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Storie di invisibili, marginali ed esclusi a cura di Vincenzo Lagioia introduzione di Paolo Prodi Bononia University Press Pdf concesso da Bononia University Press a FRANCESCA ROVERSI MONACO per l'espletamento delle procedure concorsuali

Uomini che diventano invisibili: marginalità, propaganda e manipolazione nella scrittura storica medievale

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Storie di invisibili, marginalied esclusi

a cura di Vincenzo Lagioia

introduzione di Paolo Prodi

Bononia University Press

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Bononia University PressVia Farini 3740124 Bolognatel. (+39) 051 232882fax (+39) 051 221019

© 2012 Bononia University Press

ISBN 978-88-7395-790-4

www.buponline.come-mail: [email protected]

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

In copertina: Progetto di copertina e impaginazione: Irene SartiniStampa: Editografica (Rastignano, Bologna)

Prima edizione: dicembre 2012

Volume pubblicato con il contributo di

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L’amicizia raddoppia le gioie e divide a metà i doloriBacone

a Stefan

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Indice

Dal convegno al libro 9

Introduzione 13Paolo Prodi

INVISIBILI

L’ambiente invisibile della vita cristiana: il Fondamento 19Giuseppe Barzaghi

Visibilità ed invisibilità delle povertà estreme nelle società antichee nella chiesa primitiva (III-VI sec. d.C.) 25Valerio Lieto Neri

Meglio non dire che punire: la sanzione penale dei crimini nefandi 33Cesarina Casanova

La contabilità delle elemosine: il fantasma degli inesistenti 43Fiorenzo Landi

Uomini che diventano invisibili: marginalità, propagandae manipolazione nella scrittura storica medievale 49Francesca Roversi Monaco

Epifanie dell’invisibile. Apparizioni dei morti e illusioni diabolichenei Loca infesta di Petrus Thyraeus 57Giancarlo Angelozzi

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Vergini oltre la grata: musica per donne invisibili tra Cinque e Seicento 67Gioia Filocamo

Il filosofo “invisibile” e il filosofo “in evidenza, come un atleta nell’arena”.Figure di filosofi da Descartes a Diderot 81Mariafranca Spallanzani

La morte, dalla visibilità all’invisibilità 97Umberto Mazzone

Lo spreco invisibile 107Andrea Segrè

La tomba invisibile di Alessandro il Grande. Dalla luce della gloria alla notte dell’oblio 113Caterina Franchi

Ai confini dell’invisibile: i lavoratori poveri 123Maurizio Bergamaschi

MARGINALI

Le cose dei “penultimi”: i pegni consegnati al Monte 135Maria Giuseppina Muzzarelli

Prima del boom economico: gli ultimi in Sardegna raccontati da Franco Cagnetta e Maria Giacobbe 145Mirko Grasso

“Resta testa a testa colla serva al fuoco”:figure marginali nelle Notificazioni del Lambertini 153Vincenzo Lagioia

“Pare necessario il Turco”. Grida di rabbia nell’Italia moderna 161Giovanni Ricci

Il bandito e la sua gente. Appunti su fuorilegge e comunità in Età moderna 169Carlo Baja Guarienti

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La solitudine di un modernista: Giovanni Semeria tra popolarità e isolamento 181Michelangelo Ranuzzi de’ Bianchi

La marginalità in Benedetto XVI 189Giovanni Bertuzzi

Mute solitudini. Donne migranti nelle campagne italianedel secondo dopoguerra 193Laura Marchesano

“Matti derelitti” e furiosi deliri: questioni di metodoe spunti di ricerca su marginalità e follia nella prima Età moderna 201Lisa Roscioni

Transessuali da sempre Marginali 215Intervista a Porpora Marcasciano

EScLuSI

Tempo e Complessità. Pratiche di esclusione culturalenella costruzione della modernità 225Ludovico Carta

Filantropia orizzontale: quando la povertà insegna a produrrericchezza condivisa 235Giuliana Gemelli

La povertà nella società contemporanea:nuovi scenari, nuovi soggetti 241Matilde Callari Galli

L’eredità delle Opere Pie in un difficile presente 249Vera Ottani

Prendersi cura della salute mentale di una comunità:tutti uguali, tutti diversi? 257Angelo Fioritti

La malattia e l’incorporazione individuale dei processi sociali.Il contributo dell’antropologia 263Ivo Quaranta

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Ricerca, conoscenza e cura della salute mentale dei migranti:il ruolo dell’Università 275Domenico Berardi, Ilaria Tarricone

Migrazioni, etnicità e psicosi: verso un modello sociobiologico 281Antonio Ceola

La comunità islamica di Bologna. Note per una storia 289Omar Bortolazzi, Alessandro Vanoli

Azioni ed interventi di welfare locale:l’incontro tra Asp e i poveri vergognosi di oggi 299Massimo Battisti

Managerialità, povertà e solidarietà nel solco di Olinto Marella 305Romano Verardi

Rendere visibile l’invisibile. Le problematiche LGBTnegli interventi di contrasto alla marginalità sociale della città di Bologna.Risultati di una ricerca 317Carlo Francesco Salmaso, Rebecca Zini, Marcello Passarelli

Gli Autori 329

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“Lo storico, che conosce il passato, gode – sembra – di un temibile potere. In primo luogo ha, nel Medioevo, lo stesso potere di sempre: quello di reinterpretare il passato”; in secondo luogo, e soprattutto, ha il potere di reinventarlo, poiché la limitatissima cultura storica del suo pubblico lo rende padrone “di un passato singolarmente flessibile, da cui i fatti stessi sgorga[va]no, nuovi, in tutta libertà” 1.

Così Bernard Guenée evidenzia una delle caratteristiche fondamentali della scrittura storica medievale: la reinvenzione, cui si affianca la libertà di un passato flessibile e manipo-labile. Da questo punto di vista, le funzioni attribuite alla storia nel Medioevo e l’analisi dei modi, più o meno consapevoli, di rielaborare, modificare, manipolare idee ed eventi passati in rapporto a bisogni contemporanei rappresentano un affascinante ambito di riflessione anche rispetto al tema della marginalità e dell’esclusione, seppure in modo forse eterodosso e meno lineare di altri.

Lo scrivere sulla storia e sul passato è, in ogni epoca, interpretabile anche come atto di potere, nella misura in cui mira, in modo più o meno consapevole, a influenzare e orientare la società alla quale si rivolge. Il passato, infatti, selezionato e raffigurato in base all’ideolo-gia di coloro che se ne fanno i cantori, permette di legittimare e comprendere il presente, ponendosi come fonte primaria di autocoscienza per ogni società. D’altra parte la memoria nel suo propagarsi, crea e sostiene, o anche distrugge e cancella, forme di identità, potere e culto; la genesi di una tradizione deriva dall’intreccio di alcuni bisogni antropologici fon-damentali con determinati luoghi e individui che assurgono a simbolo rivelatore e cataliz-zatore di tali bisogni, riflessi anche nella scrittura storica.

Anche gli storici del Medioevo rispondevano a precisi bisogni di ordine politico, reli-

1 Cfr. B. Guenée, Storia e cultura storica nell’Occidente medievale, il Mulino, Bologna, 1991, p. 424. Allo stesso modo “un gruppo sociale, una società politica, una civiltà vengono definiti innanzi tutto dalla loro me-moria, vale a dire dalla loro storia, ma non dalla storia che ebbero veramente, quanto piuttosto da quella che gli storici costruirono loro” (ivi, p. 17).

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gioso, sociale, bisogni che caratterizzavano la loro produzione letteraria in base ai fini ide-ologici e pratici che li avevano stimolati e chiamati in causa2.

In tal senso è opportuno accennare a un altro aspetto importante, quello relativo alla propaganda politica in epoca medievale3, che intreccia le proprie istanze di persuasione con le funzioni ricoperte dalle diverse tipologie storiografiche.

La storia, infatti, nel Medioevo costituisce il grande referente della propaganda, esplici-ta e implicita, diretta e indiretta: le omissioni sono alle volte più significative delle presenze, senza contare che la pratica storica è sempre influenzata dalle domande del presente e se-leziona gli eventi già occorsi in base a migliaia di decisioni, consce e inconsce, di includere ed escludere, ricordare e dimenticare, fino a produrre un passato socialmente costruito in funzione di un presente da legittimare.

La rappresentazione del passato può divenire, dunque, nel Medioevo costruzione e ma-nipolazione, più o meno consapevole, dei fatti e dei protagonisti di quel passato, che posso-no diventare invisibili se raffigurati da una scrittura storica che, facendosi propaganda, ne altera o ignora le azioni e le esperienze in funzione di determinati scopi politici.

La marginalità e l’invisibilità, in questa storia flessibile e reinventata, non si colgono in modo univoco e netto e in termini sociali o economici come prerogative di individui o gruppi di individui, ma attengono ai fatti memorabili e ai loro protagonisti; inoltre, sono in continuo mutare, tanto che i protagonisti di una cadenza storica possono, nella trasmis-sione della memoria, diventare invisibili e poi, in una cadenza storica successiva, di nuovo protagonisti.

Le fonti storiografiche medievali sono assai numerose, un vero e proprio mare magnum: all’interno di esse, ho individuato un paio di casi a mio parere significativi dell’alternanza fama/invisibilità/eventuale nuova visibilità, per verificarne le modalità e l’efficacia in ter-mini di damnatio memoriae e di “condanna all’oblio”, operando a mia volta una selezione e, dunque, una manipolazione indiretta.

Il primo caso è tratto dalla produzione storiografica di epoca carolingia, fra l’VIII e il

2 Cfr. G. Spiegel, Il passato come testo. Teoria e pratica della storiografia medievale, Istituti editoriali e poli-grafici internazionali, Pisa-Roma, 1998, p. 12: “il passato stesso veniva a costituire l’asse portante di una struttu-ra ideologica di dimostrazione e giustificazione, che cercava di legittimarsi prendendo a prestito l’autorità della storia, intesa come una tradizione reale anche se altamente mutevole, permeabile e fragile – ed era quindi essa stessa, tale struttura ideologica, un prodotto della storiografia. Era la ‘verità’ del passato che garantiva l’utilità della storiografia per gli uomini di governo e i politici medievali, i cui interessi certamente non risiedevano nel recuperare una versione attendibile di ‘ciò che era realmente accaduto’ ma nella legittimazione dei loro obiettivi propagandistici e politici”. Cfr. anche ivi, pp. 78-88. Sul passato come creazione culturale, ricostruita e riorga-nizzata nel ricordo in funzione politica, J. Assmann, La memoria culturale. Struttura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino, 1997, soprattutto alle pp. XI-XXI, 7, 16-17, 22; A. Assmann, Ri-cordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, il Mulino, Bologna, 2002, soprattutto alle pp. 154-157.

3 Cfr. J. Le Goff, Conclusions, in P. Cammarosano (a cura di), Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento, École française de Rome, Roma, 1994, pp. 519-528: la storia è individuata come il grande referente della propaganda nel Medioevo, essendo il Cristianesimo una religione storica; si tratta, peraltro, di una storia manipolata e tendente a diventare in qualche modo un’immensa propaganda. Cfr. anche La propaganda politi-ca nel Basso Medioevo. Atti del XXXVIII Convegno storico internazionale. Todi 14-17 ottobre 2001. Centro ita-liano di studi sul basso Medioevo. Accademia Tudertina, Spoleto, 2002.

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Uomini che diventano invisibili

IX secolo, dunque: un corpus testuale ricco e articolato, nel quale la critica ha ravvisato la mediazione di una scrittura storica di propaganda fortemente orientata, volta a raffigurare gli eventi passati e contemporanei per giustificare e legittimare l’azione dei sovrani carolin-gi riguardo a specifiche circostanze politiche4: spicca, a riguardo, una compilazione annali-stica redatta fra il 678 e l’830, gli Annali di Metz, o Annales Mettenses Priores, ritenuti per lo slancio “patriottico” verso i Carolingi e le sistematiche accuse di inadeguatezza rivolte ai sovrani merovingi espressione eccellente della “propaganda” carolingia5.

La dinastia vi è, in effetti, a più riprese esaltata nella sua valenza di strumento del Signo-re volto a riempire il vuoto lasciato dagli ultimi, fannulloni merovingi, tanto che l’anonimo autore della vita di Pipino di Herstal non esita a paragonarlo al giovane e vibrante David che lotta vittorioso contro Golia, figura del tipo merovingio…

Ciò risulta tanto più significativo poiché, a differenza di altre opere redatte su esplicita richiesta dei sovrani carolingi, primo fra tutti Carlo Magno, opere forti dunque di una sorta di patronato regale, – come gli Annales Regni Francorum6 – gli Annali di Metz non sono ascrivibili appieno alla dimensione della storia ufficiale: non risulta dalle fonti un personale coinvolgimento dei sovrani o dell’entourage carolingio nella loro redazione: si tratta piut-tosto dell’espressione narrativa di un punto di vista diffuso chiaramente orientato in senso filo carolingio, e proprio per questa sua indipendenza rispetto a una committenza definita ancor più rilevante dal punto di vista della sua funzionalità politica. Certamente, alla base della loro fattura è un generale intento legittimatorio, cui si collega la funzione della storia come deterrente rispetto a spinte centrifughe nei momenti di crisi politica dei poteri do-minanti, o comunque nei momenti di crisi della dinastia carolingia, per la quale è stata più volte evidenziata la strumentalità politica della rappresentazione del passato7.

Da questo punto di vista, la compilazione degli Annali di Metz, in apparenza superflua considerando la contestuale stesura di altre opere ufficiali, si può attribuire a un lasso di

4 Cfr. a tale proposito, accanto a Guenée, Storia e cultura storica, cit., soprattutto alle pp. 400-429, M. Gar-rison, The Franks as the New Israel? Education for an identity from Pippin to Charlemagne, in Y. Hen, M. Innes (ed. by), The Uses of the Past in the Early Middle Ages, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, pp. 114-161; R. McKitterick, The Carolingians and the written word, Cambridge University Press, Cambridge, 1989; Ead., Carolingian Culture: emulation and innovation, Cambridge University Press, Cambridge, 1994; Ead., Po-litical ideology in Carolingian historiography, in The Uses of the Past in the Early Middle Ages, cit., pp. 162-174; Ead., History and memory in the Carolingian world, Cambridge University Press, Cambridge, 2004; Ead., Per-ceptions of the past in the early middle ages, University of Notre Dame Press, Indiana, 2006; Ead., Charlemagne: the formation of a European identity, Cambridge University Press, Cambridge, 2008; M. Innes, Teutons or Tro-jan? The Carolingians and the Germanic Past, in The Uses of the Past in the Early Middle Ages, cit., pp. 227-249.

5 Per l’edizione cfr. Annales Mettenses Priores, in M. G. H. Scriptores Rerum Germanicarum in usum schola-rum, X, ed. B. von Simson, Hannoverae 1905, pp. V-98. Cfr. Y. Hen, The Annals of Metz and the Merovingian Past, in The Uses of the Past in the Early Middle Ages, cit., pp. 175-190. Cfr. O. Capitani, La storiografia medie-vale, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, dir. N. Tranfaglia e M. Firpo, I, Il Me-dioevo, 1. I quadri generali, Einaudi, Torino, 1988, pp. 757-792: 766 e ss.

6 Per l’edizione Annales regni Francorum inde ab a. 74 usque ad a. 829 qui dicuntur Annales Laurissenses Maiores et Ehinardi, in M. G. H. Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum, ed. G. H. Pertz-F. Kurze, Hannoverae 1895.

7 Hen, The Annals of Metz, cit., pp. 177-179.

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tempo preciso e correlare alla necessità di persuadere i Franchi, soprattutto l’aristocrazia, a sostenere i loro re.

Ciò che rileva in tal senso, allora, è l’individuare la sequenza cronologica di composizio-ne e le modalità con le quali fu perseguita tale opera di persuasione occulta, in riferimento al tema che qui interessa dei rapporti fra invisibilità e marginalità di eventi e uomini e capa-cità inventiva e fictio nella scrittura storica. Perché in quel momento sarebbe stato necessa-rio costruire un’opera per convincere i Franchi dell’opportunità di sostenere i re Carolingi?

Poco prima della redazione degli Annali, una serie di calamità naturali colpì il regno franco, in un periodo in cui Carlo Magno viveva, secondo le parole di François Louis Gan-shof, una sorta di crisi psicologica, dovuta anche, aldilà di ogni valutazione politica succes-siva, alla responsabilità spirituale legata all’incoronazione imperiale8.

Gli Annali non riportano traccia né dei terremoti, né della grave carestia che afflisse il Regno fino all’810 circa, e di cui si ha notizia attraverso altri documenti, quali i capitolari e le lettere circolari inviate ai funzionari laici ed ecclesiastici per affrontare l’emergenza9.

I disastri naturali, infatti, erano spesso interpretati come forme di punizione divina per i peccati compiuti dalle comunità e soprattutto dai loro reggitori: lo stesso Carlo Magno, in una lettera inviata all’arcivescovo di Liegi nell’805, interpreta le sofferenze che affliggono le sue terre come segnali di un disagio divino nei confronti degli errori umani10.

Il silenzio dei Mettenses, la scelta di omettere eventi che altre fonti rivelano invece come ben noti e vissuti in prima persona dallo stesso imperatore, il rendere invisibili, nel tacerli, anche la paura e la sofferenza si possono interpretare anche in senso politico e propagandi-stico: il potere della parola è qui usato appieno.

Infatti, ciò che non si narra, non è stato, ciò che non si tramanda, non sarà ricordato, ciò che non si ricorda, non è accaduto.

Terremoti e carestie sono il segno della collera divina per gli errori di Carlo Magno, tanto più gravi perché egli è stato incoronato proprio per grazia divina. Ma se terremoti e carestie spariscono dalla narrazione storica che, sulla falsariga di Erodoto deve impedire il dissolversi con il tempo degli eventi e delle azioni umane nella dimenticanza, affinché le imprese grandi e meravigliose e le loro cause non rimangano senza gloria, se terremoti e carestie diventano invisibili e, con essi, anche ciò di cui erano segno, allora spariscono anche gli errori.

8 Ivi, p. 181, con indicazioni bibliografiche; cfr. F.L. Ganshof, L’échec de Charle Magne, in «Compte-ren-dus de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres», 1947, pp. 248-254; Id., La fin du règne de Charle Magne. Une décomposition, in «Zeitschrift für Schweizrische Geschichte», 28, 1948, pp. 533-552; Id., Le programme de gouvernement imperial de Charlemagne, in Renovatio imperii. Atti della giornata internazionale di studio per il millenario. Ravenna 4-5 novembre 1961, Faenza, 1963, pp. 63-96; Id., The Carolingians and the Frankish Monarchy. Studies in Carolingian History, trans. J. Sondheimer, Longman, London, 1971.

9 Cfr. Capitulare Missorum inTheodonis Villa Datum Secundum (805), cap. 1, n. 44, pp. 121-126; Capitu-lare Missorum Niumagae datum (806), n. 46, pp. 130-132, in M. G. H. Legum Sectio II. Capitularia Regum Francorum, I, ed. A. Boretius, Hannoverae 1883. Anche gli Annales Regni Francorum riportano tali informa-zioni, cfr. Annales Regni Francorum, cit., p. 117.

10 Karoli ad Ghaerbaldum Episcopum Epistula (805), M. G. H. Legum Sectio II. Capitularia Regum Fran-corum, I, ed. A. Boretius, Hannoverae 1883, n. 124, pp. 244-246. Cfr. anche Eginardo, Vita Karoli Magni, in M. G. H. Scriptores Rerum Germanicarum, XXV, ed. O. Holder-Egger, Hannoverae 1911, c. 32, pp. 36-37.

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Uomini che diventano invisibili

In tal senso, la capacità di reinventare non solo il passato più antico ma anche il tempo presente e quasi contemporaneo caratterizza in modo importante la struttura degli Annali di Metz, così come buona parte del corpus di testi storiografici ascrivibile all’età carolingia. Del resto, se ogni storia è storia contemporanea, lo può essere anche la storia redatta quasi in tempo reale dagli anonimi autori dell’annalistica carolingia e destinata a un pubblico ben definito, l’élite dominante franca laica ed ecclesiastica11.

Lo stesso tipo di omissione o invisibilità o dimenticanza che colpisce eventi interpreta-bili come signa negativi può coinvolgere gli uomini e le loro azioni, condannando all’oblio chi era stato invece protagonista in prima persona degli eventi narrati. Da questo punto di vista, il passato merovingio della gens franca rappresenta l’ambito di elezione per verificare le modalità con le quali si esprime la tendenza “manipolatoria” della scrittura storica caro-lingia. Assai efficace, bisogna ammettere, considerando che la definizione di rois fainéants, re fannulloni, tratta da Eginardo, biografo di Carlo Magno12, ha accompagnato per oltre mille anni, fino al XXI secolo, almeno gli ultimi esponenti della dinastia merovingia. Cer-to, come rivelano altre fonti meno orientate, la decadenza della dinastia è innegabile e, cer-to, la progressiva presa di potere da parte dei maggiordomi di palazzo poté attuarsi in un contesto di sostanziale inazione dei sovrani merovingi.

Ma la rappresentazione storiografica carolingia ha sicuramente agito di concerto con le altre fonti fino a distillare ogni evento e ogni notizia nell’icastica formula parte del corredo scolastico di tante generazioni di studenti. I Merovingi, i re fannulloni. Non c’è bisogno di aggiungere altro. E d’altra parte, i testi franchi fra VIII e IX secolo attuano una sistematica “diffamazione” dei sovrani merovingi, delle élites laiche ed ecclesiastiche, dell’organizzazio-ne della chiesa, della religione, della cultura, celebrando al tempo stesso in un gioco dialet-tico di grande efficacia la grandezza di ogni minima azione dei Carolingi.

Gli Annali di Metz, si diceva, furono composti fra l’805 e l’810: nell’806 Carlo Magno con la divisio regni sanciva la divisione del regno fra i figli Carlo, Ludovico e Pipino, anche per rintuzzare le eventuali ribellioni delle fazioni aristocratiche, sul cui consenso si basava il suo potere, una volta che i figli gli fossero succeduti13. La redazione degli Annali è stata riferita a questo momento di crisi, o comunque di evoluzione, della storia della dinastia, e si configura come una sorta di rassicurazione/risposta agli eventuali slanci autonomisti-ci dell’aristocrazia e alle preoccupazione legate alla divisione del regno. Ciò presuppone, dunque una audience ben definita: il poter giustificare la stesura di un’opera riferendola a un evento storico preciso che l’avrebbe stimolata implica l’esistenza di una ricezione iden-tificabile. Come Rosemond Mc Kitterick con luminosa chiarezza ha dimostrato, infatti,

11 Hen, The Annals of Metz, cit., p. 185 e ss.12 Vita Karoli, cit., cap. 1, pp. 2-4. Tale denominazione (rois fainéants, nella storiografia francese) designa

gli ultimi re merovingi, poiché l’esercizio effettivo del regno era nelle mani dei loro maestri di palazzo, che ave-vano il comando dell’esercito e, sostanzialmente, di tutti i territori dipendenti.

13 L’aristocrazia carolingia costituiva potenzialmente un’opposizione forte e significativa, in grado di pol-verizzare la successione, ciò di cui Carlo Magno era ben consapevole, tanto che chiese ai nobiles un giuramento che sancisse la loro accettazione della divisio regni (Capitulare Missorum Niumagae datum, cit., c. 2, p. 131). Nel capitolare di Thionville (Capitulare Missorum in Theodonis, cit., cc. 10-11, p. 124) un lungo capitolo è de-dicato ai cospiratori.

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questo genere di opere, di storia e politica, era rivolto ai magnates, laici ed ecclesiastici, e non mirava tanto all’asettico racconto dei fatti contemporanei o appena trascorsi, quanto a fornire una serie meditata di giudizi politici sugli eventi all’élite politica e religiosa appieno coinvolta in quegli stessi eventi14.

Negli Annali l’aristocrazia franca è rappresentata come stretta intorno al proprio signore e alla sua dinastia, ai quali deve ogni gloria e ricchezza. Nulla scalfisce la forza adamantina del legame che unisce i Franchi ai Carolingi, nulla pare offuscare la serena consapevolezza della provvidenzialità di questo legame, nessuno mette in dubbio la reciprocità del vincolo di fide-litas fra il re e i suoi fideles. In realtà, tale immagine dell’aristocrazia franca era anacronistica già allora, poiché ignora totalmente l’immenso potere accumulato dalla nobiltà in seno alla strut-tura del regno, così come ne ignora le spinte centrifughe, proponendo proprio a quella no-biltà l’immagine oleografica di una completa armonia con il disegno voluto da Carlo Magno.

Gli Annali di Metz, in sintesi, rappresentano la storia dei Franchi come i Carolingi l’avrebbero voluta15: ecco spiegati i filtri, le manipolazioni, le omissioni degli eventi sfavo-revoli, le esaltazioni dei favorevoli. Le disfatte sul campo di battaglia, le congiure, le lotte fra fazioni interne alla famiglia e le opposizioni aristocratiche sono ignorate, come le care-stie e i terremoti, perché di cattivo presagio. Gli scarni accenni a tali opposizioni, limitati ai casi in cui la dinastia rifulge della sua grandezza, evidenziano, spesso con la forza icastica di un unico termine, quasi un epiteto omerico, la slealtà di chi alla dinastia ha osato opporsi: Gundoinus crudelissimus tirannus, Ebroino immanissimo tiranno, Gisilmaro empio, lubrico e callidissimus16.

I Merovingi: solamente due sovrani della dinastia sono ricordati con più di due parole, Teuderico III e Chilperico III, entrambi oppositori fra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo della lenta presa di potere dei maggiordomi pipinidi. Superbissimus rex il primo, su-perbus il secondo. Gli ultimi tre sovrani, poi, sono del tutto ignorati17.

Superbi e tiranni: il peccato di Ulisse, la superbia intesa come ybris, come tracotanza, l’andare contro il volere divino schierato, naturalmente, con i Carolingi, e la tirannia, ovve-ro la degenerazione del buon governo esclusiva, naturalmente, dei Carolingi.

D’altra parte, come si diceva, l’omissione del passato merovingio pare una delle caratte-ristiche fondamentali della storiografia carolingia e non esaurisce il suo significato nell’op-portunità di esaltare la dinastia vincitrice, né nella necessità di legittimarne ogni gesto. La condanna inflitta ai Merovingi, ancor peggiore di una totale invisibilità poiché condensata nell’immagine grottesca dei re fannulloni, si lega a un’ulteriore funzione politica attribuita alla capacità della storia di reinterpretare/reinventare/rendere invisibile: il giungere attra-verso la rappresentazione del passato ad accreditare l’equazione Franchi=Carolingi, desti-nando all’oblio i Merovingi.

Il luminoso destino della gens francorum è legato all’ascesa provvidenziale dei Carolingi, dinastia che diviene stirpe, stirpe che diviene popolo, popolo che diviene nazione.

14 Mc Kitterick, The Carolingians and the Written Word, cit., pp. 236-241.15 Hen, The Annals of Metz, cit., p. 187.16 Annales Mettenses Priores, cit., a. 678, p. 2, a. 681, p. 6, a. 686, pp. 6-7.17 Annales Mettenses Priores, cit., a. 686, p. 7; a. 687, pp. 8, 10 (Teuderico); a. 717, pp. 21-24 (Chilperico).

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Uomini che diventano invisibili

In tal senso, si spiegano ancora meglio omissioni e invisibilità: nessuno può oscurare o mettere in discussione il disegno divino alla base dell’affermarsi degli ascendenti di Carlo Magno, neppure un’altra dinastia, ugualmente accreditata e ricca di un forte passato e di sovrani protagonisti di altre cadenze storiche.

È necessario, allora, non farne parola, poiché ciò che non viene nominato, non è. Chi era protagonista diviene invisibile e ignorato, poiché nella rappresentazione storiografica la marginalità sfugge alle regole che la definiscono in un contesto sociale o produttivo, grazie al potere proprio di tale rappresentazione di reinventare e manipolare: chi era marginale può assumere ruoli insperati, chi era sovrano nella migliore delle ipotesi diviene un civis quidam, o un buono a nulla, quando non diventa, appunto, invisibile.

La produzione letteraria e storiografica di ambito carolingio, di cui ho riportato un breve esempio, si presta in modo particolare ad analisi di questo tipo, per la sua ricchezza, la complessità, la consapevolezza del potere del racconto storico nel modellare gli eventi.

Prima di concludere, però, vorrei accennare più brevemente a un altro caso di margina-lità indotta dagli eventi e dalla memoria, forse meno eclatante, legato non solo alla scrittura storica ma alla concretezza degli accadimenti, una marginalità che in tempo reale subentrò alla centralità di cui il protagonista aveva goduto fino a quel momento.

Intendo riferirmi alla sorte che colpì Enzo di Svevia, figlio naturale di Federico II, cat-turato dai Bolognesi nel 1249 e tenuto prigioniero in città fino alla sua morte, avvenuta nel 127218. In quale modo, dunque, Enzo divenne invisibile e marginale? Egli era stato fino a quel momento al fianco del padre imperatore quale legato per l’Italia, con un ruolo primario nell’ambito dello scenario politico che vedeva opporsi lo schieramento imperiale alle città comunali lombardo-padane: fra il 1239 e il 1249 le fonti tramandano l’immagi-ne di un uomo presente in ogni situazione di emergenza e sempre in armi, quasi l’alter ego dell’imperatore. Una volta catturato, egli fu condotto in città dove il consiglio comunale deliberò di tenerlo prigioniero ad libitum, nella massima affermazione simbolica del pro-prio potere sull’imperiale. Federico II, di fatto, non fece quasi alcun tentativo per ottenere la liberazione del figlio: ci è giunta solo una lettera di perentoria richiesta, attribuita alla sua cancelleria, cui il Comune avrebbe risposto con un’altra lettera in cui ribadiva l’intenzione di “tenere” per sempre il nobile prigioniero.

Poi, più nulla: nel 1250 l’imperatore moriva senza neppure nominare nel testamento il figlio un tempo prediletto. Nessuno dei fratelli, nessuno degli eredi Hohenstaufen operò per ottenerne il rilascio e nessuna fonte pare rilevare il silenzio cui Enzo fu condannato, soffermandosi piuttosto sugli aspetti materiali e pittoreschi della sua prigionia, che divenne qualcosa di a sé stante, tanto da farne quasi dimenticare le cause.

Un’invisibilità diversa, dunque, rispetto alle omissioni rilevate a proposito dei Mero-

18 Su Enzo cfr. A.I. Pini, voce Enzo di Svevia, re di Sardegna, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 43, 1993, pp. 1-8; F. Roversi Monaco, voce Enzo, re di Torres e di Gallura, in Enciclopedia Fridericiana I, Roma, 2005, pp. 527-532; A.L. Trombetti Budriesi, La figura di Re Enzo, in Federico II e Bologna, Bologna, 1996, pp. 203-240; A.L. Trombetti Budriesi, V. Braidi, R. Pini, F. Roversi Monaco (a cura di), Bologna, re Enzo e il suo mito, Clueb, Bologna, 2002. Sul mito di Enzo di Svevia ci si permette di rimandare a F. Roversi Monaco, Il Co-mune di Bologna. Costruzione di un mito debole, Bononia University Press, Bologna, 2012.

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Francesca Roversi Monaco

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vingi: non oblio totale, certo, e neppure diminuzione delle qualità del nobile personaggio, anzi. Le fonti sono concordi nell’evidenziarne il valore, la magnanimitas, la cortesia, le ca-pacità militari, le abilità letterarie, così come ci tramandano l’immagine di un uomo che durante la prigionia visse, comunque, ebbe alcune figlie, fu poeta e colto intrattenitore: però egli dovette subire il peso del non essere ricordato in alcun modo, neppure nominato dalla sua dinastia, il peso di essere diventato invisibile in senso politico, come se non avesse avuto, in quello scenario a lungo condiviso da cui era stato brutalmente cancellato, un ruo-lo di grande rilievo. Come se non fosse ancora vivo. Invisibile in vita, costretto all’inazione politica e militare per oltre vent’anni, e le stesse fonti che con ricchezza di particolari descri-vono la sua cattività, senza risparmiarsi manipolazioni, omissioni, abbellimenti, non fanno quasi cenno al grande e fallito disegno politico di cui era stato protagonista, preferendo raffigurarlo attore di una scena diversa.

Questo capovolgimento quasi carnevalesco, alla Bachtin, dei ruoli da protagonista/comparsa all’interno dello scenario storico, della messa in scena dell’altro nel nostro pre-sente che è la storia, per usare le parole di Paul Zumthor19, risalta in modo particolare se declinato nei termini della marginalità: come a dire che, almeno nella memoria dei grandi eventi, lo status quo non è così inalterabile e nel racconto storico nessun privilegio di nascita o ricchezza può rendere immuni da inopinati cambiamenti di ruolo.

Certo, il sovvertimento riguarda la produzione della memoria orientata dai ceti domi-nanti, non ha né può avere alcuna dimensione sociale, non porta alla ribalta i “veri” ultimi, i poveri, i reietti, i malati, gli emarginati, non è in tal senso rivoluzionario e, dunque, il suo rilievo è limitato alla trasmissione di un passato artefatto la cui ricezione ancora a lungo sarà appannaggio di una ristretta élite.

Però, nel prisma a più facce delle storie di invisibili, marginali ed esclusi, può trovare spazio anche questo tipo particolare di invisibilità ed esclusione, élitario e artificiale, poiché non tocca la vita e le sue sofferenze, ma il ricordo della vita e degli eventi di chi, già prota-gonista di una cadenza storica, fu ridotto a mera comparsa, in una sorta di contrappasso, come se almeno nel racconto – anche se solo per fini politici –, certi privilegi non fossero così assodati.

Uomini che diventano invisibili: non solo la damnatio memoriae ma l’oblio totale, at-traverso il potere fondativo, fortissimo e crudele, delle parole: ciò che non è tramandato non può essere ricordato, e in modo progressivo scompare per sempre, fino a non esserci stato mai.

19 P. Zumthor, Leggere il medio evo, il Mulino, Bologna, 1981, p. 167.

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