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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Alimenti, salute ed evoluzione dell’uomo Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II ACCUMULO DI GRASSI NEI POSTI SBAGLIATI Antonio Barletta Professore di Fisiologia Generale Università degli Studi di Napoli Federico II Il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari stanno diventando i peggiori killers del XXI secolo. Queste malattie debilitanti sono presenti soprattutto nelle persone obese e in sovrappeso. La preoccupazione cresce perché nel mondo vi sono più di trecento milioni di obesi e oltre un miliardo di uomini, donne e bambini già in sovrappeso. Perché l’eccesso di grasso predispone alla resistenza all’insulina e con essa all’intolleranza al glucosio, al diabete, alle vasculopatie, alle malattie cardiovascolari, cerebrovascolari etc.? La sede preferenziale di accumulo di questo grasso in eccesso svolge un ruolo ai fini di questa predisposizione? C’è un valore soglia di accumulo di questo grasso nel tessuto adiposo oltre il quale scatta il pericolo? Se esiste questo valore soglia, è esso predeterminato geneticamente e/o esistono dei fattori che lo regolano? La capacità che ha un individuo di ossidare i grassi svolge un ruolo nella resistenza all’insulina? Quanto più un soggetto è obeso e, quindi, quanto più l’eccesso di grasso coinvolge il tessuto adiposo dell’intero corpo, tanto più è valida la correlazione tra obesità e resistenza all’insulina. Se invece il grasso in eccesso coinvolge prefe- renzialmente alcune regioni del corpo, la correlazione non sempre è riscontrata. Ciò ha fatto pensare che la distribuzione regionale del grasso accumulato nel corpo potesse svolgere un ruolo nella genesi della resistenza all’insulina. La validità di questa idea era supportata dal fatto che le donne obese, caratterizzate da un accumulo di grasso prevalentemente a livello gluteo-femorale, sono meno predisposte alla resistenza all’insulina degli uomini obesi i quali accumulano il grasso in eccesso prevalentemente nel tronco. Numerosi studi hanno, d’altronde, evidenziato l’esistenza di una buona correlazione tra obesità addominale (o centrale) e resistenza all’insulina. Tuttavia, alcuni soggetti con obesità centrale non sono insulino-resistenti, mentre altri per niente obesi o addirittura normopesi, lo sono. Ciò ha fatto pensare che specifici compartimenti anatomici nella regione addominale conferissero maggiori rischi per la resistenza all’insulina e le sue complicazioni. La valutazione del grasso addominale nelle sue componenti 10

Accumuli grasso viscerale

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Come si forma e come eliminarlo

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

ACCUMULO DI GRASSI NEI POSTI

SBAGLIATI

Antonio Barletta

Professore di Fisiologia Generale Università degli Studi di Napoli Federico II

Il diabete di tipo 2 e le malattie

cardiovascolari stanno diventando i peggiori

killers del XXI secolo. Queste malattie

debilitanti sono presenti soprattutto nelle

persone obese e in sovrappeso. La

preoccupazione cresce perché nel mondo vi

sono più di trecento milioni di obesi e oltre

un miliardo di uomini, donne e bambini già

in sovrappeso.

Perché l’eccesso di grasso

predispone alla resistenza all’insulina e con

essa all’intolleranza al glucosio, al diabete,

alle vasculopatie, alle malattie

cardiovascolari, cerebrovascolari etc.? La

sede preferenziale di accumulo di questo

grasso in eccesso svolge un ruolo ai fini di

questa predisposizione? C’è un valore soglia

di accumulo di questo grasso nel tessuto

adiposo oltre il quale scatta il pericolo? Se

esiste questo valore soglia, è esso

predeterminato geneticamente e/o esistono

dei fattori che lo regolano? La capacità che

ha un individuo di ossidare i grassi svolge

un ruolo nella resistenza all’insulina?

Quanto più un soggetto è obeso e,

quindi, quanto più l’eccesso di grasso

coinvolge il tessuto adiposo dell’intero

corpo, tanto più è valida la correlazione tra

obesità e resistenza all’insulina. Se invece il

grasso in eccesso coinvolge prefe-

renzialmente alcune regioni del corpo, la

correlazione non sempre è riscontrata.

Ciò ha fatto pensare che la

distribuzione regionale del grasso

accumulato nel corpo potesse svolgere un

ruolo nella genesi della resistenza

all’insulina. La validità di questa idea era

supportata dal fatto che le donne obese,

caratterizzate da un accumulo di grasso

prevalentemente a livello gluteo-femorale,

sono meno predisposte alla resistenza

all’insulina degli uomini obesi i quali

accumulano il grasso in eccesso

prevalentemente nel tronco.

Numerosi studi hanno, d’altronde,

evidenziato l’esistenza di una buona

correlazione tra obesità addominale (o

centrale) e resistenza all’insulina. Tuttavia,

alcuni soggetti con obesità centrale non

sono insulino-resistenti, mentre altri per

niente obesi o addirittura normopesi, lo

sono. Ciò ha fatto pensare che specifici

compartimenti anatomici nella regione

addominale conferissero maggiori rischi per

la resistenza all’insulina e le sue

complicazioni. La valutazione del grasso

addominale nelle sue componenti

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sottocutanea (S) e viscerale (V), utilizzando

tecniche di diagnostica per immagini, ha

fornito supporto all’ipotesi di un ruolo

specifico per l’accumulo di grasso viscerale

nel legame tra obesità addominale e

resistenza all’insulina.

La caratteristica dell’elevata

lipoliticità del tessuto adiposo viscerale

addominale rispetto al sottocutaneo

addominale, come rilevata da numerosi

studi, spiegherebbe perché la presenza di

tale deposito viscerale è altamente

correlata alla resistenza all’insulina. In

effetti gli acidi grassi rilasciati dai depositi di

grasso viscerale, essendo immessi

direttamente nella vena porta, andrebbero

al fegato dove eserciterebbero effetti

avversi sul metabolismo epatico.

Alcuni studiosi, comunque, pur

ribadendo la significativa correlazione tra

obesità viscerale e resistenza all’insulina,

sulla base dei loro risultati, hanno negato il

ruolo causativo del grasso viscerale. Infatti,

essi sostengono che sia l’adiposità viscerale

sia la resistenza all’insulina sono comuni

correlati dell’accumulo di tessuto adiposo

sottocutaneo soprattutto nel tronco; tale

accumulo, sulla base della sua massa

considerevolmente più grande della

viscerale, potrebbe avere una più grande

potenzialità di contribuire alla resistenza

all’insulina tramite il rilascio di acidi grassi

liberi (FFA) nel circolo sistemico.

Così il grasso sottocutaneo, che non

drena nella vena porta, può causare

resistenza all’insulina mediante un

meccanismo non portale.

Quasi a voler complicare le cose, la

resistenza all’insulina la si può avere a

prescindere dall’aumentata massa grassa

sottocutanea corporea (e, quindi, anche

addominale) e dall’aumentata massa grassa

viscerale addominale. Anzi, va aggiunto che

si ha resistenza all’insulina e diabete

persino in quei soggetti che, praticamente,

sono privi di tessuto adiposo e cioè i

soggetti lipoatrofici.

La presenza di insulino-resistenza e

del diabete mellito nei soggetti lipoatrofici,

privi, tra l’altro, di massa grassa viscerale e

sottocutanea addominale, è stata senza

dubbio illuminante ed ha contribuito a

chiarire abbastanza i legami tra adiposità e

resistenza all’insulina/diabete. I soggetti

lipoatrofici, non avendo tessuto adiposo a

disposizione per depositare gli acidi grassi

come trigliceridi, immagazzinano i grassi in

sede ectopica, ovvero, nel fegato, nel

muscolo scheletrico e nelle cellule β del

pancreas insulino-secernenti, determinando

nel fegato e nel muscolo resistenza

all’insulina e nelle cellule β un’alterata

secrezione di insulina. Anche i soggetti

obesi che hanno immagazzinato grassi in

sede ectopica sono insulino-resistenti o

diabetici. Inoltre, anche l’aumentata

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grandezza dell’adipocita è altamente

correlata alla resistenza all’insulina e allo

sviluppo del diabete. L’aumentata

grandezza dell’adipocita rappresenta una

risposta adattativa alla ridotta capacità

proliferativa del tessuto adiposo in quanto

consente di accumulare più grassi.

Questa aumentata disponibilità di

FFA per il fegato, il muscolo scheletrico e le

cellule β, associata, come vedremo, ad una

ridotta ossidazione dei grassi, determina

l’accumulo di grassi in questi tessuti e

quindi la resistenza all’insulina e il diabete.

La capacità di tali tessuti di ossidare i

grassi oltre ad essere legata al loro

apparato ossidativo è dipendente da segnali

metabolici rilasciati dagli adipociti e tra

questi la leptina e l’adiponectina. Entrambi

questi ormoni adipocitari stimolano

l’ossidazione dei grassi nel fegato, nel

muscolo scheletrico etc. Nei soggetti

lipoatrofici c’è una ovvia carenza di tali

ormoni e, quindi, l’incapacità di accumulare

grassi (per mancanza di adipociti) e la

ridotta capacità ossidativa del fegato, del

muscolo scheletrico etc. (sia intrinseca sia

dovuta ai ridotti segnali metabolici) creano

un sovraccarico che determina accumulo di

trigliceridi in tali tessuti.

Nei soggetti i cui adipociti sono

grandi c’è invece una ridotta secrezione di

adiponectina e un accresciuto rilascio di

leptina. Purtroppo, in tali soggetti si

riscontra resistenza alla leptina. Si ritorna

quindi ad una situazione che ricorda quella

del soggetto lipoatrofico.

Ovviamente, soggetti con grande

capacità di accumulare lipidi nel loro tessuto

adiposo (elevata capacità proliferativa

adipocitaria) e con un’adeguata capacità di

ossidare lipidi sono poco inclini ad

accumulare lipidi nel fegato e nel muscolo

scheletrico e la soglia di accumulo del

grasso, predeterminata geneticamente nel

tessuto adiposo, è elevata.

Quando si parla di “lipotossicità” non

ci si riferisce solo alla tossicità che risulta

dal sovraccarico lipidico indotto dagli acidi

grassi liberi provenienti dal tessuto adiposo

in eccesso rispetto a quello che i tessuti

periferici possono ossidare, ma anche a

quella dovuta ai lipidi sintetizzati “in loco”

mediante un processo di “lipogenesi de

novo” dovuto a un sovraccarico di

carboidrati. Va, altresì, sottolineato che

l’accumulo di trigliceridi nei tessuti non

adiposici va inteso come correlativo e non,

di per sé, causativo.

Il valore soglia di attivazione dei

segnali differenziativi e proliferativi, che

porterebbero ad un aumento degli adipociti

e quindi ad un aumentata capacità di

immagazzinare grassi, varia da individuo a

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individuo ed è geneticamente determinato.

La bassa capacità differenziativa-

proliferativa del tessuto adiposo determina

l’ipertrofia degli adipociti in seguito

all’accresciuta domanda di deposito di grassi

e ciò determina nell’adipocita stesso una

situazione di stress che lo induce a produrre

e rilasciare una sostanza, il fattore di

necrosi tumorale (TNFα).

Tale fattore, agendo sull’adipocita

stesso, andrà ad inibire le vie di

segnalazione attivate dall’interazione

recettore dell’insulina-insulina con

conseguente riduzione dell’accumulo di

grasso nell’adipocita. E’ probabile che il

tessuto adiposo sottocutaneo sia il primo

tessuto ad acquisire l’insulino-resistenza; è,

altresi, probabile che ciò dia un contributo

ad un incremento della massa grassa

viscerale che per la stessa ragione

diventerebbe insulino-resistente.

L’aumentata lipoliticità del tessuto

adiposo sottocutaneo corporeo (non solo

addominale), associata all’aumentata

lipoliticità del tessuto adiposo viscerale,

determinerebbe l’accumulo di trigliceridi

nelle sedi sbagliate (ad esempio, fegato,

muscolo scheletrico e cardiaco, reni, vasi

sanguigni, cellule β del pancreas). Il fegato

esposto al sovraccarico lipidico proveniente

dalla vena porta e dall’arteria epatica

diventa resistente all’insulina e comincia a

produrre glucosio, aggravando

ulteriormente il ridotto utilizzo di glucosio da

parte di tessuti insulino-dipendenti e,

quindi, contribuendo all’iperglicemia con

tutte le nefaste conseguenze. In più gli FFA

agendo sulle cellule β del pancreas

determinerebbero una riduzione della loro

funzionalità oltre che del loro numero.

Quantunque lo studio dei

meccanismi con cui gli FFA determinano

l’insulino-resistenza abbia, di recente,

ricevuto un grande impulso, c’è ancora

molta incertezza sui metaboliti specifici e

sulle vie regolatorie direttamente coinvolte.

Da quanto sopra, si evince

chiaramente che deve essere evitato

l’accumulo di grassi fuori sede. Bisogna

mangiare meno e con pochi grassi.

Utilizzare frutta e verdura. Svolgere attività

fisica quotidiana. Evitare di mettere sù peso

perché difficilmente lo si perderà. Una

strategia puramente antiobesità ha un

ristretto margine terapeutico, poiché una

riduzione della massa di tessuto adiposo è

probabile risulti in un incremento non

desiderato di acidi grassi nei tessuti non

adiposici, aggravando ulteriormente la

patologia.

Inoltre, i farmaci disponibili, oltre a

non essere privi di effetti collaterali

dannosi, non risolvono il problema, in

quanto comunque bisognerebbe mangiare

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poco e muoversi molto. In più, effetti

collaterali a parte, una volta interrotta la

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cura, si ricomincerebbe daccapo.

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