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1 ACCADEMIA DEI ROZZI Anno XIV - N. 27

ACCADEMIA DEI ROZZI · 2015-09-23 · Il mio antico maestro Giovanni Getto mi impose, come penso, ... 6 La veduta delineata ... Lezione magistrale tenuta da Roberto Barzanti il 19.10.1992

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ACCADEMIA DEI ROZZI

Anno XIV - N. 27

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Il teatro popolare senese del primoCinquecento è una realtà tanto affascinantequanto poco frequentata: artigiani di mode-sta cultura che scrivono e recitano testi tea-trali al cui centro sta la figura del villano,del contadino, presentato con tutti i segnidell’odio di classe: sporco, ignorante, ladro,osceno, laido, perennemente cornuto e cor-nificatore. Qualcosa di paragonabile aRuzante, sostanzialmente contemporaneo,ma senza la certificazione d’arte che c’è inRuzante. Ma anche qualcosa di più compli-cato, visto che c’è la vera e propriaCongrega dei Rozzi, costituita nel 1531; ec’è pure un retroterra di tradizione di arti-giani senesi che scrivono un pò prima e unpò dopo il 1531, ma sempre al di fuori dellaCongrega (i cosiddetti Pre Rozzi, che qual-cuno - per sterile odio verso la cultura posi-tivista che ci ha tramandato questa termi-nologia - chiama malamente comici artigianisenesi, come se i Rozzi veri e propri non fos-sero anche loro comici artigiani o non fosse-ro senesi). Oggetto di studio di taluni (piùcuriosi) italianisti di terra di Francia, checontinuano ad avere il culto delRinascimento italiano, e di rari interventidella cultura accademica italiana (spessoperò accecati da talune fisime della ideologiateatrologica, e dunque scarsamente produtti-vi). Il mio antico maestro Giovanni Getto

mi impose, come penso, per mettermi allaprova, più di quarant’anni fa, proprio unatesi di laurea su questo argomento. Gliavevo chiesto di lasciarmi fare una tesi suPirandello, ma mi disse di no, e rilanciò conquesti Rozzi di Siena di cui non sapevonulla (ma, in verità, nemmeno lui sapevamolto). Interpretai tutto in chiave sociolo-gica, furiosamente protosessantottesca,come era fatale. E quando non trovavoquello che cercavo, mi arrabbiavo anche.

Parlando, ad esempio, di un testo,Tiranfallo, di Salvestro cartaio dettoFumoso, incentrato sulla tematica grassoc-cia del collettivismo sessuale contadino,lamentavo che mancasse “una caratterizza-zione sociologica dei contadini colti nellaloro condizione di miseria”. Cercavo quelloche non c’era, e non vedevo quello chec’era. Un contadino chiede al protagonistaTiranfallo se è riuscito a portarsi a letto lamoglie di un terzo contadino, e Tiranfallorisponde “Mi lavorò un tratto un bel cap-pello / (...) Mi vengha ‘l canchar, ma’ viddiel più bello,/ ma non vuol niente adosso”.

Non capii e passai oltre. Ho riletto lacommedia qualche anno fa, nell’edizionecurata egregiamente nel 1997 da MenottiStanghellini, bibliotecario della ancora atti-va Accademia dei Rozzi (nobilitatasi neisecoli, passata da Congrega a Accademia).

Pubblichiamo con soddisfazione il breve ma intenso commento di Roberto Alonge sull’attività letteraria e filologica condotta dall’Accademico Menotti Stanghellini.Sotto la suaguida sono uscite ben 14 riedizioni critiche delle antiche commedie dei Rozzi: un vantodella nostra Accademia ed un grande riconoscimento per il paziente, quanto proficuoimpegno di ricerca e di analisi mostrato dallo studioso.Alonge è stato ed è tuttora un attento estimatore della drammaturgia ‘rozza’ delCinquecento, sulla quale ha scritto saggi fondamentali, che ne hanno sancito l’assolutarilevanza nel contesto teatrale del tempo. Il suo apprezzamento per l’opera diStanghellini, anche in riferimento agli studi su Cecco Angiolieri e sulla poesia toscanadel Trecento, sottolinea pertanto con autorevolezza i non modesti meriti dell’Accademico ed invita perentoriamente la cultura italianistica ufficiale a non far fintad’ignorarne il messaggio.

Menotti Stanghellini e il teatrodella Congrega dei Rozzidi: ROBERTO ALONGE

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Nelle sue dotte note a piè di pagina loStanghellini ha spiegato che il “cappello”che gli aveva fatto la contadinella era un ser-vizietto sessuale (cosa cui non avevo pro-prio pensato) e che l’espressione “non vuolniente adosso” - per me ancora più enigma-tica - significa che non voleva amplessi. LoStanghellini è un grande cultore di questoteatro. Ha pubblicato finora - nelle edizionidella Accedemia dei Rozzi - una quindici-na di testi, fra Rozzi e Pre Rozzi, mettendoogni volta in luce la straordinaria ricchezzadi lingua e di immagini di simile produzio-ne. Con sicuro gusto critico ha anche sceltodi pubblicare ben tre dei sei testi compostidal Fumoso, che è indubbiamente l’autorepiù significativo e artisticamente più consi-stente di tutto questo teatro: il Tiranfallo, ilPannecchio, il Batecchio. Credo che sia tempoche il Fumoso - personaggio di una certaenvergure - abbia la sua piccola opera omnia(comprese le stanze della cosidetta Profeziasulla guerra di Siena, già egualmente pubbli-cate dallo Stanghellini), possibilmente per itipi di una casa editrice importante.

Lo Stanghellini è l’unico che abbia ilsapere e la passione per fare questa impresa.

C’è stata qualche incursione degli addet-ti ai lavori della comunità accademica dellalingua italiana, ma i risultati non sono statiesaltanti. Nel 2004 è stata promossa dallaUniversità per Stranieri di Siena una anto-logia, Commedie rusticali senesi delCinquecento, a cura di Bianca Persiani, dot-tore di ricerca in Didattica dell’italiano.

Prezioso il saggio introduttivo di PieroTrifone, e certamente utile il lavoro filologi-co di edizione, ma molte annotazioni con-tengono imprecisioni o errori, e lo zelo divoler distinguere in scene (essendo alle

prese con testi che spesso manco sono divi-si in atti) non è sorretto da adeguata sapien-za interpretativa. Tanto per fare un esem-pio, la scena seconda del primo atto delCapotondo del Fumoso vedrebbe in scena -secondo la curatrice - “Coltriccione eBiagia. Meia in silenzio”, mentre è assoluta-mente lampante, alla semplice lettura deltesto, che Meia non è in scena.

Dunque coraggio, Menotti Stanghellini:poichè comunque il testo del Capotondo c’è,non le rimane che tirar fuori le due com-medie restanti del Fumoso, la Discordia d’a-more e Il travaglio (che è poi il capolavorodel Fumoso). Troppo vicino alla meta,ormai, per rinunciarvi. Sono persino dispo-sto a impegnarmi personalmente - per quelpoco o nulla che capisco di filologia -, purdi vedere il risultato, che renderebbe onoreal Fumoso, ma anche allo Stanghellini.

Il quale è comunque un personaggio.Non solo per quel nome che si porta dietro,segno evidente di una tradizione familiarerisorgimentale e garibaldina (dato il richia-mo palese a Ciro Menotti), ma anche per lesue incursioni dinamitarde nel campo dellaletteratura, e su cui i colleghi di italianisticadovrebbero pur dire qualcosa (anche unasemplice e brutale ma motivata stroncatu-ra), anzichè opporre una tenace fin de nonrecevoir. Penso all’edizione dei Trenta sonettirealistici di Rustico Filippi e alle Nuove pro-poste testuali e interpretazioni sul“Trecentonovelle” di Franco Sacchetti (editientrambi dall’Accademia dei Rozzi, rispetti-vamente nel 2004 e nel 2005) e al volumet-to, recentissimo, La grande rapina ai danni diCecco Angiolieri, bisessuale, il nemico di Dante(Siena, Il Leccio, 2007).

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La veduta delineata da Auguste Deroy, che appare in questa litografia oggi rarissima ed inedita in Italia, rappre-senta il panorama di Siena come si poteva osservare da San Domenico nella seconda metà dell’Ottocento.Le altre illustrazioni che corredano il saggio di Roberto Barzanti nell’intento di offrire visioni di Siena al tempo diJohn Ruskin e Henry James, sono tratte rispettivamente da: André Peraté, Sienne, Eaux –fortes et Dessins deP.-A. Bouroux, Parigi, De Boccard, 1918 e Le città del silenzio - Impressioni di Ferruccio Scattola, Bergamo,Ist. d’arti grafiche, 1912.

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Sarà perchè i luoghi della nostra vitasono sempre più stravolti e si allontananodall’immagine che li ha fissati nella memo-ria, sarà perchè le città si son fatte, grandiagglomerati metropolitani ma anche centridi medie dimensioni definiti talvolta conseducente faciloneria a misura d’uomo, irri-conoscibili, frantumate da ritmi convulsi,sarà perchè il paesaggio della quotidianaesperienza subisce usura e conta ferite chelo privano di senso: è un fatto che la lette-ratura di viaggio ha trovato nuova fortuna econquistato largo ascolto. Sia la letteraturadi viaggio come genere invalso e non dota-to di particolari pregi, sia quelle pagine diautore, caratterizzate e personali, che riferi-scono la percezione degli spazi e degliambienti, di panoramici scorci e di consue-ti edifici, ad un tempo irrevocabile.

Sulle bancarelle di bouquinistes più omeno improvvisati compaiono di frequenteguide e guidine, dai nobili e rossi Beadeker,collezionati con attenzione all’annata quasifossero vini pregiati, a più modeste compi-lazioni erudite dettate da smodato amorpatrio. La letteratura risarcisce, così, dimutilazioni e dimenticanze, introduce unfiltro tra noi e la realtà, ci fa immaginare ciòche più non esiste, nobilita o riscatta, sti-mola nostalgia o genera rimpianto. Assolvead una funzione conoscitiva che nessunopuò ragionevolmente disconoscerle. Se unacartina topografica d’epoca sarà utile per

rendersi conto di situazioni e strutturemodificati con gli anni o un’eloquente spie-gazione dei monumenti ci servirà a rico-struire collocazioni di opere o tratti stilisti-ci, una pagina d’autore andrà piuttosto lettacon l’occhio e il cuore al mondo di quel-l’autore, alla cadenza intensamente sogget-tiva della sua parola, alle imperiose esigenzedi scrittura del suo mondo.

Eppure, soprattutto se il lettore avrà con-fidenza con le strade, i percorsi, i profilievocati nella pagina - fosse anche spinta alsommo dell’astrazione - sarà inevitabile col-legare invenzione e realtà in un difficileesercizio di rispettosa comparazione.Sarebbe gioco balordo degradare, comecapita, un passaggio narrativo a didascaliaturistica o ritener inoppugnabile testimo-nianza un divagante elzeviro. Le ragionidella buona filologia sono intoccabili. Tuttosta a soppesare con criterio l’autonomia deitesti, individuando referenze e distanze.

La mediazione delle immagini scritte odipinte insinua un’altra dimensione nell’e-sperienza che si ha dei luoghi, li movimen-ta e li sottrae ai clichés abusati, alla banaliz-zazione dilagante, ad un onnivoro presente.

Ha scritto Aldous Huxley: “É deliziosoleggere sul posto impressioni e commenti dituristi; che hanno visitato cento anni primadi te, con i mezzi di trasporto e i pregiudiziestetici del momento, i luoghi che stai visi-tando adesso. In questa maniera il viaggio

Lezione magistrale tenuta da Roberto Barzanti il 19.10.1992 auspice l’Università perStranieri, che ne curò la pubblicazione nel proprio ANNUARIO ACCADEMICO (1991/2)al fine di promuovere una riflessione sulla dimensione storica e culturale della civiltàsenese. ACCADEMIA DEI ROZZI, condividendo l’intenzione dell’Università per Stranieri,ripropone il saggio, ormai di non facile reperibilità, per estendere a nuovi lettori la pos-sibilità di rivivere gli “sguardi su Siena” di John Ruskin e Henry James nella lucida edappassionata lettura di Roberto Barzanti.

John Ruskin e Henry James:Sguardi su Sienadi: ROBERTO BARZANTI

8 P.A. Bouroux, Piazza del Campo dopo un temporale (acquaforte, 1918).

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cessa di essere solo uno spostamento nellospazio per diventare anche un’escursionenel tempo e attraverso la storia del pensie-ro”. E anche - possiamo aggiungere - uningresso nell’immaginario, perduto o inde-bolito, di culture e sensibilità diverse dallanostra. Ad un giovane che indaghi una cittàcon occhio chiaro e la mente libera da ognicitazione o sovrapposto reticolo di codicifigurativi gli spazi si preciseranno con uncarico di suggestioni enormemente diverseda quelle provate da chi non può far ameno di appellarsi a prediletti capitoli o areiterate abitudini. Chi si interessi a ritrova-re nei viaggi di altri l’appiglio per allargare ipropri o renderli più comprensivi rischia diconvertire in aggrovigliato labirinto unatraiettoria rettilinea, ma moltiplicherà ango-lazioni e punti di vista, incontri e scoperte.

In più c’è da considerare che il viaggio fu- e per molti è - cruciale momento formati-vo, tramite di canonica educazione e lesoste costituirono - costituiscono - stazioniche suscitarono arricchimenti, originaronoinvenzioni, accesero fantasie.

John Ruskin e Henry James sono duepersonalità talmente forti e dal talento cosìfecondo da sconsigliare qualsiasi accosta-mento di comodo. Rileggere insieme alcunedelle loro note significa solo meditare sudue approcci distinti, di sicuro tra quelli piùpregnanti e gravidi di conseguenze per lastessa costituzione di un’immagine di Sienadestinata a durare negli anni, forse per laformazione di quella che Franco Fortini hachiamato la “leggenda” di Siena - ove “leg-genda” rinvia anche, ambiguamente, ad unamatrice medievale. Che dati da poco più dicent’anni, che insomma si definisca all’albadel secolo è difficile stabilirlo a rigore. Inquel lasso di anni il mito della città turrita ecompatta, anacronistica e religiosa, assortanella rammemorazione della sua trascorsagloria, si riverbera netto, ma l’incubazione èben anteriore e precede gli ultimi decennidell’Ottocento. Rimane il fatto che prima diallora “non è ancora identificabile nella cul-tura europea una Siena come valore univer-sale o città dello Spirito quali già lo eranoFirenze e Venezia. Era una città ancora, nonun simbolo. All’origine è certo l’appassio-

nato interesse, soprattutto anglosassone,per l’arte gotica”.

Le date che segnano le annotazioni dia-ristiche di Ruskin (1840) e la nostalgica rivi-sitazione di James (1909) coincidono quasicon il primo insorgere degli attributi costi-tutivi del mito e con la fase della sua piùmatura presa. L’intero arco che sta in mezzodovremmo ripercorrerlo sulla scorta dellasplendida silloge curata da Attilio Brilli suiViaggiatori stranieri in terra di Siena, ch’eglipropone di continuare e completare. Lacostellazione di testimonianze, a partire daiprimi del Settecento, da M. Guyot deMerville e J.B. Labat fino a LangtonDouglas e Schevill, allineerebbe in sequen-za - sono esempi - R. Colt Hoare e C. EliotNorton, E. e J. de Goncourt, Paul Bourget,M. Barrès, H. Taine, Le Corbusier, E.Wharton e Max von Bohen, A.L. Knight,G. Faure, A. Huxley, E. Suarès, i Browing,per giungere a Virginia Woolf e BernardBerenson, a E.M. Forster, a Muriel Spark.

La colonia anglofona è dominante, ha lesue buone motivazioni. Il giovane JohnRuskin merita in questa affollata compagniail titolo di entusiasta precursore. Instradatoverso l’Italia per un risanatore Grand Tour,malaticcio e soffocato dalle premure deigenitori, Ruskin cattura con sguardo analiti-co e attento dettagli e impressioni, registraatmosfere e luci con un’ansia di immediataimpaginazione pittorica, ma sottratta allapropensione per un pittoresco tutto esterio-re che in quegli anni dilagava.

La sua prima pagina, fatale, su Siena èdel 23 novembre 1840. Non si rilegge senzaavvertire il tono di una meravigliata, attoni-ta scoperta, gli accenti di una catturante ini-ziazione.

“Sono stato lieto di lasciare la scialbaFirenze, sebbene avessi avuto in gran sim-patia il nostro valet de place, Gustavo, e mifosse dispiaciuto perderlo... Siamo giunticon un sole radioso, ma un vento pungentemi ha procurato mal di capo nei dieciminuti impiegati per percorrere velocemen-te le strade che conducono alla cattedrale.

Questa città vale cinquanta volteFirenze: le costruzioni sono più ampie esolide ed hanno in generale una gran quan-

10 La Cappella di Piazza nell’ ‘impressione’ di Ferruccio Scattola (1912).

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tità di finestre a trifora, veneziane. La piaz-za è imponente, con una fontana scolpita inmaniera delicata in marmo bianco; da unlato della piazza mura arabescate, dall’altrouna torre si erge ad una altezza vertiginosa,come quella di Vicenza, contro le nubi pur-puree ad oriente”.

A ventun’anni Ruskin non aveva ancoraeretto il suo maestoso sistema estetico emorale, prescrittivo e profetizzante. Lavisione, nondimeno, che trascrive di unaSiena invernale, ventosa e ostile, ha d’ac-chito le cadenze dell’esemplarità. Anzituttoper la secca opposizione estetica a Firenze,uno, dei tòpoi che contribuiranno a fissare laleggenda di una città isolata e contemplati-va, comunitaria ed essenziale, lontana dallepompe rinascimentali, dal fervore delleindustrie, dalla dura razionalità della politi-ca signorile. Lo stordimento del gracileviaggiatore non sarà classificabile come sin-drome da accostare a quella celebre chestrinse Stendhal: ha le stigmate di un estati-co ciclone. Perchè questa città, che sullastrada dell’addio sarebbe apparsa “su ertacollina”, “visibile con perfetta chiarezza”contro il cielo spulito dai venti, propriocome una di quelle stilizzate da tanta pittu-ra medievale tenute dai santi su un vassoio,avvolte da un manto protettivo, tornitecome un gioiello di pregiate pietre, ne valecinquanta di Firenze? Da dove salta fuoriuna formula che qualche operatore turisticoin vena di campanilismo potrebbe degrada-re ad accattivante slogan? In nuce Ruskincoglie alcuni elementi portanti delle sueteorie o della sua poetica, con furia intuiti-va. È la continuità del tessuto urbano che loprende, la scansione decorativa delle trifore:che spia quell’improprio “veneziane”!

Tra gli arabeschi orientaleggianti e larivelatrice luminosità di un infuocato tra-monto, tra lo svettare audace della torre e losfondo che sovrasta si stabilisce un rappor-to inestricabile: quel rapporto architettura-natura, quella speculare immedesimazionetra artificio e paesaggio che trova nellevariazioni del gotico la sua apoteosi modu-labile all’infinito.

È sintomatico che della cattedraleRuskin esalti l’intreccio di volumi tra finito

e non-finito, il carattere di “splendida rovi-na”, di imponente rudere del DuomoNuovo, rimasto a metà nella sua ardimen-tosa sfida. L’inventario che ricava e conse-gna al taccuino del suo ansioso vagabon-daggio si sofferma sui “motivi floreali” dellecolonne, sui “decori floreali” che si apronocome in un intricato, boscoso giardino.Solo le “striscie orizzontali scure” provoca-no uno sgradito sobbalzo perchè la geome-tria che inseriscono in un contesto tantorigoglioso ha una rigidità esterna, contrad-dice il naturalismo mutevole e pervasivodelle forme, corrompe come nelle cattedra-li di Genova e Pisa. Il romanico non potevaincontrare il favore di chi voleva riscontrarenelle modalità costruttive e nei contestientro i quali i monumenti si incastonavanogli assiomi di un incipiente cammino versola verità e la bellezza.

Il Duomo senese è “la chiesa più straor-dinaria che abbia mai veduto in Italia” ed ilricordo accompagnerà il visitatore nel suolungo giro italiano, poco attratto, appenafuori Siena, dalle Crete che tanta fortunaavranno nel Novecento: quella “fanghigliachiara a strati sottili”, come scrive con pun-tualità geologica, gli risulta repellente.Stendhal non aveva usato espressioni piùgentili. Traspare un’etica della laboriositàche impedisce di contemplare la campagnaelevandola a puro paesaggio dell’anima.

L’ottica preferita da Ruskin ha un’evi-dente impostazione figurativa e bisognereb-be aggiungere a queste poche chiose in mar-gine ai suoi appunti una rassegna degliacquerelli e dei disegni con cui accompa-gnò il viaggio: che contribuiscono a inven-tare scene a lungo persistenti, prospettivedurevoli, una tavolozza replicabile.

Non erano passati che quattro anni daquando Viollet-le-Duc scriveva a suo padrel’ammirazione per Siena, “batie sur un ter-rain très inégal, montueux, coupé de ravins,des espèces de petites vallées pénètrent jus-que dans la ville, les maisons se dominentles unes les autres, les arbres les entourent,et des monuments originaux et qui sedecoupent sur un ciel bleu surmontent cetamas de fabriques pittoresques...”. È ilpasso, celebre, della lettera del 14 ottobre

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1836, nella quale la cattedrale, a petto dellatriste città, appariva “si coquette, si fraiche,si jolie qu’elle peut tenir lieu d’une ville”. Lamania del pittoresco si oggettiva per altricodici da quelli ruskiniani, ma nel selvaticointorno delle degradanti colline, nel cielobleu che abbraccia i profili dei palazzi, nellafrenetica gioia decorativa e perfino frivoladella fabbrica del Duomo traspare una sen-sibilità che istituisce non incidentali raccor-di con la religione del gotico, intersecata dicontinuo in Ruskin con una filosofia dellavita e della storia. Non più fondale di unasapiente fiction teatrale, ma temperie di unaspiritualità nuova da riscoprire e predicare,non di rado con inflessioni apocalittiche eanti-moderne. In effetti Siena è un paradig-ma di antimodernità per il suo essere spon-taneamente premoderna, per la misura col-lettiva a cui si ispira, per la religiosità chedichiara sovrana e impetuosa come un innoliturgico intonato a gran voce, bisbigliatocome una litania, sillabato con inflessibilefedeltà. Attilio Brilli - al quale sono debito-re, lo dico una volta per tutte, di una miria-de di osservazioni, riprese da suoi penetran-ti commenti o registrate da un’amichevoleconversazione - ha notato che a Ruskin ilgotico “si prospetta come lo specchio piùveritiero della natura umana e soprattuttol’antitesi efficace dei prodotti realizzatidalla macchina, impeccabili, uniformi,riproducibili all’infinito di una gelida e alie-nante stereotipia”. Per questa via l’arte goti-ca viene intesa “come vero e proprio nucleoideologico, un modo di vita rimasto insu-perato, un esempio etico di libera estrinse-cazione della persona individuale e del suotalento, e insieme di cooperazione colletti-va, un ritorno alla crescita organica secondole leggi della natura”. La lettura della dina-mica urbanistica come crescita che ubbidi-sce agli impulsi di un vivente organismosociale, dalla idealizzazione del lorenzettia-no Buongoverno alla pagine ormai classichedi Munford, ha nei libri di Ruskin un respi-ro che attinge dignità etica e contrasta espli-citamente la trivialità antiumana del dila-gante industrialismo.

Le città che si squadernano davanti alsuo avido sguardo sono città morte e deso-

late, scenari senza vita: la loro lezione stascritta nel loro silenzio con l’eloquenza diuna sottintesa epigrafe. Uno dei libri cheRuskin si portava dietro a mò di breviario èl’ Histoire des Rèpubliques italiennes di J.C.L.de Sismondi ed eco profondi se ne rinven-gono nelle lettere spedite al babbo nel ‘45.

In data 24 agosto afferma convinto che“le città libere hanno molte ragioni per esse-re repubbliche, ma questo avviene al prezzodi continue gelosie, guerre e sedizioni”.Sismondi non aveva mancato di fermarsisull’epopea dell’assedio e sulla eroica resi-stenza dei cittadini che, ritiratisi inMontalcino, “mantennero - cito da una tra-duzione italiana del 1832 - l’ombra dellarepubblica senese fino alla pace di CateauCambresis”. L’altra guida, più all’occhio chealla mente, tra le molte, è Joseph MallordWilliam Turner, che Ruskin aveva incontra-to per la prima volta di persona il 22 giugno1840. Quanto grande sia l’influenza cheTurner esercita sul giovane ammiratore nonè il caso di rammentare. “Allo spazio limi-tato - scriverà nei Modern Painters - e alleforme definite del vecchio paesaggio sosti-tuì la grandezza e il mistero dei più vastiscenari della terra”. Una predilezione che inprima battuta stupisce, se non tien contodella geniale, innovatrice comprensività delpensiero ruskiniano. Nella più tarda memo-rialistica di Praeterita il ricordo di Siena sifrange drammaticamente in bagliori chesmarginano ogni forma e immergono lacittà in un’aria di mistica rivelazione:“Quando, tre giorni prima, al tramonto checedeva ad una notte di tempesta, entrai aSiena, il cielo, con le nubi ancora illumina-te dal sole, era tutto d’oro, sereno dietro laporta centrale su cui si leggevano quellepure, auree parole, ‘Cor magis tibi Senapandit’, e tra le nuvole, il bagliore dei lampioscurava le stelle” (19 giugno 1889). Quasiin una rabbiosa e palinodica invettiva seni-le la cattedrale ora gli pare “assurda”, “ecces-sivamente adorna, eccessivamente a strisce,eccessivamente agghindata, ed eccessiva neifastigi”. Non una ritrattazione, ma un ripen-samento che scarnifica le tracce dell’espe-rienza, sacrificandole sull’altare di un rigoreesente da concessioni. Il naturalismo divie-

13Il candore della Cattedrale in una tempera di Ferruccio Scattola (1912).

14 P.A. Bouroux, Uno scorcio di via dei Pellegrini (acquaforte, 1918).

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ne esigente al pari d’una regola monastica:“L’architetto dovrebbe vivere poco in città,come il pittore. Mandatelo sulle nostre col-line, e fategli studiare là cosa la natura inten-da per contrafforte e per cupola”.

Per Henry James Siena fu, tra le cittàtoscane, amatissima. Lo provano le paginedi Italian Hours, dove son raccolti resocontiche si riferiscono a vari soggiorni e varianni, il 1872 e ‘73, il 1882, il 1892, il 1900ed il 1909 infine. Ricostruendo, nella suasterminata biografia capolavoro, un sog-giorno senese Leon Edel immagina la gior-nata di questo “pellegrino appassionato”.James aveva raggiunto Siena direttamenteda Londra, contrariamente al suo solito, il 5giugno 1892 ed aveva preso alloggio alGrand Hotel Royal, alla Lizza, dove già sitrovava Paul Bourget, fresco di luna dimiele, con sua moglie Minnie. Le abitudinierano ritmate da orari piacevolmente infles-sibili. Alle sei cominciava una lunga passeg-giata sotto gli alberi di un giardino bruli-cante di bella gente e verso i contraffortidella Fortezza dai quali si dominava unavista eccezzionale, che in un sol arco si dis-tendeva dal Duomo alla Montagnola in fac-cia a quelle medesime colline purpuree altramonto (“purple hills”) tanto care aElizabeth e Robert Browning.

La celebre coppia - si ricorderà - avevasoggiornato a Villa Alberti a Marciano a piùriprese, nel 1850 e nell’estate del 1859 e del1860. Era un pezzo di non fragorosa belleèpoque che allora si metteva in mostra per iviali e si concedeva eleganti divagazioni. Laterrazza dell’ albergo era un osservatoriounico: vi giungeva attutito il brusio degliincontri mondani e consentiva di astrarsi inassorte meditazioni. La mole bianca dellacattedrale era a portata di mano, visibilesenza alcun frapposto ostacolo oltre laverde, sapiente geometria di un luogo cheaveva da un pezzo perduto funzioni eque-stri e marziali. Con lo scrittore francese sistabilisce un sodalizio che avrà i suoi rifles-si nei capitoli senesi di Ore italiane e favori-sce itinerari comuni. Il Palio di luglio lovedono insieme da Palazzo Chigi. Insiemevisitano l’Archivio. James approfondisce lasua conoscenza della pittura senese.

La compagnia include poi nuovi arriviche accrescono con singolari coincidenze lacomposita èlite: ad un certo punto sbuca ilconte Primoli, un gallo-romano che unisceanch’egli le due anime tanto affascinantiper l’autore di Sensations d’Italie, uscito dapoco nel 1890, a Parigi.

Henry James approda all’Europa daamericano inquieto, mosso da quel sensodel passato dal quale soltanto poteva rica-vare l’ambiguo intreccio di dimensioni chedà spessore e qualità all’esperienza discretadei luoghi. C’è in lui, nell’accostarsi ad unacittà, nel percorrerne le vie, nel respirarnel’aria “una sorta di ritegno a scomporre edissolvere lo strato di polvere che si è venu-to deponendo ogni dove, ad alterare unequilibrio raggiunto nel sopore dei secoli”(Brilli). Si capisce facilmente l’attrazioneper Venezia - che aveva perlustrato conRuskin “in his pocket” (Edel) - e per l’Italiacentrale, per i borghi e le città che serbava-no il sentore di una grande storia trascorsae obbligavano ad ogni angolo a misurareintervalli e decadimento, vestigia delle anti-che forme e urto della vitalità contempora-nea. Nei luoghi che esibiscono un’accen-tuata coscienza storica si tratta di “coltivareuna relazione con l’oracolo” che oltrepassile apparenze, induca a scorgere fantasmi e adecifrare enigmi. La sua non è una città-scena ed anche se lo sguardo intende risol-versi in visione, in inquadratura, in calcola-to accordo cromatico, non per questo l’in-dagine rinuncia a registrare, dopo, non inpresa diretta, facendo sedimentare lenta-mente impressioni e dettagli, costumi emovenze, dimessi dialoghi e irruzioni delquotidiano.

Affiorano figure e simboli che restitui-scono complessità e suscitano una continuatrama di confronti, una pungente medita-zione su origini e destino: “Questa torremagnifica, la cosa più bella che c’è a Sienae, nella sua rigida struttura, immutabile esplendida come un nobile naso su un voltodi non importa che età, simboleggia ancorauna dichiarazione di indipendenza di fron-te alla quale la nostra, buttata giù (“thrownoff”) a Filadelfia, sembra aver fatto poco piùche cedere irrimediabilmente al tempo. La

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nostra indipendenza si è trasformata in unadipendenza da migliaia di cose tremende,mentre l’incorrotta dichiarazione di Siena cicolpisce perchè guarda in eterno al di sopradi quel livello”. La simbologia politicamisura l’incolmabile lontananza dal presen-te, significa un’esplicita accusa contro lacorruzione consumistica della modernità.L’eco di Ruskin è ben percepibile. La delu-sione di un amaro moralismo è confessatacon lucida consapevolezza. Non siamoall’annessione di Siena ad un medievalismofosco e spiritualista, da reazione armata,non al rancido sentore di un passatismo dicomodo. Piuttosto la voce di James intonauna canto alla crisi della modernità, rifiu-tando il rifugio dell’ideologia o la conso-lante paradigmaticità dei tempi andati.

Ed insieme James legge il Campo nellasua serrata dinamica, tralasciando ogni abu-sata metafora: ai suoi occhi “ha la forma diun ferro di cavallo dall’ampia curvatura...oppure, per dir meglio di un arco in cui l’al-ta e liscia facciata del Palazzo Pubblicoformi la corda e tutto il resto delle costru-zioni l’arco vero e proprio”. La metafora delferro di cavallo, eccentrica e sdrammatiz-zante, è anche in Bourget. Né conchiglia,secondo l’interpretazione naturalistica, néteatro, secondo la qualificazione che vuolenfatizzare la magnificenza artificiale, ilCampo viene ricondotto ad una logicaurbanistica di disegno che lega in unità laverticale della Torre ed il semicerchio chesembra esserne sorretto. Nelle dimore intor-no si indovinano, si intravedono presenze,che proiettano ombre e segnali. Il passatosovrasta e avvolge, dà dignità e sfrena l’im-maginazione. “Altri luoghi - è uno dei puntiobbligati dell’inchiesta di James - possonforse offrirvi un sonnolento odore d’anti-chità, ma pochi lo esalano da un’area cosìvasta. Ammassata all’interno delle suemura, su una serie di colli stretti l’unoaccanto all’altro, in ogni momento vimostra in che modo grandioso un tempo havissuto; e se ormai la gran parte di quellagrandiosità è svanita, il ricettacolo delle sueceneri è ancora ben saldo”. Howells avevascritto di una città “contratta e avvizzita”.Hazlitt di “una bella antica città, assomi-

gliante più a un ricettacolo per i morti chea una residenza per i vivi”. Lo scarto tra lasmisurata maestosità del passato e la rarefa-zione del presente diffonde un’aria funebre,insinua un gentile e pietoso disincanto.“Everything has passed its meridian...”:questa è la frase chiave sotto la quale inscri-vere tutta la narrazione della città di HenryJames. Ogni cosa ha oltrepassato il suomeridiano, si colloca nell’ombra declinantedi una sera che rivela il mistero e sfuma pro-fili, dando agli oggetti e ai segni il marchiodi una conclusa tipicità. “A Siena ogni cosaè senese” aggiunge l’osservatore pudico ecauto. Un’ossessione di autonomisticoorgoglio si traduce in una continuità chenon ha eguali. La società stretta si bipola-rizza in un’aristocrazia “ancora perfetta-mente feudale” ed in un popolo gravatonon di rado da una condizione di miseria.

“Non si può parlare di borghesia; subitoal di sotto dell’aristocrazia si trova la pove-ra gente, che è davvero povera”: per quan-to, consapevolmente o no, James indulgaad un certo schematismo colpisce com’eglicolga con ineccepibile sobrietà uno dei trat-ti tipici della contrastata vicenda di Siena,mai dominata da una stabile e salda classeborghese, in bilico sempre tra un’aristocra-zia volubile e rissosa ed un popolo vivace,attaccato ad uno spasmodico sentimentod’identità civica oltre ogni credibile limite.

Come si spiega la strepitosa continuitàdel Palio se non facendo appello alla “faziosa armonia” derivante dal circuito ari-stocrazia-popolo, e si direbbe talvolta popo-lino, da una struttura sociale semplificata,nella quale l’opposizione si sublima in radi-cata, fiera appartenenza ad uno stesso desti-no? Le soste del romanziere che non cessadi conquistare nuovo pubblico sono innu-merevoli e si rispondono specularmente neidue pezzi di una Siena scoperta con entu-siasmo nel 1873 e ritrovata nel 1909 con lasua intatta capacità di trasmettere “unrichiamo panico alla sensibilità e alla fanta-sia”. La Cattedrale è immersa in unapenombra di toni indistinguibili. La grandepiazza si apre “a forma di ventaglio”. IlPinturicchio e il Sodoma attraggono assaipiù delle Madonne dei tempi d’oro ed il

17Un'originale, coloratissima visione di via Duprè ripresa da Ferruccio Scattola (1912).

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viaggio verso Monte Oliveto in mezzoall“arida desolazione” delle Crete non hanulla di fastidioso. La scarna nudità di quel-la scena da anacoreti è finalmente innalzataad un contrappunto tutto psicologico. Ilconvento in rovina è custodito da un quie-to, biblico abate - lo stesso che sbaluginanelle pagine, corrive e infarcite di melensaletterarietà, di Bourget -, che sta sulla sogliadi un rigoglioso giardino fiorito. Al terminedi un fantastico itinerario iniziatico egliincontra “il provocante miracolo della vitae della bellezza”. L’uomo dei nostri giorninon sa più dare un’anima ai luoghi. Puòprogettare parchi perfetti - secondo il dis-taccato pessimismo tutto laico, nè profeti-co, nè apocalittico di James -, ma noninfondere “un’anima che appare in tempisuoi propri e che ha bisogno di troppo percrescere”. Appare quando appare, non ubbi-dendo ad alcuna necessità, ad alcuna deter-minazione di volontà progettuale. Il tran-sito di chi ha vissuto nelle case e nei palaz-zi, nelle strade tortuose e trafficate e nellacampagna che la notte, come quella scruta-ta al ritorno da San Gimignano, si punteg-

giano di lucciole, ha lasciato traccia. Il pel-legrino rintraccia nelle forme sopravvissutei durevoli segni di una vita che non s’è con-sumata del tutto. Qui stava il valore delviaggio dentro l’eccitante labirinto dellecittà europee: una ricerca assidua di forme eparole, una resurrezione di volti e di età.

Tra tante clamorose e retoriche celebra-zioni dei cinquecento anni dalla cosidettoscoperta del Nuovo mondo possiamo con-gedarci da un autore che intraprese unarotta inversa e non si finisce mai d’apprez-zare per il suo desiderio d’intelligenza delgenio riposto in terre e spazi del VecchioContinente, ripetendo una raggelante edivertita domanda a effetto: “... il passatosembra aver lasciato un notevole sedimen-to, un aroma, un’atmosfera. Questa presen-za fantasmatica non rivela segreti, bensìsuggerisce di provare un pò ad indovinare.Che cosa si è fatto e detto, qui, lungo tuttiquesti innumerevoli anni, che cosa è capitatoe cosa si è sofferto, cosa si è sognato o di chisi è disperato? Sciogliete l’enigma, se potete, ose lo ritenete consono alla vostra ingenuità”.

John Ruskin. Henry James.

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“…molte cose sono mutate, anche nel settoredegli scavi archeologici, dal tempo fortunato nelquale i vecchi componenti della Famiglia Bonci-Casuccini avevano compiuto quei rinvenimenti,che avevano destato stupore e apprezzamento intutto il mondo della cultura.”

Libro De’ Ricordi e Memorie di Casa Bonci

Le vicende delle famiglia BonciCasuccini costituiscono un insieme di

straordinario interesse che coinvolge aspettidiversificati, dalla storia del territorio, alcollezionismo archeologico, alla storia del-l’arte. Per la storia della ricerca archeologicail nome richiama subito alla mente unadelle più importanti collezioni di antichitàetrusche messe assieme nella prima metàdell’Ottocento. Accanto ad elementi comu-ni con altre vicende collezionistiche e conl’antiquaria ottocentesca, la storia dellafamiglia e del materiale archeologico ad essalegato presentano, come vedremo, caratteri

L'esposizione al Santa Maria della Scala della grande collezione archeologica BonciCasuccini ha rappresentato un evento culturale di qualità e di notevole interesse, non soloper gli etruscologi, che la nostra rivista ha voluto testimoniare con due saggi, rispettiva-mente di Debora Barbagli, l'attenta studiosa dell'antichità che dirige il Museo ArcheologicoSenese, e di Nicolò Casini, agli antenati del quale va il merito di aver ben coltivato, con leloro tenute dell'agro chiusino, un'ardente e proficua passione per l'archeologia.

La famiglia Bonci Casuccini e l’archeologia.Note sulle vicende collezionistiche all’origine di una mostradi: DEBORA BARBAGLI

Riproduzione di coperchio di urna con coppia recumbente (IV sec. a.C.) dall’Etrusco Museo Chiusino, (ex coll. BonciCasuccini).

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peculiari per l’approccio dei diversi compo-nenti al recupero di antichità e per le con-nesse implicazioni nel rapporto con l’anti-co. Almeno due grandi figure spiccano,infatti, a distanza di poco più di un secolo,nello stesso ambito familiare per il contri-buto dato alla conoscenza dell’archeologiachiusina.

Iniziatore della celebre collezione fuPietro Bonci Casuccini (1757-1842), unicofiglio di Dionisio e Lucrezia Sonnini, prestoaffiancato al padre nella gestione dei terri-tori granducali a quest’ultimo affidati. Unalarga parte della vita di Pietro fu pertantoimpegnata nelle attività gestionali, in cuidimostrò da subito grandi capacità, tantoda poter incrementare in maniera conside-revole sullo scorcio del secolo le proprietàdi famiglia, contribuendo peraltro alla ripre-sa economica non solo delle sorti familiari,ma anche dell’area chiusina. Nel 1792, egliottenne dal granduca Ferdinando III divedere iscritta la famiglia nel Libro d’orodella Nobiltà Senese e, negli anni successi-vi, ricoprì importanti incarichi nella vitapolitica chiusina (fu Gonfaloniere di Chiusi

nel 1815-1816 e poi di nuovo dal 1824 al1828). L’interesse per l’archeologia, cheoccupò prepotentemente gli ultimi quindi-ci anni di vita di Pietro, nacque in modoabbastanza casuale e tardivo: i vasti posse-dimenti di famiglia, che alla morte di Pietrocomprendevano quasi 1400 ettari, eranointeressati infatti dalle più importantinecropoli dell’antica Chiusi. In uno deipoderi, noto come il Colle, nel 1826 furonoriportate alla luce due camere ipogee: unadi queste, già violata, conservava però anco-ra al suo interno il celebre sarcofago di ala-bastro di Hasti Afunei (ultimo ventenniodel III sec. a.C.) che, a buon diritto, puòessere quindi posto all’origine della colle-zione. Sulla scorta di questa scoperta, glianni successivi furono da Pietro BonciCasuccini dedicati ad estensive ricerche dimateriale archeologico, che il nobile volleraccogliere nel palazzo di famiglia in viaMecenate a Chiusi, dando vita ad un vero eproprio ‘museo’ Casuccini.

Se in un primo momento la collezionenon si distinse dalle altre, cospicue, alloraesistenti a Chiusi che secondo il gusto anti-quario dell’epoca si concentravano sul sin-golo manufatto (soprattutto bronzetti o sta-tuette votive, iscrizioni, urnette, monete,vasi dipinti o di bucchero), ben presto l’im-portanza dei materiali recuperati fecerodella collezione di Pietro Bonci una dellepiù importanti raccolte allora esistenti.Estese indagini condotte nella necropolidella Pellegrina, al podere il Colle, allaMarcianella, a Poggio Montollo, Bagnolo e,da ultimo, a Poggio Gaiella, permisero dimettere assieme un patrimonio archeologi-co unico, che comprendeva cippi e urnettecinerarie in pietra fetida, ceramica attica distraordinaria qualità, buccheri, ceramicaetrusca figurata, sarcofagi e urne ellenistichein alabastro, travertino e terracotta, bronzietc. L’aumentare del materiale, del resto,costrinse il collezionista ad ampliare il suomuseo, per il quale chiese ed ottenne dalcomune di Chiusi di poter costruire unanuova porzione attigua alle sale già esisten-ti. Tra le scoperte più significative degli anniTrenta dell’Ottocento è senza dubbio daannoverare quella della celebre tomba

Riproduzione di lebete in bucchero dall’EtruscoMuseo Chiusino, (ex coll.Bonci Casuccini).

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dipinta, scoperta nel 1833 sempre presso ilpodere il Colle. La tomba (secondo quartodel V sec. a.C.), con la porta di travertino adoppio battente ancora funzionante, eracostituita da un lungo dromos di accesso,due piccole celle semicircolari laterali, unampio atrio e la camera sepolcrale vera epropria. Le pitture, sulla zoccolatura in alto,presentavano il repertorio usuale della pit-tura funeraria: gare atletiche in onore deldefunto, banchetto e scene di danza; questeultime però, diversamente dalle altre tombedipinte del territorio, correvano sulle paretidella camera sepolcrale. Riproduzioni dellepitture della tomba furono dal Bonci collo-cate nel suo museo, mentre anni più tardiesse entrarono a buon diritto nei grandicicli parietali riprodotti ad uso dei maggiorimusei esistenti (nel caso specifico la primarichiesta fu del Museo di Bologna).

Molti dei reperti della collezione diPietro erano inoltre stati pubblicati, a parti-re dal 1829, nell’Etrusco Museo Chiusinodai suoi possessori pubblicato, voluto dallostesso Bonci e da altre famiglie di collezio-nisti chiusini (quali i Mazzetti, i Sozzi e i

Nardi Dei), che comprendeva oltre duecen-to tavole di materiali. Gli ultimi anni di vitadi Pietro furono interessati dallo scavo del-l’imponente complesso funerario di PoggioGaiella, di cui però non vide la fine, per lascomparsa avvenuta il 12 gennaio 1842.Alla morte del fondatore, il figlioFrancesco, a cui fu concessa la nomina asocio onorario dell’Istituto diCorrispondenza Archeologica, non prose-guì direttamente gli scavi, ma preferì affi-darli ad un’altra personalità di spicco nel-l’ambito della storia archeologica,Alessandro François, che operò soprattuttonei poderi il Colle e la Pellegrina. Tra lepoliedriche personalità della famiglia BonciCasuccini, il figlio di Pietro si distinse infat-ti per la spiccata passione per la musica, chelo portò a comporre, tra l’altro, un’opera sullibretto de La Gazza Ladra.

Alla morte di quest’ultimo, i due figli,Ottavio e Pietro, decisero però di porre invendita la collezione, per ovviare alle muta-te condizioni economiche familiari. L’affarenon fu affatto semplice, visto il delicatomomento storico e la considerevole somma

Corredo da tomba a ziro rinvenuto in località Ficomontano, metà VII sec. a.C. Ex coll. di Emilio Bonci Casuccini.

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chiesta dagli eredi; la collezione fu propostaanche a musei stranieri (Germania,Inghilterra, Francia), ma l’intervento delgoverno italiano appena formato, anche senon portò all’acquisizione della collezione,evitò il trasferimento all’estero. Fallita lapossibilità di un acquisto in ambito tosca-no, nel 1864 furono attivate complesse trat-tative che portarono nel 1865 alla venditadella collezione al museo archeologico diPalermo, per la somma di 35.000 lire; imateriali furono trasferiti in casse a Livornoe di lì imbarcati alla volta della città sicilia-na, dove trovarono ubicazione, tra 1868 e1869, nell’ex Casa dei Padri Filippinidell’Olivella, ancora oggi sede del MuseoArcheologico Regionale “A. Salinas”.

A Chiusi, intanto, i pochi materialiarcheologici rimasti presso la famiglia,andarono a costituire uno dei nuclei fon-danti del nuovo Museo Civico di Chiusi,inaugurato nel 1871 e ubicato in originenegli stessi locali di via Mecenate che ave-vano ospitato la collezione di Pietro. Ilricordo di questi materiali e, secondo latestimonianza di Bianchi Bandinelli, la pas-sione disinteressata e l’amore per il materia-

le archeologico spinsero Emilio BonciCasuccini (1876-1934), figlio del Pietroresponsabile della vendita della collezione epronipote del Pietro che ne era stato l’ini-ziatore, ad intraprendere nuovi scavi nei ter-reni di famiglia e a dare vita ad una secon-da collezione, che si caratterizza per i crite-ri ‘nuovi’ con cui venne messa assieme.Emilio, infatti, annotava i materiali recupe-rati e soprattutto le associazioni dei repertie i contesti di provenienza, dimostrandocosì una sensibilità inusuale verso una ricer-ca archeologica che non fosse più soltantorecupero di oggetti esteticamente ammire-voli, ma anche e soprattutto attenzione alluogo e al contesto di rinvenimento. Il feli-ce connubio con Ranuccio BianchiBandinelli, che negli anni Venti delNovecento redigeva la tesi di laurea sullenecropoli chiusine, ha costituito un appor-to fondamentale per la conoscenza dell’ar-cheologia chiusina. Lo stesso Emilio, delresto, aveva stilato un elenco per prove-nienza dei materiali da lui recuperati;Bianchi Bandinelli, partecipe alla campagnadi scavo condotta nel 1924 alla Marcianella,inserì i risultati delle indagini nella pubbli-

Un pregevole bassorilievo scolpito sull'urna di alabastro proveniente da una tomba chiusina (ex Coll. BonciCasuccini).

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cazione della tesi di laurea Clusium. Allostesso archeologo senese, del resto, si devonoi due necrologi esistenti di Emilio, morto nel1934: un primo, rimasto inedito ma conser-vato nell’Archivio Bianchi Bandinelli e unsecondo, ridotto, pubblicato in StudiEtruschi del 1934.

La collezione di Emilio era stata raccoltapresso la villa della Marcianella, costruita trail 1905 e il 1910 dal fratello di Emilio, l’inge-gnere Guido Bonci Casuccini. A meno di unventennio dalla morte, nel 1953, il materialefu venduto dal figlio Alessandro, seppur conprofondo rammarico, al museo archeologicodi Siena, dove è tuttora conservato; la colle-zione numismatica era stata precedentemen-te ceduta al Monte dei Paschi di Siena. Levicende collezionistiche o comunque stretta-mente connesse con l’archeologia della fami-glia non si esauriscono qui. Accanto al pre-zioso documento costituito dal Libro De’Ricordi e Memorie spettanti alla Casa di Me’Dionisio- Memorie di Casa Bonci, infatti, ilgrande evento espositivo che ha coinvoltoenti e istituzioni (Comune di Siena, Comunedi Chiusi, Istituzione Santa Maria della Scala,Soprintendenza per i Beni Archeologici dellaToscana, Regione Siciliana, MuseoArcheologico Regionale “A. Salinas”,Fondazione Monte dei Paschi) e che ha per laprima volta riunito i materiali delle due col-lezioni Casuccini, riportandoli temporanea-mente tra Siena e Chiusi, ha permesso diattingere ancora una volta alla ricchezza distoria e alla disponibilità degli erediCasuccini.

Nota bibliografiaO. e P. Bonci Casuccini, Catalogo dei

Monumenti Etruschi esistenti nel MuseoCasuccini, Siena 1862.

AA. VV., La collezione Casuccini. Storia dellacollezione Ceramica ellenistica, Roma 1993.

AA. VV., La collezione Casuccini. Ceramicaattica, ceramica etrusca, ceramica falisca, Roma1996.

M. Iozzo-F. Galli (a cura di), MuseoArcheologico Nazionale Chiusi, Chiusi 2003.

G. Paolucci, Documenti e memorie sulle anti-chità e il museo di Chiusi, Pisa-Roma 2005.

D. Barbagli-M. Iozzo (a cura di), Chiusi SienaPalermo Etruschi La collezione Bonci Casuccini,cat. mostra, Siena 2007.

Oinochoe di bucchero nero proveniente da Chiusi (Excoll. Bonci Casuccini).

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Tra agricoltura e mecenatismo:la passione antiquaria dei BonciCasuccini nei ricordi di famigliadi: NICOLÒ CASINI

Mi piace dare valore assoluto, quasi religioso,al proverbio latino “ognuno è fabbro dellasua fortuna”. Se questa premessa è vera risul-terà che le collezioni Bonci Casuccini attual-mente in mostra al Santa Maria della Scalasono lì anche per merito mio. Non solo: un

secondo evento per me fortunato è che que-sta mostra abbia avuto luogo in una fase dellamia vita in cui il desiderio di guardarsi indie-tro è maggiore di quello volto alla costruzio-ne del futuro.Non ho né titolo né capacità per parlare da

Particolare del ritratto di Pietro Bonci Casucccini, padre di Emilio, realizzato da A.Viligiardi nel 1906.

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storico dell'arte degli scavi intrapresi dai mieiantenati in agro chiusino: mi diverte raccon-tare i Bonci Casuccini, il loro lavorio impren-ditoriale ed intellettuale con l'affetto di chi diquella famiglia è parte. Mia madre era infattiChiara Bonci Casuccini: figlia di Emilio,sorella di Alessandro e pronipote di Pietro.Gli etruschi in famiglia sono sempre staticompagni di viaggio viventi, presenti, studia-ti. Un vecchio amico di mia madre la chia-mava “il Lucumone” riconoscendone così sial'etnia che il carisma.Della famiglia si hanno notizie fin dal 1600.Un Dionisio Bonci, bisnonno di Pietro, eragià un notabile chiusino. Un suo figliolomonsignor Michelangelo Bonci ebbe notevo-le intimità con il cardinale Chigi; quandoquest'ultimo assurse al soglio pontificio comeAlessandro VII ne divenne il cameriere. Ilfatto portò notorietà e potere alla famiglia ilcui status sociale ed economico si accrebbesostanzialmente. Pietro nacque dunque in una famiglia rispet-tata, ma che viveva un momento di non par-ticolare fortuna economica. Uomo di personalità prorompente e diinstancabile attività cominciò la sua vita ope-rativa giovanissimo; si sposò a sedici anni,ebbe 12 figli e trovò nei suoi 85 anni di vitail tempo di dedicarsi a numerosi e differen-ziati campi di attività. Sfruttò con intelligen-za la lungimiranza politico – economica delgranduca Pietro Leopoldo che promulgò unalegge secondo la quale i terreni provenientidalla bonifica di paludi sarebbero diventati diproprietà di chi avesse effettuato i lavorinecessari a renderli coltivabili. Attorno ailaghi di Chiusi e di Montepulciano, Pietrobonificò vaste aree ed aggiunse superficiimportanti ai terreni già in proprietà dellafamiglia. Al momento della sua successione (idocumenti sono nell'archivio di famiglia)

lasciò agli eredi oltre 5000 ha di terreno. Bonificò anche l'area sulfurea di ChiancianoTerme, ne capì il valore ma ne giudicò antie-conomico lo sviluppo. Quelle sorgenti palu-dose si chiamavano anche allora ”dell'acquasanta” a testimonianza della loro notorietà.Pietro fece un'operazione di marketing; lecedette in donazione al Granduca e si servì diquel dono come di un cavallo di Troia, perinteragire con le autorità amministrative diPietro Leopoldo.Ottenne così numerosi appalti il più impor-tante dei quali fu quello che gli consentì dicostruire la strada tra Sarteano e Chianciano,strada tuttora in essere.Le sue ricchezze ed il suo potere gli consenti-rono di avere un piccolo esercito a disposi-zione, la sua vitalità lo spinse a comandarlo.Quando lo stato pontificio cadde nelle manidi Napoleone e divenne Repubblica Romana,Chiusi si trovò ad essere città di confine fradue mondi che intendevano i sistemi digoverno in maniera contrapposta tra monar-chia e repubblica. Ci furono notevoli tensio-ni militari. Pietro, realista, ed il suo piccoloesercito si scontrarono con le armate filona-poleoniche e repubblicane di stanza nellavicinissima Città della Pieve. Divenne unaspina nel fianco di quella guarnigione, tantoda spingerne il comandante a siglare con luiuna specie di trattato di pace. Il Granducanegò ogni valore a quell'accordo, ma la noto-rietà e la stima di cui Pietro godeva, consen-tirono al Nostro di mantenere tutti gli incari-chi di rappresentanza che esercitava nellacittà di Chiusi.L'incontro di Pietro con gli etruschi avvienealla fine degli anni 20 dell' 800. È un incon-tro casuale ma folgorante. Pietro si imbatte inuna prima tomba, in una seconda, in unaterza ed è stregato dalla bellezza, dall'intrigo,dalla suggestione del loro contenuto estetico

26 Una veduta delle colline chiusine ripresa da Samuel James Ainsley, pittore e appassionato di storia antica che verso la metà del XIX se

27ec. visitò l'importante area archeologica con il celebre etruscologo George Dennis.

28 Tenuta della Marcianella: azienda agricola e sito archeologico.

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e storico. Comincia a scavare sistematica-mente, assembla un'enorme quantità direperti, decide di dar loro una collocazioneadeguata erigendo un edificio destinato amuseo. Alla sua morte la collezione è diven-tata straordinaria per qualità e quantità.Ma si sa: “i padri dio fanno i figlioli crocifis-si”. Così il figlio (su dodici) che occupa lapoltrona del padre, non ha grande interesseall'etruscologia e agli scavi. Non è né stupidoné fannullone; si laurea in Medicina, ma lasua vera passione è la musica. I più famosietruscologi del mondo cercano di coinvolger-lo, ha rapporti con loro, ma la fiamma non siaccende. La frammentazione del patrimoniopaterno tra gli eredi, pur consentendoglinotevole agiatezza, lo pone in uno status eco-nomico assai meno ricco di quello del padre.Decide di vendere la collezione che gli sem-bra costosa ed ingombrante e fra la composi-zione di un'opera e di un inno sacro, si mettein contatto con i più celebri musei delmondo. Offre al Louvre a alla NationalGallery i risultati degli scavi paterni senzasuccesso.Sarà solo dopo la sua morte che i suoi duefiglioli Ottavio e Pietro (il mio bisnonno)venderanno allo stato italiano la collezionevenuta in loro possesso.Siamo nel 1865, l'unità d'Italia è stata dapoco proclamata e la necessità di mescolarele differenti culture fiorite e fiorenti nelpaese, fa parte di un disegno politico intelli-gente e condivisibile: così anche per l'interes-samento di un mecenate siciliano la collezio-ne finisce in un museo di Palermo da dovenon si sposterà più fino alla mostra oggi pre-sente al Santa Maria della Scala.Il mio nonno Emilio nasce nel 1876, la colle-zione è già stata venduta e per lui rappresen-ta solo un pezzo di storia della famiglia.Colpevolizza il padre per la cessione e la rea-

zione più logica e nobile gli sembra quella discavare di nuovo e di procacciarsi così unanuova collezione. È uomo di grande culturascrive in latino e la sera una delle sue letturepreferite sono “Le vite” di Plutarco. In greco,naturalmente. È fortunato ad imbattersi inRanuccio Bianchi Bandinelli studente di let-tere. È abile nel cavalcarne l'ingegno e nel ser-virsi di quel prolifico cervello. Il tagliomodernissimo che darà alla sua collezione èanche conseguenza di quell'incontro.Emilio muore nel 1934; di lì a poco la guerrasconvolgerà il mondo. Le persone e le cosedella famiglia subiranno un attacco feroce edirreparabile. Mio padre muore in Russia, lozio Sandro è prigioniero in Germania dadove ritornerà con una malattia che lo segne-rà per il resto della sua vita. La sua voglia dilottare è affievolita dalla salute incerta. Alsuo rientro in Italia il clima politico gli fa

L’ingresso della tomba del Colle Casuccini in unastampa ottocentesca.

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Una pittoresca veduta di Chiusi nell’incisione di William Brockedon (1847).

temere che il paese scivoli nell'area diinfluenza sovietica; se questo succedessepotrebbero verificarsi violenze tali da metterein pericolo l'integrità fisica della collezionedel padre. Decide così di cedere allo stato la collezionein questo assecondato dal parere di suamadre e di sua sorella; anche a loro sta acuore che la collezione ed il lavoro di Emiliotrovino perenne visibilità e testimonianza.Emilio si dedica anche alla numismatica;comincia con le monete etrusche e romanema ben presto allarga il suo interesse alla rac-colta di monete italiche e della repubblicasenese. Anche in questo settore Emilio rag-giunge traguardi di grande rilievo. La sua col-lezione sarà studiata e pubblicata dai più notiesperti nel mondo [Corpus NummorumItalicorum (1910), Dattari (1901), Mattingly

(1926), Haeberlin (1910)]. Alessandro continua con importanti addizio-ni le ricerche paterne. Le monete aumentanoin qualità e quantità fino al 1969 quando unfurto ne decimò l'essenza; quelle residue(347) furono cedute al MPS nel 1978 daAlessandro stanco e malato.Vorrei che da queste note emergesse l'affettoe la stima per la famiglia dalla quale proven-go. La mia gratitudine è immensa; il lavoro digenerazioni ha facilitato la mia vita e l'ha resapiù interessante ed attiva. Rileggo volentierile parole che il nonno aveva scritto sul regi-stro d'ingresso alle sue collezioni come se mifossero rivolte “Piacciati o visitatore benevo-lo di scrivere in queste carte il tuo nome areverenza delle antiche memorie qua raccoltee pur sii certo che dell'atto cortese l'ospitegrato serberà sempre ricordanza”.

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Palazzo Bargagli, descritto all'attuale parti-cella catastale 286 del foglio 131 del Comunedi Siena, occupa un lungo tratto di via delleTerme, l'intero lato destro del vicolo dellaRosa e si affaccia con il suo prospetto più rap-presentativo su via dei Termini: qui la faccia-ta è composta da quattro piani e al piano ter-

reno, oltre all'ampio portale d'ingresso, visono tre entrate ad arco con stemmi in chia-ve, come ad arco sono le finestre del primo esecondo piano (rettangolari quelle dell'ulti-mo). Addentriamoci nel suo passato attra-verso la toponomastica e gli stemmi e leiscrizioni che ancora oggi lo adornano.

Palazzo Bargagli in piazza delleErbedi: PATRIZIA TURRINI, con la collaborazione di LUCIANA FRANCHINO

Palazzo Bargagli a Siena.

Dettaglio della pianta di Siena delineata da Francesco Vanni nel 1595.Tra il palazzo dei Bargagli (evidenziatoin verde) e quello dei Tolomei la Piazza delle Erbe.

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La toponomasticaGli attuali più evidenti riferimenti topo-

nomastici di questo palazzo sono dunquevia dei Termini - o meglio come vedremopiazza delle Erbe - e vicolo della Rosa.

La via dei Termini aveva in passato que-sto nome - evocativo del punto d’incontrodei “termini” dei Terzi in cui è suddivisaSiena - soltanto nel primo tratto, partendocioè da palazzo Mignanelli (in quella cheoggi è piazza Indipendenza) fino al vicolodel Lucherino (l'odierno vicolo di PierPettinaio); di lì fino all'arco dei Pontani siaveva la piazza delle Erbe, e qui sboccavano(e ancora oggi sboccano) i vicoli delColtellinaio e della Torre (che isolano ilpalazzo Tolomei da quelli circonvicini); dal-l'arco dei Pontani fino a casa Gori, la stradaera detta via dei Galli (dalle numerose casemedievali di questa famiglia) e anche viadelle Porchettaie, e più oltre fino al poggioMalavolti si chiamava via del Pulcino1.

Nella piazza delle Erbe, posta in granparte dietro il palazzo Tolomei, si svolgeva,come indica chiaramente il toponimo, ilmercato della frutta e della verdura: quicontadini e rivenditori al minuto ("trecco-loni"), giunti a Siena dalle Masse, vendeva-no ai cittadini i prodotti dei loro orti insie-me a uova e pollame.

La zona nel periodo medievale consiste-va dunque in un lungo slargo, dominato dauna torre (oggi via dei Termini n. civico 29).Questa torre assai alta, appartenuta aiLotteringi, ai Tolomei e poi ai Buonsignori,era infine passata ai Bargagli. GiovanniAntonio Pecci nel 1731 precisava infatti che"i Buonsignori [hanno posseduto] la torredietro la casa Tolomei alla piazza dell'Erba,che era molto alta, e il Cittadini dice che fude' Lotteringi e poi de' Tolomei e adesso de'

Bargagli"2. Isidoro Ugurgieri Azzolini, erudito sei-

centesco, ha scritto, tra l’altro, che nelMedioevo l'importanza di una famiglia eraattestata proprio dal privilegio di innalzareuna torre e tra le varie "famiglie di torre"senesi poneva, appunto, gli Ottorenghi conla loro casa posta dietro al palazzoTolomei3. I Lotteringi o Lottorenghi oppu-re anche Ottorenghi erano un'antica fami-glia di Siena del Monte dei Gentiluomini,che aveva la signoria del Belagaio4. Risedutinel Concistoro fin dagli inizi dell'epocacomunale, costituivano un ramo deiTolomei originatosi da Lotterengo diTolomeo, ambasciatore di Siena e provvedi-tore della Biccherna attorno al 12305.

La configurazione della zona dietropalazzo Tolomei è desumibile dalla piantadi Siena assonometrica realizzata attorno al1597 da Francesco Vanni: lo spazio fra lecase era abbastanza largo, perché il palazzoBargagli non era stato ancora realizzatonelle forme attuali6. L'area fu parzialmentediminuita dopo la costruzione o megliol'ampliamento (probabilmente nel Seicento)del palazzo su case preesistenti, e ancorapiù ristretta dopo il terremoto del 1798,quando furono edificati alcuni caseggiatinelle vicinanze del forno dei Galli.

Anche il vicolo della Rosa, che discendelungo il fianco di palazzo Bargagli da viadei Termini a via delle Terme, è assente nellacitata pianta del Vanni, ma è indicato espli-citamente - come limite fra le Contradedell'Oca e del Drago - nel Bando sui confinidelle contrade, emanato dalla principessaViolante Beatrice di Baviera nel gennaio17307; inoltre è descritto dal Fantastici nelsuo Campione del 17848 e compare nellamappa del Catasto leopoldino di primo

1 G.Cantucci, Considerazioni sulle trasformazioni urba-nistiche nel centro di Siena, in "Bullettino senese di storiapatria", LXVIII (1961), pp. 249-262, a pp. 255-256.

2 Archivio di Stato di Siena (d’ora in poi ASS), ms.D 6, G.A. Pecci, "Raccolta universale di tutte l'iscrizio-ni, arme e altri monumenti, sì antichi come moderni,esistenti nel Terzo di Camollia", anno 1731, c. 256v.

3 I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, t. II, Pistoia1649, p. 308.

4 Su questa famiglia, v. ASS, ms. A 30 II, A.Sestigiani, "Compendio istorico di sanesi nobili per nascita,

illustri per attioni, riguardevoli per dignità", c. 352rv; G.Gigli, Diario Sanese, t. I, Lucca 1723, p. 122.

5 Il palazzo Tolomei a Siena, a cura di G. Prunai, G.Pampaloni, N. Bemporad, Firenze 1971, pp. 13-14, 69-70.

6 Sulla pianta di Siena di Francesco Vanni, v. E.Pellegrini, L'iconografia di Siena nelle opere a stampa.Vedute generali della città dal XV al XIX secolo, Siena 1986,pp. 101ss. .

7 V.G.Cantucci, Considerazioni sulle trasformazioniurbanistiche...cit., p. 258.

34 Stemma Bargagli in una incisione ottocentesca.

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Ottocento9. Il nome del vicolo – cosìromantico in apparenza - potrebbe derivaredalla presenza di una vicina osteria dellaRosa, citata sia dall'erudito di fine SeicentoGirolamo Macchi10 sia nel Bando sui confini,o meglio - come sostiene Alberto Fiorini -dal simbolo della rosa che caratterizza lostemma Bargagli11. A mio parere, con pro-babilità, dallo stemma di famiglia hannopreso il nome sia il vicolo, creato in con-temporanea con la costruzione o meglio laristrutturazione del palazzo stesso che vi siaffacciava, sia la vicina osteria forse preesi-

stente: un albergo del Gallo è infatti docu-mentato in questa zona già nelQuattrocento12.

Gli stemmi dei BargagliPer una possibile datazione del palazzo

nelle forme attuali possono essere utilianche le vicende e le variazioni dello stem-ma della famiglia Bargagli. Nell'arme piùantica comparivano ben quindici rose,ridotte poi a tredici e a nove13, e più moder-namente a sei (disposte tre, due, una) causal'inserimento nel capo d'argento dell'aquilaimperiale bicipite, concessa nel 1596 dal-

A sinistra: Lo stemma Bargagli arricchito con la figura dell’aquila bicipite che, come ricorda la lapide sottostante,fu concessa a Scipione Bargagli nel 1596 dall’imperatore Rodolfo II.A destra: Il bassorilievo con l’emblema e il motto di famiglia “Semper suaves” che decora la facciata del palazzo.

8 B. Fantastici, Campione di tutte le fabbriche, strade,piazze, fonti, acquidotti, canali e cloache pubbliche apparte-nenti alla comunità di Siena. MDCCLXXXIX, a cura diC. Cresti, Siena 1992, pp. 56-57: "Dal punto dellenominate tre pietre prendendo la strada detta de'Termini si perviene alla piazza dell'Erba, di dove conti-nuando per la strada detta de' Galli s'incontra la stradadenominata del Pulcino, la quale si estende fino al pog-gio Malavolti. A sinistra di queste nominate stradeincontransi diversi vicoli. Il primo che trovasi presso lapiazza dell'Erba chiamasi il vicolo della Rosa, il secon-do quello del Cavalletto, il terzo del Saltarello, chescende nella piazzetta de' Carrozzai, ed il quarto final-mente costa dell'Incrociata".

9 ASS, Catasto toscano poi catasto italiano, Comunità diSiena, mappa n. 9, Sezione E detta della Lizza, anno1811.

10 ASS, ms. D 111, G. Macchi, "Memorie", fine sec.XVII-inizi sec. XVIII, c. 261.

11 A. Fiorini, Siena. Immagini, testimonianze e miti neitoponimi della città, Siena 1991, p. 99. Sullo stemmaBargagli, v. anche Enciclopedia storico-nobiliare italiana,vol. I, Milano 1932, pp. 514-515.

12 Sull'albergo del Gallo, v. M. Tuliani, Osti, avven-tori e malandrini, Siena 1994, passim; P. Turrini, "Perhonore et utile dela città di Siena". Il Comune e l'edilizia nelQuattrocento, Siena 1997, pp. 45, 68, 143-144.

13 Per due esempi di stemma a nove rose, v. LeBiccherne. Tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XII-XVIII), a cura di L. Borgia, E. Carli, M.A. Ceppari, U.Morandi, P. Sinibaldi, C. Zarrill, Roma, Ministero per ibeni culturali e ambientali - Ufficio centrale per i beniarchivistici, 1984, pp. 254, 268, tavolette 107 (anno1559) e 114 (post 1571 ma ante 1596).

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l'imperatore Rodolfo II a Scipione Bargagliper particolari meriti14. Dal 1596 dunquel'arme, sormontata da un'aquila nera condue teste coronate d'oro e una corona di

lauro sopra l'elmo coperto, ha il camporosso con tre rose bianche diviso per traver-so da una fascia bianca con dentro tre roserosse. Sempre a partire da tale data Scipione

Alcuni scorci della facciata di palazzo Bargagli su Via dei Termini.

14 A. Marenduzzo, Notizie intorno a Scipione Bargagli,in "Bullettino senese di storia patria", VII (1900), pp.326-347, a pp. 332-333: il diploma imperiale porta ladata del 2 novembre 1596.

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si fregiò di un’impresa, dove erano rappre-sentate rose bianche e rose rosse in mazzet-to (“scherzo sopra l’arme de’ Bargagli”),completata dal motto: “Semper suaves.”

Proprio a Scipione, erudito di chiarafama, si devono molte imprese e moltimotti di famiglie nobili e di personaggi,come era di moda a quell'epoca. Il Bargagli,nella sua famosa opera sulle imprese, ledefiniva “espression di singolar concettoper via di similitudine con figura d’alcunacosa naturale (fuor della specie dell’huomo)overro artifiziale, da brevi et acute paroleneccessariamente accompagnata”15.

Il tipo di arme, a sei rose sor-montate dall'aquila impe-riale, è ben visibile sulportale della citatatorre e pertanto vi èstato apposto daiBargagli in occa-sione dell'acqui-sizione dellatorre stessa,avvenuta dun-que posterior-mente al 1596;anzi tale acqui-sizione deveessere stata suc-cessiva allacostruzione (omeglio ristruttura-zione) del palazzoBargagli, perchéIsidoro Ugurgieri scrive-va nel 1649 che la torredegli Ottorenghi, "a cantoa Bargagli", apparteneva"hora" ai Tolomei16. Latorre deve essere passataalla famiglia Bargagli nellaseconda metà del Seicento o al massimo gliinizi del Settecento, epoca nella quale ilMacchi compilava le sue "Memorie"

ponendo - tra le torri del Terzo di Camolliasbassate dal Mendoza dopo la guerra diSiena - proprio quella "di casa Bargagli allapiazza de l'Erba"17 .

La ristrutturazione di Palazzo Bargagli nelsecolo XVII

La costruzione o meglio la ristruttura-zione del palazzo Bargagli nelle forme incui oggi è visibile è successiva al 1596: lodimostrano l'assenza di una struttura di talidimensioni nella pianta coeva del Vanni e lapresenza - sulle tre entrate del palazzo e su

quella che incorpora l'antico ingressodella torre - dello stemma

Bargagli a sei rose con l'aqui-la nonchè sulla facciata

del motto: “Semper sua-ves.”

Sempre sulla fac-ciata, situato fradue finestre delpiano nobile, èben visibileanche uno stem-ma a tredicirose, del tipocioè più antico.Sotto lo stemmauna targa che for-

nisce una preziosaindicazione relati-

va a due date: MDIXe MDCCCLXXXVIII.

Mentre è ipotizzabileche l'ultima data si riferi-

sca a un restauro di fineOttocento (di tale epocasono infatti i soffitti affresca-ti del piano nobile), la primadovrebbe attestare propriol'anno della prima acquisi-

zione da parte dei Bargagli del caseggiatoprecedentemente dei Tolomei. È infattidocumentato che attorno al palazzo

Il busto di un Bargagli (Scipione?) dominalo scalone principale del Palazzo.

15 S. Bargagli, La prima parte delle imprese, Siena 1578,p. 28 (cit. da G. Catoni, Le palestre dei nobili intelletti.Cultura accademica e pratiche giocosi nella Siena medicea, inin I libri dei leoni. La nobiltà di Siena in età medicea, 1557-

1737, a cura di M. Ascheri, Milano, Monte dei Paschi diSiena, 1996, p. 148).

16 I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi...cit., p. 308.17 ASS, ms. D 111, G. Macchi, "Memorie", c. 264.

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Tolomei erano concentrate alcune case di abi-tazione di membri di quella famiglia: adesempio nel 1471 Paolo e Giorgio del fuFrancio Accarigi Tolomei acquistavano daNiccolò Severini una casa proprio sul retrodel palazzo consortile18, e gli stessiLotteringi, ramo dei Tolomei, possedevanoprobabilmente case diabitazione contiguealla loro torre.

A suffragare l’ipo-tesi del passaggio delcaseggiato dai Tolomeiai Bargagli nel 1509 èla circostanza che pro-prio in quell’annoGirolamo di GiacomoBargagli sposava Cas-sandra di Francesco diGiorgio Tolomei19. Ilcontratto di nozze, sti-pulato il 19 aprile1509 dal notaio Gio-vanni del fu ser An-dreoccio, prevedeva,come era consuetudi-ne, la dote versatadalla famiglia dellasposa e la controdote(cioè l'eventuale resti-tuzione della dote neicasi previsti dallalegge) assicurata dallosposo sui propri beni:Antonia Turamini,madre di Cassandra evedova di FrancescoTolomei, con il con-senso della Curia dei pupilli, promise al futu-ro genero Girolamo una dote di 1300 fiorini,consistente, oltre che in beni mobili, in unacasa degli eredi Tolomei sita in Siena nelTerzo di Camollia nel popolo di SanCristoforo con davanti la via comunale, da

un lato Cristoforo di Giorgio Piccolomini, daun altro gli eredi di Bartolomeo Fantozzi, daun altro in parte la via comunale e una bot-tega della Mercanzia’20. Di tale contrattonuziale resta traccia anche in una lapideapposta nel cortile di palazzo Bargagli.

Il cortile, seppure oggetto di vari rimaneg-giamenti (al pianoterreno vi sono alcu-ni archi tamponati),permette di ipotizza-re un'ulteriore data-zione: da un suo raf-fronto con quellomolto simile, seicen-tesco, del palazzoChigi Zondadari (viaBanchi di Sotto, n.civico 46) si puòsupporre un'identicaepoca di costruzio-ne. Probabilmentealcune case passateai Bargagli agli inizidel Cinquecentofurono profonda-mente trasformatenel corso del sec.XVII, quando fuacquisita anche latorre. La ristruttura-zione del palazzo intale epoca è da rife-rire anche alla mag-giore importanzaraggiunta in epocamedicea dallafamiglia.

La famiglia BargagliQuesta famiglia apparteneva al Monte dei

Nove e aveva radici mercantesche21; il primoriseduto nel Concistoro era stato Galgano diLolo, “ligrittiere,” nel 1345. Fra i membri

Ritratto di Scipione Bargagli in una stampa del ‘700.

18 P. Turrini, "Per honore et utile dela città diSiena"...cit., p. 106.

19 ASS, Gabella, 332, c. 50v; ms. A 53, G. Manenti,"Raccolta di denunzie di contratti di matrimoni", fami-glia Bargagli, c. 194v.

20 ASS, Notarile ante-cosimiano, 1260, atto n. 704 (tra-

duco dal latino).21 Per queste notizie, v. E. Jacona, P. Turrini, Le carte

Bargagli-Stoffi nell'Archivio di Stato di Siena, in"Bullettino senese di storia patria", XCIV (1987), pp.403-424, a pp. 406-407 e bibliografia citata.

della famiglia si annoverano in progresso ditempo uomini di governo, vescovi, illustrigiuristi, letterati, dame di corte e cavalieri diMalta; i più noti rappresentanti furono, nellaseconda metà del Cinquecento, il citatoScipione (Siena, 1540-1612), cavaliere cesa-

reo e accademico intronato22, e i suoi fratelliCelso, che insegnava legge a Macerata e aSiena, e Girolamo che, oltre a ricoprire lacarica di auditore di Rota a Genova e aFirenze, si dilettava nello scrivere commedie.

La famiglia possedeva dalla metà delTrecento un grande palazzo posto nel popo-lo di San Pietro a Castelvecchio, nelle vici-nanze di Sant'Agostino e della porta all'Arco(oggi via San Pietro, n. civico 55)23; qui eravissuto, secondo il Macchi, il citato giuristaCelso24. In tale palazzo, ristrutturato nelRinascimento e di nuovo agli inizi delSettecento, sono oggi presenti un dipinto delBeccafumi (Sacra famiglia con San Giovannino)e un grande affresco allegorico del 1734 diGiuseppe Nicola Nasini, nella volta del salo-ne al piano nobile25. Le sepolture dei Bargaglierano nelle chiese di Sant'Agostino e di SantoSpirito e presso l'altare maggiore della com-pagnia della Madonna sotto lo Spedale diSiena.

Altri esponenti della famiglia meritevoli di

menzione furono Gaetano di Mario, monacoolivetano e vescovo di Chiusi nel 1706,Giovanni Battista di Girolamo, canonicodella Metropolitana nel 1718, e AntonioGiuseppe di Celso, rettore della Sapienzanella seconda metà del Settecento, sul quale

il granduca Pietro Leopoldo espresse però unsevero giudizio: "Capo confuso, senza credi-to, né stimato né considerato da nessuno". Eancora Celso, camarlengo dei Quattro con-servatori dal 1799 al 1808 e poi provveditoredell'Ufficio delle comunità fino al 1832. Einfine Scipione portava il nome del suo avoche fu rettore dell'Ospedale di Santa Mariadella Scala nella prima metà del sec. XIX epoi ministro di Toscana a Parigi e a Roma, egovernatore di Livorno; Pio IX gli conferiva iltitolo di marchese, confermatogli dall'ultimogranduca di Toscana.

I Bargagli-StoffiNella prima metà dell'Ottocento un ramo deiBargagli assumeva il doppio cognomeBargagli-Stoffi, a seguito del matrimonio diAntonio di Celso con Maria Luisa Stoffi, ulti-ma discendente di un'importante famigliacomitale modenese-mantovana. I due coniu-gi risiedevano proprio nel palazzo in piazzadell'Erba, come attestano alcune lettere invia-

Le lapidi celebrative collocate nell’atrio e nel cortile del palazzo.

22 Di Scipione si conosce anche un ritratto conser-vato a Milano nella Civica raccolta delle stampe A.Bertarelli, RI 14-100.

23 ASS, ms. D 106, G. Macchi, "Memorie", c. 41.

24 Ibidem.25 Per queste notizie, v. P. Torriti, Tutta Siena contra-

da per contrada, Firenze 1988, p. 166.

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te dalla stessa Maria Luisa26.All'impianto del Catasto leopoldino (circa

anno 1833) i cavalieri Luigi, Scipione,Antonio, Carlo e Claudio e il canonicoGiacomo, tutti figli di Celso Bargagli, risulta-no dunque intestatari del palazzo in via delleTerme di braccia quadre 3203, descritto allaparticella 299 sezione E di Siena27. Nel luglio1837 la proprietà è però intestata al soloAntonio (nella voltura si precisa che il palaz-zo è in via delle Terme al n. civico 1033)28.Nel 1852 alla morte di Antonio il casamentoè ereditato dai figli Celso, Carlo e MarioBargagli-Stoffi come proprietari e Giuseppecome solo legittimario (nella voltura si preci-sa che si tratta di "un palazzo in via dettapiazza dell'Erba")29. Nell'aprile 1874 i fratelliliquidano la legittima allo ‘sfortunato’Giuseppe30, forse nato da una relazione adul-terina della contessa Maria Luisa, e nello stes-so anno si dividono tutta la proprietà conassegnazione del palazzo in piazza dell'Erbaai soli Celso e Mario31. All'impianto delCatasto fabbricati, nell'anno 1882, questaproprietà di Celso e Mario Bargagli viene cosìidentificata: via dei Termini nn. civici 11, 13e 15, via delle Terme n. civico 6 e vicolo dellaRosa n. civico 2, palazzo di 5 piani per 134vani32. Nel 1885 rimane unico proprietario ilmarchese Celso del fu cavaliere Antonio(nella revisione catastale del 1890 il numerodei vani passa a 153)33.

Nel 1892 alla morte di Celso i suoi benivenivano ereditati dal nipote ex fratreScipione di Claudio per 2/3 e dall’anziana

madre del de cuius Maria Luisa Stoffi vedovadi Antonio Bargagli per 1/334. L'anno succes-sivo i due coeredi dividevano la proprietàcon atto del notaio Ricci e il palazzo venivaassegnato al solo Scipione35. Nel 1903 vieneregistrato il seguente stato di cambiamento:via dei Termini, nn. civici 11, 13 e 15, viadelle Terme n. civico 6 e vicolo della Rosa n.civico 2, palazzo con 4 botteghe, rimessa,stalla, locali per uso del Circolo Artistico ecortile; al piano sottostrada 9 vani, al pianoterreno 30 vani, al piano ammezzato 22 vani,al primo piano 24 vani, al secondo piano 32vani, al terzo piano 11 vani, al 4 piano 20vani e alle soffitte 5 vani. Nel dicembre 1921la particella 299, rimasta unitaria fino a quel-l'epoca, viene frazionata in particella 299 eparticella 299 subalterno 136. La particella299 è accatastata come palazzo con 4 botte-ghe, 2 magazzini, rimessa, stalla e annessi ainn. civici 11, 13 e 15 di via dei Termini, 6 divia delle Terme e 2 del vicolo della Rosa; alpiano sottostrada 9 vani, al piano terreno 30vani, al piano ammezzato 22 vani, al secon-do piano 32 vani, al terzo piano 11 vani, al 4piano 20 vani e alle soffitte 5 vani. La parti-cella 299 subalterno 1 è accatastata come por-zione di palazzo in via dei Termini 11, alprimo piano per 24 vani.

Dai Bargagli Stoffi al Banco di RomaLa porzione più grande di palazzo, quella

descritta alla particella 299, viene venduta daiBargagli nel 1921, per rogito Ricci, al Bancodi Roma37; l’Istituto bancario vi apriva infat-

26 E. Jacona, P. Turrini, Le carte Bargagli-Stoffi…cit.27 ASS, Catasto toscano o leopoldino poi catasto italiano,

Comunità di Siena, Campione terreni, c. 318. Si precisache 1 braccio quadro = m2 0,3406589.

28 Ibid., Campione terreni, cc. 395-396, volture 100e 101.

29 Ibid., Supplemento campione terreni, c. 1456,voltura 30. Il figlio Giuseppe fu diseredato dal padreAntonio che gli lasciò la sola legittima (ASS, BargagliStoffi, 117).

30 Ibid., Supplemento campione terreni, c. 4442.31 Ibid., Supplemento campione terreni, c. 4443.

32 ASS, Ufficio imposte dirette di Siena, Registro parti-te catasto fabbricati di Siena, partita 81.

33 Ibid., Registro partite catasto fabbricati di Siena,partita 2495.

34 ASS, Bargagli Stoffi, 5, fasc. "Carte di corredo allasuccessione di Celso Bargagli"; Ufficio imposte dirette diSiena, Registro partite catasto fabbricati di Siena, parti-ta 3614.

35 ASS, Ufficio imposte dirette di Siena, Registro parti-te catasto fabbricati di Siena, partita 3730.

36 Ibid., Registro partite catasto fabbricati di Siena,partita 9017.40

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ti la sua prima agenzia fuori dell’Urbe. Laparticella 299 subalterno 1, a seguito dellasuccessione di Scipione, viene invece eredita-ta dalle figlie Clara, Ermellina e Maria Luisanonché dalla vedova Luisa Marselli38. IlBanco di Roma, nel 1956, acquisisce la pro-prietà anche della porzione di palazzo rima-sta alle eredi Bargagli (particella 299 subalter-

no 1 di 15 vani al primo piano), ad eccezio-ne della particella 299 subalterno 2 (origina-tasi da un nuovo frazionamento) di 9 vani alprimo piano, che viene passata nel 1952 allasocietà per azioni Gestioni Immobiliari39.

Ma siamo ormai all’oggi e qui non puòche interrompersi la mia ricerca storica.

37 Ibid., Registro partite catasto fabbricati di Siena,partita 9084.

38 Ibid., Registro partite catasto fabbricati di Siena,partita 9020.

39 Ibid., Registro partite catasto fabbricati di Siena,partite 11314, 17841 e 18949.

Archivio di Stato di Siena, Catasto Leopoldino Comunità di Siena, mappa 9, sez.E, anno 1811.Evidenziato in bruno il palazzo Bargagli. (aut. 742/2007; è vietata qualsiasi forma di riproduzione)

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La scorsa estate è stato possibile ammi-rare nelle sale di Palazzo Corboli adAsciano una piccola mostra allestita inoccasione della presentazione, dopo anni direstauri a spese del Lions Club “AscianoRapolano Serre – Crete Senesi”, dellaNatività della Vergine di Bernardino Mei.

L’opera di uno degli artisti di maggiorrilievo del barocco senese, recuperata nellaChiesa di San Lorenzo a Serre di Rapolano,è stata esposta insieme ad altri prodotti gio-vanili del pittore, provenienti da Siena eprovincia. Si tratta del Beato BernardoTolomei e La fuga in Egitto dell’Abbazia diMonte Oliveto Maggiore, Il San Girolamoconservato nella Pinacoteca Nazionale diSiena, L’annunciazione della compagniadella Madonna della Grotta e Il ritratto diuomo (Giacomo Sansedoni ?) conservato alSanta Maria della Scala di Siena.

Indubbiamente il fascino maggiore sulpubblico è esercitato dalla pala ritrovata,dove compaiono data (1641) e firma del-l’autore, e le cui caratteristiche cromatiche eformali non nascondono il proficuo influs-

so del conterraneo Rutilio Manetti. La mostra, a cura di Cecilia Alessi e

Alessandro Bagnoli, è promossa dalComune di Asciano, dalla FondazioneMusei Senesi e dalla Soprintendenza aiBeni Artistici e Storici di Siena e Grosseto edimostra ancora una volta l’interesse delLions Club per la promozione e valorizza-zione del nostro patrimonio artistico di cuicostituisce il "service” – vale a dire l’annua-le impegno assunto dal Club in favore delterritorio.

Ci attendiamo che questa occasione,oltre a permettere di conoscere un nuovotassello del percorso artistico di BernardinoMei, sia un ulteriore stimolo a visitare lesale del museo ascianese: contenitore dipreziosi reperti archeologici e opere d’arteprovenienti dal territorio circostante. Unodei pochi al mondo capace di presentare alvisitatore una struttura espositiva assoluta-mente equiparabile per interesse artisticoalle opere esibite.

La Natività della Vergine diBernardino Meiin mostra ad Ascianodi: SILVIA RONCUCCI

Particolare dell’ opera di B. Mei sotto restauro.

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La veduta di Piazza del Campoin una rarissima stampa diAntonio Tempestadi: ETTORE PELLEGRINI, con una nota storica di MARIA RUGIADI

Antonio Tempesta (Firenze 1555 - Roma 1630): Allegoria con veduta di Piazza del Campo, incisione all’acqua-forte (fine XVI sec.).

Per gentile concessione della Libreria Itinera (Siena); fotografia di Fabio Lensini.

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Sono stato rimproverato per non averinserito in Iconografia di Siena (RobertoBarzanti, Alberto Cornice, Ettore Pellegriniper il Monte dei Paschi, 2006) la bella stam-pa di Antonio Tempesta, che ritrae Piazzadel Campo al centro di una ricca scenogra-fia allegorica.

Il Tempesta è uno dei più importantiincisori italiani attivi tra i secoli XVI e XVII.Allievo dello Stradano ed artista assai gradi-to alla corte medicea di Firenze, fu fonte diispirazione anche per il grandissimo Callot.

La rappresentazione in esame, fondatasu un edificio classico tra le cui colonne tro-vano posto personaggi storici e mitologici,mostra attraverso una piccola loggia laveduta della Piazza che forse appare qui perla prima volta in una tiratura a stampa.

Infatti l’opera non è datata, ma avendoiniziato il Tempesta la sua attività grafica findagli anni Ottanta del Cinquecento, l’im-magine del Campo che vi appare potrebbeaver anticipato i pochissimi soggetti incisirisalenti a quel periodo, ovvero la florimia-na del 1602 che ritrae un torneo cavallere-sco, nonché le due vedutine generali delCallot e del Periccioli databili tra il 1615 eil 1620. Per non parlare delle tre suggestivestampe intagliate da Bernardino Capitelli,che infatti risalgono tutte a dopo la mortedel Tempesta avvenuta nel 1630.

Resta comunque intatto il significatoinnovativo di un soggetto d’ iconografiaurbana prodotto quando ancora venivanoprivilegiate le panoramiche generali dellecittà sulle vedute di dettaglio, come singolimonumenti, piazze e palazzi.

Di notevole interesse documentale ilcontenuto della veduta che, pur nella sche-maticità resa necessaria dal poco spazio,appare sufficientemente fedele al soggettoreale e rivela con certezza di essere statatratta dal vero - probabilmente per manodello stesso Autore - sulla base di un taglioprospettico decisamente originale. Infattinon dominano, come in altre vedute delCampo, le strutture del Palazzo Comunale:sacrificato dall’ottica radente e riconoscibi-le soprattutto per il dettaglio della Torre delMangia, mentre appare evidente l’interessedel rilevatore a realizzare una visione d’as-sieme che privilegia sia la fila dei palazziposti a ovest della Piazza, facendo risaltarel’alta mole del torrione Cerretani- Alessi, siagli apparati architettonici della Cattedrale:cupola, campanile e arco del duomonuovo.

Nell’occasione è sembrato opportunocorredare la presentazione della rarissimastampa del Tempesta con alcune note diMaria Rugiadi sull’origine e sull’evoluzionedi Piazza del Campo.

La naturale configurazione del terreno suggerisce lanascita e lo sviluppo di questo spazio urbano. Unmuro, ad impedire il deflusso delle acque dall’anfi-teatro naturale fu il primo passo verso la creazionedello spazio-simbolo. Durante il XII secolo esiste un’unica grandedepressione ai margini dell’asse viario su cui vasviluppandosi la città. Nella parte inferiore, nel-l’attuale Piazza del Mercato, le costruzioni sonoirregolari, case approssimative tipiche di un quar-tiere popolare, mentre nel semicerchio opposto siaffacciano edifici dalle caratteristiche signorili. Lamossa decisiva fu l’acquisto di terreni da parte dei

consoli e provveditori del Comune (1168-1196) ela loro divisione con un muro che, eretto nel 1194per frenare l’erosione delle piogge, separò material-mente l’area superiore da quella inferiore. Qui nasce il nucleo originario del PalazzoPubblico. Nel 1281 il Consiglio generale prende inconsiderazione l’ipotesi di edificare un palazzo chepossa ospitare il governo. Nel 1284 si stabilisconole modalità tecniche e finanziarie per realizzare l’o-pera.Si procede al rialzamento in mattoni dell’origina-rio edificio in pietre, coronato poi con una merla-tura nel 1305. Negli anni successivi la struttura si

Il Campo di Siena: spazio storico e simbolico della città

Particolare centrale della stampa di Antonio Tempesta. 45

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espande con due blocchi laterali, completati nel1325. E’ a questo punto che entra in scena la Torre:quella torre che sarà poi chiamata del Mangia. Ipalazzi circostanti l’area della Piazza formavanouna corte turrita, dimora e castello di potenti e ric-che famiglie: i Sansedoni fin dai primi anni delXIII secolo; gli Alessi (poi i Franzesi e i Cerretani)dal 1296 in quello che è oggi il Palazzo d’Elci;quindi gli Scotti alla Costarella e vicino a loro iSaracini; i Piccolomini dal 1464 nell’angolo diSan Martino. Generalmente questi edifici eranocorredati da alte torri, che l’incuria dell’uomo e idanni del tempo hanno via via sbassato, appan-nando l’immagine della corte turrita che caratteriz-zava il Campo. Alta e svettante la Torre del Mangia è il simbolo diuna città stato che si scorge da lontano: segnala laCittà del Palio. E’ ancora oggi il ‘segnatempo’ diquella grande meridiana che altro non è la Piazza,teatro e scenario di passioni che ogni anno si rin-novano. E proprio il Campo, da sempre, è il centroideale e reale di Siena. Lo era prima di assumere laconformazione architettonica definitiva, consegui-ta senza un progetto unitario ed integrale, ma persuccessive decisioni del suo popolo e per particolarievenienze storiche prima che la città stessa raggiun-gesse una dimensione tale da inglobarlo al suointerno. L’andamento dei luoghi influì costantemente sull’e-spansione della città, sulla sua forma e sulle suearchitetture. La capacità dei costruttori fu messa adura prova per risolvere problemi e adattare solu-zioni alle singolari situazioni orografiche delle col-line su cui si adagia Siena. In questa ottica va svi-luppato l’esame del polo d’interesse che è la Piazzadel Campo.Certamente è un ambiente urbano eccezionale, chenon trova riscontri in altro luogo. Infatti l’analisidella sua forma e, più in particolare, dell’organiz-zazione tra la forma e l’andamento del terreno con-ferma l’abilità dei costruttori nell’applicare funzio-ni urbanistiche a situazioni specifiche. Come si puònotare anche nell’avveniristica soluzione della sca-linata che porta da Piazza San Giovanni alDuomo. Alcuni fanno risalire la forma dellaPiazza alla disposizione della più antica cerchia dimura ed al percorso della Via Francigena, ma essava prioritariamente imputata all’andamento oro-grafico. Il primo documento ufficiale relativo allagenesi della Piazza risale al 1169 e contiene ladenominazione antica Campus Sancti Pauli.

E’ facile immaginare questo enorme spazio degra-dante verso la vallata ed eroso dalle acque meteori-che. Fu per questo che gli antichi governanti dovet-tero realizzare un muraglione di terrazzamento,che rialzò a valle il livello del terreno rispetto allasottostante depressione rivolta a sud. Ma fu con ilgoverno dei Dodici che ebbe inizio la sistemazionedella Piazza come spazio di aggregazione della cit-tadinanza per esigenze civili, religiose e ludiche.L’accesso nel tratto intercorrente da via di Città eBanchi di Sotto avveniva attraverso vari ingressiche mettevano in collegamento con la Piazza sem-pre più differenziandosi per ampiezza e livello:largo il primo ‘chiasso’ posto sullo stesso piano inprossimità della curva di San Martino, mentrel’ultimo, quello del Bargello, è stretto e presenta duerampe di scale. L’idea di realizzare una costruzio-ne sede del potere politico e amministrativo deter-minerà il completamento della Piazza e definirà lasua scenografia, sposandola al progetto di coagulosociale delle grandi manifestazioni cittadine: bril-lante e lungimirante anticipazione di una pianifi-cazione urbanistica che si svilupperà in Europamolto tempo dopo. L’organizzazione spaziale equindi la scenografia della Piazza erano moltochiare nella logica dei suoi costruttori e il PalazzoPubblico, sebbene sviluppato nel tempo conampliamenti e aggiustamenti successivi, fin dalsuo nucleo originario ebbe una collocazione bendefinita.La concavità del Campo rappresenta un concretoesempio della relazione esistente fra gli oggetti urba-ni: il Palazzo comunale fronteggia, come da unpalcoscenico, la quinta edilizia in semicerchio chechiude la Piazza a monte e che influisce, come unaspecie di diga interposta tra la via di Città e ilCampo, sul deflusso delle acque piovane. La siste-mazione del terreno, secondo criteri ingegneristici,assume qui una logica ambientale eccezionale dimodellazione dello spazio concatenata all’anda-mento orografico. L’area della Piazza è sottolineata dalla suddivisio-ne in nove spicchi: il materiale dominante è ilcotto, poi la pietra serena e il travertino.La pavimentazione a lisca di pesce copre spicchinon uguali, che convergono in un punto determi-nato da una caditoia e tesse un tappeto suggestivocon un gioco di luci e pendenze. La caditoia con-voglia le acque meteoriche a valle e il cotto dellapavimentazione risulta cangiante, dal rosso all’a-rancio al giallo, a causa del materiale laterizio

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usato di volta in volta per sostituire le parti dan-neggiate. Il policromatismo dei materiali determi-na l’acuirsi dell’interesse verso il centro dellaPiazza, che trova il suo culmine nella Cappella enella Torre del Mangia. Proprio la Torre, come si è detto, rappresenta unadelle emergenze più importanti sul Campo e nellacittà, ben visibile anche dalle colline più lontane.Essa è in posizione non centrale rispetto allaPiazza e, come nel fiorentino Palazzo Vecchio, necorregge il decentramento verso ovest. Si eleva all’e-stremità del lato sinistro del Palazzo Pubblico , conil castello sommitale disegnato dal pittore LippoMemmi. La sua altezza nel panorama senesedoveva essere uguale a quella della torre campana-ria del Duomo, al fine di simboleggiare l’assolutaparità tra potere politico e potere religioso.Nel volgere della mattina la Torre alimenta con lasua ombra che scorre sulla conchiglia una sorta dimeridiana. Durante il governo dei Nove fu costruita FonteGaia, primo terminale del sistema di rifornimentoidrico cittadino in quanto posta in Piazza delCampo, ombelico della civitas. Essa si diversificadalle tipologie edilizie usate a Siena per questogenere di costruzioni, non presentando alcunacopertura. Concentra le direttrici visuali da ognilato della piazza su i suoi piani centrali scolpiti abassorilievo da Jacopo della Quercia, contrappo-nendo alla rossa ed imponente mole del PalazzoPubblico il bianco abbagliante dei suoi marmi.A Siena il mito del centro città continua ad esiste-re ed assume un’immagine assoluta, piena di signi-ficati storici e sociali. Il significato di ‘centro’ per laPiazza del Campo non ha alternative per i senesi,è perentorio e concluso nella sua forma fisica. E’proprio per la sua accogliente conformazione con-

cava che si può pensare come il topos che richiamala cittadinanza nei momenti dell’aggregazione. Unluogo chiuso, protetto, grande e rassicurante rifugiourbano dove i senesi si ritrovano quasi inconscia-mente, trasportati dalle strade della città che sem-brano confluire tutte lì.Ma oltre agli edifici disposti sul perimetro dellaconchiglia, vi è anche la cinta muraria che incom-be, sia pur inaderente, con la sua presenza e costi-tuisce un’ulteriore parametro di chiusura dellaPiazza. Le lunghe cortine in cui si articola stabili-scono il dentro e il fuori dell’agglomerato urbano edi queste la Piazza rappresenta l’indiscusso bari-centro, il punto di attrazione perenne in cui tuttocontinuamente cambia: di giorno e di notte, d’in-verno e d’estate, dall’alba al tramonto.Come dice l’architetto Giovanni Michelucci,“ognuno di noi all’interno della Piazza è protago-nista,…(essa) ti cattura, è veramente di chi latransita; quando entri ti appartiene”.Si possono vedere persone a prendere il sole, a leg-gere un libro per ore, a conversare; d’inverno ariscaldarsi nel tepore di poventa a San Martino;nei giorni che precedono San Giuseppe, con un car-toccio in mano pieno di frittelle bollenti. Essa si tra-sforma completamente secondo le stagioni, comenei momenti della giornata. La mattina presto èbuia: soltanto un piccolo spicchio di sole si affacciatimido dalla curva del Casato. Al tramonto èinondata dalla luce che il concavo frontespizio delPalazzo riflette con forza abbagliante. E’ l’unica piazza al mondo all’interno della qualedue volte all’anno viene steso nell’anello circostan-te il tufo, terra fine di colore giallo, ed ecco l’inten-so significato del nome che ritorna, la memoria, iltempo passato, la sua origine: il Campo.

M.R.

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Carta geografica del territorio amiatino da: Viaggio al monte amiata (vol. II,Viaggio secondo per le due pro-vince senesi...) di Giorgio Santi, Pisa, Prosperi, 1798.

Le due vedute di corredo all’articolo di Francesca Monaci, riprese dal vero e disegnate a china, sono riferibili comedatazione alla fine del XVII sec. Nelle loro immagini possiamo osservare una rappresentazione realistica dei borghiamiatini ritratti così come apparivano al tempo in cui visse Giovanni Antonio Pecci.

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Giovanni Antonio nacque a Siena nel1693 da Onesta Vannocci Biringucci eDesiderio Pecci1.

Pecci aveva nobili origini: la famigliapaterna era stata fra i fondatori del Montedei Nove, quella materna apparteneva alMonte dei Riformatori2.

Come egli stesso ricorda3, da bambinoapprese i primi rudimenti di grammatica eretorica dai sacerdoti a cui venne affidato.Egli ebbe la possibilità di dedicare moltotempo agli studi: frequentò alcuni corsi uni-versitari di logica, diritto civile, geografia,genealogia. Si appassionò alla storia patriaed alle ricerche archivistiche, che portavanoalla luce documenti o cronache importantidel passato.

Pecci fu anche uno dei membri più atti-vi del panorama politico senese del

Settecento. Eletto per ricoprire numerosecariche, venne nominato più volte Priore,divenne Consigliere del Capitano delPopolo, assunse l’incarico di Capitano delPopolo, ottenne un seggio vitalizio nelConsiglio grande, fu insignito del titolo diCavaliere dell’Ordine di Santo Stefano…

Oltre a dedicarsi alla vita politica dellasua città, si appassionò anche alla sua storia.Pecci fu uno storico erudito, scrisse e tal-volta pubblicò numerosi studi, operette,trattati, tra cui la relazione sulle Contradesenesi o quella sulle “cose più notabili dellacittà di Siena”, sull’Ospedale di Santa Mariadella Scala, sulle “giuste regole per parlare escrivere toscano”. Senza dubbio, la maggio-re opera edita è rappresentata dalle“Memorie storico – critiche della città diSiena”, preziosa fonte storiografica, che

Le Memorie storiche del MonteAmiata di Giovanni AntonioPecci: un moderno progetto diedizione.di: FRANCESCA MONACI

1 Archivio di Stato di Siena, Biccherna, 1147, c.72r.L’atto di battesimo, avvenuto il 12 dicembre di quel-l’anno, riporta il nome completo: Giovanni AntonioMaria, cfr. in particolare: Cinzia Rossi, GiovanniAntonio Pecci: ascendenze familiari e profilo biografi-co, in Ettore Pellegrini (a cura), Giovanni AntonioPecci. Un accademico senese nella società e nella cul-tura del XVIII secolo, Atti del Convegno (Siena 2-4-2004), Siena 2004, pp. 23-59. Il volume contiene ulte-riori e interessanti approfondimenti curati da vari stu-diosi.

2 Per ulteriori informazioni biografiche su G. A.Pecci si vedano tra gli altri: Cinzia Rossi, GiovanniAntonio Pecci (1693-1768). Le vicende familiari, la pre-senza nell’ordine di Santo Stefano e il pensiero sullanobiltà di un intellettuale senese, Pisa 2003 e Mario DeGregorio, “Additare le parzialità e dimostrare gl’abba-gli”: l’autobiografia letteraria di G.A. Pecci, in EttorePellegrini (a cura), Giovanni Antonio Pecci. cit., pp.1-22. La nobiltà civica si trasmetteva in via di filiazione

legittima dell’elettorato passivo per le magistraturemaggiori, sull’argomento v. tra gli altri Danilo Marrara,Nobiltà civica e patriziato. Una distinzione terminolo-gica nel pensiero di alcuni autori italiani dell’età moder-na, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa,serie III, 1980, pp.219-232 ed il più recente Id.,Giovanni Antonio Pecci e la nobiltà senese nel quadrodelle riforme settecentesche, in Ettore Pellegrini (acura), Giovanni Antonio Pecci. cit., pp.269-276. Conparticolare riferimento al caso di Siena v. Mario Ascheri(a cura), I Libri dei Leoni. La nobiltà di Siena in etàmedicea (1557-1737), Siena 1996 e Id., Siena nella sto-ria, Cinisello Balsamo 2000, pp.198-204.

3 Nella sua autobiografia scritta in terza persona for-nisce alcune indicazioni al riguardo cfr. BibliotecaMoreniana di Firenze, ms. Pecci, 42, Compendio dellavita letteraria del nobile signore conte GiovanniAntonio Pecci, cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano epatrizio sanese, scrittagli da amico fedele e benissimoinformato.

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abbraccia gli ultimi anni del XV secolo fino asuperare la metà del secolo successivo.

Tra i numerosi scritti inediti, troneggia l’o-pera monumentale costituita dalle Memoriestoriche, politiche, civili e naturali delle città,terre e castella che sono e sono state sudditedella città di Siena.

Di questo lavoro sono presenti quattroesemplari completi ed autografi provenientidirettamente dalla libreria di Pecci, fruttodelle sue continue revisioni4. A seguito dialterne vicende, le vare copie si trovano oggicustodite in biblioteche ed archivi toscani.Infatti, gli Abbozzi, che rappresentano laprima stesura del lavoro, in sei volumi, sonoconservati presso la biblioteca Moreniana diFirenze. Le altre tre copie sono tutte conser-vate a Siena: una alla Biblioteca Comunale

degli Intronati, una all’Archivio di Stato diSiena, l’ultima – considerata da molti la ver-sione definitiva che doveva essere data allastampa – è reperibile presso l’ArchivioStorico del Monte dei Paschi5.

Pecci iniziò la sua “laboriosa impresa” trail 1757 ed il 1758. Egli predispose una sorta diquestionario inviato alle autorità localimediante una lettera circolare datata 3 luglio1758, che fu poi pubblicata sulle NovelleLetterarie fiorentine di Giovanni Lami del 28luglio, per favorirne una maggiore diffusio-ne6.

La lettera conteneva ventiquattro quesitielaborati da Pecci sulla posizione geografica,sulle caratteristiche dell’ambiente circostantee dei singoli centri, su edifici e monumenti –laici e religiosi – di particolare interesse, sulla

4 Roberto Barzanti, Il revisionista furente, in EttorePellegrini (a cura), Giovanni Antonio Pecci. cit., pp.XI–XVI..

5 Notizie dettagliate sugli acquisti delle quattrocopie dei manoscritti in Maria Ilari – Patrizia Turrini, I

“Manoscritti Pecci”: vicende ereditarie, studi archivisti-ci e interessi eruditi, in Ettore Pellegrini (a cura),Giovanni Antonio Pecci. cit., pp.61-134.

6 Novelle letterarie, 28 luglio 1758, 30, col. 470.

Veduta generale di Castel del Piano.

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pubblica amministrazione, sull’economialocale, sulla storia, la legislazione ed il mate-riale archivistico7… Il complesso schema chene deriva mostra come era articolata la strut-tura di fondo del progetto di Pecci: i quesitipermettevano di raccogliere notizie sullematerie più varie, senza tralasciare nessuncampo di ricerca e di classificarle per temiomogenei.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, leautorità locali non si dimostrarono collabo-rative, ma indifferenti e disinteressate. Eglistesso dichiarò di avere ricevuto in rispostasolo poche relazioni: “da poche più di trentane ho ricevuto la responsione e quel che piùmi fa meravigliare, dalla maggior parte di

quelle che più inculte e più mancanti dipopolazione si considerano8.”

L’opera costituisce una prima elaborazio-ne di materiali antichi, di regola consultati estudiati da Pecci personalmente, sebbene, inalcuni casi, le sue ricerche non siano stateagevolate dai soggetti preposti ai vari archivi9.L’accesso al materiale documentario, inizial-mente, fu facilitato da diversi fattori, primifra tutti l’appartenenza alla nobiltà civicasenese e l’esercizio di cariche pubbliche,come anche la disponibilità dell’erudito acompilare inventari o repertori. Tali strumen-ti costituivano un valido aiuto per una rapidaconsultazione e per la gestione del patrimo-nio documentario. Tuttavia, nella redazione

7 Giuliano Catoni, La “laboriosa impresa” diGiovanni Antonio Pecci, in Notizie storiche della cittàdi Montalcino, Sinalunga 1986, pp.I-VII, e Id., Le “eru-dite fatiche” del Pecci e del montalcinese Tullio Canali,, in Ettore Pellegrini (a cura), Giovanni Antonio Pecci.cit., pp.279-286.

8 Di queste ben dodici gli furono inviate da LuigiAntonio Paolozzi. Per quanto riguarda le ricerche sui

Comuni e Comunelli del Monte Amiata, l’eruditochiancianese fu un valido collaboratore e ne agevolò lericerche fornendogli materiale su Castel del Piano,Monte Nero, Santa Fiora e la Triana.

9 Mario Ascheri, Presentazione, in Elena Innocenti– Gianni Mazzoni (a cura), Giornale sanese (1715-1794)di Giovanni Antonio e Pietro Pecci, Siena 2000, pp. IX-X.

Veduta generale di Seggiano.

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degli stessi, egli utilizzò criteri rudimentali eincompleti, pertanto spesso erano inutilizza-bili per altre persone, in particolare perchéprivi di indici e non disposti in ordine cro-nologico. Ciò si spiega facilmente, se si con-sidera che il suo obiettivo primario era ricer-care notizie e dati che gli potevano essereutili per i suoi studi contenuti negli archivi,non inventariare i fondi archivistici che esa-minava!

L’opera non fu mai data alla stampa perintero, tuttavia è tra le più consultate e si regi-strano numerose edizioni relative a singolelocalità10. Infatti, le Memorie Storiche Peccirappresentano tutt’oggi una fonte documen-taria rilevante per gli studiosi, perché conten-gono numerose indicazioni di carattere stori-co naturalistico e soprattutto frequenti e pun-tuali rinvii al materiale archivistico originale,che permettono di ricercare con rapidità itesti originali.

Ormai da alcuni anni si è risvegliato,anche nell’Amiata, un profondo e costanteinteresse per le relazioni di Pecci, perché for-niscono al lettore di oggi informazioni pre-ziose, come le trascrizioni di testi originali,che in alcuni casi rappresentano l’unica testi-monianza oggi disponibile di un documentoperso, distrutto o gravemente danneggiatonel corso dei secoli.

Gli studi pecciani sul territorio amiatino sisono sostanziati in oltre venti relazioni: alcu-ne, riguardanti l’area senese della montagna,sono state in gran parte pubblicate11, invece,da quelle del grossetano, vengono spessoestrapolati solo alcuni brani, utilizzati perricerche monografiche.

È nell’ottica di salvaguardare questo pre-zioso patrimonio storico e di diffonderlo, chesi colloca l’iniziativa, da me ideata e curata,di pubblicare tutte le relazioni di Pecci relati-ve ai paesi ed alle piccole località del MonteAmiata (versante grossetano).

Il volume comprenderà le relazioni – tra-scritte integralmente dal loro originale – di12:Arcidosso, Cana, Castel del Piano13,Cinigiano14, Montenero15, Montegiovi,Montelaterone16, Monticello, Porrona,Potentino, Roccalbegna, Rocchette di Fazio,Santa Fiora17, Sasso d’Ombrone e Vicarello,Seggiano, Semproniano, Stribugliano, Triana.

Il progetto ha la finalità di riportare fedel-mente le notizie raccolte dal senese Peccisulla natura, il territorio, l’organizzazioneamministrativa, la legislazione e la storia del-l’anello Amiata. Esso è stato studiato con l'in-tento di fornire uno strumento utile e di faci-le consultazione per chiunque intenda appro-fondire la ricerca sulla montagna.

10 Si veda l’elenco a titolo esemplificativo contenu-to in Maria Ilari – Patrizia Turrini, I “Manoscritti Pecci”.cit., p.77 nt.53 e relativamente a tutte le opere scritte daPecci si ricorda Ettore Pellegrini, Bibliografia delleopere di Giovanni Antonio Pecci uscite a stampa, in Id.(a cura), Giovanni Antonio Pecci cit., pp.339-347.

11 Per Abbadia san Salvatore v. Cinzia Anselmi,Giovanni Antonio Pecci (circa 1750) Scheda storica suAbbadia San Salvatore, in Abbadia San Salvatore.Comune e monastero in testi dei secoli XIV-XVIII,Arcidosso 1986. Su Piancastagnaio cfr. Giuseppe Sani,Il Settecento pianese, Grotte di Castro (VT), 2005. PerRadicofani v. Beatrice Magi - Renato Magi (a cura),Memorie di un’antica terra di frontiera e di fortezze.Radicofani nella storia raccontata da G.A Pecci e B.Gherardini, Abbadia San Salvatore, 2006, pp.59-90.

12 Di seguito si citano le edizioni integrali a stampadelle relazioni pecciane, di cui ci è giunta traccia.

13 Francesca Monaci, Memorie storiche di Castel delPiano (di G. A. Pecci), in Amiata Storia e Territorio n.52(agosto 2006), pp. 33-39.

14 Monografia di Cinigiano, estratta da un mano-scritto autografo del 1700 del Cav. Antonio Pecci daAlessandro Crimini, fatta stampare dal Cav. AntonioBruchi, Siena 1879.

15 Montenero. Monografia storica per nozzeAvanzati Valentini, Siena 1887.

16 Francesca Monaci, Montelaterone: lo Statuto del1572 e le Memorie Storiche di G.A. Pecci, in VincenzoBacciarelli – Paolo Pacchiani (a cura), Montelaterone.Storia, religione ed arte di un’antica cella delMontamiata, Roma 2006, pp.163-178.

17 Francesca Monaci, Memorie storiche dellaContea di Santa Fiora raccolte dal Cavalier GiovanniAntonio Pecci, in Tracce… percorsi storici culturaliambientali per Santa Fiora, annuario 2005, pp.9 – 55.In questa sede sono state oggetto di analisi e studiocomparato (e segnalate in nota) le differenze tra ilmanoscritto di Pecci e la relazione inviatagli da LuigiAntonio Paolozzi, relativamente alla sola Contea diSanta Fiora. Il volume cui si accenna conterrà la tra-scrizione integrale, comprensiva delle notizie sul comu-nello di Selvena.

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Riportiamo pressochè integralmente il testodel ricorso presentato dal Notaio Dr. RiccardoCoppini all’Ufficio del Registro di Siena perconto della Contrada Priora della Civetta.

Quale specifico strumento ricorsuale, lamemoria era finalizzata a far conseguire un con-sistente lascito testamentario alla Contrada; essapresenta tuttavia non minore interesse nel piùvasto ambito delle storiche contrade senesi per ilriconoscimento della loro personalità giuridica edintegra la dottrina più autorevole, fondata sugliinterventi di Michele Cantucci ( La natura giu-ridica della Contrada, 1964 ), Marco Comporti(La tutela degli stemmi, degli emblemi e dei colo-ri delle contrade di Siena, 1982) ed EnzoBalocchi (Contributo per la definizione giuridicadella Contrada, 1987 ), nonché sugli studi pro-dotti da Franco Badiani, Pier Giorgio Ponticelli,Cristina Mascambruno.

Avvertiamo che, trattandosi di un atto legalee non di un saggio, la memoria è stata redatta informa strettamente tecnica. Per agevolarne la let-tura abbiamo omesso le annotazioni introduttivee semplificato le citazioni bibliografiche: ce nescusiamo col dr. Coppini.

Segnaliamo, infine, l’esito positivo del ricor-so, dopo una lunghissima trafila presso le compe-tenti commissioni erariali e, con il patrocinio delProf. Marco Comporti, davanti alla giustiziaordinaria, che ha permesso alla Civetta di entra-re in possesso dell’eredità ricevuta e nello stessotempo ha sancito la natura giuridica delleContrade quali enti di diritto pubblico.L’importante definizione è scaturita da un attoche abbiamo voluto riproporre tra le pagine dellanostra Rivista come doveroso contributo per laconoscenza della storia di Siena e delle sueContrade.

... é in primo luogo necessario verificare

se la Contrada Priora della Civetta ed ingenere le “Storiche Contrade” di Siena, pos-sono ritenersi persone giuridiche alla lucedelle vigenti disposizioni di legge in mate-ria. Non è qui possibile ed opportunodilungarci sul concetto di persona giuridicae sull’evoluzione storico-giuridica che lostesso ha subito.

Basti pertanto ricordare che la miglioredottrina individua gli elementi sostanzialidella persona giuridica come segue: 1) unacollettività di persone; 2) un fine comuneda conseguire; 3) una massa di mezzi mate-riali destinati al conseguimento di questofine; 4) il riconoscimento giuridico.

Che ricorrano, per le “Storiche Contrade”di Siena i presupposti di cui sub 1), 2), 3),non è possibile dubitare; inutile oltre cheoziosa sarebbe ogni dimostrazione. In ordi-ne al presupposto di cui sub 4 (riconosci-mento giuridico) è invece indispensabilespendere alcune parole.

L’origine storica delle Contrade è ancoraoggi incerta. Una prima traccia della loroesistenza si rileva nel Costituto del Comunedi Siena dell’anno 1262. Esse, oltre a fun-zioni militari - per la difesa della città - svol-gevano, nell’ambito delle rispettive circo-scrizioni territoriali, veri e propri compitiamministrativi di polizia urbana, manteni-mento delle vie ed altri servizi di pubblicautilità. A capo della Contrada era ilSindaco, assistito da un certo numero diConsiglieri, ed alle dipendenze del Capodel Comune (Podestà). Le contrade eranosottoposte al controllo della Balia, organopolitico della Repubblica di Siena prima edello Stato di Siena dopo; esse possedevanoimmobili che amministravano a beneficiodella collettività. É possibile pertanto affer-mare, senza tema di smentita, che le

Sulla natura giuridica delle storiche Contrade di Sienadi: RICCARDO COPPINI

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Contrade sussistevano nell’ordinamentoanteriore a quello costituitosi al momentodella unificazione del Regno, come associa-zioni dotate di titolarità di diritti e di dove-ri e quindi come persone giuridiche (CAN-TUCCI). Con le moderne codificazioni si èposto il problema della necessità del ricono-scimento delle persone giuridiche e dellemodalità con cui quest’ultimo può avvenire.

La dottrina più autorevole e la stessa giu-risprudenza si sono trovate concordi nel-l’affermare che il riconoscimento della per-sona giuridica possa avvenire oltre che informa diretta anche in forma indiretta otacita. Il riconoscimento indiretto o tacito siha, secondo la dottrina prevalente con“l’approvazione di atti compiuti dall’Ente”o mediante “l’autorizzazione dell’Ente acompiere negozi giuridici che presupponga-no il riconoscimento stesso, o per effetto dirapporti giuridici stabiliti fra l’Ente stesso elo Stato che trattando direttamente conesso mostra implicitamente di considerarlopersona giuridica” (DE RUGGIERO, Ist.

Cap. XI, pag. 430).Ma vi è di più: secondo un’autorevole

commento, infatti il “possesso di stato” l’a-vere cioè un Ente agito sempre come perso-na giuridica, basta a costituire il riconosci-mento. Il conferimento della personalità èregolato secondo la legge del tempo in cuil’Ente è sorto, perciò una persona venuta adesistenza nel passato viene costituita secon-do la legge del tempo. E nel caso che un’as-sociazione o istituzione fin da epoca remo-ta abbia pubblicamente goduto dei propridiritti e si sia sempre comportata come entegiuridico, la dottrina ammette un acquistodella personalità giuridica “ab immemora-bile” come presunzione di un titolo di con-cessione di cui non si ha più traccia o ricor-do (CANTUCCI).

Per quanto in precedenza esposto - enon è questa la sede per dilungarci ulterior-mente sull’origine storica e la funzionesvolta nel passato dalle Contrade - ci sem-bra di poter affermare con certezza che leContrade, riconosciute come persone giuri-diche negli ordinamenti anteriori, come talisono venute ad inserirsi nel nostro ordina-mento giuridico.

La tesi qui sostenuta trova puntualeriscontro nel disposto dell’art. 11 del cod.civ. vigente (ed in precedenza nell’art.2 cod.civ. 1865), laddove si stabilisce che gli Entipubblici riconosciuti come persone giuridi-che, godono dei diritti secondo le leggi e gliusi osservati come diritto pubblico. Edafferma esattamente il Cantucci che “l’usoosservato, come diritto pubblico, cui sirichiama l’art. 11 del codice civile, è nonsolo la misura dei diritti che possono spet-tare all’ Ente Contrada, ma vale anchecome riconoscimento indiretto della perso-nalità e della natura pubblica di esso”.

A fugare gli ultimi dubbi e perplessitàsulla personalità giuridica delle Contrade èintervenuta infine la legge 9/3/1976 n. 75concernente la tutela del carattere monu-mentale ed artistico della Città di Siena.

Il legislatore annovera “le StoricheContrade” tra i soggetti obbligati ad esegui-re “le opere per la salvaguardia del caratterestorico, monumentale, artistico e paesisticodella Città di Siena nonchè per il risana-

Frontespizio del bando originale sui confini delleContrade emanato da Beatrice Violante di Bavieranel 1729.

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mento civico ed il restauro urbanistico”.L’articolo 3 L. 75/1976 riconosce la possibi-lità che “le Storiche Contrade” siano pro-prietarie di immobili (edifici compresi nelcentro storico) e stipulino convenzioni “datrascrivere nei registri immobiliari”.

Si è operato pertanto con il provvedi-mento legislativo suddetto un riconosci-mento indiretto o tacito da parte delloStato delle “Storiche Contrade” quali perso-ne giuridiche capaci di assumere diritti edobblighi. Infine l’attributo “storiche” che siè voluto aggiungere per individuare lediciassette contrade, costituisce esplicitorichiamo al Bando della PrincipessaViolante Beatrice di Baviera del 1729, indi-viduando in tale atto la fonte avente forzagiuridica, secondo l’ordinamento vigenteall’epoca, del riconoscimento delle Contradequali persone giuridiche.

A conclusione, quindi, possiamo sen-z’altro affermare che le Contrade sono per-sone giuridiche “per uso osservato comediritto pubblico” (possesso di stato) ai sensidell’art. 11 codice civile, ed hanno trovatoinoltre esplicito anche se indiretto ricono-scimento nella legge 75/1976 (riconosci-mento tacito). Occorre adesso esaminarecome si collochi la Contrada nell’ambitodel genus persona giuridica. Anticipando leconclusioni di quanto verremo esponendo,possiamo fin da ora concordare con la tesidel Cantucci secondo il quale le “Storiche”Contrade di Siena sono indubbiamente entipubblici. Tra i numerosi criteri di distinzionedegli enti pubblici dalle persone giuridicheprivate, proposti dalla dottrina, sembra dapreferire senz’altro il criterio del fine, delloscopo proprio della persona giuridica.

Secondo lo Zanobini “Enti Pubblicisono quelli che hanno come loro scopo unfine che è proprio anche dello Stato ed agi-scono, nel perseguirlo, oltrechè nel propriointeresse anche nell’interesse dello Stato”.

Per l’ Ottaviano (Enc. Dir.: voce entepubblico) lo scopo che qualifica un Entecome pubblico deve riferirsi alla “cura di uninteresse collettivo”. Occorre, tuttavia, pre-cisare, secondo la migliore dottrina, che “lapersona giuridica pubblica ricorre anche sesi tratti di grandi collettività diverse dallo

Stato (come le Regioni, le Province ed iComuni) e di gruppi minori (come nel casodegli articoli 862, 863 e 850 c.c.), se cioè sitratta di interessi sezionali, per cui si posso-no avere persone giuridiche pubblicheanche là dove, perseguendosi uno scopo ilquale è di regola caratteristico delle personegiuridiche private, siffatto scopo debba tor-nare a vantaggio di un Ente che è pubblico”(CANTUCCI). Ora non si può dubitareche nel passato le Contrade abbiano sempreperseguito scopi di pubblico interesse. Bastiricordare in proposito i controlli cui le stes-se erano sottoposte ed ai quali abbiamoavuto occasione di accennare in preceden-za. Attualmente scopo principale delleContrade è quello di partecipare alle duecorse annuali del palio. Tale scopo, per imotivi a tutti noti, torna ad indubbio van-taggio del Comune di Siena così come èconfermato dal Regolamento che disciplinacon dovizia di particolari la festa nonchè i

Frontespizio del celebre opuscolo di Giovanni AntonioPecci sulla storia delle Contrade (Siena, Quinza,1723); da questo studio furono stimolati i lavori cheportarono alla definizione del bando di Violante diBaviera.

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rapporti tra il Comune di Siena e leContrade (tramite i legittimi rappresentantidi queste ultime). Le disposizioni contenu-te nel Regolamento del Palio dimostranol’interesse del Comune e quindi l’interesse“pubblico” per l’attività svolta dalleContrade. All’art. 9 del Regolamento delPalio le Contrade sono riconosciute comeistituzioni di “cospicuo interesse cittadino”.

Infine occorre rilevare, se ancora ve nefosse bisogno, che le spese per la festa delPalio vengono imputate nella voce delbilancio Comunale avente od oggetto “ser-vizi ed uffici di pubblica utilità”. Che leContrade abbiano carattere pubblicistico sirileva altresì dalla più volte citata L. 75/1976nella quale vengono contrapposte ai privati(persone fisiche e giuridiche). Al terminedella nostra esposizione, che la complessitàma anche l’interesse dell’argomento, haforse reso più lunga del dovuto, ci sia con-sentito, usando ancora una volta le paroledel Cantucci, ribadire che le Contrade diSiena, sono persone giuridiche le quali per-seguono un fine al cui conseguimento èinteressato una grande collettività diversadallo Stato, ma che ha anch’essa finalità diordine superiore corrispondenti agli interes-si della generalità inserita nella sua circo-scrizione territoriale. Le Contrade sono per-tanto PERSONE GIURIDICHE PUBBLI-CHE. Torniamo adesso al problema dalquale abbiamo preso le mosse. Dimostratoche le contrade quali persone giuridichepubbliche hanno il requisito soggettivorichiesto dall’art. 3 D.P.R. 26/10/72 n. 637 edall’art. 25 D.P.R. 26/10/1972 n. 643, restada esaminare se le stesse abbiano per scopoesclusivo finalità di pubblica utilità e possa-no essere ricomprese nella fattispecie previ-sta dal primo comma dell’art. 3 DPR637/72 ovvero, non ricorrendo detto pre-supposto oggettivo debba farsi riferimentoalla fattispecie prevista nel comma secondodella norma medesima.

Al fine di liberare il campo da possibiliequivoci occorre subito premettere che loscopo di un Ente deve essere tenuto distin-to dalle attività che lo stesso esercita per ilraggiungimento del medesimo. I singoli attiposti in essere possono, isolatamente consi-

derati, non apparire diretti al conseguimen-to di un fine di pubblica utilità. Si pensi adesempio alla locazione degli immobili diproprietà della Contrada, attività avente diper sè carattere privatistico. Ma come osser-va lo Zanobini “la natura dell’attività svoltae che serve di mezzo al conseguimento delfine non ha importanza”. È pertanto loscopo ultimo che verrà realizzato e perse-guito attraverso il compimento di più attiod attività, anche di carattere privatistico,che deve essere tenuto presente. Ci sia altre-sì consentito porre in evidenza come i finidella Contrada non debbano essere confusicon quelli della c.d. “Società di Contrada”,avente natura autonoma rispetto allaContrada stessa. L’art. 1 dello statuto dellasocietà del Palio “Cecco Angiolieri” stabili-sce infatti che scopo della società è, fra glialtri, quello di “affiancare ogni iniziativa edattività della Contrada” Priora della Civetta,presupponendo pertanto la natura autono-ma dei due Enti. Quale sia lo scopo “pro-prio” e “ultimo” delle Contrade inutilmen-te verrebbe ricercato nei loro Statuti. Lamaggior parte degli stessi, infatti (ed in par-ticolare quello della Contrada Priora dellaCivetta) non contengono alcuna disposizio-ne in proposito. Ed allora non resta che rife-rirsi agli scopi che il Comune o lo Statohanno riconosciuto propri delle Contradenonchè alle finalità che storicamente esse sisono preposte e che a tutt’oggi vengonoperseguite. Che nel passato le Contradeabbiano sempre perseguito scopi di pubbli-co interesse (fiscali, edilizi, di guardia pub-blica etc...) è stato ampiamente dimostratoin precedenza.

Attualmente il fine di gran lunga piùimportante, anche se non esclusivo, delleContrade è l’organizzazione e la partecipa-zione alle pubbliche feste che si tengono inoccasione del Palio del 2 Luglio e del 16Agosto di ogni anno. Quest’ultime quali“celebrazioni cittadine” (art. 8 Regolamentodel Palio) rivestono carattere di pubblicautilità per la loro funzione strumentale, peril fatto cioè di essere connesse con un inte-resse pubblico del Comune, interesse checonferisce a tale scopo il crisma della “pub-blica utilità”. Basti in proposito richiamare

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quanto già in precedenza accennato circa ladisciplina dei rapporti tra Comune eContrade contenuta nel Regolamento delPalio, l’imputazione delle spese etc...

Ugualmente deve ritenersi di pubblica uti-lità l’attività che nel corso di tutto l’anno leContrade esercitano in stretta dipendenza econnessione con il Palio. Alle contrade èstato inoltre riconosciuto quale fine persegui-to “l’educazione, l’istruzione, il miglioramen-to morale ed economico” degli appartenentialle contrade stesse (Cass. 3.2.1894). Infine,da ultimo, può annoverarsi tra gli scopi che lecontrade possono perseguire l’attività direttaal recupero degli immobili di particolare inte-resse storico ed artistico, attività demandatadalla Legge 75/1976. Altri fini non si rinven-gono nè in pratica sono perseguiti.

Non resta pertanto che concludere che laContrada, quale ente pubblico, ha esclusiva-mente scopi di pubblica utilità e conseguen-temente, ricorrendo anche il presuppostooggettivo, deve ritenersi applicabile alla fatti-specie di cui alla presente istanza il disposto

del primo comma dell’art. 3 del D.P.R.637/72. Ove ciò, per dannata ipotesi, nonvoglia ammettersi, restando senza dubbioconfermato che tra gli scopi perseguiti dalleContrade hanno larga prevalenza quelli dipubblica utilità, per il perseguimento di que-sti ultimi deve ritenersi disposto nel caso con-creto il lascito a favore della Contrada Prioradella Civetta di cui al caso in esame.

Oltre che dalla volontà ripetutamenteespressa in vita dal defunto, ciò risulta altresìconfermato da quanto deliberato dalla assem-blea della stessa contrada, delibera che inestratto si produce unitamente alla presenteistanza. Infine, ai sensi del disposto dell’art. 25D.P.R. 643/72, nonchè (ove ritenuto applica-bile) dell’art.3 D.P.R. 637/72, la ContradaPriora della Civetta, in persona del suo Priorepro-tempore, si impegna a fornire a codestoUfficio, entro un quinquennio dalla data diapertura della successione, la dimostrazionedell’avvenuto reimpiego dei beni pervenutiper successione, ovvero delle somme ricavatedalla loro vendita per scopi di pubblica utilità.

Nel 1850 la Contrada della Giraffa intentò causa alComune davanti al Tribunale di Siena per la vincitadel Palio di luglio dell’anno precedente.Nell’occasione fu data alle stampe la relativa memo-ria ricorsuale redatta per conto della Contrada attri-ce da Giuseppe Corsini.

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Il CNR, l’Università degli Studi di Siena,Il Courtauld Institute of Art e il WarburgInstitute di Londra hanno organizzato unconvegno internazionale di studi che si ètenuto nei giorni 4 e 5 Maggio 2007 in tresedi differenti: l’Aula Magna del Rettorato, laSala degli Intronati di Palazzo Patrizi e la Saladel Camino del Santa Maria della Scala.

La vitalità del passato culturale senese e lasua continua rilettura attraverso i secoli costi-tuisce il motore primo di queste due densegiornate di studi; in ossequio alla pionieristi-ca lettura politica dei cicli dipinti nel PalazzoPubblico di Siena proposta da NicolaiRubinstein nel 1958, nel titolo si è fattocenno alle Political Ideas insieme ai ‘modelliculturali’ che hanno improntato la storia di

Siena e che, tuttora, continuano ad offriremateriale di ricerca inesauribile. Tema por-tante di questo convegno è stata l’indagine,con contributi di varia natura e impostazio-ne, del concetto di identità senese e, in parti-colar modo, della sua percezione di sé attra-verso i secoli. Il fatto stesso che si delinei unaforte tradizione, e che come tale venga pre-cocemente avvertita – sia nell’accettarla chenel ripudiarla – è indizio di una coscienzastorica ormai formata. I fenomeni di revivali-smo insistentemente evidenziati nella pitturasenese del ‘400 – in primis le franche citazio-ni dei capolavori di Duccio, Simone e deiLorenzetti come insuperabili modelli figurati-vi – sono già prefigurati nel tardo Trecento,quando la percezione della recentemente tra-

Eventi

La presenza del passato a Siena.Osservazioni e note di Silvia Colucci sul convegno

internazionale di studi:

Presenza del passato. Political ideas e modelli culturali nella storia e nell’arte senese

Comitato Scientifico del convegno: ROBERTO DE MATTEI, JOANNA CANNON, PATRICIA RUBIN,CHARLES HOPE, ROBERTO GUERRINI, MARILENA CACIORGNA

L’invito al convegno.

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scorsa età dell’oro si insinua nella culturalocale. Un analogo processo avviene aFirenze, dove la consapevolezza della grandestagione letteraria di primo ‘300 induce leautorità cittadine a prefigurare, alla fine delsecolo, un pantheon per onorare le spoglie diDante, Boccaccio e Petrarca. Persino la culladel Rinascimento sarà segnata da episodifigurativi revivalistici nel pienoQuattrocento, come l’analisi del fenomenoproposta in questo convegno da MachteltIsraëls – di cui si dovrà discutere – non hamancato di sottolineare.

In virtù delle molteplici declinazioni cheil rapporto fra presente e passato rivela, gliinterventi del convegno sono stati raggruppa-ti in quattro nuclei tematici: Siena e il buongoverno, Siena e la religione, Siena e l’antico,Medioevo rivissuto.

L’analisi dei cicli dipinti del PalazzoPubblico di Siena sotto la specie dell’allegoriapolitica è stato il fil rouge della prima sessione;nella quale, a partire dalle ormai imprescindi-bili pubblicazioni di Maria Monica Donatosul Buon Governo e di Alessandro Bagnolisulla Maestà, i contributi hanno suggeritonuovi spunti d’analisi. Jean Campbell eFlorence Vuilleumier Laurens hanno indaga-to prevalentemente il rapporto fra parola e

immagine: la prima evidenziando il compli-cato nesso fra la Maestà di Simone e i variregistri linguistici adottati nelle iscrizioni cheintessono il dipinto (caratteri pseudo-cufici,latino, ma soprattutto volgare nella particola-re declinazione della poesia vernacolare); laseconda ravvisando nella Psycomachia diPrudenzio una delle possibili fonti letterarieper le Allegorie lorenzettiane. Suggestivo èstato l’intervento di Gerhard Wolff, che nelletre pareti della Sala della Pace ha volutoseguire con lo sguardo la Dame Blanche, ladonna biancovestita ricorrente con appellati-vi diversi: Iustitia legata ai piedi dellaTirannide, Pax mollemente seduta sulloscranno del Buon Governo, Securitas spaval-damente volante sulle mura negli Effetti delBuon Governo. Ne deriva una identificazio-ne-equivalenza semantica delle tre figure -con il conseguente riflesso sul piano dell’alle-goria politica - che si realizza anche nell’evi-dente moto ascensionale che ne connota lerispettive posizioni. La lettura di Wolff, che lostudioso si ripropone di corroborare con ulte-riori ricerche, sottolinea ancora una volta ilraffinato gioco polisemico delle immaginiche popolano l’affresco, inscindibilmenteintrecciate alle corrispondenti iscrizioni.L’intervento conclusivo di questa prima tran-

Autoritratto del Sodoma (Abbazia Monte Oliveto). Autoritratto del Beccafumi (Museo del Louvre, Parigi).

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che di lavori, quello di Marcella Marongiu, sisegnala per il rigore metodologico con cui haconvincentemente proposto di riferire duedisegni del Sodoma (conservati rispettiva-mente al Louvre e agli Uffizi) al progetto didecorazione della volta della Sala delConcistoro, poi realizzata da Beccafumi conun programma differente. L’ipotesi era statacautamente ventilata da Andrea de Marchi,ma subito accantonata per una presuntaincompatibilità dei soggetti raffigurati – miticlassici della Caduta di Fetonte e del Ratto diGanimede – con il contesto ideologico delPalazzo Pubblico. La Marongiu ha invece evi-denziato come nelle città italiane coinvoltedal passaggio dell’Imperatore Carlo V ricor-rano commissioni pubbliche di cicli di ana-logo soggetto, utilizzato in chiave allegoricaper alludere all’audacia del sovrano (la cuiimpresa era, significativamente, la rappresen-tazione delle colonne d’Ercole). La presenzadi questi miti, se correttamente interpretata,insieme all’esibizione dell’aquila imperialeche protegge la lupa senese, renderebbe quin-di verosimile la destinazione del progetto allaSala del Concistoro, con una datazione con-seguente al 1529-1530. La studiosa suggerisceche sia stato per l’occasione indetto un con-corso, del quale sarebbe poi risultato vincito-re Domenico Beccafumi, confinando cosìnell’oblio il progetto del Sodoma.

La seconda sessione, decisamente densadi contributi, era incentrata sull’analisi delrapporto fra Siena e la religione: argomentoquanto mai vasto, nel quale hanno trovatoposto interventi di natura profondamentediversa. Stefano Moscadelli e Andrea Giorgi,con la consueta dimestichezza nel trattare lastoria tardomedievale senese dovuta allapadronanza della documentazione d’archi-vio, frutto di ricerche pluriennali, hanno pro-posto un affondo sulle origini della proces-sione del cero; la quale getta le sue radici neiprimordi della chiesa senese e gradualmentediventa oggetto di appropriazione da partedelle autorità cittadine, in base alla tendenzadel Comune di Siena ad ingerirsi sempre piùapertamente nei riti della chiesa cattedrale,trasformandoli in manifestazioni di religiosi-tà civica. Il taglio storico ha caratterizzatoanche l’intervento di Paolo Nardi, che ha

delineato, forte di un meticoloso riscontrodocumentario e con dovizia di notizie, i rap-porti fra le principali personalità dell’ambien-te ecclesiastico senese a cavallo fra Medioevoe Rinascimento. A metà strada fra la riflessio-ne storica e quella storico-artistica, l’interven-to di Petra Pertici ha squadernato una serie dispunti di riflessione sul tema della ritrattisticarinascimentale a Siena in rapporto con le altesfere del clero locale, sottolinenandone ledue anime (sostrato classicheggiante coniuga-to alla perspicuità ottica fiamminga) e le pos-sibili fonti letterarie di riferimento (da LeonBattista Alberti a Niccolò Cusano); termi-nando con un’ampia carrellata di immagini.Il contributo di Mauro Mussolin ha inveceofferto una lettura storicistica di un classico,il volume ‘Mistici senesi’ di Piero Misciattelli,rieditato con il titolo ‘Misticismo senese’negli anni Sessanta. Inquadrandone l’impo-stazione ideologica sullo sfondo della storiaculturale e politica del suo tempo, Mussolinha sottolineato come il motivo portante del-l’opera di Misciattelli sia stata la consapevolevolontà di delineare una specificità della tra-dizione mistica senese, una sorta di modellodi santità che si dispiegherebbe nel corso deisecoli, ripercorribile nei numerosi protagoni-

L’edizione del 1913 di Mistici Senesi.

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sti della storia religiosa locale. Operazione,questa, ben inquadrabile nel clima revivalisti-co del primo Novecento, caratterizzato dallanostalgica rievocazione dell’identità seneseanche nella sfera del sacro.

Il rapporto fra Siena e religione è statoanalizzato anche sul versante delle arti visive,attraverso i contributi di Joanna Cannon,Monika Butzek e Costanza Barbieri. LaCannon ha incentrato la sua disamina su unparticolare ico-nografico, ilpiede dellaVergine, nellapittura senesedel Duecento.Secondo l’opi-nione della stu-diosa, la premi-nenza conferitain genere allaraffigurazionedel piede diMaria, di solitosporgente dallaveste e puntatoin primo pianoverso l’osserva-tore, costitui-rebbe l’indiziodi una peculiaredevozione neisuoi confronti;la quale sarebbeulteriormentec o m p r o v a t adalla maggioreabrasione che ingenere si osser-va sulla superfi-cie dei dipinti incorrispondenza del piede. La Cannon pro-spetta, seppur cautamente, la possibilità chenella Siena del Duecento fosse ancora in augela pratica del bacio rituale, la quale peraltrovantava una lunga tradizione in area bizanti-na (la Proskynesis), romana e greca ortodossa(si pensi al bacio delle icone, tuttora in uso).Monika Butzek, facendo seguito ad una seriedi incursioni critiche sulla complessa alter-nanza delle tavole mariane del duomo di

Siena, ha ripercorso la vicenda dellaMadonna del Voto fra Tre e Quattrocento.Sottolineando che, di tutte le tavole tardo-medievali dedicate alla Vergine un tempoubicate nella cattedrale, questa è l’unica che –per ragioni di culto – non è mai stata allonta-nata dal suo contesto d’origine, la Butzek haaggiunto altre notizie documentarie sulle suemodificazioni di forma e di collocazione. Latavola duecentesca doveva in origine costitui-

re la parte cen-trale di un dos-sale d’altareche includevaaltre due figu-re, una dellequali identifi-cabile con SanB o n i f a c i ovescovo, titola-re dell’altare acui l’opera erad e s t i n a t a .Intorno al1400 il dipintofu ammoder-nato con l’in-serimento diuna predella einserito in unacappella appo-sitamente crea-ta, costituitada un fastigiom a r m o r e ocuspidato cor-redato da trestatue (SanBonifacio, unprofeta e un

altro santo).Quest’assetto, di cui si ignorava l’esistenzafino alle ricerche documentarie condottedalla Butzek, ha avuto breve vita, per esserestato rimpiazzato soltanto mezzo secolodopo dalla rinascimentale cappella dellaMadonna delle Grazie, eretta da Urbano daCortona. La ricostruzione di questo tassellomancante alla complessa storia dell’iconamariana aggiunge un’altra prova della pecu-liare devozione di cui l’opera è stata oggetto

La Madonna di Guido da Siena in una stampa antica (G. Miller eC. Lasinio, da Etruria Pittrice, Firenze, Lastri, 1791).

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nel corso dei secoli: nonostante il suo aspet-to formale apparisse ben presto arcaico, l’im-portanza cultuale della tavola imponeva dimantenerla nel duomo e di aggiornarne l’a-spetto estetico in sintonia con il mutamentodel gusto. Non si tratta di un episodio limita-to, perlomeno nel contesto senese: mi sov-vengono, al riguardo, le ridipinture effettuatesulla Madonna degli Occhi Grossi del‘Maestro di Tressa’, sulla Madonna delBordone di Coppo di Marcovaldo e sullaMaestà di S. Domenico di Guido da Siena. Ilpomeriggio si è concluso con l’intervento diCostanza Barbieri, incentrato sulla fortunadell’iconografia dell’Annunciazione diSimone Martini e Lippo Memmi (dipinta nel1333 per l’altare di sant’Ansano del duomo diSiena) nell’ambiente francescano senese delQuattrocento. Tale assunto trarrebbe consi-stenza dall’analisi della ‘replica’ quattrocente-sca dell’Annunciazione, dipinta da Matteo diGiovanni per la chiesa di S. Pietro a Ovile,ma commissionata dall’Ospedale di SantaMaria della Scala. In essa il legame con l’am-biente francescano è dichiarato dalla presen-za, nel laterale sinistro, di San Bernardino; ilquale, nei suoi sermoni quaresimali del 1427,

aveva indicato proprio nell’umileAnnunciata martiniana il modello virtuosoper le donne senesi. Senza negare la verosi-miglianza di una simile ipotesi, va detto cheuno scandaglio dei documenti d’archivio allaricerca di possibili esponenti delle fila france-scane in rapporto con la commissione dell’o-pera avrebbe contribuito non poco a sostan-ziarla.

La terza sessione del convegno, dedicataal tema Siena e l’antico, si è caratterizzata perl’estrema compattezza contenutistica dei treinterventi avvicendatisi. Roberto Guerrini haripercorso il programma iconografico delciclo di Uomini Famosi dipinto da Taddeo diBartolo nell’Anticappella del PalazzoPubblico (1413-1414), evidenziandone l’ela-borata genesi e rintracciando le fonti lettera-rie dirette o d’ispirazione per i tituli che cor-redano le figure. Tra le varie fonti (Aristotele,Virgilio, Lucano) lo studioso ha messo in lucequanto l’impostazione morale di matrice sal-lustiana impronti questo ciclo e ne permei ilcontenuto allegorico. La riflessione politicadi Sallustio ben si confaceva a questo conte-sto, poiché lo storico aveva descritto la crisidello stato romano e il conseguente sprofon-

Frontespizi del manoscritto del Trattato di Bartolomeo Benvoglienti e della sua prima edizione italiana (Roma, Angeli, 1571).

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damento nei vizi con il venir meno del metusostilis (la paura del nemico) in seguito alla vit-toria nella terza guerra punica. Nella Siena diprimo ‘400, minacciata da Ladislao d’AngiòDurazzo – una sorta di novello Catilina – talemessaggio suonava di severo monito per leistituzioni e i cittadini. Guerrini non si è tut-tavia limitato ad analizzare il ciclodell’Anticappella, anzi ha proposto di appli-care il ‘metro’ sallustiano anche agli altri cicliallegorici presenti nel Palazzo Pubblico, ovve-ro quello lorenzettiano della Sala della Pace(impostato sulla contrapposizione degliopposti, secondo un procedimento caroall’autore latino) e quello beccafumiano delConcistoro (nel quale ricorre proprio l’assio-ma “idem velle, idem nolle” estrapolato dalcap. XX dell’opera di Sallustio). MarilenaCaciorgna ha proposto un approccio in chia-ve semantica alla pittura di storia d’età rina-scimentale, illustrando con una serie di esem-pi le strategie messe in atto dagli artisti diquell’epoca per esprimere il succedersi dieventi temporali distinti in uno stesso spaziodipinto. Ad esempio si adottava lo stratagem-ma di visualizzare un episodio precedente osuccessivo alla scena principale in un detta-glio marginale, come fuori dalla finestra osullo sfondo. Inoltre, in opposizione al rigidosistema vigente nell’odierna cultura visivaoccidentale, impostato su un movimento dilettura dell’immagine da sinistra verso destra(analogo a quello della scrittura), in quell’e-poca si poneva frequentemente il caso di unandamento in senso opposto o di una strut-tura circolare, altrimenti detta Ringkomposition.Con una carrellata di dipinti di storie mitolo-giche o classiche la Caciorgna ha mostratoquanto l’applicazione di questo metodo,ovvero la sperimentazione di diverse letturedell’opera, possa permettere di identificaresoggetti iconografici astrusi, che sfuggono aiparametri d’interpretazione tradizionali.Questa terza sessione si è chiusa con l’inter-vento di Fabrizio Nevola, che ha preso inesame la letteratura umanistica fiorita intornoal mito fondativo della città di Siena, eviden-ziando al suo interno due diversi filoni.Durante il Quattrocento, ed in particolarmodo presso la corte del cardinal FrancescoTodeschini Piccolomini, si era affermata la

tendenza a rinnovare la veste della città inchiave antichizzante: ad esempio creando ilmito di Aschio e Senio – i gemelli figli diRemo e presunti fondatori di Siena – disse-minando per le vie cittadine effigi di lupe sucolonne antiche di spoglio, oppure forgiandoimprobabili etimologie (Camillo – Camollia)per testimoniare le origini romane del luogo.I trattati di questi eruditi miravano essenzial-mente a creare una mitologia ad hoc, per con-trobattere la perentoria affermazione diFlavio Biondo, secondo il quale Siena sareb-be città priva di vestigia romane (Romainstaurata, ms. 1443-1446). A differenza deisuoi predecessori, il canonico BartolomeoBenvoglienti, scrivendo il De Urbis Senae origi-ne atque incremento (ca. 1484-86, edito nel1506 e nuovamente nel 1571), per controbat-tere la tesi del Biondo adottò proprio i suoistessi strumenti; ovvero, basò la sua dimo-strazione delle origini romane di Siena sulcensimento delle tracce archeologiche-anti-quarie reperibili sul territorio, vere o presun-te che fossero. Proprio la smaniosa ricerca direperti classici ingenerò il fenomeno delleantichità ‘fittizie’, la cui esatta definizionecronologica è problema che, in certi casi,ancora attanaglia gli archeologi.

La quarta ed ultima sessione, Medioevorivissuto, ha ripercorso la questione del revi-val dell’arte medievale; istanza che è riaffiora-ta attraverso i secoli nella cultura senese conun’insistenza eccezionale. Per il suo tenaceattaccamento alla stagione gotica ed il conse-guente perdurare di modalità figurative dicarattere trecentesco, il Rinascimento seneseaveva già ricevuto l’appellativo di ‘umbratile’,con ciò intendendo la sua discontinua e par-ziale adesione alle novità fiorentine. Sebbenela mostra tenutasi nel 1993 su Francesco diGiorgio Martini abbia contribuito non pocoad attenuare la radicalità di questa visione, èinnegabile che il Quattrocento senese siaattraversato da correnti revivalistiche esplicitee consapevoli. Su questi temi e periodi sonostati incentrati gli interventi di MachteltIsraëls e di Luke Syson; seguiti da quello diGianni Mazzoni, che – con un notevolebalzo cronologico – ha preso in considera-zione le istanze neomedievali dominantinella cultura architettonica senese nella prima

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metà del ‘900. L’apparente lacuna temporale sipotrebbe colmare tenendo presente che perfi-no nel Sei-Settecento la città fu protagonista diepisodi neogotici, dettati da una pervicacevolontà di integrazione estetica con l’anticotessuto architettonico: si pensi alla revisioneurbanistica degli spazi circostanti la Cattedrale(all’epoca di papa Alessandro VII Chigi) e allaristrutturazione di Palazzo Sansedoni in piazzadel Campo. Ma veniamo agli interventi.

La tesisostenuta dallaIsraëls è che laripresa di for-mule figurativedel primo ‘300nel secolo suc-cessivo nonsarebbe prero-gativa senese,ma riscontrabi-le anche in altricentri toscani.A tal fine, lastudiosa haportato gliesempi dellafortuna dell’i-c o n o g r a f i adella Verginedella Miseri-cordia in terrad’Arezzo equello dellerepliche dellamiracolosa An-nunciaz ionedella SS. An-nunziata aFirenze. Eppu-re il caso di Siena appare differente: a fronte diuna rievocazione iconografica dettata soltantoda ragioni d’ordine devozionale, come mi sem-brano gli esempi aretini e fiorentini, la ripeti-zione di opere di primo Trecento è qui feno-meno ben più complesso e ricco, nel qualeentrano in gioco fattori devozionali, civici eperfino stilistici. Del resto è la stessa Israëls asottolineare, giustamente, che nel ‘400 v’eraconsapevolezza delle qualità propriamenteartistiche della pittura di Simone e dei

Lorenzetti e che il ‘tradizionalismo’ dei senesiera capace di innovare anche in modo signifi-cativo: non si tratta, insomma, di una passiva epedissequa ripetizione. Figura di spicco in que-sto clima rievocativo e nostalgico fu sanBernardino, il cui frequente appello all’imma-ginario visivo trecentesco senese è sempre statomesso in rapporto con una sua presumibileattività diretta di committente. È quanto hasostenuto Strehlke, e viene adesso corroborato

dalle ricerche dellaIsraëls. Sulla base dinotizie d’archiviosembrerebbe, infat-ti, plausibile cheBernardino, usu-fruendo di un lasci-to testamentarioprivato finalizzatoa l l ’ ed i f icaz ionedella cappella mag-giore della basilicadel l ’Osservanzarisalente al 1423,abbia allogato alSassetta la famosatavola con l’Assun-ta distrutta neibombardamenti diBerlino.

Tradizionalismoe innovazione sonotemi che hannoattraversato anchel’intervento diSyson. Lo studiosoravvisa nell’arte delQuattrocento sene-se due tendenzeavvicendatesi: men-

tre nella prima metà del secolo i pittori tradu-cono in idioma locale, ossia ‘senesizzano’, igrandi maestri contemporanei (da Gentile daFabriano a Donatello), nella seconda i fattoriesterni vengono assorbiti ed integrati nella tra-dizione. In questa successiva fase, insomma, siavvertirebbe uno sforzo di comprendere più afondo i valori dell’arte fiorentina – soprattuttodonatelliana – dando origine ad un nuovovocabolario estetico, non per questo percepitocome meno senese. Analizzando alcune opere

La Madonna Piccolomini della collezione Chigi Saracini.

a titolo d’esempio, Syson ha infine preso inesame un problematico bassorilievo marmo-reo, la ‘Madonna Piccolomini’ dellaCollezione Chigi Saracini; nella quale, a suoparere, si ravviserebbe la mano di un esponen-te della bottega del Bregno. I lavori si sonoconclusi con la relazione di Gianni Mazzoni,incentrata su un aspetto particolare del climaneomedievale instauratosi a Siena a partiredalla stagione purista e proseguito ben entro laprima metà del Novecento: il progetto di ripri-stinare le torri medievali sbassate. Con tonodisteso e conversevole Mazzoni ha ripercorsola corrispondenza fra Arturo Viligiardi e GiulioBargellini, che condivisero questo effimero

sogno, poi confluito in un progetto redattodallo stesso Viligiardi nell’ambito del pianoregolatore del 1934. La proposta fu impugnatada Fabio Bargagli Petrucci, allora Podestà diSiena, che riuscì ad ottenere il benestare diMussolini ed una promessa di finanziamento:destinato peraltro a sfumare per la contingenzapolitica. Il vagheggiato ritorno ad una Sienaturrita, suggestivamente illustrato da Mazzonicon ampio ricorso alle stampe della collezionedi Ettore Pellegrini, rimase così inesorabilmen-te frustrato e tramandato unicamente dalletestimonianze grafiche.

S.C.

La ricostruzione grafica del turrito profilo medievale di Siena eseguita da Arturo Viligiardi nei primi anni delNovecento. 65

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Londra torna finalmente a ospitare una ras-segna dedicata all’arte senese, a oltre un secolodi distanza dalla Exhibition of Pictures of theSchool of Siena and Examples of the Minor Arts ofthat City che si tenne nel 1904 nella capitalebritannica, presso la prestigiosa sede delBurlington Fine Arts Club. Allora si trattò diuna mostra di nicchia che, sotto la supervisio-ne di Robert Langton Douglas, raccolse unaimpressionante serie di capolavori, da Duccioa Domenico Beccafumi, i quali furono espostinella tiepida atmosfera di un circolo privato diappassionati d’arte, e in par-ticolare di ‘primitivi’ senesi,quasi a dare un’eco elegantedella celeberrima e grandio-sa Mostra dell’Antica ArteSenese ordinata da CorradoRicci, fin dall’aprile dellostesso anno, all’interno delPalazzo Pubblico di Siena.In entrambi i casi, le esposi-zioni seppero essere unostraordinario veicolo pro-mozionale per la fortunadella pittura senese presso ilmercato dell’arte anglosas-sone, favorendo – ahimé –pure l’espatrio di alcuneopere che si erano fatteapprezzare nella rassegnasenese. La mostra odierna,invece, è tutta un’altra sto-ria. È stata voluta dallaNational Gallery, la piùimportante pinacoteca pub-blica del Regno Unito, che l’ha accolta nellesale della Sainsbury Wing riservate alle esposi-zioni temporanee. Non si tratta, come nel1904, di una ‘collettiva’ della ‘scuola senese’,ma di una rassegna focalizzata su di un temaben preciso, come lascia intendere il titolo:

Renaissance Siena: Art for a City. Un tema oltre-tutto assai originale per il grande pubblicoinglese, che quando pensa al Rinascimento hain mente sostanzialmente Firenze e Roma, e inmerito all’arte senese può avere approssimati-vamente nozione dei grandi maestri delTrecento, primo tra tutti Duccio (del quale laNational Gallery conserva tre tavolette prove-nienti dalla Maestà e un eccezionale tritticoportatile). Luke Syson – curatore dell’esposi-zione, oltre che “curator of Italian paintings1460-1500” presso la stessa National Gallery –

ha infatti scelto di presentare alpubblico britannico dipinti,sculture e oggetti d’arte cheripercorrono la singolare vicen-da del Rinascimento senese dal1460 al 1530 (ovvero dai tempidel pontificato di Pio II all’af-fermazione di Beccafumi) e perle quali è stato scelto un allesti-mento sobrio e ispirato all’ar-chitettura quattrocentesca. Inapertura è una sezione intro-duttiva dedicata a “la città e isuoi santi”, nella quale i visita-tori anglosassoni possono sco-prire lo skyline della Siena quat-trocentesca, grazie alle illustra-zioni contenute in una serie ditavolette di Biccherna e di

Gabella provenienti dal-l’Archivio di Stato e allatavola di Sano di Pietro conla Vergine che raccomandaSiena a Callisto III della

Pinacoteca Nazionale. Dal punto di vista qua-litativo sono tuttavia le raffigurazioni dei‘nuovi’ santi che si affermano nella Siena delQuattrocento a fare da padroni. Caterina daSiena (morta nel 1380, ma canonizzata soltan-to nel 1461 da Pio II) si rivela infatti negli

Renaissance Siena: Art for a City.L’arte senese protagonista a Londradi: GABRIELE FATTORINI

Francesco di Giorgio Martini (e collaboratore),Santa Dorotea e Gesù Bambino, Londra,National Gallery.© The National Gallery, London (NG 1682)

straordinari panni della scultura lignea inta-gliata nel 1474 da Neroccio di Bartolomeo perl’oratorio di Fontebranda, dove la veneranoancora oggi i contradaioli dell’Oca. Allestitaall’interno di un’austera nicchia rinascimenta-le, la Santa domina la prima sala, lasciandointendere il grado di eccellenza raggiunto dallascultura senese in conseguenza dell’ultimosoggiorno in città di Donatello (1457-1461). Dicontro Bernardino da Siena (morto nel 1444 ecanonizzato già nel 1450) è protagonista diuna serie di pitture di ridotte dimensioni, tra lequali eccelle un bellissimo frammento di pre-della della Walker Art Gallery di Liverpool cherappresenta l’Albizzeschi in atto di predicare,già esposto alla mostra londinese del 1904 e aquella senese del 1993 dedicata a Francesco diGiorgio Martini, dove ebbe l’onore di esserescelto per la copertina del cata-logo. Si tratta infatti di una pri-mizia del giovane Francesco,dipinta verso il 1460, quando ilpittore era ancora nella bottegadel Vecchietta, ma sapeva giàguardare con grande intelligen-za al moderno lessico diDonatello.

Nella sala successiva sivuole insistere sull’importanzadegli archetipi trecenteschi per imaestri del Rinascimento sene-se (il titolo della sezione è infat-ti “modernising the tradition”),attraverso una successione ditavole per lo più a soggettomariano dovute a maestricome Sano di Pietro, Nerocciodi Bartolomeo, Benvenuto diGiovanni e Pietro Orioli, lequali ruotano intorno alla par-ziale ricostruzione di una gran-de pala che dovrebbe esserestata dipinta nel 1474 daMatteo di Giovanni per la chie-sa di Sant’Agostino ad Asciano.In occasione della mostra èstato infatti possibile accostareall’Assunzione della Vergineacquistata nel 1884 dallaNational Gallery (e nella qualeMatteo ripropone il fortunato

modello iconografico della perduta Assuntadelineata all’Antiporto di Camollia da SimoneMartini) i due Santi Agostino e Michele Arcangeloancora conservati ad Asciano, nel Museo diPalazzo Corboli; e al di sopra del secondo diquesti è stata sistemata una Vergine Annunciataproveniente dal Museum of Art di Providenceche, insieme con un corrispondente Angeloannunciante (di ignota ubicazione), potrebbeavere coronato i laterali del vasto trittico.

Nel proseguo del percorso, attraversoesempi di “sculpture, drawing and narrative” sientra veramente nel vivo della sfaccettata real-tà del Rinascimento senese, intorno agli annisessanta-ottanta del Quattrocento. Una straor-dinaria vetrina di rilievi in bronzo alludeall’importanza del soggiorno senese diDonatello del 1457-1461 per la formazione di

67Ricostruzione della pala di Asciano di Matteo di Giovanni alla mostraRenaissance Siena:Art for a City. © Foto The National Gallery, London

Francesco di Giorgio scultore, accostando alCompianto sul Cristo morto del maestro fiorenti-no (un rilievo del Victoria and AlbertMuseum, spesso creduto un abbozzo per ilmai completato progetto delle porte delDuomo di Siena) due superbe prove del sene-se: la Flagellazione della Galleria Nazionaledell’Umbria di Perugia e il San Girolamo diWashington. A testimoniare l’eclettica perso-nalità di Francesco di Giorgio sono inoltrediversi disegni (tra i quali spicca il foglio conAdamo ed Eva di Oxford), un paio di medaglie,la famosa pagina miniata del De animalibus diAlberto Magno dell’Osservanza di Siena (conle illustrazioni delle Fatiche di Ercole che testi-moniano una precoce ispirazione al dinami-smo del fiorentino Antonio del Pollaiolo) equalche altra scultura (dal rilievo in stuccodella “Discordia” del Victoria and AlbertMuseum al bronzeo “Esculapio” di Dresda, cheforse è davvero da riconoscere a Francesco, perquanto non raggiunga la qualità e l’eleganzadella coppia di Angeli reggicandelabro dell’altaremaggiore del Duomo di Siena). E accanto alleprove del Martini sono importanti testimo-nianze di pittori del suo tempo, con ulterioripresenze di opere di Neroccio e di Matteo diGiovanni (del quale è ricostruita la predelladella pala Placidi della chiesa senese di SanDomenico) e pure di Benvenuto di Giovanni(l’eccentrica tavola con Adamo ed Eva daBoston) e Liberale da Verona, che intorno al1470 fece conoscere a Siena, insieme conGirolamo da Cremona, le novità delRinascimento settentrionale. E tra queste

opere come non segnalare certi dipinti neiquali ricorre quella bellezza femminile tipica-mente senese, che tanto sarebbe piaciuta aBernard Berenson, di giovani dalle chiomebionde e dai lineamenti eleganti comeMadonne di Simone Martini: penso alla prota-gonista della Partita di scacchi di Liberale daVerona del Metropolitan Museum di NewYork, o alla Dama della National Gallery diWashington dipinta da Neroccio, con il voltoincantevole e l’espressione ingenua di unaadolescente per niente interessata ai problemidella vita.

Uno dei vertici della mostra è certo rappre-sentato dalla sala che raccoglie per la primavolta, l’una accanto all’altra, le otto tavole checostituivano il più celebre ciclo profano dellaSiena di fine Quattrocento, effigiando quattroeroi e quattro eroine dell’antichità in qualità diesempi di virtù domestiche e familiari. Adipingerli fu un vero e proprio team che videcollaborare i migliori pittori attivi a Siena neiprimi anni novanta: da Francesco di Giorgio(o forse sarebbe meglio dire il suo “Fiduciario”,con lo Scipione del Museo del Bargello) aNeroccio (con la Claudia Quinta diWashington), da Matteo di Giovanni (cui spet-ta la Giuditta di Bloomington) a Pietro Orioli(pittore della bella Sulpizia di Baltimora), finoal Maestro di Griselda, al quale si assegnano lamaggior parte dei dipinti (l’Artemisia delMuseo Poldi Pezzoli, il Tiberio Gracco diBudapest, il Giuseppe ebreo di Washington el’Alessandro Magno di Birmingham), oltre chegli interventi negli sfondi di alcuni degli altri.

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Maestro di Griselda, Storia della paziente Griselda: il matrimonio, Londra, National Gallery.© The National Gallery, London (NG 912)

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Quest’ultimo anonimo deve il suo nome ai trefamosi pannelli della National Gallery diLondra che raccontano la storia della pazientee virtuosa Griselda, narrata da Boccaccio nel-l’ultima novella del Decameron: tre ‘spalliere’realizzate per il rinascimentale PalazzoSpannocchi in Banchi di Sopra (che oggi ospi-ta la Banca Monte dei Paschi) e che, dato ilsoggetto, dovettero andare a decorarne unacamera in occasione del doppio matrimonioche, nel gennaio 1494, ebbe per protagonisti idue figli del ricco banchiere AmbrogioSpannocchi. In mostra le Storie di Griselda sonoesposte a fianco del ciclo ‘eroico’, perché sivuole suggerire che anche la serie di personag-gi dell’antichità sia nata per il PalazzoSpannocchi (per quanto la questione sia dis-cussa e vi sia chi invece li crede commissiona-ti per una dimora dei Piccolomini). Nonmanca neppure, in questo contesto, il corto-nese Luca Signorelli, pittore che ebbe un note-vole peso per la formazione del Maestro diGriselda e collaborò con Francesco di Giorgioe il suo entourage, verso il 1490, nel cantieredella Cappella Bichi in Sant’Agostino; unimpegno richiamato attraverso due tavole delMuseum of Art di Toledo (in Ohio) prove-nienti dallo smembrato retablo dipinto da Lucaper l’altare della cappella e al centro del qualeera una statua di San Cristoforo intagliata daFrancesco di Giorgio, che è invece rimasta alLouvre.

A chiusura della sala, con l’ipotesi chepossa trattarsi di un ritratto di AntonioSpannocchi, è un bellissimo disegno giovanile

del Sodoma giunto da Oxford, che lasciaintendere il peso avuto da Leonardo nella for-mazione del maestro vercellese approdato aSiena agli inizi del Cinquecento e funge altempo stesso da cerniera con la successivasezione, dove sono protagonisti i “distinguis-hed visitors” capaci di mettersi in luce in cittànei primi decenni del secolo XVI:Pinturicchio, Raffaello, Signorelli e ancora lostesso Sodoma. Maestri attivi, di volta in volta,nei più importanti cantieri che videro la matu-razione della “maniera moderna” a Siena, apartire dalla Libreria Piccolomini inCattedrale. Il vasto ciclo pinturicchiesco è evo-cato attraverso qualche disegno dello stessomaestro umbro e pure del giovane Raffaelloche, come ricorda Vasari, progettò alcune dellescene destinate a raccontare la vita di Pio IInelle pareti della Libreria; ciò è testimoniato inmostra da un foglio della Pierpont MorganLibrary di New York in cui l’urbinate ha deli-neato una felice idea compositiva per l’episo-dio dell’Incontro tra Federico III ed Eleonora delPortogallo. Per accennare ai fugaci rapporti traRaffaello e l’ambiente artistico senese del pri-missimo Cinquecento non poteva inoltremancare la graziosa tavoletta della NationalGallery con il Sogno di Scipione, che nelSeicento sarebbe stata attestata nella collezio-ne romana di Scipione Borghese in coppiacon l’altra memorabile tavoletta di Chantillyin cui l’urbinate raffigurò il gruppo delle TreGrazie della Libreria Piccolomini, forse ad allu-dere a una possibile destinazione senese deidipinti. Altro cantiere in cui i “distinguished

Veduta dell’allestimento della sala degli ‘eroi ed eroine’ alla mostra Renaissance Siena:Art for a City.© Foto The National Gallery, London

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visitors” ebbero notevole spazio fu quello della“camera bella” del palazzo del ‘magnifico’Pandolfo Petrucci in Via dei Pellegrini, decoratain occasione delle nozze tra Borghese Petrucci eVittoria Piccolomini (1509). Il lussuoso ambien-te domestico aveva un ricco pavimento maioli-cato (del quale restano frammenti nel Victoriaand Albert Museum, ovviamente esposti inmostra), una volta ispirata alla Domus aurea fini-ta incredibilmente al Metropolitan Museum diNew York, e le pareti affrescate con episodi diStorie antiche (dovuti a pittori del calibro diPinturicchio, Signorelli e del suo allie-vo Girolamo Genga) intervallateda una serie di paraste ligneeintagliate da Antonio Barili.L’esposizione permette ditornare a respirare l’ariadella “camera bella”,perché per la primavolta torna ad accosta-re due delle paraste diBarili provenienti daSiena ai tre affreschiconservati oggi nellaNational Gallery (ilTrionfo della castità e la Storiadi Coriolano di Signorelli e laPenelope di Pinturicchio). Unospazio un po’troppo ridotto èforse destinato alSodoma, citatosoltanto per tra-mite di una tarda tavola per devozione privatadella National Gallery e di un piccolo nucleo didisegni connessi con gli affreschi della Cappelladi Santa Caterina in San Domenico (1526). Chivisiti la mostra, tuttavia, potrà cogliere l’occasio-ne per conoscere un’altra notevole opera delvercellese, ammirandone il maturo SanGirolamo nei depositi della stessa NationalGallery.

A chiusura dell’esposizione risalta poi, inqualità di primo attore della “maniera moderna”a Siena, Domenico Beccafumi, al quale è dedi-cata una breve rassegna monografica, organizza-ta per temi, che offre al pubblico numerosi

esempi delle immense doti di un pittore cheGiorgio Vasari seppe riconoscere come il miglio-re maestro del Cinquecento senese e del quale sipossono ammirare poco più di una ventina diopere, tra dipinti e disegni. Nel campo della gra-fica si segnalano, in particolare, un paio di ine-diti fogli provenienti da Brighton e l’immanca-bile progetto per la facciata dipinta del PalazzoBorghesi alla Postierla del British Museum.Quanto alla pittura, spiccano invece, per i colo-ri accesi, suadenti e cangianti, una serie di dipin-

ti databili verso il 1520, come il deliziosoSan Girolamo della Galleria Doria

Pamphilj di Roma, il superbotondo del Museo Thyssen

di Madrid e il gruppodi tavole destinatealla camera diFrancesco Petrucci(nipote del ‘magni-fico’ Pandolfo) equi raccolte tutteinsieme per laprima volta dopo

secoli. Era questoun ennesimo

ambiente privato in cuila pittura moderna faceva

rivivere, per mano diBeccafumi, ilmondo antico:le figure eroichedi Tanaquilla,Cornelia e

Marzia (divise tra la National Gallery e laGalleria Doria Pamphilj) ornavano una spalliera,mostrandosi quali esempi di virtù coniugale;due tavole del Museo di Casa Martelli diFirenze illustravano invece sulle pareti i cultiromani dei Lupercalia e dei Cerealia, associatirispettivamente con la fertilità maschile e fem-minile; la Venere con Cupido di Birmingham stavainvece sul letto, come a custodire e ispirare ilsentimento di amore degli sposi. Tutte questeopere, volendo citare Vasari, “sono veramentebelle a maraviglia, come sa chiunque l’ha vedu-te”, e come dunque sapranno intendere anche ivisitatori dell’esposizione londinese.

Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino, san Giovannino e sanGirolamo, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.© Museo Thyssen–Bornemisza, Madrid (33)

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Informiamo con piacere dell’esistenza diun progetto triennale volto a celebrare iSanti Cavalieri in Europa, dei quali conGalgano e Guglielmo di Malavalle il nostroterritorio vanta forse i rappresentanti di piùalto significato spirituale e storico.Nell’ambito dell’iniziativa condotta daMarilisa Cuccia e Fabio De Vecchi ed auspi-ce l’Archivio di Stato di Siena, il 5 luglio siè tenuto un incontro con gli studiosiEugenio Susi ed Elisabetta Cioni, chehanno offerto pregevoli contributi criticisulla vita e sul culto di San Galgano; men-tre, la sera precedente, la musicista GloriaLucchesi aveva eseguito un concerto persolo flauto nella Cappella di Montesiepi.

Abbiamo ascoltato musiche diTelemann, Debussy e Bach che la concerti-sta ha interpretato con maestria e, soprat-tutto, con straordinaria sensibilità nell’adat-tare le fluide sonorità del suo strumento allaparticolarissima rispondenza acustica delsacello. La perfetta semisfericità della cupo-la, in funzione di grande cassa armonicanaturale, accentuava la gelida drammaticitàdelle note più acute ed ammorbidiva quellepiù dolci in toni pastosi e suadenti, talvoltaintensamente vibranti. Spostandosi in varipunti della cappella, la Lucchesi sviluppavala trama melodica dei brani con rara effica-cia e coglieva suggestivi effetti armonici,frutto di un’originale interazione di suonidifficile da percepire nelle normali sale daconcerto e capace di introdurre i presenti inuna vaga atmosfera di sogno.

Una performance di musica sublime,assai lontana da quelle cui solitamente siassiste quando l’evento concertistico siavvale dello scenario di gloriose piazze o divetuste abbazie, per privilegiare sul purofenomeno musicale la mondanità di bacia-

mani malporti e di toilettes azzardate.Anche questa estate, da San Galgano aMassa Marittima, da Chianciano a SanGimignano il programma è stato intenso.Come ci si poteva aspettare, in diversi casila qualità dell’ascolto è stata bassa, malgra-do la bravura dei concertisti e ha ingenera-to seri dubbi sull’opportunità di insisterenel portare la buona musica ‘sotto le stelle’col risultato di renderla cattiva e, non rara-mente, di svilirne la caratura artistica.

Paradossalmente appare più godibile unconcerto di musica rock condotto a volumealtissimo, che sfrutta coerentemente unastrumentazione fatta apposta per essereamplificata e per offrire sonorità elettroni-camente distorte ed esasperate. A condizio-ne, però, che il concerto avvenga in luoghiadatti, non in ambienti storici creati peraltre finalità: locations che l’assetto architet-tonico-urbanistico rende acusticamente dis-persive e concettualmente squilibrate.

Già in passato da queste pagine è statocriticato un concerto sinfonico svoltosinella Piazza del Campo, il cui ascolto fumassacrato da un sistema di amplificazioneelettronica assolutamente inadatto per queltipo di musica. Ed anche questa estate lakermesse senese della Città Aromatica nonsi è voluta far mancare nulla chiamando adesibirsi gli Avion Travel: un complesso dibravi musicisti che suonano strumenti acu-stici amplificati. Ancora una volta l’errore èstato quello di farli suonare nel Campo,dove chitarre, violini e altri strumenti acorde sottoposti alla tortura di micidialimacchine elettroniche emettevano suonistriduli e sguaiati, assordanti accozzaglie dinote aspre fino alla sgradevolezza e defor-mazioni sonore incapaci di distendersi inun apprezzabile ordine melodico.

Fuori dal coro

Sogni (e incubi) di alcune seredi mezza estate

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Probabilmente il semplice ascolto acusticonon avrebbe dato un’impressione così dis-sonante e fastidiosa, totalmente asservita almoderno principio del frastuono dominan-te, che lo stesso Uto Ughi ha stigmatizzatoin una recente intervista televisiva comeuno dei veleni che uccidono i valori artisti-ci della musica.

Comunque una folla urlante sembravaassistere con entusiasmo, insensibile al mas-sacro dell’armonia ed inconsapevole chequesto genere di suoni in un breve volger ditempo non si ascolterà più. Ma che impor-ta? forse oggi qualcuno si ricorda chi havinto il Festival di San Remo l’anno prima?

Quella stessa sera e a breve distanza dalCampo, nel Palazzo Chigi Saracini, la clas-se di canto partecipante ai corsi di specia-lizzazione dell’Accademia Chigiana, tenevail concerto finale interpretando braniimmortali, tratti da opere che hanno fatto lastoria della musica.

Le note del pianoforte si diffondevanotra i severi palazzi di via di Città come atte-nuate da una sordina vellutata, ma limpidenella loro coerenza melodica e capaci dianimare lo scenario gotico dell’antica stradacon un magico sottofondo di armonie.

Davvero un’altra musica! Tuttavia ilmagnifico salone progettato e decorato daArturo Viligiardi non era così gremito dispettatori. Della crisi che sta colpendo la

lirica ha recentemente parlato anche RaynaKabaivanska, invitata da Giuseppe Nuti aduna conviviale del Rotary Club Siena Est.La celeberrima artista ne ha individuato lacausa nella rarefazione dei talenti canori piùveri, ma ha pure ricordato con sommo ram-marico le sempre minori attenzioni che imedia, la critica, lo stesso mondo dei teatridedicano a questo genere musicale, ormaiingiustamente emarginato da altri fenome-ni: quelli che, come si è visto, riempiono lepiazze e soddisfano i bilanci economici, opolitici, degli organizzatori.

La Kabaivanska ha invece espresso unlusinghiero apprezzamento per comel’Accademia Chigiana sostiene la musicaclassica ed operistica, organizzando moltieventi che, in estate, raggiungono il loroapice con la ‘Settimana Musicale’. Undenso programma di concerti che affida aSiena un ruolo privilegiato per la salvaguar-dia e la diffusione della buona musica e cheesalta l’offerta culturale della Città su unpiano di effettiva rilevanza internazionale.A volte il pubblico non è folto, ma si sa chenon sempre il numero degli spettatori misu-ra la qualità artistica della rappresentazione.

E poi è forse possibile conciliare i sognidelle sere di mezza estate con certi fragoro-si fenomeni piazzaioli?

E.P.