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1 Attività umana, beni, aziende, produzione e consumo. 1) L’attività umana e l’economia a) Il poeta per poetare ha bisogno di mangiare, ed in più di carta e penna ne fa uso esagerato. (Produce poesia e consuma cibo, carta e inchiostro). Qualsiasi attività umana, anche la più nobile ed elevata, si concretizza inevitabilmente in attività di produzione e di consumo. Senza sufficiente cibo, senza carta e senza inchiostro, Dante e Shakespeare non avrebbero prodotto le loro opere, lasciando di sé solo le loro ossa. Poetessa satolla e munita di carta e penna Tutto ciò che, senza carta e penna, resterebbe del poeta b) I soldi non si mangiano; i soldi non riparano dal freddo; i soldi non tolgono il mal di denti ( né per via orale, né per via rettale); i soldi non profumano le ascelle; i soldi non riparano i rubinetti ecc. ecc. Gli spaghetti si mangiano; un piumino ci tiene al caldo; un analgesico lenisce (= attenua) il mal di denti; un deodorante ascellare agevola la socializzazione; il servizio dell’idraulico ripara il rubinetto ecc. ecc. Non sono i soldi a soddisfare le esigenze umane, bensì i beni. I soldi servono per facilitare gli scambi, cioè gli acquisti e le vendite; servono a rendere più efficiente l’attività di produzione e di consumo, perché senza scambi ognuno dovrebbe prodursi da sé gli spaghetti, i piumini, i farmaci, i deodoranti e la riparazione del rubinetto; i soldi, facilitando le relazioni fra le persone, rendono più fluida, più efficiente l’attività umana, ma L’inutilità dei soldi in sé servono a niente e perciò non hanno valore. L’utilità dei beni c) I beni (gli spaghetti, i piumini, i farmaci, i deodoranti, i servizi di riparazione ecc. ) non esistono in natura, e allora per ottenerli l’uomo la deve modificare. La natura è mamma buona solo di quegli stronzetti dei puffi, ma è matrigna carogna di noi umani: la lasciassimo fare moriremmo tutti presto di fame e malattie varie. I beni, non esistendo in natura, li dobbiamo produrre noi umani modificando l’ambiente naturale. La Natura nella fantasia. La Natura nella realtà d) Per produrre i beni servono il lavoro dell’uomo e altri beni, non i soldi: i soldi non avvitano i bulloni, non piegano le lamiere, non cementano i mattoni, non fanno andare i motori ecc. A produrre i beni sono il lavoro umano e il capitale, cioè altri beni come chiavi inglesi, camion, edifici, robot, computer, cemento, materie prime ecc. . I soldi, infatti, non rientrano nel concetto di capitale ma di capitale finanziario, che è tuttaltra cosa e che, in sé, serve a nulla I soldi non producono i beni Sono il lavoro e il capitale che producono i beni

1) L’attività umana e l’economiacarlomassa551821.altervista.org/.../2018/...ed-economia-2018-19-7-pag..pdf · 1 Attività umana, beni, aziende, produzione e consumo. 1) L’attività

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Attività umana, beni, aziende, produzione e consumo. 1) L’attività umana e l’economia

a) Il poeta per poetare ha bisogno di mangiare, ed in più di carta e penna ne fa uso esagerato.

(Produce poesia e consuma cibo, carta e inchiostro).

Qualsiasi attività umana, anche la più nobile ed

elevata, si concretizza inevitabilmente in attività

di produzione e di consumo. Senza sufficiente

cibo, senza carta e senza inchiostro, Dante e

Shakespeare non avrebbero prodotto le loro

opere, lasciando di sé solo le loro ossa.

Poetessa satolla e munita di carta e penna Tutto ciò che, senza carta e penna, resterebbe del poeta

b) I soldi non si mangiano; i soldi non riparano dal freddo; i soldi non tolgono il mal di denti (né per via

orale, né per via rettale); i soldi non profumano le ascelle; i soldi non riparano i rubinetti ecc. ecc. Gli

spaghetti si mangiano; un piumino ci tiene al caldo; un analgesico lenisce (= attenua) il mal di denti; un

deodorante ascellare agevola la socializzazione; il servizio dell’idraulico ripara il rubinetto ecc. ecc.

Non sono i soldi a soddisfare le esigenze

umane, bensì i beni. I soldi servono per

facilitare gli scambi, cioè gli acquisti e le

vendite; servono a rendere più efficiente

l’attività di produzione e di consumo, perché

senza scambi ognuno dovrebbe prodursi da sé

gli spaghetti, i piumini, i farmaci, i deodoranti

e la riparazione del rubinetto; i soldi,

facilitando le relazioni fra le persone, rendono

più fluida, più efficiente l’attività umana, ma

L’inutilità dei soldi in sé servono a niente e perciò non hanno valore. L’utilità dei beni

c) I beni (gli spaghetti, i piumini, i farmaci, i deodoranti, i servizi di riparazione ecc.) non esistono in natura, e

allora per ottenerli l’uomo la deve modificare.

La natura è mamma buona solo di quegli

stronzetti dei puffi, ma è matrigna carogna di noi

umani: la lasciassimo fare moriremmo tutti

presto di fame e malattie varie. I beni, non

esistendo in natura, li dobbiamo produrre noi

umani modificando l’ambiente naturale.

La Natura nella fantasia. La Natura nella realtà

d) Per produrre i beni servono il lavoro dell’uomo e altri beni, non i soldi: i soldi non avvitano i bulloni,

non piegano le lamiere, non cementano i mattoni, non fanno andare i motori ecc.

A produrre i beni sono il lavoro umano e

il “capitale”, cioè altri beni come chiavi

inglesi, camion, edifici, robot, computer,

cemento, materie prime ecc. . I soldi,

infatti, non rientrano nel concetto di

capitale ma di “capitale finanziario”, che

è tutt’altra cosa e che, in sé, serve a nulla

I soldi non producono i beni Sono il lavoro e il capitale che producono i beni

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La pagina precedente è fondamentale: solo un ignorante (di economia) può ritenerla semplice o,

peggio, banale. Devi perciò comprenderla e assimilarla profondamente. Se pensi di cavartela

leggendola in modo superficiale o anche imparandola a memoria, sei completamente fuori strada. Il mio

compito è farti capire le basi dell’economia e anche del funzionamento di un’azienda, e i cinque anni (con

due ore in prima e in seconda e cinque o sei settimanali nel triennio) saranno sufficienti solo se ti impegnerai a fondo. Se la

comprensione dell’economia (intendendo per economia lo studio di come una società decide che cosa produrre, come e per chi (1)) non

è facile, ciò è dovuto anche al fatto che quasi tutti (alla televisione, sui giornali, a scuola, in famiglia, al bar ecc.) ne parlano

credendo di dire cose sensate e non si accorgono, invece, di sparare quasi sempre enormi sciocchezze.

Chi non ha alle spalle anni e anni di studi medici non si metterebbe mai a discutere di quali sono

i sistemi migliori per normalizzare il battito cardiaco in caso di fibrillazione atriale; invece un po’ tutti,

anche senza aver studiato economia, si sentono di dire la loro, ad esempio, su cosa si dovrebbe fare per

ridurre la disoccupazione, e così chi di economia ne capisce è costretto a sentire, magari pronunciate da

qualche “esperto” alla televisione o da qualche politico in parlamento, un sacco di idiozie

megagalattiche del tipo che “bisogna lasciare andare in pensione prima i lavoratori per fare posto ai

disoccupati”.

Immagina ora questa scena:

sei in macchina, accendi la radio e ti capita di sintonizzarti su un canale nel momento in cui la

conduttrice chiede ai due “esperti”, ospiti della trasmissione: “ … ma allora, in conclusione, quali sono

le cause dell’insonnia e quali i rimedi che si possono suggerire?” Il primo esperto risponde: “Il fatto

che i disturbi del sonno siano sempre più diffusi fra la nostra popolazione è principalmente dovuto alla

recente accelerazione del moto rotatorio del sole intorno alla terra che causa significative alterazioni

nel metabolismo umano. Il rimedio all’insonnia è, quindi, utilizzare orologi a velocità variabile,

sincronizzati con il mutante movimento del sole”; interviene il secondo ospite: “Ciò che ha detto il

prof. Mentechiara è innegabile, e una dimostrazione è che il problema dell’insonnia non si è aggravato

fra le popolazioni dell’Oceania, proprio per effetto del fatto che all’accelerazione del moto solare

nell’emisfero boreale si contrappone un rallentamento del sole nell’emisfero australe”.

Arrivi a casa, convinto di aver ascoltato una trasmissione comica non particolarmente divertente;

sali le scale, entri in cucina dove, con la televisione accesa, ti accoglie tua madre: “Hai sentito cosa

hanno deciso all’ONU? L’ha proposto Obama, ma sono stati tutti d’accordo, anche la Cina: fra due

settimane, quando la luna sarà piena, verrà bloccata nel cielo così che tutte le notti dell’anno saranno

rischiarate dalla sua luce e si potrà risparmiare il 53,99% dell’energia elettrica consumata per

illuminare le strade del mondo. Non ti sembra una grande idea?”

Stupefatto, esci di casa e ti accorgi che tutti ormai usano orologi a velocità variabile causando

casini incredibili e si aspettano che la prossima luna rimarrà piena tutte le notti. A questo punto,

consapevole di aver seguito le lezioni di geografia astronomica alle medie con scarsa attenzione, per

scrupolo vai su Wikipedia e poi anche in biblioteca a consultare un testo di astronomia; è come pensavi,

sono tutti pazzi e sei tu ad aver ragione: è la terra che gira intorno al sole, è la rotazione della terra sul

suo asse a determinare il giorno e la notte e fermare la luna non è possibile.

(1) La “Economia”, intesa come “scienza economica”, è stata definita in tanti modi; la definizione riportata è di Stanley Fischer

e Rudiger Dornbusch (“Economics”, pag. 3, McGraw-Hill 1983); quando parlerò di “economia” come disciplina di studi, darò al termine

questo significato, esprimibile anche in quest’altro modo: “L’economia è la scienza che studia come l’uomo affronta la scarsità”

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La situazione descritta non è, ovviamente, pensabile che si verifichi realmente; ma lo stato

d’animo che vivresti se si realizzasse è analogo a quello di chi ha studiato (e capito) l’economia e vive

nel mondo reale: ascolta corbellerie in tutte le trasmissioni, legge idiozie sui giornali, frequenta persone

la gran parte delle quale crede a quelle sciocchezze e vede i governi di un po’ tutto il mondo prendere

decisioni sbagliate.

Ma perché l’economista è condannato a vivere questa esperienza che, invece, all’astronomo o al

medico viene risparmiata? Perché le idee e le teorie astronomiche e la scienza medica nulla hanno a che

fare, almeno da qualche secolo, con il potere di governo, mentre le idee e le teorie economiche hanno

ancora, e avranno sempre, molta influenza sul potere politico.

E’ naturale che secoli fa fosse tanto diffusa l’idea errata che il sole girasse intorno alla terra: le

conoscenze scientifiche erano scarsissime e l’apparire dell’alba a Est e del tramonto a Ovest portava a

quella convinzione. Se oggi tutti sanno che è la terra a girare intorno al sole e che è il suo girare su sé

stessa ad alternare il giorno e la notte, è perché gli astronomi, grazie a osservazioni e riflessioni più

attente, lo hanno capito molti secoli fa, e successivamente questa conoscenza si è potuta diffondere

anche fra i non esperti in quanto nessuno, almeno negli ultimi secoli, aveva un qualche interesse che la

gente continuasse a credere nell’idea sbagliata.

Per l’economia le cose funzionano diversamente dall’astronomia e dalla medicina: alcune idee

antiche continuano purtroppo a dominare e a essere comunemente ritenute corrette nonostante da tempo

ne sia stata dimostrata la falsità. Ed è così perché in tanti, e principalmente coloro che hanno o che

cercano il potere di governo, hanno interesse che le idee corrette non si diffondano.

Negli anni in cui ci frequenteremo e parleremo di economia tenterò, fra le altre cose, di dare il mio

minuscolo contributo a modificare questo stato di cose.

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2) I “beni” e i “beni economici”.

Un bene è qualsiasi cosa, materiale o immateriale, che soddisfa un bisogno

Quando l’uso di un bene da parte di qualcuno non limita la possibilità di consumare lo

stesso bene da parte di altri, allora quel bene non è un “bene economico”.

Così, ad esempio, non sono beni economici la luce del sole o l’aria: entrambi certamente sono

“beni”, in quanto soddisfano esigenze umane; ma dal momento che quando tu prendi il sole e respiri

l’aria non limiti le mie possibilità di fare altrettanto, allora significa che la luce del sole e l’aria sono

beni sovrabbondanti rispetto alle esigenze, non sono cioè scarsi, e quindi non sono beni economici.

Quando un bene è, invece, scarso rispetto ai desideri degli uomini, allora quello è un

“bene economico”.

Attenzione, quindi: se parlo di “beni economici” non alludo a beni acquistabili a poco prezzo,

ma a qualsiasi bene che non sia disponibile per tutti in modo gratuito, sia che costi molto come una

Ferrari sia che costi pochissimo come un chiodo.

Così, sono beni economici, ad esempio, un’auto, una casa, ma anche un ponte, una visita

medica, una scatola di abbracci del Mulino Bianco, un trattore, un posto al concerto di Ligabue, un

muletto, una telefonata al cellulare, un taglio di capelli, una vacanza a Milano Marittima ecc.

I beni economici (ma d’ora in poi, per comodità, li chiamerò semplicemente “beni”, dal momento che

dei beni non economici ce ne frega nulla), devono essere prodotti, perché in natura non ci sono. E a creare i

beni sono le “aziende” (che conosceremo nel paragrafo 5) a pagina 6).

3) La classificazione dei bisogni, l’utilità decrescente dei beni e il valore.

I libri di testo suddividono i bisogni in vari modi, cominciando a distinguere fra bisogni

“primari” (o “necessari”) e “secondari (o “voluttuari”). Io credo che una classificazione abbia senso solo se è utile

e se è possibile stabilire il confine fra un elemento e l’altro, ma poiché nelle classificazioni che in genere

i testi fanno dei bisogni non mi pare che sia così, non ve ne propongo alcuna.

Ad esempio: quale è la distinzione fra bisogno primario e bisogno secondario? Per il vostro libro

i bisogni primari (o necessari) sono quelli “ … legati a stati di bisogno fondamentali per la sopravvivenza

di ogni individuo, come il bisogno di nutrirsi, di dormire, di vestirsi”, mentre i bisogni secondari (o

voluttuari) sono quelli “ …che sono soddisfatti dopo quelli fondamentali e che dipendono dal desiderio di

condurre una vita qualitativamente migliore, come il bisogno di spostarsi col motorino, di svolgere

un’attività sportiva”.

A prima vista la distinzione potrebbe sembrare chiara, ma in realtà vale nulla; infatti, poiché per

sopravvivere a un individuo bastano pochi etti di pane secco al giorno per nutrirsi e una caverna e un

cappotto per ripararsi dal freddo invernale, ne risulta che qualsiasi altro bene (come il water, l’energia elettrica, un

materasso, un paio di scarpe o un po’ di frutta una volta al mese) soddisfa bisogni voluttuari; a questo punto, quindi,

praticamente tutti i bisogni risultano voluttuari, e quindi perde di senso la classificazione.

Mi sembra importante, invece, segnalarvi un concetto semplice e perfino banale, ma che è

centrale per la comprensione dell’economia: quello della “utilità marginale decrescente dei beni”, cioè il

fatto che la soddisfazione che otteniamo dalla prima mela (o dal primo iPad o dal primo scooter o dalla prima giornata a

Mirabilandia o dal primo quello che ti pare) è maggiore di quella che ci dà la seconda mela (o il secondo iPad o il secondo scooter o

la seconda giornata a Mirabilandia o il secondo quello che ti pare); e ancor meno ne otteniamo dalla terza mela ecc. ecc.

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Questo concetto ne introduce un altro, pure importantissimo:

non esiste il valore oggettivo (certo, giusto) di un bene.

Qualsiasi economista che non sia un ciarlatano (= buffone, fanfarone) sa che il concetto di valore “vero”

di un bene o, come anche si dice, di prezzo “giusto”, è un non senso, un’idea tanto assurda quanto

diffusa fra chi non ha studiato economia. E il valore “oggettivo”, certo, non esiste non solo perché per me

un concerto con musiche di Mozart vale molto di più di un concerto di Luciano Ligabue mentre per te è

il contrario (come dire che il valore dei beni è soggettivo), ma non esiste per almeno altri due motivi:

1. perché il valore che diamo a un bene è in funzione della maggiore o minore disponibilità che abbiamo

dello stesso bene (è il concetto visto prima dell’utilità marginale decrescente);

2. perché il valore di un bene dipende anche dalla disponibilità di altri beni (se, ad esempio, venisse a mancare la

benzina, il valore delle biciclette aumenterebbe mentre quello degli scooter diminuirebbe).

Per capire l’economia è fondamentale

comprendere che il valore dei beni, cioè

delle cose e dei servizi che desideriamo (da

un astuccio alla zappa, da un caffè al bar a un volo a New

York), non è oggettivo, non è cioè un dato

certo che può essere misurato.

Tra le domande “qual è il valore di

quel bene?” e “qual è il colore di quel

camaleonte?” quella con più senso è di

gran lunga la seconda (= è molto più intelligente la

seconda). Ad essa, infatti, pur non potendosi

rispondere una volta per tutte poiché il

colore del camaleonte cambia in funzione

dell’ambiente in cui è inserito, è pur sempre almeno possibile rispondere univocamente caso per caso:

“lì, tra le foglie verdi (rosse), quel camaleonte è ora oggettivamente di colore verde (rosso)”.

Quanto al valore di un bene, invece, esso non è determinabile oggettivamente nemmeno se riferito a un

determinato contesto ambientale e temporale; ad esempio: non solo il valore che ha in questo istante una

bottiglia da 33 cl d’acqua Ferrarelle sugli scaffali dell’Esselunga a Reggio è diverso da quello che ora la

stessa bottiglia ha nel distributore automatico a scuola, ma non si può nemmeno dire che oggi qui a scuola

quella bottiglia valga 0,35 €: 0,35 € è il suo prezzo, ma il prezzo è una cosa, altra cosa è il valore.

Il prezzo alla “macchinetta” di 35 cent ci dice solo che per il venditore (per l’azienda “Il Buon Ristoro” che

distribuisce le bibite a scuola) il valore della bottiglia è inferiore a 0,35 € (altrimenti non la scambierebbe per 35 cent) e che

invece per te (per il compratore) sono i 35 cent che valgono meno della bottiglia (altrimenti non avresti chiesto di uscire

dall’aula per scambiare 0,35 € con la bottiglia); e nello stesso istante in cui per te quella bottiglia d’acqua vale più di

0,35 €, per il tuo compagno di banco – che non ha sete o che non disdegna l’acqua del rubinetto – vale meno. A

essere “oggettivo” è solo il prezzo (che, comunque, varia nel tempo e da luogo a luogo), mentre il valore è sempre

soggettivo, variando anche da persona a persona.

Al contrario della temperatura o del peso di un bene (dati, questi, oggettivi, cioè che possono essere misurati con certezza),

il valore non è una caratteristica intrinseca del bene. L’uomo ha impiegato migliaia di anni

per arrivare a capirlo, tanto è vero che fino a poco più di due secoli fa tempo quasi tutti gli economisti

pensavano che esistesse il “giusto prezzo” delle cose. Ancora oggi, in realtà, sono in tanti a credere che

si possa determinare il valore di un bene, ma come ho già detto questo capita perché solo una piccola

parte della popolazione studia (e, soprattutto, comprende) l’economia.

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4) Beni di consumo e beni di produzione

Se serve a poco classificare i bisogni, è invece importante avere chiara la distinzione fra “beni di

consumo” e “beni di produzione” (quest’ultimi chiamati spesso “beni di investimento”). La differenza fra gli uni e gli

altri non sta nella loro natura bensì nella loro destinazione, tant’è che sarebbe più chiaro chiamarli “beni

per consumo” e “beni per produzione”.

La distinzione, infatti, sta nello scopo per il quale si usa il bene: se il bene serve direttamente per

soddisfare un bisogno è un bene di consumo, ma se lo stesso bene è utilizzato per produrne un altro,

allora il primo bene è di produzione (e quindi in realtà serve comunque per soddisfare un bisogno, ma in modo indiretto).

Uno stesso bene, quindi, può essere l’una e l’altra cosa: se il bamboccione mantenuto dai genitori

usa l’Audi Q3 unicamente per spassarsela con gli amici,

quell’auto è un bene di consumo; se invece l’Audi è usata dal

taxista per lavoro, allora è un bene di produzione; se vado al

Sigma e compro della frutta per mangiarla, compro un bene di

consumo; se la stessa cosa la fa il gelataio di Rivalta per fare

il gelato alla pesca, allora le pesche da lui comprate al Sigma

sono un bene di produzione. Tipico bene di consumo Tipico bene di produzione

Faccio notare (ma ne parleremo più approfonditamente in quarta in altri appunti) che, in base a questa definizione, il

lavoro (ad esempio quello svolto dal magazziniere del Sigma di Rivalta) è un bene di produzione allo stesso modo di un

camion, un muletto o delle uova per la Barilla.

5) Le aziende

La definizione di azienda che massimizza il rapporto efficacia / lunghezza credo sia:

organismo che utilizza beni e lavoro per produrre qualcosa che soddisfa esigenze umane

Se ci pensate un po’, in tale definizione è possibile far rientrare soggetti come la Ryanair ma anche

la vostra famiglia, la Vodafone, il comune di Reggio Emilia, o ancora la Casa di Carità di S. Girolamo e

lo stato italiano.

Evidentemente, saranno diverse le esigenze che le varie aziende tendono a soddisfare [ad

esempio e nell’ordine delle aziende citate appena sopra: esigenze di trasporto (la Raynair), di mangiare un pasto al

rientro da scuola (la tua famiglia), di comunicare rapidamente con una persona distante (la Vodafone), di camminare per

strade non ingombre di rifiuti (il comune di Reggio), di dare sollievo ai più sfortunati (la casa di Carità) e, infine, di

essere protetti dai delinquenti (lo stato italiano)], così come diverse saranno la qualità e la quantità dei beni e

del lavoro utilizzati per produrre, ma è indubbio che tutti i soggetti descritti sono, sulla base della

definizione data, “aziende”. Un’utile distinzione può poi essere fatta, all’interno del vastissimo

universo delle aziende, fra le aziende di “erogazione” e quelle di “produzione”:

le aziende di erogazione hanno come scopo la soddisfazione di esigenze umane;

le aziende di produzione hanno come scopo il guadagno e, per perseguirlo (= per cercare di

ottenerlo), soddisfano esigenze umane

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In altre parole, tutte le aziende producono beni e soddisfano bisogni, ma per le aziende di

produzione la soddisfazione delle esigenze altrui è solo un mezzo (= lo strumento) e non il fine (= lo scopo).

Ecco quindi, ad esempio, che l’organismo famiglia Rossi è

certamente un’azienda di erogazione, in quanto le produzioni di beni e

servizi che in essa si attuano (colazione mattutina, spaghetti aglio-olio-peperoncino

per cena, lavaggio biancheria ecc.) hanno l’unico fine di soddisfare delle

esigenze umane. E così anche la Casa di Carità di S. Girolamo, il

comune di Reggio Emilia e lo stato italiano (chiedendo scusa alla Casa di Carità per

l’accostamento indegno coi due enti pubblici impositori) sono aziende di erogazione poichè

producono beni e servizi senza avere come scopo il guadagno.

Al contrario, la Ryanair e la Vodafone – ma anche

il fornaio, la birreria, la discoteca o il caldarrostaio

ambulante – sono aziende di produzione, in quanto si

danno da fare per soddisfare i desideri altrui allo scopo

di arricchirsi.

Da quanto detto qui e nel paragrafo precedente si deduce che, mentre le aziende di

produzione utilizzano solo beni di produzione, quelle di erogazione usano sia beni di

produzione (la lavatrice, le pentole, il gas ecc.) che di consumo (il televisore, le mutande, gli spaghetti ecc.).

Alcuni soggetti possono vestire, in momenti diversi, ora l’abito di azienda di produzione ora quello

di azienda di erogazione. Ciò è evidente nel caso del signor Mauro, l’idraulico che ieri pomeriggio,

agendo come azienda di produzione, ha prodotto il servizio di riparazione di un rubinetto a casa mia, e

che alla sera, agendo come azienda di erogazione, ha prodotto il servizio di ninna nanna a suo figlio di

dieci mesi. Si può quindi dire che:

quando si agisce (si consuma o si produce) con lo scopo ultimo di soddisfare i bisogni

(propri o altrui) allora si riveste l’abito dell’azienda di erogazione. Come voi che mangiate la

merenda, io che taglio l’erba a casa mia, la nonna che prepara la torta di mele per la nipote, la nipote

che mangia la torta di mele (e che si scorda di ringraziare la nonna), il missionario che insegna a leggere ai bambini

kenioti, l’Associazione Ricerca sul Cancro che ricerca nuovi sistemi di cura della malattia ecc.;

quando l’azione è sì volta (= indirizzata, finalizzata) a soddisfare i bisogni, ma ha per scopo finale

l’arricchimento, allora chi agisce riveste l’abito dell’azienda di produzione. Come il

merendero che porta a scuola i panini, io che – a pagamento – taglio l’erba a casa vostra, il fornaio che

prepara la torta di mele per il cliente, l’Oxford Institute che insegna l’inglese ai bambini italiani, la

Barilla S.p.A. che studia nuove merendine da lanciare sul mercato ecc.).

Non dovete pensare però che tale distinzione sia sempre netta e precisa. Sono tante, infatti, le

aziende e le attività che presentano caratteristiche ambigue, per le quali la collocazione in una piuttosto

che nell’altra categoria è alquanto dubbia.