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Per i diritti degli ultimi N. 11 novembre 2014 Anno LIII - n.11 / novembre 2014 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 1,03 AMICI di FOLLEREAU DOSSIER: sulle tracce di Follereau

AMICI di FOLLEREAU - aifo.it · Follereau ha voluto fosse dedicata ai malati di lebbra, cade il prossimo 25 gennaio. È tempo di preparare la presenza di gruppi e di persone solidali

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Per i diritti degli ultimi N. 11 novembre 2014

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AMICI di FOLLEREAUDOSSIER: sulle tracce di Follereau

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La Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra (GML) è per Aifo l’avvenimento più importante dell’anno.

L’ultima domenica di gennaio, che il nostro Fondatore Raoul Follereau ha voluto fosse dedicata ai malati di lebbra, cade il prossimo 25 gennaio.

È tempo di preparare la presenza di gruppi e di persone solidali nelle piazze d’Italia per organizzare i banchetti dove proporre il Miele della solidarietà e altri prodotti per sostenere i progetti Aifo nel mondo, per diffondere l’informazione e rendere sensibile un pubblico più grande.

I gruppi e le persone solidali possono rivolgersi alla sede nazionale per segnalare la propria disponibilità, ricevere il materiale per organizzare la GML che, come da tradizione, si sviluppa prima e dopo la giornata di gennaio.

Vivere è aiutare a vivere

AIFO - Segreteria e Servizi Generali - Tel 051 4393211 - Fax 051 434046 www.aifo.it - e-mail: [email protected]

25 GENNAIO 2015 SI PREPARA LA GRANDE PIAZZA AIFO

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Editoriale

Vivere è aiutare a vivere

V ivere è aiutare a vivere

Care amiche, cari amici, questa frase di Raoul Follereau sarà quella che ci accompagnerà nella nostra attività di quest’anno, nella nostra attività sia in Italia, nel nostro ambiente, che

per i nostri Progetti all’estero. O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l ’uomo vivrà per l ’uomo o gli uomini moriranno.Tutti e tutti insieme.Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire.Bisogna scegliere. Subito. E per sempre.(R. Follereau)

Forse mai come in questo momento storico ci rendiamo conto della realtà di queste parole e dell’importanza di tener viva la speranza, di tener vivo quell’anelito di giustizia e di pace (e di pace con un po’ di giustizia), di difendere l’uomo e la sua dignità al di là delle molteplici lebbre dell’egoismo e dell’indifferenza. Ci rendiamo conto della necessità di essere presenti nelle nostre realtà di tutti i giorni, non dimenticando di far funzionare la testa e il cuore.

Come si fa a rinchiudersi in un egoistico provincialismo quando mezzo mondo sta scoppiando? Quando il Medio Oriente e il Nord Africa, a un passo da noi, senza parlare dei tanti altri Paesi, sono scossi da terribili sconvolgimenti che obbligano popoli a scappare per non morire?

Restiamo umani scriveva Vittorio Arrigoni alla fine di ogni suo articolo, anche durante i peggiori bombardamenti di Gaza.

La nostra azione di volontari serve anche a questo: a non lasciare che l’abitudine agli orrori che la televisione ci fa passare davanti ogni giorno provochi l’indifferenza e la morte della pietà. La forza ideale del messaggio profondamente umano e cristiano di Follereau è quello che deve permeare i nostri Gruppi e la nostra azione ed è quella con la quale porteremo avanti tutti i nostri programmi e tutte le iniziative, che la generosità suggerirà ai nostri soci e volontari. Io credo che proprio nei momenti di crisi si resta più uniti, si lavora al meglio e si scoprono energie insospettate.

Coltiviamo il coraggio di Follereau, che istituiva L’ora del povero in uno dei periodi più difficili della nostra storia: le capacità maturate dalla nostra Associazione possono essere utili ad affrontare in rete anche tanti problemi di questo nostro confuso mondo occidentale. E nello stesso tempo continuiamo nella nostra missione di sensibilizzazione e aiuto verso i tanti “ultimi” del

mondo, le tante persone dei nostri Progetti, che contano su di noi.

Il 3 Dicembre: Giornata internazionale delle persone con disabilità.

L’ultima domenica di Gennaio: Giornata mondiale dei malati di lebbra.

Due date che scandiscono durante l’anno il nostro maggiore impegno.

Circa un miliardo di persone con i più diversi gradi di disabilità e solo il 5% dei bambini con disabilità nel Sud del mondo va a scuola. L’Oms segnala costantemente da anni oltre 200.000 nuovi casi di lebbra, cifra largamente sottostimata, e tanti milioni di persone guarite, ma con gravi disabilità legate alla lebbra, perché arrivate tardi alla cura. Anche bambini: possiamo sopportare nell’anno 2014 questa vergogna? Tutte persone delle quali al mondo non importa nulla, se non per metterle da parte. Tutte persone che con un piccolo aiuto possono prendere il loro posto nella società e anche diventarne leader. È la nostra sfida!Vivere è aiutare a vivere.

“ “ESSERE PRESENTI NELLE NOSTRE REALTÀ DI TUTTI I

GIORNI, NON DIMENTICANDO DI FAR FUNZIONARE LA TESTA E IL

CUORE.

Anna Maria Pisano

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ProfeziaLettera al nipote disabile

Primo pianoGaza: guerra ai disabili

Sardegna: paradiso di guerra

DossierCosta d’Avorio: sulle tracce di Follereau

ProgettiLo yogurt più buono della Mongolia

Cina: un raggio di sole tra le montagne

StrumentiRaoul Follereau e il diritto al cibo

EsperienzeKaramo, che non abbiamo scelto

Claudio Imprudente

Nicola Rabbi

Mariella Cao

Luciano Ardesi

Nicola Rabbi

Li Fukang

a cura del Settore Educazione e Formazione Aifo

Carmelo Spinali e Nella Ternullo

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Eccoci anche quest’anno giunti alla fatidica data: 3 dicembre, giornata internazionale dedicata dall’Onu ai diritti delle persone con disabilità. Per tanti una giornata-simbolo di

emancipazione e rivendicazione ma anche, in alcuni casi, di commercializzazione e buonismi di facciata. Cito il mio amico Franco Bomprezzi, giornalista con disabilità, tra gli autori del blog Invisibili del Corriere della Sera: “Retorica? Rito che si ripete? Inutile ipocrisia pubblica di facciata? Ne facciamo a meno? Tanto non serve a niente e la realtà è sempre più dura? Sono le domande che tutti ci siamo posti, in questi giorni. Per stanchezza, per delusione, per paura di fronte agli effetti della crisi, che colpisce in tutto il mondo le politiche di welfare e di inclusione sociale. Eppure no, non sono d’accordo. Sarò un inguaribile ottimista, ma sono convinto che le parole servano, che i momenti di riflessione aiutino a serrare le fila, e a fare rete. Rifiutare il silenzio”.

Ecco, forse le parole di Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu che dice: “Occorre colmare il divario tra le buone intenzioni e le azioni attese da tempo” possono davvero apparire un po’ di circostanza, visto che la Convenzione, approvata più di otto anni fa, e legge anche nel nostro paese, è ancora un oggetto misterioso non solo per chi governa, ma anche per gli addetti ai lavori, gli operatori del settore, persino moltissime persone con disabilità, che pure dovrebbero

5Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014 |

UNA VOLTA CONQUISTATI, I DIRITTI DEVONO ESSERE MESSI IN PRATICA E TRAMANDATI ALLE NUOVE GENERAZIONI. E DEL PROPRIO CORPO

NON BISOGNA MAI AVERE PAURA

di Claudio Imprudente *

Lettera al nipote disabile

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Ecco cosa gli scriverei. Vorrei, caro nipote, proprio a te che hai una disabilità, regalarti

qualche consiglio, a partire dalla mia esperienza, dalla mia vita vissuta, perché tu possa fare altrettanto e di più.

Ritorno ai banchi di scuola, ai tempi in cui frequentavo le scuole speciali. Sai cosa erano? Immagina delle scuole costruite e pensate esclusivamente per persone con disabilità, in cui l’unico normodotato è la maestra, divisa tra deficit e abilità estremamente diverse tra loro … Forse oggi il tuo compagno di banco ti aiuta a fare i compiti insieme alla tua insegnante di sostegno e poi ti porta a giocare a calcio, a basket o a quello che più ti piace … Tutto questo non è scontato. È il frutto di anni di fallimenti, prese di coscienza, riflessioni, lotte e conquiste che ci hanno portato fin qui, a un’immagine della disabilità capace di contaminazioni, incontri, confronti con altre discipline ed esperienze.

Se oggi c’è ancora qualcosa da fare, è soprattutto recuperare quella voglia lì, il desiderio cioè di non dare nulla per assodato e andare sempre oltre, per arrivare, finalmente, a non dover più parlare di integrazione ma semplicemente a viverla. Sapere quello che c’è stato prima di te è importante. La memoria storica, come ci ricorda un illustre della biografia culturale del nostro paese, Umberto Eco, è fondamentale per il tuo futuro e forse anche per il mio, perché mi piace pensare che quello che ho fatto possa proseguire con te, nelle tue battaglie e nei tuoi traguardi.

Di certo non ti mancheranno gli strumenti, oggi l’innovazione è a portata di click. Mi permetto però di dirti che questo non basta, perché non è su Facebook che incontrerai lo sguardo degli altri e soprattutto non è lì che ne sentirai il peso su di te.

Ricordati che se qualcuno ti guarda negli occhi e tu abbassi lo sguardo hai perso ma se tu ricambierai il suo sguardo allora avrai vinto. E su questo, credimi, non c’è ausilio o tecnologia che tenga.

Non avere paura del tuo corpo, anche se è deforme, usalo, sappi essere artista di te stesso e mettilo sempre al centro degli altri. Non vergognarti dei tuoi desideri. Ricordati che sei una persona completa, che potresti anche innamorarti e far innamorare.

Il mondo che vi lasciamo in mano non è certo “il migliore dei mondi possibili”, ma questo serve a ricordarti cos’era qualche anno fa, perché senza conoscere il nostro passato non possiamo cambiare il nostro presente. ■

* Presidente onorario del Centro Documentazione Handicap di Bologna

stamparla e tenerla sul comodino. Ma c’è almeno un buon motivo per non rinunciare al 3

dicembre: è la memoria. La storia dei diritti, di come eravamo. Sono d’accordo con Franco Bomprezzi, la memoria contiene sempre in sé una piccola profezia: costruire il futuro a partire dal passato, il tema centrale di questa giornata, il motivo per cui vale la pena darsi tanto da fare per preservarne il ricordo e l’esperienza.

Se è vero che è la memoria che fa la storia, si potrebbe dire che la disabilità è storia recente. Cosa ci aspetta dunque ora? Conquistati i diritti arriva il momento non solo di metterli in pratica ma anche di tramandarli. E a chi se non alle nuove generazioni?

Che cosa accadrà ai futuri bambini e ragazzi con disabilità? Me lo chiedo spesso. Così, più che mettermi a fare profezie come la Pizia dell’oracolo greco, mi sono divertito a immaginare un dialogo nel presente, una lettera, rivolta a un ipotetico nipote con disabilità, proprio come fece Umberto Eco nella discussa testimonianza pubblicata su L’Espresso. Una lettera, molti di voi l’avranno letta, che desidera dialogare con una generazione che sta crescendo con ritmi e strumenti culturali molto veloci e frenetici, sicuramente diversi dai nostri. È sotto gli occhi di tutti. Pensate alle abitudini dei nostri figli, dei nostri nipoti attaccati ai pc e bombardati da continue informazioni… riconoscersi risulta difficile, tanto è mutata la società in questi ultimi anni.

6 Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014

Profezia

Fonte: AJP/shutterstock

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In qualsiasi società una persona con disabilità incontra più difficoltà di altre; per muoversi, per trovare un lavoro o avere una vita sociale e affettiva, un disabile deve far fronte a molte barriere sia fisiche che culturali

e spendere molte più energie e soldi per cercare di superare queste difficoltà. Ma cosa succede quando una persona disabile vive in un paese sotto assedio da anni e dove c’è stato un attacco della durata di 51 giorni dagli effetti devastanti?

“Include”: un progetto per le donne disabili di GazaUn’occasione per parlarne in termini precisi, ce la offre la

testimonianza di persone che lavorano su questi temi in quel paese martoriato. A Gaza, da un paio di anni, l’Ong Educaid assieme ad Aifo e Rids (Rete italiana disabilità e sviluppo), sta portando avanti il progetto Include “Promozione socio-economica delle donne con disabilità nella striscia di Gaza” che offre molte attività aventi come scopo la promozione dei diritti.

Tra le attività una mira al rafforzamento delle capacità

imprenditoriali finanziando, con un prestito a fondo perduto, il loro avvio. “Abbiamo finanziato 34 idee, mediamente con 2 - 3 mila euro ognuna - dice Adriano Lostia, responsabile Paese per conto di Educaid - le attività proposte erano piuttosto diverse e andavano dal design all’allevamento di polli e pecore, dal salone di bellezza a piccole attività commerciali come cartolerie o drogherie”.

Parallelamente a quest’azione Include ha portato avanti anche la presa di coscienza e la sensibilizzazione della popolazione in generale attraverso un percorso di formazione nell’uso dei media. “Quest’azione ha coinvolto 30 donne, laureate e già impegnate nei media - continua a spiegare Lostia - a loro abbiamo dato un’ulteriore formazione a quella che già avevano; hanno quindi coinvolto attraverso dei workshop altre 120 donne con disabilità appartenenti a organizzazioni impegnate nel campo della disabilità”.

Il risultato di quest’attività sarà presto visibile sul sito www.include.ps, dove si potranno vedere 15 brevi video e sarà pubblicata una rivista dal titolo Voice of women.

LE PERSONE CON DISABILITÀ SONO STATE PARTICOLARMENTE COLPITE DURANTE L’ATTACCO A GAZA. MORTI, FERITI, STRUTTURE E SERVIZI CANCELLATI DALLE BOMBE E ALTRE PERSONE RESE INVALIDE DALLA GUERRA

di Nicola Rabbi

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Guerra ai disabili

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Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014 8

“Margine di protezione”: ma per chi?È questo il nome dell’offensiva di terra e dal cielo che

l’esercito israeliano ha condotto nella striscia di Gaza dall’8 luglio al 26 agosto anche come risposta all’omicidio di tre adolescenti israeliani avvenuto nel giugno precedente. I dati parlano di oltre 2.000 morti palestinesi (la stragrande maggioranza civili), più di 11 mila feriti, 16.000 abitazioni private distrutte e pressoché ogni fabbrica danneggiata. Se queste cifre vengono lette dalla prospettiva di un’Ong che lavora sul tema della disabilità o dai disabili stessi, questi dati diventano ancora più terrificanti.

“Sono ritornato a Gaza durante il cessate il fuoco - continua Lostia - e la situazione che ho trovato era molto mutata in peggio. Delle 150 donne che seguivamo, nessuna per fortuna era rimasta vittima dei bombardamenti, ma alcune di loro avevano perso dei parenti, altre la casa”.

La cosa che più lo ha colpito è stato il cambiamento di clima tra la popolazione che Lostia conosce bene visto che frequenta la Palestina da 11 anni. “Questa guerra ha messo le persone una contro l’altra. Poiché non si sapeva dove scappare, dato che a Gaza non si può uscire, la gente si spostava cercando un posto sicuro; si cercavano altre case ma

i proprietari non volevano inquilini che non conoscevano, perché bastava che una sola persona avesse avuto dei rapporti con Hamas che l’intero edificio correva il rischio di essere demolito dalle bombe”.

I più deboli sono i più colpitiIl progetto Include ha anche una pagina Facebook

(Include Gaza) che raccoglie foto, testimonianze e dati sulle ripercussioni che la guerra ha avuto sulla popolazione disabile: 11 persone con disabilità sono state uccise durante i bombardamenti, altre 10 sono state ferite. Questi numeri non sono alti, anche se si tratta comunque di vite umane, ma accanto a questo si deve aggiungere la distruzione delle case, delle strutture pubbliche e dei servizi che le associazioni e le Ong prima offrivano. Le bombe e i razzi hanno portato al danneggiamento di 13 ospedali, 15 pronto soccorso, 35 strutture che offrivano servizi socio-sanitari, alla distruzione di 12 ambulanze. Le macerie poi non fanno altro che aumentare le barriere architettoniche. Per finire questa guerra ha “regalato” alla società palestinese di Gaza altre persone rese invalide per via delle ferite ricevute (sono stati stimati mille nuovi invalidi).

Sul sito del progetto Include (www.include.ps) sono documentate anche le storie di alcune persone disabili, come quella di Mai Hamada, una ragazza palestinese di 19 anni ferita mentre dormiva all’interno del Mabarat Falasteen Society for Handicapped, un centro residenziale per persone con disabilità. In un altro post si segnala invece la parziale distruzione dell’Al-Basma Club for the Disabled (www.basmaclub.ps), un centro esistente dal 2005 e gestito da persone disabili e non, che promuovono attività sociali e sportive, organizzano servizi per una migliore partecipazione della persona disabile alla società civile palestinese di Gaza. Tutto questo è stato spazzato via o gravemente compromesso in poco tempo con le bombe.

Guardare la guerra dalla prospettiva di chi ha più bisogno, di chi è più debole servirebbe a tutti, a Hamas come all’esercito israeliano. Ricostruire è molto più difficile che distruggere e questo vale ancora di più per le persone disabili. ■

Emancipare i disabili nella striscia di Gaza Aifo ha partecipato al progetto Include attraverso una formazione, condotta dal dr. Sunil Deepak, a 30 donne disabili palestinesi. Durante gli incontri le donne hanno raccontato le difficoltà che devono affrontare ogni giorno per accedere ai servizi socio-sanitari, hanno parlato anche della mentalità dei genitori di bambini disabili e hanno riportato al gruppo esempi positivi di persone con disabilità che hanno avuto successo nel lavoro. “L’Implementing Emancipatory Disability Research - spiega Sunil Deepak - consiste in un metodo che vede la partecipazione diretta delle persone con disabilità, la loro presa di coscienza, la sensibilizzazione della popolazione e il rafforzamento delle capacità delle altre persone disabili”. Dalla testimonianza di molte donne emerge come il personale sanitario palestinese (medici, specialisti, infermieri) non sia assolutamente preparato ad accogliere le persone con disabilità come pazienti.

Primo piano

Fonte: archivio fotografico di Educaid

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Primo piano

LE BASI MILITARI IN SARDEGNA TRA DISASTRO AMBIENTALE E DEVASTAZIONE SANITARIA. UN PROCESSO SI APRE, MA LE SERVITÙ

MILITARI CONTINUANO

di Mariella Cao *

PARADISO DI GUERRA

Paradiso turistico, pattumiera bellicaPer delineare il quadro basta l’osservazione di

uno scienziato tedesco: l’Europa cova nel suo seno la sua Fukushima, Quirra. La Sardegna concentra

il 60% del demanio militare, 24.000 ettari di terra a fronte dei 16.000 distribuiti nella penisola. Al demanio si sommano le servitù, circa 11.000 ha. L’estensione delle zone aeree e marittime militarizzate non ha termini di raffronto, uno solo dei quattro tratti di mare annessi al poligono Salto di Quirra (altopiano a nord-est Cagliari) con i suoi 28.400 kmq supera la superficie dell’isola, 23.821 kmq.

Il 91% del demanio è usato per le devastanti attività life fire, con vero munizionamento da guerra, che si articola in tre Poligoni permanenti: Salto di Quirra (130 kmq a terra), Capo Teulada, nell’estrema punta sud-occidentale (72 kmq a terra, 750 kmq a mare) i più vasti e a più intenso utilizzo d’Europa; Capo Frasca sulla costa occidentale (14,16 kmq a terra, non quantificabili gli enormi spazi aerei e marittimi classificati Restricted e Danger). A La Maddalena, in una superficie quasi irrisoria, si è concentrato il peggio: base Us Navy per sommergibili nucleari dal 1972 al 2008, area mai bonificata; Arsenale della Marina militare, dismesso e oggi

agli “onori della cronaca” per l’inquinamento prodotto e la disastrosa bonifica; due depositi Nato attivi, uno di armi e munizioni, l’altro di carburante navale, estesi sottoroccia per circa 20 km ciascuno, bombe innescate nel cuore dell’arcipelago paradiso turistico.

I regolamenti Nato, che impongono la bonifica subito dopo ogni esercitazione, in Sardegna non sono mai stati applicati. L’indagine commissionata dalla Difesa al CNR (2005) su una parte del tratto di mare annesso al poligono di Teulada, in linea con i centri studi delle Forze armate USA, valuta 30 anni di lavori, a poligono “spento”, solo per rimuovere la ferraglia bellica. Nulla è stato fatto.

La legge italiana (898/76, 104/90) riconosce che le installazioni militari causano alle popolazioni coinvolte un danno economico e sociale, di conseguenza in base al principio di eguaglianza, impone al ministro della Difesa di provvedere all’equa redistribuzione dei gravami militari su tutto il territorio nazionale. Tutti i ministri hanno tranquillamente evaso l’obbligo. Non intendiamo scaricare su altri l’abnorme eccesso di servitù. Il surplus deve sparire! Il ripudio della guerra implica il ripudio delle basi, dei poligoni, degli arsenali di guerra.

9Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014 |

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10 Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014

La salute devastataI drammi umani che conosciamo, per quanto parziali,

sono traducibili in numeri che pesano come macigni. Sono 32 i militari colpiti dalla “sindrome Golfo-Balcani” senza mai essere andati nei teatri di guerra; Escalaplano, 2.400 abitanti, 14 bambini malformati, 10 persone con tumori emolinfatici e tiroidei; nei tre paesi costieri, circa 50 persone rientranti nelle categorie esposte (dipendenti civili del poligono e delle ditte operanti nel poligono, familiari di militari, coltivatori di terreni prossimi al poligono di Quirra) colpite dalla sindrome; Quirra, frazione di Villaputzu, meno di 150 abitanti, 21 persone distrutte da leucemie e linfomi.

Le compiacenti indagini epidemiologiche ufficiali, nonostante il ricorso massiccio ai “trucchi di mestiere”, non sono riuscite ad occultare del tutto la strage. Ad esempio, dal raffronto dei dati epidemiologici dell’Asl8 e dell’ESA emerge: mortalità per tumore al sistema emolinfatico, su 26.183 abitanti 36 casi, 14 di questi concentrati tra i 5004 abitanti di Villaputzu, cioè tra il centinaio di abitanti della frazione Quirra; mortalità linfoma Non Hodgkin, 70% a Villaputzu-Quirra.

Nel corso di oltre un decennio l’ostinata lotta dal basso, portata avanti congiuntamente da comitati antimilitaristi della Sardegna, da famiglie e associazioni di militari, sostenuta da un ristrettissimo numero di parlamentari, ha impedito che calasse il silenzio, ha mantenuto alta l’attenzione e ha strappato alcuni risultati.

Due Commissioni parlamentari d’inchiesta (2005/08) sull’uranio impoverito e la contaminazione bellica hanno concluso: che il principio di precauzione e dell’evidenza sufficiente prevale sull’incertezza scientifica attinente il nesso causa-effetto tra le attività militari e “i dati inoppugnabili” dei tassi anomali di patologie rilevati tra militari inviati nei teatri di guerra, militari in servizio nei poligoni e popolazioni residenti nei pressi dei poligoni; “L’assenza di certezze scientifiche non deve servire da pretesto per ritardare l’adozione di misure” (Onu, Protocollo di Rio 1992). Inoltre sull’Amministrazione della Difesa grava grava l’obbligo di risarcire le vittime militari e civili; i poligoni sono equiparati ai teatri di guerra, la popolazione che vive nei pressi dei poligoni è equiparata ai militari inviati nei teatri di guerra.

Le sentenze della Magistratura di condanna del ministero della Difesa sono sempre più numerose. Il 2011 è stato l’anno della scossa che ha aperto la breccia del muro di gomma eretto a protezione dei santuari militari. L’indagine sugli allevamenti ovini nell’area del poligono di Quirra condotta dalle Asl (2010) - destinata al top secret, “fuggita e approdata” in internet e nei media internazionali – rileva la connessione tra alterazioni genetiche delle greggi e neoplasie degli allevatori; evidenzia la tendenza all’incremento; quantifica i dati: il 65% dei pastori che lavorano entro i km 2,7 dell’area a mare del poligono (Quirra) e il 30% di quelli che hanno il gregge nell’area militare dell’altopiano ha contratto un tumore.

L’Inchiesta della Procura di Lanusei, avviata nel gennaio 2011 in seguito al rapporto choc dei veterinari, ha portato alla luce le truffe della “scienza di Stato” e uno scempio ambientale che supera i nostri peggiori sospetti. Per la prima volta in Italia e in Europa un poligono è stato messo sotto accusa e sotto sequestro pezzo dopo pezzo. Dopo due anni, 12 dei 20 imputati sono stati fatti uscire di scena. Per quanto ridotto ai minimi termini l’impianto accusatorio, il rinvio a giudizio di otto generali comandanti della base di Quirra (2004-2010), è una vittoria anche del movimento popolare per liberare la Sardegna dal ruolo di “Paradiso di guerra”. ■

*Comitato Gettiamo le Basi

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Fonte: spotmatik/shutterstock

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11Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014 |

Viaggio in Costa d’Avorio da dove Follereau ha iniziato la battaglia con-tro la lebbra. Un paese oggi alle prese con una difficile riconciliazione,

tra povertà e nuove emergenze

di Luciano Ardesi

La pista di terra rossa, resa più accesa dalla pioggia caduta qualche ora prima, taglia come una lama la boscaglia. Le donne e i bambini, con i catini sulla testa, procedono

ai lati del nastro rosso sfiorando alberi ed arbusti. Per quanto di un verde intenso, le foglie lucide di pioggia restituiscono pur sempre una pallida immagine della foresta tropicale che avevano attraversato a partire da Adzopé le suore di Nostra Signora degli Apostoli quando avevano fatto appello a Raoul Follereau per costruire quello poi diventerà un centro per i malati di lebbra.

Adzopé oggi è una cittadina di alcune decine di migliaia di abitanti, a un centinaio di km da Abidjan, sulla strada che dalla capitale economica

del paese sale a nord-est verso i confini col Ghana. Prima di prendere la pista, una visita al Distretto sanitario di Adzopé è d’obbligo, per annunciare la visita all’ospedale dell’Istituto Raoul Follereau. Qui vengono curati i malati di lebbra e le persone colpite dall’ulcera del Buruli, che negli ultimi anni ha colpito in modo particolare la Costa d’Avorio, e che ha all’origine un microbatterio della stessa famiglia di quello che causa la lebbra e la tubercolosi.

Ebola, una nuova emergenzaNell’aria c’è già una nuova emergenza, quella

d’ebola. Siamo lontani dal confine con la Liberia, ma il governo oltre a chiudere la frontiera e ad

DOSSIER

SULLE TRACCE DI FOLLEREAU

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12 Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014

allertare le strutture sanitarie ha imposto alcune misure precauzionali, come evitare gli abbracci e le strette di mano. Ed è il dilemma anche per il direttore sanitario che mi sta di fronte.

Il dilemma non si era posto qualche giorno prima nella cattedrale di Bouaké alla messa dell’Assunzione. Alle parole del vescovo “scambiatevi un segno di pace”, a nessuno dei fedeli è venuto in mente di esitare. Del resto, durante la sua omelia, il vescovo aveva spiegato che quel gesto di pace e d’amore non avrebbe potuto, sotto le ali dello Spirito santo, far male a nessuno, anzi.

L’imbarazzo si scioglie sulle labbra di entrambi e con un largo gesto della braccia che mi accoglie. Non ci sono formalità per quella che è considerata ormai come una consuetudine per i visitatori stranieri che passano da queste parti.

Il nastro rosso si snoda con leggeri saliscendi e all’improvviso si allarga in una pozza d’acqua ai cui lati si legge sbiadito il nome del villaggio. Duquesne-Cremone. Villaggio fondato dal Padre Duquesne e gli amici dei lebbrosi di Cremona (Italia). Il gruppo di Cremona è stato tra i pionieri nel sostenere la costruzione dell’ospedale e delle case del piccolo centro. È il villaggio dove vivono gli ex-malati di lebbra che, dismessi dall’ospedale, non hanno trovato accoglienza altrove. Ancora oggi vi abitano un centinaio di ex-malati e le loro famiglie. Del resto per le stradine si vedono soprattutto bambini e giovani. Passaggio obbligato per l’ospedale, beneficia ciclicamente dell’aiuto di associazioni straniere. Gli ultimi ad essere passati, un anno fa, gli americani venuti a rimettere in sesto le case che la vetustà e il clima tropicale rendono fragili.

L’Istituto Follereau di AdzopéIl portale d’ingresso dell’Istituto Raoul Follereau

di Adzopé richiama una certa solennità. Superate le sbarre d’ingresso, il largo e lungo viale che conduce al cuore del centro ospedaliero è formato da edifici ad un piano che ospitano diversi servizi amministrativi, e verso la fine i padiglioni con i malati di lebbra e dell’ulcera del Biruli. Dietro i padiglioni le abitazioni dei medici, di parte del personale e un internato per gli studenti in medicina che vengono qui a fare lo stage. Alla fine del lungo viale una Madonnina bianca su un piedestallo, fa da rotatoria da cui partono i viali dove sono collocati i padiglioni dei malati e i diversi servizi. Il nome di Giovanni Paolo II dato ad uno di questi viali ci ricorda che il papa era stato in visita il 12

maggio 1980. A fianco della rotatoria, ben visibile a tutti è

stata eretta la statua in bronzo di Raoul Follereau a braccia aperte, a fianco una pietra bianca con scolpite braccia tese che si protendono verso di lui. La sede della direzione, rifatta di recente, accoglie i visitatori. Il dr. Bamba Vagamon, un giovane medico specializzato in dermatologia, è il direttore dal 2012.

“L’ospedale – spiega – ha una capacità di 172 letti, ed accoglie attualmente un centinaio di malati circa. I pazienti rimangono generalmente 4-5 mesi poi sono dimessi. Durante la degenza possono essere assistiti dalle famiglie”. Per questo si vedono dei bambini nei padiglioni femminili. “Le medicine sono gratuite, fornite dalla Stato”.

L’ospedale è specializzato nella chirurgia, “chirurgia funzionale – tiene a sottolineare – non di tipo estetico”. Attualmente l’ospedale si avvale di 7 medici e di una ventina di infermieri professionali, e di altrettanti ausiliari. “La malattia della lebbra – spiega – toglie identità. Si pensi ad esempio alla fotografia per una carta d’identità, oppure alle impronte digitali”. Ma il dr. Vagamon è altrettanto attento a salvaguardare la dignità dei pazienti. “Si può fotografare ovunque, ma non riprendere i volti, le persone da vicino”.

Gli spazi ampi, l’allineamento degli edifici danno un aspetto di grande ordine e pulizia, che del resto si osserva anche nelle stanze dei malati. Il laboratorio ortopedico permette di costruire ed adattare sul posto le protesi dei pazienti, e di coloro che gravitano attorno all’ospedale. Accanto vi è una sala di fisioterapia, sufficientemente attrezzata. Nel cortile del blocco operatorio troneggia un busto di Follereau. Il solo edificio

DOSSIER

Fonte: Anna Contessini

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completamente vuoto è la scuola, siamo in agosto.L’insegnamento è compito delle suore di Nostra

Signora degli Apostoli, all’origine del centro di Adzopé. Nel grande edificio un po’ in disparte, che le ospita sono rimaste solo tre suore, di cui due sono in congedo. Suor Christiana è ivoriana, ed è arrivata da poco, dal novembre 2013. Esita a farsi fotografare perché vestita all’ivoriana, con un panno colorato attorno ad un corpo esile e minuto che nasconde una grande energia malgrado l’età avanzata.

Fino al 2010 c’erano anche suore italiane, oggi rientrate. Ma più che le energia nuove, fanno difetto le risorse. “Mancano i benefattori – non esita a sottolineare – le medicine, i materiali per i laboratori sono insufficienti, manca l’ambulanza”. Il suo è un appello, non certo una critica alla gestione dell’ospedale. Ci tiene a sottolineare le competenze del dr. Vagamon e a ricordare che è musulmano, e che questo non hai mai creato problemi. L’ospedale comprende una grande chiesa, dove padre Francesco, italiano, ha funzione di parroco, anche lui in congedo in questo mese di agosto.

L’Istituto Follereau di ManikroL’Istituto Nazionale Raoul Follereau ha un altro

ospedale, a Manikro, vicino a Bouaké, la seconda città della Costa d’Avorio, nel cuore del paese e della ribellione e della guerra civile che lo hanno devastato dall’inizio del secolo fino a due anni fa. Da Bouaké passa l’asse centrale delle comunicazioni nord-sud dove si incontrano con più frequenza i veicoli dei caschi blu della missione dell’Onu, segno che la riconciliazione politica lascia ancora spazio ad una certa insicurezza. I posti di blocco sono numerosi, un modo per la truppa locale per arrotondare il salario, oltre a scoraggiare i “taglia-strade” che soprattutto di notte prelevano la loro parte di bottino.

In onore del medico francese che vi aveva operato a lungo ha preso il nome di Raffierkro, il villaggio (kro) del dr. Gilbert Raffier, che lo ha fondato all’inizio degli anni ‘60, con l’aiuto di Follereau, che lo aveva visitato, e delle associazioni nate nei diversi paesi, come luogo per gli ex-malati di lebbra che erano stati curati nell’ospedale appena al di là della strada.

Il villaggio ha un aspetto vivace, anche grazie alle nuove generazioni che vi sono cresciute. Come in altri piccoli villaggi per i malati di lebbra, le sue case portano le targhe con i nomi dei gruppi e dei paesi che hanno contribuito alla sua costruzione.

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Fonte: Anna Contessini

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DOSSIER

Follereau e Adzopé Follereau si reca per la prima volta ad Adzopé nel 1950 per visitare il nuovo centro per i malati di lebbra per il quale si era speso da tempo. Quell’anno segna del resto l’avvio possente di quella battaglia per la lebbra che non abbandonerà mai più. Se i primi lebbrosi li aveva conosciuti per caso a metà degli anni ’30 nel corso di un viaggio in Africa, il suo impegno nasce a … Venisseaux, alla periferia di Lione, dove durante la guerra si è rifugiato con la moglie presso le suore di Nostra Signora degli Apostoli. Qui, suor Eugenia, di origini italiane, gli parla del progetto di un centro dove i malati di lebbra potranno vivere ed essere curati in piena libertà. Suor Eugenia ha individuato fin dal 1942 il luogo, a pochi km dal piccolo centro di Adzopé. Sono necessari molti denari, ed è quello che Follereau si impegna a raccogliere, attraverso appelli e conferenze a partire dal 1943 quando, contemporaneamente, lancia la campagna per L’ora dei poveri, l’equivalente di un’ora di salario all’anno in una Francia prostrata dalla guerra e dalla miseria. Il primo sito a soli tre km da Adzopé si rivela ben presto inadeguato, tanta è la diffidenza degli abitanti. Un nuovo terreno a una dozzina di km dalla cittadina è donato dal governo coloniale, e i lavori per il nuovo centro riprendono ben presto. Terminato per l’essenziale nell’estate del 1950, i pazienti vi traslocano. Ed è qui che Follereau li incontrerà. Le suore oggi rivendicano tuttavia la propria vocazione visionaria: Adzopé è soprattutto opera loro, Follereau ne è stato il benefattore. La svolta nel 1971 quando il presidente della Repubblica, e padre della patria, Houphouët-Boigny in occasione della 18a GML, il 31 gennaio, inaugura, alla presenza di Raoul Follereau, l’Istituto Nazionale Raoul Follereau, istituito ufficialmente nell’ottobre del 1968 e posto sotto la tutela del Ministero della salute. Sono gli anni in cui il paese conosce una straordinaria crescita grazie alle esportazioni di cacao e caffé. La crisi economica prima, e soprattutto quella sociale e politica a partire dalla fine del secolo, toccheranno anche Adzopé, e l’altro ospedale, a Manikro, nel distretto di Bouaké, al centro del paese, il più toccato dalla guerra e dall’insicurezza.

A giudicare dalle targhe, particolarmente rappresentata la solidarietà italiana. Nel villaggio vivono anche gli infermieri che si occupano degli ex-malati. L’ospedale è invece in mezzo al guado. I vecchi edifici sono stati abbandonati, dopo il saccheggio del 2002 da parte delle bande armate, quelli nuovi sono stati terminati ma sono vuoti. Un medico viene ogni mattina da Bouaké per le consultazioni, ma manca l’essenziale: laboratori, attrezzature e naturalmente il blocco operatorio. Ci vorrà tempo per rimetterlo in funzione dopo gli anni della guerra.

A Yamoussoukro, più a sud di Bouaké, e capitale ufficiale del paese, resa celebre per la famosa replica della basilica di San Pietro, il direttore del dipartimento della salute, il dr. Lucien Lehie Bi, traccia un quadro positivo della lotta alla lebbra. Prende un documento e me lo mostra: è il discorso tenuto nel gennaio di quest’anno per la 61a GML. “È lo stesso che ho pronunciato l’anno prima – mi confessa - a parte qualche cifra fortunatamente in diminuzione. Temo di doverlo ripetere il prossimo anno e di concludere che la mancanza di informazione e il peso dei pregiudizi sono ancora troppo forti. Per questo sarò costretto a ripetere, con Follereau – il cui ritratto è alle sue spalle – che ‘nessuno ha il diritto di essere felice da solo’ e per questo invitare tutti a svolgere il proprio compito nel sensibilizzare i malati e la popolazione”. ■

GHANA

BURKINA FASO

MALI

GUINEA

LIBERIA

BouakéManikro/Raffierkro

Abidjan

AdzopéIstituto R. Follereau

Yaoussoukro

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Otgontsagaan era una ragazzina di 13 quando cadde da cavallo. Stava accudendo ai suoi animali e nonostante fosse una pastorella nomade del nord della Mongolia e perciò

abituata fin da bambina a questo genere di attività, è caduta giù. Una gamba rotta, un incidente doloroso ma niente di pericoloso, eppure, per il fatto che la sua tenda si trovava a 70 chilometri dal villaggio più vicino, dove avrebbe trovato un primo soccorso, quell’incidente ha cambiato il corso della sua vita. “La mia gamba non è mai tornata come prima, non ho più potuto rimontare a cavallo per seguire i miei animali: sono disabile oramai da 40 anni”.

La sua famiglia di pastori nomadi non è come le altre famiglie, vanta un tradizione illustre. Suo padre ebbe il premio di “pastore dell’anno”, suo fratello più anziano lo riconquistò nel 1972, mentre il nipote di un altro suo fratello lo ha riconquistato di recente.

Otgontsagaan dopo l’incidente non ha più potuto portare avanti questa tradizione, eppure a modo suo, grazie alle opportunità offerte dalla riabilitazione su base comunitaria organizzata su tutto il territorio nazionale,

ha potuto trovare una sua strada ed eccellere come ... produttrice di yogurt!

Un’imprenditrice di successo“Il mio yogurt è fatto con latte di pecora e nient’altro,

non aggiungo niente - afferma - ma il mio segreto sta nel regolare la temperatura giusta”. È molto orgogliosa Otgontsagaan quando parla della sua attività che le ha permesso di contribuire al benessere della famiglia, ma questa sua dedizione al lavoro non è motivata solo da quel che guadagna, ma anche dal significato per la sua vita che, come disabile, avrebbe potuto essere molto diversa. “Le persone con disabilità tendono in generale ad essere passive, ad aspettare ogni cosa, come vasi che aspettano di essere riempiti. Dobbiamo invece darci da fare, cercare con il lavoro di avere una vita nostra”.

Dietro questa presa di coscienza da parte di Otgontsagaan c’è un percorso. È il risultato della riabilitazione su base comunitaria che Aifo porta avanti da oltre 20 anni in tutta la Mongolia. Il rafforzamento delle capacità delle persone disabili infatti è resa possibile dai gruppi di auto-aiuto, dalla formazione che, attraverso la figura di alcuni specialisti, porta le persone disabili ad avere una coscienza nuova, ad essere parte attività della società in cui vive e a rivendicare i diritti per sé e per gli altri.

Ma tutto questo non basta, occorre anche un sostegno economico per avviare le proprie attività e nel suo caso Otgontsagaan ha potuto utilizzare due crediti, nel 2009 e nel 2013, che le hanno permesso diventare produttrice di yogurt e gestire un forno per la produzione del pane. Le due attività economiche hanno avuto successo e ha potuto restituire facilmente tutto il denaro nel tempo prestabilito.

Una vita come gli altriQuando ebbe l’incidente Otgontsagaan non poté

nemmeno continuare gli studi ed è per questo che ha seguito particolarmente sotto questo aspetto i suoi quattro

Progetti

Lo yogurt più buono della MongoliaLa storia di Otgontsagaan che non poteva più pascolare gli animali, ma diventata imprenditrice di successo grazie alla riabilitazione su base comunitaria

di Nicola Rabbi

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Sostenere le persone con disabilità Essere disabili in Mongolia è una condizione resa ancora più difficile dal clima e dal nomadismo. Eppure un tuo piccolo contributo può cambiare la storia di molte persone

Aiutaci!Per sapere come, vedi la quarta di copertina.

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figli. Oggi uno insegna in un’università nel nord del paese, un altro si è laureato a Mosca, un terzo sta studiando a Pechino e infine il quarto è in Ucraina sempre per motivi di studio.

Lei invece continua ad occuparsi dello yogurt e del latte: “Per me il latte ha una grande importanza, lo trovo... bianco e santo”. Dice così perché tutta la sua vita ruota attorno ad esso. “Porto il mio latte negli asili, anche il pane lo vendo in giro, ma l’aumento di mole di lavoro mi ha costretta ad appoggiarmi ad un negozio; rifornisco con la mia merce due negozi, Tevhen e Anu, e in questo modo il mio giro di affari si è pure allargato”. Recentemente ha anche acquistato una nuova macchina impastatrice grazie al credito offertole dal programma di riabilitazione su base comunitaria. Nel suo laboratorio, oltre al marito, vi lavorano disabili che ha conosciuto grazie ad un gruppo di auto-aiuto che lei stessa ha organizzato: “In questo gruppo ci aiutiamo l’uno con l’altro, due persone che lo frequentano sono diventati anche miei colleghi; loro non vedono e questa particolare condizione ha fatto sì che siano molto bravi nell’arte della panificazione, tramite l’olfatto capiscono quando è momento di sfornare”.

In questo modo altre due persone con disabilità hanno trovato un lavoro, del resto la riabilitazione su base comunitaria non riguarda solo la singola persona, ma il gruppo che nell’insieme trae benefico dalle opportunità che via via si presentano. ■

“Tegsh Duuren”, piena uguaglianza per i disabili Aifo è presente in Mongolia da 23 anni per sostenere il Programma Nazionale di Riabilitazione su Base Comunitaria. La sua attività ha origine nel 1991 con una missione assieme all’Oms per valutare con il governo della Mongolia, la possibilità di avviare un programma di riabilitazione su base comunitaria per le persone con disabilità che tenesse conto delle specificità del territorio mongolo e del problema sociale rappresentato dalle persone con disabilità, mediamente 5 - 10% della popolazione. Non vi erano comunque dati certi e soprattutto mancavano strutture sanitarie adeguate. Il Progetto Rbc parte definitivamente nel 1992 e il primo passo fu la formazione di tre medici in qualità di formatori, la nomina da parte del ministero della Salute di un coordinatore nazionale Rbc, la traduzione e la stampa del manuale Rbc dell’Oms. Date le difficoltà economiche del paese, l’inserimento del programma di Rbc all’interno del sistema sanitario ha creato qualche problema all’inizio. Ma la distribuzione capillare del personale sanitario, a livello urbano e rurale, e in particolare la presenza di operatori a livello comunitario (medici di famiglia e feldshers) hanno contribuito all’avvio delle attività di Rbc.Il progetto è proseguito, grazie al finanziamento di Aifo e dell’Unione Europea, portando a un aumento delle attività, all’ampliamento del bacino dei beneficiari, all’adozione di un approccio multisettoriale, allargamento del team e alla crescita delle professionalità (grazie ai viaggi-studio all’estero), all’utilizzo del microcredito.Il programma Rbc ha preso il nome di “Tegsh Duuren” che significa piena uguaglianza ed è arrivato a coprire 21 province (aimag) e 9 distretti di Ulaanbaatar, cioè l’intera Mongolia, diventando così un modello a livello internazionale.

Progetti

Fonte: archivio fotografico di Aifo

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padre non aveva altra scelta che isolarsi su una montagna dove le creature umane raramente si avventurano e gli uccelli ancor meno. Ogni giorno mio zio andava sulla montagna a portargli da mangiare.

Gli abitanti del villaggio mostrarono grandi paure verso la mia famiglia. Anche i miei compagni di classe erano prevenuti nei miei confronti. Il mio maestro voleva cacciarmi dalla scuola anche se ero il primo della classe. “Se al prossimo esame non sei il primo di tutta la scuola non potrai più frequentare anche se non è nel nostro interesse cacciarti”. Così mi ammonì, un giorno, il maestro. Capii di essere stato espulso quando non trovai il mio nome sull’elenco.

Ero così affranto che volevo gettarmi dal ponte. Ma quando mi ritrovai in piedi sul parapetto mi ricordai che ero un buon nuotatore, e il fiume non avrebbe potuto affogarmi. Anche grazie ad alcuni compagni che mi aiutarono a vedere il lato buono della vita, rinunciai al mio proposito. Avevo ancora una lunga strada davanti a me. Però, dopo tre anni di elementari, ero costretto ad abbandonare la mia istruzione.

Ma il peggio doveva ancora venire. Mio fratello ed io fummo colpiti dalla lebbra. Per poterci curare, mio padre chiese un’indennità e vendette la casa per 60 yen, un prezzo molto basso. Con questi pochi soldi si mise a cercare un trattamento medico. Abbiamo girato come profughi, mangiato magri pasti, senza sapere se ci sarebbe stato quello successivo. Nonostante tutte le difficoltà incontrate, abbiamo attraversato la Prefettura di Nujiang fino alla Prefettura autonoma di Dalí Bai. Si diceva che la lebbra poteva essere curata in un Centro a Shan Shi Ping dove finalmente ci liberammo dalla lebbra. Nel 1977, un anziano mi presentò He Shenglan, una ragazza di Da Yiping. Eravamo in una situazione simile, anche lei era stata colpita dalla lebbra. Ci innamorammo a prima vista, e sei mesi dopo ci sposammo. Ci amavamo e ci prendemmo cura l’un dell’altro. Ci siamo stabiliti a Da Yiping, dove abbiamo lavorato sodo, godendoci una vita felice. Mia moglie ha dato alla luce 3 bambini, un maschio e due femmine. Purtroppo il primo è morto quasi subito. La nostra figlia più grande si è sposata in un altro villaggio, quella più giovane con un uomo del nostro villaggio.

Sono nato nella Contea di Lanping (Prefettura di Nujiang), nello Yunnan. Mio padre aveva condotto una dura esistenza fin da bambino. Ha lavorato come sguattero per i contadini ricchi e ha vissuto

dei loro avanzi. Arruolato come soldato per tre anni, dopo la smobilitazione ha trovato lavoro nell’Ufficio per l’Agricoltura e la Zootecnia della Contea di Lanping. La nostra famiglia, i miei genitori, mio fratello più grande ed io, abbiamo avuto per un certo tempo una vita felice. Poi l’imprevisto! Ero ancora molto giovane quando mio padre fu colpito dalla lebbra e cacciato dal lavoro. Ci veniva portato via l’unico pane della famiglia.

A quel tempo era spaventoso, ma le persone colpite dalla lebbra erano arse o seppellite vive dalla gente del posto. Mio

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Progetti

Uno splendido raggio di sole tra le montagne Un villaggio cinese dello Yunnan è isolato da tutti per la presenza di ex malati di lebbra. Il lavoro di HANDA, col sostegno di Aifo, permette di liberare i villaggi dai pregiudizi che li circondano

di Li Fukang*

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Più tardi, mio padre e mio fratello sono morti a Shan Shi Ping. Mia mamma nel frattempo era deceduta anche lei. Restava mio zio, guardato dall’alto in basso da tutti perché mio padre era un lebbroso. Lui non si era mai sposato, ed era rimasto senza amici. L’invitammo a vivere con noi e lo trattammo come fosse nostro padre. Ma la diffidenza continuava a circondarci.

Da bambino avevo mostrato un certo talento nel cantare. Una volta diversi abitanti del villaggio vennero selezionati per partecipare ad un concorso, ed io ero uno di loro. Ma non mi fu permesso di competere insieme agli altri siccome ero il figlio di un lebbroso. L’unica scelta era cantare da solo. Da allora in poi, ho preso l’abitudine di cantare come solista.

Molti anni dopo, in occasione della giornata internazionale della Dignità e del Rispetto, l’associazione HANDA organizzò nel nostro villaggio un evento notevole e straordinario. Per persone come me, che aspettavano tutti gli anni l’opportunità di mettere su uno spettacolo, questo evento era come un raggio di sole splendente tra le montagne. Fu un vero successo.

Prima le persone provenienti da altri posti preferivano fare una deviazione anziché passare nel nostro villaggio. Quando andavamo ad una fiera e volevamo comprare delle patate non potevamo toccarle, se le volevamo dovevamo comprarne un sacco intero.

Le cose sono completamente cambiate da allora grazie al personale e ai volontari di HANDA che sono venuti a stare con noi. Le persone degli altri villaggi non si nascondono più e passano a visitarci. I nostri prodotti agricoli trovano finalmente degli acquirenti. A poco a poco il nostro reddito sta aumentando. Grazie al calore dei sostenitori e all’aiuto di HANDA, oggi viviamo una vita felice! ■

*La testimonianza di Li Fukang è stata raccolta da Chen Zeying, operatore HANDA

18 Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014

Progetti

Abbattere il muro della diffidenzaLa storia di Li Fukang e del villaggio dove vive con la famiglia è comune a molti altri villaggi dello Yunnan, una regione montagnosa nella parte meridionale della Cina, più estesa dell’Italia, con una popolazione di quasi 50 milioni di abitanti di una eccezionale diversità etnica e linguistica. L’attività principale è quella agricola.La lebbra è endemica, così come il persistere di una cultura escludente nei confronti dei malati. L’Associazione locale partner di Aifo, HANDA, prende il nome da due importanti figure della lotta contro la lebbra: il medico norvegese Hansen, scopritore del bacillo della lebbra, e padre Damiano, oggi beato, che ha dedicato tutta la sua vita ai malati di lebbra di Molokai (Hawaii), fino a soccombere alla stessa malattia. È una Ong specializzata nella riabilitazione e nello sviluppo comunitario. Michael Chen, segretario generale di HANDA, dopo esserne stato a lungo volontario e operatore professionale, spiega che “il retaggio della cultura tradizionale è ancora molto forte in Cina, come nel resto dell’Asia. Ha a che fare con la cultura religiosa, ma anche con la mancanza di informazione e con fattori generazionali”.La collaborazione tra HANDA e Aifo è iniziata nel 2001, con un impegno particolarmente forte per la riabilitazione a causa delle disabilità provocate dalla malattia. Il Progetto, che coinvolge 23 villaggi, si estende alla riabilitazione sociale dei villaggi, arrampicati sulle montagne, dove i malati di lebbra erano stati relegati. Rompere l’isolamento e il pregiudizio, attraverso eventi sociali, attività di inserimento e di sostegno alle attività produttive, è il necessario complemento al recupero degli ex malati. Il sostegno finanziario di Aifo proviene unicamente dalle sottoscrizioni dei suoi soci. In una regione dove ancora oggi i bambini possono essere allontanati dalle scuole a causa dello stigma, e dove non tutti gli abitanti hanno la carta di identità, la lotta contro la lebbra diventa anche una battaglia per i diritti di cittadinanza.

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Nell’ambito della campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro”, (www.cibopertutti.it), Aifo lancia un nuovo concorso rivolto a tutte le scuole primarie e secondarie di

primo e secondo grado, statali e paritarie d’Italia. L’edizione 2014-2015 verte sul tema del diritto al cibo, come diritto umano fondamentale in ogni parte del mondo.

Le tematiche del concorso fanno riferimento a:• Il diritto al cibo, tra abbondanza e privazione.• Stili di vita ed educazione alimentare.• Sostenibilità ambientale e mercato agroalimentare• Cibo e intercultura: storie del Nord e Sud del mondo.

Il concorso intende coinvolgere le scuole e gli studenti in un processo di riflessione e di approfondimento a secondo del tipo di scuola.

Scuola primaria: è prevista la realizzazione di un elaborato scritto (poesia, tema) della lunghezza massima di tre cartelle, oppure un elaborato grafico (disegno, poesia, foto, collage, rappresentazione teatrale).

Scuole secondarie di primo e secondo grado: gli studenti singolarmente o in gruppo, oppure l’intera classe, dovranno ideare e realizzare graficamente un testo, un manifesto, un fumetto, uno slogan, un video o prodotti digitali che rappresentino la visione e la missione di Aifo in Italia e all’estero, con lo scopo di diffonderle tra le nuove generazioni che navigano nella rete e tra i social network.

Sono ammesse realizzazioni teatrali e musicali, drammatizzazioni, fumetti e campagne di sensibilizzazione.

Le classi vincitrici (una per categoria) saranno premiate con libri e materiale didattico del valore di 200 euro. Per gli elaborati selezionati è prevista la segnalazione sulla rivista Aifo Amici di Follereau; mentre i prodotti digitali saranno pubblicati sul sito www.aifo.it.

Raoul Follereau e il problema della fameRaoul Follereau, nel suo peregrinare per il mondo ha

toccato con mano situazioni di abbondanza e privazioni di cibo, come da lui stesso descritto nel brano che segue: “Un giorno in Asia, fui chiamato presso una lebbrosa che stava

19Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014 |

IL V CONCORSO SCOLASTICO DI AIFO. IL CIBO COME DIRITTO, COME SALUTE, COME CULTURA E TRADIZIONE; MA SOPRATTUTTO PERCHÉ

TUTTI ABBIANO DA MANGIARE

a cura del Settore Educazione e Formazione Aifo

Raoul Follereau e il diritto al cibo

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Fonte: archivio fotografico di Aifo

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Strumenti

per morire. Era giovane, 22 anni, di statura molto sotto la media. La vidi, impotente, svincolarsi a piccoli sussulti dalla sua atroce vita. Appena morta, fui preso dallo strano capriccio di pesarla. Caricai sulle braccia quell’esile pugno di ossa, ancora tiepido, e lo portai sulla bilancia. Pesava 20 chili ... Ora sapete di cosa è morta. Poiché mi sono mostrato inorridito, sconvolto, mi dissero: ‘E’ così da che mondo e mondo. Non lo potete cambiare: è impossibile’. Impossibile? La sola cosa impossibile è che voi, che io, possiamo ancora dormire e ridere sapendo che ci sono sulla terra donne di 22 anni che muoiono perché pesano 20 chili ...”.

Il diritto al ciboL’alimentazione si inserisce tra i presupposti ineludibili

della vita di ogni persona, costituendo la condizione base di un diritto che viene indicato come buona salute, come benessere dell’individuo. L’accesso al cibo è strettamente collegato con il diritto alla salute, un diritto di cui, per la prima volta, si è parlato nella carta costituzionale della Organizzazione mondiale della sanità (Oms, 1946) e riaffermato nella Dichiarazione di Alma Ata (1978) e nella

20 Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014

Per partecipare al V ConcorsoPossono partecipare le studentesse e gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, nella forma individuale o di gruppo classe (è preferibile il lavoro di gruppo a quello individuale), ciascuna classe o gruppo farà riferimento a una/un docente. Possono partecipare, ma fuori concorso, classi o studenti già vincitori delle passate edizioni del concorso.Ogni scuola partecipante dovrà spedire entro il 9 febbraio 2015 via e-mail il modulo di iscrizione all’indirizzo: [email protected] modulo di iscrizione, il testo del Bando ed il Regolamento, oltre a risorse e strumenti disponibili per l’approfondimento del tema possono essere scaricati dal sito www.aifo.it. Per informazioni: Monica Tassoni – tel 051/439.32.11; [email protected]

Le immagini si riferiscono alla premiazione del IV Concorso scolastico delle classi III della Scuola primaria D. Alighieri di Peschiera del Garda, prima classificata per le Primarie, avvenuta il 15 settembre 2014 alla presenza del Sindaco.

Dichiarazione sulla salute mondiale adottata dall’Oms (1998).

Malgrado ciò fame e malnutrizione sono tra le emergenze più gravi che affliggono il pianeta e più di un miliardo di bambini, donne e uomini nel mondo oggi non riescono a soddisfare il bisogno alimentare. La fame infatti non è dovuta alla mancanza di cibo, bensì alla mancanza di accesso al cibo. Negli anni ‘70 si era affermato il principio di Sicurezza alimentare come possibilità da parte degli Stati di disporre di quantità di derrate alimentari sufficienti per la propria alimentazione. Nel Vertice della Fao del 1983, la sicurezza alimentare è stata considerata non solo come esigenza dello Stato ma come possibilità da parte delle comunità di avere accesso al cibo.

A Roma nel Vertice Alimentare mondiale del 1996 è stata formulata una nuova e più complessa definizione di Sicurezza alimentare, inglobando elementi economici, sociali e culturali. Lo stesso anno a Roma, in un vertice alternativo a quello istituzionale, le organizzazione di base contadine e le Ong coniarono il termine di Sovranità alimentare, concetto che va al di là di quello di sicurezza alimentare rivendicando il diritto dei popoli ad un cibo salubre ma anche culturalmente appropriato e prodotto attraverso metodi sostenibili ed ecologici.

Essere in salute significa riuscire ad alimentarsi con cibi sani e a sufficienza. Ma parlare di cibo significa anche parlare di stili di consumo, di cattiva alimentazione, di “cibo spazzatura”. Non dimentichiamo che nei paesi più ricchi stanno aumentando le persone sovrappeso (anche tra i bambini) e/o che hanno malattie che derivano da cattive abitudini alimentari e di vita (ipertensione, diabete ….).

Parlare di diritto al cibo significa anche parlare di cultura e di relazioni. La storia di ogni nazione è strettamente connessa alle proprie tradizioni e all’identità culturale dei popoli che la compongono, il cibo in questo senso è cultura, in quanto l’uomo produce e crea il proprio cibo. Ed è così che il cibo diventa elemento di incontro e conoscenza di persone e di altre culture. Il cibo può essere usato per fare un viaggio di tipo geografico, per conoscere popoli, paesi, economie, rapporti fra Nord e Sud del mondo. In questo modo il cibo diventa la chiave di lettura geografica ed anche economica dei rapporti che regolano il mondo. ■

Strumenti

Fonte: archivio fotografico di Aifo

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Esperienze

21Amici di Follereau N. 11 / novembre 2014 |

molto concitata. L’indomani pomeriggio siamo andati al centro di Priolo

per conoscere Karamo, questo è il nome del ragazzo che non abbiamo “scelto” di chiedere in affido, ma che ci è stato affidato dal Signore, questo è ciò di cui siamo convinti in quanto credenti. Ho avuto modo di parlare in altre occasioni di questo evento e l’ho già equiparato all’arrivo della cicogna, la quale giunge col suo fagottino e dentro non sai cosa troverai, almeno così era prima dell’avvento dell’ecografia! Dunque, è stato come averlo partorito, per cui lo abbiamo sentito come un figlio e lui, orfano di entrambi i genitori, ci ha subito chiamato mamma e papà.

Karamo proviene dal Gambia, ha compiuto 17 anni in gennaio e l’abbiamo festeggiato con i suoi amici del centro di Priolo. Lo abbiamo accolto a casa cercando di farlo sentire a suo agio. Non è stato facile, soprattutto per lui, adattarsi ai nostri usi e costumi, come il semplice mettersi a letto dentro le lenzuola, di cui non conosceva l’uso, o cambiare ogni giorno la biancheria, cosa per noi scontata, ma non per lui e i

Da anni ormai ascoltiamo alla tv degli sbarchi sulle coste siciliane. Abbiamo registrato l’arrivo di circa 140.000 profughi, di cui i minori stranieri non accompagnati sono circa 7.000 dislocati in

vari centri di accoglienza della Sicilia. Abbiamo conosciuto i ragazzi nel centro di accoglienza di Augusta e di Priolo, paese nei pressi di Augusta, dove abbiamo cominciato a prendere contatto con questa nuova realtà, insieme ad altri volontari, dal novembre 2013.

L’arrivo di una nuova cicognaEra dicembre, quando Maria, volontaria a Priolo, ci disse

che il giorno dopo avrebbero portato via 20 ragazzi e che uno disperatamente piangeva da due giorni perché non voleva partire. Ci propose di chiederne l’affido. Non lo conoscevamo, anche se eravamo andati parecchie volte a Priolo. Ci siamo guardati e non c’è stato bisogno di parlare, ci siamo mossi subito attraverso l’assistente sociale che ha bloccato la partenza del ragazzo. Erano le 21 di una sera

KARAMO, CHE NON ABBIAMO SCELTO

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AD AUGUSTA, IN PROVINCIA DI SIRACUSA, L’ ESPERIENZA DI ACCOGLIENZA E SOLIDARIETÀ DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE DI

RAGAZZI NON ACCOMPAGNATI PROVENIENTI DALL’AFRICA

di Carmelo Spinali e Nella Ternullo*

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suoi compagni di viaggio. Tutti hanno attraversato il deserto e stazionato per mesi in carcere in Libia, sempre con gli stessi abiti addosso, dormendo per strada o sotto un camion o, se fortunati, in 20 dentro una stanza pagata a caro prezzo. Per fortuna Karamo, oltre alle lingue tribali, parla inglese, per cui abbiamo potuto comunicare con lui, e i suoi racconti, simili a quelli di chi giunge sulle nostre coste, ci hanno mostrato un aspetto che mai potevamo immaginare.

Tutto il viaggio è una lotta alla sopravvivenza; in particolare non tutti riescono a sopravvivere alla traversata del deserto, infatti la sabbia è la tomba di migliaia di coloro che partono ma che mai giungeranno alla meta sperata. L’altro ostacolo è l’arrivo in Libia dove vengono imprigionati, a prescindere dall’età; il solo fatto che la pelle è nera, autorizza i libici a chiamarli animali e a trattarli come tali, con violenze e sevizie indicibili. Dopo aver racimolato l’oneroso obolo per il viaggio sul barcone con lavori massacranti e mal pagati, ancora un’incognita, il mare. Quasi tutti non sanno nuotare e la traversata può essere la loro tomba.

Famiglie accoglientiDa febbraio anche ad Augusta sono arrivati i minori

non accompagnati e si sono dovuti approntare luoghi di accoglienza, attorno ai quali hanno cominciato ad operare molti volontari. È stato così che altri ragazzi sono entrati in alcune famiglie grazie all’esperienza dei primi affidi. Conoscendo questi giovani africani e restando a contatto tutti i giorni con loro, nasce un affetto e un desiderio di accoglienza che non si può spiegare con semplici parole.

Ad Augusta ci sono circa 20 ragazzi collocati in famiglie che hanno già altri figli di ogni età, i quali hanno accolto i nuovi fratelli con affetto e senza alcun problema per il colore della pelle. Nessuna famiglia percepisce denaro per l’accoglienza, e tutte vivono con stipendi modesti. Il nostro è solo un gesto d’amore nei confronti di chi è più sfortunato, inoltre, ogni famiglia in realtà non pensa solo al ragazzo in affido, il più delle volte prepara la mensa per almeno tre, quattro o addirittura sei ragazzi per volta. Perché i “figli” che ci sono stati affidati hanno altri amici meno fortunati.

Così le nostre case sono un luogo in cui, anche se per poco,

possono vivere un momento di serenità e mangiare un pasto sostanzioso e in buona compagnia. E il loro viso, triste per le vicissitudini del viaggio, si illumina di gioia e per noi si avvera ciò che diceva Follereau: “Essere felici è far felici”. La loro felicità ci fa gioire e dimenticare ogni fatica e alla fine del pranzo ci ringraziano con infinito affetto, e per cosa? Un piatto di pasta col pomodoro o un piatto di riso cotto alla maniera africana, che loro stessi hanno il piacere di cucinare.

Il cammino di adattamento non è semplice né per le famiglie né per i ragazzi che devono imparare una lingua molto ostica per loro e devono scontrarsi con una burocrazia di cui non riescono a capire lentezza e tortuosità. È difficile spiegare loro che per il permesso di soggiorno occorrono mesi! Vengono in Italia e pensano di lavorare per aiutare la famiglia rimasta in Africa, poi capiscono che non è così semplice. È accaduto che noi famiglie affidatarie ci siamo autotassate per inviare del denaro in Africa a qualche famigliare con problemi di salute.

Come gruppo Aifo di Augusta, abbiamo curato l’intervento del dentista per un ragazzo del Gambia con seri problemi e sofferenze, prima che lo trasferissero vicino Palermo. Ancora oggi, a distanza di tempo, riceviamo i suoi ringraziamenti. Abbiamo avuto cura anche dei contatti con le famiglie in Africa. Inoltre, alcuni dei nostri soci Aifo, in quanto operatori nell’ambito scolastico, hanno accolto, nell’ottica del pensiero di Follereau, i “nostri“ ragazzi nelle classi dove insegnano permettendo loro di conseguire il titolo del diploma di scuola media inferiore.

Il loro futuro immediato è la scuola, per imparare la lingua e avere un minimo di conoscenze. Questo per loro è una forzatura, perché l’unico interesse era lavorare, ma abbiamo spiegato loro che non ci sono prospettive, non abbiamo corsi di formazione cui iscriverli, non abbiamo possibilità di introdurli ad alcun tipo di apprendistato, anche perché non hanno ancora i documenti né un titolo di studio. Abbiamo spiegato loro che la cultura scolastica un giorno li aiuterà qualora volessero rimanere in Italia. ■

*Gruppo Aifo-MonteTabor-Augusta

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Amici di FollereauMensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana

Amici di Raoul Follereau (Aifo)Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna

Tel. 051 4393211 – Fax 051 [email protected]

Lettere alla Redazione: [email protected] www.aifo.it

Direttore ResponsabileMons. Antonio Riboldi

DirettoreAnna Maria Pisano

RedazioneLuciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi

Progetto Grafico e Impaginazione Swan&Koi srl

Hanno collaborato a questo numeroLuciano Ardesi, Mariella Cao, Li Fukang, Claudio Imprudente, Anna

Maria Pisano, Nicola Rabbi, Servizio Educazione e Formazione Aifo, Carmelo Spinali, Nella Ternullo, Chen Zeying

FotografieAnna Contessini, AJP/shutterstock, archivio fotografico

Aifo, archivio fotografico Swan&Koi, Claudio Imprudente, corriereinformazione.it, Educaid,

Giovanni Gazzoli, spotmatik/shutterstock, today.it Copertina: Anna Contessini

AbbonamentiLe attività dell’Associazione sono il frutto della solidarietà e della

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Il numero di Febbraio è stato spedito il xx/xx/xxxxStampa: SAB – Trebbo di Budrio (BO)

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Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI)

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In occasione della Giornata mondiale dei malati di lebbra saremo presenti nelle piazze italiane per offrire

“Il miele della solidarietà”

Il miele è disponibile nelle varietà: millefiori e fruttato al mirtilloSono disponibili anche confezioni di caramelle al miele

Per conoscere l’indirizzo delle piazze in cui saremo presenti, consulta il nostro sito: www.aifo.it

Aifo ringrazia per la loro collaborazione

IL MIELE DELLA

SOLIDARIETÀ

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APPELLOAIUTA LE PERSONE CON DISABILITÀ IN MONGOLIAEssere disabili in Mongolia è una condizione resa ancora più difficile dal clima e dal nomadismo. Eppure un tuo piccolo contributo può cambiare la storia di molte persone.

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