rivedere l’intervento pubblico, anche alla luce della caduta di prodotto dovuta alla crisi e della necessità di rimuovere gli squilibri strut-turali del nostro sistema.

3.4. Il Rapporto sull’evasione fiscaleContestualmente alla Nota di aggiornamento, per

(49) La relazione è prescritta dall’art. 6, c. 3, legge “rin-forzata” n. 243/2012, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, c. 6, Cost.”.

(50) Trattasi della risoluzione n. 6.82, approvata dalla Ca-mera dei deputati e dell’analoga risoluzione n. 100, approvata dal Senato della Repubblica, il 14 ottobre 2014.

(51) Risoluzioni n. 1 approvata dal Senato della Repubbli-ca e n. 6.94 approvata dalla Camera dei deputati il 30 ottobre 2014.

(52) Audizione della Corte dei conti sulla Nota di aggior-namento al Def 2014, presso le Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, 13 ottobre 2014, in Rivista web Corte conti, fasc. n. 2/Ottobre 2014, www.rivistacorteconti.it.

la prima volta è stato presentato al Parlamento il rap-porto sulla realizzazione delle strategie di contrasto all’evasione fiscale, sui risultati conseguiti nel 2013 e nello scorcio del 2014, nonché su quelli attesi, per il recupero del gettito derivante sia dall’azione di ac-certamento dell’evasione, sia dalla maggiore pro-pensione all’adempimento da parte dei contribuen-ti. Anche sulla base degli indirizzi espressi dalle Ca-mere su tale documento, presentato in ritardo rispet-to a quanto previsto nel provvedimento d’urgenza su competitività e giustizia sociale (53), il governo avrebbe dovuto definire un programma di misure ul-teriori, per implementare l’azione di contrasto all’e-vasione fiscale, conseguendo nel 2015 un recupero di almeno due miliardi in più del risultato del 2013.

Il rapporto, sottolineata la stretta connessione tra evasione fiscale, corruzione e criminalità economi-co-organizzata, individua una strategia per migliora-re l’efficacia del contrasto, prevedendo, da un lato, una solida azione strutturale di deterrenza e preven-zione; dall’altro, un miglioramento del rapporto fra fisco e contribuenti. Dopo un’analisi delle diverse ti-pologie di evasione e dei relativi interventi di contra-sto, il documento auspica il concentramento dell’a-zione di controllo sulle diverse macro-tipologie di contribuenti, con metodologie differenziate, tenendo conto delle diversità di contesto. A fini di maggiore efficacia dell’azione e della tax compliance, sono in-dicate la sinergia operativa delle diverse componen-ti dell’amministrazione fiscale, con l’utilizzo razio-nale delle banche dati, la diffusione degli strumen-ti di pagamento tracciabili, della fatturazione elet-tronica, della trasmissione telematica dei corrispet-tivi e una maggiore educazione fiscale. Questi ultimi interventi, previsti nella legge delega sulla revisione del sistema tributario, consentiranno notevoli ridu-zioni degli adempimenti per le imprese, con conse-guenti riduzioni di costi, e miglioramenti nell’azio-ne di contrasto e prevenzione dell’evasione, attraver-so l’utilizzo delle informazioni disponibili. Il rappor-to opera, tra l’altro, una stima del valore complessivo delle imposte sottratte, tax gap medio su base annua, di 91 miliardi, circa il 7 per cento del Pil.

Si è tuttora in attesa, invece, dei rapporti annuali sui risultati conseguiti nel contrasto dell’evasione fi-scale e contributiva, da presentare alle Camere con-testualmente alla Nota di aggiornamento del Docu-mento di economia e finanza, e sulle spese fiscali, da allegare al disegno di legge di bilancio, entrambi de-

(53) Art. 6 d.l. n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 89/2014.

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mandati ai decreti legislativi di attuazione della rifor-ma tributaria (54).

3.5. Il documento programmatico di bilancioIl documento programmatico di bilancio per il

2015 consolida l’applicazione, avvenuta già l’an-no precedente, della disciplina comunitaria del two-pack (55), che dispone la trasmissione alle autorità europee, da parte di ciascuno Stato membro, entro il 15 ottobre, di un documento definito in coerenza con le eventuali raccomandazioni, con l’aggiornamen-to dei quadri macroeconomico e fiscale precedente-mente definiti con la Nota di aggiornamento del Def, e informazioni dettagliate sulle misure correttive. Il quadro programmatico incorpora gli effetti delle mi-sure adottate per assicurare l’obiettivo di indebita-mento netto del 3 per cento nel 2014 e quelle previ-ste per il triennio 2015-2017.

L’appendice metodologica descrive i modelli uti-lizzati per il quadro macroeconomico e l’impatto delle riforme strutturali, nonché i criteri di formazio-ne delle previsioni tendenziali e programmatiche di finanza pubblica. In linea con la normativa europea e nazionale, che consente deviazioni temporanee dal sentiero di convergenza verso l’obiettivo di medio termine-Omt (56), il documento rivede gli obiettivi di bilancio e il piano di rientro, posticipando il pa-reggio strutturale del bilancio pubblico al 2017, con l’utilizzo della flessibilità disponibile per attuare in-terventi strutturali volti a favorire il recupero di un li-vello di crescita sostenibile.

La ridefinizione degli obiettivi, secondo il docu-mento, avrebbe garantito un miglioramento del sal-do strutturale di bilancio di 0,1 punti percentuali di Pil nel 2015 e di 0,5 nel 2016, anno in cui il rappor-to debito/Pil sarebbe tornato a scendere. Le dispo-sizioni sull’utilizzo di previsioni macroeconomiche indipendenti sono state puntualmente osservate, con la validazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Dopo le richieste di chiarimento della Commissio-ne Ue, sono state indicate misure aggiuntive con le

(54) Art. 3, c. 1, lett. f), e art. 4, c. 1, l. n. 23/2014, recan-te “Disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”.

(55) Art. 6 del reg. Ue n. 473/2013 del Parlamento euro-peo e del Consiglio del 21 maggio 2013, recante disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi ec-cessivi negli Stati membri della zona euro, anche per garanti-re la pubblicità dei relativi contenuti, in conformità a quanto previsto nel par. 2 del medesimo art. 6.

(56) Art. 5 del reg. Ue n. 1466/1997 e art. 6, c. 5, l. n. 243/2012.

quali la correzione del deficit strutturale 2015 viene elevata a 0,3 punti di Pil, in linea con la nuova inter-pretazione europea delle norme sulla flessibilità, che prevede, tra l’altro, una più contenuta riduzione del disavanzo strutturale per i Paesi con output gap ne-gativo compreso tra il 3 e il 4 per cento (57). Ciò ha richiesto una specifica relazione di variazione della Nota di aggiornamento al Def, per la modifica de-gli obiettivi riportati nel Documento programmatico di bilancio, con misure aggiuntive che portano l’in-debitamento netto nominale al 2,6 per cento e quello strutturale allo 0,6 per cento del Pil.

In tale quadro, particolare rilevanza assume l’a-nalisi sulla crescita potenziale e sulle implicazioni per la politica di bilancio, contenute nell’appendice metodologica, che conclude raccomandando estre-ma cautela nella considerazione delle stime risultan-ti dal modello utilizzato anche in sede europea, per-ché caratterizzate da un elevato grado di incertezza: con l’adozione di parametri diversi, in particolare per l’output gap, l’obiettivo di medio termine, il pareg-gio strutturale del bilancio pubblico, risulterebbe so-stanzialmente raggiunto già a partire dal 2012 e ci troveremmo oggi in situazione di avanzo struttura-le (58). Tali stime sono state in qualche misura con-divise dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che ha ritenuto il saldo strutturale di bilancio vicino al pa-reggio già dal 2013 e leggermente positivo dal 2015, dopo un lieve peggioramento nel 2014 (59). Più in generale, si osserva che il medesimo Ufficio, nel va-lutare il quadro macroeconomico di riferimento per il triennio 2016-2018, ha ritenuto preferibile un ap-proccio ispirato a maggiore prudenza, con l’esclu-sione dalla formulazione delle previsioni degli effet-ti delle riforme strutturali (60).

Va ricordato, infine, che, in sede di adeguamen-to al nuovo assetto costituzionale della legge quadro di contabilità e finanza pubblica, dovranno essere af-frontati eventuali aspetti procedurali e chiarito il rap-

(57) Per l’Italia, con output gap nel 2015 al -3,4 per cen-to, la riduzione del disavanzo strutturale si riduce dallo 0,5 al-lo 0,25 per cento. Sulle nuove indicazioni della Commissione europea in tema di flessibilità, si veda il focus dell’Ufficio par-lamentare di bilancio, gennaio 2015.

(58) Si veda, in proposito, il focus “La stima della cresci-ta potenziale e le implicazioni per la politica di bilancio”, nell’appendice metodologica del Documento programmatico di bilancio 2015.

(59) Ufficio parlamentare di bilancio, Rapporto sulla po-litica di bilancio 2015, novembre 2014, 65; si veda, anche, la nota di lavoro n. 1 del medesimo ufficio, “La stima del Pil po-tenziale: analisi di alcune criticità”, gennaio 2015.

(60) Ibidem, 13.

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porto tra Documento programmatico e Nota di ag-giornamento al Documento di economia e finanza, attesi gli elementi di sovrapposizione che emergo-no, sotto il profilo sia dei contenuti che dei tempi di presentazione.

3.6. La legge di stabilitàIl disegno di legge di stabilità per il 2015, presen-

tato al Parlamento, unitamente a quello relativo al bi-lancio a legislazione vigente, il 23 ottobre 2014, oltre il termine prescritto dalla norma contabile, correda-to solo il 31 ottobre dalla relazione tecnico-illustrati-va, è stato oggetto di numerosi stralci, per estraneità della materia rispetto al prescritto contenuto proprio, dando luogo a separati disegni di legge, conferman-do una consuetudine ormai ricorrente (61). La legge, nel 2015, reca una manovra complessiva, in termini di indebitamento netto, ridotta dai 36,2 miliardi ori-ginari a 34 miliardi, per effetto delle modifiche con-cordate con l’Unione europea, trasfuse in opportu-ni emendamenti, con finanziamento in disavanzo per soli 5,8 miliardi e miglioramento dei saldi negli anni successivi; di tali modifiche si è dato conto nell’ag-giornamento inviato dal governo alle Camere in oc-casione del passaggio all’altro ramo del Parlamento. Analogamente, la relazione tecnica originaria è stata aggiornata nel gennaio 2015 (62).

Le misure, confermando le indicazioni program-matiche, mirano a cambiare le aspettative con inter-venti strutturali su mercato del lavoro e sistema fi-scale, sia dal lato della domanda interna (bonus fisca-

(61) A.C. 2679-ter (Progetti per servizi socialmente utili); 2679-quater (Impiego di personale militare per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale in Campa-nia); 2679-quinquies (Interventi in favore dei giovani impren-ditori agricoli e per l’integrazione del sistema agroalimenta-re); 2679-sexsies (Cessione di attività immobiliari e di quote di società partecipate da parte della Rai); C. 2679-septies (Trattamenti economici accessori del personale del Ministero della salute); 2679-octies (Prerogative sindacali del personale delle Forze di polizia a ordinamento civile e del Corpo nazio-nale dei Vigili del fuoco); 2679-nonies (Rappresentanza mili-tare); 2679-decies (Disposizioni diverse in materia di istruzio-ne scolastica e universitaria e del sistema dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, nonché interventi concernenti l’Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione); 2679-undecies (Modifiche al co-dice dell’ordinamento militare e al codice penale militare di pace in materia di ordinamento giudiziario militare); 2679-duodecies (Unità produttive e industriali dell’Agenzia industrie difesa); 2679-terdecies (Prodotti energetici sottopo-sti a sequestro); 2679-quaterdecies (Verifica straordinaria nei confronti del personale sanitario).

(62) Ai sensi dell’art. 17, cc. 3, 5 e 8, l. 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni.

le, intervento per i nuovi nati), sia dal lato dell’offer-ta (taglio dell’Irap, decontribuzione, nuovi contratti di lavoro), in gran parte di carattere redistributivo. In via generale, la Corte dei conti ha espresso condivi-sione degli obiettivi, auspicando un attento monito-raggio degli interventi per una loro tempestiva e effi-cace attuazione (63).

Tra l’altro, la legge di stabilità, in base alla legge “rinforzata” n. 243/2012, recante attuazione del prin-cipio del pareggio dì bilancio, introduce, dal 2016 nella fase di previsione e dal 2015 in sede di rendi-conto, l’obbligo per le regioni a statuto ordinario di assicurare l’equilibrio tra entrate e spese, in sostitu-zione delle regole del patto di stabilità interno, per la parte corrente e per le operazioni finali, in termini di competenza e cassa. La nuova configurazione del patto di stabilità interno, che caratterizza il contenu-to proprio della legge di stabilità (64), è descritta nel successivo par. 4.4.

Altra importante innovazione è l’assoggettamen-to delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura al regime di tesoreria unica, con esclu-sione delle relative aziende speciali; ne consegue l’obbligo di versamento, entro il 2 febbraio 2015, delle disponibilità liquide presso la tesoreria stata-le e di smobilizzo, entro giugno, di eventuali investi-menti finanziari, esclusi quelli individuati con speci-fico decreto (65).

La legge si presenta, ancora una volta, formal-mente e sostanzialmente caratterizzata da forti diver-genze rispetto al modello della vigente legge quadro di contabilità, con profili negativi sostanzialmente confermati rispetto ai precedenti esercizi. Basti pen-sare alla complessità ed eterogeneità del testo nor-mativo, consistente in un solo articolo di ben 735 commi, a fronte dei 47 articoli per 399 commi del di-segno di legge.

Numerose sono le norme di carattere ordinamen-tale, organizzatorio, localistico o microsettoriale, in palese violazione del divieto normativo; in talu-ni casi, le norme sono prive di riflessi finanziari, an-che indiretti. A mero titolo esemplificativo, si cita-no gli interventi per il credito d’imposta per ricer-

(63) Audizione della Corte dei conti sul disegno di legge di stabilità, Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, 3 novembre 2014, in Rivista web Corte conti, fasc. n. 2/Otto-bre 2014, www.rivistacorteconti.it.

(64) Art. 11, c. 3, lett. m), l. n. 196/2009 e successive mo-dificazioni.

(65) Art. 1, cc. 391-394, n. 190/2014 (legge di stabilità 2015), decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 27 aprile 2012 e Mef-Rgs circ. n. 4/2015.

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ca e sviluppo (c. 35), gli uffici giudiziari di Paler-mo (cc. 98-106), gli italiani nel mondo (c. 136), le frequenze del digitale terrestre e comunicazioni (cc. 147-149), il cinque per mille Irpef (c. 152), la fonda-zione Auschwitz-Birkenau (c. 162), l’utilizzo dei se-gni distintivi di Polizia di Stato e Vigili del fuoco (cc. 195-198), il Made in Italy (cc. 202-203), il traspor-to pubblico locale (cc. 223-228), l’autotrasporto (cc. 247-251), gli istituti di patronato e assistenza sociale (cc. 310-313), il debito pubblico e la tesoreria statale (cc. 387-397), la ricostruzione delle zone terremota-te abruzzesi (cc. 437-449), l’utilizzo e la razionaliz-zazione di dispositivi medici e strutture sanitarie (cc. 587-608), la governance delle politiche di coesione per il 2014-2020 (cc. 668-677 e 703-705).

Particolare rilevanza assume il rinvio alla succes-siva fase amministrativa della definizione di aspet-ti normativi che incidono massicciamente sull’effet-tiva attuazione della legge di stabilità: una prima ri-cognizione quantifica in ben 118 decreti o atti ammi-nistrativi, alcuni di elevata complessità, di concreta traduzione della norma in realtà (66).

Appare, inoltre, anomala l’istituzione di apposi-ta contabilità speciale per la reiscrizione di residui riaccertati (67), nonostante che, da ultimo, la leg-ge “rinforzata” stabilisca il progressivo superamento delle gestioni su contabilità speciali o conti correnti di tesoreria e la conseguente riconduzione delle rela-tive risorse al bilancio dello Stato. Altrettanto incoe-rente con l’indicazione di accrescere la collaborazio-ne tra fisco e contribuenti, prevista dalla legge delega sulla riforma del sistema tributario, sembra la sostan-ziale revisione dell’istituto del ravvedimento opero-so, nel senso di favorire l’attendismo dei contribuen-ti meno corretti (68).

Sul piano generale, il nuovo quadro istituziona-le interno e comunitario, profondamente diverso ri-spetto al 2009, quando fu varata la vigente legge di contabilità, ha posto le basi di un possibile peggio-ramento, a determinate condizioni, dei saldi tenden-ziali in sede di legge di stabilità, come avvenuto nel biennio 2014-2015, mutandone pertanto la principa-le funzione, individuata in precedenza nel migliora-

(66) Senato della Repubblica, Servizio per la qualità degli atti normativi, Adempimenti previsti dalla legge di stabilità 2015, gennaio 2015.

(67) Art. 1, c. 700, legge di stabilità 2015.(68) Art. 1, cc. 637-641, della legge di stabilità 2015; si

veda, in proposito, il referto della Corte dei conti su “Le pro-spettive di finanza pubblica dopo la legge di stabilità”, 24 feb-braio 2015, par. 3.4, in Rivista web Corte conti, fasc. n. 3/Mar-zo 2015, www.rivistacorteconti.it.

mento dei saldi. La circostanza si riflette, ovviamen-te, anche sull’obbligo di copertura degli oneri di par-te corrente, sancito dalla vigente legge quadro (69); anzi, in imminenza dell’assorbimento, dal 2016, nel nuovo bilancio unificato, la legge di stabilità 2015 ne fornisce il primo esempio: come risulta dal prospetto di copertura, all’interno della temporanea deviazione dall’obiettivo di medio periodo per “eventi eccezio-nali”, le coperture correnti risultano di importo infe-riore rispetto agli oneri correnti, con apposita deroga alla legge di contabilità vigente (70). Anche sotto ta-le profilo, la Corte dei conti ritiene indifferibile l’e-sigenza di un adeguamento dell’ordinamento conta-bile ordinario.

3.7. Il bilancio di previsioneNel nuovo quadro della governance economica

europea, era stata prevista la presentazione anticipa-ta dei disegni di legge di stabilità e di bilancio, nelle more di una modifica normativa della legge di conta-bilità, anticipandone opportunamente il processo di formazione nel periodo maggio-luglio 2014 (71). L’intento non ha, tuttavia, avuto seguito, in quanto, come accennato, i disegni di legge di bilancio 2015-2017 e di stabilità sono stati presentati soltanto il 23 ottobre 2014, oltre i termini prescritti.

Il disegno di legge di bilancio, articolato in mis-sioni e programmi, che costituiscono le unità di vo-to, conferma il numero delle missioni in 34, di cui 21 condivise tra amministrazioni, ma presenta una pro-fonda revisione dei programmi nell’articolazione e nel numero, 181 rispetto ai 174 del 2014, se si consi-derino una sola volta, impropriamente, i programmi che si ripetono in più dicasteri; il loro numero “lor-do”, invece, risulta, rispettivamente, 218 e 210. Le modifiche conseguono alla riorganizzazione di di-versi ministeri, con impatto rilevante sulla struttura degli stati di previsione (72). Alcune missioni e nu-

(69) Art. 11, c. 6, l. n. 196/2009.(70) Si riporta il c. 732 dell’art. 1 della legge di stabilità

2015: “Per l’esercizio finanziario 2015, in attuazione dell’au-torizzazione richiesta ai sensi del c. 3 dell’art. 6 della l. 24 di-cembre 2012, n. 243, concessa a seguito dell’approvazione, con risoluzione, dell’apposita relazione al Parlamento 2014, le nuove o maggiori spese correnti, le riduzioni di entrata e le nuove finalizzazioni nette da iscrivere nel fondo speciale di parte corrente possono eccedere le risorse da utilizzare a co-pertura, ai sensi dell’art. 11, c. 6, l. 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nel limite massimo indicato nella medesima relazione, secondo il prospetto allegato alla presen-te legge.

(71) Mef-Rgs circ. n. 11/2014.(72) D.l. n. 95/2012, convertito dalla l. n. 135/2012, e art.

16, c. 4, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014.

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merosi programmi hanno cambiato denominazione, anche sulla base dell’importanza attribuita a talune politiche; il contenuto di molti programmi, anche a parità di denominazione, è mutato in relazione alla migliore rappresentazione delle finalità della spesa.

In sintesi, sono stati istituiti 16 nuovi programmi, a fronte di 9 eliminati, soprattutto per effetto della ri-organizzazione di taluni ministeri a struttura diparti-mentale in direzioni generali; tale riorganizzazione ha comportato il contestuale aumento del numero dei centri di responsabilità da 93 a 118 e quello dei cen-tri di costo, ai fini della contabilità economico-anali-tica, da 787 a 1.009.

Nella legge di bilancio, il numero di programmi condivisi tra centri di responsabilità di uno stesso di-castero diminuisce da 14 a 10, mentre aumenta a 5 (4 nel 2013) il numero di quelli condivisi tra più mini-steri (73). La spesa gestita mediante programmi con-divisi si conferma molto rilevante, in disapplicazio-ne della legge contabile, che dispone, com’è noto, la gestione di ciascun programma da parte di un unico centro di responsabilità amministrativa. In ciascun anno del triennio di previsione, la quota gestita me-diante programmi condivisi si avvicina mediamen-te, per la spesa complessiva, che include il rimborso di prestiti, al 42 per cento, mentre per la spesa fina-le, escluso il rimborso di prestiti, al 59 per cento. In allegato, la tavola 1 dà conto, distintamente per pro-grammi condivisi e ministeri, delle previsioni trien-nali 2015-2017 e dell’incidenza sulla spesa, finale e complessiva.

In sede consuntiva, il peso dei programmi con-divisi si accentua notevolmente: nel periodo 2008-2014, di vigenza dell’aggregazione funzionale per missioni e programmi, in termini di impegni totali, la quota varia, per la spesa finale, dal massimo nel 2009 del 74,4 al minimo del 53,2 per cento nel 2014, mentre per la spesa complessiva si passa dal massi-mo dell’81,1 nel 2009 al minimo del 64 per cento nel 2013 (vedi tav. 2 in allegato). Ciò vuol dire che, ne-gli esercizi meno divergenti, sotto tale profilo, dal-la disposizione normativa, oltre la metà delle spese per operazioni finali e circa i due terzi delle spese complessive sono state gestite su programmi affidati a più centri di responsabilità amministrativa.

La circostanza impone un urgente ripensamento

(73) Trattasi dei programmi “Missioni militari di pace”; “Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e forma-zioni sociali e responsabilità sociale delle imprese e delle or-ganizzazioni”; “Indirizzo politico”; “Servizi e affari generali per le amministrazioni di competenza”; “Fondi da assegna-re”).

della vigente normativa circa la cosiddetta corrispon-denza biunivoca tra programmi e centri di responsa-bilità, che si è dimostrata poco compatibile con la re-altà amministrativa del nostro paese, in attività che comportano necessariamente l’apporto coordinato di più articolazioni organizzative. La sede più appro-priata, per una razionale rivisitazione della discipli-na contabile, appare l’adeguamento al nuovo siste-ma costituzionale, entrato in vigore il primo genna-io 2014, della legge quadro di contabilità e finanza pubblica, quando potrà essere valutata la proposta, già avanzata anche dalla Corte dei conti, del coordi-natore di programma.

L’avvenuta introduzione del nuovo sistema Sec 2010 a livello nazionale, in coerenza con tutti gli Sta-ti membri dell’Unione europea, ha comportato alcu-ni cambiamenti nel bilancio dello Stato, in linea con le stime dei conti nazionali. La riconsiderazione de-gli armamenti militari come spese in conto capitale ha avuto effetti quantitativamente limitati, essendo in massima parte già considerati investimenti; altret-tanto si è verificato sia per le spese di ricerca e svi-luppo, classificate come trasferimenti a università e enti di ricerca; sia per l’ampliamento del perimetro delle amministrazioni pubbliche. Ai fini del calcolo dell’indebitamento netto, rilevanti appaiono, invece, i riflessi della nuova classificazione tra le finanziarie delle operazioni sui derivati, i cui interessi è previsto che impattino ora direttamente sul debito pubblico.

Altra notazione di rilievo concerne lo scarso uti-lizzo, da parte delle amministrazioni, della flessibi-lità di bilancio in sede previsionale. Le disposizioni vigenti in materia, oltre alla flessibilità generale pre-vista dall’art. 23 della legge quadro, riguardano le variazioni compensative delle spese pluriennali, in-trodotte in via sperimentale nel 2012 (74), le varia-zioni tra missioni diverse (75) e quelle intese a una più idonea distribuzione, rispetto alle autorizzazioni legislative, in via sperimentale, delle spese plurien-nali tra gli esercizi del triennio (76). Di tali rimodu-lazioni, nonostante le chiare indicazioni normative, non viene fornita adeguata analisi nella relazione al disegno di legge, confermando una prassi che lascia nell’ombra l’effettivo utilizzo della flessibilità previ-sionale, una delle principali innovazioni della rifor-

(74) Art. 6, cc. 15 e 16, d.l. n. 95/2012, convertito dalla l. n. 135/2012.

(75) Art. 2, c. 1, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010, prorogato fino al 2016 dall’art. 10, c. 11, d.l. n. 192/2014, convertito dalla l. n. 11/2015.

(76) Art. 6, cc. 10, 12 e 16, d.l. n. 95/2012, convertito dal-la l. n. 135/2012.

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ma contabile. Nel nuovo bilancio, non sembra ade-guatamente utilizzata neanche la cosiddetta flessibi-lità orizzontale delle spese pluriennali, con facoltà di rimodulazione e di reiscrizione (77), atteso che le no-te integrative non evidenziano, generalmente, il fe-nomeno, soprattutto per le spese totalmente non im-pegnate alla chiusura del precedente esercizio, anche ai fini del loro definanziamento; soltanto le note dei ministeri della salute, del lavoro e delle politiche so-ciali e del fondo per il culto danno evidenza, nelle rispettive Sez. II, dell’assenza di tali fattispecie nel proprio stato di previsione.

La legge di bilancio sconta il programma stra-ordinario di riaccertamento dei residui passivi, an-che perenti, per consentire la cancellazione dei debiti non più esigibili dai terzi ovvero l’iscrizione di nuovi stanziamenti (78). L’operazione ha comportato l’e-liminazione di ben 23,8 miliardi di residui passivi, in massima parte perenti (22,5), di cui 3,2 per trasferi-menti agli enti territoriali. Le dotazioni, conseguen-temente iscritte su base pluriennale nelle nuove pre-visioni, ammontano a 19 miliardi, dei quali 2,8 desti-nati agli enti territoriali, 14,7 a partite contabilizzate in conto sospeso destinate alle regolazioni con la te-soreria e 1,5 ai programmi di spesa.

3.8. Anomalie della legislazioneLe relazioni quadrimestrali, presentate dalla Cor-

te dei conti al Parlamento, sulle tipologie di coper-tura e sulla quantificazione degli oneri dei provvedi-menti legislativi, forniscono ampie considerazioni in materia, in gran parte di seguito riassunte.

Permane inattuato l’ultimo comma dell’art. 17 della legge quadro di contabilità, che prescrive l’in-dicazione delle missioni di spesa e dei relativi pro-grammi per i provvedimenti legislativi di iniziativa governativa che prevedono l’incremento o la ridu-zione di stanziamenti di bilancio.

Va nuovamente sottolineato il largo ricorso al-le clausole d’invarianza e la complessità della nor-mativa, con risvolti attuativi di non sempre agevole realizzazione e con relazioni tecniche spesso inade-guate, senza dettagli, non convincenti sotto il profi-lo della neutralità finanziaria, frequentemente a cau-sa dell’insoddisfacente apporto delle amministrazio-ni di merito, sulle quali incombe l’obbligo di predi-

(77) Art. 6, cc. 15 e 16, d.l. n. 95/2012, convertito dalla l. n. 135/2012; si veda, in ultimo, circ. n. 10/2015 del Mef-Rgs.

(78) Art. 49 d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014, che ha dato luogo al decreto del Mef n. 228056 del 26 agosto 2014, rettificato con decr. n. 100724 del 30 dicembre 2014; Mef-Rgs circ. n. 18/2014.

sporre il documento, spettando al Ministero dell’eco-nomia e delle finanze solo quello di effettuarne una verifica.

In molti casi, mancano gli approfondimenti ne-cessari per la ricostruzione del percorso seguìto per la quantificazione degli oneri, al fine di riscontrarne sostenibilità e ragionevolezza. Si rammenta, in pro-posito, che lo stesso obbligo di copertura ha acquisi-to nuova rilevanza, per garantire l’assoluta coerenza tra aspetti finanziari della nuova legislazione ordina-ria e conseguibilità degli obiettivi di finanza pubbli-ca fissati in sede programmatica, in conformità con l’ordinamento comunitario e i vincoli costituziona-li. Si sottolinea, in proposito, che, anche prima del-la modifica costituzionale, l’ordinamento aveva sen-tito, fin dalla riforma contabile della l. n. 362/1988, l’esigenza di un processo deliberativo in materia fi-nanziaria con elevato livello di attendibilità e affida-bilità per l’impatto sui saldi a legislazione vigente.

Va notata, ancora, la coesistenza di una legisla-zione, da un lato, volta a superare la proliferazione delle gestioni fuori bilancio, per riportare in bilan-cio previsione e gestione degli stanziamenti, e, d’al-tro lato, una legislazione che ricorre spesso a tali for-me extra ordinem di gestione delle risorse pubbli-che. Il fenomeno incide su universalità, significati-vità e trasparenza del bilancio, con conseguenze an-che sulle reali possibilità di controllo ai vari livelli. Il continuo ricorso alle gestioni fuori bilancio, infat-ti, da lungo tempo esclusivo per certi interventi (ad esempio, calamità naturali e taluni incentivi all’atti-vità economica), pone in luce un’ulteriore discrasia: l’inadeguatezza delle ordinarie procedure alle esi-genze di flessibilità che certi interventi richiedono. Sotto tale profilo, l’esercizio delle deleghe di cui agli artt. 40 e 42 della legge di contabilità potrebbe forni-re una valida occasione per ammodernare i passag-gi contabili, nell’ambito della riconduzione alla fi-siologia della gestione di una massa notevole di ri-sorse amministrate ora, sostanzialmente, in tesoreria. L’attuale situazione appare anomala anche rispetto al fondamentale principio dell’annualità, ribadito dal nuovo art. 81, che assume particolare rilevanza nel-la contabilità finanziaria, con il divieto generale di spostamento tra esercizi degli stanziamenti di bilan-cio. Infine, il proliferare delle gestioni fuori bilancio va valutato anche ai fini della coerenza con il princi-pio dell’universalità del bilancio, anch’esso correla-to con i principi costituzionali.

Si notano, poi, norme che incidono su preceden-ti disposizioni di risparmio di spesa, ritenute neutra-li per il fatto che i risparmi non erano stati quantifi-

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cati nelle relazioni tecniche di riferimento. Tale ar-gomentazione non può essere condivisa, in quanto in molti casi la mancata attribuzione di risparmi nella norma originaria è operata solo per evitare eventuali problemi di gestione con la riduzione dello stanzia-mento, fermi restando gli effetti positivi sulla finan-za pubblica; ne consegue che la successiva riduzio-ne dei risparmi dovrebbe indurre ad ipotizzare peg-gioramenti dei “tendenziali”, senza coperture. Anche da questo punto di vista, emerge l’importanza di una sempre più realistica costruzione dei saldi tendenzia-li, alla luce non solo dei princìpi di veridicità e di tra-sparenza, ma anche ai fini del raggiungimento de-gli obiettivi di finanza pubblica, elevati, a partire dal 2014, a rango costituzionale.

Ancora, si aggrava il fenomeno del rinvio alla fa-se amministrativa per la definizione di aspetti finan-ziari di rilievo, talora rimettendo a tale sede partico-lari casi di definizione dell’obbligo tributario e delle relative variazioni, ovvero la calibratura più precisa del sistema degli oneri e delle coperture: tutti com-piti, in altre parole, di palese competenza dello stru-mento legislativo, come si evince anche dall’art. 23 Cost. Va rimarcata, al riguardo, la profonda valen-za anche istituzionale del progressivo spostarsi del-la definizione del vincolo finanziario dal livello di norma primaria ex ante, legato al momento della de-liberazione parlamentare, all’ex post, che dovrebbe riguardare solo l’esecuzione e il monitoraggio della norma, non la decisione degli aspetti finanziari.

Non mancano, come in precedenza, utilizzi di fondi di parte capitale per finalità correnti, nonostan-te il divieto dalla legge di contabilità e l’equiparazio-ne di fatto all’assenza di copertura finanziaria, con le relative conseguenze procedurali.

Altra discrasia appare la mancanza di clauso-le di salvaguardia in presenza di oneri solo valutati o stimati, ovvero l’indicazione di clausole non con-vincenti circa il profilo della sostenibilità. L’assen-za di opportune clausole di salvaguardia caratteriz-za spesso norme tributarie (79), ritenute senza effet-ti negativi sul gettito, in quanto incentiverebbero i contribuenti al versamento di somme che altrimen-ti potrebbero non essere corrisposte. Trattandosi di valutazioni difficilmente verificabili ex ante, un at-

(79) Si veda, ad esempio, l’art. 1 l. 2 maggio 2014, n. 68, di conversione del d.l. 6 marzo 2014, n. 16, recante disposizio-ni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni sco-lastiche, in particolare la proroga dei termini in materia di de-finizione agevolata delle cartelle di pagamento di cui al c. 1, lett. c) e d).

teggiamento prudenziale dovrebbe indurre a indica-re una clausola di salvaguardia, cui far ricorso in ca-so di effetto non neutrale. Si osserva che, in sostan-za, non si ritiene indispensabile la clausola di salva-guardia quando l’onere consiste in minori entrate, in quanto ogni disallineamento tra oneri e coperture po-trebbe essere verificato solo negli esercizi successi-vi. Tale orientamento non appare prudenziale, tenuto conto dell’avvenuta elevazione a rango costituziona-le degli obiettivi di finanza pubblica. La nuova legge quadro di contabilità dovrebbe disciplinare meglio la fattispecie prevedendo l’obbligatorietà della clauso-la di salvaguardia anche nel caso di minori entrate.

Va notato anche il fenomeno del crescente ricorso a clausole di salvaguardia centrate su maggiori entra-te, indotto da difficoltà e ritardi nel complesso pro-cesso di revisione della spesa; sarebbe, invece, senza dubbio auspicabile un’azione più decisa in quest’ul-tima direzione.

Attenzione merita anche il caso di coperture di oneri correnti di carattere permanente a carico del fondo globale (80). In linea generale, la copertura sul fondo globale è la prima tra quelle consentite dal-la legge di contabilità e appare opportuno farvi mag-gior ricorso, in quanto tale fondo funge da cernie-ra tra andamenti programmatici e tendenziali della legislazione. Occorre, tuttavia, considerare che il ri-corso a tale copertura, per far fronte ad oneri corren-ti permanenti, esige particolare cautela, in relazione al rischio di irrigidimento della struttura del bilancio negli anni successivi, con conseguente attenuazione della flessibilità necessaria per future esigenze, ren-dendo più difficile il raggiungimento degli obiettivi della politica di bilancio, elevati ormai a rango co-stituzionale.

Particolare rilevanza riveste la fattispecie delle diverse modalità di contabilizzazione di alcune par-tite nella contabilità nazionale, rispetto a quelle del-la competenza finanziaria (81); in tali casi, è possi-bile stabilire la collocazione definitiva dell’onere co-me minore entrata o maggiore spesa soltanto dopo

(80) Si vedano, ad esempio, gli artt. 9, c. 2-quater, e 9-bis, c. 3, l. n. 80/2014, di conversione del d.l. n. 47/2014, recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.

(81) Si veda, ad esempio, l’art. 1 d.l. n. 66/2014, converti-to dalla l. n. 89/2014, recante misure urgenti per la competiti-vità e la giustizia sociale. Deleghe al governo per il completa-mento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria.

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l’applicazione dei criteri Sec 2010 da parte di Istat e Eurostat, con la conseguenza che potrebbe risultare disapplicata la regola del tetto di spesa sancita dalla legge rinforzata (82).

Altra anomalia mostrano le disposizioni con ef-fetti sui bilanci di enti pubblici, senza adeguate co-perture, in forza della semplice affermazione di as-senza di effetti negativi ovvero di considerazione nell’ambito delle dotazioni in essere, eventualmen-te rivedendo la composizione del bilancio. Si tratta di una modalità vietata dalla legge di contabilità, in coerenza con la stessa giurisprudenza costituzionale, che impone la copertura per le leggi che introducono oneri a carico di altri enti pubblici.

Andrebbe, poi, attentamente valutata la piena so-stenibilità delle coperture effettuate con la riduzione di stanziamenti per consumi intermedi, evitando il ri-schio di compromettere la funzionalità delle ammini-strazioni ovvero effetti di “rimbalzo” negli anni suc-cessivi, creando i presupposti per il prodursi di nuo-vo debito sommerso. Per il suo carattere innovativo, un cenno particolare merita, in tale ambito, la ripro-grammazione straordinaria delle spese correnti de-mandata al Ministero della difesa, per la copertura di parte degli oneri per le missioni internazionali (83): trattasi del primo utilizzo di una sorta di spending re-view ad hoc, senza ulteriori specificazioni.

Va segnalata anche la tendenza a modificare i contenuti dei documenti di finanza pubblica al di fuori di un quadro coerente e unitario, che accentua la disomogeneità dell’assetto ordinamentale com-plessivo. Sotto altro profilo, occorre ribadire l’esi-genza di rappresentare gli effetti delle norme non so-

(82) Si riporta l’art. 5 della legge “rinforzata” n. 243/2012: “Art. 5 (Regole sulla spesa).

1. Il tasso annuo programmato di crescita della spesa del-le amministrazioni pubbliche, al netto delle poste indicate dal-la normativa dell’Unione europea, non può essere superiore al tasso di riferimento calcolato in coerenza con la medesima normativa.

2. Al fine di assicurare il rispetto del tasso di crescita di cui al c. 1 e il conseguimento degli obiettivi programmatici, i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio indica-no, per il triennio di riferimento, il livello della spesa delle am-ministrazioni pubbliche.

3. Il Ministro dell’economia e delle finanze, avvalendosi della collaborazione delle amministrazioni interessate, prov-vede al monitoraggio del rispetto del livello di cui al c. 2. Il governo, qualora preveda il superamento di tale livello, tra-smette una relazione alle Camere, evidenziando le eventuali misure correttive da adottare al fine di assicurare il consegui-mento degli obiettivi programmatici”.

(83) Art. 11, c. 1, lett. d), d.l. n. 109/2014, convertito dal-la l. n. 141/2014.

lo sui saldi nominali, ma anche su quelli strutturali, allo scopo di salvaguardare gli obiettivi di rango co-stituzionale, come prevede la disciplina europea.

Di estrema delicatezza appare il ricorso a coper-ture con effetti indiretti, non solo per rispettare il det-tato costituzionale, ma anche per l’incertezza delle quantificazioni, anche con riguardo alle clausole di salvaguardia. Analogo appare il fenomeno dell’am-pliamento della concessione di garanzie dello Sta-to, senza tener conto dei possibili rischi di escussio-ne (84), che potrebbe avere notevole impatto sulla finanza pubblica: si tratta di una decisione i cui con-torni finanziari per lo più non sono noti in riferimen-to alla singola disposizione, nel senso che ne manca in qualche caso la quantificazione intesa come limite massimo, i cui riflessi sul bilancio dello Stato, alme-no per la quota prevedibilmente escutibile, dovreb-bero essere coperti, non essendo sufficiente il me-ro rinvio agli appositi capitoli qualificati obbligatori, dimensionati in base alla legislazione vigente.

Sembra opportuna, infine, una riflessione sull’am-piezza della nozione di evento eccezionale, che con-sente di allontanarsi temporaneamente dall’equili-brio di bilancio, salvo l’obbligo del recupero al veri-ficarsi delle condizioni normate dalla legge “rinfor-zata”. In questo ambito, va considerata la coerenza tra gli effetti dei citati eventi eccezionali e l’obietti-vo, egualmente costituzionalizzato, della sostenibili-tà del debito delle pubbliche amministrazioni.

4. Prospettive di riforma4.1. Struttura del bilancio e potenziamento della cassa

In vista dell’adeguamento della legge quadro di contabilità e finanza pubblica al nuovo assetto costi-tuzionale, che ha recepito il principio del pareggio strutturale del bilancio pubblico, l’esercizio delle de-leghe sul completamento della revisione della strut-tura del bilancio dello Stato e sul potenziamento del bilancio di cassa è stato ulteriormente rinviato al 31 dicembre 2015 (85), tenendo anche conto dell’entra-ta in vigore, a decorrere dal 2016, del nuovo bilancio “sostanziale”, che assorbe l’attuale legge di stabilità; alla fine del prossimo anno è slittato, invece, il termi-ne per l’esercizio della delega per l’emanazione del testo unico di contabilità.

È stata estesa fino al 2016 la facoltà, derogatoria

(84) Si veda, ad esempio, l’art. 4, c. 8-bis, d.l. n. 133/2014, convertito dalla l. n. 164/2014.

(85) Art. 1, c. 2, l. n. 89/2014, di conversione del d.l. n. 66/2014.

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delle norme contabili, di proporre nel disegno di leg-ge di bilancio e nell’assestamento, per motivate esi-genze, variazioni compensative alle dotazioni delle missioni, con divieto di passaggi dal conto capitale alla parte corrente e limitatamente alle spese rimo-dulabili (86).

Nell’ambito della delega per il completamen-to della revisione strutturale, la prevista articolazio-ne del bilancio in “azioni” – aggregati da definire in modo che rappresentino in maniera più dettagliata le finalità dei programmi di spesa e sostituiscano, pre-via adeguata sperimentazione, gli attuali capitoli nel-la gestione e nella rendicontazione – aveva dato luo-go a un esercizio, riferito al bilancio di previsione del 2014, che aveva individuato 713 azioni a fronte dei 2.680 capitoli attivi all’inizio dell’esercizio. Prose-gue nell’anno in corso un nuovo riesame della strut-tura del bilancio per azioni per tenere conto delle ri-organizzazioni intervenute e delle innovazioni nor-mative; il risultato sarà la rappresentazione della leg-ge di bilancio 2015 articolata per azioni. Il completa-mento delle attività preliminari e la presentazione di un disegno organico, condiviso dalle amministrazio-ni e dalla Corte dei conti, si pongono ora come pre-supposti per avviare urgentemente la prevista neces-saria sperimentazione, che implica, con ogni eviden-za, un congruo periodo di affiancamento delle azio-ni ai capitoli, quali unità elementari della gestione.

Altro profilo rilevante concerne l’ottimale defini-zione del ruolo delle note integrative, connesso con la programmazione triennale di risorse e obiettivi, in sede di previsione, e degli indicatori di risultato, in sede consuntiva, in relazione allo specifico crite-rio direttivo della delega (art. 40, c. 2, lett. g); parti-colare attenzione va dedicata, al riguardo, al proget-to sperimentale sulla riconciliazione tra ciclo delle performances e ciclo del bilancio, avviato dalla Ra-gioneria generale dello Stato, in collaborazione con Scuola superiore di economia e finanza e Anac, che dovrebbe concludersi alla fine del 2015.

Non si manifestano, invece, iniziative su altri im-portanti criteri di delega, quali il bilancio di genere, il “tetto” alle spese, il riordino delle variazioni di bi-lancio, l’accorpamento dei fondi di riserva e specia-li, l’eliminazione delle contabilità speciali e delle ge-stioni fuori bilancio: tenendo conto della legge “rin-forzata” n. 243/2012, che ha rafforzato la natura del “tetto” e ha disposto il rientro in bilancio delle ge-

(86) Art. 10, c. 11, d.l. n. 192/2014, convertito dalla l. n. 11/2015.

stioni extra (87); quest’ultima circostanza appare in-spiegabile.

Quanto alla delega per il potenziamento del bi-lancio di cassa nell’ambito del doppio vincolo, ba-sata sulla razionalizzazione di accertamenti, impe-gni e residui, sul raccordo tra autorizzazioni di cas-sa e tesoreria e sul piano dei pagamenti o cronopro-gramma, una sostanziale attuazione è stata data so-lo a quest’ultimo criterio, con l’obbligo esteso a tut-te le spese, l’ausilio di apposito applicativo informa-tico e la possibilità di variazioni compensative di so-la cassa (88).

4.2. La banca dati unitariaL’esigenza di riconsiderazione degli apparati in-

formatici e telematici pubblici, ispirata a integrazio-ne, scambio di informazioni, condivisione degli ar-chivi e coordinamento, appare sempre più condi-zione indispensabile per la concreta attivazione del-la banca dati unitaria delle amministrazioni pubbli-che, la cui impostazione, sinora concepita dall’am-ministrazione interessata, resta sostanzialmente su-bordinata alla concreta attuazione dell’armonizza-zione dei sistemi contabili e degli schemi di bilan-cio nel comparto.

La Corte dei conti, invece, ha più volte e in varie sedi sottolineato che la volontà del legislatore preve-deva l’operatività immediata dell’infrastruttura, sul-la base delle informazioni disponibili, non solo non legandola alla conclusione del processo di armoniz-zazione, oggetto di apposita delega con tempi neces-sariamente più lunghi, ma assumendone la specifi-ca copertura degli oneri a regime nel triennio 2010-2012, ritenendola evidentemente essenziale per ga-rantire le complessive finalità della riforma. L’im-postazione assunta sembra aver prodotto, invece, un depotenziamento dell’intero disegno innovatore, nel momento in cui lo strumento dovrebbe essere valo-rizzato dall’assunzione a livello costituzionale dei vincoli europei.

Vanno, comunque, apprezzati i progressi com-piuti nel 2014, con il completamento dei dati sto-rici dei movimenti Sicoge e della registrazione dei funzionari delegati di contabilità ordinaria per i pa-gamenti telematici; l’acquisizione delle informazio-ni di fatturazione elettronica e di monitoraggio del-le opere pubbliche; l’avvio del progetto relativo alla creazione di indicatori finanziari; l’acquisizione dei

(87) Art. 5, c. 1, e art. 15, c. 8, l. n. 243/2012.(88) Art. 6, c. 11-quater, d.l. n. 35/2013, convertito dalla l.

n. 64/2013; Mef-Rgs circ. n. 28/2013.

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bilanci delle regioni di fonte Copaff; la modifica del cruscotto della spesa statale regionalizzata; l’entra-ta in esercizio del portale della banca dati, punto di accesso tecnologicamente evoluto attraverso il quale l’informazione presente viene resa accessibile ai pri-mi utenti esterni: Commissioni bilancio della Came-ra dei deputati e del Senato della Repubblica; ammi-nistrazioni centrali; soggetti del monitoraggio opere pubbliche e, prossimamente, Corte dei conti, Presi-denza del consiglio, Guardia di finanza, con cui sono in fase di definizione protocolli di intesa.

4.3. Il coordinamento della finanza pubblicaLa valorizzazione della funzione di coordinamen-

to della finanza pubblica riveste essenziale rilievo, anche ai fini del perseguimento degli obiettivi con-divisi in sede comunitaria; la sua assunzione a livel-lo costituzionale, in coerenza con l’ordinamento eu-ropeo, appare fondamentale per agevolare il percorso di riequilibrio e la sostenibilità del debito, valutando l’adeguatezza della “strumentazione” di politica eco-nomica in funzione degli obiettivi programmati.

Rientrano in tale obiettivo, a pieno titolo, le ri-forme istituzionali in itinere, volte, in via generale, a razionalizzare il sistema, anche mediante la revi-sione degli assetti amministrativi e dei livelli di go-verno. In proposito, la Corte dei conti ha rilevato di recente che il disegno di riorganizzazione dell’am-ministrazione locale incontra ritardi e difficoltà nel-la fase attuativa, con particolare riguardo al riordino delle funzioni delegate o trasferite alle province (89).

Altrettanto rilevante appare la nuova disciplina sulla programmazione e valutazione degli investi-menti in opere pubbliche e quella in materia di pro-cedure di monitoraggio sul loro stato di attuazione, di verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tem-pi previsti e costituzione dei fondi opere e proget-ti (90). I ritardi nell’adozione delle disposizioni ap-plicative previste per la valutazione delle opere pub-bliche sono stati più volte stigmatizzati dalla Cor-te dei conti, attesa la loro rilevanza per la raziona-le valutazione del fabbisogno infrastrutturale; analo-gamente, il definanziamento automatico delle opere in caso di mancato avvio richiede apposito provvedi-mento attuativo, ancora non emanato.

Ai fini del coordinamento, riveste importan-za strategica il monitoraggio dei progetti d’investi-mento, di recente razionalizzato tramite il “Protocol-

(89) Sez. autonomie, n. 17/2015.(90) D.lgs. n. 228 e n. 229 del 2011, emanati in esercizio

delle deleghe previste dall’art. 30 l. n. 196/2009.

lo unico di colloquio” (91), che definisce in modo omogeneo e univoco le informazioni per tutti i pro-getti di investimento pubblico a vario titolo finanzia-ti (Fondi comunitari, fondo di sviluppo e coesione-F-sc, altre fonti nazionali), risultato di un lavoro con-diviso con le amministrazioni di coordinamento cen-trale, gli organismi di valutazione nazionale e le re-gioni e province autonome, rendendo più efficaci le modalità di rilascio delle informazioni, garantendone trasparenza, leggibilità, affidabilità e comprensione.

L’analisi del funzionamento dei meccanismi di coordinamento, alla luce delle innovazioni istituzio-nali varate, consente di valutare se l’insieme delle leve attivate in questi anni, con lo scopo principa-le di contenere i disavanzi, abbiano anche la capaci-tà di imprimere alla finanza pubblica, in modo selet-tivo, correzioni significative a sostegno dell’attività economica. Il recente referto della Corte dei conti al Parlamento sul coordinamento della finanza pubbli-ca (92) fornisce indicazioni sul loro funzionamento nei diversi livelli di governo, centrale e locale, ai fi-ni del contenimento della spesa, funzionamento rive-latosi abbastanza simile per i redditi da lavoro dipen-dente, ma sostanzialmente inefficace a livello locale per i consumi intermedi; sui parziali effetti redistri-butivi della politica fiscale, incidente maggiormente su patrimonio immobiliare, consumi e rendite, senza l’auspicata riduzione sui fattori produttivi; sull’ec-cessiva riduzione delle spese in conto capitale; sulla pressante esigenza di revisione dei confini dell’inter-vento pubblico, anche mediante la riscrittura del pat-to sociale, onde conferire efficacia alla spending re-view; sull’ampliamento del grado di intermediazione pubblica dell’economia; sui positivi risultati dei pat-ti di stabilità interno e della salute.

4.4. Evoluzione del patto di stabilità internoPer l’anno 2014, i benefici derivanti dal rispet-

to del patto di stabilità interno vengono destinati agli enti in sperimentazione del nuovo sistema contabi-le (93), accompagnati da maggiore flessibilità nelle assunzioni per il quinquennio 2014-2018 (94).

4.4.1. Per gli enti locali (95), viene introdotto

(91) Art. 1, c. 245, l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014); Mef-Rgs circ. n. 18/2015.

(92) Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pub-blica, Sez. riun., 22 maggio 2015, n. 8, in questo fascicolo, 8.

(93) Art. 36 d.lgs. n. 118/2011.(94) Art. 3 d.l. n. 90/2014, convertito dalla l. n. 114/2014.(95) Art. 1, cc. 467-498, l. n. 190/2014 (legge di stabilità

2015).

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il principio che le spese sostenute da province e cit-tà metropolitane per interventi di edilizia scolastica, non sono considerate, entro certi limiti, ai fini della verifica del patto di stabilità interno.

La determinazione dell’obiettivo di saldo finan-ziario, per province e comuni con popolazione al di sopra dei 1.000 abitanti, viene effettuata applicando alla media della spesa corrente registrata percentua-li ridotte rispetto a quanto precedentemente previsto. Gli obiettivi di ciascun ente possono essere ridefini-ti con decreto del Ministro dell’economia e delle fi-nanze, previa intesa in sede di conferenza Stato-città e autonomie locali, su proposta dell’Anci e dell’Upi, entro il 31 gennaio 2015, fermo restando l’obiettivo complessivo del comparto, tenendo anche conto del-le maggiori funzioni assegnate alle città metropolita-ne e dei maggiori oneri connessi con eventi calami-tosi, con la messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, con l’esercizio della funzione di en-te capofila, nonché con gli oneri per sentenze passate in giudicato a seguito di procedure di esproprio o di contenziosi per cedimenti strutturali.

Nel saldo finanziario, rilevano gli stanziamenti di competenza del fondo crediti di dubbia esigibilità; sulla base delle informazioni acquisite con specifico monitoraggio, le percentuali di accantonamento del 2015 possono essere modificate, mentre dal 2016 so-no rideterminate tenendo conto del valore degli ac-cantonamenti dell’anno precedente e sono annual-mente incrementate, sino a raggiungere, dal 2019, l’intero importo dei crediti di dubbia esigibilità.

I comuni istituiti a seguito di fusione, a decorre-re dal 2011, sono soggetti alle regole del patto di sta-bilità interno dal quinto anno successivo a quello di istituzione, assumendo quale base di calcolo le risul-tanze dell’ultimo triennio disponibile.

4.4.2. Per le regioni a statuto ordinario (96), il patto di stabilità interno cessa dal 2015, ferma re-stando l’applicazione delle sanzioni in caso di man-cato rispetto del patto nel 2014; ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, esse devono conseguire, a decorrere dal 2016 nella fase di previsione e dal 2015 in sede di rendiconto:

a) un saldo non negativo, in termini di competen-za e cassa, tra entrate e spese finali;

b) un saldo non negativo, in termini di competen-za e cassa, tra entrate e spese correnti, incluse le quo-te di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti, escluso l’utilizzo del risultato di amministrazione di

(96) Art. 1, cc. 460-483, l. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).

parte corrente, del fondo di cassa, il recupero del di-savanzo di amministrazione e il rimborso anticipato dei prestiti. Nel 2015, le regioni che non hanno parte-cipato alla sperimentazione raggiungono l’equilibrio di parte corrente con la differenza tra entrate e spe-se correnti, incluse le quote capitale delle rate di am-mortamento, con esclusione dei rimborsi anticipati.

L’importo complessivo delle voci rilevanti ai fini degli equilibri per ciascuna regione è deliberato dal-la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, re-gioni e province autonome di Trento e Bolzano entro il 31 gennaio 2015, recepito con decreto del Mini-stero dell’economia e delle finanze; in caso di man-cata deliberazione, il decreto è emanato nel febbraio 2015, con riparto proporzionale.

A decorrere dal 2016, il bilancio di previsione delle regioni deve essere approvato in modo da ga-rantire il rispetto delle nuove regole, con apposito prospetto di verifica.

Per il monitoraggio degli adempimenti e per l’ac-quisizione di elementi informativi utili per la finanza pubblica, anche sulla situazione debitoria, è disposta la trasmissione trimestrale delle informazioni su en-trate e spese in termini di competenza e cassa, con prospetto e modalità definiti in un decreto del Mini-stero dell’economia e delle finanze, sentita la Confe-renza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento e Bolzano.

Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi di saldo, le regioni trasmettono, anche telematicamen-te, al Ministero dell’economia e delle finanze una certificazione dei risultati conseguiti, firmata digital-mente dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dall’organo di revisione econo-mico-finanziaria, con apposito prospetto; la mancata trasmissione, entro il mese di marzo dell’anno suc-cessivo a quello di riferimento, costituisce inadempi-mento all’obbligo del pareggio di bilancio.

In caso di mancato conseguimento del pareggio per uno dei saldi, la regione inadempiente, nell’an-no successivo:

a) è tenuta a versare all’entrata del bilancio sta-tale, entro sessanta giorni dal termine stabilito per la trasmissione della certificazione relativa al rispetto del pareggio di bilancio, un terzo dell’importo corri-spondente al maggiore degli scostamenti dei saldi ri-spetto all’obiettivo del pareggio e i restanti due ter-zi entro il 31 gennaio di ciascuno dei due esercizi successivi. In caso di mancato versamento, si proce-de, nei sessanta giorni successivi, al recupero a va-lere sulle giacenze nei conti aperti presso la tesore-ria statale;

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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b) non può impegnare spese correnti, al netto del-le spese per la sanità, in misura superiore all’impor-to annuale minimo dei corrispondenti impegni effet-tuati nell’ultimo triennio;

c) non può ricorrere all’indebitamento per inve-stimenti;

d) non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con divieto di stipulare contratti di servizio elusivi;

e) è tenuta a rideterminare le indennità di funzio-ne e i gettoni di presenza del presidente e dei compo-nenti della giunta con una riduzione del 30 per cento.

Va rilevato che tali disposizioni costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finan-za pubblica ai sensi degli art. 117, c. 3, e 119, c. 2, Cost.; ne consegue che le regioni a statuto speciale e le province autonome devono adeguare la loro legi-slazione a tale disciplina.

4.4.3. Per le società partecipate (97), al fine di promuovere processi di aggregazione e rafforzamen-to della gestione industriale dei servizi pubblici lo-cali a rete di rilevanza economica, compresi il setto-re dei rifiuti urbani e quelli sottoposti alla regolazio-ne di un’autorità indipendente, viene introdotto l’ob-bligo di adesione degli enti locali agli enti di gover-no degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omo-genei, con poteri sostitutivi demandati al presiden-te della regione in caso di inadempimento. Con ap-posita relazione, gli enti di governo danno conto del-la sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamen-to europeo per la forma di affidamento prescelta e ne motivano le ragioni, con riferimento agli obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità e qua-lità del servizio.

Per assicurare la realizzazione degli interventi in-frastrutturali necessari da parte del soggetto affidata-rio, la relazione deve comprendere uno specifico pia-no economico-finanziario, asseverato da un istituto di credito o da una sua società di servizi o da una so-cietà di revisione. Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procedono, contestualmen-te all’affidamento, ad accantonare pro quota, nel pri-mo bilancio utile, e successivamente ogni triennio, una somma pari all’impegno finanziario corrispon-dente al capitale proprio previsto per il triennio, non-ché a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house.

Regioni, province autonome di Trento e Bolza-no, enti locali, Camere di commercio, industria, arti-

(97) Art. 1, cc. 609 ss., l. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).

gianato e agricoltura, università e istituti di istruzio-ne universitaria pubblici e autorità portuali, avviano un processo di razionalizzazione di società e parteci-pazioni societarie direttamente o indirettamente pos-sedute, in modo da conseguire la loro riduzione en-tro il 2015, tenendo anche conto dei seguenti criteri:

a) eliminazione di società e partecipazioni socie-tarie non indispensabili al perseguimento delle pro-prie finalità istituzionali, anche mediante liquidazio-ne o cessione;

b) soppressione delle società composte da soli amministratori o da un numero di amministratori su-periore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione;

d) aggregazione di società di servizi pubblici lo-cali di rilevanza economica;

e) contenimento dei costi di funzionamento, an-che mediante riorganizzazione degli organi ammini-strativi, di controllo e delle strutture aziendali, non-ché attraverso la riduzione delle relative remunera-zioni.

Il piano operativo di razionalizzazione di società e partecipazioni, da definire entro marzo 2015, con modalità, tempi di attuazione e dettaglio dei risparmi da conseguire, corredato di apposita relazione tecni-ca, è trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti; entro il marzo 2016, alla medesima sezione viene trasmessa una relazio-ne sui risultati conseguiti. L’assenza di adeguate san-zioni a carico degli enti inadempienti rischia di com-promettere l’intera operazione di razionalizzazione.

4.5. Il bilancio a base zeroUna sperimentazione del bilancio “a base zero”,

volta al rafforzamento del ruolo allocativo e di pro-grammazione del bilancio, a superamento del crite-rio della spesa storica, è stata disposta dalla legge “rinforzata” di attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, c. 6, Cost., affidan-dola alla Ragioneria generale dello Stato, anche at-traverso una specifica attività di simulazione (98). A tale disposizione ha fatto seguito un ordine del gior-no (99), approvato dalle Camere nel corso della di-scussione del disegno di legge di bilancio 2014, che

(98) Art. 21, c. 1, l. n. 243/2012.(99) Trattasi dell’ordine del giorno G/1121/1/3/Tab. 6 (te-

sto 2) del 29 ottobre 2013.

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ha impegnato il governo a intraprendere una simula-zione degli effetti derivanti dall’adozione dello stru-mento da parte del Ministero degli affari esteri, an-che usando versioni meno rigide del tradizionale mo-dello.

La sperimentazione, portata avanti da un gruppo di lavoro interministeriale (Ministeri economia e fi-nanze e affari esteri), è terminata nel giugno 2014; i suoi risultati sono stati comunicati con una relazio-ne al Parlamento (100), incentrata sugli effetti dell’a-dozione di questa tipologia di bilancio sul sistema di contabilità e finanza pubblica: in sintesi, si ritiene opportuno l’inserimento della metodologia nel pro-cesso di analisi e revisione della spesa, per la partico-lare attenzione riservata alla misurazione di prodotti e servizi erogati e per la capacità di indurre a un più incisivo ruolo di programmazione; maggiori difficol-tà si presentano nel medio e lungo termine, nella va-lutazione di sostenibilità ed efficacia degli interven-ti e nelle spese per investimenti. In definitiva, si va-luta la metodologia del bilancio a base zero più ido-nea a un’applicazione selettiva, su singoli program-mi o obiettivi.

4.6. Il nuovo Documento di economia e finanzaIl Documento di economia e finanza 2015 con-

ferma per l’anno 2017 il conseguimento del pareggio strutturale, conferendo carattere espansivo alla ma-novra anche per il prossimo anno. Obiettivo priorita-rio sarà, infatti, la sostituzione delle misure previste dalle clausole di salvaguardia vigenti, per un valore corrispondente a 1 punto di Pil, con i risparmi deri-vanti da revisione della spesa, effetti della maggiore crescita e minore spesa per interessi rispetto alle pre-visioni precedenti. In applicazione del nuovo criterio della flessibilità conseguente alle riforme in corso, previsto dalla regole europee, l’aggiustamento strut-turale è contenuto nello 0,1 per cento del Pil rispet-to allo 0,5 per cento altrimenti richiesto dalle rego-le comuni; il debito pubblico dovrebbe stabilizzarsi nel 2015, iniziando il percorso di riduzione dal 2016.

Il quadro di riferimento tendenziale per il periodo 2015-2019, che non considera prudenzialmente l’im-patto positivo delle riforme strutturali, è stato vali-dato dall’Ufficio parlamentare di bilancio prima del varo del documento da parte del Consiglio dei mini-stri, con sintetica descrizione della procedura segui-ta e dei rischi connessi con la previsione; successiva-mente, l’Organismo ha validato anche il quadro pro-

(100) Mef-Rgs, Relazione sulla sperimentazione del bi-lancio a base zero ai sensi dell’art. 21 l. 243/2012, gennaio 2015.

grammatico, con diversi caveat sui profili di rischio che caratterizzano le ipotesi sottostanti (101).

Sul piano generale, la Corte dei conti ritiene ne-cessaria una rapida definizione delle riforme in corso o programmate, incidendo sui confini dell’intervento pubblico, assicurandone la sostenibilità e recuperan-do condizioni di certezza e affidabilità per gli opera-tori, con l’incremento del potenziale di crescita; tutto ciò, nell’ambito di un’ampia cautela nell’utilizzo dei margini di manovra oggi rilevabili, in guisa da privi-legiare il processo di consolidamento dei conti pub-blici, in attesa del superamento delle incertezze e dei rischi che tuttora incombono sul più favorevole qua-dro macroeconomico di riferimento (102).

Il documento è stato approvato, come di consue-to, con due risoluzioni sostanzialmente identiche dai due rami del Parlamento, impegnando il governo, tra l’altro, a considerare collegati alla manovra di finan-za pubblica taluni provvedimenti di riforma (103), disponendo prudenzialmente l’accantonamento in bilancio del previsto margine tra deficit tendenzia-le e programmatico; il 28 aprile 2015, entro i termi-ni stabiliti dalla disciplina comunitaria, il documen-to è stato trasmesso al Consiglio dell’Unione euro-pea e alla Commissione a Bruxelles, ottenendone il sostanziale assenso, con sei raccomandazioni incen-trate sulle riforme in corso.

4.7. Analisi e valutazione della spesaL’attività di revisione della spesa (spending re-

(101) Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio presso le Commissioni riunite di Camera e Senato sul Docu-mento di economia e finanza 2015, 21 aprile 2015.

(102) Audizione della Corte dei conti presso le Commis-sioni riunite di Camera e Senato sul Documento di economia e finanza 2015, 21 aprile 2015, in questa Rivista, 2015, fasc. 1-2, 33

(103) Risoluzioni del 23 aprile 2015, n. 5 Senato, n. 6 Ca-mera. I provvedimenti collegati riguardano “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” (A.C. 2093); “Disposizioni in materia di semplificazione, ra-zionalizzazione e competitività agricole del settore agricolo, agroalimentare e della pesca” (A.S. 1328); “Delega al gover-no recante disposizioni per l’efficienza del processo civile” (A.C. 2953); “Misure di semplificazione per l’avvio delle atti-vità economiche per i finanziamenti e le agevolazioni alle im-prese”; “Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” (A.S. 1577); “Revisione della spesa, promozione dell’occupa-zione e degli investimenti nei settori della cultura e del turi-smo”; “Delega per la revisione dell’ordinamento degli enti lo-cali”; “Riforma del sistema nazionale di istruzione e forma-zione e delega per il riordino delle disposizioni vigenti”(A.C. 2994); “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” (A.C. 3012).

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view) è stata istituzionalizzata dalla legge quadro di contabilità e finanza pubblica, tuttora in fase di adeguamento al nuovo sistema costituzionale indot-to dalle intese europee. L’intero processo va inteso come metodologia permanente e strategica di go-verno delle pubbliche finanze, imperdibile occasio-ne per ripensare le politiche pubbliche e le struttu-re che le supportano, al servizio di un reale svilup-po dell’economia, divenendo anche essenziale stru-mento per la stabilizzazione del debito, nelle linee del fiscal compact incorporato nella nostra legisla-zione di livello costituzionalmente protetto, nella fa-se di avvicinamento verso una maggiore integrazio-ne delle politiche comunitarie e dell’orizzonte istitu-zionale europeo.

L’esperienza del Commissario ad hoc, con com-petenze estese alle spese di amministrazioni, enti pubblici e società controllate direttamente o indiret-tamente, sulla base degli indirizzi di un Comitato in-terministeriale, si è rivelata positiva sotto il profilo delle proposte sottoposte alla valutazione di governo e Parlamento, dando luogo, tra l’altro, alle misure di razionalizzazione contenute nel d.l. n. 66/2014, con-vertito dalla l. n. 89/2014 (104), e nella legge di sta-bilità 2015 (105). Le interrelazioni tra disciplina del bilancio, miglioramento della gestione, innovazio-ne degli assetti organizzativi, contrattualistica e al-tri profili dell’azione amministrativa, mostrano l’esi-genza di una strategia finalizzata, oltre che al conte-nimento della spesa e alla razionalizzazione dell’at-tività programmata, anche alla revisione degli asset-ti e dei confini dell’intervento pubblico, per render-li coerenti con la realtà socio-economica profonda-mente mutata.

L’esigenza di proseguire con maggiore efficacia il processo di analisi e valutazione della spesa pre-suppone il superamento di resistenze e difficoltà che hanno indotto i recenti rinvii dei tagli di spesa, sosti-tuiti, per importi rilevanti, con clausole di salvaguar-dia: 16 miliardi nel 2016, oltre 23 miliardi nel 2017. Occorre riaffermare, in proposito, che condizione ineludibile per ridurre l’eccessiva pressione fiscale è la rivisitazione dei confini dell’intervento pubbli-co, contestualmente alla razionale riorganizzazione dei processi produttivi della amministrazione (106).

(104) Decreto legge recante misure urgenti per la compe-titività e la giustizia sociale, titolo II, artt. 8-26.

(105) L. n. 190/2014, art. 1, cc. 270-273, 547-549, ad esempio.

(106) Si veda, al riguardo, il referto della Corte dei conti su “Le prospettive della finanza pubblica dopo la legge di sta-bilità”, 24 febbraio 2015, cit.

Appare questo l’obiettivo prioritario affidato al nuo-vo Commissario straordinario, in vista delle misure programmate nel nuovo Documento di economia e finanza 2015.

Un particolare aspetto dell’attività di analisi è l’individuazione di appropriati indicatori di risulta-to con riferimento ai programmi di spesa (107), de-mandata ai Nuclei di analisi e valutazione della spe-sa-Navs, che operano da qualche anno sui program-mi di competenza di ciascun dicastero. Di recente, per taluni programmi comuni riferiti alla missione trasversale “Servizi istituzionali e generali delle am-ministrazioni pubbliche”, un apposito gruppo di la-voro, integrando il lavoro dei Navs, ha individuato indicatori di risultato specifici, comuni a tutti i di-casteri, che interessano la gestione del bilancio dal 2015 (108). È tuttora in corso il loro aggiornamento, nell’intento di pervenire, entro il prossimo 20 luglio, alla completa pubblicazione sul sito istituzionale del-la Ragioneria generale dello Stato (109).

Nel programma di razionalizzazione degli acqui-sti, parte rilevante della spending review, volto a ri-durre la spesa rendendo più efficiente e trasparente l’acquisizione di beni e servizi, un ruolo fondamen-tale è svolto da Consip, società per azioni in hou-se, che gestisce il programma e sviluppa il sistema informatico di eprocurement realizzato a suppor-to (110). L’utilizzo di Consip, o dalle centrali regio-nali di committenza, è obbligatorio per taluni beni (telefonia, energia elettrica, gas, carburanti e combu-stibili), salva la possibilità, per enti territoriali, scuo-le, università, altri enti pubblici, di procedere diver-samente, a condizione che le acquisizioni siano effet-tuate tramite altre centrali di committenza con pro-cedure a evidenza pubblica, con corrispettivi inferio-ri, comunque sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di adeguamento, nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centra-li di committenza regionali, a condizioni di maggior vantaggio economico; i contratti stipulati in violazio-ne di tali norme sono nulli, costituiscono illecito di-sciplinare e causa di responsabilità amministrativa. Per le altre categorie merceologiche, le amministra-zioni statali hanno l’obbligo di utilizzare gli esisten-

(107) Art. 39, c. 2, l. n. 196/2009.(108) Si veda Mef-Rgs, “Proposte di indicatori per i pro-

grammi di spesa 32.2 Indirizzo politico e 32.3 Servizi e affari generali per le amministrazioni di competenza e nota metodo-logica”, gennaio 2015.

(109) Mef-Rgs circ. n. 16/2015.(110) In proposito, si veda anche il capitolo della presente

relazione dedicato all’attività contrattuale.

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ti accordi quadro Consip o delle centrali territoriali, mentre enti territoriali e altri enti pubblici ne hanno facoltà. Per assicurare la massima trasparenza, anche ai fini della prevenzione della corruzione, i siti web istituzionali devono pubblicare le informazioni rela-tive ai procedimenti secondo criteri di facile acces-sibilità, completezza e semplicità di consultazione.

In materia, sono stati introdotti di recente la rine-goziazione dei contratti in essere, l’elenco e la dra-stica riduzione del numero delle centrali di acquisto, oltre a Consip; l’attribuzione di funzioni di indiriz-zo e controllo all’Autorità di vigilanza sui contrat-ti pubblici-Avcp (111), ora Autorità nazionale anti-corruzione-Anac. In ritardo di circa 6 mesi sono sta-ti pubblicati i decreti attuativi dell’elenco dei sogget-ti aggregatori diversi da Consip e centrali regiona-li (112). L’obbligo di ricorso alle centrali uniche di acquisto da parte dei comuni non capoluogo di pro-vincia è stato prorogato all’1 settembre 2015, alli-neando i beni e servizi agli appalti di lavori; slitta al 2016, invece, l’obbligo per i comuni fino a 5mila abi-tanti (3mila per gli enti che appartenevano a comu-nità montane) di gestire tutte le funzioni fondamen-tali attraverso unioni di comuni o convenzioni (113).

Strumentali alla spending review possono con-siderarsi la ricognizione degli enti pubblici e l’uni-ficazione delle banche dati delle società partecipa-te, affidate la prima al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e la seconda al dipartimento del tesoro del Ministe-ro dell’economia e delle finanze (114). Gli applicati-vi informatici per la comunicazione dei dati al dipar-

(111) Artt. da 8 a 12-bis d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014.

(112) D.p.c.m. 11 e 14 novembre 2014, pubblicati in G.U. 20 gennaio 2015, n. 15, recanti “Requisiti per l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori, ai sensi dell’art. 9, c. 2, secondo periodo, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014, insieme con il relativo elenco recante gli oneri informativi” e “Istituzione del tavolo tecnico dei soggetti aggregatori, ai sen-si dell’art. 9, c. 2, terzo periodo, del d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014, unitamente ai relativi elenchi recanti gli oneri informativi”.

(113) Art. 8, c. 3-ter, d.l. n. 192/2014, convertito dalla l. n. 11/2015.

(114) Art. 17 d.l. n. 90/2014, convertito dalla l. n. 114/2014; si veda anche il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto col Ministro per la semplificazio-ne e la funzione pubblica, 26 gennaio 2015, recante “Defini-zione delle informazioni da trasmettere al Dipartimento del te-soro relativamente alle partecipazioni detenute dalle ammini-strazioni pubbliche e disciplina delle modalità tecniche di co-municazione, acquisizione e fruizione dei dati”, in G.U. 10 marzo 2015, n. 57.

timento della funzione pubblica sono disponibili dal 20 ottobre 2014; sul sito istituzionale risulta l’elenco delle amministrazioni centrali che non hanno prov-veduto all’obbligo di comunicazione: difesa e infra-strutture e trasporti, alle quali la norma fa divieto di compiere qualsiasi atto nei confronti degli enti finan-ziati o vigilati, ivi compresi il trasferimento di fon-di e la nomina di titolari e componenti dei relativi organi. Quanto all’unificazione delle banche dati, si segnala l’assenza di scadenze precise e di adeguate sanzioni per gli inadempienti.

4.8. Il rendiconto 2014È proseguita, col rendiconto generale dello Sta-

to dematerializzato per l’esercizio 2014, la positiva esperienza, inaugurata in forma sperimentale, limi-tatamente al conto del bilancio per il 2012 ed este-sa per il 2013 al conto del patrimonio, consolidan-do l’importante iniziativa nel processo di attuazione del codice dell’amministrazione digitale (115), ren-dendo sensibilmente più efficienti le fasi di parifica e di archiviazione. In parallelo, lungo la stessa linea di eliminazione dei supporti cartacei, sono state dema-terializzate le quietanze di versamento alla tesoreria statale, rendendo più semplici ed efficienti le opera-zioni di riscontro delle contabilità, con positivi effetti non solo sulle operazioni di chiusura relative al ren-diconto, ma anche sui conti giudiziali (116).

Ancora incompleta risulta, invece, l’attuazio-ne del processo di informatizzazione delle procedu-re di spesa e contabili (c.d. processo di rendiconta-zione telematica), previsto dall’art. 18 del d.p.r. n. 367/1994. La dematerializzazione di tutta la docu-mentazione cartacea, l’utilizzo completo dei sistemi informatici e della posta elettronica certificata (Pec) per l’inoltro della corrispondenza ai diversi interlo-cutori istituzionali, dovrebbero essere già attuati an-che nel settore del riscontro delle contabilità di teso-reria, attraverso l’implementazione della banca dati integrata Rgs-Cdc-Bki, in modo da consentire la ge-stione dematerializzata dei titoli di spesa ancora car-tacei e dei vari modelli di rappresentazione dei paga-menti predisposti dalla Banca d’Italia. Vanno, inol-tre, segnalate ancora talune anomalie relative a tito-li di pagamento su capitoli di cedolino unico, tuttora effettuati in forma cartacea e in conto residui.

Al medesimo filone della completa informatizza-

(115) Si veda Mef-Rgs circ. n. 12/2015.(116) Mef-Rgs decr. 11 dicembre 2013, n. 141, pubblica-

to in G.U. n. 295/2013, “Regolamento recante norme per la dematerializzazione delle quietanze di versamento alla tesore-ria statale”.

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zione dei processi, anche ai fini del controllo, può es-sere attribuito il superamento dell’attuale non inte-grale accesso della Corte dei conti al “conto impe-gni”, dal lato delle spese, e al “conto accertamenti”, dal lato delle entrate, quest’ultimo rilevante soprat-tutto nella fase di chiusura delle scritture contabili e formazione del rendiconto. La circostanza, più volte segnalata dalla Corte, si riflette non poco su puntuali-tà e celerità dei procedimenti; peraltro, le disposizio-ni recate dalla legge europea 2013-bis (117) consen-tono la definitiva soluzione della problematica.

L’allegato al rendiconto di cui all’art. 36, c. 6, della legge quadro vigente, l’eco rendiconto, è sta-to trasmesso, per la parifica della Corte dei conti, soltanto il 17 giugno 2014, separatamente dal ren-diconto.

A decorrere dal 2014, la centralità del giudizio di parificazione, a garanzia di equilibrio economico-fi-nanziario, affidabilità, trasparenza, veridicità e rego-larità dei conti, rileva anche sul piano delle intese eu-ropee sul pareggio strutturale del bilancio pubblico, elevate a rango costituzionale e funzionalmente raf-forzate dalle leggi sul contrasto della corruzione e sull’ampliamento dei controlli. In tale ambito, assu-me rilievo particolare l’individuazione, da parte del-la Commissione europea, della Corte dei conti come organo di audit esterno su una specifica verifica con-cernente rimborsi e compensazioni Iva (118), dalla quale sono scaturite indicazioni verso una maggiore trasparenza della struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate a ciò dedicata, anche mediante adegua-to dettaglio nella consuntivazione di rimborsi e com-pensazioni in sede di rendiconto generale.

In attesa del più volte auspicato adeguamento della legge quadro di contabilità e finanza pubblica al nuovo assetto costituzionale in materia di bilan-cio, il Rendiconto 2014 mostra, nel conto del bilan-cio, un saldo netto da finanziare, al netto delle rego-lazioni contabili e debitorie, di 49,7 miliardi, ampia-mente entro il limite massimo autorizzato dal d.l. n. 66/2014, convertito dalla legge n. 89/2014, di 59,1 miliardi (119).

Sul rendiconto 2014 ha operato ancora la facol-tà di conservazione nel conto dei residui, per un ul-teriore esercizio, di spese in conto capitale destina-te alla perenzione amministrativa, con la procedura

(117) Si veda art. 30 l. n. 161/2014, riportato nella nota 2.(118) Corte conti, Sez. riun., “Audit per la riconciliazione

delle poste del bilancio dello Stato relative ai rimborsi Iva di annualità pregresse”, 18 febbraio 2015.

(119) Art. 50, c. 9, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014.

prevista per il triennio 2010-2012 dalla riforma con-tabile, successivamente prorogata. Analogamente, il permanente e sistematico processo di monitoraggio dei residui passivi perenti, esercitato sulle richieste di reiscrizione nell’ambito del consueto controllo di ragioneria, ha interessato anche le nuove perenzioni, in sede di chiusura dell’esercizio finanziario, atteso che la loro cancellazione dalle scritture contabili non deve dar luogo, in maniera automatica, all’iscrizione nel conto del patrimonio, ma soltanto dopo l’accer-tamento della corrispondenza con situazioni giuridi-che soggettive perfezionate (120).

È stata superata, col Rendiconto 2014, l’asimme-tria, rilevata lo scorso anno ma risalente a una pras-si ultraventennale, nell’ambito delle procedure di ri-scontro dei pagamenti sui titoli del debito pubblico, con riguardo, da un lato, al debito fluttuante, dall’al-tro al debito a medio/lungo termine: mentre per gli interessi sui buoni ordinari-Bot l’imputazione a bi-lancio avveniva dopo il rilascio della dichiarazione di regolarità, da parte della Corte dei conti, delle no-te riepilogative – mod. 114T, delle somme pagate in tesoreria, per gli altri titoli del debito pubblico il ri-scontro di regolarità avviene, più correttamente, do-po l’avvenuta registrazione delle note d’imputazio-ne al bilancio. In attesa della necessaria rivisitazione della disciplina regolamentare in materia, per la qua-le è stato attivato apposito gruppo di lavoro congiun-to Corte di conti – Ministero dell’economia e delle finanze, a decorrere dal 2014 la procedura di riscon-tro sui Bot è stata uniformata a quella sugli altri ti-toli del debito pubblico, come auspicato nella prece-dente relazione.

Il Rendiconto 2014 sconta il programma straor-dinario di riaccertamento dei residui passivi, anche perenti, consentendo la cancellazione di debiti non più esigibili ovvero l’iscrizione di nuovi stanziamen-ti (121); l’operazione ha comportato l’eliminazione di ben 23,8 miliardi di residui passivi, 22,5 dei quali perenti. Altra notazione di rilievo appare il mancato utilizzo della facoltà di effettuare variazioni compen-sative, in via sperimentale per gli anni 2014 e 2015, nel rispetto dell’invarianza degli effetti di saldi di fi-nanza pubblica, nell’ambito degli stanziamenti dei

(120) Art. 9, c. 12, d.l. n.150/2013, recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”, convertito dalla l. n. 15/2014 e art. 35, c. 1, lett. a), d.l. n. 1/2012, convertito dal-la l. n. 27/2012. Cfr. anche, Mef-Rgs circ. n. 29/2014.

(121) Art. 49 d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014, che ha dato luogo al decreto del Ministro dell’economia e del-le finanze 26 agosto 2014, n. 228056, rettificato con decr. 30 dicembre 2014, n. 100724.

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capitoli dei consumi intermedi e degli investimenti fissi lordi (122); appare evidente che l’ulteriore tas-sello aggiunto alla flessibilità gestionale del bilancio non è stato apprezzato adeguatamente dalle ammini-strazioni, sulle quali sembra incombere una consoli-data inerzia di comportamenti.

Di notevole rilievo sono due innovazioni nelle note integrative al rendiconto: la prima riguarda la comunicazione dei dati relativi al pagamento dei de-biti pregressi (123); la seconda concerne l’attestazio-ne dei pagamenti per transazioni commerciali effet-tuate dopo la scadenza dei termini e la pubblicazio-ne dell’indicatore annuale di tempestività dei paga-menti (124).

Particolare interesse ha assunto di recente l’uti-lizzo di strumenti finanziari derivati nella gestione del debito pubblico, oggetto di approfondimento an-che in sede parlamentare, con il concorso della Cor-te dei conti (125), che ha sottolineato sia la diversi-tà dell’impianto normativo che presiede al controllo delle amministrazioni statali e delle autonomie terri-toriali; sia la complessità e la delicatezza di una va-lutazione complessiva ex post. Sembrano auspica-bili, in proposito, misure di adeguamento del qua-dro informativo, in modo da consentire, da un lato, il superamento delle problematiche emerse; dall’al-tro, un più elevato livello di appropriatezza del ri-corso a tali strumenti. In tale direzione appare orien-tato anche l’Ufficio parlamentare di bilancio (126), che ritiene fondamentale, ex ante, l’adozione di li-nee guida dettagliate sui criteri di gestione del de-bito pubblico, che comprendano indirizzi sull’utiliz-zo degli strumenti derivati; ex post, report semestra-li che consentano di valutare l’evoluzione del profilo di rischio dei derivati, con riguardo sia ai flussi atte-si nei semestri successivi, sia alle poste di diretta im-

(122) Art. 50, c. 2, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014; Mef-Rgs circ. n. 18/2014.

(123) Art. 5, c. 1, d.l. n. 35/2013, convertito dalla l. n. 64/2013.

(124) Art. 41, c. 1, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014; art. 9, c. 8, d.p.c.m. 22 settembre 2014, che dispone per le amministrazioni centrali dello Stato le Note integrative allegate al rendiconto generale dello Stato, disciplinate dall’art. 35, c. 2, l. n. 196/2009, costituiscono il documento che contiene il prospetto di riferimento per la pubblicazione dell’indicatore annuale di tempestività.

(125) Audizione conoscitiva della Corte dei conti sulle te-matiche relative agli strumenti finanziari derivati, VI Com-missione finanze della Camera dei deputati, 6 maggio 2015.

(126) Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sul-le tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, VI Commissione finanze della Camera dei deputati, 12 maggio 2015.

putazione sul debito. La sede più idonea per tali in-novazioni potrebbe essere l’imminente adeguamento della legge quadro di contabilità e finanza pubblica.

In tale sede, poiché ormai da qualche anno la leg-ge di approvazione del rendiconto dello Stato inclu-de, oltre il conto del bilancio, anche il conto del pa-trimonio, sarebbe opportuno estendere ad esso la re-golarizzazione delle partite che vengano dichiarate irregolari all’atto della parifica della Corte dei con-ti, in modo da avere gli stessi effetti in termini di sa-natoria

4.9. Il ritardo dei pagamentiIl tema dei ritardi dei pagamenti della pubblica

amministrazione costituisce uno snodo importante della situazione economica del nostro paese, special-mente in un periodo di crisi economica e finanzia-ria. Dall’1 gennaio 2013 è entrata in vigore la nuova disciplina sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, adottata con il d.lgs. n. 192/2012, che ha recepito la direttiva 2011/7/Ue del Parlamento eu-ropeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011.

Per assicurare il corretto recepimento della di-rettiva, a fronte di alcuni rilievi espressi dalla Com-missione europea, sono state introdotte modifiche al-la disciplina generale sui ritardi di pagamento (127), chiarendo che essa si applica anche ai contratti pub-blici di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi o di forniture, ovvero l’ese-cuzione di opere o lavori; che le diverse disposizio-ni in materia di tassi di interesse e termini di paga-mento si applicano solo se più favorevoli ai credito-ri; limitando la possibilità di deroga al termine lega-le; estendendo alle prassi inique le limitazioni delle clausole contrattuali inique per il creditore.

Decisivo appare il contributo alla soluzione del problema atteso dalla fatturazione elettronica e dalle recenti norme sulla trasparenza, che impongono al-le pubbliche amministrazioni, a decorrere dal 2015, puntuali obblighi di pubblicazione dei dati di bilan-cio e dell’indicatore di tempestività dei pagamenti su base trimestrale e annuale (128), con un prospetto di

(127) Art. 24 l. n. 161/2014.(128) Art. 8, cc. 1, 3 e 3-bis, d.l. n. 66/2014, convertito

dalla l. n. 89/2014, che ha modificato la disciplina sugli obbli-ghi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni di cui al d.lgs. n. 33/2013; d.p.c.m. 24 settembre 2014, recante “Definizione degli schemi e delle modalità per la pubblicazio-ne su internet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilan-ci preventivi e consuntivi e dell’indicatore annuale di tempe-stività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni”; Mef-Rgs circ. n. 3/2015.

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attestazione dei tempi di pagamento da inserire nel-le Note integrative al rendiconto, per le amministra-zioni centrali. A tali misure si aggiungono l’esclusio-ne dai vincoli del patto di stabilità interno, entro cer-ti limiti, dei pagamenti dei debiti degli enti territoria-li (129), nonché la possibilità di compensare le car-telle esattoriali in favore delle imprese titolari di cre-diti commerciali non prescritti, certi, liquidi ed esigi-bili maturati e certificati (130).

È noto che la liquidazione dello stock di debito pubblico accumulato negli anni è condizionata dalle regole europee, che, in sintesi, individuano nel paga-mento di debiti commerciali pregressi un corrispon-dente aumento del debito pubblico, mentre la quo-ta relativa a investimenti si riflette anche sul deficit. Le intese europee sui più ampi margini di flessibili-tà conseguenti alla chiusura, nel 2013, della procedu-ra per disavanzo eccessivo avviata nel 2009, hanno consentito azioni di sostegno, nel rispetto della stabi-lità finanziaria, con l’adozione di misure urgenti per ampliare la liquidità del sistema (d.l. n. 35 e n. 102, convertiti, rispettivamente, dalle l. n. 64 e n. 124 del 2013). A fine gennaio 2015, su complessivi 57 mi-liardi stanziati, sono stati resi disponibili 42,8 miliar-di, di cui 36,5 pagati, con un’incidenza dell’85 per cento, compreso l’intervento aggiuntivo di cui al d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014. Quest’ulti-mo prevede ulteriori fondi per l’estinzione dei debiti commerciali dei ministeri (131), favorisce l’integrale chiusura delle partite pregresse, introducendo il nuo-vo sistema di regolamentazione, certificazione e mo-nitoraggio, a garanzia del rispetto dei tempi previsti dalla normativa comunitaria, impedendo l’accumu-larsi di arretrati e l’incertezza sistemica, con effetti positivi sulle decisioni di investimento.

Al riguardo, va segnalato che un numero rilevan-te di amministrazioni pubbliche tenute a comunica-re, entro il 30 aprile di ciascun anno, con decorren-za dal 2014, l’elenco completo dei propri debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre dell’an-no precedente, non estinti alla data della comunica-zione stessa (132), non hanno adempiuto tempestiva-

(129) Art. 4 d.l. n. 133/2014, convertito dalla l. n. 16/2014.(130) Art. 1, c. 19, l. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015)

e art. 12, c. 7-bis, d.l. n. 145/2013, convertito dalla l. n. 9/2014.(131) Artt. 32 e 36 d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n.

89/2014; Mef-Rgs circ. n. 18/2014.(132) Art. 7, cc. 4-bis e 5, d.l. n. 35/2013, convertito dalla

l. n. 64/2013:“4-bis. A decorrere dall’1 gennaio 2014, le comunicazioni

di cui al c. 4, relative all’elenco completo dei debiti certi, li-quidi e esigibili alla data del 31 dicembre di ciascun anno, so-no trasmesse dalle amministrazioni pubbliche per il tramite

mente, né nel 2014, né nel corrente anno, nonostan-te le previste sanzioni; analogo inadempimento è ri-scontrabile per la comunicazione mensile dei debi-ti scaduti, decorrente dal luglio 2014 (133). Da nota-re che la verifica di tali adempimenti, demandata agli organi di controllo presso enti e organismi pubblici, riveste particolare rilievo anche per l’effettiva appli-cazione delle sanzioni previste in caso di inadempi-mento (134).

Altrettanto deludente appare il risultato comples-sivo dell’operazione di certificazione dei crediti van-tati dalle imprese nei confronti delle amministrazio-ni pubbliche, gestita dalla piattaforma elettronica del Ministero dell’economia e delle finanze, ai fini del loro smobilizzo mediante cessione al sistema banca-rio, a tasso agevolato e con garanzia dello Stato, o compensazione con debiti fiscali. A fine 2014, risul-tano 15.795 istanze ancora pendenti oltre i termini, per circa 1,4 miliardi, su un totale di 91.423 istanze presentate da 20.945 imprese registrate, per un con-trovalore di 9,8 miliardi: ne discende un tasso di ina-dempienza del 18 per cento riferito al numero delle richieste e del 14,7 riferito al controvalore. In parti-colare, per i crediti certificati compensati con debi-ti fiscali, sono state definite le procedure di recupe-ro presso gli enti debitori (135). La rilevazione ef-fettuata si rivela ancora incompleta, in relazione ai tempi di adeguamento dei sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni e di immissione dei da-ti da parte dei creditori, che hanno atteso l’estensio-ne dell’obbligo della fatturazione elettronica dal 31 marzo 2015; a fine gennaio 2015, il tempo medio di pagamento è pari a 44 giorni, 40 se ponderato con gli importi delle singole fatture.

Quanto ai debiti fuori bilancio, obbligazioni as-

della piattaforma elettronica entro il 30 aprile dell’anno suc-cessivo. In caso d’inadempienza, si applica ai dirigenti re-sponsabili la sanzione di cui al c. 2;

5. Il mancato adempimento da parte delle pubbliche am-ministrazioni debitrici alle disposizioni di cui al c. 4 rileva ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabili-tà dirigenziale e disciplinare ai sensi degli artt. 21 e 55, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”. Cfr., an-che, Mef-Rgs circ. n. 30/2013”.

(133) Art. 27, c. 4, d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014 e Mef-Rgs circ. n. 21/2014.

(134) Si veda, in proposito, Mef-Rgs circ. n. 27/2014, re-cante “Attività di riscontro dei collegi sindacali – vigilanza sull’osservanza delle disposizioni dirette ad accelerare il pa-gamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministra-zioni”.

(135) Mef-Rgs circ. n. 23/2014.

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sunte in violazione di principi e norme contabili, il ricorso a procedure temporanee di accertamento e copertura ha, di fatto, prodotto attese di ulteriori ri-piani. I censimenti effettuati dalle amministrazioni centrali, a partire dal 2009, hanno evidenziato la si-gnificativa consistenza del fenomeno, oltre 5 miliar-di complessivi. La contabilità integrata finanziaria ed economico-patrimoniale e la fatturazione elettro-nica dovrebbero agevolare l’adozione di più rigoro-si comportamenti, stroncando alla radice il fenome-no. I piani di rientro, disposti nell’ambito degli stati di previsione interessati, hanno sollecitato l’utilizzo della flessibilità introdotta dalla riforma contabile; la concentrazione del fenomeno in taluni dicasteri e per specifiche tipologie di spesa mostrano l’esigenza di interventi ad hoc, anche normativi.

Va segnalato, infine, che l’attuazione delle dispo-sizioni in materia di pagamenti della pubblica ammi-nistrazione rappresenta una priorità assoluta dell’e-secutivo e va riguardata come specifico obiettivo strategico dell’operatore pubblico; in tal senso, per le amministrazioni dello Stato tale priorità è stata ri-badita con un’opportuna circolare (136), il cui conte-nuto andrebbe esteso ai diversi livelli di governo de-gli enti e organismi pubblici.

4.10. Fatturazione elettronica, integrazione infor-matica e semplificazione

La fattura elettronica produce significativi be-nefici nella gestione amministrativa e contabile dei soggetti economici coinvolti, in quanto generazio-ne, trasmissione, ricezione e inserimento nelle con-tabilità avvengono con un processo strutturato e inte-gralmente automatizzato, recando benefici su tempi di lavorazione, costi amministrativi e riduzione de-gli errori.

Dal 6 giugno 2014 la fattura elettronica, ricevu-ta attraverso il sistema d’interscambio gestito dall’A-genzia delle entrate, è divenuta il documento obbli-gatorio per la regolazione dei rapporti di fornitura tra imprese e pubbliche amministrazioni centrali (mini-steri, agenzie fiscali, enti previdenziali); tre mesi do-po, tali amministrazioni non possono effettuare al-cun pagamento, nemmeno parziale, sino all’invio della fattura in formato elettronico; dalla stessa data decorre l’obbligo di emettere, trasmettere e conser-vare le fatture. L’avvenuta estensione a tutte le altre pubbliche amministrazioni, a decorrere dal 31 marzo

(136) Mef-Rgs circ. n. 15/2015, recante “Attività di ri-scontro-vigilanza sull’osservanza delle disposizioni dirette ad accelerare il pagamento dei debiti commerciali delle pubbli-che amministrazioni”.

scorso (137), dovrebbe contribuire a migliorare l’ef-ficienza dell’intero apparato, con effetti positivi sulla qualità dei conti nazionali.

Il sistema informativo integrato di contabilità ge-nerale – Sicoge della Ragioneria generale dello Stato garantisce il rispetto degli obblighi, consentendo ac-quisizione e conservazione delle fatture elettroniche e applicando le regole tecniche di colloquio con il si-stema d’interscambio, quale sistema gestionale del-le amministrazioni, reso disponibile a decorrere dal 6 dicembre 2013, integrando la gestione della fattura elettronica con le funzioni già in uso per le contabi-lità integrate finanziaria e economico-patrimoniale, mentre le nuove funzionalità Sicoge sono disponibi-li dal 4 febbraio 2014.

La fatturazione elettronica incide non solo sui rap-porti tra mondo produttivo e pubblica amministra-zione, ma anche sulla struttura dei sistemi contabili e sull’organizzazione complessiva del settore pubblico, supportando nel contempo le attività di controllo e mo-nitoraggio dei conti pubblici con le informazioni re-se disponibili in modalità digitale. Essa è anche un im-portante elemento di accelerazione per il pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazio-ne, nel rispetto della normativa comunitaria, nonché ri-levante fonte di informazioni nel processo di revisio-ne della spesa. Nel complesso, l’innovazione garanti-sce un miglioramento qualitativo dell’intero impianto di contabilità economico-patrimoniale, aspetto partico-larmente rilevante per l’importanza attribuita a tale for-ma di rilevazione contabile sia dalle norme nazionali sia nei contesti internazionali. Si va verso un sistema di gestione integrata del ciclo passivo delle pubbliche amministrazioni, in grado di tenere sotto controllo tut-te le fasi del processo di spesa, anche in vista dell’im-minente varo, in sede europea, dell’annunciato regola-mento quadro, in elaborazione presso la commissione, che renderà obbligatorio, per tutte le amministrazioni pubbliche degli Stati membri, il sistema basato sulla contabilità economico-patrimoniale in partita doppia, con un processo di adeguamento graduale nel periodo 2016-2020. In tal modo, la contabilità economica con-sentirà, tra l’altro, la valutazione diretta degli effetti del bilancio, con riferimento ai risultati concretamente ot-tenuti, tenendo conto ovviamente delle specificità del comparto pubblico, anche in relazione all’obiettivo di medio termine fissato dalle intese europee.

Un ulteriore sviluppo della fatturazione elettroni-ca, già previsto dalla legislazione vigente (138), ri-

(137) Art. 25 d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014.(138) Art. 9, c. 1, lett. c), d) ed f), legge delega n. 23/2014,

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guarda l’estensione del sistema ai rapporti tra sog-getti privati, con la riduzione degli adempimenti am-ministrativi e contabili a carico dei contribuenti, la trasmissione telematica dei corrispettivi, l’adegua-mento dei riscontri tra documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto e transazioni effettuate e il potenziamento della tracciabilità dei pagamenti. In tal modo, il nuovo sistema, con le opportune integra-zioni informatiche, evolverà da strumento di control-lo della spesa pubblica, anche a strumento di contra-sto dell’evasione fiscale e di semplificazione (139).

Nella stessa direzione si muove anche il sistema informativo per la resa elettronica dei conti giudizia-li – Sireco, che, attraverso una piattaforma web, per-metterà di dematerializzare e semplificare il deposito dei documenti degli agenti contabili presso le Sezio-ni giurisdizionali regionali della Corte dei conti, per le gestioni pubbliche da sottoporre alla verifica della magistratura contabile, a conclusione di un’opportu-na fase di sperimentazione, già avviata sul territorio. Inoltre, con le regole tecniche sul documento infor-matico, è stata completata l’attività normativa per la completa attuazione del codice dell’amministrazione digitale, per la gestione dematerializzata dei docu-menti, sin dalla fase della loro generazione (140); le pubbliche amministrazioni si dovranno adeguare en-tro settembre 2016.

Sul piano più generale, va ribadito che l’integra-zione e lo scambio delle informazioni, la condivi-sione degli archivi ed il coordinamento dei proces-si operativi attraverso le nuove tecnologie informa-tiche e telematiche costituiscono un fattore decisivo per il corretto funzionamento del sistema informati-vo pubblico. Con il codice dell’amministrazione di-gitale è stato fissato il fondamentale principio della condivisione dei dati, indicando le “basi dati d’inte-resse nazionale” punti di riferimento delle ammini-

recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparen-te e orientato alla crescita.

(139) Si veda, in proposito, il testo dell’audizione del pre-sidente della Corte dei conti presso la Commissione parlamen-tare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, in sede di indagine conoscitiva, su “Impiego e coordinamento degli strumenti in-formatici e telematici per la riduzione dell’evasione fiscale e il controllo della spesa pubblica – Integrazione delle basi infor-mative pubbliche”, in data 21 gennaio 2015.

(140) D.p.c.m. 13 novembre 2014, recante “Regole tecni-che in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazio-ne e validazione dei documenti informatici nonché di forma-zione e conservazione dei documenti informatici delle pubbli-che amministrazioni ai sensi degli artt. 20, 22, 23-bis, 23-ter e 40, c. 1, 41 e 71, c. 1, codice dell’amministrazione digitale di cui al d.lgs. n. 82/2005”, in Gazzetta Ufficiale n. 112/2015.

strazioni pubbliche; in una logica d’interoperabilità diffusa, questi archivi divengono anche strutture che, a richiesta, forniscono servizi agli altri sistemi infor-mativi pubblici. Si rileva ancora una volta, tuttavia, la mancanza, in tale individuazione, del riferimen-to all’anagrafe tributaria, con la conseguenza dell’e-sclusione dal sistema di basi dati fondamentali quali l’anagrafe generale dei contribuenti (codici fiscali), l’archivio delle dichiarazioni dei redditi, Iva, doga-nali e sulle accise; il registro nazionale dei beni im-mobili (codifica e dati censuari); le statistiche sulle dichiarazioni, sulle entrate tributarie, sugli atti e sui registri degli oggetti d’imposta.

Importante punto di riferimento, nell’ambito dell’integrazione dei sistemi informativi pubblici, è costituito dagli accordi di collaborazione in materia di integrazione dei data center tra Corte dei conti e Avvocatura generale dello Stato, che ha fatto seguito all’aggregazione nella Corte dei servizi Ict del Cnel, nonché di quello triennale, che colloca il centro ela-borazione dati della Corte presso la Sogei s.p.a.; si tratta di esempi di condivisione totale delle infra-strutture informatiche tra Istituzioni pubbliche, per la razionalizzazione in base ai principi della spending review, avviando un processo d’integrazione dei ser-vizi, in modo ancor più innovativo.

Lungo il medesimo percorso di razionalizzazio-ne e digitalizzazione, si muovono le istruzioni appli-cative sulla dematerializzazione delle quietanze per i Sistemi informativi delle entrate-Sie e della teso-reria-Sit (141), nonché l’accordo interistituzionale per la gestione degli atti di pignoramento in danno di amministrazioni statali, concluso tra Banca d’Ita-lia-Tesoreria dello Stato, Ministero dell’economia e delle finanze-Ragioneria generale, Avvocatura dello Stato e Ministero della giustizia, al fine di alleggerire l’attività amministrativa e ridurre gli effetti finanzia-ri derivanti dall’indisponibilità di risorse originaria-mente destinate a far fronte ad altri interventi (142).

Un apporto decisivo lungo il percorso di sempli-ficazione mediante l’utilizzo delle nuove tecnolo-gie dovrebbe derivare dalla dichiarazione dei redditi

(141) Mef-Rgs decr. n. 141/2013 e circ. n. 1/2015.(142) Accordo interistituzionale del 15 aprile 2014 per la

gestione degli atti di pignoramento in danno di amministrazio-ni dello Stato notificati alla Banca d’Italia – Tesoreria dello Stato, in veste di terzo pignorato, cui ha fatto seguito la circo-lare n. 24/2014 del Ministero dell’economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato, che ha disciplinato le modali-tà di utilizzo dello speciale ordine di pagamento – Sop, previ-sto dall’art. 14 d.l. n. 669/1996, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 1997, n. 30, razionalizzando le precedenti istruzioni.

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precompilata, dalla razionalizzazione delle procedu-re per persone fisiche, rimborsi, società, fiscalità in-ternazionale e dai connessi coordinamenti normativi, indotti dalla recente delega per la revisione del siste-ma tributario (143).

4.11. L’armonizzazione contabileL’armonizzazione dei sistemi contabili e dei bi-

lanci si connette al principio di coordinamento del-la finanza pubblica, strumento fondamentale per il rispetto delle regole di convergenza e di stabilità dei conti, in coerenza con gli ordinamenti comunitario e nazionale assunti a livello costituzionale e presuppo-sto indispensabile per una sana gestione delle pubbli-che finanze, anche in vista del perseguimento dell’o-biettivo di medio termine, individuato dalle intese europee nel pareggio strutturale del bilancio pubbli-co, al quale concorrono i vari livelli di governo.

4.11.1. In tale contesto, il decreto legislativo che integra e modifica le disposizioni in materia di armo-nizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bi-lancio di regioni, enti locali e loro organismi (144), ha avviato finalmente la riforma complessiva della contabilità degli enti territoriali, dopo l’intesa in sede di Conferenza unificata e il parere delle Commissio-ni parlamentari di merito e per il federalismo fiscale.

Predisposto per dare attuazione all’art. 119 Cost., che prevede, tra l’altro, omogeneità territoriale in materia di bilanci pubblici, il provvedimento è di-retto a garantire qualità ed efficacia del monitorag-gio e del consolidamento dei conti pubblici e a supe-rare l’impossibilità del vigente sistema contabile di dare rappresentazione ai reali fatti economici, come, ad esempio, la misurazione dei debiti commerciali. La riforma, in coerenza con le disposizioni previste dalla l. cost. n. 1/2012, entrata in vigore dal 2014, promuove l’individuazione di regole contabili uni-formi e di un comune piano dei conti integrato; la definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche tenute al regime di contabilità civilistica; l’adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazio-ne economica e funzionale individuata dagli appositi

(143) D.lgs. n. 175/2014, recante “Semplificazione fisca-le e dichiarazione dei redditi precompilata, in attuazione degli artt. 1 e 7 legge delega n. 23/2014.

(144) D.lgs. n. 126/2014, recante integrazioni e modifiche al d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n. 42.

regolamenti comunitari in materia di contabilità na-zionale e relativi conti satellite; l’affiancamento, a fi-ni conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-pa-trimoniale; la definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai program-mi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodolo-gie comuni alle diverse amministrazioni. Si rammen-ta, al riguardo, che già i decreti legislativi di attuazio-ne dei principi di armonizzazione dei sistemi conta-bili (145) richiedono che la codificazione Cofog entri a far parte del sistema di classificazione delle ammi-nistrazioni interessate, congiuntamente a quella rela-tiva a missioni e programmi di spesa.

In particolare, a decorrere dal 2015, la riforma ha sancito l’applicazione del principio della cosiddetta “competenza a scadenza”, che prescrive l’imputazio-ne a bilancio, limitatamente alle quote che scadono nell’esercizio, degli accertamenti di entrata e degli impegni di spesa delle relative obbligazioni giuridi-camente perfezionate.

Altra innovazione di rilievo, introdotta dal decre-to legislativo, è il riaccertamento straordinario dei re-sidui attivi e passivi, in vista dell’avvio del nuovo si-stema contabile, da completare con l’approvazione del rendiconto 2014, pena lo scioglimento del Con-siglio. L’eventuale disavanzo, che emergerà da que-sta doverosa operazione di “pulizia” e dal primo ac-cantonamento al nuovo fondo crediti di dubbia esigi-bilità, potrà essere ripianato in un periodo massimo di 30 anni, da definire ente per ente con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concer-to con il Ministero dell’interno, prevedendo incenti-vi, anche attraverso la disciplina del patto di stabilità interno e dei limiti di spesa del personale. Il corret-to riaccertamento, da formalizzare entro il 30 aprile 2015, appare imprescindibile per garantire certezza e trasparenza tra quanto rendicontato nel 2014 e i saldi iniziali 2015, riguardanti crediti e debiti.

Emerge, inoltre, un’importante frattura tra en-ti che hanno partecipato alla sperimentazione e re-stante platea degli enti territoriali: questi ultimi han-

(145) D.lgs. n. 91/2011 (Disposizioni recanti attuazione dell’art. 2 l. 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di adegua-mento e armonizzazione dei sistemi contabili), d.lgs. n. 118/2011 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei si-stemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n. 42) e d.lgs. n. 18/2012 (Introduzione di un si-stema di contabilità economico-patrimoniale e analitica, del bilancio unico e del bilancio consolidato nelle università, a norma dell’art. 5, c. 1, lett. b, e 4, lett. a, l. 30 dicembre 2010, n. 240).

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no, infatti, la facoltà di rinviare l’adozione all’eserci-zio 2016 sia del bilancio consolidato, sia del sistema di contabilità economico-patrimoniale da affiancare, a fini conoscitivi, alla contabilità finanziaria. Viene, così, meno la generalizzata applicazione, dall’eserci-zio 2014, dei comuni schemi di bilancio consolida-to e del piano dei conti integrato, rinviando l’intera operazione di armonizzazione al 2016 (146).

Di recente, è stato attivato l’Osservatorio sul-la finanza e la contabilità degli enti locali, costituito presso il dipartimento per gli affari interni e territo-riali del Ministero dell’interno, come strumento per-manente d’interlocuzione tra amministrazioni e or-gani di controllo e vigilanza del sistema delle auto-nomie sui temi della finanza locale (147). Dal 2015, la Commissione per l’armonizzazione degli enti ter-ritoriali seguirà l’applicazione della riforma, suben-trando al gruppo di lavoro che ha seguito la speri-mentazione (148).

La gestione dei servizi sanitari impegna la parte preponderante delle risorse delle regioni, imponendo un rapido coordinamento dei conti della sanità, che presentano notevoli problemi di governabilità, dando luogo alla formazione di ingenti disavanzi; a tale sco-po, viene disposta l’applicazione immediata del tito-lo II del d.lgs. n. 118/2011, con la redazione del conto consolidato della sanità regionale, che comporta l’in-tegrale raccordo e riconciliazione tra poste di contabi-lità economico-patrimoniale e di contabilità finanzia-ria, al fine di rendere più trasparente il flusso dei rap-porti tra regione ed enti del servizio sanitario; non-ché con il maggior rilievo alla situazione patrimonia-le, che, soprattutto sotto il profilo dei debiti verso i fornitori, ha richiesto straordinari interventi legislati-vi di ripiano. I risultati dei conti consolidati dei servi-zi sanitari devono rifluire nei rendiconti generali del-le regioni, con le conseguenti verifiche delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.

I controlli della Corte dei conti, a livello nazio-nale e territoriale, saranno incentrati sull’applicazio-ne delle nuove regole, a partire dalla gestione dei re-

(146) Art. 11-bis d.lgs. n. 118/2011, introdotto dal d.lgs. n. 126/2014. Si veda, in proposito, audizione 27 novembre 2014, Corte conti, Sez. autonomie, su “Armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali e sistema contabile delle regioni”, presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, in Rivista web Corte conti, fasc. n. 3/Marzo 2015, www.rivistacorteconti.it.

(147) Decreto del Ministero dell’interno in attuazione dell’art. 154, c. 3, t.u. enti locali, come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. a), d.lgs. n. 126/2014.

(148) Ministro dell’economia e delle finanze, decr. 6 di-cembre 2014, n. 83647.

sidui e dalla razionalizzazione delle società parteci-pate (149). L’integrazione tra i diversi sistemi conta-bili per la costruzione del bilancio consolidato con-sente di superare l’incapacità del precedente siste-ma di adeguata e completa rappresentazione dei fat-ti gestionali, condizione essenziale per l’applicazio-ne del principio del pareggio di bilancio introdotto nella Costituzione.

Nella delicata fase del passaggio al nuovo siste-ma contabile, la funzione di “accompagnamento” degli enti territoriali da parte della Corte dei con-ti assume particolare rilievo, mediante indicazioni in merito alle operazioni propedeutiche all’applica-zione dei nuovi principi contabili e all’adozione de-gli schemi di bilancio armonizzato, con particolare riferimento al riaccertamento straordinario dei resi-dui attivi e passivi (150). Si è inteso, infatti, orien-tare le prime attività e segnalare le criticità che po-trebbero emergere da un’applicazione non coerente con i principi contabili, con particolare riferimento alla cancellazione o alla reimputazione delle poste in conto residui risultanti dall’attività di ricognizio-ne, nonché alla costituzione di appositi fondi (fon-do pluriennale vincolato; fondo crediti di dubbia esi-gibilità); viene, inoltre, richiamata l’attenzione degli operatori sul corretto svolgimento delle prime essen-ziali fasi di attuazione della riforma, snodo essenzia-le per il concreto avvio ed il consolidamento del fe-deralismo fiscale.

4.11.2. La parallela delega per l’armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci degli altri enti pub-blici è stata esercitata con il d.lgs. n. 91/2011, che, oltre a demandare la concreta attuazione dell’ope-razione a decreti attuativi, dispone una sperimenta-zione biennale, spostata al biennio 2015-2016 (151), analoga a quella degli enti territoriali, soprattutto per quanto attiene alla nuova configurazione della com-petenza, legata alla scadenza delle obbligazioni giu-ridicamente perfezionate. È stato emanato anche il

(149) Sez. autonomie, delib. n. 1/2015.(150) Sez. autonomie, delib. 17 febbraio 2015, n. 4, alla

presenza di rappresentanti del Ministero dell’interno, della Ragioneria generale dello Stato, della Conferenza delle regio-ni, della Conferenza delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, dell’Unione province d’Italia e dell’Associazione nazionale comuni italiani. Si vedano anche i testi delle due audizioni parlamentari tenute dalla Corte dei conti sull’armonizzazione degli enti territoriali, 29 maggio e 27 novembre 2014.

(151) La determina del Ragioniere generale dello Stato del 16 ottobre 2014, ai sensi dell’art. 2, c. 1, decr. 1 ottobre 2013, ha individuato gli enti partecipanti, previa acquisizione dei rispettivi assensi dei ministeri vigilanti.

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decreto del Presidente del Consiglio dei ministri re-cante linee guida per l’individuazione delle missio-ni, provvedimento che conferma, nella sostanza, lo schema classificatorio adottato dal bilancio statale sin dal 2008, nonostante l’esigenza di una sua pro-fonda revisione, sottolineata da più parti, in relazio-ne sia alla eccessivamente ampia varianza dimensio-nale delle attuali aggregazioni, sia alla promiscuità di taluni aggregati.

Sono stati individuati criteri e modalità per la predisposizione del budget economico delle ammi-nistrazioni pubbliche tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con i documenti pre-visionali delle amministrazioni in contabilità finan-ziaria. Dall’1 settembre 2013, con la predisposizio-ne del budget 2014, le amministrazioni interessate sono soggette agli obblighi contabili disposti ai fi-ni dell’armonizzazione, che prevedono anche il pro-spetto della spesa complessiva aggregata per missio-ni e programmi, con la corrispondente classificazio-ne Cofog di secondo livello; la redazione di un Ren-diconto finanziario di liquidità conforme al principio contabile nazionale Oic n. 12 e successive modifica-zioni; il conto consuntivo finanziario coerente con i dati Siope; il piano degli indicatori e dei risultati at-tesi, da allegare al bilancio di previsione; il rappor-to sui risultati, da allegare al rendiconto; il budget pluriennale, da allegare al corrispondente documen-to annuale, con le relazioni illustrative; il conto con-suntivo in termini di cassa, da redigersi in sede di re-dazione del bilancio d’esercizio, elaborato garanten-do la coerenza con le risultanze del rendiconto finan-ziario. Nelle more della revisione del regolamento di contabilità, le amministrazioni in regime di contabi-lità finanziaria non coinvolte nella sperimentazione predispongono, in sede di bilancio di previsione e di rendiconto 2014, un prospetto riepilogativo, redatto sulla base di apposito schema, con la spesa classifi-cata per missioni e programmi.

Per le articolazioni organizzative, anche a livello territoriale, dotate di autonomia gestionale e conta-bile, individuate con propri provvedimenti dalle am-ministrazioni pubbliche non indicate autonomamen-te nell’elenco pubblicato dall’Istat, è prevista l’ado-zione, da parte dell’amministrazione vigilante, di concerto con il Ministero dell’economia e delle fi-nanze, di un decreto di natura non regolamentare, da trasmettere alle Camere per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari (152).

(152) Art. 1, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 91/2011.

Il nuovo regolamento di amministrazione e con-tabilità, in corso di emanazione, interamente sostitu-tivo del precedente, appare coerente con l’esigenza di coordinamento della finanza pubblica e si rivol-ge a tutti i soggetti giuridici, diversi da Stato e en-ti territoriali, ricompresi nel comparto della ammi-nistrazioni pubbliche risultante dall’ordinamento co-munitario.

4.11.3. Quanto al mondo universitario, dal pros-simo anno sarà introdotto, a regime, un sistema di contabilità economico-patrimoniale e analitico, con bilancio unico e consolidato, garantendo, altresì, pre-ventivi e rendiconti in contabilità finanziaria per il consolidamento e il monitoraggio dei conti pubbli-ci. Per tale complessa operazione, sono stati già de-finiti i principi contabili e gli schemi di bilancio, con le regole per i necessari raccordi con la contabilità finanziaria, che le università sono tenute ad appli-care sperimentalmente nel 2014 e restano in vigo-re sino all’emanazione di un analogo decreto inte-grativo e correttivo. La delega, prevista dall’art. 5 l. n. 240/2010, è stata attuata con il d.lgs. n. 18/2012, la cui decorrenza è stata rinviata all’1 gennaio 2015 con l’art. 6, c. 2, d.l. n. 150/2013, convertito dalla l. n. 15/2014. I decreti del Ministro dell’istruzione, università e ricerca scientifica, di concerto col Mi-nistro dell’economia e delle finanze, n. 19 e n. 21 del 2014, hanno definito, rispettivamente, i “Princi-pi contabili e schemi di bilancio in contabilità eco-nomico patrimoniale per le università” e la “Classifi-cazione della spesa per missioni e programmi per le università”; con qualche ritardo, è stato recentemen-te pubblicato lo schema di manuale tecnico-operati-vo per la gestione, previsto dall’art. 8 del citato de-creto n. 19.

4.12. Ritardi e inadempimentiOltre al più volte segnalato ritardo nell’adegua-

mento al nuovo assetto costituzionale della leg-ge quadro di contabilità e finanza pubblica, occorre rammentare altri ritardi e inadempimenti che incido-no non poco negativamente sul complessivo ordina-mento contabile.

Non si è ancora posto mano all’adeguamento del rapporto mensile sulle entrate tributarie e contribu-tive, previsto dalla riforma (153), sulla cui esigen-za la Corte dei conti ha richiamato più volte l’atten-zione nelle precedenti relazioni. Esso risulta tuttora limitato alle variazioni dei grandi aggregati rispet-

(153) Art. 14, c. 5, l. n. 196/2009 e successive modifica-zioni.

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to all’anno precedente e agli scostamenti rispetto al-le previsioni, come il riepilogo annuale. L’amplia-mento all’analisi dei fenomeni che incidono sull’an-damento del gettito e agli effetti delle misure dispo-ste con la manovra correttiva e i principali provve-dimenti tributari adottati in corso d’anno, come pre-scritto dalla riforma contabile (art. 14, c. 5, secondo periodo), consentirebbe un complessivo e sensibile miglioramento del monitoraggio dei conti pubblici e si rivelerebbe di grande utilità, potendo già oggi con-tare, tra l’altro, sulle medesime fonti utilizzate nel rapporto di monitoraggio della Corte dei conti, con un livello di dettaglio molto più avanzato.

Le relazioni annuali su stato della spesa, effica-cia nell’allocazione delle risorse e efficienza dell’a-zione amministrativa, previste dalla legge finanziaria 2008 (154), continuano ad essere presentate in gran parte oltre il termine del 15 giugno: nel 2014, le rela-zioni relative al 2013 tempestivamente pervenute al Parlamento sono soltanto quelle dei ministeri dell’e-conomia e finanze e della difesa; non risultano pre-sentate quelle dei ministeri dell’ambiente, tutela del territorio e del mare e dell’istruzione, università e ri-cerca. Nell’anno in corso, la situazione si è ripetuta per la relazione 2014, presentata nei termini soltanto da economia e difesa.

L’ultima relazione generale sulla situazione economica del paese presentata alle Camere risulta quella per l’anno 2012, predisposta con notevole ri-tardo e pervenuta al Parlamento solo il 14 febbraio 2014 (155). La specifica Commissione di studio e la Corte dei conti ne proponevano la semplice sop-pressione, onde evitare duplicazioni e sovrapposi-zioni, tenuto anche conto dell’attuale proliferazio-ne di documenti analoghi sottoposti all’esame par-lamentare. Anche di tale problematica dovrà farsi carico la nuova legge quadro di contabilità e finan-za pubblica.

L’ultima relazione trimestrale di cassa risul-ta quella al 30 settembre 2014, presentata al Parla-mento il 13 gennaio 2015, ben oltre i termini, come le precedenti. Per tali relazioni, va rilevata ancora la mancata allegazione dell’elenco degli enti inadem-pienti per le informazioni di cassa della banca da-ti Siope, cui applicare la sanzione dell’impossibilità di prelievo dai conti di tesoreria, con evidenti impli-

(154) Art. 3, cc. 68 e 69, l. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008).

(155) L’art. 12 l. n. 196/2009, come sostituito dall’art. 6 l. n. 39/2011, prevede la presentazione della relazione al Parla-mento entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello cui si ri-ferisce.

cazioni in termini di mancanza di trasparenza e de-terrenza (156).

Pressoché generalizzata appare l’inosservanza dell’obbligo di indicazione delle pertinenti missioni e, nel loro ambito, dei programmi di competenza, per le variazioni di bilancio derivanti da provvedimenti legislativi di iniziativa governativa (157). La circo-stanza incide negativamente sul rapporto tra norma e assetto contabile, al quale il legislatore della riforma ha dato giustamente particolare importanza, con una disciplina che andrebbe estesa, ad avviso della Corte dei conti, a tutti i provvedimenti legislativi.

Non è stato mai presentato l’allegato integrativo del Documento di economia e finanza sugli effetti delle manovre correttive (158), inteso a valutare ex post i provvedimenti assunti, anche al fine di appron-tare tempestivamente opportune misure di recupero di eventuali scostamenti. La circostanza riveste par-ticolare gravità, privando, tra l’altro, il Parlamento di indispensabili elementi di valutazione sui risultati degli interventi posti in essere. Non sembrano, inve-ro, condivisibili le giustificazioni per particolari dif-ficoltà tecniche che renderebbero la norma inapplica-bile, anche in considerazione dell’apporto dei siste-mi informatici disponibili.

4.13. La nuova legge quadroNella futura legge quadro di contabilità, in base

al riferimento ai saldi strutturali di cui al nuovo qua-dro costituzionale, potrà emergere il collegamento, anche formale, tra effetti finanziari della legislazio-ne ordinaria e obiettivi di politica di bilancio recepi-ti nella Costituzione (artt. 81 e 97), risolvendo la dia-lettica interpretativa tra visione “procedurale” e “so-stanzialista” dell’obbligo di copertura finanziaria. Ne consegue l’esigenza che, in ogni singola legge, sia-no individuate le partite che presentano una diversa valutazione nel passaggio dai saldi nominali a quel-li strutturali. In altri termini, i saldi di bilancio, fissa-ti come obiettivi in Costituzione, si riferiscono alla versione “strutturale”, ai sensi del c. 2 dell’art. 81, in conformità alla normativa comunitaria di supporto, e, pertanto, costituiscono anche parametri di legitti-mità. L’avvenuta assunzione a parametro costituzio-nale dei saldi di bilancio nella versione “strutturale” implica che sia sempre possibile ricostruire, per tut-

(156) Art. 14, cc. 4 e 11, l. n. 196/2009 e successive modi-ficazioni.

(157) Art. 17, u.c., l. n. 196/2009 e successive modifica-zioni.

(158) Art. 10, c. 11, l. n. 196/2009 e successive modifica-zioni.

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te le leggi e non solo per quelle più rilevanti sul pia-no quantitativo, l’impatto delle singole disposizioni e complessivo non solo su tutti i saldi nominali, ma anche sul saldo strutturale.

Altra delicata problematica riguarda le tecniche di contabilizzazione delle singole poste tra i vari sal-di in ordine al rispetto dei limiti di spesa, che godono ora di protezione rafforzata a livello costituzionale, con conseguenti implicazioni sotto il profilo dell’ob-bligo di recupero. Inoltre, lo spostamento dei vinco-li, a livello comunitario e costituzionale, verso l’ag-gregato delle pubbliche amministrazioni, comporta un’attenta valutazione delle operazioni di sostituzio-ne di partite tra i vari sottosettori, in relazione ai di-versi effetti che potrebbero avere sui saldi e sui limiti di spesa, compreso il saldo netto da finanziare.

Andrebbe, poi, attentamente considerata la co-erenza tra gli effetti degli “eventi eccezionali”, che consentono lo scostamento temporaneo dall’equili-brio di bilancio, salvo l’obbligo del recupero al ve-rificarsi delle condizioni previste dalla legge “rinfor-zata”, e l’obiettivo della sostenibilità del debito del-le pubbliche amministrazioni (art. 97, c. 1, Cost.), che sembrerebbe implicare non solo vincoli di me-dio-lungo periodo, ma anche di breve periodo. Al-trettanto rilevante appare la considerazione degli ef-fetti dello scostamento temporaneo sul consolidato concetto di copertura finanziaria (art. 81, c. 3, Cost.), che richiede la compensazione dei nuovi o maggiori oneri sin dal primo esercizio.

Dovranno essere affrontati gli eventuali aspet-ti procedurali e chiarito il rapporto tra Documento programmatico di bilancio, non previsto dall’attua-le legge quadro e introdotto in applicazione del two-pack (159), e Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, attesi gli elementi di sovrap-posizione che emergono, sotto il profilo sia dei con-tenuti che dei tempi di presentazione. Più in genera-le, va valutata un’eventuale revisione dei contenuti e della tempistica del processo di programmazione, anche sulla scorta dei suggerimenti forniti dall’Uffi-cio parlamentare del bilancio, ai quali si è fatto cen-no (par. 2.2).

Oltre agli argomenti esplicitamente demandati alla legge ordinaria dalla “rinforzata”, quali i profili più propriamente applicativi e l’implementazione ul-teriore dei vincoli di finanza pubblica, dovranno es-sere valutate le conseguenze dell’assunzione a livel-lo costituzionalmente protetto del sistema contabile a doppio vincolo di competenza e cassa vigente per

(159) Regolamento Ue n. 473/2013.

il bilancio statale, per gli enti e organismi pubblici in contabilità finanziaria; la verifica di coerenza con i vincoli europei e costituzionali, in sede consunti-va, in via anticipata rispetto alla parifica; la definizio-ne delle sperimentazioni già previste per l’adozione delle nuove unità elementari del bilancio gestionale (azioni) e del bilancio a base zero, con tempi più re-alistici; l’esigenza di idonee clausole di salvaguardia in relazione all’esercizio di diritti soggettivi vincola-ti alle dotazioni del nuovo bilancio “sostanziale”; la copertura “unilaterale” delle nuove o maggiori spe-se, ai fini del rispetto del tetto.

Tra le misure volte a rendere più rigorosa la di-sciplina di bilancio e più severo il controllo del debi-to pubblico, andrebbero considerate la riserva alla ri-duzione del debito delle entrate straordinarie, non ri-correnti o derivanti da misure di contrasto all’eva-sione fiscale; l’introduzione di obblighi informati-vi sugli strumenti finanziari derivati nella gestione del debito pubblico, anche mediante l’estensione allo Stato dell’obbligo, già vigente per gli enti territoria-li (160), di allegare al bilancio di previsione e al ren-diconto una nota informativa, con oneri e impegni fi-nanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivan-ti da contratti relativi a strumenti finanziari deriva-ti o da contratti di finanziamento che includono una componente derivata; l’obbligo, in sede di assesta-mento, di recepire gli effetti di rilevanti mutamenti del quadro macroeconomico di riferimento e di pre-vedere l’adozione di piani di rientro a carico dei pro-pri bilanci per le amministrazioni che evidenzino de-biti pregressi fuori bilancio; la coerenza tra la tem-pistica di approvazione della legge di bilancio dello Stato e dei propri bilanci degli enti territoriali e de-gli altri enti pubblici, anche tenendo conto delle di-storte gestioni per un ampio scorcio di esercizio do-vute al ricorso obbligato al differimento dei termini di approvazione dei bilanci di previsione, costante-mente registrato negli ultimi anni. In proposito, si ri-chiama, a titolo esemplificativo, l’apprezzabile ema-nazione di istruzioni dettagliate per la predisposizio-ne dei bilanci di previsione 2015, ad esercizio ora-mai già avviato (161). Una razionale revisione della tempistica di approvazione dei bilanci pubblici s’im-pone, anche in considerazione del nuovo Documen-to programmatico di bilancio, con indicazioni detta-

(160) Art. 62, c. 8, d.l. n. 112/2008, convertito dalla l. n. 133/2008. Sul contenuto della nota informativa, v. Corte cost., 28 marzo 2012, n. 70, in questa Rivista, 2012, fasc. 1-2, 372.

(161) Mef-Rgs circ. 2 febbraio 2015, n. 8, recante “Enti ed organismi pubblici-bilancio di previsione per l’esercizio 2015”.

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gliate sulla manovra proposta per il conseguimento degli obiettivi; il che comporta l’esigenza di un’an-ticipazione dei tempi di presentazione dei documen-ti programmatici e di bilancio, in primo luogo asse-stamento, Nota di aggiornamento del Def, bilancio di previsione e legge di stabilità, con inevitabili riflessi sulla stessa sessione parlamentare di bilancio.

Non va, infine, dimenticata la revisione della vi-gente normativa sulla corrispondenza biunivoca tra programmi e centri di responsabilità, che si è dimo-strata di non agevole realizzazione con la realtà am-ministrativa del nostro paese, in attività che compor-tano necessariamente l’apporto coordinato di più ar-ticolazioni organizzative, col necessario coordina-mento operativo. Va, peraltro, constatata una ricon-duzione più puntuale in conseguenza del processo di riordino delle pubbliche amministrazioni di cui al d.l. n. 95/2012 (162).

Occorre comunque, essere consapevoli che sull’intero processo di riforma dei conti pubblici in-combe il graduale superamento dell’attuale contabi-lità finanziaria, a favore di un sistema di contabilità economica ispirata al sistema europeo dei conti, di recente affinato col passaggio dal Sec95 al Sec 2010 a decorrere dal settembre dello scorso anno, con la revisione straordinaria dei conti nazionali. Infatti, l’evoluzione della contabilità pubblica dell’Unione europea si muove verso l’introduzione, a breve, di un insieme di principi contabili (European public sector accounting standard-Epsas), basati sugli attuali In-ternational public sector accounting standard-Ipsas, con l’adozione, entro l’anno in corso, di un regola-mento quadro, in elaborazione presso la Commissio-ne, che renderà obbligatorio, per tutte le amministra-zioni pubbliche degli Stati membri, il sistema basa-to sulla contabilità economico-patrimoniale in par-tita doppia, con adeguamento graduale nel periodo 2016-2020 (163). La contabilità economica consen-tirà, tra l’altro, la valutazione diretta degli effetti del bilancio sulla contabilità nazionale, tenendo conto ovviamente delle specificità del comparto pubblico, anche in relazione all’obiettivo di medio termine fis-sato dalle intese europee. Nel nuovo contesto, le at-tuali rilevazioni, in termini di obbligazioni (compe-tenza giuridica) e flussi finanziari (cassa), conserva-no la loro utilità, per valutare altri aspetti dell’azio-ne amministrativa, nell’interesse della sana gestione

(162) Si veda in proposito il capitolo relativo all’Organiz-zazione sempre nel volume I della presente Relazione.

(163) Documento di economia e finanza 2014, allegato II “Rapporto sullo stato di attuazione della riforma di contabilità e finanza pubblica”, par. 1.4, 8.

della cosa pubblica: il graduale passaggio al nuovo vincolo economico richiede, sia nella fase di transi-zione, sia a regime, garanzie di trasparenza e affida-bilità, che solo il mantenimento delle attuali infor-mazioni può assicurare.Tavole (Omissis)

12 – Sezioni riunite in sede di controllo; delibera-zione 26 giugno 2015; Pres. Squitieri, Rel. Forte.

Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Bi-lancio dello Stato – Riforma – Deleghe legisla-tive (l. n. 89/2014) – Camera dei deputati e Se-nato della Repubblica – Indagine conosciti-va delle Commissioni bilancio riunite – Docu-mento per l’audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

L. 31 dicembre 2009 n. 196, legge di contabilità e fi-nanza pubblica, artt. 40, 42; l. 24 dicembre 2012 n. 243, disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, c. 6, Cost., artt. 15, 21; d.l. 24 aprile 2014 n. 66, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014 n. 89, misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. De-leghe al governo per il completamento della revisio-ne della struttura del bilancio dello Stato, per il rior-dino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un t.u. in materia di conta-bilità di Stato e di tesoreria, art. 1.

Le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno ap-provato il documento recante gli elementi per l’au-dizione di rappresentanti della stessa Corte presso le Commissioni bilancio riunite della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nell’ambi-to dell’indagine conoscitiva sulle prospettive di ri-forma degli strumenti e delle procedure di bilancio in base ai criteri direttivi di cui alle deleghe legisla-tive previste dalla l. n. 89/2014 per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Sta-to e per il riordino della disciplina della gestione del bilancio, nonché per il potenziamento della funzione del bilancio di cassa. (1)

IntroduzioneLa Corte ha in molte circostanze sottolineato

l’importanza di chiudere il ciclo di revisione dell’or-dinamento contabile apertosi nel 2012 con le modifi-

(1) Segue la nota di A. Brancasi.

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che di alcuni articoli della Costituzione (81, 97, 117 e 119) e proseguito con l’approvazione, nel medesi-mo anno, della legge c.d. “rinforzata” n. 243/2012, le cui linee guida erano state individuate nell’art. 5 del-la l. cost. n. 1, che contestualmente recava le menzio-nate novelle costituzionali.

Un ultimo passaggio – cruciale – riguarda dunque l’aggiornamento della legge di contabilità ordinaria attualmente in vigore (n. 196/2009), che, sebbene già più volte modificata (soprattutto l. n. 39/2011 e d.lgs. n. 54/2014), riflette comunque un impianto di base – di origine costituzionale – che risale ad un’epoca an-teriore al verificarsi delle importanti novità riepilo-gate, sul piano ordinamentale, a partire anzitutto dal-la normativa eurounitaria e di conseguenza sul pia-no interno. Del resto, è la stessa l. n. 243/2012 cit. a far riferimento – nel dare attuazione al c. 6 del nuovo art. 81 Cost. – ad una successiva legge per la regola-mentazione di una serie di istituti.

Lo sfondo entro cui si colloca la nuova legge or-dinaria di contabilità è dunque noto. Dopo la riforma della governance della finanza pubblica a livello di ordinamento Ue, nel 2012 gli artt. 81 e 97 Cost. han-no fissato obiettivi di finanza pubblica in termini di equilibrio strutturale tra entrate e spese e sostenibili-tà del debito, di possibilità di ricorrere all’indebita-mento in alcune circostanze e di modifica del conte-nuto del bilancio.

Prima di entrare nel merito dei quesiti posti a ba-se dell’indagine conoscitiva di cui alla presente audi-zione e che attengono in massima parte all’attuazione dell’art. 15 l. n. 243/2012 (in tema di contenuto del-la legge di bilancio), si ritiene opportuno sottolineare l’importanza del richiamo, nel programma dell’inda-gine, alla definizione del tassello – all’interno del nuo-vo ordinamento – costituito dall’esercizio delle dele-ghe di cui agli artt. 40 e 42 della citata legge di conta-bilità in vigore n. 196/2009 (come rivisitati dalla l. n. 89/2014). Si tratta, in sintesi, della delega per il com-pletamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato e di quella per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio, nonché per il potenzia-mento della funzione del bilancio di cassa. Dal con-creto esercizio di tali deleghe deriveranno, infatti, nu-merose e profonde modifiche dell’assetto in vigore, con ripercussioni sul contenuto di dettaglio della leg-ge di bilancio, oggetto della presente audizione.

Quesito 1: i termini di applicazione della nuo-va disciplina

Quanto al merito dei singoli punti che l’indagi-ne conoscitiva intende affrontare, la prima questione si riferisce al termine di effettiva applicazione della

nuova disciplina sul contenuto della legge di bilan-cio, alla luce delle disposizioni della l. n. 243/2012, prima richiamata. Al riguardo, si osserva che la for-mulazione della norma di dettaglio non è del tutto chiara, dal momento che l’art. 21, c. 3, dispone che il capo IV (concernente l’equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e il concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico) e l’art. 15 (concernente il contenuto della legge di bilancio) si applicano a decorrere dall’1 gennaio 2016, mentre la legge nel suo complesso si applica a decorrere dall’1 gennaio 2014.

Il termine così come prospettato può essere inter-pretato essenzialmente in due modi. Ci si può riferi-re, da un lato, alla legge di bilancio unificata (di cui all’art. 15) che entra in vigore l’1 gennaio 2016, ma, dall’altro, alla medesima legge così come approva-ta nel 2016 e che quindi entra in vigore nel 2017. Al di là delle possibili interpretazioni di carattere stret-tamente giuridico in ordine alla questione ex se e fer-mo restando che sul piano formale le due interpre-tazioni sono egualmente ammissibili, si fa osserva-re che la prima possibilità presupporrebbe – tenuto conto dei tempi della sessione di bilancio – l’entra-ta in vigore della nuova legge di contabilità ordina-ria in tempi tali da permettere l’approntamento del-la nuova struttura della legge unificata perché questa sia presentata nel prossimo mese di ottobre. Andreb-bero anche considerati gli eventuali riflessi dell’eser-cizio delle deleghe già menzionate di cui agli artt. 40 e 42, il cui termine per intanto è fissato al 31 dicem-bre p.v. e la cui traduzione in una nuova struttura del bilancio comporterà passaggi amministrativi presu-mibilmente di non scarso rilievo, il cui esito si avrà nel 2016. Per tali considerazioni complessive, la se-conda interpretazione, che va nel senso di riferire la normativa alla sessione di bilancio per il 2017, sem-bra quella più realistica.

Quesito 2: contenuti e articolazione delle sezioni della legge di bilancio

Quanto alla seconda questione, relativa alla defi-nizione dei contenuti e dell’articolazione di ciascuna delle due sezioni che, ai sensi del citato art. 15 della l. n. 243/2012, costituiscono il nuovo bilancio, essa risulta prospettata, dal programma dell’indagine, in riferimento tanto al tema generale della struttura del-le due sezioni, quanto ad alcune tematiche particola-ri, riferite alla collocazione degli stanziamenti relati-vi alle cosiddette “politiche invariate” e alle tabelle attualmente allegate alla legge di stabilità, nonché al-le modalità di rappresentazione delle variazioni ap-portate alla legislazione vigente.

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Il complesso dei temi in esame è ampio e rilevan-te. Va ricordato preliminarmente che la l. n. 243/2012 fissa, con l’art. 15, due sezioni per il futuro disegno di bilancio: la prima, contenente le disposizioni fun-zionali a realizzare gli obiettivi programmatici indi-cati nei documenti di programmazione economica e finanziaria e, la seconda, contenente le previsioni di entrata e di spesa formate sulla base della legislazio-ne vigente. Per definire l’articolazione ed il contenu-to delle due sezioni appare prioritaria, anche sotto il profilo sistematico, la questione della natura giuri-dica della nuova legge di bilancio unificata, essen-do venuto meno il precedente c. 3 dell’art. 81 Cost. (che escludeva la possibilità di variazioni normative con il bilancio) e prevedendo oggi, la nuova formula-zione dell’obbligo costituzionale di copertura di cui al c. 3 dell’art. 81 Cost., che tale obbligo sia previsto “per ogni legge” (e quindi – è da ritenere – anche per la legge di bilancio).

Va altresì tenuto presente che la l. n. 243/2012 cit., è stata considerata legge rinforzata essendo sta-ta approvata con la maggioranza assoluta dei com-ponenti di ciascuna Camera, in quanto, come dispo-ne il suo art. 1, assolve alle funzioni previste dal nuo-vo c. 6 dell’art. 81 Cost., sia pure sulla base delle in-dicazioni del richiamato art. 5 della l. cost. n. 1/2012. Con l’art. 15 l. n. 243/2012 è stabilito il dettaglio del contenuto della legge di bilancio, fissando la suddet-ta distinzione tra le due sezioni, nei termini prima sinteticamente riportati: ciò induce a porre il proble-ma ermeneutico circa la portata di tale proposizio-ne, soprattutto rispetto alla nuova struttura dell’art. 81 Cost. per il versante qui considerato, ossia la sop-pressione della figura del bilancio come legge forma-le (o comunque funzionalmente limitata) e la sotto-posizione anche della nuova legge di bilancio all’ob-bligo di copertura.

Se si considera coerente con tale nuova struttura dell’art. 81 Cost. la proposizione di due sezioni nel-la legge di bilancio unificata, di cui una a legislazio-ne vigente e l’altra a legislazione variata, si può dun-que interpretare il portato del nuovo assetto costitu-zionale nel senso che il legislatore – ferma rimanen-do l’espunzione dall’ordinamento della figura della legge formale (o comunque funzionalmente limitata) – abbia inteso comunque mantenere distinte due fun-zioni all’interno della futura legge di bilancio unifi-cata, differenziando tra un’area funzionale attinente alla esplicitazione degli effetti a legislazione vigente e un’area d’intervento che implica una modifica del-la legislazione in essere.

A prescindere, dunque, da questioni di natura no-

minalistica, appare importante sottolineare come la riproposizione nell’ordinamento della distinzione tra legislazione vigente e legislazione variata sem-bra implicare, in termini abbastanza conseguenziali, anche quella dell’attuale assetto di fondo che distin-gue, nella ripartizione della spesa, tra quota non ri-modulabile e quota rimodulabile, a sua volta riparti-ta, in quest’ultimo caso, nei c.d. “fattori legislativi” e nell’“adeguamento al fabbisogno” (art. 21, cc. 5 ss., l. n. 196/2009). Nelle linee di fondo, tale assun-to conferma, dunque, una struttura ordinamentale in base alla quale la modifica dei parametri sottostanti alla spesa non rimodulabile è confinata all’area della legislazione variata, mentre tutta la restante funzione di rideterminazione degli stanziamenti è affidata al-le possibilità d’intervento nell’area a legislazione vi-gente. Ciò consentirebbe di risolvere, sostanzialmen-te, la portata innovativa dell’art. 15 – proprio per la riproposizione della distinzione tra la legislazione vi-gente e quella variata – in una modifica della struttu-ra e dell’ampiezza del veicolo normativo della deci-sione, modifica indispensabile una volta venuta me-no, in base alla norma costituzionale, la figura del bi-lancio come legge formale (o comunque funzional-mente limitata).

Ciò premesso, in ordine al quesito prospetta-to (contenuto delle sezioni della legge unica di bi-lancio), la questione della formazione degli stanzia-menti – nella seconda sezione – tenendo conto del parametro della legislazione vigente merita un chia-rimento in riferimento al significato dei “parametri economici indicati nei documenti di programmazio-ne finanziaria ed economica” di cui all’art. 15, c. 3. Se essi continuano a consistere nelle variabili macro-economiche implicite nel quadro programmatico (ad esempio tasso di inflazione, tasso di variazione del Pil e via dicendo), il criterio della legislazione vigen-te rimane interpretato nei suoi termini fisiologici. Se ciò nonostante si intenda propendere, però, per una lettura espansiva del concetto di legislazione vigen-te, sì da poter rendere costruibile la seconda sezione anche tenendo conto del parametro delle cosiddette “politiche invariate”, appare necessario che quest’ul-tima componente sia resa assolutamente trasparen-te ed evidente nella prospettazione degli stanziamen-ti, sì da rendere ricostruibile la distinzione e la diver-sa derivazione dei due ambiti di stanziamenti (legi-slazione invariata e legislazione vigente). Non va di-menticato, comunque, che la misura della riconfer-ma in futuro delle scelte di politica di bilancio adot-tate negli esercizi precedenti (tema attinente al crite-rio della legislazione invariata) è pur sempre legata a scelte discrezionali, almeno nel quantum (può essere

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questo il caso delle missioni internazionali, ad esem-pio), con la conseguenza che appare opportuna (al di là di profili di legittimità) la conferma di un’inter-pretazione tradizionale del criterio della legislazio-ne vigente.

Quanto poi alla questione della collocazione del-le tabelle attualmente in essere nella legge di stabili-tà, sembra ragionevole, anche in un’ottica di sempli-ficazione, che la modulazione degli stanziamenti di bilancio rinviata dalle singole leggi sostanziali agli strumenti di cui alla sessione di bilancio (essenzial-mente, modulazioni di spese permanenti e di spese pluriennali) possa essere trasferita dall’area riferita all’attuale legge di stabilità (di cui alla prima sezio-ne della futura legge di bilancio) a quella riferita alla seconda sezione di tale ultima legge, relativa alla le-gislazione vigente. Ciò, non solo per dare un seguito alle conseguenze prima evidenziate circa l’evoluzio-ne della legge di bilancio verso una natura sostanzia-le, ma anche per differenziare tra una prima sezione consistente in norme (ad eccezione dell’indicazione dei saldi complessivi) ed una seconda sezione consi-stente in stanziamenti di natura contabile. Si può pe-raltro anche decidere che, pur all’interno dell’ipotiz-zato trasferimento nella sezione seconda delle tabel-le attualmente presenti nella legge di stabilità (corri-spondente sostanzialmente alla futura prima sezione della legge di bilancio), tali modulazioni, anziché es-sere raffigurate in via autonoma (come tabelle), ven-gano in qualche modo riassorbite negli ordinari stan-ziamenti di bilancio. Le attuali tabelle, in una tale se-conda accezione, perderebbero dunque la loro spe-cificità e risulterebbero, nelle articolazioni di detta-glio, normali stanziamenti. È opportuno sottolinea-re però, in questo secondo scenario, ancora una vol-ta, l’assoluta necessità di una evidenziazione che ri-conduca la modulazione dello stanziamento (corri-spondente alle attuali tabelle) alla ratio consistente nell’adempiere ad un dettato di una legge ordinaria dall’oggetto definito.

In materia di collocazione delle attuali tabelle, ri-mane da risolvere altresì il problema relativo a quelle corrispondenti ai fondi speciali. Naturalmente, preli-minare è la decisione se la figura del Fondo specia-le debba o meno essere riproposta nel nuovo assetto della legge di contabilità ordinaria, quale prima for-ma di copertura dei futuri oneri legislativi. La que-stione è stata da lungo tempo dibattuta e militano a favore del mantenimento (ovvero della soppressio-ne) dell’istituto rilevanti argomentazioni. Rimane, al riguardo, la necessità di riflettere sulla ratio di fon-do dei fondi speciali, che ha trovato una prima si-

stematica regolamentazione con la legge di contabi-lità n. 468/1978 proprio in relazione all’opportuni-tà di una programmazione della futura decisione le-gislativa onerosa. Quanto dunque alla collocazione delle due tabelle attualmente in essere nella legge di stabilità e relative a tali fondi, va rilevato che, ove si propenda per il mantenimento dell’istituto nell’ordi-namento, sembrerebbe più appropriata – tenuto con-to che si tratta della copertura di futuri oneri legisla-tivi – una collocazione nella sezione prima, atteso il nesso con la variazione della legislazione in essere.

Circa, infine, l’aspetto legato alle modalità di rappresentazione, nella seconda sezione, delle varia-zioni apportate alla legislazione vigente con la pri-ma sezione, la formulazione dell’art. 15, c. 3, sem-bra non tener del tutto conto delle difficoltà operati-ve per l’attuazione del disposto normativo, soprattut-to con il vincolo della contestualità. L’aggiornamen-to della seconda sezione, per tener conto della pri-ma sezione (e delle relative modifiche), implica va-lutazioni che richiedono una ponderata riflessione, in quanto si tratta di “calare” in bilancio disposizioni normative anche complesse, come accade con le no-te di variazioni da presentare in Parlamento durante la sessione di bilancio. Il problema è in parte simi-le a quello che ha portato di fatto alla disapplicazio-ne dell’art. 17, u.c., l. n. 196/2009, in base al quale i provvedimenti di origine governativa indicano anche le missioni di spesa e i relativi programmi interessa-ti. Si ritiene pertanto che l’indicazione di cui alla l. n. 243/2012 (art. 15, c. 3), per l’aspetto qui in esame, non possa comportare una informazione, pur neces-saria, contestuale alla definizione della prima sezio-ne (e delle relative variazioni).

Quesito 3: il prospetto di copertura della legge di bilancio

In riferimento alla terza questione evidenziata dal programma dell’indagine conoscitiva, circa l’oppor-tunità di predisporre un autonomo prospetto di co-pertura della legge di bilancio, ovvero escludere ta-le predisposizione, la Corte si è da tempo espressa nel senso di privilegiare la seconda opzione, inten-dendo dunque la copertura della legge di bilancio co-me rispetto del saldo programmatico. Essa ha soste-nuto infatti che – tenendo conto dell’entrata in vigo-re, con il nuovo art. 81 Cost. (c. 1), del vincolo in ter-mini di equilibrio strutturale e, con la l. n. 243/2012 (art. 14), del vincolo in termini anche nominali sulla sessione di bilancio nel senso della coerenza dei re-lativi risultati con gli obiettivi programmatici – pos-sa essere considerato rispettato l’obbligo di copertu-ra anche con un saldo nominale di segno negativo,

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se quest’ultimo è coerente con quegli obiettivi (na-turalmente, il principio vale anche ove si dovessero determinare le condizioni e gli obblighi per un sal-do netto da impiegare). Tale indirizzo trova riscon-tro nelle pronunzie in Parlamento circa la legittimi-tà delle modalità con cui è risultato assolto il vigen-te obbligo di copertura degli oneri correnti della leg-ge di stabilità.

Il richiamo a tale ultima circostanza può fornire l’occasione per ribadire quanto, anche per questo ca-so, già sostenuto dalla Corte, ossia che la mancata, esplicita previsione nella l. n. 243/2012 dell’obbligo di copertura riferito ai soli oneri correnti vale a rite-nere non più sussistente tale vincolo, peraltro assor-bito in quello più ampio – già citato – della coeren-za della legge di bilancio unificata con il quadro del-le regole previste a livello sia eurounitario che inter-no, così come interpretato e rispettato dai documenti programmatici previamente approvati.

In sostanza, i punti da sottolineare in tema di co-pertura della legge di bilancio, si possono riassume-re in:

a) l’unico vincolo è quello del rispetto degli obiet-tivi derivanti dalla normativa eurounitaria, così come interpretata ed attuata in base ai documenti di pro-gramma e come viene statuito, d’altro canto, dall’art. 14 l. n. 243/2012;

b) la legge di bilancio potrebbe pertanto anche presentare un saldo negativo, alle condizioni consen-tite;

c) in riferimento alla futura prima sezione del-la legge di bilancio è da ritenere superato, anche in quanto non previsto dalla l. n. 243/2012, il preceden-te vincolo in termini di copertura degli oneri corren-ti della legge di stabilità.

Per il motivo legato al punto a), dunque, circa il fatto che l’unico vincolo della legge di bilancio è la sua coerenza con i documenti programmatici, non sussistono gli estremi per un autonomo prospetto di copertura. D’altra parte, va notata la linea di continu-ità con l’ordinamento in vigore, essendo già previ-sto – sulla base della legge di contabilità attualmen-te vigente – il vincolo di coerenza tra la sessione di bilancio e i relativi strumenti legislativi, da un lato, e gli obiettivi programmatici previamente approvati, dall’altro (art. 11, c. 7, l. n. 196/2009).

L’argomento della copertura della legge di bilan-cio consente di ritenere assolutamente da confermare la richiesta – più volte esplicitata dalla Corte – di una relazione tecnica riferita ai criteri di costruzione del-la seconda sezione (legislazione vigente), nonostan-te la formulazione dell’art. 15, c. 7, l. n. 243/2012,

che si riferisce solo alla prima sezione (legislazione variata). La comprensione delle determinanti assunte per la elaborazione della legislazione vigente appare di particolare rilievo ai fini della individuazione del-la base – e della relativa attendibilità – su cui si in-nestano le manovre normative modificative dell’or-dinamento.

Quesito 4: la flessibilitàQuanto al quarto quesito, riferito all’individua-

zione dei limiti e dei margini di flessibilità applica-bili sia in sede di formazione che in sede di gestione del bilancio, si rileva preliminarmente che si tratta di una problematica che si pone in stretta connessione con il tema (già esplicitato per altri versi) della natu-ra di legge sostanziale del bilancio e con le modalità con cui andranno ad essere attuate le deleghe già ri-chiamate di cui agli artt. 40 e 42 della legge di con-tabilità in vigore n. 196/2009 (e di conseguenza del tipo di bilancio che si andrà a consolidare, in riferi-mento alla seconda sezione, da costruire tendo conto del criterio della legislazione vigente).

Attualmente la situazione è caratterizzata da una normativa di base, che è quella dettata dalla cita-ta legge di contabilità n. 196/2009, nonché da una serie di norme che hanno, sia pur temporaneamen-te, modificato per aspetti non secondari la normati-va-quadro. A fondamento della disciplina della legge di contabilità sussiste, per quanto riguarda la compe-tenza finanziaria, la citata ripartizione della spesa tra rimodulabile e non rimodulabile, con la conseguen-za che le variazioni di stanziamenti comportanti mo-difiche di parametri sottostanti alla spesa non rimo-dulabile avvengono con la legge di stabilità (ovvero con legge ordinaria), mentre le variazioni riferite al-la spesa rimodulabile avvengono con la legge di bi-lancio con riferimento ai c.d. “fattori legislativi” e, in via amministrativa, all’adeguamento al fabbisogno. A questa impostazione di fondo si aggiunge, come ri-levato, una legislazione “emergenziale” che (sia pur temporaneamente, quindi) ha ampliato la flessibili-tà qui considerata nei suoi tratti di sistema e ha in-trodotto una serie di facoltà, in termini di rimodula-zione con la legge di bilancio anche tra diverse mis-sioni di ciascuno stato di previsione, con riferimen-to alle spese rimodulabili e alle spese pluriennali, al determinarsi di certe ipotesi. Nella fase della gestio-ne inoltre è prevista, sempre in via temporanea, an-che la variabilità amministrativa di tutte le spese, con il vincolo della destinazione alla spending review, e, per finalità particolari, nell’ambito degli stanziamen-ti relativi alle categorie riguardanti i consumi inter-medi e gli investimenti fissi lordi.

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In termini di cassa, sia pure sempre in via tempo-ranea, l’attuale flessibilità nella fase della gestione è estremamente ampia (con eccezione dei pagamenti effettuati mediante l’emissione di ruoli di spesa fis-sa), all’interno del singolo stato di previsione, sen-za neanche il vincolo dell’impossibilità di utilizza-re per finalità correnti stanziamenti in conto capitale, che invece sussiste in linea generale per le variazio-ni di competenza.

Di fronte ad un tale quadro di sovrapposizione tra diversi livelli normativi, è evidente che a regime la nuova legge di contabilità è chiamata a riassorbire tali eccezioni ed ordinamenti particolari, individuan-do un assetto conforme e coerente con la distinzione di base tra legislazione vigente e legislazione variata. Ciò implica l’esigenza di tener fermo l’orientamen-to di fondo per cui la spesa non rimodulabile può es-sere modificata, nei suoi parametri di supporto, mo-dificando la legislazione di base, mentre quella rimo-dulabile utilizzando l’area della legislazione vigente.

Come già accennato, è altresì evidente che l’at-tuazione delle citate deleghe di cui agli artt. 40 e 42 l. n. 196/2009 dovrebbe conseguentemente avere un impatto sulla flessibilità, tanto di competenza quanto di cassa. Saranno da valutare, per esempio, gli effetti dell’introduzione, quale componente del programma e unità elementare del bilancio, del criterio dell’azio-ne, previsto alla lett. e), c. 2, art. 40, che potrebbe an-che includere un processo di razionalizzazione delle autorizzazioni legislative interessate, nella direzio-ne di una diversa modalità di rappresentazione e di un loro (eventuale) accorpamento (problema, questo, ancor più delicato), naturalmente fatte sempre salve le indispensabili esigenze di trasparenza. È altresì da valutare la misura nella quale la nuova unità conta-bilmente rilevante costituita dall’azione si tradurrà in termini di flessibilità gestionale, così come quali ri-flessi avranno sotto quest’ultimo versante il riordino della disciplina per la gestione del bilancio dello Sta-to e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa. Quest’ultima, in particolare, implicherà la re-visione della disciplina delle fasi dell’entrata e del-la spesa, di quella della perenzione amministrativa e di quella del raccordo tra gestione del bilancio e ge-stione della tesoreria. Si tratta di processi di revisio-ne la cui concreta applicazione dovrà essere necessa-riamente graduale, per consentire il relativo assorbi-mento a livello gestionale e l’adeguamento delle pro-cedure di controllo.

La Corte ha da tempo e in più occasioni sottoli-neato l’assoluta esigenza di dar corso alle (reitera-te) previsioni normative che dispongono la soppres-

sione delle contabilità speciali e il riversamento del-le giacenze – e della relativa gestione – all’interno del bilancio dello Stato. Ciò, non solo per tener con-to del principio di universalità del bilancio, che pu-re è riconosciuto dalla legge di contabilità come at-tuativo dell’art. 81 Cost. (art. 24 l. n. 196/2009), ma per evitare fenomeni elusivi nella gestione delle ri-sorse pubbliche, con riflessi negativi sulla trasparen-za e sull’efficacia dei necessari controlli. È, d’altra parte, la stessa legge rinforzata n. 243/2012 a deman-dare ad apposita legge la disciplina del riafflusso in bilancio (art. 15, c. 8) delle gestioni contabili ope-ranti a valere su contabilità speciali o conti corren-ti di tesoreria.

Se, dunque, occorrerà attendere l’esercizio delle deleghe in questione per disporre di un quadro com-plessivo circa la flessibilità che si andrà a delineare, per intanto non si può che ribadire che tale flessibili-tà dovrà tener conto di una serie di parametri e di vin-coli impliciti nella distinzione tra legislazione vigen-te e legislazione variata, nel rispetto della massima trasparenza in ordine al rapporto tra variazione, ge-stione e risultato, alla luce dell’input legislativo ori-ginario e della circostanza – già ricordata – della ri-proposizione, con la l. n. 243/2012, del programma come unità di voto parlamentare.

È questo il quadro di fondo alla cui stregua valu-tare eventuali prospettive di ampliamento dell’attua-le ambito applicativo della flessibilità – a livello le-gislativo – nel senso di istituzionalizzare le rimodu-lazioni, ora previste in via provvisoria, tra missio-ni e tra spese rimodulabili e non rimodulabili. Ciò, sempre nel rispetto delle esigenze di trasparenza e ri-costruibilità, nonché della ratio di base dell’ordina-mento legislativo in vigore, in special modo in riferi-mento alla spesa non rimodulabile, tenuto conto del-la formalizzazione del criterio della legislazione vi-gente: non appare, quindi, possibile modificare i pa-rametri degli oneri inderogabili attraverso l’area del-la legislazione vigente (né ovviamente risolvere in tale sede problemi di copertura finanziaria).

Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne la fase della gestione sotto il delicato profi-lo dell’eventuale ampliamento delle variazioni com-pensative, all’interno del programma, tale da esten-dersi, dall’odierno ambito dell’adeguamento al fab-bisogno, alle spese classificate come oneri inderoga-bili. Una particolare riflessione è da compiersi in ri-ferimento alla possibilità – sulla quale la Corte espri-me perplessità – di consentire all’amministrazione di adottare variazioni di bilancio ripartendo fondi di grandi dimensioni e a conformazione indistinta, tra

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i quali eventualmente annoverare anche gli attuali fondi di riserva accorpati.

In definitiva, il tema della flessibilità è tra i più delicati, con riflessi sui princìpi generali della conta-bilità pubblica, sicché il punto di equilibrio da trova-re dovrebbe tener conto anche di temi più ampi, co-me l’assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato e le stesse possibilità concrete di esercizio dei controlli normativamente previsti.

Quesito 5: la legge di assestamentoIl quinto quesito si riferisce alla definizione dei

contenuti e dei limiti della legge di assestamento, con particolare riguardo alla possibilità di operare con tale legge le medesime modifiche alla legisla-zione vigente consentite dalla legge di bilancio. Al riguardo, occorre premettere che l’art. 15, c. 9, l. n. 243/2012 ripropone un’impostazione che si riferisce al criterio della legislazione vigente, con la conse-guenza che rimane la condizione del carattere com-pensativo delle variazioni apportabili con la legge di assestamento, anche tra programmi, alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge dello Stato. Poiché il c. 5, ultimo periodo, del medesimo art. 15 conferma il programma come unità elementare di voto parlamen-tare, la l. n. 243/2012 appare coerente, nel definire le potenzialità della legge di assestamento, con la de-scritta riproposizione, a livello di bilancio unificato, di una esplicita sezione a legislazione vigente. Tro-va conferma dunque, a larghe linee, l’attuale vinco-lo della compensatività tra programmi cui soggiace la legge di assestamento e che è già previsto dall’art. 33, c. 3, legge di contabilità in vigore n. 196/2009, in riferimento alla componente di cui ai richiamati “fat-tori legislativi”, ferme restando le altre funzioni della legge di assestamento tipiche di tale strumento, co-me individuate dall’ordinamento. Le condizioni e i limiti entro cui saranno possibili tali variazioni com-pensative tra dotazioni finanziarie con il disegno di legge di assestamento dovranno anche riguardare il divieto di utilizzare mezzi di parte capitale per finan-ziare oneri correnti.

Quesito 6: i tempi di presentazione dei documen-ti programmatici e legislativi di sessione

In riferimento alla sesta questione – concernente la possibilità di anticipare i termini di presentazione della Nota di aggiornamento del Def e della manovra di finanza pubblica, in modo da consentire all’Uf-ficio parlamentare di bilancio di acquisire, in tem-pi congrui, le informazioni di dettaglio sulla finan-za pubblica, ai fini della verifica del quadro macroe-conomico programmatico contenuto nel documento

programmatico di bilancio – si tratta di un comples-so di temi che presenta diversi aspetti. La materia in linea generale è stata regolata di recente dal d.lgs. n. 54/2014, che, attraverso modifiche testuali della leg-ge di contabilità, ha fissato alcuni princìpi relativi al-le modalità con cui viene effettuato il confronto tra le previsioni del governo e le valutazioni dell’Uffi-cio parlamentare di bilancio (Upb) e ha inoltre stabi-lito che, qualora i risultati di tali valutazioni eviden-zino un errore significativo rispetto alle risultanze di consuntivo, tale da ripercuotersi sulle previsioni ma-croeconomiche per almeno quattro anni consecutivi, il governo trasmette una relazione al Parlamento nel-la quale dovrà indicare le ragioni dello scostamento, nonché le eventuali azioni che intende intraprendere.

Al riguardo, si ritiene che i vincoli da rispetta-re nella eventuale rimodulazione dei termini di pre-sentazione dei documenti programmatici e di quello di settembre in particolare, attengono ad almeno tre esigenze: a) la piena disponibilità di tutto l’apparato informativo di natura statistica, che costituisce il na-turale ed indispensabile presupposto per la elabora-zione di documenti aggiornati avuto riguardo all’e-voluzione delle variabili di riferimento; b) la dispo-nibilità, comunque, per il Parlamento di un arco di tempo sufficiente per l’approvazione del documen-to programmatico presentato dal governo, attraver-so le eventuali indagini conoscitive e gli approfondi-menti del dibattito che fossero ritenuti elemento es-senziale per una decisione meditata; c) l’esplicitazio-ne di tutte le premesse metodologiche e delle ipote-si sottostanti ai quadri, tendenziali e programmatici, oggetto della decisione del governo, così come veri-ficata dall’Ufficio parlamentare di bilancio ed appro-vata dal Parlamento.

Quesito 7: altre questioni ordinamentali 1. La funzione della prima sezione della legge di

bilancio unificataPer quanto riguarda alcuni punti ulteriori nell’am-

bito della revisione della legge ordinaria di conta-bilità, come si richiama nel punto settimo del pro-gramma, una prima considerazione riguarda il pro-filo della funzione che può svolgere la sezione pri-ma della legge di bilancio unificata (area delle varia-zioni normative), ossia se essa possa fungere da ele-mento di stimolo dell’economia. La puntualizzazio-ne trae necessità dal fatto che attualmente, a fronte di una previsione da parte della legge di contabili-tà n. 196/2009 nel senso di un effetto restrittivo del-la legge di stabilità, il relativo utilizzo (nelle ultime due sessioni, per esempio) in senso espansivo ha fat-

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to porre il problema del rispetto della legge di con-tabilità. Tale problema è stato risolto tenendo conto del nuovo quadro ordinamentale di riferimento che, in accordo con gli obiettivi programmatici, consente che con tale strumento (legge di stabilità) venga at-tuata una politica di peggioramento dei saldi tenden-ziali, al verificarsi di determinate condizioni (peg-gioramento del ciclo, eventi eccezionali, clausole di riforme strutturali e via dicendo).

Tale evoluzione della cornice istituzionale co-munitaria ed interna, a livello sia costituzionale che di legge rinforzata, ha posto le basi, dunque, perché la legge di stabilità possa peggiorare, a determinate condizioni, i saldi tendenziali, come in effetti è av-venuto. È, pertanto, radicalmente diverso il quadro di fondo entro cui si colloca ora tale strumento, qua-dro profondamente modificato rispetto a quello del 2009, quando la legge di stabilità venne ridisegnata proprio perdendo quel ruolo di stimolo allo sviluppo quale era stato ad essa conferito in precedenza, con il risultato che a tale veicolo normativo era assegnato il compito, dunque, di riduzione dei saldi.

L’eventuale questione del segno della sezione prima della legge di bilancio unificata è da ritene-re, pertanto, risolta alla luce della duplice circostan-za, da un lato, dell’unicità del vincolo di coerenza con gli obiettivi programmatici fissati negli appositi documenti e, dall’altro, dell’unificazione delle varie componenti della manovra, sul piano normativo, co-stituita dalla legge di bilancio sostanziale.

2. Il problema del rispetto dei limiti di contenuto del-la prima sezione della legge unificata di bilancio

Sotto un’altra angolazione, in riferimento al tema del rispetto dei contenuti di dettaglio assegnati alla legge di stabilità dalla legge di contabilità, la accen-tuata – e reiterata – eterogeneità delle norme presen-ti in tale tipo di provvedimento di sessione continua a rappresentare un’anomalia sul piano istituzionale, come già segnalato negli anni più recenti. Nonostan-te i consueti stralci iniziali dal disegno di legge pre-sentato dal governo, così come operati nelle compe-tenti sedi parlamentari, il testo poi approvato finisce per contenere un numero consistente di norme prive di effetti finanziari o recanti interventi microsettoria-li e localistici e quindi di dubbia coerenza con i di-vieti di contenuto così come fissati.

Il problema merita di essere affrontato in questa sede, in quanto la l. n. 243/2012 cit. (art. 15, c. 2, ul-timo periodo) ha sostanzialmente confermato, per la futura legge di bilancio unificata (prima sezione), il quadro dei divieti contenutistici attualmente previsti

per la legge di stabilità. La Corte ha già avuto mo-do di sottolineare al riguardo che tale trasposizione è avvenuta forse in maniera tralaticia, senza considera-re il ruolo rafforzato della l. n. 243/2012, ora parame-tro interposto in ordine all’attuazione di norme co-stituzionali, almeno per la parte in cui essa dà attua-zione ad un espresso richiamo contenuto dell’art. 81, c. 6, Cost., quale è il caso in esame (contenuto della legge di bilancio).

La riproposizione in altre parole, ad opera del-la l. n. 243/2012 (di rango rafforzato), del vincolo contenutistico per la futura prima sezione della legge unificata di bilancio potrebbe comportare il proble-ma delle conseguenze della violazione di tale vinco-lo sotto il profilo della relativa giustiziabilità, anche di ordine costituzionale. La questione potrebbe por-si, dunque, in termini ancor più delicati in futuro, te-nuto conto che per il passato si riscontra la presenza regolare di norme la cui collocazione nella legge di stabilità presenta profili di incoerenza rispetto al vin-colo contenutistico contemplato dalla attuale legge di contabilità n. 196/2009, che però rimane una leg-ge ordinaria.

3. La regolamentazione del Documento programma-tico di bilancio

Va notato che la nuova legge di contabilità do-vrebbe anche considerare le figure e gli istituti che, su input comunitario, si stanno evidenziando negli ordinamenti dei singoli paesi. Una menzione parti-colare va qui compiuta per il nuovo documento che ogni Stato deve presentare ai sensi del regolamento n. 473/2013/Ue, compreso nel cosiddetto two-pack. Il regolamento, che rafforza il monitoraggio delle politiche di bilancio nell’area euro al fine di garanti-re la piena coerenza dei bilanci nazionali con gli in-dirizzi di politica economica contenuti nel patto di stabilità e crescita, prevede, in particolare, che gli Stati membri trasmettano alla Commissione europea e all’Eurogruppo, entro il 15 ottobre, un documento programmatico di bilancio tale da illustrare le previ-sioni macroeconomiche e di finanza pubblica a poli-tiche invariate, nonché il quadro programmatico del-la politica di bilancio delle amministrazioni pubbli-che e dei relativi sotto settori. Su tale documento la Commissione europea esprime poi il proprio parere.

Detto elaborato non risulta previsto dalla legge di contabilità in vigore, il cui aggiornamento dovreb-be pertanto prendere atto della novità istituzionale, nel catalogare i documenti che il governo è chiama-to a produrre in materia di finanza pubblica. Non ri-sultano, peraltro, normati, al momento, gli eventua-

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li aspetti procedurali circa il seguito da prevedere in caso di rilievi in sede comunitaria, ossia se la que-stione debba essere risolta nell’ambito della discre-zionalità della decisione politica oppure sia oppor-tuno regolamentare la materia creando o meno degli obblighi di conformarsi (tra l’altro, sotto quest’ulti-mo versante, si ricorda che i tempi di valutazione in ambito europeo coincidono con quelli della sessio-ne di bilancio). Sul piano dei contenuti, infine, si po-trebbe valutare il rapporto che passa tra tale Docu-mento e la stessa Nota di aggiornamento al Def, te-nuto conto della funzione molto simile che essi svol-gono (a parte la differenza di destinatario) e la conti-guità dei relativi tempi di presentazione.

4. Altre questioni che possono essere oggetto di re-golamentazione

Un ulteriore tema che può essere affrontato è quello – già ribadito dalla Corte – del rafforzamento dell’art. 19 della medesima l. n. 196/2009, per eleva-re a norma attuativa degli artt. 81 e 97 Cost. anche le disposizioni – ovvero la veste formale del principio in esse contenuto – che consentono di ricorrere ai bi-lanci futuri per la copertura di leggi regionali onero-se di carattere continuativo, se non si tratta di spese obbligatorie: è il caso in particolare dell’art. 38 d.lgs. n. 118/2011 (come sostituito dal d.lgs. n. 126/2014), che, pur rappresentando un significativo migliora-mento rispetto alla situazione previgente, deve esse-re letto, infatti, all’interno del quadro costituziona-le complessivo.

Sempre in linea generale si sottopone l’opportu-nità di integrare l’art. 24 dell’attuale legge di conta-bilità n. 196/2009 nel senso di far riferimento ai nu-merosi princìpi previsti dai citati d.lgs. n. 118/2011 e n. 126/2014 (in materia di armonizzazione dei si-stemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali) per quanto concerne i criteri di fondo cui è ispirata la gestione delle pubbliche finanze, con ri-guardo ai noti ed essenziali criteri di affidabilità, ve-ridicità, chiarezza, congruità e pubblicità, ciascuno dei quali comporta delle profonde implicazioni.

5. Punti specifici del quesito Venendo ora, nello specifico, ad alcuni temi evoca-

ti nel programma dell’indagine conoscitiva, nell’am-bito delle criticità emerse nel corso della attuazione della vigente legge di contabilità si fa riferimento, nel programma, ad esempio, a temi riguardanti le clausole di salvaguardia e di invarianza finanziaria, alla coper-tura dei provvedimenti recanti deleghe legislative e ai contenuti delle relazioni tecniche. Naturalmente, l’ar-co delle questioni è estremamente ampio.

a) le relazioni tecnicheLa Corte ha dato di recente positivamente atto

dell’imponente sforzo in corso, da parte del governo, per migliorare e rendere tempestiva la messa a di-sposizione delle relazioni tecniche. Ma l’importanza cruciale che tale documento sempre di più svolge ri-chiede che vengano individuati i correttivi più idonei perché le amministrazioni interessate siano maggior-mente coinvolte nel relativo procedimento di elabo-razione, sì da meglio consentire al Ministero dell’e-conomia e della finanze di svolgere l’indispensabile funzione di verifica di tali elaborati, ai fini della suc-cessiva presentazione in Parlamento. Appare super-fluo ricordare che, soprattutto alla luce della nuova connessione tra assolvimento ottimale dell’obbligo di copertura e raggiungimento dell’obiettivo di equi-librio di bilancio, è di particolare rilievo l’esigenza di una quantificazione degli oneri la più affidabile pos-sibile.

La formulazione delle leggi onerose esige poi, possibilmente, il riferimento, a dimostrazione della sussistenza delle coperture, alle diverse tipologie di saldi di bilancio fissati come obiettivi in Costituzio-ne, ivi inclusi quelli di ordine “strutturale”; sicché per tutte le leggi, e non solo per quelle più rilevanti sul piano quantitativo, la Corte ribadisce l’opportu-nità della rappresentazione dell’impatto complessivo della singola previsione normativa non solo sui vari saldi nominali, ma anche – eventualmente e, quindi, pur tenendo conto delle note difficoltà tecniche al ri-guardo – sul saldo strutturale.

b) le coperture “a debito”Altro tema da definire a livello di legge ordina-

mentale di contabilità, secondo quanto già segnala-to dalla Corte, è quello delle c.d. coperture “a de-bito”, che si sono verificate a partire dal 2013 ed in ordine alle quali il legislatore è chiamato a compie-re un’opera di razionalizzazione e di sistemazione delle varie ipotesi consentite, tenuto conto del fat-to che l’ordinamento in vigore consente la possibi-lità di uno scostamento del saldo strutturale dall’o-biettivo programmatico (e quindi del ricorso all’in-debitamento) nell’alveo della fattispecie costituita dall’evento eccezionale, che comprende sia i perio-di di grave recessione economica sia gli eventi stra-ordinari al di fuori del controllo dello Stato. In tale quadro dovrebbero trovare una sistemazione anche le fattispecie, ugualmente già verificatesi, di coper-ture di provvedimenti legislativi ordinari che utiliz-zino margini di intervento ricavati all’interno del-la differenza tra andamenti tendenziali ed obietti-vi programmatici.

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c) il tema delle coperture anche in termini strut-turali

La ricordata coesistenza del vincolo in termini di equilibrio strutturale di cui al c. 1 degli artt. 81 e 97 Cost. con quello, più tradizionale, di cui al c. 3 dell’art. 81 cit., pone anche il problema – già rileva-to dalla Corte – se il regime delle coperture finanzia-rie delle leggi possa essere espresso, in futuro, so-lo in termini nominali (come si desume dal richia-mato c. 3), ovvero anche in termini strutturali: tra i due sistemi potrebbero esservi infatti delle discrasie, con la conseguenza che una identica norma potreb-be soddisfare il primo vincolo (in termini nominali), ma non necessariamente il secondo (in termini strut-turali), come dimostra il caso delle partite c.d. one-off, incluse nei saldi nominali ma escluse, almeno in linea di principio, da quelli strutturali.

d) le conseguenze della regola sulla spesa sul re-gime delle coperture

L’introduzione nell’ordinamento della c.d. “rego-la sulla spesa” pone la questione, già segnalata dal-la Corte, circa l’esclusione o meno dell’agibilità di coperture infrannuali di nuove o maggiori spese con mezzi diversi dalle minori spese, laddove la predet-ta regola sulla spesa determini un limite da intender-si come non valicabile una volta fissato nei vincoli programmatici.

e) la necessità della clausola di salvaguardia an-che in riferimento alle minori entrate

In presenza di norme onerose consistenti in mi-nori entrate, la Corte ribadisce la necessità dell’inse-rimento di una clausola di salvaguardia, pur doven-dosi tener conto, in qualche caso, di necessari sfasa-menti di esercizio, verificandosi, per le minori entra-te, solo a consuntivo la eventuale differenza tra one-ri e coperture.

f) le clausole di neutralità finanziariaLa Corte sottolinea l’essenzialità di una costru-

zione attendibile delle clausole di neutralità. Infat-ti, l’eventuale discrasia tra la portata della singola norma (o dell’intero provvedimento) e tali clausole può determinare il rischio del prodursi di condizio-ni per una sostanziale disapplicazione, parziale o to-tale, della normativa interessata, con pregiudizio nei confronti dei princìpi dell’attendibilità e della veri-dicità delle scritture contabili. Inoltre, sempre in ri-ferimento all’attendibilità delle clausole di neutrali-tà, occorre rimarcare come sia elevato, a meno di co-stanti recuperi di produttività, il rischio, nelle mo-re dell’avvio dell’attuazione della normativa in que-stione, dell’insorgenza di un fabbisogno di risorse

aggiuntive da soddisfare con mezzi ordinari di bilan-cio, se tali clausole presentano margini di incertezza.

g) i c.d. “effetti indiretti”L’esigenza del rispetto del principio contabile

della trasparenza e soprattutto della eguale certez-za tra oneri e coperture non può che indurre la Cor-te a ribadire l’esigenza di disciplinare i limiti e le condizioni a cui è consentita l’adozione di model-li dinamici di copertura e in particolare l’assunzio-ne dei c.d. “effetti indiretti”. Soprattutto per l’incer-tezza dei relativi effetti, infatti, si determina gene-ralmente l’attivazione delle clausole di salvaguardia, che a loro volta subiscono ulteriori modifiche legi-slative ex post e spesso contengono ulteriori clauso-le di salvaguardia.

h) l’utilizzo degli stanziamenti del Fondo speciale di parte corrente per la copertura di oneri permanenti

In caso di riconferma dell’istituto del Fondo spe-ciale, la Corte conferma la necessità di un divieto, in linea generale, di un suo utilizzo per la copertura di oneri permanenti, per evitare un irrigidimento delle poste di bilancio, il che – a parità di condizioni – po-ne le premesse per una difficoltà aggiuntiva in ordine all’agibilità di manovre future che si basino in gran parte sulla riduzione della spesa.

i) i decreti legislativiIn merito alla copertura delle leggi delega e dei

conseguenti decreti legislativi, l’esperienza in at-to non sembra evidenziare problematicità di rilievo, risultando rispettato il vincolo della previa o conte-stuale entrata in vigore delle norme comportanti le coperture rispetto a quelle di carattere oneroso, na-turalmente sempre senza considerare i problemi rile-vati in ordine alla elaborazione di sostenibili ed affi-dabili quantificazioni degli oneri e delle relative co-perture finanziarie.

* * *

La Corte dei conti prende posizione sulla nuova legge di bilancio

Le modifiche all’art. 81 Cost., apportate dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, riguardano certamente anche il modo d’essere della legge di bilancio ed è opinione diffusa che ciò sia dovuto a due novità: da un lato, la trasformazio-ne della legge di bilancio da legge meramente formale in legge sostanziale e, dall’altro, la sottoposizione anche del-la legge di bilancio all’obbligo della copertura finanziaria. La prima di queste due novità deriverebbe dalla soppres-

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sione del terzo comma, che, come noto, stabiliva che “con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabi-lire nuovi tributi e nuove spese”; la seconda novità sareb-be, invece, conseguenza del diverso ambito di applicazio-ne dell’obbligo della copertura, che il nuovo terzo comma estende ad “ogni legge”, a differenza dell’originario quar-to comma del testo del ʼ48 che ne limitava l’applicazio-ne soltanto alle leggi che fossero “altre” rispetto a quella di bilancio. Addirittura, le due novità sono, generalmente, messe in relazione tra loro, in quanto l’estensione dell’ob-bligo della copertura alla legge di bilancio viene spiegata come inevitabile conseguenza della sua trasformazione in legge sostanziale.

Le Commissioni bilancio del Senato e della Camera hanno svolto congiuntamente una indagine conoscitiva in vista della adozione della legge che, ai sensi dell’art. 15, c. 10, l. 24 dicembre 2012, n. 243, dovrebbe disciplina-re il contenuto della legge di bilancio. Le Sezioni riuni-te in sede di controllo della Corte dei conti hanno parteci-pato a tale iniziativa presentando un loro referto, che po-trebbe sembrare muovere anch’esso dall’idea che, relativa-mente alla legge di bilancio, le novità introdotte dalla rifor-ma costituzionale sono proprio quelle sopra richiamate. In realtà, il percorso argomentativo della Corte si muove in-vece nella direzione di sfatare questi luoghi comuni, spie-gando, in maniera convincente, che, in ordine alla legge di bilancio, ben altre sono le novità introdotte dalla riforma e che invece, sul versante del contenuto dell’atto, l’ordine di idee della sua natura giuridica non spiega, come non spie-gava già prima, l’esistenza o meno di vincoli e limitazio-ni, e che inoltre, sul versante dell’ambito di applicazione dell’obbligo della copertura finanziaria, le novità sono sol-tanto apparenti.

In effetti, già in base alla precedente disciplina costitu-zionale, l’impossibilità per la legge di bilancio di apportare modifiche alla legislazione vigente, quale veniva fatta di-scendere dall’originario terzo comma dell’art. 81, non po-teva essere spiegata in termini di natura dell’atto, cioè co-me conseguenza della sua natura di legge meramente for-male, o meglio come conseguenza di una sorta di vincolo a conformare il contenuto dell’atto in modo da conferirgli tale natura. Una spiegazione del genere era impraticabile perché avrebbe impedito alla legge di bilancio di modifica-re soltanto le leggi che fossero non soltanto formali ma an-che sostanziali, quando invece il vincolo veniva riferito an-che alle altre leggi anch’esse meramente formali, quali ad esempio le leggi provvedimento e le leggi individuali (si pensi a quelle con cui sia concesso un vitalizio a persona-lità della cultura che si trovino in gravi difficoltà economi-che). Già allora la legge di bilancio andava concepita, non come legge intrinsecamente limitata dalla sua natura giuri-dica, bensì come legge limitata da un divieto posto diretta-mente dal diritto positivo; divieto che, a sua volta, non po-

teva essere ricostruito ed interpretato riproponendo, in ter-mini di doverosità, una certa natura dell’atto, ma che inve-ce, attingendo alla esperienza storica, andava più sempli-cemente declinato in termini di preclusione ad apportare appunto modifiche alla legislazione vigente. La Corte dei conti sembra seguire questo ordine di idee tanto che, con riguardo alla precedente formulazione dell’art. 81, ripro-pone sì la nozione di legge meramente formale, ma lo fa ogni volta indicando, come sinonimo di ciò, il fatto di trat-tarsi di legge “funzionalmente limitata”.

A seguito della abrogazione del terzo comma vi è l’eli-minazione di questo divieto, ma nel contempo la stessa ri-forma costituzionale prevede l’emanazione di una apposita legge, da adottare a maggioranza assoluta dei componen-ti di ciascuna Camera (art. 81, c. 6), che, tra le altre cose, dovrebbe stabilire il contenuto della legge di bilancio dello Stato (art. 81, c. 6, e art. 5 l. cost. n. 1/2012). Il regime giu-ridico della legge di bilancio consisteva, prima della rifor-ma, e consiste tuttora, a seguito della riforma, in limitazio-ni poste dal diritto positivo al contenuto dell’atto. Le diffe-renze sono di due ordini: innanzi tutto, la portata di queste limitazioni non è più ricostruibile in via interpretativa at-tingendo alla esperienza storica precostituzionale ma deve essere definita dal legislatore; in secondo luogo, queste li-mitazioni non hanno più la forza della Costituzione ma de-vono essere stabilite da legge ordinaria, che però, doven-do essere approvata a maggioranza qualificata ed essendo preposta dalla l. cost. n. 1/2012 a disciplinare determina-te materie (tra le quali, appunto, il contenuto della legge di bilancio), presenta natura di legge rinforzata ed è destinata a porsi come norma interposta.

Anche in ordine all’obbligo della copertura finanzia-ria il referto della Corte dei conti contribuisce a sfatare di-versi luoghi comuni. Infatti l’estensione di tale obbligo al-la legge di bilancio, disposta dalla riforma costituzionale, non può spiegarsi come conseguenza dell’abrogazione del terzo comma dell’art. 81, per il semplice fatto che nel pre-cedente sistema la sottrazione di tale legge a questo obbli-go non dipendeva dai limiti di contenuto che essa incon-trava, in quanto, pur con tali limitazioni, era comunque in grado di stabilire una espansione della spesa complessiva. Ciò dipendeva dal fatto che l’impossibilità di modificare le altre leggi finiva per delimitare in termini soltanto relativi gli ambiti decisionali della legge di bilancio, che risultava-no maggiori o minori a seconda del minor o maggior det-taglio della disciplina degli aspetti finanziari stabilita dal-le normali leggi.

Peraltro, va anche ricordato che, in riferimento al pre-cedente sistema, era ritenuto che funzione dell’obbligo della copertura fosse di conformare il processo decisiona-le del legislatore di settore, costringendolo a farsi carico di profili, relativi alla sostenibilità finanziaria delle decisio-

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ni da prendere, di cui altrimenti avrebbe potuto non tener conto. In altri termini, l’indicazione della copertura serviva ad arricchire la cura di interessi specifici, più o meno parti-colari ma comunque di settore, con la valutazione dei pro-fili di compatibilità finanziaria, rendendo così il processo decisionale del legislatore ordinario rispettoso delle deci-sioni di equilibrio prese o da prendere mediante il bilancio. Muovendo da tali premesse bisognerebbe riconoscere che, attualmente, l’obbligo della copertura finanziaria, a causa della sua estensione alla legge di bilancio, avrebbe perso la sua originaria funzione e ne svolgerebbe ormai una com-pletamente nuova.

Le idee di un tempo sembrerebbero aiutare la ricer-ca di questa presunta nuova funzione. Veniva infatti esclu-so che l’obbligo della copertura avesse la funzione di ga-rantire il pareggio finanziario in considerazione della sot-trazione della legge di bilancio all’obbligo della copertura, nonostante le limitazioni al suo contenuto le consentisse-ro comunque di espandere la spesa. Muovendo da tali pre-messe, verrebbe da concludere che l’obbligo della coper-tura avrebbe ormai assunto quella funzione di garantire il pareggio di bilancio che fu evocata da Einaudi (in un, fin troppo citato, intervento alla Costituente) e che un tempo non riusciva a svolgere. Una conclusione del genere, affin-ché non si risolva in un mero nominalismo, richiederebbe poi una ricostruzione del sistema in grado di escludere l’in-debitamento dai mezzi di copertura, in modo da impedire di concepire il pareggio di bilancio in termini meramen-te contabili e da definirlo come pareggio delle spese com-plessive con le entrate finali.

Il referto della Corte dei conti aiuta a far chiarezza sul punto, in quanto fornisce le coordinate per riconoscere che invece la funzione dell’obbligo della copertura non è sta-ta in alcun modo alterata dalla riforma costituzionale. Dal referto si ricava che la più importante modifica apportata all’art. 81, la cui portata è ben più ampia ma ha anche l’ef-fetto di influire sul modo d’essere della legge di bilancio, è quella che fissa “obiettivi di finanza pubblica in termini di equilibrio strutturale tra entrate e spese e sostenibilità del debito, di possibilità di ricorrere all’indebitamento in alcu-ne circostanze”: in altri termini, la vera modifica è quella che ha dato luogo alla nuova versione del secondo comma della disposizione costituzionale, ove è stabilito che “il ri-corso all’indebitamento è consentito solo al fine di consi-derare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizza-zione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei ri-spettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”.

L’obiettivo di equilibrio stabilito dalla Costituzione vincola direttamente la legge di bilancio e sono i suoi sal-di a dover coincidere con tale obiettivo; si tratta della ve-ra novità relativa alla legge di bilancio perché nel vecchio sistema della Costituzione del ʼ48 nessuna limitazione di

tipo quantitativo era posta alla politica di bilancio. In un contesto del genere si può anche parlare di copertura del-la legge di bilancio a condizione di intendersi sulle paro-le, perché si tratta comunque di una copertura diversa da quella a cui sono tenute le altre leggi: bisognerebbe in real-tà parlare di finanziamento del bilancio, in modo da rende-re chiaro che, mentre tra i mezzi di copertura non è utiliz-zabile il ricorso al mercato finanziario, la legge di bilancio può essere coperta (alias è finanziabile) in tal modo, per-ché può presentare anche un saldo nominale di segno ne-gativo ogni qual volta ciò dipenda dall’andamento negati-vo del ciclo economico o vi sia l’autorizzazione delle Ca-mere a maggioranza assoluta per il verificarsi di eventi ec-cezionali.

Su queste basi è da condividere appieno la conclusio-ne, a cui perviene la Corte, che la legge di bilancio non richiede un autonomo prospetto di copertura, né una ap-posita disposizione contenente le indicazioni di copertura. L’unica interpretazione che è possibile dare alla estensio-ne dell’obbligo della copertura alla legge di bilancio è che con essa il legislatore costituzionale abbia inteso richiede-re anche per tale legge la presentazione di quella stessa do-cumentazione che deve accompagnare le leggi che richie-dono la copertura, cioè che abbia voluto prescrivere anche per essa la presentazione della relazione tecnica, aderen-do in tal modo alla richiesta ripetutamente avanzata in tal senso dalla Corte dei conti. Diventa, inoltre, conseguenzia-le che di obbligo della copertura, in senso proprio, si può parlare soltanto con riguardo alle normali leggi e che es-so mantiene appieno la propria originaria funzione e ripro-pone immutate tutte le problematiche ben note nella pre-cedente esperienza.

Relativamente alla legge di bilancio, le trasformazio-ni apportate dalla riforma costituzionale hanno l’effetto di produrre una semplice razionalizzazione dell’esistente. Certo, il sistema complessivo che ne deriva è ben diverso da quello delineato dalla Costituzione del ‘48, ma ciò di-pende, in realtà, dal fatto che era il sistema razionalizzato dalla riforma a non corrispondere ormai da tempo a quello delineato dalla Costituzione.

Nella lettura dell’originario art. 81 era possibile spie-gare il regime giuridico della legge di bilancio in conside-razione della funzione di definire l’equilibrio finanziario, che essa, per il suo contenuto tipizzato, è preposta a svol-gere e della sua conseguente caratteristica di essere prote-sa a curare come interesse primario quello appunto finan-ziario. A fronte di ciò, il divieto di modificare le altre leggi, che la Costituzione imponeva al bilancio, esprimeva la re-gola più generale che il legislatore, nel curare come prima-rio l’interesse finanziario, non potesse rimettere in discus-sione e vanificare le decisioni che fossero state prese nel curare interessi pubblici di altro tipo. Ciò implicava il rico-

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noscimento che, qualora il processo decisionale fosse isti-tuzionalmente orientato a perseguire l’interesse finanzia-rio, lo stesso era ritenuto inadeguato a curare gli altri inte-ressi pubblici, tanto da trovare un vincolo esterno nelle de-cisioni già prese al riguardo.

Il sistema dell’originario art. 81 si completava con l’ob-bligo della copertura finanziaria che, in quello scenario, ser-viva a porre le normali leggi in posizione simmetrica al bi-lancio: queste vincolavano il bilancio per la loro caratteristi-ca di curare interessi primari non meramente finanziari, ma nel fare ciò incontravano come vincolo esterno le decisioni prese nel definire l’equilibrio finanziario e, in ogni caso, do-vevano farsi carico della compatibilità finanziaria delle loro scelte. In definitiva, dietro il rapporto di reciproco condizio-namento tra la legge di bilancio e le altre leggi vi era, in re-altà, la conformazione dei processi decisionali in relazione al tipo di interesse primario da ciascuno curato.

Bisogna riconoscere che questo originario modello, incentrato sull’idea che l’interesse finanziario non dove-va sovrapporsi ad ogni altra considerazione ma doveva contemperarsi con gli altri interessi pubblici, non ha ret-to. È stato superato dall’introduzione della legge finanzia-ria che, nella versione originaria, era preposta a definire gli equilibri ed a perseguire come primario l’interesse finan-ziario e che, ciò nonostante, era messa in grado disatten-dere e modificare le decisioni prese nel curare altri interes-si pubblici come primari. Le modifiche apportate succes-sivamente sono state molte e di segno non univoco (basti pensare al Dpef, ai collegati fuori sessione prima ed a quel-li di sessione poi, nonché alla limitazione ed alla successi-va espansione del tipo di disposizioni che potevano esse-re contenute nella legge finanziaria); nel complesso però la legge finanziaria, poi sostituita dalla legge di stabilità, è sempre stata una componente centrale del processo deci-sionale di definizione della manovra di bilancio.

La successiva evoluzione legislativa ha poi accentuato ulteriormente l’orientamento a conferire completa supre-mazia alla cura dell’interesse finanziario ed a considerare questo prevalente su ogni altro interesse pubblico.

Un esempio di ciò è stato il c.d. decreto taglia spesa (d.l. n. 194/2002, convertito dalla l. n. 246/2002), che vie-ne in rilievo, per gli aspetti che ci interessano, non nella parte in cui riconosce al Ministro dell’economia il potere di limitare, in misura percentuale degli stanziamenti di bi-lancio, l’assunzione di atti di spesa nella eventualità che la gestione presenti un rilevante scostamento dagli obiettivi del Dpef, quanto piuttosto nelle disposizioni, poi trasfuse nella l. n. 196/2009, relative alla copertura finanziaria del-le leggi. Queste regole pongono l’alternativa tra il configu-rare come limite massimo di spesa la quantificazione effet-tuata a fine di copertura, oppure prevedere una “specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effet-

ti che eccedano le previsioni” effettuate dal legislatore a fi-ni di copertura; inoltre, in mancanza della clausola di sal-vaguardia, le leggi sono destinate ad avere effetto entro il limite della spesa per la quale è stata fornita la copertura e cessano di avere efficacia “a decorrere dalla data di pub-blicazione del decreto” dirigenziale che accerta l’avvenuto raggiungimento del predetto limite. Il senso della norma è che i diritti ad ottenere prestazioni finanziarie dall’ammini-strazione, riconosciuti da una legge, sono finanziariamente condizionati, nel senso che, qualora comportino per la fi-nanza pubblica oneri maggiori di quelli preventivati, sono destinati a venir meno oppure a sottostare ad un meccani-smo di salvaguardia che ripristini la corrispondenza.

Altro esempio lo si trova nella l. n. 196/2009, di di-sciplina della contabilità e finanza pubblica, che all’art. 21 consente al bilancio di rimodulare le spese autorizza-te da espressa disposizione legislativa. Questa rimodula-zione, per quanto incontri comunque il limite di dover re-stare compensativa all’interno di un programmi o tra i pro-grammi della stessa missione, comporta che quanto stabi-lito da una ordinaria legge possa essere poi disatteso dal-la legge di bilancio.

La razionalizzazione del sistema, operata dalla rifor-ma dell’art. 81 e completata dalla l. n. 243/2012, consiste nella riunificazione in un unico atto di ciò che precedente-mente costituiva il contenuto della legge di stabilità, da un lato, e della legge di bilancio, dall’altro. L’abrogazione del terzo comma dell’art. 81 rende non più necessario aggira-re la norma costituzionale mediante l’accorgimento, abba-stanza formale ma ben poco sostanziale, di decidere la ma-novra di bilancio facendo fare alla legge finanziaria quan-to non consentito alla legge di bilancio e, nel contempo, ri-unificando i due atti in un unico ed unitario procedimen-to. Per stabilire la manovra, diventa così sufficiente soltan-to la nuova legge di bilancio, che la l. n. 243/2012 preve-de sia composta di due distinte sezioni, le quali ripropon-gono la separazione tra l’area di esplicazione degli effetti finanziari della legislazione vigente (sezione II, corrispon-dente a quella della vecchia legge di bilancio) e l’area del-le modifiche a tale legislazione (sezione I, corrispondente a quella della legge finanziaria, prima, e della legge di sta-bilità, poi). Il parere della Corte dei conti precisa, giusta-mente, che a differenziare le due sezioni non è soltanto la loro diversa forza innovativa dell’ordinamento, quanto an-che il loro contenuto, nel senso che la prima sezione, rela-tiva all’area delle modifiche alla legislazione vigente, do-vrebbe consistere in disposizioni normative, mentre la se-conda sezione, relativa agli effetti della legislazione vigen-te, dovrebbe contenere le proposizioni meramente numeri-che degli stanziamenti di bilancio.

In conseguenza di ciò alcune delle problematiche di un tempo, relative ai rapporti tra i due atti, sono destinate a ri-

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proporsi in termini di rapporti tra le due sezioni. Così la proiezione nella sezione II delle grandezze finanziarie do-vute alle disposizioni della sezione I e la necessità di ren-derle trasparenti con apposita rappresentazione; nonché lo spostamento nella sezione II delle tabelle precedentemen-te allegate alla legge di stabilità, con la possibilità di elimi-nare l’autonoma rappresentazione delle relative grandezze mediante il loro riassorbimento negli ordinari stanziamen-ti. Ancora, la questione dei criteri con cui costruire gli stan-ziamenti della sezione II, se cioè in base semplicemente al-la legislazione vigente oppure anche “a politiche invaria-te”, con la necessità, in questo secondo caso, di fornire una trasparente rappresentazione dei due criteri utilizzati. Inol-tre, la conformità al nuovo assetto costituzionale dell’art. 21 l. n. 196/2009 che riproduce nella sezione II la distin-zione tra legislazione variata e legislazione vigente, preve-dendo la classificazione delle spese in “non rimodulabili” e “rimodulabili”.

La Corte dei conti segnala, peraltro, che su due punti la nuova disciplina del bilancio non si limita ad una sem-plice razionalizzazione dell’esistente, ma introduce rile-vanti modifiche sostanziali. Entrambi i punti riguardano le conseguenze dello spostamento nella legge di bilancio del contenuto della legge finanziaria/di stabilità.

Nel precedente sistema le modifiche apportabili alla le-gislazione vigente in sede di decisione della manovra di bi-lancio erano comunque limitate dalle varie regole, succedu-tesi nel tempo, rivolte ad ostacolare il fenomeno delle c.d. leggi finanziarie omnibus. Queste stesse regole, quali da ul-timo stabilite dall’art. 11 l. n. 196/2009, sono riproposte dal-la l. n. 243/2012 come limitazioni al contenuto della leg-ge di bilancio, per cui, ragionando in termini di manovra fi-nanziaria, bisogna riconoscere che nulla è cambiato rispet-to al precedente sistema. Vi è però la differenza di fondo che le limitazioni alla legge finanziaria/di stabilità erano previ-ste da una legge ordinaria a carico di una legge che, essendo diversa da quella di bilancio, la si voleva sottratta ai vincoli del terzo comma dell’art. 81; viceversa, a seguito della rifor-ma, le stesse limitazioni sono previste dalla l. n. 243/2012, che si qualifica, per questi aspetti, come legge rinforzata. La conseguenza è che, con riguardo alla decisione della mano-vra di bilancio, l’osservanza dei vincoli a cui attualmente es-sa è sottoposta potrebbe dar luogo ad un giudizio di costitu-zionalità, per la possibilità di qualificare come interposta al-la Costituzione la legge che li stabilisce; viceversa, nel pre-cedente sistema, l’osservanza dei medesimi vincoli era ri-posta esclusivamente nel controllo esercitato dal presidente della Camera, che interveniva in prima lettura, e nella pos-sibilità, in tale sede, di disporre lo stralcio delle disposizioni contrarie a tali vincoli.

Sempre ragionando in termini di decisone della ma-novra di bilancio, e non dei singoli atti che la compongo-

no (un tempo organizzati non soltanto sulla legge di bilan-cio ma anche sulla legge finanziaria/di stabilità), merita ri-levare che nel precedente sistema non vi erano vincoli di saldi ma, in compenso, erano stabilite particolari regole di copertura delle spese correnti eventualmente previste dalla legge finanziaria/di stabilità (art. 11, c. 6, l. n. 196/2009); regole che avevano l’effetto di limitare l’introduzione di tali oneri. Viceversa, nel nuovo sistema vi sono vincoli di saldi, ma nel contempo non opera più la necessità di indi-care la copertura delle nuove o maggiori spese correnti in-trodotte dalla legge di bilancio.

Antonio BrAncAsi

* * *

Sezioni riunite in sede consultiva

1 – Sezioni riunite in sede consultiva; parere 19 marzo 2015; Pres. Martucci di Scarfizzi, Rel. Buscema, Gallucci; Ministero dell’economia e delle finanze.

Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Am-ministrazioni pubbliche diverse dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali – Schema di re-golamento concernente l’amministrazione e la contabilità – Parere.

L. 20 marzo 1975 n. 70, disposizioni sul riordina-mento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente; d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’ordinamento del lavoro alle di-pendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 1; l. 31 dicembre 2009 n. 196, legge di contabilità e finan-za pubblica, art. 2; d.lgs. 31 maggio 2011 n. 91, di-sposizioni recanti attuazione dell’art. 2 della l. 31 di-cembre 2009 n. 196, in materia di adeguamento e ar-monizzazione dei sistemi contabili.

Le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno emesso il parere sullo schema di regolamento con-cernente l’amministrazione e la contabilità delle amministrazioni pubbliche (diverse dallo Stato, dal-le regioni, dagli enti locali e dagli enti del Servizio sanitario nazionale) che adottano una contabilità fi-nanziaria e, limitatamente ai principi generali del regolamento stesso, delle amministrazioni pubbliche che adottano la contabilità civilistica, ove ricompre-se fra le amministrazioni di cui all’elenco predispo-sto dall’Istat ai fini della costruzione del conto con-solidato delle pubbliche amministrazioni. (1)

(1) Il regolamento è in corso di emanazione.

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I. Premessa1. Lo schema di regolamento in esame, predispo-

sto dal Ministro dell’economia e delle finanze e tra-smesso alla Corte dei conti per il prescritto parere, unitamente alla relazione illustrativa e alla relazione tecnica, reca disposizioni in materia di amministrazio-ne e contabilità delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 4, c. 3, lett. b), d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91.

Sono destinatari delle nuove norme – per effet-to di successivi rinvii, dell’art. 1, c. 1, dello schema di regolamento, all’art. 1, c. 1, lett. a), d.lgs. 31 mag-gio 2011, n. 91 e, di quest’ultimo, all’art. 1, c. 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196 – le amministrazioni pub-bliche, diverse dalle amministrazioni centrali dello Stato, che adottano una contabilità finanziaria, cui si affianca una contabilità economico-patrimoniale se-condo quanto previsto, in origine, dal d.p.r. 27 feb-braio 2003, n. 97 e, quindi, in attuazione delle rego-le dettate dagli artt. 4 e 6 d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91, il piano dei conti integrato e il sistema integrato di scritturazione contabile.

Sono, altresì, destinatarie del regolamento in pa-rola, limitatamente però ai principi in esso contenuti, le amministrazioni pubbliche che adottano la conta-bilità civilistica, ove ricomprese nell’ambito di rife-rimento del citato art. 1, c. 2, della legge di contabi-lità e finanza pubblica del 2009.

È infatti da considerare come l’art. 4, c. 3, lett. b), d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91, nel prevedere la re-visione delle disposizioni di cui al d.p.r. 27 febbraio 2003, n. 97 – cioè del vigente regolamento di ammi-nistrazione e contabilità degli enti pubblici di cui al-la l. 20 marzo 1975, n. 70 – abbia riferimento, quan-to all’ambito di applicazione, alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 1, lett. a), del medesi-mo decreto legislativo e, dunque, alle amministrazio-ni indicate, a fini di contabilità nazionale, nell’elen-co predisposto dall’Istat e alle amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Sono, invece, escluse dall’ambito di applicazio-ne delle disposizioni in parola, per espresso dispo-sto dell’art. 1, c. 1, lett. a), d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91, oltre alle amministrazioni centrali dello Stato, le regioni, gli enti locali ed i loro enti e organismi stru-mentali, gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Lo schema di regolamento sottoposto al parere della Corte, con una scelta da condividere – in ter-mini di chiarezza e certezza applicativa di un corpo normativo di particolare complessità tecnica – riscri-ve interamente le disposizioni di cui il legislatore de-legato chiede la revisione e ne dispone la contestua-le abrogazione.

Da quanto appena detto, consegue che l’ambito di applicazione del regolamento in parola è, in armo-nia del resto con le disposizioni comunitarie, solo in parte corrispondente con il regolamento di ammini-strazione e contabilità del 2003, comprendendo sog-getti di natura giuridica sia pubblica, sia privata ed anche soggetti, quali le casse previdenziali dei pro-fessionisti, privatizzati dalla legislazione medio tem-pore intervenuta.

Appare, comunque, condivisibile, perché coe-rente con il complesso delle disposizioni recate dal d.lgs. n. 91/2011, la scelta compiuta con lo schema di regolamento di operare un discrimine, quanto agli ambiti della sua applicazione, tra amministrazioni pubbliche in contabilità finanziaria e amministrazio-ni pubbliche in contabilità civilistica.

È, infatti, ragionevole, oltre che conforme alla legge, l’aver salvaguardato, pur nel percorso di ar-monizzazione degli schemi contabili e degli sche-mi di bilancio, i margini di autonomia di soggetti, di natura giuridica privata, che proprio in ragione del-lo status a essi riconosciuto dalla legge, adottano la contabilità civilistica.

Percorso, in particolare, coerente con quanto pre-visto nel titolo IV del d.lgs. n. 91/2011 (art. 16, c. 2) che affida a un decreto, di natura non regolamenta-re del Ministro dell’economia e delle finanze, criteri e modalità di predisposizione del budget economico (pluriennale e annuale) al fine di raccordare lo stes-so documento con gli analoghi documenti previsio-nali predisposti dalla amministrazioni pubbliche che adottano la contabilità finanziaria. Nonché di defi-nire una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio, volta a consentire la trasfor-mazione dei dati economico-patrimoniali in dati di natura finanziaria (relativamente agli enti e alle so-cietà che non abbiano adottato le codifiche Siope).

Decreto, quest’ultimo, adottato in data 27 marzo 2013, in forza del quale gli enti in parola sono tenuti a predisporre, oltre al budget economico in sede pre-visionale, il rendiconto previsto dalla normativa civi-listica e un rendiconto finanziario in termini di liqui-dità. Quanto, sempre, agli ambiti soggettivi di appli-cazione dello schema di regolamento, è da sottoline-are come l’art. 2, c. 4, rechi un’ulteriore distinzione, prevedendo, per le amministrazioni non direttamen-te destinatarie del provvedimento, la semplice facol-tà di adeguare i propri regolamenti di amministrazio-ne e contabilità alle nuove disposizioni.

Previsione, quest’ultima che, se pure coerente con il quadro legislativo d’insieme, in quanto riferi-bile ad amministrazioni pubbliche estranee agli am-

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biti di riferimento dell’art. 1, c. 2, della legge di con-tabilità e finanza pubblica, indurrebbe tuttavia ad un ripensamento per quegli enti che, proprio in quan-to pubblici e ancorché non inseriti nell’elenco pre-disposto annualmente dall’Istat, sarebbe auspicabile operassero – almeno quanto “ad un insieme di prin-cipi” cui fare riferimento – con un sistema di rego-le contabili armonico a quello della generalità delle pubbliche amministrazioni. Una siffatta previsione, infatti, potrebbe garantire una più ampia applicazio-ne dei principi di armonizzazione dei bilanci verso la generalità delle amministrazioni pubbliche, e potreb-be rafforzare l’applicazione della disposizione di cui all’art. 2 della legge delega n. 196/2009, intesa a ga-rantire il consolidamento e il monitoraggio dei conti delle amministrazioni pubbliche.

È poi da aggiungere come l’adeguamento dei si-stemi contabili ai principi in parola si collocherebbe in quel processo di ricognizione delle amministrazio-ni pubbliche comprese nell’elenco Istat, così da con-sentire che il sistema contabile di ciascuna ammini-strazione pubblica, con il sopravvenire delle condi-zioni di cui all’art. 1, c. 3, della legge di contabilità e finanza pubblica, possa agevolmente essere adegua-to alla disciplina generale del d.lgs. n. 91/2011 e re-lativi provvedimenti attuativi.

2. Lo schema di regolamento rappresenta indub-biamente, pur se adottato a distanza di oltre tre anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 91/2011, un tassel-lo importante nel processo di armonizzazione dei si-stemi contabili e degli schemi di bilancio delle am-ministrazioni pubbliche. L’esigenza di migliorare la conoscenza dei fenomeni, cui è preordinata l’ar-monizzazione trova, del resto, corrispondenza nel-la normativa comunitaria (direttiva 2011/85/Ue del Consiglio in data 8 novembre 2011), relativa ai re-quisiti sui quadri di bilancio degli Stati membri, se-condo cui “gli Stati membri si dotano di sistemi di contabilità pubblica che coprono in modo comple-to e uniforme tutti i sotto-settori dell’amministrazio-ne pubblica e contengono le informazioni necessa-rie per generare dati fondati sul principio di compe-tenza al fine di predisporre i dati basati sulle norme del Sec” (art. 3).

Il rispetto degli equilibri richiede, infatti, una ba-se conoscitiva omogenea, con principi e regole con-tabili uniformi per tutti i soggetti che, a vario titolo, sono inclusi nel concetto di amministrazione pubbli-ca, ferma restando l’esigenza di consolidamento dei conti tra enti e organismi partecipati.

Processo di riforma che ha avuto riguardo all’u-niverso delle pubbliche amministrazioni: agli enti

territoriali con il d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, di at-tuazione della l. 5 maggio 2009, n. 42, come modifi-cato e integrato dal d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126; al-le università con il d.lgs. 27 gennaio 2012, n. 18, di attuazione della l. 30 dicembre 2010, n. 240; agli al-tri enti non territoriali con il d.lgs. n. 91/2011, di cui, proprio, è attuazione il regolamento in esame.

Percorso attuativo, peraltro, che – per limitare il campo di analisi agli enti non territoriali – si è di-mostrato non agevole, come reso evidente dalle suc-cessive proroghe, disposte per legge, del termine di emanazione dei decreti regolamentari, inizialmente fissato in sei mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 91/2011.

Da ultimo, è da porre in rilievo come il legi-slatore nazionale – in attuazione della legge euro-pea 2013-bis – abbia di recente attribuito alla Corte dei conti, nell’ambito delle sue funzioni di control-lo, significative competenze in materia di risponden-za della normativa contabile delle amministrazioni pubbliche alle regole di bilancio (l. 30 ottobre 2014, n. 161, art. 30).

Al fine di collocare lo schema di regolamento in esame nell’ambito più generale del percorso attuati-vo già compiuto dal governo, occorre ricordare co-me il decreto legislativo da ultimo citato, introduca, innovando il quadro normativo vigente, il piano dei conti integrato per gli enti che adottano un regime di contabilità finanziaria. Piano che consiste nell’elen-co delle unità elementari di bilancio finanziario ge-stionale e dei conti economico-patrimoniali, basato su una struttura gerarchica a più livelli.

Con d.p.r. 4 ottobre 2013, n. 132 (pubblicato in G.U. 28 novembre 2013, n. 279) è stato adottato, ai sensi dell’art. 4, c. 3, lett. a), d.lgs. n. 91/2011, il re-golamento concernente le modalità di attuazione del piano, le cui disposizioni sono state soggette per tut-to il 2014 ad un periodo di sperimentazione per ve-rificare l’effettiva rispondenza del sistema classifica-torio delineato dal piano dei conti, in termini di esau-stività e coerenza delle voci incluse nei moduli finan-ziario, economico e patrimoniale.

Altro aspetto qualificante delle disposizioni con-tenute nel d.lgs. n. 91/2011 è la prescrizione di un ge-nerale obbligo per le amministrazioni pubbliche di adottare una rappresentazione dei dati di bilancio che evidenzi le finalità della spesa secondo una omoge-nea classificazione per missioni e programmi.

Detta rappresentazione è diretta a privilegiare l’aspetto ed il contenuto funzionale della spesa, al fine di conoscere le finalità e gli scopi da persegui-re e gli obiettivi da conseguire, e nel contempo evi-

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denziare i profili connessi alla struttura organizzativa nella quale risiede la “responsabilità” per l’impiego delle risorse assegnate e la conseguente misurazione e verifica dei risultati raggiunti.

A tale riguardo è stato adottato il d.p.c.m. 12 di-cembre 2012 (pubblicato in G.U. 19 dicembre 2012, n. 295) che stabilisce le linee guida per una rappre-sentazione dei dati di bilancio che evidenzi le finali-tà della spesa, secondo l’articolazione per missioni e programmi, al fine di assicurare il consolidamento e il monitoraggio dei conti pubblici, nonché la mag-giore trasparenza nel processo di allocazione delle ri-sorse pubbliche.

Altro aspetto di rilievo contenuto nel d.lgs. n. 91/2011, è la definizione di un sistema di indicato-ri ai fini della misurazione dei risultati attesi dai pro-grammi di bilancio. Con d.p.c.m. 18 settembre 2012 (pubblicato in G.U. 27 settembre 2012, n. 226) sono state dettate le linee guida per la predisposizione da parte delle amministrazioni pubbliche del piano de-gli indicatori e dei risultati attesi di bilancio, al fine di illustrare gli obiettivi della spesa, misurarne i ri-sultati e monitorarne l’effettivo andamento in termi-ni di servizi.

È, infine, da ricordare come, in attuazione dell’art. 25 d.lgs. n. 91/2011 – che prevede, a par-tire dall’1 gennaio 2015, la disciplina di un periodo di sperimentazione al fine di valutare gli effetti de-rivanti dall’avvicinamento tra contabilità finanziaria e contabilità economico-patrimoniale – è stato adot-tato il decreto del Ministro dell’economia e delle fi-nanze 1 ottobre 2013 (in G.U. 5 novembre 2013, n. 259), con il quale si individua l’oggetto della speri-mentazione, sulla base di una definizione del princi-pio della competenza finanziaria secondo la quale le obbligazioni attive e passive giuridicamente perfe-zionate, che danno luogo a entrate e spese per l’am-ministrazione pubblica di riferimento, sono registra-te nelle scritture contabili con l’imputazione all’eser-cizio nel quale esse vengono a scadenza. Con il me-desimo decreto (art. 8) sono state impartite, alle am-ministrazioni pubbliche in contabilità finanziaria, di-sposizioni riguardo la classificazione del bilancio per missioni e programmi.

L’attuazione del sistema di adeguamento e armo-nizzazione dei sistemi contabili delle amministra-zioni pubbliche dovrà, comunque, trovare comple-tamento con l’adozione di almeno due provvedimen-ti di particolare rilievo voluti dal d.lgs. n. 91/2011. L’uno è il regolamento di cui all’art. 4, c. 3, lett. c), in materia di principi contabili riguardanti i comu-ni criteri di contabilizzazione; l’altro è il decreto in-

terministeriale richiamato dall’art. 18, con il quale deve essere individuato lo schema tipo di bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche con le proprie aziende, società partecipate ed altri organi-smi controllati.

3. In questo contesto normativo e di attuazione delle diverse disposizioni che compongono il d.lgs n. 91/2011, si collocano i 97 articoli dello schema di regolamento su cui la Corte è chiamata ad esprime-re il proprio parere e che, rispetto al d.p.r. n. 97/2003 (di cui è disposta l’abrogazione), appaiono maggior-mente coerenti con le esigenze di coordinamento della finanza pubblica, del legislatore comunitario e nazionale.

Il regolamento si inserisce, dunque, come preci-sato nella relazione illustrativa che lo accompagna, nel processo di armonizzazione dei sistemi contabi-li delle amministrazioni pubbliche voluto dalla leg-ge di contabilità e finanza pubblica del 2009, con ri-guardo, come già innanzi si è detto, a soggettività giuridiche pubbliche ben diverse da quelle conside-rate dal d.p.r. n. 97/2003 cit., perché delimitata dal-la nozione di amministrazione pubblica, come indi-viduata dall’art. 1, c. 2, l. n. 196/2009.

Ed è proprio a questa nuova nozione di ammini-strazione pubblica ed alla necessità, anche solo a li-vello di principi, di armonizzare sistemi contabili e schemi di bilancio di enti di diversa natura giuridi-ca, pubblici o privati, ancor prima che tenuti a gesti-re le proprie risorse con i sistemi della contabilità fi-nanziaria ovvero della contabilità economica, che ri-siede la complessità delle norme in parola.

Resta da dire come, per il resto, la relazione il-lustrativa che accompagna lo schema di regolamen-to si sostanzi nella mera trasposizione del contenuto degli articoli, senza fornire, come sarebbe stato op-portuno, elementi di valutazione ulteriori rispetto al testo della norma.

II. Osservazioni sugli articoli1. Il provvedimento è suddiviso in titoli (a loro

volta suddivisi in capi e articoli) che recano in rubri-ca uguale denominazione di quella contenuta nell’a-brogando d.p.r. n. 97/2003 e, quindi, quanto alle ma-terie trattate è sovrapponibile al testo normativo di cui il legislatore delegato ha disposto la revisione.

Per il resto e nelle linee generali, è da dire che le norme siano esse riferibili alle disposizioni generali (titolo I) o al bilancio di previsione, gestione econo-mico-finanziaria, rendicontazione (titolo II), appaio-no in sintonia con il mutato quadro normativo di rife-rimento, anche laddove dettano alle amministrazioni

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pubbliche regole di conformazione espressione dei medesimi principi generali.

Così, ad esempio, l’art. 3 in materia di indirizzo politico-amministrativo e gestione delle risorse e di separazione tra indirizzo politico, da una parte, pro-grammazione e gestione delle risorse, dall’altra, in attuazione dei principi di cui all’art. 4 d.lgs. 30 mar-zo 2001, n. 165, laddove alla lettera a) definisce le li-nee strategiche e le politiche di settore. In partico-lare, ferma restando la formulazione del bilancio di previsione in termini di competenza e di cassa (art. 5, c. 5), è la diversa classificazione delle entrate (in re-lazione ai titoli, alle tipologie e alle categorie) e del-le spese (per missioni, programmi e macro aggrega-ti) ad essere da guida alla nuova formulazione del-le disposizioni relative ai processi di pianificazione e programmazione (artt. 6 e 7), al bilancio pluriennale (art. 8), al preventivo finanziario (art. 12), alla classi-ficazione delle entrate e delle spese del preventivo fi-nanziario (art. 13) e in genere a tutti gli altri articoli del capo I, titolo II, riferito ai documenti previsiona-li. Le disposizioni in parola assumono rilievo anche con riguardo alle amministrazioni in contabilità civi-listica in ragione di quanto disposto dall’art. 13 d.lgs. n. 91/2011 secondo il quale le società e gli altri en-ti e organismi tenuti al regime di contabilità civilisti-ca debbono predisporre, in sede di redazione del bu-dget, un apposito prospetto della spesa complessiva aggregata per missioni e programmi, accompagnata dalla corrispondente classificazione secondo la no-menclatura Cofog.

2. Circa l’ambito di applicazione del regolamento (art. 2) già si è detto nelle premesse del presente pa-rere. Resta da dire come l’ultimo periodo del c. 2, nel fare salve per le università le disposizioni di cui al d.lgs. 27 gennaio 2012, n. 18, sul sistema di contabi-lità economico-finanziario, non chiarisce se ad esse siano applicabili, in quanto amministrazioni pubbli-che ai sensi dell’art. 1, c. 2, della legge di contabili-tà e finanza pubblica, le disposizioni del regolamento ivi non disciplinate, quali quelle contenute nel titolo IV in materia di attività negoziale. Detto chiarimen-to è tanto più opportuno nel presente decreto che, co-me detto in precedenza, è diretto a uniformare prin-cipi e regole contabili per tutte le “amministrazioni pubbliche”, in coerenza con le esigenze di coordina-mento della finanza pubblica, del legislatore nazio-nale e comunitario.

3. Con riguardo all’art. 5, che reca i principi in-formatori per la gestione e la formazione del bilan-cio di previsione, deve essere posto in evidenza co-me il c. 13 rechi la disciplina delle amministrazioni

pubbliche tenute alla redazione del bilancio di previ-sione consolidato, strutturato per missioni program-mi e macro aggregati. Disposizione, questa, che tro-va corrispondenza in sede di rendicontazione nelle norme contenute nell’art. 74. In coerenza con i prin-cipi che regolano la predisposizione di questo docu-mento, si suggerisce di sostituire, al medesimo c. 13, la locuzione “viene evitata”, con quella “è esclusa”.

4. Nell’ambito delle disposizioni contenute nell’art. 6, il c. 3 facoltizza il direttore generale a pro-porre all’organo di vertice la rimodulazione delle ri-sorse economiche e finanziarie disponibili, non solo tra programmi diversi nell’ambito di ciascuna mis-sione, ma anche tra programmi di diversa missione. Su questa maggiore flessibilità, rispetto a quanto di-sposto dall’art. 23 l. n. 196/2009, non si hanno, in li-nea di principio, osservazioni da formulare, in quan-to essa appare coerente con l’evoluzione del quadro normativo (art. 2, c. 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla l. 30 luglio 2010, n. 122) finalizza-to, tra l’altro, a evitare la formazione di debiti fuo-ri bilancio. Si riterrebbe, però, necessario che, nel ri-spetto della normativa primaria, all’ultimo periodo del medesimo comma, dopo la locuzione “sulla ba-se” venissero inserite le parole “e nei limiti”, così da fare intendere che la rimodulazione della spesa tra programmi di diversa missione non possa essere di-sposta al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 21, c. 7, l. n. 196/2009.

5. Quanto agli strumenti generali di programma-zione, particolare rilievo assume l’art. 7, che sosti-tuisce la relazione programmatica di cui al d.p.r. n. 97/2003 con il Documento unico di programmazio-ne (Dup). Da sottolineare come questo documento, oltre a indicare gli indirizzi di governo, a descrivere le linee politiche e sociali e la puntuale descrizione delle fonti di finanziamento, deve contenere una ap-posita sezione (c. 7) relativa al programma trienna-le delle opere da realizzare, annualmente aggiornato.

6. L’art. 8, nell’ambito delle attività programma-torie, reca la disciplina del bilancio pluriennale e, prevede innovando il quadro normativo vigente (cc. da 4 a 7), che allo stesso siano allegati un piano fi-nanziario dei pagamenti e un preventivo economi-co triennale.

7. L’art. 9 del regolamento dispone che, ai fini del consolidamento dei conti pubblici, le ammini-strazioni di cui all’art. 2 si conformano alle dispo-sizioni contenute nel titolo IV della l. n. 196/2009. Le norme contenute nell’art. 9 sono da porre in re-lazione con quanto disposto dall’art. 90 dello sche-ma regolamento sulle modalità di implementazione

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della banca dati unitaria delle amministrazioni pub-bliche di cui all’art. 13 della l. n. 196/2009 e all’art. 24, c. 2, d.lgs. n. 91/2011. A tale riguardo, si osser-va come, tenuto conto della rilevanza delle disposi-zioni cui si fa rinvio, che hanno riguardo alle esigen-ze di controllo e monitoraggio degli andamenti del-la finanza pubblica, questa disposizione sia da inten-dere come norma di principio, con valore vincolante, quindi, nei confronti (almeno) delle amministrazio-ni pubbliche di cui agli art. 2, cc. 1 e 3, del medesi-mo regolamento. A fini di omogeneità di esposizione e di conformità a quanto disposto all’art. 1, lett. a), si suggerisce di sostituire la frase “le amministrazioni di cui all’art. 2” con “le amministrazioni pubbliche”. Quanto sopra, in ragione anche di quanto esposto al punto 23 del presente parere, con riferimento all’art. 52 dello schema di regolamento.

8. Rilievo centrale, anche per quanto detto nelle premesse di questo parere, assume l’art. 10 che, at-traverso il piano integrato dei conti, disciplina me-diante rinvio al d.p.r. n. 132/2013, la contestuale rile-vazione, da parte delle pubbliche amministrazioni in contabilità finanziaria, delle entrate e delle spese in contabilità finanziaria e in contabilità economico-pa-trimoniale. In armonia con quanto disposto dall’art. 5 del citato d.p.r., l’art. 10, c. 4, dispone che, in esito agli eventuali aggiornamenti del piano dei conti, sia-no effettuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, gli schemi di bilancio allegati al re-golamento. Queste disposizioni assumono rilievo an-che con riguardo alle amministrazioni pubbliche in contabilità civilistica, tenuto conto che l’art. 17 d.lgs. n. 91/2011, impone in sede di bilancio di esercizio la predisposizione di un conto consuntivo di natura fi-nanziaria conforme alle regole di riclassificazione di cui al titolo II del medesimo decreto legislativo, che definisce il piano integrato dei conti.

9. L’art. 11, c. 1, disciplina i termini di approva-zione del bilancio di previsione, attraverso uno spe-cifico riferimento al disposto dell’art. 24, cc. 1, lett. a), e 3, d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91, cioè il 31 di-cembre dell’anno precedente (ovvero 31 ottobre per i bilanci soggetti ad approvazione da parte delle am-ministrazioni vigilanti), facendo salve eventuali di-verse previsioni derivanti da norme di legge o da sta-tuti. La previsione di una riserva statutaria nella ma-teria (ancorché già contenuta nel corrispondente art. 10, c. 1, del regolamento n. 97/2003) potrebbe, tutta-via, consentire l’adozione da parte delle amministra-zioni pubbliche di termini non coerenti con il proces-so di armonizzazione dei sistemi contabili delle pub-bliche amministrazioni.

10. Gli artt. 12 e 13 disciplinano la struttura del bilancio di previsione finanziario e le relative dispo-sizioni. Oltre a confermare la distinzione tra bilancio preventivo decisionale e gestionale, le norme in que-stione prevedono (art. 13, c. 2) che le tipologie per le entrate e i programmi per le spese siano affidati alla gestione di un unico centro di responsabilità ammi-nistrativa, in conformità con i principi contenuti nel-la legge di contabilità e finanza pubblica.

11. L’art. 15, nel disciplinare il preventivo eco-nomico, risponde alle finalità informative della com-petenza economica ed è, nelle sue linee generali, so-vrapponibile all’art. 14 del regolamento del 2003. È da rilevare piuttosto (almeno in via di presunzione, tenuto conto che nulla in proposito è detto nella re-lazione illustrativa) come, per effetto delle rilevazio-ni delle voci di entrata e di spesa contestualmente in contabilità finanziaria e in contabilità economico-pa-trimoniale (piano integrato dei conti), l’articolo in esame non riproponga l’operatività differita del pre-ventivo economico rispetto alla previa autorizzazio-ne del preventivo decisionale.

12. L’art. 16 prevede, innovando rispetto alla pre-cedente disciplina in un quadro di maggiore chiarez-za e trasparenza, la specifica evidenziazione, nella relazione al bilancio, dei vincoli e dei relativi utiliz-zi in cui si articola il risultato di amministrazione.

13. L’art. 17, anch’esso espressione del mutato qua-dro di riferimento in cui si colloca lo schema di regola-mento, dispone sul piano degli indicatori e dei risulta-ti di bilancio attesi, di cui all’art. 19 d.lgs. n. 91/2011. Questo documento, che ha il fine precipuo di illustra-re gli obiettivi della spesa, di misurarne i risultati e mo-nitorarne l’effettivo andamento, è da ritenere debba es-sere predisposto da tutte le pubbliche amministrazioni, siano esse in contabilità finanziaria o civilistica. Quan-to ai criteri di elaborazione del piano, il c. 2 del mede-simo articolo rinvia al d.p.c.m. 18 settembre 2012 con il quale sono dettate le relative linee guida.

14. L’art. 22 dispone su assestamento, variazioni e storni di bilancio e, in ragione delle disposizioni le-gislative nel contempo intervenute, preclude al c. 2 l’utilizzo degli stanziamenti in conto capitale per fi-nanziare le spese correnti, nonché degli stanziamenti destinati a spese non rimodulabili.

15. L’art. 23 disciplina il budget per centro di re-sponsabilità. Sebbene questo articolo sia collocato nel medesimo ordine dell’analogo articolo del sop-primendo regolamento del 2003, se ne suggerisce l’inserimento dopo l’art. 15 (il preventivo economi-co), al fine di una coerente collocazione delle norme del titolo II in relazione alla materia trattata.

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16. Con riguardo agli articoli contenuti nel capo II, del titolo II, non si hanno, almeno nelle linee ge-nerali, osservazioni da formulare, non senza sottoli-neare come le relative disposizioni paiano saldamen-te ancorate al percorso di affinamento degli strumen-ti di cui l’ordinamento si è dotato per il controllo del-la spesa pubblica, ovvero al rinnovato assetto del-la struttura del bilancio secondo i principi della l. n. 196/2009. In tal senso sono la lett. i), c. 3, dell’art. 28 e la lett. l) del c. 2 dell’art. 34, ove si dispone, rispet-tivamente, che l’ordinativo di incasso e il mandato di pagamento debbano contenere la codifica Siope. An-cora, l’art. 30, laddove affida ai responsabili del cen-tro di responsabilità dell’amministrazione pubblica (e non ai responsabili delle unità previsionali di base, come disponeva il corrispondente art. 30 del soppri-mendo regolamento) la vigilanza sulla gestione del-le entrate.

17. Quanto all’art. 32 dedicato agli impegni di spesa, il c. 5 prevede la possibilità che possano es-sere assunte prenotazioni di impegno globale e op-portunamente elenca le condizioni che devono sus-sistere per l’esercizio della facoltà in parola. A mag-giore chiarimento di quanto ivi disposto si suggeri-sce di aggiungere all’alinea del comma, dopo la pa-rola “se”, la frase “sussistono congiuntamente le se-guenti condizioni:”.

18. L’art. 34 prevede, tra l’altro, in un quadro di maggiore chiarezza e trasparenza, l’indicazione nei titoli di pagamento delle codifiche relative alle mis-sioni, ai programmi, ai macro aggregati, alle classifi-cazioni funzionali della spesa, nonché alla banca da-ti Siope.

19. Agli artt. 35, 36 e 38, commi 1, a fini di omo-geneità di esposizione e di conformità a quanto di-sposto all’art. 1, lett. a), si suggerisce di sostituire, ri-spettivamente, le frasi “Le pubbliche amministrazio-ni”, “Le amministrazioni pubbliche destinatarie del presente regolamento” “Le amministrazioni pubbli-che assoggettate alla disciplina del presente regola-mento”, con la locuzione “Le amministrazioni pub-bliche”.

20. Le disposizioni del capo III, titolo II, sono re-lative alle risultanze della gestione economico-finan-ziaria e per esse valgono le medesime considerazio-ni formulate con riguardo alle norme del capo II. In particolare:

a) l’art. 39 integra il contenuto del rendiconto ge-nerale prevedendo sia un nuovo documento, il rap-porto sui risultati (il cui contenuto è esplicitato nel successivo art. 48), sia l’allegazione dei prospetti Siope;

b) l’art. 40 (Il conto di bilancio) armonizza il pro-prio contenuto alla struttura del bilancio per missioni programmi e macro aggregati e uguale adeguamen-to è da rinvenire nel c. 7 dell’art. 42 (Il conto eco-nomico);

c) all’art. 41, c. 4, le parole “o sindacale” devono essere sostituite con quelle “o al collegio sindacale”;

d) l’art. 42 nell’indicare le componenti positive e negative evidenziate nel conto economico ha a riferi-mento i ricavi-proventi e i costi-oneri secondo quan-to si intende nell’art. 1, c. 1, rispettivamente alla let-tere u) e g);

21. L’art. 44 trova il proprio riferimento negli artt. 2 e 4 d.lgs n. 91/2011 e rinvia, quanto alla con-formazione dei regolamenti di contabilità delle sin-gole amministrazioni ai principi contabili di cui al c. 2, dell’art. 2 cit., ai criteri di contabilizzazione da definire con il regolamento di cui alla lett. c), c. 3, dell’art. 4 del citato decreto legislativo (come già si è detto, non ancora adottato). Criteri di contabilizza-zione, occorre ricordarlo, che costituiscono specifi-co allegato del d.p.r. n. 97/2003. Con riguardo al c. 2, dello stesso art. 44, deve osservarsi come le me-desime disposizioni siano contenute – e più utilmen-te collocate – nell’art. 95 e, quindi, se ne suggerisce l’eliminazione.

22. L’art. 49, oggetto di succinto commento nel-la relazione illustrativa, tratta del controllo affidato ai revisori dei conti o al collegio sindacale. Il c. 2, in particolare, nell’elencare i contenuti obbligatori dell’attività dell’organo di controllo, dispone, nell’a-linea, che esso “deve dare evidenza della vigilanza sull’adozione dei controlli effettuati sulle strutture periferiche”. Per maggiore chiarezza, si ritiene che il periodo potrebbe così essere scritto “devono da-re evidenza nell’esercizio della propria attività del-la vigilanza sull’adozione dei controlli effettuati sul-le strutture periferiche”.

23. L’art. 52 disciplina l’affidamento del servizio di cassa o di tesoreria e costituisce indubbiamente una norma di principio. Nel c. 1 si è ritenuto di espli-citare come le relative disposizioni vincolino sia le amministrazioni in contabilità finanziaria, sia quel-le che adottano la sola contabilità civilistica. Que-sta specificazione se, da una parte, è ragione di chia-rezza, dall’altra può creare incertezze nell’individua-zione delle altre norme o del combinato di diposizio-ni del regolamento che costituiscono principi e che, in quanto tali, astringono anche le amministrazioni pubbliche in contabilità di diritto comune. Così da poter fare intendere – erroneamente – che solo l’indi-viduazione esplicita dei destinatari della norma esau-

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risca l’ambito dei principi. Valuterà l’estensore del regolamento l’opportunità di sostituire la frase “am-ministrazioni pubbliche in contabilità finanziaria e di quelle che adottano solo la contabilità civilistica” con le parole “amministrazioni pubbliche”. Va, inol-tre, esplicitato l’obbligo del tesoriere di presentazio-ne, entro il termine di 30 giorni dalla chiusura dell’e-sercizio finanziario, all’amministrazione il conto del-la propria gestione di cassa.

24. Il titolo IV del regolamento è dedicato all’at-tività negoziale e le relative disposizioni (artt. 57-63) sono in larga parte sovrapponibili a quelle del vigen-te regolamento n. 97/2003, fatto salvo, come è ov-vio, l’adeguamento al quadro normativo primario, oggi, rappresentato dal codice dei contatti pubblici, approvato con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e rela-tivo regolamento di attuazione. Tenuto conto dell’e-voluzione del quadro normativo, parrebbe opportu-no anche un rinvio alla disciplina prevista nell’art. 1, cc. 16 ss., l. 6 novembre 2012, n. 190 “Disposi-zioni per la prevenzione e la repressione della corru-zione e dell’illegalità nella pubblica amministrazio-ne”. In particolare, si richiama l’attenzione sugli ob-blighi di pubblicazione sui rispettivi siti web delle in-formazioni inerenti la scelta del contraente per l’affi-damento di lavori, forniture e servizi, anche con rife-rimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, ser-vizi e forniture.

25. Il c. 2 dell’art. 57, in particolare, dispone sul programma triennale delle opere delle forniture e dei servizi e sul suo aggiornamento annuale nei limiti delle risorse finanziarie disponibili. Da rilevare co-me, rispetto all’analoga norma contenuta nel d.p.r. n. 97/2003, il c. 2, contenga elementi di maggior detta-glio sulle modalità di predisposizione del program-ma, in armonia con quanto dispone l’art. 128 del co-dice dei contratti pubblici.

26. L’art. 59 disciplina i lavori pubblici e l’acqui-sizione di beni e servizi e, in conformità con il qua-dro normativo primario, detta in materia una disci-plina univoca, innovando l’abrogando regolamento del 2003 che regola la materia in due distinti artico-li (il 57 e il 58, rispettivamente, i “Lavori pubblici” e “L’acquisto di beni e fornitura di servizi”). Dal com-binato disposto dei cc. 1 e 2, risulta evidente come ciascuna pubblica amministrazione debba, in mate-ria, conformare il proprio regolamento di contabili-tà a tutte le disposizioni di cui al codice dei contrat-ti pubblici e al relativo regolamento di esecuzione. Il c. 3 tratta delle procedure unificate di acquisto di be-ni e servizi ed ha riferimento ad una normativa stra-

tificata ma che, parrebbe opportuno, non fosse rego-lata con il solo rinvio (almeno quanto alle conven-zioni quadro definite da Consip s.p.a.) all’art. 26 l. 23 dicembre 1999, n. 488 e successive modificazio-ni. A tale riguardo, ove buona regola di drafting nor-mativo, voglia evitare il rinvio a un generico quadro normativo vigente, appare necessario che al c. 3, pri-mo periodo, dopo la locuzione “e successive modi-ficazioni”, venga aggiunta la frase “nonché dall’art. 1 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla l. 7 ago-sto 2012, n. 135”.

27. L’art. 60 detta norme sulla congruità dei prez-zi e dispone al c. 2, integrando il disposto dell’arti-colo di uguale numerazione del regolamento vigen-te, che ove sia nominata un’apposita commissione per l’accertamento della congruità dei prezzi prati-cati, essa può essere integrata da componenti esterni solo nell’ipotesi in cui risultasse accertata la caren-za in organico di personale dotato di specifica pro-fessionalità.

28. In coerenza con quanto previsto dal c. 2 dell’art. 60, l’eventuale integrazione con componen-ti esterni della commissione di aggiudicazione di cui all’art. 61, c. 1, va ugualmente disciplinata. La fra-se “da esperti esterni, qualora l’ente non disponesse di specifiche professionalità.” va, pertanto, sostituita con la frase “da soggetti esterni aventi le necessarie competenze, nell’ipotesi di carenza accertata in orga-nico di personale dotato di specifica professionalità.” Le disposizioni contenute nel c. 3 del medesimo ar-ticolo laddove si dispone l’esclusione da successivi incarichi di componenti nei cui confronti sia accer-tato nella sede giurisdizionale, con sentenza non so-spesa, aver concorso, con dolo o colpa grave, all’ap-provazione di atti dichiarati illegittimi – si riterrebbe debbano essere espunte in quanto si tratta di discipli-na di natura sanzionatoria non disponibile alla sede regolamentare in esame.

29. Il capo I e II del titolo V, trattano, rispettiva-mente delle spese delegate e resa dei conti e degli uffici decentrati, con norme sovrapponibili a quel-le del vigente regolamento del 2003. Al c. 1 dell’art. 64 (del titolo V, capo I), la locuzione “degli enti” de-ve essere sostituita, in conformità con le disposizioni dell’intero corpo normativo, con quella “delle pub-bliche amministrazioni”.

30. Quanto alla disciplina del rendiconto conso-lidato di cui all’art. 74, capo III, medesimo titolo, va posto in evidenza come la predisposizione di questo documento astringa le amministrazioni pubbliche te-nute a redigere il bilancio di previsione consolida-to (art. 5, c. 13). Si tratta delle amministrazioni con

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organi dotati di autonomia amministrativa-contabile, ovvero a carattere associativo o federativo ed in que-sta corrispondenza è da rinvenire, presumibilmen-te (tenuto conto che alcunché è in proposito speci-ficato nella relazione illustrativa), la circostanza che esso, ai sensi del c. 6, non possa sostituire il bilan-cio consolidato di cui all’art. 18 d.lgs. n. 91/2011. Quest’ultimo documento – il cui schema tipo è da adottare con decreto interministeriale allo stato non ancora emanato – risponderebbe alla diversa finali-tà di consolidamento del bilancio di tutte le ammi-nistrazioni pubbliche con le proprie aziende, società partecipate ed altri organismi controllati. In assen-za del decreto interministeriale di cui all’art. 18, c. 1, d.lgs. n. 91/2011 e di indicazioni sul suo ambito sog-gettivo di applicazione (tutte le amministrazioni pub-bliche ovvero soltanto quelle in contabilità economi-ca) non si è nelle condizioni di esprimere un com-piuto parere sulla disposizione in parola. Può soltan-to richiamarsi l’attenzione sulla necessità di evitare che la norma, nei suoi profili applicativi, possa com-portare un aggravio di adempimenti, senza consegui-re una concreta utilità, da parte delle pubbliche am-ministrazioni tenute a predisporre due diversi docu-menti di bilancio consolidato. In ogni caso, sotto il profilo del drafting normativo, si suggerisce, tenuto conto di quanto disposto dal citato c. 6, di elimina-re la frase del primo periodo, del c. 1, “Ferma restan-do la disciplina normativa di cui all’art. 18 d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91”.

31. Il titolo VI del regolamento è dedicato al si-stema delle scritture contabili e, in quest’ambito, par-ticolare rilievo assumono le disposizioni di cui agli artt. 76 e 77, rispettivamente, sul sistema contabile integrato e sul sistema di contabilità economico-pa-trimoniale, che costituiscono l’attuazione dell’art. 6 d.lgs. n. 91/2011. Di quest’ultimo articolo è attuazio-ne anche l’art. 78, che regola il sistema di contabilità economica analitica, fondato sulle rilevazioni anali-tiche per centro di costo, di cui già si occupa l’art. 21 del vigente regolamento n. 93/2007.

32. Quanto ai sistemi di controllo (titolo VII), l’art. 81 si occupa del sistema di controllo interno avuto riferimento alla conformazione dei regolamen-ti di contabilità delle pubbliche amministrazioni al-le norme di settore nel frattempo intervenute: non so-lo, quindi, al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286, ma anche ai d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 e 30 giugno 2011, n. 123. A tale proposito parrebbe opportuno anche il riferimento, almeno con riferimento ai principi, al-le disposizioni di cui al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e

diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

33. L’art. 82 è dedicato ai compiti del collegio dei revisori dei conti e dei collegi sindacali e mo-dalità di controllo. In proposito, si ritiene che in fi-ne al secondo periodo del c. 1 debba essere aggiunta la frase “con le modalità previste dal medesimo ar-ticolo”, così da rendere esplicita l’applicabilità del-le disposizioni di cui ai cc. 4 ss. dell’art. 20 del d.l-gs n. 123/2011.

34. Al c. 1 degli artt. 83 e 84, le locuzioni, rispet-tivamente, “o sindacale” e “o sindacali” vanno sosti-tuite con quelle “o del collegio sindacale” e “o dei collegi sindacali”. All’art. 84, c. 3, la frase “nei casi previsti dall’art. 90” va sostituita con quella “nei ca-si previsti dall’art. 91”.

35. Tra le disposizioni di cui al capo III dedicate al controllo di gestione non sono previste le “moda-lità di controllo di gestione”, già disciplinate dall’art. 85 del regolamento n. 97/2003. A tale riguardo appa-re opportuna l’indicazione di criteri omogenei di ri-ferimento per tale attività, diretta alla verifica dell’ef-ficacia, dell’efficienza e della economicità dell’azio-ne amministrativa.

36. L’art. 88 esaurisce le disposizioni del capo I (bilanci tecnici) del titolo VIII. Esso reca in rubrica “Bilancio tecnico-finanziario a capitalizzazione”. A questo riguardo, in assenza di ulteriori elementi va-lutativi contenuti nella relazione illustrativa, è da ri-tenere che destinatari della norma, indicati negli en-ti previdenziali e assistenziali pubblici, siano l’Inps e l’Inail e non anche, dunque, le casse previdenziali dei professionisti di cui ai d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103. Occorre, comunque, rilevare come il regolamento per l’amministrazione e la contabilità dell’Inps approvato nel 2005, agli artt. 153 e 154 già disponga, in termini analoghi a quel-li previsti nella norma in esame, sull’obbligo di pre-disporre bilanci tecnici, rispettivamente a ripartizio-ne e a capitalizzazione, in corrispondenza con i siste-mi previdenziali delle diverse gestioni che fanno ca-po all’ente previdenziale. Anche in ragione di ciò si ritiene che dalla rubrica dell’art. 88 vada espunta la locuzione “a capitalizzazione”. Quanto all’Inail il re-golamento di amministrazione e contabilità non pre-vede l’adozione di un bilancio tecnico, ancorché l’i-stituto predisponga alla fine di ciascun anno un sal-do finanziario attuariale. Si ritiene, altresì, opportu-no specificare in apposito comma che i bilanci tecni-ci delle casse previdenziali dei professionisti di cui ai d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, restano disciplinati dalle vigenti norme di setto-

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re ed, in particolare, dall’art. 24, c. 24, d.l. 6 dicem-bre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214.

37. All’art. 91, cc. 1 e 3, le parole “o sindacale” vanno sostituite, rispettivamente, con “o al collegio sindacale” e “o dal collegio sindacale”.

38. L’art. 92 disciplina la facoltà e limiti delle amministrazioni pubbliche di accendere mutui e ac-quistare partecipazioni azionarie. Il c. 1, nel confer-mare quanto già disposto all’art. 91 del vigente rego-lamento n. 97/2003, circa la possibilità di contrarre mutui esclusivamente per finanziare spese di investi-mento, ne condiziona la facoltà all’accertamento da parte del collegio dei revisori o del collegio sindaca-le della sussistenza per l’anno in riferimento dell’e-quilibrio di bilancio ai sensi dell’art. 5, c. 10. A que-sto riguardo non si hanno osservazioni da formula-re, fatta eccezione per l’errato rinvio all’art. 84, c. 1, da riferire correttamente all’art. 82, c. 1. Il c. 3 re-gola l’assunzione di partecipazioni societarie da par-te delle pubbliche amministrazioni e le consente ove strettamente necessarie al perseguimento delle fina-lità istituzionali, tenendo comunque conto delle li-mitazioni previste dalla normativa in materia. Que-sta disposizione appare coerente con in quadro nor-mativo primario ed, in particolare, con quanto dispo-sto dall’art. 3, c. 27, l. 24 dicembre 2007, n. 244, del quale, potrà valutarsi l’opportunità di un diretto rin-vio da parte della disposizione in esame.

39. L’art. 95, infine, regola le modalità con le quali possono essere apportati aggiornamenti (e, dunque, modifiche) ai principi contabili applicati ed agli schemi di bilancio allegati al regolamento, non-ché in relazione agli esiti della sperimentazione di cui all’art. 25 d.lgs. n. 91/2011 (c.d. “competenza fi-nanziaria potenziata”). Queste modifiche è previ-sto possano essere effettuate con decreto del Mini-stro dell’economia e delle finanze, che si ritiene non abbia forza regolamentare, secondo quanto previsto dall’art. 17, c. 3, l. 23 agosto 1988, n. 400. A tale ri-guardo si esprime il parere che, mentre gli schemi di bilancio allegati al regolamento possano ben essere modificati con le indicate modalità, in quanto diretta esecuzione della norma che li prevede, appaia mol-to dubbio possa procedersi in ugual modo con rife-rimento ai principi contabili e agli esiti dell’attivi-tà di sperimentazione di cui sopra si è detto. Con ri-guardo ai principi contabili, infatti, essi sono indi-viduati e regolati, nei loro profili generali, dall’art. 2, c. 2, d.lgs. n. 91/2011 e, quanto a quelli “applica-ti”, al regolamento di cui all’art. 4, c. 3, del medesi-mo decreto legislativo. Ne consegue che alla modifi-

ca dei principi in parola dovrebbe potersi provvede-re, rispettivamente, con atto avente forza di legge ov-vero natura regolamentare. Ugualmente, quanto agli effetti della sperimentazione di cui all’art. 25 d.lgs. n. 91/2011, essi – in quanto suscettibili di modifica-re le disposizioni del regolamento all’esame, relati-vamente, peraltro, ad assetti di non secondario rilie-vo – si ritiene debbano essere apportati con norma di livello uguale a quella che si modifica.

40. Si osserva, da ultimo, come i prospetti allega-ti al provvedimento paiano coerenti con le disposi-zioni cui fanno rinvio e non si hanno, pertanto, al ri-guardo rilievi da formulare.

* * *

Sezione centrale controllo legittimità

13 – Sezione centrale controllo legittimità; delibera-zione 22 maggio 2015; Pres. De Franciscis, Rel. Cossu; Ministero delle politiche agricole, ali-mentari e forestali.

Contratti pubblici – Servizi di informazione isti-tuzionale – Produzione e messa in onda di con-tenuti audiovisivi – Servizio escluso dall’am-bito di applicazione del codice dei contratti pubblici – Affidamento diretto – Esclusione – Svolgimento di procedura comparativa – Ne-cessità.

D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, codice dei contratti pub-blici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazio-ne delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce, artt. 19, 27, 57.

Non è conforme a legge il provvedimento col quale, a seguito di negoziazione in via diretta, vie-ne affidato a una società – precedentemente esclusa da una gara conclusasi con la presa d’atto dell’im-possibilità di procedere all’aggiudicazione – un ser-vizio di informazione istituzionale consistente nella produzione e messa in onda di contenuti audiovisi-vi; benché, infatti, i contratti di tale categoria sia-no esclusi dall’applicazione del codice dei contratti pubblici, per il loro affidamento è sempre necessario lo svolgimento di una procedura comparativa, sep-pur semplificata, in conformità ai principi di pubbli-cità e trasparenza.

Diritto – La Sezione è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del decreto con il quale il direttore generale per la promozione della qualità agroalimen-

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tare e dell’ippica del Ministero delle politiche agri-cole, alimentari e forestali ha affidato, in via diretta, alla Rai Com s.p.a. il servizio di produzione e messa in onda di contenuti audiovisivi nella forma di spazi all’interno della trasmissione televisiva “Linea Blu”.

In merito alla questione preliminare solleva-ta dall’ufficio di controllo, si richiama l’orienta-mento già espresso da questa Sezione (cfr. delib. n. 11/2011) secondo il quale l’individuazione degli at-ti da assoggettare a controllo non deve essere con-dotta unicamente sulla base di un principio forma-listico che si limiti al nomen iuris, ma richiede an-che una verifica del contenuto sostanziale dell’atto. Applicando tale criterio interpretativo alla fattispe-cie in esame, il collegio ritiene che, pur non aven-do il decreto direttoriale la forma (decreto di appro-vazione di un contratto) richiesta dall’art. 3, c. 1, lett. g), l. n. 20/1994, si tratta comunque di un provvedi-mento mediante il quale il ministero ha disposto l’af-fidamento di un servizio ad un operatore economico, a fronte del pagamento di un corrispettivo. Ne con-segue, pertanto, che l’atto è assoggettabile a control-lo preventivo di legittimità da parte della Corte dei conti.

Passando al merito, la Sezione ritiene fondati i dubbi sulla conformità a legge del provvedimento in esame, prospettati dall’ufficio di controllo nella rela-zione di deferimento.

Pacifica è la circostanza che il servizio da affida-re, consistente nella produzione e messa in onda di contenuti audiovisivi, rientri nella fattispecie di cui all’art. 19, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 163/2006 e, in quan-to tale, escluso, in parte dall’applicazione del codi-ce dei contratti.

L’art. 27 del codice dei contratti disciplina la pro-cedura comparativa che le pubbliche amministrazio-ni devono utilizzare per l’affidamento degli appal-ti esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applica-zione oggettiva del codice stesso. Il c. 1 di tale di-sposizione prevede che “l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione del pre-sente codice, avviene nel rispetto dei principi di eco-nomicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamen-to, trasparenza, proporzionalità. L’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concor-renti, se compatibile con l’oggetto del contratto”. Il c. 2 prevede l’applicazione dell’art. 2, cc. 2, 3, e 4 del codice dei contratti.

La procedura di gara inizialmente scelta dal mi-nistero è, del resto, anche conforme all’orientamen-to espresso dall’Autorità di vigilanza sui contratti

pubblici (oggi Anac) nel parere del 23 aprile 2009-AG 12-09. In tale atto è stato evidenziato che, an-che per i “contratti esclusi”, “il codice mantiene fer-mo il rispetto dei principi di concorsualità, con affi-damento preceduto dall’invito di almeno cinque con-correnti, secondo quanto stabilito dall’art. 27 d.lgs. n. 163/2006. Tale disposizione costituisce, dunque, una norma di chiusura della disciplina dei contrat-ti ‘esclusi’, prevedendo comunque l’osservanza dei principi ivi indicati e l’espletamento di una procedu-ra di valutazione comparativa concorrenziale, quale principio immanente dell’ordinamento”.

Non appare, viceversa, conforme né al richiama-to art. 27 né ai principi generali che regolano tutte le procedure ad evidenza pubblica, quali la pubblicità, la trasparenza e la par condicio dei concorrenti, la scelta posta alla base del decreto in esame, di proce-dere (seppur negli ultimi giorni dell’esercizio finan-ziario al fine di non mandare le somme in economia) con un affidamento in via diretta alla società prece-dentemente esclusa dalla procedura di gara.

Il collegio esclude che la scelta compiuta dal ministero possa legittimamente fondarsi sull’avvio di una nuova e diversa forma di affidamento, qua-le quella prevista dall’art. 53, c. 2, lett. b), d.lgs. n. 163/2006. Tale argomentazione, seppur invocata a sostegno della legittimità del provvedimento in esa-me dal rappresentante del ministero nella memoria per l’adunanza e nell’adunanza stessa, non è stata ri-chiamata nelle premesse del provvedimento stesso e, pertanto, non può costituire la base normativa su cui fondare la legittimità del provvedimento stesso.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedo-no, la Sezione ritiene che la scelta del ministero di affidare il servizio di produzione e messa in onda di contenuti audiovisivi alla stessa società che era sta-ta esclusa dalla procedura comparativa svolta ai sen-si dell’art. 27 del codice dei contratti non è conforme – oltre che ai principi generali in materia di appal-ti pubblici della pubblicità e trasparenza, che si ap-plicano anche ai “contratti esclusi” (in virtù del rin-vio dell’art. 27, c. 2, d.lgs. n. 163/2006 all’art. 2, c. 3, medesimo d.lgs. che, a sua volta, rinvia ai principi generali sul procedimento amministrativo ex lege n. 241/1990) – anche all’art. 27 d.lgs. n. 163/2006 (pro-cedura inizialmente scelta) che, giova ribadire, anche per i contratti esclusi richiede lo svolgimento di una procedura comparativa seppur semplificata.

La scelta di una diversa procedura di gara, qua-le quella prevista dall’art. 57, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 163/2006, avrebbe dovuto essere più chiaramente in-dicata nelle premesse del provvedimento in esame.

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P.q.m., la Sezione centrale del controllo di legit-timità ricusa il visto e la conseguente registrazione dell’atto in epigrafe.

14 – Sezione centrale controllo legittimità; delibe-razione 5 giugno 2015; Pres. De Franciscis, Rel. Coppola; Cipe.

Opere pubbliche ─ Delibera Cipe ─ Variante al progetto definitivo di un’opera pubblica ─ Rilevante incremento dei costi dell’opera ─ Omessa modifica del piano economico-finan-ziario e del cronoprogramma ─ Non confor-mità a legge della delibera.

Non è conforme a legge la delibera Cipe concer-nente una variante al progetto definitivo di un’ope-ra pubblica ove sia mancata ogni valutazione circa l’incremento dei costi derivanti dalla realizzazione della variante, e di conseguenza, non siano stati mo-dificati il piano economico-finanziario del progetto e il cronoprogramma di esecuzione dell’opera.

Diritto – 1. Il collegio è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della delibera del Comitato intermi-nisteriale per la programmazione economica – Cipe – n. 44 del 10 novembre 2014. Programma delle in-frastrutture strategiche (l. n. 443/2001).

2. La delibera de qua presenta indubbiamente ca-ratteristiche di particolare complessità.

Infatti, da un lato, emerge un’apparente limita-zione del contesto operativo all’affermata “deloca-lizzazione” della cava, peraltro non motivata e lega-ta, com’è emerso dal dibattimento, da profili inerenti a particolari inidoneità, dovute alla presenza di ele-menti tossici non riscontrati mediante adeguate rile-vazioni geologiche.

Dall’altro, sta un quadro, che viene in evidenza nel punto 2 del dispositivo della delibera dedicato al-le prescrizioni, e che indica un apporto finanziario di assoluto rilievo e tale da modificare sensibilmente il quadro economico complessivo dell’opera.

3. Il profilo attinente alla rilevanza economica dell’intervento che viene presentato quale principa-le oggetto della delibera, consistente negli 8.525.634 euro (iva esclusa) per la delocalizzazione, non può ri-tenersi superato per la mera circostanza che disponi-bilità finanziarie fossero comunque presenti nell’ori-ginario ed ancora attuale piano economico del 2008.

Infatti, all’epoca, non era comunque prevedibile, in concreto, tale tipo di intervento.

4. Peraltro, ben più rilevanti sono, da un lato, la

rappresentazione delle modalità con le quali è stato modificato il quadro complessivo dell’intervento (il cui costo preventivato si è notevolmente incremen-tato, in una tempistica decisamente inconferente con l’originario cronoprogramma, com’è stata compiuta-mente resa nelle premesse) e, dall’altro, le evidenti incoerenze che ne derivano.

5. Non appare, del resto, convincente l’afferma-zione della limitata portata dell’area decisionale che ha informato l’azione del Cipe, in conseguenza di una avulsione delle sue competenze, per l’approva-zione di un finanziamento di ben 38 milioni, ex le-ge, sulla base di un contratto di programma non an-cora approvato ed al quale si rinvia la reale copertu-ra finanziaria.

6. Nel caso in esame, infatti, trattandosi di va-riante economica, anche in vigenza del decreto leg-ge, la stessa avrebbe dovuto essere sottoposta all’ap-provazione del Cipe ai sensi dell’art. 169, c. 3, d.lgs. n. 163/2006.

Ma, soprattutto, la predetta affermazione mira a prescindere dalla rilevanza di elementi concreti che pure sono oggetto delle “Prescrizioni” contenute nel-la delibera.

7. Il collegio, al riguardo, sottolinea una sensibile incoerenza, quale traspare dal testo stesso della deli-bera, che indica come sussistesse un reale livello di problematicità in ordine alla utilizzazione del cenna-to apporto finanziario, con l’evidente necessità di re-alizzare un nuovo cronoprogramma e di modificare il piano economico-finanziario.

8. Del resto, come è stato sottolineato dall’Uf-ficio di controllo ed è stato approfondito in dibatti-mento, anche la particolarità di una delibera appro-vata il giorno prima della conversione in legge del d.l. n. 133/2014 (che all’art. 1, c. 10, destina risorse al contratto di programma 2012-2016), senza preve-dere nemmeno i pareri delle commissioni parlamen-tari, merita alcune considerazioni.

La circostanza che la legge di conversione 11 no-vembre 2014, n. 164 abbia appropriatamente ripri-stinato l’obbligatorietà dei medesimi, non è priva di rilievo, soprattutto in considerazione della comples-sa procedura che contraddistingue l’iter deliberativo dei provvedimenti adottati dal Cipe.

9. Ai sensi del vigente art. 6, c. 7, del regolamen-to che ne disciplina l’attività, sono previsti termini, peraltro ordinatori, nei quali la delibera presa scon-ta un ulteriore iter, sul quale la Corte ha espresso fre-quentemente le sue riserve e che porta quest’ultima ad esercitare le sue funzioni anche dopo diversi me-si dalla seduta.

10. Ciò induce ad affermare, anche in ossequio

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ai principi di ragionevolezza ed effettività richiama-ti dalla Corte costituzionale in ripetute occasioni, che sussista per periodi di rilevante consistenza la persi-stenza di fattori endoprocedimentali.

Questi ultimi, da un lato compromettono la spe-ditezza dell’agire amministrativo e, dall’altro non consentono di ritenere irrilevante la circostanza di una determinante modifica legislativa in sede di con-versione, nelle more della “chiusura” dell’iter deli-berativo, che reintroduce i pareri delle commissio-ni parlamentari in un contesto, che non possono co-munque sostituire la professionalità tecnica del Cipe.

11. La Sezione ritiene, quindi, si possa affermare che la delibera de qua non abbia tenuto conto dell’e-sigenza di valutazioni economiche sulla variante ap-provata e pur considerando nel punto 2 del disposi-tivo, dedicato alle “Prescrizioni”, i necessari incom-benti legati al consistente incremento del finanzia-mento dell’opera, si sia limitata a disporre sulla va-riante relativa alla sistemazione della cava.

Tale modo di procedere ha trascurato l’esigen-za di disporre di un nuovo piano economico-finan-ziario, corredato da un adeguato crono-programma e dell’intervenuta conversione del d.l. n. 133/2014 nell’arco temporale, previsto dal regolamento Cipe all’art. 6, p. 7, nel quale viene definito compiutamen-te il procedimento relativo all’adozione delle delibe-re del Cipe.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il collegio, conclusivamente, considera non conforme a legge la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica – Cipe n. 44 del 10 no-vembre 2014. Programma delle infrastrutture strategi-che (l. n. 443/2001). Nuovo collegamento ferroviario Arcisate-Stabio: sistemazione ambientale ex cava Fe-mar e Csfb02. Approvazione variante al progetto de-finitivo. Cup J31H03000530001, in quanto non ha te-nuto conto dell’incremento del finanziamento dell’o-pera, delle modificazioni intervenute e del loro impat-to economico, anche in relazione alla modifica, in se-de di conversione, del d.l. n. 133/2014.

P.q.m., la Sezione ricusa il visto e la conseguente registrazione al provvedimento indicato in epigrafe.

16 – Sezione centrale controllo legittimità; delibe-razione 3 luglio 2015; Pres. De Franciscis, Rel. Chiarotti; Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac).

Amministrazione dello Stato e pubblica in genere – Ente pubblico – Incarico di consulenza giu-ridica – Rinnovo – Non conformità a legge.

D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’or-dinamento del lavoro alle dipendenze delle ammini-strazioni pubbliche, art. 7.

Non è conforme a legge il provvedimento con il quale un ente pubblico abbia disposto di rinnovare per un ulteriore anno un incarico di consulenza giu-ridica (nella specie, a un avvocato dello Stato), stan-te l’espressa previsione legislativa che vieta il rinno-vo degli incarichi ed essendo irrilevante la presenza della clausola di rinnovabilità inserita nel contratto originariamente stipulato.

Diritto – La Sezione è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della fattispecie all’esame, concer-nente il rinnovo da parte dell’Enac, per la durata di un anno a decorrere dal 6 febbraio 2014, dell’incari-co di consulenza giuridica all’avvocato dello Stato Maurizio Greco, conferito con precedente provvedi-mento del 22 ottobre 2012, regolarmente registrato.

L’ufficio di controllo solleva dubbi di legittimità sotto due profili:

- l’uno, concernente la possibilità di rinnovare un incarico di consulenza in vigenza dell’art. 7, c. 6, lett. c), d.lgs. n. 165/2001, che vieta espressamente il rinnovo dell’incarico originario, precisando che può essere consentita l’eventuale proroga, in via eccezio-nale, al solo fine di completare il progetto e per ritar-di non imputabili al collaboratore;

- l’altro, relativo alla possibilità di rinnovare l’in-carico in un momento successivo alla decorrenza dei suoi effetti (nel caso in esame, rinnovo ad aprile 2014 di incarico con decorrenza da febbraio 2014).

Di contro l’amministrazione, quanto al primo punto, ritiene il rinnovo possibile in virtù della pre-visione contenuta all’art. 4 del contratto principale di consulenza sottoscritto il 22 ottobre 2012, che lo consente per la durata di un anno, e del notevole con-tributo professionale fornito dal consulente.

Relativamente alla seconda osservazione, l’am-ministrazione sostiene la legittimità del proprio ope-rato, in quanto non vi è alcuna soluzione di continu-ità nella prestazione resa dal consulente che, mai in-terrotta, copre l’arco temporale di cui è questione.

Le argomentazioni svolte dall’amministrazione – che nel corso dell’adunanza pubblica ha ribadito la necessità per l’ente di disporre con costanza e, co-munque, immediatezza al bisogno, di una qualifica-ta professionalità tecnico-giuridica, non diversamen-te conseguibile – non consentono di superare i dubbi di legittimità già prospettati.

Il collegio, al fine di un corretto inquadramento

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della fattispecie all’esame e, quindi, del conferente regime normativo, ritiene opportuno sottolineare, in via preliminare, le diverse connotazioni degli istituti del rinnovo e della proroga contrattuale.

Quanto al primo, esso presuppone l’avvenuta sca-denza del termine finale del rapporto originariamente instaurato, comportando, di conseguenza, una nuova negoziazione con il medesimo soggetto e, quindi, un nuovo esercizio dell’autonomia contrattuale.

Il secondo, per converso, interviene in costanza del rapporto originario, solo spostandone in avanti il termine di scadenza.

Nel caso all’esame, quindi, correttamente l’am-ministrazione adotta un provvedimento di rinno-vo, considerato che l’incarico di consulenza inizial-mente conferito e sottoscritto il 22 ottobre 2012 con durata annuale, al momento dell’adozione dell’atto in questione aveva esaurito i suoi effetti. La diver-sa misura del compenso riconosciuto, poi, dà conto di una rinegoziazione dei termini contrattuali, che è elemento peculiare dell’istituto del rinnovo. Conse-guentemente, alla fattispecie de qua deve applicarsi il divieto assoluto statuito dal ripetuto art. 7, c. 6, lett. c), d.lgs. n. 165/2001, introdotto a modifica della di-sciplina previgente ai sensi della quale, comunque, la possibilità di proroga o rinnovo del contratto origina-rio rivestiva carattere eccezionale, dato l’espresso di-vieto di utilizzare l’istituto della consulenza per atti-vità non eccezionali e temporanee.

È appena il caso di sottolineare che in virtù del-la medesima normativa la stessa fattispecie non po-trebbe beneficiare dell’apertura operata dal legisla-tore con riguardo alla temporanea prorogabilità – quand’anche ad essa ci si potesse riferire – in quan-to non sussistono i presupposti cui la medesima è su-bordinata, vale a dire la necessità del completamen-to del progetto per ritardi non imputabili al collabo-ratore.

Non può, altresì essere condiviso l’assunto per il quale l’amministrazione ritiene il divieto di rinnovo superato dalla previsione pattizia di rinnovabilità per un anno, inserita nell’art. 4 del contratto di consulen-za originariamente stipulato. Per la corretta applica-zione del principio tempus regit actum (in argomen-to, tra l’altro, Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2012, n. 34) deve, infatti, essere considerata la prevalenza del dettato normativo entrato in vigore medio tempo-re e contenente norme specifiche in merito alla rin-novabilità stessa, sulla volontà delle parti che con es-so si ponga in contrasto.

Con riferimento, infine, all’osservazione rela-tiva alla possibilità di rinnovare ad aprile 2014 un

incarico avente decorrenza febbraio 2014, la Sezio-ne non ritiene di accedere alla prospettazione forni-ta dall’amministrazione; secondo la quale ciò risul-terebbe possibile “non essendoci alcuna soluzione di continuità anche in considerazione del fatto che l’at-tività non è mai stata interrotta e quindi copre l’arco temporale di cui è questione”.

In tal modo operando, infatti, l’amministrazio-ne va a legittimare, a posteriori, la prosecuzione di un’attività esercitata in via di fatto, al di fuori del rapporto contrattuale di riferimento che risulta da tempo esaurito.

P.q.m., la Sezione centrale del controllo di legitti-mità ricusa il visto e la conseguente registrazione al provvedimento in epigrafe.

18 – Sezione centrale controllo legittimità; delibe-razione 21 luglio 2015; Pres. De Franciscis, Rel. Zuccheretti; Ministero della giustizia.

Contratti pubblici – Locazione – Immobili adibi-ti a uso istituzionale – Contratti scaduti e non rinnovati – Riduzione dei canoni locativi – Calcolo – Criteri.

L. 23 dicembre 2005 n. 266, disposizioni per la for-mazione del bilancio annuale e pluriennale dello Sta-to (legge finanziaria 2006), art. 1, c. 478; d.l. 6 lu-glio 2012 n. 95, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012 n. 135, disposizioni urgenti per la re-visione della spesa pubblica con invarianza dei ser-vizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento pa-trimoniale delle imprese del settore bancario, art. 3.

Sono conformi a legge i decreti concernenti il pa-gamento di canoni relativi a locazioni passive di im-mobili ad uso istituzionale per i quali l’amministra-zione abbia operato la decurtazione del 15 per cen-to (prevista dal d.l. n. 95/2012) sul canone integra-le, come originariamente pattuito, e non sul cano-ne già ridotto del 10 per cento (ai sensi della l. n. 266/2005), ove si tratti di contratti scaduti e per i quali non è intervenuto alcun rinnovo (in motivazio-ne, si precisa che la riduzione del 10 per cento del canone annuo va applicata solo in caso di interve-nuto rinnovo dei contratti per la durata di sei anni).

Diritto – Come esposto in narrativa, la questione sottoposta all’esame della Sezione concerne la con-creta applicazione di due norme succedutesi nel tem-po, entrambe riguardanti il contenimento dei costi sostenuti dalle amministrazioni per i canoni di loca-zioni passive, qualora si versi in ipotesi di utilizzo di

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immobili per fini istituzionali in assenza di contratto in corso di validità.

In particolare, occorre stabilire l’esatta decorren-za delle riduzioni imposte sia dall’art. [recte: 3], c. 478, l. n. 266/2005 (che aveva previsto una riduzione del 10 per cento del canone annuo corrisposto per lo-cazioni passive dello Stato, previo consenso del pro-prietario, a fronte di un rinnovo dei contratti per la durata di sei anni) sia, successivamente, dall’art. 3, c. 4, d.l. n. [recte: 95/2012] il quale, tornando ad inci-dere nella materia, ha stabilito l’ulteriore decurtazio-ne del 15 per cento dell’importo “attualmente corri-sposto”, a decorrere dall’1 luglio 2014 per i contrat-ti in corso e, dall’entrata in vigore della legge, a tut-ti i contratti di locazione scaduti, utilizzati o rinnova-ti dopo tale data.

In proposito, il dipartimento della giustizia ha fatto presente che – trattandosi, nella specie, di situa-zioni locatizie in cui il contratto originario era scadu-to e non si era potuto addivenire alla stipula del nuo-vo, come pattuito (pur avendo il proprietario prestato il consenso alla riduzione del canone del 10 per cen-to ai sensi della citata legge finanziaria 2006) – non può applicarsi l’ulteriore riduzione del 15 per cen-to sull’importo già decurtato a decorrere dal 6 luglio 2012 (come invece sostenuto dall’Ucb), atteso che trattasi di casi in cui si corrisponde una “indennità di occupazione”, non un “canone”, quindi al di fuo-ri della portata della norma citata che fa riferimento a locazioni regolari.

In sostanza, per l’amministrazione della giusti-zia, la situazione non si presenterebbe dissimile da quella relativa a locazioni di immobili il cui proprie-tario non abbia prestato il consenso alla riduzione, ma che, ciò nondimeno, risultano ancora utilizzate a fini istituzionali non essendosi rinvenute ipotesi allo-cative meno onerose.

In entrambi i casi, difatti, si verserebbe in tema di occupazioni sine titulo.

La Sezione ritiene che la tesi dell’amministrazio-ne possa essere condivisa.

In effetti, la disposizione prevista dall’art. 1 leg-ge finanziaria 2006 si basava su un sinallagma ben preciso: in tanto si poteva provvedere alla riduzio-ne dell’1 per cento, in quanto fosse concluso un re-golare contratto di locazione per un altro sessennio.

In sostanza, è stata rimessa alla volontà ed al-la valutazione della convenienza di ambo le parti la possibilità di prosecuzione o meno della locazione alle suddette condizioni.

Orbene, è di tutta evidenza che non essendosi re-alizzato l’onere posto a carico della pubblica ammi-

nistrazione, quello cioè di provvedere alla stipula di un nuovo contratto per ulteriori sei anni, non può – per converso – pretendersi il previsto “sconto” del canone, poiché a fronte di un sacrificio imposto al proprietario non si è realizzata la condizione prevista dalla norma, lasciando quest’ultimo in situazione di incertezza circa la durata del contratto.

D’altro canto, il successivo d.l. n. [recte: 95/2012], intervenendo nuovamente in materia, ha preso in considerazione tutte indistintamente le ipo-tesi locatizie, stabilendo una generale riduzione del 15 per cento, seppure distinguendo le varie fattispe-cie giuridiche e assegnando ad ognuna di esse una specifica decorrenza. Proprio con riguardo ai casi in esame che, come sopra specificato debbono essere considerati utilizzazioni di immobili in assenza di ti-tolo, è stata indicata la data del 7 giugno 2012.

Ne consegue che, a decorrere da tale scadenza, deve essere operata la suddetta riduzione, prendendo come base di calcolo il canone integrale come origi-nariamente pattuito, non potendosi far riferimento ad un rinnovo, in effetti, mai intervenuto.

Negli stessi sensi appare il parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato, del 18 genna-io 2013 (depositato in adunanza dalla Ragioneria ge-nerale dello Stato), il quale in proposito si esprime, osservando che “il cumulo delle due riduzioni è pos-sibile solo ove quella del 10 per cento fosse già sta-ta pattuita e il relativo contratto fosse già in corso di esecuzione”.

In definitiva i decreti in esame, sottoposti all’esa-me di questo collegio ai sensi dell’art. 10, c. 1, d.lgs. n. 123/2011, con i quali si dispongono pagamenti di canoni su locazioni passive dell’amministrazione pe-nitenziaria secondo il calcolo effettuato da quest’ul-tima, appaiono conformi a legge.

P.q.m., la Sezione ammette al visto ed alla conse-guente registrazione i decreti del Ministero della giu-stizia, Dipartimento dell’amministrazione peniten-ziaria, prot. n. 262470 del 23 luglio 2014; n. 30878 del 28 gennaio 2015; n. 105914 del 24 marzo 2015, concernenti il pagamento di canoni relativi a locazio-ni di immobili ad uso istituzionale.

* * *

Sezione centrale controllo gestione

2 – Sezione centrale controllo gestione; deliberazio-ne 10 aprile 2015; Pres. (f.f.) Viola, Rel. Raeli, Siragusa; Amministrazioni dello Stato.

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Amministrazione dello Stato e pubblica in gene-re – Ministeri – Gestione delle autovetture di servizio.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 3; l. 23 dicembre 2005 n. 266, disposizioni per la for-mazione del bilancio annuale e pluriennale dello Sta-to (legge finanziaria 2006), art. 1, c. 172; l. 24 dicem-bre 2007 n. 244, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge fi-nanziaria 2008), art. 3, c. 64.

La relazione riferisce al Parlamento in meri-to all’applicazione, a tutto il 2012, da parte del-le amministrazioni centrali dello Stato, dei d.l. n. 78/2010 e n. 98/2011 in materia contenimento del-la spesa per le auto di servizio delle pubbliche am-ministrazioni.

In particolare, la Sezione ha accertato che per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’eserci-zio di autovetture a disposizione delle singole ammi-nistrazioni, nonché per l’acquisto di buoni taxi, il li-mite dell’80 per cento, rispetto alla spesa sostenu-ta nell’anno 2009, previsto dai citati decreti, è stato rispettato dalla quasi totalità delle amministrazioni.

Criticità sono state rilevate relativamente al co-sto del personale adibito alla guida delle autovettu-re di servizio, ritenuto eccessivo, soprattutto a segui-to della riduzione del parco macchine, in tutte le am-ministrazioni esaminate. Viene, inoltre, segnalato il mancato uso di sistemi telematici che consentano di verificare il corretto uso delle auto di servizio. (1)

1. Oggetto, finalità e metodologia dell’indagineL’indagine, inserita nella categoria “organizza-

zione amministrativa”, di cui al programma delle in-dagini di controllo, approvato con deliberazione n. 1/2013 di questa Sezione, è finalizzata a verificare il grado di ottemperanza dei ministeri alle restritti-ve statuizioni dei d.l. n. 78/2010 e n. 98/2011, non-ché alle puntuali indicazioni disposte con la direttiva 6 dell’11 maggio 2010 (e successive modificazioni e integrazioni) del Ministero per la pubblica ammini-strazione e l’innovazione e, da ultimo, con il d.p.c.m. 3 agosto 2011.

Si è operata, pertanto, una puntuale ricognizio-ne delle misure concretamente adottate dalle singo-le amministrazioni, per contenere i costi di gestione e razionalizzare l’utilizzo delle autovetture di servi-

zio, con riferimento al periodo 2009-2012, non anco-ra essendo verificabili per gli anni successivi gli ef-fetti a regime delle recenti misure legislative e rego-lamentari.

In relazione alla competenza di questa Sezione di controllo, la rilevazione ha, dunque, riguardato le amministrazioni centrali dello Stato, interpellate nel-la misura di quattordici (1).

Le risposte pervenute da parte delle amministra-zioni centrali esaminate nel testo del presente refer-to hanno comportato l’individuazione di un campio-ne significativo delle, attività dei soggetti istituzio-nali interessati.

La ricostruzione dei pertinenti parchi auto dei di-versi ministeri, ad esclusione di quanto attinente al-le autovetture blindate per ragioni di sicurezza nazio-nale e di protezione personale estranee alla presen-te indagine, è stata condotta distinguendo gli auto-veicoli in proprietà da quelli la cui disponibilità con-segue a contratti di locazione o di noleggio, eviden-ziando, in detto ambito, le relative cilindrate in cen-timetri cubici.

Gli effetti delle misure di contenimento sono sta-ti quantificati – sulla scorta di elaborazioni basate sui dati forniti dalle singole amministrazioni – in termi-ni di riduzione di spesa, tenendo conto del numero di macchine a disposizione, delle unità addette al-la guida e di quelle impegnate nell’ambito del relati-vo parco auto, dei costi di carburante in relazione al-la percorrenza chilometrica, prima e dopo l’attuazio-ne delle stesse.

Con riguardo alle autovetture di servizio in uso non esclusivo si è cercato, altresì, di individuare le caratteristiche soggettive degli aventi diritto, sulla base degli specifici provvedimenti a tal fine emanati da ciascuna amministrazione, in quanto tale aspetto riveste uno specifico ed ulteriore interesse, anche da un punto di vista comparativo.

Le richieste istruttorie, formulate da questa Se-zione di controllo hanno pertanto riguardato, princi-palmente, per il periodo 2010-2012:

1. la dotazione numerica del parco auto e l’indi-

(1) Sono state inviate richieste istruttorie alle seguenti am-ministrazioni: Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministe-ro degli affari esteri, Ministero dell’interno, Ministero della giustizia, Ministero della difesa, Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministe-ro delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della salute, Ministero dell’i-struzione, dell’università e della ricerca, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

(1) Il testo integrale della relazione è consultabile in www.corteconti.it.

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cazione dei soggetti legittimati all’uso delle autovet-ture di servizio (2);

2. lo sviluppo dei costi di esercizio e delle spese di gestione (3).

Con riferimento alle modalità di utilizzo delle au-tovetture di servizio, i dati richiesti, riferiti all’anno 2012, hanno riguardato le misure adottate in confor-mità a quanto stabilito dall’art. 3 d.p.c.m. 3 agosto 2011, in relazione:

a) alla riduzione, in linea con le indicazioni nor-mative, del numero complessivo di autovetture di pro-prietà, ai soli casi di documentato risparmio e di ac-quisto di autovetture a bassa emissione di agenti in-quinanti secondo le previsioni del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 24, recante attuazione della direttiva 2009/33/Ce, e della dotazione di autovetture di servizio (con speci-fico riferimento all’eventuale ricorso agli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip s.p.a.);

b) alla scelta eventualmente effettuata in via pri-oritaria per l’acquisizione mediante contratti di loca-zione o di noleggio (specificando, anche in tale caso, se è stato attivato il ricorso agli strumenti messi a di-sposizione da Consip s.p.a.);

(2) In particolare: numero di “auto blu” utilizzate, assegna-te in uso esclusivo e non esclusivo; numero e qualifica degli as-segnatari delle “auto blu”; numero di auto di servizio a disposi-zione per le esigenze degli uffici; titolo di possesso (proprietà, noleggio con conducente o senza conducente, leasing e como-dato d’uso) e relative condizioni contrattuali; classe di cilindra-ta; settori e funzioni per i quali l’auto viene utilizzata.

(3) In particolare: percorrenza in chilometri effettuata dal-le auto in proprietà e dalle auto detenute ad altro titolo, ripar-tita per tipologia di autovettura (uso esclusivo, uso non esclu-sivo, a disposizione di uffici/servizi); ad esclusione di quanto attinente alle autovetture di servizio e blindate per ragioni di sicurezza nazionale e di protezione personale (art. 2, c. 5, d.p.c.m. 3 agosto 2011).

Il dato relativo al costo complessivo delle autovetture (sub lett. d) esposto, con riferimento a:

dl) spesa per acquisizioni di autovetture in proprietà o ad altro titolo, ripartita per tipologia di autovettura (uso esclusi-vo, uso non esclusivo, a disposizione di uffici/servizi) e il to-tale della spesa sostenuta nel 2011;

d2) spese di gestione, ripartita per auto in proprietà o ad altro titolo e distinta per tipologia di autovettura (uso esclusi-vo, uso non esclusivo, a disposizione di uffici/servizi), com-prensive dei costi per consumi carburante, premi di assicura-zione, bolli, revisione e manutenzione e il totale della spesa sostenuta nel 2011;

d3) spesa relativa al personale, con indicazione delle uni-tà addette alla guida delle autovetture in servizio al 31 dicem-bre 2012, ripartite per tipologia di autovettura (uso esclusivo, uso non esclusivo, a disposizione di uffici/servizi) e del nume-ro di addetti all’amministrazione, manutenzione e custodia del parco auto, nonché il totale della spesa sostenuta nel 2011.

c) alla stipula eventuale di convenzioni con so-cietà di tassisti o di trasporto con conducente;

d) alla razionalizzazione dell’uso delle autovettu-re per percorsi in tutto o in parte coincidenti da rea-lizzarsi attraverso l’utilizzo condiviso delle autovet-ture, anche tra più amministrazioni, a fronte di esi-genze di servizio programmate periodicamente dal-le amministrazioni interessate, ovvero, qualora non programmabili, segnalate tempestivamente;

e) alla utilizzazione di sistemi telematici per la trasparenza dell’uso delle autovetture di servizio operativo;

f) alla predeterminazione dei criteri per l’impiego delle autovetture di servizio, con riferimento, in par-ticolare, all’autorizzazione all’utilizzo delle stesse in sede e, eccezionalmente, fuori sede;

g) al rispetto dei limiti di utilizzo delle autovettu-re di servizio. (Omissis)

4. Conclusioni e raccomandazioniLa normativa relativa all’utilizzo delle auto di

servizio nelle pubbliche amministrazioni, con parti-colare riguardo alla loro riduzione quantitativa e al-la individuazione e realizzazione di conseguenti ri-sparmi di spesa collegati anche a diverse modalità di impiego tendenti ad eliminare le relative disecono-mie, rappresenta un impegno costante delle recenti iniziative in tema di spending review e riguarda tutte le pubbliche amministrazioni. Tale orientamento del legislatore è confermato dall’art. 5, c. 6, d.l. 6 luglio 2012, n. 95 che qualifica le disposizioni di cui ai cc. da 1 a 4 quali norme che costituiscono “principi fon-damentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, c. 3, Cost.”.

Nel corso degli anni, le normative succedutesi in materia hanno posto sempre più l’accento sulla mi-surazione degli effetti delle disposizioni limitative e sulla possibilità di utilizzo di modalità alternative di impiego dei mezzi di trasporto destinati allo svolgi-mento di funzioni istituzionali sostanzialmente ricol-legabili a quelle di rappresentanza – anche al fine di valutarne l’impatto e la reale efficacia.

In tale direzione è rivolta la previsione, a parti-re dal 2010, di un monitoraggio annuale, a cura della Presidenza del Consiglio, che ha affidato al Formez la rilevazione delle grandezze statistiche ed econo-miche e dei relativi andamenti seriali con riferimen-to a tutte le amministrazioni pubbliche (centrali e lo-cali, statali e degli altri enti).

Con riguardo alla possibilità di valutare e veri-ficare, per le amministrazioni centrali dello Stato, il grado di ottemperanza dei ministeri alle restritti-ve statuizioni dei d.l. n. 78/2010 e n. 98/2011, non-

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ché alle puntuali indicazioni disposte con la direttiva 6 dell’11 maggio 2010 (e successive modificazioni e integrazioni) del Ministero per la pubblica ammini-strazione e l’innovazione e con il d.p.c.m. 3 agosto 2011, si è pertanto operata una puntuale ricognizio-ne delle misure concretamente adottate dalle singo-le amministrazioni per contenere i costi di gestione e razionalizzare l’utilizzo delle autovetture di servi-zio delle quali è dato conto nella presente relazione.

Tutte le amministrazioni hanno evidenziato, nel-le risposte, il numero delle auto in uso esclusivo e di quelle in uso non esclusivo, il numero e la qualifica degli assegnatari delle stesse, nonché il numero delle auto a disposizione per le esigenze degli uffici.

Il Ministero dell’interno ha segnalato, in partico-lare, che le autovetture in dotazione rientrano nel-la previsione dell’art.1, c. 3, d.p.c.m. 3 agosto 2011, che esclude dall’ambito della sua applicabilità i mez-zi adibiti ai servizi di tutela dell’ordine, della sicu-rezza pubblica e dell’incolumità pubblica, e si ascri-vono altresì nella previsione dell’art. 2, c. 4, di detto decreto, che fa salve le disposizioni riguardanti l’uso delle autovetture di servizio e blindate per ragioni di sicurezza nazionale e protezione personale. Analo-ga osservazione è stata formulata dal Ministero delle infrastrutture e del territorio, limitatamente alle auto-vetture assegnate al Corpo delle capitanerie di porto.

Deve osservarsi, per contro, che sicuramente ri-entrano nell’oggetto dell’indagini ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. b), d.p.c.m. 3 agosto 2011 le autovetture di servizio assegnate al ministro, ai vice-ministri e sot-tosegretari di Stato, questi ultimi ove risultino asse-gnatori, e, eventualmente ai soggetti di cui alle lette-re b), c) e d) dell’art. 2, c. 1, d.p.c.m.

Gli effetti delle misure di contenimento sono sta-ti quantificati – sulla scorta di elaborazioni basate sui dati forniti nelle risposte dalle singole amministra-zioni – in termini di riduzione di spesa, tenendo con-to del numero di autovetture in dotazione, delle unità addette alla guida e di quelle impegnate nell’ambito del relativo parco auto, dei costi di carburante in re-lazione alla percorrenza chilometrica, prima e dopo l’attuazione delle stesse.

Da un punto di vista generale, può affermarsi che gli obiettivi di riduzione e di contenimento della spe-sa sono stati perseguiti e raggiunti in termini percen-tuali ed assoluti dalla quasi totalità delle amministra-zioni centrali dello Stato.

Emerge dalla indagine, in particolare, non soltan-to il rispetto del limite di spesa dell’80 per cento pre-visto, con riferimento alla spesa sostenuta nell’an-no 2009, per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di

buoni taxi, ma addirittura la riduzione della spesa in termini percentuali ed assoluti rispetto ai valori della spesa sostenuta nell’anno 2009.

A titolo esemplificativo, deve sottolinearsi, qua-le particolare esempio di virtuosità, il dato della ri-duzione della spesa nell’anno 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pari al 54,49 per cen-to rispetto a quella sostenuta nell’anno 2009.

Ciò si è reso possibile a seguito della progres-siva diminuzione del parco auto, siccome richiesto dall’art. 3, c. 2, d.p.c.m. 3 agosto 2011 – in quanto le auto oggi in servizio possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non pos-sono essere sostituite (in termini, art. 2 d.l. 6 luglio 2011, n. 98) – e, nello specifico, dalla scelta delle am-ministrazioni centrali, su cui punta il legislatore, per la formula del noleggio senza conducente, rimanendo confermato (sino al 2015) il divieto di acquisto e di locazione finanziaria avente ad oggetto autovetture, sancito dall’art. 1, c. 143, l. 24 dicembre 2012, n. 228.

Il noleggio a lungo termine rappresenta, invero, la scelta migliore in tema di mobilità per tutte le pub-bliche amministrazioni, grazie alle sue caratteristi-che di flessibilità, modernità e trasparenza, in quan-to non è una semplice formula di finanziamento, ma rappresenta la migliore alternativa all’acquisto e al leasing; il canone infatti è calcolato in base al rea-le utilizzo del mezzo e comprende anche una serie di servizi che riguardano la manutenzione del veicolo.

Il noleggio a lungo termine può consentire, quin-di, di beneficiare dell’utilizzo di una flotta di autovet-ture di aggiornata e recente costituzione e sempre in perfetto stato di funzionalità, con una riduzione del-le spese di manutenzione e di gestione, comprensive dei premi assicurativi.

In questo senso, è auspicabile che le amministra-zioni procedano senz’altro nella dismissione delle autovetture di proprietà, secondo un programma ben definito, rimpiazzando in numero ridotto le autovet-ture di servizio con la formula del noleggio con o senza conducente “con costi omnicomprensivi fissa-ti per chilometro”, siccome indicato dall’art. 3, c. 1, lett. b), d.p.c.m. 3 agosto 2011, in relazione alla tipo-logia di uso (uso esclusivo, non esclusivo, a disposi-zione degli uffici).

Occorre considerare, poi, un dato che incide sui costi sostenuti dalle amministrazioni nella gestione del parco auto e che riguarda il costo del persona-le adibito alle autovetture di servizio. Ad esso non si dà solitamente rilievo nelle rappresentazioni del te-ma, ma si tratta di un aspetto che, indubbiamente, entra a far parte del costo complessivo della gestio-ne delle autovetture e che, pertanto, incide sui pia-

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ni di riduzione dei costi sostenuti dalle amministra-zioni, in linea con la spending review varata a parti-re dall’anno 2010.

L’indagine ha messo in evidenza, anche se i da-ti trasmessi non sempre sono completi, come il costo del personale in tutte le amministrazioni esaminate sia comunque di notevoli dimensioni e che, pertan-to, alla riduzione dello stesso debba prestarsi parti-colare attenzione, al fine di giungere ad un progressi-vo alleggerimento dei costi collegati alla gestione del parco auto, anche indipendentemente dalla riduzio-ne del numero delle autovetture di servizio, sebbene sia ad essa conseguenziale. A titolo esemplificativo, sembra eccessivo un numero di 122 unità addette al-le 60 autovetture in dotazione al Ministero dell’eco-nomia e delle finanze.

In relazione alle concrete modalità gestionali ed alle misure adottate per un diverso e più razionale ed economico svolgimento della relativa attività, si è rilevato il rispetto della normativa sulla tipologia di uso, con riferimento, in primo luogo, ai soggetti le-gittimati all’utilizzo delle autovetture in dotazione ai ministeri. Non vi sono osservazioni da sollevare sul punto, in quanto tutte le amministrazioni scrutinate si sono adeguate a quanto disposto dall’art. 2 d.p.c.m. 3 agosto 2011, non risultando assegnate le autovetture a soggetti diversi da quelli indicati dalla legge.

Non è stato possibile, in più di un caso, accer-tare il rispetto della predeterminazione dei criteri per l’impiego delle autovetture di servizio, secondo quanto disposto dall’art. 3, c. 1, lett. h), d.p.c.m. 3 agosto 2011 che richiede, in particolare, l’autorizza-zione da parte del vertice all’utilizzo delle autovettu-re in sede e, eccezionalmente, fuori sede.

Non risultano adottati, inoltre, come è emerso dalle risposte ricevute, sistemi telematici per la tra-sparenza dell’uso delle autovetture, siccome richie-sto dall’art. 3, c. 1, lett. f), d.p.c.m. cit.

Questo aspetto particolare risulta in contrasto con la generale finalità di conseguire “obiettivi di raziona-lizzazione e trasparenza” nell’utilizzo delle autovet-ture di servizio, indicata dall’art. 1, c. 1, d.p.c.m. cit.

La stessa norma si esprime in favore della ado-zione di “modalità innovative di gestione”, quale strumento per realizzare i suddetti obiettivi nell’otti-ca del contenimento dei costi. Dall’indagine è emer-so che esse non sono state attuate con il carattere del-la generalità.

Il riferimento, in particolare, va fatto all’utiliz-zo condiviso delle autovetture, che comporta un evi-dente risparmio di costi nell’uso delle autovetture, che vengono così utilizzate per il soddisfacimento di esigenze di più uffici in relazione ad itinerari simili.

Vanno, pertanto, apprezzate le amministrazioni che hanno previsto l’utilizzo condiviso delle auto-vetture per esigenze di servizio (Ministero dell’eco-nomia e delle finanze, Ministero dell’ambiente e del-la tutela del territorio e del mare, Ministero del la-voro e delle politiche sociali, Ministero della difesa, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turi-smo) e, che costituiscono best practices a cui posso-no ispirarsi le altre.

Così pure, non sembra avere trovato attuazione, sul piano delle scelte in concreto effettuate, la previ-sione dell’art. 4, c. 2 (peraltro modificata dall’art. 1 d.p.c.m. 12 gennaio 2012, che ha soppresso le paro-le “ed uguale efficacia”), secondo cui sono utilizza-ti, in alternativa all’uso non esclusivo delle autovet-ture di servizio, i mezzi di trasporto pubblico quan-do, in relazione al percorso ed alle esigenze di servi-zio, gli stessi garantiscano risparmi per la pubblica amministrazione.

Dalla indagine è emerso, altresì, che non tutte le amministrazioni hanno stipulato convenzioni con so-cietà di tassisti, e nessuna con società di trasporto con conducente, nonostante il disposto dell’art. 3, c. 1, lett. c), d.p.c.m. 3 agosto 2011 e il favor normati-vo per tale modalità di utilizzo, alla luce dell’art. 2, c. 4, d.p.c.m. 25 settembre 2014, secondo cui le ri-sorse finanziarie che si liberano dalla riduzione del parco auto (e dei connessi costi di manutenzione ed esercizio) possono essere destinate, entro il rispetto dei limiti imposti dalla normativa vigente, all’acqui-sto di buoni taxi.

Occorre, pertanto, che le amministrazioni adotti-no le necessarie misure sul piano organizzativo per-ché le esigenze di servizio siano soddisfatte, in al-ternativa, attraverso l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici e di taxi o autovetture in noleggio con con-ducente. Tale pratica potrebbe consentire una ridu-zione dei costi del personale e della percorrenza chi-lometrica delle autovetture di servizio con vantaggi anche rispetto alla riduzione dei costi di gestione e di manutenzione delle stesse.

* * *

Sezione controllo enti

20 – Sezione controllo enti; determinazione 9 marzo 2015; Pres. Gallucci, Rel. Calamaro; Rai-Radio-televisione italiana s.p.a.

Enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria – Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a. – Gestio-ne finanziaria 2013 – Relazione al Parlamento.

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L. 21 marzo 1958 n. 259, partecipazione della Cor-te dei conti al controllo sulla gestione finanziaria de-gli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, art. 12; d.lgs. 31 luglio 2005 n. 177, t.u. della radiotelevi-sione, artt. 45, 49.

La relazione riferisce al Parlamento in merito ai risultati del controllo eseguito sulla gestione finan-ziaria della Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a. per l’esercizio finanziario 2013.

Le risultanze economico-gestionali della Rai e del gruppo hanno registrato un miglioramento rispet-to al precedente esercizio. La capogruppo ha chiuso il bilancio con un utile di 4,3 milioni, contro una per-dita di 245,7 milioni registrata nel 2012. Di conse-guenza, il patrimonio netto della società ha raggiun-to l’importo di 298,4 milioni, con una crescita rispet-to all’esercizio precedente (+1,5 per cento) dovuta al positivo risultato d’esercizio. Positivo è, altresì, il va-lore del conto economico consolidato: 5,3 milioni ri-spetto alla perdita di 244,6 milioni del 2012.

I risultati del 2013 hanno risentito favorevolmen-te del venir meno dell’onere per i grandi eventi spor-tivi che aveva connotato il 2012, nonché di risparmi di gestione (nei costi operativi e in quelli di perso-nale), pari a oltre 60 milioni per il gruppo e a circa 50 milioni per la capogruppo. Diminuzioni di spesa sono state realizzate anche con riguardo alle consu-lenze esterne, che hanno inciso sul bilancio del 2013 per circa 1,8 milioni (contro i 2 milioni del 2012).

Permangono, peraltro, le criticità segnalate dal-la Corte nelle precedenti relazioni: la crisi econo-mica ha determinato, nel 2013, non solo un’ulterio-re riduzione delle entrate provenienti dalla pubbli-cità, ma anche minori ricavi da riscossione del ca-none radiotelevisivo. Inoltre, la società presenta un rilevante volume dei debiti finanziari verso banche: 442,9 milioni contro i 371,6 milioni del 2012.

Gli altri ricavi – ossia quelli tipicamente com-merciali, tra i quali le convenzioni con pubbliche amministrazioni – presentano, nonostante la gene-rale fase di debolezza economica, una ripresa rispet-to all’esercizio precedente (+5,7 milioni).

La Corte richiama, infine, la necessità di prose-guire nell’opera di sfoltimento delle società control-late; di adottare misure organizzative e gestionali di-rette ad eliminare gli sprechi; di rafforzare, rinnova-re e modernizzare la gestione del servizio pubblico; di generare nuove utilità (commerciali, pubblicita-rie o di altro genere), anche attraverso l’innovazio-ne dei modelli di offerta e di business. (1)

(1) Il testo integrale della relazione è consultabile in www.corteconti.it.

Premessa – (Omissis)

2. Il quadro normativo2.1. I rapporti tra la Rai e lo Stato quale concedente del servizio pubblico radiotelevisivo

La l. 3 maggio 2004, n. 112, recante “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiote-levisivo e della Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a., nonché delega al governo per l’emanazione del testo unico per la Radiotelevisione”, ha profondamente in-ciso sull’assetto del gruppo Rai, prevedendo, fra l’al-tro, la fusione per incorporazione di Rai s.p.a. nella Rai-holding s.p.a. Nel corso del 2005, in forza della delega di cui sopra, è stato emanato il d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, recante “Testo unico dei servizi di me-dia audiovisivi e radiofonici” (Tur) (43).

L’art. 45 del Tur elenca le prestazioni che la so-cietà concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo è tenuta ad erogare, afferenti anche all’attività educativa e formativa ed alla valorizza-zione delle culture regionali e locali. Le modalità di attuazione dei compiti del servizio pubblico genera-le sono demandate, poi, ad un contratto di servizio nazionale (ed a contratti di servizio regionali) che la Rai stipula con il Ministero dello sviluppo economi-co, ogni tre anni. Il contratto, che deve conformarsi alla delibera a tal fine predisposta dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il Mini-stero dello sviluppo economico, sulla base della nor-mativa comunitaria e nazionale, fissa le singole atti-vità che la concessionaria è tenuta svolgere. Sotto al-tro versante, il t. u. prevede che le risorse pubbliche debbano coprire i costi sostenuti per lo svolgimento del servizio pubblico (44).

L’art. 49, c. 1, della normativa in rassegna, affi-da in concessione il servizio pubblico generale ra-diotelevisivo alla Rai sino alla data del 6 maggio 2016 (45).

Preme sottolineare che, nell’attuale assetto, lo Sta-

(43) La richiamata normativa ha consentito di riunire, in un unico corpus normativo, le disposizioni emanate nell’arco di un trentennio in materia di radiotelevisione e di codificare i principi enunciati dalla giurisprudenza, nel rispetto delle norme della Costituzione, del diritto internazionale e degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

(44) Le problematiche connesse al principio di proporzio-nalità fra risorse e costi della concessionaria, saranno oggetto di successiva trattazione.

(45) Si tratta di una vera e propria concessione ai sensi dell’art. 1, c. 4, direttiva 2004/18/Ce, e dell’art. 3, c. 12, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, con fisionomia simile all’appalto di servizi.

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to spiega contemporaneamente vari tipi di interven-to pubblico: uno connesso alla posizione di conceden-te del servizio pubblico (chiamato a disciplinare l’at-tività della concessionaria), uno derivante dalla parte-cipazione pubblica al capitale della società, quale pro-prietario di maggioranza dell’impresa (che gli consen-te di esercitare tutti i diritti previsti dal codice civile) e, infine, ancora un altro quale titolare e “responsabi-le” di fronte all’Unione europea di molteplici poteri di regolamentazione del mercato da assolvere con im-parzialità nel rispetto della normativa nazionale e di quella europea. Si tratta di una pluralità di ruoli di dif-ficile armonizzazione, in quanto, per un verso, lo Sta-to deve provvedere alla cura degli interessi collettivi o pubblici – tra i quali la garanzia di un servizio pub-blico adeguato, il rispetto dei vincoli di bilancio, la politica di limitazione della spesa – sotto altro profilo è suo interesse, quale azionista dominante, che le so-cietà detenute nel gruppo siano in grado di sostenere i costi produttivi, ottenendo tempestivamente le contri-buzioni ed i finanziamenti, ivi compresi quelli di deri-vazione pubblica loro spettanti – alla stregua degli im-pegni normativi o contrattuali – anche per evitare il ricorso all’indebitamento. Viene ad emersione, quin-di, una stretta correlazione tra l’attività della società (e delle controllate) e quella pubblica, di guisa che, ai fi-ni del necessario miglioramento dei risultati della ge-stione, risulta essenziale, oltre ad una azione efficien-te, economica ed efficace, anche il rispetto degli im-pegni finanziari e programmatici da parte dello Stato (in particolare una rigorosa lotta all’evasione dal pa-gamento del canone radiotelevisivo e la sua equa de-terminazione).

In conclusione, ferma restando la riferibilità al management della Rai dei risultati della gestione del gruppo, risulta innegabile l’interdipendenza con l’e-sercizio delle attribuzioni statali nello specifico set-tore di intervento. (Omissis)

3. La struttura e l’organizzazione della società3.1. Gli organi sociali e i compensi

L’organizzazione di Rai s.p.a. è regolata, in via generale, dalle norme civilistiche per le società per azioni e dal d.lgs. n. 177/2005. Quest’ultima norma-tiva ha introdotto deroghe alla disciplina recata dal codice civile, in ragione delle attribuzioni di natu-ra pubblica intestate alla società. Le disposizioni del codice civile, quindi, trovano applicazione per quan-to concerne l’assetto sociale, compatibilmente con le previsioni contenute nel richiamato decreto legisla-tivo.

Gli organi sociali della Rai sono l’Assemblea dei

soci (ordinaria e straordinaria), il consiglio di am-ministrazione, il presidente ed il collegio sindacale.

L’Assemblea è costituita dallo “Stato”, azionista nella misura del 99,56 per cento, che detiene il pac-chetto azionario ed esercita i relativi poteri attraver-so il Ministero dell’economia e delle finanze, e dal-la Siae, azionista per la quota residua dello 0,44 per cento.

Ad essa sono intestati dall’art. 2383 c.c. taluni at-ti di governo della società: nomina e revoca, degli amministratori; deliberazione del progetto del bilan-cio predisposto dagli amministratori; deliberazione di distribuzione degli utili risultanti dal bilancio d’e-sercizio; azione di responsabilità nei confronti de-gli amministratori; deliberazione sulle modificazioni dello statuto; nomina e revoca dei sindaci.

Il consiglio di amministrazione è l’organo do-tato di poteri decisionali; ad esso spetta la gestione dell’impresa (2380-bis c.c.).

L’art. 49 d.lgs. n. 177/2005 disciplina, tra l’al-tro, la composizione del consiglio di amministrazio-ne della Rai e le modalità di nomina dei suoi compo-nenti. L’art. 21 del vigente statuto, poco aggiunge a quanto previsto, al riguardo, dal citato art. 49 d.lgs. n. 177/2005.

Il consiglio di amministrazione, nominato dall’Assemblea dei soci mediante voto di lista, è composto da nove membri (50). Il consesso in carica nel 2013, e fino alla data di approvazione del bilan-cio di esercizio 2014, è stato nominato dall’Assem-blea degli azionisti nella seduta del 5 luglio 2012 che ha deliberato, nella stessa adunanza, l’emolumento per gli amministratori fissandolo nella misura di eu-ro 66.000 lordi annui.

Il consiglio di amministrazione, con delibera del 5 settembre 2012, come previsto dall’art. 3, c. 12- bis, l. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) e dall’art. 28, c. 3, dello statuto della società, ha costituito due comita-ti consultivi di cui fanno parte i consiglieri escluso il presidente: il comitato consultivo per le linee editoria-li ed il comitato consultivo per la qualità del prodotto radiotelevisivo. I comitati eseguono analisi e verifiche di alcuni ambiti aziendali e rendono quindi una rela-

(50) I componenti del consiglio di amministrazione devo-no essere in possesso di requisiti per la nomina a giudice costi-tuzionale, ai sensi dell’art. 135 Cost. o, comunque, essere per-sone di riconosciuto prestigio e competenza professionale, di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, con significative esperienze manageriali. Il mandato ha la durata di tre anni e può essere rinnovato una sola volta.

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zione sul tema al consiglio di amministrazione. Per ta-le attività il consiglio di amministrazione, sentito il pa-rere del collegio sindacale, riconosce al singolo com-ponente un compenso annuo in misura non superiore al 30 per cento dell’emolumento deliberato per la ca-rica di amministratore, come previsto dal richiamato art. 3, c. 12-bis, l. n. 244/2007 (quindi fino ad un mas-simo di 19.800 euro) (51).

Nel complesso agli amministratori membri dei vari comitati, ad eccezione del presidente, sono sta-ti corrisposti nel 2013 per lo svolgimento di tale atti-vità compensi complessivi annui lordi di competen-za pari a euro 111.400.

Per quanto riguarda le spese di viaggi e soggiorni di servizio, l’importo complessivo è stato pari a eu-ro 108.570 (52).

Oltre alle ordinarie funzioni, il consiglio di am-ministrazione della Rai, ai sensi dell’art. 49, c. 3, Tur n. 117/2005, svolge anche quella di controllo e di ga-ranzia circa il corretto adempimento delle finalità e degli obblighi del servizio pubblico generale radio-televisivo.

L’organo collegiale, come già evidenziato, è do-tato di ogni potere per l’amministrazione della so-

(51) Nel corso del 2013 sono state realizzate le sessioni di lavoro di seguito elencate:

- comitato per le linee editoriali:- febbraio-aprile “La radiofonia profili editoriali modelli

organizzativi e opportunità di mercato”;- luglio-ottobre “Razionalizzazione del prodotto in una lo-

gica di interrelazioni tra i vari settori interessati”;- ottobre-novembre “Presenza Rai all’estero”;- novembre-dicembre “Evoluzione del modello produtti-

vo dell’informazione anche alla luce del digitale”;- comitato per la qualità del prodotto radiotelevisivo:- febbraio-aprile “Produzione audiovisiva in Italia e quali-

tà del prodotto: dinamiche degli investimenti ed evoluzione della domanda”;

- luglio-ottobre “L’offerta televisiva per minori: evoluzio-ne del mercato e analisi qualitativa del prodotto Rai”.

(52) Il dato non comprende l’importo, complessivamente determinato nella misura di euro 4.000 mensili, riconosciuto con delibera del consiglio di amministrazione del 15-16 no-vembre 2012, al presidente della società non residente in Ro-ma come rimborso per le spese di vitto e alloggio, in rapporto alle necessità di permanenza continuativa presso la sede socia-le per lo svolgimento delle proprie attività. Peraltro tale previ-sione è stata specificamente abrogata con delibera consiliare del 15 maggio 2014. Ai consiglieri di amministrazione non re-sidenti in Roma, per i giorni di permanenza nella capitale per ragioni inerenti alla carica, è riconosciuto dalla stessa delibera il rimborso delle spese a piè di lista per vitto e alloggio fino al-la concorrenza di euro 3.500 mensili, previa produzione dei documenti giustificativi delle spese sostenute.

cietà; in tale contesto può adottare tutti gli atti ritenu-ti necessari od opportuni per il raggiungimento degli scopi sociali (53). Ai sensi dell’art. 2381, c. 2, c.c., può conferire, se ciò è previsto dallo statuto, ad uno o più consiglieri, le proprie attribuzioni, conservan-do tuttavia la funzione generale di sovrintendenza sull’amministrazione della società. L’art. 26 del vi-gente statuto prevede che il consiglio di amministra-zione della concessionaria, fatte salve le attribuzioni del direttore generale stabilite dalla legge, possa de-legare proprie attribuzioni al solo presidente, deter-minandone in concreto il contenuto e il compenso ai sensi dell’art. 2389, c. 3, c.c. Nel delineato contesto l’organo di amministrazione, con delibera assunta nella seduta del 18-19 luglio 2012, ha delegato pro-prie attribuzioni al presidente, tenendo anche conto dell’invito in tal senso espresso dall’azionista Mini-stero dell’economia e finanze nell’Assemblea del 5 luglio 2012, durante la quale era stato nominato il nuovo consiglio di amministrazione (54).

(53) In particolare, ai sensi dell’art. 25 dello statuto, nomi-na il direttore generale di intesa con l’assemblea dei soci, de-libera il progetto di bilancio, i piani di investimento finanzia-rio, di ristrutturazione e delle politiche del personale; adotta i provvedimenti di assegnazione annuale delle risorse finanzia-rie, sulla base di specifici piani, delle risorse economiche alle aree di attività aziendale; esercita il controllo sull’andamento dei costi e dei ricavi di gestione; su proposta del direttore ge-nerale, nomina i vicedirettori generali ed i dirigenti di primo e di secondo livello; approva gli atti e i contratti aziendali aven-ti carattere strategico nonché quelli che, anche per effetto di una durata pluriennale, siano di importo superiore a euro 2.582.284,50.

(54) Al presidente sono state conferite le seguenti attribu-zioni:

- l’approvazione, su proposta del direttore generale, degli atti e dei contratti aziendali che, anche per effetto di una dura-ta pluriennale, superino l’importo di euro 2.582.284,50 fino ad euro 10.000.000 a condizione che – per quanto riguarda i con-tratti di natura editoriale (utilità immediata, utilità ripetuta e scritture artistiche) – gli elementi essenziali di tali contratti ri-sultino conformi con le scelte e le valutazioni operate dal con-siglio di amministrazione in sede di approvazione dei piani di produzione e trasmissione, del palinsesto e delle linee di bilan-cio aziendale. Il presidente è sottoposto all’onere di rendicon-tazione trimestrale degli atti e dei contratti stipulati nell’eser-cizio della delega;

- la nomina, su proposta del direttore generale e la deter-minazione della relativa collocazione aziendale, dei dirigenti di primo e di secondo livello delle direzioni non editoriale, in-tendendosi per editoriali le direzioni di canale, genere e testa-ta, sia radiofoniche che televisive, nonché le relative direzioni di supporto (palinsesto Tv e marketing, teche e radio) e la di-rezione nuovi media, la nomina dei cui dirigenti di primo e se-condo livello e la relativa collocazione sono rimaste, pertanto, incardinate nell’organo di amministrazione.

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Successivamente alla richiamata delibera consi-liare del 18-19 luglio 2012, è entrata in vigore la l. 7 agosto 2012, n. 135, di conversione in legge con mo-dificazioni del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. spending review 2), che, tra l’altro, ha limitato, nelle società pubbliche, l’ambito delle deleghe assentitili dal con-siglio di amministrazione al presidente ai settori del-le relazioni esterne e istituzionali e della supervisio-ne delle attività di controllo interno. La nuova disci-plina, entrata in vigore il 15 agosto 2012, trova appli-cazione a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione delle società controllate dallo Stato.

Il presidente del consiglio di amministrazione viene nominato, insieme agli altri membri del con-sesso, con delibera dell’assemblea per tre anni. L’ef-ficacia della nomina è subordinata all’acquisizione del parere favorevole della Commissione parlamen-tare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servi-zi radiotelevisivi.

Il presidente del consiglio di amministrazione in carica nel 2013 è stato designato per il periodo 2012-2014 in data 5 luglio 2012 dall’assemblea degli azio-nisti della Rai (55). Sulla nomina, deliberata dal consiglio di amministrazione il 10 luglio 2012, si è favorevolmente espressa la Commissione parlamen-tare di vigilanza nella adunanza del 12 luglio 2012. Nella seduta del 25 luglio 2012, inoltre, l’organo col-legiale di amministrazione della società’ ha delibe-rato la remunerazione speciale di 300.000 euro an-nui lordi anche in considerazione delle deleghe asse-gnate ai sensi degli artt. 2381 e 2389, c. 3, c.c. e de-gli artt. 26 e 28 punto 2 dello statuto sociale. Si de-ve segnalare che dall’1 aprile 2014 è entrato in vigo-re il d.m. Economia e finanze 24 dicembre del 2013, n. 166, recante il “Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società non quotate controllate dal Mef” e, dall’1 maggio 2014, il d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazio-ni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89 “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”, e, in partico-lare, l’art. 13 “Limite al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate”. Sul-la base della richiamata normativa l’organo di ammi-nistrazione in data 15 maggio 2014 ha deliberato di riparametrare la speciale remunerazione spettante al presidente del consiglio di amministrazione, ai sensi dei sopra richiamati articoli del codice civile e dello statuto sociale, in euro 245.000 annui lordi per il pe-riodo 1-30 aprile 2014, e in euro 174.000 annui lordi

(55) Nel fornire la propria indicazione di nomina, l’as-semblea ha stabilito il compenso in euro 66.000.

a far data dall’1 maggio 2014. L’indicato trattamen-to economico considera l’applicazione dei tetti de-finiti dalle disposizioni normative di cui sopra alla complessiva remunerazione percepita dal presidente ai sensi dei cc. 1 e 3 dell’art. 2389 c.c. (56). Nell’an-no 2013 l’organo di amministrazione ha adottato 109 delibere di cui 39 (36 per cento) attinenti a organiz-zazione e nomine (57), 36 (33 per cento) di appro-vazione di ordini e contratti (58), 23 (21 per cento) concernenti documenti economici e di pianificazione aziendale, 5 (4,5 per cento) relative a comitati con-sultivi e 6 (5,5 per cento) di vario contenuto.

Ai sensi dell’art. 30.1, dello statuto, l’Assemblea dei soci nomina il collegio sindacale, costituito da tre sindaci effettivi, di cui uno con funzioni di presiden-te, e ne determina i compensi. Nomina, altresì, due sindaci supplenti. I sindaci durano in carica tre eser-cizi. Scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica. Sino all’approvazione del bilancio di esercizio 2012, avvenuta in data 30 maggio 2013, è rimasto in carica il collegio nominato dall’Assem-blea il 3 agosto 2010 per il triennio 2010-2012. Nel-la predetta data del 30 maggio 2013 l’Assemblea de-gli azionisti ha nominato il nuovo collegio sindacale per il triennio 2013-2015, e fino alla data dell’assem-blea convocata per l’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2015, fissando l’emolumento annuo lordo per il presidente in euro 63.000 e per ciascun sindaco effettivo in euro 45.000. (Omissis)

Dell’attività e delle funzioni svolte dal collegio sindacale si tratterà nel paragrafo relativo ai control-li interni.

3.2. Il direttore generaleAi sensi dell’art. 49, cc. 11 e 12, d.lgs. n.

177/2005, il direttore generale è nominato dal con-siglio di amministrazione, d’intesa con l’assemblea dei soci. Il suo mandato ha la durata di quella del consiglio di amministrazione, organo al quale ri-sponde della gestione per i profili di propria compe-tenza. L’attuale direttore generale è stato nominato con delibera del consiglio di amministrazione del 17

(56) Il compenso è stato deliberato con riserva di interve-nire successivamente sulla materia, anche con efficacia retro-attiva, a seguito di eventuali modifiche e/o chiarimenti del quadro normativo di riferimento e delle indicazioni che doves-sero pervenire dal ministero azionista relativamente ai limiti del compenso previsto per gli amministratori con deleghe.

(57) N. 26 deliberazioni hanno riguardato nomine diretto-ri e vice direttori, n. 7 nomine nelle società del gruppo e 6 provvedimenti organizzativi.

(58) Di cui 19 di natura editoriale e 17 non editoriali.

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luglio 2012 e ha un rapporto di lavoro a tempo deter-minato di durata sovrapponibile a quella dell’orga-no di amministrazione in carica, fissata dalla legge al momento dell’approvazione del bilancio di eser-cizio 2014.

La retribuzione è fissata complessivamente nella misura di euro 650.000 (61).

Le funzioni del direttore generale sono discipli-nate nell’art. 49, c. 12, d.lgs. n. 177/2005 e nell’art. 29, c. 3, dello statuto (62).

(61) Il direttore generale in carica, è stato nominato dal consiglio di amministrazione nella seduta del 17 luglio 2012, con le seguenti modalità:

a) nomina del direttore generale per la durata del consi-glio di amministrazione;

b) assunzione dell’interessato a tempo indeterminato qua-le dirigente della società;

c) retribuzione nella posizione di direttore generale nella misura di euro 650.000, “dando mandato al presidente di mo-dulare la parte retributiva e la parte a titolo di indennità di fun-zione, fermo restando che quest’ultima, nel rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente in materia, non potrà essere co-munque inferiore alla misura annua di euro 150.000”. Nella seduta consiliare del 18 luglio 2012, il presidente dava comu-nicazione dell’accordo raggiunto con il direttore generale in merito alla retribuzione pari a euro 400.000, oltre a euro 250.000 per indennità di funzione. Successivamente il punto b) della delibera del 17 luglio 2012, è stato oggetto di revoca da parte della società. L’attuale direttore generale, quindi, ha un rapporto di lavoro a tempo determinato di durata sovrappo-nibile a quella dell’attuale organo di amministrazione.

(62) Alla stregua della citata normativa il direttore generale:a) risponde al consiglio di amministrazione della gestione

aziendale per i profili di propria competenza e sovrintende all’organizzazione ed al funzionamento dell’azienda nel qua-dro dei piani e delle direttive definiti dal consiglio;

b) partecipa senza diritto di voto alle riunioni del consiglio;c) assicura, in collaborazione con i direttori di rete e di te-

stata, la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali e le direttive formulate dal consiglio;

d) propone al consiglio le nomine dei vice direttori gene-rali e dei dirigenti di primo e di secondo livello;

e) assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione de-gli altri dirigenti, nonché su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico, degli altri giornalisti e ne informa puntualmente il consiglio di amministrazione;

f) provvede alla gestione del personale dell’azienda;g) propone all’approvazione del consiglio di amministra-

zione gli atti e i contratti aziendali aventi carattere strategico, ivi inclusi i piani annuali di trasmissione e di produzione e le eventuali variazioni degli stessi, nonché quelli che, anche per effetto di una durata pluriennale, siano di importo superiore a 2.582.284,50 euro; firma gli altri atti e contratti aziendali atti-nenti alla gestione della società; firma gli atti e contratti azien-dali attinenti alla gestione della società;

h) provvede all’attuazione del piano di investimenti, del

Le competenze del direttore generale della Rai, diversamente da quanto è stabilito dal codice civile per l’omologa figura presente nelle società per azio-ni, sono puntualmente stabilite dalla legge. Lo statu-to potrebbe aggiungerne altre a condizione che non siano incompatibili con la ripartizione funzionale prevista dalla stessa legge.

Particolare rilevanza ha rivestito l’attività con-trattuale di competenza del direttore generale artico-lata nella stipula di 136 contratti (n. 117 nel 2012). La spesa complessiva è stata pari a 99,4 milioni di euro (nel 2012 si era attestata in 68,5 mln). Sono sta-ti conclusi, inoltre, contratti attivi per circa 11,1 mi-lioni di euro (nel 2012 circa 7,3 mln).

Per omogeneità di trattazione si riporta nella se-guente tabella l’attività contrattuale complessiva del-la società. (Omissis)

Come è agevole desumere dal sovrastante pro-spetto, nell’anno in rassegna sono stati perfeziona-ti dalla concessionaria n. 25.418 contratti (n. 26.595 nel 2012) con oneri complessivi pari a 339,7 milio-ni, somma (333,9 mln nell’anno precedente). Da no-tare che il valore dei contratti stipulati dalla direzio-ne acquisti è aumentato di oltre 11 punti percentua-li rispetto al 2012 (224,3 mln nel 2013 contro 200,6 mln nell’anno precedente), mentre in diminuzione si è presentato sia il numero che l’importo dei contratti riferiti alla direzione produzione televisiva (nel 2013 n. 18.886 contratti per una spesa di 100,5 mln, nel 2012 n. 20.167 contratti per una spesa di 112 mln – 11 per cento circa). (Omissis)

18. Considerazioni conclusiveLe risultanze gestionali economiche della Rai e

del gruppo hanno registrato nel 2013 un migliora-mento rispetto al precedente esercizio.

La capogruppo chiude il bilancio con un utile di 4,3 milioni contro una perdita di 245,7 milioni accu-mulata nel 2012.

In corrispondente andamento sono risultati i va-lori del conto economico consolidato, positivo per 5,3 milioni rispetto alla perdita di 244,6 milioni alla chiusura del 2012.

piano finanziario, delle politiche del personale e dei piani di ristrutturazione, nonché dei progetti specifici approvati dal consiglio d amministrazione in materia di linea editoriale, in-vestimenti, organizzazione aziendale, politica finanziaria e politiche del personale;

i) trasmette al consiglio di amministrazione le informazio-ni utili per verificare il conseguimento degli obiettivi azienda-li e l’attuazione degli indirizzi definiti dagli organi competen-ti ai sensi del presente t.u.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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L’anno in rassegna ha risentito positivamente del venir meno dell’onere per i grandi eventi sportivi che aveva connotato il 2012, ma anche dei risparmi, sia nei costi operativi sia in quello per il personale, pari complessivamente a oltre 60 milioni per il gruppo e a circa 50 milioni per la capogruppo.

Il patrimonio netto della Rai nel 2013 ha raggiun-to l’importo di 298,4 milioni, con una crescita rispet-to all’esercizio 2012 (il cui ammontare era stato pa-ri a 294 mln) dovuta al positivo risultato d’esercizio.

Rilevante, peraltro, si presenta il volume dei debiti finanziari verso banche, pari, nel 2013, a 442,9 milioni contro i 371,6 milioni del 2012 (con un aumento di ol-tre 71 mln); situazione, quella descritta, da tenere sot-to osservazione anche in considerazione dell’aumento complessivo dei debiti e del loro valore elevato rispet-to alla consistenza del patrimonio netto.

Per quanto concerne i ricavi, costituiti dalle en-trate derivanti dal pagamento del canone radiotelevi-sivo, dalla pubblicità e dagli “altri” proventi – prin-cipalmente le convenzioni con la pubblica ammini-strazione – si deve premettere che l’attuale situazio-ne economica generale del paese ha prodotto effet-ti estremamente negativi sul tessuto produttivo/im-prenditoriale e, conseguentemente, sui consumato-ri finali.

Restringendo l’analisi al contesto in cui opera Rai, la crisi economica ha determinato, nel 2013 non solo una ulteriore riduzione delle entrate provenienti dalla pubblicità, ma anche negativi effetti sul ricavo derivante dal pagamento del canone radiotelevisivo.

Le entrate della società Rai derivanti dalla pub-blicità (597,6 mln) evidenziano omologa flessione di 77,3 milioni (-11,5 per cento) rispetto a quelle conse-guite nell’esercizio 2012.

Per quanto concerne i proventi derivanti dal pa-gamento del canone radiotelevisivo, nel 2012 aveva inciso favorevolmente non solo l’adeguamento del-la sua misura unitaria, ma anche il positivo contribu-to della riscossione coattiva nonché la dinamica dei nuovi “abbonati”.

La descritta situazione non si è riprodotta com-pletamente anche nel 2013.

Infatti, a parte l’intervenuto adeguamento della misura del canone unitario, sono sensibilmente di-minuiti i nuovi abbonati, con conseguente abbassa-mento, rispetto all’anno precedente, del totale de-gli utenti paganti (15,99 mln contro 16,12 mln del 2012). In aumento sono risultati anche gli utenti mo-rosi (0,96 mln nel 2012 e 1,09 mln nel 2013), men-tre le “disdette” hanno presentato dati sovrapponibi-li nel biennio.

Anche nel 2013 l’evasione dal pagamento del ca-none di abbonamento è stata elevata raggiungendo, secondo le stime della società, per il canone ordina-rio la percentuale del 26,6 per cento (+0,6 per cento rispetto al 2012), superiore di quasi 19 punti percen-tuali a confronto con la media europea.

Un progressivo allineamento allo standard euro-peo, con un conseguente recupero di importanti ri-sorse, stimate nell’ordine di 500 milioni annui, pre-supporrebbe una revisione dei meccanismi di riscos-sione, da integrare con un rafforzamento degli stru-menti normativi di contrasto all’evasione, oggi pale-semente inadeguati.

L’adozione di tali interventi contribuirebbe note-volmente a riequilibrare la posizione economico-fi-nanziaria della società.

Peraltro, come rilevato anche dal collegio sinda-cale della società, al momento non sono state intro-dotte misure adeguate volte ad arginare il fenome-no. In particolare dette iniziative, non adottate o an-che solo pianificate nel corso degli anni passati, van-no assunte dalla Rai, in ordine al canone speciale, ri-scosso direttamente dalla società.

Gli altri ricavi – ossia quelli tipicamente com-merciali tra i quali le convenzioni con la pubblica amministrazione – presentano – nonostante la gene-rale fase di debolezza economica – una ripresa ri-spetto all’esercizio precedente, nell’ordine di 5,7 mi-lioni.

Per quanto concerne i ricavi del gruppo originati dalla vendita della pubblicità, dopo la pesante dimi-nuzione – per circa 230 milioni – sofferta nel bien-nio 2008-2009 e il recupero di poco superiore a 30 milioni del 2010, si è assistito ad ulteriori forti cali nel biennio 2011-2012 (rispettivamente per circa 59 mln e 210 mln).

Il descritto andamento ha trovato conferma anche nel 2013. A fronte di una entrata di 745,3 milioni re-alizzata nel 2012, l’incasso del gruppo Rai nell’anno in rassegna si è attestato in 682,2 milioni, con una ri-duzione di -63,1 milioni (-8,46 per cento).

Gli “altri” ricavi, al contrario, si sono notevolmen-te incrementati nella misura di 21,5 milioni circa.

Sul versante dei costi operativi, che sono rimasti affrancati, come in ogni esercizio dispari, dagli one-ri per grandi eventi sportivi, si è rafforzata, a perime-tro costante, ossia a sostanziale invarianza dei layout produttivi, la tendenza alla diminuzione della spesa.

Si segnala in particolare per il 2013 una diminu-zione, rispetto al pregresso esercizio, del 2 per cento circa del costo del personale, sia per la concessiona-ria che per il gruppo, ascrivibile ad una minore con-

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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sistenza numerica delle unità lavorative e all’assenza della previsione di fondi per l’incentivazione all’eso-do, come avvenuto in passato.

Nel delineato contesto, va segnalata l’esigenza di assumere tutte le iniziative che si riterranno più ido-nee per mantenere sotto stretto controllo l’andamen-to del costo del lavoro e degli oneri connessi, sia per la società che per il gruppo, considerata l’incidenza di oltre il 30 per cento di tale fattore sul costo della produzione ed attesa la difficoltà di conseguire mag-giori introiti dalle attuali fonti di entrata.

Riduzioni sono state conseguite anche per gli oneri relativi alle consulenze esterne, che hanno in-ciso sul bilancio del 2013 per circa 1,8 milioni (con-tro i 2 mln del 2012). La Corte rappresenta la neces-sità di continuare nella direzione di una significativa riduzione dei costi relativi alle consulenze esterne li-mitandone il ricorso in casi eccezionali, per periodi limitati e sempre che le professionalità richieste non siano annoverate all’interno delle risorse umane del-la società.

Sul fronte della gestione si deve rilevare come l’innovativo contesto, caratterizzato da una eleva-ta penetrazione della tecnologia nella diffusione del prodotto televisivo, ponga con assoluta centralità la questione dell’offerta della Rai agli utenti, da orien-tare verso il recupero degli ascolti delle reti generali-ste e l’incremento di quelli relativi ai canali tematici.

Al riguardo posizione non più marginale ha as-sunto il web, che, in prospettiva, configura una vali-da opzione per rafforzare, rinnovare e modernizzare la collocazione del servizio pubblico, al fine di ren-derlo adeguato alle future esigenze e generare nuo-ve significative utilità commerciali, pubblicitarie o di altro genere, anche attraverso l’innovazione dei mo-delli di offerta e di business.

Appare, pertanto, necessario il conseguimento di un efficace posizionamento della società in tale seg-mento del mercato, al momento non ancora raggiun-to, come si può evincere dall’analisi dei ricavi web, che comprovano, nell’anno in rassegna, una propo-sta non adeguata agli standard dei principali compe-titori.

Anche l’offerta internazionale sembra risentire di una impostazione non adeguata alle attuali esigenze del mercato.

La collocazione internazionale della Rai – peral-tro prevista dall’ordinamento e dalla convenzione stipulata con la Presidenza del Consiglio dei ministri – è imperniata su un genere di programmazione fina-lizzato prevalentemente al mantenimento dell’iden-tità culturale nazionale e della memoria del paese; la

proposta editoriale non appare proiettata verso una concreta penetrazione commerciale di nuovi mercati e nella direzione dello sviluppo di iniziative impren-ditoriali in grado di accrescere la conoscenza e la dif-fusione del sistema Italia.

A ciò si aggiungano le difficoltà di esportazione di talune produzioni, in particolare cinema e fiction, non solo per la loro caratterizzazione prettamente na-zionale, anche in termini di formato, in un mercato connotato da palinsesti internazionali che privilegia-no modelli a lunga serialità, ma anche tenuto con-to del vincolo costituito dalla disponibilità dei dirit-ti per trasmettere al di fuori del territorio nazionale.

La più pregnante presenza internazionale della Rai, quindi, può realizzarsi con il miglioramento del-la proposta televisiva, arricchendo il palinsesto con programmi destinati non solo alle comunità italiane, ma alla più ampia platea interessata al sistema Italia.

Per quanto riguarda la produzione, si devono se-gnalare gli elevati costi riconducibili al festival di Sanremo, pur prendendo atto che la concessionaria, per l’edizione 2013, ha affrontato oneri nettamente inferiori a quelli sostenuti nelle precedenti manife-stazioni.

Anche per la fiction, che rappresenta il prodotto pregiato del palinsesto della società, i costi affrontati sono risultati significativi.

Al riguardo si segnala la necessità di coniugare le tematiche oggetto del racconto con l’esigenza di pre-servare adeguati livelli di share con investimenti che ne giustifichino la produzione in un contesto caratte-rizzato da un proficuo contenimento dei costi (ridu-zione dei tempi di lavorazione, in linea con le pro-duzioni delle altri emittenti, efficace politica di mo-ral suasion per una sostanziale diminuzione dei co-sti degli artisti).

Un cenno merita il contratto di servizio, strumen-to di disciplina degli obblighi del servizio pubbli-co gravanti sulla concessionaria e, al contempo, se-de per assicurare la copertura dei costi per lo svolgi-mento del servizio stesso.

Premesso che detto accordo non risulta ancora stipulato per il triennio 2013-2015, per cui continua a trovare applicazione il precedente contratto scadu-to nel 2012, è opportuno raccomandare che in sede di rinnovo vengano chiaramente definite le attività di servizio pubblico e le correlate risorse da rapportare alla consistenza dei compiti affidati alla concessiona-ria, che, sulla base della vigente normativa, proven-gono dagli introiti da canone e dalla parte della rac-colta pubblicitaria da esporre nel pertinente aggrega-to della contabilità separata.

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Con riferimento alla contabilità separata, si de-ve segnalare che nel 2013 ha evidenziato una chiu-sura in pareggio, esito mai registrato dalla sua intro-duzione avvenuta nel 2005. La Corte ribadisce il giu-dizio, espresso nei precedenti referti, secondo cui il modello della contabilità stessa, sicuramente vali-do per evidenziare finanziamenti pubblici superiori al costo complessivo sostenuto dalla concessionaria per lo svolgimento del servizio pubblico, non pos-sa essere assunto quale strumento unico ed esclusivo per determinare la misura del canone radiotelevisi-vo; ciò in quanto alcuni valori in essa contenuti pro-vengono da procedure basate sull’applicazione di pa-rametri numerici e sull’ipotetica applicazione di vin-coli normativi previsti per la generalità degli opera-tori del settore.

Nella prospettiva illustrata nel piano industria-le della società, dell’insorgenza, nell’immediato fu-turo, di gravi difficoltà per il perseguimento dell’e-quilibrio di bilancio, a causa soprattutto della previ-sta riduzione dei ricavi pubblicitari, la Rai ha valuta-to, in linea con quanto rilevato da questa Corte, al fi-ne del contenimento dei costi della produzione, l’op-portunità di porre in liquidazione o incorporare talu-ne società controllate, in rapporto al perseguimento dei propri scopi, trasferendo alle sue strutture le atti-vità svolte dalle società soppresse.

Il nuovo assetto organizzativo, ad avviso della so-cietà, persegue il fine di ridurre il numero delle struttu-re creando idonei presidi di governo e controllo.

Si tratta di operazioni la cui motivazione strate-gica risiede nella necessità di agevolare il coordina-mento gestionale delle attività che la separazione so-cietaria rende difficoltoso, generando inefficienze or-ganizzative e di processo.

La Corte, pur costatando la diminuzione delle so-cietà (da 8 società nel 2010 a 5 nel 2013) rappresenta la necessità di una rigorosa verifica della loro attuale necessità nel contesto di un proficuo contributo del-le stesse nel perseguimento degli interessi della ca-pogruppo, avuto anche riguardo alla circostanza che, in termini di valore aggiunto, l’apporto complessivo delle controllate appare assai modesto, in quanto, ad eccezione di Rai pubblicità, la quasi totalità del fat-turato è verso la Rai, come emerge dai risultati del conto economico consolidato, senza alcuna signifi-cativa espansione all’esterno del perimetro delle pro-prie attività, in modo da conseguire ricavi al di fuori di quelli derivanti dalle commesse della capogruppo.

Si ribadisce, poi, la necessità che l’azienda atti-vi comunque ogni misura organizzativa, di processo e gestionale idonea ad eliminare residue inefficienze

e sprechi, proseguendo, laddove possibile e conve-niente, nel percorso di internalizzazione delle attivi-tà e concentrando gli impegni finanziari sulle priorità effettivamente strategiche, con decisioni di spesa che siano – singolarmente e nel loro complesso – stretta-mente coerenti con il quadro di riferimento.

Nell’attuale panorama economico è necessario pianificare un sostanziale contenimento dei costi, so-prattutto quelli della produzione, avuto riguardo al contesto nel quale si inscrive l’attività della Rai e, quindi, tenendo conto delle reali entrate.

Sebbene l’esito della gestione del 2013 sia stato in generale positivo, si deve segnalare, pur prenden-do atto che si tratta di eventi riconducibili agli eser-cizi successivi, l’impatto sui conti della concessiona-ria derivante dall’entrata in vigore del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89 “Misure urgenti per la competi-tività e la giustizia sociale”, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 17 dicembre 2013 in ma-teria di canone radiotelevisivo e della l. 23 dicem-bre 2014, n. 190, recante “Disposizioni per la forma-zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (legge di stabilità 2015).

Per quanto concerne la gestione 2014, l’inciden-za sui conti della concessionaria derivante da det-ti provvedimenti, ad eccezione di quello recato dal-la legge di stabilità che trova applicazione nell’anno 2015, appare notevole non solo per la minore entrata (150 mln) derivante dalla riscossione del canone ra-diotelevisivo e dal mancato adeguamento della mi-sura unitaria del canone stesso (oltre 20 mln), ma an-che per la situazione di riduzione dei ricavi, che ne-gli anni passati aveva attinto quasi esclusivamente le entrate provenienti dalla pubblicità, e che negli eser-cizi 2014 e seguenti potrebbe interessare, verosimil-mente, anche le entrate da canone avuto riguardo al minor numero di nuovi utenti rispetto al passato, al-la incrementata morosità e all’alto tasso di evasione, fenomeni rilevati già nel 2013 e che non sembrano avere natura episodica.

Nel delineato contesto si deve rammentare che l’anno 2014 sarà caratterizzato da maggiori costi per i grandi eventi sportivi e che gli altri ricavi non sem-brano suscettibili di ulteriore espansione.

Sul versante di tamponamento della descritta si-tuazione milita la vendita di una quota di minoranza del pacchetto azionario di RaiWay s.p.a.

L’esito dell’operazione, in termini di totale o par-ziale neutralizzazione delle descritte riduzioni dei ri-cavi, formerà oggetto della relazione al Parlamento per la gestione 2014.

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Ciò che preme rilevare in questa sede è che la ne-cessità di un vigoroso contenimento dei costi, pre-sente ancor prima dell’entrata in vigore dei richia-mati provvedimenti al fine di un efficace risanamen-to dei conti della concessionaria, in presenza di rica-vi in calo caratterizzati da una strutturale rigidità, si pone ora con il carattere della improcrastinabilità e assoluta centralità.

44 – Sezione controllo enti; determinazione 28 apri-le 2015; Pres. (f.f.) Bove, Rel. Scotti; Fondazio-ni lirico-sinfoniche.

Enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria – Fondazioni lirico-sinfoniche – Gestione finan-ziaria 2013 – Relazione al Parlamento.

L. 21 marzo 1958 n. 259, partecipazione della Cor-te dei conti al controllo sulla gestione finanziaria de-gli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, artt. 2, 7; d.l. 8 agosto 2013 n. 91, convertito con mo-dificazioni dalla l. 7 ottobre 2013 n. 112, disposizio-ni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo, art. 11; d.l. 31 maggio 2014 n. 83, convertito con modifica-zioni dalla l. 29 luglio 2014 n. 106, disposizioni ur-genti per la tutela del patrimonio culturale, lo svilup-po della cultura e il rilancio del turismo, art. 5.

La relazione riferisce al Parlamento in merito ai risultati del controllo eseguito sulla gestione finan-ziaria delle quattordici fondazioni lirico-sinfoniche per l’esercizio finanziario 2013.

Le fondazioni dipendono quasi totalmente, con qualche eccezione, da contributi pubblici, spesso erogati, per la parte relativa alle regioni e agli en-ti locali. I ritardi nell’erogazione dei contributi, con la conseguente necessità di contrarre mutui e antici-pazioni bancarie, hanno determinato, nel tempo, ri-levanti esposizioni debitorie, che, coniugate alle per-dite di esercizio, rendono problematico il raggiun-gimento dell’equilibrio strutturale imposto dal d.l. n. 91/2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 112/2013 (c.d. “decreto Valore cultura”).

La partecipazione finanziaria dei privati e de-gli sponsor all’attività delle fondazioni è stata, fino-ra, generalmente limitata, anche per la tradiziona-le assenza di un’efficace politica pubblica di incenti-vazione, che la recente istituzione dell’“Art bonus” (previsto dal d.l. n. 83/2014, convertito con modifi-cazioni dalla l. n. 106/2014) si propone di avviare, con l’obbiettivo del risanamento delle fondazioni li-

rico-sinfoniche e del rilancio del sistema nazionale musicale di eccellenza.

I ricavi da biglietteria e abbonamenti, modesti e non rapportabili all’importanza della tradizione mu-sicale italiana e dei singoli territori, indicano una insufficiente attenzione alla necessità di promuovere azioni efficienti di promozione, soprattutto nei con-fronti delle generazioni più giovani, volte ad amplia-re il bacino di utenza.

I costi strutturali eccessivi, specie per quanto concerne gli oneri di personale e le nuove produzio-ni artistiche, non risultano sufficientemente ammor-tizzati da un adeguato numero di rappresentazioni e non sono facilmente comprimibili senza compromet-terne la qualità, in genere molto elevata. Un mag-gior ricorso al repertorio e alla valorizzazione del-le risorse interne e delle coproduzioni potrebbe con-tribuire a un migliore rapporto tra costi e ricavi, so-prattutto per le fondazioni di minore dimensione.

Le criticità che emergono soprattutto dai bilan-ci delle fondazioni sottoposte a piani di risanamen-to – previsti dalla l. n. 112/2013 per il triennio 2014-2016 – pongono interrogativi sullo stato e le prospet-tive dei teatri d’opera. Gli effetti delle procedure di risanamento potranno essere, comunque, più ade-guatamente valutati a partire dall’esercizio finanzia-rio 2014. (1)

Parte I – L’ordinamento delle fondazioni liri-co-sinfoniche1. Le fondazioni lirico-sinfoniche. Primi interventi di riorganizzazione e risanamento

Gli “enti autonomi lirici e le istituzioni concer-

(1) Il testo integrale della relazione è consultabile in www.corteconti.it.

Sulla “certificazione” del “contratto integrativo azienda-le” del personale dipendente dalla fondazione lirico-sinfonica Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Toscana, 14 aprile 2014 n. 23, in questa Rivista, 2014, fasc. 1-2, 130, con nota di richiami.

In dottrina, sulle fondazioni lirico-sinfoniche, anche con riferimento alla sentenza Corte cost., 21 aprile 2011, n. 153, cit. in motivazione, v. M. Veronelli, Il risanamento delle fondazio-ni lirico-sinfoniche e il rilancio del sistema nazionale musica-le di eccellenza, in Dir. e pratica amm., 2013, fasc. 11, 20; A.D. Conte, La natura pubblico-privata delle fondazioni lirico-sin-foniche: una questione malposta, in Riv. critica dir. lav. priva-to e pubbl., 2012, 895; F. Santonastaso, Riorganizzazione legi-slativa delle fondazioni nel settore lirico-sinfonico e qualifica-zione pubblicistica. Verso una tecnica legislativa delle priva-tizzazioni non più affidata alla sola “magia delle parole?, in Giur. cost., 2011, 3252; A. Isoni, Le fondazioni lirico-sinfoni-che nella repubblica delle autonomie, ibidem, 3712.

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tistiche assimilate” (1) sono stati disciplinati dalla l. 14 agosto 1967, n. 800 che, dichiarando il “rilevante interesse generale” dell’attività lirica e concertistica, statuiva per i predetti organismi l’attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico e la sottopo-sizione alla vigilanza dell’autorità di governo.

In tale prospettiva venivano garantite attraverso l’intervento statale idonee provvidenze per la tutela e lo sviluppo dell’attività lirica, garantite poi a regi-me con il Fondo unico per lo spettacolo (Fus), istitu-ito con l. 30 aprile 1985, n. 163.

Con il d.l. 11 settembre 1987, n. 374, come con-vertito dalla l. 29 ottobre 1987, n. 450, il legislatore, considerata la perdurante precarietà della situazione finanziaria degli enti, introduceva norme per il con-tenimento dei disavanzi, prevedendo lo scioglimento dei consigli di amministrazione inadempienti.

Con il d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 e i successi-vi provvedimenti modificativi ed integrativi gli enti operanti nel settore musicale sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato per favorire il coinvol-gimento dei privati nella gestione delle relative atti-vità, reperire risorse aggiuntive al finanziamento sta-tale e imporre criteri di imprenditorialità ed efficien-za nel rispetto dei vincoli di bilancio (2). (Omissis)

(1) L’art. 6 l. n. 800/1967 riconosceva come enti autonomi 11 teatri lirici (i Teatri comunali di Bologna, Firenze, Genova e di Trieste, il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro Massimo di Palermo, il Teatro dell’Opera di Roma, il Teatro Regio di Torino, il Teatro La Fenice di Ve-nezia e l’Arena di Verona) e dichiarava l’Accademia naziona-le di Santa Cecilia e l’istituzione dei concerti e del Teatro liri-co Giovanni Pierluigi da Palestrina di Cagliari istituzioni con-certistiche assimilate. L’art. 1 l. 11 novembre 2003, n. 310 ha poi previsto la costituzione della Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e teatri di Bari.

(2) Il d.lgs. n. 367/1996, così come successivamente mo-dificato ed integrato, in sintesi:

- stabilisce che le fondazioni perseguono senza scopo di lucro la diffusione dell’arte musicale, provvedono diretta-mente alla gestione dei teatri e possono svolgere attività com-merciali ed accessorie, operando secondo criteri di imprendi-torialità ed efficienza e nel rispetto del vincolo di bilancio (art. 3);

- regola il procedimento di trasformazione in fondazioni di diritto privato (artt. 4-8), disciplina il contenuto degli statu-ti, prevedendo che i soggetti privati non possono apportare complessivamente più del 40 per cento del patrimonio dell’en-te, potendo nominare un rappresentante nel consiglio qualora, come singoli o cumulativamente, assicurino per almeno due anni consecutivi un apporto annuo non inferiore all’otto per cento del totale dei finanziamenti; la permanenza del rappre-sentante è peraltro comunque subordinata all’erogazione dell’apporto annuo per la gestione dell’ente (art. 10);

- regolamenta (artt. 11-14) le funzioni degli organi di ge-

Un importante intervento di sistematica revisione dell’organizzazione e del funzionamento delle fon-dazioni lirico-sinfoniche è stato compiuto con il d.l. 30 aprile 2010, n. 64, convertito con modificazioni dalla l. 29 giugno 2010, n. 100. Il provvedimento è stato oggetto di esame da parte della Consulta, che con sentenza n. 153/2011 ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art 1 del decreto legge, promosse dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, c. 3, 118 e 120 Cost., non-ché al principio di leale collaborazione (8).

Il decreto ha tra l’altro disciplinato il procedi-mento di contrattazione collettiva (art. 2), preveden-do la sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro da parte di una delegazione individuata dal-

stione delle fondazioni (presidente, consiglio di amministra-zione, sovrintendente, collegio dei revisori);

- detta norme in tema di patrimonio e gestione, stabilendo il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria (art. 15) e la vigilanza dell’autorità di governo competente per lo spettacolo (art. 19); nonché in materia di scritture contabili e bilancio (art. 16), di adempimenti tributari (art. 25) e di contri-buti statali (art. 24), determinando il riparto della quota del Fus in relazione alla quantità e qualità della produzione offer-ta e tenendo conto degli interventi di riduzione delle spese;

- prescrive gli impegni che le fondazioni devono assume-re per conservare i diritti e le prerogative riconosciuti dalle leggi (art. 17), prevedendo i regimi di decadenza (art. 18), in-solvenza (art. 20) e di amministrazione straordinaria (art. 21), stabilendo che il Ministro per i beni e le attività culturali può disporre lo scioglimento del consiglio in caso di gravi irrego-larità amministrative, o gravi violazioni di norme, o bilancio preventivo in perdita. Lo scioglimento è invece obbligatorio qualora il conto economico registri per due esercizi consecuti-vi una perdita superiore al 30 per cento del patrimonio o qua-lora quest’ultimo subisca perdite di analoga gravità;

- dispone in tema di rapporti di lavoro dei dipendenti del-le fondazioni, le cui retribuzioni sono determinate dal contrat-to collettivo nazionale (art. 22), nonché in materia di costitu-zione in forma organizzativa autonoma di corpi artistici (art. 23).

(8) La Corte ha in merito argomentato che la dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito, nonché il ricono-scimento della “missione” di tutela dei valori costituzional-mente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul ver-sante operativo, che le attività svolte dalle fondazioni liri-co-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dalla lett. g) del c. 2 dell’art. 117 Cost., a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l’impianto organizzativo. Pertanto gli interventi di riassetto ordinamentale ed organizzativo prefigurati dal censurato art. 1 – incidendo profondamente in un settore dominato da sogget-ti che realizzano finalità dello Stato – devono essere ascritti al-la materia “ordinamento e organizzazione amministrativa de-gli enti pubblici nazionali”, di competenza esclusiva statale ex art. 117, c. 2, lett. g), Cost.

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le fondazioni lirico-sinfoniche, che si avvale dell’A-genzia per la rappresentanza negoziale nelle pubbli-che amministrazioni (Aran), e dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavora-tori dipendenti dalle stesse fondazioni. Le competen-ze inerenti alla contrattazione del personale dipen-dente sono esercitate dal Ministro dei beni e delle le attività culturali e del turismo (Mibact), e l’accordo è sottoposto al controllo della Corte dei conti, previo parere del Dipartimento della funzione pubblica del-la Presidenza del Consiglio dei ministri e del Mini-stero dell’economia e delle finanze (Mef).

L’art. 3 ha disposto in materia di personale dipen-dente, dettando in primis una nuova disciplina in ma-teria di attività di lavoro autonomo, che il personale dipendente può svolgere, previa autorizzazione del sovrintendente, per prestazioni di alto valore artisti-co e professionale, nei limiti e con le modalità previ-ste dal contratto nazionale di lavoro e secondo i crite-ri determinati in sede di contratto aziendale, sempre che ciò non pregiudichi le esigenze produttive del-la fondazione. Tra le numerose previsioni, si richia-mano quelle che vietano tutte le prestazioni di lavoro autonomo rese dal personale dipendente a decorrere dall’1 gennaio 2012, nonché, fatte salve alcune ipo-tesi, le assunzioni a tempo indeterminato fino al 31 dicembre 2011, stabilendo che le stesse sono possi-bili dal 2012 entro i limiti indicati; sono posti inoltre limiti per le assunzioni a tempo determinato, consen-tendo il ricorso a tipologie contrattuali flessibili (9). L’età pensionabile dei ballerini e dei tersicorei viene ridotta a 45 anni, consentendo per un biennio la pos-sibilità a chi ha raggiunto o superato l’età pensiona-bile di esercitare un’opzione per restare in servizio. (Omissis)

A fine 2012 il d.p.r. n. 117/2011 è stato annulla-to con sentenza del Tar Lazio n. 10262/2012, in ra-gione del mancato coinvolgimento delle organizza-zioni sindacali durante il procedimento di adozione dell’atto. Il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha successi-vamente confermato la decisione di I grado con sen-tenza n. 3119/2013.

Il suddetto decreto ha comunque trovato applica-zione nell’anno 2012.

Al fine di fronteggiare lo stato di crisi delle fon-dazioni lirico-sinfoniche e di salvaguardarne i lavo-ratori, l’art. 11, c. 17, d.l. 28 giugno 2013, n. 76, con-vertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 99, ha poi autorizza-to il Ministero dei beni e delle attività culturali e del

(9) Specifica disciplina sempre in materia di assunzioni è dettata per la Fondazione Petruzzelli e teatri di Bari.

turismo, per l’anno 2013, ad erogare tutte le somme residue a valere sul Fondo unico dello spettacolo di cui alla l. 30 aprile 1985, n. 163, e successive modifi-cazioni, a favore delle fondazioni medesime.

2. Le disposizioni per il risanamento e il rilancio del settore introdotte dai decreti Valore cultura e Art bo-nus.

Con il d.l. 8 agosto 2013, n. 91, convertito con modificazioni dalla l. 7 ottobre 2013, n. 112 (c.d. “Valore cultura”), il legislatore è intervenuto intro-ducendo una articolata disciplina indirizzata al risa-namento delle fondazioni lirico-sinfoniche e al ri-lancio del sistema nazionale musicale di eccellenza. Il provvedimento è stato poi in parte modificato dal successivo d.l. 31 maggio 2014, n. 83, come conver-tito dalla l. 29 luglio 2014, n. 106 (c.d. “Art bonus”).

2.1. I piani di risanamento e il commissario straor-dinario

Il c. 1 dell’art. 11 della l. 112 cit., in particolare, ha previsto che le fondazioni che siano o siano state in regime di amministrazione straordinaria nel corso degli ultimi due esercizi, ma non abbiano terminato la ricapitalizzazione, ovvero non possano far fronte ai debiti certi ed esigibili, devono presentare un pia-no di risanamento, idoneo ad assicurare gli equilibri strutturali del bilancio, sia sotto il profilo patrimo-niale che economico-finanziario, entro i tre successi-vi esercizi finanziari, ad un commissario straordina-rio appositamente istituito presso il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo con comprova-ta esperienza di risanamento nel settore artistico-cul-turale (10).

I contenuti del piano devono inderogabilmente comprendere:

a) la rinegoziazione e ristrutturazione del debito della fondazione;

b) l’indicazione della contribuzione a carico de-gli enti diversi dallo Stato partecipanti alla fondazio-ne;

c) la riduzione della dotazione organica del per-sonale tecnico e amministrativo fino al 50 per cento di quella in essere al 31 dicembre 2012 e una razio-nalizzazione del personale artistico;

(10) Il commissario straordinario del governo per il risa-namento delle gestioni e il rilancio delle attività delle fonda-zioni lirico-sinfoniche, ai sensi dell’art. 11, c. 3, d.l. n. 91/2013 è stato nominato con decreto del Ministro dei beni e delle atti-vità culturali e del turismo di concerto con il Ministro dell’e-conomia e delle finanze del 17 gennaio 2014 (decorrenza dal 22 novembre 2013).

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d) il divieto di ricorrere a nuovo indebitamento, per il periodo 2014-2016;

e) l’entità del finanziamento dello Stato richiesto per contribuire all’ammortamento del debito;

f) l’individuazione di soluzioni idonee, compa-tibili con gli strumenti previsti dalle leggi di riferi-mento del settore, a riportare la fondazione, entro i tre esercizi finanziari successivi, nelle condizioni di attivo patrimoniale e almeno di equilibrio del con-to economico;

g) la cessazione dell’efficacia dei contratti inte-grativi aziendali in vigore e l’applicazione esclusiva degli istituti giuridici e dei livelli minimi delle voci del trattamento economico fondamentale e accesso-rio previsti dal vigente contratto collettivo naziona-le di lavoro. Il d.l. 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2014, n. 106 ha, inoltre, previsto la possibilità per le fondazioni che hanno presentato il piano di risanamento di negozia-re ed applicare nuovi contratti integrativi aziendali, compatibili con i vincoli finanziari stabiliti dal piano, purché tali nuovi contratti prevedano l’assorbimento senza ulteriori costi per la fondazione di ogni even-tuale incremento del trattamento economico conse-guente al rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro (c.c.n.l.) e fermo restando il controllo del-la Corte dei conti;

g-bis) la verifica da parte del legale rappresentan-te che nel corso degli anni non siano stati corrispo-sti interessi anatocistici agli istituti bancari che han-no concesso affidamenti.

I piani di risanamento, corredati di tutti gli atti necessari a dare dimostrazione della loro attendibi-lità, della fattibilità e appropriatezza delle scelte ef-fettuate, nonché dell’accordo raggiunto con le asso-ciazioni sindacali maggiormente rappresentative in ordine alle questioni relative al personale, sono ap-provati, su proposta motivata del commissario stra-ordinario, sentito il collegio dei revisori dei conti, con decreto del Mibact, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Va evidenziato che la mancata presentazione o approvazione del piano di risanamento, ovvero il mancato raggiungimento entro l’esercizio 2016 del-le condizioni di equilibrio strutturale del bilancio, sia sotto il profilo patrimoniale che economico-finanzia-rio, del conto economico comporta, in base al dispo-sto del c. 14, la liquidazione coatta amministrativa della fondazione lirico-sinfonica.

Le fondazioni possono accedere, per l’anno 2014, ad un fondo di rotazione pari a 75 milioni – incrementato di 50 milioni dall’art. 5, c. 6, l. n.

106/2014 (11) – per la concessione di finanziamen-ti di durata fino a un massimo di trenta anni. L’ero-gazione avviene sulla base di un contratto-tipo, ap-provato dallo stesso Mef, nel quale sono indicati il tasso di interesse sui finanziamenti, le misure di co-pertura annuale del rimborso del finanziamento, le modalità di erogazione e di restituzione delle pre-dette somme.

In relazione all’annualità 2013 il decreto ha sta-bilito una quota pari ad un massimo di 25 milioni, da anticiparsi dal Mibact, su indicazione del commissa-rio straordinario, a favore di quelle fondazioni liri-co-sinfoniche in situazione di carenza di liquidità ta-le da pregiudicare anche la gestione ordinaria.

Per ricevere tali anticipazioni, le fondazioni de-vono comunicare al Mibact e al Mef l’avvio della ne-goziazione per la ristrutturazione del debito, l’avvio delle procedure per la riduzione della dotazione or-ganica del personale tecnico e amministrativo e la ra-zionalizzazione di quello artistico, nonché la conclu-sione dell’accordo di ristrutturazione, da inserire nel piano di risanamento.

Il commissario straordinario del governo riceve i piani di risanamento, e ne valuta, d’intesa con le fon-dazioni, eventuali modifiche e integrazioni, anche definendo criteri e modalità per la rinegoziazione e la ristrutturazione del debito. Eventuali modifiche in-cidenti sulle questioni relative al personale sono ri-negoziate dalla fondazione con le associazioni sinda-cali maggiormente rappresentative; propone quindi i piani di risanamento all’approvazione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Ministro dell’economia e delle finanze, previa verifi-ca della loro adeguatezza e sostenibilità; sovrintende all’attuazione dei piani ed effettua un monitoraggio semestrale dello stato di attuazione degli stessi, re-digendo un’apposita relazione da trasmettere al Mi-bact, al Mef e alla competente sezione della Corte dei conti; può richiedere l’aggiornamento dei piani con le integrazioni e le modifiche necessarie al fine del conseguimento degli obiettivi prefissati; assicu-ra il rispetto del cronoprogramma delle azioni di ri-sanamento previsto dai piani approvati; infine, senti-ti i ministeri interessati, previa diffida a provvedere

(11) All’incremento del fondo di rotazione di 50 milioni si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizza-zione di spesa di cui all’art. 1, c. 10, d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla l. 6 giugno 2013, n. 64, uti-lizzando la dotazione per l’anno 2014 della “Sezione per assi-curare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari”.

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entro un termine non superiore a 15 giorni, può adot-tare atti e provvedimenti anche in via sostitutiva, al fine di assicurare la coerenza delle azioni di risana-mento con i piani approvati.

2.2. Gli adeguamenti statutari e la nuova struttura organizzativa

Le fondazioni lirico-sinfoniche devono adegua-re i propri statuti entro il 31 dicembre 2014 (12). Il mancato adeguamento nei termini indicati determi-na l’applicazione delle procedure di amministrazio-ne straordinaria.

Le nuove disposizioni statutarie si applicano a decorrere dall’1 gennaio 2015; si prevede, tuttavia, che, in caso di rinnovo degli organi in scadenza, l’en-trata in vigore dei nuovi statuti può essere anticipata. Resta, pertanto, medio tempore, in vigore la normati-va preesistente, in particolare, delle disposizioni del d.lgs. n. 367/1996, in quanto compatibile con le nuo-ve previsioni (13).

In particolare, i nuovi statuti devono prevedere una struttura organizzativa articolata nei seguenti or-gani, della durata di cinque anni:

1) il presidente, nella persona del sindaco del co-mune nel quale ha sede la fondazione – ovvero di persona da lui nominata – con funzioni di rappre-sentanza giuridica della fondazione. La disposizio-ne non si applica alla Fondazione dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, che è presieduta dal pre-sidente dell’accademia stessa, il quale svolge anche funzioni di sovrintendente;

(12) Il termine fissato al 30 giugno dal d.l. n. 91/2013, convertito dalla l. n. 112/ 2013 (c.d. “Valore cultura”) è stato modificato dal successivo d.l. n. 83/2014, convertito dalla l. n. 106/2014 (c.d. Art bonus).

(13) Per una dettagliata analisi delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 367/1996 relative agli statuti e agli organi si rinvia alla relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione fi-nanziaria delle fondazioni lirico-sinfoniche per gli esercizi dal 2007 al 2010, parte I, cap. 2 e 3. In sintesi, la struttura organiz-zativa ordinaria delle fondazioni è composta da presidente, con-siglio di amministrazione, sovrintendente e collegio dei reviso-ri dei conti. Il consiglio di amministrazione, presieduto dal pre-sidente, nella persona del sindaco pro tempore del comune nel quale ha sede la fondazione, varia da un minimo di sette ad un massimo di nove membri, che durano in carica quattro anni, ed ha i poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria. Il so-vrintendente, che rappresenta l’organo di collegamento tra il consiglio e la struttura operativa della fondazione, è dotato di ampi poteri nella gestione amministrativa e contabile e nella at-tività di produzione artistica. Infine, il collegio dei revisori dei conti si compone di tre membri effettivi ed uno supplente, che rimangono in carica quattro anni, ed è presieduto dal rappresen-tante del Ministero dell’economia e delle finanze.

2) il consiglio di indirizzo, composto dal presi-dente e dai membri designati da ciascuno dei fonda-tori pubblici e dai soci privati che, anche in associa-zione fra loro, versino almeno il cinque per cento del contributo erogato dallo Stato. È inoltre stabilito che il numero dei componenti non può comunque esse-re superiore a sette, e che la maggioranza in ogni ca-so deve essere costituita da membri designati da fon-datori pubblici. In base a quanto ha successivamente disposto l’art. 1, c. 327, l. n. 147/2013 (legge di sta-bilità 2014), fa eccezione la Fondazione Teatro alla Scala, per la quale le funzioni di indirizzo sono svol-te dal consiglio di amministrazione.

Va posto in evidenza che, per il disposto del suc-cessivo c. 17, il consiglio di indirizzo deve assicura-re il pareggio del bilancio, e la violazione di tale ob-bligo comporta la responsabilità personale prevista per i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, dall’art. 1 l. n. 20/1994.

3) Il sovrintendente, quale unico organo di ge-stione, nominato dal Ministro dei beni e delle attivi-tà culturali e del turismo, su proposta del consiglio di indirizzo; il sovrintendente può essere coadiuva-to da un direttore artistico e da un direttore ammi-nistrativo.

4) Il collegio dei revisori dei conti, composto da tre membri, di cui uno, con funzioni di presidente, designato dal presidente della Corte dei conti fra i magistrati della Corte, e uno in rappresentanza, ri-spettivamente, di Mef e Mibact. L’incarico dei mem-bri del collegio è rinnovabile per non più di due man-dati.

I nuovi statuti devono disporre che la partecipa-zione dei soci privati avvenga in proporzione agli apporti finanziari alla gestione o al patrimonio della fondazione, comunque non inferiori al tre per cento; infine il patrimonio deve essere articolato in un fon-do di dotazione, indisponibile e vincolato al perse-guimento delle finalità statutarie, e in un fondo di ge-stione, destinato alle spese correnti dell’ente.

2.3. I contratti di lavoroIl decreto “Valore cultura” è intervenuto anche

in materia di contratti di lavoro, in particolare per le fondazioni sottoposte a piano di risanamento.

Il c. 19 dell’art. 11 del decreto stabilisce, infat-ti, che il contratto di lavoro subordinato a tempo in-determinato presso le fondazioni lirico-sinfoniche è instaurato esclusivamente a mezzo di apposite pro-cedure selettive pubbliche. Inoltre per la certifica-zione, le conseguenti verifiche e le relative riduzio-

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ni del trattamento economico delle assenze per ma-lattia o per infortunio non sul lavoro, si applicano le disposizioni vigenti per il pubblico impiego. Nuo-va è anche la modalità di sottoscrizione del contrat-to aziendale di lavoro. In sostanza, pur adeguandosi alle prescrizioni del contratto di lavoro, ogni fonda-zione sottoscrive il proprio contratto aziendale con le proprie organizzazioni sindacali interne indican-do in modo chiaro la quantificazione dei costi con-trattuali. Tale accordo, per entrare in vigore, deve avere l’approvazione della Corte dei conti che en-tro 30 giorni certifica l’attendibilità dei costi quan-tificati e la loro compatibilità con il bilancio della fondazione. Se la Corte dei conti approva o non si esprime negativamente, l’ipotesi di accordo è tra-smessa al Ministero dei beni e delle attività cultura-li e del turismo e al Ministero dell’economia e del-le finanze che autorizzano la fondazione a sottoscri-vere definitivamente l’accordo. In caso negativo, la fondazione deve riaprire la trattativa con i sindaca-ti e riavviare l’iter.

Entro il 30 settembre 2014 le fondazioni devo-no rideterminare l’organico necessario all’attività da realizzare nel triennio successivo, con apposita deli-bera dell’organo di indirizzo, garantendo l’equilibrio economico-finanziario e la copertura degli oneri del-la dotazione organica con risorse aventi carattere di certezza e stabilità.

L’art. 5, c. 1, lett. b), l. n. 106/2014 dispone che all’eventuale personale in esubero delle fondazio-ni lirico-sinfoniche, dopo la rideterminazione del-le dotazioni organiche, fermo restando il divieto di procedere a nuove assunzioni a tempo indetermi-nato, è estesa l’applicazione dell’art. 2, c. 11, lett. a), d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modi-ficazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, ivi com-prese le disposizioni in materia di liquidazione del trattamento di fine rapporto comunque denomina-to. Il personale amministrativo e tecnico dipendente a tempo indeterminato che risulti ancora ecceden-te, è assunto a tempo indeterminato, tramite pro-cedure di mobilità avviate dalla fondazione, dalla società Ales s.p.a. (14), in base alle proprie esigen-ze produttive nei limiti della sostenibilità finanzia-ria consentita dal proprio bilancio e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, previa pro-va d’idoneità finalizzata all’individuazione dell’in-

(14) L’Ales (“Arte, lavoro e servizi per la tutela del patri-monio culturale italiano”) è società in house del Mibact, costi-tuita nel 1997 con finalità di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e di supporto agli uffici tecnico am-ministrativi del ministero.

quadramento nelle posizioni disponibili, applican-do al personale assunto la disciplina anche sindaca-le in vigore presso Ales s.p.a.

Va, infine, registrato che in data 25 marzo 2014 è stato firmato dall’Associazione nazionale delle fonda-zioni lirico-sinfoniche e dai quattro principali sindaca-ti di categoria il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle fondazioni lirico-sin-foniche, che non veniva rinnovato dal 2006 (15).

2.4. Trattamento economico dei componenti degli organi e dei dipendenti delle fondazioni

Per quanto attiene la trasparenza dei costi per i ti-tolari di incarichi amministrativi ed artistici di verti-ce e di incarichi dirigenziali, nonché di collaborazio-ne o consulenza, l’art. 9 del decreto “Valore cultura” ha imposto, agli enti e gli organismi dello spettacolo, la pubblicazione e l’aggiornamento, entro il 31 gen-naio di ogni anno, delle informazioni relative ai com-pensi sostenuti, pena la mancata erogazione di qual-siasi somma sino alla comunicazione dell’avvenuto adempimento o aggiornamento.

Il c. 4 dell’art. 5 della l. n. 106/2014 adegua la misura del trattamento economico dei dipendenti, consulenti e collaboratori delle fondazioni lirico-sin-foniche, nonché – se previsto – di quello dei com-ponenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo, al limite massimo retributivo previsto per il trattamento economico annuo onnicomprensivo per chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche am-ministrazioni (art. 23-ter d.l. n. 201/2011). Tale limi-te massimo retributivo è stato quantificato, a decor-rere dall’1 maggio 2014 (ai sensi dell’art. 13, c. 1, d.l. n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89), in euro 240.000 (al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente).

La norma, inoltre, precisa che il limite indicato si riferisce al trattamento economico omnicomprensi-vo, incluso ogni trattamento accessorio riconosciu-to e allo stesso tempo stabilisce l’obbligo di adegua-re le disposizioni contrattuali di riferimento a decor-rere dalla data di entrata in vigore del provvedimen-to in esame.

2.5. Forme organizzative specialiL’art. 5, c. 1, lett. g), l. n. 106/2014 ha nuova-

(15) La validazione del contratto non è stata ancora perfe-zionata, a causa del parere negativo della Ragioneria generale dello Stato.

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mente modificato la disciplina per l’individuazio-ne delle fondazioni lirico-sinfoniche che posso-no dotarsi di forme organizzative speciali, abrogan-do le disposizioni introdotte con l’art. 1, c. 326, l. n. 147/2013 (16) e introducendo nell’art. 11 del d.l. n. 91/2013 il c. 21-bis.

In particolare, ha previsto che entro il 31 luglio 2014 avrebbero dovuto essere determinati, con de-creto di natura non regolamentare del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di con-certo con il Ministro dell’economia e delle finanze, i presupposti e i requisiti per l’individuazione delle fondazioni in questione (17). I criteri generali con-cernono la storia e la cultura operistica e sinfonica italiana, la funzione e la rilevanza internazionale, le capacità produttive, i rilevanti ricavi propri, il signi-ficativo e continuativo apporto finanziario di privati.

Per la concreta individuazione delle fondazioni è previsto l’intervento, entro il 31 ottobre 2014, di un decreto ministeriale, che è aggiornabile ogni tre anni.

Le fondazioni dotate di forme organizzative spe-ciali godono di una serie di benefici:

- a decorrere dal 2015 percepiscono una quota del Fus determinata percentualmente con valenza trien-nale, purché non versino in situazioni di difficoltà economico-patrimoniale;

- hanno la facoltà di stipulare autonomi contrat-ti di lavoro;

- adeguano gli statuti in deroga per quanto con-cerne la partecipazione dei soci privati, il consiglio di indirizzo, il sovrintendente.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha quindi firmato due decreti che riconosco-no il Teatro alla Scala (18) e l’Accademia di Santa Cecilia (19) quali fondazioni lirico-sinfoniche dotate di forma organizzativa speciale ai sensi del suddetto decreto interministeriale 6 novembre 2014 (20).

(16) La norma aveva previsto che le fondazioni dotate di forme organizzative speciali dovevano essere individuate di-rettamente con decreto interministeriale da emanare entro il 28 febbraio 2014.

(17) Il decreto ministeriale conseguentemente adottato è del 6 novembre 2014.

(18) Emanato il 5 gennaio 2015. Il decreto approva, inol-tre, il nuovo statuto della Fondazione Teatro alla Scala di Mi-lano proposto con deliberazione del consiglio di amministra-zione del 15 dicembre 2014.

(19) Emanato il 5 gennaio 2015. Il decreto, inoltre, appro-va il nuovo statuto della Fondazione Accademia nazionale di Santa Cecilia proposto con deliberazione del consiglio di am-ministrazione del 18 dicembre 2014.

(20) Sulla base del d.p.r. n. 117/2011 – emanato in attua-zione dell’art. 1, c. 1, lett. f), d.l. n. 64/2010 (l. n. 100/2010) –

3. Il Fondo unico per lo spettacolo (Fus)Il Fus, introdotto dall’art.1 l. 30 aprile 1985, n. 163

costituisce il meccanismo utilizzato per regolare l’in-tervento pubblico nel mondo dello spettacolo, e forni-re sostegno agli enti, associazioni, organismi e impre-se operanti nei settori del cinema, musica, teatro, cir-co e spettacolo viaggiante, nonché per la promozione e il sostegno di manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale, sia in Italia sia all’estero.

L’importo complessivo del Fus – allocato in di-versi capitoli, sia di parte corrente sia di parte capi-tale, dello stato di previsione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – viene annual-mente stabilito dalla legge di stabilità (tab. C) e suc-cessivamente ripartito, tra i diversi settori di cui so-pra, con un decreto del Ministro per i beni cultura-li e il turismo.

Ai sensi della legge istitutiva (l. n. 163/1985) il Fus è ripartito tra i diversi settori, in ragione di quo-te non inferiori al 45 per cento per le attività musica-li e di danza, al 25 per cento per le attività cinemato-grafiche, al 15 per cento per quelle del teatro di prosa e all’1 per cento per le attività circensi e dello spetta-colo viaggiante. I criteri per l’assegnazione dei con-tributi del Fus sono determinati con decreto ministe-riale d’intesa con la Conferenza unificata. (Omissis)

L’Osservatorio dello spettacolo (21), costituito

era già stata riconosciuta la forma organizzativa speciale all’Accademia di Santa Cecilia (d.m. 23 gennaio 2012) e al Teatro alla Scala (d.m. 16 aprile 2012). Il d.p.r. è stato poi an-nullato con sentenza del Tar Lazio (Sez. I, 7 dicembre 2012, n. 10262) confermata dal Consiglio di Stato (Sez. IV, 6 giugno 2013, n. 3119).

(21) L’Osservatorio dello spettacolo nasce con l’obiettivo di fornire al legislatore uno strumento di monitoraggio sul set-tore dello spettacolo. In particolare, ai sensi del combinato di-sposto dell’art. 5 l. 30 aprile 1985, n. 163 e dell’art. 11 d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233, l’Osservatorio dello spettacolo è istituito con i seguenti compiti:

- raccogliere ed aggiornare tutti i dati e le notizie relativi all’andamento dello spettacolo, nelle sue diverse forme, in Ita-lia e all’estero;

- acquisire tutti gli elementi di conoscenza sulla spesa an-nua complessiva in Italia, ivi compresa quella delle regioni e degli enti locali, e all’estero, destinata al sostegno e alla incen-tivazione dello spettacolo;

- elaborare i documenti di raccolta e analisi di tali dati e notizie, che consentano di individuare le linee di tendenza del-lo spettacolo nel suo complesso e dei singoli settori di esso sui mercati nazionali e internazionali.

Nel triennio 2009-2011, inoltre, l’Osservatorio ha assunto i seguenti impegni:

- l’attivazione di organici rapporti con gli osservatori re-gionali dello spettacolo, con l’intento di condividere metodi di

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presso il Mibact e inquadrato nella direzione gene-rale per gli spettacoli dal vivo, predispone, sulla ba-se degli indirizzi impartiti dal direttore generale per lo spettacolo dal vivo, la relazione annuale al Parla-mento che, ai sensi dell’art. 6 l. n. 163/1985, il Mi-nistro dei beni e delle attività culturali e del turismo è tenuto a presentare sull’utilizzo dei finanziamenti previsti dal Fus.

Il sostegno statale prevede la definizione rego-lamentare delle aliquote di riparto per ogni singolo settore dello spettacolo, e vari provvedimenti han-no integrato e/o modificato i criteri ed i meccanismi di assegnazione delle sovvenzioni, sempre nel qua-dro della legge fondamentale del settore, sino a di-stinguere la regolamentazione e l’assegnazione del-le sovvenzioni alle fondazioni lirico-sinfoniche da quelle per le attività musicali. (Omissis)

Il decreto legge “Valore cultura”, oltre a prevede-re per il 2014 l’istituzione presso il Mef di un fondo di rotazione pari a 75 milioni – incrementato di 50 milioni dall’art. 5, c. 6, l. n. 106/2014 – per la con-cessione di finanziamenti alle fondazioni lirico-sin-foniche di durata fino a un massimo di 30 anni e, per il 2013, l’anticipazione di una quota pari a 25 milio-ni per le fondazioni in situazione di carenza di liqui-dità tale da pregiudicare la gestione ordinaria (v. par 2.1, parte prima), ha stabilito nuovi criteri per la ri-partizione della quota del Fus destinata alle fonda-zioni lirico-sinfoniche.

raccolta di dati di comune interesse, di attivare una cabina di regia per valutare proposte, individuare obiettivi, elaborare criteri condivisi di azione e creare un sistema articolato di mo-nitoraggio delle attività e di valutazione sull’efficacia ed effi-cienza dell’intervento pubblico, con una osmosi e condivisio-ne di strumenti e di conoscenze che rappresentano un’esigen-za irrinunciabile nel prossimo futuro;

- la ricognizione sulla legislazione degli stati europei per lo spettacolo, quale strumento per operare un’analisi compara-ta sugli assetti e competenze istituzionali, sugli strumenti nor-mativi ed economici riconducibili alle attività di spettacolo. Lo studio può rappresentare l’occasione per attivare collabo-razioni, scambio di informazioni e sinergie operative con le istituzioni straniere e favorire la partecipazione permanente a reti e progetti comunitari sostenuti dall’Unione europea;

- una valutazione di ricerca di indicatori per l’analisi di impatto dei criteri statali di sostegno allo spettacolo dal vivo, attraverso l’individuazione degli indicatori in grado di eviden-ziare l’evoluzione e la dinamicità del sistema dell’offerta e di valutare il livello di ricaduta dell’intervento pubblico.

L’Osservatorio, inoltre, predispone, sulla base degli indi-rizzi impartiti dal direttore generale per lo spettacolo dal vivo, la relazione annuale al Parlamento che, ai sensi dell’art. 6 l. n. 163/1985, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del tu-rismo è tenuto a presentare sulla utilizzazione del Fus.

In particolare (art. 11, c. 20), a decorrere dal 2014, i criteri di ripartizione del Fus sono i seguenti:

a) il 50 per cento in relazione ai costi di produ-zione derivanti dai programmi di attività realizzati da ciascuna fondazione nell’anno precedente quello cui si riferisce la ripartizione, sulla base di indicatori di rilevazione della produzione;

b) il 25 per cento in considerazione del migliora-mento dei risultati della gestione attraverso la capa-cità di reperire risorse;

c) il 25 per cento in base alla qualità artistica dei programmi.

Il decreto (art. 11, c. 20-bis) ha, altresì, stabili-to che, per il triennio 2014-2016, una quota del 5 per cento del Fus destinato alle fondazioni lirico-sinfoni-che venga destinato, con un particolare procedimen-to individuato dal Mibact, solo alle fondazioni che abbiano raggiunto il pareggio di bilancio nei tre eser-cizi finanziari precedenti.

Il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 3 febbraio 2014, oltre a confermare i criteri generali e le percentuali di ripar-tizione del Fondo unico dello spettacolo stabiliti dal-la l. n. 112/2013 (26) ha, inoltre, previsto che, limi-tatamente al triennio 2014-2016, qualora nella sua applicazione vengano conseguiti risultati superiori al

(26) L’art. 2 ha previsto gli indicatori di rilevazione della produzione, stabilendo che sono espressi in punteggi (punti Fus) da attribuire alla produzione con riferimento a ciascuna singola rappresentazione o esecuzione, di cui la fondazione è intestataria, nelle seguenti misure:

a) per la lirica da un massimo di 12 a 7,5 punti; per le ma-nifestazioni costituite da opere liriche in forma scenica e in forma semiscenica, da 5 a 3,25 punti;

b) per il balletto da 7 a 1,5 punti;c) per la concertistica da 4 a 2 punti;d) per le manifestazioni realizzate in forma divulgativa o

con durata inferiore, i punti sono ridotti della metà con riferi-mento alle corrispondenti tipologie sopra indicate;

e) per le manifestazioni costituite da abbinamento di atti-vità anche di genere diverso, che verranno valutate per un massimo di due tipologie, il punteggio attribuito a ciascuna è pari al 50 per cento di quello previsto per l’attività corrispon-dente, con attribuzione dei punti o frazione di punto alla corri-spondente tipologia.

Il c. 2 ha previsto per le sole attività concertistiche della Fondazione Accademia nazionale di Santa Cecilia, un aumento del punteggio del 60 per cento di quello stabilito nel c. 1, men-tre ha ridotto del 40 per cento il punteggio attribuito a tutte le manifestazioni effettuate dalla Fondazione Arena di Verona.

Infine, il c. 3 è intervenuto per le manifestazioni realizza-te all’estero, stabilendo che se non specificamente sovvenzio-nate sul Fus, il punteggio attribuito è pari al 70 per cento di quello previsto per le attività realizzate in ambito nazionale.

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10 per cento nel 2014, al 15 per cento nel 2015, al 20 per cento nel 2016, rispetto ai contributi assegnati nel 2013, la sola eccedenza viene accantonata e uti-lizzata quale correttivo del contributo per le fonda-zioni che abbiano registrato valori negativi superio-ri al 10 per cento nel 2014, al 15 per cento nel 2015 e al 20 per cento nel 2016, rispetto a quanto assegna-to nel 2013.

Il d.l. n. 83/2014, convertito dalla l. n. 106/2014, ha – come visto precedentemente – incrementato di 50 milioni, per l’anno in corso, la dotazione del fon-do di rotazione per la concessione di finanziamenti in favore delle fondazioni che erano in situazione di difficoltà economico-patrimoniale alla data di entra-ta in vigore del d.l. n. 91/2013.

Per quanto concerne l’esercizio finanziario og-getto della presente relazione, valgono i criteri di ri-parto del Fus antecedenti la riforma introdotta dal d.l. n. 91/2013.

3.1. La ripartizione della quota Fus per il 2013La l. 24 dicembre 2012, n. 228 “Disposizioni per

la formazione del bilancio annuale e pluriennale del-lo Stato” (legge di stabilità 2013) ha stanziato per il finanziamento della l. n. 163/1985, anno 2013, l’im-porto di euro 399.596.000.

Con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 31 dicembre 2012 è stata disposta la “Ri-partizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l’an-no finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015”. La somma degli stanziamenti confluiti sui capitoli affe-renti il Fus, al netto degli accantonamenti disposti, è pari a euro 389.077.276.

Il decreto ministeriale 8 febbraio 2013 ha stabi-lito le quote destinate ai settori dello spettacolo fis-sando le aliquote di riparto del Fus. Per le fondazio-ni lirico-sinfoniche la percentuale è stata fissata al 47 per cento del totale per un ammontare pari a eu-ro 182.866.319,72, successivamente rideterminato in euro 182.404.849,01. (Omissis)

Nel 2013, in presenza del deciso decremento del Fus (-10.521.760,27 euro pari a -5,4 per cento), le fondazioni hanno beneficiato di ulteriori finanzia-menti (euro 7.947.497) derivanti da leggi diverse, che hanno portato il finanziamento in totale ad eu-ro 190.813.816,69. Di questa somma sono stati ef-fettivamente erogati euro 190.352.346, a causa di ac-cantonamenti attuati dall’Ispettorato generale di bi-lancio del Mef in previsione di variazioni negative di bilancio.

Il totale nel 2013, pertanto, è composto da:

- lo stanziamento base Fus di euro 182.866.320 (pari al 47 per cento) ripartito tra le 14 fondazio-ni (27). La quota inizialmente fissata è stata succes-sivamente rideterminata in euro 182.404.849 pari al-la disponibilità massima, in termini di competenza e di cassa, delle risorse allocate sul capitolo di rife-rimento 6621 relativo alle fondazioni lirico-sinfoni-che;

- il contributo complessivo di euro 3.504.498 assegnato al Teatro alla Scala di Milano e al Tea-tro dell’Opera di Roma in parti uguali. Tale contri-buto, previsto dalla l. n. 388/2000, art. 145, c. 87, a favore delle due fondazioni, è stato decurtato nel 2013, in ragione di variazioni negative di bilancio ri-spetto all’ammontare originariamente fissato in eu-ro 7.746.853. Con decreto del 5 febbraio 2013 il Mi-nistero dei beni e delle attività culturali e del turi-smo ha ripartito tra le due fondazioni la somma di cui sopra attribuendo a ciascuna l’importo di euro 1.752.249. Variazioni negative di bilancio intervenu-te sul capitolo di spesa di riferimento (cap. 6652, pia-no gestione 2) e successive al decreto di riparto del 5 febbraio 2013 hanno portato la somma complessiva a euro 3.497.566;

- il contributo previsto dalla l. n. 388/2000, art. 145, c. 87 (legge finanziaria 2001) – a favore di tut-te le fondazioni lirico-sinfoniche di euro 5.164.569 – dapprima rideterminato per il 2013 in euro 2.331.710 in ragione delle variazioni negative di bilancio, ripar-tito con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e del turismo del 17 luglio 2013;

- il contributo speciale di euro 1.128.706, desti-nato alla Fondazione Carlo Felice di Genova, in vir-tù dell’art. 4, c. 162, legge finanziaria 2004 (l. 24 di-cembre 2003, n. 350) (28). Nel 2013 anche questo contributo ha subito variazioni negative di bilancio.

Per l’anno 2013, infine, la l. 24 dicembre 2012, n. 228 ha stanziato un contributo straordinario alla Fondazione Arena di Verona per la celebrazione del secondo centenario della nascita di Giuseppe Verdi, nel limite massimo di spesa di un milione. Con de-

(27) Calcolato a norma del d.m. 29 ottobre 2007 recante nuovi criteri per la ripartizione della quota del Fus destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche ai sensi dell’art. 24 d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 e successive modificazioni.

(28) La legge finanziaria 2004 autorizza la spesa di euro 2.500.000 a decorrere dall’anno 2004 per la prosecuzione de-gli interventi previsti ai sensi dell’art. 1 l. 8 novembre 2002, n. 264 “Disposizioni in materia di interventi per i beni e le attivi-tà culturali e lo sport”, che all’art. 1 dispone il “Rifinanzia-mento degli interventi a sostegno dell’attività del Teatro Carlo Felice di Genova”.

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creto direttoriale 29 ottobre 2013 sono stati impe-gnati euro 989.515 sul capitolo di spesa 6635, e so-no stati successivamente erogati solo euro 791.612 in qualità di acconto. Il mancato invio della docu-mentazione consuntiva attestante la realizzazione delle iniziative in parola, non ha consentito l’eroga-zione del saldo.

Le risorse finanziarie complessivamente asse-gnate presentano una contrazione del 5,50 per cen-to rispetto al 2012. La sola quota del Fus è diminu-ita passando da euro 193.388.080 del 2012 a euro 182.866.320 e, dopo ulteriore rideterminazione a eu-ro 182.404.849 del 2013 con un decremento percen-tuale complessivo del 5,68 per cento.

Le fondazioni che hanno subito i più eviden-ti decrementi sono: il Teatro lirico G. Verdi di Trie-ste (-7,44 per cento), il Teatro del Maggio Musica-le Fiorentino e il Teatro dell’Opera di Roma (-6,78 per cento), il Teatro Massimo di Palermo (-6,63 per cento) e il Teatro lirico di Cagliari (-6,53 per cento), mentre le restanti fondazioni mostrano flessioni infe-riori comprese tra lo 0,84 per cento del Petruzzelli e teatri di Bari e il 6,27 per cento della Scala di Milano.

Parte II – La gestione delle fondazioni lirico-sin-foniche1. La Fondazione Teatro comunale di Bologna

(Omissis)La fondazione presenta:1) una situazione di insufficiente patrimonializ-

zazione, sottoposta a continua erosione e a ripetute necessità di reintegro con apporti di beni immobili da parte del Comune di Bologna;

2) una contribuzione da parte di privati e spon-sor inferiore al 4 per cento del totale dei contributi;

3) una contribuzione degli enti territoriali pa-ri complessivamente a non più di un terzo di quel-la dello Stato;

4) un forte indebitamento, in ulteriore aumento nel 2013, in particolare verso il sistema bancario;

5) entrate insufficienti da biglietteria e abbona-menti;

6) costo del personale che da solo assorbe il tota-le dei contributi pubblici;

7) costo complessivo tra i meno alti dell’insieme delle fondazioni liriche, ma non sostenibile a fronte di ricavi piuttosto modesti.

Data la situazione critica in cui versa, la fonda-zione ha chiesto di rientrare nell’ambito del pro-gramma di risanamento previsto dalla l. n. 112/2013 (“Valore cultura”). Nel piano di risanamento trienna-

le presentato dal commissario straordinario dopo l’i-struttoria compiuta, e approvato dal ministro compe-tente con il d.m. 16 settembre 2014, le linee di inter-vento sono incentrate su:

1. l’impegno a una crescita del livello di produ-zione da 841 ad oltre 1200 punti Fus, soprattutto gra-zie a un aumento di oltre 300 punti di contributo del-la lirica;

2. il contenimento dei costi fissi e variabili, in modo da riportare in equilibrio il conto economico, anche in caso di produzione insufficiente;

3. una riduzione del costo del personale pa-ri al 15 per cento, grazie non solo alla diminuzio-ne dell’organico di 29 unità (di cui 15 nell’ambito amministrativo) attraverso pensionamenti e blocco del turn over, ma all’accordo sindacale che sancisce la soppressione del premio di produzione azienda-le, del premio di produzione nazionale e del premio di risultato. Inoltre è prevista la rinegoziazione del contratto integrativo aziendale. L’insieme di queste azioni dovrebbe portare a una diminuzione del co-sto unitario medio del personale da euro 55.000 a euro 50.000;

4. un piano di ristrutturazione del debito che, an-che con il ricorso al fondo di rotazione, consenta di rinegoziare con stralcio il mutuo 10 milioni in essere con un istituto bancario e di estinguere i debiti tribu-tari e previdenziali scaduti;

5. il combinato disposto delle azioni è volto a conseguire l’equilibrio del conto economico ed il ri-pristino del segno positivo del flusso di cassa opera-tivo nel corso del periodo di attuazione del piano di risanamento.

L’obiettivo di contenimento dei costi è evidenzia-to dal costo medio per singola rappresentazione che, anche in assenza di aumento di produzione, scende-rebbe dai circa euro 167.000 a circa euro 104.000 e il costo per punti Fus (65) da circa euro 24.500 a cir-ca euro 15.400.

2. La Fondazione Teatro lirico di Cagliari(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione di insufficiente patrimonializ-

zazione, evidenziata dalla circostanza che il patrimo-nio netto è inferiore alla riserva indisponibile, a sua volta inferiore al valore d’uso dell’immobile sede del teatro; per la parte disponibile le perdite di esercizio sono superiori al valore del fondo di dotazione;

(65) Per il calcolo degli indicatori di produzione (punti Fus), cfr. nota 24.

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2) una contribuzione da parte di privati e sponsor dell’ordine del 4 per cento del totale dei contributi;

3) contributi pubblici in diminuzione, con preva-lenza dei contributi degli enti territoriali, pari rispet-tivamente al 43,4 per cento del totale (Regione Sar-degna) e del 12,3 per cento (Comune di Cagliari) ri-spetto a quelli statali (40 per cento);

4) un forte indebitamento, pari a oltre 15 milio-ni, in notevole aumento rispetto al 2012, anche a cau-sa dei maggiori crediti non riscossi per mancata cor-responsione dei contributi da parte degli enti loca-li, e ormai superiore al valore del patrimonio netto. L’esposizione debitoria è particolarmente consisten-te nei confronti degli istituti bancari (circa 5,5 milio-ni, di cui oltre 3 milioni a lungo termine) e dei forni-tori (oltre 7 mln), nonché verso lo Stato (debiti pre-videnziali e tributari);

5) ricavi da biglietteria e abbonamenti tra i più bassi dell’insieme dei teatri d’opera nazionali (solo il teatro Petruzzelli di Bari ha avuto nel 2013 un ri-sultato inferiore);

6) costo del personale, al netto di quello scrittura-to per le rappresentazioni e contabilizzato nel costo dei servizi, che assorbe oltre il 77 per cento dei con-tributi pubblici;

7) costo complessivo tra i meno alti dell’insie-me delle fondazioni liriche e in leggera contrazione nel 2013, ma non sostenibile a fronte di ricavi piut-tosto modesti.

Nonostante una situazione non dissimile a quel-la di altri teatri lirici entrati a far parte dell’insieme di quelli sottoposti a piani di rientro, il teatro lirico di Cagliari non ha chiesto di rientrare nell’ambito del programma di risanamento previsto dal decreto “Va-lore cultura”.

3. La Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fio-rentino(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione molto critica per quanto con-

cerne la patrimonializzazione, considerato che nel 2013 il patrimonio netto è risultato negativo per oltre 5 milioni, a seguito della notevole perdita di eserci-zio e delle precedenti perdite portate a nuovo, a fron-te di immobilizzazioni immateriali e materiali, cor-rispondenti al valore degli immobili conferiti o da-ti in uso gratuito, pari rispettivamente a 36,2 e 18,6 milioni. Essenziale appare pertanto il conferimento da parte del Comune di Firenze del Nuovo Teatro dell’Opera per un valore di almeno 40 milioni, tan-to più necessario, come specificato anche dal piano

di risanamento, a seguito del venir meno del diritto d’uso del teatro comunale (32 mln di valore) destina-to ad altro scopo (116);

2) una contribuzione da parte di privati e sponsor pari a poco più del 10 per cento del totale dei contri-buti in conto esercizio, inferiore, nel panorama dei teatri dell’Opera italiani, solo a i teatri della Scala di Milano, della Fenice di Venezia e del Regio di Tori-no, ma in calo rispetto all’anno precedente;

3) contributi pubblici in flessione e, in particola-re, una contribuzione di comune e regione (essendo venuta meno quella della provincia) pari complessi-vamente a poco più della metà di quella dello Stato;

4) un indebitamento imponente, pari a oltre 55 milioni, cresciuto del 44 per cento nel 2013 rispet-to all’anno precedente, in particolare verso il sistema bancario, i dipendenti, Equitalia, istituti di previden-za e sicurezza e fornitori;

5) entrate da biglietteria e abbonamenti troppo modeste in relazione al potenziale della città, in calo rispetto all’esercizio precedente e tra le più basse nel sistema dei teatri lirici nazionali, soprattutto in rap-porto al valore della produzione;

6) costo del personale in crescita, anche per le erogazioni di incentivi all’uscita anticipata, corrispo-sti a 19 dipendenti, superiore all’insieme dei contri-buti pubblici e pari al 98,6 per cento del totale dei contributi in conto esercizio. Inoltre il 2013 ha regi-strato un incremento complessivo di 10 dipendenti soprattutto tra i tecnici, gli artisti e i dirigenti, mentre si è ridotta la componente amministrativa;

7) costo complessivo in leggera diminuzione ri-spetto all’esercizio precedente e non tra i più elevati nell’insieme delle fondazioni liriche, ma non soste-nibile a fronte della modestia dei ricavi.

Data la situazione critica in cui versa, la fonda-zione ha chiesto di rientrare nell’ambito del pro-gramma di risanamento previsto dal decreto “Valo-re cultura”. Nel piano di risanamento triennale pre-sentato dal commissario straordinario dopo l’istrut-toria compiuta e approvato dal ministro competen-te con il d.m. 16 settembre 2014 le linee di interven-to sono incentrate su:

1. l’impegno del Comune di Firenze a ricapita-lizzare la Fondazione con un conferimento del dirit-to d’uso del Nuovo teatro dell’Opera per un valore di 40 milioni;

2. la rinegoziazione del debito verso le banche con lo stralcio di 12 milioni rispetto ai 14,4 iscrit-

(116) Al momento peraltro (marzo 2015) il conferimento della nuova struttura non si è ancora perfezionato.

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to in bilancio al 31 dicembre 2012 e divieto di nuo-vo indebitamento con gli istituti creditizi per l’intero triennio del piano;

3. concessione di un contributo di 27,822 milioni (aggiuntivi rispetto all’anticipazione straordinaria di circa 5,6 milioni già corrisposto dal Mibact ai sensi della l. n. 112/2013 per ovviare a carenze di liquidi-tà) per far fronte ai debiti tributari, previdenziali e as-sicurativi, nei confronti dei fornitori, per l’estinzio-ne di debiti con istituti bancari e per premunirsi ri-spetto a contenziosi e possibili esiti negativi di cause giuslavoristiche. L’esposizione debitoria, in tal mo-do, pur restando consistente (46,6 mln previsti nel 2016), sarebbe inferiore al dato di 54,3 milioni del 2013 e, soprattutto, più sostenibile, in quanto per ol-tre il 70 per cento nei confronti dello Stato;

4. conferma del livello di contribuzione del Co-mune di Firenze e incremento di quello corrisposto dalla Regione Toscana;

5. ritorno ai livelli del 2011 dei ricavi da botte-ghino e incremento dei contributi dei privati fino al-la soglia di 3 milioni annui, grazie all’aumento della produzione e del numero di rappresentazioni. Utiliz-zo massimo della capienza delle due sale del Nuovo teatro Opera (1800 posti, soprattutto per la lirica; 900 posti soprattutto per l’attività concertistica). È indi-spensabile, allo scopo, accelerare il completamento e la messa in funzione integrale del teatro, macchina scenica compresa;

6. sostanziale miglioramento del patrimonio net-to che passerebbe dal dato negativo di oltre 5 milio-ni registrato nel 2013 a un valore positivo pari a 13,9 milioni, anche se il patrimonio disponibile restereb-be negativo, salvo ulteriori apporti di assets da par-te degli enti soci;

7. riduzione dei costi pari al 20 per cento del li-vello del 2012 attraverso la riduzione dell’organico di 77 unità tra tempo determinato e tempo indeterminato (di cui 53 dipendenti dell’ambito tecnico-amministra-tivo, da trasferire ad Ales) e razionalizzazione dell’im-piego del personale artistico. I nuovi accordi sindaca-li prevedono inoltre l’aumento dell’orario di lavoro, maggiore flessibilità e blocco degli straordinari e un risparmio di 1,5 milioni annui anche grazie all’acco-ramento dei premi di produzione e di risultato in una sola voce legata a criteri di efficienza e produttività;

8. una diminuzione dei costi unitari (costi di pro-duzione/punto Fus) da 6,4 mila a 5,6 mila euro e del costo di rappresentazione da 40 mila a 30 mila euro, con aumento della qualità della produzione che por-terà ad un aumento dei costi di produzione comples-sivi di circa 2,8 milioni annui rispetto al dato 2012;

9. raggiungimento e mantenimento di un Ebitda, di un utile netto e di un flusso di cassa positivi a par-tire dal 2015.

4. La Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione preoccupante sul fronte della

patrimonializzazione: il patrimonio netto ha eviden-ziato negli anni una costante erosione, in conseguen-za delle cospicue perdite di esercizio registrate. Mal-grado i contributi operati dal Comune di Genova, ri-sulta evidente l’insufficiente consistenza dei mezzi propri della fondazione;

2) una contribuzione da parte di privati di circa il 7 per cento del totale dei contributi e l’assenza di sponsorizzazioni;

3) una contribuzione degli enti territoriali che è la più bassa dell’insieme delle fondazioni lirico-sin-foniche ed è pari complessivamente a poco più di un terzo di quella dello Stato;

4) un forte indebitamento, incrementato nel 2013 (+6,6 per cento) che tocca ormai 20 milioni. L’espo-sizione debitoria è verso gli istituti bancari (la fonda-zione, unica fra le fondazioni, certifica la correspon-sione di interessi anatocistici a un istituto bancario in misura non inferiore a 5 mln), nonché verso i fornito-ri, i dipendenti, gli istituti previdenziali e di sicurez-za sul lavoro – in tutti i casi in notevole crescita – co-me in forte aumento sono i debiti tributari;

5) i ricavi da biglietteria e abbonamenti tra i più bassi dell’intero sistema operistico nazionale anche in conseguenza di un funzionamento del teatro a re-gime parziale;

6) costo del personale assai elevato, maggiore del totale dei contributi;

7) un valore della produzione in calo del 4 per cento nel 2013, a fronte di un aumento dei costi di oltre il 21 per cento, anche in relazione al peso dei contratti di solidarietà, con conseguente ampliamen-to della perdita di esercizio.

Nel piano di risanamento triennale presentato dal commissario straordinario e tuttora all’esame del Mef le linee di intervento sono incentrate su:

1. un piano di ristrutturazione dell’esposizione debitoria verso un unico istituto bancario (non appe-na sarà risolta la questione della corresponsione della mole imponente di interessi anatocistici), verso i for-nitori e l’estinzione dei debiti tributari e previdenzia-li scaduti. Viene altresì assunto l’impegno a non as-sumere ulteriore indebitamento con gli istituti di cre-

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dito. A tal fine la richiesta del contributo al fondo di rotazione è pari a poco più di 13 milioni, oltre all’an-ticipazione di 3,1 milioni già ricevuta dal Mibact;

2. una riduzione della pianta organica pari a 31 unità a tempo indeterminato (di cui 17 dell’ambito tecnico-amministrativo), a fronte dell’assunzione di 7 unità a tempo determinato;

3. l’impegno a una crescita del livello di produ-zione da 732 a oltre 1250 punti Fus entro il 2016, so-prattutto grazie a un aumento di oltre 350 punti del contributo della lirica e di oltre 160 punti di quello del balletto;

4. i ricavi da botteghino e da abbonamenti aumen-terebbero da 2,2 a 3,3 milioni entro il 2016, per recu-perare i livelli conseguiti negli anni anteriori al 2011;

5. la conferma sostanziale del livello dei contri-buti pubblici con un leggero incremento della quo-ta a carico della Regione Liguria e la stabilizzazio-ne del contributo statale previsto dalla l. n. 350/2000 “per Genova”;

6. l’aumento sostanziale dei contributi da parte di privati ben individuati con i quali sono in corso trat-tative, che dovrebbe far triplicare questa voce;

7. il valore della produzione (ricavi + contribu-ti) dovrebbe aumentare di circa 3,5 milioni entro il 2016;

8. il contenimento dei costi fissi e variabili per circa 2,2 milioni a fine triennio, che, al conseguimen-to di tutti gli obiettivi del piano, significherebbe una significativa diminuzione del costo unitario (il costo di produzione/punto Fus si dimezzerebbe);

9. una diminuzione del costo del lavoro di circa il 13 per cento anche a seguito della rinegoziazione del contratto integrativo e ai più recenti accordi sin-dacali. Il costo unitario del personale diminuirebbe del 5 per cento;

10. in ultima analisi l’equilibrio economico-fi-nanziario e del flusso di cassa, che il piano inten-de conseguire entro il 2016, rappresenta un obietti-vo molto impegnativo e è condizionato dal recupe-ro dell’intera somma corrispondente agli interessi anatocistici corrisposti all’unico istituto bancario col quale la fondazione ha avuto rapporti creditizi e che invece dovrebbe corrispondere un importante contri-buto in parte con la cancellazione del debito esisten-te e in parte in termini di sponsorizzazione.

5. La Fondazione Teatro alla Scala di Milano(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione patrimoniale consolidata, con

un elevato patrimonio netto, appena inferiore alla somma di tutte le immobilizzazioni e largamente su-periore al valore delle immobilizzazioni immateriali corrispondenti al valore del Palazzo Piermarini e de-gli altri immobili comunali in uso alla Fondazione;

2) un considerevole indebitamento, nel comples-so in leggera diminuzione nel 2013, in particolare verso i dipendenti (in questo caso i debiti per somme relative al contratto integrativo, alle indennità, a ferie non godute, a mensilità differite ed altro sono in au-mento), i fornitori, gli istituti bancari, il sistema tri-butario, previdenziale e di sicurezza sociale;

3) una contribuzione da parte di privati e spon-sor del tutto particolare in considerazione della storia e del prestigio del Teatro (pari a cinque volte quel-la destinata all’Accademia di Santa Cecilia di Roma che segue la Scala in questa classifica);

4) una contribuzione degli enti territoriali infe-riore a quella dei privati (20,3 per cento del totale dei contributi contro 32,1 per cento), ma in crescita nel 2013 di circa 3 milioni (di provenienza della Pro-vincia di Milano) al contrario di quella dello Stato, in contrazione di circa 2 milioni e pari complessiva-mente a oltre il 47 per cento del totale dei contributi;

5) i più elevati ricavi da biglietteria e abbona-menti nell’ambito lirico-sinfonico nazionale. Tali proventi caratteristici, se sommati ai contributi pri-vati e alle sponsorizzazioni, portano l’autofinanzia-mento, in valore assoluto, a quasi il doppio di quel-lo registrato dall’Arena di Verona e a circa sei vol-te quello delle successive migliori fondazioni liri-co-sinfoniche e ad oltre il 51 per cento del valore della produzione;

6) un valore della produzione pari a ben oltre il doppio di quello registrato dalla migliore delle altre fondazioni (l’Arena di Verona), ma solo di poco su-periore ai corrispondenti costi di produzione, sì che l’utile di esercizio del 2013 è appena positivo, an-che se in confortante netta ripresa rispetto al consi-derevole risultato negativo dell’esercizio precedente;

7) un livello di costi totali molto elevato e non confrontabile con quello delle altre Fondazioni (è quasi doppio di quello della Fondazione che segue in questa particolare classifica);

8) costo del personale particolarmente elevato e in leggero aumento nel 2013 – nonostante una dimi-nuzione di 27 unità nel numero dei dipendenti – so-prattutto per le indennità di missione corrisposte in relazione alle importanti tournée effettuate nell’anno (Germania, Russia, Giappone), e tale da rappresen-tare il 110 per cento dell’intero ammontare dei con-tributi. Rispetto al valore della produzione, tuttavia,

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tale voce di costo è leggermente inferiore alla media nel sistema delle fondazioni lirico-sinfoniche;

9) nel complesso la sintesi dei dati esposti quali-fica la fondazione come un unicum nel panorama li-rico-sinfonico italiano. La qualità delle produzioni, il livello dei ricavi, dei contributi privati e delle spon-sorizzazioni sono strettamente correlate al prestigio e alla storia di uno dei più celebri teatri d’opera del mondo e di una delle più importanti istituzioni cul-turali a livello internazionale. I costi di produzione e quelli per il personale davvero molto elevati appaio-no sostenibili solo nel presupposto che il valore del-la produzione, il livello dei contributi e dei ricavi da biglietteria restino altrettanto elevati. E tuttavia una politica di ragionevole contenimento di tali costi, di massima valorizzazione e utilizzo delle prestigiose produzioni realizzate, assieme a un’ulteriore inten-sificazione della collaborazione con altre prestigiose istituzioni teatrali e musicali (e culturali più in gene-rale) appare certamente auspicabile.

6. La Fondazione Teatro San Carlo di Napoli(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione di insufficiente patrimonializ-

zazione, caratterizzata da un patrimonio netto pari a non più della sesta parte del valore d’uso dell’immo-bile in godimento perpetuo senza corrispettivo, se-de del teatro e degli altri immobili limitrofi di pro-prietà demaniale destinati allo svolgimento delle at-tività complementari della Fondazione;

2) una situazione debitoria rilevante, in ulteriore lieve crescita nel 2013, a causa dell’aumento sia dei debiti tributari (più che raddoppiati) e previdenzia-li, sia di quelli verso i fornitori e malgrado la dimi-nuzione dell’esposizione verso il sistema bancario. A fronte di essa vi è peraltro una parziale corrispon-denza nell’attivo rappresentato dai consistenti credi-ti vantati nei confronti degli enti soci. Inoltre poten-ziali sofferenze gestionali accumulate negli esercizi passati sono evidenziate dai notevoli accantonamen-ti del Fondo rischi (22,7 mln nel 2013, in lieve calo, peraltro, rispetto al dato 2012);

3) una contribuzione da parte di privati e sponsor, pari a poco più del 3 per cento del totale dei contri-buti, certamente troppo modesta in rapporto alla sto-ria e al prestigio del teatro;

4) una contribuzione degli enti territoriali (cui si è aggiunta nel 2011 la Camera di commercio) tradi-zionalmente più cospicua che in altre realtà operisti-che nazionali, ancora però sostanzialmente inferiore a quella dello Stato (35 per cento rispetto a 50 per cento);

5) ricavi da biglietteria e abbonamenti tra i più bassi fra i teatri d’opera e in ulteriore diminuzione nel 2013 (pari a poco più del 10 per cento del valo-re della produzione), cui fa riscontro un aumento del-la vendita, soprattutto all’estero, di spettacoli prodot-ti dalla fondazione;

6) un utile in crescita solo grazie al notevole au-mento dei contributi di cofinanziamento Por iscritti in bilancio per l’anno in esame, ma che con ogni pro-babilità verranno incassati con grande ritardo;

7) costo del personale in ulteriore aumento ri-spetto all’anno precedente e che da solo assorbe l’84 per cento dei contributi in conto esercizio ed è più elevato del totale dei contributi pubblici;

8) costo complessivo leggermente inferiore alla media del complesso dei teatri d’opera nazionali (ma al di sopra della media dei teatri sottoposti a piano di rientro) e comunque non sostenibile a fronte di rica-vi modesti.

La fondazione rientra nei criteri di partecipazione obbligatoria al programma di risanamento previsto dal decreto “Valore cultura” (179). Nel piano di risa-namento triennale presentato dal commissario stra-ordinario dopo l’istruttoria compiuta e approvato dal ministro competente con il d.m. (16 settembre 2014) le linee di intervento sono incentrate su:

1. l’impegno a una crescita del livello di produ-zione nel triennio da 970 a 1380 punti Fus, soprattut-to grazie a un aumento del contributo della lirica (in-cluse le rappresentazioni per le scuole);

2. l’incremento dei ricavi da biglietti e abbona-menti di circa il 27 per cento fino a superare il livel-lo già raggiunto nel 2012;

3. un aumento della produzione del 50 per cento, anche in presenza di costi sostanzialmente in linea per l’intero periodo, che consentirà di ridurre i co-sti unitari totali da 31.500 del 2012 a 24.500 euro per punto Fus e i costi di unitari di produzione da 7.400 a 6.000 euro per punto Fus;

4. una riduzione dell’organico di 23 unità (di cui almeno 5 nell’ambito tecnico-amministrativo) attra-verso pensionamenti e blocco del turn over;

5. una riduzione del costo del personale da 22,7 milioni nel 2013 a 21,5 milioni nel 2016, grazie non solo alla diminuzione dell’organico, ma anche al nuovo contratto integrativo aziendale sottoscritto nel luglio 2014;

6. un piano di rimodulazione e riduzione del de-

(179) In quanto oggetto di commissariamento scaduto en-tro i 24 mesi dalla pubblicazione della legge.

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bito in essere, soprattutto per quanto concerne le li-nee a breve, che dovrà portare l’esposizione com-plessiva verso gli istituti bancari dai 17,3 milioni del 2012 a non più di 6 milioni a fine triennio. I restan-ti debiti in essere e le sofferenze gestionali dovreb-bero essere ripianati attraverso il ricorso al fondo di rotazione per 25,3 milioni complessivi nel triennio;

7. risultato delle azioni del piano di rientro do-vrebbe essere infine un aumento del patrimonio net-to da 7,3 milioni nel 2013 a 11,2 milioni nel 2016.

7. La Fondazione Teatro Massimo di Palermo(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione di insufficiente patrimonializ-

zazione, corrispondente, come per le altre fondazio-ni, al diritto d’uso illimitato degli immobili esposto nella parte attiva del patrimonio ed esposta al rischio di continua erosione, a meno di conferimenti da par-te degli enti territoriali;

2) una contribuzione da parte di privati e spon-sor tradizionalmente assai modesta e, nel 2013, to-talmente azzerata;

3) una contribuzione degli enti territoriali pa-ri complessivamente a poco più della metà di quel-la dello Stato;

4) un forte indebitamento, in particolare verso il sistema bancario, peraltro in leggera contrazione nel 2013;

5) entrate da biglietteria e abbonamenti ed altre prestazioni in lieve aumento nel 2013, ma ancora pa-ri a circa l’8,5 per cento del valore della produzione e tra i più modesti dell’insieme dei teatri lirici italia-ni (peggiori sono solo i risultati di Trieste e Cagliari);

6) costo del personale in leggera contrazione e relativamente contenuto rispetto ad altre fondazioni, ma che ancora assorbe quasi il 77 per cento dei con-tributi pubblici;

7) gestione caratteristica in leggero avanzo e co-sto complessivo tra i meno alti dell’insieme delle fondazioni liriche, ma a fronte di ricavi molto mo-desti.

In quanto commissariata la fondazione rien-tra obbligatoriamente nel programma di risanamen-to previsto dal decreto “Valore cultura”. Nel piano di risanamento triennale presentato dal commissa-rio straordinario dopo l’istruttoria compiuta e tutto-ra all’esame del Mef, le linee di intervento sono in-centrate su:

1. un piano di forte riduzione del debito e di ri-contrattazione dell’esposizione rimanente attraverso

il ricorso al fondo di rotazione per 8 milioni e l’im-pegno ad escludere ogni ricorso a nuovo debito ver-so il sistema creditizio;

2. la riduzione di 28 unità di personale, tut-te a tempo indeterminato, di cui 15 in ambito tecni-co-amministrativo;

3. la sostanziale conferma del livello dei con-tributi degli enti territoriali (che risulterebbero anzi leggermente incrementati a fine triennio);

4. la sostanziale conferma del livello di produ-zione (è previsto un lieve aumento in termini di punti Fus nel triennio, da 1415 al oltre 1500 punti), che si affiancherebbe a un valore della produzione tenden-zialmente costante (si segnala, in realtà, un lieve de-cremento nell’arco del triennio);

5. un aumento dei ricavi da biglietteria (da 1 mln a 1,7 mln nel triennio) anche grazie a una strategia di riduzione dei prezzi e a una più efficace politica di marketing, tale da far aumentare il totale dei ricavi, al netto delle partite straordinarie (il cui andamento è invece previsto in calo) da 2,9 a 3,8 milioni;

6. una riduzione dei costi totali (-5 per cento) che, rispetto al rapporto con i punti Fus, segnerebbero un valore unitario in contrazione dagli oltre 20 mila eu-ro attuali a meno di 18 mila euro di fine triennio. Un contributo importante a tale riduzione verrebbe dal risparmio sui costi del personale, grazie agli accordi sindacali, quantificabile in circa 1,4 milioni;

7. a partire dal 2014 il ritorno a un equilibrio del-la gestione ordinaria, all’utile e a un flusso di cassa positivo, con un conseguente consolidamento del pa-trimonio netto.

8. La Fondazione Teatro dell’Opera di Roma(Omissis)

La fondazione presenta (209)1) una situazione di patrimonializzazione resa

precaria dalla forte perdita d’esercizio registrata nel 2013 che ha ridotto il patrimonio netto a meno di un terzo del valore del 2012, allorché lo stesso era supe-riore al valore d’uso degli immobili concessi in uso alla Fondazione;

2) un elevato indebitamento, in ulteriore cresci-ta nel 2013, in particolare verso il sistema bancario per anticipazioni, verso i fornitori, verso i dipenden-ti. Anche l’esposizione debitoria di natura tributaria, previdenziale e per la sicurezza sociale è considere-vole e in aumento;

(209) Si vedano anche i dati forniti dal sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Capitale presso la Commissione cultura della Camera dei deputati del 12 novembre 2014.

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3) contributi pubblici in flessione, ma tuttora al livello più alto fra tutti i teatri dell’Opera nazionali (pari a quasi l’80 per cento del valore della produzio-ne). Appare inoltre significativo il contributo degli enti territoriali (in particolare quello del Comune di Roma) che quasi uguaglia il contributo dello Stato;

4) un livello di autofinanziamento assai modesto, di gran lunga inferiore rispetto non solo a quello rag-giunto dall’Arena di Verona e dalla Scala di Milano, ma anche da La Fenice di Venezia e dal Regio di To-rino. Ciò in conseguenza della modesta contribuzio-ne da parte di privati e sponsor, inferiore al 4 per cen-to del totale dei contributi e dimezzata nel 2013 ri-spetto all’esercizio precedente, e del calo dei ricavi da biglietteria e abbonamenti rispetto al 2012;

5) costo del personale molto elevato, secondo soltanto a quello della Scala di Milano, in crescita del 10 per cento rispetto all’anno precedente e tale da assorbire il 96 per cento dei contributi pubblici e il 92 per cento del totale dei contributi;

6) un indice di produttività, misurato dal rappor-to fra valore della produzione e addetto, molto infe-riore alla media nazionale e al dato riscontrato dai te-atri più virtuosi;

7) costi di produzione molto elevati (in crescita di quasi il 12 per cento rispetto al 2012) rispetto al va-lore della produzione (in calo invece, rispetto all’an-no precedente, di oltre il 7 per cento).

Data la situazione critica in cui versa, la fonda-zione ha chiesto di rientrare nell’ambito del pro-gramma di risanamento previsto dal decreto “Valo-re cultura”. Nel piano di risanamento triennale pre-sentato dal commissario straordinario dopo l’istrut-toria compiuta e approvato dal ministro competen-te con il d.m. 16 settembre 2014 le linee di interven-to sono incentrate su:

1. la rinegoziazione del debito con gli istituti ban-cari costituito interamente da linee di credito a bre-ve per anticipazioni a fronte di ritardati versamen-ti dei contributi pubblici. La definizione di atti tran-sattivi bilaterali con i fornitori per stralci e dilazioni del debito in essere e l’estinzione dei debiti tributa-ri e previdenziali pregressi. Il contributo previsto al-lo scopo a valere sul fondo di rotazione è di 20 milio-ni, cui vanno aggiunti i 5 milioni di anticipazione già concessi dal Mibact. Alla fine del triennio il debito sarebbe nel complesso più alto dell’attuale in valo-re assoluto, ma si riscontrerebbe per almeno il 50 per cento nei confronti dello Stato, risultando così deci-samente più sostenibile;

2. in tema di personale: la riduzione di 28 unità a tempo indeterminato (20 dell’area tecnico-ammini-

strativa) e di 31 unità a tempo determinato (14 dell’a-rea tecnico-amministrativa), la riduzione di 21 unità fra le collaborazioni professionali;

3. riduzione del costo del personale dell’ordine di 3,9 milioni attraverso la rinegoziazione degli accor-di sindacali e, in particolare, del contratto integrati-vo e consistente riduzione del costo delle collabora-zioni e degli artisti;

4. un livello di produzione in crescita fino a rag-giungere, nel 2016, 241 rappresentazioni annue e cir-ca 1800 punti Fus, con un incremento del 50 per cen-to rispetto a quanto realizzato nel 2013 e un aumento dei ricavi da bigliettazione pari a circa il 58 per cen-to. Si confida di raggiungere i risultati previsti so-prattutto attraverso un più intenso sfruttamento del potenziale dell’area delle terme di Caracalla nella stagione estiva;

5. un deciso incremento delle sponsorizzazioni che passerebbero da 1 a 4 milioni entro il 2016, ov-viando ai minori contributi attesi da parte del Comu-ne di Roma;

6. riduzione dei costi di produzione in valore as-soluto a fronte del previsto aumento della produzio-ne. Il costo unitario per punto Fus passerebbe da 10 mila euro circa a meno di 6 mila euro. I costi totali si ridurrebbero di circa 7 milioni (-10 per cento) entro il 2016, a fronte di un aumento di produttività dell’or-dine del 50 per cento;

7. il ritorno all’utile e a un Ebitda positivo già a partire dal 2014, con progressivo ulteriore migliora-mento;

8. il patrimonio netto segnerebbe un migliora-mento contenuto, mentre il patrimonio disponibile resterebbe negativo, a riprova della gracilità della si-tuazione patrimoniale della Fondazione, in mancan-za del conferimento di ulteriori assets da parte dei so-ci fondatori;

9. anche il flusso di cassa sarebbe marginalmen-te positivo a dimostrazione della fragilità dell’equi-librio che si intende raggiungere e della necessità di un costante monitoraggio nella verifica dell’attuazio-ne del piano di rientro e di una disponibilità ad assu-mere eventuali ulteriori misure di rientro.

9. La Fondazione Teatro Regio di Torino(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione patrimoniale in miglioramen-

to, con un patrimonio netto ormai superiore al valore delle immobilizzazioni corrispondenti agli immobili in uso o di proprietà della fondazione;

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2) tuttavia un considerevole indebitamento, in ul-teriore aumento nel 2013, in particolare verso il si-stema bancario, causato soprattutto dai continui ri-tardi nell’acquisizione dei contributi;

3) una contribuzione da parte di privati (in assen-za di sponsor) relativamente elevata (la terza in valore assoluto nell’insieme delle fondazioni lirico-sinfoni-che, dopo la Scala di Milano e Santa Cecilia di Roma);

4) una contribuzione degli enti territoriali pari complessivamente a poco meno del 30 per cento del totale dei contributi (quelli dello Stato valgono circa la metà del totale);

5) entrate da biglietteria e abbonamenti che, escludendo l’Arena di Verona e la Scala di Milano, sono inferiori solo a quelle della Fenice di Venezia. Tali proventi caratteristici, se sommati ai contributi privati e alle sponsorizzazioni, portano l’autofinan-ziamento a oltre il 28 per cento del valore della pro-duzione;

6) costo del personale in aumento nel 2013, an-che per le indennità connesse alle quattro prestigiose tournée all’estero, e tale da assorbire, da solo, quasi l’intero ammontare dei contributi pubblici. Rispetto al valore della produzione, tuttavia, tale voce di co-sto è tra le più basse nel sistema delle fondazioni li-rico-sinfoniche;

7) costi di produzione in leggera contrazione nel 2013, grazie alla politica di contenimento nella qua-le la fondazione è impegnata, e comunque inferiori al valore della produzione, con un modesto utile d’eser-cizio al netto delle imposte;

8) nel complesso la politica gestionale della fon-dazione è riuscita a coniugare la quantità e la quali-tà delle rappresentazioni (suffragata dagli ottimi esi-ti delle tournée all’estero), con un’attenzione rigoro-sa ai costi, tale da evitare le produzioni che presen-tassero margini negativi.

10. La Fondazione Teatro lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione di insufficiente patrimonializ-

zazione, con un patrimonio netto in miglioramento rispetto all’anno precedente, dato l’utile di eserci-zio registrato, ma molto inferiore al valore del dirit-to d’uso degli immobili di proprietà del Comune di Trieste destinati allo svolgimento delle attività istitu-zionali e complementari;

2) una contribuzione da parte di privati e sponsor pari a non oltre il 3 per cento del totale dei contribu-ti in conto esercizio;

3) una contribuzione degli enti territoriali in leg-gera crescita, ma pari complessivamente a non più del 40 per cento di quella dello Stato. Va, peraltro, considerata la rinuncia definitiva da parte della Re-gione Friuli-Venezia Giulia alle rate del mutuo ban-cario della fondazione anticipata dalla regione stessa (oltre 8,5 mln nel 2013);

4) un forte indebitamento, in particolare verso il sistema bancario, che, nel 2013 registra una leggera contrazione nel complesso, ma è in aumento proprio nei confronti degli istituti di credito;

5) entrate del tutto insufficienti da biglietteria e abbonamenti e in ulteriore contrazione rispetto all’e-sercizio precedente: si tratta della peggiore perfor-mance fra tutti i teatri lirici, ad eccezione del Liri-co di Cagliari;

6) costo del personale tra i meno elevati dell’in-sieme delle fondazioni (solo il Petruzzelli di Bari ha un costo inferiore per l’anno in esame), ma tale da assorbire l’87 per cento del totale dei contributi pub-blici;

7) costo complessivo tra i meno alti dell’insieme delle fondazioni liriche (di nuovo è superiore solo a quello del Teatro Petruzzelli di Bari), ma non soste-nibile a fronte di ricavi decisamente modesti.

La fondazione, in quanto già commissariata, ri-entra obbligatoriamente nel programma di risana-mento previsto dal decreto “Valore cultura”. Nel pia-no di risanamento triennale presentato dal commis-sario straordinario dopo l’istruttoria compiuta e ap-provato dal ministro competente con il d.m. 16 set-tembre 2014 le linee di intervento sono incentrate su:

1. l’impegno al mantenimento di un livello di produzione costante nel triennio 2014-2016, supe-riore a quello del 2013, ma ancora inferiore a quello del 2011-2012, e tale da ottenere un Ebitda costan-temente positivo grazie a una più attenta modulazio-ne di ricavi e costi e all’utilizzo pressoché esclusivo di coproduzioni e allestimenti già di proprietà, oltre a un aumento delle messe in scena in altri teatri del-la regione;

2. un aumento sia pur contenuto dei ricavi da bi-gliettazione, in particolare in relazione all’aumento del prezzo degli abbonamenti;

3. contenimento dei costi sia in termini assoluti che unitari (costi/punti Fus);

4. una riduzione dell’organico di 18 unità (di cui 4 nell’ambito amministrativo);

5. una riduzione del costo del personale pari 200 mila euro, grazie non solo alla diminuzione dell’or-ganico, ma anche all’accordo sindacale che sancisce

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la soppressione del premio di produzione e l’introdu-zione di criteri di flessibilità.

6. un piano di ristrutturazione del debito basa-to essenzialmente sulla rinuncia della Regione Friu-li-Venezia Giulia alla riscossione di 34 rate semestra-li su 40 del mutuo di 20 milioni contratto con prima-rio Istituto di credito nel 2007, per un controvalore di 17 milioni. Inoltre la fondazione è stata sollecitata a rinegoziare le altre linee di credito esistenti;

7. un contributo del fondo di rotazione, pari a 7,3 milioni, volto a consentire l’estinzione delle linee di credito a breve concesse a fronte di anticipazioni per far fronte a sbilanci di esercizi precedenti e riportare le gestioni in sostanziale equilibrio.

L’obiettivo di contenimento dei costi è evidenzia-to dal costo medio per singola rappresentazione che, anche in assenza di aumento di produzione, scende-rebbe tra il 2013 e il 2016 dai circa euro 270.000 a circa euro 256.000 e il costo dei punti Fus da circa euro 29.600 a circa euro 26.800.

11. La Fondazione Teatro “La Fenice” di Venezia(Omissis)

La fondazione presenta:1) una buona situazione patrimoniale, con un pa-

trimonio netto in aumento, superiore al valore del-le immobilizzazioni corrispondenti agli immobili co-munali in uso alla fondazione;

2) tuttavia un considerevole indebitamento, in ul-teriore aumento nel 2013, in particolare verso il si-stema bancario, causato soprattutto dai persistenti ri-tardi nel versamento dei contributi da parte degli en-ti territoriali;

3) una contribuzione da parte di privati (in assen-za di sponsor) abbastanza elevata a fronte di quel-la raccolta da altre fondazioni lirico-sinfoniche (la quarta in valore assoluto, dopo la Scala di Milano, Santa Cecilia di Roma e Regio di Torino), ma cer-tamente suscettibile di incremento in considerazio-ne della storia e del prestigio del Teatro La Fenice;

4) una contribuzione degli enti territoriali pari complessivamente a meno della metà di quella del-lo Stato (27 per cento contro 61 per cento del totale dei contributi);

5) un buon livello di entrate da biglietteria e ab-bonamenti, inferiore, nell’ambito lirico-sinfonico nazionale, solo a quelli dell’Arena di Verona e della Scala di Milano. Tali proventi caratteristici, se som-mati ai contributi privati e alle sponsorizzazioni, por-tano l’autofinanziamento a oltre il 33 per cento del valore della produzione;

6) costo del personale in leggero aumento nel 2013, anche per le indennità connesse alla prestigio-sa tournée in Giappone, e tale da assorbire, da solo, l’intero ammontare dei contributi pubblici. Rispetto al valore della produzione, tuttavia, tale voce di co-sto è tra le più basse nel sistema delle fondazioni li-rico-sinfoniche;

7) costi di produzione in leggero aumento nel 2013, comunque inferiori al valore della produzione, tale da garantire il conseguimento di un utile d’eser-cizio dopo le imposte, a riprova della politica gestio-nale attenta seguita dalla fondazione;

8) nel complesso la politica della fondazione si caratterizza ormai con regolarità per il rigore ge-stionale in un contesto produttivo che si impone per quantità di rappresentazioni (in media una ogni tre giorni nell’intera stagione 2012-2013), elevata qua-lità delle stesse, secondo la migliore tradizione del prestigioso teatro, massima valorizzazione delle ri-sorse interne artistiche e tecniche, una notevole at-tenzione ai giovani compositori, l’intensificazione delle collaborazioni con altre istituzioni italiane ed estere.

12. La Fondazione Arena di Verona(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione patrimoniale con alcuni profi-

li problematici. A un fondo di dotazione negativo si aggiunge un patrimonio netto inferiore al valore de-gli immobili conferiti in uso gratuito (fra i quali l’A-rena e il Teatro filarmonico). Esso risulta in crescita rispetto all’anno precedente grazie al positivo utile d’esercizio registrato nel 2013. Tale ultimo dato, tut-tavia, è stato possibile solo grazie alla contabilizza-zione (una tantum e certamente non ripetibile nei fu-turi bilanci) della cessione di ramo d’azienda corri-spondente alle attività non artistiche della Fondazio-ne alla controllata Arena extra s.r.l.;

2) un considerevole indebitamento, in ulteriore, netta crescita nel 2013, in particolare verso il sistema bancario (+3 mln circa rispetto al precedente eserci-zio) e verso i fornitori;

3) una contribuzione da parte di privati piuttosto modesta, ma compensata da un più elevato apporto da sponsorizzazioni;

4) una scarsa contribuzione degli enti territoriali, in ulteriore diminuzione nel 2013 (consistente in par-ticolare il calo dell’apporto del Comune di Verona, in ritardo nella deliberazione di un contributo promes-so) inferiore a quella dei privati e pari a circa la deci-ma parte di quella dello Stato;

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5) elevati ricavi da biglietteria, inferiori soltan-to a quelli della Scala nell’ambito lirico-sinfonico nazionale. Tali proventi caratteristici, se sommati ai contributi privati e alle sponsorizzazioni, portano l’autofinanziamento, in valore assoluto, a poco più della metà di quello registrato dal teatro milanese e a quasi tre volte quello delle successive migliori fon-dazioni lirico-sinfoniche. Questo stesso dato è inve-ce il più alto in assoluto se rapportato al valore del-la produzione, raggiungendo quasi il 57 per cento;

6) un valore della produzione pari a poco meno della metà di quello registrato dalla Scala, ma supe-riore in larga misura (se si eccettua l’Opera di Roma) a quella di tutte le altre fondazioni lirico-sinfoniche;

7) i costi sono stati però superiori al valore della produzione di oltre 6 milioni ed è stato possibile con-seguire un utile di esercizio solo grazie al proven-to straordinario della citata cessione di un ramo d’a-zienda alla controllata Arena extra s.r.l.;

8) costo del personale (al netto di quello scrittu-rato) in crescita (+4 per cento) nel 2013 – anche per l’aumento di 9 unità nel numero dei dipendenti e per il maggior esborso relativo al personale a prestazio-ne – e tale da rappresentare il 151 per cento dell’inte-ro ammontare dei contributi. Rispetto al valore del-la produzione, tuttavia, tale voce di costo è tra le più contenute nel sistema delle fondazioni lirico-sinfoni-che (superiore solo a quella registrata dal Teatro Pe-truzzelli di Bari);

9) nel complesso la Fondazione ha una posizio-ne del tutto particolare nel panorama lirico-sinfonico italiano. Essa si giova soprattutto della forte capaci-tà di richiamo dell’Arena, anche per la qualità delle rappresentazioni offerte e per la elevata risposta del pubblico durante la stagione degli spettacoli all’aper-to. I costi di produzione sono risultati peraltro molto elevati nel 2013 a fronte dei pur considerevoli rica-vi e dell’insieme dei contributi e delle sponsorizza-zioni. E pertanto una politica di ragionevole conteni-mento di tali costi, assieme a un’intensificazione del-la collaborazione con altre istituzioni teatrali e mu-sicali (e culturali più in generale) appare certamen-te auspicabile.

13. La Fondazione Accademia nazionale di Santa Cecilia(Omissis)

La fondazione presenta:1) una situazione patrimoniale in via di consoli-

damento, con un patrimonio netto in aumento, anco-ra inferiore al valore del totale delle immobilizzazio-ni, ma ormai superiore al valore d’uso illimitato de-

gli immobili del Parco della Musica sede dell’attivi-tà concertistica;

2) un indebitamento consistente, in ulteriore au-mento nel 2013, ma inferiore a quello che registrano altre ondazioni. L’esposizione è soprattutto verso il sistema bancario, causato soprattutto dai continui ri-tardi nell’acquisizione dei contributi, mentre è in ca-lo il debito nei confronti dei fornitori;

3) una contribuzione da parte di privati e spon-sor tra le più elevate dell’insieme delle fondazioni li-rico-sinfoniche, pari a oltre il 27 per cento del totale dei contributi (inferiore solo alla Scala di Milano) e superiore a quella degli enti territoriali;

4) una contribuzione degli enti territoriali pari complessivamente a quasi il 26 per cento del tota-le dei contributi (quelli dello Stato valgono il restan-te 47 per cento);

5) entrate da biglietteria e abbonamenti inferio-ri a quelle delle migliori fondazioni liriche, ma supe-riore a quasi tutte le altre (fatta eccezione per l’Opera di Roma) anche in considerazione del minore costo dei biglietti. Tali proventi caratteristici, se sommati ai contributi privati e alle sponsorizzazioni, portano l’autofinanziamento a oltre il 36 per cento del valore della produzione, percentuale inferiore solo a quelle dell’Arena di Verona e della Scala di Milano;

6) costo del personale sostanzialmente invaria-to rispetto all’anno precedente, nonostante l’aumen-to di 11 unità di dipendenti, ma ancora molto elevato e tale da assorbire, da solo, circa il 98 per cento del totale dei contributi pubblici;

7) costi di produzione in diminuzione nel 2013, grazie alla politica di contenimento nella quale la fondazione è impegnata, e comunque inferiori al va-lore della produzione (anch’esso, peraltro, in calo), con un utile d’esercizio al netto delle imposte in cre-scita rispetto all’anno precedente;

8) nel complesso la politica gestionale della fon-dazione è riuscita a coniugare la quantità e la quali-tà delle rappresentazioni (suffragata dagli ottimi esi-ti delle tournée all’estero), con un’attenzione rigoro-sa ai costi, tale da evitare le produzioni che presen-tassero margini negativi.

14. La Fondazione Petruzzelli e teatri di Bari(Omissis)

La fondazione ha attraversato un periodo di pro-fonda crisi e tuttora presenta:

1) una situazione grave sul fronte della patri-monializzazione: il patrimonio netto è negativo per 960 mila euro, dopo la perdita di esercizio registra-ta nell’anno, pari a 1.957.000 euro. È urgente per-

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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tanto che i soci fondatori provvedano di conseguen-za anche al fine di ripristinare l’equilibrio economi-co-finanziario.

2) una contribuzione da parte di privati e spon-sor inferiore al 6 per cento del totale dei contributi;

3) una contribuzione degli enti territoriali pa-ri complessivamente a circa un terzo di quella del-lo Stato;

4) ancora un rilevante indebitamento (rispetto al valore del patrimonio netto), peraltro in decisa ridu-zione rispetto al 2012 (-28,3 per cento);

5) i ricavi da biglietteria e abbonamenti più bassi dell’intero sistema operistico nazionale;

6) costo del personale ancora piuttosto elevato e pari da solo al totale dei contributi pubblici, nono-stante l’organico sia in assoluto il meno numeroso fra le 14 fondazioni.

7) costo complessivo leggermente inferiore al-la media delle fondazioni soggette a piano di rien-tro, e nettamente inferiori al valore della produzione (anche se nel 2013 in decisa crescita rispetto a quel-li dell’anno precedente). I costi non sono comunque sostenibili a fronte della modestia dei ricavi.

In quanto commissariata la fondazione rien-tra obbligatoriamente nel programma di risanamen-to previsto dal decreto “Valore cultura”. Nel piano di risanamento triennale presentato dal commissa-rio straordinario dopo l’istruttoria compiuta e tutto-ra all’esame del Mef, le linee di intervento sono in-centrate su:

1. un piano di ricostituzione patrimoniale grazie alla donazione da parte del Comune di Bari di due immobili di prestigio, per un valore di 4 milioni, che saranno ristrutturati entro il 2016 con il contributo appositamente già deliberato dal Mibact. La ricapi-talizzazione dovrebbe riportare il patrimonio netto a un valore positivo già nel 2015 e, a fine triennio a raggiungere il livello di 4,5 milioni;

2. un piano di ristrutturazione dell’esposizione debitoria verso gli istituti bancari, i fornitori e l’e-stinzione dei debiti tributari e previdenziali scaduti. L’impegno ad escludere ogni indebitamento con gli istituti di credito, fatta salva una linea a breve di en-tità modesta per esigenze di flessibilità di cassa. A tal fine la richiesta del contributo al fondo di rotazione è pari a poco meno di 4,5 milioni;

3. l’impegno a una crescita del livello di produ-zione da 502 a 947 punti Fus entro il 2016, soprattut-to grazie a un aumento di oltre 400 punti di contri-buto della lirica, anche grazie a rappresentazioni in forma ridotta per le scuole e il pubblico più giovane;

4. i ricavi da botteghino e da abbonamenti rimar-rebbero sostanzialmente stabili, o lievemente au-mentati, grazie a una strategia di forte riduzione dei prezzi dei biglietti per ampliare al massimo la pla-tea dei fruitori;

5. un recupero dei contributi degli enti territoria-li, fino a ripristinare il livello di anni precedenti, for-temente ridotto nel 2013;

6. il contenimento dei costi fissi e variabili per circa 1 milione a fine triennio, che, in presenza di un forte aumento della produzione, significherebbe una significativa diminuzione del costo unitario (il costo di produzione-punto Fus calerebbe di due terzi);

7. Non sono invece previste azioni sul versante del costo del personale, poiché nell’attuale situazio-ne non è stato sottoscritto alcun contratto integrativo.

15. Quadro complessivo dei risultati patrimoniali ed economici e considerazioni di sintesi

L’analisi condotta finora ha interessato ciascuna fondazione lirico sinfonica facendone emergere sia gli elementi distintivi sia le eventuali criticità.

Si ritiene utile in questa parte finale definire un complessivo quadro riassuntivo attraverso una diver-sa prospettazione dei dati, che consenta una miglio-re e ampia comprensione dei complessivi fenome-ni e delle tendenze evolutive del settore, in conside-razione della particolare realtà gestionale. (Omissis)

15.1. La situazione patrimonialeNel corso dell’esercizio in esame l’attivo patri-

moniale complessivo è diminuito di euro 19.627.115 (-1,8 per cento). (Omissis)

La categoria più consistente dell’attivo patrimo-niale continua ad essere rappresentata dalle immo-bilizzazioni immateriali, che comprendono il valore del diritto d’uso gratuito degli immobili destinati al-lo svolgimento delle attività istituzionali.

Il volume complessivo dei crediti si riduce (-14,3 per cento) nel 2013 per effetto, soprattutto, della consistenza di quelli verso i clienti, lo Stato, gli en-ti territoriali, l’erario, gli istituti di previdenza e al-tri. (Omissis)

Il passivo patrimoniale, escluso il patrimonio netto, resta sostanzialmente stabile rispetto al 2012. (Omissis)

Nell’ambito del passivo patrimoniale l’ammontare complessivo dei debiti, che prevale sistematicamente sui crediti, è in genere condizionato dalle esposizioni verso gli Istituti di credito, correlate alle anticipazioni richieste a valere sulla quota del Fus per fronteggiare i ritardi nell’erogazione delle altre partecipazioni con-

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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tributive (enti locali, privati) e le sofferenze finanzia-rie degli esercizi precedenti. A volte influiscono anche le quote di ammortamento dei mutui ipotecari esisten-ti, mentre si rivelano sostanzialmente in linea con il passato i debiti verso fornitori, Istituti di previdenza e dipendenti. (Omissis)

Il valore complessivo del patrimonio netto – distinto in bilancio, secondo le disposizioni Mi-bact (260), a partire dai dati del 2009, in parte dispo-nibile e parte indisponibile, ai fini di una più aderen-te lettura dei dati di bilancio delle diverse fondazio-ni – è riportato nel successivo prospetto. (Omissis)

I dati esposti evidenziano a fine 2013 una consi-stenza pari a euro 424.308.811, con una contrazione in valore assoluto 15.720.845 (-3,6 per cento).

Diverse fondazioni hanno presentato incremen-ti al proprio patrimonio netto, giacché talune hanno beneficiato – oltre agli eventuali utili di esercizio – di alcuni apporti diretti al patrimonio, provenienti so-prattutto dagli enti locali, rivolti al riequilibrio delle situazioni di grave dissesto gestionale.

Al contrario il Teatro dell’Opera di Roma e il Te-atro Carlo Felice di Genova presentano una contra-zione del patrimonio netto pari rispettivamente ad euro 12.905.145 (-69,4 per cento) ed euro 5.814.066 (-15,4 per cento). Grave deficit patrimoniale presen-tano, invece, sia il Teatro del Maggio Musicale Fio-rentino (euro 5.115.426) sia il Petruzzelli di Bari (eu-ro 960.245).

Il valore complessivo del patrimonio netto in al-cuni casi risulta essere inferiore a quello del “diritto d’uso gratuito degli immobili” appartenente a terzi e concesso alle fondazioni per lo svolgimento dell’at-tività istituzionale; come più volte indicato, a partire dal bilancio d’esercizio 2009 quest’ultima voce deve essere evidenziata sia all’interno delle immobilizza-zioni immateriali dell’attivo patrimoniale sia, quale “riserva indisponibile”, nella parte indisponibile del patrimonio netto.

A tal proposito, si segnala che non è stata riscon-trata la corrispondenza nello stato patrimoniale tra gli importi delle due voci suddette nei dati esposti dal Teatro Lirico di Cagliari, dal Teatro del Maggio Mu-sicale Fiorentino e dal Teatro San Carlo di Napoli.

In termini di patrimonio disponibile i dati, ripor-tati nel prospetto seguente, evidenziano, specialmen-te nel 2013, situazioni di deficit patrimoniale com-plessivo:

(260) Nota Mibact n. 595/2010. In particolare, il patrimo-nio indisponibile non assolve alla funzione di assorbimento delle perdite e di garanzia delle ragioni dei creditori.

(omissis) Nel 2013, la situazione peggiora, peral-tro, per alcuni teatri (Lirico di Cagliari da -601.561 euro a -4.797.779 euro; Maggio Musicale Fiorentino da -37.428.831 euro a -41.267.409 euro; San Carlo di Napoli da -22.171.456 euro a -39.856.201 euro; Ac-cademia Nazionale di Santa Cecilia da 662.162 euro a 52.626 euro) a causa della mancata corrisponden-za complessiva tra il valore del diritto d’uso illimi-tato degli immobili dell’attivo patrimoniale e il pa-trimonio indisponibile indicato nel patrimonio netto.

15.2. La gestione ordinaria(Omissis) Nel 2013 in termini complessivi i dati

che precedono confermano, come nell’esercizio pre-cedente, il continuo incremento dei costi acutizzato dal parallelo decremento del valore della produzione con conseguente saldo negativo 28.739.106. La si-tuazione è determinata dalla minore consistenza sia dei contributi in conto esercizio che dei ricavi propri.

In particolare, 7 fondazioni (Teatro lirico di Ca-gliari, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Regio di Torino, Teatro La Fenice di Venezia, Accademia nazionale Santa Cecilia, Teatro alla Scala di Mila-no e Teatro Massimo di Palermo) hanno realizzato nel 2013 risultati positivi della gestione caratteristi-ca, mentre risultati negativi hanno presentato le altre fondazioni (in particolare Teatro dell’Opera di Ro-ma, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Arena di Verona e Teatro Carlo Felice di Genova).

Nel 2013, il valore complessivo della produzio-ne è stato pari a euro 506.490.398 con una flessione dell’1 per cento rispetto al 2012; i costi complessivi della produzione, pari ad euro 535.229.504, sono au-mentati dell’1,9 per cento.

Ai fini di una migliore comprensione, si ripor-ta una sintesi grafica espressiva dell’evoluzione sia del valore, articolato nelle tre principali componen-ti, sia dei costi della produzione. Nella serie storica si noteranno la tendenza alla riduzione dei contribu-ti in conto esercizio e degli altri ricavi e quella a un leggero aumento dei ricavi da vendite e prestazio-ni. (Omissis)

I costi della produzione hanno registrato nel cor-so degli anni un andamento discontinuo: dopo l’im-pennata registrata fra il 2006 e il 2008, vi è una for-te caduta negli anni successivi. Il dato del 2013 è su-periore a quello dell’anno precedente e in linea con quello del 2011. Resta tuttavia notevolmente più bas-so di quelli registrati nel periodo 2006-2009.

Dall’esame dei risultati economici d’esercizio del-le fondazioni si desume un quadro alquanto variega-to, che evidenzia un netto peggioramento. (Omissis)

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Nel biennio esaminato, ancorché con andamenti differenti, registrano risultati costantemente positivi le seguenti fondazioni: Lirico di Cagliari, San Carlo di Napoli, Regio di Torino, Lirico di Trieste, Fenice di Venezia, Arena di Verona e Accademia nazionale di Santa Cecilia.

I teatri comunale di Bologna e Maggio Musicale Fiorentino chiudono i due esercizi in perdita.

Il Petruzzelli e Teatri di Bari, l’Opera di Roma, il Massimo di Palermo, il Carlo Felice di Genova mo-strano andamento discontinuo, con alternanza di utili e perdite di esercizio; la Scala di Milano torna in leg-gero utile nel 2013.

Quanto su esposto viene sinteticamente rappre-sentato nel grafico seguente che riporta i risultati economici di ciascuna fondazione negli ultimi otto esercizi.

Si noterà la netta prevalenza delle situazioni in passivo rispetto a quelle in attivo nel corso degli an-ni. (Omissis)

Dai dati riportati si evince che nel 2013 detti rica-vi sono complessivamente aumentati del 6,6 per cen-to, sebbene alcune fondazioni (teatri di Firenze, Trie-ste, Genova, Cagliari e Accademia nazionale di San-ta Cecilia) abbiano presentato riduzioni più o meno evidenti.

I più ragguardevoli rimangono i ricavi della Sca-la di Milano e dell’Arena di Verona, che da soli rap-presentano oltre la metà del totale dei ricavi di tut-te le fondazioni. Da evidenziare, peraltro, gli incre-menti percentuali registrati dal San Carlo di Napo-li e, soprattutto, dal Teatro comunale di Bologna, dal Petruzzelli e teatri di Bari e dalla Fenice di Venezia.

Con riferimento al valore complessivo della pro-duzione nel biennio 2012-2013, pari rispettivamente a euro 511.373.966 ed euro 506.490.398, i ricavi da vendite e prestazioni incidono in entrambi gli eserci-zi mediamente per il 28 per cento circa.

Considerato, invece, l’insieme dei costi della produzione dello stesso periodo, tali ricavi ne copro-no in media il 27 per cento circa.

Il prospetto seguente riporta il totale delle “alzate di sipario” e il quadro riepilogativo dei punti Fus re-lativi all’attività proposta dalle 14 fondazioni nell’ul-timo biennio (261).

(Omissis) I dati evidenziano nel 2013, rispetto all’anno precedente, un aumento del numero di rap-

(261) A partire dall’esercizio 2014, la quota variabile del Fus connessa alla produzione è elevata al 50 per cento e riferi-ta all’attività effettivamente realizzata nell’esercizio prece-dente.

presentazioni e dell’ammontare di punti Fus connes-so all’attività proposta solo per i teatri di Venezia, Verona, Palermo e Bari. I restanti teatri (con l’ecce-zione di Milano e di Roma-Santa Cecilia, per i quali non si dispone di dati completi), registrano una dimi-nuzione in questi parametri o una sostanziale inva-rianza. Alcuni di essi (Genova e Trieste) hanno pro-posto un maggior numero di rappresentazioni, ma di minore complessità. (Omissis)

L’andamento del biennio considerato è condizio-nato dall’alterna consistenza delle risorse pubbliche – che complessivamente rappresentano circa l’87 per cento del totale – in gran parte influenzate sia dagli incrementi e dai tagli operati al Fus sia dall’eroga-zione di altri fondi al comparto. Le Amministrazio-ni territoriali sono intervenute, sia pure in misura di-versa tra loro, con un sostegno variabile nel biennio, evidenziando, comunque, l’inadeguatezza della loro contribuzione rispetto al fabbisogno.

Resta disattesa l’aspettativa di una maggiore par-tecipazione dei privati alla gestione dei Teatri liri-ci, considerato il limitato volume delle risorse pro-venienti da fonti private, che rappresenta circa il 13 per cento del totale dei contributi. Fanno eccezione poche fondazioni, in particolare il Teatro alla Sca-la di Milano che nel 2013 riceve dai privati un ap-porto pari al 32,1 per cento e l’Accademia naziona-le di Santa Cecilia che beneficia di una quota pari al 27,4 per cento.

Le risorse proprie delle fondazioni – intese quali ricavi da vendite e prestazioni – si confermano di li-mitato apporto rispetto al valore della produzione es-sendo, peraltro, insufficienti alla copertura dei costi gestionali. (Omissis)

L’Arena di Verona e il Teatro alla Scala di Mila-no, come già evidenziato, riescono ad ottenere i mi-gliori risultati in termini di risorse proprie. Seguono, più staccate, ma con risultati comunque confortanti le fondazioni del San Carlo di Napoli, dell’Accade-mia di Santa Cecilia di Roma e della Fenice di Vene-zia. Assai modesti sono invece i risultati di Trieste, Palermo e Cagliari e, rapportati al tendenziale baci-no di utenza, quelli dell’Opera di Roma. (Omissis)

70 – Sezione controllo enti; determinazione 30 giu-gno 2015; Pres. e Rel. Gallucci; Istituto naziona-le di previdenza dei giornalisti italiani “G. Amen-dola” (Inpgi).

Enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria – Istituto nazionale di previdenza dei giorna-

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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listi italiani “G. Amendola” (Inpgi) – Gestio-ne finanziaria 2014 – Relazione al Parlamento.

R.d. 25 marzo 1926 n. 838, riconoscimento dell’Isti-tuto nazionale di previdenza dei giornalisti come ente morale; l. 21 marzo 1958 n. 259, partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, art. 2; d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, attuazione della delega conferita dall’art. 1, c. 32, l. 24 dicembre 1993 n. 537, in materia di trasformazione in persone giuri-diche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, art. 3.

La relazione riferisce al Parlamento i risulta-ti del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “G. Amendola” (Inpgi) per l’esercizio 2014.

La Corte evidenzia come le risultanze economi-che della c.d. gestione sostitutiva mostrino, nel com-plesso, una diminuzione rispetto ai risultati degli esercizi precedenti, con un peggioramento di oltre 24 milioni rispetto al 2013, da ricondurre essenzial-mente all’andamento negativo del saldo della gestio-ne previdenziale e assistenziale (pari a -81,620 milio-ni, a fronte di -51,649 milioni nel 2013 e -7,391 milio-ni nel 2012), a sua volta determinato da minori ricavi per 6,742 milioni e maggiori costi per 23,230 milioni.

Tali risultati, così come le dinamiche del rappor-to tra contributi e prestazioni e, quindi, gli equili-bri della gestione sono stati influenzati, ancora nel 2014, dalla decisa diminuzione dei rapporti di lavo-ro nel settore editoriale (-6,2 per cento nel 2013, con una flessione di oltre il 14 per cento nel quinquennio 2010-2014) e da un ricorso più esteso al sistema di ammortizzatori sociali.

La gestione patrimoniale ha registrato un incre-mento di 2,6 milioni rispetto al 2013, essenzialmente da ricondurre, da una parte, al miglior risultato del portafoglio mobiliare (10 milioni circa, al netto del-le componenti straordinarie) e, dall’altra, ai minori saldi della gestione immobiliare (per 7,3 milioni cir-ca). La redditività netta del patrimonio immobiliare (calcolata secondo le modalità stabilite dalla Covip) si attesta all’1,68 per cento, contro il 2,25 del 2013.

La c.d. gestione separata ha chiuso il 2014 con un avanzo di 41,206 milioni, contro i 43,826 milioni del 2013. In particolare, la gestione patrimoniale è diminuita, tra i due esercizi, di 1,202 milioni, con un saldo, nel 2014, pari a 46,311 milioni, mentre la ge-stione previdenziale si è incrementata di 1,787 milio-ni, con un saldo di 8,336 milioni.

La relazione evidenzia, altresì, che, nell’ultimo biennio, l’equilibrio di bilancio dell’Istituto è stato

conseguito grazie ai proventi derivanti da operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare (696,486 milioni all’1 gennaio 2013 e 453,892 milioni a fine 2014) e che, ove negli anni a venire i risultati della gestione caratteristica registrassero perdite uguali o maggiori di quelle del biennio 2013-2014, i proven-ti straordinari da plusvalenze potrebbero contribuire soltanto per un numero limitato di anni al comples-sivo equilibrio della gestione.

Rileva, infine, la Corte che i risultati economi-co-finanziari dell’esercizio 2014 – ancor meno fa-vorevoli di quelli, pure negativi del 2013 – impon-gono non soltanto la costante attenzione degli orga-ni di amministrazione all’andamento dei saldi previ-denziali (il cui equilibrio è condizione di sostenibili-tà della gestione complessiva), ma anche un’attenta riflessione circa gli interventi necessari a corregge-re con urgenza gli squilibri della gestione previden-ziale. (1)

Parte I – Profili generali 1. Il sistema pensionistico e gli equilibri di bilancio

L’Istituto nazionale di previdenza dei giornali-sti italiani “Giovanni Amendola” (Inpgi), soggetto di diritto privato (nella specie della fondazione) ai sen-si del d.lgs. n. 509/1994, è ente inserito nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, cc. 2 e 3, l. n. 196/2009. (Omissis)

Ai fini di inquadramento generale, qui è comun-que utile ribadire come l’attività istituzionale dell’In-pgi ha riguardo a due diverse forme di previdenza. L’una, più risalente nel tempo, ha per finalità la tu-tela previdenziale e assistenziale obbligatoria, sosti-tutiva dell’Ago (Inpgi 1), nei riguardi dei giornali-sti professionisti e dei praticanti giornalisti, succes-sivamente estesa alla categoria dei pubblicisti, titola-ri di rapporto di lavoro subordinato, a tempo deter-minato o indeterminato, ed iscritti nell’albo e nel re-gistro tenuti dall’ordine. Sono, inoltre, obbligatoria-mente iscritti all’Inpgi coloro che svolgono, presso la pubblica amministrazione o presso datori di lavo-ro privati, attività di natura giornalistica a tempo de-terminato o indeterminato. (Omissis)

Qui basti ricordare come nel luglio del 2011 l’I-stituto ha adottato una riforma del sistema previden-ziale, che prevede:

1) l’innalzamento graduale dell’aliquota dei con-tributi Ivs a carico dei datori di lavoro di due pun-ti percentuali, con decorrenza, rispettivamente,

(1) Il testo integrale della relazione è consultabile in www.corteconti.it.

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dall’1 gennaio 2012 e dall’1 gennaio 2014. Un ul-teriore punto percentuale è previsto – previa verifi-ca dell’andamento tecnico attuariale della gestione – dall’1 gennaio 2016;

2) l’innalzamento graduale, dall’1 gennaio 2012, dell’età necessaria alle donne giornaliste per conse-guire la pensione di vecchiaia (60 anni prima della ri-forma). L’età viene innalzata di cinque anni nell’ar-co di un decennio, per attestarsi, dunque, a 65 anni dal 2021;

3) un regime di agevolazioni contributive per le aziende che assumano – con rapporto di lavoro a tempo indeterminato – giornalisti disoccupati o inoc-cupati da almeno 6 mesi, ovvero che siano titolari di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determi-nato o di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, che vengano trasformati in contratto di lavoro a tempo indeterminato. (Omissis)

È pur tuttavia da sottolineare come la profonda crisi del settore dell’editoria – che stando ai dati di-sponibili non accenna ad attenuarsi – sta avendo, an-no dopo anno, gravi e preoccupanti riflessi sull’an-damento della gestione previdenziale dell’Istituto, il cui equilibrio lo stesso legislatore intende garantire. Della tenuta nel medio e lungo periodo del sistema previdenziale dei giornalisti verranno indicazioni dal prossimo bilancio tecnico di cui l’Inpgi quanto pri-ma dovrà dotarsi.

I numeri dell’ultimo triennio sono comunque as-sai pesanti e segnano un progressivo peggioramen-to degli equilibri previdenziali. Nel 2014 il saldo tra contributi obbligatori correnti e prestazioni obbliga-torie correnti mostra un disavanzo di oltre 118 milio-ni (92 mln nel 2013), il risultato della gestione pre-videnziale e assistenziale è negativo per 81,6 milio-ni (-51,6 mln nel 2013; -7,4 mln nel 2012). L’avanzo economico di gestione è positivo per circa 17 milio-ni (41 mln nel 2013), cui però contribuiscono – co-me con maggior dettaglio si dirà nel pertinente ca-pitolo di questa relazione – proventi straordinari per oltre 110 milioni (93 mln circa nel 2013), da ricon-durre, quasi per l’intera cifra, alle plusvalenze con-seguenti alla cessione di quota del patrimonio immo-biliare al neo costituito fondo immobiliare (chiuso) “Inpgi Giovanni Amendola” (d’ora innanzi “Fondo immobiliare Inpgi”).

Le cifre appena esposte sono, dunque, significati-ve del deteriorarsi di una situazione cui anche contri-buisce l’articolato sistema di ammortizzatori socia-li posti a tutela della categoria: trattamenti di disoc-cupazione, contratti di solidarietà, cassa integrazione straordinaria. (Omissis)

Basti porre in evidenza come, nel confronto tra il 2010 e il 2014, il saldo tra entrate e uscite per am-mortizzatori sociali (disoccupazione, cigs, contratti di solidarietà, mobilità) positivo nel 2010 per 8,83 milioni, sia nel 2014 di segno negativo per 16,7 mi-lioni. (Omissis)

Un ultimo riferimento merita la questione rela-tiva al fondo contrattuale denominato “ex fissa”. Si tratta di un fondo integrativo contrattuale istituito nel 1986 con convenzione stipulata tra Fieg, Fnsi, Inter-sind e Rai, gestito dall’Inpgi per conto terzi e alimen-tato da uno specifico contributo a carico degli edito-ri, finalizzato alla corresponsione ai giornalisti pro-fessionisti di prestazioni previdenziali integrative. Il progressivo aggravarsi dello stato di crisi del setto-re editoriale, ha determinato, di fatto, la messa in li-quidazione e la definitiva chiusura del fondo contrat-tuale “ex fissa”, concordata tra le parti sociali (Fieg e Fnsi) con intesa del 24 giugno 2014. È stato, inoltre, concordato un regime transitorio di prestazioni al fi-ne di salvaguardare i diritti acquisiti, in considerazio-ne dell’impossibilità del fondo “ex fissa” di garantire la regolare liquidazione delle prestazioni.

Con delibera n. 76 del 10 dicembre 2014 (che re-cepisce i rilievi formulati dal Ministero del lavoro con nota dell’1 dicembre 2014 alla delibera n. 49 del 25 settembre 2014) è stato previsto da Inpgi un finan-ziamento in più tranches al Fondo medesimo per un importo massimo di 35 milioni di euro al tasso netto annuo del 4,60 per cento. La sostenibilità del finan-ziamento, attestata da uno studio attuariale aggiorna-to al 5 dicembre 2014, è previsto venga raggiunta at-traverso una contribuzione dello 0,35 per cento sulle retribuzioni mensili dei giornalisti professionisti con contratto a tempo indeterminato a carico delle azien-de editoriali e aggiuntiva a quella dell’1,50 per cen-to già in atto erogata a favore della gestione in paro-la. (Omissis)

La gestione separata (Inpgi 2) provvede a liqui-dare ai propri iscritti (giornalisti professionisti, pub-blicisti e praticanti che esercitano attività autonoma di libera professione o che svolgono attività lavora-tiva di natura giornalistica anche nella forma della collaborazione coordinata e continuativa), con il me-todo di calcolo contributivo, la pensione di invalidi-tà, di vecchiaia e ai superstiti. La gestione provve-de altresì all’erogazione del trattamento di maternità, spettante alle libere professioniste ai sensi del d.lgs. 26 marzo 2001, n.151. (Omissis)

Anche l’Inpgi 2 ha deliberato nel settembre del 2011 modifiche di rilievo al regolamento di attuazio-ne delle attività di previdenza a favore degli iscrit-

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ti alla gestione separata, sia dal lato della contribu-zione, sia da quello delle prestazioni. Del contenuto di queste misure si è dato conto nella precedente re-lazione ed alle informazioni in essa contenute si fa, pertanto rinvio. (Omissis)

2. Misure di contenimento della spesa, conseguenti adempimenti ed altri interventi

(Omissis) Per le casse dei professionisti la nor-mativa in parola si è, più di recente, tradotta nelle di-sposizioni recate dall’art. 1, c. 417, legge di stabili-tà 2014 e dall’art. 50, c. 5, d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito dalla l. 23 giugno 2014, n. 89), che han-no, rispettivamente, stabilito nella misura del 12 per cento e del 15 per cento l’ammontare delle somme da riversare all’entrata del bilancio dello Stato con rife-rimento alla spesa per consumi intermedi parametra-ta all’anno 2010 (3).

Restano, comunque, ferme per le casse altre di-sposizioni di diversa natura, finalizzate alla riduzio-ne e razionalizzazione delle spese, di cui si è dato conto nel dettaglio nella precedente relazione, alla quale, sul punto, si fa rinvio in presenza di un quadro normativo immutato. (Omissis)

Con riguardo agli adempimenti richiesti dal-la normativa sopra richiamata e finalizzati al con-tenimento della spesa per consumi intermedi, l’In-pgi ha riversato al bilancio dello Stato 495.939 euro (446.510 relativi alla gestione principale, 49.429 alla separata). (Omissis)

3. Gli organi(Omissis) I costi complessivi per indennità, get-

toni di presenza e rimborsi spese (di viaggio, alber-ghiere e per i pasti, oneri contributivi e spese di rap-presentanza), gravanti sulla gestione sostitutiva, si attestano nel 2014 sull’importo di 1.388 euro/mgl (1.404 euro/mgl nel 2013) e segnano, dunque, un de-cremento pari all’1,13 per cento, in ragione dei mi-nori oneri riferiti alle spese per rimborsi agli orga-ni collegiali.

Per la gestione separata i predetti costi, ammon-tanti nel 2013 a 233 euro/mgl, sono pari nel 2014 a 246 euro/mgl con un aumento del 5,65 per cento.

(3) A tale riguardo è da segnalare come il Consiglio di Sta-to con ord. n. 1046 depositata in data 4 giugno 2015 abbia ri-messo alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 8, c. 3, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, sugli obblighi di ridu-zione della spesa per consumi intermedi e riversamento dei ri-sparmi all’entrata del bilancio dello Stato da parte di una cas-sa previdenziale dei professionisti.

4. L’assetto organizzativo e il personaleOccorre premettere come con delibera del Con-

siglio di amministrazione n. 31 del 25 giugno 2014 sia stato approvato il nuovo organigramma dell’en-te, che prevede, tra l’altro, la costituzione di una fun-zione acquisti accentrata e di una funzione di svilup-po organizzativo, la riorganizzazione del servizio en-trate contributive, l’evoluzione del servizio sistemi informativi, un adeguamento del modello operativo del servizio immobiliare e l’assorbimento, nell’am-bito del servizio amministrazione e finanza, delle at-tività connesse agli adempimenti retributivi, previ-denziali e fiscali del personale.

In siffatto contesto, la nuova pianta organica del personale prevede l’inclusione della funzione contri-butiva in un unico servizio presso la gestione princi-pale, con il conseguente trasferimento di tutto il per-sonale già impiegato presso Inpgi 2. (Omissis)

La spesa globale iscritta in bilancio per il perso-nale si attesta a fine 2014 (per la gestione principale) su 16.408 euro/mgl, con un incremento del 2,72 per cento sull’esercizio precedente. (Omissis)

Nel 2014 la gestione separata registra una netta diminuzione del costo in parola (da 572 euro/mgl del 2013 a 216 euro/mgl), tenuto conto che esso ha rife-rimento soltanto ai primi sei mesi dell’anno, antece-dentemente all’assunzione dei relativi oneri da parte della gestione principale. (Omissis)

Un cenno, infine, è da riservare alla delibera del consiglio di amministrazione n. 5/2015 con la quale – su sollecitazione anche del collegio dei sindaci – si è provveduto a rivedere il trattamento economico e normativo dei sette avvocati del servizio legale di In-pgi, allineandolo a quanto previsto dall’art. 9 d.l. n. 90/2014, di riforma dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici e, conte-stualmente, a disporre il recupero delle eventuali dif-ferenze risultanti a credito dell’ente, conseguenti al regime precedentemente applicato.

5. I bilanci consuntivi e tecnici(Omissis) Il collegio sindacale, unico per le due

gestioni, pur pronunciandosi in senso favorevo-le all’approvazione dei rispettivi bilanci, raccoman-da l’Istituto, anche in vista della predisposizione del prossimo bilancio tecnico attuariale, a valutare ogni possibile intervento di riforma del sistema pensioni-stico, al fine di recuperare il disavanzo previdenziale.

Le relazioni della società di revisione esprimo-no il giudizio che i consuntivi per il medesimo eser-cizio, sia della gestione sostitutiva, sia della gestio-ne separata, sono stati redatti con chiarezza e rappre-

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sentano in modo veritiero e corretto la situazione pa-trimoniale e finanziaria, nonché l’avanzo economico al termine di ciascun esercizio. (Omissis)

Parte II – La gestione sostitutiva dell’Ago1. La gestione previdenziale e assistenziale

Nel periodo oggetto del presente referto la ge-stione vede ancora in crescita la platea dei propri iscritti, ammontanti a 34.371 di cui 6.044 pensionati diretti. Rispetto al 2013 aumenta da una parte il nu-mero dei pensionati (tabella 6), diminuisce dall’al-tra quello degli iscritti attivi non titolari di pensio-ne. (Omissis)

A fronte dell’evidenziata consistenza annua de-gli iscritti attivi, risulta gravare sulla gestione sosti-tutiva, a fine di ciascun esercizio, il seguente nume-ro di trattamenti pensionistici obbligatori IVS (tab. 6) ripartito tra le varie tipologie, che ha complessiva-mente registrato, tra il 2008 e il 2014, un aumento di 2.004 unità, di cui 270 tra il 2013 e il 2014. (Omissis)

Dai dati esposti nelle tabelle 5 e 6 si ricava che il rapporto tra iscritti attivi e pensioni (evidenziato nel-la tabella 7) ha subito nel 2014 un’ulteriore flessio-ne, a conferma del trend riscontrabile negli anni pre-cedenti. (Omissis)

Dai dati esposti nella tabella 9 si ricava che, già a partire dal 2010, il saldo tra contributi correnti e pre-stazioni IVS passa in territorio negativo (-4.111 euro/mgl). Il cennato andamento si consolida negli anni successivi, passando da -29.445 euro/mgl del 2011, a -42.583 euro/mgl nel 2012, a -81.530 euro/mgl nel 2013, per raggiungere -102.598 euro/mgl nel 2014. (Omissis)

Nel 2013 e nel 2014 continuano a peggiorare tut-ti gli indicatori riferibili all’andamento della gestione previdenziale di Inpgi. L’entrata da contributi IVS, già in sensibile calo sull’esercizio precedente, segna una decisa flessione in ragione di una ulteriore di-minuzione degli iscritti attivi, di una riduzione com-plessiva dei rapporti di lavoro e del ricorso ai prepen-sionamenti, cui corrisponde ovviamente l’incremen-to del numero delle pensioni. (Omissis)

È soprattutto l’indennità della cassa integrazione per contratti di solidarietà – ammortizzatore socia-le, assimilabile alla Cig che consiste nella riduzione dell’orario di lavoro, con conseguente integrazione salariale per i giornalisti interessati – a segnare, co-me del resto nell’anno precedente, una forte cresci-ta della spesa pari, nel confronto tra 2013 e 2014, a 2.776 euro/mgl. (Omissis)

Mostra la tabella che il saldo tra contribuiti e pre-stazioni – sempre di segno positivo sino al 2010 –

si colloca negli anni successivi in territorio negativo con un peggioramento progressivo che nel 2013 ar-riva a superare gli 85 milioni e nel 2014 si attesta sul ben peggior risultato di 111.248 euro/mgl. (Omissis)

2. La gestione patrimoniale2.1. La gestione immobiliare

(Omissis) Dal 2013 al 2014 il complessivo valo-re di libro degli immobili (462.826 euro/mgl) ha re-gistrato, come già nel precedente biennio, una sensi-bile variazione in diminuzione per effetto: a) dell’ul-teriore apporto al “Fondo immobiliare Inpgi” di 23 immobili del valore storico di 155,240 milioni e di mercato – previa stima redatta da un esperto indipen-dente – di 258,421 milioni, con una plusvalenza di 102,480 milioni circa; b) della vendita parziale diret-ta di due immobili del valore storico di 0,575 milio-ni e di mercato di 0,771 milioni con una plusvalenza di 0,196 milioni. (Omissis)

Nel 2013 e nel 2014, infine, i ricavi in parola mo-strano una flessione (sul precedente esercizio), ri-spettivamente del 3,5 e del 20,1 per cento da ricon-durre agli effetti derivanti dalle operazioni di appor-to degli immobili al fondo, ma anche dalla perduran-te crisi del settore.

Nell’esercizio in esame diminuisce, dunque, pur lievemente, la redditività lorda (riferita al valore con-tabile degli immobili), mentre quella netta passa dal 2,15 del 2013 all’1,60 del 2014. (Omissis)

Nel 2014 ai due comparti del Fondo sono sta-ti trasferiti ulteriori 23 immobili (per un valore di mercato di 258,491 mln) e versamenti in danaro per 48,930 milioni. Alla gestione separata sono state tra-sferite quote per un ammontare complessivo di 10 milioni circa, con il realizzo di una plusvalenza di 0,105 milioni. (Omissis)

2.2. La gestione mobiliare(Omissis) Mostra la tabella come il valore conta-

bile del portafoglio, in incremento sino al 2012, ab-bia registrato in quest’ultimo esercizio una diminu-zione, sia pure lieve, con una incidenza del 41,7 per cento degli investimenti sul totale delle attività patri-moniali. (Omissis)

La categoria dei fondi immobiliari si incrementa, dunque, tra il 2013 e il 2014 di 242,669 milioni con una movimentazione interna che vede il decremen-to di 50,964 milioni per la vendita totale del “Fon-do immobiliare Hines” (con minusvalenze da ven-dita di 3,125 milioni), l’aumento del “Fondo immo-biliare Inpgi” per 296,750 milioni e di altri fondi per 2,806 milioni, oltre che il decremento per 5,923 mi-

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lioni derivante dalla svalutazione di un fondo immo-biliare. (Omissis)

Quanto ai titoli iscritti nell’attivo circolante la tabella 17 mostra, nel 2014, il decremento marcato dell’investimento in titoli obbligazionari che deter-mina una minore consistenza delle attività finanzia-rie non immobilizzate per 60.703 euro/mgl nel raf-fronto con il 2013 (4). (Omissis)

La tabella 18 espone i risultati economici della gestione mobiliare nel periodo 2009-2014 e mostra come nel 2014 il saldo tra costi e ricavi segni un mi-glioramento sul precedente esercizio con un risultato in incremento per 6,805 milioni. (Omissis)

I dati esposti nella tabella mostrano come il ren-dimento ai valori contabili, in riferimento alla con-sistenza media del portafoglio titoli, sia pari nel 2014 all’1,72 per cento, a fronte dell’1,15 per cen-to del precedente esercizio. Avuto, poi, riguardo al rendimento ai valori di mercato – tenuto conto delle plus-minus valenze implicite non realizzate – esso è pari nel 2014 al 5,97 per cento e nel 2013 al 5,37 per cento. (Omissis)

Quanto al risultato complessivo della gestio-ne patrimoniale (45,5 mln nel 2014; 42,9 mln nel 2013; 49,3 mln nel 2012; 64,9 mln nel 2011) essa, per quanto innanzi esposto, mostra un incremento di 2,6 milioni sul 2013.

3. Il conto economico(Omissis) Nel 2014 l’utile di esercizio, pur gio-

vandosi di plusvalenze da cessione di immobili per 102,676 milioni, chiude con un risultato di 17,020 milioni, per oltre 24 milioni inferiore a quello del 2013.

La gestione previdenziale e assistenziale espone, infatti, un risultato di segno negativo per oltre 81,620 milioni e perde quasi 30 milioni nel confronto con il 2013.

Risultato di per sé allarmante, ancorché ad esso si affianchi un andamento della gestione patrimonia-le positivo per 45,455 milioni ed in aumento di 2,593 milioni sul 2013. (Omissis)

4. Lo stato patrimonialeIl patrimonio netto, composto dalla riserva di ga-

ranzia IVS, dalla riserva generale e dall’avanzo di gestione dell’anno, ha raggiunto nel 2014 l’ammon-

(4) Il valore contabile rappresentato in tabella è rettificato per effetto delle svalutazioni di fine esercizio (euro/mgl 2.169) al fine della iscrizione di ciascun titolo al minore tra il valore di bilancio e quello di mercato.

tare di 1.805,566 milioni, con un tasso di cresci-ta dello 0,9 per cento (nel 2013 +2,4 per cento; nel 2012 +0,6 per cento sul 2011; in quest’ultimo eserci-zio +0,7 per cento sul 2010). (Omissis)

Dai dati esposti nella tabella si ricava che il rap-porto tra la riserva IVS, dopo la destinazione dell’a-vanzo di gestione (vedasi, a riguardo, l’annotazione in calce alla tabella 22) e una annualità di pensione al 31 dicembre 1994 è passato da 11,44 nel 2010, a 11,53 nel 2011 a 11,60 nel 2012, a 11,87 nel 2013 e a 11,99 nel 2014.

Se, però, il confronto è effettuato con l’ammon-tare delle pensioni in essere alla fine di ciascun eser-cizio (come del resto considerato nei bilanci tecnici acquisiti dall’Istituto) il valore del rapporto tra la ri-serva IVS (sempre dopo la destinazione dell’avan-zo) e il detto ammontare risulta pari a 4,03 annualità (4,16 nel 2013, 4,23 nel 2012, 4,38 nel 2011 e 4,62 nel 2010). (Omissis)

Considerazioni finaliNell’esercizio oggetto del presente referto le ri-

sultanze finali economiche della gestione sostituti-va – pur sempre di segno positivo – mostrano, nel complesso, una diminuzione rispetto ai risultati de-gli esercizi precedenti. Diminuzione che nel 2014 su-pera i 24 milioni rispetto all’esercizio precedente e che è da ricondurre, in modo determinante, al deci-so peggioramento del saldo della gestione previden-ziale e assistenziale (pari a -81,620 mln, a fronte di -51,649 mln nel 2013, -7,391 mln nel 2012), con un decremento sul 2013 vicino a 30 milioni per effet-to di minori ricavi (-6,742 mln) e di maggiori co-sti (+23,230 mln). In assenza delle plusvalenze (per oltre 100 mln) conseguenti alla cessione al “Fondo immobiliare Inpgi” di ulteriori quote del patrimonio immobiliare dell’ente, i risultati economici avreb-bero mostrato un ulteriore pesante arretramento su quelli del 2013. (Omissis)

Nelle more delle indicazioni che verranno dal prossimo bilancio attuariale di cui l’Inpgi dovrà do-tarsi, vale qui porre in evidenza come nell’ultimo biennio l’equilibrio di bilancio dell’Istituto è da ri-condurre ai proventi derivanti dal percorso di dismis-sione del patrimonio immobiliare, diverso da quello ad uso di struttura. Patrimonio, questo, che all’1 gen-naio 2013 era, ai valori di bilancio, di 696,486 milio-ni e che a fine 2014 ammonta a 453,892 milioni. È di tutta evidenza come, ove negli anni a venire i risul-tati della gestione caratteristica registrassero perdite uguali o maggiori di quelle del biennio 2013-2014, i proventi straordinari da plusvalenze potrebbero con-

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tribuire soltanto per un numero limitato di anni all’e-quilibrio della gestione. (Omissis)

Delle due principali aree del conto economico, costituite dalla gestione previdenziale e assistenzia-le e dalla gestione patrimoniale, quest’ultima registra un incremento di 2,6 milioni sul 2013, essenzialmen-te da ricondurre, da una parte, al miglior risultato del portafoglio mobiliare (10 milioni circa, al netto del-le componenti straordinarie), dall’altra ai minori sal-di della gestione immobiliare per 7,3 milioni circa. Avuto riguardo al valore di mercato dell’investimen-to mobiliare (comprensivo cioè del saldo positivo tra plusvalenze e minusvalenze implicite) il rendimento si attesta sul 5,97 per cento, contro il 5,37 del prece-dente esercizio. (Omissis)

Sempre con riferimento alla medesima gestione è da rilevare – e questi sono forse i dati cui riserva-re specifica attenzione – come il gettito contributivo IVS, in diminuzione tra il 2014 e il 2013 dello 0,7 per cento (348,315 mln, contro i 350,673 mln nel 2013), faccia registrare complessivamente tra il 2008-2014 una diminuzione dell’8 per cento, a fronte di una cre-scita continua della spesa pensionistica. (Omissis)

I risultati di cui si è appena dato conto – ancor meno favorevoli di quelli, pure negativi del 2013 – non impongono soltanto la costante attenzione de-gli organi di amministrazione ai saldi previdenzia-li, il cui equilibrio è ritenuto dallo stesso legislatore elemento imprescindibile per la valutazione circa la sostenibilità della gestione complessiva, ma che an-che ben si rifletta sulla necessità urgente dell’adozio-ne di nuovi incisivi interventi volti a correggere gli squilibri della gestione previdenziale. Interventi che potranno essere tanto più calibrati alla luce del pros-simo bilancio tecnico di cui l’Istituto dovrà dotarsi.

Può comunque aggiungersi come il presidente dell’Inpgi, in concomitanza con l’approvazione da parte del consiglio generale del bilancio 2014, ab-bia presentato un documento nel quale, tra l’altro, si prende atto dei fattori di criticità che hanno contrad-distinto negli ultimi anni la gestione previdenziale e si rappresenta come il consiglio di amministrazio-ne stia elaborando proposte di riforma che prevedo-no sia interventi sulle entrate contributive, che mi-sure finalizzate al contenimento della spesa per pre-stazioni.

Parte III – La gestione separata (Omissis)Considerazioni finali

La gestione separata chiude il 2014 con un avan-zo di 41,206 milioni, contro i 43,826 milioni del 2013.

Questo risultato è da ricondurre, in tutta preva-lenza, ai saldi, di segno opposto, della gestione patri-moniale, che diminuisce, tra i due esercizi, di 1,202 milioni, e della gestione previdenziale che si incre-menta di 1,787 milioni. In valori assoluti il saldo del-la gestione previdenziale 2014 è positivo per 46,311 milioni, quello della gestione patrimoniale per 8,336 milioni. Sensibile è anche lo scostamento delle com-ponenti straordinarie pari a -3,854 milioni nel con-fronto tra gli esercizi in parola. (Omissis)

Al 31 dicembre 2014 il patrimonio netto della ge-stione raggiunge i 466,754 milioni, di cui 425,548 iscritti a riserva legale e 41,206 derivanti dal risulta-to della gestione economica. (Omissis)

Restano, a fronte della sostanziale sostenibili-tà della gestione anche nelle proiezioni attuariali di lungo periodo, le criticità costituite dall’adeguatezza dell’assegno pensionistico atteso in relazione a tassi di sostituzione molto contenuti.

* * *

Sezione delle autonomie

15 – Sezione delle autonomie; deliberazione 30 apri-le 2015; Pres. Squitieri, Rel. Petrucci; Comune di Cannara.

Comune e provincia – Presidente della provincia e sindaco – Relazione di fine mandato – Scio-glimento dell’organo consiliare della provin-cia o del comune – Redazione della relazio-ne ad opera del commissario straordinario – Esclusione.

D.lgs. 6 settembre 2011 n. 149, meccanismi sanzio-natori e premiali relativi a regioni, province e comu-ni, a norma degli artt. 2, 17 e 26 della l. 5 maggio 2009 n. 42, art. 4, c. 6; d.l. 6 marzo 2014 n. 16, con-vertito con modificazioni dalla l. 2 maggio 2014 n. 68, disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche, art. 11.

La relazione di fine mandato, in quanto atto che ha lo scopo di rendere conto agli elettori dell’attivi-tà svolta dall’amministrazione locale nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità, de-ve essere redatta dal presidente della provincia o dal sindaco e non dal commissario straordinario nomi-nato in seguito allo scioglimento dell’organo consi-liare.

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Premesso – La Sezione regionale di controllo per l’Umbria, con delib. 12 novembre 2014, n. 129, rile-vava alcune irregolarità in ordine alla compilazione e sottoscrizione della relazione di fine mandato del Comune di Cannara (PG).

In particolare, emergeva che la relazione di fine mandato, prevista dall’art. 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, da ultimo modificato dall’art. 11 d.l. 6 mar-zo 2014, n. 16, convertito con modificazioni dalla l. 2 maggio 2014, n. 68, era stata sottoscritta dal com-missario straordinario nominato per la provvisoria amministrazione dell’ente dall’1 ottobre 2013 in so-stituzione del sindaco a seguito delle dimissioni di nove su sedici consiglieri comunali con conseguen-te scioglimento del consiglio comunale. Con nota del 14 ottobre 2014, il sindaco dell’ente precisava che la relazione era stata sottoscritta dal commissario stra-ordinario, in quanto in carica al momento della reda-zione della medesima.

La Sezione regionale di controllo per l’Umbria, nel dare applicazione alla normativa su richiama-ta, ravvisava la sussistenza di problematiche esege-tico-interpretative, in particolare riguardo alla man-canza di una qualsivoglia indicazione normativa sull’organo al quale è intestato il potere sanzionato-rio previsto dall’art. 4, c. 6, d.lgs. n. 149/2011 cit.

La Sezione remittente rilevava nello specifico, che notevoli difficoltà interpretative insorgono per la mancata individuazione da parte del legislatore dell’organo legittimato all’irrogazione delle sanzioni e al riguardo evidenziava soluzioni interpretative di-verse e le connesse, seguenti, problematiche:

a) se tale potere si ritenesse assegnato alla Corte dei conti dovrebbe conseguentemente individuarsi la competenza delle sezioni giurisdizionali o delle se-zioni regionali di controllo;

b) se tale potere si ritenesse di spettanza dell’am-ministrazione, dovrebbe chiarirsi se lo stesso deb-ba essere assegnato a un organo proprio dell’ente al quale si riferisce la relazione di fine mandato o a un organo statale di vigilanza.

Secondo le prospettazioni della Sezione remit-tente, dal quadro normativo complessivo delle dispo-sizioni del d.l. n. 174/2012 e dal sistema giuscontabi-le generale degli enti locali, possono trarsi argomen-ti a favore di ognuna delle elencate opzioni interpre-tative, ad esclusione dell’ultima (intervento sanzio-natorio di un organo dell’amministrazione statale), la quale contrasta con il sistema generale delle auto-nomie, ex artt. 5 e 114 Cost. La Sezione remittente rammenta anche che l’art. 41-bis Tuel, attualmente abrogato dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, assegnava

all’ente locale il potere di prevedere sanzioni ammi-nistrative nelle ipotesi di mancata ottemperanza agli obblighi di pubblicità e trasparenza dello stato patri-moniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo.

Ai fini dell’eventuale incardinazione della com-petenza delle sezioni regionali di controllo, la Sezio-ne di controllo per l’Umbria richiama alcune dispo-sizioni legislative che già assegnano alle sezioni re-gionali un potere sanzionatorio come l’art. 13, c. 7, l. 6 luglio 2012, n. 96 che attribuisce al collegio isti-tuito presso la sezione regionale di controllo il pote-re di applicare una sanzione amministrativa pecunia-ria in caso di mancato deposito dei consuntivi delle spese elettorali da parte dei partiti, movimenti poli-tici e liste e l’art. 1 r.d. 26 ottobre 1933, n. 1454, che consente l’irrogazione di una pena pecuniaria ai fun-zionari delegati che non presentino nei termini i ren-diconti.

Parimenti la Sezione remittente rinviene nell’or-dinamento disposizioni legislative che prevedono ipotesi di illeciti amministrativo-contabili assogget-tati a responsabilità erariale sanzionatoria e tra que-ste, richiama:

- l’art. 148, u.c. Tuel, ai sensi del quale in caso di rilevata assenza o inadeguatezza degli strumenti e delle metodologie sul sistema dei controlli interni, le sezioni giurisdizionali irrogano agli amministratori responsabili la condanna ad una sanzione pecuniaria da un minimo di cinque fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momen-to di commissione della violazione;

- l’art. 31, c. 31, l. 12 novembre 2011, n. 183 che assegna alle sezioni giurisdizionali il potere di irro-gare agli amministratori ed ai responsabili dei servizi finanziari che hanno posto in essere atti elusivi del-le regole del patto di stabilità interno, una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’inden-nità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione ed al responsabile del servizio econo-mico-finanziario una sanzione pecuniaria fino a tre mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali;

- l’art. 30, c. 15, l. 27 dicembre 2002, n. 289 che consente alle sezioni giurisdizionali di irrogare agli amministratori dell’ente nel caso di ricorso all’inde-bitamento per spese diverse da quelle di investimen-to una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cin-que e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione del-la violazione.

Ad avviso della Sezione remittente, le disposizio-

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ni dell’art. 4, c. 6, del richiamato d.lgs. n. 149/2011 si inseriscono nell’ambito della tratteggiata funzione giurisdizionale di responsabilità sanzionatoria del-la Corte dei conti nella delicatissima materia della salvaguardia dei beni-valori coessenziali al sistema giuscontabile pubblico (ex art. 103, c. 2, Cost.), in omaggio anche al principio del giusto processo (ex art. 111 Cost.) e potrebbe apparire irrazionale – e co-munque finirebbe per violare i criteri che presiedono l’assetto costituzionale del riparto della giurisdizione tra gli Organi giudiziari – consentire, “nelle materie di contabilità pubblica” (ex art. 103 Cost.), interven-ti di giudici diversi dalla Corte dei conti, quand’an-che in via indiretta, ossia per conoscere delle contro-versie che si instaurano sui provvedimenti adottati nell’esercizio dei poteri sanzionatori.

Conseguentemente la Sezione di controllo per l’Umbria esclude che tale potere sanzionatorio pos-sa essere esercitato dagli stessi enti anche tenendo conto della competenza del giudice ordinario sui ri-corsi contro i provvedimenti sanzionatori ex art. 22 l. 24 novembre 1981, n. 681, mentre ritiene possibi-le che la sanzione possa essere comminata dalla se-zione regionale di controllo competente per territo-rio, per ovvie ragioni di coerenza e di compiutezza dell’esercizio della funzione, sembrando non del tut-to logico limitare l’intervento della predetta Sezione al solo accertamento dell’inadempimento.

La Sezione umbra, rilevata la sussistenza di pos-sibili contrasti interpretativi tra sezioni regionali, nonché una non piena omogeneità interpretativa an-che nell’ambito delle stesse sezioni, ha quindi con-cluso per l’opportunità di deferire le seguenti que-stioni:

a) quale sia l’organo al quale l’art. 4, c. 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, e successive modificazio-ni e integrazioni, intesta il potere sanzionatorio ivi previsto;

b) quale sia il procedimento che la sezione re-gionale di controllo deve seguire, nella comminato-ria della sanzione in discorso, in ipotesi diversa da quella ritenuta dalla sezione di spettanza ad essa del relativo potere, e quale sia l’organo giurisdizionale competente a conoscere delle eventuali controversie sul provvedimento adottato, che va in esso indicato.

Considerato in diritto – (Omissis) La relazione di fine mandato deve contenere la descrizione det-tagliata delle principali attività normative e ammini-strative svolte durante la consiliatura e in particolare deve fornire indicazioni: a) sul sistema e gli esiti dei controlli interni; b) su eventuali rilievi della Corte dei conti; c) sulle azioni intraprese per il rispetto dei

saldi di finanza pubblica programmati e lo stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard; d) sulla situazione finanziaria e patrimoniale, an-che evidenziando le carenze riscontrate nella gestio-ne degli enti e società controllate dal comune o dal-la provincia, con l’indicazione delle azioni intrapre-se per porvi rimedio; e) sulle azioni di contenimento della spesa e lo stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard, affiancato da indicatori quanti-tativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi, e delle caratteristiche dei destinatari di ciascun ser-vizio offerto anche utilizzando come parametro di ri-ferimento realtà rappresentative dell’offerta di pre-stazioni con il miglior rapporto qualità-costi; f) sulla quantificazione della misura dell’indebitamento pro-vinciale o comunale.

La disciplina in materia di relazione di fine man-dato attua il principio contenuto nell’art. 2, c. 2, lett. dd), l. 5 maggio 2009, n. 42 recante delega al gover-no in materia di federalismo fiscale e finalizzato al-la trasparenza ed efficienza delle decisioni di entra-ta e di spesa, rivolte a garantire l’effettiva attuazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicità.

La normativa si inscrive nel più recente percorso intrapreso dal legislatore verso l’adozione di docu-menti finalizzati a rendere trasparente l’attività svol-ta dagli amministratori pubblici nei confronti degli elettori nel rispetto del principio di accountability a cui sono tenuti i soggetti investiti di cariche istituzio-nali nei confronti della comunità rappresentata.

La relazione di fine mandato costituisce, quin-di, uno strumento di conoscenza dell’attività svol-ta nell’esercizio delle rispettive funzioni e momen-to di trasparenza nella fase di passaggio da un’ammi-nistrazione all’altra, in cui deve essere fotografata la reale situazione finanziaria dell’ente.

Con decreto del Ministero degli interni di concer-to con il Ministro dell’economia e delle finanze del 26 aprile 2013, sono stati approvati gli schemi di re-lazione che i presidenti delle province e i sindaci de-vono predisporre al termine del mandato.

Gli schemi sono redatti tenendo conto della strut-tura dei certificati di bilancio di cui all’art. 161 del Tuel e dei questionari da inviare alle sezioni regiona-li di controllo ai sensi dell’art. 1, c. 166 ss., l. 23 di-cembre 2005, n. 266.

Un’apposita parte degli schemi di relazione è in-fatti dedicata all’indicazione degli eventuali rilie-vi mossi dalle sezioni regionali di controllo nel cor-so del mandato. Aspetto di peculiare interesse e sul quale ha concentrato la propria attenzione la Sezio-ne regionale di controllo per la Lombardia che, con

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delib. 19 luglio 2013, n. 430 ha rilevato che un en-te, pur avendo osservato gli obblighi di stesura della relazione e di successivo invio alla sezione regiona-le di controllo della relazione di fine mandato, aveva violato i principi di trasparenza per non aver richia-mato in tale atto le tre delibere della sezione regiona-le che avevano accertato il mancato rispetto dei vin-coli del patto di stabilità, ha invitato l’ente ad adot-tare le opportune misure correttive, mediante la pub-blicazione sul sito internet dell’amministrazione del-le pronunce della sezione. Tale orientamento è stato poi confermato dalla Sezione lombarda con la suc-cessiva delib. 28 maggio 2014, n. 192, con la quale si è preso atto delle azioni intraprese da un ente per porre rimedio all’omessa indicazione nella relazio-ne di fine mandato dei rilievi effettuati con specifica pronuncia della sezione.

Come chiarito dalla Sezione remittente, le dispo-sizioni dell’art. 4 d.lgs. n. 149/2011 individuano i soggetti tenuti alla redazione della relazione di fi-ne mandato e regolano in maniera puntuale i tempi di disciplina, di redazione, certificazione e pubbli-cazione sul sito web dell’ente della relazione di fi-ne mandato tanto per l’ipotesi della scadenza ordi-naria della consiliatura, che per quella della scaden-za anticipata.

In tale ultimo caso, infatti, il c. 3 chiarisce che la sottoscrizione della relazione e la certificazione da parte degli organi di controllo interno devono avve-nire entro venti giorni dal provvedimento di indizio-ne delle elezioni; nei tre giorni successivi, la relazio-ne e la certificazione sono trasmesse dal presidente della provincia o dal sindaco alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. La relazione di fi-ne mandato è quindi pubblicata sul sito istituziona-le dell’ente, entro e non oltre i sette giorni successi-vi alla data di certificazione effettuata dall’organo di revisione dell’ente locale, con l’indicazione della da-ta di trasmissione alla sezione regionale di controllo.

È pur vero che la disciplina dettata dal su richia-mato terzo comma per le ipotesi di scioglimento an-ticipato del consiglio comunale si limita all’espres-sione “sottoscrizione della relazione” senza indica-re espressamente i soggetti tenuti a tale sottoscrizio-ne, ma tale adempimento non può che spettare al sin-daco o al presidente della provincia poiché la lettu-ra della norma deve essere posta in relazione con il precedente comma, che pone in capo a tali sogget-ti l’obbligo di provvedere alla relazione di fine man-dato, nonché, come sottolineato dalla Sezione regio-nale di controllo per l’Umbria, con l’identità di ratio che ispira le previsioni di entrambe le norme finaliz-

zate a far conoscere agli elettori l’attività svolta nel-la consiliatura di cui trattasi.

Inoltre, in caso di mancato adempimento dell’ob-bligo di redazione e di pubblicazione nel sito istitu-zionale dell’ente della relazione di fine mandato, è il sindaco che subisce una decurtazione della propria indennità.

La relazione di fine mandato costituisce, pertan-to, atto proprio del presidente della provincia e del sindaco non demandabile al commissario straordina-rio nominato in seguito alla scioglimento dell’orga-no consiliare, posto che trattasi di fattispecie espres-samente disciplinata dal c. 3 dell’art. 4 del d.lgs. n. 149/2011.

Preliminarmente all’esame della questione pro-spettata dalla Sezione remittente, devono, tuttavia, evidenziarsi i difetti di coordinamento della normativa in materia di redazione delle relazioni di fine mandato.

L’ultimo comma del citato art. 4 stabilisce che “in caso di mancato adempimento dell’obbligo di redazione e di pubblicazione, nel sito istituzionale dell’ente, della relazione di fine mandato, al sinda-co e, qualora non abbia predisposto la relazione, al responsabile del servizio finanziario del comune o al segretario generale, è ridotto della metà, con riferi-mento alle tre successive mensilità, rispettivamente, l’importo dell’indennità di mandato e degli emolu-menti. Il sindaco è, inoltre, tenuto a dare notizia del-la mancata pubblicazione della relazione, motivan-done le ragioni, nella pagina principale del sito isti-tuzionale dell’ente”.

Una prima asimmetria normativa si ravvisa rela-tivamente al calcolo del dimezzamento dell’indenni-tà di mandato del sindaco per le tre successive men-silità.

Infatti, l’art. 4, c. 2, d.lgs. n. 149/2011 prevede che la relazione di fine mandato provinciale o comu-nale deve essere sottoscritta dal presidente della pro-vincia o dal sindaco non oltre il sessantesimo giorno antecedente la data di scadenza del mandato, men-tre il c. 6 rapporta l’eventuale sanzione della riduzio-ne della metà dell’importo dell’indennità di manda-to alle tre successive mensilità, comprendendo, quin-di, anche un periodo in cui il sindaco, non rivestendo più tale incarico, non percepisce alcuna indennità di mandato suscettibile di riduzione.

Il mancato coordinamento tra le due disposizio-ni risulta conseguente alla modifica introdotta dal d.l. n. 16/2014 posto che nella versione antecedente la relazione doveva essere sottoscritta non oltre il no-vantesimo giorno antecedente la data di scadenza del mandato.

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La riduzione da novanta a sessanta giorni prima della scadenza del mandato del termine ultimo per la redazione della relazione di fine mandato compor-ta, quindi, l’impossibilità di calcolare la riduzione dell’indennità di mandato sulla base delle tre “suc-cessive” mensilità e potrebbe, di fatto, tradursi in un’obbligata riduzione del regime sanzionatorio al-le due mensilità successive.

Un’ulteriore asimmetria normativa si ravvisa tra i cc. 1 e 2, che sanciscono l’obbligo di redazione della relazione di fine mandato sia a carico dei comuni che delle province, e il c. 6, che limita l’applicazione del regime sanzionatorio soltanto al sindaco, al responsa-bile del servizio finanziario del comune ed al segre-tario generale, nulla prevedendo per il presidente del-la provincia, o per il responsabile del servizio finan-ziario, o per il segretario generale della provincia, fat-tispecie che determina l’impossibilità di applicazione del regime sanzionatorio anche a questi soggetti non espressamente richiamati dal legislatore.

2. Inoltre, come evidenziato dalla Sezione re-mittente, sussistono notevoli difficoltà interpretative per la mancata individuazione da parte del legisla-tore dell’organo legittimato a effettuare la riduzione della decurtazione dell’indennità del sindaco e degli emolumenti del responsabile del servizio finanziario o del segretario generale del comune.

In via preliminare, deve osservarsi che il legisla-tore non qualifica come “sanzioni pecuniarie” le pre-dette decurtazioni dell’indennità del sindaco o degli emolumenti del responsabile del servizio finanziario e del segretario generale del comune.

Il collegio ritiene che per l’individuazione del-la soluzione non può non farsi richiamo ai principi generali del nostro ordinamento, rilevato che la pre-visione di specifiche sanzioni pecuniarie e la relati-va potestà sanzionatoria devono essere espressamen-te assegnate per legge come, peraltro, avviene per i poteri sanzionatori attribuiti alle sezioni regionali di controllo dalle norme in materia di collegi elettorali e rendiconti dei funzionari delegati.

Parimenti sono espressamente previste ex lege molteplici fattispecie di responsabilità amministra-tivo-contabile di tipo sanzionatorio ove il legislato-re individua la competenza delle sezioni giurisdizio-nali della Corte dei conti, la condotta da sanziona-re e l’ammontare della sanzione tra un minimo ed un massimo entro quale il giudice è chiamato ad ef-fettuare una concreta determinazione; trattandosi di una forma di responsabilità amministrativa che non può essere generica, ma tipizzata, in quanto, essen-do di tipo sanzionatorio, le relative fattispecie devo-

no necessariamente corrispondere ai parametri costi-tuzionali di cui all’art. 25 Cost., e cioè, al principio di stretta legalità nella molteplice accezione della tipi-cità, della tassatività (nel senso che le fattispecie le-gali non sono suscettibili di interpretazione analogi-ca), della determinatezza, e della specificità (nel sen-so che la legge deve molto puntualmente indicare ogni elemento dell’intera fattispecie sanzionatoria, e cioè, sia con riferimento al precetto che alla sanzio-ne)” (Sez. riun., n. 12/2007).

Del resto, alcune sezioni regionali di controllo, accertato il mancato adempimento degli obblighi previsti dall’art. 4 d.lgs. n. 149/2011, con apposita pronuncia, ne hanno dato formale comunicazione al sindaco ed all’organo di revisione (Sez. contr. reg. Veneto, n. 362/2014 e n. 771/2014) ed hanno ritenu-to che spetti allo stesso ente locale il potere-dovere di irrogare la predetta sanzione, in assenza di appo-sita previsione volta ad attribuire espressamente alla Corte dei conti la competenza ad applicare la stessa (Sez. contr. reg. Puglia, n. 36/2015; Sez. contr. reg. Liguria, n. 8/2015), anche ordinando all’amministra-zione di comunicare alla sezione regionale le misure adottate per dare attuazione alle conseguenze di ca-rattere pecuniario e, al sindaco, di dare notizia del-la mancata pubblicazione, nei termini di legge, della relazione, motivandone le ragioni nella pagina prin-cipale del sito istituzionale dell’ente (Sez. contr. reg. Abruzzo, n. 65/2014).

Secondo l’indirizzo già manifestato dalla giuri-sprudenza delle sezioni regionali, deve, quindi, rite-nersi che, in assenza di un’espressa attribuzione nor-mativa, la disposizione prevista dal c. 6 dell’art. 4 del d.lgs. n. 149/2011 si collochi tra le disposizioni precettive connotate da finalità di tutela della finan-za pubblica, che spetta all’ente locale portare ad at-tuazione.

L’applicazione della sanzione pecuniaria è, quin-di, di esclusiva spettanza dell’ente locale e, in parti-colare, deve essere attuata dagli uffici dell’ente ap-positamente preposti alla liquidazione delle compe-tenze.

3. Come già ricordato, l’art. 4 d.lgs. n. 149/2011 cit. prevede che le relazioni di fine mandato devono pervenire alle sezioni regionali, debitamente certifi-cate dagli organi di revisione degli enti locali, nei tre giorni successivi alla certificazione.

La normativa in esame prevede, dunque, uno specifico obbligo di trasmissione delle relazioni di fine mandato alle sezioni regionali, senza, peraltro, fornire specificazioni sull’attività di controllo che le sezioni sono chiamate a svolgere.

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Rilevato che la relazione di fine mandato costitu-isce, secondo le intenzioni del legislatore, strumen-to di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa, nonché strumento di democrazia del bilancio, al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica ed il rispetto dell’unità economica e giuridica della Repubblica, appare di tutta evidenza la rilevanza del ruolo assegnato alle sezioni regionali destinatarie ex lege di tali relazioni.

Infatti, come più volte ribadito dagli insegnamen-ti della Consulta, le funzioni di controllo esercitate dalle sezioni regionali sono finalizzate ad assicurare (in vista della tutela dell’unità economica della Re-pubblica e del coordinamento della finanza pubblica) la sana gestione finanziaria del complesso degli enti territoriali, nonché il rispetto del patto di stabilità in-terno e degli obiettivi di governo dei conti pubblici concordati in sede europea (Corte cost., n. 60/2013; n. 198/2012 e n. 179/2007).

L’esame delle relazioni di fine mandato deve, dunque, ritenersi inscrivibile nell’ambito delle mol-teplici funzioni di controllo assegnate alle sezio-ni regionali e caratterizzate da finalità di tutela de-gli equilibri di bilancio e di coordinamento della fi-nanza pubblica.

Conseguentemente, le sezioni regionali di con-trollo, nell’esercizio delle proprie funzioni di con-trollo sugli enti locali, possono procedere anche all’esame delle relazioni di fine mandato e all’accer-tamento del rispetto della procedura dettata dall’art. 4 d.lgs. n. 149/2011, accertamento non propedeutico per l’applicazione della sanzione pecuniaria di esclu-siva spettanza dell’ente locale.

Peraltro, in tutte le ipotesi di corretto svolgimento della procedura dettata dall’art. 4 d.lgs. n. 149/2011 e di assenza di criticità desumibili dall’esame del-la relazione di fine mandato non si ritiene necessa-ria da parte delle sezioni regionali l’adozione di una specifica pronuncia che prenda atto del rispetto del-la normativa.

P.q.m., la Sezione autonomie della Corte dei con-ti, sulla questione di massima richiamata in premes-sa, posta dalla Sezione regionale di controllo per l’Umbria con delib. n. 129/2014, pronuncia il se-guente principio di diritto:

“la relazione di fine mandato costituisce at-to proprio del presidente della provincia e del sin-daco, non demandabile al commissario straordina-rio nominato in seguito alla scioglimento dell’or-gano consiliare; in assenza di un’espressa attribu-zione normativa, quella prevista dal c. 6 dell’art. 4 del d.lgs. n. 149/2011 si colloca tra le disposizioni

precettive connotate da finalità di tutela della finan-za pubblica che spetta all’ente locale portare ad at-tuazione”.

La Sezioni regionale di controllo per l’Umbria, si atterrà al principio enunciato nel presente atto di in-dirizzo interpretativo, al quale si conformeranno tut-te le sezioni regionali di controllo ai sensi dell’art. 6, c. 4, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213.

17 – Sezione delle autonomie; deliberazione 11 mag-gio 2015; Pres. Squitieri, Rel. De Girolamo, Fe-rone, Cosa, Franchi.

Comune e provincia – Province – Disciplina di ri-ordino (l. n. 56/2014) – Effetti di carattere fi-nanziario – Relazione al Parlamento.

L. 5 giugno 2003 n. 131, disposizioni per l’adegua-mento dell’ordinamento della Repubblica alla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, art. 7; l. 7 aprile 2014 n. 56, di-sposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, art. 1.

La Corte dei conti, Sezione delle autonomie, ha deliberato la relazione al Parlamento sugli effet-ti di carattere finanziario derivanti dall’applicazio-ne della disciplina di riordino delle province (l. n. 56/2014), a poco più di un anno dalla sua entrata in vigore. (1)

1. Notazioni introduttive

1. A poco più di un anno dall’entrata in vigore della l. 7 aprile 2014, n. 56, “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” (1), che ha ridisegnato confini e compe-tenze dell’amministrazione locale, può procedersi – in sede di referto sugli andamenti della finanza loca-le, che l’art. 7 l. n. 131/2003 affida alla Sezione delle autonomie – ad una prima valutazione di quelli che sono stati gli effetti della normativa sugli andamen-ti finanziari delle province, sugli equilibri, sul rispet-

(1) Il testo integrale della relazione è consultabile in www.corteconti.it.

(1) In attesa della riforma del titolo V della Costituzione, le province diventano “enti territoriali di area vasta”, con il presidente della provincia eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. Permangono solo due livelli am-ministrativi territoriali a elezione diretta: regioni e comuni. Già alle elezioni amministrative del 25 maggio 2014 non c’è stato il voto per le province, e non sono stati eletti i previsti 86 presidenti, 700 assessori, 2.700 consiglieri.

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to del patto di stabilità e sull’erogazione dei servizi al cittadino (2).

Su queste tematiche si sofferma la presente rela-zione, che anticipa, in parte, argomenti del referto su-gli andamenti complessivi della finanza locale in ter-mini di cassa, che sarà reso entro il 31 luglio prossimo.

Ai fini di una compiuta valutazione della situa-zione e degli andamenti gestori oggetto del referto, giova premettere una serie di circostanze di rilievo intervenute.

2. Anzitutto è da prendere atto che la normati-va di cui alla l. n. 56/2014 ha superato favorevol-mente il vaglio della Consulta che, nella sentenza n. 50 del 24 marzo 2015, depositata il 26 marzo 2015, ha rigettato i ricorsi promossi dalle regioni Lombar-dia, Veneto, Campania e Puglia con i quali sono sta-ti impugnati, complessivamente, cinquantotto com-mi della legge.

La Corte costituzionale, respingendo le diverse censure sollevate dalle regioni, ha precisato che il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al proprio in-terno, per la prima volta, l’ente territoriale città me-tropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere della concreta istituzione dello stesso. È proprio ta-le esigenza costituzionale che, ad avviso della Con-sulta, fonda la competenza legislativa statale relati-va alla istituzione del nuovo ente, che non potreb-be, del resto, avere disciplina e struttura diversifica-te da regione a regione, senza con ciò porsi in con-trasto con il disegno costituzionale che presuppone livelli di governo che abbiano una disciplina unifor-me, almeno con riferimento agli aspetti essenziali. D’altro canto, le città metropolitane istituite dalla l. n. 56/2014 sono destinate a subentrare integralmen-te alle omonime province esistenti, la cui istituzione è di competenza statale.

Ad avviso della Consulta, con la legge in esame il legislatore ha inteso realizzare una significativa ri-forma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplificazione dell’or-dinamento degli enti territoriali, senza arrivare alla soppressione di quelli previsti in Costituzione. L’in-tervento che, peraltro, ha solo determinato l’avvio della nuova articolazione di enti locali, al quale po-tranno seguire più incisivi interventi di rango costitu-zionale, è stato necessariamente complesso.

(2) Sul d.d.l. A.S. 1212 recante disposizioni sulle città me-tropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni v’è stata audizione di questa Sezione delle autonomie il 16 gennaio 2014, presso la Commissione affari costituzionali del Senato.

Ciò giustifica, secondo la Corte, la mancata appli-cazione delle regole procedurali contenute nell’art. 133 Cost., che risultano riferibili solo ad interven-ti singolari, una volta rispettato il principio, espresso da quelle regole, del necessario coinvolgimento, pur se con forme diverse e successive, delle popolazioni locali interessate, al fine di consentire il predetto av-vio in condizioni di omogeneità sull’intero territorio nazionale. Il c. 6 dell’art. 1 della legge, infatti, preve-de espressamente “l’iniziativa dei comuni, ivi com-presi i comuni capoluogo delle province limitrofe”, ai fini dell’adesione (sia pure ex post) alla città me-tropolitana, il che per implicito comporta la specula-re facoltà, per gli enti interessati, di uscire dalla stes-sa; e, a tal fine, la stessa norma dispone che sia sen-tita la regione coinvolta e che, in caso di parere con-trario di questa, sia promossa una “intesa” tra la re-gione stessa ed i comuni che intendono entrare nella (o uscire dalla) città metropolitana.

Anche il modello di governo di secondo grado adottato dalla l. n. 56/2014 per le neoistituite città metropolitane ha superato il vaglio di costituzionali-tà, così come le ulteriori più specifiche disposizioni disciplinatorie quale, ad esempio, quella relativa alla figura del sindaco metropolitano, perché, per un ver-so, l’individuazione di questo, nel sindaco del comu-ne capoluogo di provincia, non è irragionevole in fa-se di prima attuazione del nuovo ente territoriale (at-tesi il particolare ruolo e l’importanza del comune capoluogo intorno a cui si aggrega la città metropoli-tana), e non è, comunque, irreversibile, restando de-mandato allo statuto di detta città di optare per l’ele-zione diretta del proprio sindaco; e, per altro verso, perché, ha ritenuto la Consulta, la “articolazione ter-ritoriale del comune capoluogo in più comuni” non viola l’art. 133, c. 2, Cost., non comprimendo in al-cun modo le prerogative del legislatore regionale e non eliminando il coinvolgimento, nel procedimen-to, delle popolazioni interessate.

Per quanto più specificamente disposto dalla leg-ge sul riordino delle province e delle relative funzio-ni, nella sentenza, la Consulta dopo aver ricostrui-to il quadro normativo ha, tra l’altro, evidenziato co-me con il complesso procedimento sia stata assicura-ta la posizione paritaria del ruolo delle regioni parte-cipanti all’accordo in Conferenza unificata, così as-sicurando il rispetto del fondamentale principio di le-ale collaborazione.

Le diverse censure di legittimità sono state tut-te rigettate e, tra queste, anche la denunciata illegitti-mità della previsione dell’esercizio del potere sosti-tutivo straordinario dello Stato per l’eventualità del-

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la mancata realizzazione della potestà statutaria delle province e delle città metropolitane. Secondo la Cor-te costituzionale le norme che erano state censurate mirano ad assicurare il necessario principio dell’u-nità giuridica su tutto il territorio nazionale con l’at-tuazione del nuovo assetto ordinamentale recato dal-la stessa l. n. 56/2014 e, in ogni caso, il potere sosti-tutivo statuale trova il suo fondamento espresso nella legge, dalla quale risulta la definizione dei presuppo-sti sostanziali, e costituisce la manifestazione degli interessi unitari alla cui salvaguardia è propriamen-te preordinato l’intervento surrogatorio dello Stato.

Inoltre, sempre a giudizio della Consulta, se la singola regione destinataria dell’esercizio del potere sostitutivo del governo ritenesse l’illegittimità dell’i-niziativa statale in via sostitutiva, perché compiuta in difetto delle condizioni normative e in difformi-tà dai presupposti applicativi statuiti dalla giurispru-denza costituzionale, la stessa potrebbe, a tutela del-la propria autonomia, attivare i rimedi giurisdiziona-li ritenuti adeguati, ivi compreso il conflitto di attri-buzione.

3. Di contro alla favorevole valutazione della l. n. 56/2014 sul piano della compatibilità costituzio-nale, risultante dalla predetta pronuncia della Con-sulta, è da registrare la mancata piena attuazione del-le disposizioni relative al riordino delle funzioni (co-me meglio si vedrà in prosieguo, nella parte specifi-ca del referto).

La l. n. 56/2014 aveva fissato al 31 dicembre 2014 il termine ultimo per le regioni per approva-re le proprie leggi di riordino delle funzioni delegate o trasferite alle province. Il termine è scaduto senza che nessuna regione abbia dato corso a quanto nor-mativamente stabilito.

Nel settembre 2014, al fine di accelerare tale adempimento, governo, province, regioni e comuni hanno siglato un accordo nel quale la data del 31 di-cembre veniva individuata non più per l’approvazio-ne delle leggi regionali, ma quale limite temporale per la presentazione di idonei dispositivi normativi.

Allo stato, hanno emanato la prescritta legge re-gionale quattro regioni (3).

4. Sugli effetti finanziari e ordinamentali che si stanno determinando in sede di attuazione della l. n. 56/2014, vi sono state varie prese di posizione che è utile considerare per una compiutezza di valutazioni.

Anzitutto l’Upi, in diverse sedi e da ultimo nell’audizione del 12 marzo 2015 dinanzi alla Com-

(3) Tutte le altre hanno avviato l’iter di approvazione in giunta e nelle assemblee legislative.

missione parlamentare per l’attuazione del federali-smo fiscale, lamenta, tra l’altro, che la legge di sta-bilità 2015 interviene a interrompere bruscamente il processo di attuazione della l. n. 56/2014, poiché prevede il versamento allo Stato da parte delle pro-vince di 1 miliardo per il 2015, 1 ulteriore miliardo per il 2016 e 1 ulteriore nuovo miliardo per il 2017, incidendo per oltre il 15 per cento sulla spesa tota-le delle province. Il legame tra funzioni fondamen-tali, funzioni trasferite, risorse e garanzia di coper-tura finanziaria verrebbe dunque a essere completa-mente ignorato.

E ciò, sempre ad avviso dell’Unione, in contrasto anche con il d.p.c.m. adottato il 26 settembre 2014, che conferma quanto stabilito dalla legge, specifi-cando all’art. 2, c. 4, che “in esito all’attribuzione delle funzioni ai sensi dell’articolo 1, c. 89, della leg-ge, le amministrazioni interessate concordano, entro i termini previsti e secondo le modalità stabilite dal-le regioni, tenendo conto del documento validato di cui al c. 3, il trasferimento dei beni e delle risorse, ivi comprese le risorse assegnate dallo Stato in conto ca-pitale o interessi”.

L’Upi osserva che la medesima legge di stabili-tà impone un taglio della spesa, ma non del persona-le, che nel frattempo resta a carico delle province, in attesa di ricollocamento presso lo Stato, le regioni e i comuni; le province, nel 2015, si trovano quindi a dovere gestire gli stessi servizi, poiché nessuna leg-ge regionale è stata approvata, con 1 miliardo in me-no di spesa e la spesa per il personale – circa 2 mi-liardi – che resta immutata. Rappresenta che anche lo stato dei bilanci delle province è emergenziale, es-sendo a rischio gli equilibri finanziari degli enti, an-che a causa delle sanzioni che saranno applicate per lo sforamento del patto di stabilità 2014 (stimabili, al momento, come meglio specificato al cap. 6 del-la presente relazione, intorno ai 400 mln, e che inte-resseranno almeno 30 tra province e città metropoli-tane). Per questo, rappresenta la necessità che siano riportate in Parlamento le richieste avanzate in più sedi dalle province e sottoposte all’attenzione della Conferenza unificata e della Conferenza Stato-città, al fine di determinare la predisposizione di norme in grado di rendere compatibile la manovra finanziaria con la piena attuazione della l. n. 56/2014 e assicura-re agli enti la possibilità di continuare a garantire l’e-rogazione dei servizi, senza compromettere gli equi-libri finanziari.

Anche la Conferenza delle regioni e delle provin-

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ce autonome (4) ha esaminato lo stato di avanzamen-to dell’attuazione della l. n. 56/2014, con particolare riguardo alle questioni critiche connesse agli aspet-ti finanziari ed al personale, osservando che, con la legge di stabilità 2015, il principio della corrispon-denza tra funzioni e loro copertura finanziaria risul-ta fortemente compromesso in conseguenza dei rile-vanti tagli e degli automatismi finanziari operati nei confronti di tutto il sistema delle autonomie territo-riali (5).

La Conferenza ritiene indispensabile un interven-to del governo volto a sostenere finanziariamente la riforma complessiva innanzitutto per garantire la co-pertura dei costi del personale, a partire da quello dei centri per l’impiego, della polizia provinciale e più in generale di tutto quel personale provinciale im-pegnato nelle funzioni non fondamentali che furo-no oggetto di trasferimento diretto dallo Stato alle province.

La questione delle risorse finanziarie rappresen-ta l’elemento centrale del percorso di riordino delle funzioni: nessuna prospettiva di riallocazione delle funzioni provinciali può essere attuata senza una at-tenta e congiunta analisi e valutazione tra Stato e re-gioni dei costi delle funzioni da riordinare e del rela-tivo personale.

Le regioni propongono, quindi, di addivenire ad un patto interistituzionale per riaggiornare i presup-posti comuni per l’attuazione della l. n. 56/2014 in tempi certi e con risorse definite.

5. Sul progetto legislativo di riordino delle “Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni” – poi divenuto l. n. 56/2014 – è stata sentita la Sezio-ne delle autonomie in due distinte audizioni: la prima presso la Commissione affari costituzionali della Ca-mera dei deputati il 6 novembre 2013 (A.C. 1542); la seconda presso la Commissione affari costituzio-nali del Senato il 16 gennaio 2014 (A.S. 1212). In ta-li occasioni la Corte ha avuto modo di esprimere le sue valutazioni su taluni ipotizzabili effetti della nor-mativa, segnalando, tra l’altro, la necessità di un at-tento e continuo monitoraggio: 1) del rispetto dei ter-mini previsti per gli adempimenti esecutivi della ri-forma; 2) dell’effettivo concretizzarsi dei potenzia-li risparmi attesi; 3) degli eventuali costi aggiuntivi

(4) Le osservazioni sono tratte da un documento reso pub-blico dopo la seduta della Conferenza del 2 aprile 2015.

(5) Le regioni avevano, in sede di discussione del disegno di legge di stabilità 2015, avanzato al governo una proposta, agli atti della Conferenza unificata, di farsi carico di tutto il per-sonale provinciale a condizione di una garanzia finanziaria da parte dello Stato sulla copertura dei costi del personale stesso.

emergenti, ai fini di una tempestiva ed adeguata co-pertura.

In prosieguo, questa medesima Sezione ha tratta-to della situazione finanziaria delle province nella re-lazione sulla gestione finanziaria per l’esercizio 2013 degli enti territoriali (6), evidenziandone la preca-rietà e segnalando, tra l’altro: che l’analisi dei risul-tati delle manovre 2008-2013, ha confermato per le province il raggiungimento degli obiettivi di rispar-mio previsti, con la conseguente riduzione delle ri-sorse destinate ai servizi essenziali; che le manovre avviate dal 2009 hanno fatto registrare un taglio di 2,9 miliardi per le province con una contrazione rile-vante degli investimenti (mediamente il 60 per cento delle economie di spesa); che sempre per le province si registra una severa riduzione della spesa finale di oltre 1,3 miliardi, tagli di risorse particolarmente in-cisivi, entrate che cedono del 10,4 per cento.

La Corte ha anche richiamato l’attenzione sull’impatto delle nuove misure riduttive sulle risor-se delle province, conseguenti alla legge di stabili-tà 2015, suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari, in particolare per gli enti struttu-ralmente più deboli.

2. Il processo di riordino funzionale e istituzionale delle province

Il processo in atto di riordino delle province è sta-to avviato con l’adozione del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 di-cembre 2011, n. 214 recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei con-ti pubblici”.

L’art. 23 del citato decreto, nell’ambito delle azioni volte alla riduzione dei costi di funzionamen-to, dell’amministrazione pubblica, introduceva due importanti novità.

La prima novità consisteva nello svuotamento delle funzioni tradizionalmente svolte dalle provin-ce, che, ai sensi dello stesso art. 23, venivano trasfe-rite ai comuni (entro il 31 dicembre 2012), con pre-visione, in caso di mancata ottemperanza, dell’appli-cazione del potere sostitutivo previsto dall’art. 8 l. 5 giugno 2003, n. 131 (7).

(6) Approvata con delib. 18 dicembre 2014, n. 29.(7) L’art. 8 l. n. 131/2003 recita: “1. Nei casi e per le fina-

lità previsti dall’art. 120, c. 2, Cost., il Presidente del Consi-glio dei ministri, su proposta del ministro competente per ma-teria, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, asse-gna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti ne-

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La seconda novità si riferiva al riconoscimento in capo alle stesse province delle sole funzioni di indi-rizzo e coordinamento delle attività dei comuni nel-le materie e nei limiti indicati con legge statale o re-gionale.

Al fine, inoltre, di corrispondere alle istanze eu-ropee di riduzione dei costi della politica, in vista della sostenibilità della spesa pubblica, l’art. 23 in-terveniva sulla composizione degli organi delle pro-vince, attraverso l’eliminazione della giunta (cc. 15 e 16) e la previsione di un numero massimo di consi-glieri, non più eletti direttamente, ma scelti dagli or-gani elettivi dei comuni ricadenti nel territorio del-la provincia.

Successivamente l’art. 17 d.l. 6 luglio 2012, n. 95 era tornato sulla disciplina del riassetto delle provin-ce e del riordino delle loro funzioni, in linea di conti-nuità con l’impianto riformatore del d.l. n. 201/2011 (art. 23), specificando nuovamente le finalità perse-guite dal disegno di riforma, volto al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, imposti dall’Ue, e in primis di quello del pareggio di bilancio.

Le anzidette disposizioni avevano affidato al consiglio delle autonomie locali di ogni regione a statuto ordinario il compito di approvare un’ipotesi di riordino relativa, ovviamente, alle province ubica-te nel territorio di competenza, prevedendo, altresì, un termine per le regioni (8), tenute, a loro vol-ta, a trasmettere al governo le ipotesi e le proposte di riordino formulate sulla base dei requisiti minimi rappresentati dalla dimensione territoriale e dalla po-polazione residente. Entro il 31 dicembre 2013, con atto legislativo di iniziativa governativa, le Provin-ce avrebbero dovuto essere riordinate sulla base del-le proposte regionali. Trascorso l’anzidetto termine era previsto, altresì, che il provvedimento di riordino fosse, comunque, adottato previo parere della Con-ferenza unificata di cui all’art. 8 d.lgs. n. 281/1997.

Il successivo art. 18 d.l. n. 95/2012, a garanzia dell’efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni

cessari anche normativi, ovvero nomina un apposito commis-sario”. (Omissis)

(8) Il termine previsto dal c. 3 dell’art. 17 del d.l. n. 95/2012 era di venti giorni dalla data di trasmissione dell’ipo-tesi di riordino, ovvero novantadue giorni dalla data di pubbli-cazione della deliberazione che, ai sensi del c. 2 del citato ar-ticolo, il Consiglio dei ministri ha adottato in data 20 luglio 2012, su proposta dei ministri competenti – Interno e Pubblica amministrazione –, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, per il riordino generale di tutte le province, sulla base dei requisiti minimi individuabili nelle dimensioni territoriali e nella popolazione residente, eccezion fatta per le province che ospitano il comune capoluogo di regione.

amministrative, prevedeva la soppressione di alcune province (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria), disponendo, a partire dall’1 gennaio 2014, la conte-stuale istituzione delle relative città metropolitane.

La disciplina introdotta dal d.l. n. 95/2012, pur presentando alcune novità, confermava sostanzial-mente la definizione di ente di area vasta attribui-ta alle province e alle città metropolitane dal d.l. n. 201/2011, sottolineando ulteriormente il ruolo di rac-cordo rispetto ai comuni facenti parte del territorio, con la conseguente perdita del carattere di ente rap-presentativo della collettività locale ed acquisizione della natura di ente di secondo grado.

I criteri individuati dal Consiglio dei ministri per il riordino delle province ex art. 17, c. 2, d.l. n. 95/2012, con determinazione adottata in data 20 lu-glio 2012, facevano riferimento, da una parte, ad una dimensione territoriale non inferiore a duemilacin-quecento (2.500) chilometri quadrati e, dall’altra parte, ad una dimensione demografica non inferiore a trecentocinquantamila (350.000) abitanti (dati ad agosto 2012).

Le nuove province risultanti dalla procedura di riordino dovevano possedere entrambi i requisiti e, inoltre, era previsto che il comune già capoluogo del-le province oggetto di riordino, con maggiore popo-lazione residente, assumesse il ruolo di comune ca-poluogo di provincia.

Per le regioni a statuto speciale era stata prevista, in forza del c. 5 del citato art. 17, una disciplina spe-cifica, che le vedeva obbligate ad adeguare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso d.l. n. 95/2012, i propri ordinamenti alle disposizioni in esame, in quanto principi fondamentali di coordina-mento della finanza pubblica.

Le disposizioni riformatrici recate dal d.l. n. 201/2011 e dal d.l. n. 95/2012 (9) sono state travol-te dalla sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2013. Con questa pronuncia il giudice delle leggi ha dichiarato fondata la questione di legittimità solleva-ta dalle regioni ricorrenti per violazione dell’art. 77 Cost. (10).

(9) È stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, cc. 14-20, e in via consequenziale del c. 20-bis del d.l. n. 201/2011 e degli artt. 17-18 d.l. n. 95/2012 per violazione dell’art. 77 Cost.

(10) Nelle motivazioni della sent. Corte cost., n. 220/2013, si legge: “Si deve osservare, innanzitutto, che l’art. 117, c. 2, lett. p), Cost. attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina della legislazione elettorale, degli or-gani di governo e delle funzioni fondamentali di comuni, pro-

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Nella specie è stata stigmatizzata l’assenza dei presupposti per fare luogo alla decretazione d’urgen-za, giacché il provvedimento introduceva un’autenti-ca riforma di sistema, di rilevanza costituzionale, de-stinata a produrre effetti stabili e di lungo periodo. Tale obiettivo non è in linea con la natura stessa del d.l., la cui finalità precipua consiste nel fornire rispo-ste normative rapide a situazioni bisognose di esse-re regolate in modo atto a fronteggiare sopravvenu-te urgenti necessità.

vince e città metropolitane. La citata norma costituzionale in-dica le componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordina-mento degli enti locali per loro natura disciplinate da leggi de-stinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei principi ordinamentali che non possono essere condiziona-te dalla contingenza sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dai cc. 2 e 3 dell’art. 77 Cost. concepiti dal legislatore costituente per in-terventi specifici puntuali resi necessari ed improcrastinabili dall’insorgere di casi straordinari di necessità e urgenza.

I decreti legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati a operare immediatamente al-lo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni biso-gnose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le so-pravvenute e urgenti necessità. Per questo motivo il legislato-re ordinario con norma di portata generale ha previsto che il decreto legge debba contenere misure di immediata applica-zione. La norma citata, pur non avendo sul piano formale ran-go costituzionale esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto legge che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse se contenesse di-sposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, come nel caso di specie, discipline mirate al-la costruzione di nuove strutture istituzionali senza, peraltro, che i perseguiti risparmi di spesa siano, allo stato, concreta-mente valutabili né qualificabili, seppur in via approssimativa. (Omissis)

Emerge dalle precedenti considerazioni che esiste un’in-compatibilità logica e giuridica che va al di là dello specifico oggetto dell’odierno scrutinio di costituzionalità – tra il decre-to legge che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità ed urgenza e la necessaria iniziativa dei comuni che certamente non può identificarsi con le suddette situazioni di fatto, se non altro, perché l’iniziativa non può che essere frut-to di una maturazione e di una concertazione tra enti non su-scettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma, piutto-sto, quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dal-la Costituzione, in relazione a bisogni ed interessi manifestati-si nelle popolazioni locali. (Omissis)

A fortiori si deve ritenere che non sia utilizzabile lo stru-mento del decreto legge quando si intende procedere ad un ri-ordino circoscrizionale globale, giacché all’incompatibilità dell’atto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei co-muni si aggiunge la natura di riforma ordinamentale delle di-sposizioni censurate, che introducono una disciplina a caratte-re generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle province”.

La Corte costituzione nella pronuncia ha puntua-lizzato l’imprescindibile necessità di rispetto dei vin-coli procedimentali rinforzati (art. 133) per la sop-pressione di uno degli enti previsti dall’art. 114, escludendo, al contempo, la possibilità di ricorrere al decreto legge per introdurre nuovi assetti ordina-mentali che vadano al di là delle misure meramen-te organizzative ammettendo la non indispensabilità della legge costituzionale per le trasformazioni isti-tuzionali degli enti locali.

2.1. La l. n. 56/2014 e le criticità emerse nella fa-se attuativa con specifico riguardo al trasferimento di funzioni

La l. n. 56/2014 “Disposizioni sulle città metro-politane, sulle province e sulle unioni e fusioni di co-muni” riordina in modo formale e sostanziale la di-sciplina statale sulle province e rappresenta il tenta-tivo di anticipare, a livello di legislazione ordinaria – possibilità di fatto non esclusa dall’anzidetta senten-za della Corte costituzionale – una sistematica rifor-ma dell’ordinamento degli enti locali.

Le province vengono confermate quali enti di area vasta, titolari prevalentemente di funzioni di coordinamento e di indirizzo e più limitatamente di compiti gestionali, peraltro, già esercitati, che diven-tano fondamentali e ad ai quali se ne aggiungono di nuovi rispetto a quelli storicamente attribuiti dalla legge statale o regionale o trasferiti ovvero delega-ti (11). Qualora vengano meno le esigenze di svolgi-mento unitario le funzioni sono trasferite ai comuni e, nel caso in cui, invece, dovessero persistere, pos-sono essere assunte dalle regioni.

Fra le funzioni fondamentali, connesse all’ero-gazione di servizi alle cosiddette realtà territoriali di area vasta, confermate in capo alle province, elen-cate al c. 85 dell’articolo unico della l. n. 56/2014, si rammentano: a) pianificazione territoriale pro-vinciale di coordinamento e tutela e valorizzazio-ne dell’ambiente; b) pianificazione dei servizi di tra-sporto in ambito provinciale, autorizzazione e con-trollo in materia di trasporto privato, costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della

(11) Parte della dottrina evidenzia, con particolare enfasi, come il processo di riordino delle province, temporaneamente rivolto alla loro configurazione quali enti di area vasta, appaia dettato dall’opportunità di creare un ente che riesca meglio a coordinare e programmare le diversità delle singole realtà co-munali. La provincia non darebbe vita ad un ordinamento di-verso dai singoli comuni che la compongono e la sua natura di ente di secondo livello sarebbe del tutto in linea con l’elezio-ne indiretta dei suoi organi non ammissibile per gli enti diret-tamente rappresentativi.

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circolazione stradale; c) programmazione provincia-le della rete scolastica; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti lo-cali; e) gestione dell’edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupaziona-le e la promozione delle pari opportunità sul territo-rio provinciale. In particolare, le funzioni di cui alle lettere a), b) e c) sono delegate dalle regioni, mentre la funzione di cui alla lett. e) è di attribuzione stata-le. Alle anzidette funzioni fondamentali devono ag-giungersene due ulteriori non storiche introdotte dal c. 86: a) cura e sviluppo strategico del territorio; b) cura delle relazioni istituzionali con province, pro-vince autonome, regioni anche a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati confinanti, il cui territo-rio abbia caratteristiche montane.

Si tratta di un elenco eterogeneo di funzioni che comprende al suo interno sia competenze puntuali, quali, ad esempio, la pianificazione territoriale pro-vinciale, che funzioni amministrative generali come la tutela e valorizzazione dell’ambiente, nella quale, ad esempio, si ritiene possano rientrare le competenze amministrative in materia di controlli e autorizzazio-ni ambientali, protezione della flora e della fauna, ge-stione dei parchi e delle aree protette, organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale (12).

Tra le funzioni storicamente attribuite alle pro-vince la l. n. 56/2014 conferma quella dell’assistenza tecnico-amministrativa ai comuni del territorio (13); che risale presumibilmente all’impianto amministra-

(12) La voluntas legislatoris riconosce la necessità di at-tribuire alle province le diverse attività amministrative ricon-ducibili alle funzioni fondamentali ma anche l’opportunità di ricomporre in modo organico in capo alle province tutte le competenze che, pur essendo esercitate da altri soggetti istitu-zionali, tuttavia, rientrano nell’ambito delle funzioni fonda-mentali, come pure, al contrario, l’eventuale trasferimento di compiti amministrativi attualmente assolti dalle province ma che non sono riconducibili nell’ambito delle funzioni fonda-mentali. Ad esempio, rientrano fra le funzioni fondamentali la tutela e valorizzazione dell’ambiente e la regolazione della circolazione stradale, il ché rende implicita la necessità di con-servare in capo alle province le funzioni di polizia provincia-le, i controlli, le autorizzazioni ambientali ed analogamente per quanto attiene alla funzione di programmazione della rete scolastica provinciale, che comporta la conservazione in capo all’ente delle attuali competenze di orientamento scolastico e diritto allo studio.

(13) Al termine Assistenza tecnica (At) può essere asso-ciata un’ampia gamma di significati comprensivi di funzioni attinenti all’erogazione di corsi di aggiornamento normativo e di servizi di outsourcing, alla gestione ed organizzazione di banche dati, alle attività di centro servizi territoriale, alle atti-vità di sostegno e supporto delle gestioni associate.

tivo in vigore fino alla creazione delle regioni, al-lorquando le province potevano definirsi organismi di coordinamento rispetto ai comuni, ai quali, spe-cie se di piccole dimensioni, assicuravano una sor-ta di tutoraggio, che si esplicava in servizi di aggior-namento normativo, di interpretazione delle leggi, di assistenza nella predisposizione di atti. Attività que-ste ultime che, per una serie di ragioni, negli anni so-no andate via via scomparendo, di pari passo con il lento esaurirsi delle risorse a disposizione sui relati-vi capitoli di bilancio.

Il legislatore ha ritenuto di riattivare l’anzidetta funzione in parallelo con l’attribuzione, ai sensi del successivo c. 88, delle funzioni, d’intesa con i comu-ni, di predisposizione dei documenti di gara, di sta-zione appaltante, di monitoraggio dei contratti di ser-vizio e di organizzazione di concorsi e procedure se-lettive, nonché con il riconoscimento alle nuove pro-vince di ulteriori funzioni fondamentali, attribuite, come precisato sopra, dal c. 86 e consistenti nel ruo-lo di supporto al processo di associazionismo inter-comunale, da una parte, e dall’altra nella cura delle relazioni istituzionali con altri enti territoriali.

Le città metropolitane (14), definite dal c. 2 enti di area vasta, a far data dall’1 gennaio 2015, suben-trano alle province omonime e succedono ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le fun-zioni, nel rispetto degli equilibri di finanza pubbli-ca e degli obiettivi del patto di stabilità interno. Al-la predetta data, ai sensi dello stesso c. 16, alle città

(14) L’art. 19 l. n. 142/1990 aveva già introdotto la disci-plina delle aree metropolitane che non sono mai effettivamen-te decollate e sono state riprese dall’art. 114 Cost. nel testo no-vellato dalla l. cost. n. 3/2001, rimasta anch’essa sostanzial-mente lettera morta. Il Tuel (artt. 22-26) prevedeva un model-lo di città metropolitana meno rigido e maggiormente diversi-ficato in relazione alle specificità locali, valorizzava, al con-tempo, i requisiti caratterizzanti la città metropolitana di area ristretta, prevedendo un ente amministrativo costituito dal co-mune capoluogo e dagli altri comuni in contiguità territoriale, direttamente legati per ragioni economiche sociali e di servi-zio. Inoltre, il Tuel lasciava alla competenza delle autonomie locali la decisione sul futuro del proprio territorio attraverso lo strumento del referendum. La disciplina contenuta nella l. n. 56/2014 ricalca in larga parte quanto stabilito negli artt. 17 e 18 d.l. n. 95/2012, precisando in modo più incisivo le funzio-ni spettanti loro così da tenerle ben distinte e separate rispetto a quelle che resterebbero in capo alle province. La città metro-politana non si limita a svolgere le funzioni di coordinamento come le province ma vede potenziate le competenze di cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano con il ri-conoscimento della titolarità dei compiti di promozione e ge-stione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione, nonché di cura delle relazioni istituzionali af-ferenti alla rete delle aree metropolitane europee.

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metropolitane sono intestate le funzioni fondamen-tali (15) individuate dai cc. 44-46 dell’articolo unico della l. n. 56/2014 (16).

Dalla lettura dell’elenco delle funzioni fonda-mentali affidate alle città metropolitane è dato com-prendere che per almeno quattro funzioni su sei non si tratta di vere e proprie competenze amministrati-ve, ma, piuttosto, di ambiti di materie, ovvero di in-siemi funzionali più ampi nei quali confluiscono le funzioni come classificate dalle leggi previgenti, ol-tre che dal Tuel (17).

La l. n. 56/2014 ha introdotto due clausole di sal-vaguardia per le regioni ad autonomia speciale. La prima è richiamata nell’ultima parte dell’art. 1, c. 5, ove si precisa che la disciplina dettata per le neoisti-tuite città e aree metropolitane rappresenta una disci-plina di principi di grande riforma economica e so-ciale, alla quale le anzidette regioni (in particolare la Sardegna, la Sicilia e il Friuli-Venezia Giulia) si ade-guano in conformità ai relativi statuti (18). La secon-

(15) In particolare, risultano affidate a questi nuovi enti di governo delle grandi aree urbane del paese le seguenti funzio-ni fondamentali:

a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategi-co triennale del territorio metropolitano;

b) pianificazione territoriale generale;c) strutturazione dei sistemi coordinati di gestione dei ser-

vizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

d) mobilità e viabilità;e) promozione e coordinamento dello sviluppo economi-

co e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attivi-tà economiche di ricerca coerenti con la vocazione della città metropolitana;

f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatiz-zazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano.

(16) Gli organi delle città metropolitane previsti dalla leg-ge sono: il consiglio metropolitano, la conferenza metropolita-na ed il sindaco metropolitano. Gli statuti talvolta integrano con la previsione di altri organi, quali ad esempio un organo esecutivo chiamato Coordinamento dei delegati (nello statuto della città metropolitana di Roma) un segretario generale e un direttore generale (statuto della città metropolitana di Geno-va).

(17) Le funzioni fondamentali attribuite alle città metro-politane sono quelle elencate al c. 44 ovvero le funzioni che le città metropolitane eserciteranno in qualità di enti che succe-dono alle province, le funzioni attribuibili nell’ambito del pro-cesso di riordino e le ulteriori funzioni che, in qualsiasi mo-mento, possono essere attribuite alle città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost., come richiamato dal c. 46 l. n. 56/2014.

(18) Facoltà della quale la Regione Friuli-Venezia Giulia non si è ancora avvalsa, non prevedendo alcunché in materia di città metropolitane.

da clausola, di carattere più generale, è contenuta nel c. 145, che individua un termine (ordinatorio) di do-dici mesi per le citate regioni a statuto speciale, affin-ché adeguino i propri ordinamenti interni ai principi desumibili dalla l. n. 56/2014. Premesso ciò, occorre rammentare, tuttavia, che il cuore della legge (ovve-ro le disposizioni contenute nei cc. 104-141), si con-sidera applicabile, compatibilmente con gli statuti di autonomia, anche alle regioni speciali ed alle provin-ce autonome. Infine, appare utile rammentare che la l. n. 56/2014 (c. 84) prevede la gratuità degli incari-chi di presidente della provincia, consigliere, compo-nente dell’assemblea dei sindaci, sindaco metropoli-tano, consigliere metropolitano e componente della conferenza metropolitana (19).

La riforma delle province, introdotta dalla l. n. 56/2014, ha di recente, come già riferito nel paragra-fo introduttivo, superato il vaglio del giudice delle leggi, che, nella sentenza n. 50/2015, ha respinto in blocco le questioni di legittimità costituzionale sol-levate dalle regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia, su 58 dei complessivi 151 commi che com-pongono l’articolo unico della l. n. 56/2014 (20).

(19) La gratuità decorre dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana e delle province. Nella fase transitoria restano in carica i presidenti e le giunte fino all’in-sediamento dei nuovi organi. In questo caso la gratuità degli incarichi ha inizio dalla cessazione del precedente mandato elettivo. Alla luce delle indicazioni fornite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie nella nota circolare, diramata in data 23 ottobre 2014, deve rammentarsi che i cc. 8, 14 e 15, l. n. 56/2014 prevedevano che il presidente della provincia e la giunta, ovvero il commissario in carica al momento dell’entra-ta in vigore della legge medesima, restassero in carica fino al 31 dicembre 2014, assicurando l’ordinaria amministrazione e l’adozione di atti urgenti ed improrogabili, mentre il consiglio metropolitano avrebbe dovuto, nel frattempo, provvedere alla predisposizione dello statuto del nuovo ente. Il consiglio me-tropolitano, la conferenza metropolitana e il sindaco metropo-litano era previsto che entrassero in carica a partire dall’1 gen-naio 2015. Nelle more dell’approvazione dello statuto, che per le province andate a elezione nel mese di ottobre poteva inter-venire entro il 31 dicembre 2014, in virtù del principio di con-tinuità dell’azione amministrativa, era previsto che restassero in vigore statuto e regolamenti della precedente provincia, in quanto compatibili con la l. n. 56/2014.

(20) Le questioni affrontate nella sent. n. 50/2015, Corte cost. riguardano complessivamente circa il 40 per cento delle disposizioni contenute nella l. n. 56/2014 ed attengono ad al-cuni specifici aspetti di seguito indicati:

a) la disciplina delle istituite città metropolitane;b) la ridefinizione di confini territoriali e del quadro delle

competenze delle province in attesa della riforma del titolo V, parte II, Cost.;

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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In tale sede la Corte costituzionale, tra l’altro, ha confermato la competenza della legge statale, ex art. 117, c. 2, lett. p), in materia di legislazione elettora-le, organi di governo e funzioni fondamentali, affer-mando la natura di legge a carattere generale della l. n. 56/2014, che, nell’istituire le città metropolitane, individua anche l’elenco di quelle effettivamente già costituite, otto delle quali esercitano le proprie fun-zioni e gli statuti di sei di queste sono stati approvati prima del 31 dicembre 2014.

Il modello di governo di secondo grado, adotta-to dalla legge per le neoistituite città metropolitane, ha superato il vaglio di legittimità in considerazione della natura costituzionalmente necessaria degli en-ti previsti dall’art. 114 Cost. e del carattere autono-mistico a essi impresso dal c. 5 della l. n. 56/2014, che non implica automaticamente l’indispensabili-tà dell’elezione diretta degli organi di governo (21).

c) il procedimento di riallocazione delle funzioni “non fondamentali” delle province;

d) la disciplina delle unioni e delle fusioni di comuni;e) la prevista predisposizione di “appositi programmi di

attività” di fonte ministeriale per sostenere gli interventi di ri-forma.

(21) Il sistema previsto dalla l. n. 56/2014, a parere dei giudici della Consulta, non sarebbe incompatibile nemmeno con l’art. 3, c. 2, della Carta europea dell’autonomia locale, in-vocata dalle regioni ricorrenti, in quanto l’esigenza sottesa è quella dell’effettiva rappresentatività dell’organo rispetto alle comunità interessate, rappresentatività che sarebbe in concre-to tutelata anche dall’elezione di secondo grado. Nel richiede-re che i membri delle assemblee siano freely elected la norma sovranazionale va intesa in senso sostanziale e non esclude la possibilità di una elezione indiretta purché siano previsti mec-canismi alternativi che assicurino una reale partecipazione di soggetti portatori degli interessi coinvolti. La natura di ente di secondo livello costituirebbe un elemento in linea con l’ele-zione indiretta dei suoi organi non ammissibile, invece, per gli enti direttamente rappresentativi. La provincia, perciò, non sa-rebbe più una variante predefinita a livello statale, espressione del decentramento amministrativo, bensì una conseguenza delle esigenze di coordinamento nascenti dai livelli comunali.

2.2. Gli adempimenti previsti a carico dello StatoLa l. n. 56/2014 prevede una serie di adempimen-

ti in capo alle amministrazioni centrali dello Stato e alle regioni, al fine di dare attuazione all’impianto ri-formatore dalla stessa recato. Un calendario ben pre-ciso scandisce le diverse tappe del processo di riordi-no delle province, essendo fissato per ciascun adem-pimento un termine che, sebbene di carattere ordi-natorio, individua un orizzonte temporale limitato a non più di dodici mesi successivi all’entrata in vigo-re della riforma.

La tabella di seguito sintetizza i predetti adempi-menti, affidati alle amministrazioni statali e in parti-colare al Ministero dell’interno e al Ministero dell’e-conomia e delle finanze. Dalla lettura della tabel-la emerge che per il momento, come già ricordato nell’introduzione della presente relazione risulta es-sere stata data ottemperanza alle disposizioni di cui al c. 91 – relative all’Accordo fra governo e regio-ni sancito in Conferenza unificata per l’individuazio-ne delle funzioni di cui al c. 89 oggetto di riordino – nonché alle previsioni contenute nel c. 92, relati-ve all’adozione di un decreto del Presidente del Con-siglio dei ministri che stabilisca i criteri generali per l’individuazione dei beni, delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative connesse all’e-sercizio delle funzioni da trasferire.

D’altra parte, il giudice delle leggi ha già avuto modo (cfr. sent. n. 96/1968 e n. 325/2010) di affermare la piena compati-bilità di un meccanismo elettivo di secondo grado con il prin-cipio democratico e con quello autonomistico, escludendo che il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo del territorio venga meno in caso di elezioni di secondo grado, purché siano previsti meccanismi alternativi che, permettano di assicurare, comunque, una reale partecipazione dei sogget-ti portatori degli interessi coinvolti (in disparte la considera-zione che il c. 22 dispone che lo statuto della città metropoli-tana possa prevedere l’elezione diretta del sindaco e del consi-glio metropolitano).

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Adempimenti previsti dalla l. 7 aprile 2014, n. 56

FONTE ORGANO TERMINE ADEMPIMENTO PREVISTO

c. 6

Consiglio dei ministri, sentita la relazione del Ministro per gli affari regionali e del Ministro dell’interno, udito il parere del presidente della regione

In caso di mancato raggiun-gimento entro tre mesi dalla data del parere contrario della regione dell’intesa tra quest’ul-tima e i comuni interessati.

Decide, in via definitiva, in ordine all’approvazione ed alla presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche territoriali di province e di città metropolitane, ai sensi dell’art. 133, c. 1, Cost.

c. 49

Ministro per gli affari regio-nali, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei tra-sporti

Entro quaranta giorni dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.18 maggio 2014.

Decreto con il quale sono definite le direttive e le di-sposizioni esecutive necessarie a disciplinare il trasfe-rimento, in esenzione fiscale, alla Regione Lombardia delle partecipazioni azionarie di controllo detenute dalla Provincia di Milano e le partecipazioni azionarie dete-nute dalla Provincia di Monza Brianza nelle società che operano direttamente o indirettamente alla realizzazione e gestione di infrastrutture connesse ad Expo 2015.

c. 90, lett. b)

Ministro dell’economia e del- le finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regiona-li, previa intesa in sede di Con-ferenza unificata

Decreto con il quale sono individuate misure premiali per le regioni che approvano le leggi che riorganizzano le funzioni di cui al c. 90, prevedendo la soppressione di uno o più enti o agenzie, cui risultino attribuiti compiti di organizzazione di servizi a rilevanza economica.

c. 91Stato e regioni, sentite le orga-nizzazioni sindacali maggior-mente rappresentative

Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.8 luglio 2014.

Individuano in modo puntuale, mediante Accordo san-cito nella Conferenza unificata, le funzioni oggetto del riordino e le relative competenze.

c. 92

Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Mi-nistro dell’interno e del Mini-stro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione ed economia e finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata

Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.8 luglio 2014.

Decreto con il quale sono stabiliti i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative connesse all’eser-cizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei cc. da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista. Il decreto, altresì, dispo-ne in merito alle risorse finanziarie spettanti alle provin-ce che devono essere trasferite agli enti subentranti per l’esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo, co-munque, quanto previsto dal c. 88. Contiene disposizio-ni, infine, anche in materia di funzioni amministrative delle province di competenza statale.

c. 95 Regione Entro sei mesi dal decreto di cui al c. 92 della l. n. 56/2014.8 gennaio 2015.

Provvede, sentite le organizzazioni sindacali, a dare attuazione all’accordo di cui al c. 91.

Governo Esercita il potere sostitutivo ai sensi dell’art. 8 l. n. 131/2003.

c. 96, lett. b) Ministro dell’economia e del-le finanze

Decreto che stabilisce la procedura semplificata per la dismissione della proprietà dei beni mobili e immo-bili da parte dell’ente che subentra nei diritti relativi alle partecipazioni societarie attinenti alla funzione trasferita.

c. 96, lett. d)

Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari re-gionali, sentita la Conferenza unificata

Decreto che individua modalità e determinazioni per sterilizzare gli effetti del trasferimento delle funzioni che non rilevano per l’ente ai fini della disciplina dei livelli di indebitamento o altri adempimenti, nell’am-bito dei meccanismi compensativi tra i diversi livelli di autonomia territoriale.

c. 97

Governo, previo parere della Conferenza unificata, della Con-ferenza permanente per il coor-dinamento della finanza pubbli-ca e delle Commissioni parla-mentari competenti per materia

Entro 15 mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.8 luglio 2015.

Uno o più decreti legislativi in materia di adeguamen-to della legislazione statale sulle funzioni e sulle com-petenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi enti.

(segue)

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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FONTE ORGANO TERMINE ADEMPIMENTO PREVISTO

c. 125 lett. a) Ministro dell’interno EventualeDecreto che fissa il diverso termine di proroga previsto per l’approvazione dei bilanci del comune risultante da fusione.

c. 140

Governo, su proposta del Mi-nistro dell’interno e del Mini-stro per gli affari regionali, di concerto con Ministro dell’e-conomia e delle finanze

Entro un anno dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.8 aprile 2015.

Decreto legislativo recante la disciplina organica delle disposizioni concernenti il Comune di Campione d’I-talia nonché nel rispetto del principio e criterio diretti-vo: riordino delle specialità presenti nelle disposizioni vigenti in ragione della collocazione territoriale sepa-rata del predetto comune e della conseguente peculiare realtà istituzionale, socio-economica, urbanistica, va-lutaria, sanitaria, doganale, fiscale e finanziaria.

c. 147 terzo periodo Pubbliche amministrazioni

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.8 ottobre 2014.

Comunicano i piani di riorganizzazione della propria rete periferica individuando ambiti territoriali ottimali di esercizio delle funzioni non obbligatoriamente cor-rispondenti al livello provinciale o della Città metro-politana al Ministero dell’economia e delle finanze, al Ministero dell’interno per il coordinamento della logistica sul territorio, al Commissario per la revisione della spesa ed alle Commissioni parlamentari compe-tenti per materia.

c. 147 ultimo periodo

Presidente del Consiglio dei ministri Eventuale Nomina, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio

dello Stato, un commissario per la redazione del piano.

c. 149 primo periodo

Ministro per gli affari regio-nali

Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014.7 giugno 2014.

Predispone appositi programmi di attività contenenti modalità operative e altre indicazioni finalizzate ad assicurare, anche attraverso la nomina di commissa-ri, il rispetto dei termini previsti per gli adempimenti previsti dalla legge e la verifica dei risultati ottenuti.

Alla luce delle citate disposizioni, assume un ruolo centrale l’Accordo sancito fra governo e regio-ni, in data 11 settembre 2014 (22), ai sensi dell’art. 1, c. 91, l. n. 56/2014, al fine di individuare le funzioni diverse da quelle fondamentali e di assicurare l’ap-plicazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, nonché la continuità amministrati-va, la semplificazione, la razionalizzazione delle pro-cedure e la riduzione dei costi dell’amministrazio-ne (23).

(22) Alla data individuata dalle citate disposizioni (8 lu-glio 2014).

(23) L’accordo previsto dal c. 91 avrebbe dovuto (cfr. Corte cost., n. 50/2015):

1) far confluire nei nuovi cataloghi di funzioni fondamen-tali delle province e delle città metropolitane le funzioni am-ministrative già svolte dalle province al fine di salvaguardare l’integrità di funzionamento degli enti, nonché l’equilibrio fi-nanziario;

2) individuare e puntualizzare quali funzioni, diverse da quelle fondamentali sarebbero state rimesse alla legislazione regionale, secondo le competenze per materia previste dall’art. 117 Cost.;

3) individuare le funzioni nelle materie di competenza le-gislativa statale che il d.p.c.m. avrebbe dovuto poi trasferire.

In forza del predetto Accordo Stato-regioni, fra l’altro, è stato stabilito che: a) le funzioni oggetto di riordino (non fondamentali) non assegnate agli en-ti di area vasta o alle città metropolitane, ovvero non riassorbite dalle regioni, devono essere assegnate, a meno che non siano state nel frattempo soppresse, ai comuni o alle loro forme associative, anche definen-do gli ambiti territoriali e le soglie demografiche, nel rispetto delle quali devono essere esercitate; b) il ri-ordino deve tenere conto della possibile valorizza-zione delle autonomie funzionali e delle più ampie forme di sussidiarietà orizzontale; c) in capo agli en-ti di area vasta devono essere conservate solo le fun-zioni coerenti con le finalità proprie di questi enti, avuto riguardo, anche, al contesto proprio di ciascu-na regione.

Al fine di dare piena attuazione alla puntuale in-dividuazione delle funzioni, come previsto dal c. 91, Stato e regioni convengono che lo Stato può e deve provvedere solo per le materie di propria competen-za legislativa esclusiva ex art. 117, c. 2, Cost., mentre per le materie di competenza regionale ciascuna re-gione deve definire l’elenco di quelle esercitate dalle proprie province, non riconducibili alle funzioni fon-damentali ed operarne il riordino.

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A termini del predetto Accordo, lo Stato si è im-pegnato, altresì, ad adottare il d.p.c.m. di cui al c. 92 (intervenuto in data 26 settembre 2014) anche per la parte relativa alle funzioni amministrative degli enti di area vasta di competenza statale e le regioni si so-no impegnate ad adottare entro il 31 dicembre 2014 le iniziative legislative di competenza (cfr. tab. p. 29). Inoltre, viene sospesa l’adozione di provvedi-menti di riordino, relativamente a quei settori orga-nici interessati dall’applicazione di disegni di legge di riforma già in atto, fino all’entrata in vigore delle riforme medesime.

Al fine di assicurare, pur nel rispetto della dif-ferenziazione regionale, l’opportuna uniformità di orientamenti e il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali interessati al processo di riordino, l’Ac-cordo prevede, inoltre, l’istituzione, presso la Presi-denza del consiglio, di un Osservatorio nazionale, con compiti di impulso e di raccordo per l’attuazione della l. n. 56/2014 nonché di monitoraggio dello sta-to di avanzamento delle attività attuative del proces-so di riordino e del rispetto delle tempistiche previ-ste, nonché dell’attuazione del c. 90.

Analogamente, presso ciascuna regione è pre-vista l’istituzione di osservatori regionali con fina-lità di impulso e coordinamento a livello territoria-le, chiamati a prendere parte attivamente alle deci-sioni, attraverso l’espressione del proprio avviso in vista dell’approvazione delle leggi regionali di cui al c. 95.

Nell’Accordo, infine, le parti convengono sulle questioni di seguito precisate:

1) siano modificati gli obiettivi del patto di stabi-lità interno secondo quanto previsto dal c. 94, al fine di tenere debitamente conto degli effetti anche finan-ziari derivanti dal trasferimento di funzioni;

2) si provveda, ove necessario, a modifiche le-gislative per agevolare il trasferimento di persona-le nella misura richiesta dal trasferimento delle fun-zioni;

3) le procedure di mobilità siano condotte, come previsto dal c. 96, attraverso la sterilizzazione del-la relativa spesa, ai fini del rispetto dei limiti e dei vincoli imposti dal d.l. n. 78/2010, fermo restando il principio di invarianza della spesa;

4) per gli enti subentranti non rilevino ai fini del rispetto della vigente disciplina in materia di limi-ti dell’indebitamento gli effetti derivanti dal trasferi-mento di funzioni;

5) in applicazione dei principi e dei criteri di cui al c. 97, lett. b), siano attribuite agli enti subentran-ti le risorse finanziarie già spettanti alle province ai

sensi dell’art. 119 Cost., dedotte quelle necessarie al-le funzioni fondamentali;

6) in applicazione dei principi e criteri di cui al c. 97, lett. l) dell’art. 1 della l. n. 56/2014, si provveda all’attribuzione ai soggetti che subentrano nelle fun-zioni di una parte delle entrate tributarie già spettan-ti alle province nell’ambito del riassetto complessi-vo della capacità fiscale degli enti interessati dal pro-cesso di riordino.

Il d.p.c.m. 26 settembre 2014 è stato adottato, ai sensi dell’art. 1, c. 92, l. n. 56/2014, su proposta del Ministero dell’interno e del Ministro per gli affari re-gionali e le autonomie, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazio-ne e con il Ministro per l’economia e le finanze, ac-quisita l’intesa in sede di Conferenza unificata in da-ta 11 settembre 2014.

Il decreto concerne i criteri generali per l’indi-viduazione dei beni e delle risorse finanziarie, uma-ne, strumentali e organizzative connesse all’eserci-zio delle funzioni provinciali che devono essere tra-sferite agli enti subentranti, ai sensi dei cc. da 85 a 97, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeter-minato in corso nonché quelli a tempo determinato fino alla scadenza prevista dal contratto.

Il primo criterio enunciato riguarda l’individua-zione dei beni e delle risorse connessi alle funzio-ni oggetto di riordino e fa riferimento alla necessi-tà di correlazione fra funzione e risorsa. Per la sua applicazione è previsto che le province, anche quel-le destinate a trasformarsi in città metropolitane, ef-fettuino – entro 15 giorni – una mappatura dei beni e delle risorse, alla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014, connessi a tutte le funzioni fondamentali e non, eccezion fatta per i beni e le partecipazioni in enti o società, per i quali vale come riferimento del-la mappatura la data di entrata in vigore del decreto.

In base a quanto disposto dall’art. 2, la mappatu-ra deve essere comunicata alla regione e al rispettivo Osservatorio regionale, che deve verificarne la coe-renza con i criteri stabiliti e validarne i contenuti nei successivi 15 giorni, con tempestivo invio della do-cumentazione finale all’Osservatorio nazionale. Nel caso di rilevate incongruenze, l’Osservatorio regio-nale deve proporre alle province interessate le even-tuali soluzioni per rendere conforme la ricognizione ai criteri previsti dal decreto e, nel caso di mancata ricognizione, la stessa regione deve assumere le rela-tive determinazioni.

I criteri generali per l’individuazione delle risor-se finanziarie sono definiti all’art. 3 del d.p.c.m., che, ai fini della ricognizione delle suddette risorse, fa rin-

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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vio ai dati desumibili dai rendiconti dell’ultimo trien-nio, nonché ai dati forniti dalle province relativamente alla quantificazione della spesa ascrivibile a ciascuna funzione o a gruppi omogenei di funzioni. Per la spe-sa di personale si fa riferimento alla spesa complessi-va del personale dirigenziale e non risultante dagli im-pegni del rendiconto dell’ultimo anno. In ogni caso le risorse trasferite non potranno superare l’ammontare di quelle utilizzate dalle province per l’esercizio delle funzioni precedentemente al riordino.

I parametri per l’individuazione delle risorse umane sono stabiliti nell’art. 4 che li elenca come di seguito riportato:

- rispetto dei limiti finanziari e numerici dell’ac-cordo di cui al c. 4 dell’art. 2 dello stesso decre-to (24);

- garanzia dei rapporti di lavoro a tempo indeter-minato nonché di quelli a tempo determinato in cor-so fino alla scadenza prevista;

- svolgimento in via prevalente, alla data di entra-ta in vigore della legge, di compiti correlati alle fun-zioni oggetto di trasferimento;

- subentro nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso.

L’art. 5 stabilisce i criteri metodologici per il tra-sferimento dei beni e delle risorse strumentali ed or-ganizzative (25). Il successivo art. 6, dispone che l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche di competenza statale, sia immediatamente efficace, sin dall’entrata in vigore dello stesso d.p.c.m. eccezion fatta per le città metropolitane (per le quali l’entrata in vigore delle citate disposizioni è stata procrastina-ta all’1 gennaio 2015).

2.3. Le leggi regionali adottate per l’attuazione del-la l. 7 aprile 2014, n. 56

Uno dei nodi da sciogliere nel processo di rior-dino, previsto dalla l. n. 56/2014, è proprio quello del trasferimento, disciplinato dai cc. 91 ss. dell’art.

(24) L’art. 3 conferma e recepisce quanto contenuto nell’accordo dell’11 settembre 2014 in ordine alla modifica degli obiettivi del patto di stabilità, nonché in ordine agli effet-ti derivanti dal trasferimento di funzioni sul rispetto dei limiti all’indebitamento per gli enti subentranti.

(25) Ai sensi dell’art. 5 del d.p.c.m. del 26 settembre 2014, i beni del demanio provinciale sono trasferiti al valore loro attribuito come indicato nell’ultimo bilancio approvato dall’ente o, altrimenti attribuibile sulla base dei principi conta-bili nazionali. I beni del patrimonio immobiliare sono trasferi-ti al loro costo storico desumibile dall’ultimo inventario attua-lizzato. I beni mobili sono trasferiti al costo storico.

1 (26), delle risorse finanziarie ed umane necessa-rie all’espletamento delle funzioni diverse da quelle di cui al citato c. 85, che lo Stato e le regioni attribu-iscono in attuazione dell’art. 118 Cost.

Non casualmente le disposizioni citate seguono quelle che prevedono l’individuazione, entro tre me-si, delle funzioni oggetto di riordino, scandendo le tappe del disegno di riforma che attribuisce, come noto, alle regioni un ruolo centrale nell’attuazione dell’accordo sancito dalla Conferenza unificata per il trasferimento delle funzioni di competenza regio-nale (27).

Al fine di accelerare il processo, l’Accordo sanci-to fra governo e regioni, in data 11 settembre 2014, ai sensi dell’art. 1, c. 91, l. n. 56/2014, ha fissato al 31 dicembre 2014 il termine ultimo per l’approvazio-ne da parte delle regioni delle leggi di riordino del-le funzioni delegate o trasferite alle province. Termi-ne che è stato sostanzialmente rispettato, sebbene in molti casi a ridosso della scadenza (molti progetti di legge sono stati, infatti, approvati dalla giunta solo in data 30 dicembre 2014).

Originariamente era previsto che le proposte di leggi regionali seguissero tutte una comune imposta-zione, un unico schema logico articolato nei punti di seguito elencati:

(26) Il c. 91 recita: “entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, lo Stato e le regioni individua-no, in modo puntuale, mediante accordo sancito nella confe-renza unificata, le funzioni di cui al c. 89 oggetto del riordino e le relative competenze. Il successivo c. 92 dispone che “en-tro il medesimo termine di cui al c. 91 e nel rispetto di quanto previsto dal c. 96 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’interno e del Ministro per gli affari regionali di concerto con i ministri per la sempli-ficazione e la pubblica amministrazione e dell’economia e fi-nanze, sono stabiliti, previa intesa in sede di conferenza unifi-cata, i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle ri-sorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso”.

Il c. 94 precisa che “al fine di tener conto degli effetti fi-nanziari derivanti dal trasferimento dell’esercizio delle fun-zioni con i decreto del Presidente del Consiglio dei ministri possono essere modificati gli obiettivi del patto di stabilità in-terno e le facoltà di assumere delle province e degli enti su-bentranti fermo restando l’obiettivo complessivo. L’attuazio-ne della presente disposizione non deve determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

(27) Il c. 95, a tal proposito, prevede che, nel caso in cui decorra inutilmente il termine di sei mesi previsto per l’attua-zione dell’accordo sancito nella Conferenza unificata, debba trovare applicazione l’art. 8 l. n. 131/2003.

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1) l’individuazione delle funzioni fondamentali della Provincia derivanti da normative statali; (28)

2) l’applicazione del c. 90 in materia di ricogni-zione dei servizi a rilevanza economica sul territorio e affidamento degli stessi alle province;

3) l’individuazione delle funzioni oggetto di rior-dino in quanto non più fondamentali (29) a seguito dell’entrata in vigore della stessa l. n. 56/2014 e del-le funzioni fondamentali svolte dalle Province su de-lega delle regioni;

4) l’individuazione delle funzioni attribuite im-mediatamente alle province per le quali occorreva, tuttavia, rinvenire le relative coperture finanziarie;

5) l’individuazione delle funzioni attribuite im-mediatamente ad altri soggetti istituzionali (dirit-to allo studio, assistenza ai ciechi, formazione pro-fessionale, agricoltura, caccia, pesca, raccolta funghi epigei e genio civile);

6) la suddivisione, in base al principio di sussi-diarietà, delle funzioni fra regione, province e comu-ni;

7) l’enunciazione dei principi per il trasferimento del personale e dei beni.

Dalla lettura dei testi per lo più approvati solo dalle giunte e in discussione presso i consigli (ad eccezione delle regioni Liguria, Marche, Toscana e Umbria), può osservarsi che, in generale lo schema indicato è stato solo parzialmente seguito dalle re-gioni che hanno adottato soluzioni non proprio omo-genee.

Per un gruppo di regioni (Piemonte, Veneto, Abruzzo, Campania, Molise e Basilicata) i proget-ti di legge approvati non operano un immediato ri-ordino delle funzioni non fondamentali, facendo rin-vio a successivi atti finalizzati ad una puntuale indi-viduazione ed assegnazione di beni e risorse derivan-ti dalla nuova allocazione delle funzioni. In tali dise-gni di legge sono, altresì, enucleati principi e crite-ri ai quali dovranno attenersi i provvedimenti di rior-dino. Fra questi ricorre sovente il criterio della con-

(28) Le funzioni fondamentali sono quelle attribuite dallo Stato che non costituiscono un contenitore predefinito ed in generale sono coperte da trasferimenti statali e da entrate pro-prie.

(29) Le funzioni non fondamentali oggetto di riordino so-no suddivisibili in funzioni desuete, in quanto non più eserci-tate o esercitabili, slittate e autoprodotte dalla provincia ossia esercitate ma non conferite da nessun ente sovraordinato e funzioni conferite attribuite o delegate dalle regioni. Mentre per le funzioni delegate la copertura dovrebbe essere assicura-ta dalla fiscalità regionale, per le funzioni non delegate non è prevista una specifica copertura finanziaria.

servazione in capo all’ente intermedio delle funzioni a esso spettanti in base alla legislazione vigente, con eventuali deroghe, mediante la riallocazione di com-petenze presso comuni e regione. In particolare, nel testo della Regione Campania, al fine di evitare che il riordino possa alimentare fenomeni di accentramen-to in capo alla stessa regione di funzioni e compiti, è stato precisato che alla stessa vadano trasferiti solo compiti esercitabili in modo unitario per l’intero ter-ritorio di riferimento. Al contrario, nel testo della Re-gione Piemonte è previsto che, solo eccezionalmen-te, possano essere conferite ai comuni funzioni già esercitate dalle province.

Un altro gruppo di regioni (Lazio, Liguria, Lom-bardia, Marche, Puglia e Umbria) nei disegni di leg-ge approvati ha avviato un primo riordino, con con-seguente rinvio a successivi provvedimenti.

Il testo del disegno di legge della Regione Lazio contiene due profili di interesse: l’uno concernente il rinvio, per la successiva disciplina di riordino delle funzioni da trasferire, all’avvenuta adozione da parte del governo della delega contenuta nel c. 91 della l. n. 56/2014, e l’altro riguardante il potere riconosciu-to ai comuni, anche in forma associata, di richiedere l’attribuzione di funzioni non fondamentali alla re-gione, la quale, valutata la conformità della richiesta ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed ade-guatezza, che ispirano la l. n. 56/2014, adotta i prov-vedimenti consequenziali.

Una considerazione a parte merita il disegno di legge della Regione Lombardia, che può considerar-si anch’esso, come quelli appena illustrati, di carat-tere per così dire “misto” ma poiché, pur rinviando-ne il trasferimento a successive leggi di settore, at-trae nella sfera regionale numerose funzioni già pro-vinciali, finisce per collocarsi in direzione opposta a quella intrapresa dalla Regione Lazio. Il testo all’e-same delle competenti Commissioni consiliari inci-de anche sulle funzioni fondamentali delle province lì dove specifica che nell’ambito della materia di go-verno del territorio le province esercitano le funzioni di pianificazione territoriale, adottando il piano terri-toriale provinciale generale con funzioni di coordi-namento. Specifiche disposizioni sono dedicate, al-tresì, alla determinazione degli ambiti territoriali ot-timali per la programmazione regionale e per l’eser-cizio di funzioni decentrate. Il disegno di legge re-gionale riconosce, infine, ulteriori funzioni rispetto a quelle fondamentali in capo alla Provincia di Son-drio, in quanto caratterizzata da territorio interamen-te montano.

Solo in alcuni sporadici casi sono state adottate

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specifiche previsioni di carattere finanziario; in par-ticolare ciò è dato nel testo del disegno di legge del-la Regione Lombardia, ove si chiarisce che per le funzioni trasferite cessano i trasferimenti erogati al-le province e che per quelle rimaste in capo alle stes-se amministrazioni si provvede con le risorse alloca-te nel bilancio regionale 2015-2017.

Per quest’ultima regione – sempre nell’ambi-to del percorso attuativo della l. n. 56/2014 – me-rita segnalazione la sottoscrizione, in data 13 apri-le 2015, dell’Intesa tra la Regione Lombardia e l’U-nione delle province lombarde con l’indicazione dei profili finanziari necessari alla copertura dei costi per le funzioni delegate dalla regione parametrando l’e-rogazione complessiva (di 195 mln di euro) alla fi-scalizzazione della tassa automobilistica. Le risorse, fra l’altro, assicurano il finanziamento di tutte le fun-zioni a partire da quelle fondamentali quale il Tpl e la formazione professionale.

In aggiunta a queste risorse, anche se una tan-tum, la Regione Lombardia assicura ulteriori 10 mi-lioni di euro, oltre ad un contributo a fondo perduto in materia di edilizia scolastica. Gli interventi, fina-lizzati evidentemente al sostegno dell’attuazione del percorso del riordino delle funzioni a livello territo-riale, dovrebbero produrre un’accelerazione dell’iter del progetto di legge in consiglio regionale.

Specifiche disposizioni in merito alle risorse de-stinate alla copertura degli oneri derivanti dal riordi-no delle funzioni sono contenute anche nella l. reg. Liguria, 10 aprile 2015, n. 15, ove si prevede, da una parte, che il trasferimento di funzioni e risorse uma-ne e finanziarie decorra dall’1 luglio 2015 e, dall’al-tra parte, che le risorse strumentali e organizzative siano individuate nell’ambito di specifici accordi fra gli enti interessati (art. 7) da stipulare entro il 31 di-cembre 2015.

La legge della Regione Umbria, 2 aprile 2015, n. 10 individua le dotazioni finanziarie con le quali fa-re fronte alle spese conseguenti al riordino delle fun-zioni, sulla base di apposito atto della giunta regiona-le da adottarsi a seguito della stipula di un protocollo d’intesa fra regione, province ed organizzazioni sin-dacali, entro 90 giorni.

Fra le regioni a statuto ordinario una posizione del tutto peculiare occupa la Regione Toscana, che è stata la prima regione ad aver approvato una legge di riordino (l. reg. 3 marzo 2015, n. 22) oltre ad aver provveduto a una complessiva riorganizzazione del-le funzioni, senza ulteriori rinvii, ed ha tracciato una disciplina puntuale per la riallocazione di risorse fi-nanziarie ed umane.

L’anzidetta legge regionale tende a regionaliz-zare la maggior parte delle funzioni amministrative scorporate dall’ente intermedio (ambiente, agricoltu-ra, foreste, caccia e pesca qualità dell’aria inquina-mento acustico, energia) ed ha un effetto, in qualche misura, restrittivo anche sulle funzioni fondamenta-li così come definite dall’art. 1, c. 85, l. n. 56/2014, giacché, in particolare, sancisce il trasferimento alla regione di numerose funzioni in materia ambientale (art. 2). (Omissis)

2.4. Le novità introdotte dalla l. 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015)

La l. n. 56/2014 prevedeva per il riordino delle funzioni un iter procedurale articolato in una serie di passaggi, primo fra tutti quello dell’individuazione delle funzioni fondamentali che restano affidate al-le province e di quelle non fondamentali da attribui-re agli altri enti (comuni, regioni, Stato), cui doveva far seguito la quantificazione di finanziamenti e spe-se per gestire entrambe le tipologie di funzioni, con contestuale individuazione delle risorse umane, stru-mentali e organizzative.

A fronte di tale iter procedurale le disposizioni recate dalla legge di stabilità 2015 e ancora prima l’accordo dell’11 settembre 2014 e il d.p.c.m. del 26 settembre 2014 hanno introdotto novità che, in parte, vanificano l’anzidetta procedimentalizzazione.

In particolare, la l. n. 190/2014 al c. 418 indivi-dua il contributo triennale richiesto alle province che concorrono con una riduzione della spesa corrente pari ad 1 miliardo (1.180 mln) per il 2015, 2 miliar-di per il 2016 e 3 miliardi per il 2017. (30) Ai sen-si del successivo c. 420 è fatto divieto alle province di ricorrere a mutui se non per spese rientranti nel-le funzioni dell’edilizia scolastica e della costruzio-ne e manutenzione delle strade. Ma soprattutto è fat-to divieto di effettuare spese correnti per assunzioni a tempo indeterminato, ovvero di acquisire persona-le attraverso l’istituto del comando (i comandi in atto non possono essere prorogati) o l’affidamento di in-carichi di studio e consulenze, con contestuale taglio delle dotazioni organiche all’1 gennaio 2015 nelle percentuali ivi indicate (31).

(30) Ciascuna provincia e città metropolitana è tenuta a versare un ammontare di risorse pari ai risparmi di spesa in un apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, eccezion fatta per quelle dissestate al 15 ottobre 2014.

(31) I tagli alle dotazioni organiche riguardano tanto le province in misura pari al 50 per cento del costo della dotazio-ne organica del personale di ruolo all’8 aprile 2014, quanto le città metropolitane in misura pari al 30 per cento, senza alcun

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I tagli imposti dalla legge di stabilità si sono ag-giunti a quelli già previsti anche per il 2015 dal d.l. n. 66/2014 e sono intervenuti ancor prima che fosse possibile conoscere la distribuzione delle competen-ze fra province, città metropolitane e altri enti. Per quanto attiene specificamente alla spesa di persona-le, la riduzione è stata fissata con riferimento a quel-la sostenuta alla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014 (8 aprile 2014), con una conseguente deter-minazione ope legis della quota di personale c.d. so-prannumerario.

Si è già riferito che la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 2 aprile 2015, ha approvato un documento che illustra la po-sizione delle stesse in merito allo stato di attuazione della l. n. 56/2014.

Può aggiungersi che, con il Def 2015, il governo, nello sciogliere positivamente il nodo delle clausole di salvaguardia, previste dalla legge di stabilità 2015, attraverso la loro sterilizzazione, ha prefigurato ulte-riori tagli alla spesa pubblica per circa 10 miliardi. In tal modo le criticità già evidenziate circa il percor-so attuativo della l. n. 56/2014, potrebbero risentire dell’ulteriore peggioramento del quadro finanziario dei trasferimenti agli enti territoriali. (Omissis)

8. Considerazioni conclusive1. Il progetto di riorganizzazione dell’ammini-

strazione locale, anche sotto il profilo finanziario, delineato dalla l. n. 56/2014 – nel rispetto dei princi-pi costituzionali, come da ultimo ritenuto dalla Con-sulta nella sent. n. 50 del 6 marzo 2015 – sta incon-trando ritardi e difficoltà nella fase attuativa, in par-ticolare per quanto riguarda il riordino delle funzio-ni delegate o trasferite alle province. E ciò, pur do-po l’adozione del d.p.c.m. 26 settembre 2014, che, in esecuzione del c. 92 dell’art. 1 della legge medesima ha stabilito, previa intesa in sede di Conferenza uni-ficata, i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e or-ganizzative connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei cc. da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rap-porti di lavoro a tempo indeterminato in corso, non-ché quelli a tempo determinato in corso fino alla sca-denza per essi prevista.

Sia dai contenuti delle quattro leggi regionali al-

riferimento diretto alle funzioni fondamentali ed al personale alle stesse addetto ed ignorando, in modo pressoché totale, la mappatura affidata agli osservatori regionali, che dovevano monitorare lo stato delle deleghe diversificate da regione a re-gione e dell’assetto organizzativo dei singoli enti.

lo stato emanate, che da quelli dei testi approvati nel-le giunte e in discussione nei consigli regionali emer-gono criticità che condizionano l’efficacia della leg-ge. Ci si riferisce, tra l’altro: a talune incertezze nel-la individuazione della nuova titolarità delle funzio-ni non fondamentali; al rinvio a successivi atti per la concreta riallocazione delle funzioni; ad interven-ti legislativi e/o provvedimentali per la riallocazio-ne delle risorse umane, strumentali e finanziarie; al-la mancata attuazione del principio di sussidiarietà nel senso indicato dalla legge e, al contrario, alla dif-fusa tendenza ad un accentramento in capo alla re-gione delle funzioni amministrative precedentemen-te svolte dalle province; all’assenza di specifiche di-sposizioni sulla determinazione degli ambiti territo-riali ottimali per l’esercizio delle funzioni; alla man-cata applicazione del c. 90 per la conservazione in capo alle regioni dei servizi a rilevanza economica; alla mancata considerazione dello stretto legame pre-visto dalla l. n. 56/2014 tra funzioni-risorse-patrimo-nio-personale.

2. Ai fini di una compiuta valutazione della situa-zione della finanza provinciale su cui viene a incide-re la nuova normativa di riordino, va anche conside-rato il quadro che emerge dalle risultanze delle veri-fiche sulla gestione finanziaria degli enti territoria-li, svolte dalle sezioni regionali di controllo princi-palmente sulla base dei questionari redatti dagli or-gani di revisione ai sensi degli artt. 1, cc. 166 ss., l. n. 266/2005 e dell’art. 148-bis Tuel, che denota: una costante tensione sulle entrate, determinata dalla progressiva contrazione delle entrate derivate, solo parzialmente compensate dal potenziamento di quel-le proprie; vistosi ritardi nell’erogazione dei trasfe-rimenti erariali e regionali e, soprattutto, le conse-guenze delle reiterate manovre sul fondo sperimen-tale di riequilibrio – che hanno, di fatto, annullato la capacità programmatoria delle province; il consi-stente utilizzo di entrate a carattere straordinario per il finanziamento di spesa corrente, anche ripetitiva, cui le province hanno fatto ricorso per fronteggiare la riduzione dei trasferimenti, nonché l’applicazio-ne, talora integrale, dell’avanzo di amministrazione – peraltro influenzato dall’elevata mole di residui at-tivi – per il conseguimento dell’equilibrio di parte corrente.

Di particolare significatività appare l’elevata consistenza di residui attivi afferenti a trasferimen-ti statali e regionali risalenti, considerata oramai l’in-tervenuta quasi completa riduzione, che, oltre a con-dizionare l’effettività del risultato di amministrazio-ne, determina, a causa dei cennati ritardi nell’eroga-

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zione e della conseguente scarsa movimentazione, sofferenze di liquidità cui si correla il reiterato ricor-so all’anticipazione di tesoreria e l’utilizzo, per il pa-gamento di spese correnti, di entrate a specifica de-stinazione.

Si tratta di profili critici che, oltre ad essere sinto-matici di un graduale, e pressoché diffuso, deteriora-mento della finanza provinciale, appaiono suscettibi-li di incidere negativamente sulla tenuta degli equili-bri, anche futuri, di bilancio.

3. Nel percorso tracciato dalla l. n. 56/2014 si è inserita in modo non del tutto coerente la l. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) – come modificata dal d.l. n. 192/2014 (c.d. “mille proroghe”), conver-tito con modificazioni dalla l. 27 febbraio 2015, n. 11 – che, nonostante la già affermata necessità di corre-lazione tra funzioni fondamentali, funzioni trasferite, risorse e garanzia di copertura finanziaria, ha mante-nuto fermi tagli e oneri a carico delle province, senza considerare la invarianza almeno temporanea di ne-cessità finanziarie per le medesime, conseguente alla parziale attuazione della l. n. 56/2014. È anche previ-sta una tempistica stringente per gli adempimenti da porre in essere in attuazione di dette misure (decreto di riparto del taglio al 31 marzo 2015, prelievo delle risorse al 31 maggio 2015, ridefinizione delle dota-zioni organiche al 31 marzo 2015).

4. L’anticipazione degli effetti finanziari, che si concretizzano nei tagli di spesa corrente stabiliti dal-la legge di stabilità 2015, rispetto all’effettivo tra-sferimento dei fattori di determinazione delle usci-te di tale natura, in particolare della spesa per il per-sonale eccedentario secondo le previsioni della l. n. 190/2014, produce un effetto distorsivo nella gestio-ne finanziaria degli enti in esame.

Si verifica, in particolare, che, ad esercizio finan-ziario 2015 inoltrato, l’onere della spesa che dove-va essere trasferito, secondo la tempistica della l. n. 56/2014, resta ancora a carico delle province (e il fe-nomeno è presumibilmente destinato a protrarsi).

Ne consegue che una parte della spesa, soprattut-to di quella per il personale, grava su una gestione che, non avrebbe invece dovuto considerarla nel pro-prio programma finanziario. E siffatta anomalia sarà rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilità inter-no 2015, con effetti sugli esercizi futuri degli stessi enti che dovessero risultare inadempienti.

Appaiono indispensabili, quindi, un riallinea-mento e un costante coordinamento tra le fasi pro-cedimentali di trasferimento delle funzioni e delle ri-sorse – come dettagliatamente disciplinate dalla l. n.

56/2014 – e la produzione degli effetti finanziari che ad esse si correlano, al fine di garantire una corretta attuazione della riforma degli enti di area vasta ed il rispetto dei criteri di sana gestione finanziaria, non-ché la regolarità amministrativo-contabile delle ge-stioni dei medesimi enti.

Nello stesso tempo appare anche auspicabile la verifica della compatibilità della situazione determi-natasi per le rilevate anomalie, finora registrate nello sviluppo delle fasi attuative della legge di riordino, con la sostenibilità finanziaria del contributo richie-sto al comparto. Nel contesto di tale verifica andreb-be considerata la possibilità della previsione norma-tiva di misure di flessibilità idonee a superare le si-tuazioni di criticità che i rilevati ritardi e le eviden-ziate conseguenze, fin qui prodotte, riflettono sia nel-la prospettiva della gestione, sia in quella della pro-grammazione triennale. E ciò anche al fine di con-tenere il deterioramento della situazione finanzia-ria del medesimo comparto che, per non pochi enti sta rendendo in concreto particolarmente precaria la conservazione degli equilibri strutturali, mentre per quelli già in percorso di riequilibrio finanziario sta rendendo meno agevole il raggiungimento del risul-tato di risanamento.

Si tratta di una verifica che appare connotata da una particolare urgenza per l’esercizio in corso, ri-spetto agli altri esercizi del triennio, soprattutto in vi-sta dell’approvazione dei bilanci di previsione entro il 31 maggio 2015. In tale contesto va anche valutato, sotto il profilo della sostenibilità, l’impatto finanzia-rio delle sanzioni correlate alla diffusa inosservanza degli obiettivi programmatici del patto 2014.

Peraltro, ferma restando la necessità che il “pro-cesso di armonizzazione” non deve subire alcun ral-lentamento, non può trascurarsi di considerare che, sulla situazione di difficoltà emersa nel processo di riordino istituzionale e funzionale, si proiettano an-che gli effetti dei complessi e finanziariamente im-pegnativi meccanismi di avvio delle procedure per l’armonizzazione dei bilanci, quali il riaccertamen-to straordinario dei residui e la costituzione del fon-do crediti di dubbia esigibilità.

L’eventuale emersione di maggiori disavanzi di gestione all’esito del suddetto riaccertamento e gli accantonamenti al fondo crediti, che bloccano una parte delle risorse destinate alla spesa, rappresenta-no elementi rilevanti nella prospettiva degli equili-bri finanziari.

È da aggiungere che l’auspicato riallineamento, tra fasi procedimentali ed effetti finanziari che si cor-relano alle stesse, concerne anche le situazioni che in

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prospettiva si determineranno all’atto dell’effettivo passaggio di funzioni e, di conseguenza, il comples-so di rapporti giuridici attivi e passivi ad esse corre-late; prospettiva questa che porta a ritenere che più contenuti saranno i tempi impiegati per l’adozione di tali misure e tanto più le stesse risulteranno efficaci.

18 – Sezione delle autonomie; deliberazione 12 giu-gno 2015; Pres. Falcucci, Rel. Grasselli; Comu-ne di Osio Sotto.

Comune e provincia – Farmacie comunali – Per-sonale – Assunzioni – Limiti.

L. 27 dicembre 2006 n. 296, disposizioni per la for-mazione del bilancio annuale e pluriennale dello Sta-to (legge finanziaria 2007), art. 1, c. 557; d.l. 25 giu-gno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dal-la l. 6 agosto 2008 n. 133, disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competi-tività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, art. 18, c. 2-bis.

L’ente locale che gestisce farmacie in economia è tenuto, pur nella specificità dell’interesse pubbli-co tutelato, al rispetto degli ordinari vincoli assun-zionali e di spesa per il personale da assegnare al-le farmacie.

Premesso – Con nota del 13 gennaio 2015, il sin-daco del Comune di Osio Sotto ha formulato una ri-chiesta di parere avente ad oggetto i limiti alle assun-zioni e alla spesa complessiva per il personale de-gli enti locali. Premette che l’ente gestisce in eco-nomia una farmacia comunale, servizio assicurato con una consistenza organica di n. 3 farmacisti e n. 2 commessi fino al mese di luglio 2011. Dopo tale da-ta, a seguito della cessazione per dimissioni di una farmacista, il comune non ha provveduto alla relati-va sostituzione, a causa dei vincoli assunzionali e di spesa per il personale contenuti nell’art. 1, c. 557, l. n. 296/2006. Ad avviso dell’istante, i successivi in-terventi normativi in materia di farmacie comunali sembrerebbero riconoscere la specificità dell’interes-se pubblico tutelato da questo servizio, che sarebbe ritenuto prevalente rispetto alle esigenze di conteni-mento delle spese pubbliche.

Pertanto il rappresentante legale del comune te-stualmente ha chiesto:

“a) se l’esclusione dell’applicabilità dei vincoli assunzionali di cui all’art. 9, c. 28, d.l. n. 78/2010, convertito con modificazioni dalla l. n. 122/2010, per le farmacie comunali gestite mediante aziende

speciali o istituzioni (previsto dall’art. 114, c. 5-bis, Tuel) sia applicabile anche alle farmacie comunali gestite in economia;

b) se possa escludersi l’applicazione dell’art. 1, c. 557, l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanzia-ria 2007) recante l’obbligo di riduzione delle spese di personale, nel caso di assunzione dì personale da adibire alla gestione della farmacia comunale svolta dal comune in economia;

c) se, in caso di risposta positiva ai primi due quesiti, in relazione alle disposizioni contenute nel-la l. n. 190/2014, art. 1, c. 424, che prevede il blocco delle assunzioni per gli enti locali in attesa della de-finizione delle procedure di mobilità dei dipenden-ti delle provincie, si debba attendere l’esito di dette procedure anche per questo profilo professionale non rinvenibile negli organici delle provincie;

d) se, in caso di risposta positiva ai primi tre que-siti, sempre in relazione alle disposizioni contenu-te nella l. n. 190/2014, art. 1, c. 424, che prevede il blocco delle assunzioni per gli enti locali in attesa della definizione delle procedure di mobilità dei di-pendenti delle provincie, si possa procedere alla re-lativa assunzione con ricorso alla procedura di mo-bilità volontaria tra enti sottoposti al vincolo di pat-to di stabilità, ex art. 30 t.u. approvato con il d.lgs. n. 165/2001”.

La Sezione remittente, in estrema sintesi, ritiene che l’ambito soggettivo del regime derogatorio invo-cato dal comune istante sia esattamente individua-to dall’art. 18, c. 2-bis, d.l. n. 112/2008 nelle “azien-de speciali, le istituzioni e le società a partecipazio-ne pubblica locale totale o di controllo” di cui al pri-mo periodo del comma. Per i comuni che gestisco-no farmacie direttamente con propri dipendenti (ge-stione in economia), invece, trovano applicazione gli ordinari limiti assunzionali. L’orientamento espresso si fonda sia sul tenore letterale della norma e sull’ar-ticolazione dei periodi che la compongono, sia sul-la considerazione che non risulta chiaro come le di-sposizioni poste per gli organismi strumentali sopra elencati possano riverberarsi sugli obblighi posti di-rettamente in capo al comune.

Inoltre, la Sezione richiama la recente giurispru-denza della Sezione autonomie, che ha affermato la necessità di un’interpretazione letterale delle de-roghe introdotte dal legislatore, con riferimento al-le disposizioni relative alle assunzioni a tempo de-terminato (art. 9, c. 28, d.l. n. 78/2010; cfr. delib. n. 2/2015), e, comunque, un orientamento interpretati-vo restrittivo in materia di limiti di spesa per il perso-nale (cfr. delib. n. 27/2013; n. 21 e n. 25/2014).

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Quanto al profilo dell’interesse alla tutela del-la salute, si rileva come il preteso ancoraggio del-le disposizioni sul servizio farmaceutico a princi-pi ed esigenze di carattere costituzionale non esime la concreta gestione di quest’ultimo dall’osservanza di regole di coordinamento della finanza pubblica. (Omissis)

Considerato – 1. La questione si incentra sul contrasto interpretativo sul c. 2-bis dell’art. 18 d.l. n. 112/2008, che, nel testo vigente, al primo periodo te-stualmente recita “Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale”.

In luogo del più rigoroso limite stabilito per i co-muni dall’art. 1, c. 557, l. n. 296/2006, per gli en-ti indicati nella riportata norma si stabilisce un più generico richiamo al “principio di riduzione dei co-sti del personale”, attuato mediante atto di indirizzo dell’ente controllante e conseguenti provvedimen-ti adottati dagli enti indicati (cfr. i primi tre perio-di del comma).

Nel quarto periodo dello stesso comma, poi, si escludono dal predetto limite “Le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assisten-ziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, cultu-rali e alla persona (ex Ipab) e le farmacie”, fermo restando l’obbligo di mantenere un livello dei costi del personale coerente rispetto alla quantità di servi-zi erogati.

2. In disparte le ricostruzioni dei vari interventi normativi sulla disciplina della farmacie comunali, dettagliatamente rappresentate nelle due deliberazio-ni richiamate, la soluzione preferibile appare quella prospettata dalla Sezione remittente.

2.1. In primo luogo si rileva che, prima della mo-difica introdotta dall’art. 1, c. 560, l. 27 dicembre 2013, n. 147, il c. 5-bis dell’art. 114 Tuel, disponeva l’applicazione anche alle aziende speciali ed istitu-zioni di una serie di norme quali il patto di stabilità, il d.lgs. n. 163/2006, nonché le disposizioni che sta-biliscono, a carico degli enti locali: divieto o limita-zioni alle assunzioni di personale; contenimento de-gli oneri contrattuali e delle altre voci di natura re-tributiva o indennitaria e per consulenza anche degli amministratori; obblighi e limiti alla partecipazione societaria degli enti locali.

L’ultimo periodo del predetto c. 5-bis testual-mente recitava: “Sono escluse dall’applicazione del-le disposizioni del presente comma aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenzia-

li ed educativi, servizi scolastici e per l’infanzia, cul-turali e farmacie”.

Nel testo vigente, invece, il comma in questio-ne si limita a prevedere che “Le aziende speciali e le istituzioni si iscrivono e depositano i propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle noti-zie economico-amministrative della camera di com-mercio, industria, artigianato e agricoltura del pro-prio territorio entro il 31 maggio di ciascun anno”.

Disposizione derogatoria ai limiti di spesa analo-ga – ma non letteralmente identica – a quella dell’ul-timo periodo della precedente versione del c. 5-bis si rinviene nel quarto periodo del c. 2-bis dell’art. 18 d.l. n. 112/2008, nel testo introdotto da ulti-mo dall’art. 4, c. 12-bis, d.l. n. 66/2014 (“Le azien-de speciali e le istituzioni che gestiscono servizi so-cio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infan-zia, culturali e alla persona (ex Ipab) e le farmacie sono escluse dai limiti di cui al precedente periodo, fermo restando l’obbligo di mantenere un livello dei costi del personale coerente rispetto alla quantità di servizi erogati”).

All’ultima disposizione, in ipotesi, si potrebbero riferire due diverse interpretazioni letterali, secondo le quali, alternativamente, le farmacie sarebbero da intendere come oggetto della gestione delle aziende speciali (che costituiscono una delle modalità di ge-stione del servizio ai sensi dell’art. 9 l. n. 475/1968), o come soggetto a sé stante. In questo caso, peraltro, qualche perplessità è suscitata dalla tecnica redazio-nale adottata: infatti, alle tipologie organizzatorie – aziende speciali ed istituzioni – della gestione di ser-vizi pubblici si assimilerebbe un servizio pubblico – la farmacia – utilizzando un lessico comune e non un linguaggio tecnico, con evidente discrasia delle ca-tegorie logico-giuridiche utilizzate sullo stesso pia-no. In disparte quest’ultima considerazione, anche volendo ammettere la possibile duplicità di interpre-tazione, il ricorso al criterio logico-sistematico e l’a-nalisi del quadro normativo complessivo rafforzano il convincimento circa la correttezza della soluzione della questione nel primo dei sensi indicati.

Vero è che alle rubriche degli articoli di legge non può essere attribuito un valore interpretativo di-rimente, in quanto i contenuti delle disposizioni sono spesso incoerenti con quelle. Anche in questo caso, infatti, la rubrica dell’art. 18 cit. reca “Reclutamento del personale delle società pubbliche”, per poi trat-tare anche delle aziende speciali e delle istituzioni. Tuttavia è parimenti innegabile che l’intero contesto sia riferibile all’ambito degli organismi strumentali del comune, non solo le società ma anche aziende

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speciali ed istituzioni. Si tratta sempre, però, di en-ti dotati di una loro soggettività e di autonomia con-tabile (cfr. art. 114-bis Tuel) rispetto ai quali il co-mune si pone in una posizione di alterità (anche se ad esso detti enti fanno capo; cfr. art. 114 Tuel, cc. 6 ss.), o, comunque, di netta distinzione con riferimen-to all’autonomia gestionale e di bilancio riconosciuta anche alle istituzioni, pur se prive di personalità giu-ridica (circa il rilievo dell’autonomia contabile e di bilancio delle istituzioni ai sensi dell’art. 114, cc. 2, 4 e 5-bis Tuel, ai fini dell’applicabilità del regime di cui all’art. 18, c. 2-bis, in esame, cfr. Sez. contr. reg. Emilia-Romagna, n. 106/2015). Va sottolineato che sia nel primo che nel terzo periodo del c. 2-bis sono espressamente richiamate le aziende speciali, le isti-tuzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, e questo, dunque, deve ritener-si il perimetro di applicazione del regime di vinco-li ed esenzioni.

2.2. Eccessivo appare, pertanto, l’ulteriore pas-saggio, secondo il quale la norma in questione sareb-be riferibile anche ad un tertium genus di soggetti, le “farmacie” genericamente intese, comprese quel-la a gestione diretta. In questo modo infatti, si finisce per attribuire una soggettività anche ad un servizio (o ufficio) comunale – inteso come articolazione orga-nizzativa dell’ente – quale, appunto quello della far-macia. Si tratterebbe, evidentemente, di una singola-re novità di livello ordinamentale, che, francamen-te, appare difficile possa essere riconosciuta sempli-cemente sulla scorta di una possibile interpretazio-ne letterale di un periodo avulso dal resto della di-sposizione complessiva. Poiché, invece, pianamente “le farmacie” possono essere lette come oggetto del-la gestione delle aziende speciali (“Le aziende spe-ciali … che gestiscono … le farmacie”), l’interpreta-zione logica e letterale da preferire, anche per la sua coerenza con il quadro ordinamentale, deve essere quelle prospettata dalla Sezione remittente.

In ogni caso, anche a voler ritenere “le farmacie” (nella rilevata inappropriatezza terminologica) co-me un distinto soggetto, l’ambito applicativo della disposizione resterebbe quello precisato dal primo e dal terzo periodo del c. 2-bis, non rinvenendosi alcun motivo per ritenere che l’art. 18 possa estendersi an-che a servizi pubblici a gestione diretta.

2.3. Inoltre, come rilevato dalla Sezione di con-trollo lombarda, diversamente ritenendo non si com-prende come l’eventuale esenzione si riverberi su-gli obblighi posti direttamente in capo al comune – destinatario delle norme di coordinamento della fi-nanza pubblica – non essendo possibile distingue-

re nell’ambito della spesa del personale quella per i dipendenti adibiti al servizio di farmacia, che non ha, come sopra detto, un’autonoma individuazione giuridica, né un regime analogo a quello delineato dall’art. 114 Tuel per le aziende speciali e le istitu-zioni.

2.4. Non appare decisivo, poi, il richiamo ad esi-genze di tutela della salute, presidiate a livello costi-tuzionale dall’art. 32 Cost. Anche per questo profi-lo è condivisibile quanto argomentato circa il fatto che anche la gestione del Servizio sanitario naziona-le è sottoposta a vincoli di finanza pubblica. La tute-la della salute, infatti, pur se costituzionalmente tu-telata, trova il limite della sostenibilità finanziaria.

D’altro canto, se è vero che, come chiarito dal-la Corte costituzionale, il servizio offerto dalle far-macie è finalizzato ad assicurare un’adeguata distri-buzione dei farmaci, costituendo parte della più va-sta organizzazione predisposta a tutela della salute (sent. n. 430/2007; cfr., più recentemente, sent. n. 216/2014), il problema della soddisfazione del servi-zio in questione non può limitarsi al profilo dei vin-coli che gravano sul comune per l’assunzione di un dipendente con il profilo professionale di farmaci-sta, ma va inquadrato nella variegata gamma di op-zioni operative che l’ordinamento prevede. La far-macia, infatti, può essere gestita anche da privati, in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, mentre le farmacie comunali, a norma dell’art. 9 l. n. 475/1968, possono essere gestite:

- in economia;- a mezzo di azienda speciale;- a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione

delle farmacie di cui sono unici titolari;- a mezzo di società di capitali costituite tra il co-

mune e i farmacisti che, al momento della costituzio-ne della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità.

Inoltre, la giurisprudenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato (cfr. Sez. contr. reg. Lombar-dia, n. 489/2011; Cons. Stato, n. 5587/2014) è con-corde sul fatto che l’elencazione sopra riportata non sia esaustiva. È possibile, pertanto, che la farmacia possa essere gestita dal comune mediante società di capitale a partecipazione uninominale e totalitaria, mediante società mista con socio privato individuato con gara pubblica, o che possa essere affidata in con-cessione a terzi previo esperimento di procedure ad evidenza pubblica.

Considerata l’ampio ventaglio di possibilità offer-to, non sembra che il perseguimento dell’interesse al-la tutela della salute sotto il profilo della distribuzione

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dei farmaci possa essere frustrato dal regime dei vin-coli assunzionali cui il comune deve sottostare.

2.5. In conclusione, alla luce delle argomentazio-ni sopra svolte, il nodo della questione deve esse-re opportunamente ricondotto alla tematica dei vin-coli assunzionali cui il comune è soggetto, piuttosto che alla problematica della gestione del servizio far-maceutico in generale. In questa prospettiva non si ravvedono sufficienti motivi per ritenere che la di-sposizione di cui all’art. 18, c. 2-bis, possa essere in-terpretata nel senso che siano applicabili al comu-ne che gestisce una farmacia “in economia” esenzio-ni dai vigenti vincoli in materia di spesa per il perso-nale. (Omissis)

19 – Sezione delle autonomie; deliberazione 16 giu-gno 2015; Pres. Falcucci, Rel. Ferone.

Comune e provincia – Assunzioni di personale a tempo determinato – Mobilità volontaria – Li-miti di spesa alle assunzioni a tempo indeter-minato – Condizioni.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’or-dinamento degli enti locali, art. 110; l. 27 dicembre 2006 n. 296, disposizioni per la formazione del bilan-cio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), art. 1, c. 557; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, con-vertito con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012 n. 213, disposizioni urgenti in materia di finanza e fun-zionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori di-sposizioni in favore delle zone terremotate nel mag-gio 2012, art. 6; l. 23 dicembre 2014 n. 190, disposi-zioni per la formazione del bilancio annuale e plurien-nale dello Stato (legge di stabilità 2015), art. 1, c. 424.Comune e provincia – Personale – Assunzioni a

tempo determinato – Utilizzazione delle gra-duatorie di concorsi presso altri enti locali – Condizioni.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, art. 110; l. 27 dicem-bre 2006 n. 296, art. 1, c. 557; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicem-bre 2012 n. 213, art. 6; l. 23 dicembre 2014 n. 190, art. 1, c. 424.Comune e provincia – Personale – Assunzioni me-

diante procedure di mobilità – Precedenza per il personale soprannumerario delle province.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, art. 110; l. 27 dicem-bre 2006 n. 296, art. 1, c. 557; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicem-bre 2012 n. 213, art. 6; l. 23 dicembre 2014 n. 190, art. 1, c. 424.

Comune e provincia – Personale – Assunzioni di personale con specifica professionalità per l’e-spletamento di servizi essenziali – Previa ri-cerca fra il personale soprannumerario delle province – Necessità.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, art. 110; l. 27 dicem-bre 2006 n. 296, art. 1, c. 557; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicem-bre 2012 n. 213, art. 6; l. 23 dicembre 2014 n. 190, art. 1, c. 424.

In base alla legge di stabilità 2015 (art. 1, c. 424), per gli anni 2015 e 2016 la facoltà dei comu-ni di attingere, per le proprie assunzioni a tempo in-determinato, alle graduatorie di concorsi pubblici approvate da altri enti locali (astrattamente ricono-sciuta dall’art. 4, c. 3-ter, d.l. n. 101/2013, converti-to con modificazioni dalla l. n. 125/2013) è preclusa fino alla completa ricollocazione del personale so-prannumerario delle province, senza alcuna limita-zione geografica. (1)

In base alla legge di stabilità 2015 (art. 1, c. 424), per gli anni 2015 e 2016 è consentito ai co-muni di indire bandi per procedure di mobilità riser-vate esclusivamente al personale soprannumerario delle province; pertanto, solo a conclusione del pro-cesso di ricollocazione di tale personale è consenti-to ai comuni di indire le ordinarie procedure di mo-bilità volontaria. (2)

In base alla legge di stabilità 2015 (art. 1, c. 424), il comune che debba coprire un posto di orga-nico per il quale è prevista una specifica professio-nalità, necessaria a garantire l’espletamento di un servizio essenziale, alle cui prestazioni la predetta professionalità è strettamente e direttamente funzio-nale, è tenuto a ricercare il funzionario a ciò idoneo fra il personale soprannumerario delle province e, una volta constatata l’inesistenza delle menzionate professionalità tra questo personale, può procedere ad assumere nei modi ordinari. (3)

In base alla legge di stabilità 2015 (art. 1, c. 424), l’obbligo dei comuni di assumere a tempo in-determinato i vincitori di concorsi pubblici collocati nelle proprie graduatorie si esaurisce con l’utilizza-zione delle risorse corrispondenti ad una spesa pari

(1-4) Sull’obbligo dei comuni, per gli anni 2015 e 2016, di assumere, per le loro esigenze di personale, i dipendenti in so-vrannumero delle province, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 24 febbraio 2015, n. 85, in questa Rivista, 2015, fasc. 1-2, 138.

Sul problema del ricollocamento del personale delle pro-vince, v. pure Corte conti, Sez. riun. contr., 11 giugno 2015, n. 8, in questo fascicolo, 8.

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al 60 per cento (80 per cento nel 2016) di quella re-lativa al personale di ruolo cessato nell’anno prece-dente; le ulteriori risorse corrispondenti al comple-mento a cento delle ricordate percentuali sono desti-nabili unicamente alle assunzioni per ricollocazione del personale soprannumerario delle province. (4)

Premesso – 1. Per le questioni poste dalla Sezio-ne regionale di controllo per la Lombardia, con le delib. n. 120 e n. 135/2015, all’esito della relazione, l’adunanza della sezione ha deciso approfondimenti istruttori, per cui la trattazione è stata rinviata a nuo-va data; le altre vengono trattate e decise.

Le questioni poste vertono tutte sulla corretta in-terpretazione ed applicazione di quanto dispone l’art. 1, c. 424, l. 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabi-lità 2015, che così recita:

“Le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla nor-mativa vigente, all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie gradua-torie vigenti o approvate alla data di entrata in vigo-re della presente legge e alla ricollocazione nei pro-pri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità. Esclusivamente per le finalità di ricollocazione del personale in mobilità le regioni e gli enti locali destinano, altresì, la restante percen-tuale della spesa relativa al personale di ruolo cessa-to negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricol-locazione del personale soprannumerario. Fermi re-stando i vincoli del patto di stabilità interno e la so-stenibilità finanziaria e di bilancio dell’ente, le spese per il personale ricollocato secondo il presente com-ma non si calcolano, al fine del rispetto del tetto di spesa di cui al c. 557 dell’art. 1 l. 27 dicembre 2006, n. 296. Il numero delle unità di personale ricollocato o ricollocabile è comunicato al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la semplifi-cazione e la pubblica amministrazione e al Ministro dell’economia e delle finanze nell’ambito delle pro-cedure di cui all’accordo previsto dall’art. 1, c. 91, l. 7 aprile 2014, n. 56. Le assunzioni effettuate in vio-lazione del presente comma sono nulle”.

La Sezione regionale di controllo per la Lombar-dia ha rassegnato con la delib. 24 febbraio 2015, n. 85 cinque quesiti posti dal Comune di Botticino (BS)

e con la delib. 4 marzo 2015, n. 87 ha deferito una delle due questioni sollevate dal Comune di Borgo Virgilio (MN).

La Sezione regionale per il Piemonte ha deferito con la delib. 4 marzo 2015, n. 26 tre questioni propo-ste dal Comune di Omegna (VCO).

Per consentire una più agevole lettura delle ana-lisi svolte e delle soluzioni interpretative adottate i quesiti saranno esaminati in sequenza completando, per ognuno di essi, esposizione della questione e re-lativa soluzione.

Complessivamente, considerate le questioni sul-le quali, come si dirà in seguito, non vi è luogo a de-liberare, saranno esaminati sette temi interpretativi.

Occorre ancora premettere che le questioni che si vanno a trattare sono già state iscritte all’ordine del giorno dell’adunanza del 9 aprile 2015; in detta oc-casione è stato deciso di soprassedere momentane-amente alla decisione delle questioni di massima in quanto si era considerato che essendo in corso di pre-disposizione da parte del Ministro per la semplifica-zione e la pubblica amministrazione il decreto mini-steriale per la determinazione dei criteri relativi alle procedure di mobilità previsto dall’art. 1, c. 423, del-la già ricordata legge di stabilità, la materia dei que-siti poteva essere interessata dalle emanande dispo-sizioni ministeriali.

L’esigenza di rendere l’ausilio interpretativo ri-chiesto dagli enti, perdurando la mancata adozione dei surricordati atti, ha fatto propendere per la tratta-zione dei quesiti nell’odierna adunanza.

Prima di esaminare le varie questioni e le correla-te soluzioni interpretative occorre fare una puntualiz-zazione di metodo e cioè che l’esame delle questioni poste, per quello che qui interessa, è limitato a quelle le cui difficoltà interpretative, sotto il profilo lettera-le, sistematico e logico, sono direttamente ed esclu-sivamente connesse al contenuto dispositivo dell’art. 1, c. 424, l. n. 190/2014 e cioè ai nuovi e specifici li-miti imposti per gli anni 2015 e 2016 alle assunzio-ni a tempo indeterminato negli enti locali; ulterio-ri istituti concernenti altre facoltà e modalità assun-zionali degli enti interessati, anche se ipoteticamente ed indirettamente influenzate dalla predetta discipli-na normativa, restano fuori dal perimetro delle que-stioni di massima. L’esame dei quesiti verrà condotto secondo il filo logico dell’individuazione di un prin-cipio di diritto che, sia pure nel peculiare contesto della fattispecie, sia finalizzato a cogliere la portata generale e la ratio dei vincoli introdotti dalla norma. Ciò anche a ragione della elevata complessità ed ar-ticolazione della disciplina in materia di personale,

Sullo stato di attuazione della disciplina di riordino delle province a un anno dall’entrata in vigore della l. n. 56/2014, v. Corte conti, Sez. autonomie, 11 maggio 2015, n. 17, in questo fascicolo, 148.

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i cui molteplici istituti hanno proprie e diversificate regole applicative tra le quali parametri per la quan-tificazione della spesa e vincoli particolari.

Venendo allo specifico tema normativo in que-stione, sempre sul piano generale va considerato che con l’art. 1, c. 424, l. n. 190/2014 (legge di stabili-tà 2015) è stata introdotta una disciplina particolare delle assunzioni a tempo indeterminato, derogatoria, per gli anni 2015 e 2016 di quella generale; eventua-li assunzioni effettuate in difformità da dette disposi-zioni, sono colpite da nullità di diritto (“le assunzio-ni effettuate in violazioni del presente comma sono nulle”, c. 424, ultimo periodo). Peraltro tale partico-larità della disciplina non va intesa alla stessa stre-gua del carattere della specialità tipico della confi-gurazione delle antinomie giuridiche; per queste, in-fatti, il fondamento derogatorio risiede in una diver-sa, sostanziale e strutturale esigenza di eccezione al-la norma generale: nel c. 424 la finalità derogatoria concretamente riferibile alla priorità della ricolloca-zione, discende dalla specifica e temporanea esigen-za di riassorbimento del personale soprannumerario. Soddisfatta tale esigenza è la stessa norma che con-templa, implicitamente, la riespansione della disci-plina ordinaria: “salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario”.

Il merito della problematica risiede nel fatto che, all’esito del suddetto riordino, l’art. 1, c. 421, legge di stabilità 2015, ha disposto che le dotazioni organiche delle città metropolitane e delle province sono com-misurate alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della l. 7 aprile 2014, n. 56, ridotta, rispettivamente, del 30 e del 50 per cento; del 30 per cento per le province con territorio interamente mon-tano e confinanti con paesi stranieri secondo quanto previsto dall’art. 1, c. 3 della richiamata l. n. 56/2014. Effetto di tale riduzione è l’emersione di personale so-prannumerario da ricollocare presso le regioni e gli enti locali utilizzando le risorse indicate dalla norma.

Al di fuori degli aspetti esegetici, sembra oppor-tuno considerare che l’espressa limitazione tempo-rale ai due esercizi prima ricordati, potrebbe risul-tare disallineata rispetto al concreto conseguimen-to dell’obiettivo di ricollocazione. Tuttavia, tenuto conto del tenore letterale delle disposizioni in esa-me, i vincoli da essa posti, salvo ulteriori interventi normativi che ne dovessero estendere gli effetti, non sembra possano dispiegare efficacia ultrattiva rispet-to all’arco temporale definito.

Considerato – 2. Questioni rimesse dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia con delib. 24 febbraio 2015, n. 85.

Il sindaco del Comune di Botticino (BS), con nota n. 353 del 12 gennaio 2015, ha formulato una richie-sta di parere alla sezione regionale che verte su diversi profili interpretativi in materia di assunzione di perso-nale da parte degli enti locali a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, c. 424, legge di stabilità 2015. Di se-guito si illustrano i quesiti posti, la posizione della se-zione remittente e la soluzione deliberata.

2.1. Primo quesito. Il divieto di attingere dalle graduatorie di concorsi pubblici approvate da altri enti locali per il biennio 2015-2016, è limitato solo alla permanenza di personale soprannumerario della provincia di appartenenza oppure permane comun-que per il biennio considerato?

Il quesito in esame, nasce da una deduzione inter-pretativa fatta dal Comune di Botticino che lo ha for-mulato. In sostanza l’ente muove dalla constatazione che l’art. 1, c. 424, legge di stabilità 2015, nell’im-porre che le uniche assunzioni a tempo indetermina-to possibili per gli anni 2015 e 2016 sono quelle dei vincitori di concorsi collocati in proprie graduatorie oppure il personale soprannumerario destinatario dei processi di mobilità, fa venir meno la facoltà di attin-gere alle graduatorie di concorsi pubblici approva-ti da altri enti locali. Tale facoltà è astrattamente ri-conosciuta dall’art. 4, c. 3-ter, d.l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125. Ciò premesso l’ente chiede di conosce-re se tale vincolo possa considerarsi limitato al per-manere di personale soprannumerario, oppure pro-duca necessariamente i suoi effetti per i due esercizi 2015 e 2016 a prescindere dall’esistenza o meno del personale soprannumerario.

La sezione remittente argomenta che “la novella in esame appare introdurre una lex specialis valevo-le per i soli anni 2015 e 2016” che integra un regime derogatorio alla disciplina generale che regola le fa-coltà assunzionali – soprattutto per i profili dei vin-coli assunzionali – finalizzato a destinare tutte le ri-sorse disponibili per le assunzioni a tempo indeter-minato alla realizzazione di due obiettivi: l’immis-sione in ruolo di tutti i vincitori di concorso pubbli-co collocati nelle graduatorie dell’ente e la ricollo-cazione nei propri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità. Una volta venu-te meno le ragioni che giustificano la deroga trove-ranno nuovamente applicazione le disposizioni della disciplina ordinaria ivi compresa quella di cui all’art. 4, c. 3-ter, d.l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125.

Sul punto è condivisibile l’interpretazione del-la sezione remittente così come la precisazione cir-

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ca l’ambito di operatività della disposizione che non va inteso limitato alla sola ricollocazione del perso-nale soprannumerario della provincia di appartenen-za, ma alla completa ricollocazione del personale so-prannumerario senza alcuna limitazione geografica.

In questo senso sono, anche, gli indirizzi emana-ti con circolare n. 1 del 30 gennaio 2015 del Mini-stro per la semplificazione e la pubblica amministra-zione e del Ministro per gli affari regionali e le auto-nomie, registrata dalla Corte dei conti in data 20 feb-braio 2015 la quale, al riguardo, prevede che “qua-lora l’osservatorio nazionale rilevi che il bacino del personale da ricollocare è completamente assorbito, vengono adottati appositi atti per ripristinare le ordi-narie facoltà di assunzione alle amministrazioni in-teressate”.

Conclusivamente il quesito posto trova soluzio-ne nel ritenere che per gli anni 2015 e 2016 la facoltà di attingere alle graduatorie di concorsi pubblici ap-provati da altri enti locali, astrattamente riconosciuta dall’art. 4, c. 3-ter, d.l. 31 agosto 2013, n. 101, con-vertito con modificazioni dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125, è preclusa fino alla completa ricollocazione del personale soprannumerario senza alcuna limitazione geografica.

2.2. Secondo quesito. Nel biennio 2015-2016 è possibile, attraverso l’istituto della mobilità, assume-re personale proveniente da enti diversi da quello in-serito tra i soprannumerari della provincia sulla base di una graduatoria di merito?

Va, innanzitutto, chiarito che nell’illustrazione delle ragioni del quesito come formulato dall’ente, oltre all’aspetto principale dello stesso che è quel-lo dell’esperibilità, o meno, dell’ordinaria mobilità in presenza del nuovo vincolo, si fa anche riferimen-to alla concreta difficoltà di poterlo rispettare. L’os-servanza della norma, infatti, imporrebbe di limita-re la procedura di mobilità ai soli dipendenti sopran-numerari delle province interessate dal riordino (ciò che presupporrebbe l’esclusione dalla procedura di altri dipendenti non interessati dalla ricollocazione), da cui la domanda: se il nuovo, transitorio, regime per le assunzioni a tempo indeterminato escluda l’at-tivazione delle procedura per la mobilità volontaria ex art. 30 d.lgs. n. 165/2001.

La sezione remittente, sul punto, ritiene che nel quesito posto siano sovrapposti due profili tematici che, invece, vanno tenuti distinti: il primo, relativo ai vincoli imposti dal c. 424 alle facoltà di assunzioni a tempo indeterminato a valere sulle risorse a ciò de-stinate per gli anni 2015 e 2016; il secondo, concer-nente la possibilità di continuare a fare ricorso, anche

per detto biennio, all’istituto della mobilità esterna fra enti che risulta finanziariamente neutra.

Fatta questa premessa, la sezione remittente con-sidera che il vincolo di attingere dal personale so-prannumerario sia limitato solo alle assunzioni e non ai trasferimenti diretti di personale a seguito delle procedure di mobilità. Ciò perché la copertura di un posto in organico con il trasferimento da altro ente per mobilità è consentito, ai sensi dell’art. 1, c. 47, l. n. 311/2004, in quanto finanziariamente neutro. In sostanza poiché tale assunzione non va imputata alla quota di assunzione normativamente prevista (calco-lata sulla base dei risparmi di spesa realizzati rispet-to al precedente esercizio per pensionamento, deces-so ed altre cause) la stessa non incide sull’ammonta-re delle disponibilità che il c. 424 destina ai surricor-dati scopi. E la non imputazione alle nuove assunzio-ni deriva dal fatto che la cessazione dall’ente ceden-te non è considerata alla stessa stregua di un pensio-namento e, quindi, per il medesimo ente cedente non è un risparmio di spesa da utilizzare per il calcolo di nuove quote di assunzioni; ossia l’ente che assume il dipendente non lo computa nelle quote assunziona-li in quanto l’ente che lo ha ceduto non potrà ricopri-re quel posto in organico, considerandolo un rispar-mio di spesa. Situazione questa che, secondo la Se-zione lombarda, non ricorre per il personale sopran-numerario delle province, in quanto le corrisponden-ti dotazioni organiche sono state ridotte, quindi le as-sunzioni di questo personale non possono che esse-re imputate alle nuove disponibilità finanziarie. La sezione remittente ritiene, quindi, che la riserva in favore dei dipendenti soprannumerari delle province non sia pregiudicata dalle assunzioni a seguito del-le ordinarie procedure di mobilità che restano, quin-di, consentite.

Tale tesi non può essere condivisa.A ciò ostano due ragioni: la prima, di metodo lo-

gico interpretativo; la seconda, di carattere sostan-ziale.

Per il primo profilo, deve considerarsi che l’as-sunto metodologico già considerato nell’affrontare il primo quesito, e cioè che il c. 424 detta una discipli-na particolare temporaneamente derogatoria, ha va-lore, per così dire, conformativo di tutte le necessità esegetiche che riguardano l’attuazione di quella di-sposizione. Nel risolvere il precedente quesito si è considerato che la sospensione della facoltà di attin-gere alle graduatorie di altri enti, normalmente con-sentita in base alle vigenti disposizioni, è giustificata dalle prioritarie finalità di conservazione delle posi-zioni lavorative dei dipendenti soprannumerari degli

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enti interessati dal riordino di cui alla l. n. 56/2014. La stessa motivazione sorregge anche la derogabi-lità, limitata temporalmente, alle altre disposizioni che consentono di ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto dei dipendenti in servizio presso altre amministrazioni che ne facciano richie-sta (c.d. mobilità volontaria).

Le ragioni di questa deroga hanno, però, come anticipato, anche un fondamento sostanziale che si va ad illustrare.

Per fare ciò è opportuno partire dai principi con-tenuti in alcune statuizioni del d.p.c.m. 20 dicembre 2014, registrato alla Corte dei conti l’11 marzo 2015, pubblicato sulla G.U. n. 78 del 3 aprile 2015, che di-sciplina i criteri di utilizzo e le modalità di gestio-ne delle risorse del fondo destinato al miglioramen-to dell’allocazione del personale presso le pubbliche amministrazioni in esito ai processi di mobilità di cui ai cc. 1 e 2 dell’art. 30 d.lgs. n. 165/2001.

In detto provvedimento si considera che, in via ordinaria, la mobilità si svolge, nel limite dei posti disponibili nella dotazione organica, con le risorse finanziarie che le amministrazioni pubbliche hanno nella disponibilità dei loro bilanci, nel rispetto della disciplina prevista per la mobilità da finanziare con le risorse per le assunzioni (fattispecie, tra quelle di mobilità elencate nel provvedimento, caratterizzata dal fatto che, si precisa nel d.p.c.m., si svolge tra am-ministrazioni delle quali almeno una non è soggetta a limitazioni delle assunzioni) e per la mobilità per la quale ricorrano le condizioni di neutralità per la fi-nanza pubblica. Nel caso di specie ricorre quest’ul-tima ipotesi per la quale la regola finanziaria che ne governa l’applicazione è che le risorse da spendere per ricoprire un posto in organico attraverso la proce-dura di mobilità volontaria, sono costituite da quel-le non computabili sull’ammontare delle disponi-bilità finanziarie da destinare alle assunzioni (que-ste ultime per gli anni 2015 e 2016 sono individuate dall’art. 3, c. 5, d.l. 24 giugno 1990, n. 90, converti-to con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114). In pratica l’assunzione per mobilità non riduce le fa-coltà assunzionali dell’ente in quanto queste facol-tà che hanno il loro parametro finanziario nelle risor-se risparmiate nel precedente esercizio, restano inte-gre mentre la nuova assunzione nell’aggregato finan-ziario complessivo del comparto rimane compensata dall’impossibilità di coprire il posto rimasto vacante nell’ente di provenienza.

Tuttavia bisogna tenere conto del fatto che l’art. 1, c. 424, oltre a destinare le risorse appena ricorda-te e cioè una quota proporzionale dei risparmi di spe-

sa realizzati rispetto all’anno di riferimento, vincola anche le rimanenti disponibilità commisurate ai me-desimi risparmi di spesa, solo per l’applicazione dei processi di mobilità per il ricollocamento del perso-nale soprannumerario di cui all’art. 1, c. 424, l. n. 190/2014. Non solo. Il legislatore ha anche stabili-to – ed è questo il punto più rilevante – che le spese per il personale ricollocato secondo il c. 424 in esa-me, non si calcolano al fine del rispetto del tetto di spesa di cui al c. 557 dell’art. 1 l. 27 dicembre 2006, n. 296, fermo restando il rispetto del patto di stabi-lità e la sostenibilità finanziaria che diventano i li-miti sostanziali invalicabili. È noto che dalle com-ponenti del predetto tetto, come statuito anche nel-le linee guida per la relazione alla sezione regiona-le di controllo della Corte dei conti (art. 1, cc. 166 ss., l. n. 266/2005) dell’organo di revisione contabile del comune (da ultimo, Sez. autonomie, n. 18/2013), non sono escluse le spese per il personale assunto per mobilità. Ora, se lo stesso c. 424 prevede, come ap-pena ricordato, che le ulteriori risorse impiegate per le ricollocazioni non rilevano ai fini del tetto di spe-sa, fermi restando gli altri due limiti invalicabili (pat-to di stabilità interno e sostenibilità), sarebbe incon-gruo far salva una quota di questo tetto e, conseguen-temente, una porzione di detti limiti, per il persona-le assunto per mobilità volontaria, che non ha la pri-orità riconosciuta, invece, dal c. 423 dell’art. 1 l. n. 190/2014, alla ricollocazione del personale sopran-numerario secondo le modalità del c. 424. È conse-guenziale, quindi, che anche questi spazi assunzio-nali debbano essere disponibili per il ricollocamento delle unità soprannumerarie e fino al completo ricol-locamento dello stesso personale al termine del qua-le non vi sono ostacoli all’attivazione di tali proce-dure di mobilità. In altri termini, vero è che in astrat-to l’art. 1, c. 424, legge di stabilità 2015, non inno-va nella disciplina della mobilità volontaria per cui, sempre in linea teorica, non sembrerebbero sussiste-re ostacoli alla sua operatività, ma la priorità della ri-collocazione del personale “destinatario delle proce-dure di mobilità” secondo le previsioni del c. 424, non è compatibile con la operatività, per il limitato arco temporale dei due esercizi 2015 e 2016, delle disposizioni di mobilità volontaria, salvo la comple-ta ricollocazione del personale soprannumerario. An-che in questo caso è opportuno richiamare la ricorda-ta circolare n. 1/2015 che nell’evidenziare i “divieti e gli effetti derivanti dai cc. 424 e 425 per le ammini-strazioni pubbliche” precisa che non sono consentite procedure di mobilità.

Per dette ragioni deve ritenersi che per il 2015 e il 2016 agli enti locali è consentito indire bandi di pro-

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cedure di mobilità riservate esclusivamente al perso-nale soprannumerario degli enti di area vasta. A con-clusione del processo di ricollocazione del persona-le soprannumerario destinatario dei processi di mo-bilità, è ammissibile indire le ordinarie procedure di mobilità volontaria.

2.3. Terzo quesito. Se nell’ambito del personale soprannumerario della provincia non sono presenti profili professionali adeguati alla coperture dei posti per i quali si ricerca la risorsa umana, è possibile ri-tenere l’ente locale svincolato dagli obblighi conte-nuti nel c. 424?

In ordine al quesito appena riassunto il comune chiede se sia possibile ritenere l’ente locale svinco-lato dagli obblighi contenuti nel c. 424 nel caso in cui, nell’ambito del personale soprannumerario del-la provincia, non siano presenti profili professionali adeguati alla copertura dei posti per i quali si ricerca la risorsa umana.

La sezione remittente ritiene che la sanzione di nullità comminata dal c. 424 in esame, per assunzio-ni a tempo indeterminato fatte senza l’osservanza dei vincoli ivi imposti, comprovi la esclusività di tale di-sciplina e, quindi, l’impossibilità di procedere ad uti-lizzare le risorse assunzionali a tempo indeterminato al di fuori dei casi considerati.

Sull’argomento oggetto del quesito vengono in evidenza due disposizioni della disciplina legislati-va concernente la mobilità: la prima, l’art. 30, c. 1, d.lgs. n. 165/2001, in base al quale le amministrazio-ni possono ricoprire i posti vacanti in organico me-diante passaggio diretto di dipendenti appartenen-ti a una qualifica corrispondente e in servizio pres-so altre amministrazioni; la seconda, il c. 1-bis, del-lo stesso art. 30, in base al quale, “l’amministrazio-ne di destinazione provvede alla riqualificazione dei dipendenti ... eventualmente avvalendosi, ove sia ne-cessario predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione, della Scuola nazionale dell’amministra-zione”. In sostanza in base alla legge deve esserci una corrispondenza tra qualifica professionale acqui-sita nell’ente cedente e professionalità necessaria ai compiti da assolvere nell’ente di entrata. Se non c’è corrispondenza o equivalenza di professionalità, re-sta la possibilità di riqualificazione. In base a que-sti presupposti, l’unico ostacolo all’immissione ne-gli organici dell’ente ricevente è la totale carenza dei requisiti soggettivi di professionalità richiesti in ba-se alla legge e alla contrattazione collettiva naziona-le per ricoprire il posto in organico disponibile. D’al-tra parte, va anche considerato che la ricollocazione non può operare se non garantendo alle unità ricol-

locate la posizione giuridica ed economica in godi-mento, almeno con riferimento al trattamento fonda-mentale e accessorio, come stabilito dall’art. 1, c. 96, lett. a), l. n. 56/2014 per il personale trasferito a se-guito di trasferimento delle funzioni.

Oltre a queste considerazioni rilevanti sul piano giuridico-formale, a risolvere il quesito posto con-corrono anche ragioni di ordine sostanziale. Tali so-no quelle che si pongono qualora sia ravvisata la sus-sistenza dell’assoluta ed ineludibile necessità per il comune che deve assumere l’unità di specifica e le-galmente qualificata professionalità, di dover garan-tire l’espletamento di un servizio essenziale alle cui prestazioni la predetta professionalità è strettamen-te funzionale.

Sotto questo profilo si oppongono due esigenze: da una parte, la conformità dell’azione amministra-tiva alle norme che disciplinano, nei limiti più vol-te ripetuti, le assunzioni a tempo indeterminato negli enti locali per il 2015 e il 2016 secondo le previsio-ni dell’art. 1, c. 424, legge di stabilità 2015; dall’al-tra l’obbligo di garantire l’esercizio dei servizi es-senziali che presidiano interessi pubblici direttamen-te tutelati anche a livello costituzionale. Tali esigen-ze costituiscono implicito limite alla prescritta ri-collocazione del personale soprannumerario laddo-ve tra questo non sia presente la professionalità ri-chiesta dal comune. Infatti la presenza delle descritte condizioni eccezionali che caratterizzano le esigen-ze dell’ente che ha bisogno di risorse con particolari professionalità, fa venir meno la finalità derogatoria delle disposizioni del c. 424 che, come si è ricordato nella premessa, è concretamente riferibile alla priori-tà della specifica e temporanea esigenza della ricol-locazione del personale soprannumerario degli enti destinatari del riordino ex lege n. 56/2014.

Conclusivamente al quesito posto va data la se-guente soluzione: se l’ente deve coprire un posto di organico per il quale è prevista una specifica e legal-mente qualificata professionalità, eventualmente at-testata da titoli di studio precisamente individuati – in quanto tale assunzione è necessaria per garanti-re l’espletamento di un servizio essenziale, alle cui prestazioni la predetta professionalità è strettamen-te e direttamente funzionale – non potrà ricolloca-re in quella posizione unità soprannumerarie sprov-viste di tale requisiti. E se questa dovesse essere l’u-nica esigenza di organico da soddisfare nell’arco del biennio considerato dalla norma, una volta constata-ta l’inesistenza di tali professionalità tra le unità so-prannumerarie da ricollocare, l’ente potrà procedere ad assumere nei modi ordinari. Tale ricerca va rife-

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rita non al solo personale della provincia di apparte-nenza, ma a tutto il personale delle province interes-sate alla ricollocazione come individuato ai sensi del c. 422 dell’art. 1 l. n. 190/2014.

2.4. Quarto quesito. A quale limite di spese desti-nate alle assunzioni a tempo indeterminato fanno ri-ferimento i primi due capoversi del c. 424 preveden-do la medesima disposizione fattispecie diverse?

Il quesito appena rubricato prospetta difficol-tà interpretative relative alla precisa individuazione dell’ammontare delle disponibilità finanziarie desti-nabili alle assunzioni a tempo indeterminato a secon-da che si proceda ad un’assunzione dei vincitori col-locati in graduatoria o ad una ricollocazione. Al ri-guardo va precisato che il legislatore ha indicato le risorse da destinare alle assunzioni a tempo indeter-minato per il 2015 e il 2016 per le regioni e gli en-ti locali, individuando due plafond: uno, indistinta-mente, utilizzabile per le assunzioni da graduatorie approvate e per la ricollocazione delle unità sopran-numerarie, l’altro, solo per la predetta ricollocazio-ne. Il primo, è quello quantificato in termini percen-tuali dei risparmi di spesa destinabili a nuove assun-zioni negli esercizi 2015 (60 per cento della spesa del personale di ruolo cessato nell’anno precedente) e 2016 (80 per cento dello stesso parametro) secondo le disposizioni di cui all’art. 3, c. 5, d.l. n. 90/2014; il secondo corrispondente al complemento a 100 delle medesime percentuali (40 per cento per il 2015, 20 per cento per il 2016).

Precisa ancora il legislatore che le sole spese per le assunzioni a tempo indeterminato finalizzate al-la ricollocazione non rilevano al fine del rispetto del tetto di spesa di cui al c. 557 dell’art. 1 l. 27 dicem-bre 2006, n. 296, fermi restando i vincoli del patto di stabilità interno e la sostenibilità finanziaria e di bi-lancio dell’ente.

Conclusivamente va precisato che “la capaci-tà di assunzioni a tempo indeterminato dei vincito-ri di concorso pubblico collocato nelle graduatorie dell’ente” si esaurisce con l’utilizzazione delle risor-se corrispondenti “ad una spesa pari al 60 per cento (80 per cento nel 2016) di quella relativa al persona-le di ruolo cessato nell’anno precedente”; le ulterio-ri risorse corrispondenti al complemento a cento del-le ricordate percentuali sono destinabili unicamen-te alle assunzioni per ricollocazione. Non è ammes-sa una promiscua utilizzazione di queste ultime ri-sorse destinandone parte alle predette assunzioni da graduatorie.

2.5. Quinto quesito. Nell’osservanza del vincolo introdotto dal c. 424 con riferimento al personale so-

prannumerario destinatario dei processi di mobilità, tale deve intendersi esclusivamente il personale del-la provincia nella cui circoscrizione territoriale rica-de l’ente che deve assumere oppure il personale del-le province che la funzione pubblica provvederà ad indicare e quindi di altre province?

Secondo il giudizio della sezione remittente dal dato normativo di riferimento non pare ricavarsi al-cun indice dal quale poter inferire che il singolo ente possa fare riferimento al solo personale della Provin-cia di appartenenza, facendo, di contro, propendere per la soluzione opposta la ratio stessa dell’interven-to normativo in esame.

Sul punto, già nella risposta al quesito nume-ro uno sono state fatte le relative considerazioni se-condo le quali è stato precisato che l’ambito di ope-ratività della disposizione (c. 424 dell’art. 1 l. n. 190/2014) non va inteso limitato alla sola ricolloca-zione del personale soprannumerario della provincia di appartenenza, ma alla completa ricollocazione del personale soprannumerario senza alcuna limitazione geografica.

In questo senso, del resto, va pure ribadito, sono gli indirizzi emanati con la circolare n. 1 del 30 gen-naio 2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dei Ministro per gli affa-ri regionali e le autonomie sopra richiamata, che, al riguardo, prevede che “qualora l’osservatorio nazio-nale rilevi che il bacino del personale da ricollocare è completamente assorbito, vengono adottati apposi-ti atti per ripristinare le ordinarie facoltà di assunzio-ne alle amministrazioni interessate”.

Al quesito posto, concordemente alla tesi della sezione remittente, va data soluzione precisando che nell’applicazione delle disposizioni che vincolano le risorse destinate alle assunzioni a tempo indetermi-nato per la parte relativa alla ricollocazione del per-sonale soprannumerario delle province vanno consi-derate tutte le unità da ricollocare e non solo quelle della provincia nella cui circoscrizione territoriale ri-cade l’ente che deve fare le assunzioni.

3. Questione rimessa dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia con la delib. 4 marzo 2015, n. 87.

Il sindaco del Comune di Borgo Virgilio (MN), istituito a seguito di fusione approvata dalla Regio-ne Lombardia con l. reg. n. 9/2014, con nota del 13 febbraio 2015, ha avanzato alla sezione due quesi-ti di cui solo il seguente è stato rimesso alla Sezione delle autonomie:

3.1 Quesito unico. È possibile applicare il para-metro derogatorio, previsto dal c. 424, legge di sta-

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bilità 2015, relativo alla non computabilità delle spe-se del personale ricollocato relativamente al solo c. 557 dell’art. 1 l. n. 296/2006, anche all’analoga di-sposizione contenuta nel successivo c. 562 relativo agli enti non soggetti al rispetto del patto di stabilità?

In ordine alla questione appena riassunta è condi-visibile la tesi della sezione remittente. Detta sezio-ne nel valutare l’estensibilità, o meno, del parame-tro derogatorio previsto dal c. 424, relativo alla non computabilità nel tetto di spesa ex c. 557, anche al tetto valido per gli enti considerati dal successivo c. 562 ritiene che una lettura in chiave sistematica del-la deroga in esame non possa che portare – nei limiti ivi precisati – ad una risposta positiva. Giustamente annota, ancora, la Sezione lombarda, non ammettere una tale interpretazione estensiva sembrerebbe, in-fatti, comportare una sterilizzazione, proprio per gli enti di minore dimensione, dell’effettività dell’inter-vento in esame e potrebbe frustrare la ratio di sal-vaguardia dei livelli occupazionali, che, come argo-mentato nella richiamata delib. n. 85/2015, appare fortemente connotare il provvedimento in esame.

Conclusivamente si può affermare che il parame-tro derogatorio, previsto dal c. 424, relativo alla non computabilità delle spese del personale ricollocato nel tetto di spesa ex c. 557 dell’art. 1 l. n. 296/2006, possa intendersi esteso anche all’analoga disposizio-ne contenuta nel successivo c. 562 relativo agli enti non soggetti al rispetto del patto di stabilità interno.

4. Questioni rimesse dalla Sezione regionale di controllo per il Piemonte con la delib. 4 marzo 2015, n. 26.

Il sindaco del Comune di Omegna (VC), con no-ta del 6 marzo 2015, ha posto alla sezione i seguenti quesiti in ordine all’applicazione del c. 424 dell’art. 1 legge di stabilità 2015: (omissis).

Terzo quesito. È possibile effettuare assunzio-ni tramite mobilità volontaria di personale in entrata per la copertura di posti infungibili che non è possi-bile coprire mediante concorso?

Per quel che riguarda il quesito appena riassun-to la sezione remittente si esprime negativamente ar-gomentando che una tale assunzione comunque sot-trarrebbe un posto dell’organico alle possibilità di ri-collocazione. Il punto specifico dell’esperibilità del-la mobilità volontaria è stato analizzato nel secondo quesito e in quella sede sono state illustrate le ragio-ni che conducono a ritenere non esperibile la mobi-lità volontaria; al riguardo si ritiene di confermare le argomentazioni già svolte che, in sostanza, conten-gono quelle espresse dalla Sezione regionale di con-trollo per il Piemonte.

Tuttavia esigenze di coerenza impongono di pun-tualizzare che laddove l’infungibilità integri le spe-cifiche ed eccezionali condizioni già esplicitate nel-la risposta al terzo quesito della Sezione regionale di controllo per la Lombardia, che qui integralmen-te si richiamano, la mobilità volontaria così finaliz-zata sia esperibile.

In relazione a quanto considerato deve essere pre-messo che la condizione di infungibilità che assume rilevanza ai fini della derogabilità ai vincoli imposti dall’art. 1, c. 424, l. n. 190/2014 è quella che presup-pone il ricorrere dei seguenti requisiti: a) che per il posto da ricoprire sia prevista una specifica e legal-mente qualificata professionalità, eventualmente at-testata, da titoli di studio precisamente individuati; b) l’assunzione deve essere necessaria per garanti-re l’espletamento di un servizio essenziale, alle cui prestazioni la predetta professionalità è strettamen-te e direttamente funzionale. Sussistendo le descrit-te condizioni e constatata l’inesistenza di tali profes-sionalità tra le unità soprannumerarie da ricollocare, l’ente potrà procedere ad assumere anche con la pro-cedura della mobilità volontaria. La suddetta ricerca va riferita non al solo personale della provincia di ap-partenenza, ma a tutto il personale delle province in-teressate alla ricollocazione, individuato ai sensi del c. 422 dell’art. 1 l. n. 190/2014.

25 – Sezione delle autonomie; deliberazione 27 lu-glio 2015; Pres. Squitieri, Rel. De Girolamo, Fal-cucci.

Contabilità regionale e degli enti locali – Finanza regionale e locale – Esercizio 2014 – Risultati di cassa – Relazione al Parlamento.

D.l. 22 dicembre 1981 n. 786, convertito con modi-ficazioni dalla l. 26 febbraio 1982 n. 51, disposizioni in materia di finanza locale, art. 13; l. 5 giugno 2003 n. 131, disposizioni per l’adeguamento dell’ordina-mento della Repubblica alla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, art. 7.

La Corte dei conti, Sezione delle autonomie, ha deliberato la relazione al Parlamento sugli anda-menti della finanza regionale e locale per il 2014, confrontando i risultati di cassa del 2014 con quelli del triennio precedente.

La relazione si articola in tre parti: la prima con-tiene il quadro generale della finanza pubblica ter-ritoriale, con riferimento alle tematiche del federali-smo fiscale, della ricomposizione della spesa, del pa-reggio di bilancio, del patto di stabilità interno per

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le regioni e gli enti locali; la seconda analizza la ge-stione di cassa delle regioni e delle province auto-nome negli anni 2011-2014; la terza è dedicata alla gestione di cassa, nello stesso periodo, dei comuni e delle unioni di comuni. (2)

Premessa generale1. La presente relazione espone i risultati di cas-

sa della finanza regionale e comunale dell’eserci-zio 2014, analizzandone comparativamente gli anda-menti con le omologhe risultanze del triennio prece-dente rilevate dal Sistema informativo sulle opera-zioni degli enti pubblici (Siope).

Nelle more della completa acquisizione dei da-ti di competenza per il 2014, di cui si riferirà con au-tonomo referto, la Sezione delle autonomie intende rassegnare al Parlamento una prima rappresentazio-ne dei profili gestori desumibili dai flussi di cassa in un’ottica di trattazione unitaria del settore degli en-ti territoriali.

Completano il ciclo annuale dell’attività referen-te affidata alla Sezione (ex art. 13 d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 1982, n. 519; art. 3, c. 6, l. 14 gennaio 1994, n. 20, e da ultimo art. 7, c. 7, l. 5 giugno 2003, n. 131) le analisi condotte su “La spesa per il personale de-gli enti territoriali” (delib. 30 aprile 2015, n. 16) “Il riordino delle province – Aspetti ordinamentali e ri-flessi finanziari” (delib. 30 aprile 2015, n. 17) e “Gli Organismi partecipati degli enti territoriali” (in cor-so di pubblicazione).

L’anticipata trattazione delle amministrazioni provinciali, escluse dalla presente indagine, è stata dettata da ragioni connesse alla situazione di criticità (per certi versi emergenziale) determinatasi nell’at-tuazione della disciplina di riordino funzionale e isti-tuzionale definita dalla l. 7 aprile 2014, n. 56.

Lo stato di precarietà della situazione finanzia-ria degli enti di area vasta, rappresentato nella pre-detta relazione, e l’aggravamento ipotizzato, soprat-tutto nella prospettiva dell’esercizio in corso, stan-no avendo progressiva conferma, considerata la fase avanzata della gestione 2015 e la mancanza di novità sul fronte dell’attuazione del riordino. Ci si riferisce, in particolare, alle ricadute sulle gestioni finanziarie interessate, generate dall’anticipazione degli effetti finanziari relativi ai tagli di spesa disposti dalla leg-

(2) I. Il testo integrale della relazione si legge in Rivista web Corte conti, fasc. n. 5/Settembre 2015, www.rivistacorte-conti.it.

II. Sull’argomento, v. pure Sez. autonomie 11 maggio 2015, n. 17, in questo fascicolo, 148.

ge di stabilità 2015, rispetto all’alleggerimento della spesa corrente che sarebbe dovuto conseguire al tra-sferimento degli oneri del personale a seguito della riallocazione delle funzioni non fondamentali.

Di relativa efficacia appaiono le misure previste nel d.l. 19 giugno 2015, n. 78 in tema di trasferimen-to del personale appartenente ai ruoli della polizia provinciale e quelle riguardanti la modulazione del-le sanzioni per il mancato rispetto dei vincoli del pat-to di stabilità per il 2014. La forbice tra risorse cor-renti e fabbisogno per l’esercizio delle funzioni fon-damentali, allo stato delle cose, tende a una profon-da divaricazione, difficilmente sostenibile per l’inte-ro comparto, e postula l’adozione di interventi neces-sari a garantire servizi di primaria importanza.

2. Il presente referto si articola in tre parti, la pri-ma delle quali si sofferma sulle problematiche del fe-deralismo fiscale, della ricomposizione della spesa e del pareggio del bilancio, poste a raffronto con le ri-sultanze del patto di stabilità interno per il 2014, cui segue una seconda parte dedicata all’analisi della ge-stione di cassa delle regioni e delle province autono-me ed una terza relativa ai flussi di cassa di comuni e unioni di comuni.

Nell’ambito di una trattazione unitaria degli an-damenti della finanza regionale e locale, la parte in-troduttiva del referto affronta, in termini problemati-ci, i rapporti tra il nuovo disegno politico-istituzio-nale e il progetto di federalismo avviato nello scor-so decennio, segnalando taluni rischi potenziali del riassetto istituzionale in corso sugli equilibri eco-nomici e sul raccordo tra il livelli territoriali di go-verno, in conseguenza dell’applicazione del princi-pio del concorso degli enti territoriali agli obiettivi di finanza pubblica, desumibile dal novellato dell’art. 119 Cost., nonché dei principi dell’equilibrio di bi-lancio e della sostenibilità del debito, introdotti dal-la l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, e declinati, per gli enti territoriali, dagli artt. 9 e 10 della legge “rinforzata” 24 dicembre 2012, n. 243. Specifico approfondimen-to è dedicato alle problematiche afferenti al patto di stabilità interno che, pur a fronte di una rivisitazione normativa mirante a temperare il carattere stringen-te dei tradizionali vincoli, continua ad assolvere ad un ruolo centrale nell’ambito della gestione degli en-ti territoriali ed a porsi quale principale meccanismo di coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli istituzionali.

3. La parte relativa all’analisi della gestione di cassa delle regioni e delle province autonome, dedi-ca un primo esame ai profili degli equilibri di cassa, ponendo in evidenza gli aspetti di criticità riguardan-

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ti l’attendibilità del dato rilevato dal Siope in funzio-ne delle conseguenti valutazioni.

Della disamina delle entrate regionali meritano, invece, attenzione le preoccupazioni espresse circa la futura tenuta degli equilibri finanziari, mentre per le spese regionali, l’analisi approfondisce l’evoluzio-ne di specifiche tipologie di spesa, di parte corren-te e in conto capitale, anche alla luce dei più recenti provvedimenti normativi in materia (tra gli altri, gli artt. 8 e 9 d.l. n. 66/2014, in tema di acquisti per be-ni e servizi).

Per la spesa sanitaria, infine, offre un compiuto quadro d’assieme dei flussi di cassa riferibili diretta-mente a regioni e province autonome e di quelli rela-tivi alla gestione degli enti sanitari.

4. Anche l’analisi dei dati di cassa del 2014 re-lativo ai comuni e alle unioni di comuni (parte III) coglie in anticipo, rispetto ai dati da rendiconto, gli aspetti di maggior rilievo delle gestioni risultanti dal-le misure di impatto strutturale succedutesi negli ul-timi anni.

Nell’ambito delle entrate, il referto compara il ruolo e la coerenza complessiva dei vari tributi co-munali, rappresentando l’attualità di un progetto che correli il prelievo a un’efficiente e responsabile orga-nizzazione dei servizi. Quanto alle spese, considera-te nelle varie tipologie, si verifica il livello di conte-nimento e di razionalizzazione, nonché la risponden-za degli andamenti all’intento del legislatore.

Per le unioni di comuni, forme di associazioni-smo che vanno acquisendo crescente rilevanza sotto vari profili, la relazione dà atto, infine, sia delle diffi-coltà registrate nella concreta attuazione del percor-so istituzionale delineato, che necessiterebbe di una maggiore semplificazione e di più efficienti misure di incentivazione finanziaria, sia dei risparmi di spe-sa conseguiti, che costituiscono la ratio dell’obbliga-torio esercizio associato delle funzioni fondamentali.

Sintesi

Parte ILa gestione di cassa e il patto di stabilità interno de-gli enti territoriali nell’anno 2014

Le banche dati utilizzate per le analisiLa relazione è stata elaborata sulla base dei dati

acquisiti tramite il Sistema informativo sulle opera-zioni degli enti pubblici (Siope). I dati riguardano la gestione di cassa (riscossioni e pagamenti), e, quin-di, non sono rilevabili altri profili, di tipo giuridico ed economico-patrimoniale. Peraltro, l’articolazione dei codici gestionali è molto dettagliata, e consente,

quindi, di effettuare approfondimenti anche per spe-cifiche voci di entrata e di spesa.

I risultati del patto di stabilità interno per regioni e comuni sono tratti, invece, dai dati di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato (Igepa). Trat-tandosi di dati provvisori, sono pertanto suscettibili di successivi aggiornamenti.

Il quadro generale della finanza pubblica territorialeFederalismo fiscale, ricomposizione della spesa e

pareggio di bilancioIl progressivo deterioramento del quadro econo-

mico ha reso necessaria, nel corso del 2014, l’ado-zione di interventi volti a restituire capacità di spesa a famiglie e imprese per rilanciare i consumi. Rien-trano fra queste azioni di stimolo all’economia anche le consistenti anticipazioni di liquidità erogate dallo Stato, per un ammontare di 26,5 miliardi nel biennio 2013-2014, allo scopo di sollecitare il pagamento dei debiti accumulati dalle amministrazioni locali per ef-fetto del concomitante succedersi di sempre più im-pegnative manovre di consolidamento dei conti pub-blici.

La dimensione complessiva delle correzioni di spesa varate dal governo centrale è di assoluto rilie-vo. In termini di riduzione dell’indebitamento netto, l’effetto cumulato delle manovre finanziarie poste a carico delle autonomie territoriali ha raggiunto, tra il 2008 e il 2015, i 40 miliardi (pari al 2,4 per cento del Pil), dei quali 21 miliardi quale effetto di misure di inasprimento del patto di stabilità interno per le re-gioni e oltre 19 miliardi a valere sul patto degli enti locali. In termini di miglioramento del saldo netto da finanziare, si accompagnano ulteriori 22 miliardi di tagli nei trasferimenti provenienti dallo Stato (di cui circa 10 mld a carico delle regioni e i restanti 12 mld ad appannaggio degli enti locali), cui vanno aggiun-ti i tagli al finanziamento del fabbisogno del sistema sanitario gestito dalle regioni per complessivi 17,5 miliardi nel periodo compreso tra il 2009 e il 2015.

Per bilanciare la riduzione dei trasferimenti cor-renti dallo Stato, gli enti locali hanno inasprito la pressione fiscale, grazie, peraltro, a una disciplina del patto di stabilità interno ancorata al criterio dei saldi finanziari, mentre le regioni, non potendo azio-nare la leva fiscale in mancanza di sufficienti spazi fi-nanziari concessi dal patto per spese aggiuntive, han-no compresso le funzioni extra-sanitarie e sacrifica-to, soprattutto, le spese di investimento.

Le difficili condizioni di sostenibilità finanziaria e gli squilibri economico-sociali che ne sono conse-guiti aprono interrogativi in ordine alla effettiva cor-

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rispondenza tra gli oneri derivanti dall’esercizio del-le funzioni attribuite agli enti territoriali e le risorse rese loro disponibili nel rispetto dei vincoli del pa-reggio di bilancio. L’assenza di adeguati meccanismi distributivi e perequativi non consente, altresì, di co-noscere se e dove residuino ancora margini per un re-cupero di efficienza all’interno di un sistema autono-mistico connotato da crescenti differenziazioni terri-toriali e dalla erosione di strumenti essenziali a ga-rantire, nel tempo, i servizi pubblici fondamentali.

Il patto di stabilità interno per regioni e comuniI risultati del patto di stabilità interno delle regio-

ni a statuto ordinario nell’anno 2014 risultano carat-terizzati da due eventi principali: da un lato, la de-cisione della Regione Lazio di oltrepassare i vinco-li del patto di ben 977 milioni, al duplice obiettivo di favorire sia il sollecito pagamento dei debiti pregres-si verso i fornitori (assicurando, per l’avvenire, il ri-spetto dei tempi di pagamento delle transazioni com-merciali), sia l’indispensabile ripresa del tessuto eco-nomico e produttivo regionale; dall’altro, l’ulterio-re ridimensionamento della spesa di investimento, i cui tagli lineari continuano a risultare proporzional-mente superiori a quelli applicati alla spesa corrente.

Alla buona riuscita del patto concorrono in misu-ra determinante i diversi meccanismi compensativi (c.d. “patti territoriali di solidarietà”) finalizzati non solo ad agevolare gli enti in maggiore difficoltà con gli obiettivi, ma anche a realizzare il pieno utilizzo dei margini residui di spesa.

Positivi sono, nel complesso, anche i risultati del patto delle regioni a statuto speciale, le cui discipli-ne si fondano su specifici accordi con il Ministero dell’economia e delle finanze. L’esito di tali accordi non ha fatto registrare, tuttavia, risultati del tutto co-erenti con l’indirizzo volto ad allentare i vincoli al-la spesa di investimento, giacché tale spesa continua a mostrare evidenti segnali di cedimento (-24,6 per cento rispetto ai risultati del 2011), nonostante la leg-gera crescita delle corrispondenti spese escluse dal patto (+7,7 per cento).

Gli esiti dell’analisi dei dati di cassa 2014 rile-vanti ai fini del patto di stabilità interno dei comuni non offrono elementi di novità rispetto al quadro co-noscitivo, sostanzialmente coerente, emerso in occa-sione delle precedenti verifiche sia per ciò che attie-ne al conseguimento dell’obiettivo, a livello aggre-gato, sia per ciò che riguarda gli enti inadempienti.

In questa prospettiva deve, invero, evidenziarsi come, a fronte di un obiettivo pari a 2,8 miliardi, si registri un saldo finanziario finale pari a 4,4 mi-

liardi – donde uno scarto positivo di oltre 1,6 mi-liardi – e come i risultati del monitoraggio, alla da-ta del 7 maggio, attestino un numero di enti inadem-pienti assolutamente contenuto (95 comuni) – pe-raltro, significativamente ridimensionato (67 comu-ni), alla luce di quelli più recenti messi a disposi-zione dal Ministero dell’economia e delle finanze – oltre che circoscritto, sia sotto il profilo territoria-le (area meridionale), sia sotto quello dimensiona-le (78 per cento di comuni con popolazione inferio-re a 10.000 abitanti e 62 per cento con popolazione inferiore a 5.000).

Ciò a conferma del grado di responsabilizzazio-ne del sistema delle autonomie nel fornire il proprio contributo per il rispetto dei vincoli di finanza pub-blica e di una complessiva sostenibilità, da parte dei comuni, degli oneri correlati.

D’altro canto, le medesime risultanze hanno ri-proposto profili problematici ed incongruenze della disciplina positiva che i recenti interventi normativi mirano a superare.

Così, analizzando le entrate e le spese rilevan-ti alla stregua del meccanismo di c.d. competenza mista – che valorizza gli accertamenti per la parte corrente e le riscossioni per la parte capitale – so-no emerse criticità in ordine alla gestione in conto capitale del bilancio dei comuni: in tal senso si rile-va, in particolare, l’apporto determinante del saldo di competenza, positivo di oltre 5 miliardi, nel com-pensare lo squilibrio finale di cassa che, quantifica-to in circa 2 miliardi, è stato, peraltro, eroso da pluri-me esclusioni (spese correlate allo stato di emergen-za, interventi normativi per la riduzione dei debiti in conto capitale, spese di investimento riguardanti l’e-dilizia scolastica e le opere oggetto di segnalazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri) per atte-starsi in 652 milioni.

Incongruo, rispetto al potenziale complessivo delle misure di favore, è risultato, inoltre, il soste-gno alla spesa per investimenti – che pur fa registra-re un volume apprezzabile – derivato dall’attuazio-ne dei patti territoriali e dalla correlata concessione di spazi finanziari.

Di interesse, in questa ottica, il considerevole scostamento rilevato, anche nell’esercizio 2014, tra l’obiettivo assegnato ai comuni ed i saldi finali (c.d. overshooting) che, peraltro, alla stregua delle ela-borazioni svolte in ordine all’andamento temporale della disponibilità di cassa, sembrerebbe non trova-re adeguata, o unica, giustificazione nelle, pur rileva-te, criticità in ordine alla capacità di riscossione de-gli enti, peraltro valorizzata dalla metodologia di de-

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terminazione dell’obiettivo recepita dal recente d.l. n. 78/2015, ancora non in linea con l’autonomia di entrata preconizzata dall’art. 119 Cost.

Avendo riguardo agli esiti relativi ai comuni che presentano un overshooting rispetto all’obiettivo di patto superiore a 250 mila euro e che hanno fatto ri-chiesta di spazi finanziari attraverso i patti di solida-rietà verticale (645 enti, pari a circa il 12 per cento dei comuni sottoposti a patto), non può sottacersi co-me, a fronte di liquidità per oltre 1,1 miliardi ed alla concessione di spazi per 286 milioni oltre che esclu-sioni per 260 milioni circa, sia stato registrato un ri-sparmio eccedente l’obiettivo di patto per 570,7 mln (pari al 32,7 per cento dello scostamento di tutto il comparto e, dunque, per un importo pressoché equi-valente alle agevolazioni ricevute).

Non rinvenendosi specifici ostacoli in punto di li-quidità, maggiore significatività dovrebbe, piuttosto, annettersi alla circostanza che anche l’esercizio 2014 è stato caratterizzato da un esercizio provvisorio, as-solutamente anomalo, che ha vulnerato la capacità programmatoria dei comuni e, per l’effetto, frustrato le finalità perseguite con le diverse misure agevola-tive, la cui tempistica è risultata, peraltro, disallinea-ta rispetto al termine previsto per l’approvazione del bilancio di previsione.

Emerge, dunque, evidente come qualsiasi rivisi-tazione della disciplina del patto di stabilità dei co-muni, non possa prescindere ma, anzi, imponga una piena affermazione del principio di programmazio-ne, cui, peraltro, il sistema di contabilità armonizza-ta mira a restituire assoluta centralità.

In questa prospettiva, e in considerazione dei rei-terati differimenti del termine per l’approvazione del bilancio di previsione relativo all’esercizio 2015, avendo riguardo ai criteri, concordati nell’intesa san-cita nella Conferenza Stato-città e autonomie locali del 19 febbraio 2015, e recepiti dal recente d.l. 19 lu-glio 2015, n. 78, asseritamente suscettivi di neutra-lizzare, tra l’altro, i rischi di “avanzi di patto in ec-cesso”, preme rilevare come le nuove regole per la rideterminazione dell’obiettivo comportino l’utiliz-zo di meccanismi di calcolo che presuppongono da-ti stabili di bilancio, condizione, questa, non compa-tibile con l’incertezza e la precarietà che connota l’e-sercizio provvisorio.

Parte IIAnalisi della gestione di cassa delle regioni e delle province autonome – anni 2011-2014

I flussi di cassa delle regioni e delle province au-tonome

Il comparto delle regioni ha movimentato in en-trata (riscossioni) risorse per 215 miliardi nel 2011, 208,7 miliardi nel 2012, 259,8 nel 2013 e 209,4 mi-liardi nel 2014. In uscita (pagamenti) si registrano pagamenti per 211,6 miliardi nel 2011 e 2012 e 256,1 miliardi nel 2013 e 211 miliardi nel 2014. Il differen-ziale riscossioni-pagamenti è stato negativo nel 2012 e nel 2014 e positivo nel 2011 e nel 2013, determi-nando un saldo di +2,5 miliardi a fine quadriennio.

Le anticipazioni di liquidità erogate alle regioni ne-gli anni 2013 e 2014

Sui flussi di cassa del comparto regionale hanno inciso significativamente i trasferimenti di risorse in relazione agli interventi disposti con d.l. n. 35/2013 e n. 102/2013. Tra il 2013 e il 2014 sono state eroga-te dallo Stato alle regioni risorse per circa 20,2 mi-liardi: 12,9 miliardi per i debiti sanitari e 7,3 miliardi per i debiti non sanitari. Di queste somme a fine 2014 risultavano trasferite dalle regioni agli enti creditori 18,1 miliardi (12,6 mld per i debiti sanitari e 5,5 mld per i debiti non sanitari).

Gli equilibri di bilancioIl rispetto degli equilibri di bilancio è un princi-

pio fondamentale della sana gestione finanziaria san-cito a livello costituzionale (artt. 81, 97, 119 Cost.) e momento centrale dell’attività di controllo della Cor-te dei conti (art. 7, c. 7, l. 5 giugno 2003, n. 131, art. 1 d.l. n. 174/2012).

Nella relazione sono esaminati gli equilibri nel-la prospettiva della gestione di cassa delle regioni e delle province autonome, così come rilevabile dal Siope.

In disparte i limiti conseguenti alle caratteristiche proprie della gestione di cassa, si evidenziano alcu-ni profili critici, che impongono cautela nella valuta-zione dei risultati:

- l’immissione nel sistema regionale di ingen-ti somme attraverso le concessioni di anticipazioni di liquidità inquina in qualche misura i risultati del-la gestione corrente e della gestione in conto capita-le, in quanto le somme vengono registrate dagli en-ti tra le entrate in conto capitale, ma vengono utiliz-zate anche per pagamenti correnti (per lo più trasfe-rimenti ad altri enti);

- altro elemento distorsivo, di particolare rilie-vo, è dato dai movimenti nelle contabilità speciali per anticipazioni e rimborsi dei finanziamenti per la sanità, che – per i ritardi nell’attribuzione definitiva delle quote di finanziamento del Fondo sanitario na-zionale, a esercizio abbondantemente scaduto – ren-

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dono opaca la lettura della situazione finanziaria in base ai flussi Siope; detti ritardi, inoltre, rendono dif-ficoltosa per le regioni un’adeguata programmazio-ne e la corretta applicazione anche delle regole poste dal titolo II del d.lgs. n. 118/2011;

- nelle contabilità speciali continuano a rilevar-si saldi negativi di rilievo generati dalla voce gene-rica “Altre partite di giro”, che destano perplessità sull’effettiva natura delle operazioni registrate sotto questo codice, in assenza di un’adeguata compensa-zione in entrata.

La gestione corrente, nel quadriennio 2011-2014, chiude sempre in avanzo, con un risultato di +5,8 mi-liardi nel 2014 e +40 miliardi nel periodo complessi-vamente valutato.

La gestione in conto capitale nel 2014 genera li-quidità per 474 milioni, ma il quadriennio presenta un risultato complessivo negativo pari a -13 miliardi. Sui risultati ha inciso anche il notevole afflusso di ri-sorse (11 mld nel 2013 e 9 mld nel 2014) dovuto al-le anticipazioni di liquidità (registrate tra le entrate in conto capitale) concesse dalla Stato alle regioni in esito ai d.l. n. 35/2013 e n. 102/2013.

Le contabilità speciali, al netto dei movimenti re-lativi alla gestione sanitaria e delle anticipazioni di tesoreria, nel periodo 2011-2014 espongono sempre un saldo negativo, con un risultato complessivo di -20,9 miliardi. La sola voce generica “Altre partite di giro” presenta un saldo quadriennale pari a -22,6 miliardi. Si deve rilevare, ancora una volta, l’anoma-lia di questi risultati in detto settore del bilancio, che dovrebbe essere neutro rispetto alla gestione effetti-va, ma che, invece, evidenzia un’incidenza non irri-levante, quanto meno sotto il profilo dei flussi di li-quidità.

In conclusione, tenendo conto dell’intervento straordinario con cui lo Stato ha immesso nel circu-ito regionale una consistente quantità di risorse (cir-ca 20 mld) dirette a pagare, con anticipazioni di li-quidità, il debito pregresso, dall’analisi complessiva dei risultati della gestione di cassa del comparto re-gioni-province autonome emerge una certa sofferen-za di liquidità

Le entrate regionaliIl quadro delle risultanze di bilancio del 2014 pre-

senta per le regioni evidenti criticità legate ad una de-licata fase di passaggio per la tenuta degli equilibri fi-nanziari dei prossimi anni. La caduta verticale dei tra-sferimenti, la contrazione delle basi imponibili e la preannunciata crescita degli oneri di ammortamento del debito, denotano una dinamica congiunturale con-

notata da crescenti tensioni di cassa e dall’acutizzarsi delle contraddizioni intrinseche ad un sistema econo-mico fortemente differenziato al suo interno.

Dopo gli straordinari risultati registrati nella par-te effettiva del bilancio del 2013, il comparto delle entrate regionali subisce nel 2014 un brusco contrac-colpo, con un anomalo ridimensionamento del 18,8 per cento. Tre sono i fattori che hanno determinato questa repentina oscillazione: l’eccezionale iniezio-ne di liquidità effettuata dallo Stato con anticipazio-ni di tesoreria destinate al pagamento dei debiti pre-gressi (circa 20 mld nel biennio); le notevoli movi-mentazioni di cassa dovute alla regolarizzazione di sospesi di tesoreria relativi ad anticipazioni del fon-do sanitario nazionale (circa 26 mld nel solo eserci-zio 2013); i tagli ai trasferimenti statali collegati alle misure dettate dal patto di stabilità interno (circa 3,3 mld nel biennio), i cui effetti si accompagnano alle variazioni del fondo perequativo nazionale e del fon-do nazionale per il trasporto pubblico locale.

In un contesto particolarmente delicato, la sia pur debole ripresa del gettito tributario registrata nel 2014 (+1,1 per cento) sembra costituire un segnale positivo del possibile arresto del fenomeno di ero-sione delle basi imponibili regionali, tanto per le im-poste dirette quanto per quelle indirette, e potrebbe aprire uno scenario nuovo specie se caratterizzato dalla ripresa degli investimenti diretti a promuovere l’annunciato sviluppo economico e sociale delle aree meno produttive del paese.

La spesa regionaleLe misure di contenimento e di razionalizzazio-

ne della spesa, da tempo al centro dell’attenzione del legislatore (anche con gli artt. 8 e 9, d.l. n. 66/2014, in materia di acquisti per beni e servizi) risultano po-tenziate dalle procedure di armonizzazione dei si-stemi di bilancio e degli schemi contabili avviate con il d.lgs. n. 118/2011 (integrato con il d.lgs. n. 126/2014), dal cui completamento si attende un affi-namento degli strumenti di monitoraggio della spesa.

Il comparto regioni e province autonome fa regi-strare movimenti di cassa in uscita sostanzialmente stabili nel biennio 2011-2012 e nel 2014 (circa 211 mld per ciascun anno) con un picco nel 2013 (256,1 mld). Tale incremento si concentra nel titolo IV ed è dovuto, prevalentemente, ai rimborsi, nel 2013, del-le anticipazioni nel settore della sanità, nell’ambito della riduzione dei residui passivi ai sensi dei d.l. n. 35/2013 e n. 102/2013 (tabella n. 1/sp). Nel totale, i maggiori importi sono a titolo di spesa corrente, ol-tre la metà della quale è assorbita da sei enti (Pie-

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monte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Campa-nia e Sicilia).

L’evoluzione della spesa corrente non sanitaria rispetto al totale del titolo I è stata esaminata anche alla luce dei provvedimenti, in parte sopra richiama-ti, che hanno inciso su specifiche tipologie. Per tutte le regioni a statuto ordinario, è crescente l’incidenza della spesa corrente non sanitaria sul totale del tito-lo I, aumento che potrebbe essere influenzato dal pa-gamento dei debiti pregressi (tabella n. 4/sp). Analo-ga tendenza si rileva sulla spesa per acquisto di be-ni e servizi, lievitata nel 2013 rispetto all’anno pre-cedente e rimasta sostanzialmente stabile nel 2014, ove l’incidenza prevalente è data dai contratti di ser-vizio, compresi quelli di trasporto, e dalle altre spe-se per servizi (tabelle n. 5/sp, 5-bis/sp e 5-quater/sp).

Relativamente alle spese correnti per le quali la legislazione ha previsto limiti di importo, sono sta-ti monitorati taluni codici gestionali, riconducibili a: organi istituzionali, studi e consulenze, formazio-ne, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblici-tà e rappresentanza. Talune di queste spese risultano scarsamente incidenti sul totale dei consumi interme-di e presentano un andamento in diminuzione.

Con riferimento alla spesa in conto capitale, si re-gistra una flessione costante nel periodo 2011-2014 (-3,71 per cento), con l’eccezione del 2013, che pre-senta un incremento simmetrico a quello rilevato per la spesa complessiva. Tale incremento risulta meno significativo, o del tutto assente, se si considera la spesa al netto della componente sanitaria (tabelle n. 8/sp e 9/sp).

Nel quadriennio, accanto a variazioni percentua-li altamente positive della spesa di parte capitale (in particolare in Veneto, Liguria, Toscana, Lazio e Pu-glia), si registrano importanti scostamenti negativi in Piemonte, Lombardia e Molise. L’analisi mostra che talune variazioni positive si riferiscono ad investi-menti concentrati nel settore sanitario.

Cresce anche la spesa per partecipazioni aziona-rie, che rappresenta una parte minimale della spesa netta in conto capitale (circa il 2 per cento), in con-trotendenza rispetto alle misure intese a disincentiva-re il ricorso allo strumento delle società partecipate.

La gestione sanitariaNel settore sanitario le regioni svolgono, essen-

zialmente, una funzione di mero trasferimento di ri-sorse agli enti del servizio sanitario, che in concre-to realizzano il servizio. La spesa sanitaria nella re-lazione è esaminata con riferimento sia al versante dei flussi di cassa direttamente riferibili a regioni e

province autonome sia al versante della gestione de-gli enti sanitari. Si deve precisare che, per quanto ri-guarda gli enti sanitari regionali della Regione La-zio, una quota consistente della spesa sanitaria ter-ritoriale viene gestita direttamente, mentre nella Re-gione Campania opera una centrale di committenza. In questi due casi, i dati Siope, non essendo piena-mente esaustivi, sono stati integrati con una ricostru-zione del valore dei flussi non immediatamente im-putabili agli enti sanitari.

Nel biennio 2013-2014, le regioni (la cui spesa sanitaria, come accennato, essenzialmente è caratte-rizzata da trasferimenti e solo da una minima parte di gestione diretta), grazie alle anticipazioni di liquidi-tà incassate per il pagamento dei debiti commercia-li accumulati dai rispettivi enti sanitari, incrementa-no sensibilmente i pagamenti, che, pari a 109,2 mi-liardi nel 2011, ascendono a circa 113 miliardi in cia-scun anno del biennio 2013-2014 (con un incremen-to, nel 2014, del 3,58 per cento rispetto al 2011). Si deve tuttavia osservare che tale incremento è comun-que inferiore all’entità delle risorse finanziare trasfe-rite dallo Stato.

Sul fronte degli enti dei servizi sanitari regionali, invece, nel quadriennio 2011-2014 crescono gli in-cassi complessivi (da 118,5 a 124,9 mld, ossia +5,4 per cento nel 2014 rispetto al 2011) ma non anche i pagamenti complessivi (che, nel 2014, decrescono del 2,12 per cento rispetto al 2013). Nel 2014, la ge-stione di cassa degli enti sanitari ha generato liqui-dità per 2,8 miliardi, e tale dato potrebbe essere let-to sia come il riflesso delle economie di spesa gene-rate dalle manovre finanziarie correttive decise a li-vello centrale e regionale, sia come il segnale del ri-formarsi di nuovi ritardi nei tempi di pagamento dei fornitori; infatti, nello scorso anno, mentre i costi re-lativi agli acquisti di beni e servizi, secondo i dati di conto economico, hanno registrato un incremento ri-spetto al 2013 (+2,5 per cento; cfr. il “Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica” approvato dalle Sez. riun. contr., n. 8/2015), i pagamenti decre-scono dell’1,82 per cento. In parte, la situazione po-trebbe essere stata determinata dal fatto che una quo-ta delle anticipazioni di liquidità è stata trasferita al-la fine del 2014, con impossibilità di spesa entro la fine dell’anno. Peraltro, questa voce di spesa aumen-ta dell’8,86 per cento rispetto al 2011. I pagamenti delle regioni in piano di rientro si riducono rispetto al 2013 dell’1,79 per cento (contro il -1,84 per cen-to delle regioni non in piano), ma restano superiori a quelli del 2011 del 14,4 per cento (contro il +5,08 per cento delle regioni non in piano).

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Esaminando i pagamenti per acquisti di beni e servizi per macro-aree, tra inizio e fine periodo il Nord-Ovest consegue l’incremento più contenuto (nel 2014, +3,34 per cento rispetto al 2011), men-tre le regioni centrali registrano quello relativamen-te più alto (+13,55 per cento rispetto al 2011), segui-te da quelle meridionali (+13,18 per cento). Rispet-to al 2013, peraltro, è solo l’Italia centrale che evi-denzia un aumento di spesa (+14,6 per cento), men-tre tutte le altre aree segnano variazioni negative. Ri-duzioni di spesa significative sono state riportate nei pagamenti per il personale (nel 2014, -5,75 per cento rispetto al 2011). Per i pagamenti pro capite per spe-sa corrente nel 2014 si registra un valore nazionale medio (euro 1.938,26) inferiore sia a quello del 2013 (euro 2.016,62) che del 2012 (euro 1.981,65), ma su-periore a quello del 2011 (euro 1.877,80).

Parte IIIAnalisi della gestione di cassa dei comuni e delle unioni di comuni – anni 2011-2014

Analisi delle entrate dei comuniL’analisi dei dati di cassa nel 2014 relativi ai

comuni ed alle unioni di comuni è stata condot-ta nell’ottica di cogliere in anticipo, rispetto ai dati da rendiconto, gli aspetti di maggior rilievo delle ge-stioni, in un esercizio che sia sul fronte delle entrate, sia su quello della spesa sconta gli effetti di impor-tanti misure di impatto strutturale.

Sul fronte delle entrate il radicarsi di un mecca-nismo distorsivo, per cui il concorso degli enti loca-li agli obiettivi di finanza pubblica pesa, in ultima istanza, sul contribuente in termini di aumento del-la pressione fiscale, trova origine nei pesanti e ripe-tuti tagli alle risorse statali disposti dalle manovre fi-nanziarie susseguitesi dal 2011, cui fa eco il croni-co ritardo nella ricomposizione delle fonti di finan-ziamento della spesa, necessaria per garantire ser-vizi pubblici efficienti ed economici. Ciò aggrava e rende permanente l’inefficienza delle gestioni, nono-stante l’incremento consistente delle entrate proprie (+15,63 per cento rispetto al 2013) che fa crescere l’autonomia finanziaria oltre la soglia del 65 per cen-to e assorbe la diminuzione progressiva e costante dei trasferimenti (-27,29 per cento).

All’interno di questo contesto, il gettito della Ta-si svolge un importante funzione redistributiva, in quanto, con 3,2 miliardi circa, supplisce in larga par-te al minor gettito Imu conseguente all’esenzione dell’imposta per l’abitazione principale, mentre per la parte non prelevata direttamente dalle basi impo-nibili locali (vale a dire per la parte di contributo sta-

tale a sostegno delle riduzioni ed agevolazioni) pesa sulla fiscalità generale.

La conseguente crescita dell’autonomia finanzia-ria degli enti, tuttavia, non sembra produrre benefi-ci effetti né sui servizi, né sui consumi e sull’occupa-zione locale, in assenza di un’adeguata azione di sti-molo derivante dagli investimenti pubblici.

Il ruolo marginale ancora svolto dalle imposte che dovevano stabilire una più mirata relazione tra prelievo fiscale e beneficio reso (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all’accertamento dei tributi statali) non consente di assolvere alla funzio-ne di sviluppo che viene loro assegnata dall’art. 119 Cost., ma si limita a sostenere una spesa corrente che cala prevalentemente laddove i vincoli di legge sono ineludibili (spesa per il personale e per l’acquisto dei beni), mentre presenta una costante dinamica in au-mento per le prestazioni di servizi.

Andrebbe dunque recuperato il progetto federali-sta che lega la responsabilità di “presa” alla respon-sabilità di “spesa”, realizzando una necessaria corre-lazione tra prelievo e impiego. Progetto a cui è sicu-ramente funzionale la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, necessaria per superare definiti-vamente il criterio della “spesa storica”, ma che i più recenti interventi normativi non sembrano sostenere adeguatamente, andando nella direzione di una mag-giore flessibilità dei bilanci, di una effimera ricosti-tuzione della liquidità con oneri di rimborso a lun-ghissimo termine e di un alleggerimento degli oneri connessi alla neonata disciplina dell’armonizzazio-ne contabile (si consideri, da ultimo, d.l. 19 giugno 2015, n. 78).

Analisi delle spese dei comuniLa gestione dei flussi di cassa dei comuni, os-

servata con riferimento ai pagamenti dell’eserci-zio 2014, mostra un ammontare complessivo pari a 84,15 miliardi in contrazione di 4 punti percentuali rispetto al valore registrato nel 2013. La contrazio-ne evidenziata è riconducibile a tutte le tipologie di spesa, eccezion fatta per le spese per rimborso presti-ti, che mostrano un incremento pari a 9,3 punti per-centuali.

L’analisi condotta con riferimento specifico alle spese correnti, come per il precedente referto, è stata rivolta anche alla verifica degli eventuali esiti delle manovre di riduzione della spesa intervenute nel pe-riodo considerato, pur tenendo nella dovuta conside-razione i limiti connessi alla natura dei dati in com-mento, oltre che alle tempistiche per così dire di ac-credibilità della spesa che, nel caso di specie, mal si

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attagliano all’osservazione di breve periodo. In parti-colare, relativamente ad alcune voci di spesa corrente è emersa la conferma dell’incremento dei pagamen-ti per prestazioni di servizi, già evidenziato nel pre-cedente referto, e non certo in linea con i tagli ope-rati dal legislatore, in vista del contenimento e della razionalizzazione della spesa corrente. Come è no-to, infatti, il contributo dei comuni, in forza di quan-to previsto dall’art. 47, c. 8, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, doveva essere assicurato dalla riduzione del fondo in modo proporzionale alla spesa media per acquisto di beni e servizi sostenuta dagli stessi nell’ultimo trien-nio, con specifico riferimento alle voci elencate nelle tabelle allegate allo stesso decreto.

Dall’analisi condotta risultano ridotte in misura significativa le spese di rappresentanza (-55 per cen-to) ed i corsi di formazione per il personale interno (-32,7 per cento) ma contrazioni, sebbene in misura più contenuta si registrano in riferimento anche al-le spese riguardanti: l’organizzazione di manifesta-zioni e convegni (-29,9 per cento), l’acquisto di car-ta e cancelleria (-19,3 per cento), nonché le spese per pubblicazioni e riviste (-18,2 per cento) e le spese per contratti di global service (-11 per cento). Si trat-ta di riduzioni che possono considerarsi sintomatiche del processo in atto di razionalizzazione della spe-sa corrente.

Per quanto riguarda le anticipazioni di cassa ri-sulta confermato l’incremento delle relative spese in costante crescita (+44,1 per cento rispetto al 2011). Fenomeno quest’ultimo che trova spiegazione anche nella rideterminazione transitoria del tetto massimo di ricorso elevato da tre a cinque dodicesimi delle en-trate correnti accertate nell’ultimo triennio.

Le risultanze dei flussi di cassa riferite alle spe-se in c/capitale confermano l’andamento in calo re-gistrato negli ultimi esercizi osservati (2011-2013) e dimostrano come i più recenti interventi del legisla-tore, pure diretti ad incentivare tale tipologia di spe-sa, in realtà, abbiano sortito come principale effet-to quello di rappresentare per così dire un alleggeri-mento degli obiettivi del patto piuttosto che una vera e propria opportunità per riavviare gli investimenti.

L’analisi condotta nel presente referto si è arric-chita di un paragrafo dedicato specificatamente ai comuni con popolazione superiore ai 250.000 abi-tanti, che, pur essendo complessivamente dodici, tut-tavia, da soli, rappresentano il 23 per cento della spe-sa complessiva dei comuni italiani.

Ulteriore novità è costituita dal focus dedicato agli enti in sperimentazione all’1 gennaio 2014 (in totale 373 enti), i cui andamenti, in termini di paga-

menti totali, risultano coerenti con quelli registrati a livello nazionale. In particolare, appare significati-vo lo scostamento evidenziatosi con riferimento al-le spese per rimborso prestiti, che fanno segnare un incremento del 91,3 per cento, evidenziando un ina-sprimento per gli enti considerati del fenomeno regi-strato a livello nazionale riguardante la crisi di liqui-dità degli enti locali.

I saldi della gestione di cassa relativi all’esercizio considerato mostrano segno negativo soltanto per le partite correnti (-2 mld e 361 mln) mentre hanno se-gno positivo sia nella gestione in c/capitale sia per quanto riguarda le anticipazioni ed i servizi in con-to terzi.

I flussi di cassa delle unioni di comuniPer quanto riguarda le unioni di comuni, le ri-

petute proroghe dei termini entro cui attuare le Ge-stioni associate obbligatorie (Gao), nonché la circo-stanza che il legislatore nazionale e le regioni han-no ripetutamente modificato ed integrato la norma-tiva, variando le funzioni da associare, le “soglie” relative alla popolazione degli enti interessati e le modalità procedimentali, costituiscono un sintomo delle difficoltà registrate nella concreta attuazione del percorso istituzionale normativamente delinea-to, che necessiterebbe, probabilmente, di “aggiusta-menti” rivolti ad una maggiore semplificazione ed a più efficienti forme di incentivazione finanziaria (ad esempio, da collegare ai risultati concretamen-te conseguiti in termini di risparmi di spesa) ovvero, di un’approfondita analisi delle criticità e delle re-sistenze finora riscontrate alle politiche di “associa-zionismo forzato”.

L’indagine i cui esiti si riportano nel presente re-ferto, svolta anche attraverso il confronto di serie storiche di dati descrittive di tendenze e andamenti dei flussi di cassa, ha inteso apprezzare il concretiz-zarsi o meno di quell’effetto di risparmio sulla spesa che costituisce la ratio di tutta la disciplina normati-va dell’obbligatorio esercizio associato delle funzio-ni fondamentali.

I dati relativi alle entrate sono di scarsa signifi-catività, essendo le unioni alimentate da una quo-ta rilevantissima delle risorse dei bilanci degli enti che si associano e in misura assai più marginale da contributi statali o regionali; trova, invece, confer-ma il trend di incremento (+3,66 per cento sul 2013 e +70,27 per cento sul 2011) delle anticipazioni di cassa, che nel 2014 ammontano a circa 42,3 milio-ni, e che costituisce diretto riflesso delle tensioni sul-la cassa degli enti partecipanti.

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Per gli andamenti della spesa i dati rilevati mo-strano che il totale dei pagamenti delle 352 unioni di comuni monitorate (alla data del 3 aprile 2015) am-monta per il 2014 a 871 milioni, registrando un in-cremento in termini percentuali (+3,2 per cento) e in termini assoluti (+27,2 mln) rispetto al valore com-plessivo dei pagamenti relativi all’esercizio 2013 (che ammontavano a 843,8 mln) e un incremento in termini percentuali (+17,5 per cento) nel quadriennio considerato (i pagamenti complessivi del 2011 am-montavano a 741,2 mln).

La parte preponderante dei pagamenti (nel 2014 pari al 77,3 per cento del totale) delle unioni di co-muni è costituita dalle spese di parte corrente. In ter-mini assoluti, esse ammontano nel 2014 a 673 milio-ni, registrando un aumento percentuale sia rispetto al 2013 (+2,7 per cento), il cui esercizio aveva fatto re-gistrare spese correnti per 655,5 milioni, sia nell’arco del quadriennio considerato (+22,1 per cento rispet-to all’esercizio 2011), con la spesa di personale in co-stante aumento, anche se non può escludersi che detto aumento possa dipendere, in questa fase “transitoria” di rinvio dei termini di adempimento, dall’aumento delle funzioni gestite in forma associata.

Fermo restando che, per avere un quadro signi-ficativo che consenta una più attendibile verifica del raggiungimento o meno dello scopo di risparmio di spesa occorrerà attendere che si completi il percorso normativamente delineato per la gestione obbligato-ria delle funzioni indicate dalla legge, potrebbe esse-re interessante rilevare che, in base a quanto si evin-ce dai dati indicati nel relativo capitolo del presen-te referto, peraltro non sempre rappresentabili in ter-mini omogenei, la spesa complessiva di tutti i comu-ni ricompresi nelle fasce demografiche fino a 5.000 abitanti (pari a circa 14,6 mld), registra nel 2014 un decremento rispetto all’esercizio precedente pari a 328,3 milioni.

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SEZIONI REGIONALI DI CONTROLLO

Abruzzo

187 – Sezione controllo Regione Abruzzo; parere 17 luglio 2015; Pres. Giordano, Rel. Luberti; Comu-ne di Lanciano.

Comune e provincia – Avvocatura dell’ente lo-cale – Sentenza favorevole all’ente – Recupe-ro delle spese legali a carico della contropar-

te – Attribuzione di quota parte della somma recuperata ai dipendenti dell’avvocatura co-munale – Condizioni – Iscrizione all’albo de-gli avvocati.

D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’or-dinamento del lavoro alle dipendenze delle ammini-strazioni pubbliche, art. 1; d.l. 24 giugno 2014 n. 90, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 114, misure urgenti per la semplificazione e la tra-sparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffi-ci giudiziari, art. 9.

Nell’ipotesi in cui il comune abbia ottenuto, in una controversia con terzi, una sentenza a sé favore-vole, le somme corrispondenti alle spese legali che le controparti siano state condannate a pagare nei con-fronti dell’ente vanno ripartite tra i soli dipenden-ti dell’avvocatura comunale in possesso dello status professionale di avvocato.

Fatto – Il sindaco del Comune di Lanciano ri-chiede delucidazioni sulla portata operativa dell’art. 9 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modifi-cazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, e in particola-re se sia possibile attribuire quota parte dei compen-si professionali disciplinati da tale legge ai dipenden-ti del settore avvocatura che non rivestano la quali-fica di avvocati.

Merito – La normativa conferente dispone che “1. I compensi professionali corrisposti dalle ammi-nistrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, so-no computati ai fini del raggiungimento del limite re-tributivo di cui all’art. 23-ter d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicem-bre 2011, n. 214 e successive modificazioni (omis-sis).

3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recu-pero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati di-pendenti delle amministrazioni di cui al c. 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del c. 5 e co-munque nel rispetto dei limiti di cui al c. 7. La par-te rimanente delle suddette somme è riversata nel bi-lancio dell’amministrazione.

4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recu-pero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate è ripartito tra

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gli avvocati e procuratori dello Stato secondo le pre-visioni regolamentari dell’Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del c. 5. Un ulteriore 25 per cen-to delle suddette somme è destinato a borse di stu-dio per lo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato, da attribuire previa proce-dura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento è destinato al fondo per la riduzione della pres-sione fiscale, di cui all’art. 1, c. 431, l. 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni.

5. I regolamenti dell’Avvocatura dello Stato e de-gli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo perio-do del c. 3 e al primo periodo del c. 4 in base al ren-dimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntua-lità negli adempimenti processuali. I suddetti regola-menti e contratti collettivi definiscono altresì i crite-ri di assegnazione degli affari consultivi e contenzio-si, da operare ove possibile attraverso sistemi infor-matici, secondo principi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.

6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transa-zione dopo sentenza favorevole alle amministrazio-ni pubbliche di cui al c. 1, ai dipendenti, ad esclusio-ne del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle nor-me regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può supe-rare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013. Nei giudizi di cui all’art. 152 delle disposizio-ni per l’attuazione del codice di procedura civile e di-sposizioni transitorie, di cui al r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi profes-sionali in base alle norme regolamentari o contrat-tuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.

7. I compensi professionali di cui al c. 3 e al pri-mo periodo del c. 6 possono essere corrisposti in mo-do da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessi-vo (omissis)”.

Come può agevolmente desumersi dalle espres-sioni inequivocabilmente utilizzate dal legislatore, la novella normativa intende operare un chiaro riferi-mento ai soli dipendenti degli enti pubblici che pos-seggano lo status professionale di avvocato. Del re-sto, la novella ha inteso disciplinare in modo unifor-me e al contempo innovativo l’annosa questione dei

compensi professionali riconosciuti agli avvocati di-pendenti degli enti pubblici in ragione della loro na-tura sostanzialmente “ibrida”, vale a dire “sospesa tra l’autonomia e la subordinazione, che coniuga in sé la qualità di professionista con quella di impiega-to, relazionandosi costantemente con quello che è, al contempo, il proprio cliente, ma anche il suo dato-re di lavoro. Questa duplicità di status (la c.d. dop-pia identità dell’avvocato dipendente: da un lato pro-fessionista, dall’altro pubblico impiegato) si riflet-te anche sulla struttura del trattamento economico a lui spettante, normalmente composto, pur nella va-rietà delle situazioni, per una quota, dallo stipendio tabellare e dalle relative voci integrative e accesso-rie e, per altra quota, da compensi aggiuntivi corre-lati all’esito favorevole delle liti, di importo tenden-zialmente variabile, ancorché erogati con continuità (c.d. propine)” (in tal senso e da ultimo Tar Puglia, Sez. II, 16 ottobre 2014, n. 2543).

Esula evidentemente dall’intento del legislatore, invece, l’obiettivo di fornire alle amministrazioni un crivello per eludere il principio di onnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente, che im-porta che “nulla è dovuto, oltre al trattamento econo-mico fondamentale ed accessorio stabilito dai con-tratti collettivi, al dipendente che ha svolto una pre-stazione che rientra nei suoi doveri d’ufficio, anche se di particolare complessità” (Sez. contr. reg. Lom-bardia, 6 marzo 2013, n. 73).

Da ultimo, si rammenta che la recente legge professionale (l. 31 dicembre 2012, n. 247) all’art. 23, nel disciplinare lo status degli avvocati degli enti pubblici, prevede che “gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubbli-ci, anche se trasformati in persone giuridiche di di-ritto privato, sino a quando siano partecipati preva-lentemente da enti pubblici, ai quali venga assicura-ta la piena indipendenza ed autonomia nella tratta-zione esclusiva e stabile degli affari legali dell’en-te ed un trattamento economico adeguato alla fun-zione professionale svolta, sono iscritti in un elenco speciale annesso all’albo”. Presupposto per l’eroga-zione dei compensi professionali ai dipendenti del-le avvocature erariali è allora il dato formale dell’i-scrizione all’albo (c. 2), oltre che quello sostanzia-le della “stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell’ente stesso e l’appartenenza a tale uffi-cio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni”.

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Campania

143 – Sezione controllo Regione Campania; delibe-razione 24 aprile 2015; Pres. Valentino, Rel. Su-cameli; Comune di Castello del Matese.

Comune e provincia – Società partecipate – Ri-cognizione periodica – Necessità – Manteni-mento e acquisizione di nuove partecipazioni – Condizioni.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’or-dinamento degli enti locali, art. 147-quater; l. 24 di-cembre 2007 n. 244, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (leg-ge finanziaria 2008), art. 3, cc. 27-33; l. 27 dicembre 2013 n. 147, disposizioni per la formazione del bi-lancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di sta-bilità 2014), art. 1, cc. 551-555.Comune e provincia – Società partecipate – Pia-

ni comunali di razionalizzazione – Invio alla Corte dei conti – Finalità – Verifica delle con-dizioni per il mantenimento o l’acquisizione delle partecipazioni – Verifica degli effetti del piano sul bilancio del comune.

L. 23 dicembre 2014 n. 190, disposizioni per la for-mazione del bilancio annuale e pluriennale dello Sta-to (legge di stabilità 2015), art. 1, cc. 611-615.

I comuni sono tenuti ad effettuare periodicamen-te, in occasione dell’approvazione dei bilanci, la ri-cognizione delle società e degli altri organismi nei quali mantenere la propria partecipazione, nonché a valutare l’utilità di acquisire nuove partecipazioni; sia il mantenimento delle partecipazioni, sia l’acqui-sizione di nuove partecipazioni debbono essere, co-munque, autorizzati dall’organo consiliare, che, con provvedimento motivato, deve attestare l’esistenza delle condizioni a tali fini previste dalla legge, qua-li l’effettiva aderenza dell’oggetto sociale alle fina-lità istituzionali dell’ente, l’efficacia e l’economicità della gestione, il rispetto del contenimento dei costi e la tutela della libera concorrenza.

I piani operativi comunali di razionalizzazione delle partecipazioni societarie debbono essere tra-smessi alla Corte dei conti per consentire a questa di verificare, da un lato, il rispetto dell’obbligo di ade-guata motivazione circa il mantenimento o l’acquisto delle partecipazioni nell’ambito del generale obbligo di riduzione degli organismi partecipati e, dall’altro lato, gli effetti dei piani sui bilanci dei comuni.

Premesso in fatto – Con deliberazione n. 24 dell’8 ottobre 2014, trasmessa a questa Sezione in

data 11 novembre 2014, il consiglio comunale di Ca-stello del Matese (CE) ha provveduto ad effettuare la ricognizione delle proprie partecipazioni per veri-ficare la sussistenza dei presupposti di legge ex art. 3, cc. 28 e 29, l. n. 244/2007, deliberando il manteni-mento di tutte le partecipazioni in essere.

Il Comune di Castello del Matese partecipa ai se-guenti organismi:

- Consorzio Asmez (0,6 per cento);- Consorzio per Viale Mattei Consorzio per l’a-

rea di sviluppo – Caserta Industriale (0,4 per cento);- Cst – Terra di lavoro Provincia di Caserta

(0,7821 per cento);- Ente ambito risorse idriche Napoli Volturno Ato

2 (0,13581 per cento);- Società consortile per le iniziative di recupero

dei centri storici Laoconte (1,57 per cento).I primi tre sono costituiti ai sensi dell’art. 31

Tuel; l’ente d’ambito è una peculiare figura di ente pubblico disciplinata dalla legge; solo l’ultimo ente è società di diritto privato. Dall’esame della delibera di consiglio avente ad oggetto il mantenimento del-le partecipazioni societarie del comune si evidenzia un’errata considerazione dell’ambito soggettivo del-le disposizioni applicate e al tempo stesso non emer-ge alcuna adeguata motivazione in ordine alle ragio-ni del mantenimento delle partecipazioni, sia sotto il profilo della verifica in concreto circa la stretta ine-renza di ciascun oggetto sociale dell’organismo par-tecipato con i fini istituzionali dell’ente locale di ri-ferimento, sia sotto il profilo dell’ostensione dell’i-ter logico seguito dall’amministrazione nel perveni-re alla decisione di non procedere o di procedere al-la dismissione.

Il magistrato istruttore, a seguito di esame preli-minare del collegio in camera di consiglio e su solle-citazione dello stesso, ha pertanto interessato il pre-sidente della sezione proponendo di fissare apposita adunanza per l’esame collegiale della posizione del predetto atto del comune.

Con apposita memoria (prot. n. 2286 del 13 apri-le 2015) il comune ha comunicato, “per completezza d’informazione, che già con deliberazione del consi-glio comunale n. 4 del 14 gennaio 2015 questa am-ministrazione ha deliberato il recesso dal Consor-zio Asi Caserta (Consorzio per l’area di sviluppo in-dustriale – Viale Mattei Caserta c.f. 80005370616 – partecipazione allo 0,4 per cento) nella considerazio-ne che tale adesione non comportava benefici per la comunità locale. La procedura di dismissione è sta-ta avviata ed è destinata a recuperare la quota parte-cipata e al risparmio della quota annuale del cano-

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ne. L’area tecnica è stata investita dell’avvio di ta-le procedura.

Inoltre, nella redazione del piano di razionaliz-zazione delle società partecipate previsto dall’art. 1, cc. 611 ss., l. n. 190/2014, approvata dal sottoscritto sindaco ed inviata tramite posta elettronica certifica-ta a codesto superiore organo, è prevista anche la di-smissione delle quote detenute da questo ente relati-vamente alla società Consortile Laoconte.

Tale piano è stato sottoposto anche al vaglio del consiglio comunale che, con deliberazione n. 5 dell’8 aprile 2015 ne ha approvato integralmente i contenuti”.

In adunanza è intervenuto per delega del sinda-co, il segretario comunale che, dopo aver sottolinea-to che la propria presenza costituiva un segno di cor-rettezza istituzionale, ribadiva che l’amministrazio-ne si è attivata predisponendo il piano di razionaliz-zazione delle società partecipate.

Considerato in diritto1. Il quadro normativo di riferimentoL’art. 3, c. 28, l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge

finanziaria 2008) dispone che l’assunzione di nuove partecipazioni societarie e il mantenimento delle at-tuali, da parte degli enti locali, devono essere auto-rizzati dall’organo competente con delibera motiva-ta in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge e che tale delibera deve essere trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti.

L’art. 19, c. 2, lett. a), d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, ha radicato la competenza delle sezioni re-gionali di controllo della Corte dei conti in materia di verifica della ricognizione della partecipazioni lo-cali, al fine di accertare se gli enti e le amministrazio-ni territoriali osservino i limiti imposti dall’art. 3, cc. 27-33, l. n. 244/2007.

Con tale disposizione, pertanto, il legislatore ha intestato alle sezioni regionali di controllo della Cor-te dei conti una specifica competenza sulla verifica della conformità della costituzione o dell’adesione a società a quanto disposto dalla normativa vigente in materia di assunzione di partecipazioni, con riferi-mento, in particolare, agli effetti sui bilanci degli en-ti locali stessi.

La trasmissione delle ridette delibere di ricogni-zione deve ritenersi strumentale al più generale po-tere di controllo di cui all’art. 1, cc. 166-172, l. n. 266/2005 e all’art. 148-bis Tuel, introdotto dall’art. 3, c. 1, lett. e), d.l. n. 174/2012.

La possibilità di ricorrere allo strumento societa-

rio è per legge correlata ai fini dell’ente pubblico ed è inerente allo svolgimento di attività di competen-za dell’ente medesimo, anche al fine di evitare che lo schema societario sia il veicolo per eludere le nor-mative pubblicistiche in tema di controlli sulla finan-za pubblica ed in materia di patto di stabilità interno, nonché strumento abusivo per evitare le procedure ad evidenza pubblica che presiedono all’attività con-trattuale delle amministrazioni locali.

Conseguentemente, la scelta dell’intervento pub-blico nell’economia locale è elettivamente deman-data all’organo consiliare che detiene i compiti di amministrazione e di programmazione dell’attività dell’ente comunale e che deve effettuare le opportu-ne verifiche di compatibilità e di inerenza alle fina-lità istituzionali, ancor prima di decidere la costitu-zione di nuove società, ovvero la sorte delle parteci-pazioni pubbliche in società già esistenti ed operan-ti nel mercato.

Ciò premesso, è opportuno rimarcare che la leg-ge finanziaria 2008 (art. 3, cc. 27-33) ha posto una disciplina vincolistica di tipo formale e sostanziale in tema di costituzione di società e di partecipazio-ni pubbliche, a tenore della quale, una volta accertata l’esistenza dei requisiti di legge ostativi alla costitu-zione di nuove società o al mantenimento di parteci-pazioni, le pubbliche amministrazioni devono cedere a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza pub-blica, le società e le partecipazioni. Il processo di ri-cognizione delle partecipazioni societarie costituisce occasione per analizzare diversi profili di legittimità della partecipazione.

A tal proposito si segnala:i. Ambito soggettivo e oggettivo degli obblighi di

cui all’art. 3, c. 27, legge finanziaria 2008In termini soggettivi, si è ritenuto che la dispo-

sizione in commento concerna le sole partecipazio-ni di natura societaria e non riguardi i consorzi o al-tri organismi partecipati a carattere pubblicistico o privatistico (cfr. Sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giu-lia, n. 344/2010).

Per quanto concerne la latitudine oggettiva di tale disposizione e gli effetti in termini di capacità nego-ziale e di ambito oggettivo della delibera consiliare, l’art. 3, c. 27, legge finanziaria 2008, è stato modifi-cato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, che, all’art. 71, c. 1, lett. b), ha soppresso le parole “o indirettamente”.

Ad un primo superficiale esame, la modifica par-rebbe consentire alle amministrazioni pubbliche di detenere partecipazioni anche in società aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle

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proprie finalità istituzionali, purché, appunto, in via indiretta e, quindi, ad esempio, tramite holding co-stituite ad hoc.

In realtà, un esame di natura sistematica eviden-zia cha la soppressione non ha ristretto affatto l’am-bito oggetto dell’obbligo ai fini della delibera consi-liare e dei limiti alla capacità negoziale. Muovendo dal c. 27, infatti, si desume che l’oggetto sociale del-la holding (o comunque della partecipata diretta) de-ve rispettare i limiti predefiniti dalla delibera adot-tata dall’ente locale ai fini della ricognizione delle società partecipate e, dunque, la holding non potrà che detenere partecipazioni che non siano in contra-sto con le previsioni dell’ente; il che preclude alla holding (e, quindi, all’ente “indirettamente”) di dete-nere partecipazioni non strettamente necessarie alle finalità istituzionali dell’ente o di interesse generale (Sez. contr. reg. Lombardia, n. 874/2010).

Da tale esegesi deriva la necessità, attraverso le disposizioni dell’oggetto sociale della holding, di realizzare un sistema di controllo dell’attività delle società partecipate di “secondo livello” o di “terzo grado”, in conformità, tra l’altro, a quanto recente-mente previsto, in modo espresso, dall’art. 147-qua-ter Tuel (recante “Controlli sulle società partecipa-te non quotate”, introdotto dall’art. 3, c. 1, lett. d, d.l. n. 174/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 213/2012).

In termini oggettivi, in disparte la possibilità di detenere – a valle del processo di ricognizione – le partecipazioni, la delibera del consiglio comunale deve riguardare tutte le partecipazioni qualunque sia l’attività esercitata: va da sé che in presenza dei re-quisiti di “stretta necessità”, ovvero di partecipazioni in società che “producono servizi di interesse gene-rale”, l’ente potrà continuare a detenere o assumere partecipazioni, effettuata altresì, in tale sede, la veri-fica del rispetto degli altri requisiti di legge che legit-timano il mantenimento, tra cui l’art. 13 decreto Ber-sani, l’art. 14, c. 32, d.l. n. 78/2010, nonché, l’art. 4 d.l. n. 95/2012 (cfr. infra).

ii. Il termine e l’obbligo permanente di periodi-ca ricognizione

In proposito si rileva, altresì, come il termine di trentasei mesi fissato dal c. 29 del citato art. 3, per la dismissione o la cessione a terzi delle partecipazio-ni vietate, è stato prorogato dall’art. 1, c. 569, legge di stabilità n. 147/2013, successivamente modificato dall’art. 2, c. 1, lett. b), d.l. n. 16/2014; segnatamente viene disposto che entro il 31 dicembre 2014, le am-ministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, nel rispetto delle procedure ad evidenza

pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazio-ni vietate ai sensi del c. 27 dell’art. 3 l. n. 244/2007; decorso tale termine la partecipazione non alienata “cessa ad ogni effetto” (entro i dodici mesi successi-vi alla cessazione, la società liquida in denaro il valo-re della quota del socio cessato in base ai criteri sta-biliti all’art. 2437-ter, c. 2, c.c.).

Tuttavia, a prescindere da tale scadenza tempora-le, la necessità di verificare i presupposti di una par-tecipazione risponde ad una regola di legittima e sa-na gestione finanziaria. Pertanto, l’obbligo di rico-gnizione può ritenersi un obbligo permanente come, del resto, si può ricavare dalla decisione del Consi-glio di Stato, A.p., n. 10/2011), che ha evidenziato che la disciplina in questione è invero ricognitiva di principi che erano già esistenti nel sistema.

Sicché l’amministrazione civica è tenuta a veri-ficare periodicamente l’attualità delle determinazio-ni assunte con la delibera adottata ai sensi dell’art. 3, cc. 27 ss., legge finanziaria 2008.

In questo processo di verifica periodica, la cui oc-casione è fornita dall’annuale approvazione dei bi-lanci, non è escluso che il socio comunale, re melius perpensa, possa giungere a diversa decisione e deter-minarsi per la non inerenza/strumentalità della parte-cipazione (Sez. contr. reg. Lombardia, n. 386/2012).

iii. L’obbligo di precisa delimitazione dell’ogget-to sociale

Come specificato nelle deliberazioni Sez. contr. reg. Lombardia n. 975 e n. 841/2009, n. 830/2010 e n. 520/2011, l’amministrazione, in sede di costitu-zione o partecipazione ad una società, deve prestare particolare attenzione al suo oggetto sociale.

La disciplina legislativa dell’art. 3, c. 27, legge finanziaria 2008, mira ad eliminare le attività eco-nomiche esercitate per interessi estranei alle finali-tà istituzionali dell’ente o per finalità puramente im-prenditoriali (cfr. Corte cost., n. 229/2013 e la cita-ta A.p., n. 10/2011): l’oggetto sociale deve perciò so-stanziarsi in attività strettamente strumentali alle pre-fate finalità o riconducibili a servizi d’interesse ge-nerale, senza che vi siano interferenze o mediazioni con interessi economici di terzi, potenzialmente lesi-vi rispetto al raggiungimento degli obiettivi posti a beneficio della comunità amministrata.

In sostanza l’oggetto sociale deve essere aderente alle finalità istituzionali del comune, quali emergen-ti, per esempio, dall’elencazione delle funzioni fon-damentali, recentemente oggetto di apposite precisa-zioni normative (cfr. art. 19 d.l. n. 95/2012, conver-tito con modificazioni dalla l. n. 135/2012; in prece-denza, art. 21, legge delega sul federalismo fiscale n.

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42/2009) o dalle funzioni conferite da Stato o regio-ne ai sensi dell’art. 118 Cost.

A tale scopo, il legislatore ha dettato in passato una serie precisa di limiti legislativi (cfr. Sez. contr. reg. Lombardia, n. 411/2013, nonché Sez. contr. reg. Campania, n. 188/2013), tra cui l’art. 13 decreto Ber-sani (d.l. n. 223/2006, convertito con modificazioni dalla l. n. 248/2006).

Si tratta di norme che si segnalano per una parti-colare tendenza restrittiva verso le attività strumen-tali svolte da società pubbliche, in ragione del fatto che le attività strumentali, a parte che per l’ancillari-tà a funzioni intestate all’ente pubblico, si caratteriz-zano, da un lato, per essere svolte e regolate da nor-me di diritto privato, dall’altro, per il fatto di tradur-si in attività economiche potenzialmente contendibi-li sul mercato, per la cui offerta l’ente quindi può en-trare in concorrenza con operatori privati: pertanto la loro creazione e il loro svolgimento può portare di-storsioni del funzionamento dei mercati interessati, a causa dei vantaggi competitivi (economici e/o giu-ridici) di cui tali società partecipate godono. Quindi, da un lato, il legislatore ha operato con varie norme per isolare queste attività rispetto ad altre svolte da-gli organismi partecipati e, per altro verso, ha subor-dinato lo svolgimento di tali attività alla sussistenza di presupposti costitutivi e qualitativi.

Da questo quadro normativo emerge un sistema ispirato ai seguenti principi di massima le cui coor-dinate fondamentali si possono così riassumere (cfr. di recente Cons. Stato, Sez. VI, n. 1574/2012 e n. 122/2013):

a) l’ente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse de-roghe normative;

b) la possibilità di costituzione di società in ma-no pubblica, o è prevista espressamente dalla legge, oppure, ordinariamente, è prevista per il compimento di servizi di interesse generale (servizi pubblici eco-nomici e non);

c) lo svolgimento, in via ordinaria, di società stru-mentali non è più ammesso, se non nei casi di legge.

Inoltre, nell’effettuare tale valutazione, l’ente do-vrà avere riguardo all’oggetto sociale effettivo e non solo a quello formale, risultante dallo statuto socia-le (ad esempio, mediante una verifica dei dati del fat-turato; cfr. Sez. contr. reg. Lombardia, n. 281/2012).

iv. Il necessario esame della situazione economi-co-patrimoniale e finanziaria della società

Il collegio rammenta, inoltre, che le delibere con-siliari di assunzione o mantenimento di partecipazio-

ni devono comunque tenere conto (e conseguente-mente dare atto nelle motivazioni) della situazione economica e patrimoniale delle società, in ossequio al principio di legalità finanziaria che conforma l’a-zione amministrativa.

È chiaro, infatti, che la scelta di assumere o man-tenere partecipazioni presuppone, in capo all’en-te locale (di qualsivoglia dimensione), una prodro-mica valutazione di efficacia ed economicità, qua-li corollari del principio di buon andamento dell’a-zione amministrativa ex art. 97 Cost., oggi raffor-zato, nella prospettiva della sana gestione finanzia-ria, dall’introduzione dell’obbligo dell’equilibrio di bilancio per tutte le amministrazioni pubbliche (cfr. artt. 81, 97 e 119 Cost., come novellati dalla l. cost. n. 1/2012).

Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’andamento della società non deve es-sere strutturalmente in perdita, attesa l’incompatibi-lità tra il ricorso allo strumento societario e risul-tati economici sistematicamente negativi (cfr., per esempio, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 263/2011); principio rafforzato dall’introduzione dei divieti di finanziamento, da parte del menzionato art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010 che, precludendo il sovvenziona-mento di società in perdita strutturale (si rinvia, per esempio, a Sez. contr. reg. Lombardia, n. 19/2012 e n. 220/2012), impongono, a monte, una valutazio-ne di convenienza economica al mantenimento della partecipazione (sul punto si richiama quanto espres-so anche nella pronuncia Sez. contr. reg. Lombar-dia, n. 1081/2010, afferente il caso del preteso man-tenimento di una società con patrimonio netto ne-gativo).

Per le società appartenenti ai comuni, l’art. 1, c. 561, legge di stabilità 2014, n. 147/2013, ha abrogato l’art. 14, c. 32, d.l. n. 78/2010, mantenendo in vita i soli limiti qualitativi posti dall’art. 3, cc. 27 ss., legge finanziaria n. 244/2007 (oltre che i vincoli posti alle società c.d. strumentali dall’art. 13 d.l. n. 223/2006, convertito con modificazioni dalla l. n. 248/2006).

La legge di stabilità 2014 ha peraltro inserito un nuovo sistema di prescrizioni per gli organismi par-tecipati, che accomuna e si applica non solo alle so-cietà, ma anche “alle aziende speciali, alle istituzioni […] partecipate dalle pubbliche amministrazioni lo-cali indicate nell’elenco” Istat (c. 550).

Con riferimento alle società, si osserva, in pri-mo luogo, che il limite quantitativo dell’art. 14, c. 32, d.l. n. 78/2010 e il correlativo obbligo di dismis-sione delle società in perdita è stato sostituito da un obbligo di accantonamento (art. 1, cc. 551 ss., l. n.

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147/2013), nel bilancio dell’ente partecipante, in ca-so di perdite non ripianate, a decorrere dal 2015.

La stessa legge di stabilità ha altresì previsto un sistema di oneri volti a promuovere l’efficienza del-la gestione da parte degli amministratori delle parte-cipate. Ci si riferisce in particolare a quanto stabilito dal c. 554, per “le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza, diretta e in-diretta, delle pubbliche amministrazioni locali titola-ri di affidamento diretto da parte di soggetti pubbli-ci per una quota superiore all’80 per cento del valore della produzione” per cui:

- è previsto che in caso di risultati negativi con-secutivi da un triennio, già a partire dal 2015, gli or-gani amministrativi possono subire una riduzione del compenso del 30 per cento;

- sempre a decorrere dal 2015, un risultato nega-tivo nel biennio costituisce, ex lege, giusta causa di risoluzione del rapporto con la società.

Il sistema di conseguenze negative a carico degli amministratori, già vigente, prevede la sola eccezio-ne in cui il “risultato economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento preventiva-mente approvato dall’ente controllante”.

Il c. 555, inoltre, stabilisce che dal 2017, per tut-ti gli enti (anche con popolazione superiore a 50 mila abitanti) scatterà l’obbligo di liquidazione delle so-cietà strumentali (ovvero “i soggetti di cui al c. 554 diversi dalle società che svolgono servizi pubblici lo-cali”) in presenza di risultati negativi per quattro dei cinque esercizi precedenti. In caso di inadempimen-to di tale obbligo è stabilita la nullità degli atti di ge-stione e la conseguente responsabilità erariale dei so-ci (rectius, dei rappresentanti pro tempore dell’ente partecipante).

A prescindere dalla decorrenza dei poteri ricolle-gati a tali oneri a partire dal 2017, per la retrodata-zione dei fatti contemplati dalla fattispecie normati-va (risultati negativi in quattro/cinque esercizi pre-cedenti), gli enti devono vigilare sin da ora sull’effi-cienza dei propri organismi.

v. Obbligo di adeguata motivazioneOgni decisione amministrativa deve comunque

passare attraverso un atto debitamente motivato. Il precetto è chiaramente esposto nell’art. 3, c. 28, l. n. 244/2007 (“l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento di quelle attuali devono essere auto-rizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al c. 27”) e riproduce la regola generale posta dall’art. 3 l. n. 241/1990 (“la motivazione deve indicare i presup-

posti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno deter-minato la decisione alle risultanze dell’istruttoria”).

La delibera del consiglio comunale di ricognizio-ne delle società partecipate deve quindi contenere la motivazione di tale decisione, non essendo rispettose di tali parametri normativi delibere contenenti mere ripetizioni del dato legale, attesa la natura apodittica di siffatte pseudo motivazioni. Al contrario, può ri-tenersi assolto l’obbligo della motivazione del prov-vedimento anche nel caso in cui sia succinta, pur-ché capace di disvelare l’iter logico e procedimenta-le atto ad inquadrare la fattispecie nell’ipotesi astrat-ta considerata dalla legge. (cfr. Sez. contr. reg. Lom-bardia n. 124/2011; n. 34/2013 e n. 411/2013).

In ordine alla motivazione, l’ente è chiamato a dimostrare l’“inerenza” alle finalità istituzionali di cui all’art. 3 legge finanziaria 2008. La richiamata giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 3, c. 27:

1) per alcune tipologie di società essa è in re ipsa per la peculiare qualificazione legislativa dell’oggetto sociale. Si tratta in particolare delle società il cui og-getto esclusivo (art. 13 decreto Bersani) è l’erogazio-ne di servizi di interesse generale o di committenza, purché nell’ambito dei livelli di competenza dell’en-te locale. Si rammenta, in proposito, che, secondo un consolidato orientamento, la categoria dei “servizi di interesse generale” coincide tout court con quella dei servizi pubblici locali; ergo, la più volte citata valu-tazione di stretta inerenza delle attività di produzio-ne di beni o servizi della società con il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente è limitata alle c.d. “società strumentali”. Con riferimento alle società di committenza, pur svolgendo esse attività strumenta-le, l’ordinamento – sia con nome di carattere generale che di carattere specifico (per esempio, l’art. 113 Tuel o l’art. 33 Codice dei contratti pubblici) – ne ammette generalmente la costituzione e partecipazione, vista la funzione di efficientamento della spesa che svolgo-no nel sistema della finanza pubblica;

2) in secondo luogo, in caso di società strumenta-li, se l’attività riguardi la produzione di beni e servi-zi c.d. “non inerenti”, l’ente è chiamato a dimostrar-ne la stretta necessità al perseguimento delle proprie finalità istituzionali; diversamente la partecipazione è interdetta, con conseguente alienazione a terzi se-condo procedure di evidenza pubblica.

3. In terzo luogo, spostandosi dal piano finalisti-co a quello gestionale, le partecipazioni devono esse-re giustificate nell’ottica del principio di sana gestio-ne finanziaria (e quindi sul piano della loro efficien-za e del loro concreto andamento economico, cfr. su-

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pra) e, da ultimo, devono essere coerenti col il pia-no di razionalizzazione delle partecipazioni discipli-nato dalla recente legge di stabilità 2015 (cfr. infra).

vi. Ricognizione delle partecipate e spending re-view. Piano di razionalizzazione

Da ultimo, infatti, il legislatore (art. 1, cc. 611-615, l. 23 dicembre 2014, n. 190, c.d. legge di sta-bilità 2015) ha integrato gli obblighi di verifica del-le partecipazione da parte degli enti, nonché i pote-ri controllo della Corte dei conti, prevedendo un ul-teriore onere organizzativo, entro un preciso termi-ne di scadenza.

Nello specifico, gli enti devono procedere alla ri-duzione del sistema delle partecipazioni societarie, che deve svolgersi “a decorrere dall’1 gennaio 2015 […], in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015”, mediante un piano ope-rativo di razionalizzazione, ispirato a criteri che tro-vano principio nelle esigenze della spending review e nella tutela della concorrenza.

Segnatamente, il processo di aggregazione o di-smissione deve basarsi sui seguenti criteri:

a) eliminazione delle società e delle partecipa-zioni societarie non indispensabili al perseguimen-to delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;

b) soppressione delle società che risultino com-poste da soli amministratori o da un numero di am-ministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;

d) aggregazione di società di servizi pubblici lo-cali di rilevanza economica;

e) contenimento dei costi di funzionamento, an-che mediante riorganizzazione degli organi ammini-strativi e di controllo e delle strutture aziendali, non-ché attraverso la riduzione delle relative remunera-zioni.

A garanzia della razionalità del processo e per consentire il controllo sull’efficiente approntamen-to e svolgimento dello stesso, la medesima disposi-zione di legge prevede, appunto, la redazione di un piano operativo di razionalizzazione che presidi il ri-chiamato processo riorganizzativo imposto nel cor-so 2015; che tale piano debba essere redatto entro il 31 marzo 2015; che tale piano debba essere tra-smesso alla competente sezione regionale di control-lo della Corte dei conti, per l’esercizio dei suoi poteri

di controllo, poteri che partecipano della stessa natu-ra di quelli relativi alle delibere di ricognizione del-le partecipazioni societarie (come testimonia la clau-sola di salvaguardia relativa alle disposizioni di cui all’art. 3, cc. 27 ss., legge finanziaria 2008) e, quin-di, dei controlli finanziari sui bilanci ai sensi della l. n. 266/2005 (art. 1, cc.166 ss.) e s.m.i.

vii. Quadro di sintesiRiassumendo, la valutazione che il consiglio co-

munale è tenuto a compiere, analizzando le proprie società partecipate, deve riguardare:

- l’oggetto sociale effettivo (non solo quello for-malizzato negli atti societari);

- la natura dei servizi offerti e la stretta inerenza ai compiti dell’ente;

- le ragioni ostative ad un eventuale reinternaliz-zazione o comunque i benefici derivanti dal mante-nimento del servizio in capo all’organismo esterno;

- il divieto di commistione fra attività strumenta-li e di erogazione di servizi pubblici locali (art. 13, c. 2, d.l. n. 223/2006, convertito con modificazioni dal-la l. n. 248/2006);

- la situazione economica e patrimoniale della so-cietà, alla luce degli oneri di efficienza per gli ammi-nistratori e i soci, collegati ad obblighi di accantona-mento e di liquidazione in caso di persistenti risulta-ti negativi (nonché alle sanzioni per gli organi di am-ministrazione della società) ai sensi dell’art. 1, cc. 551-555, l. n. 147/2013;

- nel corso del 2015, la compatibilità del mante-nimento della partecipazione con il piano operativo di razionalizzazione di cui alla l. n. 190/2014 (art. 1, cc. 611-615).

2. La delibera di ricognizione: corretta identifi-cazione dell’ambito soggettivo di applicazione e ob-bligo di motivazione

Nel caso di specie, la deliberazione n. 24/2014 del consiglio comunale, da un lato, prende in consi-derazione partecipazioni anche in enti di diritto pub-blico, dall’altro non risulta adeguatamente motivata in ordine ai criteri seguiti dall’amministrazione co-munale al fine di determinare il mantenimento del-le partecipazioni.

Il consiglio comunale nella suddetta delibera si è limitato a elencare le norme di legge e ad illustrare un prospetto riassuntivo delle partecipazioni, eviden-ziando genericamente la quantificazione del capitale posseduto, senza indicare chiaramente l’oggetto so-ciale della società e tantomeno senza approfondire le ragioni che sostengono la volontà di mantenere le singole partecipazioni detenute.

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Si prende atto del processo di dismissione in at-to per Asi e per la società Laoconte, avendo il comu-ne riconosciuto la essenzialità/utilità di tali parteci-pazioni.

La Sezione si riserva di ritornare sul tema degli organismi partecipati nelle conferenti sedi di control-lo, sia ai sensi dell’art. 148-bis Tuel che ai sensi del-la nuova competenza di controllo in materia di “pia-ni di razionalizzazione”

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, con riferimento alla de-libera di consiglio n. 24/2014 di ricognizione delle partecipazioni in essere:

a) richiama sull’esatta osservanza dell’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 3, cc. 27 ss., leg-ge finanziaria 2008;

b) accerta, allo stato, la non conformità a legge dell’attività finanziaria conseguente a tale ricogni-zione;

c) invita, in particolare, l’amministrazione comu-nale ad esplicitare le ragioni del mantenimento del-le partecipazioni, segnatamente sotto il profilo del-la stretta inerenza della partecipazione rispetto ai fini istituzionali dell’ente locale, dell’economicità ed ef-ficacia della medesima nonché del rispetto dei para-metri introdotti dal d.l. n. 78/2010, alla luce del qua-dro normativo richiamato in motivazione;

d) dispone che la presente deliberazione sia tra-smessa al presidente del consiglio comunale al sin-daco e all’organo di revisione del comune ai fini de-gli atti amministrativi conseguenti. Ai fini della suc-cessiva attività di controllo, invita l’amministrazio-ne comunale a comunicare, entro 60 giorni dalla ri-cezione della presente, le proprie motivazioni in or-dine all’eventuale mantenimento delle partecipazio-ni societarie.

146 – Sezione controllo Regione Campania; delibe-razione 29 aprile 2015; Pres. Valentino, Rel. Di Salvo; Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Atto amministrativo – Provvedimento oggetto di rilievo da parte della Ragioneria territoriale dello Stato – Esecuzione del provvedimento nonostante la presenza del rilievo – Invio del provvedimento alla Corte dei conti – Control-lo successivo di legittimità – Esclusione – Va-lutazione dell’atto nell’ambito del controllo sulla gestione.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di

giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 3; d.lgs. 30 giugno 2011 n. 123, riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamen-to dell’attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell’art. 49 l. 31 dicembre 2009 n. 196, art. 10.

Ove il dirigente di un’amministrazione statale abbia disposto di dare esecuzione a un provvedimen-to amministrativo nonostante i rilievi ad esso mossi dalla competente Ragioneria territoriale dello Stato, l’invio del provvedimento, da parte della stessa Ra-gioneria, alla Corte dei conti ha lo scopo non già di attribuire a questa il compito di sottoporre il provve-dimento a controllo successivo di legittimità, bensì di rimettere alla Corte la valutazione di legittimità del provvedimento nell’ambito e secondo la discipli-na del controllo sull’attività e sulla gestione dell’am-ministrazione interessata. (3)

Diritto – 1. Sulla competenza della sezioneIn via preliminare, il collegio deve affrontare il

tema dell’eventuale sussistenza, in subiecta materia, dei presupposti e delle condizioni per il deferimen-to, ad altro organo della Corte, della questione pre-giudiziale sollevata dal consigliere delegato, o, piut-tosto, della configurabilità, in capo al collegio mede-simo, di un potere-dovere di decidere direttamente la questione stessa, quale sottoposta al proprio esa-me per effetto dell’ordinanza presidenziale 25 mar-zo 2015, n. 19.

Al riguardo va, anzitutto, osservato che, nel-la predetta subiecta materia, non si rinvengono, al-lo stato, precedenti nomofilattici di organi di questa Corte, con effetto conformativo, tali da incidere sul-la competenza della sezione a pronunciarsi, in rito e in merito, sulla predetta questione pregiudiziale sot-topostale.

Viceversa, come meglio sarà infra chiarito, sia in sede territoriale, sia in sede centrale (Sezioni riunite in sede di controllo e Sezione centrale controllo le-gittimità), sono state emesse più deliberazioni utili ad orientare il collegio nell’attività di interpretazione in subiecta materia.

(3) Nel senso che l’atto amministrativo, inviato alla Corte dei conti dall’ufficio di bilancio di un ministero in esito alla ri-chiesta, formulata dal dirigente responsabile dell’emanazione dell’atto, che questo debba avere seguito malgrado le osserva-zioni dello stesso ufficio di bilancio, è soggetto, a causa della sua intervenuta efficacia, al controllo successivo di legittimità della stessa Corte, v., cit. in motivazione, Corte conti, Sez. ri-un. contr., 27 marzo 2012, n. 9, in questa Rivista, 2012, fasc. 1-2, 57.

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In ogni caso, va escluso che ricorrano, nella fat-tispecie, le condizioni e i presupposti per procedere ad eventuale deferimento, a fini nomofilattici, ai sen-si del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con mo-dificazioni dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213, e, in par-ticolare, dell’art. 6 di detto decreto (rubricato “Svilup-po degli strumenti di controllo della gestione finaliz-zati all’applicazione della revisione della spesa pres-so gli enti locali e ruolo della Corte dei conti”), atteso che le funzioni nomofilattiche delineate, in particola-re, al c. 4 dell’art. 6 di detto decreto legge – per il con-testo normativo nel quale sono collocate, per le finali-tà espressamente perseguite dal legislatore d’urgenza (testualmente emergenti anche dalla su riportata inti-tolazione dell’articolo in questione), per le attribuzio-ni (anch’esse, peraltro, in chiave legislativa, espressa-mente emergenti da detta intitolazione) che l’ordina-mento legislativo e regolamentare riconosce alla Se-zione autonomie della Corte dei conti e per l’attinen-za dell’art. 10 d.lgs. n. 123/2011 a soli atti delle ammi-nistrazioni dello Stato ed equiparate (in quanto inse-rito nel titolo II dello stesso decreto legislativo) – ap-paiono rivolte ad assicurare uniformità di orientamen-to nell’ambito delle funzioni di controllo svolte dal-la Corte dei conti nella materia della razionalizzazio-ne della spesa pubblica degli enti territoriali (cfr. an-che art. 6, c. 3, del menzionato d.l. n. 174/2012), non-ché di referto al Parlamento ai fini del coordinamento della finanza pubblica (cfr. art. 9 del Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Cor-te dei conti cit.), e non già in subiecta materia.

Va, peraltro, escluso che ricorra, nel caso di spe-cie, l’ipotesi di cui all’art. 3, c. 3, del regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato dalle Sezioni riunite con delib. n. 14 del 16 giugno 2000 e successive modifi-cazioni (che concerne il deferimento della “pronun-zia sul visto”, su atti sottoposti a controllo di legit-timità, all’adunanza generale della Sezione centra-le controllo legittimità sugli atti del governo e del-le amministrazioni dello Stato), trattandosi di norma regolamentare che presuppone sia l’effettiva appar-tenenza dell’atto sottoposto a controllo ad una del-le tipologie di atti per i quali è richiesta la deliba-zione, nel merito, di una “pronunzia sul visto” (cfr. art. 3, c. 3, cit.), sia la titolarità, in capo al consiglie-re delegato, di competenza funzionale a trattare con le forme del controllo di legittimità l’atto deferendo; condizioni, queste, della cui sussistenza, viceversa, il consigliere delegato motivatamente dubita nel ca-so di specie, con conseguente necessità di risolvere, preliminarmente, presso questa Sezione, le relative questioni applicative.

In conclusione, la Sezione ritiene che non sus-sista, allo stato, alcuna preclusione alla trattazione, sotto profili pregiudiziali e/o di merito, della questio-ne sottopostale in base alla su richiamata ordinan-za presidenziale n. 19/2015, concernente, in partico-lare, la possibilità o meno di ritenere che l’art. 10 d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123, abbia introdotto una nuova funzione di controllo successivo di legittimi-tà, da esercitarsi sugli atti che, in base alla novella di cui al primo comma del predetto articolo, vanno tra-smessi “al competente ufficio di controllo della Cor-te dei conti”.

2. La legge delega 31 dicembre 2009, n. 196, e l’art. 10 d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123

Accedendo più specificamente alla suddetta que-stione, quale sottoposta alle valutazioni del collegio, va preliminarmente osservato che il corpus cui ap-partiene la norma in argomento (art. 10 d.lgs. 30 giu-gno 2011, n. 123) è stato emanato in base alla dele-ga conferita al governo – ex art. 76 Cost. – ai sen-si dell’art. 49 l. 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica), che detta i principi e i criteri direttivi per il potenziamento e la gradua-le estensione a tutte le amministrazioni pubbliche dell’attività di analisi e valutazione della spesa – la c.d. spending review, già prevista per le amministra-zioni centrali – e, per quel che qui rileva, per la rifor-ma del controllo (interno) di regolarità amministra-tiva e contabile, di cui all’art. 1, c. 1, lett. a), nonché all’art. 2 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286.

Ciò premesso, va altresì osservato che l’interpre-tazione di norme delegate (quale quella in esame) non può prescindere dalla disamina della “cornice” e dalla individuazione dei limiti invalicabilmente fis-sati dalla legge delega, imponendosi, nella fattispe-cie, non solo un’ermeneusi conforme ai principi ge-nerali, ma, in particolare, un’interpretazione rispet-tosa dei principi costituzionali, implicati, in via im-mediata, nella fattispecie, sotto il preminente profi-lo della continenza del decreto delegato rispetto alla legge delega (art. 76 Cost.).

Appare dunque utile trascrivere le parti del testo della legge delega che hanno formato il supremo ri-ferimento e l’inderogabile limite programmatico da rispettare, da parte del governo, in sede di adozione del d.lgs. n. 123/2011 (art. 49 l. 31 dicembre 2009, n. 196):

“Art. 49 (Delega al governo per la riforma e il po-tenziamento del sistema dei controlli di ragioneria e del programma di analisi e valutazione della spesa).

1. Il governo è delegato ad adottare, entro diciot-

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to mesi dalla data di entrata in vigore della presen-te legge, uno o più decreti legislativi per il potenzia-mento dell’attività di analisi e valutazione della spe-sa e per la riforma del controllo di regolarità ammi-nistrativa e contabile di cui all’art. 1, c. 1, lett. a), e all’art. 2 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286 secondo i se-guenti principi e criteri direttivi: (omissis); e) riordi-no del sistema dei controlli preventivi e dei control-li successivi, loro semplificazione e razionalizzazio-ne, nonché revisione dei termini attualmente previ-sti per il controllo, con previsione di programmi an-nuali basati sulla complessità degli atti, sulla loro ri-levanza ai fini della finanza pubblica e sull’efficacia dell’esercizio del controllo”.

È evidente, dunque, come, con la suddetta nor-ma di delega (art. 49 l. n. 196/2009 cit.), il legislato-re delegante non abbia affatto attribuito al legislato-re delegato la potestà di intervenire sulle funzioni e sulle attribuzioni della Corte dei conti, attesa la pre-cisa delimitazione, della competenza legislativa de-legata, effettuata dalla norma di delega in questione.

E in effetti, la norma delegata in esame (art. 10 d.lgs. n. 123/2011), non prevede, introduce o disci-plina alcuna attribuzione, con riferimento alle fun-zioni della Corte dei conti, e men che meno, in mate-ria di controllo successivo di legittimità su atti.

Peraltro, lo stesso legislatore delegato si è premu-rato – in sede di predisposizione dello schema di de-creto legislativo poi esitato nel d.lgs. n. 123/2011 – di chiarire, con referto alle competenti Commissio-ni parlamentari (che l’art. 49, c. 2, della menziona-ta l. n. 196/2009, aveva onerato del rilascio di pareri su detto schema), ogni possibile aspetto della effetti-va intentio legis perseguita nell’attuazione della de-lega conferita, corredando lo schema di decreto legi-slativo in argomento di una relazione illustrativa, di una relazione tecnica, di un’analisi tecnico-normati-va e di un’analisi di impatto sulla regolamentazione.

In particolare, ai fini di cui alla presente delibera-zione, può essere anzitutto utile trascrivere, di segui-to, proprio la parte introduttiva della “Relazione illu-strativa” di fonte governativa, sottoposta all’esame delle competenti Commissioni parlamentari ex art. 49, c. 2, l. n. 196/2009 (all. 1 al testo dello schema di decreto legislativo cit.):

“Lo schema di decreto legislativo adottato in at-tuazione della legge delega 31 dicembre 2009, n. 196, è informato ai criteri direttivi indicati all’art. 49, lett. dalla a) alla e), concernenti il potenziamento dell’at-tività di analisi e la valutazione della spesa, nonché la riforma del controllo di regolarità amministrativo e contabile. – La delega contenuta nel citato art. 49

riguarda unicamente il controllo di regolarità ammi-nistrativo contabile di cui all’art. 1, c. 1, ed all’art. 2 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286 e, di conseguenza, non ha riflessi sulle attività di controllo di legittimità del-la Corte dei conti che risulta quindi non interessato dalla presente riforma” (enfasi aggiunta).

Analoga considerazione è contenuta nel docu-mento rubricato «Analisi tecnico-normativa dello schema di decreto legislativo recante ‘Riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell’attività di analisi e valutazione della spesa’» (all. 3 allo schema di decreto legisla-tivo), e, in particolare, nella sezione II di tale docu-mento, rubricata “Analisi del quadro normativo na-zionale”, ove può leggersi: “Con riferimento all’as-setto normativo si precisa che nessuna novità è stata introdotta con riferimento al controllo di pertinenza della Corte dei conti, le cui norme non sono state in nessun […] modificate” (enfasi aggiunta).

Ed ancora, nella parte III del documento conte-nente la predetta “Analisi tecnico normativa”, relati-va agli “Elementi di qualità sistematica e redazionale del testo”, sub par. 5 “Individuazione di disposizio-ni dell’atto normativo aventi effetti retroattivi o di re-viviscenza di norme precedentemente abrogate o di interpretazione autentica o derogatorie rispetto alla normativa vigente”, può leggersi che “Non sono pre-viste disposizioni aventi effetti retroattivi ovvero di reviviscenza di norme abrogate” (enfasi aggiunta).

Nel medesimo solco illustrativo si pone, altresì, il documento contenente la “Analisi di impatto della regolamentazione (Air)”, che costituisce l’all. 4 allo schema di decreto legislativo sottoposto alla valuta-zione delle competenti Commissioni parlamentari ex art. 49, c. 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196.

In particolare, nella sezione I, lett. e), del predetto ulteriore documento, redatto dal legislatore delega-to, sotto la rubrica “Indicazione dei soggetti pubbli-ci e privati, destinatari dei principali effetti dell’in-tervento legislativo”, viene categoricamente chiari-to che detto intervento “non ha riflessi sulle attività di controllo della Corte dei conti” (enfasi aggiunta).

3. Sulla “chiarezza dei testi normativi” quale princi-pio generale e inderogabile previsto per la produzio-ne normativa del legislatore delegato

La chiarezza delle predette relazioni ed anali-si redatte, in subiecta materia, dal legislatore dele-gato, peraltro, non può essere disgiunta dalla ancor più presupposta considerazione che l’impossibilità di introdurre o disciplinare, con le norme del d.lgs. n. 123/2011 (e, segnatamente, con l’art. 10 di detto

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decreto), nuove funzioni di controllo della Corte dei conti – e, più in particolare, di ivi introdurre, in qual-che modo, la possibilità di sottoporre ad uno specifi-co e immediato esame, da ricondurre all’ambito del controllo di legittimità, seppur successivo, la nuo-va tipologia di atti trasmessi ad uffici della Corte dei conti ai sensi del menzionato art. 10, c. 1 (cfr. Corte conti, Sez. riun., 27 marzo 2012, n. 9, pp. 5-6), – non è (e non avrebbe potuto essere) frutto di una scelta discrezionale o, comunque, dell’esercizio di una op-zione posta nella disponibilità del legislatore delega-to, ma consegue, in via immediata, diretta, cogente ed ineludibile, alla determinatezza e alla inequivoci-tà della formulazione del testo della legge delega (e, in particolare dell’art. 49 di detta legge), che non ha previsto, in alcun modo e sotto alcun profilo, il con-ferimento, al legislatore delegato, di alcuna delega concernente la disciplina delle funzioni di control-lo (in particolare, di quelle di legittimità) della Corte dei conti, né ha contemplato la possibilità, per il me-desimo legislatore delegato, di introdurre modifiche o deroghe alla normativa sul controllo di legittimi-tà esercitato dalla Corte dei conti medesima, come, peraltro, ammesso e riconosciuto non solo dal legi-slatore delegato, ma, per quel che qui rileva, anche e proprio da questa Corte con riferimento alla mede-sima fattispecie (cfr. Sez. riun., n. 9/2012 cit., p. 2; Sez. contr. reg. Piemonte, 10 febbraio 2012, n. 11).

Né, comunque, sarebbe stato possibile, in sede di emanazione del predetto d.lgs. n. 123/2011, introdur-re sostituzioni, modifiche, abrogazioni o deroghe al preesistente quadro normativo (ad esempio, introdu-cendo la previsione di una nuova attività di controllo intestata ad uffici della Corte dei conti), senza un’in-dicazione espressa delle norme sostituite, modifica-te, abrogate o derogate.

Infatti, con riferimento alla materia della chiarez-za dei testi normativi, con la novella di cui al c. 1 dell’art. 3 l. 18 giugno 2009, n. 69, è stato introdot-to, nella l. 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’at-tività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), l’art. 13-bis (Chiarezza dei testi normativi), i cui primi due commi così recitano:

“1. Il governo, nell’ambito delle proprie compe-tenze, provvede a che:

a) ogni norma che sia diretta a sostituire, modifi-care o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire de-roghe indichi espressamente le norme sostituite, mo-dificate, abrogate o derogate;

b) ogni rinvio ad altre norme contenuto in dispo-sizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione,

contestualmente indichi, in forma integrale o in for-ma sintetica e di chiara comprensione, il testo ovvero la materia alla quale le disposizioni fanno riferimen-to o il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare.

2. Le disposizioni della presente legge in materia di chiarezza dei testi normativi costituiscono princi-pi generali per la produzione normativa e non posso-no essere derogate, modificate o abrogate se non in modo esplicito” (enfasi aggiunta).

Ed invero, nel pieno rispetto di tutte le predette li-mitazioni, di cui è stato dato atto anche in sede di re-lazioni ed analisi di accompagnamento allo schema di decreto legislativo in argomento (vedasi, amplius, supra), la testuale formulazione del c. 1 dell’art. 10 in argomento – ove è meramente prevista la trasmis-sione dell’“atto, corredato dalle osservazioni e dal-la relativa documentazione al competente ufficio di controllo della Corte dei conti” – non offre spazio ad interpretazioni dirette a sostenere “che il decreto de-legato abbia modificato la normativa del controllo di legittimità esercitato dalla Corte dei conti, introdu-cendo una nuova tipologia di provvedimenti che allo stesso devono essere assoggettati” (cfr. Corte conti, Sez. contr. reg. Piemonte, 10 febbraio 2012, n. 11).

4. Il canone ermeneutico di conformità a CostituzioneCiò premesso, appare chiaro che la disposizione

di cui all’art. 10 del predetto d.lgs. n. 123/2011 non possa, allo stato della sua vigente formulazione, in alcun modo e sotto alcun profilo, essere interpreta-ta nel senso di aver attribuito alla Corte dei conti, e, in particolare, alle sezioni regionali di controllo del-la Corte medesima, funzioni di controllo successi-vo di legittimità sugli atti trasmessi, ai sensi del c. 1 di detto art. 10, “al competente ufficio di controllo della Corte dei conti”, e ciò anche in quanto – tenu-to presente il testo della norma, formulato nel pieno rispetto della legge di delega, e rispondente alle co-genti e “rafforzate” disposizioni in tema di chiarez-za dei testi normativi di fonte governativa di cui al menzionato art. 13-bis l. n. 400/1988 – ogni diversa interpretazione non solo sarebbe inconciliabile con il chiaro e lineare testo della norma (peraltro formal-mente e ampiamente commentato, illustrato e chiari-to con le inequivoche e dirimenti precisazioni poste innanzi in evidenza, dallo stesso legislatore delega-to in sede parlamentare), ma risulterebbe inammissi-bilmente disattendere, pur nella (qui denegata) ipote-si, in cui le relative argomentazioni fossero, per qual-che verso, plausibili, l’autonomo canone ermeneuti-co dell’interpretazione in senso conforme a costitu-

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zione, secondo il quale l’interprete deve privilegiare il significato normativo che non si ponga in contra-sto con parametri costituzionali piuttosto che optare per un’interpretazione che – pur a volersene ammet-tere, in ipotesi, la ragionevolezza e/o la plausibilità – sia in contrasto con la Costituzione (cfr., ex plurimis, Corte cost., 19 gennaio 1995, n. 19).

In buona sostanza, tra un’interpretazione volta a sostenere che il menzionato art. 10, c. 1, d.lgs. n. 123/2011 abbia introdotto – in violazione dell’art. 76 Cost., per eccesso di delega – una nuova fattispecie di controllo (in particolare, successivo di legittimi-tà su atti) presso la Corte dei conti, e quella, testuale, volta ad affermare che l’invio di atti e documenti “al competente ufficio di controllo della Corte dei conti” non possa accendere procedimenti di controllo di le-gittimità su atti presso uffici e/o sezioni di detta Cor-te, nulla avendo previsto al riguardo né il legislato-re delegante, né quello delegato, va privilegiata quel-la (la seconda), costituzionalmente orientata, che non comporta, come la prima, l’affermazione della sus-sistenza di una violazione di legge da parte del legi-slatore delegato, il quale, esorbitando dai limiti della delega conferitagli, e in contraddizione con il proprio stesso dichiarato intento, avrebbe ecceduto in ordine alla delega legislativa conferita, così, conseguente-mente, violando l’art. 76 Cost.

5. Sulle finalità dell’art. 10 d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123

Tutto ciò premesso, ed escluso, dunque, che l’art. 10, c. 1, d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123, possa aver in-trodotto, o, comunque, disciplinato, funzioni di con-trollo successivo di legittimità, da esercitare presso questa Sezione regionale di controllo, la Sezione me-desima reputa opportuno sviluppare altresì, ad abun-dantiam, ulteriori considerazioni utili alla possibile individuazione delle eventuali finalità connesse alla trasmissione, al “competente ufficio di controllo del-la Corte dei conti” – di atti e documenti ai sensi del c. 1 dell’art. 10 d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123.

In proposito, occorre, anzitutto, individuare il quadro normativo di riferimento, che, allo stato, in base alla (profonda) modifica del sistema genera-le dei controlli di cui alla l. 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni, disciplina il “controllo successivo” della Corte dei conti nell’ambito della pubblica amministrazione statale e assimilata.

Sostanzialmente, in base alla suddetta riforma, gli unici due moduli di controllo, su atti del gover-no e delle amministrazioni dello Stato, ammissibili e consentiti in via generale dall’assetto ordinamen-

tale vigente, risultano essere il controllo preventivo di legittimità su atti ed il controllo successivo sul-la gestione.

A tal proposito, va esaminato il sistema dei con-trolli disegnato dall’art. 3 della menzionata l. n. 20/1994, sistema nel quale la Corte dei conti risulta priva di ogni potere di cognizione, in punto di legit-timità, sull’atto non compreso fra quelli normativa-mente sottoponibili (ovvero sull’atto non più sotto-ponibile, per decorso di termini) al controllo preven-tivo di legittimità, salve le eccezioni residuali previ-ste dalla legge (cfr. Sez. contr. Stato, 28 giugno 1995, n. 85).

Si noti che la Sezione controllo Stato, con la menzionata pronuncia n. 85/1995, ha condotto un’a-nalisi sistematica della riforma dei controlli introdot-ta dalla suddetta l. n. 20/1994, e, rimeditando espres-samente in ordine ad alcune pronunce emesse in pre-cedenza, ha chiaramente affermato che “una più at-tenta riflessione porta ora il collegio a dare giusta ri-levanza ai principi della riforma varata con la l. 14 gennaio 1994, n. 20, riforma caratterizzata da un’in-dubitabile compressione dell’area del controllo di le-gittimità in via preventiva ed in via successiva (art. 3, cc. 1 e 8) e dalla concomitante generalizzazione del controllo di gestione su tutti gli atti, attività, compor-tamenti ed omissioni nella palese intenzione di ren-dere più sicura, garantita e rapida l’azione ammini-strativa” (delib. n. 85/1995 cit.).

Invero, nella strutturazione organica del sistema dei controlli, l’art. 3, c. 8, ultimo periodo, della men-zionata l. n. 20/1994, così, residualmente, recita: “È fatta salva, in quanto compatibile con le disposizioni della presente legge, la disciplina in materia di con-trolli successivi previsti dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e dal d.lgs. 12 feb-braio 1993, n. 39, nonché dall’art. 166 l. 11 luglio 1980, n. 312”.

Si noti, peraltro, che il legislatore non ha quali-ficato tali “residuali” controlli successivi come con-trolli “su atti”, e ciò si spiega esaminando le disposi-zioni di riferimento, che non consentono di unificare tipologicamente le tre distinte fattispecie:

a) d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29: il riferimento è da intendersi diretto all’art. 65 (controllo del co-sto del lavoro), come sostituito dall’art. 32 d.lgs. n. 546/1993; da notare che l’intero d.lgs. n. 29/1993 è stato abrogato dall’art. 72 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e che il testo del predetto art. 65 è stato letteral-mente trasfuso nell’art. 60 di detto d.lgs. n. 165/2001; trattasi di controllo-referto (e non su atti), ovviamen-te “successivo”;

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b) d.lgs. 12 febbraio 1993, n. 39: il riferimento è da intendersi diretto all’art. 14, c. 1, di detto d.lgs.; su tale norma, in epoca successiva all’entrata in vi-gore della l. 14 gennaio 1994, n. 20 (e, specificamen-te, dopo l’entrata in vigore dell’art. 2-bis d.l. 23 ot-tobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni dal-la l. 20 dicembre 1996, n. 639), la Sezione centrale di controllo, mutando il modulo del controllo eser-citato, ha sostenuto che i controlli sui contratti re-lativi all’acquisto di materiale informatico da parte delle pubbliche amministrazioni, previsti dal predet-to art. 14, c. 1, d.lgs. n. 39/1993, siano da ricondur-re nell’ambito del sistema generale dei controlli del-la Corte dei conti (controllo preventivo di legittimi-tà ove i contratti superino le soglie di riferimento, e controllo successivo sulla gestione per tutti gli al-tri contratti), precisando che “in definitiva, un con-trollo successivo puntuale su atti può ancora esser-vi, ma in via di eccezione dopo che è intervenuta la l. n. 20/1994, sempre che ve ne sia previsione di leg-ge e si eserciti su singoli provvedimenti amministra-tivi in forza di norme espresse” (Sez. centr. contr., 9 gennaio 1998, n. 4); ancora più specifica, sul punto, è la delib. della Sez. contr. reg. Sicilia 19 settembre 1998, n. 27, ove espressamente si afferma che è pre-cluso l’esame puntuale della legittimità di singoli de-creti. Neppure questo riferimento, contenuto nel c. 8 dell’art. 3 l. n. 20/1994, afferisce, dunque, secondo la giurisprudenza citata, e, comunque, in base ad una corretta interpretazione della legge, al controllo suc-cessivo di legittimità su atti;

c) art. 166 l. 11 luglio 1980, n. 312: trattasi di nor-ma che disciplina il controllo successivo di legittimi-tà su atti previsto in materia pensionistica, che la Se-zione centrale controllo di legittimità su atti del go-verno e delle amministrazioni dello Stato, con le de-liberazioni n. 1 e n. 2 del 18 gennaio 2011, ha stabi-lito non dover più essere esercitato, in ragione del-la sopravvenuta operatività delle competenze attri-buite all’Inpdap (cfr. anche Sez. centr. contr. 4 otto-bre 1996, n. 132), non assumendo alcun rilievo né la natura dei soggetti che hanno adottato gli atti, né le relative date di adozione, né le date di collocamen-to a riposo del personale interessato; risulta degno di nota quanto, in proposito, è stato sostenuto dalla de-liberazione della Sezione centrale di controllo n. 30 del 20 febbraio 1995, la quale ha ritenuto non suscet-tibile di interpretazione analogica la disposizione in questione, ascrivendo, di conseguenza, al controllo sulla gestione i provvedimenti di riscatto in materia pensionistica.

Ed ancora, non può non essere considerato, in

questa sede, come, al fine di eliminare persino la so-la possibilità, per la Corte dei conti, di esercitare, nel corso dei controlli successivi sulla gestione, anche un controllo “sulla legittimità di singoli atti delle am-ministrazioni dello Stato”, il legislatore abbia sop-presso, dal testo originario dell’art. 3, c. 4, l. 14 gen-naio 1994, n. 20, le parole “può altresì pronunciarsi sulla legittimità di singoli atti delle amministrazio-ni dello Stato” (c. 2-bis d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, quale aggiunto dalla legge di conversione 20 dicem-bre 1996, n. 639).

Né, come innanzi più ampiamente osservato, il d.lgs. n. 123/2011 risulta aver fatto, in alcun modo, rivivere detta norma attributiva di funzioni di con-trollo di legittimità su atti statali (cfr. anche la parte III, par. 5 della “Analisi tecnico-normativa”, all. 3 al-lo schema di decreto legislativo poi esitato nel d.lgs. n. 123/2011: v. amplius, supra, par. 2).

In definitiva, alla data di entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 10, c. 1, d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123, alla stregua del vigente diritto positivo e in conformità alla stessa giurisprudenza della Se-zione centrale di controllo di legittimità, nessun ti-po di controllo successivo di legittimità su singoli at-ti era esercitabile (ed era esercitato) presso gli uffici e le Sezioni di controllo della Corte dei conti.

Al riguardo, va sottolineato come tale chiave di lettura del nuovo sistema dei controlli della Corte dei conti risulti confermata (anzi, ratione temporis, for-se addirittura preventivamente suggerita al legislato-re del summenzionato c. 2-bis d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, quale aggiunto dalla legge di conversione 20 dicembre 1996, n. 639) dalla Corte cost. nella sent. 27 gennaio 1995, n. 29, ove, tra l’altro, può legger-si che “il controllo sulla gestione […] differisce so-stanzialmente dai controlli di legittimità e contabili. La diversità non sta soltanto nel fatto, pur rilevante, precedentemente ricordato, secondo il quale, mentre i controlli da ultimo menzionati concernono singo-li atti, quello sulla gestione riguarda invece l’attivi-tà considerata nell’insieme dei suoi effetti operativi e sociali, ma risiede soprattutto nella struttura stessa della funzione di controllo.

Nel caso dei controlli contabili e di legittimità, la Corte dei conti è chiamata a verificare, con una valu-tazione ex ante, la conformità di determinati atti del-la pubblica amministrazione rispetto alle previsioni legislative e di bilancio, tenendo conto anche degli obiettivi prefissati dal legislatore. Nel caso del con-trollo sulla gestione, invece, la Corte dei conti, come dice espressamente l’impugnato art. 3, c. 4, è tenuta ad accertare ‘la rispondenza dei risultati dell’attività

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amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, va-lutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa’. In altri ter-mini, in quest’ultimo caso, il controllo consiste nel confronto ex post tra la situazione effettivamente re-alizzata con l’attività amministrativa e la situazione ipotizzata dal legislatore come obiettivo da realizza-re, in modo da verificare, ai fini della valutazione del conseguimento dei risultati, se le procedure e i mezzi utilizzati, esaminati in comparazione con quelli ap-prestati in situazioni omogenee, siano stati frutto di scelte ottimali dal punto di vista dei costi economi-ci, della speditezza dell’esecuzione e dell’efficienza organizzativa, nonché dell’efficacia dal punto di vi-sta dei risultati” (Corte cost. n. 29/1995, capo n. 11.1 della motivazione).

Venendo ora, più specificamente, alla disamina, a fini operativi, del contenuto e degli effetti del men-zionato art. 10 d.lgs. n. 123/2011, ne va, anzitutto, ri-levato lo stretto collegamento con il precedente art. 8, che disciplina termini e modalità del controllo di regolarità amministrativa e contabile da eseguire a cura dei competenti “uffici di controllo” (uffici cen-trali del bilancio operanti presso ciascuna ammini-strazione centrale, ufficio centrale di ragioneria pres-so l’amministrazione autonoma dei monopoli di Sta-to e ragionerie territoriali dello Stato, ex art. 3 d.lgs. n. 123/2011).

All’esito dell’esercizio di detto controllo di rego-larità amministrativa e contabile su singoli provve-dimenti, pur in presenza di osservazioni o di richie-ste di chiarimenti del competente ufficio di controllo, il dirigente responsabile può disporre di dar comun-que corso al/ai provvedimento/i oggetto delle predet-te osservazioni o richieste di chiarimenti, con conse-guenziale acquisizione di efficacia del/dei provvedi-mento/i, e “in tali casi l’ufficio di controllo ne pren-de atto e trasmette l’atto corredato dalle osservazio-ni e dalla relativa documentazione al competente uf-ficio di controllo della Corte dei conti” (art. 10, c. 1, ultima parte, d.lgs. n. 123/2011).

Come può notarsi, non solo il legislatore delega-to – come meglio innanzi precisato – non ha affatto previsto che i provvedimenti considerati nel predet-to art. 10 siano da assoggettare (in via eccezionale) a controllo successivo di legittimità presso la Corte dei conti (il che già consentirebbe di poter eventualmen-te ricondurre la relativa fattispecie nell’alveo dell’or-dinario e generalizzato controllo sulla gestione, ov-vero del controllo-referto), ma, comunque, nel for-mulare la disposizione in esame in sede di esercizio della ben precisa e ben delimitata delega legislativa

di cui all’art. 49 l. 31 dicembre 2009, n. 196, si è at-tenuto, come già innanzi argomentato, ai limiti detta-ti e imposti da detta norma di delega, i quali, comun-que, come già detto, non avrebbero potuto legittima-mente essere valicati.

6. I precedenti giurisprudenziali La questione, peraltro, è stata già affrontata e ri-

solta, nei predetti sensi, dalla Sez. contr. reg. Pie-monte con la delib. 10 febbraio 2012, n. 11, nella quale, in ordine all’interpretazione del menzionato art. 10 d.lgs. n. 123/2011 può leggersi: “Ritiene la Sezione che la trasmissione dell’atto, corredato dal-le osservazioni della ragioneria e dalla relativa do-cumentazione, non sia finalizzata al controllo pre-ventivo di legittimità, laddove quest’ultimo non sia espressamente previsto dall’ordinamento.

Né può ritenersi che essa sia introduttiva di un’ulteriore fattispecie di controllo successivo di le-gittimità rispetto a quelle richiamate dall’art. 3, c. 8, l. n. 20/1994.

Il detto obbligo di trasmissione dell’atto, inseri-to in un articolato dedicato, in base al contenuto del-la legge delega, ai controlli interni di regolarità am-ministrativa e contabile, presenta, infatti, un evidente carattere strumentale rispetto a competenze già attri-buite alla Corte e non innovativo di queste.

Un’interpretazione diversa, intesa ad affermare che il decreto delegato abbia modificato la norma-tiva sul controllo di legittimità esercitato dalla Corte dei conti, introducendo una nuova tipologia di prov-vedimenti che allo stesso devono essere assoggettati, si porrebbe in contrasto con i parametri costituziona-li per violazione dell’art. 76 Cost. Il d.lgs. in parola (art. 8, c. 2), invero, fa espressamente salve le norme in materia di controllo da parte della Corte dei con-ti, ai sensi dell’art. 3 l. 14 gennaio 1994, n. 20. Re-sta dunque immutato l’impianto attuale del controllo di legittimità, controllo esterno demandato alla Corte dei conti, così come risulta oggi disciplinato dall’art. 3 l. n. 20/1994, che al c. 1 elenca tassativamente gli atti, non aventi forza di legge, assoggettati a tale tipo di controllo ed al c. 8 fa salva, in quanto compatibi-le, la disciplina legislativa vigente in materia di con-trolli successivi. Gli atti di specie non sembrano ri-entrare, direttamente, in alcuna delle previste tipolo-gie, mentre quando il legislatore ha voluto sottopor-re altre e nuove categorie di atti al controllo preven-tivo di legittimità della Corte, ha modificato il citato art. 3, c. 1, introducendo le corrispondenti previsio-ni (così come avvenuto per gli atti e i contratti di col-laborazione autonoma e per quelli concernenti studi

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e consulenze di cui alle lett. f-bis e f-ter del medesi-mo articolo, come inseriti dall’art. 17 d.l. n. 78/2009, convertito con modificazioni dalla l. n. 102/2009, o per i provvedimenti commissariali in materia emer-genziale di cui alla lett. c-bis, inserita dall’art. 2 d.l. n. 225/2010, convertito con modificazioni dalla l. n. 10/2011). Sotto altro profilo, la previsione di un con-trollo preventivo sarebbe incompatibile con la già avvenuta acquisizione di efficacia degli atti medesi-mi. Tale efficacia – merita sottolineare – è definitiva e non provvisoria (a differenza di quanto invece può avvenire, per esplicita disposizione di legge, per i provvedimenti commissariali di emergenza, soggetti a controllo preventivo di legittimità della Corte, che, a mente dell’art. 27, c. 1, l. n. 327/2000, come mo-dificato dall’art. 2 d.l. n. 225/2010 cit., possono es-sere dichiarati provvisoriamente efficaci dall’organo emanante con motivazione espressa).

In definitiva, ritiene la Sezione che l’obbligo di trasmissione di cui trattasi obbedisce ad una finalità informativa, strumentale rispetto ad altri tipi di con-trollo della Corte, quale quello facoltativo program-mato dalle Sezioni riunite e diretto al riesame degli atti previsto dall’art. 3, c. 3, l. n. 20/1994, ovvero quello successivo, programmato anche dalle sezioni regionali, sulla gestione delle amministrazioni pub-bliche ai sensi del successivo c. 4”.

Quanto poi all’interpretazione di disposizioni che impongono la trasmissione di atti alla Corte dei conti o a suoi uffici, senza espressa e puntuale indicazione della relativa finalità (come nel caso di cui all’art. 10 d.lgs. n. 123/2011), le Sezioni riunite in sede di con-trollo hanno già autorevolmente manifestato in pas-sato univoco orientamento.

A mero titolo esemplificativo, e non esaustivo, si può prendere, invero, in considerazione l’orienta-mento palesato da detto consesso in ordine al disposto dell’art. 24, c. 5, l. 27 dicembre 2002, n. 289 (legge fi-nanziaria 2003), peraltro abrogato dalla l. 24 dicem-bre 2003, n. 350: detta norma, quale vigente all’epo-ca di adozione della delib. Sez. riun. 27 febbraio 2003, n. 7 cit., con riferimento ad ipotesi di ricorso a tratta-tiva privata nell’acquisto di beni e servizi, così recita-va: “5. Anche nelle ipotesi in cui la vigente normati-va consente la trattativa privata, le pubbliche ammini-strazioni possono farvi ricorso solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata in-dagine di mercato, dandone comunicazione alla sezio-ne regionale della Corte dei conti”.

Al riguardo, con la menzionata deliberazione, le Sezioni riunite in sede di controllo chiarirono, tra l’altro:

a) che la comunicazione prevista dalla norma do-vesse essere intesa come finalizzata al “controllo successivo sulla gestione”, sicché la comunicazione stessa non poteva ridursi a mera informazione epi-stolare, ma avrebbe dovuto riportare tutti gli elemen-ti costitutivi del contratto (soggetti contraenti, ogget-to, importo, durata, clausole penali), nonché l’indica-zione delle eccezionali circostanze e dei motivi che avevano giustificato il ricorso alla trattativa privata, unitamente ai dati relativi alla indagine di mercato preventivamente esperita;

b) che il legislatore non aveva inteso attribuire alla predetta comunicazione un significato condizio-nante dell’attività amministrativa (pur se l’adempi-mento andava soddisfatto con la massima tempesti-vità dall’amministrazione procedente allorché l’ob-bligazione già fosse stata perfezionata);

c) che il riferimento della norma alle sole sezio-ni regionali non poteva considerarsi modificativo dell’articolazione delle competenze tra i diversi or-gani di controllo e decentrati dell’Istituto, sicché do-vevano essere considerate destinatarie delle comuni-cazioni: le sezioni regionali di controllo, per i con-tratti stipulati dalle amministrazioni periferiche del-lo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali; la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, attraverso i propri uf-fici, per i contratti stipulati dai ministeri e dagli altri soggetti sottoposti, ai sensi della vigente legislazio-ne, al controllo della Sezione medesima; la Sezione di controllo sugli enti, per i contratti stipulati dagli enti pubblici assoggettati al suo controllo.

Peraltro, il legislatore, allorquando ha disposto la trasmissione di singoli atti alle sezioni di control-lo, anche laddove non abbia espressamente finalizza-to la trasmissione stessa all’“esercizio del controllo successivo sulla gestione” (così testualmente men-zionato, ad esempio, nell’art. 1, c. 173, l. 23 dicem-bre 2005, n. 266, cfr. anche Corte conti, Sez. autono-mie, delib. 2 marzo 2006, n. 4), non ha, sinora, giam-mai fatto ricorso alla pur sussistente, ma, allo stato, eccezionale, possibilità di (re)introdurre fattispecie di controllo successivo di legittimità su atti; anzi, ha rafforzato, di volta in volta, le funzioni di monitorag-gio (c.d. controllo osservatorio), strumentali all’or-mai ordinario e generalizzato “controllo sulla gestio-ne” di cui alla già citata l. n. 20/1994, istituziona-lizzando quelle forme (originariamente) atipiche di controllo, già note in passato, che si realizzavano at-traverso la comunicazione alla Corte dei conti di al-cuni atti comportanti variazioni di spesa fissa (fogli d’ordine, aumenti di stipendio, variazioni di partite

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pensionistiche) e che, non comportando alcuna mi-sura effettiva, erano ascrivibili alla generica funzio-ne di vigilanza, strumentale al referto al Parlamento, la cui principale espressione si realizza nel potere di chiedere informazioni e documenti (art. 16 r.d. 12 lu-glio 1934, n. 1214).

Si noti che la Sezione autonomie della Corte dei conti, con la già menzionata delib. 2 marzo 2006, n. 4, e, in particolare, nella conclusione delle “Li-nee guida per l’attuazione dell’art. 1, c. 173, l. n. 266/2005 (legge finanziaria 2006) nei confronti delle regioni e degli enti locali”, così si è espressa:

“In sintesi, da questa complessa vicenda normati-va e giurisprudenziale si deve ritenere che:

a) l’obbligo di trasmissione di cui al c. 173 si ap-plica anche alle regioni e agli enti locali, in quanto il rinvio ai cc. 9, 10, 56 e 57 identifica la tipologia de-gli atti da inviare e non i soggetti obbligati e, quin-di, non è invocabile, in questo caso, la norma di sal-vaguardia fissata dai cc. 12 e 64, il cui valore precet-tivo si esaurisce nell’esclusione di tetti e limiti alle spese in questione;

b) la trasmissione riguarda i provvedimenti d’im-pegno o di autorizzazione e gli atti di spesa, questi ultimi solo quando adottati senza un previo provve-dimento;

c) l’obbligo di invio riguarda i provvedimenti e gli atti di cui sopra in quanto comportino, singolar-mente nel loro ammontare definitivo, una spesa ec-cedente i 5.000 euro;

d) l’obbligo si estende anche ai comuni con po-polazione inferiore ai 5.000 abitanti, poiché il c. 173 non ha confermato la esenzione prevista dal non più vigente c. 42 l. n. 311/2004;

e) la trasmissione deve avvenire alla competen-te sezione regionale di controllo della Corte dei con-ti per l’esercizio del controllo sulla gestione da effet-tuare con le modalità e secondo i principi e i procedi-menti propri del controllo medesimo”.

Venendo poi alla disamina della delibera delle Sezioni riunite 27 marzo 2012, n. 9, che ha affron-tato tematiche collegate all’art. 10 del menzionato d.lgs. n. 123/2011, vanno svolte le seguenti, ulterio-ri considerazioni.

Dalla narrativa della predetta deliberazione si apprende, con riferimento all’art. 10, c. 1, d.lgs. n. 123/2011, che “In considerazione della indetermi-natezza dell’indicazione contenuta nella citata nor-ma, che fa genericamente riferimento al ‘competen-te ufficio di controllo della Corte dei conti’, il pre-sidente della Sezione centrale di controllo sulla le-gittimità sugli atti del governo e delle amministra-

zioni dello Stato ha chiesto al presidente della Corte dei conti di sottoporre alle Sezioni riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 6, c. 2, del vigente rego-lamento sull’organizzazione delle funzioni di con-trollo, la questione relativa alla individuazione de-gli uffici destinatari dei provvedimenti di cui tratta-si, questione che potrebbe coinvolgere altre sezio-ni della Corte”.

L’ambito di cognizione devoluto alle Sezioni ri-unite in sede di controllo risulta, quindi, nella fatti-specie, espressamente e specificamente limitato al-la sollevata questione di “competenza”; sicché, l’in-clusione, nella menzionata delib. n. 9/2012, di un obiter dictum (che, peraltro, appare non rispecchia-re l’orientamento già palesato, in consimili casi, dal-le stesse Sezioni riunite in sede di controllo, in par-ticolare, con la citata delib. 27 febbraio 2003, n. 7) – relativo alla riconduzione delle procedure da segui-re presso i “competenti uffici” della Corte dei conti al “controllo di legittimità, seppur successivo” da at-tuare “con le consuete modalità” – anche per la ra-tio e la sede dell’assunzione del deliberato in argo-mento (il quale, comunque, non risulta munito del-la clausola dell’obbligo di conformazione), non ap-pare protesa a vincolare (anche in considerazione di quanto innanzi argomentavasi in ordine all’assenza di una previsione, in tal senso, nella menzionata de-lega contenuta nell’art. 49 l. 31 dicembre 2009, n. 196) all’adozione (né in subiecta materia, né negli analoghi casi nei quali il legislatore non abbia preci-sato la finalità della statuizione normativa previsiva della trasmissione di singoli atti alla Corte dei con-ti), di moduli procedimentali diversi da quello, rife-ribile al controllo successivo sulla gestione, ovvero controllo-referto.

Quanto alle modifiche apportate allo schema di decreto legislativo, poi esitato nel d.lgs. n. 123/2011, proposte dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede consultiva (delib. 20 giugno 2011, n. 2), va os-servato che le Sez. riun. con delib. n. 9/2012 hanno fatto riferimento a quella relativa all’originaria for-mulazione dell’art. 10, c. 1, dello schema di decreto legislativo in esame.

In particolare, nella predetta delib. n. 2/2011, può leggersi al riguardo, dopo il “nulla da osservare” ri-ferito all’art. 9: “Art. 10: (Effetti delle osservazio-ni). Comma 1: si suggerisce, nell’ultimo periodo, di sostituire le parole ‘ne informa il’ con le parole ‘tra-smette l’atto, corredato delle osservazioni e della re-lativa documentazione al”.

Nessun’altra considerazione, osservazione o ana-lisi hanno svolto, su detta norma, le predette Sezio-

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ni riunite in sede consultiva, né, in particolare, si rin-viene, nel testo della su richiamata delib. n. 2/2011, alcun riferimento ad un mutamento della finalità del flusso informativo previsto dal c. 1 del menzionato art. 10, del quale vengono, in buona sostanza, me-ramente, quanto opportunamente, specificate, con completezza, le modalità attuative.

La suggerita sostituzione, peraltro, è stata poi ef-fettivamente operata dal legislatore delegato, ed è confluita nel testo della norma.

Tale testo, dunque, in parte qua, non è stato mo-dificato nell’essenza del proprio originario contenu-to precettivo, né, tantomeno, può ritenersi che, nel-lo stesso, sia stato sostituito l’organo destinatario del precetto: quest’ultimo, infatti, è e resta, il compe-tente ufficio di controllo della ragioneria, e giammai è divenuto il “competente ufficio di controllo del-la Corte dei conti”, che è e resta l’organo meramen-te destinatario dell’attività allegativa comandata alla ragioneria, al quale, pertanto, non risultano ivi attri-buite ulteriori funzioni o competenze.

Né, comunque, le Sezioni riunite in sede di con-trollo avrebbero mai potuto sostituirsi al legislatore delegante, individuando eventuali esigenze di con-trollo non prese in considerazione (anzi, escluse) nel-la legge delega, e, conseguentemente, non recepite, né recepibili nel decreto delegato in argomento (del resto, in direzione esattamente opposta appare muo-versi l’ulteriore sostituzione, proposta dalle Sezioni riunite in sede consultiva di questa Corte, e recepi-ta dal legislatore delegato, per la quale, al testo ori-ginario dell’art. 18, che prevedeva la trasmissione di una relazione annuale sull’esito del controllo da par-te dell’ufficio di ragioneria, si è suggerito di sostitu-ire le parole “alla competente sezione del controllo della Corte dei conti” con le più generiche parole “al-la Corte dei conti”: cfr. delib. n. 2/2011 cit.).

Ed invero, può essere, infine, interessante nota-re quanto dispongono i primi due commi dell’art. 18 d.lgs. n. 123/2011 (riferito ad adempimenti da ese-guire da parte degli uffici di ragioneria):

“Art. 18 (Relazione annuale sull’esito del controllo)1. Gli uffici di controllo, entro il mese di febbra-

io di ciascun anno, trasmettono alla amministrazio-ne interessata una relazione sintetica sulle principa-li irregolarità riscontrate nell’esercizio del controllo preventivo e successivo relativo all’anno precedente, con una elencazione dei casi in cui non è stato appo-sto il visto di regolarità.

2. La relazione di cui al c. 1 è inviata anche al-la Corte dei conti, nonché all’Ispettorato generale di finanza.”

È evidente che tale riepilogativa relazione assu-me funzione di ausilio e di collaborazione proprio nella prospettiva del controllo sulla gestione ovvero di referto, non potendosi altrimenti collocare le pre-dette disposizioni in un’ottica di controllo di legitti-mità parcellizzato ed esercitato singulatim.

P.q.m., la Sezione regionale di controllo per la Campania, accerta non doversi esercitare, presso la Sezione medesima, il controllo successivo di legit-timità sugli atti pervenuti ai sensi dell’art. 10, c. 1, d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123, e, in particolare, sui decreti n. 5 e n. 6, emessi in data 6 ottobre 2014 dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turi-smo – direzione generale di progetto – Grande pro-getto Pompei.

* * *

Friuli-Venezia Giulia

51 – Sezione controllo Regione Friuli-Venezia Giu-lia; parere 21 maggio 2015; Pres. Chiappinelli, Rel. Martorana; Regione autonoma Friuli-Vene-zia Giulia.

Regioni a statuto speciale – Friuli-Venezia Giu-lia – Personale degli enti locali – Contenimen-to della spesa – Patto di stabilità interno – At-tuazione nella Regione Friuli-Venezia Giulia – Modalità – Disciplina di fonte statale e di fon-te regionale – Norme statali di coordinamento della finanza pubblica – Applicazione diretta nell’ordinamento regionale.

L. cost. 31 gennaio 1963 n. 1, Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, 54; d.lgs. 2 gennaio 1997 n. 9, norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giu-lia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, art. 9; l. 27 dicembre 2006 n. 296, disposizioni per la formazione del bilancio plu-riennale ed annuale della Regione (legge finanziaria 2007), art. 1; l. reg. Friuli-Venezia Giulia, 28 dicem-bre 2007 n. 30, legge strumentale alla manovra di bilancio, art. 1; l. reg. Friuli-Venezia Giulia, 30 di-cembre 2008 n. 17, disposizioni urgenti per la forma-zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009), art. 12; d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010 n. 122, misure urgenti in materia di stabilizza-zione finanziaria e competitività economica, artt. 9, 14; d.l. 24 giugno 2014 n. 90, convertito con modifi-cazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 114, misure urgen-

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ti per la semplificazione e la trasparenza amministra-tiva e per l’efficienza degli uffici giudiziari, art. 3; l. reg. Friuli-Venezia Giulia 26 giugno 2014 n. 12, mi-sure urgenti per le autonomie locali.

Posto che la spesa per il personale degli enti ter-ritoriali costituisce una componente di particolare rilevanza del patto di stabilità interno, nella Regio-ne Friuli-Venezia Giulia (come nelle altre regioni a statuto speciale) le limitazioni di spesa stabilite dal-la legge statale alla spesa per il personale dei men-zionati enti trovano applicazione mediante le proce-dure pattizie previste dalle norme di attuazione sta-tutaria, nonché attraverso le norme di legge regio-nale che definiscono le forme e i modi per conse-guire il rispetto di quelle limitazioni; peraltro, i li-miti alle assunzioni (e le relative deroghe) stabiliti dall’art. 3, c. 5, d.l. n. 90/2014 (convertito dalla l. n. 114/2014) e, in genere, dalla legislazione statale, in quanto principi generali di coordinamento della fi-nanza pubblica estranei al patto di stabilità, sono di-rettamente applicabili nell’ordinamento della regio-ne, anche in virtù del rinvio dinamico operato dalla l. reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12/2014 alla discipli-na di fonte statale.

Merito – 1. La regione pone a questa Sezione un’articolata richiesta di indirizzi interpretativi in merito al complesso di norme che dettano la disci-plina della spesa di personale per gli enti locali del-la regione soggetti alle regole del patto di stabilità, in particolare con riferimento all’opzione ermeneu-tica consentita dal contesto ordinamentale e norma-tivo di riferimento, quale in dettaglio verrà ricostrui-to nel prosieguo del presente parere, in ragione della interconnessione della detta disciplina con la norma-tiva di fonte statale sui limiti alle facoltà assunziona-li dei medesimi enti, nonché della concorrenza – nel-le materie considerate – di potestà normative intesta-te al legislatore statale e a quello regionale.

Ritiene il collegio di dover premettere alcune no-tazioni ricognitive dell’evoluzione normativa susse-guitasi nelle materie considerate, in quanto prodro-miche a un corretto inquadramento della fattispe-cie complessiva, da ultimo incisa, sul versante del-la legislazione di fonte regionale, dalla l. reg. 26 giu-gno 2014, n. 12 (art. 4), nonché, sul versante della legislazione di fonte statale, dal d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla l. 11 ago-sto 2014, n. 114 (in particolare, art. 3, c. 5). Con ri-guardo alle discipline rilevanti in materia di vincoli e obiettivi derivanti dal patto di stabilità interno, de-ve ricordarsene la funzionalizzazione, più volte af-

fermata dalla Corte costituzionale, alla finalità del contenimento della spesa pubblica (cfr., ex plurimis, Corte cost., 1 aprile 2001, n. 108).

In tale prospettiva gli enti locali “sono chiamati a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di fi-nanza pubblica, assunti in sede europea per garantire il rispetto del patto di stabilità e crescita” e “a tal fine … sono assoggettati alle regole del cosiddetto ‘patto di stabilità interno’, che, da un lato, indicano ‘limiti complessivi di spesa’ e, dall’altro, prevedono sanzio-ni volte ad assicurar[ne] il rispetto” (cfr. Corte cost., 28 aprile 2011, n. 155).

Ricordato, ulteriormente, che la spesa di persona-le, per la sua importanza strategica ai fini dell’attua-zione del patto di stabilità interno (data la sua rilevan-te entità), costituisce una componente di particolare rilevanza (cfr. in tal senso Corte cost., n. 169/2007, n. 69/2011, n. 289/2013 e n. 54/2014), può agevolmen-te intendersi come tra gli obiettivi posti dal legisla-tore (regionale, per quel che qui interessa) in tema di obiettivi e vincoli inerenti al rispetto del patto di sta-bilità rientrino senz’altro, in quanto, appunto, con-vergenti verso le medesime finalità di contenimento della spesa pubblica, le previsioni in materia di spesa per il personale, sia in un’ottica di sostenibilità com-plessiva, sia con riguardo specifico all’obiettivo del-la progressiva riduzione della medesima.

Ciò posto, non può tuttavia tacersi la non com-pleta sovrapponibilità delle normative vincolistiche sul patto di stabilità e sul governo della spesa del per-sonale, anche solo limitatamente al settore degli en-ti locali.

Si osservi al riguardo che mentre la normativa sul patto di stabilità è diretta a tipologie e classi di en-ti locali ben individuate (sulla base del criterio del dimensionamento demografico), non altrettanto può dirsi per gli obblighi/obiettivi relativi al contenimen-to-riduzione della spesa per il personale, estesi a tut-te le amministrazioni locali (vedasi in tal senso art. 1, c. 562, l. n. 296/2006, nonché art. 12, cc. 28 ss., l. reg. n. 17/2008) (sul punto, v. anche Sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giulia, n. 72/2009).

In tal senso, mentre costituisce dato desumibile dal diritto positivo l’interconnessione tra le normati-ve sul patto di stabilità e quelle sul contenimento del-la spesa di personale per gli enti territoriali che sog-giacciano al primo, può similmente desumersi dal complesso delle disposizioni dirette al governo del-la spesa del personale pubblico, e segnatamente di quello alle dipendenze degli autonomie locali, una latitudine più ampia delle seconde (le norme di con-tenimento della spesa di personale) rispetto alle pri-

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me, essendo dirette anche alle autonomie locali non soggette ai vincoli del patto di stabilità, per le quali valgono disposizioni (altre rispetto a quelle valevoli per gli enti soggetti al patto di stabilità) comunque fi-nalizzate a obiettivi di contenimento e riduzione del-la spesa del personale.

2.1. Venendo a considerare, nello specifico, le di-sposizioni relative al patto di stabilità, è noto che per il Friuli-Venezia Giulia il concorso agli obiettivi di finanza pubblica in termini di saldo netto da finanzia-re e di indebitamento netto è definito in sede pattizia, attraverso apposito accordo sottoscritto tra il Presi-dente del Consiglio dei ministri il Ministro dell’eco-nomia e finanze e il presidente della Regione Friu-li-Venezia Giulia.

I relativi contenuti vengono poi trasfusi nell’an-nuale legge di stabilità. Per gli anni dal 2014 al 2017 tale concorso è definito ai cc. 512-523 dell’art. 1 del-la l. 23 dicembre 2014, n. 190.

In ragione e in forza di tale regime pattizio è la stessa regione a dettare, con proprie norme, le regole, gli obiettivi, i vincoli e correlate sanzioni inerenti al patto di stabilità per il sistema dei propri enti locali.

In tal senso si richiamano le previsioni dell’art. 3, c. 48, l. reg. n. 1/2007, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale del-la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (legge fi-nanziaria 2007)”, secondo cui “Al fine di contribui-re al perseguimento degli obiettivi in materia di pat-to di stabilità e di contenimento della spesa pubbli-ca, come concordati tra Stato e regione nell’ambito dell’annuale stipula del patto medesimo, l’ammini-strazione regionale (…), individua, con regolamento, gli enti locali tenuti al rispetto dello stesso e determi-na (…) i vincoli, i criteri e le modalità per il loro con-corso al perseguimento dei citati obiettivi”.

L’art. 1, c. 67, l. reg. n. 30/2007 (legge strumenta-le 2008) ha previsto, con efficacia dall’anno 2007, la funzionalizzazione della dinamica della spesa di per-sonale al perseguimento dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno per gli enti locali della regione ad esso soggetti. Si è inteso con tale intervento elevare al rango di norma regionale quanto già previsto con mera fonte regolamentare (v. d.p.reg., n. 64/2007).

Con ulteriore intervento normativo la regione ha poi definito la disciplina sul contenimento della spe-sa di personale all’art. 12 l. reg. n. 17/2008, recan-te “Disposizioni per la formazione del bilancio plu-riennale ed annuale della regione (legge finanziaria 2009)”.

Il c. 25 dell’art. 12 cit., nel testo ad oggi vigente, come, da ultimo, modificato dall’art. 14, c. 26, l. reg.

n. 27/2014, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale – legge finanziaria 2015 – dispone che “Ai fini del raggiungimento de-gli obiettivi di finanza pubblica derivanti dagli obbli-ghi comunitari e dai principi di coordinamento del-la finanza pubblica, gli enti cui si applicano le regole del patto di stabilità, che presentano come media del triennio 2011-2013 un rapporto tra spesa di persona-le e spesa corrente superiore al 30 per cento, assicu-rano per ogni anno del triennio 2015-2017 il conte-nimento della spesa di personale, rispetto al valore medio del triennio 2011-2013, al lordo degli oneri ri-flessi a carico delle amministrazioni e dell’Irap, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retribu-tiva e occupazionale. La percentuale di cui al primo periodo è elevata al 35 per cento per i comuni indivi-duati quali gestori del servizio sociale dei comuni, di cui alla l. reg. 31 marzo 2006, n. 6 (Sistema integra-to di interventi e servizi per la promozione e la tute-la dei diritti di cittadinanza sociale), nonché per i co-muni nel cui territorio vi siano siti dichiarati dall’U-nesco patrimonio dell’umanità. Ai fini dell’applica-zione del presente comma, costituiscono spese di personale, oltre quelle iscritte all’intervento 1 del ti-tolo I della spesa corrente, anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuati-va, per la somministrazione di lavoro, per il persona-le di cui all’art. 110 d.lgs. n. 267/2000”.

Sulla base del riscostruito quadro normativo re-gionale, l’amministrazione regionale ritiene che ri-sulti definito in maniera autonoma, nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica, il concorso dell’intero sistema delle autonomie locali della regione al raggiungimento degli obblighi posti allo Stato a livello comunitario, così garantendo al-le autonomie locali medesime certezza in ordine al-le norme applicabili in materia di contenimento del-la spesa di personale.

2.2. Per poter rispondere compiutamente alle ri-chieste dell’ente, ritiene il collegio di dover procede-re a un’analisi comparata del complesso delle nor-mative di fonte statale incidenti in subiecta materia.

Come noto, il testo attualmente vigente del c. 557 dell’art. 1, l. 27 dicembre 2006, n. 296, è la risultan-te di numerosi e stratificati interventi di modifiche normative, inseriti, con la tecnica della novellazione, da complessi normativi omnibus, non specificamente destinati alla materia del personale.

Nel dettaglio, il testo, già sostituito dal c. 7 dell’art. 14 d.lgs. 31 maggio 2010, n. 78, converti-to con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122,

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è stato, da ultimo, richiamato dal c. 5 dell’art. 3 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazio-ni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114. Questa la portata letterale del disposto normativo: “Ai fini del concor-so delle autonomie regionali e locali al rispetto de-gli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale (…) garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, con azio-ni da modulare nell’ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento:

a) riduzione dell’incidenza percentuale delle spe-se di personale rispetto al complesso delle spese cor-renti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile;

b) razionalizzazione e snellimento delle struttu-re burocratico-amministrative, anche attraverso ac-corpamenti di uffici con l’obiettivo di ridurre l’inci-denza percentuale delle posizioni dirigenziali in or-ganico;

c) contenimento delle dinamiche di crescita del-la contrattazione integrativa, tenuto anche conto del-le corrispondenti disposizioni dettate per le ammini-strazioni statali”.

Il successivo c. 557-bis, aggiunto dall’art. 14, c. 7, d.l. n. 78/2010 cit., qualifica le spese di persona-le rilevanti ai fini della verifica del rispetto delle di-sposizioni dettate al precedente comma, in particola-re includendovi anche quelle sostenute per i rappor-ti di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale dirigen-ziale a contratto di cui all’art. 110 Tuel, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzio-ne del rapporto di pubblico impiego, in strutture e or-ganismi partecipati facenti comunque capo all’ente.

Il successivo c. 557-ter, anch’esso aggiunto dall’art. 14, c. 7, d.l. n. 78/2010 prevede la sanzio-ne del divieto assoluto di assunzione per gli enti che non risultino in regola con gli obiettivi di conteni-mento della spesa.

Da ultimo, un ulteriore c. 557-quater, per come introdotto dal c. 5-bis dell’art. 3 d.l. n. 90/2014, di-spone testualmente che “ai fini dell’applicazione del c. 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti assicura-no, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spe-se di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore del-la presente disposizione”.

Sulla norma è già intervenuta, con pronuncia avente valore nomofilattico per le sezioni regio-

nali di controllo di questa Corte dei conti, ai sensi dell’art. 6, c. 4, d.l. n. 174/2012, la Sezione autono-mie, che ha avuto modo di osservare come “La nor-ma, nel dichiarato intento di conferire maggiore fles-sibilità al turn over, specifica espressamente la base di spesa da prendere a riferimento ai fini della ridu-zione della spesa di personale, colmando così quella lacuna legislativa, presente nel c. 557, che aveva in-dotto la Sezione (12 gennaio 2010, n. 2 e 29 genna-io 2010, n. 3) a individuare in via pretoria il parame-tro di raffronto nella spesa dell’esercizio precedente, in modo tale da garantirne una diminuzione in ter-mini costanti e progressivi, di anno in anno, coeren-temente con il vigente quadro normativo che impo-ne la programmazione dei fabbisogni e l’ottimizza-zione delle risorse disponibili” (cfr. Sez. autonomie, n. 25/2014).

Appare rilevante, da ultimo, l’intervento del le-gislatore del più volte citato d.l. n. 90/2014 che ha espunto dall’ordinamento statale la norma sanzio-natoria originariamente introdotta dall’art. 76, c. 7, d.l. n. 112/2008, che poneva un vincolo assoluto al-le facoltà assunzionali degli enti nei quali l’inciden-za percentuale della spesa di personale fosse superio-re al parametro del 50 per cento della spesa corren-te, parametro poi portato al 40 per cento dall’art. 14, c. 9, d.l. n. 78/2010.

Un obbligo di contenimento della spesa di perso-nale parametrato al totale della spesa corrente risul-ta tuttora vigente per gli enti locali del Friuli-Venezia Giulia, alla luce del disposto c. 25 dell’art. 12 l. reg. n. 17/2008, che àncora al 30 per cento il detto para-metro, prevedendo altresì una percentuale più favo-revole (pari al 35 per cento) per talune, individuate tipologie di comuni.

Proseguendo, ancora, nella disamina della nor-mativa di fonte statale, può osservarsi che il c. 5-qua-ter dell’art. 3 d.l. n. 90/2014, come introdotto dalla relativa legge di conversione, ha spostato sull’am-piezza delle facoltà assunzionali degli enti il raccor-do con un indicatore parametrico dell’incidenza del-la spesa di personale rispetto al totale della spesa cor-rente. Prevede infatti il comma citato che “Fermi re-stando i vincoli generali sulla spesa di personale, gli enti indicati al c. 5, la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente è pari o inferiore al 25 per cento, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a decorrere dall’1 gennaio 2014, nel limite dell’80 per cento della spesa relativa al perso-nale di ruolo cessato dal servizio nell’anno preceden-te e nel limite del 100 per cento a decorrere dall’an-no 2015”.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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In esito alla ricognizione delle normative di fon-te statale e regionale ad oggi vigenti in materia di governo della spesa di personale può osservarsi una non più compiuta concordanza tra le diverse discipli-ne, sintomatica di una tendenza evolutiva della nor-mativa di fonte statale che sposta l’asse dell’azione di contenimento e regolamentazione dal vincolo sul-la spesa a quello sulle assunzioni, modificando signi-ficativamente il panorama normativo entro il quale si era sin qui operato.

In tale ordine di considerazioni è dato all’inter-prete anche di valutare l’incidenza sempre più rile-vante e articolata che nella produzione normativa statale vanno assumendo le disposizioni aventi va-lenza di principi di coordinamento della finanza pub-blica, nonché, in ultimo, la stretta interconnessione esistente tra norme sulla spesa e disposizioni inci-denti sulle facoltà assunzionali degli enti, tema su cui questa Sezione si è già pronunciata in altro preceden-te parere (v. Sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giulia, n. 18/2015).

In tale sede, originata dall’esigenza di definire un raccordo tra le previsioni della recente l. reg. n. 12/2014, in quanto derivante dalla necessità di ade-guarsi alla pronuncia Corte cost. n. 54/2014, è sta-to osservato che, attraverso il rinvio “dinamico” al-le fonti statali di produzione di discipline in materia di limiti alle assunzioni degli enti locali della regio-ne e relative ipotesi di deroga, le disposizioni poste dal d.l. n. 90/2014, in materia di limiti assunziona-li, “fanno sistema” e trovano applicazione con rife-rimento alle amministrazioni del comparto unico del Friuli-Venezia Giulia in coerenza con le previsioni di cui all’art. 4, c. 2, l. reg. n. 12/2014.

In questo senso deve ritenersi che il rimando a ta-li discipline non possa ritenersi limitato a quelle di-sposizioni del d.l. n. 78/2010 la cui violazione è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale nella senten-za n. 54/2014, ma debba estendersi ai principi fun-zionali al raggiungimento dell’obiettivo del conteni-mento della spesa pubblica, derivanti dall’apparte-nenza dell’Italia all’Ue.

Alla luce della ricostruzione che precede, può es-sere affermato che, per le amministrazioni del com-parto unico del Friuli-Venezia Giulia le disposizioni poste dal d.l. n. 90/2014, in materia di limiti assun-zionali, trovano applicazione e sono richiamate dal-le previsioni di cui all’art. 4, c. 2, l. reg. n. 12/2014.

Si tratta, infatti, di disposizioni che estendono al concorso delle autonomie regionali e locali il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, da realizzarsi, per gli enti sottoposti al patto di stabilità interno, vincoli

alle facoltà assunzionali, destinati a produrre la ridu-zione delle spesa di personale.

Utili elementi, atti a suffragare tale esito erme-neutico, possono essere desunti dalla nutrita serie di pronunce costituzionali in materia. La Corte costitu-zionale, infatti, ha avuto modo di affermare che co-stituiscono principi fondamentali, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, quelle nor-me che risultino ispirate alla finalità di contenimen-to della spesa pubblica, in quanto pongono obietti-vi di riequilibrio, senza peraltro prevedere strumen-ti e modalità per il perseguimento dei medesimi (cfr. Corte cost., n. 108/2011, n. 148/2012 e n. 289/2013).

La Corte costituzionale, nella sentenza citata, nonché richiamando le precedenti, conformi pronun-ce n. 169/2007 e n. 69/2011, ha poi ulteriormente os-servato che “la spesa per il personale, per la sua im-portanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interno (data la sua rilevante entità) co-stituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte corren-te, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamen-tale della legislazione statale”.

Possono qui richiamarsi le notazioni già articolate da questa Sezione circa la “eterodeterminazione” (di parte) degli obiettivi regionali di finanza pubblica at-traverso quelle disposizioni di legge statale dettate, a partire dal d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, recanti una molteplicità di misure finanziarie a carico della re-gione e finalizzate a delimitare la sua capacità di spe-sa, in quanto tali da ascriversi alla finalità generale di un suo coinvolgimento nel perseguimento degli obiet-tivi di finanza pubblica, in particolare, in termini di ri-duzione dell’indebitamento netto (v. Sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giulia, n. 118/2014 – Giudizio di pari-ficazione sul rendiconto dell’esercizio 2013).

La sopra individuata eterodeterminazione par-ziale degli obiettivi di finanza pubblica trova fonda-mento nei principi ripetutamente affermati dalla Cor-te costituzionale, secondo i quali, per un verso, la fi-nanza delle autonomie differenziate ricade nell’alveo della “finanza pubblica allargata”, dovendone quin-di condividere, in linea di principio, regole e obietti-vi, e, per altro verso, incardina l’intervento dello Sta-to, per come volto a contenere la spesa delle auto-nomie territoriali speciali, in disposizioni di princi-pio, finalizzate al coordinamento della finanza pub-blica ai sensi dell’art. 117, c. 3, Cost., o all’attuazio-ne della l. 5 maggio 2009, n. 42, in relazione al suc-cessivo art. 119.

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La Corte, invero, afferma l’estensione dei prin-cipi del coordinamento della finanza pubblica anche agli enti territoriali ad autonomia differenziata, “non potendo dubitarsi che anche la loro finanza sia par-te della ‘finanza pubblica allargata” (cfr. Corte cost., n. 296/2006, nonché n. 139/2012, nella parte in cui precisa che: “La giurisprudenza di questa Corte è co-stante nell’affermare che anche gli enti ad autonomia differenziata sono soggetti ai vincoli legislativi deri-vanti dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica”).

Alla luce delle osservazioni che precedono deve concludersi che la prospettazione adottata dalla re-gione e trasfusa nella nota circolare interna, che ap-pare imperfetta nella parte in cui pone in rapporto di consequenzialità le norme di fonte regionale che sta-biliscono tetti alla spesa di personale rispetto alle di-sposizioni statali sui vincoli alle facoltà assunzionali, deve correttamente interpretarsi nel senso che il si-stema di discipline applicabili in materia di governo della spesa per il personale agli enti locali del Friu-li-Venezia Giulia soggetti al patto di stabilità risul-terà definito dalla normativa di fonte regionale che detta le relative norme di contenimento (id est l’art. 12, c. 25, l. reg. n. 17/2008), dalla normativa di fonte statale in materia di limiti assunzionali e relative fat-tispecie di deroga (id est le disposizioni dell’art. 3, c. 5, d.l. n. 90/2014), in virtù del rinvio dinamico ope-rato dalla l. reg. n. 12/2014, in conformità ai principi di coordinamento della finanza pubblica.

Coerente con le superiori notazioni appare la pro-spettazione di un sistema “binario” delle discipline vincolistiche in materia di personale, articolato sia sul versante della spesa che su quello delle facoltà assunzionali (cfr., in tal senso, Sez. autonomie, n. 25/2014).

In tali termini il collegio ritiene che la prospetta-zione dell’ente regionale, quale posta a fondamento della circolare interpretativa diramata agli enti loca-li soggetti al patto di stabilità regionale, sia coerente con il quadro ordinamentale complessivo, come so-pra delineato.

2.3. Tanto definito, reputa opportuno il colle-gio svolgere ulteriori considerazioni di carattere si-stematico, atte a fornire utili elementi in chiave in-terpretativa, propedeutici a una corretta applicazio-ne delle articolate normative incidenti nella materia trattata.

In chiave sistematica, richiamato nuovamente qui quanto dianzi osservato, circa la necessaria sus-sunzione nel novero degli obiettivi inerenti al rispet-to del patto di stabilità interno, convergenti verso le

medesime finalità di contenimento della spesa pub-blica complessiva, anche le previsioni in materia di spesa per il personale, sia in un’ottica di sostenibili-tà complessiva, sia con riguardo specifico all’obiet-tivo della progressiva riduzione della medesima, si possono formulare le seguenti notazioni in ordine, appunto, alle previsioni in materia di disciplina vin-colistica e di facoltà assunzionali applicabili al si-stema degli enti locali della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Possono, in tale ottica, individuarsi (almeno) tre serie di norme:

1) una prima serie di norme pone obiettivi di con-tenimento dell’aggregato “Spesa di personale” per gli enti locali sia soggetti al patto di stabilità inter-no (ad esempio il c. 557 art. 1 l. n. 296/2006 e c. 25 art. 12 l. reg. n.17/2008) che non soggetti (ad esem-pio c. 562 l. n. 296/2006). Per gli enti locali del Friu-li-Venezia Giulia – in ragione del regime pattizio va-levole tra Stato e regione ai fini della determinazio-ne del concorso della seconda agli obiettivi del patto di stabilità interno discendente dagli obblighi facenti capo all’Italia in forza della sua appartenenza all’Ue – detti obiettivi sono fissati dal legislatore regionale;

2) una seconda serie contempla norme preordi-nate a definire le facoltà assunzionali degli enti loca-li in regola con le norme sui vincoli del patto di sta-bilità interno e con quelle di contenimento della spe-sa di personale (per gli enti locali del Friuli-Vene-zia Giulia, ripetesi, di fonte regionale): tali facoltà, o, meglio, i limiti alle dette facoltà, con le correlate fat-tispecie di deroga, sono, per espresso rinvio dell’art. 4, c. 2, l. reg. n. 12/2014, rimesse alla potestà del le-gislatore statale;

3) ulteriori norme, correlate alle ultime descritte, e perciò stesso ad esse assimilabili quanto all’indivi-duazione della fonte di produzione normativa, pon-gono tetti di spesa (rectius limitazioni al tetto di spe-sa) per gli enti in regola con l’obbligo di riduzione della spesa di personale. Così la norma di cui all’art. 9, c. 28, d.l. n. 78/2010 su cui, come innanzi ricor-dato, è intervenuta la delibera della Sezione autono-mie n. 2/2015.

Si tratta di norma per la quale è intervenuto in regione l’adeguamento con l’art. 4, c. 2, l. reg. n. 12/2014.

3. Da ultimo, per quanto non strettamente richie-sto nell’odierna richiesta di parere, ritiene il colle-gio che ragioni di completezza espositiva come pu-re di coerenza sistematica suggeriscano di richiama-re in questa sede, come ulteriore elemento atto a di-spiegare effetti sulla gestione del personale pubbli-

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co e, dunque, sulla relativa spesa, anche le tipologie di mobilità obbligatoria per legge, di recente intro-dotte nell’ordinamento statale, pure esse funzionali a obiettivi di contenimento e, insieme, qualificabili co-me vincolo alle facoltà assunzionali degli enti.

Ci si riferisce, in particolare, alla fattispecie con-templata al c. 424 l. 23 dicembre 2014, n. 190 – leg-ge di stabilità per il 2015 – sulla mobilità obbligato-ria del personale eccedentario, tenuto peraltro conto del quadro regionale di riforma del sistema delle au-tonomie locali.

Dalla disciplina testé ricordata è possibile desu-mere come anche l’istituto della mobilità, da misu-ra essenzialmente funzionale a processi di ottimizza-zione del lavoro pubblico, risulti nelle recenti dispo-sizioni introdotte dal legislatore statale prioritaria-mente destinata a incidere sulle facoltà assunziona-li degli enti destinatari delle relative discipline nor-mative, in un’ottica complessivamente finalizzata al contenimento dell’onere finanziario sostenibile dagli enti a titolo di spesa per il personale.

68 – Sezione controllo Regione Friuli-Venezia Giu-lia; deliberazione 29 giugno 2015; Pres. e Rel. Chiappinelli.

Contabilità regionale e degli enti locali – Regioni a statuto speciale – Friuli-Venezia Giulia – Se-zione regionale della Corte dei conti – Rappor-to 2014 sul coordinamento della finanza pub-blica regionale.

D.lgs. 23 giugno 2011 n. 118, disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli sche-mi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei lo-ro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009 n. 42; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012 n. 213, disposizioni urgenti in materia di finanza e funziona-mento degli enti territoriali, nonché ulteriori dispo-sizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, art. 1; d.lgs. 10 agosto 2014 n. 126, disposizio-ni integrative e correttive del d.lgs. 23 giugno 2011 n. 118, recante disposizioni in materia di armonizza-zione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009 n. 42;

La Sezione di controllo della Corte dei conti per il Friuli-Venezia Giulia ha deliberato il Rapporto 2014 sul “coordinamento della finanza pubblica re-gionale”.

Il rapporto ha lo scopo di valutare gli esiti del-

le politiche di bilancio regionali, anche nella loro estensione agli enti locali (che compongono, con la regione, il “sistema integrato della finanza pubbli-ca regionale”), onde fornire il quadro dei risultati e delle problematiche che, in settori-chiave dell’inter-vento regionale, hanno investito, nell’esercizio 2014, la finanza della regione e degli enti locali del Friu-li-Venezia Giulia; sono formulate, altresì, proiezio-ni al 2015.

Sul piano metodologico, il rapporto opera una razionalizzazione degli adempimenti di controllo ri-chiesti alla Corte dei conti dalle disposizioni di cui all’art. 1 d.l. n. 174/2012 (cc. 3, 4 e 6, sul bilan-cio di previsione, sul sistema dei controlli interni, sul rendiconto approvato con legge regionale), rac-cogliendo in un unico contesto gli esiti dei menzio-nati controlli, accomunati dal fatto che l’art. 1 d.l. n. 174/2012 cit. impegna i presidenti delle regioni a proprie relazioni sia sui bilanci preventivi annuali e pluriennali e sui rendiconti delle regioni, sia sul si-stema dei controlli interni.

Una particolare attenzione è dedicata, da un la-to, al processo in atto per l’armonizzazione del siste-ma di bilancio regionale alle disposizioni in mate-ria di armonizzazione dei bilanci pubblici (di cui al d.lgs. n. 118/2011 e al d.lgs. n. 126/2014); dall’altro lato, all’accordo, disciplinato dalla legge di stabilità 2015, che regola i rapporti finanziari fra Stato e re-gione, anche con riguardo al patto di stabilità inter-no, con l’obiettivo di conferire certezza e stabilità a tali rapporti nel medio periodo.

Con riferimento alle società partecipate dalla re-gione, il rapporto sottolinea la necessità che la re-gione disponga di un quadro finanziario-contabile il più possibile chiaro e aggiornato, per poter disporre degli elementi necessari a valutare le condizioni che rendono conveniente o, viceversa, antieconomica la conservazione delle partecipazioni.

La relazione richiama, infine, l’attenzione sul-la necessità di porre in essere un efficace sistema di controlli interni regionali, che dovrebbe giovar-si, fra l’altro, di indicatori adeguati alla valutazio-ne economico-finanziaria delle gestioni regionali e locali. (1)

1.1. Oggetto e finalità del rapportoIn coerenza e attuazione di quanto deliberato

nel “Programma delle attività di controllo per l’an-no 2015” (delib. n. 13/2015), il presente Rapporto

(1) Il testo integrale del Rapporto 2014 verrà pubblicato in Rivista web Corte conti, fasc. n. 6/Novembre 2015, www.ri-vistacorteconti.it.

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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sul “coordinamento della finanza pubblica regiona-le” muove da una duplice, convergente finalità.

Per un verso, esso risponde all’esigenza di sem-plificazione e razionalizzazione degli adempimenti riconducibili alle disposizioni di cui all’art. 1 d.l. n. 174/2012 (cc. 3, 4 e 6, sul bilancio di previsione, sul sistema dei controlli interni, sul rendiconto approva-to con legge) unificando, anche alla luce della sen-tenza n. 39/2014 della Corte costituzionale, la ratio sottesa alla pluralità dei controlli indicati. Tali dispo-sizioni, come è noto, impegnano i presidenti delle re-gioni a una propria relazione sia per quanto riguarda i bilanci preventivi annuali e pluriennali e i rendicon-ti delle regioni, sia per il sistema dei controlli interni.

Tale istanza di semplificazione si coniuga alla fi-nalità prioritaria – ancorata al dato normativo e alla evoluzione complessiva del sistema – di fornire un quadro sintetico, ma attualizzato, ai fini del coordi-namento della finanza pubblica regionale. Si è così inteso prefigurare un semplificato rapporto a carat-tere sperimentale sul bilancio di previsione, sul si-stema dei controlli interni, sul rendiconto approva-to con legge, cui riferire in coerenza letterale e siste-mica anche i profili finanziari desumibili con riguar-do agli organismi partecipati ed al consolidamento dei dati contabili in sanità (che sono, come noto, pie-namente conoscibili solo in momento successivo al-la parificazione).

Si tratta di un primo rapporto, fondato sulla nor-mativa citata, che – come evidenziato più in dettaglio in prosieguo – da un lato sconta le generali e ancora insufficienti modalità conoscitive esistenti, dall’altro intende offrire un contributo inteso a inquadrare in una prospettiva più ampia le specificità del sistema regionale, anche evidenziando taluni punti di forza e di criticità emergenti nel complessivo percorso di ar-monizzazione dei bilanci pubblici e di raccordo tra banche dati.

Nella particolarità ordinamentale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia acquista inoltre ri-lievo particolare il peso della finanza locale (2), le cui risultanze appaiono rilevanti sul piano quan-titativo e nel contempo qualificanti la peculiarità del presente rapporto, ispirato a un’ottica incentrata sul-la stessa concreta declinazione del sistema regiona-

(2) Cfr. gli artt. 4, cc. 1, 1-bis, e 54 dello Statuto, nonché l’art. 9 d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia in mate-ria di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscri-zioni) e gli artt. 42 ss. l. reg. Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema regio-ne-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia).

le integrato. Va al riguardo osservato che il sistema, in base al recente accordo tra regione e Stato (3) “trova immediata applicazione anche limitatamente alla regione e agli enti locali del proprio territorio e loro forme associative, con riferimento alle misu-re di contenimento della spesa previste dalla legisla-zione statale”.

In questa prospettiva si è inteso dunque valoriz-zare, in una lettura unitaria e sistematica, la ratio sot-tesa alla disciplina di cui ai citati cc. 3, 4 e 6, dell’art. 1 del d.l. n. 174/2012, semplificandone e raziona-lizzandone la pluralità di adempimenti in coeren-za all’obiettivo volto ad enucleare coerenti e diffe-renziate scansioni nell’unitario percorso di control-lo a garanzia degli equilibri degli enti e ad ausilio dell’amministrazione. E ciò nel più ampio orizzon-te del complessivo sistema regionale, comprensivo della differenziata articolazione di soggetti che attin-gono risorse pubbliche. In tal senso il “Rapporto sul coordinamento della finanza regionale” mira a offri-re sia una tempestiva visione prospettica sull’eserci-zio in corso, sia una più compiuta visione retrospet-tiva sugli aspetti salienti della finanza e della conta-bilità pubblica regionale, afferente anche elementi e circostanze sopravvenuti all’ultima parificazione del rendiconto 2013 eseguita nel luglio 2014.

Si intende così sviluppare un approccio al ciclo di bilancio che da un lato tende ad offrire compara-zioni e valutazioni che travalicano la sola dimensio-ne annuale, per le grandezze finanziarie più rilevanti, dall’altro mira a considerare gradualmente il più am-pio perimetro di ricadute sul sistema regionale.

Ai profili di ordine più squisitamente finanziario del bilancio regionale si accompagna una sia pur sin-tetica analisi delle principali aree di intervento, che comunque da esso attingono le risorse, a partire dai trasferimenti “istituzionali” al sistema delle autono-mie locali, agli enti sanitari e agli organismi parteci-pati. Tale unitario raccordo costituisce in buona so-stanza una prima base conoscitiva, suscettibile di ap-profondimento in coerenza ai processi evolutivi in atto sia sul versante normativo che di attuazione, te-si a rilevare, in una dimensione contabile e finanzia-ria, un’aggregazione dei dati sul “sistema regiona-le integrato di finanza pubblica”. E ciò al fine sia di una compiuta rappresentazione contabile, anche per corrispondere alle esigenze nazionali ed europee di consolidamento, che per prevenire potenziali rischi di equilibrio del sistema.

In tale logica assume particolare rilievo il rappor-

(3) Cfr. art. 7, c. 1, protocollo d’intesa 23 ottobre 2014.

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to sul sistema dei controlli interni, conseguente alla relazione di cui al c. 6 dell’art. 1 del d.l. n. 174/2012, anche con riferimento alla recente legge regionale (n. 1/2015) intesa alla razionalizzazione, alla semplifi-cazione e all’accelerazione dei procedimenti ammi-nistrativi di spesa, che prevede anche significative modifiche al regime dei controlli interni.

Nell’unitario ciclo di controlli questo rapporto si affianca, anche temporalmente, alla relazione sull’a-deguata copertura delle leggi di spesa dell’esercizio 2014, resa con delib. 28 aprile 2015, n. 49, anch’essa ispirata all’esigenza di consentire utili valutazioni, su-scettibili di miglioramenti nell’attività legislativa del-la regione a salvaguardia degli equilibri del bilancio.

In questa più complessa e articolata logica di controllo, una primaria esigenza è dunque quella di semplificazione degli adempimenti posti in sede di attuazione del d.l. n. 174/2012, valorizzandone l’ef-fettiva finalizzazione ai richiamati principi di coor-dinamento della finanza pubblica. In questo senso si è inteso procedere, in raccordo con la Sezione delle autonomie di questa Corte dei conti, all’unificazio-ne temporale e sistematica delle previsioni del d.l. n. 174/2012 (sempre con riguardo ai citati cc. 3, 4 e 6 dell’art. 1). Si è al riguardo proceduto attraver-so una “sessione unitaria” all’acquisizione dei dati sia per l’esame svolto dalla sezione regionale anche con riguardo alla parificazione, corrispondendo con-testualmente alle diverse esigenze istruttorie, anche della Sezione autonomie ai fini di referto agli organi parlamentari, con modalità semplificate, tra loro co-ordinate e razionalizzate nel contesto temporale. La tempestiva approvazione delle “linee guida” da parte della Sezione delle autonomie in ordine ai documen-ti preventivi e di rendiconto e al sistema dei control-li interni (delib. n. 5, n. 6 e n. 7 tutte del 24 febbra-io 2015) ha infatti consentito di sviluppare una c.d. sessione istruttoria prevedente un “pacchetto” unita-rio di richieste, comprensivo di quelle sia a livello re-gionale sia centrale.

Sempre sotto il profilo della semplificazione la Sezione ha ritenuto di valorizzare adeguatamente le caratteristiche che contraddistinguono l’ordinamento regionale (esistenza di una relazione di verifica che accompagna il rendiconto approvato dalla giunta re-gionale; esistenza di una relazione politico-program-matica che accompagna la legge di bilancio e quel-la finanziaria regionale) utilizzando direttamente ta-li relazioni, senza nuovi aggravi istruttori. (Omissis)

1.4. Sintesi e conclusioni 1) L’analisi della programmazione regionale per

il 2015 costituisce una parte fondamentale di questo rapporto che mira a individuare gli elementi che, con riferimento a un arco temporale più ampio dell’an-nualità di un esercizio e in funzione della prossi-ma parificazione del rendiconto 2014, consentono di correlare le risultanze contabili e finanziarie dell’e-sercizio 2013, per gli aspetti sopravvenuti al giudi-zio di parificazione del rendiconto, agli scenari del-la programmazione finanziaria dell’esercizio 2015.

In particolare, le logiche di semplificazione e di finalizzazione dei controlli sulla regione previsti dall’art. 1 d.l. n. 174/2012 alla parificazione del ren-diconto guidano l’odierno approfondimento e per-mettono di individuare il continuum tra gli esiti del-la parificazione del rendiconto 2013, avvenuta nel lu-glio del 2014, e la programmazione e il bilancio di previsione dell’esercizio 2015. In questo contesto ri-mane attratto anche il controllo della Sezione sulla copertura delle leggi di spesa, che viene annualmen-te svolto con riferimento alle leggi che hanno prodot-to effetti sul rendiconto dell’esercizio, ma che, rela-tivamente alla legge finanziaria del 2015, viene anti-cipato in questa sede, quale primo e tempestivo stru-mento finalizzato alla tutela degli equilibri del bilan-cio regionale.

2) I suddetti aspetti di continuità si possono co-gliere soprattutto con riferimento: a) al processo in atto per l’armonizzazione del sistema e dello schema di bilancio regionale alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 118/2011; b) all’accordo con lo Stato per il patto di stabilità interno, disciplinato dalla legge di stabili-tà 2015 in conformità al protocollo d’intesa concluso in data 23 ottobre 2014.

Per quanto riguarda il primo aspetto, nelle mo-re dell’entrata in vigore, con il 2016, delle regole dell’armonizzazione, va dato atto che la regione ha già attivato diverse misure per rendere agevole l’ap-plicazione del nuovo regime, pur rivelandosi l’ur-gente necessità del consolidamento del bilancio re-gionale con quelli degli enti del servizio sanitario e delle società partecipate, al fine di poter disporre, per quanto riguarda siffatti profili, di adeguate rap-presentazioni contabili riferibili al livello del siste-ma regionale.

Con riferimento al secondo argomento, va ricor-dato che il protocollo d’intesa tra Stato e regione del 23 ottobre 2014 rinveniva tra i suoi primari obiettivi quello di dare stabilità e certezza alle reciproche rela-zioni finanziarie. A questo scopo, l’art. 5 del predet-to protocollo interviene su un importante aspetto di tali relazioni, disciplinando l’accordo relativo al pat-to di stabilità interno della regione non solo a mez-

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zo della determinazione del contenuto del patto per il 2014, ma soprattutto prefigurando, sia pur in presen-za di alcune variabili, gli obiettivi di finanza pubbli-ca della regione per il triennio 2015-2017. Si tratta di una significativa inversione di metodo, che si riper-cuote sia sui contenuti del patto sia sulla tempistica della loro conoscibilità.

Rinviando alle più complete analisi che sul te-ma saranno svolte ai fini della parificazione del ren-diconto 2014, si può però osservare che l’esigenza di stabilità dei rapporti finanziari potrebbe risentire della facoltà spettante allo Stato di modificare unila-teralmente i contenuti dell’accordo per esigenze co-genti di finanza pubblica.

Sembra emergere che l’ordinario spazio negozia-le della regione, nell’ambito e ai fini del patto, ri-guardi soprattutto l’individuazione delle specifiche componenti di esclusione della spesa rilevante.

Meritevole di particolare attenzione è l’indica-zione dell’art. 7 del protocollo d’intesa in ordine all’immediata applicazione del sistema regionale in-tegrato anche con riferimento alle misure di conte-nimento della spesa previste dalla legislazione sta-tale, che si presta a un’interpretazione non univoca. In particolare si potrebbe intendere che il protocol-lo d’intesa abbia tra l’altro formalmente sancito la natura strumentale dei vari obiettivi di finanza pub-blica (gravanti sugli enti locali della regione) al per-seguimento di un unico obiettivo fondamentale, che è quello del saldo di finanza pubblica complessiva-mente concordato tra la regione e lo Stato.

3) Gli aspetti contabili e i valori finanziari del bi-lancio 2015 appaiono regolari e stabili. In ordine ai limiti previsti dalla legge di contabilità regionale (ri-spetto del limite di incidenza degli oneri di ammor-tamento del debito e rispetto del limite legale di im-pegno della spesa pluriennale) è stato verificato che il limite di indebitamento del 10 per cento delle en-trate tributarie nette, nel triennio 2015-2017, è rispet-tato. Si rileva peraltro un andamento decrescente del valore degli oneri netti (al netto dei contributi statali per l’indebitamento con oneri a carico dello Stato) di ammortamento dell’indebitamento sulle entrate tri-butarie nette (da 4,03 per cento del 2015 a 3,77 per cento del 2016 e al 3,41 per cento del 2017).

Quanto ai limiti di spesa pluriennale, le risultanze dell’esercizio 2015, e dei successivi esercizi 2016 e 2017, riferite al momento previsionale attestano che il limite legale del 10 per cento è ampiamente soddi-sfatto (6,36 per cento), risultando in progressivo mi-glioramento nel biennio successivo (6,09 per cento nel 2016 e 5,58 per cento nel 2017).

Con riferimento alle dinamiche finanziarie e pre-scindendo in questa sede da ogni considerazione sul riassetto dei rapporti finanziari con lo Stato scaturen-te dal protocollo d’intesa del 23 ottobre 2014, il con-fronto del totale delle entrate effettive 2015 con la medesima tipologia d’entrata a bilancio 2014, armo-nizzata in base alla classificazione dei capitoli ope-rata dalla regione nell’esercizio in corso e al netto delle partite tecnico-contabili, evidenzia un aumento dell’1,22 per cento, che diventa pari all’1,25 per cen-to considerando anche l’avanzo vincolato applicato (+71.825.944,49).

Anche la rigidità tecnico-contabile del bilancio 2015, che è del 59,90 per cento, risente, sia pur da un punto di vista prevalentemente formale, della riclas-sificazione operata dalla regione di capitoli che ne-gli esercizi precedenti erano allocati tra le partite di giro, che, come tali, rimanevano estranee alle prece-denti rilevazioni. Siffatta riclassificazione, pur com-portando una modificazione sia del numeratore sia del denominatore del rapporto di rigidità, ha prodot-to un suo incremento, rispetto a quanto avveniva con i criteri seguiti in precedenza.

Relativamente al 2014, si passa da una percen-tuale di rigidità del 48,15 per cento a una percentua-le del 59,46 per cento. A parità di criteri la rigidità tecnico contabile si presenta in lieve aumento (59,46 per cento nel 2014, 59,90 per cento nel 2015). Se al-la rigidità tecnico contabile, quantificata sulla base di criteri elaborati dalla Sezione, si aggiunge quella af-ferente la sanità e il trasporto, quantificata sulla ba-se della spesa effettiva prevista in bilancio, la rigidità complessiva sale al 91,72 per cento rispetto al 91,17 per cento del 2014 e al 89,04 per cento del 2013.

L’analisi dei saldi differenziali evidenzia in gene-rale, nella programmazione 2015 e 2016, un diffuso miglioramento di tutti i saldi differenziali rispetto al 2014. Di rilievo pare il miglioramento del saldo netto da finanziare/impiegare che passa dai 165,67 milioni del 2014 agli oltre 180 milioni del 2015 e 2016, asse-standosi nel 2017 a 171,34 milioni. In questo conte-sto positivo si registra un saldo positivo di parte cor-rente in ciascuno degli esercizi del bilancio plurien-nale 2015-2017 corrispondente a una percentuale su-periore all’8 per cento delle entrate correnti che con-corrono alla relativa formazione. I citati saldi con-tribuiscono pertanto al finanziamento delle spese in conto capitale. Va peraltro osservato che il saldo di parte corrente del 2015, cui concorre, sebbene per un importo limitato, anche l’avanzo vincolato, risul-ta inferiore rispetto a quello del biennio successivo, e ciò anche in ragione del fatto che, pur in presen-

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za in tali anni di una diminuzione del totale delle en-trate correnti, le correlate spese, in particolare quel-le del titolo III, vengono ridotte in misura propor-zionalmente superiore. Le spese di investimento del triennio 2015-2017 di importo superiore, in ciascun anno, a 1.100 milioni vengono finanziate in misura preponderante (superiore al 60 per cento), da entrate in conto capitale, diverse da mutui e prestiti, e in mi-sura importante (superiore al 35 per cento) dal saldo positivo di parte corrente. Il finanziamento mediante ricorso all’indebitamento, limitato al solo esercizio 2015, concorre al finanziamento delle spese di inve-stimento solo per l’1,76 per cento della spesa com-plessiva.

4) La stessa logica unitaria consente di mette-re più immediatamente a fuoco le caratteristiche del rapporto che intercorre tra la programmazione e il si-stema dei controlli interni. Esiste infatti un forte nes-so di pregiudizialità tra la qualità e la chiarezza della programmazione e l’efficacia e l’utilità dei successi-vi controlli volti a misurarne gli effetti. A tale fine la programmazione stessa deve assicurare una visione e considerazione omogenea e univoca degli obiettivi, indipendentemente dalla prospettiva (politica, orga-nizzativa, finanziaria, contabile, gestionale) in fun-zione della quale essi sono configurati.

Nell’ambito della disamina sul sistema dei con-trolli interni, sono state esaminate positivamente le risultanze del controllo interno di regolarità contabi-le e amministrativa ed è stato valutato positivamente l’avvio di un sistema coordinato di controllo strate-gico e di gestione, in raccordo con il piano della pre-stazione. Nella peculiarità del controllo nei confron-ti della regione sussistono vari elementi da tenere in considerazione e cioè in linea teorica:

- il policentrico ruolo e le diverse funzioni del-la regione;

- la diversità dei fabbisogni informativi che a sua volta genera la necessità di ritorni informativi diffe-renziati;

- la chiarezza e la rappresentatività degli indica-tori;

- la potestà legislativa della regione che, attraver-so la possibilità di incidere, determinare e/o modifi-care la disciplina dei fenomeni da controllare, rende contigui i controlli interni sull’attuazione della legge e le valutazioni sulla qualità della legge, che ordina-riamente si pongono su piani diversi.

Sul piano operativo non può inoltre essere tra-scurato che:

- il nuovo controllo (strategico e di gestione), at-tualmente in fase di prima applicazione, pare presen-

tare un prevalente significato di controllo direziona-le finalizzato in primis alla valutazione della perfor-mance;

- un minimale controllo a campione ha eviden-ziato che a tutt’oggi debbano essere ulteriormen-te potenziati i meccanismi di correlazione tra la fase della programmazione (obiettivi) e quella della ren-dicontazione (risultati raggiunti), specie in relazione alla chiara rappresentazione delle risorse impiegate per il raggiungimento dell’obiettivo.

La Sezione si riserva quindi di monitorare il pro-gredire delle misure adottate dalla regione per verifi-care che il sistema di controllo interno risulti effica-ce e utile e cioè che non si limiti a quei contenuti sta-tici e formalistici che, in genere, hanno finora decre-tato il fallimento dei controlli interni. In quest’otti-ca sarà di fondamentale importanza registrare tempe-stivamente gli effetti prodotti dall’esercizio del con-trollo interno, che dovranno essere in grado di inci-dere concretamente sulla realtà rilevata dal control-lo interno.

A queste condizioni, si ritiene che la strada intra-presa dalla regione possa condurre, una volta conso-lidati gli strumenti di controllo, non solo alla miglio-re individuazione delle scelte strategiche e al mo-nitoraggio della loro realizzazione all’interno della struttura regionale, ma anche alla trasparenza, all’o-mogeneità e alla leggibilità trasversale dei documen-ti, per consentire di formulare proprie valutazioni sui risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programma-ti e in particolare a quelli a lui più immediatamente veicolati dal programma di governo. (Omissis)

7) Con riferimento agli organismi partecipati dal-la regione vanno preliminarmente evidenziate le dif-ficoltà di approccio e di ricostruzione unitaria: in par-ticolare, l’analisi delle risultanze non può avere ad oggetto un bilancio redatto in conformità ai requisiti richiesti dai princìpi contabili e dalle fonti normative applicabili in materia, come ampiamente esposto nel paragrafo dedicato. Senza poter elaborare un conso-lidato in senso tecnico, non potendo disporre di dati e strumenti sufficienti per procedere all’uniformazione dei bilanci dei vari componenti del “gruppo Regio-ne Friuli-Venezia Giulia”, si è inteso comunque per-venire ad una visione d’insieme di quelle che sono le partecipazioni attualmente detenute dalla regione.

Con riferimento al concreto perimetro degli or-ganismi partecipati dalla regione si segnala la pos-sibilità che si debba procedere ad ulteriori aggiorna-menti per effetto dell’attuazione del piano di razio-nalizzazione delle partecipate adottato dalla giunta ai sensi dell’art. 1, c. 612, l. 27 dicembre 2014, n.

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190. In questo senso la valutazione del profilo di cui all’art. 1, c. 611, lett. a), l. n. 190/2014 (“eliminazio-ne delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finali-tà istituzionali, anche mediante messa in liquidazio-ne o cessione”), compiuta facendo un rinvio alla l. reg. 4 maggio 2012, n. 10, di riordino delle parteci-pazioni regionali, richiede a regime una valutazione via via attualizzata. Si ritiene dunque utile che la re-gione proceda nel tempo a monitorare e verificare la rilevanza delle sue partecipazioni, ai fini di valutarne il mantenimento ovvero la razionalizzazione.

In generale, appare comunque necessario che la regione disponga di una situazione contabile il più possibile chiara ed aggiornata delle sue partecipate, al fine di valutarne la consistenza economica e po-ter essere in grado di adottare i migliori interventi sul capitale.

A tal riguardo, è importante che la valutazione della consistenza patrimoniale degli organismi parte-cipati sia sorretta da una compiuta ricognizione del-le voci che compongono lo stato patrimoniale, an-che al fine di una più puntuale conoscenza delle ri-serve disponibili per la copertura di eventuali per-dite (a titolo meramente esemplificativo, si ricorda che l’art. 2357-ter c.c., u.c., dispone che “una riser-va indisponibile pari all’importo delle azioni proprie iscritto all’attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o an-nullate”). (Omissis)

* * *

Liguria

48 – Sezione controllo Regione Liguria; parere 13 maggio 2015; Pres. (f.f.) Pria, Rel. Centrone; Co-mune di Sanremo.

Società – Società di servizi pubblici locali – Per-sonale – Assunzioni – Personale munito del so-lo titolo di scuola dell’obbligo – Assunzione di-retta – Esclusione.

D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’or-dinamento del lavoro alle dipendenze delle ammini-strazioni pubbliche, art. 35; d.l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008 n. 133, disposizioni urgenti per lo sviluppo eco-nomico, la semplificazione, la competitività, la stabi-lizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, art. 18.

In caso di affidamento in house di un servizio pubblico locale, precedentemente svolto da una so-cietà privata, è fatto divieto alla società affidataria, partecipata totalmente dal comune, di assumere di-rettamente il personale per il quale è richiesto il so-lo requisito della scuola dell’obbligo (in motivazio-ne, si precisa che, anche nel caso di assunzioni da ef-fettuare senza il previo esperimento di una procedu-ra selettiva, la società, affidataria diretta di servizi pubblici locali, deve prevedere, nel proprio regola-mento, procedure che garantiscano ugualmente una scelta imparziale, fondata su criteri oggettivi e pre-determinati).

Premesso – Il sindaco del Comune di Sanremo (IM) ha formulato una richiesta di parere inerente alla disciplina delle procedure assunzionali da par-te di società partecipate da pubbliche amministrazio-ni. L’istanza ricorda come l’art. 18, c. 1, d.l. 25 giu-gno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dal-la l. 6 agosto 2008, n. 133, prevede che le società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servi-zi pubblici locali adottino, con propri provvedimen-ti, criteri e modalità di reclutamento del personale nel rispetto dei principi di cui al c. 3 dell’art. 35 d.l. 30 marzo 2001, n. 165. Detto comma prevede che le procedure di reclutamento presso le pubbliche am-ministrazioni si conformino ai principi di adeguata pubblicità della selezione, imparzialità e trasparen-za, adozione di meccanismi oggettivi per l’accerta-mento della professionalità richiesta, pari opportuni-tà nell’accesso al lavoro.

Il citato art. 35, tuttavia, al c. 1, sancisce che nelle amministrazioni pubbliche, oltre alle procedure se-lettive indicate alla lett. a), i cui principi sono disci-plinati dal successivo c. 3, il reclutamento del perso-nale da collocare nelle qualifiche e profili per i qua-li è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbli-go avvenga mediante avviamento degli iscritti nel-le liste di collocamento (art. 35, c. 1, lett. b, d.lgs. n. 165/2001), previa verifica dei requisiti di idoneità da parte dell’ente a svolgere le mansioni proprie del po-sto da ricoprire.

Alla luce delle norme sopra richiamate il Comu-ne di Sanremo formula il seguente quesito.

L’art. 35, c. 1, lett. a), d.lgs. n. 165/2001 dispo-ne che un comune debba bandire, per poter effettua-re assunzioni, apposite procedure concorsuali, che ri-spettino i principi di cui al c. 3. Tuttavia, per le cate-gorie di cui al c. 1, lett. b), l’assunzione del persona-le, avviato dall’ufficio di collocamento, avviene di-rettamente, all’esito di una procedura che verifica i

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soli requisiti di idoneità. L’art. 18 d.l. n. 112/2008 cit., nell’estendere genericamente alle società parte-cipate l’obbligo del rispetto dei principi di cui al c. 3 dell’art. 35 d.lgs. n. 165/2001, parrebbe non tener conto della differente modalità di assunzione diretta prevista per le pubbliche amministrazioni.

Il Comune di Sanremo ha intenzione di affidare in house un servizio pubblico locale ad una sua par-tecipata, servizio sino ad oggi svolto in appalto da una società interamente privata. Poiché detta società pubblica, al fine di svolgere il servizio, dovrebbe re-clutare il personale necessario, si chiede se, in os-sequio al disposto di cui all’art. 35, c. 1, lett. b), so-pra ricordato, possa, relativamente al personale per il quale è richiesto solamente il requisito della scuola dell’obbligo, applicare quest’ultima previsione, pre-scindendo dalle procedure concorsuali indicate al c. 3 dell’art. 35.

Qualora la ridetta società partecipata possa pre-scindere, nel caso esposto, dalla selezione concor-suale, il comune istante pone un ulteriore dubbio in-terpretativo. Infatti, il servizio pubblico da affidare è quello di spazzamento e raccolta dei rifiuti solidi ur-bani, per il quale il legislatore, nel formulare l’art. 202 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ha, al c. 6, introdotto una “clausola sociale” che prevede, per l’affidamen-to del servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte dell’autorità d’ambito, “il passaggio diretto e imme-diato al nuovo gestore del servizio integrato dei rifiu-ti con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto”. Nel caso sottoposto dal comune, tuttavia, il servizio affidato non sarebbe quello cui la norma si riferisce, bensì quello “comu-nale” di spazzamento e raccolta dei rifiuti solidi ur-bani, nelle more dell’affidamento da parte dell’ente di governo (Ambito territoriale ottimato) del servizio integrato, secondo le previsioni del legislatore. Il ser-vizio “comunale” avrebbe comunque carattere tem-poraneo (sino alla gestione unitaria prevista dall’art. 202 cit.) e costituirebbe, di fatto, un “veicolo” per il passaggio del personale ora in servizio presso la so-cietà privata al gestore unico. Diversamente, i ridetti lavoratori si vedrebbero privati medio tempore di un diritto legislativamente garantito. L’istanza aggiunge che i c.c.n.l. del comparto ambiente contengono, di norma, clausole sociali che prevedono il passaggio automatico alla società subentrante di tutto il perso-nale in servizio a tempo indeterminato presso la so-cietà cessante.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il sin-daco del Comune di Sanremo pone i seguenti due quesiti:

1) se, in caso di affidamento in house di un servi-zio pubblico locale attualmente svolto da una società privata in forza di contratto di appalto, la società af-fidataria, partecipata totalmente dal comune, in for-za del combinato disposto dagli artt. 18, c. 1, d.l. n. 112/2008 e 35, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 165/2001 possa assumere direttamente, previa verifica di idoneità, il personale per il quale è richiesto il solo requisito del-la scuola dell’obbligo;

2) in caso affermativo, se la medesima società, essendo il servizio da affidare quello di spazzamento e raccolta dei rifiuti urbani, possa, previa verifica di idoneità, assumere direttamente il personale dipen-dente della società privata attuale affidataria dell’ap-palto, tenuto conto del disposto di cui all’art. 202 d.lgs. n. 152/2006 che prevede, al c. 6, una clauso-la sociale per il personale uscente, la quale rimarreb-be inattuata, nella situazione prospettata dal comu-ne (interinale all’affidamento del servizio integrato al gestore unico), con pregiudizio dei diritti dei lavo-ratori che il legislatore ha inteso tutelare. (Omissis).

Esame nel merito – In via preliminare la Sezio-ne precisa che la decisione in ordine all’applicazione in concreto delle disposizioni in materia di contabi-lità pubblica è di esclusiva competenza dell’ente lo-cale, rientrando nella discrezionalità e responsabili-tà dell’amministrazione. Quest’ultimo, tuttavia, po-trà orientare la sua decisione in base alle conclusioni contenute nel presente parere.

Il d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con mo-dificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, all’art. 18, rubricato “Reclutamento del personale delle società pubbliche”, ha disposto, al c. 1, che le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipa-zione pubblica adottino, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al c. 3 dell’art. 35 d.l. 30 marzo 2001, n. 165. Al c. 2, ha previsto, inoltre, che le altre so-cietà a partecipazione pubblica, totale o di controllo, adottino, con propri provvedimenti, criteri e modali-tà per il reclutamento del personale e per il conferi-mento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblici-tà e imparzialità.

In un’ottica di progressivo ampliamento agli or-ganismi partecipati delle regole vigenti per le pubbli-che amministrazioni in materia di gestione del per-sonale e di contenimento delle relative spese, il le-gislatore ha introdotto, come principio generale, l’e-videnza pubblica nel reclutamento da parte delle so-cietà pubbliche. Come già evidenziato dalla magi-

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stratura contabile (si rinvia, per esempio, a Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 333/2011 e n. 424/2012), gli obblighi discendenti dal citato art. 18 d.l. n. 112/2008 sono posti direttamente in capo al-la società partecipata, che, con proprio regolamen-to, deve adeguarsi al precetto normativo, salvo il po-tere di direttiva e controllo da parte dell’ente locale, sia in quanto azionista (anche ai fini dell’integrazio-ne del c.d. “controllo analogo” legittimante, ai sensi della giurisprudenza nazionale e comunitaria, un af-fidamento diretto), che in aderenza a precise disposi-zioni normative (cfr. artt. 147 e 147-quater d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

Al fine di definire il contenuto specifico di ta-li obblighi, caratterizzati dal principio generale di estensione agli organismi partecipati, anche socie-tari, di parte delle regole applicabili alla pubblica amministrazione socia, appare necessario richiama-re la disciplina delle procedure assunzionali valevo-le per quest’ultima. In proposito, in aderenza all’art. 97 Cost. che, come noto, sancisce che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”, l’art. 35, c. 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, disciplina due al-ternative modalità per l’assunzione di personale:

a) procedure selettive, conformi ai principi po-sti dal successivo c. 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno;

b) avviamento degli iscritti nelle liste di colloca-mento per le qualifiche ed i profili per i quali è richie-sto il solo requisito della scuola dell’obbligo.

Si tratta di due procedure assunzionali alternati-ve, la prima costituente regola generale, la seconda integrante uno dei “casi stabiliti dalla legge”, che, in base alla norma costituzionale, permettono alla pub-blica amministrazione di effettuare un’assunzione senza il previo esperimento di procedure selettive. Trattandosi di norma che fa eccezione ad una regola generale, la sua applicazione non può estendersi ol-tre i tempi ed i casi da essa considerati (art. 12 dispo-sizioni preliminari al c.c.).

L’art. 35, c. 1, d.lgs. n. 165/2001 individua, per-tanto, le modalità attraverso le quali le pubbliche am-ministrazioni possono procedere ad assunzioni, di-stinguendo fra le procedure selettive, conformi ai principi posti dal successivo c. 3 (lett. a), e l’avvia-mento dalle liste di collocamento (lett. b), per le qua-lifiche ed i profili per i quali è richiesto il solo requi-sito della scuola dell’obbligo.

Il successivo c. 3 dell’indicato art. 35, richiamato dall’art. 18 d.l. n. 112/2008, dettato in materia di re-

clutamento di società pubbliche, si riferisce all’ipotesi generale in cui le pubbliche amministrazioni debbano procedere ad assunzioni previo esperimento di proce-dure selettive, imponendo la conformazione di queste ultime a predeterminati principi (adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garan-tiscano l’imparzialità; adozione di meccanismi ogget-tivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei re-quisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; rispetto delle pari oppor-tunità tra lavoratrici e lavoratori; decentramento delle procedure di reclutamento; composizione delle com-missioni esclusivamente con esperti di provata com-petenza nelle materie di concorso).

Rimane fuori dalla portata applicativa dell’espo-sto c. 3 dell’art. 35, la modalità di assunzione, costi-tuente eccezione alla regola generale, del personale per il quale è necessario il solo requisito della scuola dell’obbligo (lett. b). In questo caso, infatti, le pub-bliche amministrazioni non devono osservare i prin-cipi ivi indicati, propri delle procedure concorsuali, ma la diversa disciplina dell’avviamento dalle liste di collocamento, che risulta caratterizzata – a fron-te della progressiva liberalizzazione che ha investito le assunzioni da parte dei datori di lavoro privati (cfr. art. 4-bis d.lgs. 21 aprile 2000, n. 181) – da regole procedimentalizzate, tese comunque, pur in assenza dell’obbligo di effettuazione di un concorso, a limi-tare la discrezionalità delle amministrazioni nell’as-sunzione dei profili professionali meno elevati.

L’art. 70, c. 13, d.lgs. n. 165/2001 ha, infatti, riba-dito, per il reclutamento presso le pubbliche ammini-strazioni, l’applicazione della disciplina prevista dal d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487. L’art. 23 dell’indicato regolamento dispone che le amministrazioni pubbli-che effettuino le assunzioni delle categorie e qualifi-che professionali, per le quali è richiesto il solo re-quisito della scuola dell’obbligo, sulla base di sele-zioni tra gli iscritti nelle liste di collocamento (for-mate ai sensi dell’art. 16 l. 28 febbraio 1987, n. 56) e previa verifica dei requisiti eventualmente richiesti. I lavoratori sono avviati numericamente secondo l’or-dine di graduatoria risultante dalle liste dei centri per l’impiego territorialmente competenti.

Il citato art. 16 della l. n. 56/1987 ribadisce quan-to esposto, disponendo che le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pub-blici non economici, le province, i comuni e le uni-tà sanitarie locali, effettuino le assunzioni dei lavo-ratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superio-re a quello della scuola dell’obbligo, sulla base di se-

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lezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di colloca-mento (o in quelle di mobilità), che abbiano la pro-fessionalità eventualmente richiesta e i requisiti pre-visti per l’accesso al pubblico impiego.

Le regole di avviamento ora indicate non valgo-no, invece, per i datori di lavoro privati, in virtù del-le progressive semplificazioni che hanno investito la procedura di assunzione. Attualmente, l’art. 4 d.lgs. 21 aprile 2000, n. 181, dispone che questi ultimi pro-cedano all’assunzione diretta di tutti i lavoratori (sal-vo l’obbligo di concorso eventualmente previsto da-gli statuti degli enti pubblici economici). La disci-plina prevede che, all’atto dell’instaurazione del rap-porto di lavoro, i datori di lavoro siano tenuti a con-segnare una copia della comunicazione di instaura-zione del rapporto (art. 9-bis, c. 2, d.l. 1 ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla l. 28 no-vembre 1996, n. 608), adempiendo in tal modo anche a quanto richiesto dal d.lgs. 26 maggio 1997, n. 152 (l’obbligo si intende assolto anche nel caso in cui il datore consegni al lavoratore, prima dell’inizio della attività, copia del contratto individuale che contenga tutte le informazioni previste). Restano ferme le di-sposizioni speciali previste per l’assunzione di lavo-ratori non comunitari (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286), di lavoratori italiani da impiegare o trasferire all’e-stero (d.l. 31 luglio 1987, n. 317, convertito con mo-dificazioni dalla l. 3 ottobre 1987, n. 398) e, infine, dei disabili (l. 12 marzo 1999, n. 68).

Le società partecipate da enti locali mantengo-no la natura giuridica di soggetti privati e, come ta-li, in assenza di specifiche norme limitative della ca-pacità di agire (qual è, per esempio, l’art. 18 d.l. n. 112/2008 in esame), osservano lo statuto giuridico dell’impresa privata. Tale conclusione, fondata sulla distinta soggettività giuridica delle società partecipa-te rispetto all’ente pubblico socio e sulla discenden-te autonomia patrimoniale, trova conforto nella legi-slazione ordinaria. L’art. 4, c. 13, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, collocato nel corpo di una disposizio-ne che imponeva una serie di stringenti obblighi alle società partecipate da enti pubblici (in seguito abro-gati o riformulati dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147, legge di stabilità 2014, e dalle leggi successive) pre-cisa, infatti, che le disposizioni del ridetto articolo e le altre norme, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica “si interpretano nel senso che, per quanto non diver-samente stabilito e salvo deroghe espresse, si appli-ca comunque la disciplina del codice civile in mate-ria di società di capitali”.

Pertanto, le società partecipate da enti locali, in quanto datrici di lavoro private, ove debbano effet-tuare l’assunzione di profili professionali per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, potrebbero, in linea di principio, procedere a mezzo di chiamata nominativa e comunicazione successi-va ai competenti centri per l’impiego, come previsto dall’art. 4 d.lgs. n. 181/2000.

Tuttavia, l’art. 18 d.l. n. 112/2008, nell’effettua-re un rinvio alle norme che disciplinano le assunzio-ni presso le pubbliche amministrazioni, pur facendo espresso riferimento alla sola ipotesi della selezio-ne concorsuale (regola generale), costituisce espres-sione di una tendenza legislativa tesa alla progressi-va uniformazione, nei limiti della compatibilità (co-me reso evidente, nel caso di specie, dalla necessi-tà di adottare un regolamento, che espliciti modali-tà e criteri), fra modalità assunzionali valevoli per la pubblica amministrazione e quelle che deve osserva-re una società da quest’ultima controllata.

In sostanza, i vincoli alla capacità di agire po-sti all’amministrazione nel momento in cui inten-de effettuare un’assunzione e che, di conseguenza, impongono il procedimento di selezione concorsua-le (art. 35, cc. 1, lett. a, e 3, d.lgs. n. 165/2001) an-che ad una società partecipata gerente servizi pubbli-ci locali (art. 18 d.l. n. 112/2008), non vengono me-no, neppure per l’amministrazione, nel caso, ecce-zionale, dell’assunzione a mezzo avviamento nume-rico dalle liste di collocamento (art. 35, c. 1, lett. b, d.lgs. n. 165/2001). La capacità di agire rimane infat-ti limitata dalla necessaria osservanza di predetermi-nati criteri (esplicitati nei sopra indicati artt. 23 d.p.r. n. 487/1994 e 16 l. n. 56/1997), tesi a garantire che l’assunzione di un lavoratore nella pubblica ammini-strazione, anche se non discendente da una procedu-ra concorsuale, sia frutto, tuttavia, di una scelta im-parziale, fondata su parametri oggettivi.

Tale esigenza, in virtù del richiamo operato dall’art. 18 d.l. n. 112/2008, deve valere anche per le società gerenti servizi pubblici locali che, nel rego-lamento da adottare in virtù della riferita disposizio-ne, devono esplicitare le modalità ed i criteri che in-tendono seguire per l’assunzione del personale nelle qualifiche per le quali la legge prescrive il solo requi-sito della scuola dell’obbligo. In sostanza, se nel ca-so dell’assunzione dei profili professionali per i qua-li è richiesta la selezione concorsuale (in virtù del-la disciplina posta dall’art. 35, c. 1, lett. a, d.lgs. n. 165/2001, implicitamente richiamata dall’art. 18 d.l. n. 112/2008), la discrezionalità della società pubbli-ca è conformata dai principi indicati dal c. 3 dell’art.

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35 d.lgs. n. 165/2001, anche nel caso di assunzioni effettuabili senza il previo esperimento di una pro-cedura selettiva, la società, affidataria diretta di ser-vizi pubblici locali, deve procedere, nel proprio re-golamento, a prevedere procedure che garantiscano ugualmente una scelta imparziale, fondata su criteri oggettivi e predeterminati (come accade per le spe-culari assunzioni da parte delle pubbliche ammini-strazioni). Tali criteri e modalità possono consiste-re nel rinvio al procedimento di avviamento numeri-co fondato su graduatorie precostituite, proprio della pubblica amministrazione, ovvero su procedure che garantiscano, allo stesso modo, in assenza di selezio-ne concorsuale, una scelta trasparente ed imparziale.

In tale ottica si muove, per esempio, l’art. 202 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, c.d. codice dell’ambien-te, richiamato dal comune nell’istanza di parere. La norma dispone che l’autorità d’ambito (individuata dalla regione ai sensi del precedente art. 200) aggiu-dichi il servizio di gestione integrata dei rifiuti ur-bani secondo modalità e termini definiti con decre-to dal Ministro dell’ambiente (tuttora non emanato). Per quanto interessa in questa sede, il c. 6 della di-sposizione dispone che “il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto mesi prima dell’affidamento del servizio, appartenga alle ammi-nistrazioni comunali, alle aziende ex municipalizza-te o consortili e alle imprese private, anche coopera-tive, che operano nel settore dei servizi comunali per la gestione dei rifiuti sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al passaggio diret-to ed immediato al nuovo gestore del servizio inte-grato dei rifiuti, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto. Nel ca-so di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese pri-vate, anche cooperative, al gestore del servizio inte-grato dei rifiuti urbani, si applica, ai sensi dell’art. 31 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del trasfe-rimento del ramo di azienda di cui all’art. 2112 c.c.”.

La norma, al fine di salvaguardare il personale in servizio presso le società affidatarie del servizio pri-ma dell’attribuzione della gestione al soggetto indi-viduato dall’autorità d’ambito, impone al nuovo ag-giudicatario di assumere il ridetto personale alle me-desime condizioni contrattuali.

La disposizione legislativa in discorso, applicabi-le indistintamente a tutti i lavoratori in servizio pres-so il precedente affidatario (senza distinzione per quelli cui la legge imporrebbe alla società subentran-te l’esperimento di procedure concorsuali), alla luce sia della formulazione letterale che della sua natura

eccezionale (in quanto vincola la capacità giuridica del soggetto subentrante), non sembra potersi appli-care alla fattispecie prospettata dal comune istante.

Infatti, pur individuando modalità e criteri ogget-tivi ed imparziali, è riferita alla specifica ipotesi del passaggio dei lavoratori (qualunque sia la qualifica posseduta, non solo quelli per i quali non è necessa-ria la procedura concorsuale) dalla società gerente il servizio comunale di gestione dei rifiuti a quella ag-giudicataria della gara d’ambito bandita ai sensi de-gli artt. 200 ss. d.lgs. n. 152/2002 (in cui il nuovo ge-store è obbligato alla relativa assunzione, a prescin-dere dalla diversa volontà del socio, privato o pub-blico che sia).

Ragionando diversamente, nel caso prospettato dal comune istante, la norma sarebbe estesa anche ai lavoratori del precedente gestore del servizio rifiu-ti che la nuova società, appositamente costituita, do-vrebbe, invece, assumere espletando procedure con-corsuali conformi ai principi indicati dal c. 3 dell’art. 35 d.lgs. n. 165/2001.

Inoltre, l’indicato art. 202 rischierebbe di appli-carsi a qualsiasi passaggio intermedio fra gestori precedenti e nuovi affidatari del servizio comunale (che, alla luce del tempo sinora trascorso, potrebbe-ro essere stati molteplici) e non al solo caso, tutela-to dal legislatore, del passaggio al nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti individuato dall’autori-tà d’ambito in base alle procedure previste dal d.lgs. n. 152/2006.

Pertanto, esclusa la possibilità che, nel caso pro-spettato dal comune istante, possa applicarsi la clau-sola di salvaguardia prevista dall’art. 202, c. 6, d.lgs. n. 152/2006, occorre valutare se, in base ad altre di-sposizioni, una società pubblica, affidataria di servi-zi pubblici locali, possa effettuare assunzioni di per-sonale, da collocare nei profili per i quali non è ri-chiesto il previo esperimento di procedure concor-suali, garantendo ugualmente imparzialità e traspa-renza della scelta (presupposto, come visto, neces-sario, anche per le pubbliche amministrazioni, nelle ipotesi di assenza dell’obbligo del concorso).

In tale prospettiva, limitando l’analisi alla fatti-specie analizzata nel presente parere, indicazioni uti-li possono trarsi, come prospettato anche dal comune istante, da eventuali clausole, contenute in contrat-ti collettivi nazionali, che impongano alla società su-bentrante nella gestione di un servizio pubblico l’as-sunzione del personale in servizio presso la società precedentemente aggiudicataria (limitatamente, si ri-badisce, ai profili per i quali non è necessario il con-corso). Ove tali clausole siano effettivamente pre-

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senti (come avviene, per esempio, nell’art. 6 c.c.n.l. dei servizi ambientali, stipulato il 17 giugno 2011) ed individuino i lavoratori beneficiari del transito sul-la base di criteri oggettivi e predeterminati, possono costituire il riferimento per definire, nel regolamen-to da adottare ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 112/2008, le modalità ed i criteri sulla cui base la società pubblica può assumere il personale per il quale non è necessa-rio l’espletamento di procedure concorsuali.

P.q.m., la Sezione regionale di controllo del-la Corte dei conti per la Liguria, in relazione ai due quesiti sottoposti dal comune istante, evidenzia quanto segue:

1) in caso di affidamento in house di un servizio pubblico locale, in precedenza svolto da una società privata, la società affidataria, partecipata totalmente dal comune, in forza del combinato disposto dell’art. 18, c. 1, d.l. n. 112/2008 e dell’art. 35, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 165/2001, non può assumere direttamente, previa verifica di idoneità, il personale per il quale è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, ma deve procedervi previa definizione, nel regola-mento interno, di criteri e modalità (aventi eventual-mente fonte nel contratto collettivo nazionale di rife-rimento) che garantiscano, come imposto all’ammi-nistrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere;

2) una società, affidataria in house del servizio comunale di spazzamento e raccolta dei rifiuti urba-ni, non può procedere all’assunzione diretta del per-sonale in servizio presso la società privata in prece-denza aggiudicataria dell’appalto, sulla base di quan-to disposto dall’art. 202, c. 6, d.lgs. n. 152/2006, trat-tandosi di norma riferita alla sola ipotesi del transi-to dei lavoratori alla società gerente il servizio di ge-stione integrata dei rifiuti affidato dall’autorità d’am-bito, ai sensi dell’indicato decreto legislativo.

* * *

Lombardia

192 – Sezione controllo Regione Lombardia; parere 11 maggio 2015; Pres. (f.f.) Braghò, Rel. Molina-ro; Comune di Camisano.

Comune e provincia – Aderenti a organizzazio-ni di volontariato – Lavoro prestato gratuita-mente in favore del comune – Ammissibilità – Condizioni.

C.c., art. 2126; l. 11 agosto 1991 n. 266, legge-qua-

dro sul volontariato, artt. 4, 7; d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti lo-cali.

I comuni possono avvalersi del lavoro prestato in modo spontaneo e gratuito dagli aderenti alle orga-nizzazioni di volontariato, purché essi svolgano at-tività aventi esclusivamente scopi di solidarietà ed operino sulla base di convenzioni stipulate fra i co-muni e le organizzazioni medesime, cui spetta, co-munque, di fornire adeguata copertura assicurativa contro le malattie e gli infortuni degli aderenti non-ché per la responsabilità civile connessa all’attivi-tà che forma oggetto della convenzione; peraltro, la gratuità delle attività in questione, rappresentando un’eccezione al carattere oneroso del rapporto di la-voro e alla generale previsione di accesso ai pubbli-ci uffici mediante concorso, deve essere circoscritta ai soggetti che operano nelle organizzazioni di vo-lontariato disciplinate dalla l. n. 266/1991, anche al fine di evitare l’instaurazione surrettizia di forme di lavoro – ancorché di natura precaria, interinale e occasionale – alle dipendenze della pubblica ammi-nistrazione. (1)

Premessa – Il sindaco del Comune di Camisano ha formulato una richiesta di parere in merito alla possibilità di stipulare “apposite polizze per garanti-re ai volontari adeguata copertura assicurativa contro infortuni, malattie connesse allo svolgimento dell’at-tività e per la responsabilità civile” in considerazio-ne del fatto che “molto spesso cittadini singoli chie-dono di poter prestare servizio volontario a titolo in-dividuale a favore del comune in diversi ambiti: bi-blioteca, uffici, tenuta del verde, manutenzione edifi-ci, ecc.”. (Omissis)

Merito – Occorre preliminarmente precisare che la decisione da parte dell’amministrazione sul-

(1) In tema di lavoro volontario, v. Cass., 21 maggio 2008, n. 12964, in Rep. Foro it., 2008, voce Lavoro (rapporto), n. 1102, secondo cui la prestazione di volontariato, per sua natu-ra gratuita e spontanea, non è soggetta alla disciplina sul vo-lontariato, ma alla disciplina giuslavoristica del rapporto di la-voro, se, indipendentemente dal nomen iuris, il volontario sia assunto e retribuito con un compenso che superi il mero rim-borso spese (nella specie, relativa ad attività svolta da anziani per coadiuvare personale comunale nella sorveglianza di una pinacoteca, un museo, un parco archeologico e gli alunni di al-cune scuole materne durante il trasporto, la Suprema corte, enunciato il principio di cui in massima, ha tuttavia escluso la debenza dei contributi, attesa la non configurabilità di un rap-porto di lavoro con il comune in mancanza dei presupposti formali richiesti dalla legge per la costituzione).

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le modalità interpretative delle norme di contabili-tà è frutto di valutazioni proprie dell’ente medesi-mo, rientranti nelle prerogative dei competenti orga-ni decisionali, pur nel rispetto delle previsioni lega-li e nell’osservanza delle regole di sana gestione fi-nanziaria e contabile. Cionondimeno il comune ri-chiedente potrà tenere conto, nelle determinazioni di propria competenza, dei principi generali enunciati in sede interpretativa nel presente parere.

Il quesito verte sulla possibilità di stipulare “ap-posite polizze per garantire ai volontari adeguata co-pertura assicurativa contro infortuni, malattie con-nesse allo svolgimento dell’attività e per la respon-sabilità civile” in considerazione del fatto che “mol-to spesso cittadini singoli chiedono di poter prestare servizio volontario a titolo individuale a favore del comune in diversi ambiti: biblioteca, uffici, tenuta del verde, manutenzione edifici, ecc.”.

Al riguardo si ritiene opportuno svolgere alcune considerazioni di carattere preliminare. E ciò anche al fine di evitare l’instaurazione surrettizia di forme di lavoro alle dipendenze della pubblica amministra-zione non disciplinate dalla legge, ancorché a titolo precario, interinale e occasionale.

Il lavoro alle dipendenze della pubblica ammi-nistrazione è presidiato dalla generale previsione di accesso tramite concorso, passibile di essere supera-ta solo in forza di una disposizione di legge (art. 97, c. 4, Cost.).

La modalità di ingresso agli impieghi pubbli-ci tramite concorso costituisce, da un lato, uno stru-mento al servizio del buon andamento dell’agire pubblico (art. 97 Cost.), in quanto volto ad indivi-duare il miglior candidato per la posizione bandita, e, dall’altro lato, presidia il diritto di tutti i cittadini ad accedere agli uffici pubblici (art. 51 Cost.) quale strumento per promuovere l’uguaglianza e rimuove-re gli ostacoli che di fatto la limitano (art. 3 Cost.).

Il rapporto di lavoro subordinato riveste un ca-rattere necessariamente oneroso in aderenza al detta-to dell’art. 36 Cost., in forza del quale “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quan-tità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficien-te ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libe-ra e dignitosa”.

L’art. 2094 c.c. qualifica come prestatore di lavo-ro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro.

L’onerosità è garantita dall’art. 2126 c.c. anche nel caso di nullità o annullamento del contratto di lavoro non derivante da illiceità dell’oggetto o del-

la causa, allorquando è riconosciuto il diritto al trat-tamento retributivo per la prestazione di fatto svolta dal lavoratore.

Il carattere necessariamente oneroso del rapporto di lavoro subordinato discende, con riferimento agli enti locali, dall’art. 90, c. 2, Tuel, ai sensi del qua-le “al personale assunto con contratto di lavoro su-bordinato a tempo determinato si applica il contrat-to collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali” (Sez. contr. reg. Campania, n. 155/2014).

Le eccezioni alla necessaria onerosità del rap-porto di lavoro possono essere previste soltanto dal-la legge. Fra esse rileva in tale sede il lavoro presta-to gratuitamente nelle organizzazioni di volontariato.

Nella prospettiva di favorire l’autonoma inizia-tiva dei cittadini sulla base del principio di sussidia-rietà orizzontale, la l. n. 266/1991 ha, infatti, intro-dotto nell’ordinamento la figura soggettiva delle or-ganizzazioni di volontariato, che persegue finalità di carattere sociale, civile e culturale per il tramite degli aderenti. Costoro devono prestare la propria opera in modo personale, spontaneo e gratuito, senza scopo di lucro neppure indiretto, esclusivamente per fini di solidarietà.

Ai sensi dell’art. 4 l. n. 266/1991 “Le organiz-zazioni di volontariato debbono assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività stessa, nonché per la responsabilità civi-le verso i terzi.

Con decreto del Ministro dell’industria, del com-mercio e dell’artigianato, da emanarsi entro sei me-si dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuati meccanismi assicurativi semplifica-ti, con polizze anche numeriche o collettive, e sono disciplinati i relativi controlli”.

Con specifico riferimento ai soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre forme di integrazione e sostegno del reddito previste dalla normativa vigen-te, coinvolti in attività di volontariato a fini di utilità sociale in favore di comuni o enti locali, l’art. 12 d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014 istituisce in via sperimentale, per il biennio 2014-2015, presso il Ministero del lavoro e delle po-litiche sociali “un fondo finalizzato a reintegrare l’I-nail dell’onere conseguente alla copertura degli ob-blighi assicurativi contro le malattie e gli infortuni, tenuto conto di quanto disposto dall’art. 4 l. 11 ago-sto 1991, n. 266”.

L’art. 7 della legge-quadro sul volontariato pre-vede la possibilità che “Lo Stato, le regioni, le pro-vince autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici

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possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei regi-stri di cui all’art. 6 e che dimostrino attitudine e ca-pacità operativa”. In tale contesto il c. 3 del medesi-mo articolo stabilisce espressamente che “La coper-tura assicurativa di cui all’art. 4 è elemento essenzia-le della convenzione e gli oneri relativi sono a cari-co dell’ente con il quale viene stipulata la convenzio-ne medesima”.

Nei limiti anzidetti è, pertanto, consentito all’en-te locale di avvalersi di lavoro prestato gratuitamente in regime di volontariato, con le riferite conseguenze in punto di copertura assicurativa.

260 – Sezione controllo Regione Lombardia; delibe-razione 30 luglio 2015; Pres. Rosa, Rel. Centro-ne; Comune di Cerro Maggiore.

Comune e provincia – Società partecipata – Per-dita di esercizio – Liquidazione della società – Pagamento dei debiti della società da parte dell’ente – Limiti.

D.l. n. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modifi-cazioni dalla l. 30 luglio 2010 n. 122, misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di compe-titività economica, artt. 6, 14, c. 32.

Il pagamento, da parte di un comune, dei debi-ti di una società partecipata in liquidazione è con-sentito solo a condizione che sussista uno specifico interesse dell’ente o della collettività di riferimento.

Premesso in fatto – In sede di esame del questio-nario trasmesso dall’organo di revisione del Comune di Cerro Maggiore (MI), relativo al rendiconto 2013, redatto ai sensi dell’art. 1, cc. 166 ss., l. n. 266/2005, come integrato dall’art. 3 d.l. n. 174/2012, converti-to dalla l. n. 213/2012, è emersa la seguente critici-tà, per la quale è stata avanzata al presidente di se-zione istanza di deferimento in adunanza collegiale: situazione economico-patrimoniale delle società, in-teramente partecipate (Cea) Cerro energia e ambien-te s.r.l. (che registra, nel 2013, una perdita d’eserci-zio pari a euro 102.775) ed Energeco s.r.l. in liquida-zione (che registra, nel 2013, una perdita pari a euro 8.577). In particolare è apparso necessario approfon-dire l’andamento della procedura di liquidazione e l’eventuale richiesta di intervento finanziario da par-te del comune, unico socio.

All’adunanza della Sezione del 22 aprile 2015 non è intervenuto alcun rappresentante del comune.

Considerato in fatto e diritto – La l. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, c. 166, ha previsto che le sezio-ni regionali di controllo della Corte dei conti svolga-no verifiche e accertamenti sulla gestione finanziaria degli enti locali, esaminando, per il tramite delle re-lazioni trasmesse dagli organi di revisione economi-co-finanziaria degli enti locali, i bilanci di previsio-ne e i rendiconti.

La magistratura contabile ha sviluppato le indi-cate verifiche in linea con le previsioni contenute nell’art. 7, c. 7, l. 5 giugno 2003, n. 131, quale con-trollo ascrivibile alla categoria del riesame di legali-tà e regolarità, che ha la caratteristica di finalizzare le verifiche all’adozione di effettive misure corretti-ve da parte degli enti interessati.

L’art 3, c. 1, lett. e), d.l. n. 174/2012, converti-to dalla l. n. 213/2012, ha introdotto nel Tuel l’art. 148-bis (intitolato “Rafforzamento del controllo del-la Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli en-ti locali”), il quale prevede che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminino i bilan-ci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti lo-cali per la verifica del rispetto degli obiettivi annua-li posti dal patto di stabilità interno, dell’osservan-za del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’art. 119, c. 6, Cost., della sostenibilità dell’in-debitamento, dell’assenza di irregolarità, suscettibi-li di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. Ai fini della verifi-ca in questione la magistratura contabile deve accer-tare che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in società alle quali è af-fidata la gestione di servizi pubblici locali e di servi-zi strumentali.

In base all’art. 148-bis, c. 3, Tuel, qualora le se-zioni regionali della Corte accertino la sussistenza “di squilibri economico-finanziari, della mancata co-pertura di spese, della violazione di norme finalizza-te a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il pat-to di stabilità interno”, gli enti locali interessati so-no tenuti ad adottare, entro sessanta giorni dalla co-municazione della deliberazione di accertamento, “i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio”, e a trasmette-re alla Corte i provvedimenti adottati in modo che la magistratura contabile possa verificare, nei successi-vi trenta giorni, se gli stessi sono idonei a rimuove-re le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilan-cio. In caso di mancata trasmissione dei provvedi-menti correttivi o di esito negativo della valutazione, “è preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i

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quali è stata accertata la mancata copertura o l’insus-sistenza della relativa sostenibilità finanziaria”.

Come precisato dalla Corte costituzionale (sent. n. 60/2013), l’art. 1, cc. 166-172, l. n. 266/2005 e l’art. 148-bis d.lgs. n. 267/2000, introdotto dall’art. 3, c. 1, lett. e), d.l. n. 174/2012, hanno istituito tipo-logie di controllo, estese alla generalità degli enti lo-cali, finalizzati ad evitare danni agli equilibri di bi-lancio. Tali controlli si collocano pertanto su un pia-no distinto rispetto al controllo sulla gestione ammi-nistrativa e sono compatibili con l’autonomia di re-gioni, province e comuni, in forza del supremo inte-resse alla legalità costituzionale finanziaria e alla tu-tela dell’unità economica della Repubblica (artt. 81, 119 e 120 Cost.).

Tali prerogative assumono ancora maggior rilie-vo nel quadro delineato dall’art. 2, c. 1, l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, che, nel comma premesso all’art. 97 Cost., richiama il complesso delle pubbliche am-ministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’U-nione europea, ad assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

Qualora le irregolarità esaminate dalla sezione regionale non siano così gravi da rendere necessaria l’adozione della pronuncia di accertamento prevista dall’art. 148-bis, c. 3, Tuel, siffatta funzione del con-trollo sui bilanci suggerisce di segnalare agli enti an-che irregolarità contabili non gravi, soprattutto se ac-compagnate da sintomi di criticità o da difficoltà ge-stionali, al fine di prevenire l’insorgenza di situazio-ni di deficitarietà o di squilibrio, idonee a pregiudi-care la sana gestione finanziaria. In ogni caso, l’ente interessato è tenuto a valutare le segnalazioni ricevu-te e a porre in essere interventi idonei per addivenire al loro superamento.

I. Situazione economico-patrimoniale delle società partecipate Cea s.r.l., Cerro energia e ambiente

La società Cea s.r.l., in liquidazione, partecipata interamente dal Comune di Cerro Maggiore, ha regi-strato, nel 2013, una perdita d’esercizio pari a euro 102.775, fattore che ha condotto il patrimonio netto a ridursi a euro 50.398.

Il comune, nella memoria del 16 aprile 2015, ha fornito un riepilogo della situazione della società, ag-giornando le informazioni a suo tempo riferite in se-de di istruttoria sul rendiconto consuntivo 2011 (il cui esame è stato archiviato con nota del 20 ago-sto 2013, n. 7904). La società Cea s.r.l. ha registra-to, già dal 2008, risultati economici negativi in co-stante crescita. È nata nel 2002 come azienda per la gestione dei servizi di metanodotto e di acquedotto,

poi dimessi per le sopraggiunte normative di setto-re (rispettivamente nel 2009 e 2010). Nel 2006 le so-no state affidate la gestione delle attività a carattere sportivo e ricreativo e la conduzione della farmacia comunale. Nel corso del 2011, il comune ha preso at-to della situazione di costante perdita, dovuta, da un lato, alla gestione degli impianti sportivi e, dall’al-tro, ai costi di struttura troppo elevati, principalmen-te dovuti al mancato passaggio, a seguito della ri-soluzione dei contratti di distribuzione dell’acqua e del gas metano, del personale addetto a tali servizi al nuovo soggetto affidatario. In particolare, l’ente ha preso atto della relazione sulla gestione al 30 giu-gno 2011 del consiglio di amministrazione della so-cietà dalla quale si evinceva che il risultato di perio-do e, in proiezione, di esercizio era ancora negati-vo e principalmente imputabile al servizio impian-ti sportivi e gestione tensiostruttura (nelle conclu-sioni il presidente del consiglio di amministrazione, avallando l’opinione del collegio dei revisori, rite-neva “di dover rimettere al comune la gestione de-gli impianti sportivi a meno di un contributo a coper-tura dei costi che ripiani la perdita”, invitando “per-tanto il socio unico a prendere una decisione in meri-to alla situazione sovraesposta anche in ordine all’e-ventuale liquidazione anticipata della società con di-smissione delle gestioni”). Il Comune di Cerro Mag-giore, fra l’altro, essendo ente con meno di 30.000 abitanti, in base alla normativa pro tempore vigen-te (art. 14, c. 32, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010), era obbligato alla dismissione della so-cietà entro la fine del 2012. In forza del quadro nor-mativo delineato e stante la persistenza delle perdi-te economiche, il consiglio comunale, in data 25 no-vembre 2011, con deliberazione n. 74, ha deciso la messa in liquidazione della società (stato divenuto operativo dal 6 aprile 2012, a seguito di specifica de-liberazione assembleare).

La memoria conferma che il bilancio 2013 del-la società, come già quello dell’esercizio 2012, chiu-de in perdita (euro 102.775). Tale risultato economi-co negativo è motivato principalmente dalle seguenti poste contabili: svalutazione di immobilizzazioni per 52.663; costi di gestione per circa 30.000; interes-si passivi per euro 18.637. Il comune precisa di non aver effettuato interventi finanziari a favore della so-cietà, trovando le perdite registrate capienza nelle ri-serve del patrimonio netto (la memoria allega, a tal proposito, il bilancio e la nota integrativa).

Nel corso del 2014, il liquidatore della società ha inviato al comune una situazione al 30 settem-bre 2014, corredata da una breve nota di commen-

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to (prodotta in allegato). Da tale documento emerge un risultato negativo pari a euro 174.350, imputabi-le quasi esclusivamente a minusvalenze patrimonia-li per alienazione degli impianti aziendali. Nell’indi-cata nota di commento, tuttavia, il liquidatore preci-sa la cancellazione dal bilancio di talune voci di de-bito, riferibili a poste risalenti nel tempo, dovrebbe garantire il conseguimento di un risultato di eserci-zio di sostanziale equilibrio (pur confermando la dif-ficoltà a far fronte ai debiti della società a causa del-le oggettive difficoltà a realizzare parte dei crediti).

In data 8 aprile 2015, sempre il liquidatore ha tra-smesso lo schema di bilancio al 31 dicembre 2014, corredato dalla nota integrativa e da una relazione sullo stato della liquidazione (entrambi prodotti in allegato), che disattendono la previsione di arriva-re a fine 2014 al sostanziale equilibrio (evidenzia-no, infatti, una perdita di euro 184.785, prevalente-mente riferibile alla minusvalenza patrimoniale di cui si è già detto). In particolare, nella predetta no-ta integrativa il liquidatore, avendo esaurito le riser-ve accantonate, “chiede all’unico socio, il Comune di Cerro Maggiore, di coprire integralmente la perdi-ta dell’esercizio 2014 ammontante a complessivi eu-ro 184.785 in modo da dotare la società delle neces-sarie risorse finanziarie per poter estinguere integral-mente le residue passività societarie”.

L’amministrazione ha preso atto della richiesta espressa del liquidatore e, con decisione assunta nel-la seduta di giunta comunale del 9 aprile 2015, visto l’art. 1, c. 551, l. n. 147/2013 ha ritenuto, cautelativa-mente, ampliandone la portata, di costituire apposi-to accantonamento a fondo rischi nell’avanzo di am-ministrazione (ritenuto capiente) per un importo pari alla perdita registrata.

Energeco s.r.l.La società Energeco s.r.l., in liquidazione, parte-

cipata interamente dal Comune di Cerro Maggiore, ha registrato nel 2013 una perdita d’esercizio pari a euro 8.577, che ha ulteriormente ridotto il patrimo-nio netto negativo a meno euro 548.758. È apparso, pertanto, necessario, approfondire l’andamento del-la procedura di liquidazione e l’eventuale richiesta di intervento finanziario da parte del comune, uni-co socio.

Nella memoria del 16 aprile 2015, il comune ha fornito un riepilogo della complessa situazione della società Energeco s.r.l., aggiornando le informazioni a suo tempo già riferite in sede di istruttoria al rendi-conto 2011 (il cui esame era stato archiviato con nota del magistrato istruttore n. 7904 del 20 agosto 2013).

La società è stata acquisita dall’ente, già in stato di liquidazione, nell’ambito di una procedura giudizia-ria inerente a un’ex discarica, a titolo di risarcimento dei danni subiti dal comune medesimo (accordo tran-sattivo del 24 gennaio 2007, sottoscritto in forza del-la deliberazione di giunta comunale n. 9 del 18 gen-naio 2007, a seguito di applicazione agli imputati di pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e previa autorizzazione del giudice per l’udienza preliminare del 12 gennaio 2007).

Su tale base, il comune, nel periodo luglio-di-cembre 2007, ha incassato somme derivanti, in par-te, dai conti correnti della società Energeco s.r.l. e, in parte, direttamente dai soggetti imputati. In par-ticolare, la liquidità della società è stata assegnata dal giudice direttamente al comune, che, con deli-berazione del consiglio n. 66 del 29 gennaio 2007 e con determinazione n. 985 del 27 dicembre 2007, ne ha cautelativamente accantonata una quota di eu-ro 1.359.407 ad apposito capitolo del bilancio 2007, vincolandola al pagamento delle spese legali ineren-ti al procedimento, nonché per un eventuale debito della società Energeco s.r.l. verso la società Simec s.p.a., ad oggi non ancora definito. Dell’intricata si-tuazione delle cause giudiziarie inerenti all’ex disca-rica, nelle quali sono attori il comune la società Ener-geco s.r.l. e la società Simec s.p.a., è stato fornito re-soconto analitico in una nota riepilogativa redatta dal segretario dell’ente.

Nello specifico, la società Energeco s.r.l., in li-quidazione a partire dalla data di approvazione del bilancio 2007, registra un patrimonio netto di valo-re negativo, legato alla sopra descritta assegnazio-ne delle disponibilità finanziarie al comune. In se-de di approvazione dei bilanci dell’esercizio 2010 e dei successivi, l’ente ha accolto la richiesta del li-quidatore di copertura delle perdite, seppur rinvian-do l’intervento finanziario alla definizione della ver-tenza con la società Simec s.p.a. (specificando che il pagamento avrebbe titolo nella restituzione delle di-sponibilità finanziarie della società assegnate al co-mune nel 2007). A tal proposito la memoria riferi-sce che nel bilancio del comune esiste uno specifico accantonamento (al capitolo 96800, residuo passivo dell’esercizio 2007, pari a euro 559.158). In sede di riaccertamento straordinario dei residui, ai sensi del d.lgs. n. 118/2011, tali somme confluiranno nel fon-do rischi della quota accantonata del risultato di am-ministrazione.

Circa la situazione di perdita d’esercizio registra-ta nel 2013 (il cui bilancio è stato prodotto in alle-gato, comprensivo di nota integrativa e del verbale

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d’approvazione dell’assemblea), il comune segnala che è imputabile ai costi di liquidazione e giudizia-ri che la società deve affrontare sino allo scioglimen-to, che, comunque, non potrà avvenire sino alla con-clusione dei procedimenti giudiziari pendenti. Inol-tre, causa decesso del liquidatore, e individuazione del nuovo in corso, il comune, al momento della con-vocazione in adunanza, non ha potuto allegare uno schema definitivo di bilancio per l’esercizio 2014. Pertanto, ha inviato una bozza provvisoria, elabora-ta dallo studio tributario incaricato della tenuta del-la contabilità, da cui emerge un risultato positivo di euro 12.965, legato principalmente a un risarcimen-to danni.L’accollo di debiti di società in liquidazione

La Sezione prende atto dei comportamenti conta-bili, improntati a prudenza, adottati dall’amministra-zione comunale. Lo stato di liquidazione della so-cietà, infatti, come già sottolineato dallo scrivente collegio, non impone, in caso di emersione di perdi-te di esercizio, l’accantonamento a fondo rischi pre-scritto dalla legge di stabilità per il 2014. Tuttavia, anche alla luce dei nuovi principi contabili, allega-ti al d.lgs. n. 118/2011, come aggiornati dal d.lgs. n. 126/2014, l’accantonamento effettuato dal comune appare prudente e opportuno.

Infatti, come evidenziato, per esempio, nella de-liberazione della Sezione di controllo per la Regio-ne Liguria n. 53/2015, il legislatore dell’armonizza-zione disciplina degli strumenti che permettono di coniugare programmazione e flessibilità di bilancio. Nella fattispecie esaminata rileva, in particolare, il fondo per spese potenziali disciplinato dall’art. 167 d.lgs. n. 267/2000 che, riprendendo criteri di iscri-zione propri della contabilità economico-patrimonia-le, permette agli enti locali di stanziare nella missio-ne “Fondi e accantonamenti”, programma “Altri fon-di”, accantonamenti riguardanti passività solo poten-ziali, che, a fine esercizio, in caso di mancato prelie-vo, confluiscono nella quota accantonata del risulta-to di amministrazione (quando si accerta che la spe-sa potenziale non può verificarsi, la corrispondente quota del risultato di amministrazione è liberata dal vincolo). La descritta esigenza di prudenza è poi ri-presa nel principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (d.lgs. n. 118/2011, all. 4/2, par. 5.1, lett. h).

Se la norma di finanza pubblica (art. 1, cc. 551 ss., legge di stabilità 2014), confermata dal decre-to legislativo sull’armonizzazione, impone (e/o sug-gerisce), agli enti locali, per ragioni di prudenza tese a preservare gli equilibri di bilancio, di accantonare

predeterminate risorse in specifici fondi rischi, diffe-rente è la valutazione che il medesimo ente socio de-ve compiere ai fini della concreta destinazione di ta-li risorse a favore della società partecipata, anche in stato di liquidazione. In questo caso, come sottoline-ato anche in altre occasioni dalla Sezione (cfr., di re-cente, delib. n. 15/2015), non sussiste alcun obbligo di ripiano a carico del comune socio, anche se unico, che deve, invece, dimostrare, in caso di soccorso fi-nanziario (e sempre che non sussistano le preclusio-ni poste dall’art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010) la motivata presenza di un inte-resse (rilascio pregresso di una garanzia; necessità di recuperare al patrimonio comunale beni indisponibi-li necessari per l’erogazione di servizi pubblici fon-damentali; ecc.).

Va, infatti, ricordato, in proposito, quanto già evi-denziato dalla giurisprudenza contabile (cfr., di re-cente, Sez. contr. reg. Piemonte, n. 99/2015), in par-ticolare di questa Sezione. In precedenti deliberazio-ni è stato sottolineato come il socio di una società di capitali, salvo ipotesi particolari (come quella in cui sia esposto direttamente nei confronti dei creditori della società), risponde limitatamente alla quota di capitale detenuta. Invece, il comune socio che pro-cede alla mera copertura del fabbisogno finanziario della liquidazione societaria si accolla, di fatto, i de-biti di un terzo soggetto (di qui la necessità di porre in evidenza la ragione economica-giuridica dell’ope-razione, altrimenti fonte di ingiustificato favor ver-so i creditori della società incapiente, cfr. Sez. con-tr. reg. Lombardia, n. 380/2012 e n. 98/2013). Sul-la questione è stato, inoltre, significativamente affer-mato come l’attuale sistema normativo, anche in at-tuazione di precisi divieti di origine europea, pone li-miti al soccorso da parte degli enti pubblici a favo-re di società partecipate in situazione di precarietà finanziaria (art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010), affermando l’abbandono del-la logica del “salvataggio a tutti i costi” di organismi partecipati o variamente collegati alla pubblica am-ministrazione che versano in situazioni di dissesto. Se, pertanto, non è ammissibile, nell’ottica di una sa-na gestione finanziaria, effettuare salvataggi nei con-fronti di società in perdita, ma ancora presente sul mercato, risulta difficile, salvo dimostrazione in con-creto, ritenere economicamente razionale l’accollo dei debiti risultanti verso terzi all’esito di una pro-cedura di liquidazione (cfr. Sez. contr. reg. Sicilia, n. 59/2014).

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia;

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accerta, sulla base dell’esame della relazione in-viata dall’organo di revisione del Comune di Cer-ro Maggiore in relazione al rendiconto 2013 e del-la successiva attività istruttoria, le perdite d’eserci-zio, e la sensibile riduzione del patrimonio netto, del-le società Cerro energia e ambiente s.r.l. ed Energeco s.r.l., entrambe in liquidazione;

invita, l’amministrazione comunale di Cerro Maggiore ad adottare i necessari provvedimenti at-ti a mantenere il rapporto con le società partecipa-te nell’ambito delle regole previste dal codice civile e dall’ordinamento contabile degli enti locali, non-ché dei canoni di sana gestione economico-finanzia-ria, procedendo al pagamento dei debiti di una so-cietà in liquidazione solo ove sia esistente, e provato, uno specifico interesse del comune medesimo o del-la collettività di riferimento.

266 – Sezione controllo Regione Lombardia; 30 luglio 2015; Pres. (f.f.) Astegiano, Rel. Pettinari; Co-mune di Palazzolo sull’Oglio.

Comune e provincia – Realizzazione di opere pubbliche – Partenariato pubblico-privato – Pagamento dei canoni contrattuali da parte dell’ente locale – Imputazione in bilancio qua-le spesa corrente – Condizioni.

I pagamenti effettuati da un ente locale per i ca-noni contrattuali relativi a un contratto di partena-riato pubblico-privato (nella specie, per l’amplia-mento degli impianti di illuminazione pubblica sul territorio di un comune) possono essere imputati a spesa corrente solo a condizione che – applicando rigorosamente il criterio del riparto dei rischi tra soggetto pubblico e soggetto privato – il contratto non determini, in concreto, una forma di indebita-mento. (1)

(1) I. - In tema di contratti di partenariato pubblico-priva-to e di imputazione in bilancio delle relative operazioni finan-ziarie, v.:

Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 13 novembre 2012, n. 483, in questa Rivista, 2013, fasc. 3-4, 220, secondo cui, per stabilire se il leasing immobiliare in costruendo in-tegri una forma di partenariato pubblico-privato o determini un’ipotesi di indebitamento, occorre, da un lato, applicare i contenuti delle decisioni Eurostat sulla ripartizione dei rischi tra soggetto privato e pubblica amministrazione e, dall’altro lato, verificare la natura del canone di leasing; in particola-re, occorre stabilire se una quota di questo sia finalizzata a remunerare anche la locazione del bene o se esso remunera esclusivamente il rischio di costruzione gravante sul soggetto privato, con la conseguenza che, ai fini della corretta alloca-

Premesso in fatto – 1. Premette l’istante che l’am-ministrazione comunale di Palazzolo sull’Oglio è in-

zione del canone nel bilancio dell’ente e della verifica del ri-spetto del patto di stabilità, la spesa deve essere contabilizzata tra quelle correnti se una parte del canone remunera la “dispo-nibilità” del bene, mentre deve essere contabilizzata tra quelle in conto capitale se il canone è finalizzato solo a remunerare il costo di “costruzione” dell’opera;

Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 23 ottobre 2012, n. 439, ibidem, fasc. 1-2, 183, per cui i contratti ascrivibili alla categoria dei negozi di partenariato pubblico-privato sono caratterizzati dall’elemento del finanziamento dell’opera da parte di un soggetto privato, cosicché, nel caso del contratto di disponibilità, essi impongono all’interprete di verificare se il finanziamento possa prescindere da un indebitamento del sog-getto pubblico che fruisce dell’opera e, cioè, se la spesa ine-rente all’infrastruttura (c.d. asset) realizzata in esecuzione del contratto possa essere considerata fuori dal bilancio dell’ente (off balance) e, quindi, dal suo debito;

Corte conti, Sez. contr. reg. Puglia, 31 maggio 2012, n. 66, in Rep. Foro it., 2012, voce Comune, n. 436, per cui, poiché il contratto di disponibilità è stato introdotto nell’ordinamento dal legislatore per favorire il partenariato pubblico-privato, in presenza del trasferimento sostanziale del rischio contrattuale dall’ente pubblico al soggetto privato gli effetti finanziari del contratto non devono essere considerati dagli enti locali ai fini del calcolo del limite massimo di indebitamento;

Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 19 gennaio 2012, n. 10, in questa Rivista, 2012, fasc. 5-6, 168, secondo la quale, sotto il profilo finanziario e contabile, le operazioni di leasing immobiliare in costruendo poste in essere da un ente locale vanno qualificate come una forma di indebitamento (e non di partenariato pubblico-privato), allorquando siano posti a ca-rico dell’ente almeno due rischi tra quello “di costruzione” (per cui l’esecuzione viene pagata solo a condizione dell’ef-fettiva realizzazione dell’opera), quello “di domanda” (per cui il pagamento pubblico è proporzionale all’effettiva fruizione dell’opera da parte dell’utenza) e quello “di disponibilità” (per cui il realizzatore deve mettere a disposizione dell’uti-lizzatore finale l’infrastruttura e il committente corrisponderà un canone destinato a remunerare, oltre alla disponibilità del servizio, anche, in tutto o in parte, il costo di realizzazione dell’opera); peraltro, ove non sussistano i presupposti per il riconoscimento di un’operazione di partenariato pubblico-pri-vato, l’obbligazione di pagamento del canone di leasing deve essere contabilizzata secondo il metodo c.d. finanziario, im-pegnando la relativa spesa nell’ambito del titolo III (spese per rimborso di prestiti), per la quota di capitale rimborsato, e del titolo I (spese correnti), per la quota degli interessi; in base a questi criteri, il leasing incide, come le altre operazioni di provvista di capitali, sia sui limiti di spesa che sui limiti di indebitamento dell’ente.

II. - In G.U., 16 ottobre 2015, n. 241, è stata pubblicata la determina dell’Autorità nazionale anticorruzione 23 settembre 2015, n. 10, riguardante le linee guida in materia di project finance o finanza di progetto, che si richiamano a principi generali utilizzabili per la maggior parte dei contratti di parternariato pubblico-privato, di cui il project financing è un’espressione.

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tenzionata a realizzare alcune opere pubbliche già in-serite nel programma triennale, fra cui l’integrazione e l’ampliamento degli impianti di illuminazione pub-blica. Precisa che è in fase avanzata la procedura am-ministrativa per l’affidamento della gestione futura del servizio di illuminazione pubblica con una com-plessiva operazione economica pluriennale in cui un soggetto privato, individuato con gara europea, ver-rà ad accollarsi il rischio di disponibilità e di perfor-mance, assumendo l’obbligo di garantire un servizio illuminotecnico minimo necessario per gli standard del servizio pubblico (con penali legate al mancato rispetto degli stessi).

L’ente chiarisce altresì che l’aggiudicatario, a cui verrà ceduta la rete (con opzione di riscatto), dovrà effettuare interventi di riqualificazione, per un valo-re stimato inferiore rispetto al valore dell’affidamen-to, per ovviare all’obsolescenza della rete; il comu-ne specifica inoltre che, così facendo, otterrà un van-taggio economico dato dal risparmio di spesa rispet-to alla gestione diretta in essere.

Secondo l’ente – che sta predisponendo un docu-mento di comparazione fra le diverse modalità di re-alizzazione e di finanziamento del complessivo in-tervento (in particolare: appalto di lavori e fornitu-re finanziato con mutuo ed operazioni di partenaria-to pubblico-privato quali il project financing, la lo-cazione finanziaria ed il contratto di disponibilità) – lo schema prescelto potrà trovare applicazione anche ad altri interventi caratterizzati da ridotta incidenza della componente di investimento rispetto al valore del servizio affidato.

Il comune dà altresì atto di conoscere la giuri-sprudenza contabile in materia di contratto di di-sponibilità e di leasing finanziario (Sez. riun. contr. n. 49/2011; Sez. contr. reg. Veneto n. 139/2013 e n. 173/2015); dà altresì atto di conoscere il tenore delle modifiche introdotte nel d.lgs. n. 118/2011 dal d.lgs. n. 126/2014 quanto a modalità di contabilizzazione delle diverse operazioni.

Ciò premesso, con la predetta istanza viene chie-sto alla Sezione un parere nei termini di seguito in-dicati.

Oggetto del parereIl sindaco del Comune di Palazzolo sull’Oglio

(BG) – presupponendo che il canone delle operazio-ni di partenariato non trovi riscontro nel piano dei conti patrimoniale dell’ente secondo i criteri stabiliti da Eurostat – ha posto alla Sezione i seguenti quesiti:

1) se, secondo il vigente d.lgs. n. 118/2011, per le diverse forme di partenariato vagliate (project finan-cing, locazione finanziaria e contratto di disponibili-

tà), sia possibile contabilizzare “il rispettivo canone annuale di partenariato quale canone di disponibili-tà” – «in quanto volto “a remunerare la disponibili-tà” dell’opera ovvero a remunerare “i corrispettivi di un servizio” di messa a disposizione/usufruibilità per l’amministrazione di un’opera, sia essa un immobile o una rete/impianto di illuminazione o calore», sul pre-supposto della cessione della rete all’aggiudicatario;

2) se, secondo il vigente d.lgs. n. 118/2011, sia possibile contabilizzare il canone annuale di parte-nariato/disponibilità:

i) nel piano dei conti finanziario (allegato C/1): nella voce U IV Canoni per progetti in partenariato pubblico-privato U.1.03.02.06.000; U V Canoni di disponibilità U.1.03.02.06.001;

ii) nel piano dei conti economico (allegato C/2): nella voce 2.1.2.01.06 Canoni per progetti di parte-nariato pubblico-privato; 2.1.2.0.06.001.PPP – Ca-noni disponibilità B 10. (Omissis)

Merito – (Omissis)2. Quanto al merito dei quesiti, la Sezione ha già

osservato in linea generale che le operazioni di par-tnership tra pubblico e privato sono oggi espressa-mente disciplinate dall’art. 3, c. 15-ter, d.lgs. n. 163/2006, che le definisce come “contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progetta-zione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il fi-nanziamento totale o parziale a carico di privati, an-che in forme diverse, di tali prestazioni, con alloca-zione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli in-dirizzi comunitari vigenti” (v. la delib. n. 248/2013 di questa Sezione).

In altre parole, elemento caratteristico di tali ope-razioni – entro cui vanno annoverati, oltre al contrat-to di disponibilità, a) la concessione di lavori; b) la concessione di servizi; c) la locazione finanziaria; d) la finanza di progetto; e) le società miste; f) l’affida-mento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte po-sticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi – è la suddivisione del rischio economico tra pubblica amministrazione e privato, che giustifica un trattamento contabile par-zialmente diverso, in dipendenza delle possibili eve-nienze, di tali negozi rispetto all’ordinario contratto di appalto; le diverse ipotesi – come rilevato anche dalle Sezioni riunite di questa Corte in sede di con-trollo con deliberazione di indirizzo del 16 settem-bre 2011, n. 49 – devono esser in particolare distin-te sulla base dei criteri elaborati dall’Ufficio statisti-

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co dell’Unione europea (Eurostat) che, nello speci-fico, ha affrontato il tema con determinazione data-ta 11 febbraio 2004: in linea con il Sistema europeo dei conti “Sec95”, Eurostat ha stabilito nella sostan-za che i beni oggetto delle operazioni di partenaria-to non devono essere registrati nei conti delle pub-bliche amministrazioni, ai fini del calcolo dell’inde-bitamento netto e del debito, solo se c’è un sostan-ziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica al-la parte privata, cioè nel caso in cui si verifichino contemporaneamente le seguenti due condizioni: 1) il soggetto privato assume il rischio di costruzione; 2) il soggetto privato assume almeno uno dei due ri-schi: di disponibilità o di domanda (i criteri sono stati successivamente chiariti in sede di elaborazione del-la terza versione del Sec95 sul disavanzo e sul debi-to pubblico, pubblicata ad ottobre 2010).

In conclusione, spetterà all’interprete del caso concreto valutare se la spesa inerente all’infrastrut-tura (c.d. asset) realizzata in esecuzione di un con-tratto di partenariato possa essere considerata fuori dal bilancio dell’ente (off balance) e, quindi, dal de-bito pubblico. L’interprete dovrà compiere la valuta-zione de qua applicando il criterio del “riparto dei ri-schi” tra soggetto pubblico e soggetto privato secon-do le indicazioni di Eurostat sin qui riportate.

Sulla base degli enunciati criteri, questa Sezione ha peraltro già osservato che l’ampia autonomia ne-goziale riconosciuta ai contraenti dal codice dei con-tratti impone cautele non solo in riferimento all’in-debitamento dell’ente locale, ma anche in relazione alle modalità di contabilizzazione dell’operazione in termini finanziari: i pagamenti dei canoni contrattua-li, al fine del calcolo per il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, possono infatti esser impu-tati a spesa corrente solo nell’ipotesi in cui, applican-do rigorosamente il criterio del riparto dei rischi tra soggetto pubblico e privato, il contratto non costitu-isca in concreto una forma di indebitamento; altri-menti, l’imputazione della spesa seguirà la discipli-na giuridica propria della forma d’indebitamento in concreto realizzata (delib. n. 439/2012 di questa Se-zione).

Tale valutazione – che deve essere operata in concreto alla luce dello specifico assetto contrattua-le predisposto – deve tener conto, a seconda delle diverse ipotesi, del rischio di costruzione (rischio che la realizzazione dell’opera non avvenga nei tem-pi previsti o secondo il piano economico concorda-to), del rischio di domanda e del rischio di disponi-bilità. Come rilevato dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, l’analisi dell’allocazione di ta-

li rischi implica una valutazione completa dell’ope-razione economica definita, che tenga cioè conto – oltre che delle relative modalità di distribuzione fra le parti – dell’intero complesso dei rischi rilevanti: del “rischio di gestione (rischio che i costi operativi del progetto differiscano da quelli previsti a budget o che il livello di prestazione previsto non sia raggiun-to o che il servizio non possa essere erogato)”, del “rischio di manutenzione (rischio che i costi neces-sari a mantenere il bene in perfetto stato di funzio-namento varino rispetto a quelli previsti a budget)”, del “rischio di finanziamento (rischio di mancato re-perimento delle risorse finanziarie nei termini e nel-le condizioni necessarie alla realizzazione e gestio-ne dell’iniziativa in linea con le previsioni economi-che e finanziarie iniziali)” e del “rischio che un even-to imprevedibile ed incontrollabile da parte di tutti i soggetti coinvolti nel progetto, comporti un aumento dei costi o addirittura l’impossibilità di acquistare il servizio o di erogarlo”.

Un ulteriore elemento rilevante ai fini del tratta-mento contabile dell’operazione è la presenza di ga-ranzie pubbliche, in quanto anche queste possono in-cidere sulla distribuzione dei rischi tra le parti: ta-li garanzie possono infatti comportare l’iscrizione o la riclassificazione dell’asset on balance quando as-sicurano un’integrale o quantomeno sostanziale co-pertura del rischio economico dell’operazione, ovve-ro un rendimento certo del capitale investito dal sog-getto privato.

Anche l’allocazione dell’asset, secondo i princi-pi prima visti, alla fine del contratto rappresenta un elemento idoneo ad incidere sulla corretta contabiliz-zazione dell’intervento, potendosi presumere un’in-cidenza diretta dell’operazione sul bilancio dell’en-te ogni qual volta il prezzo di riscatto del bene ecce-da la valutazione di mercato del bene medesimo, ov-vero sia anche inferiore, allorquando tuttavia emerga che il corrispettivo per l’acquisizione dell’asset stes-so sia stato in precedenza conglobato nei canoni già corrisposti (v. ancora la ricognizione operata dall’A-vcp nell’ottobre 2013).

4. Tanto premesso in linea generale, si possono dare indicazioni più circostanziate con riferimento alle evocate ipotesi di partenariato.

4.1. LeasingTale ipotesi risulta ampiamente analizzata nella

giurisprudenza di questa Corte ed è ora espressamen-te regolata nell’allegato 4/II) al d.lgs. n. 123/2011, principio n. 3.25.

In particolare, le Sezioni riunite di questa Cor-te, nella deliberazione d’indirizzo n. 49/2011, hanno

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chiarito che i canoni di leasing immobiliare possono essere considerati come spesa di investimento lad-dove sia prevista la facoltà di riscatto e questa ven-ga successivamente esercitata: anche se solo in tale momento l’opera costruita entra a far parte del patri-monio dell’ente è possibile considerarne gli effetti fi-nanziari sin dal momento della consegna, ovvero dal momento in cui concretamente la pubblica ammini-strazione inizia a trarre vantaggio dall’opera stessa. Tali spese, in ipotesi di questo tipo, possono essere quindi considerate di investimento e contabilizzate secondo i dettami del “metodo finanziario” descritto nel criterio contabile internazionale riprodotto nel-lo “Ias 17”.

Il predetto principio contabile n. 3.25 – descri-vendo in termini contabili l’operazione secondo l’id quod plerumque accidit – chiarisce invece che il leasing finanziario e i contratti assimilati (leasing immobiliare, leasing in costruendo, sale and lea-se-back, ecc.) sono contratti di finanziamento che consentono ad un soggetto, comprese le amministra-zioni pubbliche, di avere la disponibilità di un be-ne durevole, mobile o immobile, strumentale all’e-sercizio della propria attività, in cambio di un cano-ne periodico, con la facoltà, una volta scaduto il ter-mine previsto dal contratto, di esercitare l’opzione di riscatto del medesimo acquistandone la relativa pro-prietà: in tali casi – tipici dei contratti di leasing che hanno ad oggetto, come nel caso di specie, beni im-mobili (ed infatti è prevista l’opzione di riscatto del bene medesimo al termine del contratto) – le opera-zioni di leasing costituiscono indebitamento (cfr. an-che, a contrario, Sez. contr. reg. Veneto n. 173/2015).

Ciò avviene in particolare, secondo lo Ias 17, par. 10, quando: a) è previsto il trasferimento della pro-prietà del bene al locatario al termine del contrat-to di leasing; b) il locatario ha l’opzione di acqui-sto del bene ad un prezzo che ci si attende sia suffi-cientemente inferiore al fair value alla data di eser-cizi dell’opzione; c) la durata del contratto copre la maggior parte della vita economica del bene anche se la proprietà non è trasferita; d) all’inizio del con-tratto il valore attuale dei pagamenti minimi dovu-ti per il leasing equivale almeno al fair value del be-ne locato; e) i beni locati sono di natura così partico-lare che solo il locatario può utilizzarli senza impor-tanti modifiche.

Pertanto, il leasing finanziario e le operazioni as-similate in tali ipotesi vanno registrate con le mede-sime scritture utilizzate per gli investimenti finanzia-ti da debito, secondo il c.d. metodo finanziario, al fi-ne di rilevare sostanzialmente che l’ente si sta inde-

bitando per acquisire un bene: i) al momento della consegna del bene oggetto del contratto, va rileva-to un debito pari all’importo oggetto di finanziamen-to, da iscrivere tra le “Accensioni di prestiti”, e si registra l’acquisizione del bene tra le spese di inve-stimento; ii) l’importo del finanziamento è costitui-to dal valore corrente del bene all’inizio del leasing, che deve essere pari al valore attuale dei pagamenti dovuti per il leasing medesimo; iii) anche se formal-mente non ancora di proprietà dell’ente, dal punto di vista contabile il bene va preso in carico dall’ente ed inventariato tra i beni in leasing ed oggetto di am-mortamento; iv) al momento del pagamento dei ca-noni periodici, questi vanno registrati contabilmente distinguendo la parte interessi, da imputare in bilan-cio tra le spese correnti, dalla quota capitale, da iscri-vere tra i rimborsi prestiti della spesa; v) alla fine del contratto di leasing, la spesa per l’esercizio del ri-scatto va registrata tra le spese di investimento.

Secondo il piano dei conti integrato, dunque, in tali ipotesi il leasing va imputato ad accensione di prestiti; nel piano dei conti economico invece conte-stualmente nelle voci relative ai beni materiali acqui-siti mediante operazioni di leasing, al rimborso dei prestiti, agli interessi su operazioni di leasing finan-ziario; nel caso di leasing di godimento invece l’ope-razione va iscritta, nel medesimo piano, fra le spese sostenute per l’utilizzo di beni di terzi; nel piano dei conti economico invece nella voce relativa ai canoni di leasing operativo e nelle relative sottovoci.

4.2. Il contratto di disponibilitàCome questa Sezione ha già avuto più volte mo-

do di rilevare sulla base del tenore testuale delle di-sposizioni rilevanti (art. 3, cc. 15-bis e 160-ter, del c.d. codice dei contratti pubblici), il contratto di di-sponibilità si definisce quale negozio mediante il quale «sono affidate, a rischio e a spesa dell’affida-tario, la costruzione e la “messa a disposizione” a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’o-pera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo» (v. delib. n. 439/2012 e n. 25/2014). S’è in quella se-de chiarito che con detta espressione si intende, in particolare, l’assunzione da parte del concedente del rischio di assicurare all’amministrazione aggiudica-trice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto.

L’affidatario del contratto di disponibilità è retri-buito alternativamente con una delle seguenti moda-lità: a) con un canone di disponibilità, che deve es-sere versato soltanto in corrispondenza all’effettiva disponibilità dell’opera (il canone deve infatti esser

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o nulla disponibilità dell’opera stessa per ma-nutenzione, vizi o qualsiasi motivo non rientrante tra i rischi a carico dell’amministrazione aggiudicatri-ce specificamente stabiliti dall’art. 160-ter, c. 3, del codice); b) con un eventuale riconoscimento di un contributo in corso di realizzazione, comunque non superiore al cinquanta per cento del costo di costru-zione dell’opera, in caso di trasferimento della pro-prietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice; c) con “un eventuale prezzo di trasferimento, para-metrato, in relazione ai canoni già versati e all’even-tuale contributo in corso d’opera, al valore di mer-cato residuo dell’opera, da corrispondere, al termine del contratto, in caso di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice”.

L’affidatario assume il rischio della costruzione e della gestione tecnica dell’opera per il periodo di “messa a disposizione” dell’amministrazione aggiu-dicatrice. “Il contratto determina le modalità di ripar-tizione dei rischi tra le parti, che possono comportare variazioni dei corrispettivi dovuti per gli eventi inci-denti sul progetto, sulla realizzazione o sulla gestione tecnica dell’opera, derivanti dal sopravvenire di norme o provvedimenti cogenti di pubbliche autorità”. Salva diversa determinazione contrattuale e salva comunque la facoltà per l’affidatario di introdurre varianti fina-lizzate ad una maggior economicità di costruzione o gestione, i rischi della costruzione e gestione tecnica dell’opera derivanti da mancato o ritardato rilascio di autorizzazioni, pareri, nulla osta e ogni altro atto di na-tura amministrativa sono a carico del soggetto aggiu-dicatore (tali ultimi enunciati sono stati aggiunti nel corpo dell’art. 160-ter del codice dei contratti pubbli-ci dall’art. 4-bis, c. 1, lett. a, d.l. n. 83/2012, converti-to con modificazioni dalla l. n. 134/2012).

Questa Sezione ha già rilevato, sulla base di detta normativa, che: a) il contratto di disponibilità si pre-sta ad essere utilizzato “per la realizzazione di ope-re c.d. fredde, cioè di infrastrutture destinate all’u-tilizzazione diretta della pubblica amministrazione per lo svolgimento di un pubblico servizio (ad es. uf-fici pubblici)” (Corte conti, Sez. contr. reg. Puglia, del. n. 66/2012; Sez. contr. reg. Lombardia, del. n. 439/2012); b) il legislatore ha inteso riconoscere ai contraenti ampia autonomia in materia, dando loro la possibilità – anche in sede di regolamentazione con-trattuale dei reciproci obblighi – di “personalizzare” la causa giuridica dello schema negoziale, “piegan-dola” ad esigenze concrete che possono venire in ri-lievo in sede di realizzazione dell’opera privata desti-nata ad un servizio pubblico (Corte conti, Sez. contr.

reg. Lombardia, del. n. 439/2012). Da ciò se ne è de-sunto che “non si può asserire, in astratto ed in gene-rale, quale sia la funzione economico-sociale che le parti intendono realizzare quando si avvalgono del-lo schema negoziale in esame; infatti, sarà compito dell’interprete del caso concreto – attraverso un esa-me complessivo del regolamento contrattuale – indi-viduare la funzione economico-sociale che hanno in-teso realizzare i contraenti con la complessiva ope-razione negoziale”. Al riguardo, s’è peraltro rilevato che non si deve limitare l’analisi al singolo negozio, ma estendere la stessa agli eventuali negozi collega-ti, dovendo essere valutata la complessiva operazio-ne economica posta in essere.

Pertanto i pagamenti dei canoni di disponibilità possono esser imputati al titolo I della Parte “Spesa”, cioè alle “Spese correnti”, del bilancio solo nell’ipo-tesi in cui, applicando il predetto criterio del riparto dei rischi tra soggetto pubblico e privato, il contratto medesimo non costituisca in concreto una forma di indebitamento, dovendo altrimenti detta imputazio-ne seguire la disciplina giuridica propria della forma d’indebitamento in concreto realizzata (deliberazio-ne n. 439/2012 di questa Sezione).

In particolare, nel primo caso i canoni contrattua-li andranno contabilizzati fra i canoni di disponibili-tà (anche nel piano dei conti economico).

Nel secondo, ovvero nelle ipotesi in cui il con-tratto di disponibilità si riveli funzionale all’acquisi-zione finale del bene secondo i criteri prima riporta-ti (cioè, in definitiva, nei casi in cui l’allocazione dei rischi gravi in capo alla pubblica amministrazione), si dovranno seguire le relative modalità sostanziali di rappresentazione dell’operazione, secondo il pa-radigma espressamente disciplinato dalla fonte pri-maria per l’operazione di leasing: i) al momento del-la consegna del bene oggetto del contratto va rileva-to un debito pari all’importo oggetto di finanziamen-to, da iscrivere tra le “accensioni di prestiti”, e va re-gistrata l’acquisizione del bene fra le spese di inve-stimento; ii) l’importo della complessiva operazio-ne di disponibilità è costituito dal valore corrente del bene all’inizio del contratto, comprensivo dell’even-tuale contributo in corso d’opera e del prezzo fina-le di riscatto; iii) anche se formalmente non anco-ra di proprietà dell’ente, dal punto di vista contabi-le il bene va preso in carico dall’ente ed inventaria-to tra i beni in disponibilità; iv) al momento del pa-gamento dei canoni periodici, questi vanno registrati contabilmente distinguendo in concreto la parte cor-rispettiva del mero godimento, da imputare in bilan-cio tra le spese correnti, dalla quota capitale, da iscri-

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vere tra i rimborsi prestiti della spesa; v) la spesa per l’esercizio del riscatto va registrata tra le spese di in-vestimento.

4.3. Project financingIl c.d. project financing, come è noto, è un’opera-

zione di finanziamento a lungo termine in cui la con-troprestazione sinallagmatica del “finanziamento” stesso, totalmente o parzialmente a carico di privati, è garantita dai flussi di cassa derivanti dall’attività di gestione dell’opera prevista nel progetto.

Come la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito, tale procedura – che trova ora espressa disci-plina negli artt. 153 ss. d.lgs. n. 163/2006 – risulta so-stanzialmente articolata in due fasi, distinte ma stretta-mente connesse: 1) la scelta del promotore, caratteriz-zata da ampia discrezionalità amministrativa per l’ac-coglimento della proposta, proveniente talvolta del promotore stesso, alla stregua della già effettuata pro-grammazione delle opere pubbliche, con gara prelimi-nare per la valutazione comparativa delle diverse of-ferte; 2) la richiesta di eventuali modifiche progettua-li ed il rilascio della concessione, ovvero una ulteriore fase selettiva ad evidenza pubblica (secondo le regole nazionali e comunitarie) fra più aspiranti alla conces-sione in base al progetto prescelto, con risorse total-mente o parzialmente a carico dei soggetti proponen-ti. È dunque configurabile una fattispecie a formazio-ne progressiva, il cui scopo finale (aggiudicazione del-la concessione in base al criterio dell’offerta economi-camente più vantaggiosa) è interdipendente dalla fase prodromica di individuazione del promotore (da ulti-mo Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2015, n. 1872).

Tale operazione – il cui costo risulta naturaliter maggiore rispetto ad altre forme di finanziamento – trova usualmente una propria specifica utilità, per la pubblica amministrazione che ad essa ricorre, non in mere valutazioni d’ordine finanziario, ma nel più complessivo vantaggio derivante dal trasferimento dei rischi in capo al privato.

La giurisprudenza contabile s’è in più occasioni pronunciata sul project financing ed ha rilevato che, al fine di non includere l’importo riferito all’opera nel debito dell’ente pubblico, è necessario, confor-memente ai principi prima espressi, che la stessa sia realizzata effettivamente con capitali privati, mentre qualora sia prevista l’erogazione di contributi pub-blici, a qualsivoglia titolo, deve essere valutata con attenzione la natura sostanziale dell’intervento, so-prattutto se le risorse pubbliche investite sono preva-lenti rispetto a quelle private (v. questa Sezione, de-lib. n. 1003/2013 e 405/2012).

In particolare, secondo il modello usuale, l’ope-

ra potrà essere considerata off balance solo laddo-ve il soggetto privato assuma il rischio di costruzio-ne ed almeno un altro dei due rischi: di disponibilità o di domanda. In caso contrario l’operazione diver-rà uno strumento di indebitamento e come tale andrà rappresentata contabilmente.

In particolare, nel primo caso i canoni contrattua-li andranno contabilizzati, a seconda di come è stata concretamente configurata l’operazione, fra i canoni per progetti in partenariato pubblico-privato (anche nel piano dei conti economico).

Nel caso di operazioni c.d. on balance nella re-lativa rappresentazione contabile andrà invece evi-denziato, come sopra visto, la componente di “pre-stito” intrinseca nell’indebitamento, secondo moda-lità operative analoghe a quelle esplicitate nel princi-pio contabile n. 3.25. per il leasing.

5. Spetta al Comune di Palazzolo sull’Oglio, sul-la base dei principi espressi dalla giurisprudenza contabile, oltre che da questo stesso parere, valutare la fattispecie concreta al fine di addivenire, nel caso di specie, al migliore esercizio possibile del proprio potere di autodeterminazione in riferimento alla con-figurazione della descritta operazione di partenariato pubblico-privato, sempre nel rispetto dei diversi tipi contrattuali utilizzabili e dei vigenti vincoli di legge.

P.q.m., nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

* * *

Piemonte

246 – Sezione controllo Regione Piemonte; ordinan-za 10 novembre 2014; Pres. Pischedda; Regio-ne Piemonte.

Contabilità regionale e degli enti locali – Regione Piemonte – Rendiconto generale per l’eserci-zio finanziario 2013 – Giudizio di parificazione – Somme ricevute dallo Stato per il pagamen-to di debiti pregressi – Legge regionale di as-sestamento del bilancio – Istituzione di capito-li dell’entrata e della spesa per la destinazione delle somme a finalità diverse da quelle stabi-lite dalla legge statale – Incidenza sull’equili-brio del bilancio – Questione di legittimità co-stituzionale – Non manifesta infondatezza.

Cost., art. 81; l. reg. Piemonte 6 agosto 2013 n. 16, assestamento al bilancio di previsione per l’anno fi-nanziario 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni finanziari 2013-2015.

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Contabilità regionale e degli enti locali – Regio-ne Piemonte – Rendiconto generale per l’eser-cizio finanziario 2013 – Giudizio di parifica-zione – Somme ricevute dallo Stato per il pa-gamento di debiti pregressi – Legge regiona-le – Istituzione di capitoli dell’entrata e della spesa per la destinazione delle somme a finali-tà diverse da quelle stabilite dalla legge statale – Incidenza sull’equilibrio del bilancio – Que-stione di legittimità costituzionale – Non mani-festa infondatezza.

Cost., art. 81; l. reg. Piemonte 29 ottobre 2013 n. 19, ulteriori disposizioni finanziarie per l’anno 2013 e pluriennale 2013-2015, artt. 1, 2.

Non è manifestamente infondata, in riferimento all’art. 81, c. 4, Cost. (nel testo vigente prima della modifica introdotta dalla l. cost. n. 1/2012), la que-stione di legittimità costituzionale – insorta in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Piemonte relativo all’esercizio finan-ziario 2013 – della l. reg. Piemonte 6 agosto 2013 n. 16 (recante l’assestamento al bilancio di previ-sione per l’anno 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni 2013-2015), nella parte in cui – istituendo in entrata il capitolo 59300 (Upb db902), con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, e il capito-lo 59350 (Upb db902), con uno stanziamento di eu-ro 803.724.000, e, in uscita, il capitolo 200/0 (Upb d809010), dell’importo di euro 447.693.392,78, e il capitolo 156981 (Upb db20151), con uno stan-ziamento di euro 803.724.000 – finanzia spese, non previste in bilancio, con le anticipazioni di liquidità concesse dallo Stato alla regione (in base agli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013) per la specifica finalità consi-stente nel pagamento di debiti pregressi della regio-ne stessa, conseguentemente ampliando la sua capa-cità di spesa senza la necessaria copertura finanzia-ria, attesa l’inutilizzabilità a tal fine di una mera an-ticipazione di cassa, e, quindi, alterando l’equilibrio del bilancio regionale. (1)

Non è manifestamente infondata, in riferimento all’art. 81, c. 4, Cost. (nel testo vigente prima della modifica introdotta dalla l. cost. n. 1/2012), la que-stione di legittimità costituzionale – insorta in sede di giudizio di parificazione del rendiconto genera-le della Regione Piemonte relativo all’esercizio fi-nanziario 2013 – della l. reg. Piemonte 29 ottobre

(1-2) Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’ordinanza in epigrafe sono state decise da Corte cost. 23 luglio 2015, n. 181, in questo fascicolo, 445, con nota di ri-chiami.

2013 n. 19 (recante ulteriori disposizioni finanziarie per l’anno 2013 e per gli anni 2013-2015), limitata-mente agli artt. 1 e 2, che – nell’approvare gli alle-gati A e C alla stessa legge, con i quali, da una par-te, incrementa di euro 660.206.607,23 in entrata il capitolo 59300 (Upb db902) e in uscita il disavan-zo di amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 Upb db09010), e, dall’altra parte, incremen-ta in entrata il capitolo 59350 (Upb db902) di euro 642.979.200 e, in uscita, istituito il capitolo 156985 (Upb db20151), con uno stanziamento di pari impor-to – finanzia spese, non previste in bilancio, con le anticipazioni di liquidità concesse dallo Stato alla regione (in base agli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013) per la specifica finalità consistente nel pagamento di de-biti pregressi della regione stessa, conseguentemen-te ampliando la sua capacità di spesa senza la neces-saria copertura finanziaria, attesa l’inutilizzabilità a tal fine di una mera anticipazione di cassa, e, quin-di, alterando l’equilibrio del bilancio regionale. (2)

Considerato in diritto – 1. L’art. 1, c. 5, d.l. 10 ot-tobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dal-la l. 7 dicembre 2012, n. 213, dispone che “Il rendi-conto generale della regione è parificato dalla sezio-ne regionale di controllo della Corte dei conti ai sen-si degli artt. 39, 40 e 41 del t.u. di cui al r.d. 12 luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parifica è allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimità e alla re-golarità della gestione e propone le misure di corre-zione e gli interventi di riforma che ritiene necessa-ri al fine, in particolare, di assicurare l’equilibrio del bilancio e di migliorare l’efficacia e l’efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono tra-smesse al presidente della giunta regionale e al con-siglio regionale”.

Gli articoli del t.u. delle leggi sulla Corte dei con-ti richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art. 40), il profilo contenu-tistico (art. 39) e la contestualizzazione dell’attività di parifica con una relazione sul rendiconto (art. 41).

L’estensione del giudizio di parifica alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti è coeren-te con il ruolo di “garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico” che il le-gislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che è sta-to confermato dalla Corte costituzionale con sent. n.

V. pure Corte conti, Sez. contr. reg. Toscana, 8 luglio 2015, n. 198, in questo fascicolo, 240.

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60/2013, nella quale, richiamando anche la pregressa giurisprudenza, è stato affermato che “alla Corte dei conti è attribuito il controllo sull’equilibrio economi-co-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell’unità economica della Repub-blica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall’appar-tenenza dell’Italia all’Unione europea (artt. 11 e 117, c. 1, Cost.)”. Infatti, il giudizio di parifica per le re-gioni a statuto ordinario è stato introdotto, come pre-cisa il c. 1 dell’art. 1 del d.l. n. 174/2012 cit., “al fi-ne di rafforzare il coordinamento della finanza pub-blica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finan-ziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unio-ne europea, le disposizioni del presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli artt. 28, 81, 97, 100 e 119 Cost., il controllo della Corte dei conti sulla ge-stione finanziaria delle regioni di cui all’art. 3, c. 5, l. 14 gennaio 1994, n. 20, e all’art. 7, c. 7, l. 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni”.

2. Dal conto del bilancio del rendiconto ge-nerale della Regione Piemonte per l’esercizio 2013 risulta un disavanzo d’amministrazione pa-ri a euro 364.981307,72, risultante dal saldo al-gebrico tra fondo cassa (+598.037.823,71), resi-dui attivi (+3.328.145.970,67) e residui passivi (-4.291.167.102,10).

L’analisi effettuata dalla Sezione ha evidenziato che questo risultato deriva anche dall’utilizzo, come fonti di finanziamento del pregresso disavanzo d’am-ministrazione e di alcune nuove spese in materia sa-nitaria, delle risorse messe a disposizione dallo Sta-to in applicazione degli artt. 2 e 3 d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla l. 6 giugno 2013, n. 64. L’utilizzo in tal senso delle suddette ri-sorse finanziarie è stato disposto dalle leggi regiona-li n. 16 del 6 agosto 2013 e n. 19 del 29 ottobre 2013.

In particolare, nel corso del 2013, la Regione Pie-monte, in virtù delle norme sopra richiamate, ha sot-toscritto quattro contratti con il Ministero dell’econo-mia e delle finanze, ottenendo risorse finanziarie per un importo complessivo di euro 2.554.603.200,01.

Tali risorse finanziarie hanno avuto la seguente destinazione:

a) euro 447.693.392,78, concessi per l’estinzione dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 di-cembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, diversi da quelli finanziari e sanitari. L’importo è stato destinato a finanziare par-zialmente il disavanzo risultante dal conto del bilancio

2012 (euro 1.150.257.926,03). La relativa variazione di bilancio è stata disposta in sede di assestamento con la l. reg. 6 agosto 2013, n. 16, che ha previsto in entra-ta il cap. 59300 (Upb db902) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, interamente riscosso, e in uscita ha iscritto lo stesso importo quale disavanzo di ammi-nistrazione (cap. 200/0 Upb db09010);

b) euro 803.724.000, concessi per l’estinzione dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia sta-ta emessa fattura o richiesta equivalente di pagamen-to entro il predetto termine degli enti del Servizio sa-nitario nazionale. L’importo è stato destinato a finan-ziare il capitolo 156981 avente per oggetto “trasfe-rimenti alle aziende sanitarie regionali per l’eroga-zione delle risorse di cui all’anticipazione di liquidi-tà ai sensi dell’art. 3, c. 2, d.l. n. 35/2013”, per alline-amento con la situazione patrimoniale delle aziende sanitarie regionali (importo rilevato dalla Sezione in sede di parificazione 2012 a rettifica, in incremento, del disavanzo 2012 di euro 1.150.257.926). Anche in questo caso la variazione del bilancio è stata dispo-sta in sede di assestamento di bilancio con la l. reg. 6 agosto 2013, n. 16, che ha previsto in entrata il ca-pitolo 59350 (Upb db902) e in uscita il cap. 156981 (Upb db20151), entrambi con uno stanziamento di euro 803.724.000 e i relativi importi sono stati inte-ramente riscossi e pagati;

c) euro 660.206.607,23, concessi per l’estinzio-ne dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine diversi da quelli finanziari e sanitari; l’importo è stato destinato ad ulteriore par-ziale finanziamento del disavanzo risultante dal con-to del bilancio 2012. La relativa variazione di bilan-cio è stata disposta dall’allegato A l. 29 ottobre 2013, n. 19, che in entrata ha incrementato il cap. 59300 (Upb db902) di euro 660.206.607,23, interamente ri-scossi, e in uscita ha incrementato di pari importo il disavanzo d’amministrazione 2012 da ripianare (cap. 200/0 Upb db09010);

d) euro 642.979.200, concessi per il pagamento dei debiti certi liquidi ed esigibili alla data del 31 di-cembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine degli enti del Servizio sani-tario nazionale. L’importo (emerso successivamen-te alla parificazione del rendiconto 2012) è stato de-stinato a ripianare le perdite derivanti dai c.d. “am-mortamenti non sterilizzati delle aziende sanitarie” e la relativa variazione di bilancio è stata disposta

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dall’all. C l. 29 ottobre 2013, n. 19, che ha incre-mentato in entrata il cap. 59350 (Upb D8902) di eu-ro 642.979.200, interamente riscossi, e in uscita ha istituito il cap. 156985 (Upb db20151) avente per og-getto “trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per l’erogazione delle risorse di cui all’anticipazione di liquidità ai sensi dell’art. 3, c. 2, d.l. n. 35/2013 e dell’art. 13, c. 6, d.l. n. 102/2013”, con uno stanzia-mento di euro 642.979.200 interamente pagato.

La somma delle variazioni sopra descritte, pa-ri a euro 2,554.603.200,01, corrisponde ai totale dei quattro contratti stipulati con il Mef.

La Sezione dubita della legittimità costituzionale delle suddette variazioni di bilancio e, conseguente-mente, delle leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che le hanno disposte.

Tuttavia, prima di illustrare la non manifesta in-fondatezza di tali dubbi, si ritiene necessario soffer-marsi preliminarmente sulla legittimazione di questa Corte ad adire il giudice delle leggi, nonché sulla ri-levanza della questione nei giudizio in corso.

3. Per quanto riguarda la legittimazione della Se-zione di controllo a sollevare questioni di legittimi-tà costituzionale in sede di parificazione del rendi-conto, si osserva che questo giudizio si svolge con le formalità della giurisdizione contenziosa, preve-de la partecipazione del procuratore generale in con-traddittorio con i rappresentanti dell’amministrazio-ne e si conclude con una pronunzia adottata in esi-to a pubblica udienza, sicché la consolidata giuri-sprudenza della Corte costituzionale (n. 165/1963; n. 121/1966; n. 142/1968; n. 244/1995; n. 213/2008) ha riconosciuto “alla Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, la legittimazione a pro-muovere, in riferimento all’art. 81 Cost., questione di legittimità costituzionale, avverso tutte quelle di-sposizioni di legge che determinino effetti modifica-tivi dell’articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unità elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati diffe-renziali” (sent. n. 213/2008).

Sebbene le pronunce della Corte costituzionale, sopra richiamate, siano state emesse in riferimento al giudizio di parifica del rendiconto dello Stato e del-le regioni ad autonomia speciale, ritiene la Sezione che i principi espressi siano applicabili anche al giu-dizio di parifica del rendiconto delle regioni a statuto ordinario. Infatti, l’unica differenza riscontrabile tra i due procedimenti è data dall’organo innanzi al qua-le si svolge il giudizio, che non sono le Sezioni riuni-te, centrali o regionali, ma le sezioni regionali di con-

trollo. Tale circostanza, tuttavia, non pare rilevante atteso che, da un lato, la legge attribuisce la titola-rità del giudizio di parificazione alle sezioni regio-nali di controllo, non essendo previste nelle regio-ni a statuto ordinario le Sezioni riunite, e dall’altro che la sezione regionale di controllo è composta, an-ch’essa, da magistrati contabili “dotati delle più am-pie garanzie dl indipendenza (art. 100, c. 2, Cost.), che, analogamente ai magistrati dell’ordine giudizia-rio, si distinguono tra loro solo per diversità di fun-zioni (art. 10 l. 21 marzo 1953, n. 161)” (Corte cost., n. 226/1976). Peraltro, trattasi di modalità organizza-tiva già prevista per la Regione Friuli-Venezia Giu-lia dall’art. 33, c. 3, d.p.r. 25 novembre 1975, n. 902.

Quel che viene in rilievo, invece, è la funzione esercitata, che è la stessa e si svolge nello stesso mo-do, sia innanzi alle Sezioni riunite, sia davanti alla sezione regionale di controllo, come si ricava dal ri-chiamo espresso agli artt. 39, 40 e 41 del t.u. della Corte dei conti contenuto nella norma che ha intro-dotto il giudizio di parificazione nelle regioni a sta-tuto ordinario (art. 1, c. 5, d.l. n. 174/2012 sopra ri-chiamato).

Va inoltre ricordato che le Sezioni riunite in spe-ciale composizione, con sent. n. 27/2014, decidendo il ricorso proposto da un’amministrazione regiona-le, hanno confermato il carattere giurisdizionale del-la pronunzia emessa in questo particolare giudizio.

La legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di legittimità costituzionale, tuttavia, è sta-ta finora riconosciuta, dalla consolidata giurispru-denza costituzionale con riferimento al solo art. 81 Cost. In particolare, il giudice delle leggi, dopo aver premesso che la Corte dei conti svolge “una funzio-ne di garanzia dell’ordinamento”, di “controllo ester-no, rigorosamente neutrale e disinteressato preordi-nato a tutela del diritto oggettivo”, ha affermato che “tali caratteri costituiscono indubbio fondamento della legittimazione della Corte dei conti a solleva-re questioni di costituzionalità limitatamente a profi-li attinenti alla copertura finanziaria di leggi di spe-sa, perché il riconoscimento della relativa legittima-zione, legata alla specificità dei suoi compiti nel qua-dro della finanza pubblica, si giustifica anche con l’e-sigenza di ammettere al sindacato costituzionale leg-gi che, come nella fattispecie in esame, più difficil-mente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte” (sent. n. 226/1976). È proprio in relazione a queste ipotesi che la Corte ha auspicato (sent. n. 406/1989) che quando l’accesso al suo sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all’osservanza dell’art. 81 Cost., i meccanismi di ac-

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cesso debbano essere arricchiti. La Corte dei conti è la sede più adatta a far valere quei profili, e ciò in ra-gione della peculiare natura dei suoi compiti, essen-zialmente finalizzati alla verifica della gestione delle risorse finanziarie” (sent. n. 384/1991).

Ritiene la Sezione che le argomentazioni sopra riportate debbano essere adeguate al mutato quadro dell’ordinamento costituzionale. Infatti, mentre al momento delle pronunzie sopra richiamate l’unica norma della Costituzione in materia di finanza pub-blica era costituita dall’art. 81, la l. cost. n. 3/2001, con la nuova formulazione dell’art. 119, c. 6, Cost., ha introdotto il principio che limita il ricorso all’in-debitamento solo per spese di investimento. Succes-sivamente, la l. cost. n. 1/2012 ha previsto ulteriori norme costituzionali in materia di finanza pubblica, tra tutte il nuovo art. 97, c. 1. Inoltre l’art. 20, c. 1, l. 24 dicembre 2012, n. 243 contenente “disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilan-cio ai sensi dell’art. 81, c. 6, Cost.” affida proprio alla Corte dei conti “il controllo successivo sulla gestione dei bilanci degli enti di cui agli artt. 9 e 13, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e dell’equili-brio dei bilanci di cui all’art. 97 Cost.”.

A ciò si aggiunga che, come precisato dalla stessa Corte costituzionale con la recente sent. n. 188/2014, “il valore costituzionalmente protetto del divieto di indebitamento per spese diverse dagli investimenti trova espressa enunciazione nel predetto art. 119, c. 6, Cost., ma viene declinato – in modo assolutamen-te coerente e integrato, secondo esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale – attraverso altri parametri costituzionali, quali i cita-ti artt. 81, 117, c. 2, lett. l), e 117, c. 3, Cost., venendo ad assumere consistenza di vera e propria clausola generale in grado di colpire direttamente – indipen-dentemente dall’esistenza di norme applicative nella pertinente legislazione di settore – tutti gli enuncia-ti normativi che vi si pongono in contrasto (sulla im-mediata precettività dei parametri costituzionali ine-renti agli equilibri di bilancio ed alla sana gestione fi-nanziaria, sent. n. 70/2012)” e che il precetto costitu-zionale sotteso all’art. 119, c. 6, è “Inscindibilmente collegato ed integrato con altri principi costituziona-li quali (omissis) la tutela degli equilibri di bilancio (art. 81 Cost., sia nella precedente formulazione che in quella introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»)”. Del resto “la ratio del divieto di indebitamento per finalità diver-se dagli investimenti trova fondamento in una nozio-ne economica di relativa semplicità. Infatti, risulta di

chiara evidenza che destinazioni diverse dall’inve-stimento finiscono inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell’ente pubblico che ricorre al credi-to” (sent. n. 188/2014 cit.).

Va, infine, evidenziato che il giudizio di parifica-zione, allo stato della legislazione vigente, è l’unica possibilità offerta dall’ordinamento per sottoporre a scrutinio di costituzionalità in via incidentale, in ri-ferimento ai principi costituzionali in materia di fi-nanza pubblica, le disposizioni legislative che, inci-dendo sui singoli capitoli, modificano l’articolazione del bilancio e ne possono alterare gli equilibri com-plessivi. Conseguentemente, ove si escludesse la le-gittimazione di questa Corte a sollevare questioni di costituzionalità in riferimento ai parametri sopra in-dividuati, si verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio legislativo immune dal controllo di costitu-zionalità attivabile in via incidentale, laddove la giu-risprudenza costituzionale ha riconosciuto la legitti-mazione della sezione di controllo a sollevare que-stioni di legittimità costituzionale anche in relazio-ne all’esigenza di assicurare “al sindacato della Cor-te costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte” (Corte cost., n. 226/1976).

Ritiene, pertanto, la Sezione di essere legittima-ta a sollevare questioni di legittimità costituzionale, non solo con riferimento all’art. 81 Cost., ma anche con riguardo a tutte le norme costituzionali in mate-ria di finanza pubblica e, dunque, anche con riferi-mento all’art. 119, c. 6.

Alla luce di quanto sopra esposto appaiono del tutto inconferenti, e comunque superate, le conside-razioni formulate dalle parti sulla mancanza di legit-timazione di questa Corte a sollevare questione di le-gittimità costituzionale.

4. Al fine di evidenziare la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalità che si in-tende sollevare, confutando anche le controdeduzio-ni mosse dalla procura regionale sul punto, la Sezio-ne ritiene necessario precisare quale sia l’oggetto del giudizio di parifica.

L’art. 39 del t.u. delle leggi sulla Corte dei con-ti (r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), al quale l’art. 1, c. 5, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 rinvia, dispone che “La Corte verifica il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, ponendoli a riscontro con le leggi del bilan-cio. A tale effetto verifica se le entrate riscosse e ver-sate e i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Cor-

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te dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l’esercizio concordino con le scritture tenu-te o controllate dalla Corte ed accerta i residui passi-vi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti mini-steriali di impegno ed alle proprie scritture. La Corte con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto generale, delle aziende, gestioni ed am-ministrazioni statali con ordinamento autonomo sog-gette al suo riscontro”.

In un primo tempo, la Corte costituzionale, pur ravvisando nel giudizio di parifica del rendiconto ge-nerale dello Stato la presenza delle condizioni ipo-tizzate dall’art. 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 per la proposizione davanti ad essa di questioni di legitti-mità costituzionale, dal tenore letterale del citato art. 39 aveva tratto la conclusione che esse non potevano investire la legge di bilancio o le leggi di spesa, atte-sa la loro irrilevanza ai fini del decidere, in conside-razione del peculiare ambito di cognizione del giudi-zio di parifica (Corte cost., n. 142/1968).

Successivamente, prendendo atto dell’interve-nuta riforma del bilancio che, essendosi trasformato da “strumento descrittivo di fenomeni di mera ero-gazione finanziaria” in “strumento di realizzazione di nuove funzioni di governo (come la programma-zione di bilancio, le operazioni di tesoreria, ecc.) e più in generale di politica economica e finanziaria”, persegue, tra le altre, “la finalità di meglio program-mare, definire e controllare le entrate e le spese pub-bliche, per assicurare l’equilibrio finanziario e la so-stanziale osservanza, in una proiezione temporale che supera l’anno, dei principi enunciati dall’art. 81 Cost.”, il giudice delle leggi, con sent. n. 244/1995, ha ritenuto che “la funzione di riscontro, che costi-tuisce l’essenza del giudizio di parificazione, attie-ne anche alla verifica degli scostamenti che, negli equilibri stabiliti nel bilancio preventivo, si eviden-ziano in sede consuntiva, coerentemente con la pre-visione del c. 1 dell’art 39 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214”. Conseguentemente, pur precisando che og-getto del giudizio di parificazione è il riscontro e la verifica, rispetto alla legge di bilancio, delle risul-tanze del rendiconto generale, la Suprema corte ha ritenuto che, non potendo ignorarsi il rilievo che il raffronto fra dati previsionali e consuntivi viene ad avere nel nuovo contesto normativo, “la decisione da assumere non può non vertere anche sulla verifi-ca, a consuntivo, del rispetto degli accennati equili-bri, in relazione, tra l’altro, ai vincoli posti dalla leg-ge finanziaria”.

Questo orientamento è stato confermato dalla sent. n. 213/2008 nella quale, richiamando espres-

samente la sent. n. 244/1995 sopra citata, la Corte costituzionale ha confermato la legittimazione del-la Corte dei conti in sede di giudizio di parificazio-ne a sollevare questione di legittimità costituzionale “avverso tutte quelle disposizioni di legge che deter-minino effetti modificativi dell’articolazione del bi-lancio per il fatto stesso di incidere, in senso globa-le, sulle unità elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il si-stema dei risultati differenziali”.

Può, pertanto, ritenersi che, allo stato attuale del-la giurisprudenza costituzionale, il giudizio di pari-fica ha come oggetto la verifica delle riscossioni e dei pagamenti e dei relativi resti (residui) e, soprat-tutto, la verifica a consuntivo degli equilibri di bi-lancio sulla base del bilancio preventivo e di tutte le disposizioni sopravvenute che ne hanno modifi-cato la struttura. In tal modo, il giudizio di parifica-zione si pone in linea con il ruolo di “garante impar-ziale dell’equilibrio economico-finanziario del setto-re pubblico” che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti (al riguardo si rinvia a quanto sopra espo-sto al punto 1).

Ciò premesso, la possibilità di procedere ad una parifica parziale, già conosciuta dalla prassi applica-tiva (Sez. riun. Trentino-Alto Adige, n. 36/2011; Sez. contr. reg. Calabria, n. 36/2014; Sez. contr. reg. Li-guria, n. 46/2014; Sez. riun. reg. Sicilia, n. 2/2014) appare coerente con l’oggetto del giudizio che, co-me detto, si sostanzia in più parifiche distinte del-le diverse poste, che confluiscono sul risultato com-plessivo.

Nella fattispecie la parifica dei capitoli 59300 (Upb db902) e 59350 (Upb db902) in entrata, dei ca-pitoli 200/0 (Upb db09010) 156981 (Upb db20151), 156985 (Upb db20151), comporta l’applicazione delle leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che li hanno istituiti ed evidenzia la rilevanza nel presen-te giudizio della questione di costituzionalità che si intende sollevare. È evidente, infatti, che, nella vi-genza delle menzionate leggi regionali, la Sezione dovrebbe parificare il rendiconto della Regione Pie-monte, venendo meno alle finalità per le quali è sta-ta intestata a questa Corte, tra le altre, la funzione di procedere alla parifica dei rendiconti regionali.

Ancora a sostegno della rilevanza della propo-nenda questione di legittimità costituzionale, va evi-denziata l’incidenza che le variazioni di bilancio ap-provate dalle leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013, sopra menzionate, hanno sull’equilibrio del bilancio, sul risultato d’amministrazione e, conseguentemen-te, anche sull’equilibrio dei bilanci futuri. Infatti,

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applicando le suddette leggi regionali, il disavanzo d’amministrazione dell’esercizio 2013 rimarrebbe fissato nell’importo di euro -364.983.307,72 esposto nel progetto di legge di approvazione del rendiconto. Invece, se esse fossero dichiarate costituzionalmen-te illegittime, le spese finanziate con le anticipazio-ni di liquidità ottenute ai sensi degli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013 sarebbero prive di copertura e, conseguente-mente, il disavanzo d’amministrazione aumentereb-be del relativo importo (euro 2.554.603.200,01).

Al riguardo, appare opportuno sottolineare che il risultato d’amministrazione consente di accertare l’equilibrio finanziario complessivo dell’ente. Per-tanto, la sua esatta determinazione costituisce l’og-getto principale e lo scopo del giudizio di parifica-zione che, come sopra detto, riguarda, non solo la verifica delle riscossioni e dei pagamenti e dei rela-tivi resti (residui) ma anche, e soprattutto, la verifi-ca a consuntivo degli equilibri di bilancio. Inoltre, trattandosi di disavanzo d’amministrazione che deve essere obbligatoriamente ripianato, esso condiziona anche l’equilibrio degli esercizi futuri.

Alla luce di quanto esposto, la Sezione ritiene che la questione di legittimità costituzionale che di seguito si illustra, sia rilevante, atteso il diverso esito del giudizio a seconda che vengano applicate o meno le disposizioni di legge impugnate.

5. La Sezione dubita della legittimità costituziona-le delle leggi regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 otto-bre 2013, n. 19 – che hanno disposto le variazioni di bilancio con le quali sono state destinate le risorse fi-nanziarie provenienti dal Mef, in virtù degli artt. 2 e 3 d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazio-ni dalla l. 6 giugno 2013, n. 64 – in riferimento all’art. 81, c. 4 (nel testo vigente antecedentemente alla modi-fica introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1).

In particolare, i dubbi di costituzionalità riguar-danti la l. n. 16/2013, avente per oggetto “Assesta-mento al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni finanzia-ri 2013/2015”, sono limitati alle variazioni apportate in entrata mediante l’istituzione del cap. 59300 (Upb db902) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78 e del cap. 59350 (Upb db902) con uno stanziamento di euro 803.724.000, e in uscita mediante la istituzio-ne del cap. 200/0 (Upb db09010) dell’importo di eu-ro 447.693.392,78 e del cap. 156981 (Upb db20151) con uno stanziamento di euro 803.724.000.

I dubbi relativi alla l. n. 19/2013 riguardano gli artt. 1 e 2 che hanno approvato gli allegati A e C. In particolare, l’all. A ha incrementato di euro 660,206,607,23 in entrata il cap. 59300 (Upb db902)

e in uscita il disavanzo d’amministrazione 2012 da ripianare (cap. 200/0 Upb db09010); l’all. C ha in-crementato in entrata il cap. 59350 (Upb db902) di euro 642.979.200 e in uscita ha istituito il cap. 156985 (Upb db20151) con uno stanziamento di pa-ri importo.

In entrambi i casi, le poste in entrata sono state iscritte al titolo V (entrate derivanti da mutui, presti-ti o altre operazioni creditizie) e quelle in uscita al ti-tolo I (spese correnti).

Al fine di inquadrare correttamente la questio-ne occorre individuare la natura delle risorse eroga-te dallo Stato, tramite il Mef, ai sensi degli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013 e, conseguentemente, la loro idonei-tà a costituire valida copertura delle spese finanziate.

Ritiene la Sezione che le risorse in questione co-stituiscono una mera anticipazione di cassa, defini-ta dal legislatore “anticipazione di liquidità”, che av-viene entro un plafond predeterminato dalla legge e la cui restituzione, ed in ciò consiste la sua peculiari-tà, è prevista in un periodo non superiore a 30 anni.

Tale conclusione è fondata sulle seguenti consi-derazioni.

In primo luogo l’interpretazione letterale del-le disposizioni evidenzia il carattere di anticipazio-ne di tali somme: in particolare, l’art. 2, c. 1, del de-creto legge dispone testualmente che le regioni “che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti … a causa di carenza di liquidità ... chiedono al Ministe-ro dell’economia e delle finanze ... l’anticipazione di somme da destinare ai predetti pagamenti”. Analo-gamente il c. 1 dell’art. 3 autorizza lo Stato ad ef-fettuare anticipazioni di liquidità alle regioni “al fi-ne di favorire l’accelerazione dei pagamenti dei de-biti degli enti del Servizio sanitario nazionale”. An-cora l’art. 2, c. 6, prevede che “il pagamento dei de-biti oggetto del presente articolo deve riguardare, per almeno due terzi, residui passivi in via prioritaria di parte capitale, anche perenti, nei confronti degli enti locati, purché nel limite di corrispondenti residui at-tivi degli enti locali stessi ovvero, ove inferiori, nella loro totalità”. Appare evidente che se le somme ser-vono per pagare residui passivi (cioè spese già finan-ziate), non possono costituire esse stesse ulteriore fi-nanziamento.

Da un punto di vista sistematico si osserva, inol-tre, che il legislatore, quando ha inteso erogare dei fi-nanziamenti, non ha fatto ricorso all’istituto dell’an-ticipazione ma ha utilizzato diverse modalità, come, ad esempio, è previsto dall’art. 11, cc. 6 e 7, dello stesso d.l. n. 35/2013 per il trasporto pubblico locale della Regione Piemonte.

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Depongono a favore della natura di anticipazione anche i motivi di urgenza che hanno determinato l’e-manazione del decreto legge. Infatti, nelle premesse del decreto legge è indicata “l’assoluta necessità di predisporre interventi di immediata esegibilità rivol-ti a graduare il flusso dei pagamenti, accordando pri-orità ai crediti che le imprese non hanno ceduto al si-stema creditizio” e la “straordinaria necessità ed ur-genza di intervenire in materia di pagamenti dei de-biti della pubblica amministrazione”.

La stessa conclusione è avvalorata anche dall’e-same dei lavori preparatori della legge di conversio-ne, i quali evidenziano che l’intenzione dei legisla-tore era di considerare l’erogazione delle risorse in questione quale mera anticipazione di cassa. Infatti, la I Commissione della Camera dei deputati (Affari costituzionali, della Presidenza del consiglio e inter-ni) ha espresso parere favorevole dopo aver valuta-to le disposizioni alla luce dell’art. 119, c. 6, Cost., e ha ritenuto che la norma costituzionale non risultava violata “in quanto nel caso delle disposizioni sopra citate si tratterebbe di un’erogazione avente natura di anticipazione di liquidità: come precisato in partico-lare in una nota della Ragioneria generale dello Stato – consegnata in occasione dell’audizione della me-desima sul decreto legge in esame – sulla base delle vigenti regole contabili le somme da pagare da parte degli enti territoriali risultano, relativamente a quelle diverse da spese di parte capitale, già iscritte in com-petenza, a fronte della fornitura del bene, del servi-zio o di altra prestazione e della insorgenza del corri-spondente credito; in quanto iscritte in competenza, le somme medesime non rilevano – secondo la Ra-gioneria generale dello Stato – ai fini della copertura e, per i riflessi sui saldi di finanza pubblica, incidono solo sul fabbisogno e sul debito, ma non sull’indebi-tamento, su cui ha effetto solo la parte riguardante i pagamenti di conto capitale; di conseguenza, secon-do la nota della Ragioneria, «non si tratta di un ve-ro e proprio prestito da includere nel campo di appli-cazione dell’art. 119, c. 6, Cost., in quanto non com-porta un ampliamento di copertura finanziaria in ter-mini di competenza, ma si configura come mera an-ticipazione di liquidità, a fronte di coperture già indi-viduate»” (parere della I Commissione permanente, “Affari costituzionali della Presidenza del consiglio e interni” sul d.d.l. n. 676-A).

Infine, ad ulteriore conferma della tesi esposta, si osserva che l’art. 1, c. 13, dello stesso decreto leg-ge, prevede un’anticipazione di liquidità a favore de-gli enti locali, sostanzialmente analoga a quelle pre-viste per le regioni dagli artt. 2 e 3, con la sola dif-

ferenza che è concessa dalla Cassa depositi e presti-ti. Con riferimento a questa fattispecie il Mef, con no-ta del 7 maggio 2013 indirizzata alla predetta Cassa, ha precisato che per i debiti fuori bilancio può esse-re concessa l’anticipazione purché essi siano stati pre-ventivamente riconosciuti, prevedendo la relativa co-pertura finanziaria ed ha fornito le istruzioni per la lo-ro corretta contabilizzazione (entrata titolo V, spesa ti-tolo III), precisando che “l’anticipazione di liquidità non comporta ampliamento di copertura finanziarla in termini di competenza”. Tali concetti sono stati con-fermati con successiva nota dei 28 giugno 2013, prot. n. 53240, indirizzata a una Unione di comuni in rispo-sta ad un quesito relativo alla corretta contabilizzazio-ne delle anticipazioni di liquidità, non ignora la Sezio-ne che la normativa in questione presenta alcuni profi-li di ambiguità che sembrerebbero deporre per la con-cessione di un vero e proprio finanziamento.

Innanzi tutto, va evidenziato che la restituzione delle somme, comprensive di capitale ed interessi, è prevista per un periodo non superiore a 30 anni me-diante la predisposizione di un piano di ammortamen-to, così venendo meno la breve durata dell’indebita-mento che costituisce uno degli elementi caratteristici dell’anticipazione (Corte cost., n. 188/2014 cit.).

Si evidenzia ancora che l’art. 3, c. 4, dello stes-so decreto legge, afferma che l’anticipazione in que-stione è fatta “in deroga all’art. 10, c. 2, l. 16 maggio 1970, n. 281, e all’art. 32, c. 24, lett. b), l. 12 novem-bre 2011, n. 183”, norme che stabiliscono i limiti di indebitamento per le regioni (analoga disposizione è contenuta nell’art. 1, c. 13, per i comuni dove la de-roga è riferita agli artt. 42, 203 e 204 d.lgs. 18 ago-sto 2000, n. 267).

Altre ambiguità si rilevano in ordine all’utilizzo delle anticipazioni nel settore sanitario: le previsioni normative, da un lato, fanno riferimento a “anticipa-zioni di liquidità” ed a “pagamenti” (art. 3, c. 1), la-sciando intendere che trattasi effettivamente di mera anticipazione di cassa, dall’altro prevedono l’utiliz-zo a copertura per gli “ammortamenti non sterilizza-ti” (art. 3, c. 1, lett. a) e per “mancate erogazioni per competenza” (art. 3, c. 1, lett. b). Poiché queste ulti-me due voci non avevano alcuna copertura finanziar-la, potrebbe sorgere il dubbio che si possa fare riferi-mento a coperture di competenza, con un effetto am-pliativo della capacità di spesa.

Tuttavia, qualora in base ai suddetti profili di am-biguità dovesse ritenersi che le somme in questio-ne costituiscono un vero e proprio finanziamento, e non una mera anticipazione di liquidità, sorgereb-bero fondati dubbi sulla costituzionalità del d.l. n.

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35/2013 in riferimento all’art. 119, c. 6 (al riguardo si rinvia a quanto sopra esposto sui lavori preparato-ri). Ciò comporta che in base ad un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata delle nor-me in esame, le risorse in questione vanno considera-te come delle semplici anticipazioni di cassa.

Peraltro, la natura di mera anticipazione delle ri-sorse in questione è stata affermata anche dalla Se-zione autonomie nella delib. n. 19/2014, emessa ai sensi dell’art. 6, c. 4, d.l. n. 174/2012, alla quale que-sta Sezione non può non conformarsi. In tale deli-berazione, infatti, è affermato il seguente principio di diritto “le sezioni regionali di controllo, nell’am-bito delle valutazioni di competenza finalizzate alla salvaguardia degli equilibri di bilancio e delle rego-le sull’indebitamento, verificano la corretta applica-zione delle clausole contrattuali e dei principi di cor-retta contabilizzazione in bilancio delle anticipazioni di liquidità concesse ai sensi degli artt. 2 e 3, d.l. n. 35/2013, tenendo conto dell’esigenza di evitare che le relative somme possano concorrere alla determi-nazione del risultato di amministrazione, generando effetti espansivi della capacità di spesa”.

Dalla ritenuta natura di semplici anticipazioni di cassa delle risorse in questione, i dubbi di costituzio-nalità delle leggi regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 ottobre 2013, n. 19 in riferimento all’art. 81, c. 4 (nel testo vigente antecedentemente alla modifica intro-dotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1), sembrano al collegio non manifestamente infondati.

Si osserva, infatti, che con la già citata sent. n. 188/2014 la Corte costituzionale, dopo aver precisa-to che “l’anticipazione di cassa è negozio caratteriz-zato da una causa giuridica nella quale si combinano la funzione di finanziamento con quella di razionaliz-zazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di entrata, attraverso un rapporto di finanziamento a breve termine”, ha evidenziato che “la causa di finan-ziamento dell’anticipazione è stata ritenuta compatibi-le col divieto di cui all’art. 119, c. 6, Cost. nei casi in cui l’anticipazione sia di breve durata, sia rapportata a limiti ben precisi e non costituisca surrettiziamente un mezzo di copertura alternativo della spesa”.

Tali principi sono espressi nell’art. 3, c. 17, l. 24 dicembre 2003, n. 350, il quale dispone che agli ef-fetti dell’art. 119, c. 6, Cost., non costituiscono inde-bitamento “le operazioni che non comportano risor-se aggiuntive, ma consentono di superare, entro il li-mite massimo stabilito dalla normativa statale vigen-te, una momentanea carenza di liquidità e di effet-tuare spese per le quali è già prevista idonea coper-tura di bilancio”.

L’anticipazione di cassa, pertanto, è un indebita-mento che ha lo scopo di costituire la provvista di cassa necessaria per procedere al pagamento di spe-se regolarmente impegnate e, quindi, finanziate. Ciò che la distingue dalle altre forme di indebitamento, oltre alla brevità del termine di cui si è già detto so-pra, è il fatto che essa non determina un ampliamen-to della capacità di spesa perché non comporta la di-sponibilità di risorse aggiuntive.

In altre parole, l’anticipazione di cassa si distin-gue da operazioni analoghe, quali l’apertura di credi-to, proprio perché la disponibilità di denaro non può essere utilizzata per finanziare nuove spese, ma ser-ve unicamente per far fronte, in termini di cassa, a spese già regolarmente finanziate: proprio per que-sto motivo le anticipazioni non rientrano nel com-plesso del debito pubblico, rilevante ai fini degli ob-blighi comunitari. Giova ricordare, infatti, che la no-zione di “indebitamento” fornita dall’art. 3, c. 17, l. 24 dicembre 2003, n. 350 è ispirata ai criteri adotta-ti in sede europea ai fini del controllo dei disavanzi pubblici; si tratta, in definitiva, di tutte le entrate che non possono essere portate a scomputo del disavan-zo calcolato ai fini dei rispetto dei parametri comuni-tari (Corte cost., n. 425/2004).

Peraltro, la giurisprudenza costituzionale ha af-fermato che “l’applicazione alle regioni dell’obbli-go di copertura finanziaria delle disposizioni legisla-tive è stata sempre ribadita da questa Corte (ex pluri-mis, tra le più recenti: sent. n. 141 e n. 100/2010; n. 386 e n. 213/2008; n. 359/2007), con la precisazione che il legislatore regionale non può sottrarsi alla fon-damentale esigenza di chiarezza ed equilibrio del bi-lancio cui l’art. 81 Cost.” (sent. n. 106/2011) e che, in relazione all’art. 81, c. 4, Cost., la copertura fi-nanziaria delle spese deve essere credibile, sufficien-temente sicura, non arbitraria o irrazionale (sent. n. 106 e n. 68/2011; n. 141 e n. 100/2010; n. 213/2008; n. 384/1991; n. 1/1966).

Le leggi regionali piemontesi n. 16/2013 e n. 19/2013 hanno finanziato delle spese non previste in bilancio con le anticipazioni di liquidità conces-se dallo Stato in base agli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013, ampliando conseguentemente la capacità di spesa della regione. Così facendo, sembra alla Sezione che esse si pongano in contrasto con l’art. 81, c. 4, Cost. (nel testo vigente antecedentemente alla mo-difica introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1), essendo prive di una adeguata ed effettiva copertura finanziaria. In particolare, esse hanno previsto del-le nuove spese – intendendosi per tali quelle che, ai sensi del principio stabilito dall’art. 156, c. 2, r.d.

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23 maggio 1924, n. 827, richiedono l’istituzione di uno o più capitoli nuovi – senza la necessaria coper-tura finanziaria, attesa “l’inutilizzabilità ai fini della copertura della spesa” di una mera anticipazione di cassa e, conseguentemente, hanno alterato l’equili-brio di bilancio.

Peraltro, il principio di copertura finanziaria nel-le leggi di spesa sancito dall’art. 81, c. 4, vecchio te-sto della Costituzione è confermato dal novellato te-sto dell’art. 81, al c. 3, vigente a far data dall’eser-cizio 2014.

6. In conformità alla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la Sezione ritiene di do-ver verificare se siano possibili ipotesi interpretative delle citate leggi regionali che consentano di supera-re i dubbi di costituzionalità sopra esposti. Con rife-rimento alla fattispecie in esame si tratta di verifica-re se le risorse erogate dallo Stato, tramite il Mef, ai sensi degli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013, possano costitu-ire una valida copertura delle spese finanziate, anche facendo ricorso “all’archetipo negoziale del mutuo” come ritenuto dalla procura regionale.

A tal fine, appare fondamentale accertare la na-tura delle spese finanziate con le leggi regionali in questione, giacché, ove si trattasse di spese di inve-stimento, si potrebbe ritenere che le somme erogate dal Mef siano un vero e proprio mutuo e verrebbero superati i dubbi di costituzionalità sopra prospettati.

Come sopra esposto, le leggi regionali sospetta-te di incostituzionalità utilizzano le risorse del d.l. n. 35/2013 per finanziare parte del disavanzo di ammi-nistrazione risultante dal rendiconto 2012, nonché i trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per alli-neamento con la situazione patrimoniale e per coper-tura delle perdite derivanti dagli ammortamenti non sterilizzati.

In particolare, per quanto riguarda le spese relati-ve al settore sanitario, le nuove spese previste sono i “trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per l’e-rogazione delle risorse di cui all’anticipazione di li-quidita ai sensi dell’art. 3, c. 2, d.l. n. 35/2013” (cap. 156981) e i “trasferimenti alle aziende sanitarie re-gionali per l’erogazione delle risorse di cui all’anti-cipazione di liquidita ai sensi dell’art. 3, c. 2, d.l. n. 35/2013 e dell’art. 13, c. 6, d.l. n. 102/2013” (cap. 156985).

L’art. 3, c. 2, d.l. n. 35/2013, richiamato nella de-nominazione dei capitoli, prevede il riparto tra le re-gioni di un’anticipazione di liquidità in proporzione ai valori degli ammortamenti non sterilizzati (art. 3 c. 1, lett. a, d.l. n. 35/2013), come risultanti dai mo-delli Ce per il periodo dal 2001 al 2011, ponderati al

50 per cento, e ai valori delle mancate erogazioni per competenza e/o per cassa delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi servizi sanitari regionali a titolo di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i trasferimenti di somme dai conti di teso-reria e dal bilancio statale e le coperture regionali dei disavanzi sanitari, come risultanti nelle voci “credi-ti verso regione per spesa corrente” e “crediti verso regione per ripiano perdite” nelle voci di credito de-gli enti del Ssn verso le rispettive regioni dei model-li SP (art. 3, c. 1, lett. b, d.l. n. 35/2013), ponderati al 50 per cento, come presenti nell’Nsis alla data di en-trata in vigore del decreto legge.

L’art. 13, c. 6, d.l. 31 agosto 2013, n. 102, con-vertito con modificazioni dalla l. 28 ottobre 2013, n. 124, richiamato nell’oggetto del cap. 156985, si li-mita a prevedere la possibilità di accesso anticipato alle risorse stanziate dal d.l. n. 35/2013 per il 2014, per le stesse finalità dell’art. 3, c. 2, fino ad un impor-to pari all’80 per cento delle somme già assegnate in attuazione della suddetta norma e dell’art. 3-bis d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazio-ni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98. Quest’ultima norma prevede che le risorse ripartite tra le regioni ai sen-si dell’art. 3, c. 2, d.l. n. 35/2013 e non richieste dal-le stesse, possano essere assegnate alle regioni che ne facciano richiesta, “prioritariamente in funzione dell’adempimento alla diffida prevista dall’art. 1, c. 174, l. 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modi-ficazioni” (la disposizione richiamata è relativa al fi-nanziamento del servizio sanitario regionale e preve-de una diffida del Presidente del Consiglio dei mini-stri, con successiva eventuale nomina di un commis-sario ad acta, qualora, sulla base del monitoraggio trimestrale, si prospetti una situazione di squilibrio o si evidenzi un disavanzo di gestione e la regione non adotti i provvedimenti necessari ovvero quelli adot-tati si siano rilevati insufficienti).

Dalla complessa normativa sopra esposta si evin-ce che le spese in materia sanitaria finanziate con le anticipazioni di liquidità costituiscono in via preva-lente, se non esclusiva, spese correnti.

Con particolare riferimento al debito derivante dagli “ammortamenti non sterilizzati”, appare oppor-tuno precisare che nella contabilità economica, adot-tata dalle aziende sanitarie, la sterilizzazione è il pro-cedimento contabile (consistente nello storno di una quota del contributo in conto capitale iscritto nel pa-trimonio netto e alla sua imputazione a ricavo), me-diante il quale viene annullato (per l’appunto “steri-lizzato”) l’effetto sul risultato d’esercizio dell’am-mortamento dei cespiti finanziati da contributi in con-

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to capitale. Gli ammortamenti non sterilizzati, dun-que, comportano un aggravio della gestione operati-va e del risultato d’esercizio delle aziende e la conse-guente necessità di copertura da parte della regione. Prima del 2011, invece, gli ammortamenti non steri-lizzati erano sottratti dalle perdite da coprire da parte delle regione (circostanza peraltro stigmatizzata nel-le relazioni di questa Sezione regionale di controllo, cfr. da ultimo la delib. n. 246/2011). Dal momento in cui si è riconosciuto l’obbligo di copertura dell’inte-ra perdita dl esercizio (comprensiva delle predette vo-ci non monetarie) anche per gli anni pregressi, è cre-sciuto il disavanzo sostanziale corrente della regione, corrispondente a queste mancate coperture.

Ad ulteriore conferma che le spese in questione non possono essere considerate spese di investimen-to, si evidenzia che le stesse leggi regionali hanno iscritto le poste in uscita al titolo primo, nel quale trovano allocazione le spese correnti.

Per quanto riguarda il disavanzo d’amministra-zione accertato con il rendiconto dell’esercizio 2012, alla cui copertura sono state destinate risorse per eu-ro 447.693.392,78 e per euro 660.206.607,23, si os-serva che la copertura del risultato d’amministrazio-ne negativo non è compresa tra le operazioni che, in base all’art. 3, c. 18, l. 24 dicembre 2003, n. 350 costituiscono investimenti, ai fini di cui all’art. 119, c. 6, Cost. Inoltre, l’art. 193, c. 3, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, esclude espressamente che “per il ri-piano dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato”, possano esse-re utilizzate le disponibilità provenienti dall’assun-zione di prestiti.

Ad ulteriore conferma che le spese in questio-ne non sono annoverabili tra quelle di investimen-to, vi sono i dati del conto del patrimonio dai quali non risulta alcun incremento dell’attivo patrimonia-le che, ripercuotendosi nel tempo, giustifichi l’inde-bitamento in questione, i cui oneri, giova ricordarlo, saranno a carico delle generazioni future. In partico-lare, a fronte dell’iscrizione tra le passività patrimo-niali del debito per la restituzione delle anticipazio-ni per complessivi euro 2.554.603.200,01, tra le atti-vità patrimoniali non si rinviene alcun aumento cor-rispondente, anzi vi è un saldo negativo delle varia-zioni per complessivi -16.725.787,36 derivante dal saldo tra le variazioni in aumento (40.381.308,31) e quelle in diminuzione (-57.107.095,67). Come ha af-fermato la Corte costituzionale, “la ratio del divie-to di indebitamento per finalità diverse dagli inve-stimenti trova fondamento in una nozione economi-ca di relativa semplicità. Infatti, risulta di chiara evi-

denza che destinazioni diverse dall’investimento fi-niscono inevitabilmente per depauperare il patrimo-nio dell’ente pubblico che ricorre al credito” (Corte cost., n. 188/2014 cit.).

Conclusivamente, anche se si volessero qualifi-care le risorse erogate dallo Stato, tramite il Mef, ai sensi degli artt. 2 e 3 d.l. n. 35/2013, non come anticipazioni di cassa ma come un vero e proprio mutuo, i dubbi di costituzionalità sul finanziamento delle spese, disposto dalla leggi regionali in questio-ne non sarebbero eliminati, ma verrebbero ulterior-mente rafforzati, giacché risulterebbe violato l’art. 119, c. 6, che consente l’indebitamento solo per le spese di investimento, e, di rimando, sempre lo stes-so art. 81, c. 4, Cost. (nel testo vigente antecedente-mente alla modifica introdotta dalla l. cost. 20 apri-le 2012, n. 1).

Infatti, come precisato dalla Corte costituziona-le, il precetto dettato dall’art. 119, c. 6, è inscindibil-mente collegato e integrato con altri principi costitu-zionali quali il coordinamento della finanza pubbli-ca, di cui all’art. 117, c. 3, Cost., la tutela degli equi-libri di bilancio, di cui all’art. 81 Cost. (sia nella pre-cedente formulazione che in quella introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, recante “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costitu-zionale”). “In definitiva, il valore costituzionalmen-te protetto del divieto di indebitamento per spese di-verse dagli investimenti trova espressa enunciazione nel predetto art. 119, c. 6, Cost., ma viene declinato – in modo assolutamente coerente ed integrato, secon-do esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’in-tero territorio nazionale – attraverso altri parametri costituzionali, quali i citati artt. 81, 117, c. 2, lett. l), e 117, c. 3, Cost., venendo ad assumere consistenza di vera e propria clausola generale in grado di col-pire direttamente – indipendentemente dall’esistenza di norme applicative nella pertinente legislazione di settore – tutti gli enunciati normativi che vi si pongo-no in contrasto (sulla immediata precettività dei pa-rametri costituzionali inerenti agli equilibri di bilan-cio e alla sana gestione finanziaria, sent. n. 7/2012)” (sent. n. 188/2014).

Risulta in ogni caso alterato l’equilibrio del bi-lancio, principio “immanente nell’ordinamento fi-nanziario delle amministrazioni pubbliche”, deri-vante sempre dall’art. 81 e la cui rilevanza si è molto accentuata negli ultimi anni, tanto da essere formal-mente introdotto nel testo della Costituzione dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, significativamente intitola-ta “Introduzione del principio del pareggio di bilan-cio nella Carta costituzionale”. Detto principio con-

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siste nella “continua ricerca di un armonico e sim-metrico bilanciamento tra risorse disponibili e spe-se necessarie per il perseguimento delle finalità pub-bliche” ed è immanente nell’ordinamento finanzia-rio delle amministrazioni pubbliche in quanto de-rivante dall’art. 81 Cost. e “non si realizza soltan-to attraverso il rispetto del meccanismo autorizzato-rio della spesa, il quale viene salvaguardato dal limi-te dello stanziamento di bilancio, ma anche mediante la preventiva quantificazione e copertura degli one-ri derivanti da nuove disposizioni” (sent. n. 70 e n. 115/2012; n. 250 e n. 266/2013).

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte;

visti gli artt. 81, 119 e 134 Cost., l’art. 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e l’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87;

visto l’art. 1, c. 5, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213;

solleva la questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai parametri stabiliti dall’art. 81, c. 4, nel testo vigente antecedentemente alla modifica in-trodotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, e dall’art. 119, c. 6, delle seguenti disposizioni di legge:

a) l. reg. Piemonte 6 agosto 2013, n. 16, avente per oggetto “Assestamento al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2013 e al bilancio plurienna-le per gli anni finanziari 2013-2015” limitatamente all’istituzione in entrata del cap. 59300 (Upb db902), con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, e del cap. 59350 (Upb db902), con uno stanziamento di euro 803.724.000, e in uscita del cap. 200/0 (Upb db09010), dell’importo di euro 447.693.392,78, e del cap. 156981 (Upb db20151), con uno stanzia-mento di euro 803.724.000;

b) l. reg. Piemonte 29 ottobre 2013, n. 19, aven-te ad oggetto “Ulteriori disposizioni finanziarie per l’anno 2013 e pluriennale 2013-2015”, limitatamen-te agli artt. 1 e 2 che hanno approvato gli allegati A e C. In particolare, l’all. A ha incrementato di euro 660.206.607,23 in entrata il cap. 59300 (Upb db902) e in uscita il disavanzo d’amministrazione 2012 da ripianare (cap. 200/0 Upb db09010); l’all. C ha in-crementato in entrata il cap. 59350 (Upb db902) di euro 642.979,200 e in uscita ha istituito il cap. 156985 (Upb db20151) con uno stanziamento di pa-ri importo.

Ordina la sospensione del giudizio per le voci non parificate e dispone la trasmissione degli atti al-la Corte costituzionale per l’esame della questione.

* * *

Toscana

114 – Sezione controllo Regione Toscana; parere 19 maggio 2015; Pres. Tabbita, Rel. Rucireta; Co-mune di Chiesina Uzzanese.

Comune e provincia – Gestione finanziaria – Per-sonale – Assunzioni stagionali.

D.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, nuovo codice della stra-da, art. 208; d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010 n. 122, mi-sure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, art. 9, c. 28.

Le assunzioni di personale stagionale, finanziate con i proventi derivanti dalle sanzioni per violazio-ne del codice della strada, non rientrano – in quan-to finanziate con risorse estranee a quelle ordinaria-mente destinate alla spesa di personale – nell’aggre-gato di spesa in base al quale deve essere calcolato il limite del cinquanta per cento dell’onere sostenu-to nell’anno 2009 per i contratti di lavoro flessibile.

Considerato – (Omissis) Nel merito, l’art. 9, c. 28, d.l. n. 78/2010 ha stabilito, con decorrenza 2011, che le amministrazioni statali possano avvalersi di personale a tempo determinato “nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009”. L’ambito soggettivo degli enti chia-mati a rispettare tale limite è stato successivamen-te esteso agli enti locali dall’art. 4, c. 102, lett. b), legge di stabilità 2012 (l. n. 183/2011). Una dero-ga è stata tuttavia prevista dall’art. 4-ter, c. 12, d.l. n. 16/2012, convertito dalla l. n. 44/2012, che ha inse-rito al richiamato c. 28 dell’art. 9 il seguente perio-do: “a decorrere dal 2013, gli enti locali possono su-perare il predetto limite per le assunzioni strettamen-te necessarie a garantire l’esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore so-ciale; resta fermo che comunque la spesa complessi-va non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009”. Tale deroga è da intendersi soggetta all’accertamento in concreto del-le condizioni che giustifichino la necessità di ricor-rere ad assunzioni temporanee per garantire l’eserci-zio delle funzioni locali, accertamento che è rimesso in modo esclusivo alle valutazioni e determinazioni dell’amministrazione comunale.

Ritiene la Sezione che in questo quadro norma-tivo generale, la disposizione dell’art. 208, c. 5-bis, d.lgs. n. 285/1992 e successive modificazioni (codi-ce della strada), che prevede la possibilità di assun-zioni a tempo determinato di vigili stagionali finan-

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ziate coi proventi del codice della strada, si configu-ri come norma eccezionalmente sottratta al predet-to limite di spesa, in virtù della specifica fonte di fi-nanziamento.

Come già affermato infatti con la delib. n. 10/2012, rivolta al medesimo ente richiedente, “la spesa relativa alle assunzioni stagionali finanziate con i proventi derivanti dalle sanzioni al codice della strada va esclusa dal computo della spesa di persona-le ai fini dell’applicazione delle norme che pongono limiti operando un confronto storico (art. 1, cc. 557 e 562, l. n. 296/2006)”, in considerazione del fatto che le poste in questione non hanno carattere ordinario e che la loro introduzione sarebbe pertanto suscettibile di alterare gli andamenti della serie storica. Lo stes-so principio si applica, ad avviso della Sezione, an-che alla disposizione di cui al citato art. 9, c. 28, in quanto l’obbligo di riduzione della spesa di persona-le da essa introdotto è fondato anch’esso sul confron-to storico (non più del personale nel suo complesso, com’è per il c. 557, ma del solo personale a tempo determinato).

La Sezione non vede ragioni per discostarsi da ta-le linea interpretativa, che peraltro corrisponde all’o-rientamento costantemente seguito dalla Sezione delle autonomie, nelle linee guida emanate per la re-dazione dei questionari ai fini del controllo-monito-raggio ex art. 1, cc. 166 ss., l. n. 266/2005.

È appena il caso di segnalare che non viene in ri-lievo nel ragionamento ora esposto la nuova disposi-zione introdotta dall’art. 11, c. 4-quater, d.l. 24 giu-gno 2014, n. 90, secondo cui, a decorrere dall’anno 2014, “le disposizioni dell’art. 1, c. 557, l. 27 dicem-bre 2006, n. 296 e successive modificazioni, in mate-ria di riduzione delle spese di personale, non si appli-cano ai comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti per le sole spese di personale stagio-nale assunto con forme di contratto a tempo deter-minato, che sono strettamente necessarie a garanti-re l’esercizio delle funzioni di polizia locale in ra-gione di motivate caratteristiche socio-economiche e territoriali connesse a significative presenze di tu-risti, nell’ambito delle risorse disponibili a legisla-zione vigente”. Infatti, tale norma, che introduce una deroga automatica ai principi di contenimento della spesa del personale nei confronti di enti di modeste dimensioni a spiccata vocazione turistica, non si ap-plica al caso di specie, in quanto non tocca l’ambi-to delle assunzioni finanziate con i proventi del codi-ce della strada e non riguarda il comune richiedente, che ha piuttosto vocazione agricola.

198 – Sezione controllo Regione Toscana; delibera-zione 8 luglio 2015; Pres. Tabbita, Rel. Boncom-pagni; Comune di Campi Bisenzio.

Contabilità regionale e degli enti locali – Gestio-ne finanziaria – Debiti pregressi – Anticipazio-ne di liquidità – Indebitamento – Esclusione – Utilizzo dell’anticipazione per il finanziamen-to di nuove spese – Esclusione.

L. 23 dicembre 2005 n. 266, disposizioni per la for-mazione del bilancio annuale e pluriennale dello Sta-to (legge finanziaria 2006), art. 1, cc. 166, 167; d.l. 8 aprile 2013 n. 35, convertito con modificazioni dal-la l. 6 giugno 2013 n. 64, disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica ammini-strazione, per il riequilibrio finanziario degli enti ter-ritoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, art. 2.

L’anticipazione di liquidità, ottenuta da un comu-ne (ai sensi del d.l. n. 35/2013) per il pagamento di debiti pregressi, persegue il fine di fornire liquidità agli enti locali e consentire agli stessi il pagamen-to di spese già finanziate in termini di competenza; essa, pertanto, non costituisce debito, non può in al-cun modo rappresentare una fonte di finanziamento di nuove spese, e la sua contabilizzazione deve esse-re tale da non alterare il risultato della gestione. (1)

Considerato – che dalla “specifica pronuncia di accertamento” di cui alla deliberazione richiamata nelle premesse, sono emerse le seguenti criticità di bilancio.

Risultato di amministrazioneÈ stata rilevata la mancata conciliazione delle an-

ticipazioni di liquidità concesse dalla Cassa deposi-ti e prestiti ai sensi del d.l. n. 35/2013. In particola-re è emerso, in sede istruttoria, che l’ente ha contabi-lizzato in modo non corretto l’anticipazione di liqui-dità poiché ha accertato al titolo V del bilancio l’en-trata derivante da tale anticipazione senza provvede-re contestualmente all’impegno della spesa nel titolo III dell’uscita. L’operazione, pertanto, non è risultata neutra sul bilancio dell’ente, determinando un risul-tato di amministrazione non corretto.

Va inoltre rilevato che la modalità di contabiliz-zazione adottata dall’ente ha alterato anche il risul-tato della gestione di competenza, che, seguendo le

(1) In argomento, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Piemon-te, ord. 10 novembre 2014, n. 246, in questo fascicolo, 228, nonché Corte cost., 23 luglio 2015, n. 181, in questo fascico-lo, 445.

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modalità corrette di inserimento in bilancio, sarebbe risultato negativo e pari a 1.375.880,51 euro.

In sede istruttoria, circa la contabilizzazione dell’anticipazione di liquidità di 1.875.029,34 euro ottenuta dalla Cassa depositi e prestiti, l’ente ha at-testato di aver “contabilizzato nell’annualità 2013 in contabilità finanziaria l’anticipazione di liquidità con la Cassa depositi e prestiti prevista dal d.l. n. 35/2013 in entrata al titolo V, cat. 3 e in spesa al titolo III se-condo quanto previsto dall’apposita nota 28 giugno 2013, prot. n. 53240 del Ministero dell’economia e delle finanze emanata per l’allocazione contabile del fondo ex art. 1 d.l. n. 35/2013. In contabilità econo-mico-patrimoniale l’entrata relativa all’accensione del prestito è confluita nei debiti di finanziamento del conto del patrimonio voce C.I)2) mentre la spe-sa non è stata rilevata non essendo stata impegnata”.

L’operazione in oggetto, secondo quanto chia-rito dalla Sezione delle autonomie nella delib. n. 19/2014, di cui si dirà più approfonditamente in re-lazione al profilo dell’indebitamento, è da intender-si quale “anticipazione di liquidità finalizzata a ri-costruire le risorse di cassa necessarie al pagamen-to di spese già finanziate […], la cui peculiarità con-siste nella previsione della restituzione rateale sino ad un massimo di 30 anni. Tale anticipazione con-sente di superare l’emergenza dei pagamenti dei de-biti pregressi e si concretizza nella mera sostituzio-ne dei soggetti creditori dell’ente (il Mef in luogo de-gli originari creditori). Pertanto, l’anticipazione non può costituire il finanziamento di una nuova spesa”. Essa, pertanto, deve essere contabilizzata in bilan-cio in modo tale da “evitare che le somme oggetto dell’anticipazione possano concorrere alla determi-nazione del risultato di amministrazione, generando effetti espansivi della capacità di spesa”.

Le modalità di contabilizzazione seguite dall’en-te hanno, invece, comportato la realizzazione di una eccedenza della competenza della gestione investi-menti che ha contribuito al finanziamento del fondo svalutazione crediti e alla compensazione del risul-tato negativo della gestione residui derivante prin-cipalmente dalla cancellazione di residui attivi non vincolati di parte corrente.

Va inoltre rilevato che la dichiarata necessità di costituire un fondo svalutazione crediti per ga-rantire gli equilibri di bilancio rispetto alla presen-za di residui attivi di incerto realizzo genera un ef-fetto espansivo della spesa che non è ammesso dal d.l. n. 35/2013. Infatti, in assenza del risultato po-sitivo derivante dalla gestione investimenti conse-guente all’errata contabilizzazione dell’anticipazio-

ne di liquidità, l’ente avrebbe dovuto comprimere la spesa corrente per reperire quella eccedenza di risor-se da destinare al finanziamento del fondo svaluta-zione crediti.

Tutto ciò premesso, pur tenendo conto delle indi-cazioni esplicitare dalla Sezione delle autonomie (de-lib. n. 19/2014), che, in merito alla corretta contabi-lizzazione dell’anticipazione di liquidità, ha comun-que considerato quale soluzione percorribile quella di “costituire un apposito fondo vincolato pari all’impor-to dell’anticipazione assegnata dal Mef da ridursi pro-gressivamente dell’importo pari alle somme annual-mente rimborsate”, e, pertanto, si ritiene più corret-ta e maggiormente cautelativa degli equilibri di bilan-cio, la contestuale assunzione dell’impegno di spesa nell’esercizio in cui è stata concessa l’anticipazione ed è stato iscritto l’accertamento in bilancio.

Il caso di specie, infatti, dimostra che la manca-ta assunzione dell’impegno di spesa, contestualmen-te all’accertamento di entrata, espone l’ente a ulte-riori rischi: la possibilità di non garantire, in sede di rendicontazione, lo specifico vincolo nell’avanzo di amministrazione; il possibile effetto espansivo della spesa che, come dimostra il caso specifico, potrebbe interessare anche la parte corrente del bilancio, ca-ratterizzata da una maggiore rigidità; la non corret-ta rappresentazione della situazione patrimoniale e il difficoltoso controllo del debito residuo.

Come specificato nel par. II.1.2 del documento allegato alla delib. n. 171/2014 di questa Sezione, il fenomeno rilevato è considerato grave in sé, per-ché viene rendicontato un risultato di amministrazio-ne non veritiero, ma soprattutto per gli effetti che es-so può produrre sui bilanci degli esercizi successivi, tanto più ove tale risultato venga reimpiegato nelle gestioni successive.

La Sezione, ritenendo che sussista una distorta rappresentazione dei dati di consuntivo e degli equi-libri interni di bilancio, ne richiede la correzione at-traverso l’adozione di apposita delibera consiliare.

Tale atto dovrà essere riferito non solo alla cor-retta determinazione del risultato di amministrazione dell’esercizio considerato, ma anche alle necessarie rettifiche dei bilanci degli esercizi successivi, per gli effetti che su questi si sono prodotti, nonché per l’e-ventuale finanziamento delle spese che, in tali eserci-zi, sono state garantite con le quote di avanzo di am-ministrazione non correttamente accertate al termine della gestione 2013.

Le scelte assunte dall’ente in merito alla con-tabilizzazione dell’anticipazione di liquidità, ol-tre agli effetti di distorta rappresentazione del risul-

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tato di amministrazione, hanno determinato, unita-mente ai risultati conseguiti dalla gestione di com-petenza e dalla gestione residui, la realizzazione di un disavanzo sostanziale di amministrazione pari a 2.544.571,21 euro.

Infatti, nonostante la gestione complessiva abbia chiuso, dal punto di vista contabile, con un avanzo di amministrazione di 1.882.980,71 euro, tale risulta-to non è stato sufficiente a ricostituire il vincolo de-rivante dall’anticipazione di liquidità e gli ulteriori vincoli derivanti dai saldi della competenza e della gestione residui.

L’esame del risultato di amministrazione, pur considerando quanto previsto nella citata nota mini-steriale prot. n. 53240/2013) in ordine alla possibili-tà di istituire uno stanziamento di spesa nell’ambito del titolo III quale “Fondo anticipazione di liquidità di cui all’art. 1, c. 13, d.l. n. 35/2013” sul quale non possono essere assunti impegni ed emessi mandati di pagamento, ha consentito di accertare che detta eco-nomia di spesa, derivante dal minor impegno, non è confluita nel risultato dell’esercizio 2013 quale fon-do vincolato. (Omissis)

Considerando, dunque, la composizione del ri-sultato di amministrazione accertato dall’ente e la necessità di garantire nell’ambito dello stesso il man-tenimento di quote vincolate per le ragioni e nei ter-mini sopra elencati, l’amministrazione dovrà garan-tire il reperimento di risorse libere per complessivi 2.544.571,21 euro

Come specificato nel paragrafo II.1.1 del docu-mento allegato alla delib. n. 171/2014, tale risultato negativo è da considerarsi grave, per le motivazioni sopra esplicitate, in quanto costituisce l’espressione di situazioni patologiche e contrario ai principi di sa-na gestione e sostenibilità finanziaria.

La non corretta composizione dell’avanzo di amministrazione comporta, oltre ad un utilizzo im-proprio di fondi aventi un vincolo di specifica de-stinazione, anche criticità negli equilibri di bilancio, quando questi vengono garantiti con quote di avanzo in realtà non disponibili.

Pertanto, sussistendo un disavanzo sostanziale di amministrazione al 31 dicembre 2013, la Sezione ri-tiene necessaria l’adozione di provvedimenti idonei a ripristinare, nei termini suddetti, una corretta ge-stione finanziaria.

Va inoltre sottolineato che la Sezione, con la spe-cifica pronuncia (delib. 14 aprile 2014, n. 20) emes-sa in sede di esame del rendiconto 2012, aveva se-gnalato la presenza di difficoltà nel raggiungimento e mantenimento degli equilibri di bilancio. In partico-

lare in tale sede era stata rilevata la presenza di parti-te attive riferite alla parte corrente la cui riscossione si attestava a livelli bassi e l’assenza di idonei stru-menti di tutela degli equilibri di bilancio oltre all’as-senza di un sistema di rilevazione delle movimenta-zioni dei flussi di cassa relativi ad entrate a specifi-ca destinazione.

In relazione a tali pronunce specifiche la Sezio-ne, con delib. 5 giugno 2014, n. 59, ha preso atto dei provvedimenti adottati rinviando ogni valutazio-ne sull’effettività degli stessi all’esame dei successi-vi questionari. In particolare la Sezione ha preso atto dell’avvenuta costituzione di un fondo svalutazione crediti di 500.000 euro nell’ambito del rendiconto di gestione 2013 e dell’attivazione delle procedure per giungere ad una integrale contabilizzazione in termi-ni di cassa dei flussi aventi specifica destinazione.

Tali misure dovranno ora essere rivalutate dall’en-te alla luce delle risultanze della gestione dell’eserci-zio 2013 e di quanto esposto in precedenza.

In sede di contraddittorio l’ente ha dichiarato che al momento in cui ha proceduto alla contabilizzazio-ne dell’anticipazione di liquidità ex d.l. n. 35/2013 non era ancora stata approvata la deliberazione del-la Sezione delle autonomie n. 19/2014 e che, conse-guentemente le scelte intraprese dall’amministrazio-ne erano suffragate unicamente dalla citata nota mi-nisteriale prot. n. 53140/2013 che consentiva l’isti-tuzione, nella parte spesa, di uno specifico fondo da far confluire nel risultato di amministrazione, se po-sitivo.

L’amministrazione inoltre ha ribadito che l’anti-cipazione di liquidità è stata richiesta “per oggetti-ve difficoltà di reperire fondi nel risultato di ammi-nistrazione e quindi per oggettive difficoltà di cassa; pertanto se l’ente avesse avuto le relative disponibi-lità finanziarie in termini di cassa non avrebbe dovu-to far ricorso all’anticipazione richiesta”.

Al riguardo, pur prendendo atto di quanto dichia-rato dell’ente, la Sezione, considerata anche la pos-sibilità di rettificare le risultanze del rendiconto, non può che ribadire quanto ampiamente espresso in or-dine al fatto che l’anticipazione di liquidità sia stata introdotta dal legislatore solo per consentire il supe-ramento di temporanee difficoltà di cassa. Essa, per-tanto, costituisce una partita meramente finanziaria che, non deve concorre alla definizione degli equili-bri di bilancio e, conseguentemente, del risultato di amministrazione.

Capacità di indebitamento È stato accertato che, nel rendiconto 2013, le som-

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me iscritte al titolo V dell’entrata (cat. 03) a segui-to della concessione dell’anticipazione di liquidità da parte della Cassa depositi e prestiti ai sensi del d.l. n. 35/2013, hanno costituito per l’ente una effettiva fon-te di finanziamento del bilancio.

In particolare, è stato rilevato in istruttoria che tali risorse, pari a 1.875.029,34 euro, in termini di competenza, hanno contribuito in parte al finanzia-mento del fondo svalutazione crediti e in parte alla compensazione delle risultanze negative della gesto-ne residui, con particolare riguardo alle cancellazio-ni dei residui attivi di parte corrente.

L’anticipazione di liquidità, infatti, essendo sta-ta inserita nel bilancio tra le entrate di parte capita-le ma non contestualmente tra le spese del titolo III, non è risultata neutra rispetto agli equilibri finanzia-ri ed ha sostanzialmente costituito una fonte di finan-ziamento per l’ente.

In merito alla natura dell’anticipazione di liquidi-tà occorre qui riportare quanto chiarito dalla Sezio-ne delle autonomie nella delib. n. 19/2014 cit. che ha precisato come “le risorse previste dal d.l. n. 35/2013 devono avere sostanzialmente, e non solo nominal-mente, la natura di anticipazione, altrimenti sarebbe violato l’art. 119, c. 6, Cost.”. Ciò in quanto tali ri-sorse, come nel caso di specie, vanno a finanziare nei fatti spese di parte corrente.

La Sezione delle autonomie ha inoltre ribadito che “trattasi di un’anticipazione di liquidità finaliz-zata a ricostruire le risorse di cassa necessarie al pa-gamento di spese già finanziate (oltre agli ammorta-menti non sterilizzati e ai crediti vantati dagli enti del Servizio sanitario nazionale), la cui peculiarità con-siste nella previsione della restituzione rateale sino ad un massimo di 30 anni.

Pertanto, l’anticipazione non può costituire il fi-nanziamento di una nuova spesa. L’operazione è consentita dalla legge solo in questi termini. Da un lato, i debiti pregressi riguardano anche spese di parte corrente, ai sensi del citato art. 2, c. 6, d.l. n. 35/2013, dall’altro, l’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003, esclude dall’indebitamento le operazioni dettate da una momentanea carenza di liquidità e che consento-no di effettuare spese per le quali è già prevista ido-nea copertura di bilancio”.

Il ricorso all’anticipazione di liquidità risulta per-tanto consentito, conformemente alle disposizioni di cui al d.l. n. 35/2013, qualora i debiti pregressi riguardino anche spese di parte corrente, qualifica-bili, ai sensi dell’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003 ai fini dell’esclusione dal concetto di indebitamento, qua-li le operazioni dettate da una momentanea carenza

di liquidità e che consentono di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio.

Per le motivazioni appena espresse la Sezione ri-leva, pertanto, la violazione, in via fattuale, del vin-colo di cui all’art. 119, u.c., Cost. che rappresenta un principio cardine dell’ordinamento la cui violazione che è da considerarsi una irregolarità particolarmen-te grave, come specificato nel par. II.2 del documen-to allegato alla delib. n. 171/2014.

La Sezione ritiene pertanto necessaria l’adozio-ne di provvedimenti idonei a ripristinare, nei termini suddetti, una corretta gestione finanziaria.

È stata rilevata la non corretta quantificazione dello stock del debito di finanziamento nel conto del patrimonio.

L’errata determinazione risulta conseguente alla contabilizzazione dell’anticipazione di liquidità con-cessa dalla Cassa depositi e prestiti ai sensi del d.l. n. 35/2013 tra le voci di entrata relative ai mutui e prestiti.

In ordine alla contabilizzazione di detta antici-pazione l’ente ha precisato in contraddittorio che ha ritenuto di seguire le modalità conseguenti a quan-to previsto nella citata nota ministeriale prot. n. 53140/2013.

A tale riguardo occorre premettere che l’anticipa-zione di liquidità è stata prevista dal legislatore al so-lo fine di fornire liquidità agli enti locali e consentire agli stessi il pagamento dei debiti certi liquidi ed esi-gibili al 31 dicembre 2012 già finanziati in termini di competenza con risorse proprie dell’ente.

Si tratta, pertanto, di una anticipazione di liquidi-tà finalizzata a consentire il superamento di momen-tanee difficoltà di cassa che non può in alcun modo costituire una fonte di finanziamento per i bilanci de-gli enti locali.

Il legislatore tuttavia non si è espresso circa la contabilizzazione di dette anticipazioni e la Sezione delle autonomie ha ritenuto che questa dovesse esse-re effettuata in bilancio in modo tale da garantire la neutralità di queste poste nei bilanci degli enti.

Nel caso di specie l’ente ha contabilizzato le an-ticipazioni di liquidità tra le poste dedicate ai mutui e prestiti, e tale qualificazione è stata poi confermata in sede di stesura del conto del patrimonio.

La Sezione ritiene che più correttamente le poste in oggetto dovevano essere contabilizzate (in termi-ni finanziari ed economico-patrimoniali) tra le anti-cipazioni di cassa sia per la natura propria dell’ope-razione sia per garantire la neutralità di tali poste sul bilancio dell’ente.

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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Stante la contabilizzazione operata utilizzando altre voci di bilancio (nel caso di specie i mutui e prestiti) l’ente avrebbe dovuto comunque rettificare tali poste in sede di definizione del conto del patri-monio, al fine di evitare che queste potessero altera-re la quantificazione dell’indebitamento complessi-vo dell’ente.

In ordine alle modalità di contabilizzazione di detta anticipazione l’ente ha precisato in contraddit-torio che, nella citata nota ministeriale, si prevedeva di imputare, dal lato delle entrate, l’anticipazione fra le accensioni di prestiti.

Al riguardo la Sezione ribadisce che tale ope-razione, non costituendo in alcun modo fonte di fi-nanziamento per il bilancio dell’ente, non deve esse-re considerata, ai fini patrimoniali, nella definizione dello stock di debito.

Come specificato nel par. II.2 del documento al-legato alla delib. n. 171/2014, il fenomeno rilevato è considerato grave perché viene fornita una rappre-sentazione non veritiera della consistenza comples-siva dell’indebitamento dell’ente.

La Sezione, ritenendo che sussista una distorta rappresentazione dei dati di consuntivo, ne richiede la correzione attraverso l’adozione di apposita deli-bera consiliare. (Omissis)

Ritenuto:- che le irregolarità segnalate e riferite al risulta-

to di amministrazione, con particolare riguardo al-la mancata conciliazione delle anticipazioni di liqui-dità concesse dalla Cassa depositi e prestiti ai sen-si del d.l. n. 35/2013 e alla presenza di un disavan-zo sostanziale, non possono ritenersi completamente rimosse nonostante l’attività posta in essere dall’en-te che, con l’approvazione del rendiconto di gestione 2014 e del bilancio di previsione 2015 e plurienna-le 2015-2017, ha adottato misure che depongono per il completo finanziamento del disavanzo rilevato en-tro l’esercizio 2016;

- che l’irregolarità segnalata e riferita alla capa-cità di indebitamento, con particolare riguardo alla violazione dell’art. 119 Cost., non può ritenersi com-pletamente rimossa nonostante l’attività posta in es-sere dall’ente, che, con l’approvazione del rendicon-to di gestione 2014 e del bilancio di previsione 2015 e pluriennale 2015-2017, ha attivato misure che pro-spettano una completa ricostituzione, entro l’eserci-zio 2016, della quota vincolata al rimborso dell’anti-cipazione di liquidità e conseguentemente il supera-mento dei rilievi formulati in relazione alla violazio-ne del dettato costituzionale;

- che l’irregolarità segnalata e riferita alla capaci-

tà di indebitamento, con particolare riguardo alla non corretta quantificazione dello stock del debito di fi-nanziamento nel conto del patrimonio, non può rite-nersi rimossa nonostante gli intendimenti rappresen-tati dall’ente che ha dichiarato di voler procedere alla correzione dell’ammontare dei debiti finanziamento in sede di approvazione del rendiconto 2015;

- che la valutazione appena espressa circa i prov-vedimenti adottati per rimuovere le irregolarità ri-scontrate sul risultato di amministrazione 2013 e la capacità di indebitamento attiene all’esercizio og-getto d’esame, e non considera in modo analitico le risultanze del rendiconto 2014, che sarà oggetto di successiva valutazione ma che l’ente dovrà comun-que prendere in considerazione con gli strumenti normativamente previsti;

- che, nel caso di specie, occorre prendere atto dei provvedimenti adottati dall’ente affinché sia effetti-vamente ripianato il disavanzo sostanziale di ammi-nistrazione e ricostituiti i vincoli risultante dal rendi-conto 2013 entro l’esercizio 2016 e sia data corret-ta quantificazione e rappresentazione dei debiti di fi-nanziamento dell’ente;

delibera, sulla base di quanto segnalato dall’ente, dagli orientamenti e dai provvedimenti assunti circa il finanziamento del disavanzo sostanziale, la ricosti-tuzione dei fondi per il rimborso dell’anticipazione di liquidità ex d.l. n. 35/2013 utilizzati in violazio-ne dell’art. 119 Cost. la non corretta quantificazio-ne dello stock del debito di finanziamento nel con-to del patrimonio la Sezione, pur ritenendo non ri-mosse le irregolarità riscontrate sul rendiconto 2013, prende atto, della nuova quantificazione dei vinco-li dell’esercizio 2013, dei provvedimenti assunti per il completo finanziamento del disavanzo sostanzia-le entro l’esercizio 2016 e la conseguente rimozione delle problematiche connesse al rispetto delle nor-me costituzionali in materia di indebitamento non-ché degli intenti rappresentati per la corretta defini-zione dell’ammontare dei debiti di finanziamento nel conto del patrimonio.

Gli interventi che l’ente è chiamato a realizzare per far fronte al disavanzo di amministrazione relati-vo all’esercizio 2013 dovranno considerare anche le risultanze del rendiconto 2014, sebbene queste ulti-me non siano state oggetto di valutazione con la pre-sente deliberazione.

In considerazione di quanto esposto, la Sezio-ne richiama l’ente a indirizzare il bilancio verso una sempre più corretta e sana gestione finanziaria, la cui valutazione sarà oggetto di specifico esame unita-mente all’analisi dei questionari che l’organo di revi-

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sione è tenuto a trasmettere in relazione ai successi-vi atti di bilancio.

* * *

Trentino-Alto Adige

13 – Sezione controllo Regione Trentino-Alto Adi-ge, Bolzano; deliberazione 24 luglio 2015; Pres, Dainelli, Rel. Pozzato; Commissariato del gover-no per la Provincia di Bolzano.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Di-rigente – “Chiamata diretta” – Esclusione – Incarico conferito per un posto di funzione nell’ambito della Provincia autonoma di Bol-zano – Irrilevanza.

Cost., art. 77; c.c., artt. 1175, 1375; d.p.r. 6 aprile 1984 n. 426, norme di attuazione dello Statuto spe-ciale per la Regione Trentino-Alto Adige concernen-ti istituzione del tribunale amministrativo regiona-le di Trento e della sezione autonoma di Bolzano, art. 12; d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme genera-li sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 19.

Non è conforme a legge il provvedimento col quale il Commissariato del governo per la Provin-cia di Bolzano ha conferito l’incarico di dirigente del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige (Sezione autonoma di Bol-zano) mediante “chiamata diretta”, anziché secon-do le procedure di cui all’art. 19, c. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001, che prevedono la pubblicità dei posti di-rigenziali vacanti, nonché l’acquisizione e la valuta-zione della disponibilità dei dirigenti eventualmen-te interessati.

Diritto – La Sezione è chiamata a decidere se per il conferimento – rectius proroga – dell’incari-co di dirigente del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, Sezione au-tonoma di Bolzano, si possa procedere a “chiama-ta diretta” ovvero si debbano preventivamente osser-vare le procedure di cui all’art. 19, c. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 in tema di pubblicità dei posti vacanti, nonché di acquisizione e valutazione della disponibi-lità dei dirigenti eventualmente interessati.

L’amministrazione ritiene che nella fattispe-cie operi la facoltà, prevista dall’art. 12 d.p.r. n. 426/1984 (norma di rango “paracostituzionale”), di derogare alla procedura concorsuale attraverso la

“chiamata diretta”, che troverebbe la sua fonte ordi-namentale nell’art. 97, c. 4, Cost., secondo cui “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

In questo quadro la “non concorsualità” della procedura prevista dalla citata normativa (di attua-zione dello Statuto) non sarebbe in contrasto con i principi ordinamentali, ma ne troverebbe fondamen-to, costituendo un’eccezione consentita dalla Carta costituzionale.

La stessa amministrazione rileva inoltre:- l’assenza di poteri di gestione dei capitoli di spe-

sa relativi all’assunzione del personale (sicché è im-prescindibile l’assenso delle diverse amministrazio-ni di appartenenza per qualsiasi atto “dispositivo” ri-guardante l’assunzione o il trasferimento di personale, dirigenziale e non, tra diverse amministrazioni);

- la mancanza di delega al Commissariato del go-verno, tanto per l’espletamento di un concorso, che per l’avvio di un interpello in sede locale.

Tanto premesso, ritiene il collegio di operare una ricognizione della normativa applicabile nel caso di specie.

Dispone l’art. 97 della Costituzione:- al c. 2, che “I pubblici uffici sono organizzati se-

condo disposizioni di legge in modo che siano assi-curati il buon andamento e l’imparzialità dell’ammi-nistrazione”;

- al c. 4, che “Agli impieghi nelle pubbliche am-ministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Secondo l’art. 19, c. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle di-pendenze delle amministrazioni pubbliche) “L’am-ministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituziona-le, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta; acquisisce la disponibilità dei diri-genti interessati e le valuta”.

Dispone l’art. 12, c. 2, d.p.r. n. 426/1984 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige concernenti istituzione del tri-bunale amministrativo regionale di Trento e della se-zione autonoma di Bolzano) e successive modifica-zioni e integrazioni che “Per la copertura del posto di segretario generale può essere chiamato un funzio-nario in possesso della qualifica di dirigente apparte-nente ai ruoli dello Stato, della regione o delle pro-vince autonome. La nomina è conferita dal Commis-sario del governo competente, su proposta del presi-

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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dente del tribunale amministrativo di giustizia am-ministrativa d’intesa col presidente del Consiglio di Stato”.

Ai sensi dell’art. 13, c. 6, d.p.r. n. 752/1976 (Nor-me di attuazione dello Statuto speciale della Regio-ne Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella Provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego) e successive modificazioni e integrazioni “Il Commis-sario del governo per la Provincia di Bolzano è al-tresì delegato ad adottare tutti gli altri provvedimen-ti ed emanare tutti gli altri atti concernenti il perso-nale di cui al c. 1 dell’art. 8 del presente decreto ap-plicando le norme dello stato giuridico dei dipenden-ti dello Stato”.

Delineato il quadro normativo di riferimento, giova richiamare quanto affermato in linea genera-le dalla Corte costituzionale in ordine al thema deci-dendum: “il concorso pubblico – quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più ca-paci sulla base del criterio del merito – costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni. Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell’a-zione amministrativa. Le eccezioni a tale regola con-sentite dall’art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono rispondere a “peculiari e straordinarie esi-genze di interesse pubblico” (sent. n. 81/2006). Altri-menti la deroga si risolverebbe in un privilegio a fa-vore di categorie più o meno ampie di persone (sent. n. 205/2006). Perché sia assicurata la generalità del-la regola del concorso pubblico disposta dall’art. 97 Cost., l’area delle eccezioni va, pertanto, delimita-ta in modo rigoroso” (ex plurimis, Corte cost., n. 363/2006).

In questo contesto il collegio ritiene di dover dare all’art. 12 del d.p.r. n. 426/1984 una lettura sistemati-ca nell’àmbito del sopra riferito quadro normativo in sintonia con il dettato costituzionale e con i principi in diretta derivazione da esso.

Ha sottolineato il giudice delle leggi che il com-pito delle norme di attuazione “subordinate allo Sta-tuto (oltre che alla Costituzione)” è di “armonizza-re nell’unità dell’ordinamento giuridico i contenu-ti e gli obiettivi particolari dell’autonomia speciale” (sent. n. 213/1988).

Per quanto concerne le disposizioni di cui al d.lgs. n. 165/2001, che costituiscono princìpi fon-damentali ai sensi dell’art. 117 Cost., rileva il colle-gio che, secondo la giurisprudenza contabile, il legi-slatore nazionale ha dato piena attuazione al princi-pio costituzionale del buon andamento, di cui all’art.

97 della Costituzione, dettando regole di efficiente e razionale utilizzo (all’interno della pubblica ammi-nistrazione) delle risorse umane “le quali vanno ac-quisite con il generale sistema del concorso pubbli-co, da ritenersi modalità generale ed ordinaria di ac-cesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni al fine di garantire pari condizioni di accesso a tutti i cittadini e la selezione dei più meritevoli, cfr. Corte cost., n. 9/2010; n. 52/2011; n. 167 e n. 227/2013; n. 134/2014” (cfr. Corte conti, Sez. giur. Trentino-Alto Adige, n. 11/2015).

Nel quadro delineato, rilevano, altresì, i criteri ge-nerali della correttezza e della buona fede (cfr. artt. 1175 e 1375 c.c.), che si impongono a tutte le pubbli-che amministrazioni (tenute a valutazioni comparati-ve e a forme di partecipazione ai processi decisiona-li), rientrando gli atti di conferimento di incarichi di-rigenziali nell’àmbito dell’impiego pubblico privatiz-zato (cfr., sul punto, Cons. Stato, n. 2495/2014; Cass., Sez. lav., n. 7495/2015; Tar Abruzzo, n. 7/2015).

Per altro verso, sussiste anche l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di adottare criteri per consentire una rotazione dei dirigenti, in armonia con l’art. 1, c. 4, lett. e), e l’art. 1, c. 5, lett. b), l. n. 190/2012 (cfr. sul punto, Sez. contr. reg. Emilia-Ro-magna, n. 180/2014 cit.).

Da ciò consegue che il più volte riferito art. 12, c. 2, d.p.r. n. 426/1984 deve essere letto in linea con le regole generali di concorsualità e di trasparenza nell’affidamento degli incarichi nella pubblica am-ministrazione, recate dalla normativa sopravvenu-ta di cui al d.lgs. n. 165/2001, in diretta applicazio-ne dell’art. 97 della Costituzione, anche alla luce dei princìpi di sana gestione pubblica di derivazione co-munitaria.

Si appalesa, pertanto, priva di fondamento la te-si sostenuta dall’amministrazione circa la sostanzia-le alternatività fra l’art. 12, c. 2, d.p.r. n. 426/1984 e l’art. 19, c. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001, da cui derive-rebbe un potere di individuazione del dirigente, so-stanzialmente privo di limiti.

La “chiamata” di funzionari (in possesso della qualifica dirigenziale) appartenenti ai ruoli dello Sta-to, della regione o delle provincie autonome, “d’in-tesa” con il presidente del Consiglio di Stato, non può che costituire, ad avviso del collegio, in una let-tura sistematica del quadro normativo di riferimen-to, una fase successiva del procedimento di assegna-zione di incarichi dirigenziali, rispetto alla necessa-ria fase prodromica della pubblicizzazione del posto di funzione vacante e dell’acquisizione della dispo-nibilità dei dirigenti eventualmente interessati.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Ciò, peraltro, non esclude sul piano logico la compatibilità tra l’applicazione della disciplina di cui all’art. 19, c. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 e la possi-bilità del rinnovo dell’incarico dirigenziale, in quan-to nulla vieta che all’esito della pubblicità e della va-lutazione delle disponibilità acquisite l’amministra-zione possa, ricorrendone i presupposti e previa ade-guata motivazione, individuare come la più idonea alla funzione la persona già precedentemente inte-stataria dell’incarico dirigenziale (cfr. Sez. contr. reg. Emilia-Romagna, n. 180/2014).

Rileva in ogni caso la Sezione che non è emer-sa nella fattispecie la sussistenza di straordinarie esi-genze vòlte ad assicurare la “continuità delle funzio-ni in uffici di particolare e delicata rilevanza”, che secondo la giurisprudenza della Corte dei conti po-trebbero consentire la deroga al generale principio della concorsualità (cfr. Sez. centr. contr. legittimi-tà sugli atti del governo e delle amministrazioni del-lo Stato, n. 24/2014).

In linea generale, giova evidenziare che i funzio-nari interessati al conferimento dell’incarico devono essere in possesso dei requisiti discendenti dall’ap-plicazione delle norme in materia di proporzionale linguistica negli uffici statali siti nella Provincia di Bolzano e di conoscenza della lingua italiana e tede-sca nel pubblico impiego in tale àmbito locale (cfr. art. 89 d.p.r. n. 670/1972 e le relative norme di attua-zione di cui al d.p.r. n. 752/1976 e successive modi-ficazioni e integrazioni).

Circa gli ulteriori motivi posti dall’amministra-zione a sostegno del proprio provvedimento (in par-ticolare, con riferimento alla mancanza di delega all’espletamento di una procedura concorsuale) è uti-le sottolineare che il Commissariato del governo, ai sensi del sopra citato art. 13, c. 6, d.p.r. n. 752/1976, in virtù di delega generale conferita ope legis, è te-nuto a svolgere di regola tale procedura nell’àmbito dei dirigenti dei ruoli locali del personale civile del-le amministrazioni dello Stato in servizio nella Pro-vincia di Bolzano.

Nella presente fattispecie il Commissariato può avvalersi delle facoltà di cui all’art. 12 d.p.r. n. 426/1984, come modificato dall’art. 5 d.lgs. n. 161/1999, estendendo le procedure di cui all’art. 19, c. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 cit., ai funzionari (in pos-sesso della qualifica dirigenziale) appartenenti ai ruoli della regione e delle province autonome.

Ritiene il collegio che anche nel caso in esame ri-corrano le specifiche e generali attribuzioni del Com-missariato del governo di Bolzano in tema di coper-tura dei posti dei ruoli locali delle amministrazioni

statali, nonché di emanazione di tutti gli atti concer-nenti il relativo personale (cfr. artt. 8 e 13 d.p.r. n. 752/1976).

Da ultimo, evidenzia la Sezione che i poteri-do-veri del Commissariato del governo in ordine al-lo svolgimento della procedura concorsuale non so-no in alcun modo correlati alla gestione di un pro-prio capitolo di spesa, in quanto il potere di spesa è del tutto disgiunto dall’individuazione del dirigen-te incaricato. Vale la pena sottolineare che l’assen-so dell’amministrazione (plesso della giustizia am-ministrativa), onerata della spesa per il dirigente, è assicurato nella fase finale del procedimento, in cui la valutazione comparativa delle varie candidature è oggetto di motivata proposta del presidente del tri-bunale regionale di giustizia amministrativa d’intesa con il presidente del Consiglio di Stato.

P.q.m., la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, ricusa il visto e la conseguente regi-strazione del provvedimento in epigrafe.

* * *

Veneto

227 – Sezione controllo Regione Veneto; delibera-zione 22 aprile 2015; Pres. (f.f.) Brandolini, Rel. Maffei, Dimita, Alberghini; Gruppi politici del consiglio regionale del Veneto.

Regione in genere e regioni a statuto ordinario – Regione Veneto – Gruppi politici del consi-glio regionale – Rendiconti 2014 – Esame della sezione regionale di controllo della Corte dei conti.

L. reg. Veneto 27 novembre 1984 n. 56, norme per il funzionamento dei gruppi consiliari, art. 3; d.l. 10 ot-tobre 2012 n. 174, convertito con modificazioni dal-la l. 7 dicembre 2012 n. 213, disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti terri-toriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, art. 1; d.p.c.m. 21 dicembre 2012, recepimento linee guida su rendi-conto di esercizio annuale approvato dai gruppi con-siliari dei consigli regionali; l. reg. Veneto 21 dicem-bre 2012 n. 47, disposizioni per la riduzione e il con-trollo delle spese per il funzionamento delle istituzio-ni regionali, art. 3; l. reg. Veneto 31 dicembre 2012 n. 53, autonomia del consiglio regionale, art. 52.

La Sezione regionale di controllo per il Veneto

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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ha esaminato i rendiconti percepiti dai gruppi politi-ci del consiglio regionale nel 2014. L’esame dei ren-diconti è stato concentrato su due aspetti principa-li: a) la regolarità contabile (intesa come il rispetto delle norme che disciplinano la formazione del ren-diconto), la completezza della documentazione e l’a-deguatezza nel rappresentare i fatti di gestione; b) il rispetto dei criteri della coerenza e dell’inerenza delle spese alle attività dei gruppi consiliari. (1)

Diritto – A. L’art. 1, cc. 9 ss., d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicem-bre 2012, n. 213, ha previsto un compiuto sistema di verifiche delle spese dei gruppi consiliari regio-nali disciplinandone le modalità di rendicontazione, le procedure e gli effetti giuridici conseguenti alla omessa o irregolare rendicontazione.

Detta disposizione è stata oggetto, tra le altre, di un giudizio di legittimità costituzionale definito dal-la Corte cost., 6 marzo 2014, n. 39, che ha mantenuto sostanzialmente immutato il controllo intestato alle sezioni regionali della Corte dei conti sui rendiconti dei gruppi consiliari regionali dichiarando non fon-date le questioni sollevate in riferimento al c. 11, pri-mo e secondo periodo, ed escluso qualsivoglia profi-lo di illegittimità costituzionale del c. 11, ultimo pe-

(1) I. - Nel senso che il sistema dei controlli sui rendicon-ti dei gruppi politici dei consigli regionali, previsto dal d.l. n. 174/2012, trova applicazione a partire dai rendiconti relativi al 2013, v. Corte cost., 26 novembre 2014, n. 263, in questa Ri-vista, 2014, fasc. 5-6, 352, con nota di richiami; Corte conti, Sez. riun., 18 dicembre 2014, n. 60, ibidem, 207, con nota di richiami.

Secondo Corte conti, Sez. riun., spec. comp., 4 dicembre 2014, n. 54, ibidem, 195, l’applicazione delle sanzioni di leg-ge conseguenti alla mancata presentazione dei rendiconti dei gruppi politici dei consigli regionali (sanzioni consistenti nel-la decadenza dal diritto all’erogazione delle risorse stanziate dal consiglio regionale per l’anno in corso e nell’obbligo di re-stituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale) presuppone un’omissione colpevole, imputabile al soggetto obbligato a rendere il conto; pertanto, la tardiva tra-smissione alla sezione regionale di controllo, da parte del pre-sidente del consiglio regionale, del rendiconto del gruppo con-siliare, in quanto non dovuta ad inerzia di questo, non compor-ta l’applicazione delle citate sanzioni.

Sulla giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie aventi ad oggetto la responsabilità dei presidenti e dei compo-nenti dei gruppi politici dei consigli regionali per la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi medesimi, v., da ultimo, Cass., S.U., 21 aprile 2015, n. 8077, ivi, 2015, fasc. 1-2, 339, con nota di richiami.

II. - La deliberazione in epigrafe risulta impugnata per conflitto di attribuzione con ricorso della Regione Veneto 30 giugno 2014 (in G.U., 1ͣ serie spec., 19 agosto 2015, n. 33).

riodo, nella parte in cui introduce l’obbligo di resti-tuzione delle somme ricevute, in caso di accertata ir-regolarità in esito ai controlli sui rendiconti.

La Corte, infatti, quanto alla funzione di control-lo della magistratura contabile, ne ha ribadito il ca-rattere necessario anche in relazione ai rendiconti di esercizio dei gruppi consiliari e, quanto all’obbligo di restituzione, che discende causalmente dalle ri-scontrate irregolarità nella rendicontazione e princi-pio generale delle norme di contabilità pubblica, ha confermato che lo stesso è strettamente correlato al dovere di dare conto delle modalità di impiego del denaro pubblico in conformità alle regole di gestione ed alla loro attinenza alle funzioni istituzionali svol-te dai gruppi consiliari.

È stato, altresì, precisato, in conformità alla con-solidata giurisprudenza costituzionale, che la norma è ascrivibile all’ambito materiale del principio di co-ordinamento della finanza pubblica (art. 119 Cost.), di buon andamento e di equilibrio di bilancio (artt. 81 e 97 Cost.) e di armonizzazione dei sistemi con-tabili (art. 117 Cost., in particolare, c. 3) nel quale spetta al legislatore statale porre i principi fonda-mentali di riferimento (cfr. Corte cost., n. 29/1995; n. 267/2006; n. 179/2007; n. 229/2011; n. 60/2013). Ciò in quanto correlato alla necessità di preserva-re l’equilibrio economico finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche in riferimento ai pa-rametri costituzionali ed ai vincoli derivanti dall’ap-partenenza dell’Italia all’Unione europea.

B. In tale contesto si inseriscono anche i rendi-conti dei gruppi consiliari dei consigli regionali che costituiscono parte necessaria del rendiconto regio-nale e con le cui risultanze, pertanto, devono esse-re conciliati.

Per espresso disposto normativo (art. 1, c. 10, d.l. n. 174/2012), detti rendiconti sono pubblicati in alle-gato al conto consuntivo del consiglio regionale, con ciò divenendone parte integrante. Pertanto, in consi-derazione delle spiegate esigenze, il legislatore (art. 1, c. 9, d.l. n. 174/2012, convertito con modificazio-ni dalla l. n. 213/2012) ha attribuito alla magistratu-ra contabile (ex art. 100 Cost.) il controllo obbligato-rio, annuale, sui predetti rendiconti che, se pur di ti-po documentale, deve verificare la prova dell’effetti-vo impiego delle risorse pubbliche attribuite ai grup-pi consiliari alle quali la disciplina di riferimento im-prime un vincolo di destinazione funzionale.

Da ciò consegue il correlato, ineludibile, dovere dei medesimi di “dare il conto delle modalità di im-piego del denaro pubblico in conformità alle rego-le di gestione dei fondi e alla loro attinenza alle fun-

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zioni istituzionali svolte” (Corte cost., n. 39/2014) con conseguente obbligo di restituzione delle som-me ricevute, in caso di accertata irregolarità in esito ai controlli sui rendiconti.

B.1. Al fine di assicurare la corretta rilevazione dei fatti di gestione e la regolare tenuta della con-tabilità il rendiconto di esercizio annuale di ciascun gruppo consiliare – che, in ogni caso, deve eviden-ziare, in apposite voci, le risorse trasferite al gruppo dal consiglio regionale, con indicazione del titolo del trasferimento, nonché le misure adottate per consen-tire la tracciabilità dei pagamenti effettuati – deve es-sere strutturato secondo le linee guida deliberate dal-la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolza-no e recepite con d.p.c.m. 21 dicembre 2012 che in-dica i criteri e le regole tecniche volte a soddisfare le spiegate esigenze di omogeneità nella redazione dei rendiconti annuali di esercizio dei gruppi consilia-ri e definisce, anche, la documentazione necessaria a corredo del medesimo.

Ciò in quanto le esigenze di armonizzazione nel-la redazione dei documenti contabili – come costan-temente affermato dalla Corte cost. (ex plurimis, n. 52/2010, n. 176/2012, n. 309/2012, e n. 138/2013) e ribadito nella sent. n. 39/2014 – sono strumentali a consentire la corretta raffrontabilità dei conti.

Il sindacato della Corte dei conti assume quin-di, come parametro, la conformità del rendiconto al modello predisposto in sede di conferenza, e deve ritenersi documentale, non potendo addentrarsi nel merito delle scelte discrezionali rimesse, nei limiti del mandato istituzionale, all’autonomia politica dei gruppi (Corte cost., n. 39/2014).

B.2. Quanto alle modalità di svolgimento del controllo, la disciplina di cui al già richiamato art. 1, cc. 9-12, d.l. n. 174/2012 stabilisce che, al termine di ogni esercizio finanziario, ciascun gruppo consilia-re è tenuto ad approvare il rendiconto e ad inviarlo al presidente del consiglio regionale, il quale lo tra-smette, nel termine di sessanta giorni dalla chiusu-ra dell’esercizio, alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, la quale, con appo-sita delibera, è tenuta a pronunciarsi sulla regolari-tà del rendiconto entro il termine di trenta giorni dal suo ricevimento; nell’ipotesi di decorso del predetto termine in assenza di pronuncia il rendiconto si in-tende approvato.

A completamento del delineato sistema, il c. 11 dispone, poi, che nell’ipotesi in cui l’organo magi-stratuale di controllo riscontri che il rendiconto di esercizio del gruppo consiliare o la documentazio-

ne trasmessa a corredo dello stesso non sia confor-me alle prescrizioni di legge, sempre nel rispetto del termine di cui sopra (“entro 30 giorni dal ricevimen-to del rendiconto”), trasmette – per il tramite del pre-sidente del consiglio regionale – apposita comunica-zione affinché il gruppo consiliare interessato prov-veda alla relativa regolarizzazione, all’uopo fissando per l’adempimento un termine non superiore a tren-ta giorni.

In pendenza del termine istruttorio il decorso di quello per la pronuncia della sezione viene sospeso ex lege.

B.3. I parametri del controllo sono contenuti, ol-tre che nelle statuizioni della già citata sentenza Cor-te cost., n. 39/2014, nelle linee guida recepite con d.p.c.m. 21 dicembre 2012, nonché nelle fonti regio-nali. Concorrono, altresì, alla formazione del quadro ordinamentale entro il quale si collocano le attività di rendicontazione e di controllo, in quanto applica-bili, i postulati ed i principi contabili ed, in particola-re, il principio contabile n. 2, in materia di rilevazio-ni contabili e finalità del rendiconto in base al qua-le quest’ultimo (il rendiconto) deve rappresentare in modo attendibile la situazione finanziaria, economi-ca patrimoniale ecc., e permettere di verificare la ge-stione delle entrate e delle spese (d.lgs. n. 118/2011).

B.4. Le richiamate linee guida assumono, pe-raltro, un ruolo centrale tra le fonti che disciplina-no proprio l’attività di rendicontazione da parte dei gruppi consiliari in quanto le prescrizioni ivi conte-nute, rispondenti alla triplice funzione della corretta rilevazione dei fatti di gestione, della regolare tenu-ta della contabilità e della identificazione della docu-mentazione giustificativa delle spese, costituiscono, da un canto e a monte, criteri dell’attività di spesa e di successiva rendicontazione.

Oltre alle menzionate prescrizioni, contengono, altresì, un “modello di rendicontazione”, sulla scorta del quale i gruppi devono rilevare e classificare i fat-ti di gestione, così come via via registrati nella appo-sita contabilità, la cui tenuta, obbligatoria, deve es-sere definita, nelle modalità, in specifico “disciplina-re”, da adottare previamente, ai sensi dell’art. 3, c. 1, delle linee guida medesime.

Nello specifico, per quanto attiene alle spese di funzionamento il d.p.c.m. (art. 1, cc. 4 e 6) elenca le ti-pologie – ammissibili e precluse – di utilizzo del con-tributo a tal fine erogato dal consiglio e demanda alle normative regionali le modalità di utilizzo del contri-buto per spese del personale assunto dal gruppo (art. 1, c. 5). Per tali spese, qualora sostenute direttamente dai gruppi consiliari, è previsto un obbligo di allega-

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zione del contratto di lavoro e della documentazione attestante l’adempimento degli obblighi previdenziali ed assicurativi (art. 3, c. 3, all. A al d.p.c.m.).

Ad ogni modo, per tali spese resta ferma l’impre-scindibile valutazione di inerenza all’attività istitu-zionale del gruppo (di cui si dirà appresso): tale valu-tazione, infatti, costituisce il primo indefettibile va-glio di legittimità di ogni spesa coperta dai contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari.

Il d.p.c.m. individua, quindi (art. 2) i compiti e le responsabilità del presidente del gruppo consiliare, individuando in detta figura il soggetto che autoriz-za le spese e ne è responsabile (art. 2, c. 1). Nel con-tempo, al predetto presidente si demanda di attestare la veridicità e la correttezza delle stesse sostenute dal gruppo (art. 2, c. 1).

Si stabilisce, altresì, l’obbligo per ciascun gruppo consiliare di dotarsi di un disciplinare interno recan-te sia le modalità di gestione delle risorse messe a di-sposizione dal consiglio regionale che le modalità di tenuta della contabilità (art. 2, c. 3).

Quanto alla documentazione necessaria da alle-gare al rendiconto e da conservare a norma di legge, il d.p.c.m. (art. 3) stabilisce che i rendiconti devono essere corredati da copia conforme della documenta-zione contabile relativa alle spese inserite nel rendi-conto medesimo (art. 3, c. 1), che per gli acquisti di beni e servizi la documentazione contabile è rappre-sentata dalla fattura o scontrino fiscale parlante (art. 3, c. 2), che per le spese relative al personale, qualora sostenute direttamente dal gruppo consiliare, devono essere allegati il contratto di lavoro e la documenta-zione attestante l’adempimento degli obblighi previ-denziali ed assicurativi (art. 3, c. 3).

Si prevede, quindi, al fine di assicurare la traccia-bilità dei pagamenti l’accreditamento dei fondi ero-gati dal consiglio regionale al gruppo consiliare in un conto corrente bancario intestato al gruppo me-desimo (art. 4) le cui operazioni di gestione devono rispettare gli obblighi di tracciabilità dei pagamenti previsti dalla normativa vigente.

Specificazioni sul divieto di utilizzazione del contributo – che, giova ricordare, viene concesso per le spese di funzionamento del gruppo consiliare – per fini diversi da quelli previsti dalla legge, vengono quindi fornite con l’all. A al d.p.c.m. il quale puntua-lizza che detto contributo non può essere utilizzato:

a) per spese sostenute dal consigliere nell’esple-tamento del mandato e per altre spese personali del consigliere;

b) per l’acquisto di strumenti di investimento fi-nanziario;

c) per spese relative all’acquisto di automezzi (art. 1, c. 6).

Con riferimento a tali spese, vige dunque un di-vieto espresso di cui si deve tener conto nel control-lo di regolarità.

B.5. I principi contabili sui quali si fonda la disci-plina delineata nel d.p.c.m. sono quelli di veridicità e di correttezza intendendosi per tali la corrispondenza tra le poste indicate nel rendiconto e le spese effetti-vamente sostenute (veridicità: art. 1, c. 2, linee gui-da, all. A) e la coerenza delle spese sostenute con le finalità previste dalle legge, secondo i definiti prin-cipi di cui si è detto nel precedente punto B.4 (cor-rettezza: art. 1, c. 3, all. A, linee guida d.p.c.m. cit.).

Occorre anche evidenziare che, in relazione a quest’ultimo principio, la coerenza della spesa alle finalità previste dalla legge è espressamente definita dal d.p.c.m. il quale, per quanto in questa sede rileva, precisa che (art. 1, c. 3, all. A, linee guida d.p.c.m.):

“a) ogni spesa deve essere espressamente ricon-ducibile all’attività istituzionale del gruppo;

b) non possono essere utilizzati, neanche parzial-mente, i contributi erogati dal consiglio regionale per finanziare, direttamente o indirettamente le spese di funzionamento degli organi centrali e periferici dei partiti o di movimenti politici e delle loro articola-zioni politiche o amministrative o di altri rappresen-tanti interni ai partiti o ai movimenti medesimi”.

Analoghe disposizioni sono contenute anche nel-la legislazione regionale di cui si dirà appresso (suc-cessivo punto B.6).

Altro principio cardine, come già detto, è quel-lo della inerenza ovvero della “attinenza alle fun-zioni istituzionali svolte dai gruppi” (Corte cost., n. 39/2014, par. 6.3.9.6) che, oltre ad essere espressio-ne dei già menzionati principi di correttezza e coe-renza, è evincibile tanto dalle disposizioni normative che riconoscono l’assegnazione “ai gruppi consilia-ri per l’esercizio delle loro funzioni, di adeguate ri-sorse finanziarie, strumentali e di personale” (art. 42, c. 3, legge statutaria del Veneto 17 aprile 2012, n. 1), quanto dalla sussistenza, in tutte le gestioni di dena-ro pubblico, di un ineludibile vincolo di destinazio-ne, in special modo laddove, come nella specie, “le risorse finanziarie assegnate ai gruppi sono a cari-co dei fondi stanziati per il funzionamento del consi-glio” (art. 42, c. 3, cit.).

In applicazione del principio dell’inerenza, in primo luogo, le linee guida ed, in secondo luogo, la legislazione regionale (art. 13, cc. 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, l. reg. 21 dicembre 2012, n. 47), defini-scono una serie di limiti e vincoli specifici di utilizzo

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dei fondi erogati, con riferimento alle singole tipolo-gie di spese ammissibili.

In proposito vale la pena ricordare che le somme di che trattasi hanno natura pubblica e sono destina-te ad una finalità istituzionale vincolata. Tali eroga-zioni, infatti, afferiscono al funzionamento dei gruppi consiliari in quanto strutture interne, necessarie e stru-mentali agli organi assembleari, proiezioni dei parti-ti politici in assemblea regionale, disciplinate da nor-me di diritto pubblico (Corte cost., n. 1130/1988 e n. 187/1990; Cass., Sez. VI pen., n. 49976/2012), il cui funzionamento è garantito proprio dall’erogazione di risorse pubbliche, in specie a valere sui fondi del con-siglio regionale (art. 42 statuto Regione Veneto).

Da ciò consegue anche che una loro utilizzazio-ne per uno scopo diverso da quello previsto dalla leg-ge può, nella ricorrenza di tutti gli altri presupposti di legge, generare responsabilità erariale.

Come peraltro già precisato (supra, punto b), il fondamento delle prescrizioni suddette, a sua volta, deve rinvenirsi nel generale dovere di dare conto del-le modalità di impiego del denaro pubblico, con con-seguente obbligo di restituzione di quanto non rendi-contato o di quanto non correttamente rendicontato.

B.6. Quanto alla legislazione regionale, la legge statutaria del Veneto (17 aprile 2012, n. 1) disciplina i gruppi consiliari al titolo II, capo I (“il consiglio re-gionale”), art. 42, prevedendo la necessaria apparte-nenza dei consiglieri regionali ad un gruppo (con ciò confermando che trattasi di articolazioni necessarie del consiglio regionale) e demandando ad un apposi-to regolamento la disciplina delle modalità di costi-tuzione e di adesione. Il c. 3 del citato art. 42 prevede espressamente che “l’ufficio di presidenza assegna ai gruppi consiliari, per l’esercizio delle loro funzioni, adeguate risorse finanziarie, strumentali e di perso-nale. Le risorse finanziarie assegnate ai gruppi sono a carico dei fondi stanziati per il funzionamento del consiglio. I mutamenti sopravvenuti nel corso della legislatura non comportano aumento delle risorse e del personale complessivamente assegnati”.

Il vigente regolamento per il funzionamento del consiglio regionale (adottato con provvedimento del consiglio regionale 30 aprile 1987, n. 456) discipli-na, agli artt. 9 e 10, la composizione dei gruppi e le modalità di designazione dei loro presidenti, mentre l’art. 11, “Spese di funzionamento dei gruppi”, stabi-lisce che “il consiglio, tramite l’ufficio di presiden-za, assicura ai gruppi consiliari – avuto riguardo al-la loro consistenza numerica – il personale e i mezzi necessari per il loro funzionamento secondo quanto previsto (…) dalla legge regionale”.

La l. reg. 27 novembre 1984, n. 56 (“Norme per il funzionamento dei gruppi consiliari”) nel testo vi-gente, così come da ultimo modificata dalla l. reg. 21 dicembre 2012, n. 47 (“Disposizioni per la riduzione e il controllo delle spese per il funzionamento delle istituzioni regionali, in recepimento e attuazione del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174”) prevede, all’art. 3, che ai gruppi consiliari “sono assegnati, a carico dei fon-di a disposizione del consiglio regionale, contribu-ti annui per una spesa complessiva individuata dal-la Conferenza Stato-regioni ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. g), d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla l. n. 213/2012”, anche in ragione del numero dei consiglieri aderenti, con le modalità stabilite dall’ufficio di presidenza.

Precisa il medesimo art. 3, c. 4, che “il contribu-to di cui al c. 1 è destinato esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all’attività del consiglio regionale in conformità a quanto previsto dalla linee guida de-liberate dalla Conferenza Stato-regioni, come recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 1, c. 9, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla l. n. 213/2012”.

Dell’utilizzo di tale contributo deve essere dato conto mediante un rendiconto di esercizio annuale “strutturato secondo le linee guida deliberate dalla Conferenza Stato-regioni, come recepite con decre-to del Presidente del Consiglio dei ministri, eviden-ziando in apposite voci le risorse traferite al gruppo dal consiglio regionale ai sensi delle leggi regionali vigenti, distinguendo quelle trasferite nell’anno di ri-ferimento del rendiconto e quelle trasferite negli an-ni precedenti e non ancora spese all’inizio dell’eser-cizio di riferimento” (art. 6, c. 1).

La legge regionale, inoltre, istituisce un sistema informativo al quale affluiscono i dati relativi al fi-nanziamento dell’attività dei gruppi (art. 6-bis), che dovrebbero essere “resi disponibili, per via telema-tica, al sistema informativo della Corte dei conti, al Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimen-to della Ragioneria generale dello Stato, nonché al-la commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici di cui all’art. 9 l. 6 luglio 2012, n. 96”.

La l. reg. 21 dicembre 2012, n. 47, già citata, all’art. 13 disciplina le “spese dei gruppi consiliari” prevedendo, in linea generale, che la Regione Veneto “si conforma alla deliberazione adottata dalla Confe-renza Stato-regioni ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. h), d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla l. n. 213/2012” (c. 1), assegnando all’ufficio di presidenza la definizione delle tipologie di spesa ine-

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renti alle attività istituzionali dei gruppi consiliari “nel rispetto di quanto disposto dal d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (...) e dal d.p.c.m. 21 dicembre 2012”. I successi-vi cc. 1-quater e 1-quinquies provvedono, poi, alla de-finizione puntuale delle tipologie di spesa inerenti alle attività istituzionali dei gruppi consiliari. Nello speci-fico il c. 1-quater dispone che fra le spese per attività istituzionali dei gruppi consiliari rientrano anche quel-le sostenute nell’esercizio finanziario 2013 e successi-vi, derivanti dalle seguenti attività:

a) promozione e divulgazione delle attività e del-le iniziative della regione, del gruppo e dei singo-li consiglieri, anche tramite pubblicazioni, opusco-li, fogli informativi, volantini, manifesti, lettere, gad-get promozionali, messaggi di posta elettronica, sms, mms, newsletter, mezzi di comunicazione di massa e ogni altro strumento divulgativo;

b) divulgazione e valorizzazione della legislazio-ne regionale e degli atti degli organi, enti e società regionali;

c) manifestazioni ed eventi, seminari, incontri, ri-unioni e relative spese di ospitalità per i relatori e i rappresentanti di enti, associazioni, comitati e mo-vimenti a rilevanza sociale, culturale e sportiva o di personalità negli stessi settori;

d) attività di formazione, aggiornamento e semi-nari di studio per i consiglieri, i dipendenti e collabo-ratori del gruppo consiliare;

e) studi, ricerche, indagini e analisi degli orien-tamenti e dei mutamenti valoriali della società, della soddisfazione dei bisogni dei cittadini, della qualità dell’attività istituzionale dei gruppi consiliari e della regione; (c. 1-quater).

A sua volta il c. 1-quinquies stabilisce che per le attività istituzionali dei gruppi consiliari sono altresì ammesse anche le seguenti spese:

a) acquisto di quotidiani, periodici, pubblicazio-ni e libri, in formato cartaceo, elettronico e online;

b) spese logistiche, quali affitto di sale, attrezza-ture e altri servizi logistici e ausiliari, per riunioni e incontri fuori sede del gruppo o dei singoli consiglie-ri autorizzati dal presidente del gruppo consiliare;

c) missioni dei collaboratori e dei dipendenti as-segnati al gruppo consiliare, autorizzate dal presi-dente del gruppo, anche con uso del mezzo proprio ai sensi dell’art. 9 l. 26 luglio 1978, n. 417 recante “Adeguamento del trattamento economico di missio-ne e di trasferimento dei dipendenti statali”.

Quanto al divieto di utilizzazione del contributo per fini diversi da quelli previsti per legge, l’art. 3 l. reg. 27 novembre 1984, n. 56 (recante “Norme per il

funzionamento dei gruppi consiliari”), nel testo vi-gente, espressamente al c. 5 stabilisce che “I grup-pi consiliari non possono utilizzare neppure parzial-mente i contributi di cui al c. 1 per finanziare, diret-tamente o indirettamente, attività di partiti o movi-menti politici e comunque estranee ai gruppi o alle loro finalità”.

Per quanto poi attiene il personale dei gruppi consiliari sovviene l’art. 52 l. reg. 31 dicembre 2012, n. 53 il quale attribuisce al presidente del gruppo la possibilità di attivare autonomamente rapporti di la-voro nelle tipologie contrattuali coordinate e conti-nuative, a progetto e occasionali, finanziati median-te la corresponsione al gruppo mensilmente di una somma pari alla differenza fra un dodicesimo della spesa massima assegnata ai sensi del c. 3 dell’art. 47 della medesima legge ed il costo mensile del perso-nale in servizio (c. 2).

Anche questa ultima categoria di spesa è qualifi-cata dalla inerenza alle attività istituzionali dei grup-pi. Infatti la stessa legge regionale in esame stabili-sce che “i rapporti di lavoro attivati ai sensi del c. 1 sono riferiti esclusivamente alle attività istituzio-nali dei gruppi consiliari e, nel rispetto della auto-nomia della esecuzione dell’obbligazioni lavorativa, sono coordinati presso le sedi istituzionali dei grup-pi” (c. 3) ed il regolamento interno di amministrazio-ne e organizzazione “definisce le modalità di attiva-zione, svolgimento e rendicontazione” (c. 4) sia dei predetti rapporti di lavoro che delle somme a tal fi-ne corrisposte ai gruppi ai sensi del sopra richiama-to art. 52, c. 2.

C. Sulla base di tale quadro normativo la Sezio-ne ha incentrato l’esame dei rendiconti dei gruppi consiliari della Regione Veneto su due aspetti fon-damentali, ossia:

a) la regolarità contabile del conto intesa come ri-spetto delle norme che ne disciplinano la formazio-ne, la completezza della documentazione e la ade-guatezza nel rappresentare i fatti di gestione;

b) il rispetto dei fondamentali criteri della coe-renza e dell’inerenza della spesa all’attività del grup-po consiliare, quali espressamente previsti sia dal d.p.c.m. che dalla legislazione regionale.

Ne consegue, quindi, che la Sezione nell’espri-mersi sui rendiconti pervenuti deve necessariamente conoscere anche, nei termini e per le finalità già am-piamente rappresentate, della correttezza o meno dei fatti di gestione rispetto ai rappresentati precisi para-metri normativi, oltre che tecnici e contabili, laddo-ve il rendiconto, inteso come documento conforme al modello approvato, si limiti a dare di detti fatti una

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rappresentazione meramente sintetica dei soli risul-tati espressi in termini finanziari.

C.1. Tanto sopra precisato la Sezione ha verifica-to, in relazione ai rilievi oggetto dell’istruttoria già esperita (propria delib. n. 147/2015) se, all’esito del-la stessa istruttoria e delle osservazioni prodotte in risposta, permangano irregolarità o carenze docu-mentali non sanate.

Sottolinea, preliminarmente, che in linea genera-le la documentazione a supporto delle spese sostenu-te e rimborsate, oltre ad essere presente e leggibile, deve essere idonea a consentire l’esercizio della ve-rifica di inerenza al fine istituzionale, indicando l’oc-casione, le circostanze e la finalità della spesa mede-sima poiché il difetto di tali minime indicazioni ren-de, di fatto, a monte, impossibile qualunque valuta-zione di attinenza ai fini istituzionali propri del man-dato consiliare e dell’attività del gruppo, stante che la documentazione di spesa priva di tali elementi po-trebbe essere riferita a qualunque utilizzo, anche dif-forme da quello normativamente previsto.

È necessario, altresì, per ogni singola voce di spesa, il rispetto sia del criterio della tracciabilità dei pagamenti, stabilito dall’art. 4 dell’all. A al predet-to d.p.c.m. 21 dicembre 2012, sia dei divieti di leg-ge quali, in particolare, il divieto di rimborsare spese personali ed il divieto di finanziare direttamente o in-direttamente, tramite i fondi dei gruppi consiliari, le spese di funzionamento degli organi centrali o peri-ferici di partiti o di movimenti politici.

Deve rilevarsi che i gruppi consiliari nell’eserci-zio in esame hanno provveduto ad adeguarsi alle in-dicazioni fornite da questa Sezione in merito alla ne-cessaria tenuta di scritture contabili idonee a consen-tire agli organi di controllo interno e, soprattutto, a questa Corte di compiere le verifiche di competen-za, dirette ad evitare ed a prevenire processi distorsi-vi nell’utilizzo delle risorse pubbliche.

C.2. Quanto ai rendiconti depositati, al fine di meglio comprendere le risultanze cui la sezione è pervenuta, si indicano qui di seguito i criteri utiliz-zati per l’esame delle diverse voci di spesa sostenute dai gruppi consiliari, criteri che, giova ribadire, sono stati ricavati dal d.p.c.m. 21 dicembre 2012 e/o dalle fonti regionali sopra richiamate.

In considerazione, poi, delle esigenze di concen-trazione della motivazione, della natura delle irre-golarità riscontrate e della tipologia dei documenti trasmessi, la Sezione ha ritenuto di formulare con la presente deliberazione alcune considerazioni gene-rali per poi rimandare, per un’indicazione più accu-rata delle singole irregolarità riscontrate, alle schede

allegate e facenti parte integrante della presente de-liberazione, relative a ciascuno dei gruppi consiliari.

Premesso, quindi, che la spesa è stata ritenuta ammissibile solo nelle ipotesi in cui è stato possibi-le ricondurla all’attività istituzionale del gruppo ed accertato che la stessa non sia stata utilizzata, diret-tamente o indirettamente, per finanziare le spese di funzionamento di organi centrali e periferici dei par-titi o movimenti politici e delle loro articolazioni po-litiche o amministrative o di altri raggruppamenti in-terni ai partiti o ai movimenti medesimi (art. 1, c. 3, lett. a, e lett. b, d.p.c.m. 21 dicembre 2012; art. 3, cc. 4 e 5, l. reg. 7 novembre 1984, n. 56, testo vigente), si evidenzia, quanto ai vari aggregati di spesa, che:

1) quanto alle spese per il personale sostenute dal gruppo (voci U1 e U2 rendiconto) la Sezione richia-ma il quadro normativo di riferimento che, in specie, è dato dal più volte richiamato d.p.c.m. 21 dicem-bre 2012 il cui art. 1, c. 5, rimanda alla legislazio-ne regionale per la disciplina delle spese per il per-sonale e dall’art. 52 l. reg. 31 dicembre 2012, n. 53, a mente del quale il presidente del gruppo consilia-re può attivare, autonomamente, unicamente rappor-ti di lavoro:

a) riconducibili alle tipologie contrattuali coordi-nate e continuative, a progetto e occasionali, discipli-nate dal titolo VII d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276;

b) riferiti esclusivamente alle attività istituziona-li dei gruppi consiliari;

c) da attivare, svolgere e rendicontare secondo la disciplina regolamentare di cui al regolamento inter-no di amministrazione ed organizzazione.

Rimane esclusa, pertanto, qualsiasi forma di re-clutamento di personale che configuri la instaurazio-ne di un rapporto di lavoro subordinato a tempo in-determinato o determinato.

Le tipologie contrattuali richiamate dalla leg-ge regionale sono, quindi, quelle del contratto di la-voro occasionale e di collaborazione a progetto per le quali viene richiesta dal d.lgs. n. 276/2003 la for-ma scritta e la riconducibilità ad uno o più proget-ti specifici determinati dal committente, funzional-mente collegati ad un determinato risultato finale e che non possono consistere nella mera riproposizio-ne dell’oggetto sociale del committente.

Le spese sostenute dai gruppi consiliari per i rap-porti di collaborazione in tanto possono, quindi, rite-nersi regolari in quanto ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:

- contratto in forma scritta rientrante in una del-le tipologie contrattuali di cui agli artt. 61 ss. d.lgs. n. 276/2003;

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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- esistenza di un progetto descritto (per i contrat-ti stipulati successivamente al 17 luglio 2012) o indi-cato (per i contratti stipulati antecedentemente al 17 luglio 2012) nel contratto e individuato nel suo con-tenuto caratterizzante;

- contenuto del progetto riferito esclusivamen-te alle attività istituzionali del gruppo consiliare, così come definite ai sensi dei cc. 1-quater e 1-quin-quies dell’art. 13 l. reg. 21 dicembre 2012, n. 47, con esclusione dello svolgimento di compiti meramen-te esecutivi;

- estraneità delle prestazioni del collaboratore ri-spetto all’attività svolta dal personale delle unità di supporto delle segreterie dei gruppi messo a disposi-zione dal consiglio regionale ed il cui costo è a cari-co del bilancio del consiglio medesimo;

- professionalità e/o specificità della prestazione del collaboratore in relazione al contenuto del pro-getto e al risultato atteso, non esclusa dalla natura fiduciaria del contratto, così come qualificata dal c. 1-bis dell’art. 13 l. reg. 21 dicembre 2012, n. 47, an-che in assenza della definizione delle modalità di at-tivazione del contratto secondo il regolamento di or-ganizzazione e amministrazione (art. 52, c. 4, l. reg. n. 53/2012), che in ogni caso non potrebbe derogare alle disposizioni di rango primario in materia di am-bito di applicazione, natura, contenuti e modalità di svolgimento del rapporto di collaborazione;

- definizione di un risultato atteso quale esito del progetto, al raggiungimento del quale è subordinato il pagamento del corrispettivo contrattuale;

- necessaria rendicontazione e/o verificabilità dello svolgimento e del risultato della collaborazio-ne, in quanto elemento necessario del rapporto, an-che in assenza della definizione delle relative moda-lità da parte del regolamento di organizzazione e am-ministrazione di cui sopra.

Pertanto sono state dichiarate regolari solo le spese per le quali è stata documentata la ricorrenza di tutti i suesposti elementi: si rinvia, per il dettaglio delle somme irregolarmente rendicontate, alla spe-cifica analitica di cui agli allegati alla presente deli-berazione;

2) quanto alle spese per la redazione, stampa e spe-dizione di pubblicazioni o periodici e di altre spese di comunicazione, anche web (voce U5 rendiconto), le stesse sono state ritenute regolari solo laddove la do-cumentazione a supporto, anche a seguito di adempi-mento istruttorio, ha comprovato l’inerenza della spe-sa alla specifica attività istituzionale del gruppo.

In relazione, poi, alle spese sostenute per proget-tazione, manutenzione, gestione, ecc. di siti web, le

stesse sono state ritenute regolari esclusivamente se sostenute successivamente all’acquisto della titolari-tà (o possesso) del dominio, nella ricorrenza anche del presupposto dell’inerenza all’attività istituziona-le del gruppo consiliare.

Quanto alle altre spese di comunicazione, promo-zione delle attività del gruppo e dei singoli consiglie-ri sono state considerate regolari solo quelle in cui è stata documentata la riconducibilità della spesa al-lo svolgimento dell’attività istituzionale del gruppo (ad esclusione, quindi, di quelle inerenti all’attività di partito ovvero all’attività politica generale del sin-golo consigliere);

3) quanto alle spese relative a consulenze, studi e incarichi (voce U6 rendiconto), le stesse sono sta-te ritenute regolari laddove è stata prodotta tutta la documentazione necessaria e contenente, quanto me-no, gli elementi minimi essenziali (atto/contratto di conferimento dell’incarico contenente oggetto del-la prestazione richiesta, compenso, prova dello svol-gimento dell’incarico, prescritta documentazione fi-scale, dimostrazione del prodotto realizzato, dimo-strazione dell’inerenza della spesa).

Non sono state, invece, ritenute regolarmente rendicontate le spese, sostenute dai gruppi, per inca-richi defensionali per l’instaurazione dei giudizi in-nanzi al Tar Veneto, non essendo detta voce di spe-sa ricompresa tra gli specifici vincoli di destinazione che la legge imprime alle risorse assegnate ai grup-pi consiliari né tra le finalità istituzionali, tipizzate, di cui sia al più volte richiamato d.p.c.m. 21 dicem-bre 2012, sia all’art. 13, c. 1-quater, lett. da a) ad e), l. reg. 21 dicembre 2012, n. 47.

Nella specie, tra l’altro, le spese di che trattasi, affrontate per contestare giudizialmente la declara-toria di irregolarità nella gestione delle risorse, so-no state, paradossalmente, poste a carico del medesi-mo soggetto istituzionale, ossia il consiglio regiona-le, che le ha erogate.

Di conseguenza, sono state considerate irregolar-mente rendicontate le spese indicate nelle specifiche contenute negli allegati alla presente deliberazione;

4) quanto alle spese sostenute per le attività pro-mozionali e di rappresentanza, per i convegni e per le attività di aggiornamento (voce U12 rendiconto), so-no state ritenute tendenzialmente inerenti all’attività istituzionale le spese per la stampa e per l’informa-zione, mentre le spese per convegni e manifestazio-ni sono state ritenute regolari solo qualora contenen-ti la documentazione analitica del convegno/manife-stazione che ha originato la spesa, da cui è stato pos-sibile accertarne il nesso con le attività istituzionali.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Nelle ipotesi, poi, di partecipazione del gruppo a specifiche spese sostenute per studi e pubblicazioni nonché per convegni, manifestazioni o altre tipolo-gie di eventi organizzati unitamente a soggetti diver-si, quali partiti politici o altre organizzazioni, o an-che a loro beneficio, la spesa rendicontata dal gruppo è stata ritenuta ammissibile laddove è stato dimostra-to che si trattasse di una quota parte della spesa com-plessivamente sostenuta anche con l’apporto econo-mico di detti differenti soggetti.

In conseguenza, sono state ritenute irregolarmen-te rendicontate le spese indicate nelle specifiche con-tenute negli allegati alla presente deliberazione;

5) per le spese per acquisto di libri, pubblica-zioni, giornali e riviste (voce U11 rendiconto), se-condo il principio ricavabile dall’art. 1, c. 3, lett. a), d.p.c.m. 21 dicembre 2012, la regolarità delle stes-se è stata valutata in relazione alla completezza del-la documentazione allegata (specificazione delle pubblicazioni acquistate e relativo numero di copie; in caso di acquisto di libri: indicazione del titolo e dell’autore e, in caso di acquisti plurimi del mede-simo volume, documentazione atta a collegare la ri-chiesta di rimborso ad un numero di copie congruo rispetto all’attività istituzionale);

6) quanto alle spese postali e telegrafiche, cancel-leria e stampati, duplicazione e stampa (rispettiva-mente voci U7, U9 e U10 rendiconto), le stesse sono state ritenute regolarmente rendicontate solo laddo-ve la spesa ha trovato una giustificazione, documen-tata, fermo il principio dell’inerenza;

7) quanto alle spese logistiche (voce U15 del ren-diconto), per affitto sale riunioni, attrezzature e altri servizi logistici e ausiliari, le stesse sono state ritenu-te regolarmente rendicontate allorquando è stata for-nita la documentazione comprovante l’inerenza della spesa all’attività istituzionale del gruppo.

Di conseguenza, sono state considerate irregolar-mente rendicontate le spese indicate nelle specifiche contenute negli allegati alla presente deliberazione.

D. Alla luce dei suesposti criteri, sono state rite-nute irregolarmente rendicontate le spese, di seguito, complessivamente riportate per ciascun gruppo con-siliare:“Popolo della Libertà-Forza Italiaper il Veneto” euro 41.049,46;“Partito Democratico Veneto” euro 30.826,33;“Liga Veneta-Lega Nord-Padania” euro 27.825,12;“Unione Nord Est” euro 3.617,12;“Misto” euro 39.158,72;“Italia dei Valori” euro 6.358,56;

“Unione di Centro” euro 9.152,86;“Futuro Popolare” euro 64.321,76;“Bortolussi Presidente” euro 6.358,56;“Forza Italia” euro 6.100;

Le predette spese sono state analiticamente ripor-tate per ciascun gruppo consiliare negli allegati e re-lative schede di sintesi (da n. 1 a n. 10), facenti parte integrante della presente deliberazione.

E. A seguito di analisi della documentazione pro-dotta dai gruppi “Rifondazione Comunista Sini-stra Europea-Federazione Sinistra Veneta” e “Nuo-vo Centro Destra-Veneto Autonomo” in esito alle ri-chieste di cui alla delib. n. 147/2015 di questa Sezio-ne è stata accertata la regolarità dei relativi rendicon-ti per l’esercizio 2014. (Omissis).

289 – Sezione controllo Regione Veneto; parere 12 giugno 2015; Pres. (f.f.) Brandolini, Rel. Maffei; Comune di Mirano.

Impiegato regionale e degli enti locali – Comune e provincia – Contrattazione integrativa – Fon-di speciali – Somme erroneamente erogate al personale – Recupero – Modalità.

D.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazio-ni dalla l. 15 luglio 2011 n. 111, disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, art. 16; d.l. 6 mar-zo 2014 n. 16, convertito con modificazioni dalla l. 2 maggio 2014 n. 68, disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scola-stiche, art. 4.

Gli enti locali che non abbiano rispettato i vinco-li alla costituzione dei fondi speciali per la contrat-tazione collettiva integrativa sono obbligati a recu-perare integralmente le somme erroneamente eroga-te a carico di tali fondi, anche mediante il loro gra-duale riassorbimento per un numero massimo di an-nualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento dei vincoli.

Fatto – Il sindaco del Comune di Mirano (VE), con la nota indicata in epigrafe, ha posto un quesito inerente alla utilizzazione dei risparmi di spesa con-seguiti dall’ente – a seguito dell’attuazione di pro-getti di razionalizzazione delle spese correnti di cui all’art. 16, cc. 4 e 5, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conver-tito dalla l. 15 luglio 2011, n. 111 – per ripianare il recupero, a carico dei fondi per il trattamento acces-sorio del personale dipendente, di somme per trat-

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PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA N. 3-4/2015

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tamento accessorio erroneamente riconosciute ai di-pendenti comunali negli anni 2005-2009, come pre-visto dall’art. 4 d.l. 6 marzo 2014, n. 16, convertito dalla l. 2 maggio 2014, n. 68.

Nello specifico, il sindaco fa presente che il Co-mune di Mirano è stato oggetto di un’ispezione da parte della Ragioneria generale dello Stato nel corso dei mesi di febbraio e marzo 2010.

A seguito di tale ispezione, sono state rilevate alcune irregolarità nella costituzione dei fondi pro-duttività, parte variabile, degli anni 2005-2009 con conseguente erroneo riconoscimento di retribuzioni accessorie (progetti finalizzati ex art. 15, cc. 2 e 4, c.c.n.l. 1 aprile 1999, svolti dai dipendenti ma mai formalizzati da parte dell’amministrazione) per com-plessivi euro 271.210,24.

Del suddetto importo è stata disposta la trattenu-ta in otto rate annuali di euro 33.901,28, decorren-ti dall’anno 2013 fino al 2020, direttamente in fase di distribuzione della produttività individuale. Il ri-chiedente precisa, inoltre, che l’ispezione ministeria-le non ha comportato il riconoscimento di ipotesi re-sponsabilità erariale in capo ai coloro che hanno ri-vestito la carica di responsabili del personale.

Sulla base di quanto sopra evidenziato e di quan-to previsto dal sopra citato art. 4 d.l. n. 16/2014 – che prevede espressamente la possibilità di compensa-re le somme da recuperare anche attraverso l’utiliz-zo dei risparmi di spesa derivanti dall’attuazione dei piani di cui ai cc. 4 e 5 dell’art. 16 del d.l. n. 98/2011 – il sindaco chiede se sia possibile giuridicamente utilizzare una prima quota del 50 per cento dei ri-sparmi di spesa conseguiti ai sensi dei cc. 4 e 5 cit., art. 16, da distribuire ai lavoratori come trattamen-to accessorio, e il rimanente 50 per cento dei rispar-mi debitamente certificati, al riassorbimento parziale delle somme indebitamente erogate ai dipendenti co-munali nel quinquennio 2005-2009, tenuto conto an-che della circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri prot. n. 10946 del 12 agosto 2014.

Diritto – La richiesta del Comune di Mirano è stata formulata ai sensi dell’art. 7, c. 8, l. 5 giugno 2003, n. 131. (Omissis)

Quanto al merito, la Sezione ritiene opportuno, ai fini di un corretto inquadramento della questione, procedere a una preliminare disamina della normati-va richiamata.

L’art. 4, c. 1, d.l. 6 marzo 2014, n. 16, converti-to dalla l. 2 maggio 2014, n. 68, introduce una pe-culiare disciplina in materia di mancato rispetto dei vincoli finanziari posti alla contrattazione integra-tiva e all’utilizzo dei relativi fondi, obbligando gli

enti territoriali che non hanno rispettato tali vinco-li al recupero integrale delle somme indebitamen-te erogate.

La disposizione stabilisce, altresì, che il suddet-to recupero debba avvenire attraverso il graduale ri-assorbimento di quanto indebitamente erogato, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il supe-ramento dei vincoli; a tale fine, è previsto che gli enti locali adottino opportune misure di razionalizzazio-ne organizzativa. Il c. 2 del medesimo articolo pre-vede poi la possibilità, per gli enti locali che abbiano rispettato il patto di stabilità interno, di compensare le somme da recuperare anche attraverso l’utilizzo non solo dei risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa di cui c. 1 ma anche attraverso l’utilizzo dei risparmi derivan-ti dall’attuazione dell’art. 16, cc. 4 e 5, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla l. 15 luglio 2011, n. 111. Il riferimento è ai “piani trienna-li di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, di riordino e ristrutturazione amministrativa, di sem-plificazione e digitalizzazione, di riduzione dei co-sti della politica e di funzionamento, ivi compresi gli appalti di servizio, gli affidamenti alle partecipate e il ricorso alle consulenze attraverso persone giuridi-che” previsti dal c. 4 del citato art. 16. In relazione ai suddetti piani, il c. 5 del medesimo articolo, stabili-sce che “le eventuali economie aggiuntive effettiva-mente realizzate rispetto a quelle già previste dalla normativa vigente, dall’art. 12 e dal presente articolo ai fini del miglioramento dei saldi di finanza pubbli-ca, possono essere utilizzate annualmente, nell’im-porto massimo del 50 per cento, per la contrattazione integrativa, di cui il 50 per cento destinato alla ero-gazione dei premi previsti dall’art. 19 d.lgs. 27 otto-bre 2009, n. 150”. Nella disposizione normativa vie-ne altresì precisato che le risorse in questione “sono utilizzabili solo se a consuntivo è accertato, con ri-ferimento a ciascun esercizio, dalle amministrazio-ni interessate, il raggiungimento degli obiettivi fissa-ti per ciascuna delle singole voci di spesa previste nei piani di cui al c. 4 e i conseguenti risparmi. I rispar-mi sono certificati, ai sensi della normativa vigente, dai competenti organi di controllo”.

In questo contesto normativo si colloca il quesi-to posto dal sindaco del Comune di Mirano che chie-de se, rispetto ai risparmi di spesa conseguiti ai sen-si dei citati cc. 4 e 5 dell’art. 16 del d.l. n. 98/2011, sia possibile utilizzare una prima quota del 50 per cento dei risparmi di spesa effettivamente consegui-ti per il trattamento accessorio dei dipendenti ed il ri-

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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manente 50 per cento dei risparmi debitamente cer-tificati, al riassorbimento parziale delle somme inde-bitamente erogate ai dipendenti comunali nel quin-quennio 2005-2009, ai sensi del citato c. 2, d.l. n. 16/2014, come rilevato in occasione dell’ispezione della Ragioneria generale dello Stato.

A questo riguardo, la Sezione fa presente che una prima linea interpretativa delle disposizioni so-pra richiamate è stata tracciata dal Comitato tempo-raneo, composto da rappresentanti delle competen-ti amministrazioni centrali, regionali e locali in se-no alla Conferenza unificata e costituito, sulla base della circolare interministeriale n. 60 del 12 maggio 2014, proprio al fine di “fornire criteri per la corret-ta ed uniforme attuazione di quanto previsto dall’art. 4 d.l. n. 16/2014”. Tali orientamenti sono stati suc-cessivamente recepiti nella circolare della Presiden-za del Consiglio dei ministri n. 10946 del 12 agosto 2014 (richiamata dal sindaco nella richiesta di pa-rere) contente “Indicazioni applicative in materia di trattamento retributivo accessorio del personale di regioni ed enti locali. Art. 4 d.l. 6 marzo 2014, n. 16 recante “Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi”. Con riferimento al-la specifica disciplina di cui al c. 2 dell’art. 4, nel do-cumento richiamato viene espressamente evidenzia-to che il recupero delle quote eccedenti i vincoli fi-nanziari posti alla contrattazione collettiva integrati-va debba essere effettuato con la “prioritaria” desti-nazione a tal fine dei risparmi di spesa effettivamen-te determinatisi a seguito dell’adozione delle misure di razionalizzazione organizzativa di cui al c. 1, del medesimo articolo nonché derivanti dall’attuazione dell’art. 16, cc. 4 e 5, d.l. n. 98/2011.

Con riferimento questi ultimi viene inoltre preci-sato che il risparmio destinabile allo scopo compen-sativo può essere anche il cento per cento di quello conseguente all’adozione di piani triennali di razio-nalizzazione e riqualificazione della spesa, peraltro al netto delle economie già previste dalla normativa vigente, poiché “non si tratta di destinare risorse ag-giuntive alla contrattazione collettiva decentrata (in questo caso limitate a una quota massima del 50 per cento del risparmio stesso) bensì – e viceversa – alla copertura delle quote di fondo decentrato da recupe-rare per superamento dei vincoli finanziari”.

Infine, viene evidenziato che qualora non sussi-stano i presupposti per l’applicazione di queste misu-re (come ad esempio, in caso di mancato rispetto del patto di stabilita o per insufficienza delie risorse ga-rantite da questi interventi) gli enti dovranno provve-

dere al recupero attraverso le misure di razionalizza-zione organizzativa previste dal c. 1 dell’art. 4.

La Sezione condivide il suddetto orientamento interpretativo ritenendo che sia conforme alla ratio della disciplina introdotta dalle disposizioni in argo-mento che è quella di individuare un percorso guida-to per recuperare, sebbene in via graduale, le somme attribuite al di fuori dei vincoli economici e normati-vi prescritti per la contrattazione integrativa che una lettura, come quella proposta dal Comune di Mirano, non consentirebbe.

Pertanto, il recupero delle quote eccedenti il le-gittimo limite di spesa in materia di contrattazione integrativa, nel caso in cui l’ente volesse avvalersi della possibilità di compensazione, deve essere inte-so come prioritario rispetto all’utilizzo delle econo-mie in argomento. In questo caso, quindi, l’ente do-vrà destinare i risparmi conseguiti ai sensi dell’art. 16, c. 4, d.l. n. 98/2011 innanzitutto al graduale re-cupero delle somme indebitamente erogate, suddivi-se in quote annuali e, solo in un secondo momen-to, procedere alla distribuzione quanto eventualmen-te avanzato, a titolo di trattamento accessorio, nel-le percentuali stabilite dal legislatore nel c. 5 del ci-tato art. 16.

Con riferimento alla individuazione delle econo-mie in argomento, questa Sezione ne ribadisce il ca-rattere peculiare (il legislatore le presenta come “eco-nomie aggiuntive”, conseguite cioè attraverso una ul-teriore razionalizzazione della spesa di personale, os-sia risparmi di spesa “ulteriori” rispetto a quelli im-posti dal patto di stabilità e dalla normativa vigente in materia) e specifico, nel senso che la norma prevede espressamente che devono essere debitamente certifi-cate dai competenti organi di controllo, per ciascuna delle singole voci di spesa previste dai piani di razio-nalizzazione, previa verifica del raggiungimento de-gli obiettivi assegnati ai dipendenti coinvolti e al net-to di eventuali oneri indiretti a carico dell’ente.

La Sezione fa inoltre presente che, sulla questio-ne dell’utilizzo dei risparmi di cui all’art. 16 d.l. n. 98/2011, in relazione alla loro destinazione ai fini del trattamento accessorio dei dipendenti e del rispet-to dei relativi limiti stabiliti dal legislatore, si è già espressa in funzione nomofilattica, ai sensi dell’art. 6, c. 4, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213, la Sezione autonomie con delib. n. 2/2013.

In quella sede, la Sezione delle autonomie ha ri-badito il carattere strutturale del limite stabilito dal legislatore in ordine alle risorse da destinare al tratta-mento economico accessorio del personale degli en-

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ti locali di cui all’art. 9, c. 2-bis, d.l. n. 78/2010. Si tratterebbe di un vincolo “diretto a stabilire il limi-te massimo delle risorse che possono affluire ai fon-di unici per un uso indistinto e generalizzato”, trat-tandosi di una norma di stretta interpretazione – co-me riconosciuto anche dalle Sezioni riunite in sede di controllo, con delib. n. 51/2011 – posto che la ra-tio di questa regola generale sarebbe proprio quella di “porre un limite alla crescita dei fondi della con-trattazione destinati alla generalità dei dipendenti dell’ente pubblico”.

Pertanto, sulla base dei principi compendiati dal-la Sezione delle autonomie nella sopra citata delibe-razione, l’unica deroga compatibile con la ratio del divieto in argomento, in merito alla possibilità di esercitare il potere discrezionale di destinazione del-le economie risultanti dai processi di attuazione dei piani triennali di razionalizzazione della spesa, atter-rebbe alla quota di risorse (corrispondente all’impor-to massimo del 25 per cento delle economie effetti-vamente realizzate) che è stata resa disponibile “per la remunerazione delle prestazioni suppletive del personale in servizio, direttamente e proficuamente coinvolto nelle specifiche iniziative individuate dai suddetti piani di ristrutturazione dei servizi e di ra-zionalizzazione dei processi decisionali e operativi finalizzati ad un accrescimento della produttività e dell’efficienza”.

Di conseguenza, anche nell’ipotesi di destinazio-ne di una eventuale quota delle suddette economie aggiuntive (residua rispetto alla destinazione priori-taria sopra evidenziata) a favore del trattamento ac-cessorio dei dipendenti, si dovrà tener comunque conto del carattere cogente del principio di generale riduzione della spesa del personale, anche in relazio-ne ai limiti posti dal legislatore in materia di tratta-mento accessorio dall’art. 9, c. 2-bis, d.l. n. 78/2010, ribadito dalla Sezione autonomie e dell’orientamento interpretativo, espresso nella medesima sede, in ba-se al quale “la possibilità concreta di integrare le ri-sorse finanziarie variabili destinate alla contrattazio-ne decentrata integrativa, in deroga al tetto di spesa previsto dal c. 2-bis, è subordinata al conseguimento di effettive economie di spesa risultanti dai processi di attuazione dei piani di razionalizzazione e riqua-lificazione della spesa di cui ai cc. 4 e 5 dell’art. 16 ... quale effetto di specifiche iniziative volte al perse-guimento di puntuali obiettivi incremento della pro-duttività individuale del personale interno all’ammi-nistrazione da realizzare mediante il diretto coinvol-gimento delle unità lavorative in mansioni suppleti-ve rispetto agli ordinari carichi di lavoro”.

Resta chiaro che nella distribuzione dei risparmi conseguiti in questo modo, ai fini della compensa-zione di cui al c. 2 dell’art. 4 d.l. n. 16/2014, oltre alla priorità della loro destinazione si dovranno co-munque rispettare tutte le ulteriori condizioni e pre-supposti previsti dalla disposizioni in argomento; ci si riferisce al rispetto del patto di stabilità interno, al-la copertura della quota annua stabilita ed all’espli-cito requisito del numero massimo di annualità pre-viste (ai fini del recupero) che non deve essere supe-riore a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vicoli.

P.q.m., la Sezione regionale di controllo per il Ve-neto rende il parere nei termini sopra indicati.

374 – Sezione controllo Regione Veneto; delibera-zione 7 agosto 2015; Pres. Rössler, Rel. Pizzico-ni; Provincia di Padova.

Impiegato regionale e degli enti locali – Comune – Servizio pubblico gestito da un’azienda spe-ciale – Reinternalizzazione da parte dell’ente locale – Personale dell’azienda speciale – In-quadramento nei ruoli dell’ente – Condizioni.

In caso di reinternalizzazione di un servizio pub-blico già affidato all’azienda speciale di un en-te locale, il personale da questo a suo tempo cedu-to all’azienda può ben essere reinquadrato nei ruo-li dell’ente, fermo restando il rispetto delle norme in materia di contenimento della spesa per il persona-le, con riguardo sia all’obbligo della pregressa ridu-zione di tale spesa (ex art. 1, c. 557, l. n. 296/2006), sia alla sua incidenza sulla spesa corrente in misu-ra non superiore al 50 per cento (art. 76, c. 7, d.l. n. 112/2008).

Diritto – (Omissis) 4. Reinternalizzazione del personale dell’Azienda provinciale turismo Padova Terme Euganee ed incarichi di collaborazione auto-noma.

Dalla tabella 6.1 del questionario si rileva che l’amministrazione provinciale di Padova, nel corso del 2013, ha provveduto a reinternalizzare nei ruo-li del personale provinciale dei lavoratori in forza all’Azienda provinciale turismo Padova Terme Eu-ganee.

Su apposita richiesta istruttoria finalizzata a co-noscere i particolari di detta vicenda con ricorso ad apposita relazione e trasmissione di eventuali atti de-liberativi in merito, l’amministrazione rispondeva con dettagliata documentazione. (Omissis)

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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L’amministrazione, inoltre, trasmetteva anche la deliberazione del consiglio provinciale n. 67 del 6 dicembre 2012, e le deliberazioni della giunta n. 270 del 14 dicembre 2012 e n. 143 del 18 settembre 2013, riguardanti la vicenda considerata.

Sul punto, la Sezione, pur prendendo atto del-lo sforzo compiuto dall’amministrazione, in vigen-za dei rigidi vincoli di finanza pubblica in materia di spesa di personale e assunzionali, di salvaguardare i livelli occupazionali e, al contempo osservare i vin-coli di finanza pubblica, non può esimersi dal formu-lare una serie di considerazioni sotto riportate.

Preliminarmente, si rammenta che il modulo or-ganizzativo azienda speciale al quale possono ricor-rere le amministrazioni locali è previsto dall’art. 114 Tuel (nel testo vigente all’1 gennaio 2013, anno di riferimento della gestione oggetto della presente de-liberazione), che recita: “1. L’azienda speciale è en-te strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provin-ciale”. Detta modalità organizzatoria discende dal si-stema delle aziende municipalizzate tracciato dalla l. 29 marzo 1903, n. 103, relativa alla “assunzione di-retta dei pubblici servizi da parte dei comuni”. Nel corso di oltre un secolo di storia le originarie munici-palizzate, nate per gestire importanti servizi pubbli-ci quali la distribuzione del gas, gli acquedotti, il tra-sporto pubblico locale, ecc. sono state via via trasfor-mate in società di capitali mentre l’azienda specia-le, che già la l. 8 giugno 1990, n. 142 definiva quale “ente strumentale dell’ente locale dotato di persona-lità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di pro-prio statuto”, è stata esclusa da tale trasformazione imposta dalla spinta delle leggi del mercato e ha tro-vato un nuovo impulso in particolare nella gestione dei servizi alla persona raccogliendo, talvolta in tale ambito, le gestioni delle strutture ex Ipab.

La sintetica ricostruzione dell’evoluzione storica delle aziende speciali degli enti locali sopra richia-mata consente di fornire alcuni spunti di riflessione anche al fine di delinearne il relativo inquadramen-to giuridico.

Come noto, l’art. 1, c. 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce che “Per amministrazioni pubbli-che si intendono tutte le amministrazioni dello Sta-to, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed ammi-nistrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni univer-sitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Came-

re di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non econo-mici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pub-bliche amministrazioni (Aran) e le Agenzie di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300”.

Dall’enucleazione del comma in questione non si rileva la presenza dell’organismo azienda speciale, mentre la normativa è chiara nel definire pubbliche amministrazioni i consorzi e le associazioni di enti locali, nonché gli enti pubblici non economici locali.

Peraltro, è opportuno puntualizzare che la giuri-sprudenza, già dalla seconda metà degli anni Novan-ta, aveva chiarito che le aziende speciali vanno quali-ficate quali enti pubblici economici. Detto approdo è stato poi confermato dalla Corte di cassazione in va-rie sentenze tra le quali si ricordano la n. 15661 e n. 14101/2006; n. 18015/2002; n. 10968/2001. In par-ticolare nella decisione n. 15661 dell’11 luglio 2006, viene evidenziato che: “Non è l’oggetto dell’attivi-tà che determina il discrimine tra ente pubblico non economico, ente pubblico economico e azienda spe-ciale, ma la struttura giuridica e il modo in cui l’en-te esercita la propria attività”. L’approdo a cui giun-ge la Cassazione è stato poi confermato anche da pronunce consolidate del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, Sez. V, 7 febbraio 2012, n. 641 nel pronunciarsi sul ricorso avverso una deliberazio-ne di trasformazione di un’azienda speciale in so-cietà per azioni, ha affermato che: “L‘azienda spe-ciale, disciplinata dall’art. 114 d.lgs. n. 267/2000, è un ente strumentale dell’ente locale dotato di perso-nalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto. La giurisprudenza ha chiarito ulte-riormente che l’azienda speciale si ascrive nel no-vero degli enti pubblici economici. Ai fini dell’ap-plicazione della disciplina del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali in materia di rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbli-che, non rientrano nella nozione di amministrazione pubblica gli enti pubblici economici, non ricompresi nell’elencazione contenuta nell’art. 1, c. 2, del citato decreto (che si riferisce a “tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali)”.

Le conseguenze di tale qualificazione dell’azien-da speciale quale ente pubblico economico e non pubblica amministrazione, si ripercuotono anche sul-la natura del rapporto che si instaura tra la stessa ed i propri dipendenti.

Infatti, proprio per l’esclusione dal novero delle pubbliche amministrazioni delle aziende speciali, i

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lavoratori di dette aziende non hanno lo status di di-pendenti pubblici ed il loro rapporto di impiego è, di conseguenza, disciplinato interamente dalle norme di diritto comune e, in primo luogo, dalla l. 20 mag-gio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della li-bertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento (c.d. Statuto dei lavoratori)”.

Ne consegue che nei confronti di detti dipenden-ti non si applicano le disposizioni pubblicistiche che regolano il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui al citato del d.lgs. n. 165/2001 nonché tutte le disposizioni che discipli-nano aspetti particolari del rapporto di lavoro alle di-pendenze delle amministrazioni pubbliche.

Ulteriore effetto della sottrazione alla disciplina del pubblico impiego è la tipologia del c.c.n.l. ap-plicabile ai citati dipendenti: in pratica, salvo diver-si accordi all’atto dell’istituzione dell’azienda spe-ciale finalizzati all’applicazione del c.c.n.l. del com-parto regioni e autonomie locali, per i relativi dipen-denti trovano applicazione i c.c.n.l. del settore pro-duttivo di riferimento. La costituita azienda speciale di norma deve, infatti, individuare il contratto di la-voro del relativo comparto di contrattazione che nel-le esperienze diffuse a livello nazionale ha visto far riferimento: all’Uneba nel caso di aziende operanti nell’ambito sociale, socio-sanitario e dei servizi al-la persona; all’Aninsei, per lo svolgimento di servi-zi educativi; alle Aziende farmaceutiche speciali, per l’ambito farmaceutico; a Federculture in tema di ser-vizi pubblici culturali, turistici, dello sport e del tem-po libero, come nel caso, evidenziato dalla provincia nella citata relazione, dell’Azienda turismo Padova Terme Euganee. Giova poi evidenziare, peraltro, che l’art. 9 del c.c.n.q. 11 giugno 2007, laddove vengo-no individuati i destinatari dei c.c.n.l. del comparto regioni e autonomie locali, non contempla le aziende speciali nel novero dei soggetti destinatari della vi-genza contrattuale.

In sede di prima operatività dell’azienda specia-le, gli enti locali che l’hanno costituita hanno quasi sempre provveduto a dotarla di personale mediante trasferimento dei propri dipendenti all’istituito orga-nismo. Questo transito è stato caratterizzato dall’uti-lizzo di vari istituti giuridici ritenuti più o meno com-patibili da dottrina e giurisprudenza quali il coman-do, il distacco ed il trasferimento vero e proprio nella nuova realtà organizzativa, accompagnato quest’ulti-mo, talvolta, da appositi accordi sindacali di reinter-nalizzazione del personale pubblico ceduto nel caso di futura reinternalizzazione del servizio trasferito.

Tuttavia, per i motivi sopra ricordati, il trasferimen-to del dipendente dell’ente locale all’azienda specia-le determina la perdita da parte di questo, dello sta-tus di pubblico impiegato con la conseguenza del ve-nir meno della soggettività pubblicistica del rappor-to, applicandosi, di conseguenza, allo stesso rapporto di lavoro, come sopra evidenziato, il c.c.n.l. del com-parto di riferimento.

È il caso molto diffuso che ha riguardato ope-razioni di esternalizzazioni di servizi per il tramite di Aziende speciali avvenuto su tutta la penisola e che ha caratterizzato la stessa Azienda turismo Pa-dova Terme Euganee che, come ricorda la Provincia di Padova, fu istituita nel 2002 mediante cessione di personale provinciale a suo tempo trasferito nei ruo-li provinciali a seguito di delega regionale allo svol-gimento di funzioni in materia di turismo alle pro-vince, accompagnata dal passaggio di personale re-gionale.

Alla luce di quanto evidenziato si rileva che la vicenda dell’istituzione dell’Azienda turismo Pado-va Terme Euganee ed i successivi sviluppi che hanno portato nel corso del 2013 al suo scioglimento e alla reinternalizzazione del servizio nonché di parte del personale (quello che era stato ceduto dall’ente pro-vincia), può trovare una collocazione proprio nell’al-veo delle fattispecie sopra delineate.

Il personale dell’azienda in oggetto, infatti, co-me risulta dalla relazione presentata dall’ente, è tran-sitato alla stessa previa cessione da parte della Pro-vincia di Padova, ed allo stesso (11 unità) si sono poi aggiunte ulteriori unità assunte autonomamente dal-la stessa struttura aziendale. A detti lavoratori, risul-tava applicato il c.c.n.l. Federculture e i relativi rap-porti giuridici erano regolati dal diritto privato e non dal d.lgs n. 165/2001. Ne consegue che detti dipen-denti avevano perso lo status di pubblico dipendente e almeno da quello che risulta agi atti, non era stato stipulato, all’atto delle esternalizzazione del perso-nale provinciale presso l’azienda speciale, alcun ac-cordo di reinternalizzazione.

Peraltro, sulla tematica della sorte del personale degli organismi esterni in caso di reinternalizzazione del servizio si è, negli ultimi anni, formata una con-solidata presa di posizione della Corte dei conti, che la Provincia di Padova mostra di conoscere, in ordi-ne alla preoccupazione che mediante tale meccani-smo possano essere elusi i sempre più stringenti vin-coli di spesa del personale posti dal legislatore a tute-la del coordinamento della finanza pubblica.

Sono ben note, anche all’ente controllato le posi-zioni interpretative assunte da varie sezioni regiona-

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li in ordine alla possibilità o meno di reinternalizza-re dei servizi e del personale, esternalizzati median-te ricorso a formule organizzatorie, come le aziende speciali. (Omissis)

Peraltro, giova ricordare che le stesse Sezioni ri-unite della Corte dei conti, proprio in relazione all’e-sigenza di evitare che mediante moduli organizzati-vi ulteriori, quali società pubbliche o aziende specia-li, si cerchi di aggirare i vincoli di finanza pubblica hanno rilevato l’esigenza di addivenire nell’attuale contingenza, ad un più ampio sforzo di contenimen-to delle spese correnti del settore, diretto ad evitare il rischio di un ulteriore peggioramento dei saldi di finanza pubblica. Si tratta di un obiettivo cui sostan-zialmente rispondono anche i principi generali che ispirano il legislatore in materia di spese per il perso-nale degli enti locali che soggiacciono ai vincoli del patto di stabilità interno. Le disposizioni attualmente vigenti prevedono infatti, da un lato, l’obbligo di ri-durre annualmente la spesa per il personale (cc. 557, 557-bis e 557-ter dell’art. 1 della l. n. 296/2006 co-me successivamente più volte modificato) e, dall’al-tro, la necessità di rispettare un rapporto struttura-le tra spese del personale e spese correnti. La rigida applicazione di tali disposizioni pone seri limiti agli enti locali nella scelta organizzativa più idonea nella gestione dei servizi e delle attività connesse alle atti-vità istituzionali, atteso la possibilità di reinternaliz-zare un servizio precedentemente affidato all’ester-no, pur se più economica, efficiente ed efficace, è de-stinata comunque ad incidere sulla complessiva vo-ce di spesa per il personale se questa non può essere rapportata anche alla spesa sostenuta allo stesso tito-lo nell’altra forma organizzativa. Tale criticità, inol-tre, emerge proprio nell’ambito degli enti locali più virtuosi che, oltre a presentare parametri contabili ot-timali, hanno correttamente trasferito personale, ri-sorse e beni strumentali alla società affidataria, prov-vedendo nel contempo alla necessaria riduzione del-le spese per il personale e alla rideterminazione del-le piante organiche. A fronte di una dotazione orga-nica fortemente ridimensionata sotto il profilo nume-rico e finanziario, la necessità di rispettare i vincoli di finanza pubblica potrebbe, pertanto, condizionare la stessa gestione diretta del servizio pur essendo ta-le forma suscettibile di realizzare una minor spesa” (Sez. riun., n. 32/2012).

La riferita ultima preoccupazione delle Sezio-ni riunite circa l’esigenza che, all’atto della esterna-lizzazione, l’ente locale abbia provveduto a rideter-minare in riduzione la dotazione organica e il fondo delle risorse decentrate in maniera da tener presen-

te la cessione del personale all’istituendo organismo azienda speciale, appare nel caso in specie effettiva-mente superato, atteso che, dalle risultanze agli atti, tale operazione di dimagrimento della dotazione or-ganica e di riduzione del fondo è stata a suo tempo effettuata da parte della Provincia di Padova all’at-to dell’esternalizzazione del servizio e del persona-le. Come appare rispettato, all’atto della reinteraliz-zazione, il citato principio, valido per gli enti sogget-ti al patto di stabilità come la provincia, consisten-te nell’obbligo di ridurre annualmente la spesa per il personale (cc. 557, 557-bis e 557-ter dell’art. 1 del-la l. n. 296/2006) e il rapporto tra spesa del persona-le e corrente, atteso che l’ente, all’atto della reinter-nalizzazione, ha ammesso tale operazione solo per il personale di ruolo a suo tempo esternalizzato. Con ciò, osservando il principi in base ai quali: “l’ente lo-cale, in caso di reinternalizzazione di servizi prece-dentemente affidati a soggetti esterni, non possa de-rogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della spesa per il personale, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che ri-spondono a imprescindibili esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamen-to finanziario, connesse ad obiettivi nazionali” e “in caso di trasferimento all’ente locale di personale as-sunto direttamente dalla società affidataria di servi-zi, non possa derogarsi al principio costituzionale del pubblico concorso di cui è espressione anche l’art. 35 d.lgs. n. 165/2001” (Sez. riun., n. 4/2012).

La Sezione, altresì, evidenzia che la reinterna-lizzazione del personale trova un suo fondamen-to giuridico nelle norme di cui all’art. 31 d.lgs. n. 165/2001 in materia di passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività che prevede an-che per le amministrazioni pubbliche l’applicazione dell’art. 2112 c.c. che disciplina, appunto, il mante-nimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferi-mento d’azienda.

Tuttavia, sull’intera vicenda permane un’area di incertezza in merito agli effetti, in termini di ricadu-te della gestione dell’azienda speciale, della reinter-nalizzazione posta in essere dalla Provincia di Pa-dova, partendo da una riflessione a suo tempo for-mulata anche dalle stesse Sezioni riunite della Corte dei conti. Infatti, nella citata delib. n. 26/2012 la Se-zione centrale, in merito alle ricadute dell’operazio-ne di reinternalizzazione che era oggetto della pro-nuncia, aveva evidenziato, alla luce del complesso degli adempimenti “volti a razionalizzare il variega-to portafoglio societario degli enti locali e contene-re l’evoluzione delle spese correnti effettuate da sog-

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getti, di fatto, attualmente esclusi dal patto di stabi-lità interno”, che detta operazione (di quantificazio-ne della spesa di personale) “effettuata sulla base di una ancora incerta metodologia di consolidamento delle voci di spesa degli enti locali e delle società partecipate, è suscettibile, da un lato, di “cristalliz-zare” un ammontare di spesa conseguente a gestio-ni non improntate a principi di economicità gestio-nale e dall’altro, attesa la non esaustiva classificazio-ne di tutte le società partecipate dagli enti locali nel conto economico consolidato della pubblica ammi-nistrazione (come individuato dall’Istat ai sensi del c. 5 dell’art. 1 della l. n. 311/2004), rischia di provo-care impatti non previsti in tema di saldi di finanza pubblica” (Sez. riun. n. 26/2012 cit.).

La riflessione di questa Sezione sulla reinterna-lizzazione che ha convolto il personale dell’Azien-da turismo Padova Terme Euganee si pone proprio nei termini indicati dalla Sezioni riunite laddove det-ta operazione è stata effettuata in una situazione che vedeva l’azienda esposta nella gestione contabile con una non indifferente perdita di esercizio come si evidenzierà più avanti trattando degli organismi par-tecipati. Reinternalizzare il servizio e con esso par-te del personale dell’organismo esterno in un conte-sto che evidenziava l’incapacità di detto organismo di garantire con la propria gestione l’equilibro di bi-lancio aziendale (almeno nell’esercizio interessato dall’operazione) significa, proprio nell’ottica ram-mentata dalle Sezioni riunite, reinternalizzare nel bi-lancio provinciale una quota parte (la spesa – rectius – il costo del personale riassorbito) della incapacità di garantire una sana gestione “aziendale”.

Come affermano le Sezioni riunite, ciò si tradu-ce nel “cristallizzare” un ammontare di spesa conse-guente a gestioni non improntate a principi di eco-nomicità gestionale” all’interno del bilancio dell’en-te locale che reinternalizza servizi e personale. Pe-raltro, sul punto si rammenta, seppur la norma che contempla il principio sia successiva all’operazione posta in essere dalla Provincia di Padova, che la l. 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) all’art. 1, c. 553, primo periodo, ha imposto l’osservanza del principio della “sana gestione” non solo societaria ma da estendere a tutte le gestioni anche quelle delle aziende speciali, ove ha affermato che: “A decorrere dall’esercizio 2014 i soggetti di cui al c. 550 (aziende speciali, istituzioni e società partecipate dalle pubbli-che amministrazioni locali) a partecipazione di mag-gioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche ammi-nistrazioni locali concorrono alla realizzazione de-gli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sa-

na gestione dei servizi secondo criteri di economici-tà e di efficienza”.

La situazione di sofferenza gestionale che può riguardare la gestione societaria o aziendale, sopra evidenziata, trova effettivo riscontro, per quel che interessa l’Azienda turismo Padova Terme Euganee l’azienda, nei dati del relativo bilancio 2013, come risulta agli atti istruttori, laddove si evidenziava, pri-ma dello scioglimento della stessa, una perdita d’e-sercizio pari a euro 425.922.

Tali circostanze, proprio in considerazione del-la possibilità di una cristallizzazione delle disfunzio-ni gestionali sopra ipotizzata, inducono la Sezione a ritenere che seppur l’operazione effettuata dalla Pro-vincia di Padova di reinternalizzazione dei servizi e del personale dell’azienda, appare formalmente in li-nea con i principi emergenti dalle consolidate posi-zione interpretativa delle sezioni regionali e delle Se-zioni riunite della Corte dei conti, di fatto potrebbe essersi concretizzata la ventilata ipotesi di “cristal-lizzazione”, almeno per la quota di “costi” del perso-nale riassorbito, della diseconomia gestionale che ha caratterizzato l’Azienda turismo Padova Terme Eu-ganee nell’esercizio 2013. Ciò, indipendentemente, dal fatto che, a detta della Provincia, la gestione di-retta del servizio consentirebbe di conseguire econo-mie di spesa.

In relazione, invece, agli incarichi di collabora-zione autonoma la Sezione rileva un elevato importo delle spese sostenute a seguito della loro attribuzio-ne (circa euro 1.584.739,77).

Sul punto, l’ente, nella relazione istruttoria, evidenzia che “sono relativi principalmente (euro 1.175.060,21) agli operatori della disabilità sensoria-le – incarichi di lavoro autonomo professionale – che svolgono il servizio di integrazione dei minorati sen-soriali nelle scuole ai sensi dell’art. 131 della l. reg. n. 11/2001 ed altri incarichi di natura professionale e/o occasionale in materia ambientale, urbanistica e correlati a progetti comunitari”.

La Sezione, pur prendendo atto dei chiarimenti forniti, a fini collaborativi, non può fare a meno di ri-levare che l’evoluzione normativa recente, nel pre-vedere alcune rilevanti disposizioni dirette al conte-nimento e alla razionalizzazione delle spese di fun-zionamento delle pubbliche amministrazioni, espri-me la preoccupazione del legislatore di un aumen-to ingiustificato delle spese correnti a fini totalmente improduttivi e per scopi che, almeno potenzialmen-te e con le cautele che derivano da una valutazione da farsi caso per caso come nella presente fattispecie, non riverberano ex se in servizi resi alla cittadinanza.

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N. 3-4/2015 PARTE I – ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CONSULTIVA

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Più in generale, oltre ai limiti anzidetti, giova ri-cordare che (cfr. ex multis, Corte conti, Sez. I centr. app., 27 dicembre 2011, n. 577), i presupposti di le-gittimità per il conferimento dell’incarico o la stipu-la del contratto di collaborazione sono così schema-tizzabili:

1. l’oggetto deve essere corrispondente alle com-petenze attribuite dall’ordinamento all’amministra-zione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; si tratta, cioè, di perseguire obiettivi e progetti specifici contenutisticamente e temporal-mente predeterminati e non determinati in modo del tutto generico ab origine;

2. occorre il preventivo accertamento, da parte dell’amministrazione conferente, dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno; dunque, la previa verifica organiz-zativa, puntuale e documentata, della quale occorre dare conto nella lettera di incarico o nel contratto di collaborazione;

3. la prestazione deve essere di natura tempora-nea, con conseguente necessaria predeterminazione del termine di scadenza, per cui non sono consentiti incarichi generici rinnovabili a tempo indefinito; per questo, si richiede che vengano preventivamente de-finiti gli elementi essenziali del contratto, in modo da delineare ex ante il perimetro dei principali diritti e obblighi dei contraenti;

4. infine, la prestazione deve essere “altamente qualificata”; dunque, la qualità della professionalità coinvolta deve chiaramente risultare da un apposito procedimento di verifica di evidenza pubblica, ido-neo a dimostrare erga omnes la specifica esperienza del soggetto incaricato nell’attività dedotta in con-tratto.

Poiché a tutte le pubbliche amministrazioni si ap-plicano, in materia di incarichi a soggetti esterni, i li-miti previsti dall’art. 7, c. 6, d.lgs. n. 165/2001, una volta individuata la necessità di affidare incarichi all’esterno, la singola amministrazione, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., deve accertare che l’incarico ven-ga assegnato ad esperti di particolare e comprovata esperienza, abbia una durata limitata nel tempo, un

oggetto ben determinato e deve predeterminare l’en-tità del compenso e l’onere di spesa.

Ancora, è stata affermata chiaramente l’impossi-bilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinarie, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati in violazione di tali presupposti e conseguente responsabilità erariale per gli indebiti costi gravanti sull’ente. Inoltre, è da osservare che la notoria delicatezza, in relazione alla tutela dell’Era-rio, della materia degli incarichi esterni non può che comportare una significativa attenuazione del prin-cipio di affidamento nell’operato degli uffici; con la conseguenza che ogni amministratore è da ritener-si tenuto, in presenza della “spia rivelatrice” costitu-ita da una qualsivoglia forma di conferimento di at-tività al di fuori dell’ente interessato, a vagliare il re-lativo provvedimento con adeguata attenzione (an-che se non concernente il proprio settore di compe-tenza), ben dovendo sapere che (come testimoniato dai ripetuti interventi del legislatore in materia) il ri-corso agli incarichi esterni rischia non raramente di determinare uno sperpero di pubbliche risorse (Cor-te conti, Sez. giur. reg Trentino-Alto Adige, Bolzano, 20 dicembre 2011, n. 32). Ciò in quanto, per conso-lidata giurisprudenza (cfr. Corte conti, Sez. giur. reg. Sicilia, 9 dicembre 2011, n. 4037), la violazione del-le specifiche e consolidate regole modali di conferi-mento dell’incarico esterno rende automaticamente dannosa per l’erario la relativa consulenza. Il rispet-to di tali limitazioni è presupposto di legittimità della spesa sostenuta per la remunerazione del consulen-te esterno: le lacune procedimentali quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rile-vanza circoscritta alla sfera di legittimità del provve-dimento, ma si riverberano anche sugli effetti econo-mici prodotti da questo, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.

Alla luce di ciò, si raccomanda di operare – anche con provvedimenti di variazione di bilancio – un’au-tentica razionalizzazione dei costi inerenti ai servi-zi e alle spese, che tenga conto delle esigenze so-pra indicate.

* * *

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

Sezioni riunite in sede giurisdizionale

8 – Sezioni riunite in sede giurisdizionale; sentenza 19 marzo 2015; Pres. e Est. Martucci di Scarfizzi, P.M. Auriemma.

Decide su questione di massima sollevata dal procu-ratore generale della Corte dei conti.

Processo contabile – Danno all’immagine della pubblica amministrazione – Azione di respon-sabilità – Presupposti.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1; l. 27 marzo 2001 n. 97, norme sul rapporto tra pro-cedimento penale e procedimento disciplinare ed ef-fetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, art. 7; d.l. 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009 n. 102, provvedimenti anticrisi, nonché proroga dei termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali, art. 17, c. 30-ter; d.l. 3 ago-sto 2009 n. 103, convertito con modificazioni dalla l. 3 ottobre 2009 n. 141, disposizioni correttive al de-creto legge anticrisi n. 78/2009; l. 6 novembre 2012 n. 190, disposizioni per la prevenzione e la repres-sione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, art. 1, c. 62.

La norma di legge (art. 17, c 30-ter, d.l. n. 78/2009) limitativa dei casi e dei modi di esercizio dell’azione del pubblico ministero contabile per il risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione va intesa nel senso che le procure della Corte dei conti possono esercitare tale azione solo per i delitti contro la pubblica amministrazione, previsti dal capo I, titolo II, libro II c.p. (1)

Considerato in diritto – Devono essere prelimi-narmente vagliati i profili riguardanti l’ammissibilità e la rilevanza delle questioni di massima proposte.

Non v’è dubbio che le questioni in rassegna ri-vestono quel carattere di particolare importanza ri-

(1) In senso conforme, v. Sez. III centr. app., 4 giugno 2013, n. 364, in questa Rivista, 2013, fasc. 5-6, 393, con nota di richiami, oltre che alla giurisprudenza contabile, alle pro-nunce della Corte costituzionale (ord. n. 286/2011 e sent. n. 355/2010), secondo le quali l’azione di risarcimento del dan-no all’immagine della pubblica amministrazione può essere esercitata solo in seguito a sentenza penale passata in giudica-to di condanna per uno dei reati contro la pubblica ammini-strazione previsti nell’apposito capo del codice penale.

chiesto dalla legge in quanto, sul punto controver-so, è intervenuto il giudice delle leggi e vi è stata una produzione normativa sopravvenuta in materia di danno all’immagine, segnatamente con la l. n. 190/2012, così ponendosi problemi ermeneutici di non poco momento; ciò, in disparte il fatto che sussi-ste contrasto tra le interpretazioni adottate dalle Se-zioni I e III centrali d’appello (cfr. Sez. I centr. app. n. 1039/2013, n. 379 e n. 522/2014, e Sez. III centr. app., n. 426/2012, n. 658 e n. 716/2013), oltre al con-trasto in “senso orizzontale” (di per sé non condu-cente ai fini di una remissione ove si tratti dell’unico contrasto su di un punto di diritto) tra numerose se-zioni giurisdizionali regionali.

Gli esposti contrasti giurisprudenziali, dunque, oltre a rilevare ex se (almeno quello tra le sezioni centrali d’appello) testimoniano altresì ulteriormen-te quella particolare importanza della questione che già si configura autonomamente per il su accennato intervento della Consulta (su cui si tornerà), per lo ius superveniens nella materia de qua e per lo stato di diffusa incertezza interpretativa che si percepisce nella giurisprudenza contabile nel suo insieme.

Anche la rilevanza della questione, che attiene al rapporto di pregiudizialità tra il principio di diritto enunciabile dalle Sezioni riunite e la risoluzione del merito dei giudizi sottostanti, non appare dubbia in quanto sia la sentenza della Sezione regionale per la Toscana n. 173/2013, poi appellata dalla parte priva-ta e pendente presso la Sezione I centrale d’appello, sia la sentenza della Sezione regionale per la Sicilia n. 654/2014, poi appellata dal procuratore regionale e pendente presso la Sezione d’appello per la Sicilia, riguardavano (nel primo caso, con una condanna e, nel secondo caso, con una assoluzione, sempre per danno all’immagine della pubblica amministrazione) reati comuni (truffa e falso nel primo caso; millan-tato credito, truffa e minaccia, nel secondo caso) e non reati contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale.

Pertanto, dalla enunciazione del punto di diritto sulle questioni indicate in epigrafe, dipenderà anche l’esito dei giudizi di merito sottostanti a tanto vinco-lati in virtù del principio nomofilattico.

Accertata l’esistenza delle preliminari condizioni di ammissibilità del deferimento in rassegna, repu-tano le Sezioni riunite, prima di affrontare il cuore delle proposte questioni, di dover precisare il senso e la portata dei quesiti, il primo dei quali – del tutto propedeutico e condizionante il secondo – investe il riferimento della norma di cui al menzionato art. 17,

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c. 30-ter (delitti di cui al capo I del titolo II del libro secondo c.p.), anche ad altri reati comuni.

Da una lettura complessiva dell’impianto argo-mentativo sotteso alla formulazione conclusiva del quesito, può correttamente ritenersi che per reati co-muni debbano intendersi solo quelli che non siano già ricompresi nel capo I del titolo II del libro se-condo del codice penale, che pur ne contiene alcuni.

Secondo la comune accezione, per reati comuni si intendono quelli commissibili dal quisque de populo, essendo del tutto irrilevante la eventuale specifica qua-lifica dell’autore del reato stesso che invece dà corpo alla categoria dei reati propri (che, a loro volta, soglio-no distinguersi in reati propri esclusivi, semiesclusivi e non esclusivi; ma tale tripartizione dottrinaria non ha alcun interesse ai fini che ne occupano).

Orbene, i reati contemplati dal capo I del titolo II del libro secondo, comprendono gli articoli del co-dice penale che vanno dal 314 al 335-bis, così come integrati dalla legislazione via via intervenuta.

Si noterà che gli artt. 316-ter, 334 c.p. e 335 c.p., contenendo la formula “chiunque”, non possono considerarsi reati propri, bensì sono annoverabili tra quelli comuni, ma risultano peraltro inseriti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale; con la conseguenza che anche da tali specifici reati può dunque discendere l’eventuale risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione; ovviamente, sempre che i reati stessi siano compiuti da pubblici agenti, poiché, diversamente, non si radi-cherebbe la giurisdizione contabile.

Pertanto, in tal senso e con le precisazioni di cui innanzi, va esaminato il primo quesito la cui soluzio-ne è propedeutica a quella – eventuale – sul secondo.

Queste Sezioni riunite sono chiamate a svolgere una funzione nomofilattica che, quindi, per intuibili motivi sistematici, non può prescindere da un quadro di riferimento generale costituito non solo dal tessuto ordinamentale, e dai principi che vi sono sottesi, ma anche dagli enunciati di carattere ermeneutico prove-nienti dal giudice delle leggi e dalla Suprema corte, in quanto l’eventuale scostamento da tali parametri dovrebbe radicarsi in profondi argomenti interpreta-tivi o nuove prospettazioni prima non vagliate e, co-munque, nel dovuto rispetto delle attribuzioni e delle scelte riservate al legislatore dalla Carta costituzio-nale; in mancanza di ché, si rischierebbe di indulgere a operazioni ermeneutiche espansive che appaiono eventualmente e eccezionalmente praticabili solo per colmare vistose lacune normative ritenute forte-mente pregiudizievoli sotto il profilo ordinamentale, sostanziale e processuale.

Ciò premesso sotto un profilo metodologico, non sembra superfluo accennare alla circostanza che la responsabilità amministrativo-contabile, tradizio-nalmente ritenuta di natura risarcitoria, anche se con proprie indubbie peculiarità, ha subìto graduali ma costanti ripensamenti in senso sanzionatorio, sia a livello normativo che sotto il profilo ermeneutico. Basti pensare alla recente introduzione di forme di responsabilità sanzionatorie per gli amministratori degli enti locali (sanzioni sia di natura personale che pecuniaria) e ad alcune sentenze del giudice delle leggi (cfr. Corte cost., n. 473 e n. 371/1998) e del-le stesse Sezioni riunite (cfr. Sez. riun., n. 12/2007) ove è stato ritenuto che l’indole e il paradigma stesso della responsabilità amministrativa supera la mera forma risarcitoria.

Tanto si è voluto richiamare a solo a titolo esem-plificativo, senza che sia necessario soffermarsi a passare in rassegna la cospicua giurisprudenza di merito e i vasti contributi dottrinali che hanno co-minciato a manifestarsi dopo la nuova conforma-zione della responsabilità amministrativa di cui alle note riforme del 1994-1996 (personalità della re-sponsabilità, intrasmissibilità della stessa agli eredi, salve, ovviamente, le eccezioni previste dalla stessa normativa, per non dire degli aspetti processuali ove campeggia la figura del pubblico ministero contabile quale titolare esclusivo della stessa azione a tutela delle finanze pubbliche).

È apparso opportuno accennare a questa evolu-zione concettuale solo per cogliere alcuni tratti della responsabilità per danno pubblico che, pur rimanen-do di chiara impronta civilistica, partecipa di alcuni caratteri tipici della responsabilità penale che è do-minata da principi anche di matrice costituzionale. Ci si riferisce al principio di legalità ed ai suoi corol-lari: il primo, che trova la sua massima espressione nell’art. 25 Cost. e nell’art. 7 della Carta europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; i secondi (co-rollari), che ai fini che ne occupano hanno una certa rilevanza ed attengono ai principi di tassatività, de-terminatezza (o cosiddetta “precisione”) e al divieto di analogia.

Non occorre qui disquisire sulla differenza tra interpretazione analogica ed estensiva, né sulla cir-costanza – di ovvia constatazione – che i suddetti principi si riferiscono all’ordinamento penale ed, in modo particolare, ai reati: fattispecie del tutto distin-te da quelle di responsabilità amministrativa che, lo si ricorda, ha proprie e del tutto particolari conno-tazioni che giustificano l’affidamento della relativa cognitio al giudice speciale Corte dei conti.

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Si vuole solo ricordare la natura anche personale e sanzionatoria – e quindi afflittiva – della respon-sabilità amministrativa, e che la fattispecie di danno all’immagine della pubblica amministrazione qui in rassegna è posta in stretta correlazione con l’accer-tamento di reati accertati con sentenza irrevocabile, con ciò anche derogandosi al generale principio di separatezza tra giudizio penale e giudizio contabile.

In virtù di tali considerazioni, appare conforme ai principi generali dell’ordinamento che l’ermeneu-si delle norme in rassegna avvenga secondo criteri di stretta interpretazione ai sensi dell’art. 14 delle pre-leggi (“significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e la “intenzione del legislatore”).

Sarebbe dunque fuorviante adombrare, sia pure dialetticamente, una “contrapposizione” tra due tesi: l’una, cosiddetta “estensiva” ai reati comuni e, l’al-tra, “restrittiva”, limitata ai reati previsti dal capo I, del titolo II del libro secondo del codice penale.

Si tratta, invero, solo di valutare attentamente il dato normativo secondo un canone di stretta inter-pretazione, anche mediante una lettura anche costi-tuzionalmente orientata.

Questa impostazione è stata anche quella seguita dalla Corte costituzionale e, con qualche eccezione, dalla Suprema corte.

Il giudice delle leggi, con la nota sent. n. 355/2010, cui sono poi seguite numerose ordinanze di manifesta inammissibilità di analoghe questioni proposte da varie sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (cfr. ordinanze Corte cost., n. 219, n. 220, n. 221 e n. 286/2011), ha dichiarato in parte inam-missibili e in parte non fondate le variegate questio-ni di costituzionalità proposte da numerose sezioni giurisdizionali della Corte dei conti afferenti la pre-sunta illegittimità costituzionale dell’art. 17, c. 30-ter, periodi secondo, terzo e quarto, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. n. 102/2009, come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. e), n. 1, d.l. n. 103/2009, convertito con modificazioni dalla l. n. 141/2009.

Si tratta, in sintesi, della stessa questione testé sottoposta alle Sezioni riunite e va notato che le nu-merose sezioni giurisdizionali territoriali remittenti hanno dubitato della vulnerazione di molti parametri costituzionali che sono stati poi scrutinati dal giudice delle leggi (artt. 2, 3, 24, 25, 54, 77, 81, 97, 103 e 113 Cost.); di guisa che può dirsi che la questione stessa sia stata riguardata dalla Corte costituzionale sotto ogni aspetto: e ciò rende significativamente rilevante la pronuncia resa per il percorso motivazionale che ne costituisce il tessuto.

Tanto si è voluto sottolineare poiché non è ap-parso particolarmente conducente disquisire sulla natura della suddetta pronuncia (di rigetto, interpre-tativa di rigetto, ecc.) per potersene poi inferire la portata, vincolante o meno, per i giudici remittenti e, indirettamente, per queste Sezioni riunite chiamate a formulare il principio di diritto.

Può anche teoricamente convenirsi sulla non vin-colatività strictu sensu della sentenza in rassegna, ma ciò che il collegio ritiene rilevante è la portata dei principi ivi espressi alla luce dell’ampiezza dello scrutinio dei parametri costituzionali la cui violazio-ne era stata invocata da numerose sezioni giurisdi-zionali della Corte dei conti.

Giova, quindi, in sintesi, riportare i principali passaggi motivazionali della citata sent. n. 355/2010.

Innanzitutto, è stato escluso che per il danno all’immagine ad un ente pubblico possa esservi un giudice diverso dalla Corte dei conti adita in sede di giudizio di responsabilità; ma proprio per tale moti-vo è chiaro che la ratio della norma in questione è stata quella “di circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza di le-sioni all’immagine dell’amministrazione”.

Altro punto saliente affrontato dalla Corte costi-tuzionale è quello del bene giuridico che, con la nor-mativa in questione, il legislatore ha inteso tutelare.

Ebbene, tale tema è stato affrontato sotto vari profili, sia in relazione alla discrezionalità del legi-slatore, per il quale è stata esclusa ogni manifesta irragionevolezza, sia con riferimento alla peculiarità del soggetto tutelato pubblica amministrazione – enti pubblici (che non è equiparabile alla persona umana i cui diritti fondamentali hanno diversa collocazione nella Carta costituzionale) a cui fanno capo il presti-gio, la credibilità e il corretto funzionamento degli uffici pubblici.

Sono, dunque, proprio i principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione – beni direttamente tutelati nell’art. 97 Cost. – e i suoi corollari consistenti nei canoni di efficienza ed efficacia che costituiscono l’oggetto della protezione approntata dalla normativa in rassegna.

Si tratta di affermazioni rilevanti per la risoluzio-ne della questione oggetto di quesito poiché il pre-cipitato complessivo che ne discende afferisce alla non arbitrarietà della scelta operata dal legislatore nel circoscrivere i reati da cui può derivare il vulnus all’immagine della pubblica amministrazione in re-lazione alla percezione esterna che si ha del modello di azione pubblica ispirato ai principi e ai canoni che

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trovano la loro tutela ultima nell’art. 97 Cost., con la conseguenza che, fuori da tale ambito, ogni esten-sione dei casi previsti dalla normativa in rassegna appare arbitraria.

Anche la Suprema corte ha enunciato importanti e conducenti principi, sia pure sotto diversi profili.

Innanzitutto, va rilevato come più volte la Corte di cassazione a Sezioni unite civili abbia sottolineato il fatto che il legislatore del 2009 ha inteso circoscri-vere, sul piano sostanziale e processuale, i casi in cui può azionarsi il danno all’immagine di una pubbli-ca amministrazione, escludendo ogni ampliamento del relativo ambito (tra le più recenti, cfr. sent. n. 14831/2011; n. 5756, n. 9188 e n. 20728/2012).

La Suprema corte, in sede penale, è pervenuta ad arresti di varia natura.

Le Sezioni unite penali della Suprema corte si sono specificamente occupate dei rapporti tra l’art. 316-ter (norma inserita tra quelle che possono pro-durre danno all’immagine della pubblica ammini-strazione) e i reati di truffa e falso secondo principi di specialità o sussidiarietà (cfr. sent. n. 16568/2007 e n. 7537/2011).

Vi è innanzitutto da osservare che, in un caso, si tratta di statuizione antecedente la normativa del 2009 in questione e che anche nel secondo caso, non viene affrontato specificamente il tema oggi in di-scussione.

Si è voluto accennare a quest’ultima giurispru-denza per dirimere possibili dubbi sulla portata della iniziale formulazione dell’art. 316-ter: “salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis” o della formulazione dell’art. 323 c.p. “salvo che il fat-to non costituisca un più grave reato”, poiché potreb-be ritenersi che, sia pur indirettamente, queste ultime norme possano far rientrare reati diversi (comuni) nel novero di quelli da cui può discendere un danno all’immagine della pubblica amministrazione.

Tale soluzione però non appare innanzitutto compatibile con l’impianto normativo che dispone la “circoscrizione” di una tipologia di reati voluta dal legislatore; inoltre, per potersi parlare di assorbi-mento, specialità o sussidiarietà, occorre, dal punto di vista fattuale, che la fattispecie soggetta ad accer-tamento comprenda sia i fatti previsti dall’art. 640-bis c.p., o altri più gravi, rispetto agli artt. 316-ter e 323 c.p., che quelli previsti dall’art. 316-ter, dal-lo stesso art. 323 c.p. che, appunto, rinviano all’art. 640-bis c.p. o ad altri più gravi reati, onde potersi poi compiere valutazioni di assorbimento, specialità o sussidiarietà. Va, pertanto, considerato che, ai fini della circoscrizione dei reati in questione, l’ottica va

centrata più sulle fattispecie incriminatrici legali che non sui dati fattuali.

Pertanto, le considerazioni compiute dalla Supre-ma corte penale in termini di assorbimento, specia-lità o sussidiarietà, pur pregevoli in termini generali penalistici, non appaiono conducenti alla risoluzione del quesito in rassegna per i motivi innanzi espressi, in disparte profili di possibile irrilevanza per i giudizi sottostanti riferentesi agli artt. 346, c. 2, 479, 612 e 640 c.p.

La Cassazione penale, non a Sezioni unite (Sezioni II e III) si è anche occupata del problema della circo-scrivibilità del danno d’immagine ai soli reati previsti dall’art. 7 l. n. 97/2001 o anche a reati comuni, non-ché delle questioni attinenti ai rapporti con la nuova formulazione dell’art. 1 l. n. 20/1994 come integrato dalla l. n. 190/2012 e, infine, della cosiddetta tesi del “doppio binario” di cui meglio si dirà in proseguo.

Ebbene, la Cassazione, Sez. III penale (n. 5481/2014), ha affermato potersi ritenere sussistente il danno all’immagine della pubblica amministrazio-ne anche in presenza di reati comuni, con ciò aderen-do alla tesi “estensiva”, ma aggiunge, subito dopo, che non era questo il caso che ne occupava in quella occasione.

Infatti, dal contesto della pronuncia si evince che i reati erano stati commessi da privati e non da pub-blici dipendenti.

Inoltre, nella stessa sentenza si afferma che il “danno d’immagine, sia esso perseguito dinanzi alla Corte dei conti, o davanti ad altre autorità giudizia-rie, va considerato come danno patrimoniale da per-dita d’immagine di tipo contrattuale avente natura di danno conseguenza”.

Alla luce di quanto sopra esposto il collegio ritie-ne che i passaggi motivazionali della suddetta sen-tenza non possano costituire utile principio ispiratore per la risoluzione del quesito in rassegna, sia perché attengono a fattispecie criminose poste in essere da soggetti privati, sia perché la definizione del danno d’immagine della pubblica amministrazione come “patrimoniale” non è affatto pacifica ed è in primo luogo contraddetta dal giudice delle leggi con la nota e ricordata sentenza n. 355/2010, sia infine perché in quella sentenza si ipotizza un danno d’immagine azionabile innanzi a un giudice anche diverso dalla Corte dei conti.

Di diversa valenza, invece, ai fini che qui ne oc-cupano, è la pronuncia resa dalla Cassazione, Sez. II penale (n. 4605/2014) poiché tocca puntualmente molti aspetti della questione testé affrontata da que-ste Sezioni riunite.

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Dopo aver richiamato la nota sentenza della Corte costituzionale, n. 355/2010, la Suprema corte esclude che la l. n. 190/2012, usando l’espressione “reato contro la pubblica amministrazione”, abbia abrogato tacitamente l’espressione di cui al combi-nato disposto degli artt. 17 l. n. 141/2009 e 7 l. n. 97/2001 (“delitti contro la pubblica amministrazio-ne previsti nel capo I del titolo II del libro secondo c.p.”) poiché non ha regolato ex novo l’intera materia (ipotesi prevista dall’art. 15 delle preleggi), bensì ha inserito solo alcuni commi che insistono sul quan-tum dovuto in caso di danno all’immagine (il doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale o di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente); di guisa che le due normative restano del tutto com-patibili e, quindi, il termine “reato contro la pubbli-ca amministrazione” deve ritenersi riferito ai delitti contro la pubblica amministrazione di cui si discute e previsti dal capo I, titolo II del libro secondo del codice penale.

Altro aspetto trattato dalla Suprema corte è quello relativo ai rapporti con l’art. 129 disp. att. c.p.p. che, secondo una originale interpretazione, definita dalla stessa Suprema corte come una “irrazionale, torsione ermeneutica”, porterebbe a configurare il cosiddetto “doppio binario”: per i delitti previsti dall’art. 314 ss. c.p. occorrerebbe il passaggio in giudicato della sentenza, mentre, per gli altri reati comuni, l’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione non necessiterebbe di tale irrever-sibilità della sentenza.

La Suprema corte ritiene al riguardo che l’art. 129 disp. att. c.p.p. citato non influisce in alcun modo sulla problematica in esame, limitandosi a pre-vedere il generale obbligo per il pubblico ministero di informare il procuratore generale presso la Corte dei conti.

Conclude, la Suprema corte, nel senso che la pubblica amministrazione può chiedere il risarci-mento del danno d’immagine al proprio dipendente (se l’azione è esercitata innanzi alla Corte dei conti, il vincolo inerente la speciale categoria dei reati in questione riguarda il pubblico ministero contabile agente) nei soli casi in cui sia intervenuta condanna irrevocabile “per uno dei reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale”.

Si è voluto ripercorrere, anche se succintamen-te, il quadro giurisprudenziale offerto sia dalla Corte costituzionale che dalla Suprema corte poiché si ri-tiene che la pronuncia richiesta a questo organo giu-risdizionale nomofilattico non possa prescinderne; ciò non perché si sia in presenza di effetti vincolanti

– che si escludono – ma per intuibili esigenze di pru-dente ragionevolezza nell’opera di interpretazione di norme giuridiche che, pur in ossequio al principio del libero convincimento, deve tuttavia tener conto dell’ermeneusi giurisprudenziale proveniente dal giudice delle leggi e dal giudice regolatore della le-gittimità e della giurisdizione.

È pur vero che il thema decidendum non si pone in stretti termini di giurisdizione, sia perché riguar-da l’azionabilità del danno all’immagine da parte del pubblico ministero contabile, colpita da una esplicita sanzione di nullità, sia perché le questioni di giuri-sdizione sfuggono, in ultima analisi, a queste Sezioni riunite; ma è altrettanto vero che il solco tracciato dalla citata giurisprudenza è tale che, in caso di sco-stamento da parte di queste Sezioni riunite, verosi-milmente si verificherebbe la riproposizione delle questioni, sia innanzi alla Corte costituzionale che alla Suprema corte, e ciò con intuibile vulnus ad un principio di certezza del diritto che appare precettivo non solo per la funzione legislativa, ma soprattutto per l’attività di discernimento esegetico affidata alla funzione giurisdizionale.

Si impone quindi ora a questo collegio una du-plice operazione ermeneutica: la possibilità di una adesione non acritica alle massime giurisprudenziali passate in rassegna; lo sviluppo di ulteriori propri ar-gomenti decisivi.

Quanto al primo aspetto, sembra al collegio che i passaggi motivazionali del giudice delle leggi, tutti intesi a ritenere non vulnerato il principio di raziona-lità da parte del legislatore nello “scegliere” alcuni reati, e non altri, da cui poter far discendere un danno all’immagine della pubblica amministrazione, siano del tutto condivisibili poiché è stato esattamente in-dividuato nell’art. 97 Cost. – che enuncia i canoni del buon andamento e della imparzialità e da cui discen-dono i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’agere amministrativo – le norme poste a tutela del bene che il legislatore ha inteso proteggere.

Ciò non esclude che il legislatore possa indivi-duare altri beni giuridici tutelabili e, quindi, altri re-ati cui collegare un possibile danno d’immagine alla pubblica amministrazione, ed è forse auspicabile una rimeditazione sul punto; ma resta il fatto che discre-zionalità del legislatore è stata ritenuta correttamente esercitata, costituendo pertanto un limite preciso ad un non consentito sconfinamento della funzione giu-risdizionale.

Su un parallelo versante si pone l’adesione di questo collegio a quella giurisprudenza della Supre-ma corte che ha motivatamente delimitato l’area dei

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delitti da cui può derivare un danno d’immagine del-la pubblica amministrazione.

Infatti, in disparte il pressoché uniforme orienta-mento della Cassazione civile, si è notato in prece-denza che alcune sentenze della Cassazione penale non appaiono conducenti, mentre altre, come quella sulla circoscrizione dei reati de quibus (Cass., Sez. II pen., n. 14605/2014), hanno svolto un iter argo-mentativo del tutto condivisibile, marcando il punto della voluntas legis limitata ai soli casi previsti dalla normativa, escludendo fuorvianti ipotesi di cosiddet-to “doppio binario” e fornendo adeguata interpreta-zione dei rapporti con la l. n. 190/2012.

Si tratta di passaggi motivazionali condivisibili poiché appaiono ispirati da una visione sistematica dell’intero quadro normativo esaminato.

Conclusivamente, la Suprema corte, sia in sede civile (Sezioni riunite) che in sede penale, sia pure in modo non univoco, ma con statuizioni articolate e conducenti ai fini specifici che ne occupano, ha trac-ciato una chiara delimitazione dei soli reati da cui può discendere un danno risarcibile all’immagine alla pubblica amministrazione.

Tuttavia, queste Sezioni riunite ritengono utile svolgere qualche propria ulteriore riflessione.

Si è spesso insistito sulla espressione “nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 l. 27 marzo 2001, n. 97”, inferendosene la presunta conseguenza che per i “casi”, valga l’obbligo di comunicazione del pubblico ministero penale limitatamente ai delitti accertati con sentenza irreversibile previsti nel capo I, titolo II del libro secondo; mentre, “i modi” in-dicherebbero il generale obbligo del pubblico mi-nistero penale di comunicare al pubblico ministero contabile l’esercizio dell’azione penale, discendente dall’art. 129 disp. att. c.p.p. per tutti i reati, con la conseguenza che la disposta salvezza del predetto art. 129 disp. att. c.p.p. consentirebbe l’azionabilità del danno all’immagine alla pubblica amministrazio-ne per tutti i reati comuni.

Questa interpretazione di una parte della giuri-sprudenza contabile, contrastata peraltro da altra giurisprudenza, finisce però con il frazionare la nor-ma in rassegna in due tronconi, laddove sembra più conforme ad una esegesi organica, leggere la norma in senso unitario nel senso di un precetto unico che è volto a delimitare l’area dei delitti da cui il legisla-tore ammette possa derivarne un danno d’immagine della pubblica amministrazione “nei soli casi e modi previsti dall’art. 7”; precetto – quest’ultimo – che va ad aggiungersi, quindi, all’obbligo di informativa di-scendente dall’art. 129 disp. att. c.p.p. che permane

nella sua valenza generale originaria senza assurgere ad un ruolo di discrimine che darebbe corpo ad un inammissibile “doppio binario” e che vanifichereb-be, snaturandolo, il limite stesso voluto dal legislato-re che finirebbe con il perdere il proprio significato, per non dire di una abnorme diversità del regime della prescrizione (in tal senso depone significativa-mente anche lo stesso atto di deferimento del procu-ratore generale che esclude ogni ipotesi di “doppio binario”).

Circa l’ulteriore perplessità derivante dall’e-spressione contenuta in alcune delle norme incrimi-natrici comprese tra quelle di cui al capo I, del ti-tolo II del libro secondo del codice penale, “salvo che il fatto costituisca più grave reato” (espressione – quest’ultima – che, se latamente intesa, porterebbe ad includere nel novero numerosi altri reati), si è già detto in precedenza, a commento di alcune sentenze della Cassazione penale.

Resta qui da aggiungere che allorché il legisla-tore ha circoscritto l’ambito dei delitti da cui può discendere un danno d’immagine per la pubblica amministrazione ha fatto riferimento a fattispecie incriminatrici astratte ben delimitate; la salvezza relativa ad altri reati “più gravi” non fa che confer-mare l’intentio legis di limitare e circoscrivere l’area dei reati contro la pubblica amministrazione da cui può discendere un danno all’immagine della pubbli-ca amministrazione stessa, ferma la considerazione decisiva che, negli altri reati comuni eventualmente configurabili, diversi sono i beni tutelati (non quelli presidiati dall’art. 97 Cost., come ritenuto dalla Cor-te costituzionale).

Valga, infine, una considerazione di carattere ge-nerale.

La problematica della risarcibilità del danno d’immagine della pubblica amministrazione è stato oggetto di giurisprudenza contabile pretoria, poi ap-profondita e sviluppata sotto vari profili: quello del danno-evento piuttosto che del danno-conseguenza; quello della riferibilità all’art. 2059 c.c. o all’art. 2043 c.c., sub specie (sia pure riferito alla pubbli-ca amministrazione) di danno “esistenziale” (figura, questa, elaborata e poi delimitata dalla giurispruden-za civile; quella della configurabilità quale danno patrimoniale o non patrimoniale, ma con riflessi pa-trimoniali.

Ora, in disparte tale ricca, seppure non omoge-nea, giurisprudenza contabile, sulla quale non è qui il caso di indulgere, si deve constatare che il legisla-tore ha sì previsto alcune speciali ipotesi di danno all’immagine per la pubblica amministrazione (art.

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55-quinquies, c. 2, d.lgs n. 165/2001, così come in-tegrato dall’art. 59, c. 1, d.lgs. n. 150/2009; art. 46 d.lgs. n. 33/2013), ma la disciplina organica avente ad oggetto la configurabilità di un danno all’imma-gine per la pubblica amministrazione specificamente collegato a fattispecie criminose è stata introdotta con l’art. 17, c. 30-ter., d.l. n. 78/2009 più volte cita-to e testé in discussione.

Ebbene, è certamente degno di nota che la prima volta in cui viene ammessa, per diritto positivo, una risarcibilità di danno all’immagine per la pubblica amministrazione collegata a fattispecie criminose, il legislatore abbia voluto circoscrivere tali reati ai soli delitti previsti dagli artt. 314 ss. c.p. e non ad altri, come pure, in tale specifica occasione, avrebbe potuto fare.

Tale scelta del legislatore, intervenuta per la pri-ma volta in rapporti tanto delicati quali quelli tra azione del pubblico ministero contabile e reati penali in punto di danno all’immagine alla pubblica ammi-nistrazione (sino ad allora nel dominio della sola giu-risprudenza), è senz’altro elemento significativo e di ausilio esegetico per queste Sezioni riunite.

È indubbio che vengano continuamente in eviden-za fattispecie odiose di reati, specie contro la perso-na, che reclamerebbero una rimeditazione in termini di discredito che ne discende per la pubblica ammi-nistrazione; ma tale valutazione non può che com-petere al legislatore, né il giudice può intaccare tale sfera di attribuzione, che la Costituzione riconosce al Parlamento, a meno di non voler scivolare, come si è accennato all’inizio del percorso motivazionale testé sviluppato, verso una sorta di interpretazione “crea-tiva” non ancorata a significativi dati normativi e non ammessa in presenza di un dettato normativo di per sé esaustivamente chiaro e comunque corroborato dalle statuizioni della Corte costituzionale e da conducenti affermazioni della Corte regolatrice.

Conclusivamente, il principio di diritto che si enuncia in risposta al primo dei quesiti proposti è il seguente: l’art. 17, c. 30-ter, va inteso nel senso che le procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i delitti di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale.

Quanto al secondo quesito, esso è posto in via subordinata ed eventuale ad una risposta affermativa (in termini di perseguibilità del danno all’immagine anche ai casi discendenti da reati comuni).

Pertanto, attesa la risposta data al primo quesito, il secondo quesito resta assorbito e non v’è pronun-cia da rendere.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale così decide in ordine alle questioni di massima proposte:

1) l’art. 17, c. 30-ter, va inteso nel senso che le procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i delitti di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale;

2) assorbita dalla risposta al primo quesito.

5 – Sezioni riunite in sede giurisdizionale; ordinanza 18 maggio 2015; Pres. Avoli, Est. Tridico, P.M. D’Amaro; Proc. reg. Sicilia c. Sgroi e altri.

Annulla Corte conti, Sez. giur. reg. Sicilia, ord. 24 ottobre 2014, n. 164.

Processo contabile – Amministrazione danneggia-ta – Costituzione di parte civile nel processo penale – Sentenza di condanna di primo grado nel processo penale – Instaurazione del giu-dizio di responsabilità amministrativa – So-spensione necessaria del processo contabile – Esclusione.

C.p.c., art. 295; c.p.p., art. 75; r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, art. 26.

Ove l’amministrazione danneggiata si sia costi-tuita parte civile nel processo penale a carico di un soggetto prevenuto di danno erariale in un giudizio di responsabilità amministrativa (instaurato succes-sivamente alla sentenza penale di condanna in pri-mo grado), è illegittima la sospensione del processo contabile – disposta sul presupposto della sua ob-bligatorietà – fino alla pronuncia di sentenza penale non più soggetta a impugnazione. (1)

(1) Nel senso che la costituzione di parte civile dell’am-ministrazione danneggiata non preclude l’azione di responsa-bilità amministrativa, a meno che non sia intervenuta pronun-cia di condanna civile non solo nell’an ma anche nel quantum, v. Corte conti, Sez. II centr. app., 11 maggio 2012, n. 295, in questa Rivista, 2012, fasc. 3-4, 238, con nota di richiami alla giurisprudenza della Suprema corte sull’argomento.

Nel senso che è in ogni caso da escludere la sospensione del processo contabile, ove il procedimento penale risulti nel-la fase delle indagini preliminari, v. Corte conti, Sez. riun., ord. 12 settembre 2014, n. 12, ivi, 2014, fasc. 5-6, 147.

In generale, in tema di pregiudizialità di altri giudizi ri-spetto a quello contabile, v. Corte conti, Sez. riun., ord. 26 aprile 2012, n. 1, ivi, 2012, fasc. 1-2, 175, con nota di richia-mi, che ha escluso, in tema di responsabilità indiretta, l’esi-stenza di una pregiudizialità del giudizio civile di danno in-staurato da altri nei confronti dell’amministrazione, rispetto a

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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Motivi della decisione – 1. Preliminarmente, oc-corre valutare l’ammissibilità del ricorso proposto dalla procura regionale per la Sicilia.

Il ricorso è proposto ai sensi dell’art. 42 c.p.c., il quale, nel testo attualmente vigente, dispone: “L’or-dinanza che, pronunciando sulla competenza anche ai sensi degli artt. 39 e 40, non decide il merito della causa e i provvedimenti che dichiarano la sospensio-ne del processo ai sensi dell’art. 295 possono esse-re impugnati soltanto con istanza di regolamento di competenza”.

Com’è noto, l’arresto giurisprudenziale emerso con sentenza di queste Sezioni riunite, 9 aprile 2002, n. 7 è stato rimeditato dal medesimo organo con or-dinanza 26 aprile 2012, n. 1, a partire dalla quale, sulla scia dell’orientamento della Corte di cassazione formatosi dopo la modifica dell’art. 111 Cost., è sta-ta costantemente ammessa l’esperibilità del rimedio all’esame. Ciò alla luce dell’esigenza di garantire la ragionevole durata del processo e del carattere di ge-neralità dell’istituto previsto dall’art. 42 c.p.c., che quindi risulta applicabile anche al giudizio contabi-le ai sensi dell’art. 26 del regolamento di procedura approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038. Si è al-tresì consolidato l’orientamento che individua nelle Sezioni riunite il giudice naturale precostituito per legge per la decisione dell’impugnazione all’esame.

Per quanto detto il ricorso deve ritenersi ammis-sibile.

2. La Sezione giurisdizionale per la Regione si-ciliana ha ritenuto di poter applicare l’art. 75, c. 3, c.p.p., nel senso che, stante la costituzione di parte civile dell’amministrazione danneggiata nel proces-so penale e l’avvenuto deposito della sentenza penale di primo grado, il processo amministrativo-contabile successivamente avviato sarebbe soggetto a sospen-sione obbligatoria fino alla pronuncia di sentenza pe-nale non più soggetta a impugnazione.

Le ragioni dell’applicabilità dell’art. 75, c. 3, c.p.p. per il giudizio contabile vengono esplicitate per relationem, ossia con il riferimento all’ordinanza della Sezione giurisdizionale d’appello per la Regio-ne siciliana, 9 aprile 2008, n. 43, la quale, muovendo dalle argomentazioni contenute nella sentenza della Corte cost., 13 luglio 2007, n. 272, ritiene, in base all’art. 538 c.p.p., che il giudizio contabile sia assi-milabile a quello civile, sicché al primo sarebbe ap-plicabile l’art. 75, c. 3, c.p.p.

Più precisamente, la richiamata ord. n. 43/2008

quello amministrativo-contabile verso l’agente pubblico re-sponsabile del medesimo danno.

pone in buona sostanza, a base del proprio percor-so argomentativo il fatto che la Corte costituzionale, nella menzionata sent. n. 272/2007, aveva evidenzia-to che il rimettente aveva omesso di valutare l’appli-cabilità dell’art. 538, c. 2, e la sua possibile idoneità a risolvere il problema di raccordo tra la giurisdizio-ne ordinaria e contabile, ha affermato:

a) che l’art. 538, c. 2, è precisazione e corollario di quanto detto al precedente comma primo circa la domanda di risarcimento proposta a norma degli artt. 74 ss. c.p.p.;

b) che se, quindi, per il giudizio contabile è possi-bile far riferimento all’art. 538, c. 2, ad esso è riferi-bile anche la c. 1 del medesimo articolo, che espres-samente richiama le ipotesi di cui agli artt. 74 ss. – e, quindi, anche l’art. 75, c. 3, – c.p.p.;

c) che in ciò si risolve la valutazione, evocata dal-la Corte costituzionale, di applicabilità dell’art. 538 c.p.p.;

d) che, quindi, “si giustifica appieno e normativa-mente in simili evenienze la concorrenza ed assimi-lazione al giudizio civile di quello contabile al quale quindi è applicabile, come al primo, l’art. 75, c. 3, c.p.p.”.

3. In tal modo, ad avviso di queste Sezioni riuni-te, vengono del tutto travisati i contenuti e la portata della decisione della Consulta. Invero, giova premet-tere che, nella menzionata sentenza, la Corte costi-tuzionale ha anzitutto prospettato l’eventualità, sulla base del tenore letterale dell’art. 75 c.p.p., di negare l’assimilabilità del giudizio civile e amministrativo di danno e di escluderne la riferibilità al giudizio am-ministrativo-contabile, richiamando espressamente giurisprudenza della Corte dei conti in sede di ap-pello. Ha peraltro aggiunto che “In effetti l’art. 75 c.p.p. (espressamente intitolato ai rapporti tra azione civile e penale) si riferisce puntualmente e solo al giudizio civile. Il che, a fronte delle logicamente col-legate previsioni degli artt. 651 e 652 del medesimo codice (i quali si riferiscono, espressamente, tanto nel titolo, quanto nel testo, sia al giudizio civile sia al giudizio amministrativo di danno), potrebbe costi-tuire (e, per la sopra riferita giurisprudenza, ha co-stituito) argomento a favore della inapplicabilità di questa previsione al giudice contabile; la cui cogni-zione resterebbe, allora, del tutto autonoma da quella ordinaria (salvo che già sussista un giudicato penale sul punto)”.

Data questa premessa, il successivo richiamo all’art. 538 c.p.p. è nel senso che il medesimo “limita la giurisdizione del giudice penale in sede di pronun-cia sul risarcimento del danno, alla sola condanna

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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generica dell’imputato senza porre problemi di pre-giudizialità, essendo questa venuta meno, con l’abro-gazione dell’art. 3 del vecchio codice di procedura penale”. Il riferimento all’art. 538, quindi, lungi dal costituire argomento in favore dell’assimilabilità tra giudizio civile e contabile in ragione del richiamo, al c. 1 degli artt. 74 ss. c.p.p. – e, quindi, dell’applica-bilità dell’art. 75, c. 3, c.p.p. al giudizio di responsa-bilità amministrativa –, riguarda, secondo il dictum della Corte, la limitazione “alla sola condanna ge-nerica” del potere di ius dicere del giudice penale sul profilo risarcitorio. Inoltre non pare del tutto tra-scurabile il riferimento, all’art. 538, c. 2, c.p.p., alla previsione della “competenza di altro giudice” – con valenza preclusiva della liquidazione del danno da parte del giudice penale –, posto che non è raro rin-venire, in dottrina, quale unico esempio applicativo di tale riserva normativa la competenza del giudice contabile, e anche la Corte di cassazione conferma la riserva di giurisdizione, sia pure limitatamente al profilo del quantum debetur e ammettendo comun-que la possibilità di una condanna, in sede penale, al pagamento di una provvisionale (cfr. Cass., Sez. VI pen., 12 novembre 2009, n. 43278).

4. In realtà, quel che sembra emergere chiara-mente non soltanto dalla pronuncia della Consulta, ma dall’intero sistema processuale – invero delineato in modo non del tutto coerente e coordinato – è l’i-napplicabilità al giudizio amministrativo-contabile dell’art. 75, c. 3, c.p.p.

Depone anzitutto in tal senso, in linea con l’affer-mazione della Corte costituzionale secondo la quale “in effetti l’art. 75 c.p.p. (espressamente intitolato ai rapporti tra azione civile e penale) si riferisce pun-tualmente e solo al giudizio civile”, il tenore letterale della norma in esame, che fa esclusivo riferimento all’azione civile, senza alcun richiamo a quella di cui è titolare il pubblico ministero contabile.

Non può, invero, accogliersi la tesi della procura ricorrente secondo la quale, “secondo il canone er-meneutico lex tam dixit quam voluit la stessa intesta-zione letterale della norma relativa ai ‘Rapporti tra azione civile e azione penale esclude il riferimento al giudizio amministrativo di danno”, e ciò non sol-tanto perché la rubrica dell’articolo non ha valenza normativa (rubrica legis non est lex), ma anche per-ché, in altri articoli (cfr., ad esempio, l’art. 211 disp. att. c.p.p.), anche se la rubrica reca il riferimento alla sola azione civile, il testo dell’articolo riguarda espressamente sia il giudizio civile che il giudizio amministrativo.

Quel che però è dirimente è che, come corretta-

mente affermato dalla procura regionale per la Sici-lia nell’atto introduttivo del presente giudizio, lad-dove il legislatore codicistico ha inteso riferirsi non soltanto al giudizio civile, ma anche a quello ammi-nistrativo di danno, lo ha fatto espressamente (cfr. artt. 651 e 652 c.p.p. e il menzionato art. 211 disp. att. c.p.p.) e direttamente nel testo normativo, men-tre, nell’art. 75, si fa menzione dell’azione civile ma non di quella in capo al pubblico ministero contabile.

5. Ma il motivo principale dell’inapplicabilità dell’art. 75, c. 3, c.p.p. al giudizio di responsabilità amministrativa si rinviene nella ratio fondante la di-sciplina dei rapporti tra azione civile e azione penale, nonché tra i relativi giudizi, di cui al titolo V, libro I c.p.p., ispirata alla libertà di scelta di colui il quale ha subito un danno dalla condotta costituente reato, co-erentemente con il principio di separazione dei giu-dizi e di indipendenza del giudizio civile e ammini-strativo da quello penale (Corte cost., n. 217/2009). Questi può proporre la relativa azione civile nel processo penale ovvero nella sua sede propria, di-nanzi al giudice civile (così sfuggendo, ricorrendone i presupposti di cui agli artt. 652 e 75 c.p.p., all’ef-ficacia del giudicato penale assolutorio). Può anche decidere, dopo aver proposto l’azione davanti al giu-dice civile, di trasferirla nel processo penale (entro il termine e con le conseguenze sancite dall’art. 75, c. 1, c.p.p.), ovvero di fare l’operazione inversa, “dopo aver effettuato una valutazione comparativa dei rela-tivi vantaggi” (Corte cost., n. 217/2009 cit.).

Pur rispettoso della libertà di scelta del danneg-giato (nonostante un evidente favor per la scelta di esperire azione risarcitoria in sede civile), il legisla-tore si preoccupa di regolare i rapporti tra azione civi-le e azione penale alla luce delle opzioni esercitate, e dispone la sospensione del processo civile – fino alla pronuncia della sentenza penale non più impugnabi-le – qualora si sia dapprima costituito parte civile nel processo penale ovvero abbia tardato ad agire in sede civile, procedendo in tal senso solo dopo la sentenza penale di primo grado, e disponendo comunque la revoca della costituzione di parte civile qualora, suc-cessivamente, promuova l’azione davanti al giudice civile (art. 82, c. 2, c.p.p.).

Ma se l’effetto processuale sospensivo (così come quello di revoca ope legis della costituzione di parte civile) discende dalla scelta volontaria della persona danneggiata, non sembra corretto ritenere che da questa possano derivare conseguenze proces-suali per un altro soggetto – quale il pubblico mi-nistero contabile – e nell’ambito di altro giudizio, separato e autonomo rispetto sia al giudizio penale

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che a quello civile – quale quello di responsabilità amministrativa – in assenza di esplicita previsione normativa. Invero, non pare coerente con la logica del sistema delineato dal legislatore consentire che l’esercizio della funzione, obiettiva e neutrale, oltre che obbligatoria e indisponibile, in capo al pubbli-co ministero contabile possa subire condizionamenti per effetto di una scelta a questi sottratta e di stret-ta pertinenza dell’amministrazione (così come non subisce condizionamenti derivanti dalla volontà o meno dell’amministrazione di ottenere il ristoro del danno da questa subito). È l’amministrazione, non il pubblico ministero contabile, a scegliere la linea processuale che ritiene più opportuna e che effettua la “valutazione comparativa dei vantaggi”, sicché solo in capo ad essa possono prodursi gli effetti so-spensivi correlati alle sue opzioni. Né l’azione del pubblico ministero contabile – a differenza dell’a-zione promossa davanti al giudice civile – comporta l’automatica revoca della costituzione di parte civile. Trattasi, in definitiva, di azioni autonome, distinte e separate, sicché l’una non può avere effetti sospensi-vi, sia pure indiretti, sull’altra.

Sostenere l’avversa tesi comporterebbe, in so-stanza, che le scelte processuali volontariamente assunte in altra sede dall’amministrazione condizio-nerebbero il normale sviluppo del giudizio di respon-sabilità amministrativa, che potrebbe subire una so-spensione anche per anni in relazione alle lungaggini del giudizio penale e con il concreto rischio di una sostanziale sterilizzazione dell’azione del pubblico ministero contabile: il che non è accoglibile, non sol-tanto perché contrastante con il sistema della respon-sabilità amministrativa e con la regola generale – e quindi di stretta interpretazione – dell’autonomia e separatezza dei giudizi, ma anche perché minereb-be gravemente il generale principio, assurto oramai a rango di norma costituzionale, di ragionevole du-rata del processo. Si impone, quindi, in definitiva, un’interpretazione coerente e rispettosa dei principi suesposti.

E che vi sia, oramai, completa autonomia e sepa-ratezza dei giudizi è confermato dal testo novellato dell’art. 295 c.p.c., dal quale è stato espunto il riferi-mento all’art. 3 c.p.p., sicché non si rinvengono nel nostro ordinamento disposizioni che impongano la sospensione necessaria del processo di responsabili-tà amministrativa in pendenza di un processo penale, posto che, al più, qualora vertenti sui medesimi fatti, potrebbe ravvisarsi una mera pregiudizialità logica, ma mai un obiettivo rapporto di pregiudizialità giuri-dica tra le due liti pendenti.

6. Le sole interferenze tra azione civile (esercita-ta in sede civile ovvero in sede penale con la costitu-zione di parte civile) e azione di responsabilità am-ministrativa riguardano la proponibilità delle stesse. Invero, è oramai ius receptum che, anche qualora investano un medesimo fatto materiale, le giurisdi-zioni penali e civili, da una parte, e quella contabi-le, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusiva-mente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti – nonché di eventuale osservanza del principio del ne bis in idem –, senza dar luogo a questione di giurisdizione (ex multis, Cass., S.U., n. 26582/2013, n. 11/2012, n. 6581/2006 e n. 4957/2005).

Come affermato recentemente dalla giurispruden-za (cfr. Corte conti, Sez. III centr. app., n. 68/2015), la Corte dei conti conosce di un illecito ontologica-mente differente dall’illecito civile, e giudica sulla condotta posta in essere in violazione degli obblighi di servizio, indipendentemente e a prescindere dal fatto che tale condotta integri o meno illecito civile. Se dalla condotta deriva un danno erariale, l’azione del pubblico ministero contabile subisce un plausi-bile arresto unicamente nel caso in cui, presso un plesso giurisdizionale, si sia già conseguito il bene della vita del quale si chiede tutela (v. Cass., S.U., n. 25497/2009; n. 8927/2014; in terminis, cfr. Cor-te conti, Sez. II centr. app., n. 382/2014). È questo che si intende quando ci si riferisce a un eventuale problema – riguardante i limiti interni della giurisdi-zione contabile – di proponibilità dell’azione di re-sponsabilità davanti alla Corte dei conti, ed è questo che deve verificare il giudice contabile, appurando il completo conseguimento del bene della vita attra-verso le provvisionali o le liquidazioni definitive del danno operate in altre sedi giurisdizionali, e, qualora sia stato realizzato, dichiarando cessata la materia del contendere, fermo restando che la determinazio-ne del quantum risarcitorio intervenuto in altra sede (penale o civile) non vincola il giudice contabile.

7. Da ultimo, la procura ricorrente ritiene non sussistano i presupposti per l’esercizio di un potere discrezionale di sospensione, stante la completezza istruttoria della causa, oramai matura per la decisione.

In proposito questa Sezione osserva che di tale profilo non v’è alcun cenno nell’impugnata ordi-nanza, il cui decisum è incentrato esclusivamente sull’applicazione dell’art. 75 c.p.c. e sulla conse-guente ritenuta sospensione obbligatoria del proces-so contabile. L’aspetto dedotto, quindi, non fa parte

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delle statuizioni adottate in primo grado e, quindi, non può rientrare nell’ambito del devolutum.

8. Per quanto detto deve conclusivamente acco-gliersi il ricorso della procura regionale per la Regio-ne siciliana, con conseguente annullamento dell’or-dinanza impugnata.

Spese al definitivo.P.q.m., la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede

giurisdizionale, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’ordinanza della Sezione giurisdi-zionale per la Regione siciliana 8 ottobre 2014, n. 164.

26 – Sezioni riunite in sede giurisdizionale; senten-za 15 giugno 2015; Pres. Avoli, Est. Tomassini, P.M. D’Amaro; Ministero dell’economia e delle finanze.

Decide questione di massima sollevata da Sez. III centr. app., 19 gennaio 2015, n. 2.

Pensioni civili e militari – Perseguitato per moti-vi politici e razziali – Assegno di benemerenza – Reversibilità a favore di orfano maggioren-ne – Condizioni – Rinvio alla normativa sulle pensioni di guerra.

L. 10 marzo 1955 n. 96, provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali o dei loro familiari superstiti, artt. 1, 2; l. 24 aprile 1967 n. 261, integrazione e modificazioni della legislazione a favore dei perseguitati politici italiani antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti, art. 4; l. 22 dicembre 1980 n. 932, integrazioni e modifiche alla legislazione recante provvidenze a favore dei perse-guitati politici e razziali, art. 3.

L’assegno vitalizio di benemerenza spettante ai cittadini italiani perseguitati per la loro attività po-litica contro il regime fascista o per motivi razziali è reversibile a favore degli orfani alle stesse condizioni stabilite dalla legislazione sulle pensioni di guerra e, pertanto, tenendo conto dell’intervenuta abrogazio-ne della norma che stabiliva la presunzione di ina-bilità a proficuo lavoro per chi avesse compiuto 65 anni di età; ne discende che la reversibilità dell’as-segno di benemerenza spetta soltanto a condizione che l’orfano, oltre ad aver raggiunto l’età pensiona-bile, sia anche in possesso del requisito dell’inabilità a proficuo lavoro, debitamente accertata.

Diritto – 1. Le Sezioni riunite devono prelimi-narmente valutare se il quesito sottoposto alla loro attenzione sia ammissibile e rilevante.

1.1. Circa il primo profilo, messo in dubbio dal-la parte appellata, sul presupposto che il richiamo all’art. 2 della l. n. 96/1955 non sarebbe pertinen-te rispetto all’oggetto della causa di merito, e circa il richiamo ad un supposto requisito di “inabilità a proficuo lavoro” non presente nella normativa di ri-ferimento, il collegio osserva le Sezioni riunite, pur non potendo mutare il quesito del giudice remittente, hanno però il potere di orientarne l’interpretazione in termini di sistematicità e funzionalità rispetto al complessivo quadro normativo regolatore della ma-teria, attraverso la lettura degli atti di causa e, in par-ticolare, l’apprezzamento del petitum proprio della specifica causa all’esame del giudice remittente.

Ora, se è vero che l’assegno di cui all’art. 4 della l. n. 261/1967 prevede presupposti in parte diversi rispetto a quello indicato nell’art. 1, nondimeno oc-corre riferirsi al combinato disposto di dette norme per delineare la disciplina della sua reversibilità, compreso il riferimento alla l. n. 96/1955.

In ordine alle perplessità evidenziate dall’ap-pellata circa il termine “inabilità” ritiene, invece, il collegio che esso sia stato correttamente utilizzato nel quesito. La critica della difesa Morpurgo muove, infatti, dal presupposto che la locuzione “nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro” di cui all’art. 4 della l. n. 261/1967 e successive modi-ficazioni e integrazioni si riferisca ai familiari super-stiti e non, invece, al soggetto della frase “cittadini italiani” perseguitati. Quindi, il termine “invalidità” è riferito a questi ultimi, e non ai “familiari super-stiti”.

La Sezione remittente, invece, ha ritenuto che il richiamo alle “disposizioni vigenti in materia” ri-guardasse la disciplina sulla reversibilità agli orfani di guerra della pensione erogata al dante causa; e, in tal senso, il termine “inabilità” è esatto. Deve invece, più correttamente, ritenersi che nell’ultima frase del quesito la parola “invalidità” a proficuo lavoro debba intendersi come “inabilità”.

Quanto alla locuzione “in uno con l’età pensio-nabile” contenuta nell’ultima parte del quesito, essa è stata inserita dalla Sezione remittente perché, come è stato detto, la signora Liana Morpurgo è stata rite-nuta “non inabile” a proficuo lavoro e, pertanto, qua-lora i due requisiti dell’invalidità (recte: inabilità) e dell’età pensionabile siano richiesti congiutamente ella non avrebbe diritto alla provvidenza.

Il quesito va dunque interpretato, correttamen-te, nella seguente migliore formulazione: “se, ai fini dell’ottenimento dell’assegno di benemerenza di cui

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all’art. 4 l. n. 261/1967, come modificato dall’art. 3 l. n. 932/1980, l’orfano di perseguitato debba pos-sedere alternativamente i requisiti dell’inabilità a proficuo lavoro e quello del raggiungimento dell’età pensionabile o, invece, in applicazione dell’art. 45 d.p.r. n. 915/1978 e dell’art. 6 l. n. 656/1986 (il quale ha abrogato le norme che considerano presunta all’i-nabilità al compimento del 65esimo anno di età) sia necessario, al fine del conseguimento dell’assegno in parola, l’accertamento dell’inabilità a proficuo lavo-ro in uno con l’età pensionabile”.

In tal senso e così precisato, il quesito risulta am-missibile e pertinente rispetto al giudizio a quo. E ciò per le ragioni che seguono.

1.2. Il quesito è, inoltre, ammissibile, ai sensi dell’art. 1, c. 7, d.l. n. 453/1993, e successive mo-dificazioni e integrazioni tra cui l’art. 42, c. 2, l. 18 giugno 2009, n. 69, poiché sussiste, effettivamente, un contrasto orizzontale in secondo grado.

Le sentenze ricordate nell’ordinanza di rimes-sione (Sez. I centr. app., n. 672/2013, n. 526/2007; Sez. II centr. app., n. 180/2009, n. 679/2012, ma an-che: Sez. II centr app., n. 6/2015; Sez. III centr. app., n. 91/2014, e le altre, di segno opposto: Sez. III, n. 122/2013, n. 386 e n. 387/2014; Sez. II centr. app. n. 1/2009; ma anche: Sez. III centr. app. n. 39/2015) interpretano in maniera opposta l’art. 4 sopra citato.

Infatti, per una parte della giurisprudenza di ap-pello la locuzione “nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro” si riferisce ai familiari su-perstiti del cittadino italiano perseguitato, mentre il richiamo alle disposizioni vigenti in materia sarebbe riferibile ai soli limiti reddituali previsti per le pen-sioni di guerra; sul punto, per tutte, la decisione n. 39/2015 del 24-26 gennaio 2015 della Sezione III centrale di appello, per la quale “Dal tenore letterale della norma testé riportata (art. 4 l. n. 261/1967 e suc-cessive modificazioni e integrazioni, n.d.r.) emerge in maniera evidente come il requisito della invalidità a proficuo lavoro ... sia stato stabilito solo in alter-nativa al raggiungimento dell’età pensionabile ... e per il solo caso in cui non sussista – prioritariamente – tale requisito anagrafico (non, quindi, cumulativa-mente). Depone in tal senso, l’utilizzazione, nel testo normativo, della disgiuntiva “o” (…), rivelatrice del-la volontà del legislatore di considerare i due indicati presupposti come alternativi, tali che il possesso di uno di essi (in primis, l’età pensionabile) integri il diritto, rendendo superfluo l’accertamento della sus-sistenza, simultaneamente, anche dell’altro”; e tale diverso trattamento rispetto ai beneficiari della rever-

sibilità delle pensioni di guerra, pur se più favorevo-le, non sarebbe censurabile sotto il profilo della ra-gionevolezza essendo fondato su di una “riparazione speciale” nei confronti delle vittime di persecuzioni e di comportamenti illegittimi dello Stato in danno di propri cittadini, discriminati rispetto al resto della popolazione.

Per altra parte delle sezioni di appello, tra cui pronunce della stessa Sezione III, invece, detto rin-vio riguarderebbe appunto i familiari superstiti del perseguitato, i quali, giusta il rinvio di cui all’art. 2 l. n. 96/1955, sarebbero a tutti gli effetti equiparati agli orfani (di) caduti in guerra.

Per tutte, la decisione n. 672/2013 della Sezione I giurisdizionale centrale di appello, che ha ritenuto che “la reversibilità è attribuita ai familiari super-stiti ai sensi delle disposizioni vigenti in materia e quindi, per effetto della equiparazione sopra ricorda-ta, introdotta con l’art. 2 l. n. 96/1955, la normativa di riferimento è solo quella regolante le pensioni di guerra”; e ciò perché il successivo richiamo al rag-giungimento dell’età pensionabile in via alternativa rispetto all’invalidità è riferito, invece, ai beneficiari in via diretta dell’assegno.

Anche sotto tale profilo, pertanto, il quesito è am-missibile.

1.3. In ordine alla rilevanza nel giudizio a quo, concetto richiesto dalla legge e delineato da queste Sezioni riunite nelle decisioni n. 1/1994, n. 5/1998, n. 26/1999, n. 7/2001, n. 6/2003, n. 8/2006, n. 17/2011, la risoluzione del quesito è decisiva per stabilire se l’appellata abbia o meno diritto all’assegno di cui si verte. La stessa, infatti, è stata riconosciuta “non ina-bile a qualsiasi proficuo lavoro” dalla commissione medica e pertanto, il Ministero dell’economia e delle finanze e, prima ancora la Commissione della Presi-denza del Consiglio dei Ministri per le provvidenze ai perseguitati politici antifascisti o razziali hanno respinto l’istanza di concessione dell’assegno.

2. Venendo, poi, al merito del presente giudizio, la risoluzione del quesito presuppone l’individuazio-ne delle “disposizioni vigenti in materia” cui l’art. 3 regola la disciplina della reversibilità ai familiari su-perstiti (e non necessariamente orfani) dell’assegno vitalizio di benemerenza.

Al riguardo, al tempo dell’emanazione della l. 24 aprile 1967, n. 261, recante “Integrazioni e modifica-zioni della legislazione a favore dei perseguitati po-litici italiani antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti” le disposizioni vigenti nella materia erano quelle della legge cui si fa richiamo, n. 96 del 10 marzo 1955, che disponeva “Provvidenze a favore

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti”.

Detta legge, dopo avere individuato i beneficiari dell’assegno vitalizio di benemerenza nei “cittadini italiani ... perseguitati, a seguito dell’attività politica da loro svolta contro il fascismo anteriormente all’8 settembre 1943” con perdita della capacità lavora-tiva in misura in inferiore al 30 per cento (a causa dei vari fatti di persecuzione e violenza di cui alle successive lett. a-e), stabilisce che un assegno nella stessa misura “sarà attribuito, nelle identiche ipotesi, ai cittadini italiani che dopo il 7 luglio 1938 abbiano subito persecuzioni per motivi di ordine razziale”. Le “identiche ipotesi” devono ritenersi essere i casi da a-e del c. 2, oltre alla perdita della capacità lavorativa in misura non inferiore al 30 per cento.

Il successivo art. 2, nell’ampliare la platea dei be-neficiari degli assegni ai familiari di cittadini italiani morti per effetto di persecuzioni politiche o razziali, nelle circostanze previste dall’art. 1, determinando-ne la misura, equipara gli “orfani ... a tutti gli effetti agli orfani caduti in guerra”, recte: orfani di caduti in guerra.

La l. n. 261/1967, poi, ha istituito un’ulteriore provvidenza, estesa ai familiari del perseguitato, che trae il suo fondamento nella persecuzione ai sensi dell’art. 1 l. n. 96/1955 e, per quanto qui interessa, per i cittadini italiani che dopo il 7 luglio 1938 abbia-no subito persecuzioni per motivi di ordine razziale.

Il presupposto da cui muove la difesa dell’ap-pellata, contrastato dalla procura generale e dal Mi-nistero delle finanze, è che il familiare superstite di perseguitato di cui all’art. 4 l. n. 261/1967, come modificato dall’art. 3 l. n. 932/1980, per avere titolo all’assegno in reversibilità debba avere, alternativa-mente, i requisiti dell’invalidità a proficuo lavoro o l’età pensionabile, mentre per i requisiti reddituali, e soltanto a tali fini, la disciplina farebbe riferimento a quella per la reversibilità di guerra. (art. 45 d.p.r. n. 915/1978, come modificato dalla l. n. 656/1986 e art. 70).

Questo perché, a differenza degli orfani di guerra ovvero dei perseguitati politici o razziali di cui alla l. n. 96/1955, l’assegno di benemerenza de quo – a seguito di una migliore comprensione degli eventi della dittatura fascista e della seconda guerra mon-diale dovuta alla scoperta di nuova documentazione – sarebbe svincolato dai requisiti previsti dalla legi-slazione precedente. In altri termini, detto assegno avrebbe natura esclusivamente riparato-ria-assisten-ziale, per il solo fatto delle persecuzioni politiche o razziali, indipendentemente da lesioni o morte del

dante causa e, pertanto, è stato parametrato al limite del “minimo Inps”.

Di ciò sarebbe conferma la previsione di cui alla successiva l. n. 94/1994 per i deportati nei campi di sterminio c.d. “Konzentration Zone” o “K.Z.”, isti-tuito nel 1980 e reso reversibile ai familiari da detta legge, il cui art. 1 espressamente prevede la reversi-bilità dell’assegno ai familiari superstiti “nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro”. La lettura dei lavori parlamentari preparatori della l. n. 94/1994 sarebbe dunque dimostrazione di una mutazione della natura dell’assegno, legato esclu-sivamente alla commissione, da parte dello Stato italiano, di atti illegittimi (persecuzione politica o razziale) e, di per sé soli, forieri di violenza anche solo morale.

Tale tesi, sebbene suggestiva e assai bene argo-mentata, non è, però, convincente.

Pur dandosi atto dell’evoluzione normativa in materia di provvidenze in favore dei perseguitati politici e razziali e dei loro superstiti, certamente in ragione di una migliore comprensione storica delle terribili vicende verificatesi a partire dalla promulga-zione delle leggi razziali del 1938, osserva il collegio che l’interpretazione dell’appellata trova ostacolo in una serie di motivi.

a) Innanzitutto, il tenore letterale del combina-to disposto di cui all’art. 2 l. n. 96/1955, art. 4 l. n. 261/1967 e art. 3 l. n. 932/1980 depone certamente nel senso di richiedere alternativamente i requisiti del raggiungimento dell’età pensionabile o dell’in-validità a proficuo lavoro ai beneficiari in via diretta dell’assegno vitalizio di benemerenza, e non ai fami-liari superstiti in sede di reversibilità.

Infatti, l’art. 4 – come più volte accennato – sta-bilisce la concessione “ai cittadini italiani” persegui-tati di un assegno vitalizio di benemerenza “nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro”. Detto assegno è, poi, “reversibile ai familiari super-stiti ai sensi delle disposizioni vigenti in materia” ed è “pari al trattamento minimo di pensione erogato dal fondo pensioni dei lavoratori dipendenti”. Pertanto, la sintassi della norma in commento riferisce la lo-cuzione “nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro” ai cittadini italiani perseguitati, e non agli aventi diritto alla reversibilità.

Di ben altro tenore è l’art. 1 della l. 29 gennaio 1994, n. 94 – che ha esteso anche ai familiari su-perstiti la provvidenza stabilita in precedenza solo

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per i deportati nei campi di sterminio “K.Z.” – per il quale “l’assegno vitalizio, di cui all’art. 1 della l. 18 novembre 1980, n. 791, è reversibile ai familiari superstiti, ai sensi delle disposizioni vigenti in ma-teria, nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro”. La differenza lessicale è evidente, poiché in quest’ultima norma non vi è alcun riferi-mento agli internati nei campi di sterminio “K.Z.”, ma soltanto ai familiari superstiti, ai quali la provvi-denza è espressamente dedicata.

b) In secondo luogo, vi è identità di ratio rispetto alla condizione degli orfani maggiorenni di guerra (non necessariamente di caduti in guerra) rispetto ai familiari superstiti di perseguitati politici e razziali.

Infatti, i predetti vantano un diritto alla reversi-bilità di una indennità pagata a seguito di atti dello Stato italiano (sia essa la guerra, sia essa la perse-cuzione politica o razziale) che, non necessariamen-te, ha condotto a morte il dante causa. Nel caso dei perseguitati, l’importo dell’assegno di benemerenza è parametrato sul c.d. “minimo Inps”.

Tale interpretazione è confortata dalla Corte co-stituzionale (ord. n. 231/1996) la quale individua nella ratio risarcitoria-indennitaria il fondamento delle provvidenze in questione (cfr. anche Sez. II centr. app., 15 gennaio 2015, n. 6), pur fondate su motivi diversi (persecuzioni o guerra).

Del resto, la giurisdizione di questa Corte tro-va fondamento unicamente nell’assimilabilità dei non avrebbe ragion d’essere. benefici di cui si tratta alle pensioni di guerra, ai sensi dell’art. 116 d.p.r. n. 915/1978 e dell’art. 25 l. n. 834/1981: (cfr. sent. n. 6/2015, cit.), altrimenti.

c) la tesi dell’appellata, per la quale una diversa interpretazione rispetto ai familiari superstiti degli internati nei campi di sterminio “K.Z.” porterebbe all’irragionevolezza delle disposizioni di cui all’art. 4 della l. n. 261/1967 e successive modificazioni e integrazioni e alla conseguente illegittimità costitu-zionale per violazione dell’art. 3, non è condivisibile.

Infatti, vi è diversità tra la condizione di deporta-to nei campi “Konzentration Zone”, destinati apposi-tamente allo sterminio – diversamente da altri campi, quali quelli di lavoro ecc. – e quella di perseguitato razziale, né in questa sede è possibile sindacare la scelta del legislatore di accordare un trattamento più favorevole ai superstiti dei primi.

Del resto, a seguire la tesi della difesa della si-gnora Morpurgo, parimenti si accorderebbe una tute-la differenziata ai superstiti di perseguitati razziali ri-spetto a quelli di cui all’art. 1, cc. 1 e 3, l. n. 96/1955

(superstiti di cittadini italiani perseguitati politici o razziali che abbiano riportato lesioni o siano decedu-ti a seguito delle persecuzioni) nonché rispetto agli orfani di guerra; per cui tale argomento prova troppo e non è decisivo ai fini della soluzione della presente controversia.

d) Né la tesi propugnata dall’appellata trova, a ben vedere, sostegno nei lavori parlamentari della l. n. 94/1994.

Infatti, il parallelismo cui fanno riferimento le motivazioni a sostegno del disegno di legge non è tra i familiari superstiti, bensì tra i perseguitati politici e razziali di cui all’art. 4 l. n. 261/1967, come modi-ficato dalla l. n. 932/1980, e i deportati nei campi di sterminio “K.Z.” ai fini della reversibilità ai super-stiti di questi ultimi, non prevista nella legge istituti-va della provvidenza per gli internati, 19 novembre 1980, n. 791.

Per i familiari superstiti dei cittadini italiani per-seguitati, invece, l’art. 4 delle legge citata e succes-sive modificazioni e integrazioni rinvia unicamente alle “disposizioni di legge vigenti in materia”. Or-bene, tali disposizioni, pacificamente e anche per la parte appellata (che peraltro la richiama per i soli limiti reddituali), sono individuate nella disciplina della reversibilità di guerra.

A tale riguardo nessuno dubita di tale indivi-duazione, sin dall’art. 2 l. n. 96/1955 che, sia pure con una dizione infelice, richiama la disciplina degli “orfani (di) caduti in guerra” ai fini dell’assegno di benemerenza previsto per i perseguitati politici e raz-ziali di cui al precedente art. 1.

Ai sensi della disciplina prevista per la rever-sibilità di guerra, pertanto, il familiare superstite maggiorenne di perseguitato politico o razziale deve avere il requisito dell’inabilità a proficuo lavoro, ac-certato a mezzo delle competenti Commissioni me-diche, nonché il requisito reddituale di cui all’art. 70 d.p.r. n. 915/1978.

E in questo senso, deve darsi soluzione al pro-posto quesito, come interpretato da queste Sezioni riunite: “ai fini dell’ottenimento dell’assegno di be-nemerenza di cui all’art. 4 l. n. 261/1967 e succes-sive modifiche e integrazioni, i familiari superstiti di perseguitato devono possedere i requisiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di reversibilità di guerra di cui al d.p.r. n. 915/1978 e successive mo-difiche e integrazioni”.

Per quanto riguarda il regime delle spese del pre-sente giudizio, esse troveranno disciplina da parte del giudice remittente, cui si rinviano gli atti per la definizione del giudizio di merito.

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P.q.m., la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in sede di questione di massima.

Sul quesito proposto dalla Sezione III centra-le d’appello della Corte dei conti, con ordinanza n. 2/2015 del 12 dicembre 2014, quale precisato in par-te motiva, così decide: dichiara l’ammissibilità e la rilevanza del quesito stesso enunciando il seguente principio di diritto:

“Ai fini dell’ottenimento dell’assegno di bene-merenza di cui all’art. 4 della l. n. 261/1967 e suc-cessive modifiche e integrazioni, i familiari superstiti di perseguitato devono possedere i requisiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di reversibilità di guerra di cui al d.p.r. n. 915/1978 e successive mo-difiche e integrazioni”.

28 – Sezioni riunite in sede giurisdizionale; senten-za 18 giugno 2015; Pres. Martucci di Scarfizzi, Est. Smiroldo, P.M. Rebecchi; Proc. reg. Puglia c. D’Atri e altri.

Decide questione di massima sollevata da Sez. giur. reg. Puglia, 29 gennaio 2015, n. 17.

Pubblico ministero contabile – Accertamento dei presupposti dell’azione di responsabilità – Invito a produrre deduzioni – Destinatario dell’invito – Diritto di accesso agli atti dell’i-struttoria – Modalità.

D.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modi-ficazioni dalla l. 4 gennaio 1994 n. 19, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 5.Pubblico ministero contabile – Istruttoria – Vio-

lazioni procedurali – Effetti invalidanti sulla successiva fase processuale – Condizioni.

D.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modi-ficazioni dalla l. 4 gennaio 1994 n. 19, art. 5.

Il pubblico ministero della Corte dei conti che abbia emesso l’invito a produrre deduzioni, inteso quale necessario presupposto della successiva cita-zione in giudizio di responsabilità, è tenuto a con-sentire l’accesso agli atti istruttori ove questi siano richiamati nell’invito a dedurre quali suoi contenuti essenziali; tale facoltà si esercita mediante istanza motivata rivolta al pubblico ministero, che può, al-trettanto motivatamente, respingerla, assentirla in tutto o in parte, o differirla, salvi i limiti legali e fun-zionali connessi alla natura degli atti e alle comples-sive esigenze di riservatezza della fase istruttoria.

La violazione delle norme procedurali relative all’attività istruttoria del pubblico ministero conta-

bile può riflettersi sulla validità dell’atto di citazione in giudizio a condizione che l’interessato dimostri che tale violazione abbia prodotto un effettivo e con-creto pregiudizio del diritto di difesa nel processo.

Ragioni della decisione – 1. In via preliminare, devono essere valutati i profili riguardanti l’ammis-sibilità della proposta questione di massima.

Al riguardo è stato osservato dalla procura ge-nerale che il quesito proposto è centrato sulla con-figurabilità di un diritto d’accesso agli atti istruttori richiamati dal pubblico ministero nell’invito a dedur-re, quando in realtà il riferito contrasto giurispruden-ziale – che renderebbe ammissibile la questione di massima – attiene più propriamente alle conseguen-ze, in termini di invalidità dell’atto introduttivo del giudizio, che si determinano in ragione del diniego all’accesso.

In tale prospettiva, l’eventuale riconoscimento del riferito diritto d’accesso non risulterebbe rilevan-te “in sé”, ma proprio con riferimento alla dichia-razione di inammissibilità della citazione che talune decisioni, in difformità da altre, fanno conseguire al denegato accesso.

Il collegio ritiene che una lettura coordinata del quesito di diritto e della motivazione che lo sostiene consentono di superare le perplessità della procura generale in punto di inammissibilità.

Nel caso in esame, infatti, non si tratta di integra-re la formulazione del quesito di diritto, ma di indi-viduare, secondo i normali paradigmi di interpreta-zione della domanda, il senso e l’esatta portata della questione di massima, quale emerge dalla comples-siva prospettazione della stessa formulata dal giudice a quo (v. Sez. riun., n. 8/2015).

Al riguardo, occorre rilevare che la disamina compiuta dal giudice a quo delle diverse soluzio-ni elaborate dalla giurisprudenza dimostra in modo espresso e chiaro la complessiva portata nella que-stione di massima che si rivela articolata in due que-stioni: la prima, di ordine sostanziale, attinente alla configurabilità e ai limiti di quello che negli atti vie-ne definito come diritto di accesso; la seconda, di na-tura processuale, concernente le eventuali invalidità dell’atto di citazione che conseguono al diniego di ostensione degli atti richiamati nell’invito a dedurre.

Pertanto, in tal senso e con le precisazioni di cui innanzi, la questione di massima è da ritenersi ammissibile e rilevante, potendo quindi essere esa-minato il primo quesito (configurabilità di un diritto d’accesso e in che limiti) la cui soluzione è prope-deutica a quella – eventuale – sul secondo (regime

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processuale delle invalidità derivanti dall’ingiustifi-cato diniego di ostensione).

Ma prima di passare ad affrontare l’esame dei profili sostanziali posti dalla questione di massima, queste Sezioni riunite ritengono necessaria una pre-liminare precisazione terminologica.

Nell’ordinanza di rimessione e negli atti di par-te, così come nella giurisprudenza ivi esaminata, la posizione giuridica soggettiva del soggetto invitato, rispetto alla conoscenza degli atti richiamati nell’in-vito a dedurre, è sempre qualificata come “diritto d’accesso agli atti”.

Si ritiene appena il caso di precisare, al riguar-do, che tale locuzione – seppur utile come formula di sintesi – si rivela impropria se considerata come diretto riferimento alla posizione giuridica soggetti-va radicata dall’art. 22 ss. l. n. 241/1990 e succes-sive modificazioni e integrazioni, regolanti il diritto d’accesso agli atti amministrativi. Infatti, gli atti che confluiscono nel fascicolo istruttorio, in particolare quelli formati dal pubblico ministero, sono atti adot-tati nell’esercizio di funzioni giudiziarie (Corte cost., n. 252/2013), alle quali non può applicarsi la disci-plina prevista per gli atti amministrativi.

2. Passando, quindi, a esaminare il merito del pri-mo profilo della questione di massima, si deve osser-vare che, anche se il diritto positivo effettivamente fornisce indicazioni estremamente laconiche, tutta-via dal sistema ordinamentale possono ritrarsi suf-ficienti indici normativi per ricostruire, ancorché in forma minima ed essenziale, i contenuti delle garan-zie di effettività delle forme di una dialettica succes-siva all’invito, che si rivela prodromica e funzionale alle determinazioni in ordine all’esercizio dell’azio-ne erariale (Sez. riun., n. 7 e n. 14/1998).

Sul punto occorre comunque operare alcune pre-cisazioni preliminari.

È indubbio che l’oggetto della questione di mas-sima – fondamento, contenuto e limiti del diritto di accesso agli atti richiamati dal pubblico ministero nell’invito a dedurre e conseguenze processuali di un immotivato diniego d’ostensione – colloca l’ana-lisi del collegio nel contesto più generale delle forme di manifestazione delle dimensioni di effettività del diritto di difesa. Ma è anche bene sottolineare che il momento nel quale il pubblico ministero notifica l’invito a dedurre si pone prima e fuori del proces-so, che in alcuni casi potrebbe anche non cominciare mai.

Così, richiamare i principi del giusto processo regolato dalla legge ex art. 111 Cost., ovvero, il di-ritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost., quali criteri

ispiratori della disciplina della fase successiva alla notifica dell’invito a dedurre, si rivela tecnicamente prematuro, potendo assumere al massimo una valen-za meramente descrittiva del contesto operativo di riferimento; ciò soprattutto in considerazione del fat-to che la garanzia costituzionale attiene ad una difesa “nel processo” e non “dal processo” (per un’appli-cazione di tale corollario in materia di responsabili-tà amministrativa, v. Corte cost., n. 513/2002), che infatti nella fase successiva alla notifica dell’invi-to a dedurre ancora non esiste (cfr. Corte cost., n. 415/1995; n. 163/1997; n. 513/2002).

Il collegio ritiene del pari improprio l’approccio ermeneutico proposto dalla parte privata, secondo cui – alla stregua di una proposta lettura costituzio-nalmente orientata dell’art. 5, c. 1, l. n. 19/1994 e successive modificazioni e integrazioni, tramite il richiamo all’art. 24 Cost. – un diritto di accesso agli atti dell’istruttoria contabile, successivamente all’e-missione dell’invito a dedurre, troverebbe un sup-porto normativo in analoga disciplina processuale penale, ossia nell’art. 415-bis, c.p.p.

Anche in questo caso, infatti, un possibile con-fronto tra l’istituto dell’invito a dedurre e quello dell’avviso di conclusione indagini è destinato ad arrestarsi ad un piano meramente descrittivo.

Infatti, anche quando in precedenza le Sezioni ri-unite hanno elaborato parallelismi sistematici con la disciplina processualpenalistica, tale confronto non ha comportato un’assimilazione della natura giuridi-ca degli istituti, ma soltanto un paragone descrittivo fondato sulle finalità degli stessi (le Sezioni riunite, n. 7/2003, in materia di applicabilità della sospensio-ne dei termini feriali al termine di 120 giorni previsto dall’art. 5, l. n. 19/1994 per l’emissione dell’atto di citazione, hanno fondato la decisione su di un inter-pretazione costituzionalmente orientata, fondata sui precedenti di Corte cost., n. 268/1993; n. 380/1992; n. 49/1990; n. 255/1987; n.40/1985, che estendeva ai termini, anche sostanziali, per l’esercizio di azio-ni giudiziarie, la sospensione prevista dall’art. 1 l. n. 742/1969).

In realtà, ogni tentativo di applicazione analogi-ca di principi processualpenalistici al giudizio di re-sponsabilità dinanzi alla Corte dei conti si porrebbe, in primo luogo, in patente contrasto con la precisa opzione del legislatore che ha inteso integrare la di-sciplina del giudizio di responsabilità nell’ambito del processo civile.

Il rinvio dinamico contenuto nell’art. 26 r.d. n. 1038/1933, infatti, si fonda su di un essenziale esi-genza sistematica, legata principalmente alla natu-

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ra dell’oggetto della cognizione, la responsabilità amministrativa che, con la sua struttura contrattua-le-extracontrattuale, si inserisce nell’archetipo della responsabilità patrimoniale, a prevalente funzione ri-sarcitoria – recuperatoria (cfr. Corte Edu, 13 maggio 2014, Rigolio v. Italia), in disparte alcune ipotesi di responsabilità sanzionatoria, anch’essa patrimoniale, che comunque non partecipano del carattere afflitti-vo della libertà personale.

A ciò si aggiunga l’evidente diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa (la libertà del singolo e la pretesa punitiva dello Stato ex art. 27 Cost.), e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (pa-trimonio privato ed erariale), valori che conformano, differenziandoli, gli standard delle prove e dei mezzi di ricerca delle stesse, ed in ultima analisi la c.d. “re-gola di giudizio”.

Infatti, durante l’istruttoria contabile si raccolgo-no tutte le fonti di prova, alcune di valore meramente indiziario, che spessissimo possono determinare l’e-sito del giudizio: la distinzione tra elemento, indizio di prova e prova, tende quindi a sfumare, divenendo quasi impalpabile in un processo il cui esito può es-sere determinato anche dall’operare di presunzioni e da canoni di giudizio di natura probabilistica.

Infatti, sempre la differente natura dei valori in gioco nei due tipi di processo (libertà e patrimonio) segna l’essenziale distinzione tra il processo penale e quello civile, che è – come detto – la regola pro-batoria.

Nel processo penale, infatti, vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.; cfr. Cass., S.U., 11 settembre 2002, n. 30328, Fran-zese); nel processo civile vige la regola della pre-ponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” (artt. 115 e 116 c.p.c.; in questo senso v.: Cass., 16 ottobre 2007, n. 21619; 18 aprile 2007, n. 9238; Cass., Sez. lav., 5 settembre 2006, n. 19047; Cass., 4 marzo 2004, n. 4400; 21 gennaio 2000, n. 632; Corte giust. Ce, 13 luglio 2006, n. 295 e 15 febbraio 2005, n. 12), giudizio che si basa sugli elementi di con-vincimento disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana), la cui attendi-bilità va verificata sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).

Ciò posto, l’estensione analogica di disposizioni del codice di procedura penale, che concernono in ultima analisi la tutela processuale della libertà per-sonale, per integrare la disciplina del processo con-tabile di responsabilità che ha, al pari del processo

civile, il patrimonio del soggetto convenuto quale unico oggetto sul quale si riflettono gli effetti della decisione giudiziaria, comporta un’operazione erme-neutica che si pone non in linea col precetto costitu-zionale dell’art. 3 Cost., sottoponendo ad una mede-sima disciplina due situazioni – tutela del patrimonio e tutela della libertà personale – essenzialmente dif-ferenti e distinti.

Chiarito quanto sopra, è quindi possibile passare all’esame del primo quesito posto dalla questione di massima concernente il fondamento del diritto di co-noscere gli atti richiamati nell’invito a dedurre.

Il collegio osserva in primo luogo che, in effetti, il legislatore non ha previsto un autonomo e generale diritto del soggetto interessato dalle indagini del pro-curatore contabile a conoscere il contenuto degli atti raccolti o formati nel corso dell’istruttoria. Ciò ad eccezione della previsione dell’actio nullitatis ante causam prevista all’art. 17, c. 30-ter, d.l. n. 78/2009, nella quale il legislatore, in fase di avvio dell’istrut-toria, e quindi ben prima dell’emissione dell’invito a dedurre, ha realizzato un’anticipazione di processo, sia pur a cognizione limitata alla valutazione della sussistenza dei contenuti di una notizia specifica e concreta (v. sul punto, Corte conti, Sez. riun., n. 11 e n. 12/2011), garantendo in tale fase pienezza del diritto di difesa sul punto.

Il collegio ritiene, come detto, che – ancorché frammentari – sussistano comunque indici normativi positivi sufficienti almeno per individuare un conte-nuto minimo essenziale di tutela dell’interesse alla conoscibilità di atti di indagine richiamati dal pub-blico ministero nell’invito a dedurre.

Per ricostruire l’ordito normativo dal quale svi-luppare – fin dove possibile – il fondamento della tutela alla conoscibilità degli atti indicati nell’invito a dedurre è necessario prendere le mosse da un’ana-lisi preliminare della giurisprudenza costituzionale.

La Corte costituzionale, infatti, pur ribadendo che l’art. 24 Cost. dispiega la pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento ai procedimenti giu-risdizionali (v. ex plurimis, Corte cost., n. 182/2008; n. 289/1992; n. 122 e n. 32/1974), non ha mancato di precisare che il diritto di difesa si riflette comun-que – ancorché in maniera più attenuata – anche in altri contesti operativi, soprattutto nella sua dimen-sione di “patrimonio costituzionale comune” che si sostanzia nella conoscenza degli atti, nella parteci-pazione alla formazione dei medesimi e nella facoltà di contestarne il fondamento e di difendersi dagli ad-debiti (per esempio, sia pure in relazione a fattispe-cie concernenti il procedimento amministrativo: v.

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Corte cost., n. 104/2006; n. 460/2000; n. 505/1995; ovvero tributario: v. Corte giust., 24 ottobre 1996, C-32/1995 P., Commissione Comunità europea c. Li-srestal; Corte giust., 18 dicembre 2008, C-349/2007, Fazenda publica c. Sopropè; Corte giust., 3 luglio 2014, C-129/2013 e 130/2013, Staatssecretaris van Financiën c. Kamino; Cass., S.U., n. 19667/2015 e ord. n. 527/2015).

A tale stregua, allora, esaminando il contesto normativo di riferimento oggetto della questione di massima in esame possono svilupparsi due osser-vazioni.

In primo luogo, appare confermato dalla giuri-sprudenza costituzionale il fatto che la fase pre o extra processuale, in cui si colloca il rapporto pub-blico ministero – invitato, è ancora estranea alla pienezza garantita nel processo del diritto di difesa, anche inteso nella sua accezione di difesa tecnica, che infatti non è ricostruibile, alla stregua del diritto positivo, come una condizione necessaria di regola-rità-validità della fase dialogica pubblico ministero – invitato.

In secondo luogo, può ritenersi che il sistema or-dinamentale – nella prospettiva di una sua attuazione coerente con la Costituzione – garantisca, ancorché in maniera ‘attenuata’, almeno un contenuto minimo essenziale di tutela alla conoscibilità di atti di inda-gine richiamati dal pubblico ministero nell’invito a dedurre (Corte cost., n. 182/2008).

In tale prospettiva, l’art. 5, c. 1, l. n. 19/1994 e successive modificazioni e integrazioni, nella misura in cui riconosce al destinatario dell’invito a dedurre il diritto di formulare proprie deduzioni e di essere sentito personalmente, si presta a costituire il fonda-mento positivo di tale forma di garanzia nell’ambito della responsabilità amministrativa.

Il legislatore ricostruisce, con una tecnica ispi-rata al principio di essenzialità delle forme, una forma minima essenziale di confronto dialogico tra pubblico ministero ed invitato, che mira a creare un primo contatto argomentativo personale, che ha come sostrato di riferimento, da un lato, i contenuti dell’invito, dall’altro lato, quelli delle deduzioni e dell’audizione a richiesta (da non confondersi con quelle disposte dal pubblico ministero ex art. 5, c. 6, lett. c), l. n. 19/1994 e successive modificazioni e integrazioni).

Così, proprio la concatenazione strutturale nor-mativa della sequenza invito-deduzioni e audizioni, comporta la necessità logico-giuridica di una con-trapposizione sul piano contenutistico-funzionale di due atti.

Tale dimensione funzionale del diritto a dedurre e ad essere sentiti consente, allora, di ricomporre a sistema i frammenti normativi posti dall’art. 5, c. 1, l. n. 19/1994 e successive modificazioni e integrazioni, e di ritenere che l’esame degli atti richiamati nell’in-vito non costituisca un diritto nuovo ed autonomo, che si aggiunge a quello di presentare deduzioni o di essere ascoltati personalmente, ma ne costituisca una facoltà, normativamente conformata come impli-cita, che garantisce “l’effetto utile” delle deduzioni ed audizioni personali ed, in ultima analisi, realizza entrambe le finalità proprie della fase dell’invito a dedurre, ossia assicurare la massima completezza istruttoria per ragioni di giustizia ed economia pro-cessuale, e consentire al presunto responsabile di svolgere le proprie argomentazioni al fine di perveni-re eventualmente all’archiviazione (Corte conti, Sez. riun., n. 7 e n. 14/1998).

In tale prospettiva, soltanto qualora la strategia redazionale dell’invito a dedurre comporti una re-latio formale ad un atto il cui contenuto non venga riportato nell’invito, la conoscenza di tale documen-to diverrà funzionale alla formulazione delle dedu-zioni, che sono tipicamente destinate a contrapporsi e, in alcuni casi, ad integrare la prospettazione dei fatti che rappresentano il contenuto minimo essen-ziale dell’invito a dedurre (condotta, riferimento di quest’ultima ad un soggetto, nesso di causalità che lega tale condotta alla conseguenza patrimoniale ne-gativa per l’erario).

In conclusione: la conoscenza degli atti indicati nell’invito a dedurre rappresenta una delle facoltà che conformano normativamente la scelta del legi-slatore di garantire al destinatario dell’invito una for-ma di preliminare contrapposizione dialogica tra le tesi svolte nell’invito e quelle dedotte dall’invitato, che pur non trasformandosi in un momento di con-traddittorio anticipato, assicuri comunque uno ius ad loquendum ex informata conscientia.

3. La richiamata connessione contenutistico – funzionale tra l’invito e le deduzioni ed audizioni a richiesta, conforma anche i contenuti ed i limiti della facoltà di conoscere gli atti che, eventualmente, in-tegrano il contenuto dell’invito a dedurre. E infatti, l’interesse alla conoscenza si qualifica e specifica proprio in relazione agli atti richiamati nell’invito stesso e se, e nella misura in cui, tali atti sono richia-mati, in tal modo rimanendo circoscritto a quest’ul-timi il limite oggettivo d’esercizio della facoltà di conoscenza.

La facoltà di esame incontra anche dei limiti le-gali (segreto, in tutte le sue forme di manifestazione

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e tutela della riservatezza, anche dell’eventuale de-nunciante) e funzionali.

Al riguardo è importante precisare che, sebbene le Sezioni riunite non siano a rigore chiamate a chia-rire i possibili riflessi applicativi dei principi di dirit-to affermati (v. ex plurimis, Corte conti, Sez. riun., n 4/2011), tuttavia, nell’ambito di un più generale prin-cipio di collaborazione giudiziaria che si instaura per la risoluzione di una questione di massima in base alle disposizione dell’art. 1, c. 7, l. n. 19/1994 e suc-cessive modificazioni e integrazioni, e della connes-sa funzione nomofilattica, il collegio ritiene di poter fornire al giudice alcuni elementi di interpretazione che possono essere utili, sul piano meramente esem-plificativo, per la valutazione degli effetti applicativi del principio enunciato.

Ciò premesso, il collegio osserva che i predetti limiti funzionali saranno diretti soprattutto ad evitare domande pretestuose o dilatorie.

Così, sul piano del concreto esercizio di tale facoltà, le istanze di visione presentate al pubblico ministero dovranno essere orientate al rispetto dei principi di pertinenza, adeguatezza, rilevanza e pro-porzionalità della richiesta rispetto alla forma mini-ma essenziale di confronto dialogico tra pubblico ministero ed invitato che – come detto – si instaura con l’invito a dedurre ex art. 5, c. 1, l. n. 19/1994 e successive modificazioni e integrazioni.

A tal riguardo, è bene ricordare che, anche se-condo il principio di vicinanza alla fonte documen-tale (c.d. riferibilità o vicinanza o disponibilità del mezzo di prova, Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 582 e in senso problematico Cass., ord. 3 giugno 2014, n. 12366) i soggetti interessati all’esame degli atti, quando si tratti di atti amministrativi, e quindi non formati direttamente dal pubblico ministero in istrut-toria, possono sempre esercitare preliminarmente il diritto di accesso ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990 e successive modificazioni e integrazioni.

L’istanza presentata può essere accolta, motiva-tamente respinta, in tutto o in parte, ovvero differita, in applicazione dei limiti legali e funzionali connessi alla natura degli atti ed alle complessive esigenze di riservatezza della fase istruttoria, con ciò restando affidata al pubblico ministero una delicata e respon-sabilizzante funzione, in tale fase istruttoria, di pon-derazione degli interessi in gioco.

La verifica di validità del provvedimento del pubblico ministero potrà essere fatta valere, al pari di ogni vizio della fase preprocessuale, nella fase pie-namente processuale iniziata con l’atto di citazione, con pienezza di difese e contraddittorio, senza che la

posizione del presunto responsabile del danno risulti in qualche modo compromessa (v. su questione ana-loga, Corte cost., n. 513/2002).

4. Per quanto precede, il principio di diritto che si enuncia in risposta al primo profilo proposto dalla questione di massima è il seguente: “Sussiste per il destinatario dell’invito a dedurre la facoltà di cono-scere gli atti istruttori se e nella misura in cui sono richiamati nell’invito a dedurre quali contenuti es-senziali dell’atto d’invito.

Tale facoltà si esercita mediante istanza motiva-ta al pubblico ministero che può altrettanto motiva-tamente respingerla, assentirla in tutto o in parte, o differirla, salvi i limiti legali e funzionali connessi alla natura degli atti ed alle complessive esigenze di riservatezza della fase istruttoria”.

5. È ora possibile passare all’esame del secon-do profilo della questione di massima, concernente le conseguenze che derivano da un ingiustificato di-niego di ostensione degli atti richiamati nell’invito a dedurre.

La giurisprudenza esaminata dal giudice a quo propende per ricostruire l’invalidità che affligge la citazione qualora sia stata negata la facoltà di cono-scere i documenti del fascicolo istruttorio richiamati nell’invito a dedurre come un’inammissibilità (cfr. Corte conti, Sez. III centr. app., 20 dicembre 2012, n. 830; Sez. I centr. app., 29 gennaio 2001, n. 13 e Sez. III centr. app., 26 settembre 2000, n. 267; Sez. giur. reg. Puglia, n. 1062/2006, e Sez. giur. reg. Sardegna, n. 1290/2007).

È noto che l’invalidità di un atto processuale è costituita dalla maggiore o minore difformità dello stesso rispetto al modello che lo prevede e, in fun-zione del grado di difformità, si parla di irregolarità, nullità o inesistenza.

L’irregolarità è caratterizzata da una minima dif-formità rispetto al modello, che non pregiudica la validità dell’atto processuale (Cass., 26 agosto 1997, n. 8000), né incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto (Cass., S.U., 6 maggio 1996, n. 4191).

La nullità è costituita da una difformità dell’atto rispetto al modello legale; deve essere prevista dal legislatore e, ove non prevista, può essere dichiarata soltanto se l’atto non raggiunge lo scopo a cui è de-stinato (artt. 156 ss. c.p.c.).

La inesistenza è ravvisata nelle ipotesi in cui l’atto processuale manca totalmente degli estremi e dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo o della figura giuridica considerati (Cass., S.U., n. 9859/1997).

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È del pari noto che, in realtà, l’inammissibilità – con la quale vengono sanzionati determinati atti – non costituisce vizio dell’atto diverso dalla nullità, ma conseguenza di particolari nullità, che si verifica-no con la proposizione dell’appello o del ricorso per cassazione (per l’appello: artt. 325, 327, 329, 334, 342 e 345 c.p.c.; per il ricorso in cassazione: artt. 365, 366 e 371 c.p.c.).

La giurisprudenza della Corte dei conti ha inqua-drato le invalidità dell’atto di citazione, collegate ad anomalie della fase introdotta con l’invito a dedurre, nell’ambito dell’inammissibilità, scelta che si fondava sulla qualificazione, più o meno esplicita, dell’atto di invito a dedurre quale condizione dell’azione erariale.

È noto che tale categoria della dogmatica proces-suale comporta, in caso di mancanza di una condi-zione dell’azione (interesse, legittimazione ad agire, esistenza del diritto fatto valere valutata alla stregua del principio di prospettazione), l’immediata decla-ratoria di inammissibilità degli atti introduttivi dei giudizi di primo grado in quanto, in ragione della loro difformità dal modello legale, impediscono al giudice di conoscere del merito della causa.

A riguardo il collegio osserva che, in realtà, l’in-vito a dedurre a rigore esula da tale categoria della dogmatica processuale, non essendo sempre comun-que una condizione indefettibile per la valida emis-sione di un atto di citazione. Dal combinato disposto dell’art. 48 r.d. n. 1038/1933 e dell’art. 5, c. 5, l. n. 19/1994 in caso di richiesta di sequestro ante causam precedente all’emissione dell’invito a dedurre, l’or-dinanza che accoglie l’istanza cautelare fissa comun-que il termine per l’emissione dell’atto di citazione, anche se l’invito a dedurre non è stato emesso, il ché ne esclude la natura di condizione dell’azione, altri-menti indefettibile.

Tanto premesso, atteso che non esiste una disci-plina legale tipica delle conseguenze delle anomalie della fase istruttoria sul regime di validità dell’atto introduttivo del giudizio, il collegio ritiene di orien-tarsi a qualificare tale invalidità come una nullità ex art. 156, c. 2, c.p.c.

L’inquadramento dell’invalidità in esame nella categoria delle nullità, d’altronde, si pone in linea con la disciplina positiva prevista dall’art. 17, c. 30-ter, d.l. n. 78/2009 per la azione nullità ante causam per difetto di notizia specifica e concreta di danno si rivela un valido indice sistematico di riferimento per poter qualificare, in armonia con tale scelta del legi-slatore, l’invalidità in esame come nullità, con con-seguente applicabilità del relativo regime processua-le di rilevabilità e sanatoria (artt. 156 e 157 c.p.c.).

Infatti, l’art. 17, c. 30-ter, d.l. n. 78/2009, regola e qualifica un’ipotesi di invalidità che, pur radicandosi in un momento e su di un atto – il provvedimento di apertura del fascicolo istruttorio – che rimangono esterni al processo, tuttavia estende i propri effetti sull’atto di citazione comminandone la nullità.

In tale prospettiva, nel caso in esame, la nullità ex art. 156, c. 2, c.p.c., ancorché non espressamente comminata dalla legge, potrà essere dichiarata nella misura in cui la parte dimostri la sussistenza di un effettivo e concreto pregiudizio del diritto di dife-sa nel processo, ossia che l’invalidità conseguente all’immotivato o ingiustificato diniego di ostensione degli atti richiamati nell’invito a dedurre ha assunto un’efficacia (espansiva esterna) invalidante sull’atto di citazione, impedendogli di raggiungere lo scopo di costituire un contraddittorio in condizioni di effet-tiva parità tra le parti.

Tali conclusioni compongono in termini di ragio-nevolezza il sistema di tutela della fase successiva all’invito a dedurre, senza snaturarne l’essenza o tra-valicarne le finalità.

A tal riguardo occorre considerare che il processo tende ad essere la risultante di due componenti: la componente di verità, che tende a coincidere con la giustizia della decisione; la componente economica, che tende a coincidere con quella di certezza e rapidi-tà. La Corte costituzionale ha, sin da epoca risalente, chiarito che “Il giusto processo civile viene celebrato non già per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali tra le parti, ma per rendere pronunce di merito rescrivendo chi ha ragio-ne e chi ha torto: il processo (civile) deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell’azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, né deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che ciò si verifichi, si deve adoperare il giudice” (Corte cost., n. 220/1986).

Inoltre, in un’ideale linea di continuità con la po-sizione di queste Sezioni riunite si pongono le più recenti elaborazioni giurisprudenziali – che hanno trovato un’eco autorevole anche nella sentenza del-le Sezioni unite della Suprema corte del 17 febbraio 2009, n. 3758 – secondo cui la lesione delle norme processuali non è invocabile in sé per sé, essendo vi-ceversa sempre necessario che la parte che deduce sif-fatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima (v., sia pure in relazione a fattispecie diverse, le sent. 18 luglio 2008, n. 19942; 7 ottobre 2010, n. 20811). Sempre le Se-

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zioni unite hanno affermato (sent. 23 febbraio 2010, n. 4340), ad esempio, che in materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragio-nevole durata del processo e di interesse ad agire si de-sume quello per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 4), non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio. Da ciò quella pronuncia ha tratto la conclusione per cui, ove la parte proponga ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza im-pugnata per non aver avuto la possibilità di replicare, con apposita memoria, alla comparsa conclusionale dell’avversario, a causa della morte del proprio pro-curatore, essa ha l’onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre per contrastare quelle della controparte ovvero le istanze, le modifiche o le deduzioni che si sarebbero volute presentare, nonché il pregiudizio derivato da siffatta carenza di attività processuale.

6. Per quanto precede, il principio di diritto che si enuncia in risposta al secondo profilo proposto dalla questione di massima è il seguente: “la lesione conseguente alla violazione delle norme procedura-li della fase istruttoria non è invocabile in sé e per sé. È sempre necessario – per rispettare i principi di economia dei mezzi giuridici anche processuali di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire – che la parte che deduce siffatta violazione dimostri la sussistenza di un effettivo e concreto pregiudizio del diritto di difesa nel processo con-seguente alla violazione medesima. Soltanto in tale prospettiva può affermarsi che un’invalidità riferita ad un atto della fase istruttoria, che vulnera le finali-tà proprie dell’invito a dedurre, può estendere il pro-prio effetto lesivo sull’atto introduttivo del processo di responsabilità, determinandone la nullità – totale o parziale – rilevabile dal giudice ad istanza della parte interessata”.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, così decide in ordine alla questione di massima proposta, enunciando il seguente princi-pio di diritto:

- sussiste per il destinatario dell’invito a dedurre la facoltà di conoscere gli atti istruttori se e nella mi-sura in cui sono richiamati nell’invito a dedurre quali contenuti essenziali dell’atto d’invito;

- tale facoltà si esercita mediante istanza moti-vata al pubblico ministero che può altrettanto moti-vatamente respingerla, assentirla in tutto o in parte, o differirla, salvi i limiti legali e funzionali connessi

alla natura degli atti ed alle complessive esigenze di riservatezza della fase istruttoria;

- la lesione conseguente alla violazione delle nor-me procedurali della fase istruttoria non è invocabile in sé e per sé. È sempre necessario – per rispetta-re i principi di economia dei mezzi giuridici, anche processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire – che la parte che deduce siffatta violazione dimostri la sussistenza di un effettivo e concreto pregiudizio del diritto di difesa nel proces-so conseguente alla violazione medesima. Soltanto in tale prospettiva può affermarsi che un’invalidità riferita ad un atto della fase istruttoria, che vulnera le finalità proprie dell’invito a dedurre, può estende-re il proprio effetto lesivo sull’atto introduttivo del processo di responsabilità, determinandone la nullità – totale o parziale –, rilevabile dal giudice ad istanza della parte interessata.

* * *

Sezioni riunite in sede giurisdizionale(in speciale composizione)

12 – Sezioni riunite in sede giurisdizionale (in spe-ciale composizione); sentenza 31 marzo 2015; Pres. Martucci di Scarfizzi, Est. Cirillo, P.M. Auriemma; Federazione italiana cronometristi c. Istat e altri.

Processo contabile – Federazioni sportive affi-liate al Coni – Inserimento nell’elenco Istat 2015 degli enti compresi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione – Norme statali di contenimento della spesa pubblica – Applicazione alle federazioni spor-tive – Differimento al 2016 – Interesse ad im-pugnare l’inserimento nell’elenco Istat 2015 – Sussistenza.

D.l. 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modi-ficazioni dalla l. 27 febbraio 2015 n. 11, proroga di termini previsti da disposizioni legislative, art. 13.Processo contabile – Impugnazione dell’elenco

Istat degli enti compresi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione – Vizi del procedimento di formazione dell’elen-co – Irrilevanza.

L. 31 dicembre 2009 n. 196, legge di contabilità e finanza pubblica, art. 1; l. 24 dicembre 2012 n. 228, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013), art. 1, c. 169.

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Contabilità dello Stato e pubblica in genere – Fe-derazioni sportive nazionali affiliate al Coni – Inserimento nell’elenco Istat degli enti com-presi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione – Legittimità.

L. 31 dicembre 2009 n. 196, art. 1.

Sussiste l’interesse delle federazioni sportive af-filiate al Coni, al 10 gennaio 2016 (art. 13 d.l. n. 192/2014, convertito dalla l. n. 11/2015) ad impu-gnare il loro inserimento, per il 2015, nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche, i cui bilanci concorrono a formare il conto consolidato della pubblica amministrazione, se l’applicazione delle norme di contenimento della spesa previste dalla legislazione vigente a carico degli enti inclusi, sia differita al 2016. (1)

I vizi formali relativi all’inserimento nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche, i cui bilan-ci concorrono a formare il conto consolidato della pubblica amministrazione di formazione dell’elenco rilevano non in sé, ma in quanto si riflettano in vizi di merito attinenti ai presupposti per l’inclusione dell’ente ricorrente nell’elenco stesso. (2)

È legittima l’inclusione di una federazione spor-tiva nazionale nell’elenco Istat degli enti compresi nel conto economico consolidato della pubblica am-ministrazione, ove risulti che essa abbia i caratteri per essere qualificata, ai sensi del Sec 2010, come istituzione senza scopo di lucro controllata e finan-ziata in via principale da un’amministrazione pub-blica, agendo quale produttore di beni e servizi non destinabili alla vendita (nella specie, tali caratteri sono stati ravvisati in capo alla Federazione italiana cronometristi). (3)

Diritto. – 1. Vanno anzitutto esaminate alcune questioni di rito.

1.1. In primo luogo, nella presente decisione non si esaminano le questioni preliminari o pregiudizia-

(1-3) Non constano precedenti nei termini di cui alle mas-sime.

In tema di impugnazione dell’inserimento di enti nell’e-lenco Istat delle pubbliche amministrazioni comprese nel con-to economico consolidato, v. Corte conti, Sez. riun. (spec. comp.), 19 dicembre 2014, n. 63, in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 212, con nota di richiami; 11 luglio 2013, n. 3, e 27 no-vembre 2013, n. 7, entrambe ivi, 2013, fasc. 5-6, 258.

In dottrina, v. F.G. Grandis e G. Mattei, L’elenco Istat e la nozione di “pubblica amministrazione”, ivi, 2014, fasc. 1-2, 523; S. Del Gatto, Sistema “Sec95” ed elenco Istat. Sull’in-certo confine della sfera pubblica, in Giornale dir. amm., 2013, 960.

li relative ai ricorsi (come quello in esame) avverso l’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni, pro-posti ai sensi dell’art. 1, c. 169, l. 24 dicembre 2012, n. 228. Infatti, tali questioni non sono oggetto di con-testazione tra le parti e sono state già risolte dalla sentenza di queste Sez. riun. n. 7/2013/Ris, deposi-tata il 27 novembre 2013, alla quale si rinvia in me-rito al rito applicabile ed all’insussistenza di termini perentori per proporre il ricorso qui in esame, fatti salvi gli intrinseci limiti temporali (nella concreta fattispecie rispettati) propri dell’interesse ad agire, il quale non può sussistere oltre la vigenza dell’elenco Istat impugnato (ovvero oltre l’anno di riferimento dell’elenco stesso; nella concreta fattispecie, l’anno 2015, ancora in corso).

1.2. Peraltro, stante che la predetta sentenza (così come altre, in specie la sent. n. 16/2014/Ris, depo-sitata il 6 maggio 2014) ha chiarito che un interesse ad agire concreto ed attuale è comunque imprescin-dibile presupposto dell’ammissibilità del ricorso in esame (ai sensi del combinato disposto degli artt. 26 r.d. n. 1038 del 13 agosto 1933 e 100 c.p.c.), occor-re un approfondimento in merito a tale condizione dell’azione, anche in relazione alle eccezioni formu-late dalla procura generale circa l’insussistenza dei presupposti per la istanza cautelare.

1.2.1. Premesso che la parte ricorrente ha in udienza rinunziato alla istanza cautelare di sospen-siva dell’elenco Istat, senza alcuna opposizione delle controparti, va rilevato che in relazione a tale istanza la procura generale ha negato l’esistenza di fumus boni iuris (apparente fondatezza della pretesa azionata) e di periculum in mora (pericolo di dan-no implicito nella durata del giudizio), invocando la recente disposizione dell’art. 13 d.l. 31 dicembre 2014, n. 192 (entrato in vigore nello stesso giorno e convertito dalla l. 27 febbraio 2015, n. 11, dopo la discussione del presente giudizio), che ha disposto quanto segue: “È differita al 10 gennaio 2016 l’ap-plicazione alle federazioni sportive nazionali affi-liate al Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) delle norme di contenimento delle spese previste dal-la legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell’elenco dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 l. 31 dicembre 2009, n. 196 e successive modificazioni”.

In sostanza, nella prospettiva del pubblico mi-nistero, la circostanza che gli effetti dell’inclusione nell’elenco siano stati differiti all’esercizio finan-ziario 2016 eliderebbe ogni interesse ad agire della ricorrente Federazione italiana cronometristi (d’ora in avanti “Ficr”), essendo venuta meno per il 2015

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qualsivoglia penalizzazione o difficoltà operativa, ed essendo stato assicurato alla Federazione un tempo più che adeguato per provvedere a riprogrammare le proprie attività “in ossequio ai non eludibili e solo differiti obblighi di legge”; senza contare che – sempre secondo la procura generale – tale disposi-zione di differimento sarebbe un’espressa conferma legislativa della legittimità dell’inclusione in elenco Istat delle federazioni sportive nazionali (comunque effettuata in stretta aderenza ai presupposti del Sec 2010).

1.2.2. In merito a tali questioni – dato atto che l’art. 13 d.l. n. 192/2014 non presuppone l’inclusio-ne, ma solo l’includibilità delle federazioni sportive nell’elenco Istat (il decreto legge prevede solo che le federazioni sportive incluse nell’elenco Istat non si-ano assoggettate alla disciplina vincolistica, non che esse debbano necessariamente essere tutte incluse) – rileva il collegio che tale disposizione prevede un differimento delle sole “norme di contenimento del-le spese” collegate all’inclusione nell’elenco Istat; laddove la legislazione nazionale vigente collega all’inserimento nell’elenco Istat non solo vincoli e ri-duzioni di spesa (cfr. svolgimento del processo, par. 1.2.2 lett. a), ma anche oneri procedimentali finaliz-zati alla finanza pubblica, in specie obblighi in mate-ria di adozione di atti e di informativa sulla gestione del bilancio (cfr. svolgimento del processo, par. 1.2.2 lett. b, aa) ed obblighi procedimentali nello svolgi-mento dell’attività istituzionale (cfr. svolgimento del processo, par. 1.2.2 lett. b, bb).

Pertanto, dato che la norma sopravvenuta non differisce tutti gli effetti dell’inserimento nell’elenco Istat (a solo titolo esemplificativo, si pensi ai termini di adozione del bilancio e del budget ex artt. 1-24 d.lgs. n. 91/2011, alle comunicazioni di dati di bi-lancio e finanziari al Mef ex art. 18 d.l. n. 78/2009 convertito dalla l. n. 102/2009 ed artt. 14 e 15 l. n. 196/2009, alla fatturazione elettronica attiva e passi-va ex art. 25 d.l. n. 66/2014, in relazione all’art. 1, c. 209, l. n. 244/2007, al monitoraggio dei debiti delle pubblica amministrazione e alla certificazione dei debiti ex art. 27 d.l. n. 66/2014), almeno sotto questo profilo sussiste certamente un concreto e attuale in-teresse a ricorrere della Ficr.

2. Nel merito del giudizio, la ricorrente Ficr ha impugnato il comunicato Istat pubblicato sulla Gaz-zetta ufficiale, serie generale, n. 210 del 10 settem-bre 2014 (ed ogni atto connesso, presupposto e con-sequenziale a quello impugnato) nella parte in cui ha incluso la stessa federazione nell’“elenco delle amministrazioni pubbliche” (voce “amministrazio-

ni centrali” sottovoce “enti produttori di servizi as-sistenziali, ricreativi e culturali”) inserite nel conto economico consolidato, individuate ai sensi dell’art. 1, c. 3, l. 31 dicembre 2009, n. 196.

In particolare, la parte ricorrente contesta sia vizi formali dell’elenco Istat, ovvero violazione di nor-me sul procedimento e sui requisiti dell’atto ammi-nistrativo, sia vizi sostanziali, ovvero la mancanza dei presupposti dettati dalla normativa comunitaria per la qualificazione della federazione come ammi-nistrazione pubblica, e quindi per il suo inserimen-to nell’elenco delle pubbliche amministrazioni. Tali motivi di ricorso vanno separatamente esaminati.

3. La parte ricorrente lamenta anzitutto diverse il-legittimità formali dell’elenco Istat, sostanzialmente tutte riconducibili all’omessa motivazione (art. 3 l. n. 241/1990), all’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7 l. n. 241/1990), ed all’eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento, difetto di istruttoria ed illogicità del provvedimento.

3.1. In particolare, la parte ricorrente invoca a sostegno delle sue richieste una serie di circostanze di fatto che dimostrerebbero – oltre ai predetti vizi formali e procedimentali – la mancanza di prova dei presupposti per l’inserimento della Ficr nell’elenco Istat, in specie della qualità di “pubblica amministra-zione”. In questa sede, tali circostanze vengono esa-minate solo sotto il profilo di eventuali vizi formali e/o procedimentali dell’atto amministrativo impu-gnato, mentre la loro rilevanza come prova dell’in-sussistenza della qualità di “pubblica amministrazio-ne” verrà oltre esaminata (cfr. infra, sub par. 4 ss.).

3.1.1. In primo luogo, la federazione ricorrente evidenzia di essere stata esclusa da tutti gli elenchi Istat anteriori al 2014 (a parte l’elenco del 2010, annullato dal Tar), per la mancanza dei presupposti sostanziali per l’inserimento, in specie la natura pub-blicistica dell’ente (cfr. par. 4 ss.); il che dimostre-rebbe un difetto di motivazione del nuovo elenco o quanto meno una sua contraddittorietà rispetto agli anni pregressi.

A tali considerazioni l’Avvocatura dello Stato (costituita per l’Istat) e la procura generale replica-no che ben può una stessa unità istituzionale essere inserita nell’elenco in un anno e non in un altro, dato che la valenza solo annuale dell’elenco Istat implica la necessità di un suo aggiornamento annuale con va-lutazioni ex novo, e quindi rende irrilevanti le valu-tazioni effettuate negli anni precedenti (come deciso dalla Sez. III-quater del Tar Lazio con la sent. 12 luglio 2011, n. 6212, riferita proprio alla Ficr, e da queste Sezioni riunite con la sent. n. 7/2013); senza

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contare, poi, la generale facoltà di revoca e di annul-lamento in autotutela della pubblica amministrazio-ne (come eccepito dal pubblico ministero), nonché la circostanza che nella concreta fattispecie l’omesso inserimento della ricorrente negli elenchi successivi al 2010 era dipeso solo dall’annullamento del Tar (ed infatti negli elenchi si precisava che pendeva appel-lo al Consiglio di Stato) e la circostanza che il Sec 2010 aveva innovato nella materia, imponendo nuo-ve valutazioni (come eccepito dall’Avvocatura dello Stato).

3.1.2. In secondo luogo, la parte ricorrente affer-ma sussistere una disparità di trattamento con altre federazioni sportive, non incluse nell’elenco (per giunta senza motivazione, mancando una nota espli-cativa allegata all’elenco stesso), benché esse fosse-ro in una situazione analoga a quella della Ficr.

Sia l’Avvocatura dello Stato sia la procura ge-nerale replicano, da un lato, che non vi è prova o indizio in atti di tale disparità di trattamento (ovve-ro documentazione da cui risulti che gli enti esclusi, all’esito della raccolta dei dati statistici, fossero in situazioni analoghe a quella della federazione ricor-rente, quanto ai requisiti per l’inserimento nell’elen-co); dall’altro, che comunque eventuali illegittimità commesse a favore delle federazioni escluse non po-trebbero essere invocate dalla ricorrente per ottenere un trattamento altrettanto illegittimo (come afferma-to nella sentenza del Tar Lazio da ultimo citata).

3.1.3. In terzo luogo, la parte ricorrente lamenta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimen-to (in violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990), l’omes-sa motivazione del provvedimento (in violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990), e l’omessa istruttoria (che comporterebbe, oltre all’illogicità del provvedimen-to, la mancanza di prova dei presupposti per l’inse-rimento della ricorrente nell’elenco, questione oltre esaminata).

L’Avvocatura dello Stato e la procura generale non negano tali circostanze di fatto, ma ritengono che l’omessa comunicazione dell’avvio del proce-dimento, il difetto di istruttoria e la omessa moti-vazione del provvedimento non abbiano autonomo rilievo, trattandosi di un atto meramente certificativo e vincolato a precisi parametri di legge, e quindi non abbisognevole di apposita istruttoria (Cons. Stato, 18 novembre 2012, n. 6014; Tar Lazio, Sez. III-quater n. 1938/2008, Corte conti, Sez. riun. n. 63/2014). In particolare, l’Avvocatura dello Stato sostiene che non vi è l’obbligo di comunicare l’avvio del procedi-mento a soggetti che siano destinatari di effetti solo indiretti e riflessi dell’atto (citando in tal senso Cons.

Stato, Sez. IV, n. 1234/1997), e che ciò avverrebbe nel caso in esame, in cui l’elenco Istat viene redatto a fini diversi e statistici e gli effetti legali sugli enti inclusi sono solo indiretti (in tal senso si citano Cons. Stato, Sez. VI, n. 6014/2012 e ord. n. 3695/2008; Tar Lazio, n. 1938/2009).

3.1.4. Infine, la parte ricorrente lamenta un difetto di istruttoria, che oltre a non consentire una adeguata difesa in giudizio, determinerebbe una intrinseca il-logicità dell’atto impugnato (oltre alla mancanza di prova dei requisiti per l’inserimento della Ficr nell’e-lenco, questione oltre esaminata).

Infatti, i documenti esibiti a seguito di richiesta di accesso agli atti (sulla base dei quali deve ritener-si che l’Istat abbia predisposto l’elenco impugnato) non sarebbero utili a fondare una valutazione della sussistenza dei requisiti per l’inclusione della Ficr nell’atto impugnato, in quanto:

a) i “principi fondamentali” del Coni, approvati l’11 giugno 2014, dovrebbero ancora essere recepiti negli statuti federali;

b) lo statuto del Coni, approvato sempre l’11 giu-gno 2014, sarebbe stato pubblicato solo a settembre 2014 (dopo l’approvazione dell’amministrazione vi-gilante), e quindi non poteva essere stato considerato per la redazione dell’elenco Istat, pubblicato il 30 settembre 2014;

c) i modelli Istat “Riddcue” del 2012 – inviati dalla Ficr per motivi statistici – si riferivano ad an-nualità pregresse al 2013 (2011-2012), anno di rife-rimento per l’elenco Istat del 2014; e non vi sarebbe prova di una valutazione dell’Istat sui dati del 2013, del resto assenti perché in quell’anno la Ficr non era nemmeno inserita negli elenchi.

A queste contestazioni, il pubblico ministero re-plica:

- in generale, che il diritto alla difesa della federa-zione ricorrente è stato in concreto garantito dall’ac-cesso alla documentazione amministrativa, e dalla facoltà di agire e di produrre qualsivoglia prova nel presente giudizio, nella pienezza del contraddittorio;

- in particolare, che il Sec 2010 presuppone un necessario scostamento temporale tra la redazio-ne dell’elenco e le rilevazioni statistiche poste alla sua base (in quanto l’elenco va redatto mesi prima dell’anno di riferimento ex art. 5 reg. Ue n. 549/2013), senza contare che (come eccepito dall’Avvocatura dello Stato) le rilevazioni statistiche ai fini del Sec devono abbracciare periodi ultrannuali e fondarsi sui dati più recenti disponibili; inoltre, i dati necessari per la valutazione possono comunque essere desunti anche da fonti amministrative diverse, e poi “trasfor-

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mati” per utilizzarli ai fini del Sec e della contabilità economica nazionale.

3.2. Le circostanze portate a sostegno dei predetti motivi di ricorso risultano di dubbia rilevanza e fon-datezza nel caso concreto, alla luce delle condivisibi-li eccezioni dell’Istat e della procura generale sopra riportate circa l’insussistenza nel caso concreto di profili di contraddittorietà, disparità di trattamento o illogicità dell’elenco per difetto di istruttoria (cfr. su-pra, sub par. 3.1.1, par. 3.1.2, par. 3.1.4). Viceversa, circa i vizi formali e procedimentali dell’atto (cfr. su-pra, sub par. 3.1.3), anticipando quanto meglio pre-cisato infra (sub par. 4 ss.), occorre evidenziare che il nuovo Sec 2010 rende legittimo dubitare della natura “meramente certificativa” e “vincolata” dell’elenco Istat, la quale – secondo la giurisprudenza formatasi nella vigenza del Sec95, sia del giudice amministra-tivo (cfr. svolgimento del processo, par. 3.2.2 in fine) sia di queste Sezioni riunite (n. 63/2014) – impor-rebbe di ritenere superfluo il rispetto delle norme sul procedimento amministrativo. Infatti, ai fini della individuazione del “controllo” (presupposto dell’in-serimento di una istituzione senza fini di lucro tra le “pubbliche amministrazioni”) il Sec 2010 prevede espressamente una attività “valutativa” dell’Istat in base ad “indicatori”; attività che, se indubbiamente non ha connotati di discrezionalità amministrativa (in quanto non implica bilanciamento di interessi, ma valutazione tecnico-economica: cfr. infra, sub par. 4.1) tuttavia implica quanto meno una discre-zionalità tecnica che impone una scelta dei criteri di valutazione e un’attività procedimentale prima su-perflue (cfr. infra, sub par. 4 ss., specialmente par. 4.6.3).

Peraltro, come evidenziato da queste Sezioni riunite, ab imis, con sent. n. 7/2013, la giurisdizio-ne della Corte dei conti in materia di impugnazione degli elenchi Istat, attribuita dall’art. 1, c. 169, l. n. 228/2012 (il quale richiama la materia della conta-bilità pubblica di cui all’art. 103, c. 2, Cost.), non si configura quale giurisdizione sui vizi dell’atto, poi-ché comporta “una cognizione piena sulla sussisten-za dei requisiti richiesti dall’ordinamento per l’inclu-sione nel novero delle amministrazioni pubbliche”. In altri termini, oggetto della cognizione di questa Corte nella materia in questione – riconducibile alle attribuzioni in materia di contabilità pubblica ex art. 103 Cost. – è l’accertamento della qualità di “am-ministrazione pubblica” in capo ad una determina-ta “unità istituzionale”; una qualità che – ai sensi dell’art. 1, cc. 1 e 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196 – da un lato implica l’obbligo di “concorrere al persegui-

mento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione europea”, dall’altro va individuata sulla base degli “specifici regolamenti dell’Unione europea” (ovvero il Sec: cfr. Sez. riun., n. 16/2014). Viceversa, la mera illegittimità formale o procedimentale dell’atto che accerta tale qualità non può essere oggetto di pronunzia di questa Corte.

Ne consegue che in questa sede rileva solo l’ac-certamento dei requisiti per l’inserimento della Ficr nell’elenco Istat (ovvero per l’attribuzione della qua-lità di “pubblica amministrazione”), mentre non rile-va l’accertamento dei vizi formali o procedimentali dell’elenco Istat (anche sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità o altre violazioni delle norme sul procedimento), che possono beninteso astrattamente sussistere, ma non sono presupposti della pretesa azionabile nel presen-te giudizio.

In conclusione, le doglianze afferenti ai suddetti profili di illegittimità non possono trovare accogli-mento.

4. Quanto invece ai vizi sostanziali dell’elenco Istat, ovvero alla mancanza dei requisiti per qualifi-care la federazione come “amministrazione pubbli-ca”, va anzitutto precisato che – ai sensi dell’art. 1, cc. 1 e 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196 – tale qualità va individuata sulla base degli “specifici regolamen-ti dell’Unione europea” (ovvero il Sec), laddove a tal fine le fonti interne possono avere tutt’al più una funzione integrativa (in tal senso, cfr. Sez. riun., n. 16/2014).

Pertanto, ai fini dell’attribuzione della qualità di “pubblica amministrazione” sono irrilevanti le considerazioni della parte ricorrente, fondate sul-la normativa sportiva e nazionale (art. 15 d.lgs. n. 242/1999, statuti ed altro), che prevede la natura privatistica e l’autonomia delle federazioni sportive, nonché l’irrilevanza della contribuzione pubblica, ed in quest’ottica disciplina i rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento interno, nonché i rapporti tra federazioni, Coni e Cio (cfr. svolgimento del pro-cesso par. 1.3). A tali fini, rileva invece la “specifica” normativa comunitaria in materia di contabilità eco-nomica (il Sec), in specie l’allegato A del regolamen-to Ue n. 549 del 21 maggio 2013 (contenente il nuo-vo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione europea), che fissa principi contabili in parte ripresi dalla normativa previgente (c.d. Sec95, approvato con regolamento Ce n. 2223/1996, e suc-cessive modificazioni), in parte innovativi e di più complessa attuazione.

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4.1. Anzitutto, dal punto di vista ermeneutico, re-sta fermo che i concetti espressi nel Sec 2010 sono di tipo statistico-economico, e quindi operativi e fo-calizzati sulla descrizione del processo economico in termini monetari e facilmente leggibili (par. 1.20 lett. b, d, g, par. 1.28; in precedenza cfr. par. 1.05 del Sec95), e che essi normalmente differiscono dai corrispondenti concetti amministrativi (par. 1.20 lett. e, par. 1.25; in precedenza cfr. par. 1.10 Sec95); così come resta sostanzialmente inalterato il concetto di “unità istituzionale” (“entità economica caratteriz-zata da autonomia di decisione nell’esercizio della propria funzione principale” cfr. par. 2.12).

4.2. Viceversa, innovazioni significative si ri-scontrano già nella definizione di “produzione di beni e servizi destinabili alla vendita”, centrale – come oltre precisato – per qualificare un soggetto economico come produttore privato o come ammi-nistrazione pubblica. Infatti, sebbene la produzione per la vendita continui ad essere caratterizzata dalla sua offerta a “prezzi economicamente significativi” (par. 3.18 lett. a), tuttavia nel nuovo Sec si presume l’esistenza di tali prezzi solo qualora il rapporto tra “ricavi delle vendite” e “costi di produzione” sia pari almeno al 50 per cento in un periodo pluriennale (cfr. par. 3.19 e 3.32), laddove in precedenza occorreva che fosse superiore al 50 per cento (cfr. par. 3.19 e 3.32); e soprattutto si prevedono la possibilità di va-lutare la “destinazione alla vendita di beni e servizi” sulla base non solo del criterio quantitativo, ma di “vari” criteri (cfr. par. 3.32, diverso dal par. 3.32 del Sec95, che faceva riferimento solo al criterio quan-titativo), nonché una serie di precisazioni sulle mo-dalità di valutazione dei ricavi da vendite e dei costi solo in parte sovrapponibile a quella previgente, ad esempio il computo degli interessi passivi “netti” tra i costi (cfr. par. 3.32 ss. del Sec ed i corrispondenti par. 3.32 ss. del Sec95).

4.3. Analogamente, la definizione generale di “amministrazione pubblica” risulta in parte modi-ficata nel Sec 2010, in quanto esso continua a pre-vedere che le unità istituzionali appartenenti al set-tore “amministrazione pubblica” si caratterizzino in ogni caso per essere “produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita”, ma non prevede più come requisito il finanziamento “prevalente” da parte di soggetti appartenenti ad altri settori (cfr. par. 2.111: il settore amministrazioni pubbliche (S.13) viene de-finito come l’insieme delle “unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destina-bili alla vendita, la cui produzione è destinata a con-sumi collettivi e individuali e sono finanziate da ver-

samenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori, nonché dalle unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese.”); requisito in-vece esattamente previsto nel Sec95 (cfr. par. 2.68: “tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita (cfr. par. 3.26) la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità apparte-nenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese”).

4.4. Inoltre, nell’ambito del settore delle “ammi-nistrazioni pubbliche”, il par. 2.112 del Sec 2010 pre-cisa meglio del Sec95 le varie tipologie di unità isti-tuzionali, distinte in “unità pubbliche che in forza di una legge esercitano un potere giuridico su altre uni-tà nel territorio economico e gestiscono e finanziano un insieme di attività, principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabi-li alla vendita” (lett. a), “società o una quasi/società (…) controllate da un’amministrazione pubblica” (lett. b), “istituzioni senza scopo di lucro riconosciu-te come entità giuridiche indipendenti (…) control-late da amministrazioni pubbliche” (lett. c) e “fondi pensione autonomi se la contribuzione è obbligatoria e le amministrazioni pubbliche gestiscono i fondi per quanto concerne la fissazione e l’approvazione dei contributi e delle prestazioni” (lett. d).

4.5. Ancora, nel definire le “istituzioni senza fine di lucro” private, il Sec 2010 individua i requisiti per classificare tali unità nel settore delle pubbliche am-ministrazioni, distaccandosi in maniera significativa dalle previsioni del Sec95.

4.5.1. Invero, la definizione generale delle istitu-zioni private senza scopo di lucro è sostanzialmen-te sovrapponibile a quella del Sec95. Infatti, esse sono definite come “organismi senza scopo di lucro che sono entità giuridiche distinte al servizio delle famiglie e sono produttori privati di beni e servizi non destinabili alla vendita. Le loro risorse deriva-no principalmente da contributi volontari in denaro o in natura versati dalle famiglie nella loro funzione di consumatori, da pagamenti effettuati dalle ammi-nistrazioni pubbliche e da redditi da capitale.” (par. 2.129); ovvero, come “entità giuridiche o sociali fi-nalizzate alla produzione di beni e servizi, il cui sta-tus non consente loro di rappresentare una fonte di reddito, di utile o di altro provento finanziario per le unità che le hanno fondate o che le controllano o le finanziano. Se le loro attività produttive com-

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portano la formazione di eccedenze, di queste non possono appropriarsi altre unità istituzionali.” (par. 3.31 secondo cpv.). Pertanto, prima caratteristica di tali enti (a parte ovviamente la mancanza di fini di lu-cro) è la produzione di beni e servizi non destinabili alla vendita (tale caratteristica era prevista anche nel previgente Sec95, sempre al par. 3.31); nel caso in cui una istituzione senza fini di lucro produca beni e servizi destinabili alla vendita essa va invece classifi-cata come società, finanziaria o non finanziaria (par. 3.31 terzo cpv.).

4.5.2. Tuttavia, il Sec 2010 prevede che “un’i-stituzione senza scopo di lucro privata è classificata nel settore delle istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie” (ricomprese nel settore S15) “se si configura come produttore di beni e servizi non destinabili alla vendita e non è controllata dalle amministrazioni pubbliche” (par. 3.31 terzo cpv.), e propone un’esemplificazione di tali unità istituziona-li (comprensiva di sindacati, associazioni di consu-matori, Ipab, circoli ricreativi e sportivi e simili: cfr. par. 2.130 terzo cpv.). Per converso, ovviamente, il Sec 2010 prevede che “Le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie che producono beni e servizi non destinabili alla vendita e che sono con-trollate dalle amministrazioni pubbliche sono clas-sificate nel settore delle amministrazioni pubbliche” (par. 2.130 secondo cpv., par. 3.31 terzo cpv.)

In altri termini, per qualificare una istituzione senza fine di lucro privata come “amministrazione pubblica”, il Sec 2010 prevede ancora il requisito del “controllo pubblico” (cfr. par. 2.112 lett. c, par. 2.130, par. 3.31, par. 20.13), ma non prevede più come autonomo requisito il “finanziamento pubbli-co prevalente”, diversamente dal previgente Sec95 (che al par. 2.69 lett. b ed al par. 3.28 classificava come pubbliche amministrazioni “le istituzioni sen-za scopo di lucro che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, che sono con-trollate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche”); con la conseguenza di un ampliamento delle istituzioni senza fini di lucro qualificabili come “pubblica amministrazione”.

4.6. Inoltre, il nuovo Sec introduce precisazioni e innovazioni anche riguardo al concetto di controllo pubblico sulle istituzioni senza fine di lucro.

4.6.1. Infatti, fermo restando che “per controllo si intende la capacità di determinare la politica ge-nerale o il programma di una unità istituzionale” (par. 1.36 e par. 20.15 Sec 2010, corrispondenti al par. 2.26 del Sec95), il nuovo Sec introduce ex novo (al par. 2.39) una serie di “indicatori di controllo”

per “le istituzioni senza scopo di lucro riconosciute come entità giuridiche indipendenti”, precisando che essi “sono i seguenti:

a) nomina di funzionari;b) messa a disposizione di strumenti che consen-

tano l’operatività;c) accordi contrattuali;d) grado di finanziamento;e) grado di esposizione al rischio dell’ammini-

strazione pubblica.Come nel caso delle società, un solo indicatore

potrebbe essere talvolta sufficiente per stabilire il controllo, ma in altri casi più indicatori distinti pos-sono collettivamente attestare il controllo”.

Più dettagliatamente, al par. 20.15 il Sec 2010 specifica che “Il controllo di un’istituzione senza scopo di lucro è definito come la capacità di deter-minarne la politica generale o il programma. L’inter-vento pubblico in forma di regolamentazione gene-rale applicabile a tutte le unità che svolgono la stessa attività non è rilevante per decidere se una singola unità sia controllata dall’amministrazione pubblica. Per stabilire se un’istituzione senza scopo di lucro sia controllata dall’amministrazione pubblica occor-re considerare i cinque indicatori di controllo che seguono:

a) nomina dei funzionari;b) altre disposizioni come gli obblighi contenuti

nello statuto dell’istituzione senza scopo di lucro;c) accordi contrattuali;d) grado di finanziamento;e) esposizione al rischio.Un unico indicatore può essere sufficiente per

stabilire il controllo. Tuttavia, se un’istituzione senza scopo di lucro finanziata principalmente dall’ammi-nistrazione pubblica conserva in misura significativa la capacità di determinare la sua politica o il suo pro-gramma lungo le linee definite dagli altri indicatori, non viene considerata controllata dall’amministra-zione pubblica. Nella maggior parte dei casi l’esi-stenza del controllo sarà evidenziata da una serie di indicatori. Una decisione basata su questi indicatori implica, per sua natura, un giudizio soggettivo”.

Appare opportuno rimarcare la diversa formula-zione delle lett. b) delle due disposizioni sopra citate del Sec, che fanno riferimento a indicatori diversi.

4.6.2. Alla luce di queste disposizioni, il concetto di “controllo” può essere inteso come segue.

Anzitutto, come già precisato in precedenza (cfr. supra, motivi della decisione, par. 3.2), l’individua-zione del concetto di “controllo” va effettuata sulla

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base delle norme del Sec, ai sensi dell’espressa pre-visione dell’art. 1, cc. 1 e 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196. Orbene, in forza dei principi ermeneutici fissati dallo stesso Sec (cfr. sopra, motivi della decisione, par. 4.1), i concetti del Sec non vanno intesi in sen-so giuridico-amministrativo, ma in senso economi-co-fattuale; e quindi il controllo va inteso non nel senso recepito dall’ordinamento giuridico naziona-le (che in ambito amministrativo intende di solito il controllo come verifica di atti e attività o come vigilanza o tutela su organi, da parte di altri organi esterni o interni al soggetto controllato), bensì come concreto potere di indirizzare le scelte dell’ente (“ca-pacità di determinare la politica generale o il pro-gramma di una unità istituzionale”: cfr. sopra, motivi della decisione, par. 4.6 e par. 4.6.1), ovvero come “la capacità di influire in modo determinante sulla amministrazione attiva” (Sez. riun., n. 7/2013) o di “stabilire gli obiettivi che essa è chiamata a raggiun-gere e le modalità che deve seguire per realizzarli” (Sez. riun., n. 13/2014).

In quest’ottica, appare ovvia la precisazione del Sec 2010, secondo cui non può ritenersi indice di controllo l’adozione, da parte di un’amministrazione pubblica, di una regolamentazione generale applica-bile a tutte le unità istituzionali che svolgono la stessa attività (cfr. sopra, motivi della decisione, par. 4.6.1), perché tale regolamentazione non determina le scelte strategiche dell’ente, ma ne fissa i limiti esterni di at-tività, al pari delle norme legali o regolamentari che per finalità pubblicistiche impongono alle società private regole contabili e di attività, senza peraltro influenzarne le scelte strategiche ed operative.

4.6.3. Tale definizione di controllo risulta per definizione abbastanza ampia ed indeterminata, e quindi può portare a difficoltà di accertamento del controllo nel caso concreto; ragion per cui il Sec individua circostanze sintomatiche di un “potere di indirizzo” pubblicistico sulle istituzioni private, ov-vero tipizza una serie tassativa di “indicatori” signi-ficativi dell’esistenza del controllo (cfr. supra, sub par. 4.6.1). Peraltro, il Sec riconosce che l’utilizzo degli indicatori implica “per sua natura” un “giudizio soggettivo” (cfr. sopra, motivi della decisione, par. 4.6.1), ovvero prende atto che la pluralità e genericità degli indicatori e la necessità di una loro valutazione complessiva lascia un ampio margine di valutazio-ne in sede di accertamento dell’esistenza del “con-trollo”; in altri termini, il Sec riconosce un’ampia discrezionalità tecnica (da esercitarsi secondo criteri economico-fattuali, e non giuridici: cfr. sopra, motivi della decisione, par. 4.1) nel valutare se sussista un

“potere di indirizzo” della pubblica amministrazione sull’istituzione senza fini di lucro.

In quest’ottica, il Sec pone alcune regole di mas-sima sull’utilizzo degli indicatori, disponendo che:

- anche un solo indicatore “può” essere “suffi-ciente” ad accertare l’esistenza di un controllo;

- in caso di “finanziamento principale” (non “pre-valente”) dell’istituzione da parte di una pubblica amministrazione, per accertare il “controllo” occorre verificare se l’unità istituzionale conservi la propria autonomia di indirizzo in relazione agli altri indica-tori;

- di norma, l’accertamento del “controllo” pre-suppone la sussistenza di più indicatori.

Tali regole debbono interpretarsi nei sensi che seguono.

a) Anzitutto, di norma per affermare l’esistenza del “controllo” si richiede la presenza di più indica-tori concorrenti, anche se talvolta uno solo di essi può essere di tale significatività da essere sufficiente a tal fine.

b) Uno degli indicatori è indubbiamente la pre-senza di un “finanziamento principale pubblico” (cfr. motivi della decisione par. 4.6.1), fermo restando che per affermare l’esistenza del “controllo” occorre ac-certare se l’ente conservi o meno la sua autonomia di indirizzo in relazione agli altri indicatori suddetti (a conferma della regola della tendenziale presenza di una pluralità di indicatori).

c) Peraltro, il “finanziamento principale” da parte di una pubblica amministrazione è concettualmente diverso dal “finanziamento pubblico prevalente”, in precedenza previsto dal Sec95 non come indicatore, ma come vero e proprio requisito per classificare una istituzione senza fine di lucro come amministrazio-ne (cfr. motivi della decisione, par. 4.5.2). Nel primo caso, il finanziamento pubblico è semplicemente la fonte di importo maggiore (in assoluto) tra le varie entrate dell’ente, il che comunque non esclude che le entrate possano provenire in prevalenza da altre fonti (come finanziamenti privati, vendite di prodot-ti, sponsor ed altro); in tal caso, non necessariamente il finanziamento condiziona in maniera determinante le scelte dell’ente, e proprio per tale motivo si richie-de l’esistenza di altri indicatori significativi di una forma di “controllo”. Nel secondo caso, invece, il finanziamento pubblico è di incidenza tale da condi-zionare la politica dell’ente.

d) Analogamente, il “grado di finanziamento” pubblico (che è indicatore di controllo: cfr. par. 2.39 lett. d, par. 20.15 lett. d, Sec 2010) non coincide con il “finanziamento principale” pubblico, perché il pri-

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mo corrisponde all’incidenza della fonte pubblica sulle varie fonti di entrata dell’ente (ovvero al rap-porto percentuale tra fondi di provenienza pubblica ed entrate dell’ente), il secondo sta a significare che la pubblica amministrazione è il principale finanzia-tore dell’istituzione (nel senso che il finanziamento pubblico è, per importo assoluto, la maggiore tra le varie fonti di entrata dell’ente, come sopra precisato).

Alla luce di questi chiarimenti, deve ritenersi infondato l’assunto della difesa di parte ricorrente, secondo cui la mera presenza di un finanziamento pubblico (sia pure rilevante) non sarebbe sufficiente a qualificare una federazione come “amministrazio-ne pubblica”, in mancanza di ulteriori indicatori del “controllo”. Infatti, ai sensi delle predette disposi-zioni del Sec, in presenza di un finanziamento non solo “principale”, ma anche “di grado elevato” (ov-vero preponderante, in termini di percentuale sulle entrate) può presumersi che la contribuzione pubbli-ca condizioni le scelte strategiche dell’ente, ovvero configuri un controllo pubblico anche in assenza di altri indicatori.

Tale interpretazione indubbiamente implica che il controllo potrebbe essere escluso anche in pre-senza di finanziamenti per importi cospicui da parte della pubblica amministrazione, ma percentualmente di grado non elevato rispetto alle entrate complessi-ve dell’istituzione senza fini di lucro: ad esempio, si pensi ad una federazione sportiva la quale percepisca ingenti contributi statali, ma riceva entrate ancora superiori da altre fonti – vendita di diritti televisivi, quote associative, sponsor ed altro –, tanto da non essere sostanzialmente condizionata nelle sue scelte dalla concessione di pubbliche risorse (ovviamente, sempreché tale federazione non sia soggetta ad altre forme di controllo). Tuttavia, tale conseguenza non rappresenta un paradosso ed un indice di disparità di trattamento – come ipotizza la difesa della ricor-rente – bensì una scelta del legislatore comunitario (recepita nell’ordinamento italiano), insindacabile e comunque razionale. Infatti, nell’ipotesi prefata, l’istituzione senza fini di lucro avrebbe entrate – e dunque margini di manovra finanziaria – che le con-sentirebbero di portare avanti una propria politica in autonomia dall’amministrazione pubblica; laddove una istituzione più “povera” – le cui ridotte entrate proprie rendono la contribuzione pubblica entrata non solo principale ma preponderante – dipendereb-be in sostanza dall’amministrazione pubblica, dal punto di vista finanziario.

Resta fermo, ovviamente, che il grado di finan-ziamento è solo uno degli indicatori del “controllo”,

che ben potrebbe essere desunto in base ai restanti e diversi indicatori individuati dal Sec.

5. Tanto premesso in astratto, con riferimento alla concreta fattispecie deve ritenersi che sussistano tutti i presupposti di legge per qualificare la Ficr come pubblica amministrazione.

5.1. Anzitutto, deve ritenersi accertato il presup-posto fondamentale per qualificare una qualsiasi uni-tà istituzionale (soggettivamente pubblica o privata) come “amministrazione pubblica”, ovvero la produ-zione di beni e servizi non destinati alla vendita (cfr. par. 4.2).

Infatti, premesso che il presente giudizio è inizia-to con ricorso notificato il 2-11 dicembre 2014 (cfr. svolgimento del processo, par. 1), esso è soggetto alla nuova disposizione dell’art. 115 c.p.c. (appli-cabile nei giudizi dinanzi a questa Corte ex art. 26 r.d. n. 1038/1933), che impone di ritenere provate le circostanze di fatto non contestate in modo specifico dalla controparte costituita (Cass., 15 ottobre 2014, n. 21847). Di conseguenza, poiché non è stato in al-cun modo contestato nel ricorso che la Ficr produce beni e servizi non destinati alla vendita (ma solo l’as-senza di altri presupposti per la qualificazione della Ficr come pubblica amministrazione, in specie la na-tura privatistica e l’assenza di un controllo) e dato che l’Avvocatura dello Stato e la procura generale hanno presentato precisi conteggi in tal senso, non specificamente contestati da controparte, tale circo-stanza di fatto deve ritenersi provata.

A mero titolo di completezza – attese alcune ge-neriche contestazioni in udienza del difensore costi-tuito circa il computo delle quote associative – va comunque sottolineato che deve presumersi la Ficr produca beni non destinabili alla vendita, in forza del criterio quantitativo fissato dal Sec, ovvero del test market/non market (cfr. supra, motivi della decisio-ne, par. 4.2).

Infatti – considerando per gli anni 2011 e 2012 i calcoli effettuati dall’Avvocatura dello Stato (non specificamente contestati da controparte, e quindi da ritenersi corretti ex art. 115 c.p.c., e comunque rispet-tosi dei dati risultanti dai modelli statistici Riddcue esibiti dall’Avvocatura dello Stato) – i ricavi per vendite risultano coprire molto meno del 50 per cen-to dei costi di produzione (cfr. infra, tabella al par. 5.3.2). Con la precisazione che:

a) secondo il computo dell’Avvocatura dello Sta-to, i ricavi non comprendono né i contributi pubblici non legati ad unità di prodotto, né le quote associa-tive (in conformità al par. 3.33 lett. a, Sec 2010) ed i costi comprendono tutte le voci indicate al par. 3.33

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lett. c del Sec 2010 (esclusi gli oneri assicurativi e la svalutazione crediti);

b) comunque, non rileva in questa sede se le quo-te associative versate dagli aderenti alla Ficr siano computabili o meno tra i ricavi da vendita di servizi, in quanto il loro computo in ogni caso non consenti-rebbe di arrivare alla predetta soglia del 50 per cento (cfr. infra, tabella al par. 5.3.2).

Analogo discorso vale per il 2013, considerando i dati sui ricavi forniti dal pubblico ministero (an-ch’essi non specificamente contestati da controparte) ed ipotizzando una riduzione consistente dei costi di produzione, in un’ottica di favore per la parte ricor-rente (da euro 2.254.200 del 2012 ad euro 2.000.000, ma anche se si ipotizzassero costi per euro 1.500.000 comunque non il risultato sostanzialmente non cam-bierebbe, scomputando le quote associative) (cfr. infra, tabella al par. 5.3.2); con la precisazione che comunque – a prescindere dai predetti dati del 2013 – risultano dati univoci di controllo finanziario già dagli anni 2011 e 2012, e che quindi risulta irrilevan-te la circostanza che l’Istat abbia esaminato o meno i dati per tale annualità ovvero solo gli ultimi dati disponibili (cfr. supra, par. 3.1.4 in fine).

5.2. Deve altresì ritenersi che la Ficr debba esse-re classificata come istituzione privata senza fini di lucro, circostanza anch’essa incontroversa e comun-que risultante dalla legge e dallo Statuto esibito dalla parte ricorrente come doc. n. 2. Infatti, al pari di tutte le federazioni sportive, la ricorrente è un soggetto privato senza potere di supremazia, privo di forma societaria e non gestore di fondi previdenziali, com-posto da associazioni e società dilettantistiche senza fini di lucro (ex art. 15, c. 2, d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, artt. 0.1-4 Stat. Ficr) e produce (come sopra precisato) beni e servizi non destinabili alla vendita: dunque ha tutti i requisiti previsto dal Sec per tale classificazione (cfr. motivi della decisione, par. 4.2-4.4).

5.3. A questo punto, per qualificare l’istituzione in esame come “amministrazione pubblica” occor-re accertare solo l’esistenza di un controllo pubbli-co sull’istituzione in esame, inteso come “capacità di controllare la politica generale o il programma” dell’ente (come sopra precisato sub par. 4.6).

5.3.1. Ai fini dell’accertamento di un controllo pubblico, non assume rilievo la sentenza del Tar La-zio, 12 luglio 2011, n. 6207, che aveva accolto il ri-corso della Ficr ed annullato l’elenco Istat 2010 rite-nendo mancare il “controllo” da parte della pubblica amministrazione (nel senso di un potere di indirizzo sulla federazione ricorrente da parte del Coni), alla

luce della normativa generale, dello statuto del Coni e degli statuti federali. Infatti, tale sentenza non ha né rilevanza di giudicato, né rilevanza come prece-dente giurisprudenziale utile nel presente giudizio, in quanto si fonda su elementi di fatto (elenco Istat 2010) e di diritto (Sec95) cronologicamente superati dalla approvazione del Sec 2010 e dalla redazione di un nuovo elenco valido per il 2015 (redatto sulla base dei dati del 2011 e 2012 come sopra precisa-to sub par. 3.1.1). Né, del resto, assume rilievo che – proprio a seguito di tale sentenza – negli elenchi degli anni successivi (fino al 2014) l’Istat non ab-bia inserito la Ficr tra le pubbliche amministrazioni, proprio perché la modifica del Sec ha imposto nuove valutazioni.

5.3.2. Assume invece particolare rilievo l’esame dei flussi economico-finanziari dell’ente, riassumibi-le nella tabella che segue (i cui dati sono ripresi dalle predette fonti aventi rilevanza probatoria, ovvero le memorie dell’Avvocatura e della procura generale ed i modelli Reddcue dell’Istat). (Omissis)

Dalla tabella che precede risulta evidente che il finanziamento pubblico è non solo la principale per importo tra le voci di entrata dell’ente (più di euro 1.350.000 all’anno su un totale di entrate annue tra euro 2.200.000 ed euro 2.400.000), ma è di grado elevato ed è preponderante, assestandosi intorno al 60 per cento annuo del totale delle entrate, a pre-scindere dal fatto che l’Istat abbia esaminato o meno il bilancio del 2013 e che non abbia inserito la Ficr nell’elenco del medesimo anno (cfr. supra, motivi della decisione, sub par. 3.1.4 lett. c).

È evidente che un finanziamento di tale grado condiziona in maniera determinante le scelte dell’en-te, in quanto senza di esso sarebbe difficilmente (o per nulla) raggiungibile il complesso ed articolato scopo sociale, che consiste in una capillare e costosa attività a livello nazionale (dirigere, regolamentare, promuovere l’attività cronometrica, sperimentare tecniche di cronometraggio, curare i rapporti con gli enti del Coni, provvedere all’espletamento dell’atti-vità sportiva di cronometraggio, vigilare sulla rego-larità dell’attività sportiva di cronometraggio, esple-tare le attività di controllo secondo le leggi vigenti: art. 3 Stat Ficr), come dimostrano gli elevati costi per acquisto di servizi, spese di personale ed oneri di gestione (desumibili dalla tabella che precede).

Pertanto, in base a quanto sopra precisato (cfr. par. 4.6.3), deve ritenersi che sussistano indicatori precisi di un controllo pubblico sulla Ficr, ovvero l’esistenza di un finanziamento pubblico non solo “principale” (par. 20.15 Sec, in fine), ma di “grado

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elevato” e preponderante (cfr. par. 2.39 lett. c, par. 20.15 lett. d, Sec).

5.3.3. L’indice predetto risulta di per sé signifi-cativo del controllo, rendendo irrilevanti le questioni sollevate dalla federazione ricorrente circa la man-canza di prova degli ulteriori indicatori di controllo invocati dall’Avvocatura dello Stato nella memoria difensiva per l’Istat (cfr. svolgimento del processo, par. 3.2.3.1), e dalla procura generale (cfr. svolgi-mento del processo, par. 4 ss.). In ogni caso, sempre per completezza, va evidenziato che l’esame della normativa di settore manifesta la correttezza solo parziale delle affermazioni attoree, e per converso la presenza di indici rivelatori di un certo “potere di indirizzo” del Coni (che è indubbiamente ente pub-blico: cfr. art. 1 d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242) sulle singole federazioni.

5.3.3.1. In specie, quanto alla “nomina di funzio-nari” da parte dell’amministrazione pubblica (par. 2.39 lett. a, par. 20.15 lett. a Sec), se correttamente la procura generale ha evidenziato che il Coni no-mina i revisori dei conti delle federazioni (ex art. 7 statuto Coni, art. 13 statuto Ficr), è altresì corretta l’affermazione attorea secondo cui in base allo Sta-tuto federale (artt. 9-11) tutti gli organi di governo e l’assemblea della federazione (così come i funziona-ri ed i dirigenti che amministrano l’ente) sono nomi-nati dagli associati e non da altre unità istituzionali pubbliche o private (mentre il collegio dei revisori ha funzioni più di controllo in senso giuridico, che di indirizzo sulla gestione).

Analogamente, quanto alla “messa a disposizione di strumenti che consentano l’operatività” della Ficr (par. 2.39 lett. b, Sec), pur essendo anche normati-vamente previsto che la federazione sia beneficiaria di contribuzioni pubbliche a destinazione vincolata (artt. 7 e 23, c. 2, statuto Coni), non vi sono in atti elementi probatori che dimostrino con certezza che la Ficr utilizzi beni o servizi messi a disposizione dal Coni o dalla sua società strumentale Coni servizi s.p.a. (anche questa inclusa nell’elenco Istat).

Infine, come contestato dalla difesa della ricor-rente, non vi è prova in atti di “accordi contrattuali tra Coni e federazione” (par. 2.39 lett. c, par. 20.15 lett. c Sec), né di una “esposizione a rischio della pubblica amministrazione” (par. 2.39 lett. e, par. 20.15 lett. e, Sec), peraltro non presumibile per la diversa soggettività economica e giuridica tra fede-razioni sportive e enti pubblici.

5.3.3.2. Peraltro, non può sottacersi che diverse disposizioni di legge e statutarie richiamate dall’Av-vocatura dello Stato e dalla procura generale pre-

vedono ipotesi riconducibili all’indicatore del Sec “altre disposizioni come gli obblighi contenuti nello statuto dell’istituzione senza scopo di lucro”; (par. 20.15 lett. b, Sec) o comunque evidenziano una certa capacità del Coni di determinare la politica dell’ente.

Con riferimento a detto indicatore, la parte ri-corrente lamenta (cfr. supra, motivi della decisione, par. 3.1.4 lett. a, b) che le disposizioni richiamate dall’Istat (e dalla procura generale) sono contenute non nello statuto Ficr (approvato dal Coni con deli-berazione n. 311 dell’8 ottobre 2012 ed esibito come doc. n. 2) bensì nello statuto del Coni adottato l’11 giugno 2014 (doc. 5), al momento non ancora rece-pito (obbligo questo imposto dal principio di legalità contenuto nei “Principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali”, anch’essi re-datti dal Coni l’11 giugno 2014, ed allegati al nuovo statuto Coni). La parte ricorrente lamenta altresì che l’assoggettamento della federazione agli indirizzi del Coni nelle “materie di rilevanza pubblicistica” sarebbe frutto di una scelta volontaria (la richiesta di riconoscimento del Coni), non di un obbligo legale.

Tuttavia, la disposizione del Sec prefata (par. 20.15 lett. b) non impone che gli obblighi significativi di un potere di indirizzo pubblico siano inseriti nello statuto della istituzione senza fini di lucro, ma semplicemente prevede l’esistenza di “disposizioni” significative del controllo (esemplificandole con riferimento agli ob-blighi talora previsti negli statuti delle istituzioni stes-se in funzione di pubblici interessi); e nel caso qui in esame esistono norme di legge primarie che – in parte direttamente, in parte rinviando al previgente statuto del Coni (ovvero quello in vigore dal 2012, esibito dal ricorrente come doc. 3) – impongono precisi obblighi ed oneri a carico delle federazioni. In specie, il d.lgs. n. 242/1999 prevede espressamente:

a) una generica vigilanza del Coni sulle federa-zioni in relazione alle attività federali di interesse sportivo nazionale ed all’utilizzo dei contributi pub-blici (“al regolare svolgimento delle competizioni, alla preparazione olimpica e all’attività sportiva di alto livello e all’utilizzo dei contributi finanziari di cui alla lett. d) del presente comma”: cfr. artt. 7, c. 2, lett. e, e 5 c. 2 d.lgs. n. 242/1999);

b) un potere sostitutivo del Coni (commissaria-mento delle federazioni da parte del Consiglio na-zionale su proposta della giunta nazionale) nel caso di gravi violazioni o irregolarità o di impossibilità di funzionamento degli organi (art. 7 lett. f, d.lgs. n. 242/1999);

c) l’obbligo delle federazioni di svolgere la pro-pria attività sportiva “in armonia con le deliberazioni

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e gli indirizzi del Cio, delle federazioni internaziona-li e del Coni, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività indivi-duate nello statuto del Coni” (art. 15, c. 1, d.lgs. n. 242/1999); in specie, lo statuto del Coni approvato il 17 settembre 2012 (che all’art. 20, c. 4, riprende il suddetto testo di legge) prevede:

aa) all’art. 23, c. 1, le attività delle federazioni sportive aventi “valenza pubblicistica” (provve-dimenti di ammissione e affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; revoca e modifica di tali provvedimenti; controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei cam-pionati sportivi professionistici, all’utilizzazione dei contributi pubblici, alla prevenzione e repressione del doping nonché le attività relative alla preparazio-ne olimpica e all’alto livello, alla formazione dei tec-nici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici);

bb) all’art. 23, c. 1-bis, l’obbligo delle federazio-ni sportive nazionali di “conformarsi agli indirizzi e ai controlli del Coni” nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica e di agire secondo principi di imparzialità e trasparenza;

cc) all’art. 23, c. 1-ter, il rispetto, da parte del-le federazioni, dei programmi del Coni relativi alla competitività delle squadre nazionali, alla salvaguar-dia del patrimonio sportivo nazionale, all’efficienza della gestione;

dd) all’art. 23, c. 2, l’assegnazione di contribu-ti eventualmente con fissazione di una destinazione vincolata a talune attività (in specie olimpiche, di alto livello, di sport giovanile);

d) l’approvazione dei bilanci delle federazioni da parte del Coni (art. 15, c. 3, d.lgs. n. 242/1999, ripre-so dall’art. 21, c. 4, e dall’art. 23, c. 2, dello statuto del Coni del 2012 e dell’art. 33.3 dello statuto Ficr esibito dalla parte ricorrente).

Alla luce di queste disposizioni, è evidente che l’ordinamento prevede poteri e competenze del Coni significative ai fini della individuazione del control-lo. Invero, è indubbio che, come evidenziato dalla difesa della parte ricorrente:

a) da un lato, secondo le disposizioni del Sec, l’a-dozione di una regolamentazione generale “di corni-ce” da parte del Coni (art. 20 c. 4, e art. 22 stat. Coni) non concreta una forma di controllo (cfr. supra, mo-tivi della decisione, sub par. 4.6.1); onde le regole di armonizzazione con gli statuti nazionali ed inter-nazionali, e le regole generali di attività non sono di per sé sole significative di un “potere di indirizzo” in capo alla pubblica amministrazione;

b) dall’altro, per affermare un “controllo” nel senso del Sec (potere di indirizzo) risulta determi-nante non tanto la presenza di una vigilanza esterna o di poteri sostitutivi (del resto previsti anche per le imprese private: si pensi alla nomina di curatori in caso di fallimento, o alle molteplici forme di vigi-lanza pubblica su attività private), quanto la capa-cità della pubblica amministrazione di determinare le scelte dell’ente privato, capacità che (secondo la difesa del ricorrente) andrebbe esclusa per la autono-mia tendenzialmente assoluta delle federazioni nelle proprie scelte istituzionali (cfr. art. 20 stat. Coni).

Tuttavia, è altrettanto indubbio che:a) nelle materie a rilevanza pubblicistica, che non

costituiscono affatto una parte marginale dell’attività delle federazioni come pretende parte ricorrente (si pensi alla preparazione olimpica), il Coni ha un po-tere non solo di controllo, ma di “indirizzo”, ovvero di fornire indicazioni sulle scelte strategiche della federazione (art. 23, c. 1-bis, stat. Coni);

b) in particolare, tra tali attività, la dazione di contributi anche a destinazione vincolata (nella concreta fattispecie, come si è precisato, fonte pre-valente di entrata della Ficr) ed il controllo del loro utilizzo (art. 23, c. 2, stat. Coni), consente al Coni di esercitare un’evidente ingerenza nella politica ge-stionale della federazione;

c) infine, il potere di “approvazione” dei bilanci (condizione di efficacia di tali atti) finisce per incide-re sulle scelte dell’ente, in quanto – in sede di appro-vazione del preventivo – il Coni può verificare, ad esempio, eventuali destinazioni dei fondi di prove-nienza pubblica a destinazioni diverse da quella vin-colata e non approvare l’atto; in sede di approvazio-ne del consuntivo, verificare il raggiungimento degli obiettivi programmatici di rilevanza pubblicistica e la correttezza della relativa spesa.

Pertanto, deve ritenersi che – a parte la dirimente presenza di un finanziamento prevalentemente pub-blico a favore della Ficr – vi siano disposizioni lega-li che concretano indici significativi di un potere di indirizzo del Coni sulla federazione, utili ai fini del controllo nel senso del Sec.

5.4. In conclusione, accertata la presenza di tut-ti i presupposti previsti dal Sec per la qualificazione della Ficr come “amministrazione pubblica” (produ-zione di servizi non destinati alla vendita, e natura di istituzione senza fine di lucro controllata da am-ministrazione pubblica), e data quindi la legittimità dell’inserimento della federazione nell’elenco Istat, il ricorso risulta infondato e va respinto.

6. Atteso che il presente giudizio ha ad oggetto

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questioni intrinsecamente assai complesse (come si evince dalla motivazione che precede) e “di assoluta novità” (dato che il ricorso qui in esame è il primo posto all’attenzione di questa Corte sulla applicazio-ne del Sec 2010, sul quale non si era in precedenza formata alcuna giurisprudenza), sussistono i pre-supposti per l’integrale compensazione delle spese ai sensi del combinato disposto dell’art. 26 r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 e dell’art. 92, c. 2, c.p.c. nel testo vigente (introdotto dall’art. 13 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, in vigore dal giorno 11 novembre 2014 ai sensi dell’art. 13, c. 2 prefato e quindi applicabile nel presente giudizio, essendo stato il ricorso introdutti-vo notificato a mezzo posta il 2-9 dicembre 2014).

25 – Sezioni riunite in sede giurisdizionale (in spe-ciale composizione); sentenza 11 giugno 2015; Pres. Avoli, Est. Calabresi, P.M. Pomponio; Pro-vincia di Pesaro e Urbino.

Conferma Corte conti, Sez. contr. reg. Marche, 18 dicembre 2014, n. 189.

Comune e provincia – Provincia – Rendicon-to – Controllo della sezione regionale della Corte dei conti – Alienazione del patrimonio immobiliare mediante cartolarizzazione – So-cietà veicolo interamente partecipata dall’en-te locale – Somme anticipate dalla società al bilancio dell’ente – Imputazione nel bilancio dell’ente – Entrate a titolo di anticipazioni e non di proventi da alienazione.

D.l. 25 settembre 2001, n. 351, convertito con mo-dificazioni dalla l. 23 novembre 2001 n. 410, dispo-sizioni urgenti in materia di privatizzazione e valo-rizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobi-liare, art. 2; l. 27 dicembre 2002 n. 289, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003), art. 84; l. 12 no-vembre 2011 n. 183, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012), art. 31.

Nell’operazione di cartolarizzazione finalizzata all’alienazione del patrimonio immobiliare di una provincia, i pagamenti effettuati dalla società vei-colo, interamente controllata dall’ente e alla quale siano stati conferiti immobili destinati a garantire il rimborso dei titoli cartolarizzati, vanno conside-rati, fino a che i cespiti non vengano effettivamente venduti, come anticipazioni o indebitamento; per-

tanto, va respinto il ricorso contro la deliberazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti che, in tal caso, abbia dichiarato illegittima l’imputazione come proventi da alienazioni (titolo IV), anziché come anticipazioni (titolo V), nel conto consuntivo dell’ente locale, dei versamenti effettuati dalla società veicolo in via anticipata rispetto alla vendita degli immobili, assegnando altresì all’ente il termine di 60 giorni per comunicare il nuovo saldo finanziario al Ministero dell’economia e delle finan-ze, ai fini del patto di stabilità interno.

Fatto – L’ente provinciale di Pesaro e Urbino ha proposto ricorso ex art. 243-quater, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 per l’annullamento e/o la riforma del-la delib. n. 189/2014 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per le Marche, depositata il 18 dicembre 2014 e comunicata con nota del 23 dicem-bre 2014, nella parte in cui ritiene illegittima l’im-putazione al titolo IV dell’entrata di 4.513.500 euro, derivante dalla vendita del patrimonio immobiliare alla società Valoreimmobiliare s.r.l. e, per l’effetto, assegna all’ente provinciale il termine di sessanta giorni, ai sensi dell’art. 31, c. 28, l. 12 novembre 2011, n. 183, per comunicare il nuovo saldo finan-ziario, rilevante ai fini del patto di stabilità interno dell’esercizio 2012, al Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria genera-le dello Stato.

La Sezione regionale di controllo per le Marche, deliberando in ordine al rendiconto degli esercizi 2011-2012 della Provincia di Pesaro e Urbino, al punto 8) della predetta deliberazione, svolgendo una disamina in ordine ad una operazione di cartolarizza-zione, ha ritenuto che la stessa avesse incidenza sui saldi rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità, in quanto l’operazione effettuata concretizzerebbe una forma di anticipazione e/o indebitamento; i rela-tivi proventi, pertanto, avrebbero dovuto, più corret-tamente, imputarsi al titolo V dell’entrata e non già al titolo IV. Conseguentemente, la Sezione Marche ha chiesto di rideterminare e comunicare il nuovo saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità per l’esercizio 2012.

L’ente ricorrente sostiene, al contrario, che l’ope-razione di cartolarizzazione realizzata dalla provin-cia è stata effettuata in conformità alle disposizio-ni vigenti e in particolare all’art. 84 l. 27 dicembre 2002, n. 289, a mente del quale le regioni, le provin-cie, i comuni e gli altri enti locali sono autorizzati a costituire o a promuovere la costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di più società a responsa-

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bilità limitata con capitale iniziale di 10.000 euro, aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione dei rispettivi patrimoni immobiliari.

La lettura della norma non lascia spazio, sostiene il ricorrente, a dubbi interpretativi in ordine al fatto che la costituzione della società “anche, attraverso soggetti terzi” rappresenti una ipotesi alternativa ri-spetto a quella sottesa allo spirito della disposizione volta a favorire la costituzione di società a capita-le interamente pubblico. Nello specifico, con delib. n. 78/2011, il consiglio provinciale ha costituito la società “veicolo” Valoreimmobiliare s.r.l., ai sensi dell’art. 84 della l. 27 dicembre 2002, n. 289, appro-vandone contestualmente lo statuto e disponendo la vendita in suo favore dei beni immobili individuati nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immo-biliari meglio specificati nell’all. D alla medesima delibera. Conformemente al disposto di cui al c. 8 del medesimo art. 84 cit., con nota prot. 82814 del 9 novembre 2011, la provincia ha portato a conoscen-za dell’operazione di cartolarizzazione il competente Ministero dell’economia e delle finanze il quale non ha mosso alcun rilievo in proposito.

Successivamente, con atto dell’11 dicembre 2012, sono stati venduti alla società Valoreimmobiliare s.r.l., la Caserma della polizia stradale di Pesaro e l’ex Po-dere Bruscia al prezzo complessivo di 4.513.500 euro a fronte di un valore stimato, giusta perizia giurata di 4.520.000 euro. Inoltre sono stati conferiti alla società ulteriori beni immobili per un valore di 5.292.950 euro al fine di costituire nel complesso il patrimonio separato della società, ai sensi dell’art. 2, c. 2, d.l. n. 351/2001.

In ragione di siffatta operazione, la provincia ha ritenuto di imputare l’entrata di 4.513.500 euro pro-veniente dalla vendita degli immobili acquistati dal-la società Valoreimmobiliare s.r.l. al titolo IV come entrata da alienazione immobiliare, con conseguenti riflessi favorevoli sul bilancio di competenza anche in ordine al rispetto del patto di stabilità. (Omissis)

Diritto – (Omissis) L’ordinamento nazionale ita-liano, nel 2014, ha inteso recepire le regole europee di trattamento delle cartolarizzazioni nella definizio-ne di “indebitamento” valida agli effetti dell’art. 119, c. 6, Cost., in base al quale gli enti territoriali pos-sono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. L’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003 (finanziaria 2004) nel testo antecedente al d.lgs. n. 126/2014 stabiliva che, a determinate condizioni, le cartolarizzazioni costituivano indebitamento ma det-

te condizioni erano rimaste quelle fissate dalle regole antecedenti all’ultima modifica effettuata da Eurostat nel 2008, tanto che il richiamato comma stabiliva che “costituiscono indebitamento […], le cartola-rizzazioni di flussi futuri di entrata e le cartolariz-zazioni con corrispettivo iniziale inferiore all’85 per cento del prezzo di mercato dell’attività oggetto di cartolarizzazione valutato da un’unità indipendente e specializzata. Costituiscono, inoltre, indebitamen-to le operazioni di cartolarizzazione accompagnate da garanzie fornite da amministrazioni pubbliche e le cartolarizzazioni e le cessioni di crediti vanta-ti verso altre amministrazioni pubbliche”. Il riferi-mento alla soglia dell’85 per cento era il discrimine precedentemente fissato nelle regole europee fino al 2008, ma non il solo in quanto la classificazione di un’operazione come alienazione ovvero come antici-pazione deve avvenire nel rispetto dell’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003; per espressa previsione legislativa, quindi, costituivano indebitamento le operazioni di cartolarizzazione accompagnate da garanzie fornite da amministrazioni pubbliche e le cartolarizzazioni e le cessioni di crediti vantati verso altre amministra-zioni pubbliche.

Il d.lgs. n. 126/2014, modificando l’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003 ha eliminato il disallineamento tra la normativa nazionale e le regole comunitarie e, con-seguentemente, tutte le operazioni di cartolarizza-zione relative ai flussi futuri di entrata, a crediti e ad attività finanziarie e non finanziarie, attualmente, costituiscono indebitamento.

Nei casi in cui l’operazione costituisce indebita-mento, non essendo quindi qualificata come cessio-ne di attività, l’amministrazione pubblica provvede, in primo luogo, a registrare l’entrata derivante dal versamento da parte della società “veicolo” del con-trovalore delle emissioni tra le accensioni di presti-ti. L’accertamento dell’entrata è effettuato a seguito della firma del contratto con la società veicolo ed è imputato all’esercizio nel quale è prevista l’eroga-zione delle risorse.

Nel corso dell’operazione di cartolarizzazione, e fino al completo esaurimento della stessa, la società veicolo provvede alla cessione a terzi degli attivi o alla riscossione dei crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione.

La società “veicolo” comunica all’amministra-zione pubblica, attraverso rendicontazioni periodi-che, l’ammontare dei proventi della cessione o della riscossione degli attivi, l’importo dei compensi a proprio favore o degli altri oneri erogati a terzi, la spesa sostenuta per il rimborso dei titoli e l’eventua-

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le importo residuo da destinare all’amministrazione pubblica.

Sulla base delle periodiche rendicontazioni della società “veicolo” l’amministrazione pubblica conta-bilizza in bilancio la cessione definitiva delle attività o la riscossione dei crediti al lordo di qualsiasi spe-sa o onere accessorio sia della società veicolo che dell’ente.

La copertura finanziaria delle spese correnti e degli interessi passivi connessi all’operazione di car-tolarizzazione deve essere effettuata con le entrate correnti dell’amministrazione pubblica.

Dal punto di vista contabile tali operazioni sono così registrate:

i proventi che la società veicolo trattiene per il rimborso di titoli sono accertati tra le alienazioni delle attività immobiliare (che in tale momento esce definitivamente dal patrimonio dell’ente) o con im-putazione alle entrate riguardanti l’attività oggetto dell’operazione. Contemporaneamente, tra le spese per rimborso dei prestiti, si registra l’impegno per la spesa sostenuta per il rimborso dei titoli e si emette il relativo mandato di pagamento versato in quietanza di entrata al bilancio dell’amministrazione pubblica stessa. Il versamento del mandato al bilancio dell’en-te consente di registrare l’incasso derivante dall’alie-nazione delle attività immobiliari o dalla riscossione dei crediti;

i proventi che la società veicolo trattiene per il pa-gamento degli interessi passivi sui titoli emessi sono accertati tra le alienazioni dell’attività immobiliare o con imputazione alle entrate riguardanti l’attività oggetto dell’operazione. Contemporaneamente, per lo stesso importo, si impegnano le spese per interessi e si emette il relativo mandato di pagamento versato in quietanza di entrata al bilancio dell’amministra-zione pubblica stessa. Il versamento del mandato al bilancio dell’ente consente di registrare l’incasso de-rivante dall’alienazione delle attività immobiliari o dalla riscossione dei crediti;

i proventi che la società veicolo trattiene a titolo di commissione o per altre spese sono ugualmente accertati tra le alienazioni dell’attività immobiliare o con imputazione alle entrate riguardanti l’attività oggetto dell’operazione. Contemporaneamente, per lo stesso importo, si impegnano le spese per gli oneri della cartolarizzazione e si emette il relativo man-da-to di pagamento versato in quietanza di entrata al bi-lancio dell’amministrazione pubblica stessa. Il ver-samento del mandato al bilancio dell’ente con-sente di registrare l’incasso derivante dall’alienazione del-le attività immobiliari o dalla riscossione dei crediti;

i proventi che la società veicolo effettivamente trasferisce all’amministrazione pubblica sono accer-tati e riscossi tra le alienazioni dell’attività immobi-liare o con imputazione alle entrate riguardanti l’atti-vità oggetto dell’operazione.

Alla fine dell’esercizio in cui ha rilevato il debito derivante dalla cartolarizzazione, l’amministrazione pubblica, attraverso le scritture di assestamento della contabilità economico-patrimoniale, riclassifica nel conto del patrimonio le attività oggetto dell’opera-zione come “Immobili cartolarizzati” o “Crediti car-tolarizzati”.

4. Da quanto suesposto, è facile dedurre che assu-me carattere dirimente la questione volta ad accertare se l’operazione realizzata dalla Provincia di Pesaro e Urbino prevedeva forme di garanzia a carico dello stesso ente ovvero di altre pubbliche amministrazio-ni e se la società “veicolo” fosse da considerare una società autonoma che ha assunto il rischio d’impresa su di sé o, al contrario, essa possa considerarsi pub-blica amministrazione, seppure in senso lato.

4.1. Nella fattispecie in esame, nel corso dell’e-sercizio finanziario 2011, l’amministrazione provin-ciale si è determinata, nell’ambito delle politiche di valorizzazione del proprio patrimonio immobiliare, a dar corso ad una operazione di cartolarizzazione e ha, a tal fine, costituito, giusta deliberazione di consi-glio n. 78 del 12 ottobre 2011, la Valoreimmobiliare – società a responsabilità limitata interamente par-tecipata dalla amministrazione provinciale – quale società “veicolo”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 84 l. 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), avente ad oggetto esclusivo la realizzazione di ope-razioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla alienazione del patrimonio immobiliare.

La predetta società è divenuta operativa nel 2012 allorché, sul finire dell’esercizio, con due distinti atti – in pari data (11 dicembre 2012) – sono stati perfe-zionati la cessione, a titolo oneroso, per un importo di euro 4.513.500 di due beni immobili ed il con-ferimento di altri beni immobili per euro 5.292.950 donde un valore patrimoniale complessivo attribuito alla società pari ad euro 9.806.450.

A fronte di tale cessione patrimoniale la società Valoreimmobiliare s.r.l. ha assunto un finanziamento sotto forma di conto corrente ipotecario pari a euro 4.513.500 finalizzato al pagamento del corrispettivo; detta operazione, inquadrata in un business plan in forza del quale si prevede di riportare la società in attivo nell’arco di cinque anni con azzeramento dei debiti nei confronti del soggetto finanziatore e della proprietà, ha consentito all’amministrazione stessa

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di acquisire risorse utilizzate per la riduzione del suo debito.

Occorre premettere che la Valoreimmobiliare s.r.l. non ha entrate proprie se non quelle derivan-ti dalla gestione del patrimonio oggetto di cartola-rizzazione (quantificate nel corso del 2013 in euro 145.378,80) mentre, dal punto di vista delle uscite, sostiene annualmente un volume di spese (di funzio-namento, per interessi sul debito contratto, per im-poste) coperte mediante un trasferimento alla società da parte della provincia – sub specie di prestito non fruttifero del socio – destinato a ridursi correlativa-mente al progredire delle alienazioni.

4.2. Le regole di contabilità nazionale adottate in ambito europeo in materia di cartolarizzazioni defi-niscono i casi in cui tali operazioni (e in particolare il versamento del controvalore delle emissioni effet-tuato all’inizio dell’operazione) possono essere regi-strate come una effettiva vendita di un asset anziché come l’accensione di un prestito asset backed, ossia garantito da un asset sottostante. La questione chiave è se la proprietà degli asset, intesa in senso economi-co come la possibilità di assumere i rischi e di gode-re dei benefici generati dagli stessi, è effettivamente trasferita al momento della loro cessione alla società “veicolo”. Solo in presenza di un effettivo trasferi-mento della proprietà si registra una vendita anziché un prestito.

Come si è già ampiamente descritto, le regole fis-sate da Eurostat hanno avuto una evoluzione nel tem-po a partire dal 2001, arrivando ad una definizione finale nel corso del 2008. Tale definizione ha ridotto di molto la possibilità di registrare una vendita di as-set, al punto che non è lontana dall’affermazione che per definizione le cartolarizzazioni siano sempre da registrare come prestito. Le principali condizioni per la registrazione di una vendita di asset sono infatti le seguenti:

- gli asset oggetto delle operazioni devono esse-re riconosciuti come tali nei conti nazionali. Questo esclude le cartolarizzazioni di flussi di entrata futura (es. entrate fiscali, entrate da lotterie, affitti, ecc.);

- gli asset oggetto delle operazioni devono essere considerati trasferibili nei conti nazionali. Per defini-zione le imposte possono costituire una entrata solo per la pubblica amministrazione. Ne consegue che se un ente pubblico cede a una spv il diritto a riscuote-re crediti fiscali sorti per il mancato versamento di imposte già maturate, l’operazione è registrata come prestito perché non è previsto che un privato possa diventare “proprietario” del diritto a riscuotere le im-poste. Tale trattamento è esteso anche alle vendite di

crediti contributivi (ad esempio operazioni Inps) che pertanto sono sempre registrate come prestito;

- deve essere esclusa la presenza di clausole di prezzo differito (dpp), che prevedano che la spv ol-tre al controvalore dell’emissione versato all’inizio dell’operazione, versi all’originator al termine della stessa le risorse che eventualmente residuano dopo che la spv ha onorato tutti i suoi obblighi (verso gli obbligazionisti, le società che svolgono servizi con-nessi all’operazione, ecc.). Il pagamento di un dpp si configura infatti come una mancata cessione alla spv dei derivanti dagli asset;

- non devono essere presenti garanzie pubbliche sui titoli emessi dalla spv, in quanto queste si confi-gurano come una mancata cessione alla spv dei rischi derivanti dagli asset. Sono assimilati alle garanzie le clausole di sostituzione degli asset, ossia l’impegno dell’originator a sostituire nel corso dell’operazione eventuali asset rivelatisi non performanti con nuovi asset di migliore qualità;

- non devono esserci restrizioni imposte dall’o-riginator alla potestà della spv di vendere a terzi gli asset ricevuti nell’ambito dell’operazione;

- la spv deve essere una entità privata e non devo-no ricorrere le condizioni perché questa sia conside-rata a sua volta una pubblica amministrazione.

Dalla lettura combinata di queste regole emerge come le operazioni di cartolarizzazione sono gene-ralmente contraddistinte da almeno una di queste ca-ratteristiche: in particolare il dpp è una clausola con-naturata alle operazioni di cartolarizzazione e quindi la registrazione come prestito è praticamente certa.

Nel caso di registrazione come prestito, gli asset permangono nello stato patrimoniale dell’originator e ne fuoriescono gradualmente, nel momento della loro effettiva alienazione (nel caso di immobili) o riscossione (nel caso di crediti o di entrate future) da parte della società veicolo. Di fatto si considera come se quest’ultima stia semplicemente gestendo gli asset per conto dell’originator senza acquisirne la proprietà. Il miglioramento dell’indebitamento si ha solo nel caso di alienazioni di attivi non finanziari (ad esempio immobili) in quanto le operazioni su at-tivi finanziari in tale ambito sono sotto la linea. Ciò vale sia nel caso di registrazione una tantum all’i-nizio dell’operazione (operazione classificata come vendita di asset) sia nel caso in cui la registrazione sia graduale (operazione classificata come prestito).

Alla stregua dei richiamati principi Eurostat, inoltre, la registrazione di una vendita di asset deve essere subordinata alla sussistenza di stringenti pre-supposti e, segnatamente, tra gli altri, alla circostan-

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za che “la società veicolo sia una entità privata e che non ricorrano le condizioni perché questa sia con-siderata a sua volta una pubblica amministrazione”.

4.3. Dall’esame della documentazione in atti, non sembra possano sussistere dubbi circa il proposito, da parte dell’ente locale, di conseguire un’entrata preordinata al miglioramento del saldo obiettivo ai fini del rispetto del patto di stabilità: peraltro, tale obiettivo è stato espressamente dichiarato nella deli-berazione consiliare n. 74/2012 laddove viene ribadi-to “Di procedere alla cartolarizzazione di alcuni beni di proprietà provinciali, attraverso l’affidamento de-gli stessi alla società Valoreimmobiliare s.r.l., già co-stituita con delibera consiglio provinciale n. 78/2011 per un importo di euro 5.639.750, in quanto per effet-to dell’entrata connessa a tale operazione l’ente può procedere ad una riduzione del debito e conseguen-temente al miglioramento del saldo obiettivo ai fini del raggiungimento del patto di stabilità”. Data per scontata la finalità, la contestazione mossa in ordine all’operazione di cartolarizzazione si appunta preva-lentemente sulla titolarità interamente pubblica del capitale della società Valoreimmobiliare s.r.l., anche se, sostiene l’ente provinciale, la titolarità pubblica del capitale sociale delle società costituite ai sensi dell’art. 84, 1. n. 289/2002 è pienamente conforme alla esegesi letterale della norma e, al tempo stesso, sovrintende la precipua finalità prettamente pubbli-cistica assegnata alle società veicolo nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione rappresentando, il controllo pubblicistico esercitato attraverso la titola-rità integrale delle quote societarie in capo all’ente pubblico, la migliore garanzia del perseguimento de-gli scopi sottesi alla costituzione della società.

Il collegio ritiene che nella specie, l’operazione posta in essere dalla amministrazione provinciale di Pesaro Urbino sia stata realizzata da una società “veicolo” che, pur formalmente soggetto di diritto privato, non può non equipararsi, sulla base della normativa comunitaria e nazionale, ad una pubblica amministrazione trattandosi di società a partecipa-zione interamente pubblica soggetta alla attività di direzione e coordinamento da parte della Provincia di Pesaro e Urbino (art. 8 Statuto).

È prevista una specifica competenza del socio unico (provincia) nell’assunzione di decisioni fonda-mentali per la vita della società (art. 9), tra cui la defi-nizione delle “scelte strategiche e operative, l’appro-vazione degli atti di programmazione, dei piani ope-rativi annuali, dei piani di investimento, e di quelli di assunzione di personale” oltre la nomina dell’ammi-nistratore, revocabile in qualunque momento.

È indiscusso, a parere del collegio, il forte vinco-lo di dipendenza economica dall’ente della società che, oltre che essere interamente partecipata dalla provincia, con tutto ciò che ne consegue in punto di responsabilità patrimoniale, come disposto dalla delib. n. 78/2011, riceve annualmente anche un rile-vante contributo di 300.000 euro come prestito del socio, a fronte di entrate proprie di scarsa significati-vità (quantificate, nel 2013, in euro 145.378,80).

Il vincolo genetico e funzionale tra la stessa am-ministrazione e la società “veicolo”, appare, pertan-to, evidente laddove si abbia riguardo al rilevante contributo, sub specie di prestito non infruttifero del socio, corrisposto annualmente dalla amministra-zione provinciale e al volume di entrate proprie, di scarsa significatività, conseguite dalla Valoreimmo-biliare s.r.l.

Risulta altresì, che la società veicolo – anche in considerazione della posizione della amministrazio-ne provinciale quale socio di riferimento titolare cui spetta la direzione ed il coordinamento ex art. 2497 c.c. – non abbia assunto per intero i rischi ed i benefi-ci generati dagli asset: di rilievo, appare, a tal riguar-do, la circostanza che la società benefici di un rile-vante contributo annuo destinato a ridursi, per come evidenziato dalla amministrazione nella memoria integrativa, “contestualmente al progredire del piano di vendite della società Valoreimmobiliare s.r.l. e alla contestuale riduzione del debito”.

5. Il collegio precisa ulteriormente quanto segue. Affinché si possa parlare di vendita (titolo IV entra-ta) non devono essere presenti garanzie pubbliche a copertura del rischio della società. Se il “rischio” dell’operazione è a carico della provincia si è in pre-senza di un’operazione di anticipazione sui crediti (titolo V entrata).

Assume quindi carattere dirimente la questione volta ad accertare se l’operazione realizzata dalla provincia prevedeva forme di garanzia a carico dello stesso ente ovvero di altre pubbliche amministrazio-ni in quanto l’esistenza di forme di garanzia in favo-re dei creditori costituisce un fattore discriminante ai fini del corretto inquadramento della fattispecie anche in base ai criteri definiti dall’ufficio statistico delle comunità europee (Eurostat).

La difesa afferma che la società ha “contratto de-bito e assunto rischio di impresa relativo alla ven-dita” espressione che non concorda con quanto pre-visto nella medesima deliberazione costitutiva della società “veicolo” (delib. n. 78/2011), secondo la qua-le l’amministrazione provinciale è stata autorizzata a sottoscrivere eventuale fideiussione a garanzia del

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finanziamento concesso dall’Istituto di credito, an-corché mai prestata. Lo stesso conferimento di beni, originariamente inclusi nel portafoglio da vendere alla società “veicolo” e, di contro, acquisiti a titolo di imputazione in conto capitale a fondo perduto nel patrimonio della società senza obbligo di restituzio-ne al socio (per euro 5.292.950), appare, soprattutto, preordinato a dotare la Valoreimmobiliare s.r.l. di un compendio immobiliare su cui iscrivere ipoteca.

La fideiussione, pur autorizzata, non si è resa necessaria, in quanto l’Istituto bancario è stato, co-munque, garantito dalla provincia in altro modo, at-traverso l’iscrizione di ipoteca sui beni trasferiti ad hoc alla società. Se gli immobili cartolarizzati non dovessero essere collocati sul mercato e quindi la spv non avrà a disposizione alle scadenze stabilite le risorse finanziarie necessarie per rimborsare i credi-tori, questi ultimi potranno beneficiare della garanzia costituita dal patrimonio della stessa società, formato da cespiti conferiti esclusivamente dalla Provincia di Pesaro Urbino.

In altre parole, il rilevante apporto patrimoniale compiuto dall’ente locale nei confronti della società “veicolo” ha fornito un’ampia garanzia a esclusivo beneficio dei finanziatori dell’operazione e l’esisten-za di forme di garanzia in favore dei creditori costi-tuisce un fattore discriminante ai fini del corretto in-quadramento della fattispecie anche in base ai criteri definiti dall’ufficio statistico delle comunità europee (Eurostat).

Poiché le norme del patto di stabilità interno ser-vono per ripartire l’obiettivo annuale di finanza pub-blica necessario al rispetto dei vincoli comunitari tra i vari enti territoriali che compongono la Repubblica, il rispetto del patto di stabilità di ciascun ente deve essere valutato anche sulla base dei criteri con cui Eurostat verifica il rispetto da parte dell’Italia degli obiettivi posti dai trattati. La decisione del 25 giugno 2007 e le varie edizioni del Manual on government deficit and debt (Mgdd) pubblicate da Eurostat a par-tire dal 2008 hanno affermato, come principio gene-rale in tema di cartolarizzazioni immobiliari, quello secondo cui l’operazione può essere registrata come una vendita soltanto se è stato realizzato il trasferi-mento della proprietà – intesa in senso economico – che si verifica quando la spv assume per intero i rischi ed i benefici generati dagli asset.

Nel caso in esame, il collegio, pertanto, ritiene che la società risulti garantita dalla provincia, seppu-re non nella forma della fideiussione bancaria che, in un primo momento, con la delib. n. 78/2011 era stata autorizzata a sottoscrivere.

6. È ininfluente ai fini del decidere, sostiene il collegio, la circostanza che la provincia abbia porta-to a conoscenza dell’operazione di cartolarizzazione il Ministero dell’economia e delle finanze e che lo stesso non abbia mosso alcun rilievo in proposito, né rileva il fatto, seppure censurabile, della manca-ta comparizione dello stesso attraverso l’Avvocatu-ra generale dello Stato in quanto la comunicazione dell’operazione di cartolarizzazione non equivale all’approvazione della stessa.

7. Conclusivamente il collegio ritiene, alla luce dell’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003 e sulla base delle conferme provenienti dai criteri applicati da Eurostat per valutare le cartolarizzazioni realizzate dagli Stati membri, le vendite che le vendite realizzate a favore della società “veicolo” concretizzino una forma di anticipazione e/o di indebitamento talché i relativi proventi debbano, più rettamente, imputarsi al titolo V dell’entrata e non già al titolo IV con ogni conse-guenza sui saldi rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità. (Omissis)

* * *

Sezione II centrale d’appello

95 – Sezione II centrale d’appello; sentenza 10 mar-zo 2015; Pres. Imperiali, Est. Silveri, P.M. Pinot-ti; Bassolino c. Proc. reg. Campania.

Conferma Corte conti, Sez. giur. reg. Campania, 27 dicembre 2007, n. 4174.

Processo contabile – Giudizio di responsabilità – Competenza territoriale inderogabile – Ecce-zione sollevata per la prima volta in appello – Inammissibilità.

C.p.c., artt. 38, 77, 345; r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, approvazione del regolamento di procedura per i giu-dizi innanzi alla Corte dei conti, art. 26; l. 8 ottobre 1984 n. 658, istituzione in Cagliari di una Sezione giu-risdizionale per la Regione Sardegna e delle Sezioni riunite della Corte dei conti, art. 2; d.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modificazioni dalla l. 14 gennaio 1994 n. 19, disposizioni in materia di giuri-sdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.Giurisdizione e competenza – Processo contabile

– Giudizio di responsabilità – Competenza per territorio – Danno derivante dall’attività del commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania – Competenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Campania.

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L. 8 ottobre 1984 n. 658, istituzione in Cagliari di una Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna e delle Sezioni riunite della Corte dei conti, art. 2; d.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modifi-cazioni dalla l. 14 gennaio 1994 n. 19, art. 1.Responsabilità amministrativa e contabile – Com-

missario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania – Spese non riconducibili alla finalità di fronteggiare l’emergenza rifiuti – Danno erariale.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.

In tema di giudizi di responsabilità amministra-tiva, la competenza per territorio delle sezioni giuri-sdizionali regionali della Corte dei conti ha caratte-re inderogabile e ad essi si applica la regola del pro-cesso civile per cui la competenza inderogabile può bensì essere rilevata d’ufficio, ma non oltre la prima udienza di trattazione della causa; di conseguenza, è inammissibile l’eccezione di incompetenza per terri-torio formulata per la prima volta in appello.

Rientrano nella competenza della Sezione giuri-sdizionale della Corte dei conti per la Regione Cam-pania le azioni di responsabilità per danno erariale cagionato nell’ambito dell’attività amministrativa del commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania.

Risponde di danno erariale il commissario dele-gato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campa-nia che abbia disposto una spesa relativa a finalità diverse da quella di fronteggiare lo stato di emer-genza (nella specie, è stata ritenuta estranea a tali finalità la spesa per la realizzazione di un call center ambientale, attraverso la costituzione di una società consortile e l’impiego di circa 100 lavoratori social-mente utili).

Motivi della decisione – (Omissis) 2. Ancora in rito va data priorità all’eccezione d’incompetenza territoriale, che l’appellante principale ha proposto per la prima volta in questo grado di giudizio.

2.a. L’eccezione – come dedotto dal pubblico ministero in sede dibattimentale – è inammissibile ai sensi dell’art. 345, c. 2, c.p.c., essendo stata pro-posta per la prima volta in appello e non trattandosi di eccezione che possa essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame.

Rileva, al riguardo, il collegio che certamente si tratterebbe (in via di mera ipotesi) d’incompetenza territoriale inderogabile; e ciò nella considerazione che nel giudizio di responsabilità amministrativa, rimesso alla cognizione della Corte dei conti, è pre-

vista la presenza obbligatoria del pubblico ministero. A tale forma d’incompetenza si applica, quindi, la disciplina recata dall’art. 38, c. 1, c.p.c. secondo cui (nel testo applicabile ratione temporis) “l’incompe-tenza per materia, quella per valore e quella per terri-torio nei casi previsti nell’art. 28 sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione”. È noto, infatti, che tra i “casi previsti nell’art. 28” sono compresi quelli indicati “nei numeri 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70” e, cioè, i casi in cui è obbligatorio.

Dalla circostanza che si tratti (sempre in via di mera ipotesi) d’incompetenza territoriale inderoga-bile non discende, quindi, che il difetto di compe-tenza sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e che non soggiaccia alle preclusioni previ-ste per il giudizio d’appello dall’art. 345, c. 2, c.p.c.

In realtà, dal chiaro disposto dell’art. 38, c. 1 (ora trasfuso, senza sostanziali modifiche, nel c. 3 dello stesso art. 38), risulta che la rilevabilità d’uf-ficio dell’incompetenza territoriale inderogabile è soggetta alla preclusione della prima udienza di trat-tazione (l’incompetenza è rilevata “anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione”). La rego-lamentazione del difetto di competenza inderogabile per territorio differisce, pertanto, da quella sulla giu-risdizione, il cui difetto – ai sensi dell’art. 37 c.p.c. e salva la formazione del giudicato implicito – “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”.

In sostanza, a norma dell’art. 38, c. 1, c.p.c., il rilievo officioso dell’incompetenza per territorio è ammesso solo entro la prima udienza di trattazione e, quindi, palesemente è precluso al giudice dell’appel-lo. Dal che consegue che la parte può impugnare la decisione di primo grado per ragioni di incompeten-za territoriale inderogabile solo ove l’incompetenza sia stata dalla stessa parte tempestivamente eccepita in primo grado; diversamente, incorre nella preclu-sione dettata dall’art. 345, c. 2, c.p.c., secondo cui nel giudizio d’appello “non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio” (così: Corte conti, Sez. riun., n. 43/1997; Sez. II cen-tr. app., n. 497/2013; Cass., n. 4021/2001 e Sez. lav., n. 22055/2006).

Questo è quanto si verifica nel caso di specie, te-nuto conto che l’eccezione di incompetenza territo-riale è stata proposta per la prima volta in appello.

2.b. In ogni caso, reputa il collegio di dover sot-tolineare – anche in ragione del rilievo economico della fattispecie in discussione – che l’eccezione è manifestamente infondata, ricorrendo nel caso all’e-same tutti i requisiti previsti dalla normativa di set-

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tore per l’incardinazione del giudizio dinanzi alla Sezione giurisdizionale per la Campania.

Sul punto è sufficiente evidenziare che – diver-samente da quanto sostenuto dall’appellante – non hanno alcun rilievo le disposizioni recate dall’art. 3, cc. 2-bis, 2-ter e 2-quater, d.l. n. 245/2005 converti-to con modificazioni dalla l. n. 21/2006, che preve-dono la competenza del Tar Lazio (sede di Roma) a conoscere della legittimità delle ordinanze e dei provvedimenti adottati dal commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania.

In effetti per le fattispecie dannose connesse alla gestione del commissario straordinario e appartenen-ti – quale quella di specie – dalla giurisdizione della Corte dei conti non si rinviene alcuna deroga alla re-gola generale posta dall’art. 2, lett. b), l. n. 658/1984 (che ha istituito la Sez. giur. reg. Sardegna) e richia-mata dall’art. 1, c. 3, d.l. n. 453/1993, convertito dalla l. n. 19/1994; regola secondo cui appartengono alla cognizione della Sezione regionale “i giudizi … di responsabilità … riguardanti … gli amministratori e funzionari, impiegati e agenti di uffici e organi del-lo Stato e di enti pubblici aventi sede o uffici nella regione, quando l’attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell’ambito del territorio regionale, ov-vero il fatto da cui deriva il danno sia si verificato nel territorio della regione”.

In sostanza, come risulta ben chiaro dalla norma, nei giudizi di responsabilità amministrativa la sezio-ne giurisdizionale regionale competente si individua avendo riguardo alla sede dell’ufficio o dell’organo (anche se trattasi di ufficio o organo statale) e pren-dendo in considerazione il luogo in cui si è svolta la gestione ovvero il luogo in cui si è verificato il danno.

Orbene, nel caso all’esame non vi è dubbio – e non lo mette in discussione neppure l’appellante – che l’ufficio del commissario straordinario avesse sede in Campania, che l’attività di gestione di cui è causa si sia svolta nel territorio campano, ove si è anche verificato il fatto da cui è derivato il danno a questi imputato. È pacifico, quindi, che la Sezione territoriale competente fosse la Sezione giurisdizio-nale per la Regione Campania, essendo, tra l’altro, a tal fine del tutto indifferente accertare quale fosse l’ente danneggiato e, cioè, se la stessa Regione Cam-pania (come affermato in sentenza), ovvero lo Stato (come dedotto dalla procura regionale, appellante incidentale).

3. Procedendo all’esame degli altri motivi di gravame osserva, preliminarmente, il collegio che l’appellante principale ha contestato ogni passaggio

motivazionale dell’impugnata sentenza, sostenendo in sostanza che – diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici – la materia della formazione e dell’informazione ambientale rientrava tra i compi-ti istituzionali assegnati al commissario di governo per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania, ai sensi di quanto previsto dalla normativa di settore e, in specie, dalle ordinanze ministeriali n. 2948 e n. 3011/1999. Ha, quindi, chiesto – modulando una articolata serie di motivi d’appello – l’integrale ri-forma della sentenza, con conseguente affermazio-ne della legittimità dell’operazione che ha condotto alla costituzione della Società protezione ambiente e natura (Pan) s.p.a. e all’approvazione del proget-to denominato “Call-center ambientale-Sos.a – Sos ambiente”, presentato dal Consorzio Sviluppo tec-nologie ambientali di Napoli (Sta). In definitiva, ha chiesto di essere prosciolto da ogni addebito per insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo della responsabilità.

L’appellante incidentale ha impugnato la senten-za con esclusivo riferimento alla parte in cui il sog-getto danneggiato è stato individuato nella regione, anziché nello Stato; ha chiesto, quindi, la parziale riforma della pronuncia, con conseguente condanna dell’appellato al pagamento, in favore dello Stato, dell’intera somma indicata in sentenza.

Debbono, pertanto, esaminarsi innanzitutto i motivi di gravame dedotti dall’appellante principa-le; tali motivi vanno valutati congiuntamente, nella considerazione che – pur essendo articolati, nella generalità, deducendo specifiche violazioni di norme sostanziali o processuali – sono tutti volti ad affer-mare la legittimità dell’iniziativa adottata dal com-missario di governo ed a spostare verso altri soggetti, non convenuti in giudizio, la responsabilità del dan-no erariale.

L’appello è, nel suo complesso, privo di fonda-mento per le ragioni che di seguito si illustrano.

4. Deve, innanzitutto, escludersi che la materia dell’informazione ambientale – nel senso ampio in-teso dall’appellante – rientrasse tra le competenze del commissario di governo per l’emergenza rifiuti in Campania.

Non vi è dubbio che, per effetto della modifica-zione integrativa dell’ordinanza del Ministro dell’in-terno n. 2948/1999 disposta dall’ordinanza ministe-riale n. 3011/1999, le attribuzioni del commissario delegato – come da questi sostenuto in tutte le difese scritte ed orali – includessero (secondo quanto pre-visto dall’art. 2, c. 1, punto 1.16 del provvedimen-to) “la formazione e l’informazione ambientale, e la

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promozione del rispetto dei valori naturali ed am-bientali”. Peraltro, è altrettanto indubbio – come ben evidenziato dai primi giudici nell’impugnata senten-za – che tale attribuzione non poteva in alcun modo legittimare un’iniziativa quale quella intrapresa dal commissario, trattandosi di competenza strettamen-te collegata al raggiungimento degli obiettivi posti a fondamento della delega e dei connessi poteri stra-ordinari, necessitati dalla “situazione di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e del risanamento ambientale”.

Sul punto non possono nutrirsi dubbi di sorta.In effetti, la disposizione sulla formazione e

l’informazione ambientale si inserisce nell’art. 2 dell’ord. n. 2948/1999 quale indicazione di un ulte-riore mezzo – rispetto a quelli già elencati nell’ori-ginario testo dello stesso art. 2 – che il commissa-rio delegato deve utilizzare per i dichiarati “fini del superamento dell’emergenza”. Si aggiunge cioè (in via esemplificativa): alla realizzazione della raccol-ta differenziata dei rifiuti urbani; alla realizzazione di piazzole per lo stoccaggio delle frazioni di rifiuti; all’adeguamento o alla realizzazione degli impianti di preparazione dei materiali, di produzione di com-post, di trattamento dei rifiuti ingombranti, di recu-pero dei beni durevoli di uso domestico; all’adozione di misure per favorire il riciclaggio e il recupero da parte del sistema industriale; alla realizzazione di adeguati sistemi di trasporto dei rifiuti non differen-ziati agli impianti di produzione del combustibile. La disposizione è, quindi, volta inequivocabilmente ad autorizzare l’utilizzo, da parte del commissario stra-ordinario, di strumenti idonei a consentire il raggiun-gimento dell’obiettivo del superamento dell’emer-genza rifiuti mediante la formazione di una cultura del rispetto dell’ambiente.

La funzionalizzazione della formazione e dell’in-formazione ambientale al superamento dell’emer-genza è, quindi, inequivocabilmente attestata proprio dalla circostanza che la disposizione in argomento integra uno specifico punto dell’ord. n. 2948/1999, la quale disciplina “ulteriori misure concernenti gli interventi intesi a fronteggiare la situazione di emer-genza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e del risanamento ambientale, idrogeologico e di regimazione idraulica”. Del resto anche l’ordinanza n. 3011/1999, che ha disposto l’in-serimento del punto nell’ord. n. 2948/1999, è rubri-cata “ulteriori disposizioni per fronteggiare l’emer-genza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e per il collegato risanamento ambientale”.

A non diverse conclusioni si perviene facendo riferimento alle ulteriori competenze in materia di “risanamento ambientale” indicate nelle menzionate ordinanze (quali, talune specifiche attività di bonifica di siti contaminati), trattandosi comunque di compe-tenze riferite ad una situazione emergenziale.

5. Orbene, risulta chiaramente dagli atti di causa – ed è attestato dallo stesso fallimento dell’operazio-ne che ha condotto alla approvazione del progetto di Call-center ambientale e alla costituzione della società Pan – che l’attività formativa ed informati-va alla base del progetto esorbitava dalle funzioni commissariali che, per la loro stessa natura “straor-dinaria”, erano pacificamente circoscritte (per tutto quanto detto sub 4) al superamento dell’emergenza.

La devianza dai (pur ampi) poteri emergenziali emerge, innanzitutto, dall’ordinanza con la quale il commissario straordinario ha approvato il progetto di Call-center ambientale. Dalle motivazioni di tale provvedimento (l’ord. 21 dicembre 2001, n. 601) risulta, invero, che con quel progetto – per la cui realizzazione veniva prevista la costituzione di una società consortile e l’impiego di almeno 100 lavora-tori socialmente utili (Lsu) – si intendeva far fronte all’“obbligo istituzionale di attivare … un comples-so sistema d’informazione integrato informatico da mettere a servizio ed a supporto delle esigenze della pubblica amministrazione e, in particolar modo, dei cittadini residenti e dell’Ue”. A tal fine nell’ordinan-za n. 601/2001: “la questione rifiuti” è appena accen-nata quale problema complesso avente riflessi sul più generale “problema ‘difesa ambiente’”; si fa riferi-mento alle direttive europee in materia ambientale e agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Aarhus con riguardo all’“accesso alle informazioni ambien-tali su richiesta”. Tutto ciò al fine dichiarato di ap-provare un progetto che – come ivi indicato – aveva l’obiettivo di realizzare “una struttura di supporto, finalizzata alla riduzione dei tempi di accesso dei cittadini alle strutture di competenza ambientale e al miglioramento dell’efficienza nell’erogazione dei servizi” e che – come emerge dagli elenchi delle pp. 7 e 8 dello stesso progetto – riguardava l’informazio-ne in ogni settore di rilievo ambientale (atmosfera, clima ed emissioni in aria; acque interne e marino costiere; conservazione della natura; rifiuti; agenti fi-sici; suolo e siti contaminati) e ineriva a tutti i “temi Sinanet”, quali: clima, qualità dell’aria, qualità dei corpi idrici, ambiente marino costiero, inquinamento da sostanze pericolose, biodiversità, paesaggio, de-gradazione del suolo, inquinamento acustico, produ-zione rifiuti, gestione rifiuti, produzione imballaggi.

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In sostanza, nel progetto approvato dal commis-sario straordinario l’attenzione ai temi ambientali riguardava anche il problema dei rifiuti e del risana-mento ambientale, ma tale problema era considerato soltanto quale uno dei molteplici elementi significa-tivi della qualità dell’ambiente. Dal che consegue che – come evidenziato dai primi giudici – le risorse pubbliche affidate al commissario straordinario per fronteggiare e risolvere l’emergenza in Campania sono state inopinatamente destinate a finanziare ini-ziative del tutto estranee alla risoluzione di quella situazione emergenziale.

6. Ancora circa l’illiceità dell’iniziativa e a fronte degli specifici motivi di gravame mossi dall’appel-lante principale, deve evidenziarsi che non ha al-cun rilievo accertare se effettivamente sussistano le anomalie evidenziate dai primi giudici in ordine al procedimento di approvazione del progetto, quali la stessa mancanza del progetto al momento della sua approvazione o la non completa corrispondenza tra le diverse stesure dell’elaborato. Trattasi, appunto, di “mere” anomalie che, in sé e per sé considerate, non segnalano elementi di devianza dai poteri conferiti al commissario delegato, ma che costituiscono (questo sì) un sicuro sintomo di una mancata ponderazione sulla legittimità e sulla stessa fattibilità di un’inizia-tiva il cui indubbio rilievo economico avrebbe dovu-to, di per sé, segnalare l’esigenza di valutazioni non affrettate. Va, invero, evidenziato che nell’ordinanza n. 601/2001 l’impegno finanziario a carico del com-missario veniva indicato in sei miliardi di lire (pari ad euro 3.098.741,39).

Altrettanto privo di pregio è l’assunto secondo cui l’evento lesivo per l’erario non sarebbe impu-tabile al commissario, avendo questi provveduto all’emanazione dell’ordinanza n. 601/2001 che in-tegra – secondo l’appellante – “un atto preparatorio e programmatorio, dal quale non derivano obblighi vincolanti in capo alla struttura commissariale, men che meno, sotto il profilo dell’indebito esborso di da-naro pubblico”.

In realtà, anche ammettendo che l’ordinanza avesse le indicate caratteristiche di atto preparatorio e programmatorio, tali connotazioni non varrebbero comunque ad escludere la responsabilità del com-missario straordinario il quale provvide, non solo all’emanazione di quell’ordinanza “programmato-ria”, ma anche alla stipula della convenzione n. 94 del 31 dicembre 2001 con il Consorzio Sviluppo tec-nologie ambientali (Sta).

Con tale convenzione – della cui valenza ope-rativa non può di certo dubitarsi (e, in effetti, non

ne dubita neppure l’appellante) – il Commissario di governo approva nuovamente il progetto denomi-nato “Call-center ambientale-Sos.a – Sos ambien-te” presentato dal consorzio e, a sua volta, il con-sorzio si impegna a provvedere alla realizzazione delle strutture previste nel progetto anche mediante l’assunzione di almeno 100 lavoratori socialmente utili. Nella stessa convenzione: si conferma l’impe-gno finanziario a carico del commissario delegato di euro 3.098.741,39, comprensivo della quota di partecipazione al capitale sociale della società mista da costituire; si fa riferimento alla normativa statale sull’impiego dei lavoratori impegnati nei lavori so-cialmente utili; si prevede l’obbligo del consorzio di eseguire a perfetta regola d’arte la realizzazione del progetto, nonché di costituire una società a capitale misto a maggioranza pubblica; si prevede l’obbligo del commissario di indicare i responsabili della parte pubblica della rappresentanza nella società mista e di individuare, d’intesa con il responsabile della parte privata, i lavoratori Lsu da impegnare nelle attività di progetto.

Anche con riferimento alla convenzione l’ap-pellante, afferma l’insussistenza – o, comunque, l’irrilevanza – delle anomalie procedurali indicate nell’impugnata sentenza (quale un presunto errore nella protocollazione). Senonché anche con riguar-do a tali questioni deve evidenziarsi che le anoma-lie sono state segnalate dai primi giudici quale spia sintomatica della avventatezza e della frettolosità di una decisione che – oltre ad esorbitare dai poteri del commissario – impegnava l’ufficio commissariale a sostenere spese di assoluto rilievo senza che ne fosse stata previamente accertata l’utilità e la congruenza con l’obiettivo di superamento dell’emergenza. In realtà, come evidenziato dai primi giudici (mediante richiamo agli esiti della Relazione territoriale sulla Campania redatta nel 2006 dalla commissione parla-mentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse), “l’emergenza, pure invo-cata, sembra essere riferibile piuttosto alla necessità di assumere e stabilizzare una folta schiera di lavo-ratori socialmente utili che all’urgenza di avviare il Call-center ambientale”.

In definitiva, le difese appaiono del tutto prete-stuose laddove evidenziano presunte illogicità moti-vazionali dell’impugnata sentenza, quando in realtà i primi giudici sono giunti ad affermare l’illiceità dell’iniziativa commissariale con argomenti conno-tati da estrema coerenza e previa valutazione di tutti gli atti di causa.

Né può in qualche modo apprezzarsi il richiamo

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agli artt. 2701 e 2697 c.c. – sulla fede privilegiata degli atti pubblici – che l’appellante utilizza per affermare che “era inibito al collegio territoriale fi-nanche nutrire dubbi sull’attendibilità ed autenticità delle risultanze del registro di repertoriazione delle convenzioni”. È evidente, infatti, che – come già evidenziato – le anomalie (a prescindere o meno dal-la loro effettiva esistenza) non hanno influito sulla valutazione di illiceità dell’operazione se non ai li-mitati fini di segnalare elementi sintomatici di una scarsa ponderazione decisionale; senonché l’inade-guata ponderazione risulta evidente – come anche affermato dai primi giudici – dal brevissimo volgere di tempo in cui l’iniziativa è maturata ed è divenuta operativa e, comunque, emerge con chiarezza dalla incongruenza con i poteri commissariali.

Sul punto deve, ancora, evidenziarsi che – di-versamente da quanto sostenuto dall’appellante – la liceità dell’iniziativa non può essere recuperata nep-pure valorizzando le disposizioni successive ai fatti di causa, quali il d.lgs. n. 195/2005 (“attuazione della direttiva 2003/4/Ce sull’accesso del pubblico all’in-formazione ambientale”) o il d.l. n. 263/2006 con-vertito dalla l. n. 290/2006 (“Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania”).

È vero che, come rileva l’appellante, entram-bi i plessi normativi recano disposizioni sull’in-formazione ambientale. È altrettanto vero che – ai sensi dell’art. 2 d.l. n. 263/2006 convertito dalla l. n. 290/2006 – “Il commissario delegato … adotta, con propria ordinanza, le misure volte ad assicura-re l’informazione e la partecipazione dei cittadini in conformità ai principi della ‘Carta di Aalborg’”; pe-raltro, a mente della stessa disposizione, le iniziative d’informazione sono da attuare “in collaborazione con il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, in con-formità alle disposizioni del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. In ogni caso è evidente che il tema dell’informazione ambientale è disciplinato in stretta funzionalizzazione con l’obiettivo del supera-mento dell’emergenza rifiuti in Campania e, quindi, la richiamata disposizione non può di certo legitti-mare ex post un’iniziativa che – per le ragioni sopra ampiamente esplicitate – esorbita del tutto dalla pro-blematica dell’emergenza.

A non diverse conclusioni conduce la “Relazione sulla gestione degli interventi straordinari in materia di smaltimento dei rifiuti in Campania” approvata dalla Sezione centrale di controllo di questa Corte

con delib. n. 7/2002, dalla quale (come evidenziato dai primi giudici) si evince che l’organo di controllo ha censurato la circostanza che le ordinanze mini-steriali avessero affidato al commissario delegato anche “rilevanti interventi di bonifica ambientale”, nonché “la formazione e l’informazione ambienta-le”. Senonché, tali osservazioni non erano, di certo, dirette ad avallare un ampliamento della materia del-la formazione e dell’informazione ambientale a tutte le questioni attinenti all’ambiente, quale quello in concreto operato dal commissario delegato, essendo invece palesemente volte a lamentare un travalica-mento delle ordinanze ministeriali dai rigidi limiti fissati dalla l. n. 225/1992 (“istituzione del Servi-zio nazionale della protezione civile”) e, in specie, dall’art. 5 della stessa legge; travalicamento che, peraltro, poteva trovare una sua giustificazione solo riferendo quelle competenze in materia di formazio-ne e informazione ambientale – come risulta dalle ordinanze n. 2948 e n. 3011/1999 – in stretta connes-sione con la problematica dell’emergenza rifiuti e del risanamento ambientale.

7. Le considerazioni fin qui esposte sulla illiceità dell’iniziativa intrapresa dal commissario di governo conducono anche ad affermare la sussistenza dell’e-lemento oggettivo della responsabilità, risultando infondati i corrispondenti motivi di gravame dedotti dall’appellante principale.

Deve, innanzitutto, evidenziarsi che la devian-za rispetto ai fini istituzionali già di per sé segnala la dannosità della spesa sostenuta dal commissario straordinario per la costituzione della società mista Protezione ambiente e natura (Pan) s.p.a., cui venne affidata la realizzazione del Call-center ambientale-Sos ambiente.

In effetti, come rilevato dai primi giudici, l’og-getto sociale indicato nello statuto (art. 3) rispecchia fedelmente l’ampio spettro di funzioni che, come previsto nell’ord. n. 601/2001 e nella convenzione stipulata con il Consorzio Sta, dovevano essere affi-date ad una società mista a prevalente partecipazione pubblica. La società Pan ha, infatti, per oggetto “la gestione, la progettazione, la realizzazione e l’ero-gazione del servizio istituzionale dell’informazione ambientale a carico e di interesse della pubblica am-ministrazione nonché di tutte le altre attività connes-se, conseguenti, collegate o funzionali a tali servizi”; in particolare, doveva occuparsi del “trattamento delle informazioni che devono essere divulgate a cura delle autorità pubbliche e degli altri organismi responsabili della divulgazione” e della “gestione delle applicazioni delle modalità pratiche destinate

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a garantire la messa a disposizione effettiva dell’in-formazione”, garantendo “a nome e per conto della pubblica amministrazione il dovere di risposta”. Per raggiungere tali obiettivi la società poteva (sempre secondo quanto previsto dall’art. 3): “effettuare studi di progettazione, realizzazione, messa in opera e ge-stione operativa di sistemi, anche informativi, mirati alla razionalizzazione delle potenzialità già in eser-cizio, alla produzione di sistemi operativi; concor-rere alla progettazione, messa in opera ovvero alla gestione operativa di strutture logistiche attrezzate, impianti speciali, apparecchiature elettroniche; cura-re la manutenzione di sistemi telematici ed informa-tivi, strumentali per l’erogazione dei servizi; prestare servizi di assistenza tecnica e funzionale, l’addestra-mento e la formazione … nonché ogni altra attività o servizio per l’innovazione amministrativa che pre-vede anche l’impiego delle tecnologie dell’informa-zione da parte delle imprese, amministrazioni ed enti pubblici; svolgere studi, ricerche di nuove tecnologie e nuovi processi”.

In sostanza, l’oggetto sociale – come esattamente evidenziato dai primi giudici – “è di amplissimo re-spiro” e non contiene “alcuno specifico riferimento al superamento della situazione emergenziale dei rifiuti nella regione campana”. Il che conferma che le ri-sorse pubbliche affidate al commissario delegato per fronteggiare l’emergenza rifiuti in Campania sono state destinate a finanziare iniziative del tutto estranee al superamento della situazione emergenziale.

L’elemento oggettivo della responsabilità emer-ge, poi, chiaramente dalle ragioni che hanno condot-to al fallimento dell’iniziativa.

Sul punto deve evidenziarsi che l’iniziativa della costituzione della società mista Pan – oltre ad esor-bitare palesemente dai poteri commissariali – è stata adottata dal commissario straordinario in completa solitudine, senza che venissero previamente acqui-siti la disponibilità e l’interesse di altri settori del-la pubblica amministrazione a partecipare ad una intrapresa che, per la sua stessa amplissima finali-tà, come risultante da tutti gli atti sopra esaminati, presupponeva (quanto meno) il coordinamento con gli enti istituzionalmente preposti alla protezione e all’informazione ambientale.

In sostanza la spendita di consistenti quantità di denaro pubblico non è stata supportata da alcuna preventiva valutazione sulla concreta proficuità di un’iniziativa che – si ribadisce – esulava dai poteri commissariali, ma che comunque non può escludersi che potesse risultare utile ove fosse stata preceduta da intese con le altre istituzioni pubbliche. In altri

termini non si tratta di una mera responsabilità “for-male” per travalicamento dalle proprie competenze istituzionali, ma si tratta di danno effettivo e concre-to determinato dal fallimento dell’iniziativa.

Sul punto gli atti di causa sono chiarissimi.La copiosa documentazione del fascicolo di pri-

mo grado attesta, invero, che:- la notizia del progetto di un Call-center ambien-

tale venne diramata soltanto dal Consorzio Sta con una nota del mese di dicembre del 2001 pervenuta, oltre che al commissario per l’emergenza rifiuti, ad alcuni assessorati della Regione Campania e all’Ar-pac (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania);

- in esito a tale nota l’Arpac manifestò la sua adesione al progetto con deliberazione n. 335 del 28 dicembre 2001 per un impegno di spesa di lire 400.000.000 (pari ad euro 206.582,76);

- non risulta dagli atti – né l’appellante ha dedot-to alcunché al riguardo – che il commissario abbia acquisito pareri o che, comunque, abbia ricercato la collaborazione di altri organi pubblici prima di intra-prendere l’iniziativa dell’approvazione del progetto di Call-center ambientale e, soprattutto, prima di per-venire alla costituzione della società mista Pan;

- attendibilmente proprio in ragione del manca-to preventivo coordinamento con altri uffici pubbli-ci competenti nella materia ambientale, l’offerta di cessione gratuita di quote delle azioni sociali non è andata a buon fine né nei confronti della Provincia di Napoli né dell’Arpac; in particolare, la Guardia di finanza ha accertato che “nessuna delle cessioni disposte si è perfezionata per mancata adozione del-la relativa attività deliberativa da parte dei soggetti cessionari” (cfr. all. 5G alla relazione del 10 ottobre 2006);

- dando seguito all’adesione al progetto manife-stata con delib. 28 dicembre 2001, n. 335 l’Arpac, con delib. 30 dicembre 2002, n. 690, ha affidato alla società Pan “l’incarico per la realizzazione del pro-getto Call-center ambientale – Sos.a (Sos ambien-te)”, approvando l’offerta tecnico-economica pre-sentata dalla società nel mese di ottobre 2002, ed ha riconosciuto alla Pan, per la progettazione esecutiva, un compenso onnicomprensivo di euro 206.582,76 (pari, cioè, all’importo impegnato con la deliberazio-ne del 2001);

- il Call-center ambientale è risultato funzionante soltanto dall’1 settembre 2003 all’8 ottobre 2003 (v. p. 4 della relazione della Guardia di finanza del 10 ottobre 2006 e, in all. 10, il prospetto dei “dati opera-tivi informambiente” forniti dalla Pan);

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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- nel corso del 2004 la società Pan ha intrapreso azione giudiziaria contro il commissario delegato per l’emergenza rifiuti e il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo un risarcimento danni quantificati al 30 giugno 2004 in euro 3.219.477,68;

- in particolare la società lamentava che: «no-nostante la comunicazione inviata dalla Pan il 19 febbraio 2002 … di ultimazione della fase di realiz-zazione del Call-center e delle attività connesse … il commissario non ha provveduto a porre in essere gli adempimenti necessari all’avvio della fase suc-cessiva della convenuta gestione del progetto appro-vato consistente ne “Il servizio di gestione del Si-stema denominato Sirenetta”»; «a seguito di bando del progetto di stabilizzazione degli Lsu denominato “Call-center ambiente”» era stata costretta “per evi-denti motivi di ordine sociale … ad assumere il per-sonale dal 1 luglio 2003”, con i conseguenti oneri quantificati in euro 1.126.559,79 sino al 28 febbraio 2004 e in euro 963.284,20 nel periodo 1 marzo-30 giugno 2004; aveva sostenuto spese “per il fitto della sede ove sono allocati i dipendenti assunti per le atti-vità connesse al Call-center, per oneri condominiali, per utenze … per complessivi euro 99.459,48”, “per consulenze e collaborazioni varie euro 480.000”, “per spese generali … euro 550.174,21”;

- con nota del 22 settembre 2006 la società ha dichiarato di rinunciare al giudizio; la rinuncia fa seguito agli ordinativi di pagamento emessi in data 3 agosto 2005 dal Commissario di governo in fa-vore della Capitalia leasing & factoring s.p.a., qua-le cessionaria della società Pan, per gli importi di euro 3.167.457,27 (quale quota capitale) e di euro 253.833,50 (per spese, commissioni bancarie e in-teressi passivi); detti bonifici seguono ad altri paga-menti effettuati, nel corso del 2003 per il tramite del-la Pomigliano ambiente s.p.a. in favore della società Pan per complessivi euro 500.000.

In definitiva, il commissario delegato per l’emer-genza rifiuti in Campania ha sborsato oltre 3.900.000 euro di cui oltre 3.600.000 per coprire le spese soste-nute da una società rimasta sostanzialmente inattiva. È, quindi, evidente che tale esborso integra un danno erariale, non risultando in alcun modo dagli atti che la società finanziata con denaro pubblico abbia con-seguito una qualche utilità.

La difesa dell’appellante ha molto insistito, sia in primo che in secondo grado, sulla legittimità dell’assunzione dei lavoratori socialmente utili (Lsu) e, quindi, sotto tale profilo, sull’assenza del danno addebitato dalla Sezione territoriale. A tal fine ha evi-denziato che il ricorso ai progetti di stabilizzazione

dei soggetti applicati in Lsu – “per l’attuazione di interventi di … competenza” del commissario dele-gato all’emergenza rifiuti nella Regione Campania – è previsto, tra l’altro, dall’ordinanza ministeriale n. 2560/1997, che contempla anche la possibilità di adottare lo strumento della costituzione di una so-cietà mista.

Il collegio non intende mettere in discussione tale assunto che, effettivamente e a prescindere dalla par-ticolarità del caso concreto, potrebbe trovare rispon-denza (in via teorica) nelle disposizioni richiamate dall’appellante. Peraltro, ciò che l’appellante trascu-ra è che il ricorso agli Lsu (come evidenziato dalla procura attrice nell’atto di citazione e dalla Sezio-ne territoriale nell’impugnata sentenza) presuppone comunque l’applicazione di tale personale (non di-versamente da qualunque altro tipo di personale) ad attività che siano programmate per il raggiungimen-to degli obiettivi fissati dalle norme e, quindi, nella specie, per raggiungere la finalità di fronteggiare e superare l’emergenza rifiuti in Campania.

In sostanza, la ratio della normativa sull’impie-go di soggetti da adibire a lavori socialmente utili non è di certo l’assunzione fine a se stessa, al solo scopo di dare protezione sociale a persone altrimenti disoccupate, bensì quella di promuovere l’occupa-zione in lavori che sono “socialmente utili” in quan-to diretti a sopperire ad esigenze della collettività. Ed è ovvio che l’assunzione è legittima – e, quindi, non produttiva di danno erariale – solo se si tratti effettivamente di un lavoro “socialmente utile” e vi sia una proporzione fra l’attività “socialmente utile” da svolgere e il numero dei lavoratori ad essa appli-cati; elementi che nel caso all’esame sono risultati del tutto carenti, tenuto conto che la società Pan a prevalente partecipazione pubblica è stata costituita pressoché all’unico scopo di stabilizzare il persona-le Lsu e – fatta eccezione per il progetto commissio-nato dall’Arpac – è rimasta sostanzialmente priva di commesse.

8. Pochi cenni sono sufficienti per confutare le argomentazioni difensive circa la pretesa insussi-stenza dell’elemento soggettivo della responsabilità. In effetti la colpa grave emerge da quanto fin qui ar-gomentato sulla illiceità e la dannosità dell’iniziati-va commissariale, che risulta intrapresa non solo in palese violazione dei limiti dei poteri emergenziali, ma anche omettendo una qualunque seria pondera-zione sulle implicazioni che ne sarebbero derivate alla finanza pubblica. Sono significativi, al riguardo, l’estrema frettolosità delle deliberazioni e il mancato coordinamento con altre amministrazioni pubbliche

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per operazioni di particolare delicatezza (quali la co-stituzione di una società e l’assunzione di un gran numero di Lsu) soprattutto in ragione del consistente impegno economico che ne derivava per l’azionista pubblico.

L’appellante sostiene che i primi giudici sareb-bero pervenuti alla affermazione della sua grave col-pevolezza ricorrendo al “classico teorema” del “non poteva non sapere”. Senonché, risulta chiaramente dall’impugnata sentenza che la Sezione territoria-le ha vagliato la condotta del convenuto sotto ogni profilo rilevante ai fini di una ponderata valutazione, pervenendo ad affermare che “la sussistenza … del-la colpa grave è testimoniata dal fatto che egli non poteva non essere consapevole della propria inve-stitura, quale organo commissariale, finalizzata alla gestione dell’emergenza”; il che sta semplicemente a significare che il grado della colpa è stato valuta-to – secondo i pacifici principi giurisprudenziale in materia – tenendo conto del grado di consapevolez-za che è presumibile ritenere sussistente nell’agente in ragione della professionalità, della competenza e delle specifiche attribuzioni e, quindi, quale grado di scostamento tra la condotta esigibile e la condotta in concreto tenuta.

Si tratta di valutazioni che il collegio condivide integralmente in quanto trovano pieno avallo nelle risultanze di causa di cui si è già dato ampiamente conto. Tali risultanze escludono l’esimente – invoca-ta dall’appellante – dell’errore professionale scusa-bile; e ciò per la semplice considerazione che – come argomentato sub 4 e 5 – le ordinanze sull’emergenza rifiuti e sul risanamento ambientale non si prestano a dubbi di sorta e, quindi, un fraintendimento quale quello in cui sarebbe incorso l’appellante non po-trebbe che essere imputato a negligenza e imperizia gravi.

9. Va, infine, escluso che alla produzione del dan-no abbiano concorso altri soggetti non chiamati in giudizio; dal che consegue l’infondatezza dei motivi di gravame dedotti dall’appellante principale sulla mancata integrazione del contraddittorio e sull’adde-bito del danno in via esclusiva all’unico convenuto in giudizio.

9.a. Circa la prima questione, si osserva innanzi-tutto che – secondo pacifica giurisprudenza e come esattamente evidenziato dai primi giudici – nella ge-neralità delle ipotesi di responsabilità amministrativa non ricorre la situazione di litisconsorzio necessario disciplinata dall’art. 102 c.p.c., che notoriamente va circoscritta alle azioni costitutive plurisoggettive o alle azioni di condanna aventi ad oggetto prestazioni

che, rispetto a più coobbligati, siano da considerare indivisibili o inscindibili. Pertanto, non sussisteva al-cun obbligo di chiamare in giudizio soggetti diversi da quello convenuto dalla procura regionale.

La chiamata in causa di altri soggetti sarebbe po-tuta avvenire per ordine del giudice, come previsto dall’art. 47, parte II, r.d. n. 1038/1933, secondo cui “l’intervento (del terzo) può essere anche ordinato dalla sezione, d’ufficio, o anche su richiesta del pro-curatore generale o di una delle parti”; previsione che è assimilabile a quella recata dall’art. 107 c.p.c., a mente del quale “il giudice, quando ritiene oppor-tuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento”.

È noto, peraltro, che – a prescindere dalla di-scussa compatibilità di tale istituto con il principio di terzietà e imparzialità del giudice sancito dall’art. 111, c. 2, Cost. – l’intervento iussu iudicis può es-sere disposto sulla base di valutazioni discrezionali dei giudici di primo grado che tengano conto della specificità del caso concreto. Nella specie, la Sezio-ne territoriale ha motivato sulla inopportunità della chiamata in giudizio di altri soggetti ai sensi degli artt. 107 c.p.c. e 47 r.d. n. 1038/1933, trattandosi di domanda risarcitoria che “risulta promossa con l’intera intestazione del debito erariale al solo con-venuto” e, comunque, non essendo precluso al giu-dice di «pronunciarsi nel merito della riferibilità al convenuto dell’integrale somma riportata nell’atto introduttivo del giudizio, ovvero di altra somma che costituisca (eventualmente) danno erariale in rappor-to alla condotta tenuta come fonte della “singola re-sponsabilità” nel senso indicato dalla legge».

9.b. Circa l’addebito in via esclusiva all’unico convenuto, osserva il collegio che in effetti – come evidenziato dai primi giudici e come risulta da quan-to fin qui argomentato (in particolare, sub 7) – l’i-niziativa della costituzione della società mista e del Call-center ambientale è stata adottata dal commis-sario delegato in totale solitudine, senza che sia stato neppure tentato di acquisire la disponibilità e l’inte-resse di altri settori della pubblica amministrazione.

Non vi è dubbio, quindi, che l’evento lesivo sia imputabile esclusivamente all’appellante, il quale – diversamente da quanto da questi sostenuto – man-tenne la posizione di dominus della situazione an-che dopo che la società venne costituita. In effetti, le azioni in mano pubblica (il 51 per cento del pac-chetto azionario) continuarono a essere detenute dal commissario delegato, non essendo andata a buon fine neppure la parziale cessione a titolo gratuito ad altre amministrazioni pubbliche.

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In proposito è significativo che con ord. n. 228 del 17 giugno 2002 il commissario delegato prov-vide ad approvare lo schema di convenzione tra lo stesso commissario e la società mista Pan e dalla convenzione emergono chiaramente gli obblighi e i poteri intestati al socio pubblico che, tra l’altro, “si impegna ad individuare … le attività interessate agli interventi da affidare alla s.p.a.” (art. 1); attività che, invece, non vennero mai individuate. Per tale ragione, tenuto conto delle inadempienze e della conseguente pressoché totale inattività della società, questa convenne in giudizio per risarcimento danni proprio il commissario delegato e la rinuncia al giu-dizio avvenne solo dopo che il Commissario effettuò il pagamento degli importi di euro 3.167.457,27 e di euro 253.833,50 (che si aggiunsero ai 500.000 euro già in precedenza liquidati).

È altresì significativo il contenuto dell’atto di ci-tazione con il quale nel 2006 il Consorzio Sta (socio privato della Pan) ha convenuto in giudizio il Com-missario di governo per l’emergenza bonifiche e tu-tela delle acque per la Regione Campania (sorto per scissione dall’originario commissario straordinario rifiuti, bonifiche e tutela delle acque), ove si eviden-ziano le ragioni delle consistenti perdite della società che sono indicate, tra l’altro, nel «ritardo nel confe-rimento di commesse per la stabilizzazione dei lavo-ratori socialmente utili, in particolare le “commesse Sos ambiente”», nella “mancata formalizzazione di acquisizione di quote della Provincia di Napoli … e della Regione Campania”, nel “mancato conferi-mento di ulteriori commesse, come da Convenzioni sottoscritte”.

9.c. Conclusivamente, non ravvisandosi altri responsabili che abbiano concorso alla produzione del danno, l’impugnata sentenza deve essere con-fermata anche con riguardo all’imputazione dell’in-tero danno al commissario delegato per l’emergen-za rifiuti.

10. La sentenza merita conferma anche sul pun-to della riduzione dell’addebito. Deve, al riguardo, evidenziarsi che tale capo di pronuncia è stato fatto oggetto di gravame solo dalla parte privata la quale lamenta che vi sarebbe una incongruenza tra l’aver affermato l’illiceità dell’assunzione dei lavoratori Lsu e l’aver, poi, utilizzato tale assunzione quale elemento significativo per ridurre l’addebito ai sensi dell’art. 52 r.d. n. 1214/1934.

- La lamentata illogicità, in realtà, non sussiste, avendo i primi giudici valorizzato, prudenzialmente e condivisibilmente, la circostanza che l’iniziativa del commissario – pur palesemente esorbitante dai

poteri emergenziali e produttiva di danno erariale “per la sostanziale inutilità per la collettività dell’im-piego degli Lsu chiamati a partecipare al progetto c.d. Sos.a” – è stata ispirata da “finalità di stabiliz-zazione occupazionale … meritevole, per le ragioni solidaristiche sottostanti, di dare luogo ad equitativa riduzione dell’addebito da euro 3.921.304,17 ad euro 3.200.000, importo comprensivo di rivalutazione monetaria”.

In definitiva, la condanna va confermata nella misura di euro 3.200.000 comprensiva della rivalu-tazione monetaria intercorsa dalla data dell’evento dannoso fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado; a tale importo vanno aggiunti – come stabilito dai primi giudici – gli interessi legali da cal-colarsi dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado al soddisfo. (Omissis)

148 – Sezione II centrale d’appello; sentenza 26 marzo 2015; Pres. Imperiali, Est. Silveri, P.M. Pomponio; Sapienza c. Proc. reg. Puglia.

Conferma Sez. giur. reg. Puglia, 18 marzo 2008, n. 170.

Responsabilità amministrativa e contabile – Agente di custodia – Illecito favoritismo verso detenuti dietro compenso corruttivo – Danno da disservizio – Sussistenza – Fattispecie.

L. 14 gennaio 1994, n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.

L’agente di custodia, che abbia dedicato il suo tempo lavorativo a intrattenere rapporti illeciti con alcuni detenuti ai quali garantiva, ricevendone da-zioni di denaro o di altre utilità, privilegi di varia natura (come la possibilità di ricevere dall’esterno alcolici, sostanze stupefacenti, telefoni cellulari) e favorendone contatti operativi con organizzazioni malavitose, risponde di danno erariale da disservi-zio, che va commisurato all’ammontare della retri-buzione percepita (nella specie, l’agente era stato definitivamente condannato in sede penale per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, mentre il reato di corruzione era stato dichiarato estinto per prescrizione).

Motivi della decisione – (Omissis) 3. Nel merito l’appello è privo di qualunque fondamento.

Reputa, invero, il collegio che siano pienamente condivisibili le considerazioni che hanno condotto i primi giudici ad affermare la responsabilità del con-venuto per il danno da disservizio da questi (e dagli

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altri condebitori in solido) cagionato all’amministra-zione penitenziaria in conseguenza della consapevo-le deviazione dagli obblighi istituzionali. Trattasi, è bene rammentare, di un agente di custodia che – al-meno nel periodo in contestazione – ha asservito le proprie funzioni a condotte criminose particolarmen-te riprovevoli, intrattenendo rapporti illeciti con al-cuni detenuti ai quali garantiva, ricevendone dazioni di denaro o di altre utilità, privilegi di varia natura, come la possibilità di ricevere dall’esterno alcolici, sostanze stupefacenti, telefoni cellulari, giungendo in tal modo anche a favorire contatti operativi con organizzazioni malavitose.

Va, poi, rammentato che – come esattamente evidenziato dal pubblico ministero in udienza – il processo penale si è concluso con la sentenza della Corte suprema di cassazione, Sez. IV pen., 13 genna-io 2006, n. 1138. Con tale sentenza è stata dichiarata l’estinzione del reato di corruzione in conseguenza dell’applicazione delle circostanze attenuanti gene-riche, mentre è stata confermata (con conseguente passaggio in giudicato) la condanna già inflitta dal-la Corte d’appello di Bari per il traffico illecito di sostanze stupefacenti, avendo il giudice della legitti-mità ritenuto non censurabili le ragioni ostative alla invocata riduzione della pena, quali: la “molteplicità e gravità delle condotte delittuose”, “l’intensità del dolo”, il “fatto che il Sapienza aveva assunto, all’in-terno della struttura carceraria, la veste di punto di riferimento per numerosi detenuti i quali necessita-vano degli illeciti servigi”.

In sostanza, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la prescrizione non ha riguardato tutti i reati a lui contestati e da lui sostanzialmente ammessi, dovendosi a questo proposito rilevare che – come chiaramente emerge dalle pronunce in atti – in sede penale le difese si sono dispiegate nell’in-tento prevalente di minimizzare gli episodi illeciti al fine di ottenere sconti di pena.

In ogni caso, ancora in difformità da quanto af-fermato dalla parte appellante, risulta dall’impugnata sentenza che i primi giudici hanno proceduto ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie ac-quisite in sede penale; e ciò a prescindere dalla cir-costanza che, con riguardo allo spaccio di sostanze stupefacenti all’interno della struttura carceraria, tro-vasse applicazione l’art. 651 c.p.p. secondo cui “la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussisten-za del fatto, della sua illiceità penale e all’afferma-zione che l’imputato lo ha commesso”.

E non vi è dubbio che – come affermato dai pri-

mi giudici – le risultanze probatorie (le deposizioni testimoniali, le intercettazioni telefoniche, le stesse ammissioni sia pur “riduttive” dell’incolpato) de-pongono tutte nel senso della gravissima devianza dai compiti istituzionali. Dal che consegue che sus-siste – come affermato nella impugnata sentenza – il danno da disservizio, sub specie dell’esercizio illeci-to e penalmente rilevante di pubbliche funzioni.

Circa la quantificazione del danno si osserva che i primi giudici hanno scomputato dall’addebito con-testato nell’atto di citazione i periodi nei quali il Sa-pienza era risultato assente dal servizio per ragioni di salute; e, proprio per tale ragione, hanno ridotto la somma a questi imputabile (ai soli fini del riparto interno tra i corresponsabili in solido) dall’importo di euro 35.179,24 alla misura di euro 20.000. Va, inoltre, evidenziato che di tale scomputo (e di altra decurtazione concernente un altro convenuto) si è te-nuto conto riducendo la misura del danno complessi-vamente addebitato in via solidale.

È, quindi, del tutto infondata l’affermazione con-tenuta nel gravame, secondo cui non sarebbe stata operata “alcuna valutazione in ordine alla singola posizione dell’odierno appellante”. L’affermazio-ne – oltre ad essere infondata – è anche generica, tenuto conto che non viene addotta ragione alcuna sulla eventuale incongruità del consistente scomputo compiuto in prime cure.

4. In definitiva, l’appello va integralmente re-spinto.

Alla soccombenza consegue la condanna dell’ap-pellante al pagamento delle spese di giudizio come liquidate in dispositivo.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione seconda giuri-sdizionale centrale, respinge l’appello, iscritto al n. 32758, proposto da Sapienza Domenico avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regio-ne Puglia 18 marzo 2008, n. 170.

186 – Sezione II centrale d’appello; sentenza 16 aprile 2015; Pres. Imperiali, Est. Cirillo, P.M. Briguori; Proc. reg. Campania c. Faratro e altri.

Conferma Sez. giur. reg. Campania, 10 marzo 2008, n. 658.

Responsabilità amministrativa e contabile – Co-mune – Dirigente – Trasferimento di un di-pendente da un servizio ad un altro con pro-filo professionale equivalente – Sentenza del giudice civile di reintegro del dipendente nelle mansioni originarie – Responsabilità ammi-

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nistrativa del dirigente per danno indiretto – Esclusione – Fattispecie.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1; d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’or-dinamento degli enti locali, art. 93; d.lgs. 31 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbli-che, art. 52.

Vanno assolti dall’imputazione di danno erariale, in quanto esenti da colpa grave, il dirigente dell’ente locale che abbia disposto, per motivi organizzativi del servizio, il trasferimento di un dipendente ad al-tro incarico con profilo professionale equivalente, e i componenti della giunta comunale che abbiano deliberato di resistere in giudizio e di proporre ap-pello contro la sentenza del giudice del lavoro che aveva disposto il reintegro del dipendente nelle man-sioni originarie; costoro, pertanto, non rispondono del danno indiretto che, in esito a tale contenzioso, l’ente locale ha dovuto risarcire al dipendente per l’asserito demansionamento (in motivazione, si ar-gomenta che il dirigente aveva agito conformemente alla possibilità di adibire il prestatore di lavoro, ol-tre che alle mansioni per le quali era stato assunto, anche a quelle considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista nei con-tratti collettivi).

Considerato in diritto – 1. Va anzitutto dichiara-ta, in rito, la tempestività dell’appello.

Infatti, la sentenza di primo grado risulta notifica-ta il giorno 10 marzo 2008 e non notificata all’appel-lante ex art. 285 c.p.c.

Pertanto, ai sensi dell’art. 1, c. 1-quinquies, d.l. 15 novembre 1993, n. 453 nella concreta fattispecie l’appello doveva essere notificato entro un anno dal-la pubblicazione della sentenza, e depositato entro i successivi 30 giorni; poiché l’appello è stato notifi-cato il giorno 22 maggio 2008 e depositato il giorno 11 giugno 2008, esso è tempestivo.

2. Nel merito, la sentenza impugnata ha accerta-to l’esistenza di danno (un esborso indebito di euro 29.707,57, pari alla somma corrisposta al dipendente che secondo il giudicato civile era stato demansiona-to) legato da un preciso nesso causale con le condotte del Faratro (che aveva provveduto al trasferimento del dipendente nonostante l’opposizione di quest’ul-timo, cagionando la condanna civile del comune e le maggiori spese di lite, somme entrambe contesta-tegli) nonché dei componenti della giunta comunale (che con due delibere – tranne l’appellato Pippo, che

aveva partecipato solo ad una di esse – avevano de-ciso di far costituire il comune nel giudizio civile di primo grado ed avevano appellato la sentenza civile, così cagionando le maggiori spese del giudizio, uni-ca somma loro contestata).

È altresì incontroverso che le condotte in conte-stazione risultano connesse all’esercizio delle fun-zioni dei convenuti.

L’oggetto del contendere tra le parti sono gli ul-teriori presupposti previsti per la responsabilità am-ministrativa degli amministratori e dipendenti degli enti locali (cfr. art. 93, c. 1, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in relazione agli artt. 52 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, 1 ss. l. n. 20/1994 e successive. modificazioni), ovvero la antigiuridicità e grave colpevolezza della condotta dei convenuti, negate dalla sentenza impu-gnata e affermata dal pubblico ministero appellante.

3. In merito alla antigiuridicità e alla colpa grave, i motivi di gravame si accentrano sostanzialmente su due distinte questioni risolte in senso negativo dalla sentenza di assoluzione impugnata, ovvero la viola-zione della normativa in materia di attribuzione di mansioni ai dipendenti comunali e la violazione del-la normativa attinente alla mobilità interna del per-sonale, anche sotto il profilo della irragionevolezza delle scelte del Faratro nell’attuare tale mobilità e della giunta nel resistere nel giudizio promosso dal dipendente trasferito.

3.1. Come già evidenziato in primo grado, la nor-mativa di settore in materia di mansioni dei dipen-denti comunali prevedeva (fin dall’art. 52 d.lgs. n. 29/1993, poi recepito nell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001) che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classifica-zione professionale prevista nei contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica supe-riore che abbia successivamente acquisito per effet-to dello sviluppo professionale o di procedure con-corsuali o selettive”. Tale norma è stata modificata dall’art. 62, c. 1, d.lgs. n. 150/2009, che ha sostituito l’inciso “classificazione professionale prevista dai contratti collettivi” con l’inciso “area di inquadra-mento”; precisando, al c. 1-bis, che “i dipenden-ti pubblici” (tranne i dirigenti ed alcune categorie) “sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzio-nali”, e che le progressioni nella stessa area sono ef-fettuate con selezioni interne, mentre le progressioni tra aree diverse con concorso pubblico (e con facoltà di riservare posti a personale interno).

Inoltre, all’epoca delle condotte contestate ai convenuti (2003) la parte I (rubricata “Classificazio-

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ne”) del c.c.n.l. autonomie del 31 marzo 1999 preve-deva, all’art. 3 (rubricato “sistema di classificazione del personale”), la distinzione del personale in quat-tro categorie denominate, rispettivamente, A, B, C e D (c. 1), con la precisazione che “ai sensi dell’art. 56 d.lgs. n. 29/1993, come modificato dal d.lgs. n. 80/1998, tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna cate-goria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. L’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro” (c. 2). L’art. 3 precisava inoltre che “il solo atto lecito di esercizio del potere modificativo” (non del potere “determina-tivo” sopra precisato) del rapporto di lavoro è “l’as-segnazione temporanea di mansioni proprie della categoria immediatamente superiore” (c. 3).

Secondo una certa giurisprudenza, l’equivalenza delle mansioni presupponeva non solo l’equivalenza di classifica o di area, ma anche di profili professio-nali e di mansioni in concreto svolte, soprattutto in presenza di regolamenti interni o di una legge spe-ciale (art. 9 l. n. 65/1986) che attribuisse specifiche competenze professionali (e mansioni) a determinati dipendenti (Cass., Sez. lav., 26 settembre 2007, n. 20170 e 9 maggio 2006, n. 10628, sempre con ri-ferimento ad un Comandante di polizia municipale; nonché Sez. lav., 30 luglio 2004, n. 14666; 20 marzo 2004, n. 5651; 9 marzo 2004, n. 4773 citate dal pub-blico ministero appellante).

In quest’ottica, il pubblico ministero appellante afferma che la scelta del Faratro era antigiuridica e gravemente colposa, in quanto le chiare disposizioni di legge e di contratto ed i princìpi ermeneutici della Cassazione rendevano inescusabile la scelta del re-sponsabile di adottare la determina n. 197/2003, sen-za una “approfondita disamina del quadro normativo e giurisprudenziale sul punto”, quando l’interessato aveva già palesato la sua opposizione al trasferimen-to, essendo prevedibile la causa civile e la soccom-benza del comune in giudizio, e quindi il danno in contestazione.

Peraltro, dalla lettera delle disposizioni sopra ci-tate emerge con chiarezza che la normativa legale e contrattuale vigente all’epoca prevedeva un diritto della pubblica amministrazione datrice di lavoro di mutare le mansioni del lavoratore (c.d. ius variandi), più ampio di quello previsto nel settore privato, con-dizionandolo alla “classificazione operata dai con-tratti collettivi” e non alle “ultime” mansioni “effet-tivamente svolte” dal lavoratore (art. 2103 c.c.); per cui – diversamente da quanto previsto per l’impiego privato – la professionalità acquisita e le mansioni

effettivamente svolte non avevano rilievo, essen-do questo diritto del datore di lavoro liberamente esercitabile nell’ambito delle categorie fissate dalla contrattazione, in base ad una mera “equivalenza for-male” tra le mansioni della categoria, insindacabile dal giudice civile. In tal senso, nella giurisprudenza più recente possono citarsi Cass., Sez. lav., 26 mar-zo 2014, n. 7106, che ha ritenuto legittimo esercizio dello ius variandi l’attribuzione di mansioni di “re-sponsabile del servizio di polizia amministrativa” del commercio ad un dipendente svolgente mansioni di comandante della polizia municipale, in considera-zione dell’equivalenza formale tra tali mansioni, in base alla classificazione di cui al c.c.n.l. del 31 marzo 1999; nonché Cass., Sez. lav., 5 settembre 2010, n. 18283, secondo cui, ove il lavoratore agisca per il riconoscimento del diritto all’assegnazione di man-sioni equivalenti alle ultime esercitate, resta esclusa la possibilità della disapplicazione qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professiona-le prevista dal contratto collettivo, restando la mate-ria della mansioni del pubblico dipendente discipli-nata compiutamente dall’art. 52 d.lgs. n. 165/2001 (nel testo anteriore alla novella recata dall’art. 62, c. 1, d.lgs. n. 150/2009), che assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti col-lettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c. e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (nella fattispecie la Corte ha confermato la sentenza di secondo grado che ave-va respinto la domanda di un dipendente che, dopo aver svolto mansioni di “istruttore di polizia muni-cipale” era stato addetto alla biblioteca con il profi-lo professionale di “istruttore amministrativo” rite-nendo equivalenti le due figure professionali perché appartenenti alla medesima area professionale). In senso analogo può citarsi altresì Cass., Sez. lav., 21 maggio 2009, n. 11835, la quale precisa altresì che il trasferimento con pressoché totale svuotamento del-le funzioni integra un’ipotesi di demansionamento comunque vietata dalla legge.

Nella concreta fattispecie, è incontroverso che la mobilità interna venne attuata in forza di due de-libere di giunta comunale n. 126 del 4 luglio 2002 e n. 200/2002 (cfr. fasc. di parte di primo grado e relativi allegati), che peraltro – come evidenziato nella sentenza impugnata – non sono state oggetto di contestazione nella citazione del pubblico ministe-ro, che si incentra sulla illegittimità della determina del Faratro e sulle delibere della giunta comunale

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n. 29/2003 e n. 36/2004, con le quali il comune de-cise di resistere alle pretese azionate in sede civile dal dipendente trasferito. In specie, con la delib. n. 200/2002:

a) si dispose la creazione del posto di respon-sabile dell’ufficio demografico (di categoria D) per garantire la continuità del servizio, atteso che l’or-ganico di quell’ufficio era incompleto a causa di un contenzioso giudiziario tra i vincitori di concorso su un posto di categoria C in tale ufficio;

b) si “prese atto” dei criteri fissati in sede sinda-cale, che prevedevano la copertura del nuovo posto in organico con mobilità da attuarsi “preliminarmen-te con gli interni ed eventualmente con gli esterni”.

Successivamente, con la determina n. 167 del 16 gennaio 2003, il Faratro attuò tale delibera giuntale trasferendo il responsabile della polizia municipale dall’ufficio vigilanza all’ufficio demografico, senza determinare una modifica della categoria di appar-tenenza del dipendente (che rimaneva la categoria D), ma solo il profilo professionale del dipendente, che passava da “istruttore direttivo responsabile del servizio di polizia municipale” ad “responsabile di-rettivo dell’ufficio demografico”. In effetti, in base alla tab. A annessa al d.p.r. 31 marzo 1999 (c.c.n.l. enti locali vigente all’epoca) nella categoria D erano ricompresi i laureati con responsabilità di uffici, con competenze specialistiche, e nell’esemplificazione dei profili professionali appartenenti a tale categoria erano previsti “specialista in attività (…) dell’area della vigilanza (…) specialista in attività ammini-strative e contabili”.

Pertanto, anche alla luce della giurisprudenza più recente, non può affermarsi che si manifestassero ictu oculi illegittime – sulla base della legislazio-ne all’epoca vigente – tanto la contestata determi-na del Faratro quanto (conseguentemente) la scelta dell’amministrazione di resistere nel giudizio del la-voro intrapreso dal dipendente trasferito.

3.2. Ulteriori profili di antigiuridicità delle con-dotte dei convenuti sono stati riscontrati in relazione alla illegittimità della scelta di trasferire il responsa-bile dell’ufficio di vigilanza, sia per intrinseca irra-gionevolezza della scelta stessa, sia per violazione della disciplina in materia di mobilità interna dei di-pendenti comunali.

In particolare, si ipotizza una violazione delll’art. 8 del c.c.n.l. regioni ed autonomie locali dell’1 aprile 1999 (che demandava alla contrattazione decentrata la disciplina della mobilità interna) in relazione ai criteri di mobilità concertati tra le parti sindacali del Comune di Villanova del Battista con verbale del 7

maggio 2002 (fasc. di parte di primo grado, doc. 7 all. 7), secondo il quale la mobilità interna poteva essere “disposta per i seguenti motivi:

1. trasferimento di personale in precarie condi-zioni di salute, risultante da atti ufficiali di strutture pubbliche, dai servizi che possono avere influito sul-lo stato di salute (…) ad altri servizi, in presenza di posti disponibili e/o di nuove istituzione, al fine di evitare l’aggravamento delle patologie in atti;

2. copertura di posti vacanti in organico;3. rotazione del personale (…);4. necessità di far fronte ad esigenze di servizio

che non possono essere soddisfatte diversamente;5. valorizzazione delle qualità professionali dei

dipendenti;6. richiesta del singolo dipendente (…)”.Nella concreta fattispecie, la determina n. 197 del

16 gennaio 2003 del Faratro motivò la scelta del re-sponsabile dell’ufficio di vigilanza come soggetto da trasferire al nuovo ufficio richiamando i criteri n. 2, 4, 5 nonché (in via residuale) il criterio n. 1, eviden-ziando la identità di categoria nel vecchio e nel nuovo ufficio (D), la somiglianza del profilo professionale (sempre di funzionario direttivo, sia pure con profilo professionale lievemente diverso) e la circostanza che l’ufficio di vigilanza fosse sovradimensionato rispetto alle esigenze dell’ufficio (3 persone in servizio) (cfr. fasc. pubblico ministero di primo grado, all. 1, doc. 4). Viceversa, l’appellante ritiene che nel caso concreto non sussistessero i presupposti di applicazione di tali criteri, nei sensi e limiti che seguono.

3.2.1. Nell’appello del pubblico ministero non si contesta la legittimità della determina per falsa appli-cazione del criterio pattizio della “necessità di coper-tura dei posti vacanti in organico” (n. 2); in specie, la sentenza impugnata precisa che l’ufficio demogra-fico cui era stato trasferito il dipendente prevedeva due posti in organico subordinati (uno di categoria C ed uno di categoria B) in forza di delibera di giunta comunale n. 126/2002, ma tali posti erano rimasti so-stanzialmente scoperti per varie assenze dei nominati (cfr. ritenuto in fatto, par. 1.2.1); e proprio garantire la continuità del servizio era stata disposta la crea-zione di un posto direttivo (cfr. supra, par. 3.1). Sul punto, nessun motivo specifico di appello è stato ar-ticolato dal pubblico ministero.

3.2.2. Quanto invece al criterio della tutela delle condizioni fisiche del dipendente (n. 1), la senten-za impugnata e l’appello concordano sul fatto che la commissione medica giudicò il dipendente trasferito idoneo alle mansioni del suo profilo, ma con divieto di esposizione a condizioni climatiche avverse.

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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L’appellante contesta che l’esposizione ad av-versità atmosferiche è circostanza eccezionale per un impiegato con incarico di vertice (responsabile dell’ufficio di vigilanza), onde vi sarebbe stata una falsa applicazione di tale criterio; peraltro, proprio le funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale e di agente di pubblica sicurezza – invocate dal pubblico ministero a sostegno della particolarità delle funzio-ni di tale dipendente – rendevano probabile che egli fosse costretto ad effettuare attività all’esterno, con esposizione ad agenti atmosferici, sia pure “in via ec-cezionale” (ad esempio, ma non solo, per l’assenza dei subordinati agenti municipali, o per il loro im-pegno in altre attività, o per altri motivi). Onde non può ritenersi il richiamo a tale criterio pretestuoso o fittizio.

3.2.3. Ancora, il pubblico ministero contesta una falsa applicazione del criterio di mobilità fon-dato sulla “necessità di far fronte ad esigenze che altrimenti non potevano essere soddisfatte” (n. 4), ovvero la irragionevolezza della scelta del Faratro, in quanto la stessa amministrazione comunale, dopo la soccombenza nel giudizio civile, aveva adottato proprio le scelte alternative a suo tempo non consi-derate, come mettere in mobilità (volontaria) i due vigili urbani di livello inferiore (scelta con la quale si sarebbe comunque potuto coprire il posto apicale); oppure avrebbe potuto optare per una mobilità coatta con un soggetto diverso dal Faratro (la sentenza ave-va equivocato sul punto, secondo il pubblico mini-stero), dato che per quest’ultimo l’illegittimità della determina era evidente.

A tali considerazioni ha già replicato la sentenza impugnata, evidenziando circostanze (non oggetto di specifiche contestazioni da parte del pubblico mini-stero) che evidenziano la ragionevolezza della scelta.

a) Anzitutto, come sopra precisato, la scelta del Faratro in esame risultava condizionata dalla scel-ta operata “a monte” con la delibera di giunta n. 200/2002, che aveva creato il posto di categoria D prevedendone la copertura “preliminarmente” con mobilità interna (par. 3.1); e tale scelta (censurata in sede civile) non è stata contestata in questa sede.

b) Inoltre, l’attivazione di procedimenti di mobi-lità volontaria (peraltro avvenuta in epoca successiva al trasferimento in esame) comunque riguardava po-sti di categoria B o C, diversi da quello qui in esame.

c) Infine, non poteva condividersi la affermazione del giudice civile, secondo cui la scelta adottata era irragionevole perché lasciava scoperto il corrispon-dente posto in organico (di categoria D) nell’ufficio della vigilanza, in quanto tale posto era stato sop-

presso con delibera di giunta comunale n. 46 del 15 aprile 2003 (dopo tre mesi appena dal trasferimento), atteso che l’ufficio di polizia era sovradimensionato a causa del trasferimento di competenze ad altri uffi-ci (compreso quello dove era stato trasferito il dipen-dente). Quindi, anche volendo ammettere l’astratta possibilità di trasferire un dipendente di categoria D diverso dal responsabile della polizia municipa-le, la scelta di quest’ultimo risultava ragionevole in presenza di esigenze contingenti che imponevano la copertura di un ufficio scoperto, a fronte di un altro ufficio sovradimensionato.

3.2.4. Quanto, invece, alla “valorizzazione delle qualità professionali” (n. 5), difficilmente può affer-marsi che la determina dirigenziale attuasse tale cri-terio pattizio di mobilità.

Infatti, anche volendo concordare con la sentenza impugnata circa lo ius variandi del datore di lavo-ro per l’equivalenza di mansioni in base al c.c.n.l. (cfr. par. 3.1) e circa la ragionevolezza della scelta del Faratro (par. 3.2.3), resta un dato di fatto che in sede sindacale l’amministrazione comunale si era impegnata a valorizzare le “qualità professionali dei dipendenti”, concetto non afferente alle astratte cate-gorie contrattuali ma alle concrete qualità acquisite con l’esercizio delle funzioni o attribuite per legge, a prescindere dall’esistenza di un demansionamento (e quindi dall’equivalenza delle mansioni); ed è stata proprio questa considerazione a fondare la senten-za di appello civile che ha confermato la condanna dell’amministrazione comunale alla reintegra nelle mansioni ed al risarcimento del danno (cfr., in spe-cie, la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 515/2004).

In particolare, è indubbio che ai sensi della l. n. 65/1986 (fatta salva dall’art. 70 d.lgs. n. 165/2001) la polizia municipale ha mansioni particolari e spe-cifiche e che presuppongono particolari requisiti, rispetto alle ordinarie mansioni di funzionario am-ministrativo, normalmente intercambiabili (salvo ovviamente un primo periodo di apprendimento) nel trasferimento tra i vari servizi dell’amministrazione; a prescindere dalla circostanza, valorizzata dalla sen-tenza impugnata e contestata dall’appello, secondo cui nel comune non esisteva un vero e proprio corpo di polizia (cfr. art. 7 l. ult. cit.) e dalla facoltà o meno dell’amministrazione di esercitare lo ius variandi nei confronti dei vigili urbani. Ed è altresì indubbio che il dipendente trasferito aveva acquisito una vasta esperienza professionale nella materia della polizia urbana, essendo stato in servizio prima come vigile poi come maresciallo per lunghi anni.

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Pertanto, anche ammettendo l’equivalenza delle mansioni, la scelta attuata non garantiva certo la va-lorizzazione delle capacità professionali del dipen-dente trasferito.

3.3. Sulla base della disamina fin qui condotta, ritiene il collegio che – anche a volere ammettere la illegittimità della scelta del Faratro sotto i limitati profili della giurisprudenza restrittiva (ma recessiva) circa lo ius variandi della pubblica amministrazione, e della violazione del criterio di mobilità dato dalla “valorizzazione della capacità professionali” (peral-tro uno solo dei vari criteri sanciti dall’accordo sin-dacale decentrato) – in ogni caso non può ritenersi che le condotte del Faratro e degli altri convenuti si-ano connotate da colpa grave, intesa come scriteria-tezza e massima negligenza nello svolgimento delle proprie funzioni.

Invero, in base a quanto sopra precisato, risulta evidente che la determina del Faratro non risultava ictu oculi infondata ed illegittima, in quanto, sebbene all’epoca dei fatti la giurisprudenza sullo ius varian-di fosse restrittiva ed il dipendente trasferito avesse già preventivamente manifestato la propria opposi-zione ad ogni trasferimento, tuttavia:

il testo contratto collettivo vigente consentiva di ritenere che l’amministrazione godesse di uno ius va-riandi più esteso rispetto al datore di lavoro privato;

il criterio della valorizzazione della professiona-lità del dipendente era solo uno dei criteri previsti dal contratto collettivo, laddove (almeno in apparenza) sussistevano i presupposti di applicazione degli altri criteri;

in specie, vi era l’obiettiva esigenza di provvede-re alla copertura dell’ufficio demografico (privo di personale per vari motivi);

la scelta di coprire le vacanze di organico trasfe-rendo un’unita da altro ufficio (dello stesso settore) meno gravato (per la piena copertura di organico), da un lato, era sostanzialmente condizionata dalle scelte effettuate con la delibera di giunta n. 200/2002 (non contestata in questa sede), che aveva già sostanzial-mente previsto la mobilità interna ai fini della coper-tura delle vacanze; dall’altro, era intrinsecamente ragionevole, tanto più che evitava di addossare ulte-riori oneri al comune (come di fatto è poi avvenuto nel 2004, a causa della impugnazione del dipendente trasferito, quando l’amministrazione è stata costretta ad attribuire onerosi incarichi esterni: cfr. fascicolo di parte di primo grado, doc. 15 e 16).

In questo contesto, dunque, non può ritenersi che – con una valutazione ex ante – la scelta del Faratro di trasferire il capo dell’ufficio di vigilanza a capo

dell’ufficio demografico fosse connotata da grave negligenza; né – di conseguenza e per i medesimi motivi – può ritenersi affetta da colpa grave la con-dotta dei componenti della giunta che decisero di re-sistere nei due gradi del giudizio di merito (a parte che nel giudizio cautelare) proprio per l’obiettiva esistenza di circostanze almeno apparentemente (se non sostanzialmente) giustificative del trasferimen-to, sebbene ritenute dal giudice civile non sufficienti a respingere la domanda del dipendente trasferito (sulla base della giurisprudenza all’epoca corrente).

In conclusione, i convenuti devono essere assolti per difetto di colpa grave, così come deciso anche nella sentenza impugnata, ed in questo senso l’ap-pello va respinto.

4. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 10-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla l. 2 di-cembre 2005, n. 248, al proscioglimento nel merito (quale è quello per difetto di colpa grave, elemen-to costitutivo della responsabilità amministrativa al pari del danno ingiusto e della antigiuridicità della condotta) segue la liquidazione di diritti ed onorari del presente grado di giudizio in complessivi euro 2.500 a favore della difesa degli appellati, ferma restando la liquidazione delle spese difensive effet-tuata nella sentenza di primo grado (da confermarsi in questa sede anche in punto di spese, ai sensi del predetto art. 10-bis).

P.q.m., la Corte dei conti – Sezione seconda giu-risdizionale centrale d’appello, definitivamente pro-nunziando, ogni diversa e contraria istanza, azione, eccezione o deduzione disattesa o reietta, respinge l’appello n. 32715 proposto dalla procura regionale per la Regione Campania per difetto di colpa grave; (Omissis).

219 – Sezione II centrale d’appello; sentenza 29 apri-le 2015; Pres. e Est. Imperiali; Leo c. Inps e altro.

Conferma Sez. giur. reg. Calabria, 29 ottobre 2007, n. 946.

Pensioni civili e militari – Dipendenti della Re-gione Calabria – Trattamento accessorio del personale di gabinetto e delle segreterie parti-colari – Computo ai fini pensionistici – Criteri.

D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503, norme per il riordi-namento del sistema previdenziale dei lavoratori pri-vati e pubblici, a norma dell’art. 3 l. 23 ottobre 1992 n. 421, art. 13; l. 8 agosto 1995 n. 335, riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, art. 1, c. 13; l. reg. Calabria 13 maggio 1996 n. 7,

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norme sull’ordinamento della struttura organizzati-va della giunta regionale e della dirigenza regionale, art. 8; d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Il trattamento economico accessorio dei dipen-denti assegnati all’ufficio di gabinetto e alle segre-terie particolari della giunta regionale della Ca-labria non ha i caratteri della retribuzione fissa e continuativa; pertanto, tali emolumenti concorrono a determinare la pensione esclusivamente secondo il sistema contributivo (c.d. quota B) e solo per i perio-di maturati dall’introduzione di tale sistema, mentre, per i periodi precedenti, il trattamento accessorio suddetto non è utile ai fini pensionistici. (1)

Diritto – 1. L’art. 13 del d.lgs. n. 503/1992 ha stabilito: “Per i lavoratori dipendenti iscritti all’as-sicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall’Inps, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’im-porto relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente all’1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispon-dente all’importo del trattamento pensionistico rela-tivo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dall’1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto”.

Successivamente, l’art. 2 l. n. 335/1995 ha este-so ai dipendenti pubblici, a decorrere dall’1 gennaio 1996, la disciplina dell’art. 12 l. n. 153/1969, e suc-cessive modificazioni, sulla “determinazione della base contributiva e pensionabile”, per cui va ora con-siderato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste, “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro”. Ma ha anche precisato che “la retribuzione” definita secondo le nuove disposi-

(1) In tema di criteri di computo, ai fini pensionistici, di emolumenti accessori, v. Corte conti, Sez. I centr. app., 24 giu-gno 2013, in questa Rivista, 2013, fasc. 5-6, 315, con nota di richiami.

zioni “concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, c. 1, lett. b), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503” (c. 11).

Ne consegue, per i dipendenti già in servizio all’1 gennaio 1996, che le voci del trattamento eco-nomico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti vanno computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la l. n. 335/1995 vanno computate solamente nella quota B.

In concreto, per gli iscritti alle casse per le pensio-ni amministrate dalla direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro, soppresse dal d.lgs. n. 479/1994 che ha istituito l’Inpadap, sono in-vece computabili in quota A, dopo l’entrata in vigore della l. n. 335/1995, solo gli emolumenti che abbiano le caratteristiche precedentemente richieste dall’art. 30, c. 2-bis, d.l. n. 55/1983, aggiunto dalla legge di conversione n. 131/1983, che aveva stabilito: “la re-tribuzione annua contributiva, definita dagli artt. 12, 13 e 14 l. 11 aprile 1955, n. 379, è costituita dalla somma degli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione per l’attività lavorativa”.

2. Nella fattispecie, l’art. 8, c. 9, l. reg. Calabria n. 7/1996, aggiunto dall’art. 5 l. n. 24/2001, stabiliva: “la giunta regionale è autorizzata a regolamentare e quantificare, con propri atti, il trattamento economi-co accessorio dei dipendenti assegnati all’Ufficio di gabinetto e alle segreterie particolari”.

Non era pertanto un’indennità “fissa”, poiché ve-niva attribuita, come ha evidenziato lo stesso appel-lante, nella misura ritenuta di volta in volta congrua dalla giunta regionale. E non era nemmeno, a ben vedere, un’indennità “continuativa”, poiché pote-va essere sempre rideterminata dalla giunta ed era comunque strettamente correlata a un incarico che, come risulta dai decreti di nomina dell’odierna ap-pellante, era sempre revocabile ad nutum.

In definitiva, si trattava di un’indennità che pote-va essere computata solo nella quota B di pensione, non anche in quota A.

L’appello in esame risulta in definitiva infondato e va pertanto respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza. Sono liquidate in complessivi euro 1.500 a favore della Regione Calabria e in complessivi euro 500 a favore dell’Inps, che non si è costituito in giudizio con il patrocinio di un avvocato.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione II centrale d’appello, respinge l’appello n. 33897 proposto dalla signora Annamaria Leo e per l’effetto conferma la

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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sentenza della Sezione giurisdizionale per la Cala-bria 29 ottobre 2007, n. 946. (Omissis).

271 – Sezione II centrale d’appello; sentenza 27 maggio 2015; Pres. Calamaro, Est. Smiroldo, P.M. Ciaramella; Proc. reg. Calabria c. Franco e altri.

Annulla con rinvio Corte conti, Sez. giur. reg. Cala-bria, 18 dicembre 2008, n. 894.

Prescrizione e decadenza – Responsabilità am-ministrativa – Danno indiretto – Decorrenza dalla data del pagamento a favore del danneg-giato – Fattispecie.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1, c. 2; d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 93.Processo contabile – Appello – Danno erariale

– Prescrizione del diritto al risarcimento di-chiarata dalla sentenza di primo grado – Ac-coglimento dell’appello – Effetti – Rinvio della causa al primo giudice.

R.d. 13 agosto 1933 n. 1038, approvazione del rego-lamento di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti; art. 105.

In tema di responsabilità per il danno che l’en-te locale abbia dovuto risarcire ad altri per colpa dei propri amministratori o dipendenti, la prescri-zione decorre dal momento dell’effettuazione del pagamento a favore del danneggiato; pertanto, non comporta il decorso della prescrizione la delibera dell’ente locale di contrarre un debito al fine di ef-fettuare tale pagamento. (1)

Nel processo contabile, la causa va rinviata al giudice di primo grado ove quello d’appello abbia escluso la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale dichiarata dalla sentenza impugna-ta, che non abbia pronunciato su altre questioni di merito. (2)

(1) Cfr. Corte conti, Sez. riun., 5 settembre 2011, n. 14, in questa Rivista, 2011, fasc. 5-6, 195, con nota di richiami, se-condo cui la prescrizione dell’azione di responsabilità ammi-nistrativa per il danno che lo Stato o l’ente pubblico ha dovu-to risarcire ad altri per colpa del suo dipendente (c.d. danno in-diretto) decorre dalla data di emissione del titolo di pagamen-to a favore del terzo danneggiato.

(2) Nel processo contabile, a norma dell’art. 105, c. 1, reg. proc., la sezione d’appello, quando il primo giudice si sia pro-nunciato solo su questioni pregiudiziali, non può pronunciarsi su altre questioni, cioè sul merito della controversia. Sebbene

Ragioni della decisione – 1. In via preliminare, il collegio, atteso l’intervenuto decesso del sig. Mi-chele Aiello, preso atto della mancata formulazione di conclusioni in merito del procuratore generale d’udienza, dichiara l’estinzione del giudizio nei con-fronti del sig. Michele Aiello.

La declaratoria d’estinzione assorbe il secondo motivo d’appello della procura regionale formulato nei confronti del sig. Michele Aiello.

È appena il caso di rilevare, al riguardo, che gli effetti che ai sensi dell’art. 338 c.p.c. e art. 2909 c.c. conseguono in astratto all’estinzione del giudizio d’appello, nel caso in esame sono impediti sul pia-no sostanziale dalla disposizione di cui all’art. 1 l. n. 20/1994 e successive modificazioni e integrazioni, a mente della quale il debito risarcitorio per danno erariale “si trasmette agli eredi, secondo le leggi ci-vili, nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi”, attesa la natura dei fatti in contestazione che esclude illeciti arricchimenti del dante causa, trattan-dosi in realtà di danno indiretto.

2. Il primo motivo d’appello formulato dalla procura regionale, concernente la dichiarata prescri-zione nei confronti di signori Franco e Varcasia, è fondato e va accolto.

Sul punto il collegio richiama la decisione delle Sez. riun., n. 14/2011, che ha affermato il seguente principio di diritto: “il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno c.d. indiretto va individuato nella data di emis-sione del titolo di pagamento al terzo danneggiato”.

È appena il caso di rilevare che, alla stregua di Sez. riun., n. 10/2010, i principi affermati da Sez. riun., n. 14/2011 hanno efficacia nomofilattica e co-munque comportano l’applicazione dell’art. 1, c. 7, d.l. n. 453/1993, convertito dalla l. 14 gennaio 1994, n. 19 e successive modificazioni e integrazioni.

Il collegio ritiene, infatti, di uniformarsi al princi-pio espresso da Sez. riun., n. 14/2011, e che quindi il caso esame debba essere risolto alla stregua del cri-

la pronuncia sulla prescrizione dell’azione di responsabilità non sia qualificabile propriamente come “questione pregiudi-ziale” (trattandosi semmai di questione preliminare di merito), la giurisprudenza che appare prevalente, alla quale la pronun-cia annotata si uniforma, interpreta estensivamente tale espres-sione, in base all’esigenza di assicurare al convenuto nel giu-dizio di responsabilità il doppio grado di giudizio anche sulla questione di merito strettamente intesa. In questo senso v. ad esempio, Corte conti, Sez. II centr. app., 20 settembre 2010, n. 362, in questa Rivista 2010, fasc. 5, 98 (s.m.), con nota di ri-chiami.

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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terio che individua il termine d’esordio della prescri-zione per l’esercizio dell’azione erariale nel momen-to in cui si determina l’effettiva, concreta e irreversi-bile modificazione patrimoniale negativa dell’erario, che si realizza solo con l’effettivo pagamento.

Al riguardo il collegio ritiene non persuasive le indicazioni contenute nelle difese circa il termine d’esordio della prescrizione, che in tesi si farebbe risalire al momento della delibera di contrazione del mutuo per il pagamento del risarcimento perché in tale circostanza alle risorse finanziarie pubbliche vie-ne impresso il vincolo di destinazione a ristorare la posizione del privato.

Ciò che rileva, secondo i principi affermati da Sez. riun., n. 14/2011, ma anche secondo i principi generali in materia di responsabilità per danno, è che la deminutio patrimoni sia attuale e concreta e non astratta e potenziale, come nel caso di delibera di in-debitamento.

A tale delibera, infatti, può non seguire alcuna at-tività solutoria, anche per mancata richiesta del cre-ditore, rimanendo per l’effetto solo potenziale, e non attuale il danno, che tale diviene soltanto a seguito del pagamento.

A tale stregua, il collegio accoglie il primo moti-vo d’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara non prescritta l’azione erariale nei confronti di Vittorio Franco e Pietro Varcasia.

L’accoglimento del primo motivo d’appello comporta la riforma della sentenza impugnata in parte qua e, altresì, la trasmissione degli atti al giu-dice di primo grado per un nuovo esame della con-troversia.

L’art. 105, c. 1, r.d. n. 1038/1933 – che a diffe-renza del comma successivo, non è stato abrogato e risulta quindi confermato dalla l. n. 205/2000, che in-fatti all’art. 10 ne ha esteso l’applicazione anche alle Sezioni centrali d’appello – stabilisce che: “quando in prima istanza la competente sezione giurisdizio-nale si sia pronunciata soltanto su questioni di ca-rattere pregiudiziale, su queste esclusivamente si pronunciano in appello le sezioni riunite”. In effetti, nell’ordinamento processuale vigente la questione di prescrizione rientra tra le “questioni preliminari di merito” e non tra le questioni “pregiudiziali attinenti al processo” (per la distinzione, cfr. l’art. 279, c. 2, c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 23 l. n. 581/1950).

Sennonché, la citata disposizione dell’art. 105, c. 1, r.d. n. 1038/1933 (contenuta in un testo anteriore al vigente codice di procedura civile e ancor più alle modifiche del codice di rito intervenute nel 1950) va interpretata alla luce del successivo secondo comma,

poi abrogato dalla citata l. n. 205/2000, che stabili-va: “quando invece in prima istanza la sezione si sia pronunciata anche sul merito, le Sezioni riunite pos-sono conoscere di questo, oppure rinviare la causa al primo giudice”.

L’espressione “questioni di carattere pregiudizia-le” – si noti: pregiudiziale tout court e non pregiu-diziale attinente “al processo” – va pertanto intesa in senso ampio, come non attinente ai presupposti sostanziali della responsabilità: danno erariale, nesso di causalità tra il danno e la condotta del convenuto, dolo o colpa grave.

In sostanza, nel giudizio davanti alla Corte dei conti il giudice d’appello non può più spogliarsi del-la causa se investito congiuntamente di “questioni di carattere pregiudiziale” e di “merito” – come era in-vece possibile prima dell’entrata in vigore della l. n. 205/2000 – ma non può nemmeno decidere sui pre-supposti sostanziali della responsabilità se un’analo-ga decisione non sia stata già emanata dal giudice di primo grado (Sez. II centr app., n. 362/2010; n. 21 e n. 393/2012).

In definitiva, la sentenza impugnata va riforma-ta nel senso che va dichiarata non prescritta l’azio-ne erariale nei confronti di Vittorio Franco e Pietro Varcasia, con rinvio alla Sezione territoriale per il giudizio di merito.

Il carattere della presente decisione induce inol-tre a compensare le spese del grado.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione II centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronun-ciando:

- dichiara estinto il giudizio nei confronti di Mi-chele Aiello;

- accoglie parzialmente l’appello iscritto al n. 34520 del registro di segreteria, proposto dal pro-curatore regionale della Corte dei conti per la Re-gione Calabria avverso la sent. 18 dicembre 2008, n. 894 della Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara non prescritta l’azione erariale nei confronti di Vittorio Franco e Pietro Varcasia;

rinvia alla Sezione per la Regione Calabria in diversa composizione per il merito del giudizio. (Omissis)

296 – Sezione II centrale d’appello; sentenza 8 giu-gno 2015; Pres. Calamaro, Est. Smiroldo, P.M. Pinotti; Mazzocco c. Proc. reg. Molise.

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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Conferma Corte conti, Sez. giur. reg. Molise 15 di-cembre 2008, n. 178.

Responsabilità amministrativa e contabile – Sin-daco – Realizzazione di un opera pubblica – Cedimento strutturale – Revoca dell’incarico di direttore dei lavori – Mancanza di adeguata istruttoria sulla responsabilità per il cedimen-to dell’opera – Rifiuto di pagare i compensi al direttore dei lavori – Contenzioso giudiziario – Condanna del comune al risarcimento del danno nei confronti del direttore dei lavori – Responsabilità erariale del sindaco.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.

Risponde di danno erariale il sindaco che, senza un’adeguata e puntuale istruttoria circa le cause e le responsabilità per il cedimento strutturale di un’o-pera pubblica e, in particolare, senza aver fatto con-statare i presunti inadempimenti del direttore dei la-vori dell’opera, abbia deciso di revocare l’incarico al direttore dei lavori e di non liquidargli i compen-si dovuti per il lavoro eseguito, dando origine a un contenzioso giudiziario conclusosi con la condanna del comune al risarcimento del danno nei confronti del direttore medesimo). (1)

Svolgimento del processo – 1. Con l’appellata

(1) La sentenza reputa non coperta dalla garanzia di “in-sindacabilità nel merito” delle scelte discrezionali la decisione del sindaco di revocare l’incarico di direttore dei lavori ad un soggetto, risultato poi vincitore in un giudizio arbitrale, cui aveva imputato inadempienze non adeguamente accertate, e rifiutate dal direttore dei lavori, nell’esecuzione di un’opera pubblica.

Nel senso che il comportamento contra legem del pubbli-co amministratore non è mai esente da sindacato giurisdizio-nale, non potendo costituire esercizio di una scelta discrezio-nale insindacabile, v., cit. in motivazione, Cass., S.U. 27 feb-braio 2008, n. 5083, in Foro it., 2008, I, 2179, con nota di ri-chiami; 28 marzo 2006, n. 7024, ivi, 2007, I, 2484, con nota di G. D’Auria, Responsabilità amministrativa per attività di na-tura discrezionale e per la gestione di società pubbliche: a proposito di alcune sentenze delle Sezioni unite; nonché, di re-cente, Cass., S.U., 10 marzo 2014, n. 5490, in questa Rivista, 2014, fasc. 3-4, 497; 7 novembre 2013, n. 25037, in Rep. Fo-ro it., 2013, voce Responsabilità contabile e amministrativa, n. 44; 21 febbraio 2013, n. 4283, in questa Rivista, 2013, fasc. 3-4, 456; 23 novembre 2012, n. 20728, ibidem, fasc. 1-2, 380, e Foro it., 2013, I, 2980, con nota di richiami.

Nella giurisprudenza contabile, v., da ultimo, Corte conti, Sez. giur. reg. Lombardia, 16 aprile 2015, n. 56, in questa Rivi-sta, 2015, fasc. 1-2, 258, con nota di richiami, nonché Sez. giur. reg. Veneto, 17 giugno 2015, n. 98, in questo fascicolo, 379.

sentenza la Sezione territoriale del Molise aveva condannato il Sig. Mazzocco Antonio, al pagamento della somma di euro 53.614,21 oltre accessori in fa-vore del Comune di Cerro al Volturno.

Tale somma rappresentava l’80 per cento del complessivo danno, pari ad euro 68.267,77 (impu-tato per il restante 20 per cento anche ad altri sog-getti, poi assolti), conseguente alle spese sostenute dall’ente locale in ragione della soccombenza del medesimo nell’ambito di un giudizio arbitrale origi-nato dall’illegittima revoca di un incarico di direttore dei lavori e concernente il rifiuto di corrispondere a quest’ultimo i compensi dovutigli a saldo dei lavori eseguiti nell’ambito della realizzazione dello Svin-colo Fondo Valle Sangro.

Detto rifiuto veniva dal comune fondato sul fat-to che i lavori non erano collaudabili, in quanto non eseguiti a regola d’arte e soprattutto in difformità ri-spetto ai progetti approvati.

Il lodo arbitrale del 7 ottobre 2004 aveva accerta-to, anche in base all’opera di consulenti tecnici, che detta revoca era stata decisa in maniera sommaria sulla scorta della delibera della giunta comunale n. 201 del 4 ottobre 2002, con la quale si era proceduto alla revoca dell’incarico, senza avere prima accertato e fatto constare i presunti inadempimenti accollati al direttore dei lavori revocato, rappresentati essenzial-mente dall’esistenza di cedimenti strutturali nei lavo-ri di realizzazione del sedime stradale dello svincolo Fondo Valle Sangro.

In tale contesto, aveva assunto particolare rile-vanza il fatto che l’odierno appellante avesse impe-dito – assumendo la qualità di responsabile del pro-cedimento – l’accesso e le conclusioni della commis-sione di collaudo – circostanza oggetto di denuncia da parte dei membri della commissione – e, quindi, la verifica oggettiva delle ragioni assunte a fonda-mento delle presunte irregolarità dei lavori che ave-vano condotto alla rimozione dell’Ing. D’Amico.

Il giudice di prime cure aveva, quindi, ritenu-to la prevalente responsabilità del sindaco Antonio Nicola Mazzocco, che si era rivelato l’autentico dominus della vicenda, arrivando ad assumere egli stesso – come detto – il ruolo di responsabile del pro-cedimento. Ciò aveva comportato l’accollo dell’80 per cento del danno alle condotte poste in essere da quest’ultimo (aver impedito l’operatività della com-missione di collaudo; aver preteso di assumere fun-zioni di responsabile del procedimento e di respon-sabile del servizio in violazione delle norme e ad onta di precise contestazioni provenienti tra l’altro dallo stesso segretario comunale; l’arbitraria scelta

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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del nuovo direttore dei lavori ing. Massimo Romano senza alcuna procedura selettiva e con modalità ille-cite, stigmatizzate dal competente assessorato della Regione Molise).

Ciò posto, il collegio di primo grado aveva sotto-lineato, in primo luogo, che i richiamati fatti, e non certo la soccombenza astrattamente considerata, ave-vano dato luogo alla lite.

Al riguardo, si era rivelata particolarmente si-gnificativa la evidente carenza di puntuale istrutto-ria sulle ragioni tecniche che avevano determinato il cedimento strutturale frettolosamente e arbitra-riamente imputato al direttore dei lavori Ing. D’A-mico, circostanza tuttavia esclusa sia dal c.t.u. del collegio arbitrale, sia dalla Corte d’appello di Cam-pobasso.

Conseguentemente, il rifiuto di corrispondere i compensi dovuti al direttore dei lavori a saldo dei lavori eseguiti, l’opposizione acritica e illegittima all’effettuazione del collaudo ed al suo apporto chia-rificatore, avevano colpevolmente indotto l’ente lo-cale, ovvero il Sindaco Mazzocco, ad intraprendere ostinatamente la via del contenzioso giudiziale, an-che oltre il chiaro disposto evincibile della decisione arbitrale di primo grado, poi confermata dalla Corte d’appello di Campobasso, Sez. civile, n. 61/2008.

A tale stregua, il collegio di prime cure aveva re-putato sussistere tutti i requisiti necessari a configu-rare in capo al Mazzocco la responsabilità per danno erariale sul richiesto importo di euro 53.614,21.

2. Con ricorso in appello notificato al procuratore regionale per la Regione Molise in data 9 marzo 2009 e depositato, unitamente alla sentenza gravata, in data 27 marzo 2009, il sig. Mazzocco ha chiesto la riforma della sent. n. 178/2008 della Sezione giurisdizionale per la Regione Molise con un articolato gravame.

Rilevata la riduzione del danno di cui in condan-na rispetto alle richieste della procura, la difesa ha contestato alcuni aspetti della ricostruzione storico fattuale compiuta dalla sentenza, nonché l’acritico accoglimento delle risultanze del lodo, eccependo in particolare, che in realtà il contenzioso definito col lodo arbitrale era scaturito dall’esecuzione di un de-liberato del consiglio comunale che delegava al sin-daco l’adozione di misure per la tutela delle ragioni del comune nei confronti del direttore dei lavori.

In tale contesto, la difesa ha eccepito l’insindaca-bilità nel merito della scelta discrezionale attinente alla costituzione in giudizio per resistere alle richie-ste di pagamento del direttore dei lavori, in quanto non irragionevole.

Dopo aver richiamato sul punto la giurisprudenza

di questa Corte, la difesa ha chiesto l’assoluzione del sig. Antonio Nicola Mazzocco.

Ragioni della decisione – 1. L’appello è infonda-to e va rigettato.

L’appellante formula una serie di contestazioni alla motivazione della sentenza che non sono ido-nee a comprometterne l’iter logico valutativo che ha condotto il primo giudice all’affermazione della responsabilità. Quest’ultima consegue al fatto che – senza un’adeguata e puntuale istruttoria sul punto – l’appellante abbia frettolosamente ed arbitrariamente imputato al direttore dei lavori i cedimenti strutturali dell’opera stradale.

In sostanza, quindi, il contenzioso è stato instau-rato senza osservare uno dei principi cardine della scelta amministrativa, ossia “conoscere per decide-re”, principio che giustifica e conforma tutto il pro-cedimento amministrativo.

Rispetto a tale nucleo essenziale della contesta-zione, l’appellante non ha fornito alcun elemento idoneo a giustificare la richiesta riforma.

1.1. In tale prospettiva, si rivela irrilevante l’os-servazione d’esordio dell’appellante relativa alla esclusione dall’importo della condanna dei com-pensi richiesti dal direttore dei lavori per il manca-to utile conseguente alla cessazione anticipata del rapporto.

Al riguardo, il collegio osserva che il danno era-riale contestato dalla procura era rappresentato dalla somma di euro 11.668,89 per la mansione di assisten-za al collaudo liquidata dal collegio arbitrale all’ing. D’Amico, remunerazione cui non è corrisposta la prestazione per mancata operatività della commis-sione di collaudo da imputarsi al sindaco Mazzocco Antonio Nicola; le spese di rappresentanza e difesa nel giudizio, liquidate all’ing. D’Amico dal collegio arbitrale in euro 9.098,88; l’importo delle spese di funzionamento del collegio arbitrale, comprensive della parcella dovuta al c.t.u., così come determina-to da detto lodo arbitrale e che ammontava ad euro 44.000 oltre alle spese generali del 12,50 per cento per Iva e Cpa; le spese ed i compensi dovuti dal co-mune al segretario del collegio arbitrale, determinati in euro 3.500, oltre alle spese generali del 12,50 per cento per Iva e Cpa.

Com’è evidente, nessuna delle voci riportate concerne un mancato utile del direttore dei lavori conseguente alla cessazione anticipata del rapporto, e pertanto l’osservazione si rivela destituita di ogni fondamento.

1.2. Del pari irrilevanti ed infondate si rivelano le osservazioni della difesa circa l’acritico accogli-

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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mento delle risultanze del lodo da parte della sezione territoriale e l’affermata indisponibilità dell’appalta-tore a rimediare a costo zero ai difetti di costruzione. Da una piana lettura della motivazione (v. pp. 37 e 38) si riscontra agevolmente, infatti, che il giudice di prime cure ha compiutamente esaminato e valutato tutte le risultanze processuali: non soltanto il lodo ar-bitrale, ma anche la sentenza della Corte d’appello di Campobasso, Sez. civile, n. 61/2008 che ne ha con-fermato la validità, escludendo rilevanza esimente o scusante ai fatti sopra richiamati.

1.3. Anche l’eccezione difensiva secondo la qua-le l’opera non era stata collaudata per l’esistenza dei vizi costruttivi contestati al direttore dei lavori, e non per mancanza dei documenti necessari, si rivela ir-rilevante.

È vero che tali vizi costruttivi si sono rivelati col passare del tempo esiziali per la fruizione dell’o-pera, tanto che il Tribunale di Isernia, con la sent. n. 275/2012, ancorché pronunciata tra comune e ditta appaltatrice, aveva riconosciuto l’esistenza di vizi di costruzione delle opere stradali nell’ambito della realizzazione delle quali si era data la revoca dell’incarico al direttore dei lavori, e che con sent. n. 186/2014, la Sez. I centr. app. ha mandato assolto il sig. Mazzocco, riformando una sentenza di primo grado proprio sull’assunto dell’accertato inadempi-mento della ditta appaltatrice.

Ma è anche vero che i contenziosi sopra richia-mati non concernono i fatti e la ratio decidendi del presente giudizio. Infatti, il Tribunale di Isernia, con la sent. n. 275/2012 aveva deciso su di una prospetta-zione di fatti e danni diversi da quelli oggi in esame, e conseguenti alla difettosa realizzazione dell’opera stradale; il giudicato formatosi ha limiti soggettivi diversi – comune e ditta appaltatrice – rispetto al presente giudizio.

Ma ciò che più significativamente emerge è il fat-to che il giudice civile con sentenza passata in giudi-cato ha attribuito la responsabilità dei vizi dell’opera stradale alla ditta appaltatrice, realtà che, da un lato, conferma il decisum del collegio arbitrale e della Corte d’appello sul lodo; dall’altro lato, dimostra la superficialità dell’istruttoria seguita a suo tempo dall’appellante per individuare il responsabile dei predetti vizi.

1.4. Tale ultima circostanza mina la fondatezza dell’eccezione relativa all’insindacabilità nel me-rito della scelta discrezionale, peraltro adottata in esecuzione di deliberato consiliare, attinente alla costituzione in giudizio per resistere alle richieste di pagamento del direttore dei lavori, non rivelandosi

quest’ultima, secondo la difesa, per l’esistenza di gravi vizi costruttivi dell’opera, gravemente illogica, arbitraria, irrazionale o contraddittoria.

Al riguardo, il collegio osserva che, come le Sezioni unite hanno già avuto modo di affermare (Cass., S.U., 9 luglio 2008, n. 18757; 28 marzo 2006, n. 7024; 29 settembre 2003, n. 14488), la Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte ammini-strative con i fini pubblici dell’ente.

Infatti, in base all’art. 1, c. 1, l. n. 20/1994, l’eser-cizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori, ossia la scelta comparativa tra più so-luzioni equivalenti sul piano del merito (Cass., S.U., n. 21291/2005), costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei conti; in tale prospettiva, le aree della discrezionalità amministrativa “devono essere espressamente attribuite dalla legge”, escluden-do dal sindacato giurisdizionale sulle scelte discrezio-nali “soltanto quelle in relazione alle quali la legge attribuisce all’amministrazione una scelta elettiva tra diversi comportamenti, negli stretti limiti di tale attri-buzione” (v. Cass., S.U., n. 7024/2006). In tale conte-sto, secondo le Sezioni unite della Cassazione occorre tenere presente un “aspetto fondamentale, che è quel-lo di individuare le norme che attribuiscono spazi di discrezionalità. Spesso, infatti, vengono considerate come discrezionali valutazioni che non si ricollegano all’attribuzione, da parte del legislatore, di una scelta elettiva fra più comportamenti, attribuzione che, come si è detto, riconduce l’agire discrezionale al principio di legalità” (v. Cass., S.U., n. 7024/2006).

Sempre l’art. 1, c. 1, l. n. 241/1990, stabilisce che l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirar-si ai criteri di economicità e di efficacia, che costi-tuiscono specificazione del più generale principio sancito dall’art. 97 Cost., e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell’azione amministrativa. Pertanto, la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può pre-scindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiet-tivi conseguiti e i costi sostenuti.

A tale stregua, l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta la sottrazione di tali scelte ad ogni possibilità di con-trollo della conformità alla legge dell’attività ammi-nistrativa anche sotto l’aspetto funzionale, vale a dire in relazione alla congruenza dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo spe-cifico, dal legislatore. Più in generale è stato altresì

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precisato che il comportamento contra legem del pubblico amministratore non è mai al riparo dalla va-lutazione giurisdizionale non potendo esso costituire esercizio di scelta discrezionale insindacabile (cfr., esempio, Cass., S.U., ord. 27 febbraio 2008, n. 5083; 28 marzo 2006, n. 7024).

Nel caso in esame, come detto, ciò che è mancato è stato il rispetto del procedimento amministrativo come luogo della massima acquisizione degli ele-menti informativi al fine del decidere, con patente violazione dell’art. 6 l. n. 241/1990.

Come correttamente indicato dal giudice di pri-me cure, la carenza di una puntuale e indipendente istruttoria sulle ragioni tecniche che hanno determi-nato il cedimento strutturale e l’opposizione ingiu-stificata ed illegittima all’effettuazione del collaudo hanno impedito di acquisire quegli elementi conosci-tivi e chiarificatori che avrebbero potuto evitare con ragionevole probabilità un contenzioso “al buio”.

L’odierno appellante, pertanto, rimane responsa-bile degli effetti patrimoniali negativi di una scelta inconsapevole, e quindi arbitraria, foriera di una dan-no erariale che si sarebbe potuto evitare in concreto utilizzando quel minimo di diligenza che richiede la conoscenza del contesto operativo di riferimento per assumere qualsiasi scelta gestionale.

Per quanto precede, l’appello è respinto.Le spese seguono la soccombenza.P.q.m., la Corte dei conti, Sez. II centrale d’ap-

pello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando, respinge l’appello iscritto al n. 34705 del ruolo del registro di segreteria, promosso da Antonio Nicola Mazzocco e, per l’effetto, conferma la sentenza della Sezione giu-risdizionale per la Regione Molise n. 178 depositata il 15 dicembre 2008.

* * *

Sezioni giurisdizionali regionali

Basilicata

36 – Sezione giurisdizionale Regione Basilicata; sentenza 1 luglio 2015; Pres. Tocca, Est. Pergola, P.M. Gargano; Proc. reg. c. Bubbico.

Processo contabile – Pendenza del regolamento preventivo di giurisdizione – Precedente sen-tenza di merito in tema di giurisdizione – So-spensione del processo – Esclusione.

C.p.c., artt. 41, 367.Pubblico ministero contabile – Istruttoria fina-

lizzata all’esercizio dell’azione di responsabi-lità – Presupposti – Articolo pubblicato sulla stampa locale – Avvio dell’istruttoria – Legit-timità.

R.d. 13 agosto 1933 n. 1038, approvazione del rego-lamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, art. 43; d.l. 1 luglio 2009 n. 78, converti-to con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009 n. 102, provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazio-nali, art. 17, c. 30-ter; d. l. 3 agosto 2009 n. 103, convertito con modificazioni dalla l. 3 ottobre 2009 n. 141, disposizioni correttive del d.l. anticrisi n. 78/2009, art 1.Responsabilità amministrativa e contabile – Com-

ponenti dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale – Illegittimo affidamento di un inca-rico esterno – Danno erariale – Fattispecie.

D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’or-dinamento del lavoro alle dipendenze delle ammi-nistrazioni pubbliche, art. 7; l. 30 dicembre 2004 n. 311, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), art. 1.

Va respinta la richiesta di sospensione del giu-dizio contabile, proposta dal convenuto sul presup-posto che sia pendente il regolamento preventivo di giurisdizione innanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione, allorquando il giudice del merito abbia ritenuto inammissibile (ai sensi dell’art. 367 c.p.c.) il proposto regolamento per essere già intervenuta una sentenza di merito, anche soltanto limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale. (1)

Integra gli estremi della “notizia di danno” avente caratteri di specificità e concretezza e, quin-di, idonea legittimare l’avvio di attività istruttoria del pubblico ministero contabile, la pubblicazione sulla stampa locale di una notizia riguardante l’affi-

(1-3) I. - Sulla massima (1), v., fra le altre, Cass., S.U., ord. 9 dicembre 2008, n. 28874, in Rep. Foro it., 2008, voce Giurisdizione civile, n. 250.

II. - In termini, v. Corte conti, Sez. II centr. app., 16 ago-sto 2010, n. 306/A, in questa Rivista, 2010, fasc. 4, 77.

III. - Sul danno erariale da illegittimo affidamento di inca-richi di consulenza a soggetti estranei all’amministrazione, v., di recente, Corte conti, Sez. I centr. app., 1 ottobre 2013, n. 747/A, in Rep. Foro it., 2014, voce Responsabilità contabile e amministrativa, n. 119; Sez. giur. reg. Sicilia, 13 febbraio 2014, n. 293, in questa Rivista, 2014, fasc. 1-2, 252.

Nel senso che risponde di danno erariale l’amministratore

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damento di un incarico di consulenza a un soggetto estraneo all’amministrazione regionale, pur in pre-senza di numerose professionalità, interne alla stes-sa amministrazione, del tutto adeguate allo svolgi-mento dell’incarico. (2)

Rispondono di danno erariale i componenti dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale che abbiano affidato a un soggetto esterno all’ammini-strazione una consulenza finalizzata alla redazione di un progetto di riorganizzazione del consiglio re-gionale, pur in presenza, all’interno dell’ammini-strazione consiliare, di risorse umane professional-mente idonee a svolgere l’attività oggetto dell’inca-rico. (3)

Diritto – Va innanzitutto esaminata la richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del regolamento di giurisdizione, ai sen-si dell’art. 41 c.p.c., proposto dal convenuto dinanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Dispone l’art. 367 c.p.c. che, nel caso in cui sia proposto regolamento di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c., il giudice davanti a cui pende la causa “sospende il processo se non ritiene l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata”.

La costante giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione ha affermato che il rego-lamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. è inammissibile dopo che il giudice di merito abbia emesso una sentenza, anche soltanto limitata alla giu-risdizione o ad altra questione processuale (ex pluri-mis: n. 22521/2006, n. 26092/2007, n. 28874/2008).

Giova poi ricordare che le Sezioni unite della Cor-te di cassazione, di recente, hanno ribadito il “princi-pio secondo cui, proposto il regolamento preventivo di giurisdizione, la sentenza emessa, nelle more, dal giudice di merito è condizionata alla conferma del potere giurisdizionale e, dunque, non preclude la de-cisione sul regolamento medesimo, essendo inidonea a far venir meno l’interesse del ricorrente a coltivare il regolamento” (Cass., S.U., n. 10094/2015).

Constatato che nel corso del presente procedi-mento sono già intervenute pronunce in tema di giu-risdizione, che è stata negata dalla sentenza di que-

sta Sezione 24 marzo 2010, n. 91 – in riforma della predetta pronuncia – è stata affermata la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti dalla Sez. I centr. app., n. 190/2013 depositata il 7 marzo 2013, il proposto regolamento preventivo di giurisdizione appare manifestamente inammissibile, e conseguen-temente la richiesta di sospensione del presente giu-dizio va disattesa, in applicazione del surrichiamato art. 367 c.p.c.

Va poi esaminata l’eccezione difensiva di nulli-tà dell’attività istruttoria e degli atti conseguenziali, in quanto assunti in assenza di specifica e concre-ta notizia di danno, richiesta invece dall’art. 17, c. 30-ter, d.l. n. 78/2009 affinché il pubblico ministe-ro contabile possa legittimamente iniziare l’attività istruttoria.

L’eccezione appare ictu oculi infondata.Come già accennato “in fatto”, l’attività istruttoria

ha tratto origine da un articolo pubblicato sulla stampa locale il 6 giugno 2006, che nel riferire dell’incarico affidato al un soggetto esterno all’amministrazione di redigere un progetto di riorganizzazione del consiglio regionale, sosteneva che “volutamente non si fanno lavorare le professionalità interne, per giustificare il ricorso alle consulenze esterne”.

Va innanzitutto evidenziato che la giurispruden-za del giudice contabile ha costantemente affermato l’idoneità di un articolo di stampa a costituire notitia damni (ex plurimis: Sez. II centr. app., n. 306/2010, Sez. giur. reg. Basilicata n. 6 e n. 11/2015).

Circa i requisiti richiesti alla notizia di danno, le Sezioni riunite della Corte dei conti, con la sent. n. 12/2011, hanno provveduto a dirimere i dubbi e le incertezze interpretative riguardanti anche il signifi-cato da attribuire all’espressione “specifica e concre-ta notizia di danno”, di cui all’art. 17, c. 30-ter, d.l. n. 78/2009, convertito dalla l. n. 102/2009, puntua-lizzando che: “l’aggettivo specifica è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità e che non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non apparire generi-ca, bensì ragionevolmente circostanziata; l’aggettivo concreta è da intendersi come obiettivamente atti-nente alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni. L’espressione nel suo complesso deve, pertanto, in-tendersi riferita non già ad una pluralità indifferen-ziata di fatti, ma ad uno o più fatti, ragionevolmente individuati nei loro tratti essenziali e non meramente ipotetici, con verosimile pregiudizio per gli interessi finanziari pubblici”.

Ciò premesso, non vi è chi non veda che l’arti-colo di stampa sopra richiamato riportava un fatto

unico di una società a totale partecipazione pubblica che abbia affidato incarichi amministrativi a soggetti esterni alla società, senza aver prima verificato la capacità del personale in servi-zio di svolgere le attività oggetto degli incarichi, v. Corte con-ti, Sez. giur. reg. Campania, 27 febbraio 2015, n. 214, ivi, 2015, fasc. 1-2, 213.

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potenzialmente dannoso tutt’altro che ipotetico, ma specificamente individuato, e dal quale era più che verosimilmente derivato un pregiudizio per gli inte-ressi finanziari pubblici, dovuto all’impiego di risor-se pubbliche per pagare un consulente esterno per lo svolgimento di un compito che poteva essere esegui-to da personale interno.

Passando quindi all’esame del merito, come più ampiamente esposto in narrativa, l’attore ha evocato in giudizio i componenti dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale, tra i quali l’odierno conve-nuto, per rispondere del danno erariale conseguito alla adozione della delib. 20 dicembre 2005, n. 248, con la quale si disponeva di affidare ad un sogget-to esterno all’amministrazione (avv. Paolo Albano) l’incarico di redigere un progetto di organizzazione del consiglio regionale per una spesa di euro 23.869.

L’atto introduttivo del giudizio, sostiene che l’affidamento del suddetto incarico sia avvenuto in violazione delle prescrizioni recate dall’art. 7, c. 6, d.lgs. n. 165/2001, difettando nella fattispecie il pre-supposto dell’assenza di risorse umane all’interno dell’amministrazione “in grado sotto il profilo qua-li-quantitativo di svolgere l’attività affidata al con-sulente esterno”.

Circa il quadro normativo in materia all’epoca vigente, l’art. 7, c. 6, d.lgs. n. 165/2001, nella sua ori-ginaria formulazione, prevedeva, tra l’altro, la possi-bilità per le amministrazioni pubbliche di conferire.

Incarichi esterni “Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio”.

Il successivo art. 1, c. 11, l. 30 dicembre 2004 (c.d. legge finanziaria 2005), applicabile anche alle regioni, puntualizzava: “L’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocra-tica dell’ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari. L’affida-mento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.

Sul contenuto delle surriportate norme, si sono anche espresse le Sezioni riunite della Corte dei con-ti con delib. 16 febbraio 2005, n. 6 recante “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della l. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, cc. 11 e 42)” che, tra l’altro, puntualizza: “Sulla base delle dispo-sizioni citate, la giurisprudenza della Corte dei con-

ti, in sede di controllo e in sede giurisdizionale, ha elaborato i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterne:

b) inesistenza, all’interno della propria organiz-zazione, della figura professionale idonea allo svol-gimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione”.

La Corte di cassazione ha costantemente ribadito il principio secondo il quale l’insindacabilità nel me-rito delle scelte discrezionali compiute dai sogget-ti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge e quindi il giudice contabile non viola i limiti esterni della pro-pria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali a perso-nale esterno in contrasto con la disciplina di settore, puntualizzando che “il conferimento dell’incarico è legittimo solo in ipotesi di impossibilità oggettiva, del rappresentare nella delibera di far fronte all’esi-genza richiesta con il personale interno alle organiz-zazioni” (ex plurimis: Cass., S.U., n. 4283/2013 e n. 1376/2006).

Circa la reale ricognizione dell’impossibilità di provvedere con personale interno e l’adeguata mo-tivazione del provvedimento di esternalizzazione dell’incarico, richiesti dalle norme innanzi citate, come inequivocabilmente interpretate dalla giuri-sprudenza, va rilevato che in effetti la delib. 20 di-cembre 2005, n. 248, di affidamento dell’incarico esterno di consulenza, appare sorretta da motivazio-ne meramente tautologica ed apparente, quando af-ferma: “Rilevata l’assenza di strutture organizzative e professionali interne in grado di assicurare, data la complessità, peculiarità e novità della materia, lo sviluppo del nuovo progetto organizzativo del consi-glio regionale”.

La difesa ha evidenziato che comunque una rico-gnizione sulla possibilità di provvedere con risorse interne è stata svolta in occasione della riunione del “Comitato di direzione” del consiglio regionale del 17 novembre 2005, nella quale il dirigente generale Ricciardi ha invitato tutti i dirigenti a produrre pro-poste circa la riorganizzazione degli uffici, ma sol-tanto uno di essi fece pervenire la proposta.

Il verbale della surrichiamata riunione riporta: “Il dirigente generale, nel coinvolgere i presenti sull’ar-gomento li invita a produrre loro proposte circa la riorganizzazione degli uffici.

Ricciardi conclude precisando che le proposte dovranno essere trasmesse, esclusivamente alla di-

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rezione generale, entro otto dieci giorni da oggi ed auspica che possano essere elaborate in piena auto-nomia in quanto il ruolo di dirigente dovrebbe con-sentire di avere una visione globale dell’attività del consiglio”.

In disparte la circostanza che un dirigente ha provveduto a formulare la richiesta proposta, dal succitato verbale della riunione del Comitato di dire-zione tutt’al più può emergere l’inerzia dei dirigenti di fronte alla richiesta del dirigente generale di for-mulare mere proposte – tra l’altro in un margine di tempo estremamente breve (8-10 gg.) se considerato sia con riferimento alla “complessità, peculiarità e novità della materia” (in detti termini si esprime la delib. n. 248/2005), sia con riferimento ai più ampi tempi poi concessi al consulente esterno (39 gg., ma l’elaborato definitivo è stato poi consegnato molti mesi dopo il conferimento dell’incarico, riportando quello in atti la data di settembre 2006) – ma non certo l’accertata impossibilità di provvedere con ri-sorse interne.

Tempi e modi che caratterizzano la richiesta for-mulata dal dirigente generale ai dirigenti, non inte-grano certamente un serio accertamento dell’impos-sibilità di provvedere con personale interno, anche considerando che è agli atti una lettera del consulen-te avv. Albano, indirizzata al dirigente generale Ric-ciardi datata 29 novembre 2005 (quindi di soli due giorni posteriore alla scadenza degli 8-10 gg. con-cessi ai dirigenti per formulare le loro proposte), che trasmette un’articolata proposta metodologica e fa cenno a pregressi contatti sul tema della riorganizza-zione del consiglio regionale (esordisce la citata mis-siva: “La ringrazio moltissimo per l’accoglienza, ma soprattutto per l’ascolto che mi ha voluto dare quan-do abbiamo parlato dell’organizzazione del consi-glio sul quale ho chiesto di intrattenerla”); emerge quanto meno una certa fretta nel contattare personale esterno appena spirato il breve ed incongruo tempo assegnato ai dirigenti, che ingenera seri dubbi sulla effettiva volontà di svolgere una seria ricognizione della possibilità di provvedere con personale interno.

Ma ciò che maggiormente rileva è che, a pare-re del collegio, la mera inerzia dei dirigenti seguita all’invito a formulare proposte, non può essere in-tesa come accertata impossibilità di provvedere con risorse interne, anche perché lo svolgimento di un importante compito istituzionale (l’organizzazione degli uffici demandata alla struttura burocratica dalle norme innanzi richiamate) non poteva essere lasciata all’adesione “volontaria” dei dirigenti, ai quali era stato anche fissato un tempo palesemente breve.

Pertanto al collegio appaiono condivisibili le considerazioni svolte nella già richiamata sent. n. 673/2014 della Sezione I centrale d’appello, che nel condannare il dirigente generale Ricciardi, puntua-lizza: “il dovere del dirigente generale, in presenza della necessità di adottare nuovi moduli organizzati-vi del lavoro del consiglio regionale non era quello di rivolgere un mero invito a formulare proposte, ma, non difettando certo il personale qualificato, sarebbe stato quello di coordinare, dirigere, indirizzare un gruppo di lavoro, che sulla base degli studi di orga-nizzazione amministrativa e anche delle esperienze degli altri consigli regionali, ben avrebbe potuto ela-borare un nuovo modello organizzativo”.

Pertanto, per le considerazioni innanzi svolte, e tenuto altresì conto dell’adeguata dotazione di per-sonale in servizio all’epoca dei fatti presso il consi-glio (87 dipendenti, con ben 9 dirigenti tra i quali un dirigente generale, e 46 funzionari direttivi), il col-legio condivide l’assunto accusatorio in base al qua-le difetta nella fattispecie all’esame il presupposto dell’assenza di risorse umane all’interno dell’ammi-nistrazione in grado sotto il profilo quali-quantitativo di svolgere l’attività affidata al consulente esterno, e, conseguentemente, va ritenuto connotato da ine-scusabile negligenza il comportamento dell’odier-no convenuto che, unitamente agli altri componenti dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale, con delibera n. 248/2005 ha disposto l’affidamento dell’incarico in assenza dei presupposti normativa-mente previsti.

Né appaiono condivisibili le deduzioni difensive che, premessa la distinzione tra attività di indirizzo politico ed attività di gestione amministrativa, sostie-ne che gli organi politici non possono essere chiamati a rispondere di comportamenti ed atti rientranti nel-le competenze della struttura burocratica; infatti, ai sensi dell’art. 12 del “Regolamento interno del con-siglio regionale”, approvato con delibera consiliare n. 1273/1999, l’ufficio di presidenza del consiglio re-gionale ha il compito di assicurare l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici del consiglio ai sensi dello statuto e della vigente legislazione regionale.

Passando all’esame dell’elemento oggettivo dell’invocata responsabilità, la cui sussistenza è stata contestata dai difensori dei convenuti, va pun-tualizzato che l’incarico esterno conferito in spregio ai presupposti di legge, ed in particolare quando il compito esternalizzato poteva essere svolto dal per-sonale in servizio, non può sortire alcuna utilità e l’intero esborso costituisce danno per l’amministra-zione; il legislatore, infatti, si è occupato di discipli-

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nare in dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alle collaborazioni esterne, così esprimendo a monte una valutazione di utilità; ne consegue che è, oltre-ché illegittimo, assolutamente inutile il conferimento di incarico che non rispetti i presupposti normativi. In altri termini, lo stesso legislatore subordina l’uti-lità dell’incarico esternalizzato a rigidi limiti legali, solo in presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro pubblico. Ne consegue che tutto il compenso erogato al consulente esterno costituisce danno per l’erario, atteso che la prestazione resa dal soggetto esterno sarebbe potuta essere stata svolta da soggetti interni all’amministrazione (in senso conforme, cfr. Sez. giur. reg. Calabria, n. 159/2013; Sez. giur. reg. Veneto, n. 26/2014).

Premesso che il danno per cui è causa ammon-ta ad euro 23.869, e ricordato che per il suo ristoro, con la già richiamata sentenza non definitiva – ord. n. 69/2014 di questa Sezione, è già stata pronunciata condanna al pagamento di euro 4.500 a carico di cia-scuno degli altri componenti dell’ufficio di presiden-za che parteciparono all’adozione della contestata delib. n. 248/2005, passando a determinare la parte di danno da ascrivere all’odierno convenuto, il colle-gio non può che confermare i criteri e la quantifica-zione operata con la sentenza non definitiva succita-ta, e conseguentemente condannare il dott. Bubbico al pagamento della somma di euro 4.500, da ritenersi comprensiva della svalutazione monetaria, mentre dalla pubblicazione della presente sentenza e sino al soddisfo sono dovuti gli interessi legali.

Le spese di giustizia seguono la soccombenza.P.q.m., la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale

per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:

a) condanna il convenuto Bubbico Filippo al ri-sarcimento del danno prodotto alla Regione Basilica-ta nella misura di euro 4.500, da ritenersi comprensi-va della svalutazione monetaria; dalla pubblicazione della presente sentenza e sino al soddisfo sono dovu-ti gli interessi legali.

* * *

Campania

647 – Sezione giurisdizionale Regione Campania; sentenza 24 giugno 2015; Pres. Santoro, Est. Raz-zano, P.M. Vitiello; Proc. reg. c. Lembo e altri.

Responsabilità amministrativa e contabile – Sin-daco e responsabile dell’ufficio tecnico co-

munale – Mancato completamento dell’iter espropriativo – Danni subiti dal privato a se-guito dell’occupazione illegittima – Condanna dell’amministrazione al risarcimento dei dan-ni – Responsabilità amministrativa – Sussi-stenza.

Cost., art. 28; l. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; mo-difiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942 n. 1150; 18 aprile 1962 n. 167; 29 settembre 1964 n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi stra-ordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevo-lata e convenzionata, art. 20; d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 50.

Sussiste la responsabilità amministrativa del sin-daco e del responsabile dell’ufficio tecnico comuna-le che abbiano omesso di predisporre ed emanare gli atti necessari al perfezionamento di una procedura espropriativa, determinando la condanna dell’ente al risarcimento dei danni subiti dal privato per effet-to dell’occupazione illegittima.

Diritto – Il giudizio ha a oggetto l’azione di re-sponsabilità nei confronti del Sindaco (Lembo G. fino al 3 maggio 1995), dell’assessore con delega ai lavori pubblici (Fusco Angelo fino alle dimissioni il 4 luglio 1991) e del responsabile dell’Utc (Taiani A.) del Comune di Minori (SA), per il danno derivato dall’inutile esborso di denaro pubblico per comples-sivi euro 97.459,22 da ripartire a ciascuno, per la parte che vi ha preso.

Alla stregua dell’assetto difensivo articolato dai convenuti nelle memorie depositate, agli atti di cau-sa, questo collegio è chiamato a esaminare le que-stioni poste in via preliminare dai medesimi, ex com-binato disposto artt. 276, 277, c. 2, 279 c.p.c. e art. 26 reg. proc. (Omissis)

Nel merito, deve essere accertata la sussistenza degli elementi propri dell’illecito erariale.

Indubbiamente l’esborso di denaro che la pubbli-ca amministrazione è costretta a sostenere per effetto di sentenze di condanna esecutive determina un dan-no indiretto che trova, ex art. 28 Cost., nell’azione di responsabilità erariale l’imprescindibile “terzo pila-stro”. Al rapporto iniziale tra il pubblico dipenden-te (presunto autore del danno) e l’ente pubblico di riferimento e a quello successivo tra quest’ultimo e il terzo (danneggiato) deve, infatti, aggiungersi il terzo rapporto tra l’ente, che ha anticipato quale coobbli-gato in solido quanto dovuto, per conto del proprio

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dipendente, e quest’ultimo che deve essere chiamato a rispondere in sede amministrativo-contabile.

Nel caso di specie, in ottemperanza della senten-za della Corte d’appello n. 35 del 13 gennaio 2009, il Comune di Minori ha riconosciuto, con la delibe-ra comunicata alla procura, la somma complessiva di euro 97.459,22 di cui, come detto in fatto: euro 47.212,21 per indennità da occupazione illegittima; euro 44.247,87 per il valore del frutteto distrutto e relativi interessi; euro 6.000 per spese di giudizio. La somma complessivamente versata in favore del privato cittadino costituisce danno pubblico.

Occorre valutare se tale deminutio patrimonii sia imputabile agli odierni convenuti.

La successione cronologica dei fatti evidenzia, infatti, quanto segue:

- a seguito della delibera consiliare 29 ottobre 1987, n. 204, approvativa del piano di insediamenti produttivi (Pip) di cui all’art. 28 l. n. 219/1981, il sindaco del Comune di Minori, con ordinanza in data 16 settembre 1988 disponeva l’occupazione tempo-ranea d’urgenza per la durata di anni due, tra gli altri, di un terreno di proprietà di Gambardella Maria Con-siglio, cui seguì redazione di verbale di consistenza e presa di possesso del 31 ottobre 1988;

- con successiva delibera consiliare 30 dicembre 1988, n. 287 veniva approvato il piano parcellare di esproprio grafico e descrittivo del Pip, rielaborato in base alle risultanze effettive dello stato dei luoghi, e con altra ordinanza sindacale n. 1909 del 15 marzo 1990 era disposta l’occupazione d’urgenza, per la durata di anni due, degli immobili di proprietà della predetta Gambardella Maria Consiglio necessari per l’attuazione del Pip (in catasto al foglio 3, particella 386, are 17,83, particella 42, are 7,12; foglio 2, par-ticella 32, are 7,00, particella 69, are 7,10), cui seguì verbale di immissione in possesso in data 9 aprile 1990;

- i lavori consegnati in data 29 aprile 1990 all’im-presa appaltatrice che doveva realizzare le infrastrut-ture, vennero sospesi dal direttore dei lavori in data 19 maggio 1990, quando non era stato ancora stipu-lato il contratto, poiché necessitavano opere integra-tive. I lavori non furono più ripresi.

Tale ricostruzione appare pacifica, oltre che ac-certata con sentenza passata in giudicato dal giudice civile. Il Tribunale di Salerno, disposta c.t.u., con sent. n. 1858/2005, ritenendo che nella specie si fos-se verificata l’irreversibile trasformazione del fondo, ha condannato il Comune di Minori al pagamento in favore dell’attrice della somma di euro 648.868, ol-tre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno

per la perdita dei suoi diritti reali sul fondo passato in proprietà dell’ente all’atto della proposizione della domanda; della somma di euro 25.895 a titolo di in-dennità di occupazione illegittima dal 9 aprile 1992 al 16 ottobre 1992; delle spese processuali liquidate in complessivi euro 7.000 e di c.t.u. Lo stesso giu-dice ordinario ha rigettato la domanda relativa alla perdita dell’agrumeto per aver parte attrice abdicato al diritto di proprietà.

La Corte di appello di Salerno, al contrario, in sede di gravame principale proposto dal comune ed incidentalmente dalla proprietaria, ha dapprima ac-colto l’istanza di sospensiva dell’ente, con ordinanza in data 10 aprile 2007, concedendo l’esecuzione par-ziale della sentenza impugnata solo nei limiti di euro 50.000; indi, ha accolto parzialmente l’appello prin-cipale e quello incidentale, con la menzionata sent. n. 35/2009. Nella sentenza definitiva, sulla scorta della relazione di consulenza, risulta accertato che nessu-na opera fu realizzata dal comune onde i fondi sono rimasti nello stato in cui erano stati occupati (fatta salva la distruzione del limoneto) mentre l’efficacia decennale del Pip – di cui alla delibera Corte conti, n. 204/1987 – era scaduta nel 1997, in assenza di pre-disposizione di nuovo strumento. Da tali elementi il giudice ordinario ha concluso che, nella fattispecie, non poteva liquidarsi il danno per equivalente pari al valore del terreno per occupazione appropriativa (mai intervenuta), mentre la parte lesa avrebbe potu-to solo chiedere la restituzione del bene, oltre risar-cimento del danno per la illegittima occupazione; di conseguenza ha revocato la sentenza di prime cure nella parte in cui conteneva il risarcimento del danno per la presunta perdita della proprietà del bene, con-fermandola nel resto; e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha condannato il comune al pagamento in favore della Gambardella delle somme indicate in citazione e sopra riportate.

Dalla ricostruzione della vicenda, non può che ritenersi accertata anche la corresponsabilità dei sin-goli convenuti.

Non v’è dubbio, infatti, che, dalla data di immis-sione in possesso (in data 9 aprile 1990) fino alla data di scadenza del termine per l’ultimazione dell’espro-priazione, gli organi tecnici e quelli politici avrebbe-ro dovuto e potuto, rispettivamente, predisporre ed emanare i necessari atti di perfezionamento dell’iter espropriativo, impedendo il maturare del danno poi lamentato e risarcito ai privati.

In particolare il pedissequo rispetto degli adem-pimenti previsti dagli artt. 10 ss. nonché dall’art. 20 l. n. 865/1971 (nei termini e con le modalità ridise-

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gnati dalla Corte costituzionale con le pronunce di parziale illegittimità n. 67 e n. 470/1990) avrebbe consentito il dispiegarsi dell’ordinario contradditto-rio tra il soggetto espropriato e quello espropriante nonché, mediante il deposito delle somme offerte e rifiutate, ivi disciplinato, almeno la cristallizzazione degli importi, impedendo il maggior danno costituito da interessi e rivalutazione (di cui alla condanna in sede civile).

Al contrario dopo l’immissione in possesso è mancato qualsiasi impulso al successivo e connatu-rale sviluppo della procedura intrapresa, da parte dei soggetti all’uopo preposti e oggi evocati in giudizio.

Partendo dalla posizione del Sindaco pro tempore (Lembo Giuseppe dal 28 maggio 1990 al 3 maggio 1995) deve essere stigmatizzata la sua condotta omis-siva, visto che egli, insediatosi immediatamente dopo la sospensione dei lavori (avvenuta in data 19 maggio 1990) non ha mai provveduto né a rimuovere la causa della sospensione, consentendo prosecuzione e l’ulti-mazione delle opere, né ad emanare il dovuto provve-dimento conclusivo (decreto di esproprio).

La sua responsabilità non rimane certamente eli-sa dalla vigenza del nuovo criterio di riparto delle competenze, permanendo in capo a questi, ex art. 36 (sia pure modificato poi dall’art. 12 l. 25 marzo 1993, n. 81) il ruolo di vertice dell’apparato ammi-nistrativo comunale con l’obbligo di vigilare e di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti (attribuzioni già nel precedente ordinamento disciplinate dal combinato disposto degli art. 142 e 151 del t.u.l.c.p. del 1915 ed ancora riaffermata nel vigente testo unico dell’or-dinamento degli enti locali approvato con d.lgs. n. 267/2000 all’art. 50, cc. 1 e 2).

Ove ciò non bastasse, va rimarcata la peculiarità del settore specifico di intervento – espropriazioni per causa di pubblica utilità – nel quale trova applica-zione anche la normativa regionale recata dalle leggi 19 aprile 1977, n. 23 (artt. 1 e 2) e 31 ottobre 1978, n. 51 (artt. 37 e 39), con cui la Regione Campania ha sub delegato ai comuni le funzioni amministrative in materia di espropriazioni per causa di pubblica utilità finalizzate all’esecuzione di lavori pubblici e di ope-re di pubblico interesse, già oggetto di trasferimento dallo Stato alla regione con l’art. 3 d.p.r. 15 gennaio 1972, n. 8.

Detta normativa regionale (come evidenziato già da questa Sezione anche nella sent. n. 295/2011) ha altresì individuato espressamente nel sindaco (art. 2 l. reg. n. 23/1977) l’organo comunale competente in ordine all’adozione degli atti della procedura espro-

priativa (la nomina dei tecnici incaricati a eseguire l’accesso e redigere gli stati di consistenza, l’autoriz-zazione all’occupazione di urgenza, la determinazio-ne amministrativa dell’indennità e sua comunicazio-ne agli espropriandi, di cui all’art. 1).

Non può considerarsi esente da ogni responsabi-lità nemmeno il responsabile dell’ufficio tecnico.

La Corte dei conti (Sez. III centr. app., 13 di-cembre 2011, n. 858) ha ricordato che “Il dirigente del servizio espropri è responsabile quando non or-ganizza il suo ufficio in modo da poter far fronte a situazioni potenzialmente generatrici di danni per le finanze del comune, specie in relazione ai procedi-menti di espropriazione più complessi ed onerosi per l’amministrazione”. Gli obblighi di servizio si pos-sono considerare espletati soltanto a fronte di un’at-tività specifica di sollecitazione e intervento attizio da parte del dirigente o funzionario delegato, che ha a sua disposizione tutto il know-how indispensabile alla corretta gestione della procedura espropriativa.

Alcuna incidenza, infine, può riconoscersi alla circostanza, dedotta dal tecnico convenuto, che egli risulta estraneo alla procedura espropriativa. Non solo, al Taiani era stato affidato il ruolo di coadiutore del geom. De Lieto proprio in relazione alla specifica vicenda in esame, ma, sicuramente, egli era, all’e-poca dei fatti incaricato della direzione dell’ufficio tecnico comunale. Dalla convenzione stipulata tra il comune e il professionista, poi ratificata con delibera della giunta municipale n. 93 del 30 dicembre 1985, emerge con chiarezza che egli aveva ricevuto l’inca-rico di espletare tutti i “compiti tecnici, connessi con la qualifica professionale, che sono propri dell’uffi-cio tecnico comunale e di quelli in particolare previ-sti dall’art. 60 l. 14 maggio 1981, n. 219 e successive modificazioni”. Risulta smentito per tabulas che egli si occupasse, come eccepito, soltanto delle pratiche ex l. n. 219/1981, essendo, peraltro, destinatario del ruolo di “responsabile del procedimento” in virtù della deliberazione g. m. n. 220 del 24 giugno 1992.

Del danno rispondono, in definitiva, sia il sinda-co (sig. Lembo Giuseppe) sia il responsabile U.t.c. (sig. Taiani Antonio). Il non aver portato a termine l’iter espropriativo ha eziologicamente determinato – ex artt. 40 e 41 c.p. – il fatto dannoso, costituito dall’illecita occupazione del fondo privato e distru-zione della piantagione, esponendo l’ente locale alla relativa richiesta risarcitoria, maggiorata dei relativi interessi. Le obbligazioni accessorie, infatti, come anche le spese legali sono da considerare conseguen-ze immediate e dirette dell’evento dannoso, imputa-bili ai convenuti ex artt. 1223 e 1227 c.c.

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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Analogamente, non dubita questo collegio della sussistenza dell’elemento psicologico per i soggetti evocati in giudizio, poiché la loro nimia negligen-tia ovvero il dispregio delle norme regolatrici della materia degli espropri pubblici – una vera e propria imperizia – ha esposto l’ente locale a un esborso di denaro pubblico, evitabile attraverso una puntuale esecuzione degli adempimenti previsti. Per giuri-sprudenza consolidata di questa Corte “Sussiste la responsabilità amministrativa del sindaco in ordi-ne ai maggiori oneri per rivalutazione monetaria ed interessi legali, in conseguenza della mancata prosecuzione dell’iniziativa di esproprio avviata, comportante, una volta decorso infruttuosamente il quinquennio di cui all’art. 20 l. n. 865/1971, la tra-sformazione dell’occupazione d’urgenza in occupa-zione abusiva dell’immobile, con l’assoggettamento della pubblica amministrazione a dei provvedimenti legislativi intervenuti risarcire i danni arrecati, non potendo rilevare nella specie, sotto il profilo sogget-tivo della colpa, l’incertezza a seguito della sent. n. 5/1980 della Corte costituzionale (così Sez. II centr. app., 7 agosto 1995, n. 23 e anche Sez. III centr. app., 27 aprile 2011, n. 396).

Parzialmente diversa è la posizione dell’assesso-re ai lavori pubblici (sig. Fusco Angelo), per il quale, pur potendosi rilevare l’omissione di compiti speci-fici del ramo al quale era preposto, non appare rav-visabile la colpa grave. La difesa del convenuto ha, infatti, dedotto e provato che la nomina sarebbe ri-feribile alla data dell’11 giugno 1990 e le dimissioni sarebbero state rassegnate in data 4 luglio 1991, con presa d’atto del consiglio comunale il 15 luglio 1991 (delib. n. 55). In relazione a tale arco temporale, va rilevato che, effettivamente, il danno maturato a se-guito della distruzione del limoneto risale ad epoca anteriore alla nomina ad assessore e la mancata ema-nazione del decreto di esproprio ad epoca successiva alle sue dimissioni. Sicché pur essendo possibile che egli, nell’unico anno di tempo in cui ha rivestito l’in-carico di assessore lavori pubblici avrebbe dovuto e potuto adoperarsi per la prosecuzione delle attività espropriative, tale condotta non appare attinta da gra-ve negligenza, in relazione alla prevedibilità dell’e-vento dannoso che si sarebbe verificato a distanza di anni.

Venendo alla quantificazione del danno, sicu-ramente, questo collegio non può non rilevare che le omissioni accertate hanno contribuito in via non esclusiva alla produzione del danno dedotto.

In particolare, deve tenersi conto dell’incidenza dei tempi processuali del giudizio civile ai fini del

calcolo degli interessi e delle spese legali che, sia pure in parte, hanno contribuito all’incremento degli importi dovuti. Anche alla stregua dei calcoli acqui-siti dall’amministrazione con nota prot. n. 10819 del 26 novembre 2009 dall’avv. Mario Franco (nel fa-scicolo della procura), in applicazione dell’art. 1227 c.c., dunque, deve essere ricalcolata la quota di dan-no effettivamente imputabile ai convenuti, che, in via equitativa, deve complessivamente liquidarsi nel 80 per cento dell’importo dedotto, per euro 77.967,376 già comprensiva della rivalutazione.

Su tale importo, si procede all’attribuzione del-le quote di responsabilità, con imputazione al sin-daco della maggiore quota pari al 50 per cento per aver omesso di provvedere agli adempimenti di cui agli artt. 10 ss. della l. n. 865/1971 e per aver omes-so di adottare il decreto di esproprio, determinando, in modo precipuamente significativo, la causazione dell’evento dannoso per cui è causa. Al responsabi-le dell’Utc va riconosciuta la minor quota del 30 per cento in relazione alla causazione dell’evento mentre all’assessore residua la quota del 20 per cento con eso-nero da responsabilità per mancanza di colpa grave.

La domanda nei confronti del Fusco Angelo va, in definitiva, rigettata con compensazione delle spe-se di giudizio.

In forza di tale ricostruzione equitativa, va im-putato un debito risarcitorio al sig. Lembo Giuseppe pari a euro 38.983 e al sig. Taiani Antonio pari a euro 23.390.

Sulle somme così determinate, il collegio ritiene di poter applicare anche il potere riduttivo ex art. 52 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, valutata la sussistenza di elementi soggettivi (concorso di altri organi) od og-gettivi (anteriorità di taluni atti rispetto all’insedia-mento della nuova giunta) con riduzione dei singoli importi di un ulteriore 10 per cento e rideterminazio-ne degli stessi in euro 35.084 per il Sindaco Lembo ed euro 21.051 per il tecnico Taiani.

Le spese di giudizio seguono, in solido, la soc-combenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.q.m., la Corte dei conti (omissis) rigetta la do-manda nei confronti del sig. Fusco Angelo, come in epigrafe generalizzato, con compensazione integrale delle spese di giudizio. Condanna i convenuti Lembo Giuseppe e Taiani Antonio, ciascuno nelle rispettive qualità e come in epigrafe generalizzati, al risarci-mento del danno pari a euro 35.084 il primo, ed euro 21.051, il secondo, compresa la rivalutazione.

* * *

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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Friuli-Venezia Giulia

52 – Sezione giurisdizionale Regione Friuli-Venezia Giulia; sentenza 9 luglio 2015; Pres. Lener, Est. Di Lecce, P.M. Spedicato; Proc. reg. c. Narduzzi.

Corte dei conti – Sezione regionale di controllo – Deliberazione relativa alla gestione dei contri-buti erogati a un gruppo politico del consiglio regionale – Scadenza del termine per l’impu-gnazione davanti alle Sezioni riunite in spe-ciale composizione – Effetti – Irretrattabilità della deliberazione.

Cost., art. 103; l. reg. Friuli-Venezia Giulia 5 novem-bre 1973 n. 54, modificazioni alle leggi regionali 9 settembre 1964, n. 2, e 5 giugno 1967, n. 8, e nor-me riguardanti le spese di funzionamento dei grup-pi consiliari; l. reg. Friuli-Venezia Giulia 28 ottobre 1980 n. 52, norme per il funzionamento dei gruppi consiliari; l. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1; d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito con modificazioni dalla l. 20 dicembre 1996 n. 639, disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, converti-to con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012 n. 213, disposizioni urgenti in materia di finanza e funziona-mento degli enti territoriali nonché ulteriori dispo-sizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012; d.l. 24 giugno 2014 n. 91, convertito con mo-dificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 116, disposizio-ni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettri-che, nonché per la definizione immediata di adempi-menti derivanti dalla normativa europea.Responsabilità amministrativa e contabile – Presi-

dente di un gruppo politico del consiglio regio-nale – Contributi erogati al gruppo – Somme irregolarmente rendicontate – Accertamento con deliberazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti – Responsabi-lità amministrativa del presidente – Giurisdi-zione della Corte dei conti.

Cost., art. 103; l. reg. Friuli-Venezia Giulia 5 novem-bre 1973 n. 54; l. reg. Friuli-Venezia Giulia 28 otto-bre 1980 n. 52; l. 14 gennaio 1994 n. 20, art. 1; d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito con modificazioni dalla l. 20 dicembre 1996 n. 639; d.l. 10 ottobre 2012 n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicem-bre 2012 n. 213; d.l. 24 giugno 2014 n. 91, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 116.

La deliberazione con la quale la sezione regionale di controllo della Corte dei conti accerta l’irregolare gestione dei contributi pubblici erogati a un gruppo politico del consiglio regionale diviene irretrattabile a seguito della consumazione del termine di trenta gior-ni previsto dall’art. 33, c. 2, lett. a), n. 3, d.l. n. 91/2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 116/2014) per la sua impugnazione innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione. (1)

Integra gli estremi della responsabilità ammini-strativa, la cui cognizione è devoluta alla giurisdi-zione della Corte dei conti, l’omessa restituzione al consiglio regionale, da parte del presidente del gruppo consiliare regionale, dei contributi che la se-zione regionale di controllo della Corte dei conti ab-bia ritenuto non regolarmente rendicontati con deli-berazione divenuta irretrattabile a seguito della sca-denza del termine di trenta giorni previsto dall’art. 33, c. 2, lett. a), n. 3, d.l. n. 91/2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 116/2014) per la sua impu-gnazione innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione. (2)

Diritto – La questione portata all’esame del col-legio afferisce ad un’ipotesi di responsabilità per danno erariale conseguente alla mancata restituzio-ne, da parte del sig. Danilo Narduzzi, ex presidente del gruppo consiliare della Lega Nord, dei contributi, erogati a carico del bilancio della Regione Friuli-Ve-nezia Giulia, la cui rendicontazione è stata dichiarata non regolare con una deliberazione della sezione re-gionale di controllo della Corte dei conti adottata ai sensi dell’art. 1, c. 12, d.l. n. 174/2012.

Ai fini di una breve ricognizione della disciplina normativa di riferimento, va ricordato che con il d.l. n. 174/2012, convertito dalla l. n. 213/2012, è stato introdotto, all’art. 1, cc. 10-12, il controllo, da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, sui rendiconti annuali di esercizio dei gruppi

(1-2) I. - Sulla massima (1), non constano precedenti. Per altre questioni processuali relative all’impugnazione delle de-liberazioni delle sezioni regionali di controllo aventi ad ogget-to la regolarità dei rendiconti dei gruppi politici presenti nei consigli regionali, v. Corte conti, Sez. riun. (spec. comp.), 2 settembre 2014, n. 32, in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 154, con nota di richiami.

II. - Non constano precedenti nei termini di cui alla mas-sima (2).

Da ultimo, sulla responsabilità amministrativa – e conse-guente giurisdizione della Corte dei conti – per l’indebito uti-lizzo dei fondi pubblici erogati ai gruppi politici dei consigli regionali, v. Corte conti, Sez. giur. reg. Emilia-Romagna, 10 ottobre 2014, n. 140, ibidem, 271, con nota di richiami.

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consiliari. L’originario impianto normativo è stato in parte modificato per effetto della sent. n. 39/2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la par-ziale incostituzionalità dei cc. 10, 11 e 12 dell’art. 1 del d.l. n. 174/2012. Per quanto di interesse in questa sede, deve rilevarsi come per effetto dell’intervento caducatorio della Consulta, nei casi in cui la sezio-ne regionale di controllo accerti la non regolarità del rendiconto di un gruppo consiliare, non è più previ-sta la decadenza del diritto all’erogazione delle risor-se da parte del consiglio regionale, ma unicamente la restituzione delle somme ricevute a carico del bilan-cio regionale (art. 1, c. 11, d.l. n. 174/2012).

Prima di esaminare il merito della controversia, reputa il collegio di doversi soffermare sul fonda-mento della giurisdizione della Corte dei conti in merito all’azione promossa dalla procura regionale. A tal fine, va innanzi tutto rilevato che la ratio del-le disposizioni introdotte dall’art. 1 d.l. n. 174/2012, per quanto si desume dalla stessa formulazione del c. 1 della norma citata, è quella di adeguare, ai sensi degli artt. 28, 81, 97, 100 e 119 Cost., il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria del-le regioni in un’ottica di rafforzamento del coordi-namento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’ap-partenenza dell’Italia all’Unione europea (art. 1, c. 1, d.l. n. 174/2012).

Per quanto attiene, nello specifico, ai controlli in materia di rendiconti dei gruppi consiliari (art. 1, cc. 10-12, d.l. n. 174/2012), va ricordato come nell’in-terpretazione data dalla Corte costituzionale a tale si-stema di norme, “il rendiconto delle spese dei gruppi consiliari costituisce parte necessaria del rendiconto regionale, nella misura in cui le somme da tali gruppi acquisite e quelle restituite devono essere conciliate con le risultanze del bilancio regionale” (Corte cost., n. 39/2014).

In siffatta prospettiva, la disciplina del control-lo sui rendiconti dei gruppi consiliari deve ritenersi logicamente connaturata alle “materie di contabilità pubblica” di cui all’art. 103, c. 2, Cost. (Corte conti, Sez. riun., n. 29/2014). Tale, peraltro, è stata la ra-gione che ha indotto le Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione ad affermare, in via interpretativa, la propria giurisdizione in materia di impugnativa delle deliberazioni delle sezioni re-gionali di controllo, dichiarative della non regolarità dei rendiconti, ancor prima che l’art. 33, c. 2, lett. a), n. 3, d.l. n. 91/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 116/2014, provvedesse alla formale attri-

buzione, a tale organo giurisdizionale, di tale potere cognitorio (Corte conti, Sez. riun., n. 54/2014).

L’indirizzo ermeneutico cui si è fatto cenno si pone nel solco di quella giurisprudenza, risalente ma mai superata, che riconosce nell’art. 103, c. 2, Cost. la fonte regolatrice di una giurisdizione che, pur essendo delimitata ratione materiae, ha carattere di assoluta generalità, nel senso di ricomprendere tutte le mate-rie della contabilità pubblica, in un’accezione che ha riguardo alla regolarità della gestione del pubblico de-naro e dei pubblici beni, e dunque non soltanto la ge-stione finanziaria e patrimoniale statale propriamente detta, ma anche quella di tutti gli enti pubblici ai quali affluiscono, per il raggiungimento di determinati fini voluti dalla legge, denaro direttamente o indirettamen-te prelevato al contribuente e cioè denaro pubblico (Corte conti, Sez. I centr. app., n. 115/1964).

Data per pacifica l’inerenza della disciplina reca-ta dall’art. 1, cc. 10-12, d.l. n. 174/2012 alle “materie di contabilità pubblica”, in quanto misura afferente al coordinamento della finanza pubblica ed al control-lo sulla gestione finanziaria delle regioni, reputa il collegio che le questioni conseguenziali all’accerta-mento di eventuali irregolarità nella rendicontazione dei contributi erogati in favore dei gruppi consiliari ed, in particolare, quelle correlate all’inadempimen-to dell’obbligo di restituzione del contributo, siano idonee ad integrare una fattispecie di responsabilità erariale, da ritenersi attribuita, ai sensi dell’art. 103, c. 2, Cost. alla giurisdizione del giudice contabile.

Sul versante dell’esegesi applicativa, il ricono-scimento di tale potere cognitorio della Corte dei conti appare coerente con l’attuale tendenza del le-gislatore a rafforzare i profili sanzionatori, restitutori e di deterrenza dell’attività di controllo svolta dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. Un’agevole conferma, in tal senso, si trae dalle nor-me che hanno riconosciuto, alle sezioni giurisdizio-nali della Corte dei conti, la competenza a giudicare alcune fattispecie di responsabilità che trovano il loro naturale campo di emersione nell’esercizio delle funzioni intestate alle sezioni di controllo della Corte dei conti (v. le norme in materia di violazione del di-vieto di indebitamento per il finanziamento di spese diverse da quelle di investimento ex art. 30, c. 15, l. n. 289/2002; quelle afferenti all’elusione del patto di stabilità interno ex art. 31, c. 31, l. n. 183/2011; il regime sanzionatorio previsto per gli amministratori degli enti locali che abbiano contribuito, con condot-te dolose o gravemente colpose, al verificarsi del dis-sesto finanziario ex art. 3, c.1, lett. s), d.l. n. 174/2012 convertito con modificazioni dalla l. n. 213/2012).

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In tale visuale prospettica, l’esplicitazione dell’ob-bligo di restituzione del contributo dichiarato di non regolare rendicontazione non può che interpretarsi come un elemento sintomatico della volontà del legi-slatore di assicurare contenuti di certezza e di effetti-vità agli esiti dell’attività di controllo, attribuendo al “sistema” Corte dei conti – così come delineato dagli artt. 100, c. 2 e 103, c. 2, Cost. – non solo la fase di accertamento di eventuali irregolarità delle rendicon-tazioni dei gruppi consiliari, ma anche quella di at-tuazione degli esiti della deliberazione adottata dalla sezione di controllo, in una logica di garanzia dell’in-tegrità del bilancio dell’ente.

Ciò premesso in tema di giurisdizione, osserva il collegio come la procura regionale abbia formulato, a carico del Narduzzi, un’ipotesi di responsabilità amministrativa conseguente alle irregolarità accerta-te dalla sezione regionale di controllo in sede di esa-me del rendiconto del gruppo consiliare della Lega Nord (periodo 1 gennaio 2013-12 maggio 2013). In particolare, all’odierno convenuto è stata contestata la mancata restituzione dei contributi ritenuti irrego-larmente rendicontati: omissione ritenuta dal pubbli-co ministero contabile idonea ad integrare l’elemen-to soggettivo della colpa grave, in quanto espressiva del mancato adempimento di un obbligo di legge gravante sull’ex presidente del gruppo consiliare.

Da parte sua, la difesa del Narduzzi, dopo aver eccepito la nullità dell’atto di citazione in quanto fondato “unicamente sui contenuti di una delibera-zione della sezione di controllo”, ha sostanzialmente riproposto, innanzi a questa Sezione, le censure già formulate in sede di impugnazione della deliberazio-ne della sezione regionale di controllo del 29 aprile 2014 innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti (un’agevole conferma, in tal senso, si desume dal raf-fronto tra le argomentazioni difensive contenute nella memoria di costituzione nell’odierno giudizio (pp. 12-31) e i motivi sui quali si fonda il ricorso proposto dal Narduzzi innanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione per l’impugnativa della deliberazione della sezione regionale di controllo (doc. n. 2, pp. 5-25, fascicolo documenti della procura regionale).

Prima di esaminare il merito della controversia, reputa il collegio di dover chiarire che il carattere de-finitivo e irretrattabile che viene ad assumere la deli-berazione della sezione regionale di controllo con la consumazione del termine di 30 giorni previsto per la sua impugnativa, non consente l’esercizio di un qualsivoglia sindacato, sia pure di carattere inciden-tale, sugli esiti della stessa. La definitività dei suoi effetti è da ritenersi intrinsecamente connaturata al

contenuto decisorio di una deliberazione assunta da un organo magistratuale operante in una posizione di neutralità e indipendenza, chiamato a svolgere fun-zioni non sovrapponibili né assimilabili a quelle di un potere amministrativo (cfr., per analogia di ratio, Corte conti, Sez. riun., n. 2/2014). Concorre, altresì, alla definizione del cennato carattere di irretrattabili-tà, la previsione di un meccanismo di tutela giurisdi-zionale che assegna alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione la competenza esclusiva a pronunciarsi, nel merito e con pienezza di poteri istruttori, sull’impugnativa delle delibere assunte dalle sezioni regionali di controllo in materia di rendiconti dei gruppi consiliari.

Quanto al termine di 30 giorni previsto per il ri-corso alle Sezioni riunite in speciale composizione, è stato già evidenziato come la previsione del suddetto termine trovi giustificazione nell’esigenza di con-temperare la tutela delle situazioni giuridiche even-tualmente lese dalle delibere adottate dalla sezioni regionali di controllo “con la necessità di assicurare, in tempi brevi, alle amministrazioni pubbliche coin-volte, elementi di certezza, tanto sulla legittimità delle gestioni in esame, quanto sui dati finanziari e di bilancio, al fine di consentire una corretta impo-stazione dei bilanci delle gestioni successive (Corte conti, Sez. riun., n. 36/2014). Il che vale a rafforza-re ulteriormente il convincimento che, lo spirare del termine previsto per l’impugnazione della delibera-zione adottata dalla sezione di controllo in materia di rendiconti dei gruppi consiliari, dia luogo al definiti-vo consolidamento dei suoi effetti.

Va, altresì, rilevato che l’eventuale esame, in questa sede giudiziale, delle questioni giuridiche af-ferenti i profili di asserita illegittimità della delibera della sezione di controllo – invero già posti a fon-damento del ricorso proposto dal Narduzzi innanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione –, im-plicherebbe la violazione dell’art. 33, c. 2, lett. a), n. 3, d.l. n. 91/2014 convertito dalla l. n. 116/2014, che attribuisce tale competenza, in via esclusiva ed in un unico grado, alle Sezioni riunite della Corte dei con-ti. In realtà, l’ambito della cognizione della sezione giurisdizionale va tenuto ben distinto da quello pro-prio della sezione di controllo della Corte dei conti. Con la sent. n. 61/2014, le Sezioni riunite in speciale composizione, nel dichiarare l’inammissibilità del ri-corso proposto dal Narduzzi, hanno rilevato che altro è “il controllo di regolarità sui rendiconti dei gruppi consiliari ex art. 1 d.l. n. 174/2012, che ha natura di accertamento di regolarità e di conformità meramen-te documentale (Corte cost., n. 39/2014) e attiene

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all’atto – rendiconto; altro è, invece, la valutazione, in termini di liceità, della condotta delle singole per-sone fisiche costituenti il gruppo, sotto il profilo della sua potenzialità lesiva dell’erario regionale, la quale potrà essere esercitata in materia di giurisdizione di responsabilità” (Corte conti, Sez. riun., n. 61/2014). La distinzione di funzioni appare ben chiara, e non ammette surrettizie riproposizioni, in sede di giudi-zio di responsabilità amministrativa, di temi di inda-gine strettamente afferenti ai presupposti di legitti-mità ed ai contenuti di merito di una deliberazione della sezione di controllo divenuta irretrattabile.

Premesse tali considerazioni, si impone di verifi-care se, nel delineato quadro ordinamentale, l’omis-sione del versamento, al consiglio regionale, dei con-tributi dichiarati di non regolare rendicontazione da parte della sezione regionale di controllo, possa dar luogo ad un’ipotesi di responsabilità amministrativa soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.

A far propendere per la tesi affermativa concorro-no più elementi. Depone, in tal senso, il rapporto di tipo pubblicistico che si instaura tra il presidente del gruppo consiliare ed il consiglio regionale, nell’am-bito del quale il presidente del gruppo consiliare, ol-tre ad essere diretto destinatario dei contributi eroga-ti dal consiglio regionale ai sensi dell’art. 1, c. 1, del regolamento n. 196/1996, viene individuato quale soggetto tenuto alla rendicontazione degli stessi, se-condo le modalità previste dall’art. 7 del citato rego-lamento (v. doc. n. 7, fascicolo documenti Narduzzi). Nella medesima prospettiva assumono un particolare rilievo la natura pubblica delle risorse di cui si di-scute ed il danno per l’erario regionale che consegue – in applicazione di principi generali esplicitati dal legislatore con l’art. 1, c. 11, d.l. n. 174/2012 – alla mancata restituzione, al bilancio regionale, dei con-tributi non correttamente rendicontati.

Va, infatti, rilevato come nell’interpretazione data dalla Corte costituzionale all’art. 1, c. 11, d.l. n. 174/2012, la restituzione del contributo sia espressi-va di un “principio generale delle norme di contabi-lità pubblica”, strettamente correlato al dovere di dar conto delle modalità di impiego del denaro pubblico in conformità alle regole di gestione dei fondi e alla loro attinenza alle funzioni istituzionali svolte dai gruppi consiliari. Detto obbligo “è circoscritto dalla norma impugnata a somme di denaro ricevute a ca-rico del bilancio del consiglio regionale, che vanno quindi restituite, in caso di omessa rendicontazione, atteso che si tratta di risorse della cui gestione non è stato correttamente dato conto secondo le regole di redazione del rendiconto” (Corte cost., n. 39/2014).

In siffatto ambito, la restituzione del contributo viene ricondotta alle irregolarità accertate nella rendicon-tazione, quale effetto di una “procedura di controllo legittimamente istituita dal legislatore”.

Le predette considerazioni inducono il collegio a ritenere che la naturale sede attuativa degli esiti dell’attività svolta dalle sezioni regionali di control-lo ai sensi dell’art. 1, cc. 10-12, d.l. n. 174/2012, nei casi in cui, all’accertamento, con delibera divenuta irretrattabile, della irregolarità del rendiconto, non faccia seguito la restituzione del contributo, sia quella del giudizio di responsabilità amministrativa. In tale peculiare ambito la cognizione del giudice contabile, al di là dell’accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi della responsabilità amministrativa, deve ritenersi estesa alla risoluzione di eventuali questioni interpretative afferenti ai contenuti della deliberazione adottata dalla sezione regionale di controllo ed alle si-tuazioni sopravvenute che, valutate secondo le regole proprie della responsabilità amministrativa, possano assumere rilievo sul cennato obbligo di restituzione, con derivati effetti sull’addebito di responsabilità.

Passando all’esame del merito, va innanzi tutto esaminata l’eccezione di nullità dell’atto di citazio-ne, affidata al rilievo secondo cui la domanda del-la procura regionale troverebbe fondamento in una deliberazione della sezione di controllo della Corte dei conti, “apoditticamente presa a riferimento quale fonte provata e conclamata della pretesa responsabi-lità erariale del capogruppo Narduzzi”.

L’eccezione è palesemente infondata, posto che l’azione della procura regionale, nei suoi chiari trat-ti identificativi (petitum e causa petendi), consegue all’inadempimento, da parte dell’odierno convenuto, quale ex presidente del gruppo consiliare Lega Nord, dell’obbligo di restituzione di somme la cui rendi-contazione è stata dichiarata irregolare dalla sezione regionale di controllo.

Per quanto attiene, invece, alle componenti strut-turali della responsabilità amministrativa, deve rite-nersi pacifica la sussistenza del rapporto di servizio, tenuto conto non solo dell’inserimento del Narduzzi, quale presidente del gruppo consiliare della Lega Nord, nella struttura del consiglio regionale, ma an-che della natura pubblica delle risorse soggette a ren-diconto e del ruolo, di rilievo pubblicistico, che assu-me il presidente del gruppo consiliare quale soggetto responsabile della rendicontazione dell’attività di spesa dei contributi erogati dal consiglio regionale.

Il carattere definitivo e irretrattabile della delibe-razione assunta in data 29 aprile 2014 della sezione regionale di controllo – presupposto indefettibile di

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

335

un’azione di responsabilità che si fonda sull’inadem-pimento dell’obbligo restitutorio di un contributo ritenuto di non regolare rendicontazione – fa sì che la quantificazione del danno arrecato all’erario regio-nale debba essere confermato nell’importo di euro 32.800, in conformità alle risultanze della predetta deliberazione.

Quanto all’elemento soggettivo dell’illecito, deve rilevarsi come l’omessa restituzione del contributo integri una palese violazione dell’obbligo previsto dall’art. 1, c. 11, d.l. n. 174/2012 – norma che, come già rilavato, è espressiva di un principio generale di contabilità pubblica – integrando un atteggiamento che denota, quanto meno, la colpa grave del convenu-to, se non addirittura il consapevole intento di sottrarsi alle proprie responsabilità.

In tal senso va negata valenza scriminante alla tesi difensiva secondo cui ove il ricorso alle Sezioni riunite in speciale composizione fosse stato tempe-stivamente proposto, la peculiare posizione del Nar-duzzi quale ex presidente di un gruppo consiliare cessato allo scadere della X legislatura, avrebbe dato luogo ad una pronuncia dichiarativa del difetto di le-gittimazione ad impugnare la deliberazione adottata dalla sezione regionale di controllo.

La tesi del convenuto, nel prospettare, in via ipo-tetica, gli effetti di una situazione mai realizzatasi, né in alcun modo verificabile, sembra non tener conto che l’obiter dictum contenuto nella sent. n. 61/2014, da cui si trarrebbero dubbi circa la legittimazione ad impugnare la deliberazione della sezione di control-lo, è palesemente estraneo al contenuto dispositivo di una pronuncia che, essendosi limitata ad affermare la tardività del gravame, deve ritenersi implicitamen-te ricognitiva della legittimazione a ricorrere del sig. Narduzzi.

A ciò si aggiunga la considerazione che l’istanza di rimessione in termini, formulata dal ricorrente in via subordinata alla domanda principale di annulla-mento della deliberazione della sezione di control-lo, è stata respinta dalle Sezioni riunite in speciale composizione in quanto ritenuta priva di elementi di giustificazione sotto il profilo dell’errore scusabile e della buona fede, e dunque, con un’ulteriore, impli-cita affermazione della legittimazione a ricorrere del Narduzzi. Vale la pena osservare che quando le Se-zioni riunite sono state investite della questione re-lativa alla legittimazione ad agire di un capogruppo cessato dall’incarico per lo scioglimento del gruppo consiliare, la pronuncia resa, in conformità ad evi-denti ragioni di tutela del diritto di difesa, è stata quella del riconoscimento della legittimazione ad

agire all’ex presidente del gruppo consiliare (Corte conti, Sez. riun., n. 60/2014 e n. 5/2015).

Passando all’esame del rapporto di causalità, è opinione del collegio che l’illecito erariale, nella pe-culiare fattispecie all’esame, impegni direttamente ed esclusivamente il sig. Narduzzi, in quanto sogget-to responsabile, nella qualità di presidente del grup-po consiliare ed ai sensi dell’art. 7 del regolamento n. 196/1996 (v. doc. n. 7 del fascicolo documenti di parte convenuta), della rendicontazione dei contribu-ti erogati in favore del gruppo consiliare della Lega Nord, soggetto cessato in data 12 maggio 2013, con la scadenza della X legislatura. Per quanto si desu-me dal predetto regolamento, gli adempimenti di rendicontazione facevano esclusivo riferimento alla figura del presidente del gruppo consiliare, il qua-le era tenuto a presentare all’ufficio di presidenza del consiglio regionale una nota riepilogativa delle spese effettuate, redatta secondo le modalità stabili-te dall’ufficio di presidenza e corredata da una rela-zione illustrativa e dalla dichiarazione attestante la conservazione, presso il gruppo consiliare, dei docu-menti giustificativi delle spese sostenute.

In siffatto contesto, la responsabilità amministrati-va che consegue all’omessa restituzione del contribu-to, prevista dall’art. 1, c. 11, d.l. n. 174/2012 in confor-mità ai principi generali in materia di contabilità pub-blica, non può che gravare sul presidente del gruppo consiliare, quale soggetto tenuto, ai sensi del regola-mento approvato con delib. n. 196/1996, alla corretta rendicontazione delle spese effettuate con i contributi erogati dal consiglio regionale. Tali sono le ragioni per le quali il collegio non ravvisa i presupposti per l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli ex consiglieri regionali aderenti al gruppo consiliare Lega Nord, né margini utili ai fini della valutazione di un eventuale concorso di responsabilità virtualmente riferibile ad altri soggetti non convenuti in giudizio.

Alla stregua delle sopra esposte considerazioni, va disposta la condanna del sig. Danilo Narduzzi al pagamento, in favore della Regione Friuli-Venezia Giulia, dell’importo di euro 32.800. Trattandosi di obbligazione risarcitoria (Corte conti, Sez. II centr. app., n. 416/2013; id. Sez. I centr. app., n. 74/2004; id. Sez. riun., n. 654/1990), il convenuto va altresì condannato al pagamento della rivalutazione mone-taria sull’importo di euro 32.800 da calcolarsi dal 29 aprile 2014 (data della deliberazione della sezione regionale di controllo) alla pubblicazione della sen-tenza, nonché degli interessi legali sul cumulo di sorte capitale e rivalutazione monetaria dalla data di pubblicazione della sentenza all’effettivo soddisfo.

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura determinata in dispo-sitivo.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione giurisdizio-nale per la Regione Friuli-Venezia Giulia, defini-tivamente pronunciando, condanna il sig. Danilo Narduzzi, al pagamento, in favore della Regione Friuli-Venezia Giulia, della somma di euro 32.800 (trentaduemila/800), oltre rivalutazione monetaria dal 29 aprile 2014 alla pubblicazione della sentenza, ed interessi legali sulla sorte capitale rivalutata, dal-la data di pubblicazione della sentenza all’effettivo soddisfo.

* * *

Lazio

228 – Sezione giurisdizionale Regione Lazio; sen-tenza 22 aprile 2015; Pres. e Est. De Musso, P.M. Minerva; Proc. reg. c. Rossi ed altri.

Processo contabile – Invito a dedurre – Reitera-bilità – Divieto di ne bis in idem – Fattispecie – Decadenza dall’azione – Esclusione.

D.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modi-ficazioni dalla l. 14 gennaio 1994 n. 19, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 5.

Non costituisce violazione del principio ne bis in idem l’emissione di un invito a dedurre per gli stessi fatti che abbiano formato oggetto di un prece-dente invito a dedurre seguito da archiviazione del procedimento di responsabilità amministrativa, ove l’invito si fondi sulla sopravvenuta conoscenza – in relazione al danno determinato dal riconoscimento di un debito fuori bilancio – di una ulteriore e di-versa ipotesi di reato penale e del conseguente pro-cedimento penale aperto sulla stessa vicenda (nella specie, è stato ritenuto irrilevante che il pubblico ministero contabile fosse già a conoscenza, al mo-mento dell’invio del primo invito a dedurre, dell’a-pertura del procedimento penale, poiché la deca-denza dall’azione di responsabilità non si verifica fino al momento del rinvio a giudizio del soggetto indagato).

Motivi della decisione – 1. In via preliminare deve essere vagliata l’eccezione di decadenza dell’azione della procura ex art. 5 d.l. n. 453/1993 sollevata dal convenuto Mario Rossi e consistente nel fatto che, an-

teriormente all’atto di citazione introduttivo del pre-sente giudizio, la procura aveva notificato al Rossi un precedente invito a dedurre il 23 novembre 2009 (in riferimento alla vertenza n. 2009/00311/Pcc/5841) su-gli stessi fatti oggi contestati, conclusosi con l’archi-viazione (nota della procura del 18 febbraio 2011), per cui l’atto di citazione notificatogli il 2 luglio 2011 (in riferimento al fascicolo n. 2007/02452/Pcc/6048) sa-rebbe inammissibile avendo l’organo requirente esau-rito l’esercizio dell’azione, il cui rinnovo non sarebbe giustificato da alcun novum sopravvenuto, atteso che l’esistenza di un procedimento penale (per corruzione e a carico degli stessi soggetti) era già conosciuta dalla procura al momento della notifica del primo invito a dedurre dell’1 dicembre 2009.

L’eccezione, che coinvolge principi giuridici le-gati al divieto del ne bis in idem e alla reiterabilità dell’invito a dedurre, non è fondata.

Il divieto del ne bis in idem, cioè della impossibi-lità di giudicare un medesimo soggetto per gli stessi fatti per i quali è stato già destinatario di una pronun-cia giurisdizionale, costituisce principio fondamen-tale del nostro ordinamento giuridico operante in ogni tipo di processo. Ma l’operatività del principio è legata, appunto, alla preesistenza di una pronun-cia (passata in giudicato) che faccia stato sulla causa petendi e sul petitum della domanda introduttiva del giudizio, che cioè abbia un contenuto decisorio nel merito della domanda attorea.

Poiché non vi è stata pronuncia sulla dedotta re-sponsabilità del convenuto, il procuratore regionale, nei limiti del termine di prescrizione entro il quale può esercitare la propria azione (nella specie rispet-tato), ben poteva reiterare l’iniziativa di evocare in giudizio il convenuto senza incorrere nel divieto del ne bis in idem (Cass., n. 14057/2008, n. 15578/2006, Sez. giur. reg. Lazio, n. 312/2014).

1.1. Per quanto più specificatamente concerne la reiterabilità dell’invito a dedurre (e la conseguente inammissibilità dell’atto di citazione), il collegio si limita a richiamare il costante orientamento di questa Corte, alla cui stregua non sussiste alcun profilo di inammissibilità qualora il nuovo invito, lungi dal co-stituire una mera, pedissequa reiterazione di quello già notificato, siccome connotato da identità di peti-tum, causa petendi e tipologia di danno contestato, si fondi su fatti nuovi, diversi o diversamente strutturati ovvero ancora su ulteriori e significative acquisizioni documentali (in termini, tra le altre, Corte conti, Sez. III centr. app., sent.-ord. n. 608/2012; id. Sez. giur. reg. Lazio, n. 113/2012, Sez. giur. reg. Campania n. 1504/2014).

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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Nel caso all’esame, il novum del secondo invito a dedurre del 2011 di cui è stato destinatario il con-venuto Mario Rossi – dopo che sulla stessa ipotesi di danno erariale per il riconoscimento del debito fuori bilancio oggetto del presente giudizio il pub-blico ministero aveva adottato un provvedimento di archiviazione sul precedente invito del 2009 – ri-posa, così come evidenziato dall’organo requirente, essenzialmente sulla sopravvenuta conoscenza del collegamento al danno per riconoscimento del debito fuori bilancio di una ulteriore ipotesi di danno con-seguente alla illegittimità di una procedura di gara d’appalto e di un procedimento penale aperto sulla stessa vicenda.

Il fatto che la procura fosse già a conoscenza, al momento dell’invio del primo invito a dedurre, dell’apertura di un procedimento penale non è condi-zione sufficiente per decretare la non sopravvenienza del fatto nuovo, atteso che una condizione di cono-scenza legale idonea a produrre gli effetti decaden-ziali invocati dalla difesa del Rossi, in presenza di procedimento penale, può ritenersi sussistere solo al momento del rinvio a giudizio del soggetto indagato (avvenuto con provvedimento del Gup del Tribuna-le di Viterbo del 4 dicembre 2009 e conosciuto dal pubblico ministero contabile solo con la trasmissione da parte della Guardia di finanza con nota ricevuta in data 20 ottobre 2010), e ciò perché la richiesta di rinvio a giudizio può offrire al procuratore contabi-le ulteriori e (eventualmente) definitive acquisizioni probatorie e/o una più chiara qualificazione dei fat-ti raggiunta in quella sede sussumibili nell’attività istruttoria di sua competenza, con la conseguenza che da quella data viene, infatti, fatto decorrere dalla consolidata giurisprudenza contabile il termine quin-quennale per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa (fra le tante, Sez. giur. reg. Lazio, n. 620/2013; Sez. I centr. app., n. 385/2011).

Nella fattispecie, pertanto, la novità del fatto che ha legittimato il rinnovo dell’invito a dedurre sussiste sotto un duplice aspetto: il collegamento della respon-sabilità derivante dal debito fuori bilancio con la ille-gittima gara di appalto, che ha fatto emergere profili di rilevanza penale, e il diritto-dovere del pubblico ministero contabile di acquisire da quel procedimen-to utili elementi istruttori per meglio valutare, ai fini dell’esercizio dell’azione di cui è titolare, la posizione dei convenuti, ed in particolare del Rossi. (Omissis)

255 – Sezione giurisdizionale Regione Lazio; sen-tenza 6 maggio 2015; Pres. De Musso, Est. Im-

peciati, P.M. Silvestri; Comune di Ciampino c. Equitalia s.p.a.

Corte dei conti – Giudizi a istanza di parte – Con-cessionario della riscossione di tributi comu-nali – Inadempienze contrattuali – Contro-versia instaurata dal comune nella forma del giudizio a istanza di parte – Ammissibilità – Distinzione dall’azione di responsabilità.

Cost. art. 103; r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, appro-vazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi la Corte dei conti, artt. 52, 55, 57, 58; d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112, riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla l. 28 settembre 1998 n. 337.

Il comune che lamenti inadempienze contrattuali del concessionario della riscossione di tributi ben può adire la sezione regionale della Corte dei conti nella forma del giudizio a istanza di parte, per richie-dere che venga accertato l’obbligo del concessiona-rio di adempiere correttamente alla rendicontazione e al versamento delle poste riscosse e non riscosse, non dichiarate inesigibili (in motivazione, si precisa che i giudizi a istanza di parte possono essere intro-dotti, per il principio di uguaglianza tra le parti del rapporto sostanziale, sia ad iniziativa del concessio-nario della riscossione, sia dell’ente concedente e che, a differenza che nel giudizio di responsabilità amministrativa, nel quale si tratta di valutare singoli e specifici comportamenti illeciti, per di più connota-ti da un pregnante elemento psicologico, nella sede del giudizio a istanza di parte si tratta di verificare unicamente la gestione del concessionario in ordine alle poste erariali affidategli).

Motivi della decisione – (Omissis) Il pubblico ministero mantiene, però, ferma la sua perplessità in ordine all’ammissibilità dell’istanza di parte pro-posta dal Comune di Ciampino ritenendo che, nella fattispecie, quella sottoposta alla valutazione del col-legio sarebbe un’ipotesi di “responsabilità patrimo-niale” la cui perseguibilità, come tale, è intestata al solo procuratore regionale.

In ordine a quanto precede si osserva che non v’è dubbio che l’oggetto del contendere tra parte istante e convenuta sia una pretesa a contenuto patrimoniale, ma tale elemento non appare sufficiente a integrare la tipica “responsabilità amministrativa” il cui accer-tamento (con condanna degli eventuali responsabili) consegue all’esercizio dell’azione del pubblico mi-nistero (che, peraltro e per quanto noto, non risulta essersi concretizzata nel suo primo atto processuale).

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

338

Si tratta, indubbiamente, di materia che rien-tra direttamente nell’alveo dell’art. 103, c. 2, Cost. ma che, più specificatamente, attiene al rappor-to di riscossione sussistente, sia in base al d.lgs. n. 112/1999 che alle convenzioni stipulate, tra ente e soggetto mandatario.

Sul piano ontologico e funzionale ci si muove, quindi, in ambito diverso da quello della pura re-sponsabilità amministrativa perseguita, come tale, dal pubblico ministero contabile.

Si è in presenza, perciò, di un giudizio corretta-mente introdotto da un’istanza di parte, ex art. 58 r.d. n. 1038/1933; norma che per la sua ampia accezione non esclude la cognizione sia di fattispecie non tipiz-zate che l’esercizio eventuale di azioni diverse, quale il risarcimento del danno, anche non patrimoniale.

Rileva questo collegio che con la locuzione “giu-dizi ad istanza di parte” – disciplinati dal capo III del regolamento di procedura approvato con r.d. n. 1038/1933 – si fa riferimento ad una categoria di pro-cedimenti giudiziali piuttosto eterogenea, nell’ambi-to della quale trovano sicura allocazione i “ricorsi per rifiutato rimborso di quote d’imposta inesigibili” che, riguardando la materia esattoriale, sono stati più volte oggetto di cognizione da parte di questa Corte.

Peraltro, si ritiene che la disciplina posta dagli artt. 52-55 r.d. n. 1038/1933 non esaurisca tutte le controversie che possano insorgere in materia, do-vendosi opinare che, in realtà, detti articoli si limita-no a regolare la dinamica procedurale dei giudizi di cui trattasi (forma dell’atto introduttivo, notificazio-ne dell’atto e suo deposito nella segreteria della se-zione, fissazione dell’udienza, conclusioni della pro-cura previa eventuale istruttoria, ecc.), senza che le stesse disposizioni possano essere interpretate come aventi diretta incidenza sul piano sostanziale, quale limite alla cognizione dell’azione “ad istanza di par-te” davanti a questo giudice contabile.

Appare significativo, in quest’ottica interpretati-va, che l’art. 58 dello stesso r.d. n. 1038/1933 non in-dichi alcuno specifico oggetto degli “altri giudizi ad istanza di parte”, limitandosi, anche qui, a discipli-narne i profili procedurali; così che possa affermarsi che “altri” giudizi ad iniziativa di parte – oltre quelli espressamente previsti dai precedenti artt. 52-57 – siano ammissibili, nel rispetto del limite di materia appartenente alla giurisdizione della Corte dei conti (ovvero, secondo la dizione dello stesso art. 58, siano “di competenza della Corte dei conti”).

In questo stesso senso, può rammentarsi che sono stati ritenuti ammissibili i ricorsi proposti dall’esat-tore avverso provvedimenti diversi da quelli indicati

negli artt. 52 e 55 r.d. n. 1038/1933, proprio facen-do rinvio alla norma generale recata dall’art. 58 che – secondo pacifica giurisprudenza – consente l’ini-ziativa di parte in “ipotesi assolutamente atipiche”, sempre che (si ribadisce) si tratti di materia apparte-nente alla giurisdizione del giudice contabile.

E questo, nella specie, non può dubitarsi, anche avendo riguardo al fatto che il concessionario dei ser-vizi di riscossione per conto di un comune riveste la qualità di agente contabile, quale certamente è il sog-getto incaricato del “maneggio” di denaro pubblico.

Tanto chiarito, reputa il collegio che i giudizi ad istanza di parte debbono ammettersi come legittima-mente introdotti, per il principio di uguaglianza tra le parti sostanziali del rapporto in essere, sia ad ini-ziativa dell’esattore che dell’ente che lamenti, come nel caso di specie, inadempienze contrattuali e che chieda l’accertamento del dovere del primo di corret-tamente adempiere al suo obbligo di rendicontazione e versamento delle poste riscosse e non riscosse (ma non dichiarate inesigibili) (cfr., nello stesso senso, Sez. I centr. app., n. 201/2007).

In sostanza, ritiene il collegio che il caso all’esame differisca dall’azione di responsabilità per danno era-riale in quanto, mentre in questo caso si tratta di ve-rificare la gestione complessiva, ancorché in un dato lasso temporale, del concessionario della riscossione in ordine alle poste erariali affidate, nell’ipotesi di re-sponsabilità amministrativa si tratta di porre a scru-tinio singoli e specifici comportamenti illeciti, per di più connotati da un pregnante elemento psicologico.

Alla luce di questo e anche per tale ragione, nulla osta all’affermazione della piena legittimazione ad agi-re del Comune di Ciampino che ha convenuto in giu-dizio, dinanzi a questa Sezione, la società che gestiva (Equitalia s.p.a. ora Equitalia Sud s.p.a.) – per conto dello stesso comune – il servizio di riscossione di vari tributi, lamentando inadempienze contrattuali e, conse-guentemente, minor gettito di somme nelle casse comu-nali (in termini cfr. Sez. giur. reg. Lazio, n. 161/2014).

Detto questo in ordine alla pretesa inammissibi-lità dell’azione del Comune di Ciampino, che invece dev’essere ritenuta pienamente legittima, deve acco-gliersi, per i motivi che seguono, la pretesa dell’ente. (Omissis)

280 – Sezione giurisdizionale Regione Lazio; sen-tenza 26 maggio 2015; Pres. De Musso, Est. Im-peciati, P.M. Peccerillo; Proc. reg. c. Cofano.

Giurisdizione e competenza – Federazione spor-

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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tiva – Fondi acquisiti mediante tesseramenti e affiliazioni – Responsabilità degli amministra-tori – Giurisdizione contabile – Esclusione.

L. 23 marzo 1981 n. 91, norme in materia di rap-porti tra società e sportivi professionisti; d.lgs. 23 luglio 1999 n. 242, riordino del Comitato olimpico nazionale italiano-Coni, a norma dell’art. 11 della l. 15 marzo 1997 n. 59, art. 15; d.m. 23 giugno 2004, approvazione dello Statuto del Comitato olimpico nazionale italiano, artt. 20, 23; l. 18 giugno 2009 n. 69, disposizioni per lo sviluppo economico, la sem-plificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, art. 69.

Non compete alla Corte dei conti la giurisdizione sull’accertamento della responsabilità degli ammi-nistratori di una federazione sportiva aderente al Coni per l’asserita appropriazione di fondi acquisiti dalla stessa federazione mediante tesseramenti, af-filiazioni o multe a carico delle società sportive af-filiate e dei tesserati e, cioè, di risorse distinte dai fondi erogati dal Coni a favore delle singole federa-zioni sportive, le cui responsabilità di gestione sono oggetto della giurisdizione contabile. (1)

(1) I. - Nel senso che le federazioni sportive nazionali, già dotate di duplice veste, pubblicistica per le attività svolte qua-li organi del Coni e privatistica per le attività loro proprie, han-no acquisito la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato ai sensi dell’art. 15 d.lgs. n. 242/1999, il qua-le ha lasciato al Coni poteri di indirizzo e controllo in ragione della “valenza pubblicistica di specifici aspetti” dell’attività sportiva, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno cagionato dagli amministratori al patrimonio di una federazione (nella specie, federazione italiana hockey e patti-naggio) non è soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, in quanto il rapporto di servizio attinente alle residue funzioni pubblicistiche della federazione non si trasferisce da questa ai suoi amministratori, v., cit. in motivazione, Cass., S.U., ord. 31 luglio 2012, n. 13619, in questa Rivista, 2013, fasc. 1-2, 376.

In precedenza, nella giurisprudenza contabile: nel senso che, nonostante la natura privatistica, le federa-

zioni sportive (nella specie: lega nazionale dilettanti) parteci-pano alla funzione pubblica del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) e, poiché costituiscono integrazione strutturale di un settore della vita nazionale (quello sportivo) connotato dall’interesse superiore e preminente della promozione e dello sviluppo socio-morale della popolazione, sono assoggettate alla giurisdizione della Corte dei conti, v. Corte conti, Sez. giur. reg. Friuli-Venezia Giulia, 23 maggio 2008, n. 200, in questa Rivista, 2008, fasc. 3, 144 (m);

nel senso che sussiste la giurisdizione di responsabilità della Corte dei conti sulle federazioni sportive, permanendo anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 242/1999, come modificato dal d.lgs. n. 15/2004, un evidente connotato pubblicistico che caratterizza il rapporto di servizio tra fede-

Motivi della decisione – La procura regionale ha chiesto che questa Corte riconosca la responsabili-tà amministrativa del sig. Cofano, ritenuto autore di danno erariale per essersi appropriato della somma di euro 313.676, di pertinenza della Fisg, presso la quale era impiegato con mansioni di responsabile amministrativo.

La difesa ha spiegato diverse eccezioni in rito e in merito e il collegio ritiene di dover pregiudizial-mente esaminare e delibare in ordine all’invocato difetto di giurisdizione, questione che dev’essere affrontata e risolta indipendentemente dalla formale eccezione proposta.

Difetto di giurisdizione che questo collegio rav-visa in merito alla pretesa fatta valere dal requirente per le ragioni che seguono.

Il pubblico ministero contabile ha chiesto la con-danna del sig. Cofano alla restituzione di quanto dal-lo stesso illecitamente prelevato dal conto corrente postale n. 83075002, intestato alla predetta federa-

razioni sportive e Coni, per la valenza pubblicistica dell’atti-vità svolta, per la natura pubblica dei finanziamenti del Coni, per la somma dei poteri di ingerenza della parte pubblica, talmente intensi da arrivare alla misura estrema del commis-sariamento, e che si esplicano normalmente attraverso atti di riconoscimento, di indirizzo e di controllo dei bilanci, con-figurazione che non risulta venuta meno neppure a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 138/2002, convertito dalla l. 8 agosto 2002 n. 178, in quanto l’art. 8, che ha disposto il riassetto del Coni istituendo la Coni servizi s.p.a., non ha fatto venire meno né le finalità pubbliche perseguite né il ca-rattere pubblico delle risorse impiegate a tal fine; pertanto, l’eccezione di difetto di giurisdizione, specie alla luce del-la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha sostanzialmente ancorato la giurisdizione della Corte dei conti alla natura pubblica delle risorse impiegate e delle fina-lità perseguite, non risulta meritevole di accoglimento e va, quindi, respinta (fattispecie relativa a presunti danni derivan-ti da presunti episodi di peculato e/o appropriazione indebita contestati in sede penale al presidente e a un membro del consiglio direttivo della lega nazionale dilettanti, articolazio-ne della federazione italiana giuoco calcio), v. Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 23 gennaio 2008, n. 120, ibidem, fasc. 1, 129.

II. - Nel senso che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti in ordine al giudizio di responsabilità per il danno all’immagine dello sport italiano cagionato da comportamenti scorretti tenuti da dirigenti e dipendenti del Coni e delle federazioni sportive (nella specie, la federazione italiana gioco calcio), nonché dai direttori di gara (nella specie, facenti parte dell’associazione italiana arbitri), in quanto collegati ad attività di regolazione delle gare aventi rilevanza pubblica, v. Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 11 maggio 2009, n. 873, in Resp. civ., 2009, 2141, con nota di F. Pavoni, Gli “effetti amministrativo-contabili” di “calciopoli”: arbitri responsabili per il danno all’immagine dello sport.

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zione e al quale il convenuto poteva accedere in ra-gione dei suoi poteri d’ufficio.

Diversi sono gli elementi che debbono essere scrutinati al fine di pervenire ad una risposta sulla domanda di giustizia avanzata.

È noto che per effetto dell’art. 15, c. 2, d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 “Le federazioni sportive nazio-nali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione”. La stessa natura giuridica è ribadita dall’art. 20 dello statuto del Coni, approvato con d.m. del 23 giugno 2004 e ratione temporis applicabile alla presente fattispecie.

Non può esservi dubbio, quindi, che si è in pre-senza di un soggetto giuridico privato al quale, come tale e secondo quanto espressamente previsto dalla normativa, si applicano le norme destinate a regolare i rapporti tra soggetti privati.

La condizione giuridica soggettiva di tipo priva-tistico che è propria delle federazioni sportive, non sfugge al pubblico ministero il quale, però, ha ritenu-to di poter superare lo sbarramento che essa porreb-be all’ingresso delle norme di valenza pubblicistica in materia di responsabilità amministrativa, con una serie di argomentazioni che, seppur articolate e pre-gevoli, non possono essere condivise.

Il requirente, infatti, pur conscio delle pronunce giurisprudenziali della Suprema corte di cassazione, che hanno dichiarato il difetto di giurisdizione in ma-teria di appropriazione di somme da parte di “ammi-nistratori” di federazioni sportive (e cita l’ordinanza delle S.U. n. 13619/2012), mostra di voler giustifica-re l’approccio ad un diverso trattamento giudiziario nei confronti dei dipendenti fondandolo sul rapporto d’impiego, a suo avviso pubblico, che legherebbe co-storo alle federazioni stesse e, di converso, al Coni.

In questa sua convinzione sarebbe supportato dalle decisioni penali che hanno condannato il sig. Cofano a pena detentiva.

Nella sentenza di primo grado si legge, infatti, che l’odierno convenuto “in quanto responsabile dell’ufficio amministrativo della Federazione ita-liana sport del ghiaccio, è un dipendente pubblico, nonostante la natura di soggetto privato della detta federazione” e richiamando, nel proporre questa tesi, una decisione della Cass., Sez. lav., n. 5217/2009.

Nella decisione d’appello, invero, non si fa riferi-mento al rapporto di lavoro pubblico ma alla funzio-ne pubblica esercitata, in determinate occasioni e al

sopravvenire di precise circostanze, dal funzionario amministrativo della federazione sportiva.

A ben vedere, quindi, una cosa è il rapporto di lavoro che involge una mera sinallagmaticità di prestazioni e altra è l’attribuzione di puntuali poteri pubblicistici in virtù di una collocazione nell’appara-to organizzativo di quella pubblica amministrazione o ente pubblico.

Vi è da dire, al riguardo, che il dedotto rapporto di pubblico impiego, all’epoca del fatti, non risulta sussistente poiché, per tabulas, appare dimostrato che il convenuto è stato assunto dalla Fisg in data 18 giugno 2008 con contratto soggiacente al c.c.n.l. del personale non dirigente della Coni servizi s.p.a. e con applicazione, nei confronti dello stesso conve-nuto, della disciplina di cui al c.d. “Statuto dei lavo-ratori”; disciplina alla quale, come noto, è estraneo il pubblico impiego.

Questo è tanto vero che la Corte d’appello si è soffermata lungamente sulla valenza pubblicisti-ca della sua attività per argomentare in ordine alla sussistenza del reato di peculato derivante dall’aver compiuto gli atti illeciti nella sua qualità di pubblico ufficiale ma senza nulla accennare in ordine al rap-porto di lavoro.

E la Suprema Corte di cassazione – Sez. VI pen. – nella sua sentenza n. 53578/2014 ha ritenuto, di-versamente che gli amministratori delle federazioni sportive “non rivestono la qualità di pubblici ufficia-li, nel momento in cui non esercitano una pubblica funzione ma gestiscono interessi meramente priva-tistici dell’ente”.

I richiami testé riportati non consentono, quindi, di poter ancorare la fattispecie come responsabilità amministrativa per il solo fatto che, indipendente-mente dalla natura privatistica del soggetto che rice-ve i contributi pubblici, il danneggiante sia un pub-blico dipendente.

Ma questa argomentazione non è comunque de-cisiva perché è ampiamente noto che le Sezioni uni-te della Cassazione (v. ex multis, sent. n. 1774 e n. 26034/2013, n. 11229/2014) hanno stabilito, ai fini della sussistenza del potere di ius dicere in capo a questa Corte in ipotesi di responsabilità amministra-tiva, che deve aversi riguardo non alla qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico (che ben può essere un privato) bensì alla natura degli scopi conseguiti e realizzabili con la stessa contribuzione. Si tratta, perciò, di una partecipazione funzionale e diretta, ancorché non organica o organizzatoria, del soggetto inquisito alla realizzazione della finalità propria della pubblica amministrazione.

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In questo senso non ha rilievo, ad avviso di que-sto collegio, se il soggetto agente sia un privato cit-tadino o un pubblico dipendente ma è necessario che egli, con i fondi a sua disposizione, debba contribu-ire alla concretizzazione di un’utilità collettiva, non egoistica.

Questo rapporto diretto, tra soggetto danneggian-te ed erario danneggiato soffre però di uno iato – per tale ravvisato dalla Suprema corte – costituito dalla natura privatistica del soggetto giuridico che si frap-pone tra erario e agente.

Sin dalla notissima Cass., S.U., n. 26806/2009, la Suprema corte ha reputato costantemente che “spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’a-zione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti (nella specie, consistenti nell’avere accettato indebite da-zioni di denaro al fine di favorire determinate impre-se nell’aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della so-cietà, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pub-blico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti”.

Questo perché la partecipazione finanziaria, una volta confluita nel capitale sociale, perderebbe qual-siasi autonoma caratteristica, idonea a supportare un’eventuale deroga (non prevista dal legislatore) alla comune disciplina recata dal c.d. statuto dell’im-prenditore, con la conseguenza che le eventuali azio-ni dannose sarebbero recate verso la società e non direttamente verso l’erario.

In questo senso si colloca Cass., S.U., n. 13619/2012 che, in una fattispecie sovrapponibile a quella oggetto dell’odierna valutazione, ha rinvenu-to anche nel soggetto giuridico privato “federazione sportiva” l’esistenza dello schermo che si frappor-rebbe tra condotta dannosa del dipendente-ammi-nistratore e pregiudizio per le finanze pubbliche; pregiudizio che, al di fuori del coinvolgimento delle finalità loro assegnate dal d.lgs. n. 242/1999, rimar-rebbe confinato nell’alveo della lesione patrimoniale alla società-associazione di diritto privato.

Su questo punto il collegio ritiene di manifestare il proprio parziale dissenso proprio in ragione della pe-culiarità della federazione sportiva rispetto al più ge-nerale ambito delle società partecipate (non in house).

Mentre le società partecipate, infatti, agiscono come imprenditori e come tali si pongono sul mer-

cato concorrenziale offrendo beni o servizi normal-mente e/o potenzialmente offerti da altri soggetti giuridici, le federazioni sportive, in virtù di quanto previsto sia dal d.lgs. n. 242/1999 che dallo statuto del Coni (art. 23, c. 1, nel testo all’epoca vigente ma anche ai sensi dell’art. 20 del vigente statuto), pur avendo veste giuridica privata, sono investite (an-che) di pregnanti e tipiche funzioni pubblicistiche in relazione al promovimento delle attività sportive, in-tese come valore costituzionalmente garantito quale espressione della libertà personale di ogni individuo.

E, come tali, sono destinatarie di contributi pub-blici per lo svolgimento di dette attività.

Ciò è sufficiente, a giudizio di questo collegio, a differenziare la fattispecie “federazione sportiva” dal-le società partecipate (collocate invece sullo stesso piano, ai fini del riparto della giurisdizione dalla Cas-sazione in ord. S.U., n. 13619/2012), proprio perché nelle prime si conserva una destinazione pubblica di (almeno) una parte dei contributi pubblici del Coni.

La conseguenza, sul piano dell’apprezzamento differenziale, è che mentre nelle società partecipate il capitale pubblico, confluendo in quello societario perderebbe ogni distinzione (almeno secondo gli ar-resti giurisprudenziali di legittimità), il contributo del Coni, ove prettamente vincolato al raggiungi-mento dello scopo indicato dall’art. 23 dello statuto del Coni più volte richiamato, conserva integra la sua natura pubblica e consente, perciò, di superare quella “confluenza e confusione patrimoniale” che farebbe venir meno (sempre secondo la cassazione) l’assog-gettabilità alla giurisdizione di questa Corte dei com-portamenti illeciti dannosi.

Si può perciò cogliere, a giudizio di questo col-legio, un discrimen tra attività squisitamente privata, quale la sua organizzazione, la disciplina dei rapporti con le società sportive, l’irrogazione di sanzioni ver-so affiliati e un’attività connotata da interessi pub-blicistici, ossia la promozione e divulgazione della pratica sportiva.

Peraltro, la rilevanza di questa separazione fun-zionale non è sfuggita, negli anni, agli stessi giudici penali che l’hanno, però e sempre, soprattutto dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 242/1999, utilizzata ai fini della rubricazione delle condotte illecite, ap-propriative di denaro delle federazioni, ritenendo sussistente, volta per volta, il reato di appropriazione indebita o di peculato a seconda che l’amministrato-re-dipendente operi nell’interesse del soggetto priva-to (federazione), che ha una sua autonomia rispetto al Coni, oppure come “organo” o longa manus di quest’ultimo per il raggiungimento di una delle fina-

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lità dichiaratamente pubblicistiche elencate nell’art. 23, c. 1, del previgente statuto del Coni.

La differenziazione funzionale si pone, pertanto, anche sul piano patrimoniale poiché, in ipotesi di-verse dall’attività pubblicistica (che giustifica e ha giustificato, anche secondo la l. n. 91/1981 incisivi poteri di indirizzo e vigilanza) si è reputato che tra Coni e federazioni vi sia solo un rapporto intersog-gettivo (e non interorganico).

Si è anche ritenuto che la gestione dei fondi fi-nanziari, accumulati attraverso le contribuzioni ri-chieda, per assumersi come attratta nel novero della utilizzazione delle risorse pubbliche, un rapporto di stretta strumentalità, “nel senso che deve esservi la necessaria investitura di potestà e di compiti pubbli-cistici per la gestione “orientata” dei fondi stessi o di una loro parte. In mancanza di tali condizioni, le con-tribuzioni in denaro sono da annoverarsi tra quelle genericamente destinate ad aiutare l’ente beneficia-rio – soggetto giuridico privato – nel raggiungimento dei propri scopi” (Cass., Sez. VI pen., n. 8727/2000).

La stessa decisione della Cassazione che ha ri-guardato l’odierno convenuto non ha mancato, in più punti, di ribadire tale necessaria differenziazione, allorché ha voluto distinguere tra delitto di pecula-to e quello di appropriazione indebita, rinvenibile – quest’ultimo – quando “l’amministratore si appropri del denaro versato dai tesserati, difettando una for-male e specifica destinazione di tali fondi all’eserci-zio della pratica sportiva” (sent. n. 53578/2014, p. 7, ma anche pp. 8 e 9).

Vincolo di destinazione apponibile, eventual-mente, dalla giunta nazionale del Coni in sede di concessione dei contributi finanziari (art. 23, c. 2, vecchio e nuovo statuto) e che diviene, perciò, ele-mento di caratterizzazione del mantenimento del ca-rattere pubblico e delle finalità pubblicistiche delle risorse erogate e senza il quale le somme perdono qualsiasi connotazione peculiare per divenire mere contribuzioni ad un soggetto privato.

Nella stessa linea di pensiero si colloca, per altra e distinta fattispecie, Cass., S.U., n. 10094/2015 (pp. 19 ss.), cosicché può affermarsi, alla luce della cor-rente giurisprudenza, che appare necessario che la contribuzione del Coni, per mantenere la sua identità di risorsa pubblica – come tale integrante, in caso di distrazione, un danno erariale – debba avere uno specifico vincolo di destinazione.

La riflessione che può conclusivamente seguire, allora, è che viene inferto un danno diretto all’erario allorché le risorse pubbliche, che abbiano avuto uno specifico vincolo di destinazione all’attività pretta-

mente sportiva, siano state oggetto di appropriazione da parte dell’amministratore, con conseguente svia-mento dalla loro primaria, essenziale funzione.

Nel caso oggetto dell’odierna valutazione deve dirsi che l’indagine in ordine alla distinzione che pre-cede – e all’apprezzamento dell’eventuale vincolo di destinazione – non si rende necessaria poiché, come dimostrato in atti, i fondi sottratti sono stati prelevati unicamente dal conto corrente postale n. 83075002 in cui affluiscono (o affluivano) unicamente somme provenienti da tesseramenti, affiliazioni o multe del-le società sportive.

I contributi del Coni venivano, invece, versati sul c/c n. 10105 acceso presso Bnl dal quale non risulta, allo stato degli atti, che siano stati effettuati prelievi illeciti.

Tanto si ricava sia dalla denuncia-querela del Coni del 31 gennaio 2011, a firma del presidente pro tempore Giovanni Petrucci – ove si fa riferimento ad “anomalie” rinvenute solo sul c/c postale, sia dalla richiesta di applicazione di misura cautelare, avan-zata dal pubblico ministero al Gip in data 12 maggio 2011 allorché si indica il Cofano quale soggetto che aveva “per ragione del suo ufficio, il possesso e la disponibilità delle somme depositate sul conto Ban-coposta n. 83075002 provenienti da tesseramenti, affiliazioni o multe delle società sportive affiliate e tesserati della Fisg”.

Conferma a quanto precede perviene, infine, dal-la nota redatta dal dott. Marco Befera, internal audit di Coni servizi s.p.a. e consegnata alla Sezione di procuratore generale della Guardia di finanza presso la locale procura della Repubblica (allegata all’infor-mativa datata 21 aprile 2011).

Per effetto di quanto precede deve allora affer-marsi, da parte di questo collegio che, in disparte la sussistenza o meno di vincoli di destinazione apposti dal Coni alle sue contribuzioni, la documentazione in atti è indicativa della natura privata e non pubblica delle somme delle quali si è appropriato il sig. Cofa-no, con conseguente carenza di un indefettibile pre-supposto perché possa dirsi radicata la giurisdizione di questo giudice contabile.

Potere di ius dicere che si ravvisa, agli effetti di quanto previsto dall’art. 59 l. 18 giugno 2009, n. 69, in capo al giudice ordinario.

Conclusivamente il collegio, valutato che ogni altra domanda, istanza o eccezione deve ritenersi as-sorbita dalla presente decisione, dichiara l’inammis-sibilità dell’atto di citazione proposto nei confronti del sig. Dioniso Cofano per difetto di giurisdizione. (Omissis)

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289 – Sezione giurisdizionale Regione Lazio; sen-tenza 3 giugno 2015; Pres. De Musso, Est. La Cava, P.M. Alberti; Proc. reg. c. Porzio.

Responsabilità amministrativa e contabile – Sin-daco – Esecuzione di lavori pubblici – Paga-mento di fatture a soggetto diverso dall’impre-sa appaltatrice – Danno erariale.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.

Risponde di danno erariale il sindaco, che, inge-rendosi nell’attività amministrativa, abbia disposto il pagamento di fatture relative all’esecuzione di la-vori pubblici sul conto personale di un ex ammini-stratore dell’impresa appaltatrice successivamente fallita, anziché su quello dell’impresa, con ciò de-terminando un illegittimo esborso di denaro ad un soggetto non titolare di alcun credito.

Fatto – Con l’atto di citazione all’esame la Pro-cura regionale per la Regione Lazio, ha citato il sig. Porzio Pompeo, nella qualità di sindaco pro tempo-re del Comune di Ponza, a comparire di fronte alla Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio per ivi sentirsi condannare al pagamento a favore dell’erario e, segnatamente, del suddetto comune, dell’importo complessivo di euro 85.800 (euro ottantacinquemila-ottocento), oltre rivalutazione monetaria, interessi le-gali e spese di giudizio, a titolo responsabilità ammini-strativa per l’illecito pagamento disposto, nell’ambito dei rapporti intercorrenti tra il Comune di Ponza e la ditta I.s.e.t. Edilelettrica s.r.l., in seguito in fallimento.

Assume al riguardo la procura attrice che il sud-detto pagamento per l’importo di cui è causa è stato disposto dal convenuto, anziché nei confronti della ditta (o meglio del fallimento della ditta), direttamente sul conto personale del suo ex amministratore, il sig. Giuseppe De Santis, e che, quindi, trattasi di paga-mento non solo inefficace nei confronti del fallimento ex art. 44 l. fall. (il curatore ha, infatti, intimato al co-mune il pagamento del dovuto in data 2 agosto 2012), ma oltretutto, per quel che qui rileva, privo di causa.

Si rappresenta, infatti, che la citazione origina da una segnalazione di danno erariale trasmessa in data 7 febbraio 2012 dal Tribunale ordinario di Latina – Sezione distaccata di Gaeta – Sez. civile, per una vi-cenda emersa, appunto, nell’ambito della procedura fallimentare della I.s.e.t. Edilettrica s.r.l. e che l’inda-gine, delegata alla Brigata della Guardia di finanza di Ponza, ha evidenziato, tra l’altro, che pende a carico del convenuto il procedimento penale iscritto al n. 2223/2010, presso la procura della Repubblica di La-

tina in merito a varie “anomalie” riscontrate nell’am-bito dei rapporti intercorsi tra gli amministratori del comune e la predetta società, risultata aggiudicataria, nel corso dell’ultimo decennio, di numerosi appalti di manutenzione urbana di piccola e media entità.

Più specificamente, la procura attrice rappresen-ta che l’attività ispettiva ha accertato, comparando i contratti d’appalto acquisiti con i relativi mandati di pagamento:

- che il Comune di Ponza ha, nel corso degli anni, erogato alla ditta I.s.e.t. una somma complessi-vamente pari a euro 607.807,91 a fronte di impegni contrattuali ammontanti, invece, a euro 447.923,38, per un totale, quindi, di pagamenti non dovuti pari a euro 159.884,53;

- che dal mese di febbraio 2005 sono stati effet-tuati pagamenti diretti in favore del sig. De Santis Giuseppe anche quando costui non rivestiva più la carica di amministratore della società creditrice, ma quella di semplice socio;

- che risultano pagamenti avvenuti a distanza di tre anni dalla chiusura dei rapporti con la ditta e ad-dirittura dopo l’avvio della procedura di fallimento culminata nella sentenza n. 68/2007 del Tribunale di Roma, comunicata al Comune di Ponza dal relativo curatore con racc. del 28 agosto 2008.

Nell’atto di citazione si dà contezza del fatto che la procura regionale ha espletato la procedura relativa all’invito a dedurre previsto all’art. 5 d.l. n. 453/1993, convertito dalla l. n. 19/1994, nel te-sto di cui al d.l. n. 543/1996, convertito dalla l. n. 639/1996, inizialmente rivolto anche all’allora ragio-niere del comune (sig. Balzano Fausto), nei confronti del quale a seguito delle relative controdeduzioni e della successiva audizione, il requirente ha ritenuto che non vi fossero gli estremi per procedere a tito-lo di responsabilità erariale. In particolare, secondo quanto rappresentato dal Balzano con riferimento al mandato di pagamento oggetto della domanda atto-rea, egli non ricopriva più le funzioni di responsabile dell’ufficio di ragioneria e ha disconosciuto la firma apposta in calce al mandato de quo poiché non in ser-vizio il giorno dell’emissione dell’atto di liquidazio-ne (7 giugno 2010), atteso quanto emerso dal foglio presenze depositato in atti.

La procura regionale rappresenta, inoltre, per il quantum del danno erariale, di aver sollecitato (nel 2012 e, poi, nel 2013) una tempestiva e rituale costi-tuzione in mora dei presunti responsabili, effettuata dalla nuova giunta comunale limitatamente all’ulti-mo dei mandati (7 giugno 2010, n. 545), per l’impor-to pari ai complessivi euro 85.800 di cui è causa, non ancora coperto da prescrizione e riferito a due fatture

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PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE N. 3-4/2015

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(n. 19 del marzo 2005 e n. 22 dell’aprile 2005, la prima, per euro 21.000 iva compresa e, la seconda, per euro 64.800 iva compresa) rimaste insolute nei confronti della ditta e pagate, a tre anni di distanza dal fallimento, direttamente sul conto personale del predetto sig. De Santis Giuseppe.

Il pagamento è stato disposto dal Sindaco pro tempore Porzio Pompeo, con determinazione n. 10 del 3 giugno 2010, a cui è seguito l’ordine di servizio dello stesso (prot. n. 8096 del 7 giugno 2010), per cui sarebbe di tutta evidenza come egli si sia formal-mente e sostanzialmente ingerito in ogni fase della descritta procedura di spesa assumendosi la diretta ed esclusiva responsabilità dell’atto, con conseguen-te domanda di totale addebito del danno erariale a carico del solo sindaco pro tempore.

Si è costituito in giudizio l’odierno convenuto con atto difensivo redatto a cura dei difensori e deposita-to in data 5 novembre 2014 nel quale si rappresen-tano, tra l’altro, in punto di fatto, alcune circostanze sull’attività contrattuale intercorsa in precedenza tra Comune di Ponza che affidava alla I.s.e.t. Edilelettrica s.r.l. lavori per la realizzazione di opere fognarie ed idriche sul territorio comunale, da ultimo anche senza che fossero stipulati i relativi contratti di appalto, che la ditta realizzava senza alcuna contestazione.

Si rappresenta, altresì, che con nota dell’1 settem-bre 2006 l’impresa – in persona dell’amministratore unico al momento in carica, sig. Giuseppe De San-tis – comunicava al Comune di Ponza che “dalla data odierna, tutti i mandati in favore della ditta I.s.e.t. Edilelettrica s.r.l. dovranno essere emessi a favore dello stesso amministratore unico”, per cui il Comune di Ponza provvedeva ad effettuare i pagamenti del-le somme dovute alla società, per le opere realizzate dalla medesima impresa, sul conto corrente indicato con la nota in questione. In tal senso – anche a seguito della nota del 17 maggio 2010 (registrata al protocollo comunale al n. 7408) con la quale la I.s.e.t. Edilelet-trica s.r.l. (secondo l’intestazione della nota in parola) sollecitava l’amministrazione comunale al pagamen-to delle fatture rimaste insolute a quella data (n. 19 e n. 22/2005) – sono intervenuti i citati provvedimenti del sindaco adottati, nella sua qualità di responsabile del servizio lavori pubblici, per consentire la relativa liquidazione. In sostanza l’assunto è che l’utilizzo di carta intestata della ditta nella nota di sollecito (volta evidentemente a simulare la piena legittimità della ri-chiesta, sottoscritta, peraltro, dal soggetto che aveva sempre svolto il ruolo di legale rappresentante della ditta), avrebbe tratto in inganno il sig. Porzio.

Tenuto conto di quanto esposto la difesa eccepi-sce, innanzitutto, l’insussistenza nel caso di specie del

profilo soggettivo, non solo del dolo, ma anche della colpa grave, non essendo rinvenibile, nemmeno, al-cun disinteresse nell’espletamento delle funzioni, né alcuna deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti. Quanto, in particolare, alla contestata inefficacia del pagamento nei confronti del fallimento dell’impresa perché effettuato direttamente in favore del sig. De Santis, si assume che il convenuto avrebbe agito in piena buona fede avendo semplicemente ordi-nato la liquidazione delle fatture insolute per lavora-zioni che la medesima ditta aveva da tempo concluso “senza tuttavia in alcun modo indicare le modalità con le quali tali somme avrebbero dovuto essere corrispo-ste” ovvero senza “l’indicazione dell’esatto destinata-rio dello stesso”. Né tale indicazione – si sostiene – la si potrebbe rivenire nella determina del 3 giugno 2010 con la quale il sindaco si limitava (anche in questo caso) a riconoscere la necessità di procedere al paga-mento al sig. De Santis delle fatture della I.s.e.t. rima-ste insolute, come del resto anche in precedenza l’am-ministrazione aveva operato dopo la citata nota della ditta del settembre 2006 che dava queste indicazioni. Egli, quindi, riteneva l’attività dovuta (e certamente non idonea ad arrecare qualsivoglia danno erariale) al fine di evitare una ipotetica ed eventuale azione giu-diziale volta al recupero delle somme in questione da parte della ditta.

Si sostiene, inoltre, che al momento della predi-sposizione degli atti richiamati, il sindaco non era in alcun modo a conoscenza della circostanza che l’im-presa fosse fallita non essendo stata portata a sua co-noscenza la raccomandata del 2008 del curatore che informava l’ente della sentenza del 2007. Si adduce al riguardo che, a quel tempo, secondo l’organizza-zione degli uffici del Comune di Ponza, la posta pro-tocollata veniva consegnata nelle mani del segretario generale del comune e non al sindaco, per cui il sig. Porzio sarebbe venuto a conoscenza dell’intervenuto fallimento della I.s.e.t., per la prima volta, dopo aver ricevuto l’atto di intimazione e messa in mora del Comune di Ponza con nota del 27 luglio 2013, suc-cessivamente notificata.

Per tutti i suesposti motivi si chiede che venga respinta la domanda attorea e che il convenuto venga assolto dagli addebiti ascritti e, in via subordinata, si chiede la riduzione della quantificazione del danno.

Nell’odierna pubblica udienza sia il procuratore regionale che il legale di parte convenuta hanno ri-badito le ragioni che stanno alla base delle rispettive richieste già ampiamente esposte negli atti prodotti.

Diritto – La pretesa dedotta in giudizio dalla pro-cura regionale attiene a una ipotesi di responsabilità amministrativa dell’odierno convenuto che, in quali-

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tà di sindaco del Comune di Ponza, avrebbe procu-rato un pregiudizio economico all’ente disponendo illegittimamente il pagamento di fatture della ditta appaltatrice di lavori nell’importo di cui è causa, an-ziché nei confronti della ditta contraente (peraltro in fallimento), direttamente sul conto personale dell’ex amministratore.

La domanda attorea si appalesa pienamente fon-data, ravvisando il collegio nella fattispecie all’esame tutti gli elementi per configurare la prospettata respon-sabilità amministrativa nei termini che seguono.

Devesi premettere, innanzitutto, che risultano ac-clarati e, peraltro, non contestati, i fatti e il comporta-mento oggettivamente posto in essere dal convenuto quale esposto in narrativa e che nessun dubbio può sorgere circa la natura di danno erariale corrisponden-te all’importo delle fatture emesse a suo tempo dalla società a responsabilità limitata I.s.e.t. Edilelettrica per prestazioni contrattuali eseguite. Tale pagamento, infatti, è stato direttamente effettuato a soggetto non avente titolo, nella persona e sul conto del sig. De Santis Giuseppe che da tempo non rivestiva più e non avrebbe potuto più rivestire la carica di amministrato-re della società creditrice, atteso lo stato di fallimento in cui quest’ultima versava ormai da oltre tre anni. Da qui l’inidoneità del pagamento a configurare l’adem-pimento dell’obbligazione contrattuale assunta dal Comune di Ponza e dovuta alla contraente società per l’esecuzione dei lavori commissionati. Il pagamento al sig. De Santis, in adesione alla prospettazione della procura attrice, deve considerarsi effettuato sine titulo e lascia inalterata l’esposizione debitoria dell’ente nei confronti della curatela fallimentare, come in seguito formalmente richiesto da quest’ultima.

Parimenti – prescindendo dal procedimento pe-nale pendente per gli stessi fatti a carico dello stesso convenuto dal quale si deve prescindere perché in-dipendente dall’addebito mosso in questa sede – si ritiene sussistere nella fattispecie all’esame, oltre all’evidente rapporto di servizio con l’ente, anche l’elemento soggettivo della responsabilità ammini-strativa, nei termini di dolo o, comunque, nei termini di colpa sicuramente e marcatamente grave del con-venuto. La violazione, infatti, della regolarità conta-bile della fase del pagamento delle fatture in questio-ne, perpetrata di fatto dal sindaco, che lo ha disposto nella sua qualità di responsabile dei lavori pubbli-ci, risulta ancora più grave in quanto collegata alla qualifica dello stesso di pubblico amministratore e vertice dell’ente amministrato e, come tale, supremo garante della regolarità amministrativa e del corretto utilizzo delle pubbliche risorse.

Si appalesa perciò fondato e condiviso l’assunto

secondo cui il sig. Porzio si è ingerito, sia formal-mente che sostanzialmente, nelle fase della procedu-ra di spesa che fa capo ai responsabili delle strutture tecniche dell’ente a ciò deputate assumendosi la di-retta ed esclusiva responsabilità del provvedimenti adottati e del comportamento tenuto. Egli ha dispo-sto, quantomeno con estrema e inescusabile legge-rezza, un pagamento contrario alle normali procedu-re e al modello di condotta normativamente previsto, perché ha di fatto impedito, esulando dai propri com-piti, le normali procedure di verifica e di riscontro della legittimazione del destinatario del pagamento.

Devesi aggiungere che si appalesano ininfluen-ti, al fine di contestare la prospettazione attorea e il conforme convincimento di questo collegio, le ar-gomentazioni addotte dalla difesa per accreditare la correttezza del comportamento del suo assistito cir-ca il fatto che la società (o meglio il sig. De Santis) avesse intimato al riguardo l’amministrazione e che il sindaco fosse stato ingannato dalla formale pre-sentazione della richiesta (con l’uso di carta intestata della società volta a simulare la piena legittimità del-la richiesta stessa), per cui si sarebbe affrettato a di-sporre il pagamento senza fare i dovuti controlli per onorare gli impegni assunti dal comune e ritenendo, in buona fede, che il pagamento fosse effettuato alla I.s.e.t. s.r.l. nella persona del suo amministratore.

Non può, infatti, interpretarsi quale “buona fede” la disapplicazione di regole procedurali nell’azione amministrativa e la noncuranza e la disinformazione nella gestione della cosa pubblica che emerge da tut-ta la vicenda e dalla documentazione prodotta in atti. Sul punto, risulta palese che l’ente avesse ricevuto da parte del curatore fallimentare, avv. Riccardo Di Pasquale, la nota informativa (racc. ar. del 28 agosto 2008, ricevuta il 2 settembre 2008) del fallimento della società pronunciato dal Tribunale di Roma il 17 febbraio 2007. Con tale nota si disponeva anche il deposito della documentazione contabile e tecnica relativa ai rapporti che il comune aveva in preceden-za intrattenuto con la I.s.e.t. s.r.l., nonché la messa in mora dello stesso comune per i pagamenti di quanto dovuto all’impresa fallita. Tale informativa, attesa la sua straordinarietà nell’azione amministrativa, non può che intendersi indirizzata al sindaco, attesa la sua posizione di vertice e di rappresentante dell’ente, che avrebbe dovuto ottemperare nel senso richiesto.

Sembra, perciò, incompatibile, non giustificabile e per nulla convincente la asserita buona fede del sin-daco che, rimasto inerte per la suddetta informativa, abbia, viceversa, provveduto con estrema tempestività alla nota di sollecito del 17 maggio 2010 nella quale, peraltro, il De Santis chiedeva il pagamento di fatture

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della ditta I.s.e.t. con accredito sul proprio conto cor-rente, ed abbia adottando la delibera n. 10 del 3 giugno 2010, senza che risulti alcun ragionevole accertamen-to al riguardo. Ancora più ingiustificabile e incom-prensibile si appalesa poi quanto riportato nell’ordine di servizio del 7 giugno 2010, con il quale si dispone il pagamento e, testualmente, si “ordina all’ufficio di ragioneria di predisporre per il pagamento immedia-to un mandato di euro 85.800 in favore di De Santis Giuseppe I.s.e.t. Edilettrica s.r.l.”, avendo anche cura di precisare, nel presumibile intento di superare ob-biezioni amministrative degli uffici competenti, che “Tale disposizione scaturisce dalla volontà del sotto-scritto, manifestata in forma scritta, esonerando per-tanto da ogni eventuale conseguenza che dal suddetto ordine possa scaturire agli uffici compilatori”.

In disparte, per quanto riguarda tale ultimo aspet-to, l’arbitrarietà e illegittimità che, anche per altro verso, emerge dal provvedimento adottato, essendo del tutto evidente che nel vigente ordinamento nes-sun “esonero di responsabilità degli uffici compila-tori” si può liberamente disporre nell’esercizio delle funzioni pubbliche esercitate, anche se si tratti del vertice del comune. È ragionevole ipotizzare che il convenuto evidentemente è stato mosso dall’intento, non di salvaguardare gli operatori, ma viceversa da quello di sollecitare gli uffici a provvedere nel senso richiesto fuori dalle normali procedure di controllo di quali fossero i reali soggetti destinatari del pagamen-to, verifiche necessarie perché l’adempimento fosse efficacemente liberatorio dell’esposizione debitoria del comune, a salvaguardia, perciò, della posizione del comune e delle risorse pubbliche.

Per tutte le considerazioni che precedono non può dubitarsi che la condotta del sindaco sia in stretta, di-retta ed esclusiva relazione con il danno erariale subito dall’ente comunale per il pregiudizio economico con-seguente ad un inutile esborso a soggetto non titolare di alcun credito nei confronti dello stesso ente, il che è all’origine dell’azione di responsabilità amministrati-va. Le stesse considerazioni portano, peraltro, anche a escludere che al pregiudizio in questione abbia potuto significativamente concorrere o rivestire un qualche apporto causale l’attività di esecuzione dell’ordine svolta dagli addetti alle strutture organizzative e ge-stionali del comune a ciò deputate, ipotizzando che essi abbiano, pur erroneamente, supposto la prioritaria doverosità e/o la legittimità dell’ordine impartito for-mulato, peraltro, con esonero da responsabilità.

Pertanto, tenuto conto di quanto dianzi esposto, il sig. Porzio Pompeo deve essere condannato, a ti-tolo di responsabilità amministrativa per danno era-riale, al pagamento in favore del Comune di Ponza

dell’importo di euro 85.800 (euro ottantacinquemila-ottocento), oltre alla rivalutazione monetaria da cal-colare dalla data di effettivo esborso della suddetta somma da parte dello stesso comune fino alla data di deposito dell’atto di citazione. Su tale complessivo importo andranno calcolati gli interessi nella misura legale dalla data di deposito della presente sentenza al soddisfo. (Omissis)

P.q.m., la Corte dei conti (omissis), condanna il sig. Porzio Pompeo a titolo di responsabilità ammini-strativa per danno erariale al pagamento in favore del Comune di Ponza dell’importo di euro 85.800 (euro ottantacinquemilaottocento), oltre alla rivalutazione monetaria come calcolata in motivazione, nonché al pagamento sulla complessiva somma addebitata de-gli interessi legali, questi ultimi con decorrenza dalla data di deposito della presente sentenza fino all’ef-fettivo soddisfacimento delle ragioni del creditore.

349 – Sezione giurisdizionale Regione Lazio; sen-tenza 17 luglio 2015; Giud. un. De Musso; D’I-gnazi c. Inps (gestione ex Ipost).

Pensioni civili e militari – Esposizione all’amianto – Supervalutazione del servizio – Condizioni.

L. 27 marzo 1992 n. 257, norme relative alla ces-sazione dell’impiego dell’amianto, art. 13; d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazio-ni dalla l. 24 novembre 2003 n. 326, disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, art. 47.

I benefici pensionistici previsti per i lavoratori esposti all’amianto presuppongono una prestazio-ne lavorativa in ambienti direttamente soggetti alla diffusione aerea delle fibre di amianto, per un arco temporale ed una concentrazione qualificati (nel caso di specie, le mansioni concretamente espletate dal ricorrente erano state svolte presso una struttura – un ufficio postale – solo in parte oggetto di conta-minazione da amianto, sì da non determinare, per l’interessato, la specifica e diretta esposizione previ-sta dalla legge). (1)

(1) In materia di benefici pensionistici da esposizione all’amianto v., sotto vari profili, Corte conti, Sez. II centr. app., 24 luglio 2013, n. 485/A, in questa Rivista, 2013, fasc. 5-6, 349; Sez. III centr. app., 15 marzo 2011, n. 268/A, ivi, 2011, fasc. 5-6, 225; Sez. giur. reg. Veneto, 7 aprile 2011, n. 173, ibidem, 337; Sez. giur. reg. Liguria, 17 agosto 2010, n. 243, ivi, 2010, fasc. 4, 126 (m); Sez. giur. reg. Liguria, 27 maggio 2010, n. 183, ibidem, fasc. 3, 185 (m); Sez. giur. reg. Lombardia, 3 maggio 2010, n. 178, ibidem, 183 (m).

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N. 3-4/2015 PARTE II – ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE

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Diritto – Il ricorso è infondato.La domanda di giustizia della sig.ra A.M. D’I-

gnazi si pone nell’ampio filone di applicazione dei benefici previsti per i lavoratori esposti all’amianto di cui all’art. 13, c. 8, l. n. 257/1992, come modifi-cato dalla l. n. 271/1993, sul quale la Corte dei conti ha raggiunto un consolidato orientamento giurispru-denziale (cfr., fra le ultime, Sez. giur. reg. Lazio, n. 292/2015) secondo il quale, alla luce del dettato della specifica normativa, il beneficio in questione può essere riconosciuto solo ai lavoratori che abbia-no subito una esposizione all’amianto “qualificata”, ovverosia ad una concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno per un periodo non inferiore a dieci anni (cfr., art. 47 d.l. n. 269/2003, convertito dalla l. n. 326/2003).

Questo giudice ha già affrontato funditus la si-tuazione lavorativa dei dipendenti di Poste italiane s.p.a. assegnati agli uffici della zona Eur di Roma (cfr., sent. n. 579/2014) concludendo, dopo una disa-mina della documentazione acquisita agli atti, com-prensiva di una informativa dell’amministrazione di appartenenza e di consulenza tecnica, che l’attività lavorativa di tutti i dipendenti non potesse raggiun-gere, per la natura delle mansioni svolte, per la spe-cifica costruzione dei locali nonché per le modalità con le quali si è proceduto alle operazioni di bonifica dell’amianto, i livelli di esposizione che la normativa di settore prevede perché possa essere riconosciuto il beneficio previdenziale richiesto (l’orientamento giurisprudenziale è stato da ultimo ribadito da Sez. giur. reg. Lazio, n. 292/2015).

In particolare, risulta che la sig.ra D’Ignazi, as-sunta nel 1982 con la qualifica di operativo di ge-stione svolgendo mansioni di dattilografa, è stata assegnata dal novembre 1984 all’ufficio copia, dal dicembre 1994 trasferita presso l’area sistemi infor-mativi e adibita a mansioni di dattilografia, e succes-sivamente è stata trasferita ad altri uffici con le stesse mansioni o equivalenti.

Sulla giurisdizione della Corte dei conti in tema di benefi-ci previdenziali a favore dei lavoratori esposti all’amianto, at-teso che le relative controversie, proposte nei confronti dell’Inpdap, riguardano esclusivamente la misura delle pen-sioni, senza alcuna incidenza sul rapporto di lavoro e sui prov-vedimenti determinativi del trattamento economico, con la precisazione che la Corte dei conti esercita, in detta materia, una giurisdizione di merito, in base alla quale accerta e valuta i fatti (ivi compresa l’esposizione all’amianto) con gli stessi poteri, anche istruttori, del giudice ordinario, v. Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17927, ivi, 2013, fasc. 5-6, 547.

Da quanto chiarito dall’amministrazione di ap-partenenza, è evidente che la ricorrente non ha mai svolto attività lavorativa dalla quale poter subire l’e-sposizione ad amianto né direttamente né indiretta-mente (perlomeno nella misura che potesse pregiudi-care la propria salute) e che gli uffici in cui svolgeva le mansioni della qualifica rivestita, così come tutti gli edifici delle poste siti nella zona Eur di Roma, non avevano le caratteristiche tecniche da poter spri-gionare livelli di esposizione all’amianto sussumibili quale presupposto di valutazione dell’esistenza del diritto al beneficio previdenziale per cui è causa.

La sig.ra D’Ignazi appartiene, invece, alla cate-goria dei c.d. occupanti generici, cioè al personale che non ha svolto attività a diretto contatto con i ma-teriali di amianto e non ha, pertanto, diritto al benefi-cio di cui all’art. 13, c. 8, l. n. 257/1992.

* * *

Lombardia

117 – Sezione giurisdizionale Regione Lombardia; sentenza 24 giugno 2015; Giud. un. Tenore; Al-peggiani c. Consiglio regionale Lombardia e altro.

Giurisdizione e competenza – Pensioni civili – Consiglieri regionali cessati dalla carica – As-segno vitalizio – Controversie – Natura non pensionistica del vitalizio – Giurisdizione or-dinaria.

Non sussiste la giurisdizione pensionistica della Corte dei conti in materia di assegno vitalizio attri-buito ai consiglieri regionali in relazione al pregres-so esercizio del mandato pubblico, trattandosi non già di un emolumento avente natura pensionistica, ma di un diritto soggettivo legato all’espletamento della carica. (1)

Diritto – La questione al vaglio del giudicante attiene all’accertamento del diritto del ricorrente ad

(1) Contra, cit. in motivazione, v. Corte conti, Sez. giur. reg. Abruzzo, 12 ottobre 2012, n. 372; Tar Trentino-Alto Adi-ge, Trento, 4 dicembre 2014, n. 477, in Rep. Foro it., 2014, vo-ce Pensione, n. 25; Tar Piemonte, Sez. II, 16 aprile 2015, n. 612.

Nel senso che l’assegno vitalizio dei parlamentari e dei consiglieri regionali riveste caratteri non riconducibili a un trattamento di natura pensionistica v., cit. in motivazione, Cass. 20 giugno 2012, n. 10177, ivi, 2012, voce Matrimonio, n. 166; 24 novembre 2010, n. 23793, ivi, 2010, voce Redditi (imposte), n. 556; 1 ottobre 2010, n. 20538, ibidem, n. 555.

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ottenere la conservazione dell’assegno vitalizio in godimento, senza la riduzione di cui all’art. 3 l. reg. 1 ottobre 2014, n. 25, previa rimessione alla Consul-ta della questione di legittimità dell’art. 3 l. reg. 1 ottobre 2014, n. 25 che ha statuito tale decurtazione, oggetto di plurime ed eleganti censure da parte della accurata difesa attorea.

La questione va tuttavia doverosamente prece-duta, come rettamente rimarcato dalla parimenti ac-curata difesa regionale, dall’analisi della sussistenza o meno della giurisdizione di questa Corte dei conti in materia di vitalizi ai consiglieri regionali, questio-ne ben diversa da altre tematiche “patologiche” che hanno portato al vaglio della sezione, ma in sede di distinta sede di giudizio di responsabilità, diverse condotte dannose per l’erario poste in essere da con-siglieri regionali (cfr. sul tema, tra le tante, Corte con-ti, Sez. giur. reg. Lombardia, 28 luglio 2014, n. 163).

Difatti, quale giudice delle pensioni, questa Corte deve previamente vagliare se la pretesa attorea at-tenga o meno a questione previdenziale. Ritiene sul punto il giudicante di declinare la propria giurisdi-zione per i motivi infraprecisati.

Va in primo luogo rimarcato che nessuna norma vigente attribuisce testualmente natura pensionistica all’assegno vitalizio oggetto di causa, né vige in ma-teria previdenziale un principio di “assimilazione” del trattamento in esame a quello pensionistico in senso proprio solo per la presenza di talune affinità funzionali o strutturali tra trattamenti riconosciuti da lex specialis a funzionari onorari e pensioni erogate da lex generalis a pubblici dipendenti (versamenti contributivi, erogazione al raggiungimento di una certa età ecc.), che potrebbe radicare la giurisdizio-ne in capo a questa Corte, notoriamente attributaria per legge di giurisdizione solo sui trattamenti pen-sionistici in senso tecnico-giuridico, sia statali che di enti locali (da ultimo Cass., S.U., 8 giugno 2015, n. 11769). La giurisdizione della Corte dei conti in materia di controversie previdenziali dei soggetti in rapporto di pubblico impiego e sulle altre pensioni erogate dallo Stato si fonda infatti sull’art. 103, c. 2, Cost., che attribuisce all’istituto “la giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica” nonché sulle “altre materie disciplinate dalla legge”. La previ-sione legislativa è contenuta nell’art. 12 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; nell’art. 29 r.d. 26 giugno 1933, n. 1024, nonché nell’art. 62 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (t.u. Corte dei conti), ed è da ricondurre, pre-sumibilmente, ad un’originaria funzione di ammi-nistrazione attiva esercitata dalla Corte in tema di liquidazione delle pensioni pubbliche (disciplinata

dalla l. 14 agosto 1862, n. 800 e soppressa con r.d. 27 giugno 1933, n. 703, mediante trasferimento alle am-ministrazioni della relativa competenza). Detta com-petenza giurisdizionale non è venuta meno a seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, che ha determinato la transizione al giudice ordinario, come giudice del lavoro, delle controver-sie relative al rapporto di lavoro della maggioranza dei lavoratori pubblici (art. 63 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), ferme restando le altre categorie di personale in regime di diritto pubblico devolute al Tar.

L’assenza di norma attributiva di natura pensioni-stica, la diversa natura dei percettori (funzionari ono-rari o pubblici dipendenti) e la diversità di natura, fi-nalità (indennità di carica, non retributiva, goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico) e di regime che distingue gli assegni vitalizi dalle pensioni ordinarie (si pensi solo al basilare distinguo afferente le condizioni estremamente più favorevoli per la matura-zione e la misura del beneficio del vitalizio rispetto alla pensione) non consente, dunque, già per tale assorben-te argomento testuale e sistematico, di radicare la giu-risdizione in capo a questa Corte. Ma a ciò aggiungasi, con ben rimarcato dalla difesa della resistente parte pubblica, che la natura non previdenziale dell’assegno vitalizio è stata affermata sia dalla giurisprudenza co-stituzionale, sia dalla Corte di cassazione.

Con la sent. 13 luglio 1994, n. 289 la Corte costi-tuzionale, nel differenziare da un lato la posizione dei titolari di assegni vitalizi goduti in conseguenza della cessazione di determinate cariche e, dall’altro, quelle dei titolari di pensioni ordinarie derivanti da rapporti di impiego pubblico, osservava che “tra le due situa-zioni – nonostante la presenza di alcuni profili di affi-nità – non sussiste, infatti, una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l’assegno vitali-zio, a differenza della pensione ordinaria, viene a col-legarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre as-sunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, con-notazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego”.

Va poi altresì rimarcato, quale evidente indice sintomatico della natura non previdenziale dell’asse-gno de quo, che lo stesso non viene erogato dall’Inps, notoriamente soggetto istituzionalmente preposto al pagamento di tutti i trattamenti pensionistici, ma dal-la regione stessa.

Sui vitalizi goduti dagli ex consiglieri regionali (con riferimento alla l. reg. Marche n. 23/1995) ha avuto inoltre modo di pronunciarsi, oltre alla Consul-

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ta, anche la Corte di cassazione, che, pur non espri-mendosi sulla natura oggettivamente previdenziale o meno dell’istituto (“rimanendo irrilevante […] di-scettare se le caratteristiche oggettive del trattamento abbiano o meno natura previdenziale”) ne riscontra la “diversità sostanziale e giuridica […] rispetto ad un trattamento previdenziale o pensionistico conseguente ad un rapporto di lavoro, pubblico o privato che sia” (Cass., Sez. trib., sent. 24 novembre 2010, n. 23793).

L’orientamento espresso nella sentenza n. 23793/2010 trova ulteriore conferma in pronunce della Suprema corte: la stessa sezione tributaria, con la sent. n. 20538/2010, esprimendosi sull’applicabi-lità ai vitalizi di una disposizione tributaria che trova presupposto applicativo nella natura previdenziale, così la escludeva: “le trattenute obbligatorie sull’in-dennità di carica dei consiglieri regionali, in base all’art. 3, c. 1, l. reg. Marche, 13 marzo 1995, n. 23 devono essere assoggettate a tassazione, non poten-do ad esse applicarsi la causa di esclusione di cui all’art. 48, c. 2, lett. a), d.p.r. n. 917/1986 (relativa ai “contributi previdenziali e assistenziali”) […] in quanto ad esse non può essere riconosciuta natura previdenziale, essendo finalizzate all’erogazione di un vitalizio che si differenzia dalle prestazioni di na-tura pensionistica, come risulta sia dal tenore lette-rale della disposizione, sia dai principi espressi dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 289/1994” (Cass., Sez. trib., 1 ottobre 2010, n. 20538).

Successivamente, decidendo in materia di appli-cabilità dell’art. 9 l. n. 898/1970, la Sezione I civile della Cassazione ha confermato (riferendosi ai vita-lizi dei parlamentari) che “L’assegno vitalizio spet-tante ai parlamentari cessati dal mandato presenta caratteri non riconducibili ad un trattamento pensio-nistico” (Cass., 20 giugno 2012, n. 10177).

Non rinvenendosi decisioni in senso contrario, può dunque ritenersi pacifico l’orientamento della Cassazione civile che, conformandosi alla sentenza della Corte costituzionale n. 289/1994, esclude la na-tura pensionistica dell’assegno vitalizio.

La stessa Corte dei conti, in sede di controllo, ha affermato (v. Relazione sul rendiconto generale della Regione Friuli-Venezia Giulia per l’esercizio finanziario 2013 allegata alla delib. n. 118/2014; v. doc. 3 difesa consiglio regionale Lombardia): “Al riguardo va osservato anche che i vitalizi in essere, pur presentando aspetti simili a quelli del trattamento di quiescenza, quali la reversibilità e l’adeguamento automatico, oltre a condizioni più favorevoli per la maturazione e la misura del beneficio, non hanno la natura ed il fondamento giuridico delle pensioni or-

dinarie. In tal senso si sono infatti pronunciate sia la Corte costituzionale (sent. 13 luglio 1994, n. 289) che la Corte di cassazione (Sez. trib., 1 ottobre 2010, n. 20538, richiamata, da ultimo, dalla sent. Cass., 20 giugno 2012, n. 10177)” (p. 771 della relazione).

Dalla non riconducibilità dell’istituto alla mate-ria pensionistica pubblica discende l’estraneità alle fattispecie configurate dall’art. 5 l. n. 205/2000 e il difetto di giurisdizione di questa Corte (nonostante isolate pronunce in senso avverso, non condivise da questo giudicante, tendenti a radicare nella Corte dei conti il giudice in materia: Cfr. Corte conti, Sez. giur. reg. Abruzzo, 12 ottobre 2012, n. 372; Tar Trenti-no-Alto Adige, Trento, 4 dicembre 2014, n. 477; Tar Piemonte, Sez. II, 16 aprile 2015, n. 612).

Tale approdo ermeneutico non contrasta con la statuita e pacifica sussistenza della giurisdizione contabile in sede di giudizi di responsabilità am-ministrativo-contabile nei confronti di consiglieri regionali per utilizzo non istituzionale dei finanzia-menti pubblici percepiti dai gruppi regionali (cfr. Corte conti, Sez. giur. reg. Lombardia, n. 163/2014 cit.): difatti quest’ultima si fonda notoriamente sulla natura pubblica del soggetto danneggiato (regione) e sulla destinazione pubblicistica del finanziamento al gruppo, mentre ai fini del radicamento della ben distinta giurisdizione pensionistica di questa Corte rileva non già la natura giuridica del soggetto ero-gante (regione ente pubblico), ma la natura giuridica della erogazione percepita dal beneficiario (tra l’altro funzionario onorario e non pubblico dipendente) e la finalità ontologica della stessa, ben potendo un ente, quale la regione, erogare trattamenti economici non aventi natura pensionistica quale è una indennità di carica, non retributiva, goduta in relazione all’eser-cizio di un mandato pubblico. Se quest’ultima è un vitalizio di natura non previdenziale, non sussiste la giurisdizione contabile pensionistica.

Nell’individuare il giudice competente in mate-ria, in assenza di un referente normativo testualmen-te attributivo della giurisdizione, ritiene il giudicante di attingere ai principi generali sul riparto di giurisdi-zione fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi: l’assenza di potere discrezio-nale dell’amministrazione nella determinazione del-la misura dell’erogazione o della trattenuta oggetto di lite comporta che la posizione vantata dal ricor-rente debba configurarsi come diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario non essendo il contenzioso in esame ricompreso in nes-suno dei casi di giurisdizione esclusiva del g.a. di cui all’art. 133 d.lgs. n. 104/2010 (si vedano, in merito

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alla giurisdizione del giudice ordinario in materia di vitalizio: Tar Abruzzo-L’Aquila, Sez. I, 22 dicembre 2011, n. 695 e n. 716; Tar Campania-Napoli, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 4909 e n. 4911 e, da ultimo, seppur in sede cautelare e implicitamente Tar Lazio, Sez. I-ter, ord. 15 maggio 2015, n. 2072 e n. 7139).

La complessità della questione giustifica la com-pensazione delle spese di lite.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, in composizione mono-cratica, definitivamente pronunciando, dichiara il proprio difetto di giurisdizione e indica quale giudice competente il giudice ordinario; compensa le spese.

137 – Sezione giurisdizionale Regione Lombardia; sentenza 31 luglio 2015; Pres. Galtieri, Est. Te-nore, P.M. Grasso; Proc. reg. c. Deghi e altri.

Responsabilità amministrativa e contabile – Ge-stione di una riserva naturale – Attività in-dustriali nell’area della riserva – Danno am-bientale – Spesa per il ripristino dello stato dei luoghi – Danno erariale.

C.p.c., art. 5; d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, norme in materia ambientale, artt. 300, 311, 313.

Rispondono di danno erariale gli amministratori e i dirigenti di un consorzio tra comunità montane per la gestione di una riserva naturale, i quali non abbiano assunto, nei confronti di imprese esercenti attività industriali nell’area della riserva, le misu-re interdittive necessarie ad impedire il pregiudizio economico determinato (sia pure con il concorso dei titolari di altri organi di varie amministrazioni) dalla necessità di ripristinare lo stato dei luoghi a seguito della produzione di danni all’ambiente ca-gionati dalle stesse imprese. (1)

(1) Nel senso che, pur essendo sottratto alla cognizione della Corte dei conti il danno ambientale ai sensi dell’art. 18 l. 8 luglio 1986, n. 349, vigente ratione temporis, ricade nel-la giurisdizione contabile la richiesta risarcitoria avente ad oggetto (oltre al danno all’immagine per la perdita di presti-gio, patita a causa dell’inefficienza dimostrata) il danno era-riale, derivante dall’esecuzione delle opere appaltate in dif-formità di prescrizioni contrattuali e di capitolato, dettate per la difesa della costa e la salvaguardia del litorale e, quindi, per scongiurare proprio il danno ambientale (la cui menzione nella citazione del pubblico ministero contabile doveva inten-dersi, pertanto, come avente una valenza meramente descrit-tiva della vicenda e delle sue complesse implicazioni), v. Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229, in questa Rivista, 2014, fasc. 3-4, 526.

Diritto – 1. È incontestato tra le parti che la so-cietà Larioscavi Srl (e successivamente, dal 2004, la Novamin s.p.a., e, quindi, la Novate mineraria s.r.l.) hanno per anni esercitato (soprattutto dal 2004 in poi) un’attività di lavorazione, frantumazione, lavag-gio e deposito inerti provenienti dalla cava di Novate Mezzola (SO) nell’ambito dell’area protetta del Par-co (riserva) naturale Pian di Spagna Lago di Mez-zola (istituita dalla Regione Lombardia con d.g.r. 6 febbraio 1985), sita nel Comune di Gera Lario (CO), via Adda s.n.c., in palese violazione di normative urbanistiche, penali e ambientali e, soprattutto, del piano della riserva 20 dicembre 1996, normativa in parte precedente e in parte sopravvenuta rispetto a detta attività. Tale piano vieta di “costruire opere edi-lizie o manufatti di qualsiasi genere; l’esercizio di qualsiasi attività che determini modifiche sostanziali della morfologia del suolo; alterazioni della qualità dell’ambiente” (v. piano agli atti, punto VI, divieti e limiti alle attività antropiche) e consente attività an-tropiche assai limitate, tra le quali non rientra quella della Larisoscavi s.r.l. (v. punto 8 del piano, Rego-lamentazione delle attività antropiche e, soprattutto, punto 7 e 8, norme di attuazione che indica le attività incompatibili), la cui area di preesistente attività in-dustriale era stata individuata tra le attività di “Recu-pero ambientale” attraverso la convenzione 9 giugno 2006 attuativa dell’art. 12 del piano, da sottoscrivere entro un anno e nella quale, una volta redatta (v. pre-messa alla convenzione), si era preso testualmente atto tra le parti (Consorzio e Novamin) che l’attività di lavorazione inerti ivi svolta produceva polveri, in-quinamento acustico, luminoso e delle acque.

Tale area di riserva, per l. reg. 30 novembre 1983, n. 86 e per disposizioni del piano istitutivo 20 di-cembre 1996, è dunque un biotopo di alta valenza ambientale in quanto “zona umida di valenza inter-nazionale soprattutto come habitat degli uccelli ac-quatici”. (Omissis)

La procura istante rivendica, a fronte della attua-le permanenza nella riserva dell’impianto produttivo della Novate Mineraria senza alcuna sua deloca-lizzazione, una prima voce di “danno ambientale”, quantificata in euro 2.888.897, quale “costo mone-tario per le operazioni di ripristino dello stato dei luoghi”, frutto degli analitici conteggi effettuati da specializzati ingegneri del corpo forestale dello Sta-to (ing. Beltrami e Deligios in relazione 1 febbraio 2013 in doc. 4 procura) sulla scorta di ricognizione atomistica dei luoghi fatta congiuntamente a funzio-nari della provincia alla data del 3 dicembre 2012, dei dati forniti dalla stessa Novate Mineraria s.r.l.

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sul ciclo produttivo e sulla base di listini prezzi uf-ficiali per l’esecuzione di opere pubbliche. Il C.f.S., pur cosciente della mutevolezza dello scenario per la variabilità nel tempo della movimentazione dei materiali e volumi presenti, ha ben evidenziato con detta relazione 1 febbraio 2013 (resa da soggetto terzo di natura pubblica e fondata su parametri og-gettivi) sia la portata inquinante per l’ambiente dei bacini di sedimentazione, dei materiali di scarto, del-le particelle in sospensione contenute nell’acqua di lavaggio degli inerti (contenente prodotto chimico flocculante), degli scarichi non autorizzati, sia i costi per rimozione rifiuti, scavo, asportazione di terreno contaminato, ripristino piano campagna, bonifica ba-cini di decantazione, demolizione e asportazione di manufatti in calcestruzzo e muratura, asportazione di macchinari (in uso e obsoleti) dell’impianto, tuba-zioni e materiale (edile e non), rifiuti ferrosi, oli e traversine. Tale complesso di operazioni comporta, alla data dei rilevi (3 dicembre 2012) un “costo mo-netario per le operazioni di ripristino dello stato dei luoghi” di euro 2.888.897 che la procura definisce danno ambientale.

Va premesso, sul piano sistematico che alla luce della nota ed autorevole definizione dottrinale sui tre significati giuridici di ambiente (ambiente come pae-saggio; ambiente come difesa degli elementi costitu-tivi del pianeta – acqua, suolo, aria ecc. – e ambiente come territorio oggetto del diritto urbanistico) e della giurisprudenza fondata sull’analisi degli artt. 9 e 32 Cost., può ormai ritenersi pacifica la definizione di ambiente come “bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche co-stituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutele; ma tutte nell’insieme, sono riconducibili ad unità” (Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641).

In base all’art. 300 d.lgs. n. 152/2006, il legisla-tore italiano fornisce per la prima volta una defini-zione di danno ambientale, statuendo che “È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa natura-le o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. Trattasi di una definizione diversa da quella di cui all’art. 2 della direttiva 2004/35/Ce (secondo cui è danno am-bientale: a) il danno alle specie e agli habitat naturali protetti in base alle direttive habitat ed uccelli della Comunità europea, ad esclusione di quei danni pre-ventivamente identificati di un’“attività professiona-le” espressamente autorizzata dalle autorità compe-tenti; b) il danno alle acque, vale a dire qualsiasi mo-dificazione significativa e negativa dello stato eco-logico, chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale

ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/Ce, a eccezione degli effetti nega-tivi cui si applica l’art. 4, par. 7 di tale direttiva; c) ogni contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suo-lo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze preparati organismi o microrganismi) perché effettuando un generico riferimento alle “risorse naturali” sembra dare ingresso alla tutela civilistica anche a risorse naturali, come per esempio l’atmosfera, escluse dal-la definizione di danno ambientale contenuta nella direttiva comunitaria.

Inoltre l’art. 311 d.lgs. n. 152/2006 dedicato al “Risarcimento del danno ambientale”, ribaden-do la risarcibilità del danno ambientale già statuita dall’art. 18 l. n. 349/1986 (seppur con devoluzione della giurisdizione all’autorità giudiziaria ordinaria), recita testualmente: “Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti dove-rosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, im-perizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deterioran-dolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in man-canza al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”.

Il bene “ambiente” trova nel nostro ordinamento, sul piano preventivo e repressivo, una tutela legisla-tiva, penale, amministrativa, civile, e, come questo giudizio conferma, anche amministrativo-contabile a fronte di condotte di soggetti pubblici-persone fi-siche che con la loro inerzia producano danno am-bientale. E i soggetti coinvolti, in varie vesti, nella protezione dell’ambiente, come sopra detto, sono molteplici: Ministero dell’ambiente, regioni, provin-ce, comunità montane, comuni, enti-parco, corpo fo-restale, magistratura penale, nonché le stesse persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale, o che vantino un in-teresse alla partecipazione al procedimento relativo all’adozione delle misure di precauzione, di preven-zione o di ripristino: anche esse sono legittimate ad agire, secondo i principi generali, per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del ministero, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambien-tale, avanti al giudice amministrativo.

L’azione di risarcimento è finalizzata al recupero economico dei danni ambientali o al ripristino origi-nario della risorsa ambientale danneggiata. Il risar-

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cimento viene pertanto effettuato in forma specifica (ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsa-bile) o per equivalente (attraverso una precisa quan-tificazione economica-monetaria del danno o attra-verso una valutazione equitativa operata dal giudice sulla base del profitto conseguito dal trasgressore e del costo necessario per il ripristino dei luoghi).

2.1. Ai sensi dell’art. 313, c. 6, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “nel caso di danno provocato da sogget-ti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all’ufficio di procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio” (sul tema Corte conti, Sez. giur. reg. Sardegna, 18 settem-bre 2008, n. 1830, confermata da Sez. I centr. app., 31 gennaio 2013, n. 77). Tale norma ha introdotto un chiaro discrimine nella giurisdizione in materia di danno ambientale, appartenente in via generale al giudice ordinario, salvo i casi in cui tale danno sia “provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizio-ne della Corte dei conti”, nel qual caso il ministero non può agire autonomamente, ma deve limitarsi ad inviare “rapporto all’ufficio di procura regionale”, per l’azione di competenza dinanzi alla sezione giu-risdizionale della stessa Corte. Nella specie, come rettamente rimarcato dalla parte attrice sulla scorta di precedenti specifici (Corte conti, Sez. giur. reg. Molise, 6 dicembre 2010, n. 144; id., Sez. giur. reg. Toscana 31 maggio 2012, n. 273), la conoscenza di tale voce di danno da parte della procura contabile è avvenuta non già su segnalazione del ministero, ma del corpo forestale la cui relazione, specifica, con-creta e dettagliata (parametri di ricevibilità-proced-ibilità dell’azione della procura rilevanti ex art. 17, c. 30-ter, d.l. n. 78/2009), è stata inviata dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Como. Tutta-via, ad avviso del collegio, tale canale di conoscen-za non preclude la giurisdizione di questa Corte nei confronti di soggetti, quali i convenuti, incontestabil-mente sottoposti a giurisdizione contabile quali fun-zionari pubblici autori di un danno a beni pubblici.

In punto di giurisdizione la Sezione ritiene al-tresì di precisare quanto segue: il d.lgs. n. 152/2006 nel dettare norme in materia ambientale ha disposto – all’art. 318, c. 2, lett. a) l’abrogazione dell’art. 18 (con esclusione del c. 5), l. n. 349/1986; è, quindi, ve-nuta meno la disposizione recata dal c. 2 dell’art. 18, a mente della quale per la materia del danno ambien-tale disciplinata dal c. 1 “la giurisdizione appartie-ne al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei

conti, di cui all’art. 22 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3”. Lo stesso d.lgs. n. 152/2006 ha previsto, come detto, all’art. 313, c. 6, che “nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del ter-ritorio e del mare, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all’ufficio di procura regionale presso la Se-zione giurisdizionale della Corte dei conti competen-te per territorio”. Dovrebbe, quindi, affermarsi (come statuito anche da Corte conti, Sez. II centr. app., 26 novembre 2014, n. 684) l’applicabilità della menzio-nata normativa al caso di specie in base a quanto pre-visto dall’art. 5 c.p.c., secondo cui “la giurisdizione e la competenza si determinano con riferimento alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momen-to della proposizione della domanda”; trattasi, infatti, di domanda di risarcimento del danno che è stata pro-posta successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Va, però, rammentato che – ai sensi dell’art. 303, c. 1, lett. f), dello stesso decreto legislativo – la parte sesta di tale decreto le-gislativo (che comprende anche l’art. 318) “non si applica al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi prima della data di entra-ta in vigore della parte sesta del presente decreto”; e nella specie i fatti di danno ambientale contestati ri-salgono, in parte, anche a data antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006.

Tuttavia la pretesa attorea qui azionata si fonda su un danno ambientale quale “costo monetario per le operazioni di ripristino dello stato dei luoghi”, danno acclarato dal corpo forestale dello Stato con relazione 1 febbraio 2013 (in all. 4 procura) in re-lazione al danno ambientale da ripristinare ad oggi sussistente e, dunque, ben successivo al 2006, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152.

Sussiste dunque la piena giurisdizione di questa Corte sulla intera domanda attorea di danno am-bientale dalla data dell’accertamento dell’1 febbraio 2013 e dunque sussistente integralmente a tale data.

3. Tuttavia, affinché una responsabilità civile e/o amministrativo-contabile per danno ambientale da “ripristino dello stato dei luoghi” sia ipotizzabile, quest’ultimo: a) deve essere concreto e quantificabi-le, b) i responsabili debbono essere individuabili; c) deve essere possibile accertare il nesso di causalità tra il danno e l’attività del responsabile.

Giova chiarire, a fronte di rilievi svolti in udien-za dai difensori dei convenuti Deghi e Poli, che tale danno è strettamente connesso e causalmente conse-quenziale all’omessa delocalizzazione dell’impianto

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prevista da legge, dal piano e dalla convenzione: co-erentemente dunque la procura rivendica tale costo pubblico di ripristino dello stato dei luoghi in conse-guenza della suddetta omessa delocalizzazione.

Orbene, pur a fronte di un danno ambientale con-creto e ben quantificato dal C.f.S. con la suddetta re-lazione 1 febbraio 2013 e riconducibile alle imprese succedutesi nella gestione dell’invasiva attività di lavorazione di cui è causa, sul piano causale le re-sponsabilità da condotta omissiva di soggetti pubbli-ci che hanno contribuito al protrarsi pluriennale di lesioni al bene ambiente, non intervenendo sia sul-la omessa delocalizzazione degli impianti sia, nelle more, sulla parziale e tardiva esecuzione di opere di mitigazione ambientale, sono, ad avviso del colle-gio, molteplici e non riconducibili, come reclamato dalla procura (che, sul punto, nulla contesta al terzo convenuto Furlanetto) ai soli convenuti Deghi (pre-sidente e legale rappresentante del consorzio) e Poli (responsabile del competente servizio e direttore f.f. pro tempore dall’1 luglio 2006 al 30 giugno 2007), quali vertici gestionali dell’ente parco-riserva (ex consorzio di comunità montane).

Ed invero, evidenti appaiono le inerzie del Mi-nistero dell’ambiente (titolare di azione risarcitoria, di ordinanza esecutiva di ripristino ambientale in forma specifica ex art. 313 d.lgs. n. 152/2006, ma, ancor prima, di incisive misure ripristinatorie dello stato dei luoghi ex art. 306 d.lgs. n. 152/2006), di vari comuni (Gera Larico, Sorico, Dubino, Novate, Mez-zola, Verceia, sul cui territorio insiste la riserva: v. piano 20 dicembre 1996), della Provincia di Como, delle comunità montane locali (Alto Lario occidenta-le, Valchiavenna, Valtellina di Morbegno, consorzia-te e gestori della riserva, v. piano cit.) e della regione (sulla base della l. reg. n. 86/1983 venne istituita la riserva ed il piano relativo, testualmente “di interes-se regionale”), i cui vertici non sono stati evocati in questo giudizio, e che ben avrebbero potuto e dovuto tempestivamente intervenire, non solo a tutela delle acque e del territorio, ma anche sul piano edilizio (in primis il comune) sulle strutture contra legem edi-ficate dalle società di gestione degli impianti, oltre che segnalare (tutti gli enti locali predetti) i fatti di pluri-illiceità ambientale acclarati ed il degrado del-lo stato dei luoghi al Ministero dell’ambiente e alla procura della Repubblica per interventi interdittivi e repressivi che avrebbero, se tempestivamente effet-tuati, precluso il protrarsi delle attività di danneggia-mento ambientale. E lo stesso corpo forestale dello Stato, in attuazione di doverosi compiti di vigilanza, ben avrebbe potuto e dovuto monitorare, riscontrare

e segnalare anche ben prima dei rilevi poi confluiti in ripetute ed accurate segnalazioni alle magistrature (penale e contabile) dal 2008 al 2014, le evidenti e risalenti illegittimità gestionali delle società succe-dutesi dal 1975 nell’attività de qua ed operanti nella riserva naturale Pian di Spagna Lago di Mezzola, soprattutto dopo la redazione di un formale piano della riserva, risalente al lontano 20 dicembre 1996, statuente interventi di compatibilizzazione a salva-guardia dell’ambiente.

Accanto a tali soggetti pubblici, anche i conve-nuti Deghi e Poli, quali soggetti esponenziali del consorzio tra le tre suddette comunità montane (poi ente parco), si sono, con colpa grave, tardivamente attivati ma con meri interventi cartacei intimatori e pungolatori (agli atti) nei confronti dei vertici delle società predette, con impulsi per conferenze di ser-vizi, giungendo ad una convenzione con la Novamin s.p.a. (già Larioscavi s.r.l. e poi Novate mineraria s.r.l.) solo il 9 giugno 2006, ovvero con circa 8 anni di ritardo rispetto a quanto stabilito nel piano della ri-serva, che ne imponeva invece la sottoscrizione entro un anno dalla sua pubblicazione sul Burl (ergo entro il 25 febbraio 1998). Tale convenzione prevedeva testualmente la “delocalizzazione, smantellamento, ricollocazione dell’impianto di frantumazione entro 5 anni dalla sottoscrizione” (mai avvenuta) e nelle more “misure di mitigazione entro sei mesi dalla sot-toscrizione” (in parte eseguite).

In tale arco temporale anteriore alla tardiva sot-toscrizione della convenzione, per grave negligenza, alcun intervento obbligatorio e officioso ripristina-torio (anche in danno della società inottemperante, come statuito dall’art. 8 delle norme di attuazione del piano) o interdittivo (né sanzionatorio-amministra-tivo) risulta essere stato assunto dal consorzio (poi ente) gestore della riserva o da altro ente pubblico locale o nazionale, benché l’art. 7, c. 7, delle norme di attuazione piano prevedesse assai chiaramente, in caso di mancata stipula della convenzione, poteri sanzionatori e soprattutto interdittivi dell’attività im-prenditoriale in corso che, ove intervenuti, avrebbero attenuato il danno ambientale.

Parimenti nulla è stato fatto, dopo la convenzio-ne, per pretendere l’osservanza nei tempi pattuiti della concordata e mai avvenuta delocalizzazione degli im-pianti, temporalmente fissata in 5 anni dalla sottoscri-zione della convenzione 9 giugno 2006 (art. 2, c. 4), e ad oggi ancora funzionanti (v. relaz. C.f.S. 13 marzo 2014) salvo provvedimenti della magistratura penale.

Ed è proprio questa inerzia, dunque, l’essenza comportamentale (omissiva) del cagionato danno

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ambientale reclamato dalla procura, per costi con-nessi al “ripristino dello stato dei luoghi”.

Difatti, tali pluriennali inerzie plurisoggettive nell’assumere fattive iniziative interdittive o di ripri-stino in danno da parte degli organi amministrativi preposti a vigilanza ambientale ed edilizia e alla re-pressione di abusi (si ripete: Ministero dell’ambiente, Provincia di Como, comuni su cui la riserva insiste, tre comunità montane consorziate, regione, corpo forestale dello Stato), e persino nella doverosa e so-prattutto tempestiva segnalazione alla procura della Repubblica di reati (circostanza che avrebbe potuto condurre ad un rapido sequestro dell’area – interve-nuto assai tardivamente per inerzie nel segnalare i fatti –, provvedimento ostativo al protrarsi di danni all’ambiente), sono da considerare concause deter-minanti del danno erariale contestato dalla procura ai soli convenuti Deghi e Poli, soggetti sicuramen-te titolari di poteri interdittivi consortili sull’attività dannosa per l’ambiente ex art. 7, c. 7, norme di attua-zione del piano e di ulteriori poteri di “esecuzione in danno dei proprietari” delle opere di compatibiliz-zazione ex art. 7, c. 5, delle norme di attuazione del piano stesso e addirittura di esproprio (art. 11, norme di attuazione piano agli atti).

La particolare responsabilità (colpa grave) dei vertici del consorzio è ravvisabile, secondo la Sezio-ne, anche dopo la sottoscrizione della convenzione 9 giugno 2006, i cui puntuali e formalizzati impegni di delocalizzazione e, nelle more, di compatibilizza-zione non sono stati onorati, se non in minima parte, dalla Novamin s.p.a. senza alcun intervento sostituti-vo in danno o interdittivo del consorzio.

In applicazione della doverosa imputazione a cia-scuno dei predetti ulteriori vari inerti attori pubblici di questa grave vicenda di danno ambientale (non evocati in giudizio dalla procura) del quantum adde-bitabile a ciascuno di essi, agenti con evidente colpa grave non diversamente dai convenuti, ritiene equo il collegio addebitare ai convenuti Deghi e Poli, da di-videre in parti eguali al 50 per cento ciascuno, la mi-nor somma di euro 500.000, pari a quota parte supe-riore ad un mero aritmetico 1/8 (ovvero 361.112,12 astrattamente attribuibili in parti eguali agli otto soggetti pubblici inerti predetti) dei contestati euro 2.888.897, avendo il consorzio di comunità montane un più elevato ruolo di vigilanza e di intervento (an-che interdittivo) sul parco-riserva, in quanto istitu-zionalmente creato a tal fine dal relativo piano.

Tale importo, pur a fronte della oggettiva non av-venuta, seppur doverosa, delocalizzazione dell’im-pianto (e dunque del danno da costi per “ripristino

dello stato dei luoghi”), è poi ulteriormente riduci-bile, sia in considerazione della parziale esecuzione da parte di Novamin di alcune opere di compatibi-lizzazione-mitigazione, sia in adeguata applicazione dell’assai pertinente potere riduttivo dell’addebito (tenuto conto: delle gravi carenze di organico nel consorzio in cui i convenuti erano chiamati a operare quasi in via esclusiva; della intervenuta adozione di plurime diffide alle società tese ad intervenire sulle fonti di inquinamento e ad ottemperare agli impegni assunti con la convenzione 9 giugno 2006; dell’im-pegno profuso per tentare, coinvolgendo le imprese ed altri enti locali, soluzioni consensuali al problema con conferenze di servizi; della preesistenza dell’im-pianto di lavorazione che poneva problemi di con-ciliazione di contrapposte esigenze pubblicistiche e privatistiche; delle inerzie delle società succedutesi ivi operanti nel segnalare “senza indugio” ex art. 305, d.lgs. n. 152/2006 il danno prodotto alle com-petenti autorità, indicando le iniziative ripristinatorie e correttive adottate e adottande) ad euro 300.000, da suddividere sempre in parti eguali al 50 per cento ciascuno e senza vincolo di solidarietà passiva, stan-te l’assenza di dolo, tra i soli convenuti Deghi Alber-to e Poli Paolo.

Osserva il collegio, a fronte della pacifica non de-localizzazione degli impianti (foriera di danno am-bientale), circa le opere di compatibilizzazione-miti-gazione (concordate nel progetto di mitigazione con-fluito nell’art. 3 della convenzione 9 giugno 2006: v. doc. 11 Furlanetto) che risulterebbero parzialmente eseguite da Novamin, seppur con notevole ritardo, e che comporterebbero secondo le difese dei conve-nuti, una riduzione del danno ambientale (comunque persistente stante, come detto, la assorbente inconte-stata non delocalizzazione dell’impianto), che su ciò che Novamin avrebbe realmente realizzato in attua-zione dell’art. 3 suddetto vi è contrasto tra le parti.

A fronte della affermazione sia della difesa Po-li-Deghi (v. doc. 19 sub 21) che della difesa Furlanetto (v doc. 21), che producono la medesima attestazione 17 aprile 2013 a firma Poli-Spreafico circa l’asserita esecuzione di gran parte di tali opere di mitigazione allegate alla convenzione 9 giugno 2006 (realizza-zione di mere opere di contorno: pista ciclabile del valore di 100.000 euro; realizzazione di manto bitu-minoso su strada esistente di accesso all’impianto e potenziamento impianto irrigazione per un valore di 209.250 euro; non realizzazione della sola piantuma-zione di essenze arbustive e relativo impianto di irri-gazione per euro 37.200), la procura contrappone (v. pp. 15-20 citazione) il testo delle relazioni 17 marzo

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2014 e 10 febbraio 2014 del C.f.S. sulla convenzio-ne 9 giugno 2006 suddetta, fondate su accesso sui luoghi. La convenzione suddetta prevede all’art. 3, oltre alla piantumazione di essenze arbustive (paci-ficamente non realizzata) e relativo impianto di irri-gazione, altre opere non realizzate dalla Novamin e, segnatamente: abbattimento polveri con acqua nebu-lizzata; realizzazione di manto di asfalto ecologico di 4 metri di larghezza con piazzola di scambio mezzi pesanti e cunette (v. punto 4.5, p. 30-31 progetto alle-gato a convenzione cit.); abbattimento rumori; inter-vento su luci per inquinamento luminoso; verifiche e interventi su captazione-derivazione idrica e scarico acque. E le relazioni del C.f.S. cennate, oltre a rimar-care tali carenze di opere di mitigazione, attestano che l’impianto di frantumazione inerti risulta ancora in attività (“con modalità tali da ipotizzare la com-missione di nuovi reati”) senza essere delocalizzato come da art. 2, c. 4, dell’accordo in convenzione (v. relaz. C.f.S. 17 marzo 2014 cit.).

In buona sostanza, la procura attrice, con attesta-zioni del C.f.S., ha comprovato la sostanziale non ese-cuzione di molte opere di mitigazione ambientale che avrebbero attenuato, ma solo dalla loro realizzazione in poi (ergo, non per gli anni pregressi, così ledendo l’habitat naturale della riserva), il danno ambientale e che non sono solo quelle (tra l’altro eseguite solo in parte) del progetto di mitigazione confluito nell’art. 3 della convenzione 9 giugno 2006 (v. doc.11 Furlanet-to): la sola realizzazione (non in conformità alla con-venzione) di un manto d’asfalto convenzionale (tra l’altro di soli 2.400 mq in luogo dei prescritti 4.650) e la realizzazione di una pista ciclabile sull’argine del fiume Adda, in realtà non prevista in convenzione 9 giugno 2006, hanno dunque solo una mera limitata portata decurtante sul danno ambientale cagionato da Novamin (e in precedenza da Larioscavi e successiva-mente da Novate mineraria), in quanto non coprono tutte le cinque criticità sunteggiate all’art. 3 della plu-ricitata convenzione 9 giugno 2006 (di cui il progetto di compatibilizzazione allegato copre solo una parte degli interventi necessari) e rilevate dal C.f.S. nelle predette relazioni ambientali.

Di tale limitata portata decurtante di opere di compatibilizzazione eseguite si è tuttavia sopra te-nuto conto in sede di quantificazione del danno am-bientale imputato ai convenuti Deghi e Poli in parti eguali e senza vincolo di solidarietà, ma ciò che rile-va ai fini dell’acclarato danno ambientale e della sua quantificazione è la oggettiva e persistente non avve-nuta delocalizzazione-smantellamento dell’impianto di frantumazione (circostanza fondante il reclamato

danno ambientale da costi di “ripristino dello stato dei luoghi”). (Omissis)

P.q.m., la Corte, definitivamente pronunciando, condanna: Deghi Alberto (omissis) al pagamento di euro 230.750 già rivalutati, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo; Poli Paolo (omissis) al pagamento di euro 230.750 già rivalu-tati, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo; Furlanetto Dario (omissis) al pa-gamento di euro 8.500 già rivalutati, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo.

* * *

Piemonte

113 – Sezione giurisdizionale Regione Piemonte; sentenza 24 settembre 2014; Pres. Coppola, Est. Berruti, P.M. Astegiano; Proc. reg. c. Damonte.

Processo contabile – Invito a dedurre – Audizio-ne dell’invitato per delega ad altra autorità – Inammissibilità – Successivo atto di citazione – Inammissibilità.

D.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modi-ficazioni dalla l. 14 gennaio 1994 n. 19, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 5.

Nella fase preliminare del processo contabile, l’audizione dell’invitato a dedurre, da questi spe-cificamente richiesta nel termine (non inferiore a 30 giorni) e assegnata dal procuratore regionale al presunto responsabile del danno, deve essere con-siderata atto proprio del pubblico ministero, riser-vato alla sua competenza esclusiva e, pertanto, non delegabile (nella specie, alla Guardia di finanza), pena la sua nullità e la conseguente inammissibilità dell’atto di citazione.

Diritto – 1. In via preliminare deve essere esami-nata l’eccezione di inammissibilità della citazione per mancanza di una valida audizione personale dell’invi-tato, così come prevista dall’art. 5, c. 1, secondo pe-riodo, d.l. 15 novembre 1993, n. 453 convertito dalla l. 14 gennaio 1994, n. 19, proposta da parte convenuta nella memoria di costituzione tempestivamente e ri-tualmente depositata e ribadita in udienza.

Al riguardo, il collegio rileva che non è la prima volta che, nel corso di giudizi in materia di responsa-bilità amministrativo-contabile, si imbatte in ipotesi di audizioni personali, richieste a seguito di inviti a

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dedurre, che la procura regionale esegue con delega alla Guardia di finanza anziché effettuarle diretta-mente tramite il pubblico ministero titolare del fa-scicolo. Tale modo di procedere non è stato mai og-getto di valutazione in quanto mai, in precedenza, il convenuto o i convenuti hanno sollevato eccezioni in merito e questo collegio ha opinato di non potersene occupare non ritenendo di poter sollevare “d’ufficio” la relativa eccezione.

Nel caso in esame, invece, parte convenuta sol-leva esplicita eccezione al riguardo e questo collegio non può esimersi dall’esaminarla.

Ciò premesso, ad avviso del collegio l’eccezione è fondata e va accolta.

1.1. È pacifico che la convenuta, a seguito dell’in-vito a dedurre notificatole in data 5 settembre 2013, ha depositato (in data 2 ottobre 2013) le proprie deduzio-ni nel termine di trenta giorni assegnatole, chiedendo contestualmente di essere sentita personalmente ai sensi dell’art. 5 c. 1, d.l. n. 453/1993 convertito con modificazioni dalla l. n. 19/1994 (cfr. doc. 19 prod. proc.).

È altresì pacifico che, a seguito di tale richiesta, la medesima veniva convocata dalla Guardia di fi-nanza, Nucleo di polizia tributaria di Alessandria, delegata per il suddetto incombente dal pubblico ministero procedente, e quindi sentita da funzionari del detto corpo in data 23 ottobre 2013 (cfr. doc. 20 prod. proc.).

1.2. La questione che viene posta all’attenzione del collegio è, innanzitutto, se tale incombente pro-cedurale, l’audizione personale dell’invitato a dedur-re, debba essere eseguito, con competenza esclusiva, dall’organo requirente titolare del potere di azione ovvero possa essere delegato alla stregua di ogni al-tro adempimento istruttorio.

L’audizione personale di cui si discute nel pre-sente processo è quella prevista dal c. 1 dell’art. 5 d.l. n. 453/1993 cit., a mente del quale: “Prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, il procuratore regionale invita il presunto responsabile del danno a depositare, entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla notifica della comunicazione dell’invito, le proprie deduzioni ed eventuali documenti. Nello stesso termine il presunto responsabile può chiedere di essere sentito personalmente. Il procuratore re-gionale emette l’atto di citazione in giudizio entro centoventi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presun-to responsabile del danno. Eventuali proroghe di quest’ultimo termine sono autorizzate dalla sezione giurisdizionale competente, nella camera di consi-

glio a tal fine convocata; la mancata autorizzazione obbliga il procuratore ad emettere l’atto di citazione ovvero a disporre l’archiviazione entro i successivi quarantacinque giorni”.

Come sottolineato in dottrina, con la disposizione in oggetto il legislatore ha voluto garantire all’invita-to la possibilità di esercitare concretamente il proprio diritto di difesa in un momento antecedente rispetto all’esercizio dell’azione da parte del pubblico mini-stero. Infatti, l’invitato viene posto nella condizione di approntare una difesa tecnica e personale prima che il pubblico ministero si determini definitivamen-te in ordine all’esercizio dell’azione, con ciò salva-guardando anche esigenze di economia processuale.

La giurisprudenza di questa Corte si è prevalen-temente orientata nel senso della duplicità di funzio-ni dell’invito a dedurre: favorire ed ampliare le pos-sibilità di difesa del convenuto e fornire al pubblico ministero uno strumento per un più corretto e mirato esercizio dell’azione di responsabilità. Esso è stato definito “istituto a garanzia del presunto responsabi-le, il quale può introdurre anteriormente all’inizio del giudizio elementi, fatti e documenti idonei ad indur-re il procuratore regionale a non emettere l’atto di ci-tazione, a dimensionare diversamente la responsabi-lità, a chiamare in giudizio altri corresponsabili” (cfr. Sez. riun., n. 1/2005). E ancora come “atto procedi-mentale preprocessuale che assolve alla duplice fun-zione di consentire all’invitato di svolgere le proprie argomentazioni al fine di evitare la citazione in giu-dizio e di garantire nel contempo la massima possibi-le completezza istruttoria. Entrambe queste funzioni confluiscono nell’ulteriore scopo finale che è quello del perseguimento della giustizia ed anche non di-sgiunto da esigenze di economia processuale” (cfr. Sez. riun., n. 7/1998). Si vedano altresì, sulla stessa linea, Sez. riun., n. 1/2007; n. 27/1999; n. 14/1998. La Corte costituzionale (cfr. sent. n. 163/1997) ha avvalorato tale orientamento ravvisando la funzione dell’invito a dedurre “essenzialmente nella prelimi-nare contestazione di fatti specifici ad un soggetto già indagato, che viene così messo in grado di rap-presentare tempestivamente le sue ragioni all’organo inquirente, consentendo, al tempo stesso, al procura-tore regionale lo sviluppo di più adeguate indagini”.

Alla luce di tali premesse, sulle quali non è qui il caso di dilungarsi oltre, va inquadrata l’audizione personale prevista dalla norma sopra citata.

Le Sezioni riunite (n. 7/1998 cit.) hanno ricon-dotto tale istituto al diritto a controdedurre in sede preprocessuale e alle connesse finalità di difesa per l’invitato e di una più consapevole e approfondita

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istruttoria per il pubblico ministero, non disgiunte da esigenze di economia processuale, tutte funzionali agli obiettivi della giustizia contabile.

Ciò porta, come messo in luce da attenta dottri-na, a distinguere nettamente l’audizione in discorso, prevista dal c. 1 dell’art. 5 cit., dalle “audizioni per-sonali” istruttorie contemplate dal successivo c. 6, lett. c). La prima invero, a differenza delle seconde, riguarda esclusivamente chi è stato già individuato dal requirente quale possibile responsabile e destina-tario della notificazione dell’invito a dedurre e non è impedita dall’eventualità che l’interessato sia stato previamente sentito in sede istruttoria.

Tanto si spiega evidentemente con il fatto che detta audizione si colloca in una fase successiva alla individuazione del presunto responsabile e alla formulazione dell’invito a dedurre, dalla cui notifi-cazione prende il via la scansione temporale entro la quale deve essere emesso l’atto di citazione, ed è strumentale anche ad un più ampio e mirato esercizio del diritto di difesa, anticipato rispetto al processo.

Diversamente, l’audizione in parola risulterebbe una mera duplicazione di quella istruttoria già pre-vista.

Venendo al profilo che qui più interessa, ovvero se l’espletamento dell’audizione personale ex art. 5, c. 1, d.l. n. 453/1993 cit., sia atto proprio e diretto del pubblico ministero, riservato alla sua competenza esclusiva, ovvero atto delegabile, il collegio ritiene innanzitutto di non poter fare ricorso alle norme del c.p.c. mediante rinvio ex art. 26 r.d. n. 1038/1933, mancando in tale processo un istituto assimilabile a quello di specie. Neppure appaiono invocabili ana-logicamente disposizioni del c.p.p. (in disparte le possibili somiglianze dell’invito a dedurre con l’av-viso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis, introdotto dalla l. n. 479/1999), stante la reciproca peculiarità dei due processi, penale e contabile.

A parere del collegio appare invece necessa-rio partire dal dato di fondo, sul quale non vi è di-scordanza, che l’invito a dedurre è atto proprio del pubblico ministero procedente, riservato alla sua competenza esclusiva e pertanto non suscettibile di delega in quanto rientrante nell’ambito delle attività riservate al diretto esclusivo espletamento del pub-blico ministero, che è, invero, l’unico legittimato a sottoscriverlo.

Come sopra evidenziato (cfr. Sez. riun., n. 7/1998 cit.), è proprio alla luce di tale istituto, l’invito a de-durre, con le connesse esigenze, per l’invitato, di esercitare il proprio diritto di difesa in via anticipata

rispetto al processo, e, per il pubblico ministero, di una più consapevole e approfondita istruttoria al fine di una più avveduta decisione in ordine all’esercizio dell’azione giudiziale, esigenze entrambe funzionali agli obiettivi della giustizia contabile, che va inqua-drata, a parere del collegio, l’audizione personale ex art. 5, c. 1, d.l. n. 453/1993 di cui trattasi.

Quest’ultima non può quindi che partecipare della stessa natura, così come delle stesse finalità dell’invito a dedurre.

Ne consegue che, come quest’ultimo, anche l’au-dizione dell’invitato, da questi specificamente richie-sta nel termine assegnato per le deduzioni, deve es-sere considerato atto proprio del pubblico ministero requirente, riservato alla sua competenza esclusiva e pertanto non delegabile.

Non a caso nella norma vi è la dizione “essere sentito personalmente”, laddove l’avverbio “per-sonalmente” va evidentemente riferito, alla luce di quanto osservato e del principio di parità delle parti, non solo all’invitato, ma anche alla controparte, an-corché pubblica.

Del resto, non può non evidenziarsi che, attra-verso la richiesta di “essere sentito personalmente”, l’invitato ha la facoltà di interloquire col pubblico ministero che sta procedendo contro di lui ed ha la possibilità, attraverso il confronto de visu ed in con-traddittorio con lo stesso, di cercare di convincere l’organo requirente ad esaminare fatti e circostanze che reputa rilevanti ai fini della decisione finale circa l’emissione o meno dell’atto di citazione a giudizio.

Ad avviso del collegio, trasferire tale contraditto-rio davanti ad altri soggetti, attraverso lo strumento della delega, tradirebbe sia la lettera che la ratio della norma. Avrebbe poco senso, infatti, che l’audizione si svolgesse davanti a soggetto che non ha piena co-noscenza del fascicolo istruttorio e non ha la possibi-lità di interloquire concretamente con l’invitato. È il pubblico ministero procedente che conosce a fondo i fatti contestati ed è solo il pubblico ministero che può dare sostanza ad un’audizione che non a caso è definita personale e che, altrimenti, si tramuterebbe in un mero ed asettico adempimento formale.

L’audizione delegata, mancando un vero contrad-dittorio tra le parti, finisce di fatto col risolversi nella raccolta delle dichiarazioni dell’invitato. In pratica si avrebbe lo stesso risultato se, a fronte della richiesta di audizione personale, il pubblico ministero si limi-tasse ad invitare l’interessato a rendere “dichiarazio-ni spontanee” per iscritto (non essendo necessaria la loro verbalizzazione davanti un pubblico ufficiale): non sembra al collegio che le “dichiarazioni spon-

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tanee” siano equiparabili o sostituibili all’audizione personale.

Parimenti, ad avviso del collegio, l’audizione personale, per la sua particolare funzione e finalità, è cosa ben diversa dall’audizione delegata la quale non soddisfa i requisiti richiesti dalla normativa precitata e, per l’effetto, è da ritenersi, ai fini che qui interes-sano, tamquam non esset.

Tale conclusione appare al collegio la più rispon-dente alle finalità sopra evidenziate e ai caratteri pro-pri del giudizio di responsabilità amministrativa.

1.3. Sulla obbligatorietà o meno dell’audizione personale richiesta dall’invitato al procuratore conta-bile si sono espresse le Sezioni riunite con la già citata sent. n. 7/1998, adottando soluzione analoga a quella relativa alla funzione e all’obbligatorietà dell’invito a dedurre, stante la stretta connessione delle questioni.

Le Sezioni riunite hanno concluso per l’obbligato-rietà anche della detta audizione personale osservan-do che “la mancata audizione personale violerebbe il diritto a controdedurre in sede preprocessuale che la normativa sopra riportata riconosce ampiamente all’invitato” e che “la violazione di questo diritto che, si ripete, la legge pone sullo stesso piano di quello di controdedurre per iscritto, non può che comportare sul piano procedimentale la stessa conseguenza già individuata per la mancata emanazione dell’invito a dedurre, e cioè la inammissibilità della citazione”.

1.4. Nella specie l’audizione personale tempesti-vamente richiesta della Damonte non è stata effettua-ta dal pubblico ministero.

Pertanto, alla luce di quanto sopra, nella fatti-specie in esame è mancata un’audizione personale dell’invitato a dedurre valida ad integrare l’adempi-mento previsto dall’art. 5, c 1, d.l. n. 453/1993 cit.

Le conseguenze non possono che essere quelle individuate dalle Sezioni riunite con la pronuncia ci-tata per il caso di omissione di audizione personale, cui va evidentemente ricondotto il caso, ricorrente nella specie, di mancanza di audizione valida ad in-tegrare l’adempimento previsto dall’art. 5, c. 1, d.l. n. 453/1993 cit., adempimento che rappresenta una condizione di ammissibilità della successiva azione di responsabilità.

2. Va quindi dichiarata l’inammissibilità dell’a-zione di responsabilità nei confronti della convenuta Gianna Savina Damonte.

3. Nulla va statuito sulle spese in considerazione del tipo di pronuncia adottato.

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, definitivamente pronun-

ciando, dichiara inammissibile, in rito, l’azione di responsabilità promossa dalla procura regionale nei confronti della convenuta Gianna Savina Damonte.

* * *

Sardegna

2 – Sezione giurisdizionale Regione Sardegna; de-creto 22 aprile 2015; Pres. Astraldi, Est. Contu, P.M. Bussi; Proc. reg. c. Ladu.

Giudizi di conto e per resa del conto – Agente con-tabile – Sezione regionale della Corte dei con-ti – Decreto per resa del conto – Revocabilità per intervenuto mutamento giurisprudenziale – Esclusione – Fattispecie.

C.p.c. art. 742; r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, appro-vazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, art. 39.

Il decreto col quale la sezione giurisdizionale re-gionale della Corte dei conti ordina la resa del conto giudiziale a un agente contabile è revocabile unica-mente per circostanze di fatto sopravvenute, inciden-ti sui presupposti che ne hanno determinato l’ema-nazione, e non anche per un mutamento dell’orienta-mento giurisprudenziale in materia di soggetti tenuti alla resa del conto (nella specie, è stata dichiarata inammissibile l’istanza di revoca di un decreto con il quale era stato fissato, per la resa del conto giudizia-le, il termine al presidente di un gruppo consiliare, nonostante fosse intervenuta, dopo la notifica del de-creto stesso, una sentenza delle Sezioni riunite della Corte che negava la qualifica di agenti contabili ai presidenti dei gruppi consiliari).

Fatto – Con istanza in data 5 gennaio 2015, l’on. Silvestro Ladu ha chiesto l’annullamento o la revo-ca del decreto in epigrafe, col quale è stato fissato il termine entro il quale lo stesso istante, in qualità di presidente del gruppo consiliare “Fortza Paris” avrebbe dovuto rendere il conto giudiziale relativo alla movimentazione dei fondi pubblici regionali, integranti i contributi pubblici al gruppo, accreditati dal 14 luglio 2004 al 18 marzo 2009 (termine fissato in 240 giorni dalla notifica del decreto stesso, occor-sa il 17 maggio 2014).

Col decreto camerale in epigrafe – emanato ai sen-si dell’art. 39 r.d. n. 1038/1933 – è stato premesso che, all’interno del consiglio regionale della Regione auto-noma della Sardegna, nel corso della XIII legislatura (14 luglio 2004-18 marzo 2009) è stato costituito il

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gruppo consiliare “Fortza Paris” e che il predetto orga-nismo è stato destinatario nell’arco temporale conside-rato (2004-2009) di trasferimenti erariali annuali, per il funzionamento e per l’esercizio delle proprie attivi-tà istituzionali, pari a complessivi euro 1.735.475,73, nella misura fissata dalla l. reg. n. 2/1966, modificata dalla l.reg. n. 37/1995, attraverso accreditamenti sul conto corrente n. 700006442 acceso presso il Banco di Sassari, intestato al gruppo medesimo e nell’esclusiva disponibilità del presidente e tesoriere.

Pertanto è stata affermata la natura pubblica dei gruppi consiliari, conformemente all’avviso della Corte costituzionale che, con sent. n. 187/1990, ha affermato che il personale addetto ad essi concorre, col consenso della regione, all’attuazione di compiti istituzionali.

Per quel che concerne più precipuamente l’ob-bligo di resa di conto – fissato in linea generale dagli artt. 610 e 624 r.d. n. 827/1924 – è stato sottolinea-to come esso attenga ai finanziamenti che i gruppi consiliari ricevono per l’espletamento dei loro fini istituzionali e non perché propaggini dei partiti poli-tici cui sono collegati e le cui istanze rappresentano in seno al consiglio. Di ciò è stato affermato come sicuro indice, anche in disparte le considerazioni già svolte, la circostanza che, laddove il legislatore aves-se inteso finanziare i gruppi consiliari nella loro ve-ste privatistica, avrebbe concesso i contributi di che trattasi direttamente ai partiti politici di cui essi sono l’espressione e non ai gruppi stessi.

In definitiva, appurato che i contributi di che trat-tasi sono stati erogati ad organismi pubblici per le funzioni pubblicistiche da essi assolte, è stato riaffer-mato il consolidato principio affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 114/1975) e da questa Corte (Sez. III centr. app., decr. n. 14/2013) secondo la qua-le la detenzione di denaro e valori pubblici destinato al soddisfacimento di pubbliche utilità ingenera, per se stesso, l’obbligo di resa del conto della gestione, affinché questa Corte possa valutarne la correttezza in sede di giudizio di conto.

Con l’istanza all’esame, è stato osservato che, in data successiva alla notifica del predetto decreto, è sta-ta emanata la sentenza n. 30/2014 delle Sezioni riunite di questa Corte che, intervenendo su di un contrasto giurisprudenziale, ha affermato che non è possibile rinvenire alcuna disposizione che attribuisca la quali-fica di agente contabile ai presidenti dei gruppi consi-liari, con conseguente obbligo degli stessi di rendere il conto giudiziale alla competente sezione giurisdizio-nale. Dal che le Sezioni riunite ne hanno desunto che “non è attivabile il giudizio di conto nei confronti dei

presidenti dei gruppi consiliari regionali relativamente alla gestione dei fondi pubblici erogati secondo le nor-me regionali attuative della l. n. 853/1973”. Peraltro, ad avviso di parte ricorrente, ancorché detta disposi-zione di legge si riferisca alle regioni a statuto ordina-rio, il relativo principio – per il suo carattere generale e cogente – troverebbe applicazione anche alle regioni a statuto speciale, come la Sardegna.

Con decreto del 14 gennaio 2015 il presidente della sezione ha fissato la camera di consiglio per l’esame dell’istanza in questione.

Nell’odierna camera di consiglio l’avv. Nicolini, nel sottolineare come nei confronti del decreto avver-sato l’istante non avrebbe potuto proporre reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c., giacché, al momento del deposito della citata sentenza delle Sezioni riunite, il termine ivi previsto di 10 giorni era già spirato, ha so-stenuto come l’istanza in discussione possa essere in-quadrata nell’alveo dell’art. 742 c.p.c., il quale gene-ricamente si riferirebbe alla possibilità di modificare o revocare i provvedimenti camerali. Il rappresentante del pubblico ministero successivamente intervenu-to, nel rilevare la peculiarità del giudizio per resa di conto, ha sollecitato una pronuncia d’inammissibilità dell’istanza, la quale conterrebbe in realtà motivi di reclamo e non di revoca; mentre, ad avviso del requi-rente, l’interesse dell’istante a contestare la sua quali-fica di agente contabile potrebbe esser fatta valere lad-dove fosse attivato il procedimento per l’applicazione della sanzione nel caso di mancata resa del conto.

Diritto – 1. Come è andato emergendo nella par-te in “fatto”, il ricorrente chiede, nella sostanza, la revoca dell’originario decreto che intimava la resa del conto nella considerazione che, dopo la data della sua notifica (17 maggio 2014) è intervenuta la sen-tenza delle Sezioni riunite di questa Corte n. 30/2014 (depositata il 4 agosto 2014) la quale avrebbe negato in radice la qualifica di agente contabile in capo ai presidenti del gruppi consiliari (ancorché tesorieri). La questione che si pone all’esame del collegio è se detta istanza sia ammissibile, vuoi alla luce della normativa sull’impugnabilità dei provvedimenti resi in camera di consiglio, sia in ragione della peculia-rità del giudizio per resa di conto. Per una corretta risposta al quesito, può essere utile un breve cenno alla natura dei provvedimenti camerali così come di-sciplinati dagli artt. 737 ss. c.p.c.

Orbene, come perspicacemente ha osservato la dottrina processualistica, la normativa citata può es-sere considerata come una sorta di “contenitore” nel quale sono ricompresi procedimenti eterogenei per in-teressi tutelati e finalità: si pensi ai procedimenti di vo-

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