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I GOVERNATORI DI LIVORNO DAI MEDICI ALL’UNITÀ D’ITALIA. Gli uomini, le istituzioni, la città, Pisa, ETS, 2009

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Studidel Dipartimento di Scienze della Politica

dell’Università di Pisa

Coordinatore Danilo Marrara

1. AA.VV., Toscana e Portogallo. Miscellanea storica nel 650° anniversario delloStudio Generale di Pisa

2. AA.VV., Toscana e Spagna nel secolo XVI. Miscellanea di studi storici3. MARIO CORSI, Introduzione al Leviatano. Le radici dello Stato modeno nel

pensiero etico-politico di Hobbes4. MAURIZIO VERNASSA, Alle origini dell’interessamento italiano per l’America

Latina. Modernizzazione e colonialismo nella politica crispina: l’inchiesta del1888 sull’emigrazione

5. ANNAMARIA GALOPPINI, Lavoro subordinato e responsabilità civile6. AA.VV., Toscana e Spagna nell’età moderna e contemporanea7. AA.VV., Bernardo Tanucci nel terzo centenario della nascita (1698-1999)8. FLAVIA MONCERI, Dalla scienza alla vita Dilthey, Nietzsche, Simmel, Weber9. SERENELLA PEGNA, Che cos’è oggi la nazione. Vecchi immigrati, nuovi immi-

grati, immigrazione islamica in Francia10. LUCIA NOCENTINI, Il luogo della politica. Saggio su Spinoza11. ALESSANDRO VOLPI, La politica debole. Note su morale, storia e ritualità nel-

la cultura italiana dell’Ottocento12. ROBERTO GIANNETTI, L’utopia di un liberale aristocratico. Saggi sul pensiero

politico di John Stuart Mill13. AA.VV., Ceti dirigenti municipali in Italia e in Europa in età moderna e con-

temporanea14. AA.VV., Ceti dirigenti e poteri locali nell’Italia meridionale (Secoli XVI-XX)15. AA.VV., Elites municipales et sentiment national dans l’aire de la méditer-

ranée nord-occidentale16. ANNA VITTORIA MIGLIORINI, Lucca e la santa sede nel settecento17. CINZIA ROSSI, Il Collegio pisano dei legisti e i suoi progetti di revisione statu-

taria 1543-161318. ALESSANDRO BRECCIA, Fedeli servitori. Le onorate carriere dei Giorgini nella

Toscana dell’Ottocento19. CINZIA ROSSI, La famiglia dal Borgo di Pisa nell’Ordine di Santo Stefano

(1641-1859)20. DANILO BARSANTI, Alessandro Manetti. Un grande scienziato al servizio dei

Lorena21. MARCELLA AGLIETTI, I governatori di Livorno dai Medici all’Unità d’Italia.

Gli uomini, le istituzioni, la città

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Studidel Dipartimento di Scienze della Politica

dell’Università di Pisa

21

MARCELLA AGLIETTI

I GOVERNATORI DI LIVORNODAI MEDICI ALL’UNITÀ D’ITALIA

Gli uomini, le istituzioni, la città

EDIZIONI ETS

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© Copyright 2009EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884672344-4

Pubblicato con il contributo dell’Associazione Livornese di Storia, Lettere ed Arti,della Fondazione Cassa di Risparmio di Livorno,

e del Dipartimento di Scienze della Politica dell’Università di Pisa

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premessa

Questo volume è frutto di anni di ricerca sulla figura istituzionale del governatore di Livorno condotta prevalentemente negli archivi toscani, con qualche incursione in quelli spagnoli ed austriaci. alcuni primi risultati sono stati presentati in occasione di convegni e giorna-te di studio che mi hanno consentito di puntualizzare aspetti specifici e di confrontarmi con altri studiosi della storia toscana e livornese. Tali contributi, tutti in corso di stampa�, sono qui riproposti con una nuova veste, integrati con elementi emersi dalle indagini effettuate successivamente e volti a dare uno sguardo d’insieme dell’istituzione.

Nei documenti trascritti nel testo, in nota e in appendice, ho ri-spettato la grafia degli originali, mentre ho uniformato l’uso delle maiuscole, adeguato accenti e punteggiatura, ed ho incluso in paren-tesi quadre eventuali chiarimenti. In alcuni casi la datazione utilizzata dalle fonti non coincide con il computo moderno�: nel testo tutte le date sono immediatamente risolte nello stile della Circoncisione, in nota invece, accanto alla data originaria, ho indicato tra parentesi

� si tratta di: Il Governo di Livorno: profili politici ed istituzionali nella seconda metà del Settecento, presentato in occasione del convegno Livorno 1606-1806: luogo di incontro tra popoli e culture, tenutosi a Livorno il ��, �3 e �4 ottobre �006 sotto la direzione di adriano prosperi, atti in corso di stampa; Politica ed amministrazione periferica durante il Regno d’Etruria. Il caso del Governo di Livorno, presentato al convegno di studi Spagnoli a Palazzo Pitti: il Regno d’Etruria (1801-1807), svoltosi a Firenze e pisa (�9 novembre – � dicembre �007), atti in corso di stampa; e infine Giuliano Capponi governatore di Livorno tra Medici e Lorena, presentato in occasione della Giornata di studi Livorno nella Toscana dei Lorena tenutasi a Livorno, il �0 maggio �008, e in pubblicazione su «Nuovi studi Livornesi», XVI (�009).

� I documenti antecedenti al primo gennaio del �750 sono datati secondo lo stile fioren-tino dell’Incarnazione che, come si sa, coincide con lo stile moderno della Circoncisione per il periodo compreso tra il �5 marzo ed il 3� dicembre, mentre è retrocesso di un anno per il periodo dal �° gennaio al �4 marzo. In casi più rari, si trova attestato anche lo stile pisano dell’Incarnazione, in base al quale si faceva invece iniziare l’anno il �5 marzo, anticipando di un anno rispetto al nostro calendario.

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l’anno a cui essa corrisponde secondo il nostro calendario, se diffor-me.

La mia più profonda gratitudine va in primo luogo al professor Carlo mangio, non solo per avermi introdotto alla storia di Livorno e dei suoi governatori, ma per gli inesauribili suggerimenti e l’aiuto da-tomi con indimenticabile affetto per superare le difficoltà incontrate in corso d’opera. a lui vanno, se ve ne sono, i pochi meriti di questo libro, con il profondo rammarico di non aver potuto sottoporglielo compiuto.

sono altresì debitrice al professor Danilo marrara per avermi inco-raggiato nello studio di un tema così complesso, dispensandomi molti opportuni spunti di approfondimento. mi è grato inoltre ringraziare Lucia Frattarelli Fischer e mario Caricchio per l’amichevole aiuto e l’attenta lettura del manoscritto, paolo Castignoli per i preziosi con-sigli e il professor mario ascheri per le utilissime indicazioni relative agli archivi senesi.

Un particolare debito di riconoscenza va a tutto il personale degli archivi dove ho lavorato, soprattutto ad angelo de scisciolo, mas-simo sanacore, Isabel aguirre e Nada Bacic per avermi facilitato moltissimo le ricerche in virtù della loro competenza e grande dispo-nibilità.

ringrazio il professor romano paolo Coppini, direttore del Dipar-timento di scienze della politica, e il medesimo professor marrara, coordinatore degli «studi del Dipartimento», per aver accolto nella collana il presente scritto; e l’associazione Livornese di storia, Let-tere ed arti e la Fondazione Cassa di risparmio di Livorno per aver generosamente contribuito alla pubblicazione.

L’ultimo ringraziamento va ai miei genitori e ad alberto per aver saputo starmi sempre accanto con paziente amore ed infaticabile so-stegno.

TaVOLa DeLLe aBBreVIaZIONI

aCFi, archivio privato della famiglia Corsini, FirenzeasFi, archivio di stato di Firenze asLi, archivio di stato di LivornoasLu, archivio di stato di Luccaaspi, archivio di stato di pisaassi, archivio di stato di sienaaGsi, archivo General de simancas (spagna)HHstaV, Haus-, Hof- und staatsarchiv di Vienna (austria)BLL, Biblioteca Labronica di LivornoGoverno – Governo civile e militare di LivornoAuditore – Auditore del Governo di Livorno (1814-1847)Mediceo – Mediceo del PrincipatoReggenza – Archivio del Consiglio di Reggenza Comune – Comune preunitario (1421-1865)copialettere – Copialettere del governatorec., cc. – carta, carten.n. – non numerateop. cit. – opera citatar – rectov – versoprot. – protocolloins., inss. – inserto, insertif. – filza scaf. – scaffales.a. – senza autores.d. – senza data

CapITOLO prImO

prOFILO sTOrICO IsTITUZIONaLe DeL GOVerNaTOre DI LIVOrNO

1. Un«Ufficio»difficiledadefinire

La ricerca alla base di questo libro parte da una sfida, come sem-pre accade quando si tratta di definire il potere e le sue modalità di esercizio. per rivelare la storia della carica istituzionale del governa-tore di Livorno, è stato anzitutto necessario raggiungere la consape-volezza della difficoltà di reperire fonti affidabili, ricorrendo a veri-fiche incrociate sulla documentazione pertinente ad altre istituzioni pubbliche, come anche alle corrispondenze private e alle memorie personali conservate in ambiti non sempre di immediata correlazio-ne. si è trattato dunque di raccogliere frammenti dispersi, spesso contraddittori tra loro, che consentissero di descrivere le sfaccettatu-re di un incarico dotato della giurisdizione civile e criminale, del co-mando militare di terra e di mare, della supervisione sulle principali magistrature cittadine, del controllo sulla polizia, sulla sanità e sui movimenti del porto, e responsabile dei rapporti con i rappresentanti delle altre corti europee e mediterranee e con le comunità straniere presenti a Livorno. Queste molteplici attribuzioni furono conferite ai governatori in maniera discontinua, come attestato nelle diverse «istruzioni» impartite nel corso dei secoli dai granduchi, adeguando-le all’evolversi della società livornese. Le competenze e prerogative dell’ufficio governatoriale restarono peraltro sempre caratterizzate da margini flessibili e indefiniti, tali da permettere di rispondere meglio a possibili situazioni impreviste, oltre che diversamente intese ed applicate dalla quarantina di personaggi che ne furono investiti, ben differenti tra loro per capacità ed esperienze pregresse, carisma, sta-tus sociale ed economico sui quali far affidamento, e quanto alla pos-sibilità di ricorrere a rapporti personali nell’entourage della corte o a clientele locali. Non siamo insomma affatto di fronte ad una struttura amministrativa burocratica pura, bensì ad una identità istituzionale

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di tipo politico, con ampia autonomia decisionale e estesi poteri di controllo territoriale.

La complessità dell’incarico, in qualche misura affine ad analoghi modelli italiani ed europei3, si trova ad essere ancor più atipica nella versione labronica perché vede sovrapporsi alle peculiarità dell’istitu-zione anche speciali singolarità che caratterizzarono il porto franco e la città di Livorno per secoli, in virtù dei privilegi assicurati dai gran-duchi, medici e Lorena, e della realtà cittadina composta da molte-plici gruppi d’interesse e poteri autonomi. Una realtà territoriale di frontiera4, dove i meccanismi di progressiva definizione dell’istituto procedettero di pari passo con la costruzione di una identità locale fortemente caratterizzata dall’estraneità alle regole in vigore nel resto del granducato di Toscana. Venne così a determinarsi una corrispon-denza simbolica tra le straordinarie prerogative riconosciute al gover-natore e le realtà plurali espresse dalla società labronica che misero spesso a dura prova le operazioni di controllo e di accentramento amministrativo promosse dai granduchi. Quello del governatore fu un potere che si caratterizzò per l’autonomia, a tratti per una vera e propria discrezionalità, riconosciutagli nell’impossibilità da parte di Firenze di controllare ogni evenienza o di prevedere regole certe alle quali attenersi a fronte della varietà di attori e di forze che agivano a Livorno. I medici si preoccuparono sempre, da parte loro, di garanti-re l’elasticità del ruolo piuttosto che definirne precisi limiti d’azione.

3 Tra gli studi italiani, è senz’altro opportuno ricordare a.BarBero-G.castelnUovo, Governare un ducato. L’amministrazione sabauda nel tardo medioevo, in «società e storia», 57 (�99�), pp. 465-5�� ed i contributi contenuti in Comunità e poteri centrali negli antichi Stati italiani. Alle origini dei controlli amministrativi, a cura di L.mannori, Napoli, CUeN, �997. sullo scenario europeo, pur con rilevanti differenze, rappresentano un utile strumento di raffronto gli studi condotti sulla figura governatoriale nella Francia dell’età moderna, in r.r.HardinG, Anatomy of a power élite. The Provincial Governors of Early Modern France, New Haven-London, Yale University press, �978, e nella spagna borbonica, in p.GarcíatroBat-J.correa Ballester, Centralismo y administración: los intendentes borbónicos en España, in «Quaderni fiorentini», XXVI (�997), pp. �9-54 e J.Pérez núñez, Acotaciones sobre el subdelegado de Fomento y los gobernadores civiles de Madrid (1832-1836), in «anales del Instituto de estudios madrileños», XLVII (�007), pp. �77-�9�; id., Del Ministerio del Interior al de la Gobernación. El gobernador civil de Madrid en tiempo de Estatuto Real (1834-1836), in «anuario de Historia del Derecho español», LXXVII (�008), pp. �55-375. ringra-zio il professor José ramón Urquijo Goitia per le utili segnalazioni.

4 Considerazioni di tipo metodologico quanto alla ricerca storiografica dedicata al tema dei territori di frontiera e ai border studies, suggestivi e stimolanti anche per avvicinarsi allo studio della realtà livornese, sono reperibili in Confini. Costruzioni, attraversamenti, rappre-sentazioni, a cura di s.salvatici, soveria mannelli, rubbettino, �005 e soprattutto in Frontiere di terra, frontiere di mare. La Toscana moderna nello spazio mediterraneo, a cura di e.Fasano Guarini-p.Volpini, milano, Francoangeli, �008, in particolare pp. 9-�0.

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andò quindi consolidandosi una prassi di governo basata sulla con-suetudine e sulla necessità dei prìncipi di affidarsi alle capacità di co-loro che erano stati chiamati a interpretare, di volta in volta, le sovra-ne volontà; i governatori risposero al compito assegnato loro dando prova di eccezionale dedizione anzi, a giudicare dalla determinazione con la quale tutelarono le proprie prerogative, fecero spesso molto di più di quanto atteso o auspicato da parte dei granduchi.

D’altra parte, il potere dei governatori fu molto più di una mera emanazione del potere sovrano. mai come a Livorno il granduca ebbe una funzione regolatrice e il suo rappresentante, che operava in suo nome e ne custodiva la superiore giurisdizione verso terzi5, appa-riva dotato di estese competenze, quasi un agente con mandato illimi-tato o, tutt’al più, vincolato a disposizioni confidenziali spesso ignote anche ai suoi più stretti collaboratori. Una autorità delegata, a tratti mascherata e dai margini difficili a definirsi, eppur pronta a far sen-tire tutta la propria forza per tutelare il bene più prezioso della città, quel tesoro rappresentato dai suoi mercanti e dai loro commerci6.

2. lefontieilmetodod’indaGine

Generalmente, la natura del sistema giuridico toscano obbliga lo studioso a prendere in considerazione una notevole pluralità di fonti

5 asLi, Governo, copialettere, 966, cc.�46-�47, �4 giugno �77�.6 «per allettare i forestieri fu pensato di accordare a Livorno ed al suo Capitanato molti

privilegi. e siccome non potevano prevedersi tutti i casi contingibili, si è poi a misura delle circostanze ampliato il limite dei medesimi senza stabilire regole generali, né legarsi a prati-car sempre l’istesso. si è fissata di concerto con i negozianti la quantità dei dazi e dritti da esigersi, ma quando il complesso e la combinazione delle circostanze lo ha richiesto, si sono ordinate delle facilità anche maggiori, coll’avvertenza di usarle in forma che non se ne potes-sero indurre esempi o consuetudine. [...]. In una parola, si è procurato sempre di combinare insieme da una parte la franchigia, e le esenzioni, e dall’altra la sovranità, la giurisdizione e l’interesse di tener Livorno in un giusto equilibrio perché li stranieri portassero un giogo, senza dolersi di non essere liberi. La cosa per altro è per se stessa dell’ultima delicatezza, perché qualunque determinazione si prenda favorevole ai forestieri quali hanno sempre com-posta la parte più rispettabile della popolazione di Livorno, può dare adito all’indipendenza totale, quando ella non resti mascherata con qualche pretesto. e per quanto tali pretesti si siano studiati, non ostante siccome una replicata serie di atti contrari alla giurisdizione del sovrano avrebbe portato alla di lei distruzione, così quando le circostanze lo hanno permesso si è tornati a fare uso di quei diritti che altre volte si erano fatti tacere». asLi, Governo, 958, cc. 4r, 6v-7v, «massime di Governo ed altre istruzioni per l’uso». si tratta di un corposo re-gistro di annotazioni compilate dall’auditore del governo di Livorno a partire dal �789, anno al quale risale il brano sopra citato.

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complementari nel fornire elementi produttori di norme e diritti. Ci si trova di fronte ad una intricata rete di normative locali e generali, di pronunce magistrali e di disposizioni giurisprudenziali emanate varia-mente dai tribunali chiamati a risolvere problemi specifici, rimediare a lacune puntuali, ribadire gerarchie e priorità. Questa condizione di estrema complessità, condivisa dagli altri studi storico-giuridici dedi-cati alla realtà istituzionale toscana7, diviene ancor più problematica nel caso livornese. accanto alla perdita di moltissima documentazione essenziale per la ricostruzione dei compiti e delle competenze del go-vernatore di Livorno8, appare infatti subito evidente la volontà espli-cita dell’autorità costituita, perseguita con determinazione per buona parte dell’età medicea, di non lasciare testimonianze scritte in merito a questo incarico. Il granduca si limitava ad indicare le misure neces-sarie da prendersi caso per caso, comunicandole personalmente a vo-ce al governatore ogni qualvolta si recava a Livorno. Dietro a questo comportamento stava il preciso intento di non creare dei precedenti che avrebbero potuto non esser opportuni in seguito, e soprattutto di

7 Tra i lavori più utili su queste tematiche, oltre a rimandare alle segnalazioni successive, si ricordano D.marrara, Storia istituzionale della Maremma senese. Principi e istituti del governo del territorio grossetano dall’età carolingia all’Unificazione d’Italia, siena, società storica maremmana, �96�; id., Studi giuridici sulla Toscana medicea. Contributo alla storia degli Stati assoluti in Italia, milano, Giuffrè, �965; e.fasanoGUarini, Le istituzioni di Siena e del suo Stato nel Ducato mediceo, in I Medici e lo Stato senese. 1555-1609. Storia e territorio, a cura di L.rombai, roma, De Luca, �980, pp. 49-6�; id., Centro e periferia, accentramento e particolarismi: dicotomia o sostanza degli Stati in età moderna?, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di G.Chittolini-a.molho-p.schiera, Bologna, Il mulino, �994, pp. �47-�76; L.mannori, Il sovrano tutore. Pluralismo e accentramento amministrativo nel principato dei Medici (secc.XVI-AVIII), milano, Giuffré, �994; C.vivoli, Tra autonomia e controllo centrale: il territorio pistoiese nell’ambito della To-scana medicea, in Comunità e poteri centrali negli antichi Stati italiani, cit., pp. �37-�8�, oltre ai più recenti a.zorzi, La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino: pratiche, uffici, «costituzione materiale», in Lo Stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi, confronti (Atti del seminario internazionale di studi, San Miniato, 7-8 giugno 1996), a cura di a.Zorzi-W.J.Connell, pisa, pacini, �00�, pp. �89-��� ed a.dani, Usi civici nello Stato di Siena di età medicea, Bologna, monduzzi editore, �003. Imprescindibile, per un quadro completo, L.mannori, Effetto domino. Il profilo istituzionale dello Stato territoriale toscano nella storiografia degli ultimi trent’anni, in La Toscana in età moderna (Secoli XVI-XVIII). Politica, istituzioni, società: studi recenti e prospettive di ricerca, a cura di m.ascheri-a.Contini, Firenze, Olschki, �005, pp. 59-90.

8 si pensi che nel �795, il governatore in carica Francesco seratti richiedeva da Firenze che si inviasse qualche esemplare dei privilegi di Livorno del �59� e del �593, perché non ve ne era nemmeno una copia negli archivi labronici, in asFi, Reggenza, �040, ins.��, lettera del seratti a Bartolomeo martini, del 6 marzo �795. proprio in quell’anno si attesta la stampa di numerosi esemplari delle «livornine» tuttora conservati presso l’archivio fiorentino.

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non fissare condizioni, né dispensare norme o privilegi che sarebbero stati inadatti al mutare del contesto locale ed internazionale, delle priorità determinate da Firenze oppure che potevano essere rivendi-cati da gruppi sociali differenti rispetto ai primi destinatari. Questa linea di condotta restò invariata per tutto il periodo della reggenza, come chiaramente espresso ancora nel �759 dall’allora governatore in carica, Filippo Bourbon del monte, al suo referente a Firenze, il segretario di guerra:

L’antico stile ed istruzioni date al governatore di Livorno in vari tempi, trovan-dosi in questi registri che nel �7�9 gli fu ordinato di non dare attestati ai consoli di cose anche notorie, che nel �734 gli fu commesso di non mandar fuori notizie benché ricercate di ciò che si pratica in diverse materie in questo porto, dicendo di non poter dare alcuna informazione senz’ordine della sua corte, quale per-messe poi che ei le desse colla cautela però di scriverle in foglio a parte e senza alcuna firma o autentica e di carattere non conoscibile; e che nell’anno stesso gli fu proibito di far attestati circa al luogo ove fosse seguita una preda, ed in som-ma è fissato per modo di regola che il governatore di Livorno non dia attestati o dichiarazioni di alcuna sorte circa ai successi di questa piazza senza averne un ordine preciso9.

Il potere del governatore fu caratterizzato da limiti estremamente fluidi non solo per la natura dei rapporti con l’autorità centrale, ma anche perché andò ad inserirsi in un sistema preesistente di usi e pra-tiche di ordine consuetudinario e del quale abbiamo notizia solo in occasione di un conflitto di competenza o di un evento problematico.

La situazione delle fonti non cambia con l’età lorenese, perchè il Governo di Livorno, inizialmente sottoposto all’egemone direzione della segreteria di guerra, venne in seguito controllato da molteplici e diversi ministeri fiorentini, provocando una vera e propria diaspora della documentazione che ha reso estremamente complessa la rico-struzione degli eventi, dispersi tra i carteggi della segreteria di stato, dello scrittoio delle finanze, del Gabinetto granducale e di altri refe-renti�0.

9 asFi, Reggenza, 649, ins.��, il governatore Bourbon del monte a pandolfini, il 5 di-cembre �759.

�0 per l’esattezza, nel �739 il granduca Francesco stefano dispose che gli affari del Gover-no di Livorno venissero così distribuiti: per gli aspetti relativi al politico ed alla sanità si do-veva corrispondere con il consiglio di reggenza; per gli affari militari con il consiglio di guer-ra. Nelle istruzioni date al governatore Ginori nel �746, invece, al quale si assegnarono solo gli affari civili, separati dagli affari militari, si stabilì che la corrispondenza sugli affari politici

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sono state invece di grande aiuto alcune relazioni stese dai gover-natori e degli auditori che si trovarono a vivere il cambio dinastico dai medici ai Lorena, sollecitati a esporre per la prima volta nero su bianco competenze e attribuzioni, e la lunga memoria «massime di Governo e altre istruzioni per l’uso», databile attorno all’anno �789��, con notizie risalenti fino al secolo precedente e aggiornamenti successivi riferibili ai primi anni del successivo. Non mancano però difficoltà anche nella documentazione settecentesca, giudicata già al tempo di assai laboriosa consultazione, priva di indici tematici e, molto spesso, lacunosa��.

Con l’Ottocento, la situazione dei registri del Governo labronico divenne ancor più caotica. Inoltre, coerentemente al rilievo crescente acquisito da altri soggetti nell’attività di governo, talvolta in compe-tizione con lo stesso governatore, divenne sempre più frequente la scelta di molti, al termine dell’incarico, di portar via con sé la do-cumentazione ritenuta più interessante, sensibile o in alcun modo compromettente, per conservarla presso i propri archivi familiari, rendendola in tal modo spesso difficilmente o nient’affatto recupera-

e di sanità fosse tenuta con la segreteria di stato, e attraverso detta segreteria ricevesse gli ordini della reggenza; per le cose economiche avrebbe dovuto tener carteggio col presidente delle finanze, e per gli affari militari avrebbe dovuto indirizzarsi alla reggenza per mezzo del segretario di guerra. Con il successore del Ginori, Bourbon del monte, che riunì nuovamente competenze civili e militari, fino al �76� tenne carteggio col segretario della reggenza per gli affari politici, e colla segreteria di stato solo per le questioni di sanità e «gli affari di mare». Quando il degli alberti prese il posto del Tornaquinci, la segreteria di stato tornò ad essere il referente anche per gli affari politici e civili, aggiungendo anzi l’obbligo per il governatore di corrispondere col senatore rucellai, segretario del regio diritto, ogni qualvolta fosse stato richiesto da quest’ultimo. asFi, Reggenza, 649, ins.30, lettere fra Bourbon del monte e degli alberti, del 7, �� e �5 agosto �76�. Con pietro Leopoldo, accertato il fallimento di questo sistema, si ridusse nuovamente l’obbligo di corrispondenza del governatore labronico solo con le segreterie di stato e di guerra.

�� Come già detto, questo registro, conservato in asLi, Governo, 958, è anonimo e non datato, ma molto probabilmente fu redatto dall’allora auditore del governo Francesco Giuse-pe pierallini a partire dal «corrente anno �789», come lo stesso estensore annotava nel testo.

�� Così scriveva il governatore Federigo Barbolani da montauto al segretario di stato Francesco seratti, da Livorno, l’8 gennaio �783: «sebbene i fogli compresi in queste filze siano per quanto apparisce ben conservati, è molto difficile di prevalersene giacché non vi sono né generalmente, né separatamente i necessari repertori, gli indici o gli estratti, che ser-vono di guida alla ricerca di qualche affare, laonde chi si trova in simile necessità conviene che sappia l’anno preciso del negozio e vada in seguito scorrendo tutte le filze per trovare il documento che ricerca. Una buona parte delle informazioni relative ai memoriali che sono stati successivamente trasmessi per averne il sentimento del governatore, non si trovano co-piate nei registri e solo vi si vedono le minute delle lettere che le anno accompagnate», asFi, Segreteria di Stato, 365, prot.3, ins. 58.

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bile ad oggi. Ogni qualvolta è stato possibile, si è fatto perciò ricorso anche alle scritture e carteggi privati dove reperire informazioni riser-vate, impressioni personali, commenti che i governatori espressero ad amici, a familiari e ad altri confidenti�3.

La tipologia di gran parte della documentazione così consultata, molto dettagliata ma spesso disorganica, ha consentito di gettare uno sguardo non solo all’aspetto normativo ed alla dimensione giuridica dell’istituto�4, ma anche di valutare quali effetti furono prodotti dal-l’applicazione di tali norme e verificare le condizioni concrete nelle quali operarono.

sono risultati inoltre di particolare interesse gli accurati rapporti relativi ai cerimoniali della «presa di possesso», ossia alle solennità che si celebravano quando il governatore prendeva effettivamente servizio in città. Tale evento non coincideva con l’investitura sovrana, sempre precedente, rivestiva bensì un profondo significato simbolico proprio rispetto al riconoscimento che in quel modo il nuovo gover-natore riceveva dalla comunità locale e perciò era ritenuto essenziale dallo stesso granduca per completare l’investitura. si tratta di ceri-monie dalle quali è facile desumere quale fosse la rappresentazione pubblica del potere del governatore (che andava ben al di là di quan-to formalmente gli veniva attribuito dal principe), e la percezione che se ne aveva da parte delle magistrature cittadine, delle consorterie dei commercianti e delle «nazioni»�5 e della popolazione in generale,

�3 La storiografia più recente ha dedicato nuova attenzione, anche di carattere meto-dologico, alla ricchezza delle fonti epistolari e memorialistiche private per lo studio della storia tra sette e Ottocento. si vedano, a solo titolo di esempio: Metodologia ecdotica dei carteggi, roma, �3-�5 ottobre �980, a cura di e.D’auria, Firenze, Le monnier, �989; La correspondance. Les usage de la lettre au XIXème siecle, a cura di r.Chartier, paris, Fayard, �99�, C.viola, Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliografico, Verona, Fiorini, �004 e l’introduzione a «Dolce dono graditissimo». La lettera privata dal Settecento al Nove-cento, a cura di m.L.Betri-D.maldini Chiarito, milano, Francoangeli, �000 e infine Scritture di desiderio e di ricordo. Autobiografie, diari, memorie tra Settecento e Novecento, a cura di m.L.Betri-D.maldini Chiarito, milano, Francoangeli, �003.

�4 L’attenzione per le fonti giuridiche quali nuove fonti storiche è andata crescendo ed è ormai pienamente consolidata. In tal senso si legga m.sBriccoli, Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sulla fase attuale degli studi di storia del crimine e della giustizia crimi-nale, in «studi storici», n.� (�988), 466-47�. più recentemente, si segnalano anche i lavori di D.ediGati,Il ministro censurato: giustizia secolare e diritto d’asilo nella Firenze di Ferdinando II, in «annali di storia di Firenze», � (�007), pp. ��5-�49 e, con riguardo alla storia livornese, m.sanacore, La devianza criminale nella Livorno della Restaurazione fra classi sociali in for-mazione e modelli etici in crisi, in «rassegna storica Toscana», XLVIII, n°� (�00�), pp. 57-86.

�5 Le «nazioni» di Livorno non coincidevano con le comunità di stranieri presenti in città, raggruppate per patria d’origine, bensì consistevano in entità ben più complesse ed

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perché tutti questi differenti corpi politici partecipavano alla funzio-ne con un proprio ruolo prestabilito. appare in tutta la sua evidenza fino a che punto l’origine dell’autorità governatoriale traesse forza da più fonti, tra le quali quella granducale era solo una, per quanto la più importante. La ritualità, peraltro, preparata fino nel minimo dettaglio dalle autorità fiorentine, andò evolvendosi per pomposità ed ostentazione grazie alle doti economiche e al prestigio familiare del soggetto investito, di pari passo all’indebolirsi del potere reale da questi posseduto.

La scelta di coprire un arco cronologico così ampio, dall’età me-dicea alla fine del granducato di Toscana, caratterizzato da profonde trasformazioni politiche, sociali ed istituzionali, è risultata essenziale per recuperare elementi di analisi e comprendere fasi di un processo di cambiamento percepibili solo con una prospettiva di lunga durata. Quest’approccio ha ovviamente avuto ricadute dirette anche sulla scelta degli argomenti trattati. analogamente, è apparso spesso im-possibile separare la storia istituzionale, ripercorsa governatore dopo governatore, dalla storia politica e sociale di Livorno, la quale resti-tuisce le ragioni del mutare dell’azione governatoriale. Una ricostru-zione omogenea ed onnicomprensiva dell’istituto governatoriale non può pertanto applicarsi genericamente ai singoli casi, data la pluralità di fattori storici, socio-economici e politici in gioco. ecco perchè, accanto ad una attenzione particolare per gli aspetti squisitamente istituzionali, contenuti in prevalenza nelle istruzioni impartite ai go-vernatori al momento della nomina, si è tentato, per quanto possibile, di soffermare l’attenzione anche sugli interventi più significativi pro-mossi da ciascun governatore, così da completare meglio lo scenario di riferimento nel quale si mossero.

Di fronte alla mole e alla eterogeneità del materiale consultato re-sta però incompiuta l’aspirazione di offrire un quadro davvero esau-riente dell’istituto. per questo l’inquadramento storico-istituzionale complessivo è suscettibile di nuovi approfondimenti, anche in chiave comparativa con analoghi istituti presenti sia in Italia che all’estero. a

articolate. su quest’argomento si veda C.ciano, Le «nazioni» mercantili a Livorno nel 1799 e il Sismondi, in «Bollettino storico pisano», �969, pp. �55-�57; J.p.filiPPini, Les nations à Livourne (XVIIe-XVIIIe siècles), in I porti come impresa economica, Firenze, Le monnier, �988, pp. 580-593, ma soprattutto C.manGio, Nazioni e tolleranza a Livorno, in «Nuovi stu-di livornesi», 3 (�994), pp. ��-��.

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tal scopo, e nell’auspicio di offrire ulteriori strumenti d’indagine, ho creduto opportuno riprodurre in appendice alcuni tra i documenti più interessanti reperiti.

3. ilrUoloistitUzionaledeiGovernatorinellalUnGadUrata

si dica subito che l’istituto di governatore di Livorno manca di una data di nascita certa. Come vedremo meglio nel seguente capitolo, tale denominazione fu utilizzata, abbandonata e ripresa in tempi di-versi e conobbe significati differenti fino a consolidarsi attorno a un corpus di attribuzioni e competenze che vennero fissate, più o meno inderogabilmente, dal granduca nella seconda metà del XVII secolo. Fino a quel momento, l’incarico si definiva sulla base delle capacità dell’investito e delle necessità riconosciute pro tempore a un deter-minato territorio. In assenza quindi di una data o di un documento istitutivo, per capire cosa significasse essere governatore di Livorno è anzitutto utile verificare quali fossero le attribuzioni dei governatori in altre parti del granducato�6.

Com’è noto, il processo di costruzione dell’ordinamento istitu-zionale della Toscana rimonta almeno ai primi anni del XV secolo, quando Firenze, nel consolidare la propria egemonia sui territori conquistati, prima nelle province nord-occidentali, poi in Lunigia-

�6 È relativamente poco utile, invece, rivolgere lo sguardo fuori dalla Toscana, soprat-tutto per l’età premoderna. Con il termine «governatore», infatti, si indicavano cariche diversissime sia per competenze che per modalità di designazione, dall’ufficiale residente che rappresentava il supremo dominio pontificio nella marca, al capo militare dell’esercito nella signoria perugina, all’ufficiale che reggeva il Banco della piazza o banchiere presso la sere-nissima. Differente accezione aveva anche nella Toscana medievale, ove indicava infatti gli ufficiali dotati del Governo della città a san Gimignano e san miniato, i membri del Colle-gio della signoria, poi magistrato supremo comunitativo a siena nel ��70, ed i predecessori dei priori a Volterra. assai più affine invece l’uso avvalso dal Cinquecento in avanti, così a Genova a partire dal �5�8 il termine governatore indicava l’incarico detenuto da otto uffi-ciali, poi ampliati a dodici, dotati di competenze sia di ambito politico amministrativo, sia di tipo giurisdizionale, con compiti di rappresentanza e di superiore autorità sui tribunali civili e criminali. G.rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Firenze, �88� (ristampa anastatica Forni, Bologna, �966), pp. 488-489. Utili elementi di raffronto, pur con tutte le molte differenze del caso, sono reperibili in a.deBenedictis, Patrizi e comuni-tà. Il governo del contado bolognese nel ‘700, Bologna, il mulino, �984 e, sui governatori della repubblica di Genova, C.Bitossi, «La Repubblica è vecchia». Patriziato e governo a Genova nel secondo Settecento. Con appendici di testi e documenti, roma, Istituto storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, �995, in particolare le pp. 3�5-357.

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na, dotò le città soggette (pistoia dal �40�, pisa dal �405 e poi, in misura assai diversa, Livorno dal �4��) di un sistema relativamente omogeneo, uniforme e centralizzato di amministrazione. Tale trasfor-mazione istituzionale portò progressivamente alla sovrapposizione e sostituzione delle autorità locali�7, fossero queste espressione dei gruppi oligarchici cittadini o degli ultimi rappresentanti della nobiltà feudale, con ufficiali fiorentini imposti dalla capitale. spettò a questi ultimi, pur nella conservazione formale degli assetti tradizionali e all’insegna della concessione di ampi margini di autonomia, portare avanti le istanze di accentramento in ambito amministrativo, giudi-ziario e finanziario espresse prima dalla repubblica e poi, con ancora maggior determinazione, dai medici�8.

Nel �53�, capitolata la repubblica e assurto al potere per volon-tà imperiale alessandro medici, la strategica fortezza di Livorno si trovava solidamente sotto il controllo di Carlo V�9. si deve al duca l’introduzione in quello stesso anno della carica di commissario gene-rale di Livorno, alla quale fu nominato il fidato antonio del rabatta, con l’obbligo di residenza al castello per «conoscere i bisogni degli abitanti, provvedervi, e rappresentare pur anco la necessità di ogni altro benefizio che potesse viemaggiormente accrescerne la prospe-rità»�0. Capitani e leali compagni d’armi, invece, furono posti a capo della fortezza medicea, prima Gianmoro e, dal �535, Fazio Buzzac-

�7 Il Vivoli, ad esempio, vuole che la repubblica pisana avesse già insediato a Livorno alla fine del Trecento un «capitano giusdicente» con competenze non solo sul villaggio la-bronico ma su tutto il territorio adiacente a porto pisano, dotato di una giurisdizione simile a quella di un «governatore generale di provincia». G.vivoli, Annali di Livorno dalla sua orgine sino all’anno di Gesù Cristo 1840, Firenze, Giulio sardi, �844, I, p. �67.

�8 su questo processo, vedasi G.cHittolini, La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Ricerche sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino agli inizi del secolo XV, in Egemonia fiorentina ed autonomie locali nella Toscana Nord-Occidentale del Primo Rinascimento: vita, arte, cultura, (Convegno internazionale, pistoia, �8-�5 settembre �975), pistoia, Centro Italiano di studi di storia e d’arte di pistoia, s.e., s.d., pp. �7-70. È in tal senso esemplare quanto avvenne a pistoia, con l’introduzione di un commissario generale al posto del podestà e del capitano nel �535, poi con la sostituzione delle magistrature citta-dine con quattro commissari residenti a Firenze e responsabili di tutte le più importanti fun-zioni di governo locale nel �538. La situazione variò solo formalmente con il ripristino delle antiche magistrature nel �546, in e.altierimaGliozzi, Istituzioni comunali a Pistoia prima e dopo l’inizio della dominazione fiorentina, in ibid., pp. �7�-�08.

�9 assai interessante una memoria inviata a Carlo V nella quale si descrive nel dettaglio lo stato delle fortificazioni, i punti deboli e da implementare, le potenzialità strategiche di Livorno, in aGsi, Estado, �460, ins.�75, «pareçer sobre Liorna».

�0 G.vivoli, op. cit., II, p. �53.

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cherini da pisa. Caduto alessandro, l’imperatore, appoggiandosi alla convenzione di Napoli del �8 febbraio �536, inviò le proprie truppe ad occupare le fortezze toscane, Livorno inclusa��. restò però, come castellano, il Fazio, confermato in tale incarico dal medici seppur fosse un soggetto notoriamente fedele alla corona asburgica e «na-turalmente enemigo de florentines»��. al Fazio il duca affiancò un commissario giusdicente, tale pietro Orsilago, destinato ad occuparsi del governo civile e degli aspetti amministrativi dell’ancora piccolo borgo costiero�3. Nel luglio del �538, dopo l’assassinio di alessandro e ancora incerta la successione al potere di Cosimo, il capitano Juan pasquier, a capo delle truppe spagnole, sostituì il castellano toscano in qualità di alcaide�4. Con detto termine, di origine araba, si indicò per tutta l’età medievale il precursore del governatore di piazzaforte (in spagnolo «gobernador de plaza»), ufficio con il quale finì per so-vrapporsi a partire dal XVI secolo. ai tempi del pasquier era ancora un incarico assai ambito, direttamente delegato dal sovrano e suo massimo rappresentante in loco, responsabile del comando militare e della difesa di un castello o di una fortezza, talvolta anche con limi-tati compiti di tipo amministrativo�5. pasquier, con moltissime diffi-coltà e affiancato dal commissario toscano mariotto segni (che aveva sostituito l’Orsilago), resse il castello di Livorno anche nel corso del

�� per una miglior analisi delle complesse vicende di questi anni, sulle quali qui si sorvo-la, si rimanda a F.diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino, UTeT, �987, pp. ��-�4, ��-�4, 64-7�.

�� Così si attestava chiaramente anche nelle notizie che arrivavano a madrid per parte di alessandro Vitelli, altro fedele servitore imperiale, in data 8 giugno �537, in aGsi, Estado, �438, inss.�85-�86. si vedano, su Fazio, anche ibidem, �439, inss.47 e 65.

�3 G.vivoli, op. cit., III, pp. �0-��.�4 Il Vivoli attribuisce questa sostituzione alla «sospettosa considerazione» di Carlo V, il

quale non giudicò prudente affidare le strategiche fortezze livornesi a un toscano, anziché a un proprio uomo. G.vivoli, op. cit., III, p. ��. Il cambio della guardia, di certo non gradita al medici, non fu così pacifico come si era sperato a madrid. Fu infatti possibile solo «doppo alcune discussioni» e «doppo haver sedato un tumulto et seditione che era nata tra soldati, a’ quali fu necessario donare una paga per quietarli. Il capitano Fatio sallì del castello con sua gente, et la possessione del castello di Livorno restò pacifica in mano di Giovanni peschiera alla devotione di Vostra maestà», come riferivano al sovrano spagnolo Bernardo ariete e Juan de Luna, il �5 di luglio e il �4 agosto del �538, in aGsi, Estado, �439, inss.�8 e �0-��.

�5 Una efficace analisi dei due incarichi di alcaide e di gobernador de plaza, con partico-lare riguardo al profilo giuridico-istituzionale, si trova in a.sáncHez-GiJón, La capitulación de fortalezas como figura jurídica, in Los ingenieros militares de la Monarquía Hispánica en los siglos XVII y XVIII, a cura di a.Cámara muñoz, madrid, ministerio de la Defensa-Centro de estudios europa Hispánica, �005, pp. �6�-�80 e in particolare alle pp. �6�-�63, �7�-�75.

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�539�6. Il primo governatore spagnolo propriamente detto delle for-tezze di Livorno fu invece Juan de Luna, che ebbe tale compito dal �540 al �543. Le responsabilità del de Luna erano di carattere preva-lentemente militare, a capo delle guarnigioni stabilite nelle fortezze livornesi e fiorentine, e il suo ruolo consisteva nel controllo di quelle località strategiche a nome dell’imperatore, nel timore che Cosimo potesse perderle per un improvviso rovescio della sorte o, ancora peggio, avesse deciso di passare al bando francese. Con l’accordo di pavia del �� giugno �543, il de Luna fu trasferito a siena e le fortezze labroniche furono finalmente restituite al duca Cosimo libere dalle guarnigioni spagnole in cambio di un pingue esborso�7 e l’impegno di difendere le coste toscane.

Con il consolidamento del principato cosimiano, il piccolo borgo fortificato vide poco a poco accrescere le dimensioni dell’abitato e, di pari passo, evolversi anche la necessità di disporre in loco di un’auto-rità costituita che rispondesse ai bisogni di una popolazione non più formata esclusivamente da soldati e pescatori. Da quest’esigenza sortì la prevedibile trasformazione del vecchio capitano-governatore, dota-to di competenze di natura per lo più militari, in un ministro di nuo-vo tipo, in grado di sviluppare le potenzialità di Livorno attraverso la tutela delle prevalenti priorità strategiche del porto; un fiduciario del medici che fosse insomma più di un burocrate e più di un soldato

�6 In aGsi, Estado, �440, ins.47-50, si conserva la relazione che Juan pasquier, o Gio-vanni peschiera come attestato altrove, inviò all’imperatore e sovrano spagnolo Carlo V asburgo, con notizie da Livorno, il 30 ottobre del �539. si riferisce prevalentemente di affari trattati con il duca medici nel tentativo di averne risorse economiche per provvedere alle indispensabili fortificazioni militari e ai nuovi baluardi difensivi da realizzarsi nei pressi del castello, oltre alla necessità di rifornirlo di munizioni e vettovagliamenti. L’esito delle tratta-tive fu del tutto deludente: «no he podido sacar dellos sino que no ay dineros, que quando los oviere, lo haran». La situazione era particolarmente grave, visti anche i prezzi altissimi del luogo: «está tan caro este pays, que los naturales del dizen no se acordar jamas aver visto tal cosa». In altra lettera, del 4 ottobre dello stesso anno, in ibidem, �439, ins.�77, pasquier riferiva di una situazione davvero difficile da gestire: «Veo que a ninguna cosa se me manda responder, ni tan poco se provee»; il medici, sollecitato in tal senso anche da Lope Hurtado de mendoza e da Juan de Luna replicava, come al solito, che tutto sarebbe stato fatto a poco a poco, ma, aggiungeva pasquier, «yo he estado aqui mucho y hasta agora no veo nada». Il problema principale era quello di assicurare il mantenimento delle guarnigioni: «aqui no ay ningun vino, ni carne salada, ni queso, ni arroz, ni ninguna manera de legumen, ni menos ay ningun salitre, ni çufre, ni hierro, pocas pelotas, poco plomo, poca cuerda para arcabuçeros, no halle ninguna polvora de arcabuçeros, y de la gruesa no avia sino dos mill libras».

�7 In asFi, Miscellanea medicea, 37, ins.8 è conservata una ricevuta per novantamila scu-di pagati dal medici a Lucas de Corral per la resa delle fortificazioni fiorentine. La somma complessiva fu assai più alta, raggiungendo i centocinquantamila scudi.

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allo stesso tempo. Una figura analoga è descritta in un documento anonimo coevo nel quale si mettono in risalto le «qualità necessarie nel governatore» della Lunigiana, un’altra terra di frontiera, ai fini del «buon reggimento» di quelle popolazioni. Vi si delineava il pro-filo ideale del funzionario chiamato a sovrintendere una realtà simile a quella del porto labronico e con motivazioni in buona approssima-zione comuni a quelle che indussero il medici a dotare di governato-re anche Livorno:

Non v’è dubbio alcuno che gl’interessi de’ sudditi di sua altezza sovrana in Luni-giana passerebbono con molta più sicurezza guidati da un governatore che fusse, e per nascita e per prudenza e per esperienza riguardevole, e con auttorità tale che potesse nell’occasioni occorrenti, senza lunghezza, pigliar quei partiti che fussero convenienti, che no fanno adesso trattati da un semplice commessario e da un capitano di giustizia, bene spesso privi di quelle conditioni che lo maneggio di po-puli tra confinanti potenti, si richiedono, et a questo utile del paese succederebbe quello del principe istesso, le cui faccende sarebbono portate con molto maggior decoro da un personaggio solo di qualità che da più di piccolo affare�8.

«Nascita, prudenza ed esperienza riguardevole», queste erano le tre caratteristiche imprescindibili per poter essere ritenuti abili a un incarico nel quale appariva importante saper garantire gli interessi dei sudditi granducali nei confronti di potenti sovrani stranieri quan-to possedere le capacità di prendere decisioni senza lungaggini. a Li-vorno non si sarebbe trattato tanto con confinanti dal «lato di terra», ma piuttosto con quelli «da lato di mare» e coi rappresentanti delle nazioni straniere.

Il modello istituzionale da prendersi come riferimento, e questo rinvio esplicito non deve passare inosservato, era quello del governa-tore spagnolo. È opportuno ricordare come la carica governatoriale fosse tra gli incarichi più importanti del regno iberico proprio perché detto soggetto si presentava come un vero e proprio alter ego del re, dotato di amplissima autorità in ambito amministrativo, giudiziario e militare, e di ampi margini di discrezionalità. La carica di governa-tore si identificava con quella di un rappresentante regio a tutti gli

�8 asFi, Miscellanea medicea, 3�5, ins.43, cc.�r-�r, s.a., s.d. «Qualità necessarie nel go-vernatore di Lunigiana per il buon reggimento di quei popoli». Da quanto emerge nel testo, il documento è stato redatto dopo il �56�, anno nel quale i genovesi ripresero sarzana sotto il loro controllo, e prima del �633 quando a Fivizzano fu instaurato un governatore al posto del commissario che appare ancora qui citato.

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effetti, vincolato alla delega datagli dal sovrano, per quanto amplia essa fosse, limitata cioè dalle leggi oltre che dai poteri conferitigli pubblicamente e dalle istruzioni segrete (riservate proprio in quanto «interna corporis») assegnategli nell’atto stesso della nomina. era in-somma giuridicamente comparabile a quella di «un antico proconso-le provinciale, dotato di imperium, sia come tale sia perché agiva vice principis et est in summo gradu post principem»�9.

a tale ufficio ci si richiamava direttamente al momento di definire quali dovessero essere le attività principali dell’incarico governatoria-le toscano:

et in questo si conosce la prudenza degli spagnuoli, i quali sebene in Lunigiana possiedono meno che il gran duca, nondimeno vogliono che in pontremoli sia un governatore, il quale procuri gl’affari de’ sudditi, invigili i pensieri de’ vicini, mantenga in tutti il debito rispetto e cerchi di farsi degli amici e partigiani, il che gli vien fatto continuamente con notabil accrescimento della reputazione del principe in quei luoghi e con satisfatione incredibile de’ sudditi. [...]30.

Tra i compiti più rilevanti, vi era dunque anche quello di far sì che, proprio in virtù della capacità del governatore di garantire ai propri sudditi una felice convivenza attraverso la difesa dei propri interessi e l’obbedienza all’ordine costituito, il legame di gratitudine e dedizione con il principe fosse consolidato e rafforzato. si palesa così fino a che punto il potere granducale avesse consapevolezza di dover – alla fine – basare la propria egemonia su di una forma di pubblico consenso.

Un ultimo aspetto da considerare era proprio la possibilità di attribuire al governatore, cosa altrimenti impossibile con le cariche di capitano o di commissario, una maggior autonomia decisionale, una più coesa direzione degli affari pubblici riuniti nelle mani di una sola persona e soprattutto la possibilità di risolvere più rapidamente i problemi. Tutti questi elementi illustrati per la Lunigiana furono senz’altro presi in considerazione al momento dell’insediamento del governatore labronico, giacché rispondevano perfettamente alle esi-genze espresse dal porto e dal nucleo urbano di Livorno3�.

�9 a.maronGiU, Storia del diritto italiano. Ordinamenti e istituti di governo, milano, Ci-salpino, �978, pp. �54-�57. si veda anche la bibliografia ivi indicata.

30 asFi, Miscellanea medicea, 3�5, ins.43, cc.�r-�r, s.a., s.d. «Qualità necessarie nel gover-natore di Lunigiana per il buon reggimento di quei popoli».

3� «Oltre a che l’esperienza dimostra quanto male possino governarsi le cose nei membri che assai sono separati dal capo, se non ci è spirito assai vivificante, perché mentre dal com-

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Queste le ragioni che portarono all’instaurazione della figura del governatore a Livorno, le stesse che avrebbero condotto nel �633 alla sostituzione dei due capitanati di Fivizzano e pontremoli con un governatore per la giustizia e per le armi, con carica triennale ed affiancato da un auditore e due notai. appare allora assai più di una curiosa coincidenza, bensì il perdurare di una somiglianza tra i due territori, il fatto che colui che fu il primo governatore della Lunigia-na, posto in pontremoli nel �75�, fu proprio quel marchese Filippo Bourbon del monte che qualche anno più tardi sarebbe diventato governatore di Livorno3�.

È siena però, ove fu istituito il primo governatore dell’età medicea, ad offrirci un altro modello interpretativo ed a consentirci di gettare un sguardo in chiave comparata su quali poterono essere origini e prime competenze di tale funzionario. L’ufficio mediceo fu avviato da angelo Niccolini, che si trovava a siena in rappresentanza del duca Cosimo, succeduto ai governatori spagnoli Diego Hurtado de mendoza arcivescovo di Burgos33, Francisco de Toledo, zio di eleo-nora moglie di Cosimo medici, e Francisco de mendoza cardinale di Burgos, ribadendo anche qui un’ascendenza ispanica dell’istituto. È parsa infatti presentare più di qualche assonanza con le patenti medicee quella con la quale Hurtado de mendoza, il � aprile �549, in nome dell’autorità concessagli dall’imperatore e del senato della repubblica di siena, nominava in «commissario generale per tutte le terre e luoghi della montagniuola del dominio de la repubblica» il cittadino Orlando mariscotti34.

missario, capitano o altri ministri, bene spesso tra loro non uniti, si dà parte delle cose a Firen-ze, mentre di là si cercano informationi e si aspettano le risposte, il tempo passa, l’occasione si fugge et i negotii si terminano con svantaggio. Dal che ne segue un altro danno, che i mar-chesi circonvicini vedendo poca resolutione per non dir altro ne’ ministri di sua altezza né gl’amano, né gli temono quanto doverebbono, perché ne’ lor bisogni ne sperano poco aiuto e disprezzano la loro ira, il che non avverrebbe quando ci fusse un ministro che con suprema auttorità potessi risolvere sul fatto, anzi et i principi grandi confinanti medesimi stimerebbono grandemente la sua amicitia, e perciò sarebbono da loro molto rispettati i sudditi di sua altez-za e dai marchesi si potrebbe sperare ogni ossequio come quelli a quali parrebbe d’havere in Lunigiana un difensore in ogni loro occasione e come stersero ben seco gli parrebbe e con ra-gione d’esser sicuro da ogni travaglio che se le volessi dare da persona più potente», in ibidem.

3� asFi, Miscellanea medicea, �75, ins.6, cc.�38r-v, �39r.33 su questo personaggio si rimanda a s.losi, Diego Hurtado de Mendoza. Ambasciatore

di Spagna presso la Repubblica di Siena (1547-1552), monteriggioni, Il Leccio, �997.34 In base a quanto disposto nella patente, tutte le principali cariche militari, castellani ed

altri ufficiali del territorio avrebbero dovuto obbedire al mariscotti «sotto l’incorso della no-stra indignazione». Quanto poi alle sue competenze, si stabiliva: «primieramente vi conferirete

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L’incarico di governatore fu reso ufficiale da Cosimo I solo più tardi, con la celebre «reformatione del governo della città e stato di siena» del primo febbraio �56�35. È apparso utile esaminare, a fianco della già nota «reformatione», quanto contenuto in merito alle pre-rogative del governatore senese in un altro documento inedito, una sorta di relazione sintetica ad uso interno, anonima ed attribuibile alla fine del XVI secolo, nella fase cioè più importante della costru-zione dello stato mediceo a livello periferico. Vi si conferma in primo luogo la superiorità dell’istituto governatoriale rispetto a tutte le altre magistrature locali:

Il governatore di siena, per esser luogotenente generale di sua altezza sovrana in quello stato, è solito primieramente soprantendere a tutti li magistrati della città et a tutti li capitani di giustizia, et altri offiziali dello stato, con sentire però tutte le doglianze de’ sudditi et trovando in detti magistrati et altri offitiali man-camento alcuno, è solito correggere, revocare, annullare et emendare ogni loro attione, tanto spettante al Governo quanto alle cose di giustitia36.

quanto più presto sarà possibile ai luoghi della vostra commissione visitando ciascuna terra et usando ogni diligentia per intendere ritrovare tutti i disordini che vi fussero in qualsivoglia mo-do e causa, tanto per lo mantenere delle comunità, quanto de’ particulari, et con ogni opportun rimedio far ridurre e ritornare le cose a dovere, con proveder che per lo advenir non ne abbino più da succedere et contro qualsivoglia persona di qualsivoglia stato, grado o condizione tutto intendendosi per le cose successe per la reforma fatta de la città per monsignor illustrissimo di Granvela in qua. […]. Non mancherete di far ridurre et ritornar a dovere tutte le extorsioni et altre qualsivoglia cose inlecitamente fatte da li commissari, offitiali et rectori pubblici, correg-gendole come per la prudentia vostra giudicarete. procurarete con ogni studio a ridurre in pa-ce li homini de le terre dette dove intendarete esser briga o pericolo di scandalo astregnendoli et persuadendoli a pace o tregua almeno come giudicarete a proposito. […]. et per tutte le cose sopradette, vi si dà autorità libera di condennare qualunque persona che vi parrà secondo i meriti suoi et così punire e gastigare. aggiognendo che potiate proceder, gastigar et prevenir generalmente qualunque delinquente de le terre dette, et luoghi detti per per qualsivoglia de-litto et eccesso. procedendo in tutte le cose dette et ciascuna di esse sommariamente de facto, et senza observar alcuno ordine giudiciario, et in tutto et per tutto come vi parrà opportuno et rimossa ogni appellatione e ricorso excepto che a noi», da assi, Governatore, ��4�, cc.n.n.

35 essenziali sull’argomento D.marrara, Studi giuridici sulla Toscana medicea. Contributi alla storia degli Stati assoluti in Italia, milano, Giuffrè, �965; m.ascHeri, Siena senza indipen-denza: Repubblica continua, in I libri dei Leoni, a cura di m.ascheri, siena, �996, pp. 9-69, e e.fasanoGUarini, Le istituzioni di Siena e del suo Stato nel ducato mediceo, in I Medici e lo Stato senese (1555-1609). Storia e territorio, a cura di L.rombai, roma, De Luca editore, �984, pp. 49-6�. Un ricco studio sul governatore di siena Federigo Barbolani da montauto, con ampie informazioni anche sulle caratteristiche politiche-istituzionali dell’incarico, è reperibile in F.Bertini, Feudalità e servizio del Principe nella toscana del ‘500. Federigo Bar-bolani da Montauto Governatore di Siena, siena, edizioni Cantagalli, �996. estremamente utile l’agile riepilogo fornito in s.moscatelli, Organi periferici di governo e istituzioni locali a Siena dalla metà del Cinquecento all’Unità d’Italia, in Il palazzo della Provincia di Siena, a cura di F.Bisogni, editalia, �990, pp. �3-54.

36 asFi, Miscellanea medicea, 33�, ins.�4, c.�.

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spettava dunque al governatore il compito di garantire il corret-to funzionamento delle principali magistrature della città, incluso il potere di rimuovere chiunque di quei ministri si fosse macchiato d’infamia o demerito, indipendentemente dal fatto che si trattasse di un soggetto estratto per tratta, eletto, oppure nominato dal grandu-ca, purché, in quest’ultimo caso, comunicasse la decisione presa al sovrano per ottenerne l’esplicito consenso. al pari di altri importanti organi istituzionali dello stato mediceo, le funzioni del governatore senese – e così fu anche a Livorno – comprendevano competenze di tipo amministrativo e giurisdizionale, differenziandosi eventualmente da altri uffici in base all’oggetto da disciplinare e non alla tipologia della funzione svolta37, all’insegna di una potestà di controllo e super-visione dotata di margini relativamente ampi d’azione:

Tutti li magistrati della città, come anco il capitano di giustizia, volendo conden-nare alcuno in pena afflittiva di corpo o in altra pena arbitraria, devono prima partecipare con loro disegno in scrittis tal condemnatione al signor governatore con aspettarne la sua resolutione, quale può alterare, accrescere, diminuire, o mutare tal condennatione a suo arbitrio. [...].Il governatore ha la segnatura di gratia et di giustizia, ma in quelle di gratia è stato solito servirsene limitatamente [...]. Nella segnatura di giustizia il gover-natore ha autorità libera et però può avocare cause da qualsivoglia tribunale et commetterle a chi li piace, può prorogare, abreviare, et sospendere l’instanza delle cause civili, può concedere revisioni da qualsivoglia sentenza data da cia-scun tribunale38.

Un’altra fondamentale caratteristica, determinante a siena come a Livorno, si trova nel legame inscindibile esistente tra l’ufficio go-vernatoriale ed il granduca. Questo rapporto diretto con il sovrano, unico detentore indiscusso del potere assoluto sullo stato, appare essere la fonte legittimante del potere del governatore, e quest’ultimo assume le vesti del mediatore tra il principe e i sudditi:

Tutti li negotii che da qualsivoglia ministro, tanto della città come di fuori, si vogliono participare con sua altezza si sogliono trasmettere direttamente al go-vernatore et da esso poi si mandano a sua altezza con il solito dispaccio, si come

37 essenziale, in merito all’assenza concettuale di una reale distinzione tra funzione am-ministrativa e funzione giurisdizionale, gli studi di Luca mannori, in particolare L.mannori, Per una ‘preistoria’ della funzione amministrativa. Cultura giuridica e attività dei pubblici ap-parati nell’età del tardo diritto comune, in «Quaderni fiorentini», �9 (�990), pp. 3�3-504 e in particolare pp. 3�5-3�7 e 339.

38 asFi, Miscellanea medicea, 33�, ins.�4, cc.�-3.

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anco tutte le resolutioni, ordini, provvisioni, o commissioni che da sua altezza si mandano a qualsivoglia ministro di siena, s’è costumato indirizzare al gover-natore dal quale poi se ne commette l’esecutione a chi s’aspetta.et ogn’ordine, commissione o esecutione che da qualsivoglia ministro di fori dello stato di siena, anco dello stato Vecchio, che fussero mandati a dirittura a qualsivoglia ministro di siena non è stato solito eseguirsi senza prima darne parte al governatore, et massime di cose gravi.Tutti gli offitii tanto della città quanto di tutto lo stato di siena si danno o da sua altezza o si eleggono per tratta dalli soliti busoli, eccetto la cancelleria del governatore che da esso si dà a chi le piace39.

eppure, nonostante queste pur innegabilmente ampie prerogative, il governatore senese rimase solo un «controllatissimo interprete ed esecutore» di ordini superiori provenienti dal granduca e dalle segre-terie fiorentine, oltre che una figura soggetta ai vincoli imposti dalle oligarchie cittadine, in virtù delle capacità lasciate ai ceti dirigenti senesi di partecipare all’amministrazione del potere40.

Questo sistema di duplice condizionamento non è invece riscon-trabile a Livorno dove la carica governatoriale godette ben maggiore autonomia sia rispetto all’autorità centrale, incline a dotare l’ufficio di tutti gli strumenti di potere necessari a dirimere ogni tipo di im-previsto occorribile in un porto di mare, sia nei confronti della co-munità locale, rappresentata dal ristretto ceto dei «cento cittadini» di nomina granducale e dalle «nazioni» dei mercanti francesi, inglesi ed ebrei. I ceti dirigenti livornesi divennero col tempo anche molto influenti, ma senza alcun dubbio non raggiunsero mai livelli di coesa autodeterminazione, indiscusso controllo politico e monopolio sugli strumenti istituzionali di governo paragonabili alle antiche nobiltà senesi o di altre città toscane di pari tradizione4�.

Il governatore di Livorno assunse sempre maggiori ambiti d’azione finché, a partire dalla metà del seicento, con un processo di graduale potenziamento delle proprie competenze in parallelo all’acquisizione di regole certe di condotta, sostituì l’approssimazione e l’obbedien-za alle disposizioni granducali con una crescente partecipazione e discrezionalità nell’esercizio delle proprie funzioni. si assiste al

39 Ibidem, c.6.40 D.marrara, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., pp. �30-�75.4� e.fasanoGUarini, L’Italia moderna e la Toscana dei prìncipi. Discussioni e ricerche

storiche, Firenze, Le monnier, �008, pp. ���-�39. su siena, si veda anche a.rUiU, Il Monte senese dei Gentiluomini nel Principato mediceo, pisa, pLUs, �008.

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superamento di un sistema di potere costituito da una semplice or-ganizzazione nella quale si lasciava per lo più ai diversi funzionari e delegati del granduca, spesso dotati di poteri simili se non addirittura concorrenti, il compito di trovare un ordine «spontaneo» tra loro. rappresenta un caso paradigmatico il rapporto che intercorse tra i primi governatori di Livorno e gli ammiragli della marina da guerra medicea e di quella stefaniana4�, incarichi che apparirono in più di un’occasione intercambiabili nella stessa persona, provocando una confusione di competenze che fu motivo di scontri giurisdizionali dif-ficili da dirimere. La fonte principale di riferimento rimaneva infatti la consuetudine e gli usi introdotti in via di prassi, un terreno assai scivoloso da utilizzare come principio normativo dato il fluttuare del-le stesse attribuzioni governatoriali. «Dovendosi credere che ogn’uno debba haver per fine il buon servizio di sua altezza»43, come si scriveva ancora nel �654 per risolvere l’ennesimo caso di conflitto di potere tra governatore e ufficiali della marina, i funzionari granducali avrebbero dovuto perseguire in maniera quasi «spontanea» obiettivi comuni e determinati.

Così non fu. si assisté anzi al crescere esponenziale dei conflitti giurisdizionali tra il governatore e la miriade di interessi autonomi e di sempre più arroganti gruppi di potere comparsi sulla scena cittadi-na livornese. parallelamente alla trasformazione dell’abitato da forti-ficazione militare a vero e proprio emporio commerciale, divenne ne-cessario trasformare l’istituzione governatoriale in qualcosa di meno estemporaneo o affidato alla capacità di autoregolamentazione degli incaricati al delicato ufficio. si avviò allora un processo di normazio-ne prescrittiva teso a dotare il governatore di autorità certa e ad inse-rirlo in un quadro giuridico che servisse di sicuro riferimento anche per tutti i soggetti con i quali avrebbe dovuto interagire. L’affermarsi del potere mediceo implicò in tutto il granducato il potenziamento dell’autorità centrale ai danni delle periferie. Le città toscane persero

4� Con la fondazione dell’Ordine di santo stefano, avvenuta nel �56�, Cosimo I prov-vide infatti alla creazione di una seconda marina da affiancare a quella «ufficiale» toscana preesistente, che fosse dotata di una propria squadra di galere e mossa dallo zelo religioso alla difesa delle coste e del mediterraneo contro i nemici della fede. F.diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, cit., pp. �9�-�93, C.ciano, I primi Medici e il mare. Note sulla politica marinara toscana da Cosimo I a Ferdinando I, pisa, pacini, �980, pp. 3�-48.

43 asFi, Mediceo, �4�8, cc.n.n., lettera dell’ammiraglio achille sergardi a Domenico pandolfini, ministro della segreteria di guerra, da siena, in data �� marzo �653 (�654).

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a favore di Firenze il diritto a legiferare autonomamente. Il dibattito si accese intorno alla produzione di regolamenti a livello locale, al fine di stabilire se si trattasse di una prerogativa residuale o piuttosto di un diritto concorrenziale rispetto alla capitale. Le soluzioni sugge-rite furono le più varie e non raggiunsero mai un sufficiente grado di omogeneizzazione. In questo quadro Livorno costituì l’esempio più significativo e anomalo.

Qui, la gestione della cosa pubblica era soggetta al controllo dei magistrati fiorentini, la fiscalità sottomessa ad autorizzazione, ma durante tutta l’età medicea il governatore conservò ben più delle prerogative di un funzionario periferico del governo fiorentino ed ebbe anzi il ruolo di emissario diretto del granduca, dotato di grande autonomia decisionale su numerose materie. L’incarico era assegnato dal sovrano e prevedeva ampie competenze militari che finirono per diventare in seguito secondarie, se non addirittura assenti, a favore di quelle di natura politica. si trattava di rappresentare il principe in un delicato ruolo di supervisione e controllo, di essere uno strumento insomma – non sempre docile, né privo di prerogative proprie – at-traverso il quale il granduca esercitava il proprio dominio. al gover-natore si affidava inoltre il compito di negoziare con le élites locali e con le altre magistrature della Comunità per mantenere il consenso politico, assicurare la fiscalità granducale e preservare i delicati equi-libri essenziali al buon funzionamento del porto franco.

Con l’ascesa al trono della dinastia lorenese, come vedremo, le cose cambiarono solo in parte nonostante i tentativi della reggenza e, soprattutto, del giovane pietro Leopoldo, troppo spesso dimostra-tosi estraneo alle vicende livornesi e ad una reale comprensione della situazione locale. Le disposizioni più diverse si susseguirono, ma in concreto da Firenze si poté fare poco di più che affidarsi all’abilità ed alla conduzione pragmatica del ristretto gruppo di funzionari che si fecero carico del destino politico della città portuale. Il governatore, per veder riconosciuta la propria autorità, doveva saper rispondere alle attese della popolazione e adattarvisi nella misura in cui cambia-vano di sostanza e di forma. La ricerca dell’equilibrio tra le diverse forze sociali espresse dalla città assunse grande rilievo, i gruppi di pressione dei quali si doveva temere l’insoddisfazione erano ben de-finiti: i ceti mercantili e commerciali, la comunità ebraica, il popolo irrequieto del quartiere di Venezia, le «nazioni» e le rappresentanze

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estere presenti in città, i marinai e le truppe di guarnigione, quanti erano di passaggio o lavoravano al porto labronico. Tutti questi sog-getti, portatori di mutevoli interessi, talvolta coincidenti ma più spes-so contrastanti, erano in egual misura da tenere in considerazione e da «governare» in nome e, se del caso, anche nonostante il granduca. Nel XVIII secolo è ancora, più che mai, il consenso sociale e la me-diazione la chiave sulla quale si basò il potere del governatore e quin-di, indirettamente e solo da questi filtrata, il potere del granduca su di una città nella quale le dimostrazioni di forza non sarebbero state né sufficienti, né opportune.

Il funzionamento delle istituzioni pubbliche e del sistema penale e politico restò insomma sottoposto a una visione dinamica della so-cietà che impedì di fissare le funzioni del governatore una volta per tutte. La conseguenza però di una mancanza, fin da un punto di vista teorico, di soggezione legislativa e normativa ad una fonte comune e valida a priori, diventò drammaticamente evidente quando l’esigenza del controllo di polizia si fece più pressante, come accadde negli anni Novanta del settecento. Il mantenimento dell’ordine pubblico dipese dalle capacità personali del governatore di turno e dei suoi uomini, ma anche, in conseguenza delle riforme leopoldine (soprattutto di quelle in materia di giustizia e polizia), dal riconoscimento di funzio-ni istituzionali ben definite e dall’emergere della «ragion di stato» quale nuova direttiva politica, superiore agli interessi particolaristici.

Durante l’Ottocento, infine, le prerogative dei governatori subi-rono nuove e continue trasformazioni, dettate da scelte spesso con-traddittorie, all’interno di un più vasto piano di ristrutturazione del sistema amministrativo statale. Le occupazioni militari, l’esperienza del regno d’etruria e dell’occupazione francese, le nuove istanze del-le quali si fecero portatori i Lorena e la potente presidenza del Buon Governo, fecero apparire il governatore come l’ultimo baluardo a difesa della natura multiculturale e multietnica della città. L’iden-tità di Livorno sembrò in più occasioni esposta al rischio di restare schiacciata da avvenimenti giocati su scenari di ben altre dimensioni e con diverse priorità, dove non c’era più posto per i delicati equili-bri sui quali fondava da secoli la propria esistenza di porto franco. Venne gradualmente meno l’inserimento funzionale dell’istituto go-vernatoriale nel contesto delle esigenze specifiche e della condizione di «straordinarietà» della realtà labronica. L’auspicato processo di

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burocratizzazione di tutti i livelli amministrativi statali promosso in parallelo ad una decisa centralizzazione di tutti gli aspetti decisiona-li, finirono per corrodere le libertà e l’autonomia un tempo proprie della massima carica provinciale del granducato, sostituendo antiche competenze giurisdizionali con attribuzioni spesso più formali che dotate di potere reale.

Ciò nonostante, l’eclissi del potere governatoriale non fu solo con-seguenza del prevalente effetto delle riforme ottocentesche, dimostra-tesi capaci in altre realtà del granducato di trasformarlo in poco più di un incarico onorifico44. a Livorno, la storia dei governatori conti-nuava a restare inevitabilmente connessa alle vicende politiche e so-ciali della città. Così se il più incisivo piglio riformista della restaura-zione aveva voluto preservare, unico tra tutti nel granducato, l’istitu-to labronico a fronte di una più generale e sostanziale trasformazione dei governatori in prefetture, furono i tragici eventi del Quarantotto a condannarlo. Livorno, dopo i drammatici mesi delle rivolte e dei moti risorgimentali, passò ad essere considerata da «gemma più pre-ziosa dell’etrusca corona» a «spina più acuta al cuore del principe»45. Una caduta che non poteva non trascinare con sé anche il destino del governatore, figura non più adeguata ai tempi e dimostratasi ormai insufficiente a garantire il controllo sulla città.

44 Illuminante, in tal senso, il caso del governatore senese serristori, in m.lenzi, Mode-ratismo e amministrazione nel granducato di Toscana. La carriera di Luigi Serristori, Firenze, Olschki, �007, pp. 79-86.

45 asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �9, ins.�, c.�09r, rapporto «sullo spirito pubblico» di Livorno del delegato regio straordinario primo ronchivecchi, in data � agosto �849, e del quale si parlerà a tempo debito.

CapITOLO seCONDO

IL GOVerNO DI LIVOrNO IN eTÀ meDICea

Di ciò fa ampia fede Livorno che da un principio umile, col fomento della medicea beneficenza, in pochi anni è giunto a tal altura di grado che in oggi dalli stranieri vien acclamato per la Terra promessa; [...]. e quindi è convenuto all’amoroso zelo che per esso hanno avuto le altezze reali andar secon-dando la carriera del suo prospero esaltamento, con ampliare il sistema dei privilegi conceduteli nell’origine ed adeguare i provvedimenti del governo politico e militare alle misure del-l’accresciuto individuo, giacché quelli prescrittili nel suo co-minciamento non li sariano stati meno disadatti di quello che sarebbe al dosso d’un gigante adulto quell’abito ch’egli aveva da bambino, o insufficiente a nutrire le forze d’un nerbuto leone l’istesso cibo col quale s’alimenta un usignolo46.

1.tracinqUeeseicento.oriGinidellacittàedelsUoGoverno

1.1.I primi governatori di Livorno

I governatori fecero la loro comparsa a Livorno molto tempo dopo il �4��, data nella quale la repubblica fiorentina acquisì la cittadella fortificata dai genovesi per centomila fiorini d’oro, e qualche decen-nio più tardi il passaggio sotto il principato mediceo, avvenuto come si sa nel �53�47.

Nel medioevo Livorno, pur parte integrante del complesso sistema portuale della repubblica pisana, era poco più di un piccolo nucleo abitato da alcune centinaia di abitanti attorno a un approdo naturale.

46 asFi, Mediceo, �8�8, ins.�0, «progetto di riforma di amministrazione della giustizia di Livorno», s.d. ma databile alla prima metà del XVIII secolo.

47 L.frattarelli fiscHer, Livorno città nuova: 1574-1609, in «società e storia», XII (�989), p. 873.

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a causa del fenomeno di progressivo insabbiamento di porto pisano, divenne però l’unico sbocco al mare del territorio fiorentino e poi del granducato toscano48. a distanza di un secolo dal suo acquisto, infat-ti, quel borgo, che pur era stato dotato di privilegi ed esenzioni per favorirvi l’insediamento della popolazione e le attività portuali, si era trasformato in una interessante cittadella fortificata, capace di attirare le attenzioni e le apprensioni di natura strategica e militari della spa-gna e dell’Impero49.

Con l’avvento al potere di Cosimo I, Livorno divenne di cruciale importanza nella politica marittima del nuovo granducato50. peraltro, la natura del sistema politico forgiato dallo stato mediceo, già noto del resto come «istituzione inesistente», poté identificarsi come una costituzione federativa delle città toscane basata su un regime pat-tizio tra poteri centrali e periferici5�. secondo tale interpretazione, l’indubbio potere della capitale sugli altri centri urbani consisteva in un insieme di accordi specifici sotto una apparenza di unità formale, ferme restando le negoziazioni continuamente necessarie tra il gran-duca e i ceti dirigenti locali5�, una mediazione nella quale il ruolo del

48 sulla storia della nascita di Livorno come centro urbano sono ancora utili F.BraUdel-r.romano, Navires et marchandises à l’entrèe du port de Livourne (1547-1611), paris, �95�; G.nUdi, Storia urbanistica di Livorno, Venezia, �959; Livorno: progetto e storia di una città tra il 1500 e il 1600, pisa, �980; D.matteoni, Le città nella storia d’Italia. Livorno, Bari, �985. più recentemente, O.vaccari, Il porto di Pisa, un osservatorio mediterraneo nel tardo medioevo, in Quel mar che la terra inghirlanda. In ricordo di Marco Tangheroni, a cura di F.Cardini-m.L.Ceccarelli Lemut, pisa, CNr-pacini, �007, pp. 78�-796 e L.frattarellifiscHer, Lo sviluppo di una città portuale. Livorno 1575-1720, in Sistole/Diastole. Episodi di trasformazione urbana nell’Italia delle città, Venezia, �006, pp. �7�-333.

49 aGsi, Estado, �460, ins.�75, «pareçer sobre Liorna y de la fortaleza de Liorna. me-moria para mostrar a su majestad Cesarea», s.a, s.d. databile tra il �53� e il �537 perché si fa esplicito riferimento al duca alessandro medici.

50 sulla politica marittima mediterranea dei primi medici, si rimanda a F.anGiolini, Spagna, Toscana e politica navale, in Istituzioni, politica e società. Le relazioni tra Spagna e Toscana per una storia mediterranea dell’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano, a cura di m. aglietti, pisa, eTs, �007, pp. 4�-65 e alla bibliografia ivi indicata. alcune note, soprattutto in merito ai rapporti con la spagna, anche in m.aGlietti, La partecipazione delle galere to-scane alla battaglia di Lepanto (1751), in Toscana e Spagna nell’età moderna e contemporanea, pisa, eTs, �998, pp. 55-�45.

5� L.mannori, Il sovrano tutore, cit., pp. �7-54. 5� Dell’eccezionale pluralismo giuridico istituzionale del granducato mediceo e dell’in-

trico normativo determinato da innumerevoli rescritti e disposizioni, occasionati da puntuali accordi e specifiche necessità, si veda anche l’interessante saggio di D.ediGati, Da una rac-colta di leggi e bandi alla letteratura d’apparato nella Toscana mediceo-lorenese, in Tecniche di normazione e pratica giuridica in età granducale. Studi e ricerche a margine della ‘Legisla-zione toscana raccolta e illustrata dal dottore Lorenzo Cantini’. Firenze 1800-1808, a cura di m.montorzi, pisa, eTs, �006, pp. 93-�47.

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governatore in una località come quella di Livorno assunse assoluta centralità.

La maggior parte delle fonti attribuisce l’avvio dell’istituto governa-toriale al terzo granduca, Ferdinando I, colui che più dei suoi prede-cessori si distinse per l’impegno profuso nell’accrescere «il suo diletto Livorno», proprio nel quadro di una generale riorganizzazione del sistema istituzionale toscano. Una tradizione di lunga durata ci porta fino ad una memoria d’inizio Ottocento, nella quale il magistrato co-munitativo locale ricordava l’instaurazione dell’ufficio di governatore a Livorno quale segno evidente di distinzione e riconoscimento della importanza e del rilievo politico finalmente acquisiti dalla città:

La sollecita morte di Cosimo I e le gravi e delicatissime cure che egli ebbe per sistemare e consolidare il suo non ben fermo governo, l’impedirono forse di condurre al suo termine un’opera tanto utile e grande e che si avanzava con i più rapidi e felici successi. Il gran duca Francesco I, forse distratto da altre occupa-zioni, non molto si occupò in questa impresa, quantunque ad esso sia debitore Livorno delle mura che lo circondano, di cui egli stesso gettò la prima pietra nei fondamenti, ma pervenuto al trono della Toscana Ferdinando I nulla trascurò di quanto poteva contribuire a renderlo il presidio e il decoro della Toscana tutta a formarne un celebre emporio di commercio e una città delle più qualificate e distinte della Toscana medesima.a quest’oggetto intentò sempre e volendo coi più efficaci mezzi ricondurre nei suoi stati l’antico già affatto estinto commercio dei fiorentini e dei pisani in Levante, per contribuire maggiormente al vantaggio e al decoro della Toscana tutta, e del suo diletto Livorno, aumentò notabilmente il suo porto, lo munì di ampie e belle fortificazioni, vi fabbricò una comoda darsena, l’ornò di chiese, l’accrebbe di edifizi, e pubblici e privati, lo provvedde ed aumentò di abili mini-stri per la resoluzione delle cause che potevano suscitarsi e per l’amministrazio-ne della giustizia, emanò leggi e provvedimenti utilissimi e accrebbe e concesse nuovi ampi ed estesi privilegi e franchigie a favore dell’individui di qualunque Nazione che abbandonando le loro patrie fossero venuti a stabilire in Livorno il loro soggiorno, dichiarando portofranco, come fu riconosciuto nei trattati di Londra e della Quadruplice alleanza. L’esito corrispose ben presto alle provvide cure del paterno amore di Ferdinando e quindi si vide ridondante di popolazio-ne, di commercio, di ricchezze la nostra città gareggiare in tutti i rapporti, coi più celebri empori dell’europa [...].animato da così rapidi e felici progressi del suo fedele e diletto Livorno, Ferdi-nando nel �603 volle dar nuova più qualificata e distinta forma al suo magistrato e di sua propria mano volle solennemente imporre il primo dei gonfalonieri da esso nominato [...], volle nel �606 aumentare il suo territorio e dichiararla di sua propria bocca Città [...], e alla prima occasione che dovè variarsi il di lui capo,

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lo che accadde nel �609, volle di più che fosse cambiato il titolo di commissario che lo distingueva in quello più qualificato di governatore, eleggendo a tal carica fra’ antonio martelli, balì di messina, affinché con tali prerogative distinzioni ed onorificenze si rendesse il decoro come era stato ed era il presidio dell’intera Toscana53.

Il primo governatore, secondo questa tradizione, fu frate antonio martelli, già capitano, priore di messina e cavaliere di malta, incari-cato fin dal 9 marzo �595 del governo della città di Livorno. ma nel �595 non esisteva ancora un ufficio che fosse stato definito o forma-lizzato con il titolo di governatore. Come qualifica generica era invece già in uso a Livorno, con una prima attestazione per la nomina di Cesare Cavaniglia nel �58�. prima di allora, la più alta carica (è que-sto il caso del nobile fiorentino Giovan Battista Dini predecessore del Cavaniglia) era quella di capitano di Livorno ed era dotata di compe-tenze assai limitate54.

Con il titolo di governatore dell’armi e delle bande, si trova inve-ce per la prima volta attestato il capitano Giovanni Volterra, nato a Zante ma con parentele veneziane, e che era succeduto al castellano spagnolo Cristofano de ribeira nel novembre del �58655. Il Volterra si era meritato la fiducia dell’allora granduca Francesco I in virtù della esperienza militare dimostrata come cavaliere di santo stefano e capitano sulle galere dell’Ordine, dove era stato ammesso il 3 aprile

53 asFi, Reggenza, �050, ins.�7, cc.n.n. Tratto da una memoria sulla storia di Livorno che il magistrato comunitativo presentò a corte nel �806 a sostegno della richiesta del rico-noscimento per la città della nobiltà patrizia.

54 asFi, Mediceo, �8�4, ins.�3, c.�57�r, «Decreto di nomina di Giovan Battista Dini a capitano di Livorno». In data 4 febbraio �578 (�579), si nomina il nobile Giovan Battista di Giovanni Dini, cittadino fiorentino a capitano di Livorno. Tra le disposizioni che gli si ordina-no, si legge: «ricordati a voi Giovanni come sua altezza serenissima si contenta e vuole che vi sia lecito menar i suoi per officiali chi vi parrà et piacerà […]; avvertite inoltre di non vi chiamare in parole né in scritto ‘commissario’, né permettere di essere così chiamato da altri ma solamente Capitano, come di sopra si dice […]; ricordandovi ancora che voi non potete scrivere per casi criminali fuori dello stato si governatori che presidenti né qualsivoglia altra persona così pubblica come privata né rispondere a lettere che vi fussero mandate e scritte da predetti fuori dello stato per conto di tali criminali senza espressa licenza di sua maestà […]; avvertite inoltre la mente di sua altezza serenissima essere che nelle cause criminali, così delli descritti, come de’ non descritti che si agiteranno dinanzi al vostro tribunale, voi dovete provedere contro li rei per ritrovare la verità delle transgressioni con tortura et altri tormenti che converranno. […]. sarete ancora obbligato all’osservanza delle leggi sopra la seta […]».

55 al Volterra è dedicato un utile articolo, seppur datato, ricco di riferimenti alla poca documentazione archivistica fiorentina reperibile, si tratta di G.Bonifacio, Il primo governa-tore di Livorno: Giovanni Volterra (1586-1595), in «Bollettino storico Livornese», 4 (�939) e � (�940), pp. 3-4�.

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�56356. I meriti del soldato e del marinaio, quindi, furono giudicati sufficienti per insignire il capitano greco del delicato incarico. È complesso ricostruire quali furono le funzioni attribuite al Volterra, se non rifacendosi alle sue lettere relative prevalentemente ad attivi-tà di controllo sui movimenti delle galere e di vigilanza sul corretto mantenimento dell’ordine tra ciurme, ufficiali e forzati a bordo delle imbarcazioni e a terra. possiamo però dire che egli ebbe non solo gli stessi poteri precedentemente assegnati ai capitani di Livorno, ma an-che competenze più ampie in ambito di polizia annonaria, maggiori capacità d’intervento sia nel settore giudiziario (ancora di compe-tenza del capitano giusdicente) che nei settori militari e di polizia di particolare importanza per il porto, e assunse il compito privilegiato di primo referente del principe nella supervisione di tutte le febbrili attività intraprese a Livorno in quegli anni cruciali di crescita57. La carica di Volterra godeva anche di una limitata potestà normativa: sono infatti documentate disposizioni, per lo più bandi e notifiche, indirizzate a regolamentare attività commerciali e alla gestione delle transazioni economiche. Questi provvedimenti attestano una limitata autonomia decisionale, perché erano generalmente emanati dietro espressa commissione granducale58. Infine, Volterra esplicava un ruolo di fondamentale importanza che caratterizzò tutti i governatori che lo seguirono, soprattutto in età medicea, nel contesto del sistema informativo e di comunicazione del granducato. Data la posizione strategica di Livorno, il governatore svolgeva infatti un compito di

56 Dalle carte addotte da Giovanni Volterra per sostenere il processo di nobiltà è possi-bile ricavare interessanti notizie su di lui e sulla sua famiglia. Tutti e quattro i rami materni e paterni erano nobili e nativi di Zante, ove possedevano molte case di loro proprietà, ed era-no imparentati con famiglie veneziane di antica nobiltà. Quella dei Volterra era una famiglia di valorosi guerrieri. Il padre di Giovanni, Nadal di Giovanni Volterra, che aveva riseduto nelle maggiori magistrature cittadine della sua città (coincidenti, si scriveva, con la carica di «giudice»), aveva in più occasioni combattuto a bordo delle galere della signoria veneziana, anche in veste di capitano (o sopraccomito), fino a quando, preso prigioniero dal nemico, era stato ucciso. al tempo del processo per l’ammissione all’Ordine, anche il fratello del com-parente era impegnato nel mestiere delle armi in Francia, al servizio di un duca del luogo, mentre un avo materno era stato «per molti anni condottiero di una parte della cavalleria» di Zante, nel qual grado e dignità aveva trovato la morte. Tutto in aspi, Ordine di Santo Stefa-no, 9, ins.4�, fascicolo di apprensione del 3 aprile �564 (�563).

57 p.castiGnoli, Livorno da terra murata a città, in id, Studi di storia. Livorno dagli ar-chivi alla città, a cura di L.Frattarelli Fischer-m.L.papi, Livorno, Belforte & C.editori, �00�, pp. �7-3� e in particolare p. �9.

58 si veda, tra l’altro, asFi, Statuti delle comunità autonome e soggette, 398, c.�43r, s.d. ma del �594 e c.�57r, lettera del governatore Giovanni Volterra, li �0 marzo �59�.

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trasmissione essenziale delle istruzioni urgenti dal granduca ai co-mandanti pro tempore della flotta medicea, mentre era tra i primi a venire a conoscenza dei movimenti di truppe e di imbarcazioni da guerra, a ricevere notizie su quanto avveniva in mare e nei porti del mediterraneo grazie ai militari, ai mercanti o ai semplici viaggiatori che sbarcavano a Livorno. progressivamente affiancato e sostituito da altri canali con l’avanzare della professionalizzazione della rete di ambasciatori e consoli, giunti a perfezionamento solo nel XVIII secolo, l’attività informativa rappresentò una essenziale prerogativa del governatore soprattutto nel seicento, come testimoniano innume-revoli rapporti redatti talvolta con frequenza addirittura giornaliera, e non venne mai meno del tutto59.

Il Volterra fu afflitto da continui disturbi di salute gravemente debilitanti e che probabilmente convinsero il medici a non caricare il pur diligente funzionario di compiti che andassero troppo al di là delle sue effettive capacità di controllo. alla luce delle tracce rimaste, appare comunque indubbio che il Volterra, per l’esercizio delle fun-zioni attribuitegli, possa considerarsi il primo governatore di Livorno, nonostante il fatto che tale titolo, più che indicare un ufficio, fosse usato come un appellativo onorifico, da riferirsi all’attività generica di comando delle Bande. Ciò spiegherebbe anche perché il titolo ri-sultava interscambiabile con quelli di castellano, capitano o cavaliere e con i quali si continuò a rivolgersi al Volterra negli anni successivi alla sua investitura.

antonio martelli fu introdotto all’incarico governatoriale per vo-lontà di Ferdinando I al fine di sostituire l’ormai anziano Volterra e fu opportunamente dotato di forti e certi poteri60. Questo granduca aveva grandi ambizioni per Livorno, dove proprio in quel tempo provvedeva ad accelerare i lavori edilizi sia della cerchia urbana che delle strutture fortificate militari e all’ampliamento delle darsene6�. a

59 sull’ancora poco approfondito tema dei servizi d’informazione in età moderna e l’im-portante ruolo che svolse nelle dinamiche di potere dell’epoca a livello europeo, si rimanda a D.GarcíaHernán, Algunas Notas sobre el servicio de información de la Monarquía Católica en el Mediterráneo en tiempos de Felipe II, in Espacio, Tiempo y Forma, serie IV, Historia moderna, t.7, �994, �45-�58.

60 antonio martelli aveva già dato prova di fedeltà e grandi capacità militari al comando delle galere medicee e in qualità di cavaliere dell’Ordine di malta. m.BarUcHello, Livorno e il suo porto. Origini, caratteristiche e vicende dei traffici livornesi, Livorno, società anonima riviste tecniche, �93�, pp. 36�-365.

6� L’erezione della Fortezza Nuova, ad esempio, prese l’avvio nel gennaio del �590.

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questo massiccio progetto sostenuto da investimenti destinati all’ac-crescimento del nucleo urbano, va affiancata l’entrata in vigore tra il �59� e il �593 di norme straordinarie finalizzate ad implementare l’insediamento della popolazione a Livorno, rivolgendosi soprattutto a soggetti dotati di abilità tecniche, artigianali e mercantili, grazie ad una complessa politica di esenzioni, privilegi e agevolazioni, e, fonda-mentale, assicurando la protezione dal tribunale del sant’Uffizio6�. Il più famoso di questi interventi normativi, celebre col nome di «li-vornina»63, divenne la pietra miliare per la creazione di una società cosmopolita dotata di particolari caratteristiche, in quanto composta da mercanti provenienti da ogni parte del mediterraneo e del Nord europa – ebrei, armeni, islamici e protestanti – indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa64. proprio al governatore fu affidato

6� si ricordi che un vicario generale e commissario del sant’Offizio non esisteva a Livorno se non a partire dal �6�� in poi, mentre fino a quel momento vi era stato un vicario foraneo incaricato dall’Inquisizione di pisa, per lo più un frate del convento livornese dell’Ordine degli agostiniani. Le competenze del vicario generale, per altro, non differirono da quelle del foraneo, rimasto alle dipendenze dell’Inquisizione di pisa, così informava il governatore di Livorno al segretario del regio diritto, stefano Bartolini, il �0 aprile del �778, in asLi, Governo, copialettere, 970, cc.40v-4�v.

almeno a partire dal �657, invece, il governatore di Livorno fu tenuto a prestare il brac-cio secolare al sant’Uffizio per perseguire soggetti da sottoporre ad accertamenti, così in asFi, Mediceo, �804, ins.�. a scontrarsi con gli ufficiali dell’Inquisizione fu soprattutto il governatore del Borro, ottenendo il massimo appoggio sia dal granduca che dal segretario di guerra panciatichi affinché non si prestasse alcuna obbedienza ai vicari pro tempore del sant’Uffizio, né si portassero a termine catture o precetti da loro richieste senza l’esibizione del padre inquisitore di pisa, badando bene a che non si prendessero alcuna prerogativa loro non concessa, in ivi, ��03, cc.n.n., panciatichi al del Borro il �6 agosto �68�. La letteratura su quest’argomento è stata particolarmente prodiga, ci si limita a rimandare a a.delcol, L’Inquisizione in Italia dal XII al XX secolo, milano, mondadori, �006.

63 L.frattarelli fiscHer, Le origini di Livorno e le Livornine, in P.castiGnoli-l.frattarellifiscHer, Le livornine del 1591 e del 1593, Livorno, Cooperativa edile risor-gimento, �987, p. �.

64 sulla storia della comunità ebrea di Livorno in età moderna si rimanda a L.lévy, La communauté juive de Livourne, paris, L’Harmattan, �996 e L.frattarellifiscHer, Fuori dal ghetto. Ebrei e nuovi cristiani a Pisa e Livorno nei secoli XVII e XVIII, Torino, silvio Zamorani, �008 ed alla aggiornata bibliografia ivi indicata. studi altrettanto approfonditi in merito alle diverse presenze internazionali ed alle molteplici appartenenze religiose della popolazione livornese sono stati condotti sulla «nazione» francese in J.p.filiPPini, La nation française de Livourne (fin XVIIe-fin XVIIIe siècle), in Dossier sur le commerce français en Méditerranée orientale au XVIIIe siècle, paris, pUF, �976; su quella inglese in s.villani, «Cum scandalo catholicorum...». La presenza a Livorno di predicatori protestanti inglesi tra il 1644 e il 1670, in «Nuovi studi Livornesi», vol. VII (�999), pp. 9-58 e m.d’anGelo, Mercanti inglesi a Livorno 1573-1737. Alle origini di una «British Factory», messina, Istituto di studi storici Gaetano salvemini, �004, mentre per le comunità greca, armena ed olande-se-alemanna, si rimanda agli studi di paolo Castignoli raccolti in Livorno. Dagli archivi alla città, cit., passim, oltre a D.dell’aGataPoPova, La Nazione e la Chiesa dei Greci «uniti»,

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allora il compito di garantire a quanti fossero venuti a comporre la nuova comunità livornese di non ricevere alcuna «molestia» per mo-tivi legati al proprio passato, foss’anche stato macchiato da crimini più o meno gravi, e tanto meno a causa delle proprie origini religiose. Una misura quest’ultima non solo di grande lungimiranza, ma anche di particolare rilevanza politica, tant’è che aveva comprensibilmente suscitato non poche preoccupazioni alla corte di madrid e dove si dedicò all’analisi dei fatti più di una riunione del consiglio di stato, giungendo persino a valutare l’opportunità di allertare il pontefice in vista di una comune soluzione:

el consejo sabe que el gran duque de Toscana no solamente admitte en Liorna, con fin de crescer la población de aquel lugar, los christianos nuevos que van a el, sino también toda manera de delinquentes, como puestos allí vivan quietamente, y en pisa sera lo mismo, y paresce que el duque de escalona ha hecho bien en avisar a Vuestra majestad dello, y que Vuestra majestad le mande escrivir que como de suyo, sin nombre de Vuestra majestad, diga a su santidad los incon-venientes de admittir en Liorna y pisa a los christianos nuevos, pero sin pedir a su santidad que haga officios con el gran duque, sino dexando que haga lo que paresciere, al qual tampoco conviene che Vuestra majestad escriva sobre ello agora65.

L’istituzionalizzazione della carica di governatore di Livorno av-venne in questo specialissimo momento. Quando Ferdinando I deci-se di attribuire al nuovo polo il titolo di «città» con solenne cerimo-nia il �9 marzo �60666, istituì una diversa figura politica, anch’essa

in Livorno. Progetto e storia di una città fra il 1500 e il 1600, pisa, Nistri-Lischi, �980, pp. �3�-�6�; L.frattarellifiscHer, Per la storia dell’insediamento degli armeni a Livorno nel Seicento, in Gli armeni lungo le strade d’Italia, pisa-roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali,�998, pp. �3-4�; ead., Alle radici di un’identità composita. La «nazione» gre-ca a Livorno, in Le Iconostasi di Livorno. Patrimonio iconografico post-bizantino, a cura di G.passarelli, pisa, pacini, �00�, pp. 49-5� e a m.C.enGels, La comunità fiamminga di Livor-no all’inizio del Seicento, in «Nuovi studi livornesi», � (�993), pp. �5-4�.

65 aGsi, Estado, �857, ins.36, «Consulta del Consejo de estado sobre lo que escrive el duque de escalona en carta de 4 de mayo sobre el particular de los christianos nuevos que van a vivir a pisa y Liorna», relazione del consiglio di stato al sovrano Filippo III, Vallado-lid, �7 giugno �604.

66 sull’elevazione di Livorno a città si vedano G.vivoli, Annali di Livorno. Dalla sua origine sino all’anno di Gesù Cristo 1840, Livorno, tip. Giulio sardi, �84�-�846, III, p. 54�; G.PiomBanti, Compendio storico popolare della città di Livorno, con un’appendice sugli uomi-ni illustri livornesi, Livorno, Tip. Fabbreschi, �89�, citato dalla ristampa in Livorno, Libur-nia, �97�, pp. 6�-63; a.manGini, Compendio della storia di Livorno dal 1100 al 1870, Firen-ze, alinari, �9��, pp. 4�-4�; m.BarUcHello, op. cit., p. ��0; ma soprattutto L.frattarellifiscHer, Livorno città nuova, cit., pp. 89�-893. Di diversa opinione Gino Guarnieri, il quale

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in qualche misura di nuovo tipo, sulla quale accentrare tutti i poteri. al governatore furono conferite a fianco delle funzioni militari e di supervisione sui lavori edilizi, fino a quel momento prevalenti, an-che quelle giudiziarie e di governo, creando un’autorità in rapporto diretto con il segretario per gli affari di guerra e capace, in caso di necessità, di sostituire il sovrano in tutto e per tutto. Il governatore fu dotato di potere giudiziario oltre che sulla popolazione del Capita-nato Vecchio, cioè sul nucleo urbano e la campagna immediatamente circostante, anche sul Capitanato Nuovo67. Quest’ultimo, aggregato per disposizione granducale alla giurisdizione labronica a partire dal �4 aprile del �606, comprendeva un’area estesa circa cinquanta-cinque miglia, con ben quattordici comunità (tra le quali Crespina, Luciana e Lorenzana, Fauglia, e rosignano, fino all’imboccatura del torrente Fine) e l’isola di Gorgona68. Le due aree erano soggette a re-gimi assai differenti. Gli abitanti della città e del Capitanato Vecchio erano infatti titolari di molteplici privilegi ed esenzioni, loro concessi a partire dalla fine del Cinquecento, poi ratificati dalle leggi «livorni-ne» e da successivi provvedimenti. Il Capitanato Nuovo invece non acquisì alcun privilegio speciale nel momento dell’aggregazione con il Vecchio, rimanendo dipendente dalla cancelleria di Lari e dal prov-veditore dell’uffizio dei fossi di pisa. peraltro, quanto all’esecuzione

erroneamente (come ben argomentato in a.GUerrieri, Nel 350° annuale della elevazione di Livorno a città, 19 marzo 1606-19 marzo 1956, Livorno, Belforte, �956, p. �0) e riprendendo la notizia dal Galluzzi (r.GallUzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze, stamperia di ranieri del Vivo, �78�, II, p. �9�), anticipa l’elevazione al �8 marzo �577, in G.GUarnieri, Livorno e la sua elevazione al rango di città (studio storico-critico), Genova, F.lli pagano, �956, pp. �-�6.

67 La concentrazione dei poteri giudiziari nelle mani del governatore fu graduale e per-fettamente parallelo alle altre disposizioni previste dal granduca per il popolamento della cit-tà: prima con le lettere patenti del �0 giugno del �593 con le quali si conferì al governatore l’autorità di redimere le vertenze tra ebrei, poi con il conferimento di ogni altra competenza con la legge del 9 marzo �595. alcune note su questi aspetti in V.PensaBene, Livorno agli inizi del Regno di Cosimo II (1609-1614), tesi di laurea discussa nell’a.a.�999-�000 presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di pisa, relatore professor Carlo mangio, pp. �8-�5.

68 Questo «Nuovo aggiunto all’antico territorio di Livorno» copriva infatti un esteso territorio, che avrebbe dovuto dotare Livorno dei mezzi e delle infrastrutture necessarie a garantirgli un quanto più rapido e facile sviluppo, anche economico. Le campagne com-prese nel cambiamento di sede amministrativa e giurisdizionale restarono invece nella diocesi di pisa, ad eccezione di Fauglia, Tremoleto e Crespina, sotto la diocesi lucchese fino al �6�� e poi di quella sanminiatese. r.mazzanti, Il Capitanato Nuovo di Livorno (1606-1808), Due secoli di storia attraverso la cartografia, pisa, pacini, �984, in particolare pp. �0 e �69-�70.

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ordinaria della giustizia, il Capitanato Nuovo vide confermato un an-tico statuto del �477 in base al quale si riservavano le funzioni di poli-zia (tra le quali la consegna delle citazioni in giudizio, loro esecuzione e raccolta dei referti per il tribunale) a due campai69 e ad un messo, ai quali nel �606 venne aggiunto un cavallaro. Nel settembre del �6�4, abolito l’ufficio di campaio, le competenze di messo e cavallaro passarono sotto le competenze del bargello e dei suoi famigli fino al �680, quando fu stabilita una squadra «di campagna» composta da un caporale e quattro famigli, non più sotto la direzione del bargello ma direttamente afferenti al tribunale di Livorno70.

Oltre agli abitanti veri e propri della città e suo territorio, come già accennato, il governatore aveva giurisdizione anche su persone e cose (rectius sui «bastimenti») straniere, cioè sui non residenti, ed era questo uno degli aspetti più complessi e importanti delle sue compe-tenze7�.

per i primi tempi la carica governatoriale fu sottoposta a conferma annuale ed appariva non ancora del tutto consolidata. È attestata infatti una certa confusione sull’uso del titolo negli anni tra il �606 e il �609 quando, assente il martelli, toccò ai commissari delle ga-lere alessandro risaliti e Ugolino Barisoni divenire governatori ad interim, ma con il titolo di commissari di Livorno. In tale veste, i due commissari furono incaricati di mantenere il controllo sul porto, sui movimenti di merci, galere e vascelli, mercantili o da guerra che fos-sero, facendosi carico della giustizia locale e di vigilare sulla corret-tezza delle transazioni economiche.

É con il padovano Barisoni che si delinea per la prima volta con chiarezza la necessità di dotare l’ufficio del governatore di funzionari esperti e preparati da destinare esclusivamente alle attività giuridiche e

69 L’ufficio di campaio corrispondeva, a grandi linee, a quello di «guardia campestre», ossia si trattava di un ufficiale destinato a vigilare e sorvegliare i terreni più importanti per la comunità – generalmente le vigne, ma anche i campi coltivati e i pascoli – e al fine di evitare che fossero danneggiati o manomessi, denunciando i contravventori, da Prospetto delle voci e locuzioni di economia rurale, comunitativa e pubblica, in Archivio Storico Italiano, Appendice, Firenze, Vieusseux, �850, t.VIII, p. 79�. a siena, dove tale attività acquisiva una particolare importanza, quella del campaio era una vera e propria magistratura dotata di un proprio sta-tuto, come ben descritto in m.daPassano, La vite e il vino: storia e diritto (secoli XI-XIX), roma, Carocci, �000, pp. 49-50.

70 asLi, Governo, copialettere, 967, cc.4�r-43v, il governatore a pompeo Neri, il �7 mag-gio �773.

7� asLi, Governo, copialettere, 968, cc.��v-�3r.

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legali, avviando così la formazione di una più complessa struttura bu-rocratica a supporto della carica governatoriale, mentre per quest’ulti-ma diveniva progressivamente dominante la competenza politica.

Dal �4��, momento dell’acquisto del territorio livornese, e durante il principato fino al �595, il magistrato supremo aveva provveduto alla nomina e alla soprintendenza, come si è detto, del capitano giusdicen-te e, in seguito, del commissario di giustizia, entrambi affiancati, ana-logamente a quanto ancora in uso presso altre piccole comunità del granducato, da un cavaliere di banco. Con la trasformazione del com-missario in governatore, l’istituzione passò sotto la diretta supervisio-ne del granduca, il cavaliere di banco proseguì nelle sue funzioni fino al �606 quando, a fronte dell’aumento significativo della popolazione e della necessità di coadiuvare il Barisoni (che promosse l’iniziativa), si nominò un notaio addetto alle cause criminali, il notaro de’ male-fizzi. Tale incarico venne poi convalidato, su richiesta del cavaliere di banco Dionigi soccioli, da motuproprio granducale del �9 maggio �607, dando così avvio alla distinzione tra le due cancellerie, l’una ci-vile e l’altra criminale, in tutto e per tutto soggette al potere di nomina e di gestione del governatore pro tempore, indipendentemente da ogni altro magistrato. Nel �606 il Barisoni ottenne dal medici la possibilità di servirsi dell’auditore delle galere, allora Lodovico Bosi da modiglia-na, in qualità di giudice per le cause occorrenti incrementate per l’ac-crescimento demografico della città. Quest’ufficio rimase però attivo solo per qualche anno, mentre maggior fortuna ebbe l’introduzione di un altro funzionario, subalterno al cavaliere di banco, rinnovato per diverso tempo pur in assenza di un preciso rescritto al riguardo.

Barisoni, nelle carte che puntualmente inviava a Firenze, per lo più al segretario di stato marcello Vinta, non nascondeva la difficoltà di svolgere la funzione governatoriale a fronte di una generale ostilità incontrata da parte dei ministri locali7�. Non così invece era stato per il martelli, il quale – come raccontava lo stesso Barisoni lasciando trasparire in modo ancor più evidente la diffusa animosità trovata nei propri confronti – aveva saputo instaurare un ottimo rapporto con la città ed i suoi abitanti73.

7� asFi, Mediceo, ��40, cc.40r-v, Barisoni a marcello accolti, da Livorno, il �3 aprile �607.

73 «È arrivata la galea santa maria maddalena la quale ha scosso una fortuna terribile e finalmente si è salvata in Caglieri, non havendo fatto getto di cose d’importanza se non di

4�

Il consenso popolare del quale pareva godere il martelli costituì senz’altro un elemento decisivo per Cosimo II, quando con lettera patente del �� novembre �609, lo nominò governatore della città di Livorno, definendo per la prima volta più specifiche competenze di un incarico che diventava non più annuale, bensì conferito ad perpetuum fin a successiva disposizione. Nell’occasione vennero rico-nosciuti al governatore l’abitazione e il compenso precedentemente forniti al commissario74. Gli fu assegnato il compito di «amministra-re giustizia» secondo quanto si dettagliava più compiutamente nella patente e negli ordini puntuali che si sarebbero comunicati in seguito secondo le necessità75, oltre ad una posizione di assoluta supremazia civile e militare su tutte le altre cariche presenti in città, «per essere superiore al colonnello, al commissario delle galere et a tutti li mini-stri et offitiali di detto luogo». si introduceva così anche un margine di libertà che il granduca aveva voluto riservarsi per poter provvede-re di volta in volta, e conformemente alle diverse esigenze, a modu-lare, ridurre od ampliare le potestà governatoriali e il suo ambito di delega.

La patente di conferimento dell’incarico, qui riportato integral-mente in appendice, elencava con puntualità i settori di pertinenza del governatore. La potestà governatoriale, che si estendeva sul ter-ritorio cittadino e la campagna circostante, comprendeva: l’ammini-strazione della giustizia civile e criminale, la gestione del porto e delle attività commerciali e mercantili che vi si svolgevano, con posizione di superiorità indiscussa e di controllo rispetto agli uffici dell’abbon-danza e della Dogana76 e con la responsabilità del corretto manteni-

alcuni pochi viveri che persone particulari havevano imbarcato sopra coperta, e sopra di essa è venuto il signor priore martelli il quale è giunto qui con un ottima ciera e sta benissimo e subito smontato è volsuto andare a visitar la madonna di san Francesco caminato a piedi e gagliardamente, come se fosse giovine, e tutta questa città gli è corsa incontro, e lui ha saluta-to tutti per nome e vede chiaramente che conserva e una memoria e un amor grande a questa città», in asFi, Mediceo, ��40, c.�07r, Barisoni al granduca medici, da Livorno il � gennaio �609 (�6�0).

74 Il palazzo di residenza del governatore fu eretto solo nel �608, prima di allora risiedeva nel palazzo di giustizia, ove venne allora stabilito l’ufficio di dogana. N.maGri, Discorso cronologico della origine di Livorno in Toscana, Napoli, s.e., �647 (in ristampa anastatica, Livorno, Bastogi, �975), cc.��8-��9 e �36.

75 asFi, Mediceo, �8�4, c.505r, copia del registro della patente del priore martelli, gover-natore di Livorno, il �� novembre �609.

76 L’ufficio della Dogana marittima di Livorno era stato istituito nel �566, e sottoposto a una prima riforma nel �604, che ne conservava sostanzialmente le originarie funzioni e i

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mento delle strutture portuali come di quelle urbane, della pulizia e della conservazione di fognature, ponti e strade. Il governatore si occupava dei rapporti con i consoli, con i rappresentanti delle «na-zioni» stanziate in città e con le altre personalità di rilievo presenti a Livorno. Inoltre, con l’ausilio del magistrato di sanità sul quale gode-va di una posizione di supremazia e coordinamento, era incaricato di provvedere al funzionamento dei lazzaretti, di soprintendere all’ap-plicazione delle pratiche sanitarie e dei trattamenti contumaciali e di tutte le altre misure necessarie per assicurare la salute pubblica del porto, dell’abitato e favorirvi il traffico di uomini e merci77.

Incarico prioritario del governatore era quello di aiutare e facilitare in ogni modo le genti di mare e di commercio, proteggendole da ogni possibile abuso o violenza, punendo con fermezza i contravventori, vigilando costantemente la «libertà, sicurezza e franchigia» del porto al pari della «pace e sicurezza» della città; proteggere i deboli («pu-pilli e vedove»), assicurare condizioni di vita salubri («si levi ogni occasione d’infettione d’aria, vi si conservino et moltiplichino l’acque buone») e incoraggiare così gli stranieri e «particolarmente li mercan-ti» a fissarvi la propria residenza.

Compito del governatore era favorire lo sviluppo economico loca-le, anche spronando gli abitanti ad «astenersi dall’otio et dalli diletti, con attender alli negotii et industrie», assumendo così i caratteri di un buon padre, non solo rappresentante del sovrano, onorato ed ob-bedito «come fariano la propria persona nostra», ma anche come un precettore e modello morale cui ispirarsi. Queste erano le virtù pub-bliche e private che secondo il granduca dovevano costituire il profilo essenziale del governatore di Livorno, un uomo «di qualità eminente, non partiale e disinteressato», dotato inoltre di quattro caratteristiche principali: il valore, la fede, la prudenza e l’assoluta dedizione nel servizio del proprio sovrano. Da parte loro, gli abitanti della città

compiti precedentemente stabiliti e riguardanti la riscossione di gabelle, tasse ed altre forme di esazione per diritto di ancoraggio e stallaggio delle merci. B.mannini, La riforma della dogana di Livorno del 1566, in «studi livornesi», III (�99�), pp. 65-95.

77 La realizzazione di strutture dedicate alla tutela della salute pubblica fu senz’altro molto tempestiva a Livorno, se ne vuole una prima testimonianza addirittura nel �404. Ve-nendo all’età medicea della quale si tratta, oltre alla edificazione di due lazzaretti tra gli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento e destinati alla quarantena di merci e di persone, nel �6�3 è già attestata l’esistenza di un consiglio sanitario composto da tre individui, uno dei quali medico, e sotto la direzione dal governatore. G.vivoli, Annali di Livorno, cit., IV, p. �69; C. ciano, La Sanità marittima nell’età medicea, pisa, pacini, �976.

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avrebbero dovuto temerlo, obbedirgli e amarlo, conciliando così le virtù machiavelliche del buon principe78 temperate però dalla necessi-tà ineludibile che il potere si debba basare sul consenso, sull’«amore» dei propri sottoposti79.

Quando martelli fu nominato generale d’artiglieria lasciando va-cante l’incarico, Cosimo II impartì le medesime disposizioni, con minime modifiche, al successore, l’ammiraglio delle galere stefaniane Jacopo Inghirami. La vita e le gesta di questo volterrano sono state già messe in luce da precedenti studi80, nei quali sono stati esaminati anche alcuni aspetti del breve, intenso periodo nel quale l’Inghirami rivestì la carica di governatore di Livorno, dal � febbraio �6�8 al 7 aprile �6��8�. Oltre alla patente d’investitura8�, Inghirami ricevette dettagliate istruzioni articolate in ventitrè articoli ai quali attenersi nell’esercizio delle sue funzioni83. Nel primo articolo spicca la rac-comandazione granducale a che il governatore non consenta l’intro-duzione a Livorno di «qualche setta in dispregio della nostra santa religione christiana [cancellato nel testo] cattolica»84, ma anzi operi «per ridurre nel grembo di santa Chiesa, et alla vera religione» gli stranieri giunti in città. a fronte dell’atteggiamento tutt’altro che re-pressivo nei confronti delle confessioni religiose non cattoliche tenu-

78 si veda il paragrafo XVII, De crudelitate et pietate, et an sit melius amari, quam timeri, vel e contra, da N.macHiavelli, Il Principe, nell’edizione Garzanti, �995, pp. 54-57.

79 asFi, Mediceo, �8�4, cc.507r-v, copia del registro della patente del priore martelli, go-vernatore di Livorno, il �� novembre �609.

80 Jacopo Inghirami nacque a Volterra, da antica famiglia patrizia. Non ancora sedicen-ne, entrò nell’Ordine dei cavalieri di santo stefano nel giugno �58�, ove ebbe una lunga e rapida carriera, grazie alla sua determinazione e alle non comuni capacità di abile stratega, ottimo combattente, e doti tecniche e diplomatiche. Fu protagonista in molte battaglie, sia in guerra che in mare. Nominato ammiraglio dal granduca medici fin dal �605, interruppe il comando delle galere stefaniane per sostenere la carica di governatore di Livorno dal febbraio �6�8, per tornare però a capo della squadra dell’Ordine nel �6��. per un profilo biografico di Inghirami si rimanda a m.GemiGnani, Il cavaliere Iacopo Inghirami al servizio dei granduchi di Toscana, pisa, eTs, �996.

8� p.castiGnoli, Jacopo Inghirami Governatore di Livorno (1618-1621), in Studi di storia. Livorno dagli archivi alla città, cit., pp. 4�-50 e m.GemiGnani, op. cit., pp. �88-30�.

8� asFi, Mediceo, �80�, II, cc.368r-369v, e in m.GemiGnani, op. cit., pp. 38�-383.83 La «Instruzzione a voi cavaliere Jacopo Inghirami, marchese di montegiovi, eletto go-

vernatore della giustizia et del presidio della nostra città e porto di Livorno, il dì � febbraio �6�7»(�6�8) è conservata in asFi, Mediceo, �80�, II, cc.370r-373v. La trascrizione delle istruzioni è già stata pubblicata integralmente in m.GemiGnani, op. cit., pp. 384-387 e in p.castiGnoli, Jacopo Inghirami Governatore di Livorno (1618-1621), cit., pp. 4�-44.

84 La significativa cancellazione e successiva correzione appare nel testo originale conser-vato nell’archivio fiorentino, mentre non è stata attestata dalle trascrizioni contemporanee.

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to dai governatori per tutta l’età medicea, dietro altrettanto puntuali indicazioni granducali (e difeso personalmente dagli stessi granduchi, come si è visto anche rispetto alle pretese spagnole), questo parrebbe un caso esemplare di simulazione, una sorta di dichiarazione di prin-cipio mossa da strategia politica piuttosto che da una norma prescrit-tiva e vincolante.

Nel secondo articolo si trova l’indicazione che un funzionario sarebbe stato affiancato al governatore «per l’amministrazione della buona giustizia», una presenza probabilmente giustificata dalla ne-cessità di sopperire alle carenze dell’Inghirami in materia più squisi-tamente giuridica. È questo un segno inequivocabile dell’intento di creare nella città una struttura di governo più articolata e dotata di funzionari specializzati nelle attività che vi si svolgevano. si introdus-se così, per il momento con l’appellativo di giudice, una figura dotata di particolari competenze e che si andava ad aggiungere al cavaliere, il notaio che già ausiliava il governatore proprio per gli aspetti giuridici, ponendo le premesse di un ruolo fondamentale nella composizione del Governo di Livorno, quello cioè dell’auditore85. si deve a mar-cantonio Cicognini, allora cavaliere in carica, la descrizione delle atti-vità da lui stesso esercitate in un rapporto che, molto probabilmente, consentì al granduca di meglio definire la carica del giudice e coordi-nare fra loro i due uffici anche rispetto all’autorità del governatore.

L’esercizio della carica mia consiste in amministrare giustizia sul civile et crimi-nale a tutti indifferentemente. Le sentenze tanto civili quanto criminali si publi-cano in nome del signor governatore, il quale deve sapere sempre tutto quello che passa, assistere alle cause gravi criminali et particolarmente alle essamine

85 si trattava generalmente di un esperto giurista da deputarsi alle questioni tecniche, per mantenere aggiornati i documenti della cancelleria locale sulle norme introdotte e le consue-tudini in uso, per garantire il corretto funzionamento del Governo anche fornendo ausilio ai governatori nella interpretazione scrupolosa delle leggi in vigore. In questa figura si trovano le radici dell’auditore del governo, una carica gerarchicamente inferiore al governatore, ma fondamentale per la ricostruzione delle vicende istituzionali del Governo livornese, sia per la rilevanza delle competenze, sia per la crescente partecipazione, in qualità di consulente, anche in questioni di tipo politico. Utili elementi su questo profilo in epoche precedenti all’affermarsi dell’auditore labronico, ma significativi per ricostruirne i tratti, in e.taddei, L’auditorato della giurisdizione negli anni di governo di Cosimo I de’ Medici (Affari beneficiali e problemi giurisdizionali), in Potere centrale e strutture periferiche nella Toscana del ’500, a cura di aldo spini, Firenze, Olschki, �980, pp. �7-76 e in particolare pp. 30-36 ed e.fasanoGUarini, I giuristi e lo Stato nella Toscana medicea cinque-seicentesca, in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento, I. Strumenti e veicoli della cultura. Relazioni politiche ed economiche, Firenze, Olschki, �983, pp. ��9-�47 e in particolare pp. �45-�47.

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rigorose, e tutti li casi criminali di considerazione si spediscono con partecipa-zione di sua altezza, et inoltre io mi rogo di tutti li instrumenti che occorrono farsi per servizio dell’offizio, e tengo conto di tutti li emolumenti spettanti al signor governatore, e tutti quelli che vengono confinati alla fabrica si presentano avanti a me, e con mia poliza sono ricevuti da detta fabrica, et quando hanno finito il confino con fede del provveditore di essa faccio loro il ben servito et con fare anche le licenze alli confinati a capitanato, che si fermano di mano del governatore, et di più ricevo li denari publici per li magistrati di Fiorenza, che si riscuotono in questa giurisdizzione; esseguisco tutte le lettere dei magistrati di Fiorenza et pisa et altri rettori dello stato, et rispondo in nome del detto go-vernatore et anco servo per cancelliere della Comunità, et più minuto ragguagli non saprei in scritto darmene86.

Quando nel �6�9 l’auditore fiscale fiorentino provvide alla nomina del giudice nella persona di Lelio Talentoni, vagliando una nutrita ro-sa di candidati87, non era però ancora chiaro quali fossero le attribu-zioni e le titolarità del nuovo incarico e degli atti da quello prodotti: «parendo questa occasione opurtuna di formare bene come d’habbia a reggere et governare tale ministro et offitiale per benefitio pubblico e privato», si chiese al granduca se il giudice dovesse dipendere in tutto e per tutto dal governatore, anche per la designazione e, in tal caso, se con la morte del governatore terminavano automaticamente tutti gli incarichi da quello conferiti lasciando al nuovo il compito di nominare altri soggetti di suo maggior gradimento. Dopo un atten-to studio da parte del sovrano e dei suoi ministri88 su chi affiancare al governatore Inghirami «per il buon governo di quella carica et

86 asFi, Mediceo, �80�, II, c.354r, marcantonio Cicognini al segretario granducale an-drea Cioli nel febbraio del �6�8 (�6�9).

87 Ibidem, cc.356r-v. Nella lista dei candidati apparivano Orazio erculani da Colle, di presente segretario del Governo di siena, che «si dubita che per la qualità dell’ufficio che esercita, ancor chè di manco utile, non si sia forse per risolvere di cambiarlo con quello che si tratta. Tommaso Garavini da modigliana persona di maturità e da bene, ammogliato, pra-tico assai per causa di più offizii esercitati nello stato di sua altezza, questo soggetto è molto bene conosciuto dall’auditore fiscale per essere suo cognato. Lelio Talentoni da Fivizzano stette già due anni per giudice a pisa col senatore acciaiuoli, di poi podestà a scansano et fra poche settimane è di ritorno dall’uffizio di capestrano. Luca simoni da pescia, di presente sottocancelliere del magistrato dei Capitani di parte et offiziali de’ Fiumi di Firenze, per prima s’era esercitato nell’offizio di giudice per lo stato et è noto come bene eserciti detta carica di sottocancelliere. Francesco manadori, fiscale a pistoia, et Francesco ansaldi cancel-liere a pescia, esercitando ciascuno di essi le loro respettive cariche per quanto si sente bene et fedelmente».

88 Ibidem, cc.360r-36�r, lettera in data 6 febbraio �6�8 (�6�7) firmata da Vincenzo piazza e Niccolò dell’antella, inviata al cavalier andrea Cioli, segretario granducale.

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speditione de’ negotii attenenti alla iustizia», si decise che i nuovi funzionari sarebbero stati due: un giudice ed un notaio, con compiti e pertinenze stabilite con precisione da Firenze, ferma comunque la capacità del governatore di «aggiungere et diminuire le [loro] cariche e fatiche».

Il giudice, un esperto dottore in legge civile e canonica, era alle di-pendenze del governatore e a tutti gli effetti un suo ufficiale con ob-bligo di obbedienza, la sua nomina restava però riservata al granduca e così pure la sua rimozione, anche in caso di morte o mutamento del governatore. al giudice spettava la giurisdizione di tutte le cause civili, criminali e miste; nelle cause criminali più gravi il governatore avrebbe però dovuto intervenire personalmente e tutti i processi fab-bricati e le sentenze emesse in suo nome, come era avvenuto fino a quel momento e come si osservava nel resto del granducato. Quanto poi ai «negoti e cause criminali massime gravi, non si spedischino, né si sentenzino» senza assenso e ratifica sovrane. Il giudice doveva alloggiare nella stessa residenza del governatore, dal quale avrebbe dovuto ricevere il necessario per le proprie spese, il vitto e il manteni-mento di un servitore, con uno stipendio annuo di 400 scudi. Il giu-dice manteneva alle sue dipendenze un notaio, scelto e designato (ed eventualmente sostituito) dal governatore tra i soggetti abilitati della facoltà di «rogare» e con esperienza nell’espletare cause civili e crimi-nali, similmente a quanto previsto per i commissariati ed i capitanati. a questo notaio, chiamato ancora cavaliere, spettava:

La cura et pensiero di scrivere tutti gli atti civili et criminali, rogarsi di tutti gli instrumenti, et far quelle scritture per i consolati di vasselli, risquotere la gabella dei contratti delle bestie et altro che occorreranno et per i confinati così alla fabbrica come col Capitanato, et per quelli che pigliano l’esentione del luogo et riceva le loro rappresentationi, facendo a’ medesimi i ben serviti et quanto altro occorrerà conforme al solito, et a lui si aspetti la custodia et visita delle carcere, et tener conto delle gite dei soldati et far tutto quello che nelli altri offizii sono soliti di fare i cavalieri et notai di guardia, et de’ malefizi. et inoltre deva il me-desimo cavaliere servire per cancelliere della Comunità sempre che venga eletto, perché si aspetta et salva in tutte le sopradette cose l’autorità del governatore89

Da parte sua, l’Inghirami pretese di avere voce in capitolo quanto alla nomina dei due ministri che sarebbero stati da lui dipendenti,

89 Ibidem, cc.374r-376r, motuproprio di Cosimo II medici, dato in pisa, s.d.

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reclamando il diritto di esercitare il proprio incarico con soggetti a lui graditi:

per mio ordinario io non sono cervello che non sappia vivere con gli altri, et l’haver comandato sei anni per capitano di galera et sedici per ammiraglio mi pare che le galere sieno state con assai unione et pace, voglio inferire che se il giudice non si portasse bene et non si confacesse al mio cervello, o veramente io al suo, che venendo il caso sua altezza resti servita di cambiarlo, et io dò parola di tollerare qual che cosa avanti ch’io ne parli90.

Cosimo II accondiscese alla richiesta dell’Inghirami e modificò in parte la disposizione che riservava le nomine di giudice e del cavalie-re al beneplacito del granduca, riservando al governatore la possibili-tà di sostituirli con altri soggetti ritenuti più idonei.

a norma delle istruzioni, il governatore aveva inoltre l’ordine di assicurare gli approvvigionamenti di vettovaglie e beni d’ogni sorta in città, favorire l’introduzione di nuove arti e, proteggendo con rigore i mercanti dalle possibili violenze dei soldati, curare la pulizia di strade e deflussi, garantire il buon funzionamento di ospedali, luoghi pii ed istituti di carità, vigilare sui ministri addetti alle dogane ed al porto perchè si comportassero con cortesia e senza commettere abusi, proteggere i consoli ed infine di favorire ed «invitargli all’habitarvi» nuovi sudditi (soprattutto se marinai e pescatori, mercanti e proprie-tari di navigli o imbarcazioni per il commercio). al governatore si as-segnava infine la direzione del Bagno degli «schiavi, ciurme, huomini di catena», e il compito di castigare severamente «persone vagabon-de, otiose et simili» «et similmente gli inquieti» operando perché Li-vorno restasse sempre «sicura et in pace», senza consentire il rifugio di «homicidiarii et spargitori di sangue humano, et altri malfattori» nelle chiese o nei conventi, e insomma con «prudenza et vigilanza» farsi obbedire per assicurare la «quiete» e la «moltiplicazione del po-polo di Livorno».

all’Inghirami seguì, ma solo per due mesi dal �� aprile a metà giugno �6�� e senza rilevanti novità, il governatore Bartolomeo del monte9�. Questi aveva già collaborato al governo labronico nel �6�8,

90 Ibidem, cc.35�r-v, Jacopo Inghirami da Livorno, il �8 febbraio �6�7 (�6�8).9� asLi, Comune, �0, c.�6, Bartolomeo del monte, dei conti di Borbone e marchese di

piancastagnaio, capitano della guardia dei cavalli del granduca, fu designato governatore della città e porto di Livorno il �� aprile �6��, come segnalato nei registri dei gonfalonieri labronici.

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come governatore provvisorio insieme a Giulio Barbolani dei conti di montauto, e poi come interino nel triennio successivo, per sopperire alle assenze di Inghirami. Continuando l’avvicendamento, il 6 giugno �6�� il granduca inviò al del monte l’ordine di riprendere l’antico impiego sulle galere e chiamò Giulio Barbolani all’incarico governa-toriale9�. anche il Barbolani vantava un curriculum simile a quello dei suoi predecessori: era membro di una famiglia nobile di riprovata fedeltà dinastica e cavaliere di santo stefano per giustizia93, era di-ventato uno stimato ammiraglio sulle galere dell’Ordine dando prova di capacità militari durante numerose spedizioni in mare e in terrafer-ma94. Il motuproprio di nomina del nuovo governatore della giustizia,

9� «Havendo noi eletto per successore di Vostra signoria Illustrissima in cotesta carica di governatore della giustizia et presidio della città e porto nostro di Livorno, il signor Giulio dei conti di montauto, che le presenterà questa, ella sarà contenta di consegnargliela acciò che egli ne possa pigliare il possesso in virtù dell’ordine et comandamenti che ne tiene da noi, per esseguire quanto richiederà il nostro servizio et il signor Iddio la conservi e prosperi. Di siena». asFi, Mediceo, �8�4, c.5��r, lettera delle reggenti maria maddalena d’austria e Cristina di Lorena al marchese Bartolomeo del monte, in data 7 giugno �6��.

93 si ricorda al lettore che si poteva diventare cavalieri militi dell’Ordine stefaniano in tre modi: «per giustizia», «per commenda» e «per grazia». Il significato dell’apprensione e il prestigio del cavaliere erano assai differenti a seconda della modalità di ingresso. Nel primo caso, si trattava di soggetti ammessi all’Ordine in virtù di propri meriti e a seguito del su-peramento di un vero e proprio processo di nobiltà, conformemente a una serie di requisiti giudicati ineludibili per attestare l’appartenenza del candidato alla classe nobiliare. I cava-lieri per commenda erano invece individui i quali, per ragioni diverse, sceglievano di vestire l’abito stefaniano in virtù di fondazione di una commenda di padronato, cioè attraverso la stipula di un contratto di fidecommesso, con il quale (analogamente a una disposizione testa-mentaria o ad un maggiorascato) si stabiliva un legame inscindibile tra fondatore e Ordine, così come tra patrimonio e casato, assicurando per generazioni il mantenimento inalterato delle sostanze familiari e l’accesso al cavalierato stefaniano come successori in commenda. Quanto infine ai cavalieri per grazia, questi dovevano il loro abito esclusivamente al gran maestro, il quale – per meriti particolari loro riconosciuti – decideva di attribuirgli l’abito o una commenda di grazia, spesso a mero titolo personale o, in più rari casi, a titolo ereditario. Statuti dell’Ordine de’ Cavalieri di Santo Stefano ristampati con l’addizioni de’ Serenissimi Cosimo II e Ferdinando II e della Sacra Cesarea Maestà dell’Imperatore Francesco I Granduchi di Toscana e Gran Maestri, pisa, Bindi, �746, Tit.II, Cap. I-II, pp. 90-94. essenziale, sull’ar-gomento, F.anGiolini, I cavalieri e il principe, Firenze, edifir, �996. Una efficace sintesi ed una aggiornata bibliografia su questi temi è offerta in D.Barsanti, L’Ordine di Santo Stefano, in La Toscana in età moderna, cit., pp. �6�-�73.

94 Giulio Barbolani dei conti di montauto, figlio di Bartolomeo (�585ca.-�64�). Cava-liere stefaniano fin dal maggio �609, fece la sua carovana (cioè il periodo di addestramento sulle galere dell’Ordine) a bordo della carovana agli ordini di Jacopo Inghirami. Con l’Inghi-rami svolse numerose imprese, acquistando presto la stima del granduca per le abilità militari dimostrate e i bottini conquistati in vere e proprie imprese di pirateria alle spese dei corsari barbereschi, finché non successe al volterrano a capo delle galere stefaniane col titolo di am-miraglio e, più tardi, di generale. ricoprì l’incarico di governatore a Livorno per due periodi successivi: nel �6��-�6�� e, dopo alcuni anni trascorsi a combattere con l’Impero nella

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redatto e confermato dalla patente d’investitura concessa dalle tutrici in nome dell’allora undicenne granduca Ferdinando II, riprendeva in buona parte quanto già precedentemente disposto, limitandosi a ri-mandare alle istruzioni dell’Inghirami. In realtà, il Barbolani ricevette poi le istruzioni in �3 articoli, nient’altro che una copia del preceden-te documento con differenze del tutto irrilevanti95. L’inedita aggiunta al titolo di governatore della formula «della giustizia» che appariva sulla patente, è solo apparentemente riduttiva rispetto al titolo senza ulteriori specificazioni: in realtà Barbolani fu investito della «me-desima autorità, superiorità, facultà che hanno havuta et esercitata li governatori antecessori, non solo circa l’amministrazione della giustizia, governo e custodia della detta città, porto e presidi» con la precisazione che aveva autorità sopra le massime cariche militari del-la Banda, dei presidi fortificati e delle altre guardie delle marine, sui ministri granducali ivi presenti responsabili delle galere, del Bagno, delle Grasce, dell’abbondanza, della Dogana e di tutti gli altri uffici deputati alla salute pubblica e al funzionamento della città (ponti, strade, ecc.), oltre infine «ad ogn’altra persona così pubblica come privata, a’ gonfalonieri, priori, populo, a tutti gli habitanti di qualun-que sorte, professione, conditione, natione». Il rispetto e l’obbedien-za da portare al governatore, si precisava, dovevano essere identici a quelli riservati al granduca e la sua competenza era così estesa che gli consentiva di poter intervenire e «in qualunque occorrenza rimediare a qualunque accidente che dal nostro buon servigio discordasse»96.

per i governatori della prima metà del seicento era comune al-ternare le proprie funzioni a terra con l’incarico di ammiraglio delle galere sui mari. Così come il Barbolani era stato a capo del Governo livornese in qualità di interino durante le spedizioni dell’Inghirami,

Guerra de Trent’anni, nel �635-�64�, fino alla sua morte, il �7 settembre �64�. Fu seppellito nella fortezza vecchia labronica. Dettagliate notizie delle imprese marittime del Barbolani sono reperibili in m.GemiGnani, Il cavaliere Iacopo Inghirami, cit., pp. ��5-��8, �37-�39, �4�-�44, �94-�95, mentre il suo processo di apprensione per giustizia nell’Ordine stefaniano è descritto in B.casini, I cavalieri di Arezzo, Cortona e Sansepolcro membri del sacro militare Ordine di S.Stefano papa e martire, pisa, eTs, �996, pp. 5�-5�.

95 asFi, Mediceo, �8�4, cc.493r-5��v e in p.castiGnoli, Jacopo Inghirami Governatore di Livorno (1618-1621), cit., pp. 4�-44.

96 asFi, Mediceo, �8�4, cc.5��r-5�3r, patente di conferimento dell’incarico di governato-re da parte delle reggenti, in nome del figlio Ferdinando II, siena, 6 giugno �6��. Il testo è riportato integralmente in appendice.

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a sua volta quando egli si assentava dalla città, lasciava il comando al marchese Bartolomeo del monte97.

sollevato dall’incarico il Barbolani, che sarebbe stato richiamato una seconda volta a Livorno come governatore dopo oltre dieci anni trascorsi tra Fiandre e Germania combattendo al fianco dell’impe-ratore Ferdinando II asburgo, il granduca incaricò pietro medici98. Questo personaggio era figlio illegittimo da madre spagnola di pietro medici, l’erede più irrequieto del granduca Cosimo I. Il governatore medici volle al suo fianco Jacopo Brignosa con il titolo di auditore99, un incarico da allora in poi presente a fianco dei governatori, come responsabile della soprintendenza del tribunale livornese per entram-be le cancellerie (civile e criminale), del proferimento delle sentenze (poi rogate dai rispettivi cancellieri) e dell’amministrazione della giustizia su tutti gli abitanti di Livorno e sua giurisdizione, ad unica eccezione delle cause civili vertenti fra ebrei regolate, come stabilito dalle «livornine», dai massari�00. Durante questo governatorato, e sempre più frequentemente in seguito, il principe intervenne diret-tamente a difesa dell’indipendenza giurisdizionale del governatore rispetto alle altre cariche locali e ai comandanti della marina grandu-cale�0�, ai consoli del mare ed alle magistrature giuridiche fiorentine:

97 Così vivoli, Annali di Livorno, cit., III, pp. 355. Questa fonte indica anche un altro governatore in questo stesso breve periodo di tempo, cioè il volterrano, anch’egli cavaliere stefaniano, Giulio dei conti Guidi.

98 si tratta del figlio dell’inquieto e oscuro don pietro medici, figlio di Cosimo I. era nato a madrid, nel �59�, da una relazione del padre con antonia Carvajal, ed era giunto a Firenze nel �605. Cavaliere di malta e instancabile combattente, partecipò a numerose cam-pagne militari, ma anche a delicate operazioni diplomatiche. Una sintetica biografia, con i principali riferimenti bibliografici, è reperibile in Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei (1587-1648), vol. II, a cura di F.martelli-C.Galasso, roma, ministero per i beni e le attività culturali-Direzione generale degli archivi, �007, p. 364.

99 su questo giurista di chiare origini portoghesi si veda G.marcocci, Questioni di sti-le. Gastão de Abrunhosa contro l’Inquisizione portoghese (1602-1607), in «studi storici», 3 (�007), pp. 779-8�7.

�00 si offriva insomma una ulteriore garanzia per il «bene pubblico del commercio, affine che li trafficanti non siano distolti dai loro negozzi perché più o meno tutti negoziano ed è strano il vedere che un negoziante che ha che fare con un privilegiato, lasciati li suoi negozi, deva esser tratto a litigare altrove, sia per nuova introduzione o sia per avocazione di causa», un privilegio originario confermato sia con la sospensione della riforma del �673 e così riba-dito dal motuproprio di Cosimo III del �7��. asFi, Mediceo, �807, ins.�8, «Fogli riguardanti e contenenti l’indipendenza che hanno i Governi e tribunali di Livorno», cit.

�0� pietro medici fu governatore molto a lungo e riscosse il plauso dei livornesi, anche perché rimase valorosamente al proprio posto durante la lunga pestilenza che colpì la città. alla fine del suo mandato, il medici fu impegnato in uno scontro giurisdizionale con il co-mandante delle galere. solo l’intervento del granduca Ferdinando II poté ricomporre la gra-

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in tal modo si intendeva favorire i commercianti di passaggio al porto labronico che non avrebbero potuto sostenere cause di incerta du-rata, avocabili in tribunali diversi che potevano allungare indefinita-mente i tempi della risoluzione, o svolte in località distanti ed accessi-bili solo sostenendo ulteriori costi. Il tribunale labronico si trovò così in una condizione di indipendenza ed autonomia rispetto ad ogni altra giurisdizione e più antica soggezione, seppur al prezzo di lotte e rivendicazioni invocate ad alta voce in innumerevoli occasioni.

Le norme introdotte dai granduchi per lo più non crearono ex novo, bensì traevano legittimità dalla tutela degli interessi consolidati e dal valore della consuetudine, quali garanzie di pace sociale e della sopravvivenza dell’ordine costituito, e dovevano anzitutto dimostrare di essere adattabili alle mutevoli condizioni del territorio che i fun-zionari erano chiamati a governare. Il granduca, nei suoi rapporti con il governatore di Livorno, non interveniva come erogatore di norme, per le quali si lasciava preferibilmente il compito a quest’ultimo quale miglior interprete delle necessità locali, quanto piuttosto per correggere sopraggiunti conflitti giurisdizionali ogni qual volta il suo intervento venisse esplicitamente richiesto. Ciò era coerente al ruolo interpretato dai principi medicei di dispensatori di grazia e giustizia, «tutori» rispetto alle necessità specifiche di gruppi ben definiti di sudditi�0�; tra questi, i commercianti stranieri di Livorno rappresen-tavano un gruppo portatore d’interessi degno di ogni rispetto.

Il ruolo dell’auditore appare ormai consolidato durante il gover-natorato del successore di pietro medici, Giulio Barbolani dei conti da montauto, il quale, preso possesso di Livorno il �4 dicembre del �635�03, godette dell’assistenza del giudice Filippo Talentoni fino

ve frattura emanando un motuproprio in data �7 marzo �634 (�635) nel quale «per togliere ogni differenza in materia di giurisdizione fra il governatore della nostra città et presidio di Livorno et chi comanda le nostre galere et galeazze», si riconosceva l’autorità governatoria-le sulle soldatesche di ruolo e imbarcate coinvolte in risse o altri eventi simili ove fossero coinvolti altri soggetti della città o del presidio, ma non altrimenti. asLi, Comune, 3, c.��9. segnalato anche in G.vivoli, Annali di Livorno, cit., IV, pp. 455-456.

�0� alcuni considerazioni interessanti anche in C.nUBola, Supplications between Politics and Justice: The Northern and Central Italian States in the Early Modern Age, in Petitions in Social History, a cura di L.Heerma van Voss, Cambridge, Cambridge University press, �00�, pp. 35-56, e in particolare pp. 48-49.

�03 Giulio Barbolani, in occasione di questa sua seconda presa di possesso dell’incarico di governatore per la città a porto di Livorno avvenuta il �4 dicembre �635, presentò ai gonfa-lonieri della città la patente della sua investitura. asLi, Comune, ��, c.9�r.

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alla morte, avvenuta per una epidemia di febbri il �6 settembre �64�. spirato Barbolani, Talentoni consegnò tutti gli effetti personali del defunto al di lui fratello e le chiavi delle porte della città al colonnello Francesco Bracelli. Fu questo probabilmente il primo caso di una lunga serie di governatori morti in servizio, quindi fu la prima volta che ci si trovò nella necessità di stabilire con quali modalità cele-brarne le esequie. Fu il Bracelli a dover decidere il da farsi: dispose uno «squadramento in piazza», una sfilata di militari accompagnò la salma con le armi e le bandiere sotto il braccio, «parendo a ciascuno che a un tal personaggio si convenisse tale honore», provvedendo ad «havere la gente in arme per la gran moltitudine del popolo che vi concorse». Nell’incertezza di aver ben gestito le esequie, il Bracelli concludeva la sua relazione al segretario di guerra colla preghiera, se «per caso non havessi eseguito l’effetto di questa funtione come do-vevo, […] di scusarmene con sua altezza sovrana, perché in quanto a me l’ho fatto a buon fine perché così mi pareva conveniente». La morte in servizio del Barbolani mise in evidenza che non era chiaro come procedere per assicurare l’ordinaria amministrazione in attesa che fosse annunciata la nomina di un nuovo governatore. L’auditore Talentoni fu incaricato di recuperare tutte le istruzioni, gli ordini e le lettere relative alla «custodia di questa piazza» e consegnare tutto al colonnello, al quale fu assegnata anche la «giustizia militare»�04.

Finalmente, il �6 ottobre �64�, giunse a Livorno in qualità di go-vernatore il generale Lodovico da Verrazzano�05, prendendo posses-

�04 asFi, Mediceo, ��5�, ins.�, cc.n.n., l’auditore Lelio Talentoni, da Livorno, il �6 settem-bre �64� e il colonnello Francesco Bracelli, in data �7 settembre �64�.

�05 Lodovico da Verrazzano (�587-�647), figlio di Francesco di Bartolomeo da Verraz-zano e di Lisabetta di Nicolò da Verrazzano, aveva cominciato la propria carriera militare sulle galere dell’Ordine stefaniano, ove era stato ammesso quattordicenne come cavaliere di padronato il �7 aprile �60� (in occasione della sua ammissione all’Ordine, attestò le antiche residenze delle tre famiglie dalle quali traeva i suoi quattro quarti: oltre che dai da Verrazza-no, dai Buonagratia e dai Giacomini, tutti cittadini fiorentini; mentre un fratello del padre, alamanno, aveva vestito il manto stefaniano nel �57�, cfr. aspi, Ordine di Santo Stefano, 69, ins.�3). prima carovanista, dunque, poi governatore di galera per meriti acquisiti, ottenne il titolo di ammiraglio delle galere stefaniane. Nel �638, il Capitolo generale dell’Ordine volle non solo prorogargli tale titolo, ma conferirgli anche il grado di generale. In seguito, nel �64�, il granduca Ferdinando II lo scelse come governatore di Livorno e, l’anno dopo, per i meriti militari e da abile diplomatico (fu particolarmente apprezzato, ad esempio, presso la corte di spagna), e per attribuirgli un reddito maggiore utile a meglio espletare quel gravoso incarico, gli assegnò in commenda il priorato di montepulciano. Il da Verrazzano morì, pro-vato da una vita condotta avventurosamente, nel giugno del �647. F.Galvani-l.Passerini, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, Firenze, Diligenti, �864, v.III, s.p.

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so del governo della città «con dimostrazioni universali di pubblica allegrezza», mentre il Bracelli lo riceveva con tutti gli onori, non tra-lasciando di «eseguire le funzioni e cerimonie consuete che si conven-gono alli nuovi governatori» in attesa di consegnargli personalmente il «contrassegno col vero riscontro» �06.

1.2.I governatori livornesi, i Medici e l’Ordine di Santo Stefano

La progressiva istituzionalizzazione della figura del governatore del porto labronico va collocata all’interno di una ben più ampia, complessa ed ambiziosa politica marittima voluta dai primi grandu-chi medicei. È ormai ben nota la visione di Cosimo I medici rispetto alla politica mediterranea, e quanta importanza ebbe in quel piano la creazione dell’Ordine dei cavalieri di santo stefano come momento fondamentale per favorire la formazione di un corpo eletto di com-battenti e per il potenziamento della flotta marittima toscana�07. La religione, istituita nel �56�, ebbe la propria sede a pisa, dove allora si trovavano gli arsenali, ma Livorno e il suo porto divennero ben presto, e in sempre maggior misura, il centro di tutte le attività marit-time dei cavalieri stefaniani.

Non stupisce quindi l’appartenenza all’Ordine di molti dei gover-natori di Livorno. aver servito la religione costituiva un titolo ideale, anzitutto perché assicurava una perfetta conoscenza delle competen-ze che, almeno per buona parte del seicento, apparivano essenziali a tale incarico, le migliori per assicurare l’efficace svolgimento delle attività di controllo e difesa di coste e mari toscani, e garantire così la sicurezza dei movimenti commerciali, vitale per lo sviluppo della città. Il manto stefaniano costituiva anche eccellente testimonianza di abnegazione e fedeltà dinastica di colui che lo indossava, giacché l’in-gresso nell’Ordine suggellò per molto tempo un legame inscindibile tra l’investito e il gran maestro, carica che, come si sa, era riservata al granduca.

�06 asFi, Mediceo, ��5�, ins.4, cc.n.n., lettere del Talentoni e di Bracelli, da Livorno, en-trambi in data �6 ottobre �64�.

�07 F.anGiolini, Politica, società e organizzazione militare nel Principato Mediceo: a pro-posito di una «Memoria» di Cosimo I, in «società e storia», IX (�986), n°3�, p. 4.

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risulta quindi evidente come la scelta di un soggetto idoneo a ri-coprire il prestigioso, quanto delicatissimo incarico di governatore, ricadesse sovente tra coloro che avevano già servito sulle galere con un incarico di alta responsabilità�08. In tal modo il granduca poteva confidare su candidati i quali avevano dato prova di possedere abilità sia militari che nautiche, oltre che appartenenti a quel nucleo della nobiltà toscana di collaudata fedeltà e dimostrata attraverso l’ingres-so nell’Ordine degli stefaniani.

D’altra parte, anche operativamente, i rapporti tra governatori di Livorno e generali, ammiragli e luogotenenti della flotta stefaniana non poterono che essere sempre strettissimi, e gli stessi granduchi si avvalsero di quel canale privilegiato per far recapitare ordini urgen-ti alla flotta, ricevere informazioni strategiche sui movimenti delle squadre musulmane, oppure per coordinare le operazioni militari di attacco, difesa e pattugliamento delle coste. Il tipo di attività riservata ai governatori, caratterizzati da una spiccata prevalenza delle compe-tenze di natura marittimo-militare per tutta la prima parte del XVII secolo, fu soprattutto quella di raccogliere e riferire notizie al grandu-ca, oltre che assicurare la messa in atto di disposizioni per la sicurez-za dei mari toscani e della navigazione dei bastimenti mercantili con destinazione Livorno. ricadevano sul governatore, seppur non di sua diretta competenza, la necessità di garantire il pronto intervento dei legni stefaniani, una corretta gestione delle ciurme e delle imbarca-zioni che si trovavano nella rada labronica e la possibilità di ricorrere alle squadre dell’Ordine ogni qualvolta ce ne fosse stato bisogno. Questo fu all’origine di una frequente confusione di ruoli e di com-petenze tra i primi governatori e le più alte gerarchie della marina rossocrociata, oltre che di una comprensibile tendenza a passare da un incarico all’altro. Jacopo Inghirami e Giulio Barbolani costituisco-no forse l’esempio in tal senso più chiaro: se esser stato a capo della flotta dell’Ordine consentiva di annoverare un’esperienza utile ad affrontare buona parte delle incombenze del governatore livornese, l’esercizio dell’incarico cittadino era un’occasione per riposarsi dal servizio attivo, ascendere di grado e dar prova delle abilità e cono-scenze apprese senza perdere il polso di quanto avveniva sui mari, anche in vista di un possibile ritorno sulle galere. poteva addirittura

�08 Così anche m.BarUcHello, Livorno e il suo porto, cit., p. 36�.

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capitare che le corrispondenze da Firenze a Livorno si dirigessero congiuntamente al governatore e all’ammiraglio delle galere, e che essi rispondessero a quattro mani�09.

Con il tempo, cambiarono le priorità della città e le competenze del governatore acquisirono una natura più squisitamente politica. Livorno si trasformò da baluardo militare a popoloso portofranco legato ai commerci e ai traffici, mentre l’Ordine stefaniano perse poco a poco prestigio e, soprattutto, il ruolo militante sui mari. In egual misura, anche la natura dell’incarico si trasformò: i governatori, ancora in prevalenza membri delle prosapie più strettamente legate al casato mediceo, non dovevano solo e non tanto esser dotati di virtù militari e di conoscenze marittime, bensì piuttosto saper offrire abilità diplomatiche e competenze pregresse in ambito pubblico.

Un caso emblematico in tal senso è quello di raffaello medici, marchese della Castellina, appartenente a un ramo collaterale della famiglia regnante e governatore a Livorno dal 7 dicembre �67� al giorno della sua morte, il �5 marzo �678��0. Il nonno e il padre di raffello si erano distinti per gli incarichi assunti nell’Ordine, ma anche per le doti dimostrate nello svolgimento di importanti ruoli nell’amministrazione pubblica granducale. Il nonno, di nome raf-faello, dalle vesti di ammiraglio vittorioso in numerosi scontri navali con i turchi era passato a quelle di senatore, commissario generale di pistoia e poi delle Bande ducali, fino ad ottenere dal granduca il marchesato della Castellina. Il secondo, Lorenzo, cavaliere e poi gran connestabile stefaniano, aveva seguito il modello paterno collezionan-do una serie significativa di incarichi a corte e in ambito amministra-tivo periferico: fu senatore e gentiluomo di camera, castellano della fortezza di siena e, infine, commissario di pisa e di pistoia���. Come i suoi predecessori, anche raffaello vestì per giustizia l’abito stefania-no, il 7 febbraio �638���, poi, prima di approdare al culmine della sua

�09 asFi, Mediceo, �80�, II, fra i vari esempi si veda la lettera indirizzata dal granduca al governatore Inghirami e all’ammiraglio delle galere Barbolani del 9 aprile �6�8; quella da Livorno scritta da Inghirami e Barbolani al segretario granducale andrea Cioli, del 6 aprile dello stesso anno.

��0 asFi, Mediceo, ��00, lettera dell’auditore Giacinto Coppi a Bardi del �5 marzo �678. ��� Brevi note biografiche sono reperibili in s.dinasso, Livorno sotto il governatorato di

Don Raffaello Medici, marchese della Castellina (1672-1678), tesi discussa nell’anno accade-mico �99�-93, relatore Carlo mangio, presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di pisa. si veda in particolare il volume II, pp. �8-3�.

��� aspi, Ordine di Santo Stefano, ���, ins.39, non esiste il processo.

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carriera al rango di governatore di Livorno, occupò uffici sia vicini al trono, come quello di gentiluomo di camera e di commissario genera-le della Bande, sia pertinenti al governo del territorio come quello di capitano in diverse città toscane (arezzo, pistoia e Cortona)��3.

per almeno tutto il seicento il possesso dell’abito stefaniano, af-fiancato però ad altri titoli legati all’amministrazione della cosa pub-blica, costituì un elemento distintivo preferenziale nel cursus hono-rum di un governatore, un valore aggiunto che cominciò poco a poco a trarre ragion d’essere non tanto in virtù delle abilità acquisite sulle galere, quanto perché un manto rossocrociato garantiva l’accesso al ceto dirigente e dimostrava il proprio legame con il trono grandu-cale. Un’ulteriore trasformazione si verificò con la dinastia lorenese, la quale utilizzò la religione come luogo privilegiato per la forma-zione di una nuova classe di funzionari e burocrati, abili a servire le crescenti esigenti dello stato leopoldino, oppure come strumento di erogazione di titoli onorifici.

alla perdita del prestigio militare dell’Ordine corrispose anche un inarrestabile declino dell’importanza riconosciuta ai cavalieri e alle lo-ro attività all’interno delle gerarchie di status presenti a Livorno. Nel �73� il capitolo generale stefaniano ricorse addirittura al granmaestro perché si obbligasse l’allora governatore Giuliano Capponi, che non era cavaliere dell’Ordine, a ristabilire l’osservanza della precedenza degli stefaniani durante le cerimonie funebri, una onorificenza ormai ignorata dagli ufficiali del presidio di Livorno, soprattutto quando si trattava di cavalieri non in servizio presso la milizia labronica��4. pochi anni dopo, nel �745, lo stesso Capponi, con una disposizione poi ra-tificata dal sovrano lorenese, abolì il privilegio della «precedenza sia a tavola che al dormire» a bordo delle galere imperiali di cavalieri e carovanisti a favore degli ufficiali più alti in grado delle truppe gran-ducali, e ciò nonostante quanto disposto negli statuti cavallereschi��5.

L’affermazione delle competenze specializzate e della professione sugli antichi privilegi acquisiti segnò la fine delle capacità militari dell’Ordine che divenne compiuta quando, nel �750, le ultime ga-

��3 asFi, Fondo Sebregondi, 3498/a e b, citato in s.dinasso, op. cit., pp. ��-�3.��4 aspi, Ordine di Santo Stefano, 647, Capitolo generale dell’anno �73�, sessione del 4

aprile, delibera 46, cc.�0�r-v.��5 aspi, Ordine di Santo Stefano, 648, Capitolo generale dell’anno �746, sessione del �0

aprile, delibera 53, cc.�08v-��0v.

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lere stefaniane furono smantellate. Tale orientamento, che pur non soppiantò mai del tutto il ricorso ai membri delle nobili oligarchie to-scane, ebbe evidenti riflessi anche sui criteri di scelta dei governatori e degli auditori. Con l’età leopoldina, infatti, si affermò una nuova concezione del Governo della città, non più e non solo espressione di un solo soggetto diretta emanazione del granduca, bensì risultato di un articolato complesso di compiti svolti da più funzionari, seleziona-ti in base alle loro capacità tecniche. In quest’approccio, parte di un più generale progetto di «stato amministrativo»��6, l’abito stefaniano esibito dai governatori livornesi rivestì un significato puramente ono-rifico, era conferito spesso in età adulta quale riconoscimento sociale oppure in virtù di meriti acquisiti nell’esercizio di attività burocrati-che e, sempre più spesso, in assenza di vestizione per giustizia e del-l’esercizio di pratiche militari e di navigazione��7.

1.3.«Essendo tanto necessario per assicurare il nostro buon servizio»: il governatore di Livorno si fa in due

I caratteri principali dell’attività di governo della città, definiti nei primi decenni del secolo XVII, ebbero con Ferdinando II significati-ve ma non eclatanti variazioni di natura istituzionale. Il sistema appa-re fortemente condizionato dalla flessibilità degli spazi di autonomia dell’incarico di governatore, variamente modulati sia dalla volontà del granduca conformemente alle opportunità contingenti, sia dalle capacità personali dei governatori di imporre il proprio modus ope-randi al sovrano ed ai ministri fiorentini pro tempore.

Le nomine dei governatori provvedevano di volta in volta, a secon-da delle occorrenze, ad aggiungere nuove competenze o introdurre correttivi per lo più tesi ad ampliarne il potere. Una importante va-riazione è però attestata nel periodo compreso tra gli anni Quaranta e settanta del seicento, quando le funzioni militari vennero separate da

��6 per un’efficace sintesi sull’evoluzione dell’ordinamento statale toscano in età leopol-dina, L.mannori, Effetto domino, cit., pp. 79-86.

��7 Così, ad esempio, è senz’altro indicativo il caso di Francesco seratti, governatore di Livorno dal �789 al �796. egli vestì il �5 aprile �784 come collatario delle commende confe-ritegli dal granduca con motuproprio del 5 aprile �784, oltre che di altre di sua spettanza ed ereditate dal padre, l’auditore agostino seratti. aspi, Ordine di Santo Stefano, 40�, ins.8.

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quelle civili ed assegnate a due diversi soggetti. Il granduca prese pro-babilmente tale decisione per sopperire all’esigenza di dover ricorrere ad un sostituto durante le assenze del governatore da Verrazzano che garantisse la continuità dell’attività di governo nei suoi aspetti politici, giurisdizionali ed amministrativi. Il generale Lodovico da Verrazzano, infatti, governatore di Livorno dal �64� fino alla morte, nella prima-vera del �647, lasciava frequentemente la terraferma e i compiti legati alla sua veste «civile», altrimenti adempiuti con puntualità ed accura-tezza��8, per salire a bordo delle galere stefaniane e avventurarsi sui mari contro i legni turchi e barbareschi. In tali circostanze, la città era affidata a sostituti temporanei, quali i cavalieri piero Capponi, nei pochi mesi a cavallo tra il �64� e il �643, e angelo maria della stufa, che fu a capo del Governo labronico tra la metà di luglio e la fine di dicembre del �644��9. Dopo i brevi governatorati di Giovanni medici marchese di sant’angelo – che, nominato il primo ottobre �647��0

��8 Così attestava anche Jacopo peruzzi, provveditore alla Fabbrica (ufficio al quale an-davano i fondi destinati alla costruzione della città), al granduca, in data �� marzo �64� a proposito della «estraordinaria diligienza» con la quale il governatore aveva preso a cuore aspetti essenziali per il benessere di una piccola città in rapida espansione quale quelli della «pulizia di Livorno, et l’ovviare al riempimento delle fogne, il tenere levato l’immondizie del-le strade, quale et per la quantità delli habitatori, strettezza delle habitazioni, quantità delli sportelli di botteghe ed accrescimento di Livorno, multiplica ogni giorno», in asFi, Mediceo, �3�4, ins.�, cc.507r-v.

��9 G.vivoli, Annali di Livorno, cit., IV, p. 48�. angelo maria della stufa vestì per giu-stizia l’abito di santo stefano il �5 marzo �6�6 a pera. era figlio di princivalle di pandolfo della stufa e di elisabetta di antonio ridolfi. era nato nel �504 ed aveva in famiglia un altro cavaliere stefaniano per giustizia, alle cui provanze si rimanda, il fratello Giovanni. Da aspi, Ordine di Santo Stefano, 86, ins.�8.

��0 Così recitava la «patente del signor Giovanni de’ medici, marchese di sant’angelo, governatore d’armi e di giustizia di Livorno dell’anno �647» data in Firenze il primo di otto-bre �647: «Ferdinando secondo Gran Duca di Toscana, ricercando il nostro buon servizio che nell’occorrenze presenti del mondo habbiamo nella nostra città di Livorno al comando della piazza et al Governo et amministrazione della giustizia in essa et in tutto il suo capita-nato, persona che per inveterata esperienza militare e per propria natural prudenza possa supplire all’uno et all’altro ministero. et concorrendo in voi: marchese Giovanni de’ medici, del nostro consiglio di stato e presidente di quello di guerra, abbondantemente tutte le parti necessarie, mediante la lunga esperienza mostrata in tante cariche militari esercitate da voi, non solo nell’attual servizio della maestà Cattolica in Italia, Fiandra, spagna, affrica, et ale-magna, ma nel nostro ancora di generale delle nostre artiglierie e di soprintendente generale delle nostre fortezze con intera nostra sodisfazione e vostra lode; Vi abbiamo perciò eletto e deputato et in virtù di questa nostra lettera patente di nostra propria volontà vi elegghiamo e deputiamo per governatore della suddetta nostra città di Livorno e suo capitanato, con l’au-torità, facultà, preminenza e prerogative solite e consuete. e comandiamo perciò al colonnel-lo, sergente maggiore, capitani, offiziali, e soldati di detto presidio et a ministri di giustizia maggiori, e minori et ai castellani delle torri, guardie di marina e della Bocca del porto, sot-toposto a detto Governo come ancora al gonfalonierato e rappresentanti la Comunità della

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e morto il �� marzo del �648���, poté occuparsi di poco altro che terminare le fortificazioni militari della città – e del marchese Cosimo riccardi – giunto a Livorno nell’aprile del �648 e morto di vaiolo il �9 febbraio �649��� – vi fu un certo numero di governatori per i quali la divisione dei compiti civili dai militari fu prevista fin dall’inizio. evidentemente il granduca riconobbe l’opportunità di dotare Livor-no di un soggetto che assicurasse in maniera stabile la propria presen-za ed al quale affidare mansioni prevalentemente legate alla gestione del porto e del centro abitato, con particolare riguardo alla tutela delle attività commerciali. In connessione con quest’esigenza, l’undici novembre �644 Ferdinando II aveva nominato segretario di guerra Domenico pandolfini, conferendogli la soprintendenza su tutte le cose militari e marittime e sui negozi di Livorno e di portoferraio��3. Da tale momento per quasi un secolo, fatto salvo il mai interrotto rapporto diretto con il granduca, il Governo e il tribunale di Livorno ebbero quale unico referente la segreteria di guerra ad eccezione di sporadiche corrispondenze, di non chiaro contenuto e per un breve periodo, coll’auditore di Camera.

Tali disposizioni ebbero importanti ricadute sulla natura della carica di governatore. Fino al �595, era stato il magistrato supremo di Firenze��4 a provvedere alle nomine ed alle lettere credenziali dei

sopradetta città di Livorno, et a qualunque altro magistrato, offiziale, ministro e persona di essa che per tale e come tale vi ricevino, onorino, trattino, et obbediscono per quanto sti-mano le grazie e temano la nostra indignazione, in fede di che habbiamo firmato la presente di nostra propria mano, impressa del nostro solito sigillo e contrassegnata dall’infrascritto nostro segretario di guerra», in asFi, Mediceo, �807, ins.�8, allegato 6.

��� asLi, Comune, �36, cc.8��-8�3.��� La notizia della morte di Cosimo riccardi, già ammalato gravemente da giorni, come si

apprende dalle lettere della moglie Lucrezia Torrigiani al segretario di guerra pandolfini ove sollecitava l’invio a Livorno di un medico fiorentino, fu data dall’auditore Giovanni Lapi, il �9 febbraio �648 (�649). La situazione a Livorno era drammatica a causa di una epidemia di vaiolo particolarmente virulenta. In quello stesso periodo si trovavano malati o in fin di vita anche quasi tutti i funzionari presenti in città, compresi il medico, il provveditore alemanni, ed altri. asFi, Mediceo, ��70, ins.�, cc.n.n.

��3 La patente di nomina di Domenico pandolfini, chiamato a sostituire il defunto alessan-dro Nomi in data �� novembre �644, e nella quale si eleggeva segretario di guerra «et di tutte le cose militari et negotii di Livorno, e delle galere dell’arsenale, di portoferraio et altri annes-si, soliti tenersi uniti con detta carica», si trova in asFi, Mediceo, �807, ins.�8, allegato �.

��4 Il magistrato supremo di Firenze era stato istituito con competenze politiche, am-ministrative e giurisdizionali assai ampie nel �53�, per volere di Cosimo I. In seguito, aveva perso molte delle sue attribuzioni, conservando e consolidando però quelle di un tribunale civile di ultimo appello per il granducato. Inoltre i granduchi medicei ricorrevano a questo magistrato per la formale validazione delle «deliberazioni pubbliche», norme cioè che sareb-

6�

capitani di giustizia di Livorno, che erano stati a capo del governo del borgo livornese fino al �568, e poi dei commissari, loro successo-ri. L’autorità del magistrato era stata interrotta con antonio martelli, il primo – secondo le notizie del governatore settecentesco Giuliano Capponi – ad esser stato designato governatore per patente gran-ducale. Dal martelli in poi, tutti i suoi successori fino alla creazione della segreteria di guerra ebbero il conferimento dell’incarico e la ratifica di qualsiasi atto od ordine che necessitasse superiore avallo, tramite visto granducale o, in misura minore, quello di un suo segre-tario, ma mai facevano riferimento a lettere del magistrato fiorentino. Una lettera del segretario di guerra pandolfini del �5 giugno �630, al governatore pro tempore, rende ancor più esplicito tale concetto:

sua altezza tiene il suo governatore a Livorno per amministrare giustizia a chi gliene dimanda e che codesto Governo non riconosce altri che sua altezza ad-dirittura, e pretendendosi contro di essi cos’alcuna ne faccino ricorso a Vostra signoria Illustrissima. Tanto ho detto al cancelliere di questa Dogana e che se questi magistrati introducessero questo stile [cioè di aver autorità sui fatti livor-nesi] e fosse ammesso, non occorrerebbe che sua altezza tenesse governatore a Livorno��5.

Ne conseguì un preciso ordinamento gerarchico ed istituzionale, basato sull’eccezionalità del sistema labronico e sulla sua sostanziale estraneità alle regole valide nel resto del territorio. I termini esatti di quell’ordinamento restavano definiti da una serie di disposizioni reperibili con difficoltà tra le righe della corrispondenza che il gover-natore teneva con il segretario di guerra. Le indicazioni risultano non troppo esplicite per ragioni di prudenza politica e per non arrecare offesa ai magistrati fiorentini, ma sufficientemente chiare da rendere il governatore, e il suo tribunale, solo ed esclusivamente dipendenti dalla segretaria di guerra e dal sovrano. si tratta di un corpus di or-dini granducali emanati per lo più tra il �646 e il �660��6, ed uno più

bero dovute entrare in vigore su tutto il territorio granducale, tra le quali si includevano le istruzioni per tutti gli uffici subalterni dello stato. G.Pansini, Il Magistrato Supremo e l’am-ministrazione della giustizia civile durante il principato mediceo, in «studi senesi», LXXXV (�973), pp. �83-3�5.

��5 asFi, Mediceo, �807, ins.�8, «Fogli riguardanti e contenenti l’indipendenza che hanno i Governi e tribunali di Livorno e portoferraio da ogn’altro fuori che dalla segreteria di guer-ra».

��6 solo per ricordare uno dei casi più paradigmatici di questo canale privilegiato, si veda questa lettera scritta da Domenico pandolfini, segretario di guerra, al governatore di Livorno

6�

tardo dato in coincidenza con la riforma del sistema giudiziario del �678��7. Vi si sancisce, seppur in modo frammentario e disorganico, la conferma di tutti gli usi, privilegi ed esenzioni delle istituzioni go-vernative labroniche in vigore, nonché l’indipendenza del tribunale di Livorno, sia per il civile che per il penale, dai magistrati fiorentini altrimenti competenti. a Livorno non si ammettevano i decreti dei Conservatori di legge, del magistrato dei pupilli, o dei sei di mercan-zia, né quelli del magistrato delle stinche��8; i bollettini e i salvacon-dotti di esenzione dai debiti restavano privi d’efficacia se non emessi in loco; non potevano eseguirsi lettere od ordini, neanche per la con-segna di presunti rei; il magistrato degli Otto di Guardia e Balia��9

in data �� novembre �654: «subito che si è potuto rappresentare a sua altezza quel che Vo-stra signoria Illustrissima e il signor auditore mi hanno scritto a conto delle lettere inibitorie dei conservatori di legge si è fatto, l’altezza sua m’ha comandato di risponderle che ella ha fatto molto bene a sospenderle come vuole ch’ella sospenda tutte l’altre che le capitassero in queste simili materie fino a nuovo ordine. et io le bacio affettuosamente le mani. sua altezza fa scrivere alla Consulta a Fiorenza che sturi gl’orecchi ai cancellieri de’ conservatori di legge a non scrivere più quelle lettere di quella sorte». Copia conservata in ibidem, allegato n.��, sottolineato nel testo originale.

��7 Nel �678 si emanarono una serie di provvedimenti e norme tese a garantire una rapi-da risoluzione delle cause, evitando la loro prosecuzione per tempi imprevedibili, come spes-so avveniva avocando nuovi appelli presso tribunali differenti (quali soprattutto i conserva-tori e il magistrato supremo) rispetto a quello iniziale. si veda Riforma generale e rinovazione di leggi per tutti i magistrati e iusdicenti ottenuta nel Supremo Magistrato, il dì 12 agosto 1678, Firenze, F.Onofri stampatore, �678. In corrispondenza alle nuove norme introdotte in base alla riforma, da Livorno si reagì con estrema prontezza e, nel giro di poche settimane, si ot-tenne da Firenze piena soddisfazione di quanto richiesto: «Ho visto quanto Vostra signoria Illustrissima si è compiaciuta di rappresentare intorno alla riforma che è stata pubblicata ul-timamente da questo magistrato supremo contro alle consuetudini e prerogative di codesto suo tribunale et andandosi considerando attentamente i motivi che da lei sono stati dati con tanta prudenza in simil proposito, potrà ella fino a che non si sia sentito specialmente qual sia la mende del padrone serenissimo sopra tali materie sospendere gli ordini che le fossero dati da questi magistrati senza le solite accompagnature, con avere solo qualche avvertenza a quelle cose che patissero dilazione, e che potessero pregiudicare le sospensioni notabil-mente ai riti della buona giustizia, non parendo nel resto che costà si possa osservare la detta riforma, nel modo appunto che l’anno distesa, e resto», in asFi, Mediceo, �807, ins.�8, cit., cc.n.n, allegato n.8, copia di lettera scritta dal conte Ferdinando Bardi, segretario di guerra, al governatore di Livorno del Borro in data �4 settembre �678, sottolineato nel testo originale.

��8 si tratta dei principali magistrati centrali dello stato mediceo addetti all’amministrazio-ne della giustizia per il civile.

��9 Il magistrato degli Otto di guardia e balía corrispondeva al più importante tribunale criminale di Firenze istituito fin dai tempi della repubblica, nel �373, composto da otto cit-tadini scelti e titolari di innumerevoli attribuzioni giuridiche e di vigilanza, anche di natura politica. Cosimo I, in realtà, ridusse enormemente i poteri di quest’istituto, trasferendo quasi tutte le attività sui cancellieri, funzionari e altri soggetti di sua nomina diretta. sull’argomen-to, si rimanda a s.dinoto, Gli ordinamenti del Granducato di Toscana in un testo settecen-tesco di Luigi Viviani, milano, Giuffrè, �984, pp. 76-79; a.zorzi, L’amministrazione della

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non aveva alcuna autorità sui delitti comuni di qualsivoglia sorta, sen-za un avallo della segreteria di guerra. Gli ordini granducali riusciro-no a svincolare il governatore non solo dai magistrati di Firenze, ma anche da moltissime delle antiche competenze riservate ai consoli del mare di pisa, seppur al prezzo di aspre lotte e invocando, sempre e comunque, l’ultimativa autorità del granduca�30. Così scriveva infatti il governatore Filippo pandolfini nel giugno del �649 per dirimere a proprio vantaggio un conflitto di competenze giurisdizionali coi con-soli del mare:

Non vi è luogo da disputare, perché i rescritti hanno forza di legge et danno et tolgono la iurisdizione nel suo dominio conforme alla prudenza di Vostra altezza sovrana più e meglio che a lei aggradi. [...]. Il fondamento della conser-vatione di mia iurisdizione è il rescritto di Vostra altezza sovrana�3�.

giustizia penale nella Repubblica fiorentina. Aspetti e problemi, Firenze, Olschki, �988 ed in-fine a D.ediGati, La ‘tecnicizzazione’ della giustizia penale: il magistrato degli Otto di guardia e balia nella Toscana medicea del primo Seicento, in «archivio storico Italiano», 3 (�005), pp. 485-530 ed alle fonti ivi indicate.

�30 Una breve sintesi della progressiva espansione delle competenze governatoriali a danno della giurisdizione del tribunale dei consoli del mare e della ruota di Firenze, con l’indica-zione dei successivi rescritti emanati dai granduchi prima a favore dei capitani di Livorno nel �553 e �556, poi ampliata al capitano di Livorno, nel �577, fino alla disposizione per il governatore in carica nell’aprile del �6�3 Giulio Barbolani, si trova in asLi, Comune, 3, cc.77-83.

si scriveva, in una memoria più tarda, ma estremamente pertinente proprio in merito all’evoluzione dei rapporti col tribunale pisano: «serenissimo signor principe, la differenza maggiore tra il tribunale di Livorno e li consoli di mare di pisa pare si restringa agl’infrascrit-ti capi: pretendono detti consoli in virtù d’antichi loro ordini esistenti in quella Dogana esser cognitori generalmente di tutte le cause marittime che nascono in Livorno, la qual cosa quan-to anticamente sia stata non si trova già mai praticata, e massime quando la città di Livorno fu ridotta in governo con i suoi ministri et un auditore legale. e se si dovesse praticare che i consoli dovessero esser cognitori di tutte le cause marittime di Livorno d’ogni sorte, sarebbe superfluo il tribunale in detto luogo, giacché tutti i negozi e cause e differenze che succedono hanno dependenza in qualche modo da negozzi marittimi, si che resta sopra alcun fondamen-to la suddetta prima pretensione.[...]. parrebbe dunque che havuta considerazione allo stato presente nel quale già tanti anni si trova il Governo di Livorno con tanta popolazione accre-scimento e nuovi ordini circa l’amministrar giustizia, non solamente alli mercanti abitanti, come alli padroni di navilii e barche, che dalli consoli di mare non si dovessero suscitare novità così pregiudiziali a questa città e porto; massime d’ordini che sono andati in dissuetu-dine, né ci è memoria sieno stati praticati, ma si bene osservarsi quanto sopra si è detto e che ciascheduno si mantenga entro i limiti et ordini dello stato e tempo presente». asFi, Medi-ceo, �8�8, ins.n.n., «Informazione circa le cause spettanti al tribunale di Livorno o ai consoli di pisa», s.a., s.d. sui consoli del mare di pisa, si veda a.addoBBati, La giurisdizione maritti-ma e commerciale dei consoli del Mare in età medicea, in Pisa e il Mediterraneo. Uomini, mer-ci, idee dagli Etruschi ai Medici, a cura di m.Tangheroni, milano, skirà, �003, pp. 3��-3�5.

�3� asFi, Mediceo, �8�4, ins.5, cc.46�r e 49�r, lettera del governatore di Livorno Filippo pandolfini al granduca, in data �5 giugno �649 a proposito delle competenze giurisdizionali

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In questo, come nella pressoché totalità dei casi nel processo di costruzione delle prerogative governatoriali della città labronica, si assiste all’introduzione di prescrizioni sovrane estemporanee e granu-lari, niente a che vedere con riforme – come sarebbero state quelle di stampo settecentesco – introdotte in base ad un progetto di vasto re-spiro�3�. si trattò piuttosto di singoli rescritti, provvedimenti chirurgici, ma non per questo meno significativi ed efficaci, un modus agendi ca-ratteristico del regime mediceo già messo in evidenza dalla storiogra-fia in merito alla natura dei meccanismi di adeguamento attuati verso le altre istituzioni giuridiche e politiche del granducato�33.

Di fatto, come diretta conseguenza, si andò ridefinendo l’istituto governatoriale attraverso una graduale ma decisiva evoluzione di un ruolo legato in prevalenza a compiti di natura strategico-militare in senso politico-diplomatico. per compensare questo differente orien-tamento del governatorato, si ritenne quindi opportuno affiancargli un altro soggetto, investito invece in via esclusiva delle competenze militari, e quindi libero di poter seguire a bordo delle galere stefania-ne e di quelle medicee le strategiche operazioni belliche, di corsa e antipirateria.

La documentazione relativa al periodo è piuttosto avara di detta-gli, ma è certo che a fianco di Filippo pandolfini, governatore per il civile a partire dal �0 marzo �649�34, si trovava il colonnello miniato miniati di Costantinopoli, il quale in qualità di governatore per l’armi continuò ad essere il referente per gli affari militari (occupandosi cioè prevalentemente degli aspetti marittimo-strategici quali la vigilanza sui movimenti di galere armate nei pressi di Livorno, il coordina-mento dei castellani della costa, la risoluzione degli scontri con galere barbaresche e così via) anche sotto il successore di pandolfini, agno-lo acciaioli.

tra governatore e consoli del mare di pisa, contro la pretesa dei consoli di avocare i diritti sulle cause contro ebrei residenti a Livorno.

�3� e.fasanoGUarini, Lo Stato di Cosimo III. Dalle testimonianze contemporanee agli attuali orientamenti della ricerca. Note introduttive, in La Toscana nell’età di Cosimo III, Fi-renze, edifir, �993, pp. ��3-�36 e in particolare p. �3�.

�33 m.verGa, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo III (1670-1723), in La Toscana nell’età di Cosimo III, cit., pp. 335-354. si veda anche F.colao, La giustizia criminale come momento di identità dello Stato toscano. Note storiografiche, in La Toscana in età moderna, pp. ��9-�75 e in particolare p. �4� e le indicazioni bibliografiche ivi suggerite.

�34 In realtà la presa di possesso e l’insediamento a Livorno avvenne solo il �4 aprile �649, asLi, Comune, �36, cc.8��-8�3.

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Il governatore pandolfini successe al riccardi dopo circa due me-si di vacanza del posto, durante la quale il comandante Colonna fu investito dell’attività ordinaria militare e l’auditore Lapi del governo civile. La documentazione che riguarda questo governatore testimo-nia ancora una volta quanto fosse importante appoggiare il potere governatoriale su di un diffuso consenso popolare, quasi un requisito essenziale per poter amministrare la città. pandolfini prese possesso della carica con la trasmissione della lettera granducale d’incarico al colonnello titolare del governo militare, e la consegna di tutta la documentazione relativa al governo civile dall’auditore. I contem-poranei prestarono particolare attenzione al fatto che la notizia di questa designazione fosse stata «da questi popoli estraordinariamente con applauso commendata» e il suo arrivo, nella notte del �3 aprile, salutato da «segni di allegrezza grandissimi» ed accolto «con applau-so universale» dalle visite «di molti di questi signori e ministri»�35. Questa attenzione per il gradimento dimostrato dalla città trova ri-scontro nel crescente interesse del granduca a nominare per tale inca-rico soggetti che sapessero riscuotere l’approvazione della collettività livornese e che fossero capaci di ottenere così una più solida ratifica dell’autorità dell’ufficio.

Contestualmente, si provvide a sostituire l’auditore Lapi con ales-sandro Vettori, secondo l’uso di cambiare l’auditore assieme al go-vernatore, e ciò non tanto dietro richiesta di quest’ultimo di essere affiancato da una persona di propria fiducia, ma per lo più per auto-noma decisione del granduca e della segreteria di guerra, riscuotendo tuttavia in genere la piena soddisfazione del governatore medesimo, come in questo caso�36.

Le priorità che improntarono la sua azione di governo sono ben articolate in una lettera del �649 che pandolfini indirizzò al segre-tario di guerra, nella quale descriveva la situazione delle carceri e il

�35 asFi, Mediceo, ��70, ins.�, cc.n.n., l’auditore Lapi al segretario di guerra pandolfini, il �� marzo �848 (�849); ibidem, il commissario pepi, sempre al segretario pandolfini, il �4 aprile �649; ibidem, il governatore al segretario di guerra, il �4 aprile �649.

�36 Filippo pandolfini, infatti, in data 9 maggio si rallegrava col segretario per l’avvenuta sostituzione, il Vettori si era infatti subito «adattato conforme al bisogno di questa città, perché oltre all’essere sollecito ed assiduo, procura la spedizione delle cause più per via di concordie e di stagli, che per via di processi e sentenze, ed ha da lavorare dì e notte essen-doci molte cose addormentate», in ibidem, il governatore Filippo pandolfini, da Livorno, al segretario di guerra, il 9 maggio �649.

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clima di inefficienza e di criminalità che gravavano sulla città. per prima cosa, il nuovo governatore avrebbe provveduto alla salubrità ed alla pulizia di Livorno, e a riformare il sistema carcerario�37. a lui si deve il consolidamento, richiamando quanto già in uso a Genova, del neoistituito magistrato di sanità�38, nel tentativo di porre rimedio alla grave epidemia che stava falcidiando la popolazione livornese, soprattutto i bambini, come segnalavano le drammatiche note dei decessi che il governatore inviava mensilmente a Firenze (solo nel-l’agosto �649 si contarono 506 morti, dei quali �93 bambini). Non sappiamo, nel dettaglio, quali attività furono portate a termine dal governatore pandolfini nel corso del suo incarico, di certo seppe es-sere di grande utilità alla città. Con pari determinazione, pandolfini fece fronte alle proteste giurisdizionali avanzate da quanti misero in dubbio l’autorità governatoriale in città, soprattutto la «nazione» ebrea�39, e altri magistrati granducali, dal tribunale del sale o da altri uffici fiorentini�40. In particolare, i conflitti derivarono dal fatto che la separazione delle attività tra governatore di giustizia e governatore d’armi non era sufficientemente chiarita dalle istruzioni sovrane, no-nostante le patenti granducali lasciassero apparentemente ben distinti i due piani specifici d’intervento, e ciò non consentiva una facile con-

�37 «Noi abbiamo qua otto persone in segrete da gennaio in qua, per causa d’omicidio e d’assassinio, a cinque de’ quali non è stato mai detto niente, gl’altri tre esaminati non hanno dato campo alla corte di procedere molto avanti per mancamento di provazioni o indizi. [...]. si è messo mano a votar le carceri con quella speditione che si può e tuttavia si va facendo, e se si ottiene questa facoltà, come vostra signoria illustrissima vede, se ne sgabbieranno pa-recchi. pregola bene a spedir presto il negozio, acciò non fugga l’occasione. procuro adesso per la vegnente state di trovar modo di nettare Livorno dall’immondizie, nelle quali è molto trascorso, e spero che si rimedierà», in ibidem, il governatore Filippo pandolfini, da Livorno, al segretario di guerra, il �8 aprile �649.

�38 sull’ufficio e magistrato alla sanità, istituzione di grande importanza a Livorno, e sul ruolo strategico che mantenne nell’ambito della storia economica e sanitaria locale per tutto il XVII secolo, si rimanda a quanto già egregiamente ricostruito da C.m.ciPolla, Il burocra-te e il marinaio. La «Sanità» toscana e le tribolazioni degli inglesi a Livorno nel XVII secolo, Bologna, il mulino, �99�, e in particolare pp. 35-39.

�39 «Io non studio in altro se non di tener ben affetta questa natione, e gli lasso andare tre pan per coppia, [...], ma la loro audacia e la credenza che trovano li fa diventare insoppor-tabili. Ora veda da questo caso s’io dico il vero e se ho ragione di dolermi». si attendeva la visita del granduca a Livorno per spiegarsi a voce, intanto si mandava una memoria sulle «oltraggiosità» degli ebrei degli ultimi quattro mesi. asFi, Mediceo, ��73, I, lettera del go-vernatore pandolfini al granduca del �� marzo �65� (�65�).

�40 «e quanto al conservar la giurisdizione di questo governo, vostra signoria illustrissima non si dubiti, e tanto maggiormente quando si cammina con la ragione», in asFi, Mediceo, ��70, ins.3, cc.n.n., il governatore al segretario di guerra, il �6 agosto �649. sul magistrato di sanità, in data 8 giugno �649, in ivi, ins.4.

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vivenza fra i due uffici, né una fluida esecuzione dei compiti necessari alla gestione del governo cittadino in molti suoi aspetti.

Filippo pandolfini fu esonerato dall’incarico a seguito di gravi pro-blemi di salute che lo avrebbero portato alla morte pochi anni dopo. Fin dal �0 maggio del �65�, impossibilitato a lasciare Livorno per un violento attacco di gotta, si mise a disposizione del nuovo nominato, il senatore acciaioli, ricevendolo personalmente per facilitarne l’inse-diamento in città il 6 giugno successivo�4�.

Dalla patente d’incarico del nuovo governatore di giustizia, in data �5 maggio �65�, si evincono notizie interessanti sul curriculum pre-gresso di questo governatore e sulle ragioni che avevano portato a quella scelta:

Ferdinando secondo, per grazia di Dio granduca di Toscana, ricercando il no-stro buon servizio che nella città di Livorno e suo Capitanato sia amministrata la giustizia, tanto civile, che criminale, da persona che per inveterata esperienza e per propria natural prudenza possa supplire a ministeri di tanta qualità, e riconoscendo in voi, senatore agnolo acciaioli, abbondantemente tutte le parti necessarie, come ne havete dato saggio non solo nelle cariche esercitate da voi nelli stati nostri, ma ancora negl’offizi conferitivi nella propria città di Fiorenza, e sempre con intera nostra satisfazione e vostra lode, vi habbiamo perciò eletto e deputato, et in virtù di questa nostra lettera patente vi elegghiamo e deputiamo per governatore della suddetta nostra città di Livorno, e suo capitanato�4�.

ancora una volta invece non apparivano ben definiti, i due ruoli di governatore di giustizia e di governatore dell’armi. all’acciaioli si af-fidava l’amministrazione della «giustizia civile e criminale», e si assi-curava almeno una formale supremazia rispetto ai gradi militari, visto che il granduca ordinava espressamente al governatore dell’armi, il colonnello miniati, e ad ogn’altro ufficiale, soldato o altro carico mi-litare, «che per tale e come tale vi riconoschino, ricevino, honorino, trattino, et obbediscono, perché tale è la nostra espressa volontà»�43. Ciò non rimediava al fatto che il miniati restava dotato di un potere assai ampio, essendo colonnello della piazza di Livorno e anche del

�4� Tutto in asFi, Mediceo, ��73, scatola I, cc.n.n., lettere di Filippo pandolfini al ministro di guerra Domenico pandolfini in data �8 e �� maggio �65�, e di angelo acciaioli, sempre al ministro pandolfini, del 7 giugno �65�.

�4� «patente del senatore agnolo acciaioli, governatore di giustizia di Livorno dell’anno �65�», in data �5 maggio �65�, asFi, Mediceo, �807, ins.�8, allegato 7.

�43 «patente del senatore agnolo acciaioli», cit.

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reggimento dell’infanteria alemanna, e che questo sarebbe stato al-l’origine di non pochi conflitti d’autorità tra i due soggetti.

acciaioli rimase solidamente a capo delle sue funzioni, nonostante alcuni periodi di malattia, per poco più di due anni e mezzo. Nono-stante la breve durata dell’incarico, questo governatore riuscì a con-solidare attività ed aspetti diversi della vita della città: avviò provve-dimenti per la sanità pubblica, accelerò la soluzione dei casi pendenti e si fece promotore di diverse iniziative che andarono dal controllo della moneta circolante�44, alla opportunità di assicurare approvvigio-namenti alimentari primari (fra l’altro provvide con un nuovo bando ad un miglior regolamento del magistrato della Grascia e del mercato pubblico delle vettovaglie), nella consapevolezza di «quanto questo luogo si governi necessariamente con differenza dagl’altri»�45. È vero però che il governatore acciaioli fu soprattutto attivo in una nuova funzione tesa a conciliare la tutela degli interessi del granducato con la necessità di garantire i privilegi delle «nazioni» presenti a Livorno, soprattutto se si trattava dei principali attori mercantili dell’epoca cioè gli inglesi, i fiamminghi ed olandesi, i francesi e, ovviamente, gli ebrei�46, senza dimenticare i rapporti con i rappresentanti delle corti

�44 accurati studi sulla circolazione monetaria a Livorno in e.stUmPo, La circolazione monetaria nella piazza di Livorno: le monete toscane e quelle forestiere, il corso dei cambi, in Merci e monete a Livorno in età granducale, a cura di s.Balbi de Caro, milano, silvana edito-riale, �997, pp. �4�-�45.

�45 asFi, Mediceo, ��73, I, cc.n.n., lettera di angelo acciaioli al ministro Domenico pan-dolfini, del �6 agosto �65�, relativa al regolamento e modo da usarsi a proposito della vendi-ta di farine e pani, sostenendo l’utilità di non fissare alcun calmiere conformemente a quello che era stato l’uso fino a quel momento, e ibidem, II, cc.n.n., lettera del �7 settembre �65�, proposte del governatore per esaurire una quantità notevole di «quattrini cattivi» circolanti in città.

�46 sulle comunità mercantili inglese e fiamminga a Livorno si rimanda a G.PaGanodedivitiis, Mercanti inglesi nell’Italia del Seicento. Navi, traffici, egemonie, Venezia, marsilio, �990; m.c.enGels, Merchants, Interlopers, Seamen and Corsairs. The «Flemish» Communi-ty in Livorno and Genoa (1615-1635), amsterdam, Hilversum, �997; a.Hirst, La politica inglese dei convogli nel Mediterraneo tra fine ’600 ed inizi ’700, con particolare riferimento al porto di Livorno, in «Nuovi studi Livornesi», 6 (�998), pp. 49-66; s.villani, I consoli della nazione inglese a Livorno tra il 1665 e il 1673: Joseph Kent, Thomas Clutterbuch e Ephraim Skinner, in «Nuovi studi Livornesi», �� (�004), pp. ��-34 e m.d’anGelo, Mercanti inglesi a Livorno, cit. Uno splendido esempio in grado di illustrare le attività commerciali della comu-nità inglese di Livorno ed i rapporti che intercorsero fra Inghilterra e granducato di Toscana è fornito da G.GiUsti, Il Granducato di Toscana e il “caso Plowman”: la difesa della neutralità e la crisi con l’Inghilterra (1696-1707), tesi specialistica discussa nell’a.a.�007/08, relatore professor Franco angiolini, presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di pisa. per un quadro generale, si veda soprattutto J.p.filiPPini, Il porto di Livorno e la Toscana (1676-1814), Napoli, �998. sugli ebrei, si rimanda a L.frattarellifiscHer, Fuori dal ghetto, cit.

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estere che, in diversa misura, entravano a gran voce in questo com-plesso gioco di equilibrismi. In questa fase, i compiti del governatore labronico erano ancora fissati, oltre che dal granduca, al quale, sem-pre molto ben informato sui fatti, spettava l’ultima parola nei casi più spinosi, dalle puntuali istruzioni impartite volta per volta dalla segreteria di guerra. La crescita della città e del volume dei traffici del porto imponeva però di prestare grande attenzione all’immagine del governatore, soprattutto rispetto alla percezione che se ne doveva dare in campo internazionale, in modo che apparisse un referente au-torevole e non un semplice esecutore di ordini.

Tra gli esempi più interessanti in questo senso vi è un’istruzione inviata dal segretario di guerra pandolfini all’acciaioli nell’aprile del �65� tesa a chiarire un conflitto sorto tra inglesi e fiamminghi, una divergenza puntuale ma significativa nel complesso scenario che vide in quegli anni le due potenze marittime scontrarsi in più occasioni ai fini dell’egemonia sul mediterraneo. L’istruzione per il governatore labronico conteneva una serie di capitoli sulle garanzie riconosciute agli inglesi in materia di accesso al porto in merito alla sanità, della vendita di merci predate, dell’approvvigionamento dei vascelli di ogni sorta di provviste e munizioni senza dover renderne conto alla dogana, e così via. si tratta di una attestazione dell’obbligo di comu-nicare con i consoli ed altri rappresentanti esteri solo per via verbale, senza lasciare tracce scritte di sorta, disposizione che divenne un vero e proprio cardine nella politica delle relazioni internazionali facente capo al governatore livornese:

Dico in voce, se sarà possibile, che il signor Carlo [Longland] si contenti haverle di così e potrà leggerli anco capitolo per capitolo. e se non si sodisfacesse della lettura, e ne volesse pigliar copia di sua mano, si contenta sua altezza che ella gliela lassi pigliare et io nel risponderò a Lui, mi rimetto a quanto sentirà da Vostra signoria Illustrissima come vedrà, venendo aperta�47.

�47 asFi, Mediceo, ��73, II, cc.n.n., lettera di Domenico pandolfini al governatore an-gelo acciaioli, del 4 aprile �65�. Un analogo procedimento, di tema affine seppur riferita ai rapporti con il console olandese a seguito di un attacco di una nave da guerra olandese contro un piccolo naviglio inglese, in palese violazione delle leggi della neutralità del porto, è conservata in ibidem, lettera di Giuseppe Gondi, segretario di stato, all’acciaioli, da Firenze li �6 agosto �65� e altra di pandolfini allo stesso del 3� agosto successivo. sul Longland, facoltoso mercante inglese, si rimanda a s.villani, «Se è vero secondo Galileo che il mondo ha suo moto quotidiano, non è da maravigliarsi della instabilità d’ogni cosa in esso…». Charles Longland: un «rivoluzionario» inglese nella Livorno del ’600, in Religione, cultura e politica nell’Europa dell’età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di C.Ossola-

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analoghe istruzioni furono inviate all’acciaioli dal granduca medi-ci nell’agosto successivo perché ne concordasse l’osservanza anche da parte dei fiamminghi, rivendicando il rispetto della neutralità del por-to labronico e minacciando altrimenti di non garantire più a Livorno alcuna tutela per le imbarcazioni commerciali o da guerra olandesi, «non intendendo sua altezza di mettersi in maggiori imbarazzi per chi recusa di osservare le leggi della buona corrispondenza»�48.

Un altro momento essenziale per l’affermazione dell’autorità go-vernatoriale a Livorno si ebbe in occasione dello scontro giurisdizio-nale con l’ufficio delle galere. Le competenze delle differenti cariche deputate al controllo sulle forze marittime presenti nel porto labro-nico erano, come visto precedentemente, soggette a una certa fles-sibilità e caratterizzate da confini piuttosto labili ed intercambiabili, soprattutto a seconda di chi erano i soggetti chiamati a ricoprirle. acciaioli rivendicò con energia l’autorità di procedere nei confronti degli equipaggi contro le pretese dei ministri del Bagno delle galere. Nel caso specifico, il governatore aveva sottoposto a castigo un ma-rinaio, il quale aveva commesso reato, ma non a bordo della propria imbarcazione. Inoltre, anziché farlo frustare all’interno del Bagno co-me si pretendeva, lo aveva punito pubblicamente per dare un esem-pio a tutti e conservare il rispetto delle pattuglie e della soldatesca. «e se la mia autorità in simil materie non ha a esser minore di quella de’ miei antecessori, come sono stato accertato quando sono venuto a questo governo, (cosa che non credo)», scriveva al pandolfini, tale diritto non poteva essere contestato e «non esco dalla parte che mi s’aspetta», come dimostrava allegando una buona quantità di esempi analoghi dei tempi dei governatori pandolfini, montauti e Capponi a sostegno della propria posizione. Questi riferimenti alle facoltà at-tribuite ai propri predecessori, così come alle indicazioni ricevute al

m.Verga-m.a.Visceglia, Firenze, Olschki, �003, pp. 59�-607, e Id., I consoli della nazione inglese a Livorno, cit., pp. �5, �6. Imprescindibile, per ricostruire la temperie dell’epoca e la difficoltà dei rapporti tra inglesi ed olandesi, ricordare lo scontro tra le due potenze navali avvenuto nel �653 proprio di fronte alle coste livornesi, vedasi m.C.enGels, La battaglia per l’egemonia nel Mediterraneo. Una ricostruzione dello scontro fra inglesi ed olandesi presso Livorno (14 marzo 1653), in «Nuovi studi Livornesi», XIV (�007), pp. 4�-5�.

�48 asFi, Mediceo, ��73, II, cc.n.n., Giuseppe Gondi, su indicazione del sovrano, al go-vernatore di Livorno acciaioli, Firenze �6 agosto �65�. Il casus belli fu l’attacco perpetrato da una nave da guerra olandese contro una piccola imbarcazione commerciale inglese al-l’uscita dal porto labronico. Utili note anche in m.T.lazzarini, La battaglia del Fanale nella pittura di mare in Toscana, in «Nuovi studi Livornesi», III (�995), pp. �45-�83.

7�

momento della propria presa di servizio, attestano una volta ancora quanto l’incarico governatoriale nelle sue precise competenze fosse lasciato alle capacità degli uomini che erano chiamati a svolgerlo, e al valore della consuetudine, il compito di stabilirne gli esatti termini. Ciò che l’acciaioli voleva fosse ben chiaro, era la certezza della supe-riorità gerarchica del governatore rispetto alle altre cariche presenti in città e della propria responsabilità nell’assicurarvi la tranquillità e la pace, cosa che gli conferiva di conseguenza la potestà di interveni-re contro chiunque le avesse messe in pericolo, inclusi ovviamente gli equipaggi delle galere:

Non credo che il Bagno sia di maggior stima che le fortezze, eppure se li soldati fanno qualche misfatto fuori di esse fortezze, questi comandanti me li rimettono, come segue per tutti gl’altri governi. Consideri come tornerebbe bene al buon servizio della città e quel che potrebbe importare che gente di galere e marinari perturbassero la quiete di essa senza che il governatore li potessi castigare, come se fosse già un semplice podestà�49.

Il pandolfini, per appianare la crisi, interpellò l’ammiraglio achille sergardi, il quale, forte della sua lunga esperienza di oltre trent’anni a Livorno, sostenne che «li governatori non ave[vano] autorità di castigare la gente arrolata al servitio delle galere». al contrario, que-sti dovevano rimettere eventuali cause ai ministri a capo di esse, e solamente nell’eventualità di cause miste, dove cioè fossero coinvolti membri di equipaggi ed altri non arruolati a bordo, il processo era gestito dall’«auditore di palazzo» (cioè l’auditore del governatore) oltre che dall’auditore delle galere, cariche che all’epoca erano per di più assolte dal solo auditore del governo Cepparelli. «e non mi par che ci calzi punto il paragone che fa nella sua lettera il medesimo signor acciaioli fra il Bagno e le fortezze», aggiungeva l’ammiraglio, perché le due situazioni erano completamente differenti e non sog-gette allo stessa giurisdizione. Né aveva senso quanto sosteneva il go-vernatore di dover avere l’autorità di punire «gente di galera» perché altrimenti, oltre ad esser degradato a livello di semplice potestà, se ne ostacolava la capacità di mantenere l’ordine a Livorno. Tutt’altro: in

�49 asFi, Mediceo, �4�8, cc.n.n., «Differenze di giurisdizione tra il governatore di Livorno e l’officio delle galere», lettera di governatore agnolo acciaioli a Domenico pandolfini, del �6 marzo �653 (�654).

7�

tal modo si sarebbero invece gravemente danneggiati gli ufficiali delle galere, privandoli dell’autorità sugli equipaggi.

par che sua altezza non habbia fra chi lo serve altri ministri che possin fare la giustizia che li governatori di Livorno, e pure i commissari di pisa lassano stare li cavalieri e scolari, et a mio tempo il signor don pietro et il signor marchese montauti, quando erano governatori e che erano sei galere, le quali per lo più stavano armate sette mesi all’anno con 600 soldati et altri tanti fra marinari e maestranze, si contentavano non toccar la gente arrolata sopra alle galere, e non so che perturbassero mai la quiete di quel luogo, dovendosi credere che ogn’uno debba haver per fine il buon servizio di sua altezza, e se qualche mi-nistro mancasse al debito suo crederei che si dovesse levarlo più tosto che dimi-nuire l’autorità alla carica, puol dunque contentarsi il signor acciaioli di lassar gastigar questa poca di gente delle galere che c’è rimasta alli offiziali di esse, la quale se da due tribunali ha da poter esser gastigata, io torno a dire che dubia grandemente che perderemo i migliori uomini che haviamo, con risico di man-dare in terra a fatto le galere�50.

sergardi metteva in evidenza sostanziali differenze tra i governatori passati. Gli episodi che avvaloravano le pretese di acciaioli erano av-venuti, a suo dire, «in tempi di ministri [delle galere] deboli», mentre i «governatori assoluti» (cioè il da Verrazzano e i marchesi Giovanni medici e Cosimo riccardi, governatori per civile e il militare, e non solo per il civile come l’acciaioli), non avevano esercitato mai tale autorità sui pur non pochi casi mossi contro equipaggi di galere. Nemmeno il vicerè di Napoli «metteva mani in persone delle galere», mentre:

In Civitavecchia so che quel governatore non ha autorità di gastigare la gente di quelle galere con tuttoche ci vadino in quella carica per lo più cavalieri prin-cipali et in nessun luogo non so che si pratichi, e questo auditore di Livorno so che m’ha detto servire e per il palazzo e per le galere, ma le cause di queste differenziarle�5�.

La versione offerta da sergardi, ove risalta il rimpianto per i tempi in cui la flotta armava ben sei galere per parecchi mesi all’anno, e la sua appassionata difesa della giurisdizione dell’ammiraglio contro l’acciaioli, costituiscono un segno evidente di quanto ormai il go-vernatore aveva assunto pienamente il suo ruolo, consolidandosi in

�50 Ibidem, lettera dell’ammiraglio achille sergardi a Domenico pandolfini, siena, �� mar-zo �653 (�654).

�5� Ibidem.

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quella che di lì a poco sarebbe stata la maggior carica periferica del granducato.

Nello stesso periodo fu definito anche l’ufficio dall’auditore del governo, al tempo rocco Cepparelli, ben più di un consulente per le materie legali e giurisprudenziali. egli infatti, anche in conseguenza delle frequenti malattie dell’acciaioli, fu chiamato a garantire l’effi-cace esecuzione del servizio, portando a termine anche incarichi assai delicati sotto la guida delle precise indicazioni del segretario di guer-ra�5�. I primi auditori furono designati ed investiti in virtù ed in nome del granduca e della segreteria di guerra, pur restando la carica par-ticolarmente legata al gradimento del governatore. Infatti, come già avvenuto in passato, con la scomparsa dell’acciaioli, il Cepparelli si raccomandò al ministro fiorentino perché si perorasse la propria atti-vità presso il nuovo governatore, il senatore antonio serristori: «con questo signore – scriveva Cepparelli – io non ho alcuna conoscenza, di maniera che ho bisogno della protezione di Vossignoria Illustrissi-ma e di questo la prego con tutto l’animo» �53. a partire dalla nomina dell’auditore patrizio Cervoni, che sostituì il Cepparelli nel �658, il mandato e decreto di nomina dell’auditore di Livorno fu pubblicato dal magistrato supremo di Firenze. In tal modo, pur senza con ciò riconoscere al detto magistrato alcuna partecipazione alla decisio-ne, né giurisdizione accessoria a quella della segreteria di guerra, si provvedeva a comunicare alla ruota�54 ed agli altri giudici fiorentini – in assenza di un motuproprio granducale più esplicito in tal senso – «che le sentenze di questo giudice [l’auditore] che essi in grado

�5� si veda, a titolo di esempio, in asFi, Mediceo, ��73, II, cc.n.n., lettera di Domenico pandolfini all’auditore rocco Cepparelli del �6 novembre �65�, nella quale il ministro fio-rentino si raccomanda alla prudenza del Cepparelli per la soluzione dei perduranti conflitti anglo-olandesi, oltre all’espletamento degli affari più urgenti. L’acciaioli versava a letto gra-vemente ammalato.

�53 asFi, Mediceo, �4�8, cc.n.n., lettera di rocco Cepparelli al segretario di guerra pandol-fini, in data �� dicembre �654.

�54 La ruota o «rota» di Firenze, ideale prosecuzione del consiglio di giustizia creato in epoca repubblicana, costituì per tutta l’età medicea, e ancora nella prima età lorenese, il supremo tribunale civile del granducato. per ruolo, competenze ed evoluzione di questa magistratura, vedasi G.Pansini, La Ruota fiorentina nelle strutture giudiziarie del Granducato di Toscana sotto i Medici, in La formazione storica del diritto moderno in Europa, Firenze, Olschki, �977, II, pp. 533-579 e e.fasanoGUarini, I giudici della Rota di Firenze sotto il go-verno mediceo (problemi e primi risultati di una ricerca in corso), in Convegno di studi in onore de giurista faentino Antonio Gabriele Calderoni (1652-1736), Atti del convegno di Faenza del 10 aprile 1988, Faenza, società Torricelliana di scienze e Lettere,�989, pp. 87-��7.

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d’appello riveder dovevano, erano legittime, canoniche e procedenti da una potestà ordinaria»�55.

1.4. Ascesa ed affermazione del potere dei governatori di Livorno

alla morte di acciaioli, la notte del �3 novembre �654�56, si aprì un lungo periodo di vacanza della carica governatoriale. per tamponare la situazione, l’auditore Cepparelli fu addetto all’ordinaria ammi-nistrazione in qualità di luogotenente di giustizia. Il �0 novembre �655 giunse finalmente a Livorno «l’avviso sicuro della publicazione di questo governo nella persona del signor senatore antonio ser-ristori»�57. Nonostante la premura del Cepparelli nel congratularsi con il patrizio fiorentino per la prestigiosa nomina, non altrettanto solerte fu quest’ultimo nel recarsi a Livorno, dove giunse, ritardato anche da motivi di salute, ai primi di febbraio del �656. a fianco del serristori, che mantenne l’incarico di governatore per il civile per poco meno di vent’anni, succedettero diversi governatori per l’armi. Il primo fu il sergente generale miniato miniati. I rapporti tra i due governatori non furono però all’insegna della più schietta collabo-razione, a causa prevalentemente dall’atteggiamento prepotente del miniati il quale, dotato di tale incarico oramai da moltissimi anni, non perse occasione per tentare di estendere le proprie prerogative ai danni del collega. Il serristori però godeva della fiducia del segre-

�55 asFi, Mediceo, �807, ins.�8, «Fogli riguardanti l’indipendenza che hanno i governi e tribunali di Livorno», cit.

�56 L’auditore rocco Cepparelli riferì con gran cura al segretario di guerra Domenico pan-dolfini tutta la malattia e le fasi della morte del governatore acciaioli, fino alla comunicazio-ne del decesso, in asFi, Mediceo, �4�8, cc.n.n.

�57 asFi, Mediceo, ��78, I, ins.4, rocco Cepparelli al conte Federigo Bardi, segretario di guerra, da Livorno, li �0 novembre �655.

antonio serristori era figlio del nobile senatore fiorentino Luigi. si hanno poche notizie su questo personaggio, nè è stato possibile trovare la sua apprensione all’Ordine di santo stefano, seppur sia chiaramente indicata nei documenti la sua appartenenza alla religione, per giustizia. maggiori informazioni sulla sua nobile casata sono reperibili in D.tiriBilli-GiUliani, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, Firenze, melchiorri, �87�, tomo 3, p. �8�; m.aGlietti, Le tre nobiltà. La legislazione del Granducato di Toscana (1750) tra Magistrature civiche, Ordine di Santo Stefano e Diplomi del Principe, pisa, eTs, �000, p. �47 e V.sPreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, milano, �9�8-�956, VI, pp. �84-�87. Una interessante annotazione quanto alla condotta del serristori verso le minoranze religiose pre-senti a Livorno in s.villani, Tremolanti e papisti. Missioni quacchere nell’Italia del Seicento, roma, edizioni di storia e Letteratura, �996, pp. 38-4�.

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tario di guerra Ferdinando Bardi�58, che non esitò, già nel novembre del �657, a valutare sull’opportunità di trovare un sostituto all’ormai troppo ambizioso generale. «La lunga dominazione per ordinario rende gli huomini più avidi di estendere la loro autorità», scriveva il segretario, riflettendo sulla possibilità di risolvere l’ormai annosa questione della difficoltà di conciliare poteri e competenze tra i due governatori.

I soldati misurano il più delle volte le cose più con il capriccio che con la ragio-ne, et per conseguenza non sono così facili a lasciarsi persuadere come conver-rebbe, onde non so se la mutazione possa bastare per rimediare a tutti li disor-dini et mi sono talvolta messo in pensiero che l’unico modo di far camminare il governo con intera quiete et concordia fosse il dare il comando dell’armi al sig maestro di campo suo fratello�59.

L’idea di sostituire miniati col fratello del governatore per il civile non era peregrina. Tommaso serristori era infatti un cavaliere gero-solimitano dotato di una certa esperienza per esser già stato maestro di campo a prato e governatore di portoferraio nel �655. La proposta non era ancora stata sottoposta al granduca, per averne anzitutto il parere del governatore serristori, al quale si riconosceva evidente-mente un ruolo preminente sull’altro ufficio, ma anche per evitare che rendendo pubblica la notizia della sostituzione si potesse accen-dere una vera e propria competizione tra aspiranti all’incarico. La proposta fu accolta positivamente e Tommaso ottenne la nomina a governatore per l’armi fin dal �658 e la mantenne fino ad essere sosti-tuito con marco alessandro del Borro alla conclusione del governa-torato del fratello, nel maggio del �67�. Come governatore, antonio serristori dette prova di saper meritare per così tanto tempo la fidu-cia del granduca. Fin dal primo anno del proprio incarico, mostrò di aver compreso a fondo le dinamiche della città, distinguendo con acutezza quali fossero le priorità meritevoli di maggior attenzione. In primo luogo si dovevano tutelare le «nazioni» ed i loro interessi com-merciali, assicurandosi che le magistrature cittadine, e in primo luogo quella di sanità, le assoggettassero tutte al medesimo sistema ed agli stessi trattamenti, per evitare lamentele e reclami. Inoltre, aggiunge-

�58 si tratta, per l’esattezza, di Ferdinando Bardi dei conti di Vernio nei mazzucchelli.�59 asFi, Archivio Serristori, 43�, cc.n.n., Ferdinando Bardi a antonio serristori, da Firen-

ze, il �8 novembre �657.

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va, sebbene fosse opportuno non applicare maggiori rigori rispetto a quelli in uso nei altri porti del mediterraneo, tuttavia non si doveva in alcun modo tollerare comportamenti che mettessero a rischio la salute pubblica di Livorno:

Io sarò sempre di quelli che per la parte mia inclinerò più al rigore che alla fa-cilità parendomi che questa sia una materia che importi troppo, e nella quale il buon governo voglia che (purchè si stia sul sicuro) non si guardi a niente�60

Il rigore, ma anche l’opportunità, furono dunque le parole d’ordi-ne che caratterizzarono il lungo governatorato serristoriano, e così ce lo ricorda anche il Vivoli, descrivendolo come un governatore capace di farsi rispettare e temere, più che amare dai livornesi, ricorrendo anche alla violenza armata contro i propri amministrati quando parve necessario per ristabilire l’ordine�6�. In tale ottica vanno inquadrati gli interventi promossi dal serristori, pronto a richiamare sempre l’at-tenzione su quanto fosse importante che Livorno, «non essendo an-cora molto fondato, ha forse bisogno di maggior considerazione nelle novità», opponendosi infatti all’introduzione di alcune misure giudi-cate controproducenti. Lo si dimostrò nel marzo �656, in occasione dell’entrata in vigore di nuove gabelle imposte ad aggravio di tutte le merci che uscivano dalla città verso l’entroterra del granducato, giu-dicate senz’altro redditizie per le casse granducali ma assai dannose per i pescatori che vendevano pesce sulle colline circostanti�6�. ed ancora alla fine di maggio �66�, quando il segretario di stato Giusep-pe Gondi inviò alle città granducali l’invito a tutti i «gentilhuomini che si fossero trasferiti qua [in Toscana] con conveniente decenza et con cavallo di corteggio» a partecipare alla cavalcata onorifica per celebrare le nozze del principe Cosimo medici con margherita Luisa d’Orléans. Dopo aver affisso la circolare anche a Livorno, il grandu-ca ci ripensò, «non facendo Livorno nobiltà», ed ordinò al Gondi di riferire al governatore di escludere da tale invito gli «oltramontani» abitanti in città e di confermarlo solo a lucchesi e genovesi. serristori non ritenne assolutamente opportuno obbedire a tale istruzione: «sa-rà una cosa molto odiosa l’haver a far sapere a questa gente già chia-

�60 asFi, Mediceo, ��78, I, ins.4, antonio serristori al conte Federigo Bardi, da Livorno, il �� marzo �655 (�656).

�6� G.vivoli, Annali di Livorno, cit., IV, pp. 300-30�.�6� asFi, Mediceo, ��78, I, ins.4, antonio serristori al conte Federigo Bardi, da Livorno, il

�� marzo �655 (�656).

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mata alla cavalcata la causa perchè hora si svita», soprattutto nella situazione attuale «del donativo che si vorrebbe da questi mercanti, non li darei occasione di sdegnarsi». Tutt’al più, si sarebbe esposto un avviso nel quale si rendeva pubblico l’errore della precedente cir-colare, limitandosi poi a consegnare un invito brevi manu a coloro i quali si giudicavano invece degni di partecipare all’evento�63.

anche raffello medici, governatore di giustizia dal maggio �67�, ebbe carica congiunta con marco alessandro del Borro�64, gover-natore dell’armi, affiancati dall’auditore Francesco maraffi e da un cavaliere come cancelliere�65. peraltro, il governatore medici ebbe a scontrarsi più volte col maraffi, ma le liti furono sempre ricomposte, anche dietro esplicita sollecitazione in tal senso da parte della segre-teria di guerra, dalla quale non venne mai nemmeno avanzata l’ipo-tesi di rimuovere l’auditore dal proprio incarico�66. Il regolamento impartito ai due governatori da Cosimo III, salito al trono da poco più di un paio d’anni, segna per la prima volta in maniera precisa e circostanziata, cioè per scritto e non soltanto verbalmente, le funzioni assegnate a ciascuno affinché fossero «ben dichiarate e distinte, acciò si mantenga fra voi – cioè fra i due governatori – l’unione e la buona corrispondenza, oltre a quanto abbiamo incaricato in voce a ciasche-duno di voi»�67. La necessità di conservare la separazione tra le due cariche governatoriali corrispondeva all’esigenza di tutelare in egual misura la duplice anima di Livorno, quella mercantile e quella della città fortificata. Da quanto si può desumere dal documento d’investi-tura granducale, i due ministri godevano di una posizione gerarchica

�63 asFi, Archivio Serristori, 437, cc.n.n., antonio serristori a Giuseppe Gondi, annotazio-ne di pugno del governatore sulla lettera del Gondi in data �9 maggio �66�.

�64 marco alessandro del Borro apparteneva ad una nobile famiglia aretina di origini mila-nesi e fu assai celebre per le sue qualità di militare, quasi un modello letterario del guerriero coraggioso ed eroico. Combatté in Germania e in spagna, poi generale ed ammiraglio al ser-vizio della repubblica di Venezia. Ferdinando II lo volle con sé e lo fece generale dell’armi granducali, oltre a cedergli nel �664 il feudo di Castiglion Fibocchi, nel contado di arezzo. G.droandi, Alessandro del Borro, arezzo, edit.Ital. Contemporanea, �93�.

�65 Così appare attestato in più fonti, vedasi anche asFI, Mediceo, �437, cc.n.n., il gover-natore raffello medici al conte Bardi, segretario di guerra, l’undici gennaio �674 (�675).

�66 asFi, Mediceo, �437, cc.n.n, il governatore medici al segretario di guerra Bardi, in data �7 luglio �674 e dell’auditore maraffi allo stesso Bardi, in data 3 agosto.

�67 Lettera del granduca Cosimo III medici al generale marco alessandro del Borro riguardante il regolamento del Governo civile e militare di Livorno, affidato al marchese raffaello medici per il civile e al del Borro per il militare, Firenze, li 30 ottobre �67�. asFi, Mediceo, �804, ins.34, cc.n.n. Il testo è riportato integralmente in appendice.

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praticamente identica, distinti tra loro solo in base alla competenza degli affari trattati. L’intreccio tra le due autorità era evidente: il potere del governatore di giustizia sulle truppe stanziate in città era essenziale per mantenere la tranquillità pubblica, mentre le operazio-ni di vigilanza sulle coste erano condizione per garantire la sicurezza dei commerci. Il granduca colse allora l’occasione per fissare alcune regole, «confermando o variando l’uso praticato per il passato», in conformità a ciò che l’esperienza avesse dimostrato più opportuno ed utile. si stabilì dunque che, per i delitti commessi da ufficiali e soldati appartenenti alle truppe medicee o all’infanteria alemanna presente a Livorno, il governatore di giustizia avrebbe potuto far arrestare il reo ed imprigionarlo, ma dandone avviso della cattura al governatore del-l’armi, operando nel di lui nome e riservando a quest’ultimo il diritto di far effettuare arresto ed interrogatorio nel modo che avesse ritenu-to più idoneo, secondo «lo stile alemanno». Le chiavi delle porte di Livorno, simbolo del potere militare dell’antico castello fortificato, dovevano essere conservate dal governatore dell’armi, riconoscendo-gli «più urgenti e di maggior conseguenza» le ragioni che avrebbero potuto rendergli necessario chiudere l’accesso alla città, fermo però il diritto dell’altro governatore di richiederle in ogni momento, pur-ché dietro giustificato motivo, e fermo l’obbligo per il del Borro di prestare ogni tipo di ausilio ed assistenza fossero richieste dal gover-natore civile per assicurare il buon corso della giustizia. per il resto, i due governatori avrebbero dovuto informarsi l’un l’altro degli ordini ricevuti individualmente dal sovrano, come di tutto ciò di cui si fosse venuti a conoscenza e ritenuto d’interesse del proprio omologo, assi-curandosi che «tutto cammini di buon concerto, con reciproca sod-disfazione e buona intelligenza». a questo regolamento, nel febbraio �673 seguì una ulteriore comunicazione, al fine di stabilire ancor più nel dettaglio limiti e competenze giurisdizionali spettanti a ciascuno dei due governatori, e nella quale si designavano entrambi come i referenti dell’auditore riguardo ai delitti commessi da soggetti ap-partenenti a corpi militari e da civili, mentre il governatore dell’armi sarebbe stato il solo «cognitore e soprintendente» nei casi di reati ove fossero implicati solo militari del presidio di Livorno�68. Con raffello

�68 Dichiarazione di iurisdizione tra li governatori dell’armi e di giustizia di Livorno. Lettera al governatore di giustizia raffaello medici, da Firenze, il �3 febbraio �67� (�673). asFi, Mediceo, �804, ins.35, cc.n.n. Il testo è riportato integralmente in appendice.

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medici, si attesta peraltro una interessante evoluzione del rapporto tra il ministro della guerra e il governatore labronico perché, se da un lato le mosse del governatore risultavano ancora in buona misu-ra vincolate alle disposizioni superiori provenienti da Firenze, ci si preoccupò che tale funzionario acquisisse progressivamente sempre più ampi margini di autonomia. Ciò appare confermato anche dai suggerimenti che arrivavano dall’allora segretario di guerra Bardi af-finché il governatore prendesse tutte le misure per far sì che gli ordini e le istruzioni provenienti da Firenze restassero dissimulate e che, in tutto e per tutto, apparissero invece decisioni prese dal governatore in prima persona, un modo per rafforzarne l’immagine e l’autorità, soprattutto nei confronti dei consoli e dei frequenti visitatori stranieri che giungevano in città�69.

morto raffaello medici nel marzo del �677, e sostituito da del Borro nel giugno del �678 dopo la solita luogotenenza dell’auditore del governo Giacinto Coppi�70, il nuovo governatore poté finalmente riunificare i due incarichi per giustizia e per l’armi. parallelamente al venire meno della necessità di avere un responsabile per gli affari militari sempre e comunque operativo a bordo delle galere, divenne necessario affidare il governo della città ad un unico soggetto. L’im-portanza della marittima militare medicea aveva infatti subito un de-clino lento ma inarrestabile almeno dal primo ventennio del secolo. La guerra di corsa degli stefaniani e le imprese delle galere dell’Ordi-ne erano divenute sempre meno redditizie, se non controproducenti per lo sviluppo delle attività commerciali di Livorno. anche l’equi-librio del mediterraneo era a poco a poco sempre più conteso tra le ambizioni di ben più potenti avversari, contro i quali i medici non avrebbero avuto alcuna possibilità in caso di confronto militare�7�.

�69 asFi, Mediceo, �437, cc.n.n, comunicazioni del segretario Ferdinando Bardi al gover-natore medici, in data �3 settembre �673 (in stile pisano, �674), in occasione dell’arrivo di sebastiano Laquela Caxa, e 7 febbraio �673 (�674), per le corrispondenze con il console francese. In quest’ultima occasione in particolare, Bardi precisò al governatore: «e sarà insomma cura di Vostra signoria Illustrissima, il far apparire che di proprio moto e non per instruzione che le ne sia stata data di comandamento di sua altezza, e senza alcuna saputa di essa, abbia ella messo in campo il moto predetto».

�70 La cerimonia della presa di possesso del Governo di Livorno da parte di del Borro, sulla quale qui si sorvola, è riportata dettagliatamente in G.vivoli, Annali di Livorno, cit., pp. 545-547.

�7� sulla politica militare medicea della prima metà del seicento vedasi C.sodini, L’Er-cole tirreno. Guerra e dinastia medicea nella prima metà del ’600, Firenze, Olschki, �00� e

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Le galere al servizio del granduca, fino a quel tempo così importanti e impegnate costantemente sui mari, divennero meno numerose e la loro funzione meno strategica. Già con Ferdinando II si provvide infatti a venderne alcune, ma fu con Cosimo III che si affermò una nuova politica navale nella quale si prevedeva anche un diverso ruolo per la città portuale. per assicurare la difesa di Livorno e le differenti esigenze di sicurezza del porto si avviarono lavori di ingegneria forti-ficata che mutarono in maniera significativa l’aspetto della città.

Questo processo di consolidamento dell’istituto governatoriale verso prevalenti competenze da esercitare in loco anziché sui mari, coincise dunque con l’avvio di una serie di importanti iniziative: al-cune di carattere strategico come la creazione di un nuovo sistema di fortificazioni realizzate secondo il celebre modello imposto da Vauban, altre dirette all’affermazione di Livorno come polo mercan-tile mediterraneo, ratificate con la dichiarazione del regime legale di «porto franco» per la città e stabilito con bando di Cosimo III l’�� marzo �676�7�. Un’evoluzione politico-istituzionale che si affiancava all’esito delle operazioni determinatamente preparate dai granduchi, e dai propri rappresentanti, anche presso le maggiori corti euro-pee�73.

In questo scenario va collocata l’elaborazione, e poi la stipula nel �69�, del primo patto di neutralità. Il ricorso alla consuetudi-

f.anGiolini, Il lungo Seicento (1609-1737): declino o stabilità? in Storia della civiltà toscana, Firenze, Le monnier, �003, III, pp. 4�-76.

�7� Fu questa, al pari delle «livornine», una delle disposizioni più significative per la storia della città. si ricordi, per inciso, che con tale bando si rendeva la zona del porto esente dal regime fiscale altrimenti vigente nel resto del granducato. L’intero territorio cittadino fu proclamato «franco» solo nel �834. L.frattarelli fiscHer, Livorno 1676: la città e il porto franco, in La Toscana nell’età di Cosimo III, Firenze, edifir,�993, a cura di F.angiolini-V.Becagli-m.Verga, pp. 45-66 e in particolare pp. 5�-5�; a.manGiarotti, Il Porto Franco (1565-1676), in Merci e monete a Livorno, cit., p. 5�. sul modello di architettura difensiva ideato da sébastien Le prestre, marchese di Vauban, maresciallo al servizio di Luigi XIV, vedasi m.Gori, Vauban e la difesa della Francia, milano, mondadori, �007.

�73 a mero titolo di esempio si rimanda al carteggio intercorso tra madrid e Firenze a pro-posito del commercio di grani, via Livorno, gestito da mercanti portoghesi e catalani, allora ribelli della Corona spagnola. Ferdinando II, a seguito di molteplici solleciti per impedire tali traffici, che gli erano stati per altro esplicitamente proibiti dal sovrano iberico, rispondeva di proprio pugno a Filippo IV assicurando un potenziamento dei controlli sui movimenti mer-cantili da e per Livorno, ma nel rispetto, inviolabile, dell’esser tale città «scala franca e libera per li amplii privilegi di quel porto», in aGsi, Estado, 3676, ins.�00, in data �6 ottobre �643. sul commercio di Livorno, si vedano le interessanti annotazioni inviate in merito da Diego de Castrillo al sovrano spagnolo del �0 gennaio e 6 aprile del �64�, in ivi, 3675, inss.���, �3� e �38.

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ne e l’invito a rispettare la legge di reciprocità avevano dimostrato di non essere efficaci, ed era emersa la necessità di ricorrere a uno strumento più cogente per garantire la neutralità del porto labroni-co: il governatore del Borro ricorse perciò alla messa in atto di una vera e propria convenzione tra stati�74. L’accordo fu concluso tra il governatore, che operava per conto del granduca, e i consoli rap-presentanti delle «nazioni» e delle monarchie impegnate nei conflitti in corso�75. si previde, con tre agili articoli, che fossero sospese le ostilità tra bastimenti, da guerra o mercantili appartenenti a nazioni nemiche, comprese quelle corsare, che si trovassero ancorati al molo o nella rada livornese, e si ordinò inoltre che vascelli di nazioni avverse partissero ad almeno un giorno di distanza per evitare inseguimenti con intenzioni bellicose. Tale fondamentale risultato, determinante per il successo dello scalo labronico, fu raggiunto personalmente dal governatore, riconosciuto quale responsabile per quest’aspetto crucia-le di politica estera anche presso le corti europee. La documentazione spagnola è in questo senso particolarmente interessante. a fronte dei capitoli presentati da del Borro al console spagnolo residente a Livorno, quest’ultimo, andrés de silva�76, inoltrò nell’aprile la richie-sta al vicerè di Napoli, il conte di santisteban, perché sottoponesse la questione al consiglio di stato. Il consiglio a sua volta, tra giugno ed agosto, dopo attento esame e non poche obiezioni di varia natura (tra le quali l’inaffidabilità di quanto sancito nel trattato, la necessità

�74 per maggiori informazioni al proposito, si rimanda ad a.addoBBati, La neutralità del porto di Livorno. Costume mercantile, garanzia internazionale, diritto interno, presentato al già citato convegno Livorno 1606-1806: luogo di incontro tra popoli e culture, atti in corso di stampa. alcune note tecniche anche in a.miele, L’estraneità ai conflitti armati secondo il diritto internazionale, padova, Cedam, �970, vol.I, Origini ed evoluzione del diritto di neutra-lità.

�75 sull’accordo, o meglio detto Concerto preso dal signor governatore di Livorno con li signori consoli delle Nazioni in guerra per il mantenimento della neutralità e sicurezza di tutti nel Porto di Livorno, si trova notizia anzitutto in r.GallUzzi, Istoria del Granducato di To-scana sotto il Governo della Casa Medici, Firenze, stamperia di ranieri Del Vivo, �78�, IV, p. �99 e in G.mori, Linee e momenti dello sviluppo della città, del Porto e dei traffici di Livorno, in «La regione. rivista dell’unione regionale delle provincie toscane», �� (�956), p. �5. La documentazione relativa è conservata in asFi, Mediceo, ����.

�76 assai utile, per comprendere il ruolo della famiglia de silva, che conservò il consolato spagnolo a Livorno per molti decenni, e di andrés in particolare, F.J.zamorarodríGUez, La posición hispánica en la península italiana a través de la familia Silva y el consulado de Li-vorno en el siglo XVII, presentato al convegno di studi X Reunión de la Fundación Española de Historia Moderna (santiago-Ferrol, ��-�3 giugno �008), atti in corso di stampa. ringrazio il collega Zamora per avermi cortesemente messo a disposizione il saggio.

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di attendere la decisione delle altre potenze e persino l’illegittimità della richiesta), giunse alla conclusione di suggerire al sovrano di dare il proprio assenso. L’accordo fu così definitivamente sottoscritto da Filippo IV il �3 ottobre del �69�, dopo aver verificato la conformità de «los capitulos formados por el governador de Liorna» con quelli già sottoscritti dagli olandesi e dal sovrano inglese, anche grazie alle informazioni ottenute oltre che dal console e dal vicerè di Napoli, dal governatore di milano e dal contributo del cavaliere Coriolano mon-temagni, a madrid in veste di emissario straordinario del granduca. La procedura di ratifica fu particolarmente complessa anche perché, contrariamente all’autorità riconosciuta al governatore di Livorno, fu invece necessario dotare il console spagnolo dei poteri sufficienti per sottoscrivere il patto�77.

analoghi trattati di neutralità vennero stipulati in seguito sulla base dello stesso modello: una prima volta nel �70�, poi nella forma di articolo nel trattato di Londra del � agosto �7�8 (con il quale fu proclamata la neutralità assoluta del porto di Livorno)�78 ed ancora nel �740 all’apertura della guerra per la successione dell’imperatore Carlo VI. Questi concordati, sottoscritti dai consoli delle nazioni bel-ligeranti, garantivano il rispetto dei soli articoli ratificati dai consoli, lasciando «indecisi molti casi ovvii e frequenti» nonostante i tentativi dei governatori di introdurre e far accogliere aggiunte o maggiori tu-tele. restavano quindi di fatto sempre irrisolte molteplici eventualità e non mancarono dispute e contestazioni da parte delle diverse na-zioni belligeranti alle quali i governatori tentavano di porre rimedio

�77 «Ha sido su magestad servido de revolver a consulta �3 del corriente se ordene al Vi-rrey de Napoles de las ordenes necesarias a nuestro cónsul en Liorna para que firme dichos capítulos en el real nombre de su magestad, enviandole copia de los papeles que ha remiti-do don manuel Colonna para que conforme a ellos pueda governarse en esta dependencia, y que desta resolución se avise aquí al ministro del duque de Toscana», in aGsi, Estado, 3858, ins.6�, in data �9 ottobre �69� e ibidem, 369�, ins.�4, stessa data, il sovrano al conte di santisteban. si vedano anche gli ins.45 e 54, entrambi del consiglio di stato al re, in data �5 giugno �69� e 7 agosto, e ins.47, copia dei capitoli di neutralità. pari accordo venne stipulato nel �69� anche per portoferraio, e ancora una volta le credenziali per autorizzare il console spagnolo alla sottoscrizione arrivarono tardivamente e dopo l’avvenuto riconoscimento da parte di Francia, Inghilterra ed Olanda, ivi, ins.�33.

�78 si trattava dell’articolo quinto, riportato integralmente da m.BarUcHello, Livorno e il suo porto, cit., p. 3�4. sugli effetti della neutralità, ribadita poi in differenti occasioni anche durante l’età lorenese, si rimanda a C.manGio, Livorno nel Granducato: un’identità incon-fondibile e mutevole, in «rassegna storica toscana», � (�00�), pp. 7-40 e in particolare p. �4 e a J.p.Filippini, articolo convegno Livorno �008.

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nei modi ritenuti di volta in volta più opportuni e convenienti, con evidenti margini di discrezionalità�79.

L’importanza crescente del ruolo di Livorno determinò la necessi-tà di implementare e, in diversa misura, ratificare le sempre più vaste facoltà e i poteri dell’istituto governatoriale dotatosi poco a poco, con tutte le eccezioni del caso, di ampie competenze giuridiche (sottratte al tribunale dei consoli del mare di pisa, ma anche al magistrato di sanità fiorentino)�80. si introdussero regole di condotta stringenti, sia rispetto alla figura del governatore e dei pochi altri ministri da lui dipendenti (primo fra tutti l’auditore), sia in merito ai rapporti con Firenze e colle altre autorità locali, conferendo al governatore una fisionomia in parte più omogenea con quella di altri ministri perife-rici del granducato�8�, ma in maggior misura più autorevole e dotata di assai ampi margini d’autonomia. Il governatorato di del Borro ci appare cruciale anche sotto quest’aspetto, per l’importanza delle tra-sformazioni che furono introdotte e si consolidarono durante il suo incarico. paradigmatico, in tal senso, il rifiuto opposto da del Borro, fin dal �0 maggio �680, ad assoggettare al sindacato di Firenze i mini-stri del tribunale livornese. Il segretario di guerra Francesco panciati-

�79 asLi, Governo, relazioni e progetti, �0�5, ins.7, «Osservazioni sopra la neutralità», do-cumento non datato, ma successivo al �764.

�80 Quest’ampliarsi dei privilegi livornesi a discapito delle competenze di altre istituzioni granducali fu all’origine dei conflitti giurisdizionali che caratterizzarono tutto il seicento, l.frattarellifiscHer, Livorno 1676, cit., pp. 6�-6�.

�8� Lo dimostra anche una nota attestante la progressiva normalizzazione dell’entità degli stipendi, e degli istituti deputati ad erogarli, assegnati ai governatori che si succedettero nell’epoca compresa tra luglio �6�� e marzo �678, e che corrisposero a: 75 scudi dalla de-positeria granducale al mese per il marchese Giulio Barbolani (governatore per la prima volta dal �6�� al �6�3); 50 scudi mensili dalla depositeria, oltre a �000 scudi annui a titolo di provvisione personale, a pietro medici (governatore dal �6�4 al �635); mille scudi annui dalla depositeria e 685 dalla Dogana di pisa, «intendendo sua altezza che in capo all’anno, compreso gli emolumenti del Banco civile, la carica gli fruttasse scudi �000», al governatore degli anni �635-�64�, ancora Giulio Barbolani da montauto; mille scudi dalla Depositeria più settecento dalla Dogana di pisa, oltre al provento del tribunale di Livorno pari a 300 scudi circa, all’anno, per il generale Lodovico da Verrazzano, governatore dal �64� al �647. Una eccezione fu invece rappresentata da Giovanni medici, marchese di sant’angelo, gover-natore nel �647-�648, e che ricevette tra provvisioni precedenti ed accrescimenti 3000 scudi, ma si trattava pur sempre di un medici, quindi faceva un caso a sé. Dal �655 fino al �678 invece, si era fissato uno stipendio pari a �500 scudi annui di provvisione, più 800 scudi da pagarsi dalla Dogana di Livorno e altri 700 scudi come proventi dal Banco civile, e così era valso per il senatore Filippo pandolfini (governatore dal �649 al �65�), il senatore angelo acciaioli (governatore dal �655 al �67�) e il marchese raffaello medici (governatore dal �67� al �678). Tutto in asFi, Mediceo, �804, «Negozi diversi attinenti al governo civile di Livorno dal �657 al �688», ins.�.

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chi precisò, con tutte le cautele possibili, come l’obbligo di sottoporsi a sindacato non dovesse essere in alcun modo interpretata contraria o lesiva della giurisdizione del governatore, bensì quale semplice cautela in considerazione di recenti episodi spiacevoli dovuti ad irre-golarità e fenomeni di corruzione perpetrati da alcuni funzionari del Governo labronico:

Havrà potuto Vostra signoria Illustrissima osservare che non è stato preteso che resti soggetta ad una tale legge la persona di Vostra signoria Illustrissima, che solo deve riconoscere e render conto a sua altezza de’ proprii procedimenti, ma bensì gli offiziali suoi. et in questo è stato creduto che non restino offese, né intaccate le di lei preorgative, poiché se bene ella ha presentemente ottimi ministri, può darsi il caso che non sempre sian tali, e par conveniente e giusto che vi sia qualche tribunale in cui devano esaminarsi le loro azioni, giacché un buonissimo superiore può esser tradito dalle malvagità dei suoi subordinati [...], succedendo ben spesso che i governatori et i presidi sono gli ultimi a sapere le mancanze degli uffiziali loro subalterni. et siccome non è giusto che restino impuniti et occulti così par consentaneo all’equità et alla convenienza che suc-cumbano alla discussione di chi deve esaminarle. Né mai per ombra si è inteso, come ho già detto, che habbia da stare sotto ve-runa censura la limpidezza delle operazioni di Vostra signoria Illustrissima in cui vanno del pari, con la singolarità del valore, la generosità dei sentimenti e con la fortezza del cuore, la rettitudine dell’animo. et io posso ingenuamente attestarle che sono tenuti da tutti nel dovuto pregio le di lei degne prerogative, dovendo venir misurata l’estimazione che ciaschedun deve farne da quella che grande stima ne mostra giustamente il padrone�8�.

Tuttavia, panciatichi, su precisa indicazione del granduca, si dice-va disposto a riconsiderare la questione e, eventualmente, qualora del Borro l’avesse ritenuto necessario, il principe avrebbe volentieri avu-to «premura di compiacerla, dove non resti o vulnerata o impedita la giustizia a cui l’altezza sovrana deve indispensabilmente accudire»�83.

Il governatore non retrocesse minimamente dalle proprie posizioni, anzi, forte dell’appoggio sovrano, il �3 maggio invitò il panciatichi «a degnarsi di reflettere sopra i motivi» avanzati per imporre il sindacato dei ministri livornesi «e troverà, se non erro, che non risguardano il solo e puro ministerio della giustizia, ma virtualmente l’intacco del Governo, et perciò godo sommamente che la clemenza del padrone

�8� asFi, Mediceo, ��03, cc.n.n, il segretario Francesco panciatichi da Firenze, al del Bor-ro, in data �� maggio �680.

�83 Ibidem.

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colendissimo voglia restar servita di pigliar tempo a comandare la sua volontà»�84. La questione venne risolta il 9 luglio successivo, con il riconoscimento delle considerazioni del governatore non perché con-divise in linea di principio, bensì per voler assecondarne i voleri dietro ordine espresso in tal senso dal granduca. Da quel momento, così, fu sufficiente che i funzionari del Governo labronico si presentassero a render conto del proprio operato al cospetto della «Consulta» che si riuniva periodicamente a Livorno alla presenza del governatore, del depositario generale, dell’auditore Farinola, del segretario di guerra e anche del granduca, quand’era di passaggio�85. La corrispondenza re-lativa a questo episodio mette in risalto la dialettica attraverso la quale la figura del governatore di Livorno venne ad acquistare massimo rilievo. Nell’ambito delle politiche granducali, infatti, ove la crescita economica, sociale e demografica di Livorno aveva ormai assunto tale entità da non poter esser più gestita interamente dal segretario di guerra, troppo vincolato a questioni di carattere militare (ancora im-portanti ma ormai secondarie rispetto al protagonismo assunto dalle attività legate al porto), parve necessario introdurre nuovi sistemi di governo. Cosimo III rese allora più agevole la gestione degli affari del-la città attraverso la creazione della «Congregazione di Livorno», un organo facente parte della segreteria di guerra composto dal segreta-rio di guerra per il militare, dal depositario generale per gli affari delle finanze e del commercio toscani, dal primo auditore della Consulta e dal primo auditore della Camera granducale come legale�86. Questa congregazione, che trattava davanti al granduca gli affari livornesi separatamente da quelli di tutto il resto dello stato, si riuniva in giorni

�84 Ibidem, il governatore del Borro al panciatichi, il �3 maggio �680.�85 «Benché sia stato con serie et efficaci rimostranze rappresentato al padrone serenissi-

mo che senza sconcerto della giustizia e dei buoni ordini non potevano esimersi dal sindaca-to consueto gli ufficiali di codesto tribunale di Vostra signoria Illustrissima; ad ogni modo inclinando sua altezza a secondare le di lei premure non ha voluto prestarvi il suo consenti-mento, havendo stabilito che i medesimi uffiziali restino unicamente esenti da questo peso. ma perché rendano conto in qualche luogo delle loro operazioni, vuole che ogni tanto tempo si rappresentino davanti alla Consulta che nelle proprie stanze di sua altezza si è introdotto di farsi ogni settimana et in cui si discutono le materie appartenenti a codesto Governo con l’intervento del signor depositario generale, del signor auditore Farinola, e della mia persona [panciatichi] e può anche quando così le aggradi intervenirvi l’altezza sovrana medesima, facendosi a tale effetto questa giunta nelle sue retrocamere». Ibidem, il segretario Francesco panciatichi da Firenze, al del Borro, il 9 luglio �680.

�86 s.dinoto, Gli ordinamenti del Granducato di Toscana in un testo settecentesco, cit., pp. LII-LIII.

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prestabiliti per risolvere «affari di regalie, di commercio, civili e cri-minali e generalmente tutti i negozi politici ed economici di questo porto». Il potere dei questo consiglio era cospicuo, poteva infatti disporre risoluzioni che il segretario di guerra, in nome del granduca, poteva impartire immediatamente al governatore di Livorno. Un me-todo, avrebbe detto il governatore Bourbon del monte a metà degli anni sessanta del settecento, «d’infinito giovamento, non tanto per la sicurezza delle risoluzioni, quanto per la celere risoluzione degli affa-ri» �87.

Come aveva già fatto più timidamente serristori, anche il del Bor-ro, con ben altro piglio e assai più significativi effetti, contribuì ad incoraggiare la creazione di una nobiltà cittadina ed intervenne per porre rimedio alla ormai secolare difficoltà di assicurare a Livorno un numero sufficiente di soggetti abili ed idonei a ricoprire le cariche delle magistrature comunitative, proprio in conseguenza dell’elevata mobilità dei suoi abitanti.

Tutti i governatori, come longa manus del principe, giocarono un ruolo decisivo nell’agevolare, controllare e dirigere la difficoltosa formazione del gruppo nobiliare labronico. a Livorno non si doveva fare i conti, come in altre località toscane, con una antica aristocrazia, quindi si poteva intervenire maggiormente sui processi di selezione. La partecipazione del governatore alla formazione dell’oligarchia locale non rappresentava una novità, visto che fin dall’epoca della repubblica fiorentina spettava al capitano, cioè al precursore del go-vernatore, l’onere di provvedere all’estrazione degli idonei che avreb-bero rivestito gli incarichi pubblici deputati all’amministrazione della Comunità�88. Con l’avvento del principato mediceo, poi, in analogia con quanto avveniva nel resto dello stato, in un processo di erosione

�87 asLi, Governo, relazioni e progetti, �0�5, ins.�4, c.�r-��v, «proposta per istituire in Firenze un segretario incaricato degli affari di Livorno e proposta del titolare», s.a. e s.d., ma del governatore Bourbon del monte del �8 febbraio �765.

�88 Nel Quattrocento, in estrema sintesi, la Comunità di Livorno era amministrata da un consesso formato da tre anziani, i quattro membri del consiglio minore e gli otto del con-siglio maggiore, più un certo numero di aggiunti fino ad un totale di ventiquattro soggetti. Questo consiglio poteva essere convocato in plenum o solo in versione ristretta, come magi-strato degli anziani, corrispondentemente alla rilevanza degli affari trattati. p.viGo, Statuti e provvisioni del castello di Livorno (1421-1581). Con altri documenti inediti del secolo XV, Livorno, s.e., �89�, pp. 83-86; O.Banti, Livorno dalla dominazione pisana a quella fiorentina, in Id., Studi di storia e diplomatica comunale, roma, Il centro di ricerca, Fonti e studi del Corpus membranarum Italicarum, �983, pp. ��6-�36.

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delle autonomie cittadine�89, ma anche constatata l’incapacità dei rappresentanti locali di designare individui adatti, si era avocato la scelta dei venticinque membri del General Consiglio direttamente al capitano e commissario di Livorno�90. Una tappa fondamentale, in-sieme alla di poco successiva elevazione di Livorno da terra murata a città del �9 marzo �606, era stata la riforma del �6 febbraio �604 con la quale Ferdinando I costituì un nuovo reggimento formato da un Consiglio di cento cittadini. Costoro furono scelti con molta difficoltà tra quanti erano in possesso dei requisiti�9� e divisi in tre ordini: dodi-ci gonfalonieri, trentasei anziani e cinquantadue cittadini�9�.

Il ruolo del governatore si vide però poi assai potenziato con la riforma statutaria introdotta da Cosimo III il �� marzo �68�, grazie alla quale il granduca aprì alle élites economiche e commerciali più ricche della città la possibilità di accedere al numero degli aventi di-ritto al titolo di cittadini: chi avesse voluto entrare ex novo a far parte della cittadinanza avrebbe dovuto sottoporsi al giudizio del Consiglio generale, secondo regole e sotto l’attenta vigilanza del governatore�93. Tale importante novità fu sollecitata proprio dal governatore del Borro, nell’urgenza di provvedere a che «gli uffizi della Comunità li-vornese siano in miglior forma e con maggior giustizia distribuiti». Il granduca aveva allora richiesto al governatore di proporre i «remedii che le parranno adeguati» per migliorare la situazione e per assicura-re la copertura delle pubbliche magistrature con soggetti idonei�94. Questo processo fu poi perfezionato con l’elevazione di Livorno a

�89 D.marrara, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., pp. 46-53; L.mannori, Il so-vrano tutore, cit., pp. �34-�88.

�90 Queste importanti riforme si concentrarono principalmente tra il �543 e il �578. p.castiGnoli, Livorno da terra murata a città, in Livorno e il Mediterraneo nell’età medicea. Atti del convegno (Livorno, 23-25 settembre 1977), Livorno, Bastogi,�978, p. 34.

�9� Tale difficoltà si dovette, ancora una volta, al fatto che la popolazione livornese fosse composta da soggetti impegnati nei commerci e nei traffici marittimi e quindi non stabilmen-te residente in città. si dovette quindi, molto probabilmente, ricorrere anche ad individui non perfettamente in linea con i requisiti richiesti, così G.vivoli, op. cit., III, pp. �30-�3�.

�9� Utili indicazioni con le principali segnalazioni archivistiche si trovano, a questo pro-posito, nella tesi di laurea V.martini, Livorno nei secoli XVII e XVIII: istituti di governo e ceti dirigenti, discussa nell’a.a.�990-9� presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di pisa, relatore il professor Danilo marrara, pp. 6-�4. Vedasi anche F.Bernardoni, I contrasta-ti albori della nobiltà livornese, in «La Canaviglia», VI, �98�, pp. ���-��8.

�93 L.frattarellifiscHer, Livorno 1676: la città e il porto franco, cit., pp. 64-66.�94 asFi, Mediceo, ��03, cc.n.n., panciatichi al del Borro, da Firenze, il �7 aprile �780.

Un problema analogo, si attesta, seppur in epoca più tarda, anche presso la repubblica di Genova, come rileva C.Bitossi, «La Repubblica è vecchia», cit., pp. 3�5-357.

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città nobile, sancita in virtù del motuproprio del 4 ottobre �7�0 e quando il gonfalonierato fu riconosciuto ufficio nobilitante�95. Come in altre città del granducato�96, i medici si servirono insomma del go-vernatore per consolidare il proprio progetto politico di cooptazione e selezione controllata dei gruppi oligarchici locali, avvalendosi delle conoscenze e delle reti personali che questi aveva saputo tessere in loco per definire nuovi equilibri, stabilire utili alleanze e anche per reperire, tramite il reclutamento diretto, fidati servitori da introdurre al servizio della burocrazia granducale.

2. ilsettecentomediceo:ladifesadellePreroGative

Governatoriali

Il nuovo secolo si aprì con la morte di del Borro, avvenuta il �9 aprile �70��97. Dopo la breve luogotenenza dell’auditore Benedetto mochi per il civile e dal tenente colonnello Vieri per il militare�98, il �0 maggio la città era in attesa del nuovo governatore, il «sergente generale di battaglia» mario Tornaquinci, già noto a Livorno ove era stato in qualità di militare. La cerimonia per la presa di possesso ebbe luogo poco dopo, come mochi stesso riferì, la mattina del �3 maggio successivo. L’accoglienza che la città riservò al Tornaquinci fu parti-colarmente calorosa:

alla presente non posso dare altre novità a Vostra signoria illustrissime di que-ste parti, solo confermandogli restare mortificato et essere immeritevole delle

�95 V.martini, op. cit., pp. 36-43, 94. per il motuproprio del �7�0, si rimanda a F.Bernardoni, I contrastati albori della nobiltà livornese, in «La Canaviglia», 4 (�98�), pp. ���-��8; D.marrara, Livorno città «nobile», in Livorno e il Mediterraneo in età medicea, cit., pp. 77-8�; m.verGa, Da «cittadini» a «nobili», cit., pp. 5�4-5�6.

�96 F.Bertini, Feudalità e servizio del principe nella Toscana del ‘500, cit., pp. ��-�3.�97 asFi, Mediceo, ����, cc.�6�r-v, Giovan Wolf Bubenheuser al marchese priore anto-

nio Francesco montauti, il �9 aprile �70�, dopo una settimana circa di malattia, i cui sintomi sono qui descritti con gran precisione alle cc.�3�r-v, del �3 aprile. In memoria di Del Borro il principe Ferdinando medici volle far erigere quello che può considerarsi il più importante monumento funebre dell’epoca, e realizzato nel duomo di Livorno. Vedasi f.freddolini, I monumenti dei governatori e la cappella del Santissimo Sacramento. La scultura del Settecento, in Duomo di Livorno. Arte e devozione, a cura di m.T.Lazzarini-F.paliaga, pisa, pacini, �007, pp. 5�-60, e in particolare pp. 53-56,

�98 asFi, Mediceo, ����, cc.�73r-v, da Firenze al dottor Benedetto mochi, del 30 aprile �70�; il mochi inviò a Firenze la nota dettagliata di tutte le carte e le scritture relative al go-verno civile e militare di Livorno che erano rimaste nelle stanze del defunto governatore del Borro, sigillate al momento della sua morte, «come che possono servire di norma ai succes-sori», chiedendo informazioni a corte su cosa farne, in ibidem, cc.3�8r-v e 375r-376r.

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grandi dimostrazioni et onori che questa sera mi fa questa città, con luminarie, e fuochi, e mortaletti�99.

Il governatorato di Tornaquinci trascorse senza rilevanti novità e si concluse con la trasmissione delle consegne, cosa che il vecchio fun-zionario fece personalmente, al successore alessandro del Nero�00. si devono a quest’ultimo i particolari legati al suo arrivo a Livorno ai primi di settembre del �7�7�0�. a giudicare dal tipo di corrisponden-za conservata, tanto Tornaquinci come del Nero furono prevalente-mente assorbiti da questioni di tipo marittimo e militare. si occupa-rono di affari di navigli, registravano arrivi e partenze di imbarcazioni mercantili e da guerra, soprattutto di quelle spagnole, redigendo ‘fo-glietti di marina’ oltremodo dettagliati e raccogliendo notizie da Ge-nova. riferirono episodi puntuali sulle attività di mercanti e consoli, mentre con grande minuzia informarono della vittoriosa battaglia di Belgrado che pose fine alla guerra condotta dagli imperiali contro il Turco.

più significativo fu il governatorato del successore di del Nero (il quale lasciò l’incarico perché promosso dal sovrano Gian Gastone al

�99 Ibidem, cc.404r-v, lettera del Tornaquinci da Livorno, del �3 maggio �70�.�00 Ben poco si sa del profilo biografico di mario Tornaquinci e di alessandro del Nero,

entrambi patrizi fiorentini e militari di carriera. È stato però ben descritto il vivace conflitto che questi governatori ebbero con i rappresentanti della «nazione» francese tra il �7�7 e il �7�0 in J.P.filiPPini, Le problème de l’application des ordennances de Marine dans une échel-le italienne, Livourne, in Pouvoirs, contestations et comportements dans l’Europe moderne. Mélanges en l’honneur du professur Yves-Marie Bercé, a cura di B.Barbiche-J.p.poussou-a.Tallon, paris, pUps, �005, pp. 475-494.

�0� «Grazie a Iddio gionsi felicemente sabato scorso sulle ore �4 in questa città e portatomi immediate dal signor sergente generale e governatore Tornaquinci, li presentai le mie cre-denziali, statemi consegnate clementissimamente da sua altezza reale nostro signore. Onde nell’avermi egli accolto con la sua solita somma compitezza e galanteria, si compiacque subito di dar gli ordini opportuni ad effetto che io foss’ammesso al possesso del Governo di questa piazza conferitomi dalla benigna pietà della reale altezza sovrana. In sequela dunque di ciò sull’ore �� dell’istesso giorno, fu effettuata la cerimonia, tanto per il Governo di giu-stizia che per quello dell’armi, essendosi praticate tutte le formalità solite, il suddetto signor sergente generale Tornaquinci dopp’avermi instruito delle cose più essenziali risguardanti il Governo medesimo, si risolse partirsene per codesta volta, il che eseguì ier mattina a buon ora, et io spero che vi sia arrivato prosperamente conforme di vero cuore glielo bramo.

Da questo popolo poi mi sono state fatte finezze grandissime, anche per la parte de’ na-zionali quali m’anno favorito d’esser venuti in corpo a visitarmi, essendo io in vero contentis-simo dell’affetto, che tutti mostrano nutrire per me, al quale procurerò di corrispondere con ogn’attenzione e nella miglior forma che mi venga permesso. rendo pertanto intesa Vostra signoria Illustrissima di quanto di sopra, ad effetto che sia informata del buon esito che ha avuto quest’affare», in asFi, Mediceo, ��38, è la prima lettera di alessandro del Nero al marchese Carlo rinuccini da Livorno, in data 6 settembre �7�7.

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grado di castellano della Fortezza da Basso di Firenze, come già era successo anche al suo predecessore Tornaquinci)�0�, quello cioè del gentiluomo di Camera e sergente generale Giuliano Gaspero Cappo-ni�03.

La scelta di Capponi fu motivata, oltre dall’appartenenza ad una delle più nobili famiglie fiorentine e presente da generazioni nell’Or-dine stefaniano, anche per le eccellenti doti militari e diplomatiche che aveva saputo ampiamente dimostrare qualche anno prima in qua-lità di governatore della Lunigiana e Fivizzano�04. Il Capponi, dai pri-mi di marzo del �730 quando fu nominato fino al momento della sua morte, il �� dicembre �745, si trovò al centro di un periodo quanto mai strategico per la storia non solo di Livorno ma di tutto il grandu-cato, corrispondente alla delicata fase di trapasso dalla dinastia me-dicea a quella lorenese�05. In conseguenza della drammaticità degli eventi internazionali e del cambio dinastico, equilibri consolidatisi durante l’età medicea, frutto di continui patteggiamenti e compro-messi tra le varie autorità della città, vennero messi in discussione e solo la capacità mediatrice del governatore riuscì a conciliare gli in-teressi cittadini a fronte della prima vera occupazione militare e suc-cessivamente a salvaguardare, in aperta contraddizione con le istanze promosse dalla reggenza, i caratteri più genuinamente fondativi del sistema di governo di Livorno.

�0� G.vivoli, op. cit., p. 389, t.IV, Livorno, �846�03 Giuliano Gaspero Capponi, gentiluomo di Camera del granduca e sergente generale

di battaglia, era un rampollo dell’illustre casato dei marchesi Capponi di Firenze, nonché fratello e zio dei forse più noti marchese piero Capponi e del cavaliere stefaniano il capitano Gino Capponi. La scelta del Capponi fu probabilmente motivata dall’aver questi dato pro-va di eccellenti doti militari e diplomatiche come governatore della Lunigiana e Fivizzano durante gli anni Venti del secolo. per maggiori notizie su Giuliano Capponi, si rimanda a m.aGlietti, Giuliano Capponi governatore di Livorno tra Medici e Lorena, in Livorno nella Toscana dei Lorena (1737-1799), cit.

�04 ancor prima di diventarne governatore, il maestro di campo Capponi aveva saputo concludere il � febbraio �7�� un difficile accordo coi marchesi di Fosdinovo e di mulazzo per la concessione di una via d’accesso privilegiata, nonostante l’opposizione dei genovesi ed a fronte dell’impraticabilità di passare via sarzana, per favorire il commercio tra Livorno e la Lombardia. Interessanti notizie sull’attività del Capponi in veste di governatore della Luni-giana sono reperibili in asFi, Mediceo de Principato, �755.

�05 C.manGio, Commercio marittimo e Reggenza lorenese in Toscana. Provvedimenti legislativi e dibattiti, in «rivista storica Italiana», anno XC, fascicolo IV, �978, pp. 898-938 e D.BaGGiani, Tra crisi commerciali e interventi istituzionali. Le vicende del porto di Livorno in età tardo medicea (1714-1730), in «rivista storica Italiana», anno CIV, fascicolo III, �99�, pp. 678-7�9.

9�

Non appena assunto il suo incarico di «governatore della città, porto, presidio e giurisdizione di Livorno» nel marzo del �730, Cap-poni stabilì infatti una regolare e dettagliata corrispondenza con il marchese rinuccini, segretario del ministero di guerra, informandolo sui fatti e, soprattutto, sull’andamento dei primi numerosi interventi avviati�06. Il nuovo governatore, alla luce di ciò «che nei tempi presenti ogni regola di buon governo lo richieda», promosse immediatamente una serie di iniziative tese ad assicurare alla città gli approvvigiona-menti alimentari, soprattutto cerealicoli; il collegamento con pisa via acqua e il corretto mantenimento del fosso dei Navicelli per garan-tire la navigazione delle imbarcazioni in ogni stagione dell’anno; ma soprattutto la difesa del porto e dell’abitato, tramite la verifica dello stato delle fortificazioni e delle forze militari presenti e promuovendo tutte le necessarie integrazioni e migliorie�07.

La situazione internazionale era ostile, tra le voci di movimenti di truppe sulle coste francesi e spagnole e le prospettive di occupazio-ne del granducato dell’imperatore, che si era rifiutato di accettare il trattato di siviglia del 9 novembre �7�9�08. I venti di guerra per altro influivano negativamente anche sui traffici e i movimenti commer-ciali del porto, anche a causa delle continue operazioni promosse dai

�06 In questi frangenti, il compito del governatore in qualità di informatore privilegiato ed informato sui fatti divenne essenziale: «In questa situazione dunque sì difficile e delicata do-vrà Vostra signoria Illustrissima procurare di essere bene intesa di tutte le notizie che giun-geranno costì per la via del mare per rendercene consapevoli e per invigilare sempre più alla sicurezza e difesa della sua piazza, e si attenderà in appresso di sentire quello che ella stimerà di proporre in ordine a rendere più perfette codeste fortificazioni o a fare qualche aumento delle munizioni di guerra, non dubitandosi che ella proporrà queste e le altre cautele in forma che possino essere eseguibili con non molto dispendio per avere i dovuti riguardi alle strettezze presenti dell’erario di sua altezza reale nostro signore», in asFi, Mediceo, ��56, cc.n.n, il rinuccini al Capponi, il �� aprile �730.

�07 Ibidem, Capponi al rinuccini, il �9 aprile �730. In questo sforzo, si inserisce la realiz-zazione di molte nuove fortificazioni erette nei mesi successivi e progettate dal provveditore del Fantasia. si conserva ad esempio la «relazione concernente il progetto d’alcuni nuovi esteriori alla città di Livorno fatta all’illustrissimo signor marchese generale Capponi go-vernatore dal provveditore Giovanni maria del Fantasia l’anno �73�» in asFi, Mediceo, �807, ins.��. alcune fortificazioni furono addossate ai lazzeretti e in altri punti della città (una delle relazioni più complete delle modifiche apportate è in ibidem, ��57, cc.nn., lettera di Capponi a rinuccini, 3� gennaio �730 (�73�) e quella dell’8 agosto �73� nel quale si fa riferimento alle piante con le nuove fortificazioni effettuate sotto il governatorato Capponi e eseguite dal del Fantasia).

�08 G.qUazza, Il problema italiano e l’equilibrio europeo 1720-1738, Deputazione subal-pina di storia patria, Torino, �965, p. �3� e m.mafrici, Il re delle speranze. Carlo di Borbone da Madrid a Napoli, edizioni scientifiche Italiane, Napoli, �998, pp. 36-37.

9�

genovesi per discreditare quanto più possibile lo scalo labronico, non solo attraverso il lavoro diplomatico, ma anche attraverso la vera e propria pirateria sui mari�09.

a seguito delle febbrili trattative intercorse tra le corti europee nei mesi precedenti, il trattato del �5 luglio �73� tra le corti spagnola e fiorentina riconobbe il diritto successorio di Carlos di Borbone a Gian Gastone medici. Di lì a breve fu concordato l’invio di seimila soldati spagnoli da destinarsi a Livorno ed a portoferraio. Tra la fine di settembre ed i primi di ottobre del �73� Capponi indirizzò a Firen-ze molte e preoccupate lettere chiedendo febbrilmente istruzioni sul da farsi��0. Da Firenze si rispondeva in modo confuso e approssimati-vo, avvalendosi delle poche notizie che arrivavano via frate salvatore ascanio, sorta di rappresentante borbonico in Toscana, ma alla metà di ottobre ancora non si conosceva la quantità delle truppe che sareb-bero sbarcate di lì a pochi giorni a Livorno. Capponi, che nutriva la speranza di poter conservare la piazza sotto il proprio controllo, inviò con continuità a Firenze le note dei magazzini e quartieri disponibili a Livorno da utilizzarsi per l’alloggio di truppe ed ufficiali. anche a Firenze si confidava di mantener intatta l’autorità del governatore, assieme a quella del granduca, «ma – ammetteva rinuccini – non è ancora possibile di formare alcun piano e progetto se non si sa prima qualche cosa di certo delle vere intenzioni della corte di spagna»���.

a due giorni di distanza dall’attracco della prima nave da guerra inglese inviata in avanscoperta della flotta «combinata», cioè compo-sta da spagnoli ed inglesi, il �� ottobre Capponi riceveva la visita del colonnello Giovanni Francesco di espinosa, con una lettera di istru-zioni da Firenze: emanuel d’Orléans conte di Charny, supremo ge-

�09 Il �3 luglio �73�, a fronte del perdurare delle «improprie procedure dei corsari geno-vesi», il Capponi propose persino di armare le due galere stefaniane, di imbarcarvi i cavalieri dell’Ordine di santo stefano e mandarli in mare per difendere le coste dagli attacchi e inti-morire i corsari. Il �� luglio �73�, rinuccini, a nome proprio, del granduca e del consiglio si congratulava col Capponi per come stava tentando di risolvere la situazione. Il governatore, infatti, a fronte di nuove gravi offese perpetrate da imbarcazioni genovesi contro altre na-poletane, minacciò il console genovese di ricorrere alla forza del cannone e di intimare alle imbarcazioni degli armatori genovesi di andarsene dal porto di Livorno. «Insomma Vostra signoria Illustrissima non lasci di usare ogni diligenza per fare rispettare codesto porto e il commercio e fare passare la voglia ai genovesi di turbarlo e inquietarlo, come hanno cercato finora di fare con una animosità insoffribile, nonostante tutte le attenzioni da lei usate verso di loro nelle presenti loro circostanze». asFi, Mediceo, ��57, cc.n.n.

��0 Ibidem, Capponi a rinuccini, il �4 settembre �73�.��� Ibidem, rinuccini al Capponi in data 9 ottobre �73�.

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nerale, e le truppe spagnole al suo comando dovevano essere accolte nelle fortezze livornesi, ordinando l’evacuazione delle truppe toscane stanziatevi. L’elenco degli ufficiali da alloggiarsi superava il numero di cinquecento. Le truppe in numero di seimila unità sbarcarono a Livorno il �7 ottobre con l’ordine da madrid di insediarsi nella piaz-za cittadina (eccetto una piccola parte da mandare a portoferraio) sotto il comando assoluto dello Charny. L’opposizione di Capponi fu immediata, come egli stesso riferì al rinuccini:

al sentir ciò, ci siamo subito opposti colle più forti e vive ragioni per farli com-prendere che in quello riguarda questa piazza non era giusto, né doveroso che dovess’esservi un altro che comandasse sopra del governatore portovi dalla real altezza sovrana e perciò se gli è proposto di darli le due fortezze vecchia e nuo-va acciò potesse in quelle mettervi le truppe che gli piacesse, col lasciar poi la piazza libera e nello stato in cui presentemente si trova���.

Il Charny non sentì ragioni, il suo mandato era quello di tenere sotto il suo comando Livorno in nome del granduca e dell’Infante, pretendeva quindi il controllo totale della piazza. a poco servì far os-servare all’ufficiale spagnolo che seimila uomini dovevano essere di-visi a norma degli accordi tra Toscana e lo stato di parma e piacenza, Charny obiettò che, con l’estinzione senza discendenti della dinastia Farnese e il passaggio del ducato ai Borbone, non era più necessario mandarvi militari. Non trovando alcuna possibile conciliazione, il Capponi tentò un’ultima via:

Che egli [Charny] possa porre dentro la piazza di Livorno una porzione delle sue truppe spagnole purché devin restarvi quelle di sua altezza reale che at-tualmente vi sono, e che in tutto ciò che riguarda il militare, deva il governatore della real altezza sovrana prenderne da lui gli ordini per poi farli eseguire con ogni attenzione��3.

Nemmeno questo volle concedere il Charny, nonostante l’assenso dell’ammiraglio inglese. Il primo novembre �73� il Charny prestò il giuramento al granduca, introdusse le truppe in città nominalmente senza aggravio né per il sovrano né per i sudditi toscani. al conte fu assegnato il governo militare di Livorno, salvo ogni attività di gover-no di tipo politico ed economico che restava di pertinenza del gover-natore Capponi.

��� Ibidem, Capponi a rinuccini, lettera del �7 ottobre �73�.��3 Ibidem.

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Nei giorni successivi, il carteggio tra Livorno e Firenze si infittì, raggiungendo cadenza giornaliera, per sapere il da farsi. Le disposi-zioni della regina spagnola, elisabetta Farnese, avevano ben chiara-mente ordinato alle truppe e agli ufficiali di comportarsi amichevol-mente colle popolazioni locali, in vista dell’arrivo del principe Carlos che, infatti, giunse in rada il �7 dicembre �73�. Capponi, insieme al marchese rinuccini, si recarono personalmente ad accogliere l’Infan-te prima del suo sbarco a Livorno, dedicando al giovane principe un benvenuto trionfale fra l’acclamazione di tutta la città festante��4.

La convivenza con gli spagnoli, pur all’insegna delle migliori inten-zioni da parte di entrambi, occupanti ed occupati, non fu esente da momenti di insofferenza��5 e di grave tensione. La necessità di ospi-tare un numero così ingente di soldati e militari in città rese evidenti aspetti del potere del governatore che fino a quel momento erano ri-masti in ombra. Il governatore divenne l’intermediario principale tra il ministero fiorentino e le istituzioni cittadine, affinché le richieste di alloggiamento delle truppe venissero soddisfatte, e gestì in prima per-sona le modalità di quel servizio, esentando in tutto o in parte settori specifici della società. risultò subito essenziale scegliere la residenza da destinare alle truppe, decidendo su quali gruppi sociali fare affida-mento e quali liberare da ogni gravame, cercando di alloggiare in case private solo gli ufficiali e non i soldati.

Il compito più delicato per il governatore fu però quello di valuta-re le conseguenze di natura economica e commerciale a fronte della minaccia di molti mercanti di abbandonare la città, nell’impossibilità

��4 Ibidem, li �7 dicembre �73�, Capponi a rinuccini, si riferisce l’arrivo dell’Infante e quanto fatto in tale occasione dal governatore Capponi, il quale si portò a bordo della galera reale per accoglierlo: »ho avuto la grazia di potere inchinare la real altezza sovrana e di farli l’offerta del bastone, cerimonia solita praticarsi dai governatori di questa piazza con i principi della Casa reale, e il detto serenissimo Infante ha usata meco in tale occasione una benignità e clemenza assai distinta». entrato in città, l’Infante fu ben accolto dalla popola-zione: «Questo popolo poi ha mostrata generalmente una gioia particolare nel vedere sua altezza reale».

��5 asFi, Mediceo, ��68 cc.n.n., Capponi a rinuccini, da Livorno, il �4 marzo �73� (�73�). Così, ad esempio, a fronte del sequestro di un capannone ove si conservavano legna e stipe necessarie per il commercio e la vita quotidiana, e delle continue richieste di nuovi alloggi da parte del Charny, Capponi esclamò: «Insomma, i signori spagnoli fanno conoscere con chia-rezza che vogliono appropriarsi tutto ciò che appartiene alla piazza, perché son quotidiane le loro noiose dimande, e nel far queste non mostrano di cooperare a beneficio del paese, né a mantenere fra noi la buona corrispondenza, la quale da canto mio, può esser certa Vostra signoria Illustrissima, che fo ogni possibile per conservarla».

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di condurre le proprie transazioni. Fu inoltre necessario potenziare le misure per garantire la sicurezza pubblica, dato l’incremento della conflittualità sociale dovuta alla presenza straordinaria di soldati in una località già difficilmente controllabile.

Da un punto di vista giurisdizionale, come è ovvio, le prerogative in via teorica rimaste di spettanza del governatore vennero in più occasioni usurpate. Fu lo stesso rinuccini, su indicazioni in tal senso del granduca medici, ad avvertire il Capponi che delle pattuglie di soldati spagnoli durante le ronde di guardia avevano arrestato alcuni abitanti della città, portati al comando e sottoposti a interrogatorio, avevano in certi casi addirittura stilato un processo e comminata la punizione. Divenne perciò urgente interrompere una pratica «tanto pregiudiziale alla giustizia, ai diritti e al decoro di codesto Governo» ed intercedere presso il conte di Charny perché non si ripetessero tali episodi. Il Capponi si cimentò nel difficile compito, senza però trovare lo sperato riscontro da parte del conte il quale pretese dal governatore un dettagliato resoconto dei casi ai quali si faceva rife-rimento. alla nota redatta dai funzionari del Governo, Charny dette una risposta solo dopo due mesi, ammettendo di aver esaminato alcuni testimoni toscani e sottoposti a processo, ma perché si trattava di cause relative a soldati spagnoli. a quel punto, gli eventi interna-zionali ripresero il sopravvento sulle vicende locali e la questione non venne più ripresa.

Quando l’accordo ispano-imperiale saltò, anche la neutralità fino a quel momento rispettata del porto labronico parve essere in grave pericolo. allo scoppio del nuovo conflitto, legato alla questione della successione polacca, lo speciale regime goduto dal porto di Livorno poté però essere confermato grazie all’oculata gestione del Capponi, mentre alla fine di novembre del �733 ci si preparava ancora una vol-ta a ricevere un nuovo sbarco di truppe spagnole. Il governatore ten-tò nuovamente di assecondare in ogni modo il conte di Charny per assicurare che tutto avvenisse in buon ordine e il Consiglio fiorentino elogiò esplicitamente le doti del Capponi spronandolo ad «incorag-giare e rendere contenti e tranquilli cotesti negozianti e i loro corri-spondenti», e ad avviare i dieci squadroni di uomini e cavalli giunti dalla spagna verso gli alloggi preparati nelle terre del pisano��6.

��6 asFi, Mediceo, ��59, da Firenze, al governatore Capponi, il �7 novembre �733.

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Gli sforzi del Capponi per accogliere nella maniera migliore le forze d’occupazione spagnole furono costanti e tese a minimizzare il disagio arrecato alla popolazione civile e, soprattutto, alle attività mercantili. riuscì a limitare il deposito di armamenti e munizioni in città e lo stanziamento delle truppe: gli ufficiali vennero distribuiti nelle locande accollando al Governo toscano il costo dell’ospitalità per non gravare sui privati, mentre il soldati vennero destinati ai con-venti cittadini evitando così il sequestro dei capannoni necessari al ricovero e allo stallaggio delle merci��7.

L’impegno per «scemare l’incomodo agli abitanti et al commer-cio», scriveva nel marzo del �736, e perché «questa piccola e popola-ta città» non fosse «inquietata in un tempo che anno da giungere ed imbarcarsi tante truppe spagnole» fu assai laborioso��8. anche perché furono anni contrassegnati dalla permanente instabilità delle alleanze che legavano le potenze straniere presenti a Livorno a diverso titolo, e ciò non poté che riflettersi direttamente sulle inquietudini dei mer-canti presenti in città. alla luce della documentazione conservata si può registrare una maggior intraprendenza dei consoli a fronte della debolezza che caratterizzò in questo periodo il potere granducale, del quale il governatore era il diretto riflesso. Tale debolezza rese il ruolo governatoriale più difficile, la sua autorità meno cogente e furono più frequenti e necessari interventi a difesa della giurisdizione del Go-verno. Tuttavia, i trattati di neutralità mitigarono in parte i motivi di attrito dando al governatore una solida pezza d’appoggio per rivendi-care la propria importanza.

Non diversamente da quanto già avvenuto con i suoi predecessori, e da quanto avverrà con i successivi governatori, per il Capponi il rapporto coi consolati fu difficile e non esente da contrasti, anche vi-vaci. sono numerosi i casi nei quali il governatore ebbe a che fare con consoli restii a conformarsi alle regole stabilite ed a quelle disposizio-ni consuetudinarie mai messe per iscritto. La natura di questi scontri, più o meno vivaci, rientrava in una ristretta casistica riassumibile

��7 asFi, Mediceo, ��6�, cc.n.n. Tutte o quasi le lettere del Giuliano Capponi da Livorno riferiscono sui movimenti di truppe, sulle decisioni del Gavona e del montemar, sui disagi della popolazione per l’ospitalità coatta e il passaggio delle truppe, si segnalano in partico-lare la nota delle robbe state estratte dai magazzini di sua altezza reale ai primi di maggio �735 per servizio dei signori spagnoli; Capponi, �� luglio �735 al rinuccini; cc.n.n., �� ago-sto �735, Capponi al marchese Carlo rinuccini, Livorno. asFi, Mediceo, ��6�, cc.n.n.

��8 asFi, Mediceo, ��6�, cc.n.n. lettera del �� marzo, da Capponi a rinuccini.

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nella pretesa avanzata dai consoli di avere un potere di giurisdizione sui propri nazionali, nel tentativo di difendere interessi presuntamen-te usurpati o violati da altre «nazioni» come, ad esempio, in caso di dispute tra equipaggi e nei casi di contrabbando, oppure per l’ema-nazione di sentenze, di diplomi di cittadinanza, di passaporti e lascia-passare, o di altri analoghi documenti��9.

La notizia del definitivo ritiro delle truppe spagnole da Livorno non fu all’insegna dell’auspicata liberazione, per il ben fondato timo-re che esse sarebbero state presto sostituite da altre di diversa nazio-nalità. Capponi, nel comunicare l’evacuazione delle truppe iberiche da Livorno��0, ebbe persino parole di nostalgia riferendosi alla spa-gna come a una «nazione molto umana, piena di rettitudine e che ha sempre a cuore la conservazione della propria stima, che veramente da ognuno deveseli professare»���. Dopo tanto tempo di convivenza si era innegabilmente creato un reciproco legame con gli occupanti, ben diversamente da quanto avvenne con le truppe imperiali, anche perché gli spagnoli avevano comunque offerto un utile servizio di po-lizia. Già ai primi di aprile del �736, rimasti a Livorno solo gli ultimi undici battaglioni, si era dovuto richiamare truppe granducali in città per poterla mantenere sotto controllo, non nascondendo come:

Questa nostra piccola truppa non è bastante per armare la piazza quando si troverà sola, come pare sia per seguire presto, perché levati l’inabili sono pochi i soldati effettivi e poi conviene darne ora prontamente duecento per l’armamen-to delle due galere che devono sortire in corso���.

Finalmente, dopo qualche indugio, e qualche pretesto addotto per non andarsene (soprattutto le sommosse dei corsi), il generale montemar ordinò il ritiro delle armate borboniche. Capponi informò il rinuccini ai primi di gennaio del �737 della comparsa degli impe-riali��3. Da Firenze, si riconosceva l’abilità e il «garbo» con il quale il

��9 m.aGlietti, Giuliano Capponi governatore di Livorno tra Medici e Lorena, cit.��0 Capponi riferiva a rinuccini dell’imbarco degli spagnoli sui bastimenti in partenza

commentando: «Il dover i signori spagnoli lasciare la Toscana gli è assai sensibile, et a noi se-gue lo stesso perché invero si sono comportati con una somma saviezza et anno tenuta colle loro truppe la migliore disciplina, dichiarandosi tutti contentissimi del paese e dei sudditi di sua altezza reale nostro signore», in asFi, Mediceo, ��6�, cc.n.n., in data �4 marzo �736.

��� Ibidem, Capponi al rinuccini, il 6 aprile �736.��� Ibidem, Capponi a rinuccini, � aprile �736��3 asFi, Mediceo, ��63, cc.n.n. al Capponi da Firenze, li 30 gennaio �736 (�737).

Utili indicazioni, anche sul conto del generale di montemar, José Carrillo de albornoz, in m.mafrici, Il re delle speranze, cit., pp. �0, 5�, 73-84, e in ead., Fascino e potere di una regi-

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governatore aveva saputo gestire anche in questo frangente l’arrivo del primo battaglione imperiale, affidandogli parimenti l’incarico di provvedere a ricevere le truppe che sarebbero giunte per restare in città e, in minor parte, per passare a portoferraio.

Il governatore si trovò nuovamente a dover disciplinare tutte le questioni relative all’arrivo dei contingenti d’occupazione, a garantire gli alloggi alle truppe fissando i prezzi degli affitti, le somme da pa-garsi agli ufficiali, assicurare i vettovagliamenti di sale, di carni, e così via��4. Il trattamento da riservarsi ai nuovi ospiti sarebbe stato lo stesso riservato ai precedenti, mentre una qualche delicatezza rivestiva la consegna delle chiavi della città, che a norma dei regolamenti in vi-gore avrebbero dovuto essere consegnate al generale Wachtendonck. Quella consegna si doveva ritardare il più possibile, almeno fino a che il generale non avesse effettuato il giuramento di fedeltà al gran-duca medici, confidando sulla «saviezza ed esperienza» del Capponi di saper fin a che punto spingersi nel mostrare qualche «piccolo in-dugio» senza suscitare nervosismi tra gli imperiali��5. Il Wachtendon-ck non tardò molto ad effettuare il giuramento di fedeltà che prestò il 5 febbraio �737 nelle mani del governatore Capponi. Il governatore, da parte sua, promosso al grado di tenente generale della cavalleria granducale pochi mesi prima da Gian Gastone��6, pretese almeno di ottenere nelle precedenze «un egual trattamento, in considerazione di esser egli vestito di un carattere inferiore al mio, [...] non già per un decoro mio personale, ma per quello di tutta l’uffizialità di sua altez-za reale nostro signore e del suo servizio»��7. Come già avevano fatto

na: Elisabetta Farnese sulla scena europea (1715-1759), Cava de’ Tirreni, avagliano, �999, pp. 9�-95, �09.

��4 Così scriveva il Capponi al rinuccini, 9 aprile �736, in asFi, Mediceo, ��6�, cc.n.n. L’unico vantaggio che si poteva sperare era liberare parte degli alloggi privati adibiti ad ospi-tare gli ufficiali, in quanto tra gli imperiali il numero dei gradi alti era decisamente inferiore rispetto a quella degli spagnoli.

��5 asFi, Mediceo, ��63, cc.n.n. al Capponi da Firenze, li 30 gennaio �736 (�737).��6 asFi, Mediceo, ��6�, cc.n.n. Capponi a rinuccini, lettera del �8 maggio �736, la pro-

mozione gli era stata comunicata due giorni prima. Nel ringraziare, Capponi chiese di avere conforme trattamento al grado ricevuto sia da parte della guarnigione spagnola che da quella imperiale che sarebbe loro succeduta. In realtà la cosa non fu così automatica, tanto che al 30 dicembre �736 riscrisse a Firenze per esigere che venisse ordinato dal granduca che il governatore di Livorno con detto titolo di tenente fosse trattato come tale pari al suo grado, non tanto per gli spagnoli, ormai in uscita, quanto perché tale direttiva si trovasse già stabili-ta al momento dell’arrivo degli imperiali.

��7 asFi, Mediceo, ��63, cc.n.n. Capponi al rinuccini, da Livorno, 4 febbraio �736 (�737).

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gli spagnoli, Wachtendonck si impegnò formalmente ad osservare la massima fedeltà e obbedienza a Gian Gastone come unico legittimo sovrano in tutto e per tutto, purché non vi fosse nulla in contrario alla successione di Francesco stefano a forma dei trattati stipulati, senza mai dare il minimo impedimento al pieno esercizio della giuri-sdizione indipendente dei governatori e ministri granducali.

I timori di drastiche e repentine trasformazioni vennero così mo-mentaneamente placati grazie alla disponibilità dimostrata dal Wa-chtendonck a rispettare l’indipendenza del potere del governatore nell’esercizio delle sue funzioni, e alla decisione di Francesco ste-fano, trasmesso dal ministro plenipotenziario il principe di Craon, «che tutti quelli che amministrano cariche civili, militari e di ogni altra sorte continuino fino a nuovo ordine ad esercitarle». Una buona notizia che il Capponi trasmise immediatamente al provveditore alla Dogana, al provveditore dello scrittoio delle fortezze e fabbriche, al vicecommissario Carlo prini e ad ogni altro funzionario di Livor-no��8. altrettanto gradita dall’intera città fu un’altra disposizione del nuovo granduca, il quale ordinava che:

Venghino mantenuti nella più religiosa osservanza tutti i privilegi, franchigie, libertà ed esenzioni state concedute e praticate nei Governi dei serenissimi granduchi a benefizio e comodo di codesto commercio e che tutti gli abitanti e negozianti stranieri e nazionali che si trovano e si troveranno in Livorno sieno assistiti e favoriti coi più particolari riguardi a forma delle leggi veglianti e se-condo gli stili consueti.

Il governatore ebbe l’ordine di provvedere, anche in questo caso, ad informarne i negozianti di tutte le «nazioni» e, si specificava, spe-cialmente quelli della «nazione» ebrea��9.

Con il cambio dinastico fu richiesto molto materiale informativo per conoscere le pratiche in uso e, nel caso, provvedere a renderle conformi alle direttive della reggenza. Il Capponi, temendo però drastici interventi innovativi, non si limitò a fornire le notizie richie-ste, ma in diverse occasioni avanzò proposte di miglioramenti. sug-gerì, ad esempio, possibili riforme in occasione dell’invio del regesto richiestogli da Firenze (inviato in data �7 marzo �738) con «tutte le principali e precise incumbenze et oblighi del capitano o soprinten-

��8 Ibidem, il marchese rinuccini al Capponi, da Firenze, il 9 luglio �737.��9 Ibidem, il marchese rinuccini al Capponi, da Firenze, il �3 luglio �737.

�00

dente di questo porto». Capponi raccolse informazioni non solo dai ministri della Bocca ma anche dai registri di cancelleria della sanità, ricostruendo con puntigliosa precisione come «da pochi anni in qua molti obblighi del capitano della Bocca non venivano più adempiti e sarebbe bene al creder mio il farli in avvenire attentamente esegui-re»�30. Né mancò di far sentire la propria voce quando, a meno di due settimane dalla morte dell’ultimo granduca medici�3�, cercò di ostacolare la riapertura della Camera di commercio, avvenuto poi con editto del �0 ottobre �748�3�, e chiese rassicurazioni sulle voci che volevano far traslare a Livorno il tribunale dei consoli del mare di pisa. Capponi si oppose fermamente a tali iniziative, giudicate del tutto pregiudiziali al buon funzionamento del Governo labronico e, in particolare, rappresentando come «inconvenienti moltissimi ne succederebbero dall’introdurre questi tribunali e li pregiudizi gravis-simi che dalli medesimi ne verrebbero alla mia giurisdizione, al mio decoro, al mio interesse ed a quello dei miei ministri che vivono to-talmente sopra gli atti della cancelleria, e che perdendo le cause che fruttano qualche cosa resterebbero col carico di tutte le altre ingeren-ze di nessun lucro e per conseguenza obbligati a molta fatica senza il dovuto salario»�33.

Capponi, come i suoi predecessori, si impegnò in un testa a testa con Firenze per assicurare la conservazione di quelle che considera-va competenze ineludibili dell’incarico del governatore. Non erano mancati scontri neanche negli ultimi anni di governo mediceo�34, ma

�30 asFi, Mediceo, �807, ins.33, «Nota delle incumbenze e obblighi del Capitano della Bocca del porto di Livorno». Grazie a questa lunga memoria si apprende che era assegnato al capitano l’onere di regolare i saluti e l’arrivo delle imbarcazioni civili e da guerra al porto livornese, dandone immediata comunicazione al governatore ed informandolo tutti i giorni personalmente delle «nuove del mare» per riceverne gli ordini. Il capitano doveva inoltre monitorare e vigilare sugli ormeggi, sul mantenimento del molo, sulle guardie di sanità, man-tenere l’ordine tra le maestranze, assicurare che tutti pagassero l’ancoraggio dovuto alla cassa reale, non permettere l’ingresso in darsena di bastimenti senza il permesso della Dogana, vi-gilare sull’osservanza degli ordini e istruzioni provenienti dalla cancelleria della sanità. Non poteva lasciare Livorno senza licenza della segreteria di guerra e permesso del governatore.

�3� asFi, Mediceo, ��63, cc.n.n. Capponi al rinuccini, �0 luglio �737, mandava i propri omaggi al nuovo granduca e tutte le sue lacrime al morto Gian Gastone.

�3� C.manGio, Commercio marittimo e reggenza lorenese in Toscana, cit., pp. 909-9�0. �33 asFi, Mediceo, ��63, cc.n.n. Capponi al rinuccini, �� luglio �737. �34 Un caso esemplare avvenne a proposito del conferimento d’incarico ad alcuni funzionari

del tribunale di Livorno. Il governatore Capponi ne rivendicò la titolarità contro le pretese di Firenze, ribadendo come «non restando in oggi all’arbitrio dei governatori di Livorno altra ca-rica dei tribunali da poter loro conferire a suo piacimento che quella del ministro, togliendose-

�0�

fu durante la reggenza che egli seppe con determinazione preservare le prerogative dell’ufficio. a tal scopo, alla fine del �738, redasse un dettagliato rapporto, con l’evocativo titolo: «per l’indipendenza del Governo e tribunale di Livorno da’ magistrati di Firenze e per la subordinazione de’ medesimi alla segreteria di guerra di sua altezza reale»�35. Nonostante l’insufficiente supporto della documentazione, Capponi dimostrò come la rivendicata indipendenza della giurisdizio-ne governatoriale non fosse né «ideale», né «arrogata» od «intrusa», bensì «giuridica, sussistente e fondata sull’espressa volontà de’ reali predecessori». I granduchi medicei, infatti, determinati a far fiorire il commercio della nuova realtà portuale, avevano assicurato tale pre-rogativa anche in merito all’amministrazione in loco della giustizia, riconoscendo la necessità di esimere Livorno dalle «etichette partico-lari» dei magistrati fiorentini e da tutte quelle leggi che, «buonissime per il rimanente dello stato, rimanevano sconce e sproporzionate a questa città come piazza di negozio e insieme piazza d’armi». a tal scopo, il principe aveva istituito un ministro particolare per soprin-tendere alla giustizia civile e militare, il governatore, al quale avevano affiancato un giurista, esperto in materie legali, l’auditore. L’operato dei due funzionari doveva esser sottoposto al riscontro della sola se-gretaria di guerra e dell’auditore di Camera, unici dicasteri autorizzati a ricorrere direttamente al sovrano e quindi atti a dipanare difficoltà o risolvere problemi con l’immediatezza necessaria, altrimenti impos-sibile qualora si fosse dovuti ricorrere agli altri magistrati per evitare le «lunghezze che portano seco più mani in un negozio e le differenze giurisdizionali che potevano nascere».

Troppo varie sono le materie da trattarsi e risolversi con sollecitudine con più nazioni, con personaggi di differenti caratteri e condizioni che tutto giorno si

li quest’ancora verrebbero ad aver intieramente persa quella prerogativa che gode un semplice podestà di un castello, e desiderando io che nel tempo in cui avrò la sorte d’essere a questo governo non sia fatta novità svantaggiosa alle convenienze del medesimo così prego istanta-neamente Vostra signoria Illustrissima a volermi esser favorevole in questa circostanza». asFi, Mediceo, ��57, cc.n.n. Capponi a rinuccini, �3 febbraio �730 (�73�). La questione venne in realtà solo rimandata e di lì a poco, di fronte ad una nuova iniziativa fiorentina, il Capponi arri-vò a minacciare le proprie dimissioni qualora non si fosse rispettato quel suo diritto di nomina.

�35 asFi, Mediceo, �807, ins.�8, cc.n.n. Il documento già segnalato, ma senza un’appro-fondita analisi, in D.BaGGiani, Tra crisi commerciali e interventi istituzionali, cit., p. 686 e F.trivellato, The Familiarity of Strangers: The Sephardic Diaspora, Livorno, and Cross-Cul-tural Trade in the Early Modern Period, New Haven and London, Yale University press, in corso di stampa, è invece riportato integralmente in m.aGlietti, Giuliano Capponi governa-tore di Livorno, cit.

�0�

presentano a questo Governo, e tribunale, e troppo anche difficile rimanerla a’ governatori e ministri del tribunale, render conto del loro Governo a più ministe-ri, e magistrati di giurisdizione limitata, eseguirne e conciliarne gli ordini e farsi all’uno debitore di quello che all’altro non sarebbe piacciuto. sono l’uno e l’altro, il Governo di questa città e il suo tribunale di una tal indole e natura, e conviene loro maneggiare tali affari che, non communi agli altri, hanno bisogno nel loro regolamento di lumi e notizie particolari, adattate all’occorrenze de’ tempi che fu necessario lasciarlo alla cura di special ministro, che coll’autorità che li dava il canale del principe potesse torre negli affari occorrenti quell’inciampi che vi si frapponevano, mediante l’autorità delle leggi vecchie de’ magistrati non adat-tabili sempre alla costituzione di questo paese e al bene del suo commercio�36.

Dal �644, quando si era affidato a Domenico pandolfini, in qua-lità di segretario di guerra, la soprintendenza su tutte le cose militari e marittime e i negozi di Livorno (e di portoferraio), era trascorso quasi un secolo durante il quali il Governo e il tribunale di Livorno avevano avuto come autorità superiore esclusivamente la segreteria di guerra, oltre al granduca ovviamente. per altro, se il corpus degli ordi-ni granducali in tal senso risaliva alla metà del XVII secolo, l’indipen-denza di fatto del Governo labronico dai magistrati fiorentini nasceva congiuntamente alla creazione della figura del governatore.

Chiaro adunque si rende – concludeva in sintesi Capponi – che dal primo gover-natore in giù, che vale a dire dal �595, questo Governo rimase scorporato quasi dal rimanente dello stato e posto in una perfetta indipendenza da’ magistrati, gli ordini de’ quali qui o non s’eseguivano o se si eseguivano era solo nel caso che non pregiudicassero a quest’independenza�37.

Tale indipendenza non doveva interpretarsi come il rifiuto ad ob-bedire alle direttive dei magistrati o altri ministri fiorentini, né che a Livorno si operasse «senza regola o a capriccio». Tutt’altro. Nella terza ed ultima parte del memoriale Capponi descriveva nel dettaglio quale fosse il sistema e il regolamento in uso per il governo civile e politico di Livorno, dei suoi funzionari, e del tribunale per le cause civili e criminali, oltre ai limiti ben definiti della loro autonomia.

�36 asFi, Mediceo, �807, ins.�8, cc.n.n., «Fogli riguardanti e contenenti l’indipendenza che hanno i Governi e tribunali di Livorno e portoferraio».

�37 Così riassume il Capponi, mentre leggermente differente è quanto addotto nella lettera annessa del segretario di guerra pandolfini del �5 giugno �630 a sostegno di quanto afferma-to, sempre ibidem, allegato n.3 «Fogli riguardanti e contenenti l’indipendenza che hanno i governi e tribunali di Livorno e portoferraio».

�03

Lo scrupoloso lavoro di Capponi non sortì l’effetto sperato. Il �� maggio �739, il consiglio di reggenza comunicò la definitiva fram-mentazione degli affari del Governo di Livorno tra più ministeri fiorentini. La competenza su Livorno veniva infatti attribuita per le questioni relative ad affari politici e di sanità al consiglio di reggenza; alla Consulta del consiglio di reggenza in materia di negozi civili e criminali; al consiglio di guerra per le competenze militari, e infine al consiglio delle finanze per tutti i negozi di natura economica�38. Tali direttive furono estese anche al Governo di portoferraio e dell’isola d’elba dove vigeva un sistema analogo a quello livornese di esclusiva dipendenza dalla segreteria di guerra.

Giuliano Capponi morì il �� dicembre �745 e le sue esequie furo-no celebrate il �4 successivo nella cattedrale di Livorno con un ceri-moniale militare�39. si chiudeva con lui una tappa fondamentale nella storia dei governatori livornesi.

�38 asFi, Reggenza, 644, ins.48.�39 asFi, Reggenza, 645, ins.54 e L.zanGHeri, Feste e apparati nella Toscana dei Lorena,

Firenze, Olschki, �996, p. 84.

CapITOLO TerZO

IL GOVerNO DI LIVOrNO NeL seTTeCeNTO LOreNese

Di qui è che il sistema con cui si governa Livorno è molto com-plicato; che conviene combinare molte cose nelle risoluzioni da prendersi; che non si sono volute fissare regole generali, e che si è andati molte volte dietro agli esempi di casi seguiti, quali, con le massime più sostanziali riguardanti il sistema da osservarsi, si trovano solo nel carteggio che le segreterie del granduca hanno tenuto col governatore�40.

1.Primeriforme,nUovePreoccUPazionieveccHiediatriBe

Diversamente da quanto constatato per le epoche precedenti, la ricostruzione delle vicende relative all’istituto governatoriale livor-nese in età lorenese ha potuto contare su fonti storiche più generose. Grazie ai numerosi rapporti e memorie redatti dai governatori Ginori e Bourbon del monte, ma soprattutto a cura dell’auditore Giuseppe Francesco pierallini�4�, sono infatti documentate le più importanti novità introdotte in virtù di diritto e in via di prassi.

�40 asLi, Governo, 958, «massime di Governo e altre istruzioni per l’uso», c. 7v.�4� Giuseppe Francesco pierallini nacque a Firenze nel �7��. Dopo essersi laureato in

studi giuridici e aver esercitato per alcuni anni l’avvocatura, passò a Livorno. Dal �764 al �793 questo scrupoloso funzionario operò a diverso titolo presso il Governo livornese, prima in qualità di cancelliere del tribunale, quindi di segretario della camera di commercio, infine di auditore e poi di auditore consultore, lasciando nei documenti del fondo corrispondente rapporti, memoriali e studi specifici redatti su richiesta dello stesso governatore o di Firenze. resta invece conservata un’unica filza con il carteggio di pierallini nella sua veste di auditore, con le lettere inviate a vari destinatari dal �775 al �780, in asLi, Governo, copialettere, 968. per maggiori dettagli sugli scritti di pierallini si rimanda a C.Piazza, Schiavitù e guerra dei barbareschi. Orientamenti toscani di politica transmarina (1747-1768), milano, Giuffrè, �983, e in particolare le pp. �7-83 e a m.aGlietti, Il Governo di Livorno: profili politici ed istitu-zionali nella seconda metà del Settecento, cit.

�06

Le riforme granducali rivolte all’istituto governatoriale, e in par-ticolare quelle pertinenti all’amministrazione della giustizia, furono molte e tesero a mutare le prerogative del governatore, spesso a vantaggio di quelle dell’auditore. Tale indirizzo fu probabilmente motivato dal fatto che mentre l’incarico di governatore, prestigioso e tendenzialmente vitalizio, non consentiva trasformazioni troppo drastiche dell’ufficio, la carica di auditore del governo rispondeva maggiormente alle esigenze di rinnovamento in quanto affidata a fun-zionari caratterizzati da una carriera professionale specializzata e, nel complesso, più inclini all’obbedienza.

Con la morte di Capponi nel �745 si aprì la delicata questione di come gestire la vacanza di potere lasciata e soprattutto quella della nomina di un successore. Il primo governatore dell’età lorenese sa-rebbe stato il marchese Carlo Ginori�4�.

Dopo un breve periodo di interregno durante il quale la reggen-za, conformandosi all’usanza, affidò il governo politico e civile di Livorno all’auditore, l’allora cavaliere stefaniano Jacopo mercati già Neroni�43, un dispaccio granducale del primo ottobre �746 ratificò la nomina del Ginori�44. Di lì a poco, si definirono le modalità con le quali svolgere la cerimonia della presa di possesso. Ginori, vestito in

�4� Il marchese Carlo Ginori nacque a Firenze il 7 gennaio �70� e morì, a Livorno, l’�� aprile del �757. Già segretario dell’antico senato dei Quarantotto di Firenze all’arrivo della dinastia lorenese, partecipò a diverso titolo ai lavori della reggenza, sempre in posizioni autorevoli e di potere, anche grazie alle sue parentele con la famiglia Corsini, fino alla sua nomina a governatore di Livorno. Celebre la sua abilità per gli affari, come testimoniò anche nell’avvio di una apprezzata azienda manifatturiera di porcellane, a Doccia. sulla sua vita e la sua poliedrica carriera di statista, acuto studioso e dotato imprenditore, condotte tra Fi-renze, Vienna, Venezia, Doccia, Cecina, Cortona e, appunto, Livorno, molto è stato scritto. Una datata, ma ancora affidabile biografia è reperibile in L.Passerini, Genealogia e storia della famiglia Ginori, Firenze, Cellini, �876, in particolare alle pp. 8�-�06. Tra gli studi più recenti, con notizie inedite ed utili indicazioni bibliografiche, si ricordino, oltre agli scritti ai quali si rimanderà nelle note successive, la voce Ginori, di Orsola Gori pasta nel Dizionario Biografico degli Italiani, LV, roma, �000, pp. �6-35; e il catalogo Album Carlo Ginori, a cura di r.Balleri, Firenze, polistampa, �006.

�43 Il Neroni aveva preso il posto di Girolamo Bonfini, nominato auditore della ruota di siena, con dispaccio sovrano del �5 luglio �744, in asFi, Reggenza, 549, ins.7�. per l’incari-co di facente le funzioni di governatore, si veda quanto attestato in occasione di una supplica del Neroni al granduca, in data �9 agosto �746, in asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 805, f. «auditore pro-tempore del governo», cc.n.n.

�44 asFi, Reggenza, 549, ins.�65, «elezione del marchese senatore Carlo Ginori in go-vernatore di Livorno». si veda, al proposito, anche Il Granducato di Toscana. I Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, a cura di F.Diaz-L.mascilli migliorini-C.mangio, milano, UTeT, �997, p. �8-�9

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«abito di città» e dopo aver ricevuto il presentat’arm dai battaglioni del reggimento delle guardie e dal reggimento di Toscana schierati sulla piazza prospiciente al palazzo di sua residenza, si recò al Duo-mo per ottenere la benedizione e officiare il Te Deum. Terminato l’ufficio religioso e accolto al palazzo di giustizia dal gonfaloniere e dagli altri rappresentanti del pubblico, Ginori presentò la lettera credenziale di sua investitura al cancelliere comunitativo perché ne desse lettura. Il gonfaloniere gli consegnò allora «il bastone, simbolo del comando del governo di giustizia», ponendo così fine alla cerimo-nia. La funzione si tenne il �6 novembre e tutti i bastimenti stranieri che erano in rada vollero onorare il nuovo governatore con alcuni tiri di cannone, ai quali si rispose con venti cannonate per ciascuna delle «nazioni» presenti in città�45.

Francesco stefano emanò da Vienna un motuproprio contenente puntualissime istruzioni�46. secondo quanto impartito, si affidava al governatore innanzitutto l’amministrazione della giustizia civile e criminale e del «buon governo» della città di Livorno e suo porto. In qualità di capo del tribunale di sanità, doveva vegliare sull’esatto adempimento dei regolamenti. Una cura particolare era da profon-dersi per sostenere e proteggere il commercio, assumendo a tal fine l’incarico di presidente del consiglio di commercio, organo istituito nell’ottobre del �746�47. Con pari dedizione doveva far rispettare la franchigia del porto, preservando i diritti e l’autorità del granduca senza permettere alcuna violazione, cautelandosi soprattutto nei confronti dei consoli residenti, sempre pronti ad introdurre speciali eccezioni al regime comune. Infine, doveva assicurare la riscossione di diritti e gabelle, perseguendo con ogni mezzo i contrabbandi, e

�45 asFi, Reggenza, 646, ins.4�, lettera di Ginori all’abate Tornaquinci, in data �4 no-vembre �746. La cerimonia si svolse in realtà due giorni dopo per attendere la messa a punto delle truppe. si veda anche: asFi, Segreteria e ministero degli esteri, 937, ins.�0, «relazione delle funzioni che furono eseguite nel possesso preso del governo di Livorno dai governatori Ginori, Bourbon del monte e da montauto», a cura del capitano Gherardo maffei del giu-gno �789. sulla cerimonia del Ginori, anche L.frattarellifiscHer, Carlo Ginori governa-tore a Livorno, in «amici di Doccia. Quaderni», � (�007), pp. 87-9�, in particolare p. 87.

�46 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 336, prot.3, ins.44, seratti inviava all’auditore di Livorno pierallini, da Firenze, il �6 gennaio �78�, copia delle «Instructions pour le marquis Ginori, gouverneur des ville, port et capitanat de Livourne», fatte a Vienna il � di ottobre �746 e redatte in lingua francese. Il testo è riportato in appendice.

�47 sulle differenti istituzioni dedicate agli interessi mercantili e commerciali a Livorno, si rimanda a V.marcHi-U.canessa, Duecento anni della Camera di Commercio nella storia di Livorno, Livorno, Debatte editore, �00�, I (�64�-�860).

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proporre tutto ciò che fosse «più vantaggioso all’accrescimento, si-curezza della città, porto e commercio, come stimi di servizio di sua maestà e bene dei popoli»�48.

La novità di gran lunga più importante stava nell’aver separato in due incarichi distinti il governo civile da quello militare. Quest’ultimo infatti si conferiva al barone Hénart, ripartendo così il Governo di Li-vorno tra un rappresentante della élite toscana e un leale componente del gruppo di funzionari e militari legati invece alla famiglia lorenese, secondo un modello già noto alla politica di Francesco stefano�49. In ambito militare restavano al Ginori soltanto diritti onorifici, oltre alla facoltà di disporre su quanto credeva opportuno per assicurare il «buon servizio» e ferma una piccola, ma pur significativa, preminen-za gerarchica su Hénart rilevabile dal tipo di competenze conferite e dai diseguali compensi assegnati�50.

restava agli ordini del governatore anche il provveditore delle for-tezze ed artiglieria quanto alla giurisdizione della piazza, del porto, delle torri e forti annessi, seppur con l’obbligo di una precedente partecipazione al comandante militare. In caso di disaccordo tra Ginori ed Hénart, sarebbe intervenuta la reggenza con l’interme-diazione del segretario di guerra. Il commissario delle galere e del Bagno rispondeva al governatore quanto al trattamento dei forzati e al loro utilizzo per effettuare riparazioni del porto, fortificazioni ed altre simili attività�5�, al controllo dei movimenti delle imbarcazioni

�48 Così si trova in una efficace sintesi delle istruzioni impartite al Ginori, in italiano, con-servate in asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 795, cc.n.n.

�49 Tema egregiamente sviluppato in a.contini, Gli uomini della Maison Lorraine: mi-nistri, ’savants’, militari e funzionari lorenesi nella Toscana della Reggenza, in Il granducato di Toscana e i Lorena nel secolo XVIII, a cura di a. Contini-m.G.parri, Olschki, �999 pp. �07-�84. si veda anche ead., La reggenza lorenese tra Firenze e Vienna: logiche dinastiche, uomini e governo (1737-1766), Firenze, Olschki, �00�, pp. �05-�07.

�50 separazione del Governo civile di Livorno dal comando militare, li �� ottobre �746, come da rescritto fatto nel consiglio delle finanze in detta data: «avendo sua maestà Impe-riale giudicato a proposito di separare il Governo civile di Livorno dal comando militare ed avendo nominato al primo il suo consigliere di stato marchese Ginori, e al secondo il colon-nello barone Hénart, vuole che al primo si paghi dalla sua reale depositerai la somma di lire settemila e al comandante militare la somma di lire seimila cinquecento dalla cassa militare, e che inoltre il sopra più dei loro respettivi emolumenti sia distribuito loro nella forma che vien espresso nell’ingiunta nota». asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 795, ins. «anni precedenti».

�5� Il consiglio di reggenza inviò una esplicita comunicazione in tal senso al cavalier mancini, commissario delle galere e del Bagno di Livorno pro tempore, in data �� novembre �746, evidentemente per dare maggior sostegno alle prerogative del Ginori. asFi, Reggenza, 646, ins.4�.

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e per l’allestimento e l’armamento delle galere granducali chiamate ad intervenire a protezione del commercio, sempre con la parteci-pazione del comandante militare tenuto, da parte sua, a garantire il rifornimento di truppe. Quanto invece ad organizzare spedizioni di corsa, il commissario delle galere era libero di decidere limitandosi ad informarne il segretario di guerra.

specifiche istruzioni disciplinavano anche i rapporti coi ministri fiorentini. Quanto agli affari politici, civili e criminali, e di natura ec-clesiastica, pertinenti al tribunale dell’Inquisizione o d’interesse della giurisdizione pubblica, il governatore doveva rivolgersi alla segreteria di stato, la quale avrebbe fatto da tramite col consiglio di reggenza. Quanto agli affari economici o relativi al commercio, il referente sarebbe stato il consiglio delle finanze. Un sistema estremamente complesso e farraginoso, sul quale Ginori non mancò di esporre perplessità e di chiedere chiarimenti, anche a fronte degli inevitabili conflitti di competenza sorti fra tanti diversi titolari, fin dal gennaio del �747�5�.

I rapporti di questo governatore con la reggenza furono peraltro contrassegnati da continui scontri e i motivi di questo problematico dissidio sono facilmente intuibili. Ginori era un rappresentante del-l’oligarchia fiorentina perfettamente integrata nelle dinamiche socio-politiche di età medicea, come dimostrava il suo ingresso nell’Ordine di santo stefano appena sedicenne�53. Con l’Ordine mantenne un legame ben vivo sino ad esser investito il 3� marzo �755, già governa-tore, dell’incarico di luogotenente del gran maestro per presiedere ai lavori del Capitolo generale di quell’anno�54. Come i suoi predecesso-

�5� asFi, Reggenza, �83, ins.60, cc.n.n., rapporto del consiglio di reggenza datato �� apri-le �747 nel quale si rende conto al granduca di come il Ginori avesse richiesto vari chiari-menti sulle prerogative del suo nuovo impiego di governatore civile di Livorno e su qualche aspetto non previsto nelle istruzioni.

�53 Carlo Ginori vestì per giustizia il �7 dicembre �7�8. era figlio del nobile fiorentino, e senatore, Lorenzo, e di anna maria di antonio minerbetti, altro noto casato aristocratico. presentò solo le provanze de vita et moribus, perché si avvalse per attestare la nobiltà dei suoi quarti materni e paterni di quanto già addotto dallo zio paterno, il senatore Giuseppe Ginori, vestito il �6 marzo �677 (�678) e – come lo stesso Carlo – ammesso in precedenza all’Ordine in qualità di paggio magistrale, e dallo zio materno Orazio minerbetti, anch’egli vestito per giustizia. Oltre alla fede di battesimo, allegò fedi in grado di attestare insieme al fratello Francesco il possesso di beni del valore di oltre centomila scudi e di una rendita an-nua di quattromila scudi. Tutto in aspi, Ordine di Santo Stefano, �5�, ins.�4.

�54 L’incarico, in realtà, doveva essere più un onere che un onore, come faceva osservare con perfidia il console spagnolo a Livorno, de silva, a ricardo Wall il �� marzo �755: «el

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ri, Ginori apparteneva anche all’istituzione simbolo della tradizione nobiliare toscana: il senato dei Quarantotto. era stato inoltre uno dei più convinti membri di quel «partito spagnolo» che aveva auspicato la successione del trono granducale a Carlos di Borbone�55. alla luce di tutto ciò, non stupisce la diffidenza dei lorenesi, i quali pur gli ri-conobbero sempre qualità di statista e, soprattutto, un utile ruolo di intermediario con gli esponenti più importanti ed influenti dell’ari-stocrazia toscana. Il Ginori, almeno formalmente, aveva fatto del suo meglio per dimostrare la propria abnegazione alla nuova dinastia, ma la sostanziale differenza di obiettivi e metodi nelle politiche riformi-ste proposte rispetto agli intenti del conte di richecourt – emerse in particolare nell’ambito dei lavori del consiglio delle finanze e sempre più a partire dalla fine del �74� – avevano progressivamente fatto tra-montare la stella ginoriana anche agli occhi del granduca�56. Nel �74� fu persino convocato alla corte imperiale, non tanto in qualità d’in-viato, come si volle far credere, quanto per allontanarlo da Firenze ed assicurare a richecourt maggior libertà d’azione. reintegrato poi nel consiglio di reggenza quando l’azione riformista del ministro lorene-se aveva ormai preso il sopravvento, lo scontro tra i due assunse toni accesissimi. Fu a questo punto che Francesco stefano, per evitare che quel dissidio divenisse un intralcio al corretto funzionamento del consiglio di reggenza, privilegiò il conte lorenese e destinò il patrizio

marques Ginori ha sido declarado por su majestad Imperial presidente del próximo capi-tulo que deve tenerse en pisa de los caballeros de san estevan, y en tal calidad asistirá en el, adquiriendo sin duda con detrimento de sus intereses este nuevo honor», in aGsi, Estado, 5399, cc.n.n. I lavori del Capitolo del 9, �0 e �3 aprile �755 furono particolarmente brevi, e peraltro il libro delle deliberazioni non fu mai approvato dal gran maestro, condizione indi-spensabile perché avessero efficacia, quindi non ebbero mai validità alcuna. Le deliberazioni capitolari relative a questa sessione si trovano in aspi, Ordine di Santo Stefano, 648.

�55 Ginori rimase peraltro in ottimi rapporti col Borbone anche dopo l’avvento di Fran-cesco stefano. sul ruolo di Ginori e le difficili tappe del passaggio dinastico, si rimanda a m.aGlietti, Il granducato di Toscana negli anni Trenta del Settecento. Il cambio dinastico e la difficile eredità medicea, in «ricerche storiche», �-3 (�004), pp. �59-3�5.

�56 sull’importante contributo dato da Carlo Ginori in qualità di ministro a Firenze du-rante gli anni della reggenza si rimanda a F.diaz, I Lorena in Toscana. La Reggenza, Torino, UTeT, �988, in particolare pp. �7-��,7�-73; G.Pansini, Potere politico ed amministrazione al tempo della Reggenza lorenese, in Pompeo Neri. Atti del colloquio di studi di Castelfioren-tino (6-7 maggio 1988), a cura di a.Fratoianni-m.Verga, Castelfiorentino, società storica della Valdelsa, �99�; m.verGa, La Reggenza lorenese, in Storia della civiltà toscana, a cura di F.Diaz, Firenze, �999, vol. IV L’età dei lumi, pp. �7-50; a.contini, La Reggenza lorenese tra Firenze e Vienna. Logiche dinastiche, uomini e governo (1737-1766), Firenze, Olschki, �00�, pp. 9-�0.

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fiorentino ad una sorta di esilio dorato conferendogli l’incarico livor-nese (che restava pur sempre la più importante carica periferica del granducato)�57.

Date queste premesse, non stupiscono le difficoltà alle quali an-dò incontro il governatore Ginori nell’espletamento delle proprie funzioni. richecourt, da parte sua, non perdeva occasione per deni-grarne l’operato, mettendone apertamente in dubbio le capacità�58. Ciò nonostante, e malgrado una comprensibile riluttanza all’avanzare progetti davvero innovativi nella consapevolezza di scontrarsi con l’ostilità della reggenza, Ginori promosse innumerevoli iniziative per migliorare la condizione degli strati popolari più disagiati. meritano un cenno almeno le premure per trovare fondi e risorse da destinarsi agli istituti di carità presenti in città e alla fondazione della «pia Casa di refugio» per ragazzi poveri e orfani�59. La Casa, sull’esempio della secentesca «pia Casa dei poveri mendicanti» riservata alle fanciulle, doveva diventare un istituto destinato ad accogliere bambini e ra-gazzi orfani o senza fissa dimora, da indirizzare al servizio di marina sui bastimenti toscani oppure all’esercizio di altri mestieri artigianali. essa fu eretta grazie alla capacità del governatore di sollecitare i con-tributi dai mercanti livornesi per sostenerne le spese di edificazione e

�57 Una efficace sintesi di queste vicende, in m.verGa, Da «cittadini» a «nobili». Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, milano, Giuffré, �990, pp. �45-�46. appare utile ricordare l’opinione di Bernardo Tanucci a fronte di quell’allon-tanamento, motivata a suo giudizio anche al fine di toglierlo dalla segreteria delle tratte in quanto, essendo il Ginori troppo onesto e moralmente integro, intralciava l’avidità di altri ministri, in m.verGa, Dai Medici ai Lorena. Aspetti del dibattito politico in Toscana nell’epi-stolario del Tanucci, pp. �7�-��5, e in particolare p. �99 e V.sciUtirUssi, Tanucci e il proble-ma della venalità negli uffici giurisdizionali, pp. ��6-��9 e in particolare p. ��6, entrambi in Bernardo Tanucci e la Toscana. Tre giornate di studio. Pisa-Stia 28-30 settembre 1983, Firenze, Olschki, �986.

�58 Così, ad esempio, richecourt non risparmiò strali contro il Ginori nel �75� a fron-te delle difficoltà incontrate dal governatore per individuare i responsabili di un tumulto occorso a Livorno il �6 settembre �75�. La «nazione» ebrea era estremamente allarmata dall’accaduto, nonostante le rassicurazioni loro inoltrate dal governatore e dai ministri della reggenza. Il Ginori si giustificava col Tornaquinci per il ritardo nel risolvere il caso, al che così commentava il richecourt, in data 30 settembre �75�: «Je remercie son excellence monsieur le chevalier antinori de la communication des lettres cy jointes, les cartels et par-ticulièrement le dernier sont séditieuse. s’il est permis de Le dire ils montrent la faiblesse du gouvernement a Livourne, mais il n’es a pas en nous d’y réparer, tout ce que l’on peut répondre c’est qu’il faut bascher d’en découvrir les autheurs et les punir». asFi, Reggenza, 647, ins.��, cc.n.n.

�59 alcune memorie e documenti relativi al tentativo del Ginori di utilizzare per la Casa di refugio l’eredità cospicua lasciata da pietro sardi, e le resistenze incontrate a Firenze, si trovano in asFi, Reggenza, 77, cc.n.n.

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fu inaugurata il primo gennaio del �757. Ginori profuse altrettanti e maggiori sforzi per migliorare le condizioni del commercio di Livor-no, allora turbato da importanti cambiamenti�60. «I mercanti hanno cominciato a mandare i bastimenti venuti voti a caricare nelli altri porti, come Napoli e Genova», riferiva il governatore, senza produr-re, né importare, né esportare, e ciò si traduceva in una crisi piuttosto profonda per il porto labronico, dove si registrava una contrazione graduale dei traffici, costante ed inesorabile, attestata dal netto di-mezzamento del numero dei bastimenti in transito tra il �749 e il �756�6�. solo per ricordare alcune tra le più significative operazioni promosse dal Ginori anche in qualità di presidente del consiglio di commercio�6�, basti rammentare l’invio di artigiani livornesi a Napoli per incrementare le locali manifatture del corallo�63, la creazione di una società commerciale granducale delle Indie orientali e l’avvio della navigazione dei mercantili toscani sulle rotte atlantiche. Inoltrò a Firenze anche altri progetti: la creazione di una camera di commer-cio composta esclusivamente da toscani e con competenze consultive, la proposta di estendere l’esenzione da dazi e gabelle per l’esporta-zione di merci toscane all’estero�64 e il potenziamento della marina mercantile. Intervenne in merito ai rapporti economici promossi con

�60 per maggiori notizie, si rimanda a G.GUarnieri, Livorno e la Marina mercantile toscana sotto i Lorenesi, pisa, Giardini, �969, ma soprattutto a C.manGio, Commercio ma-rittimo e Reggenza lorenese in Toscana, cit., pp. 898-938; F.mineccia, Economia e società a Livorno durante la guerra dei sette anni attraverso alcune annotazioni inedite di Stefano Bertolini, in «ricerche storiche», � (�983), pp. �05-�3�, e La Toscana dei Lorena: riforme, territorio, società. Atti del Convegno di studi (Grosseto, 27-29 novembre 1987), a cura di Z.Ciuffoletti-L.rombai, Firenze, Olschki, �989, pp. 33-48 e a.D.tHomPson, «Progetti in vantaggio del Principe, del Pubblico e del commercio della Toscana». I mercanti di Livorno e l’economia toscana al momento della successione lorenese, in «Critica storica», �8 (�99�), pp. 4�7-487. Interessanti considerazioni a latere sono recentemente reperibili anche nell’ottimo a.addoBBati, Commercio rischio guerra. Il mercato delle assicurazioni marittime di Livorno (1694-1795), roma, edizioni di storia e Letteratura, �007.

�6� asFi, Reggenza, 77, cc.n.n., lettera di Carlo Ginori all’abate Giovan antonio Tor-naquinci, da Livorno, dell’�� febbraio �757 e altra, ivi, sempre del Carlo Ginori, al grandu-ca, in data �4 gennaio �757.

�6� L.frattarellifiscHer, Carlo Ginori Governatore a Livorno, cit., pp. 87-89.�63 sulla lavorazione e il commercio del corallo, si veda F.trivellato, La fiera del coral-

lo (Livorno, XVII-XVIII secolo): istituzioni e regolamentazione del mercato in età moderna, in La pratica dello scambio. Sistemi di fiere, mercanti e città in Europa (1400-1700), Venezia, marsilio, �003, pp. ���-��8.

�64 La proposta fu presentata dal Ginori nell’agosto del �75�, con una lista dei prodotti toscani che sarebbero potuti essere esportati, in L.dalPane, La finanza toscana dagli inizi del secolo XVIII alla caduta del Granducato, milano, �965, p. 6�.

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il Levante e sull’utilizzo dei tre vascelli dell’Ordine di santo stefano, disarmati e riformati, per fini mercantili�65. In particolare, Ginori sostenne l’apertura di nuove vie commerciali per poter rinvigorire le manifatture locali, l’economia livornese e, di riflesso, quella di tutto il granducato.

abbiamo i vini, gli oli, il legname lavorato, i cappelli di paglia, il corallo lavora-to, le seterie, i panni, la carta, il ferro, i cordaggi, le acciughe, i capperi, manne, giaggiolo, cocchole di ginepro, sughero, pelli, ed altri generi con i quali è certo si potrebbe fare de’ carichi per i paesi dove sono ricercati tali generi e per mezzo di questa estrazione e dell’importazione di altre mercanzie che ne deriverebbe, si potrebbe dar’ un maggior moto ed una maggior forza al nostro commercio, mentre da un profittevole smercio fossero animati i sudditi alla maggior cultura delle terre e ad applicare le manifatture e per questo mezzo le produzioni del paese sarebbero messe in opera�66.

per incoraggiare i mercanti a queste imprese, Ginori ipotizzava una serie di agevolazioni, licenze ed esenzioni particolari, anche diversi merce per merce, suggerendo di far partire i tre vascelli ste-faniani in periodi diversi dell’anno, con carichi e destinazioni mirate. Tanto entusiasmo non trovò riscontro tra i componenti del consiglio di reggenza. Il cavalier antinori, pur ammettendo di «non aver lumi bastanti» per tale progetto, con i propri «debolissimi» lo ritenne «in alcun modo eseguibile, né fruttuoso». L’abate Tornaquinci rifletteva sulla divisione che su tale iniziativa si registrava all’interno del con-siglio di commercio livornese e sulle obiezioni avanzate da parte del d’Iharce, allora capitano del porto�67, per poi allinearsi su un giudi-zio negativo, evidenziando, oltre all’impraticabilità di alcuni aspetti, come la spesa dell’invio delle mercanzie coi vascelli avrebbe di gran lunga superato i profitti che se ne sarebbero potuti trarre. Il riche-

�65 rimando alle notizie riferite in m.aGlietti, La riforma della Marina stefaniana (1750): l’atto di morte delle galere dell’Ordine, in L’Ordine di Santo Stefano e il mare, pisa, eTs, �00�, pp. �69-�96, e in particolare pp. �75 e �9�-�9�. si veda anche asFi, Reggenza, 780, inserto 8, cc.�39r-�40v, lettera del Ginori, da Livorno, del 4 febbraio �75� a proposito del benigno rescritto granducale del �9 gennaio con il quale si ordinava di presentare le proposizioni che si sarebbero credute più convenienti per «l’avanzamento del commercio» e per impiegare separatamente i suoi tre vascelli, da disarmare. si allegavano anche i pareri dei componenti del consiglio di reggenza.

�66 asFi, Reggenza, 780, ins.8, cc.�59r-�64r, rapporto del Ginori, s.d.�67 Vale la pena ricordare come, pochi anni dopo, pietro d’Hiarce fu sospeso dall’inca-

rico per il «contegno inconsiderato» che lo aveva contraddistinto, e sostituito con Lorenzo pilli. Dispaccio granducale del �5 ottobre �756, chiedendo anche al governatore Ginori un parere su quale potesse essere un soggetto adatto all’incarico. asFi, Reggenza, 65�, ins.�7.

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court, infine, affossò definitivamente il progetto allegando una det-tagliatissima relazione nella quale demoliva, punto per punto, ogni singolo elemento positivo addotto dal suo antagonista�68.

Nel gennaio del �757, completato un intero decennio di mandato ed esasperato dai continui rifiuti del richecourt, il quale non esitò a definire i progetti ginoriani «inutili, svantaggiosi o ineseguibili»�69, il governatore inviò direttamente al consiglio di reggenza un corposo memoriale nel quale, senza mezzi termini, sosteneva i tre seguenti punti:

�. [...] che se si fossero eseguiti tutti i di lui progetti si trovarebbe in oggi la Toscana nel grado più florido;

�. Che la languidezza dell’attuale commercio di Livorno procede unicamente dalla cattiva amministrazione della giustizia e delle finanze, specialmente dai rigori che vi si usano;

3. Finalmente che non si puole rimediare a questi pregiudizi e disordini senza molte facilità da non sperarsi dall’appaltatore generale, ed ancora meno dai di lui ministri, che non hanno lo zelo e spirito patriottico, né l’esperienza degli antichi provveditori della Dogana di Livorno�70.

�68 asFi, Reggenza, 780, ins.8, cc.�7�r-�73r, rapporto del conte di richecourt al grandu-ca, in data �9 giugno �75�. a giudizio del richecourt, in merito a dazi ed esenzioni, i sistemi adottati da Francia e Inghilterra non erano adottabili in Toscana perché il volume dei loro commerci non era assolutamente comparabile. Livorno, si aggiungeva, era principalmente un porto di deposito con un gran numero di «facteurs» e un numero esiguo di negozianti. se si fossero cambiati i sistemi in uso, i commercianti stranieri avrebbero preferito andare a Genova, da poco portofranco, e perciò gli unici negozianti livornesi che sarebbero restati erano gli ebrei, i quali però erano spesso dotati di proprie imbarcazioni e quindi non si sa-rebbero serviti dei tre vascelli sovrani, quand’anche riconvertiti in vascelli da trasporto. Il lorenese concludeva perciò di non ritenere affatto vantaggioso utilizzare i vascelli per i fini proposti, né obbligare i toscani ad impiegarli: l’utilizzo migliore delle imbarcazioni restava quello di mantenerle per la sicurezza delle coste a garanzia del rispetto dei trattati di pace o nell’eventualità che qualcuno dei paesi barbareschi li infrangesse. Importanti elementi di analisi in J.p.filiPPini, Il movimento del porto di Livorno durante il primo periodo lorenese (1737-1801), in La Toscana dei Lorena. Riforme, territorio, società, a cura di Z.Ciuffoletti-L.rombai, Firenze, Olschki, �989, pp. 49-80 e in particolare pp. 50-59.

�69 asFi, Reggenza, 77, cc.n.n., rapporto di emmanuel Nay de richecourt al granduca, in data �3 gennaio �757. Come osserva Diaz, sarebbe eccessivo, e troppo semplicistico, contrapporre un Ginori liberista a un richecourt chiuso in un ottuso protezionismo, giacché è innegabile l’impegno profuso dallo stesso lorenese per intraprendere iniziative al fine di vivacizzare l’economia granducale, incluso l’essersi pronunciato a favore di un ridimensio-namento delle gabelle e della abolizione delle dogane interne. Il Granducato di Toscana. I Lorena, cit., pp. ��0-���.

�70 asFi, Reggenza, 77, cc.n.n., rapporto del consiglio di reggenza al granduca, in data 6 marzo �757.

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ad onor del vero, alcune delle obiezioni che furono mosse dal consiglio di reggenza contro le accuse di Ginori possono in parte es-ser condivisibili: il governatore non avrebbe dovuto attribuire la de-cadenza del commercio di Livorno alla cattiva amministrazione della giustizia, poiché in effetti «egli era capo del tribunale criminale, civile ed economico di detta città» e quindi responsabile in primis di tale esercizio; né si poteva attribuirla all’appalto, ma bensì «alla moltipli-cazione dei porti franchi eretti o ampliati dai nostri vicini», alla guer-ra in corso tra la Francia e l’Inghilterra, «ed alle contumacie alle quali sono stati fin ora sottoposti tutti i bastimenti che toccavano il porto di Livorno». perciò, considerando tante forze avverse, si doveva piut-tosto ritenere il commercio del porto labronico «al pari proporziona-tamente delle altre piazze del ponente, ove languisce ugualmente» �7�.

L’aspetto rilevante di questo scontro sta nel testimoniare l’incon-ciliabilità di due modelli di stato: quello del nobile toscano, fautore di un approccio riformistico rispettoso delle autonomie locali, delle «antiche massime» radicate sul territorio, ma anche difensore di un’autorità governatoriale il più possibile autonoma da Firenze, e quello del lorenese richecourt, portatore di istanze indiscutibilmen-te centralizzatrici. Non casualmente, uno dei nodi della discussione verté sulle controindicazioni conseguenti all’introduzione del sistema dell’appalto generale. a Livorno, fin dalla prima età medicea, si tro-vava infatti l’ufficio della Dogana, con a capo un provveditore dotato di compiti assai vasti, tra i quali l’esazione di ogni sorta di gabella e imposta sotto l’attento controllo del governatore. Con il bando del 3� dicembre del �740 e l’introduzione dell’appalto generale delle entrate dello stato, il provveditore, un ministro – usando le parole usate dal Ginori stesso (il quale ben conosceva tale attività per esser stata svolta anche da suo padre Lorenzo) – che era «una persona consumata negli affari del commercio, bene intenzionata e che, ri-guardandosi come l’anima del commercio di Livorno, era dell’intera piena confidenza del sovrano e ne aveva tutta la maggiore autorità», venne sostituito dall’appaltatore, interessato solo ad imporre nuovi dazi ed ignaro delle dinamiche locali, oltre che, Ginori non ne faceva cenno ma non era un dettaglio da poco, del tutto indipendente dal governatore. Quella riforma aveva reso ogni pratica più lunga e far-

�7� Ibidem.

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raginosa perché doveva essere trasmessa a Firenze prima di poter es-sere risolta, complicando non poco la vita ai commercianti che videro ogni transazione divenire più lenta e complessa, trasformando in una parola il porto livornese in uno scalo meno competitivo�7�.

Una novità di rilievo nella nuova definizione dei poteri tra centro e periferia si ebbe il 5 febbraio �757 quando, nell’intento di intro-durre norme più certe per assicurare la neutralità del porto labronico durante la guerra dei sette anni�73, il granduca «si determinò per la prima volta a pubblicare la legge di neutralità da osservarsi ne’ suoi stati di Toscana indipendentemente dal consenso delle nazioni in guerra», cioè senza prevedere la stipula di trattati specifici nazione per nazione. In tal modo si infranse anche la consuetudine che voleva attribuito al governatore il compito di stringere un tale concordato con i consoli presenti a Livorno. Così era stato fatto fin dal �69� da dal Borro e poi ribadito ad ogni occasione di conflitto: nel �7�8 per la guerra austro-spagnola, nel �7�7 per quella anglo-francese e infine nel �740 per quella tra Francia e spagna�74. Il granduca, e per lui la reggenza, si appropriava invece, senza alcuna forma compensativa per il governatore, di quel potere dotato di grande significato politico e simbolico.

�7� «Col quale metodo [cioè con il ricorso al provveditore della Dogana di Livorno] e con le altre più ampie facoltà delle quali egli godeva, tutti gli affari della Dogana si spedivano con agevolezza, speditezza, correntezza ed alla soddisfazione dei mercanti, senza perdimento di tempo, né senza dovere come oggi si fa per ogni incidente ricorrere a Firenze per avere le resoluzioni dell’appaltatore, i ministri del quale, intendendo alla lettera le leggi dell’appalto e non l’interessi dello stato, e d’altrove privi di facoltà, né sapendo farsi del merito che con esigere rigorosamente i diritti della Dogana, non sono in grado né di facilitar e neppure di spedire. Colle antiche massime del nostro Governo tanta era l’importanza di questo prov-veditorato e si riguardava con tanta circospezzione dai granduchi che quando si trattava di nominare a questa carica essi per fare una buona scelta portavano i loro attenti riguardi fino alle parti lontane dell’europa, dove vi erano delle nostre case stabilite, così il senatore Lorenzo mio padre fu fatto venire di Lisbona per essere provveditore di questa Dogana, così il Terriesi che gli successe fu chiamato dall’Inghilterra, e così il Vigna successore del Terriesi dall’Olanda per riempire questo importante posto», in ibidem, rapporto del Ginori all’abate Giovan antonio Tornaquinci, in data �� febbraio �757.

�73 asLi, Governo, relazioni e progetti, �0�5, ins.7, «Osservazioni sopra la neutralità», documento non datato, ma successivo al �764.

�74 sulla neutralità di Livorno in generale si veda m.BarUcHello, Livorno e il suo porto, cit., pp. 33�-334, mentre una puntuale e precisa descrizione degli avvenimenti relativi al-l’emanazione dell’editto di neutralità del 5 febbraio �757, ed alle importanti implicazioni po-litiche che ne conseguirono, si trova in a.V.miGliorini, Diplomazia e cultura nel Settecento. Echi italiani della guerra dei sette anni, pisa, eTs, �984, pp. ���-��7. Un memoriale dedicato alla neutralità e redatto alla fine del settecento, probabilmente ad opera dell’auditore pieral-lini, si trova in asLi, Governo, 960.

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Nel corso del �757 il conflitto tra la reggenza e Ginori si acutizzò. I ministri chiesero al granduca di interrompere ogni corrispondenza col governatore livornese nell’impossibilità di intrattenere qualsiasi scambio che fosse alieno da invettive e ricusazioni, molto meglio sarebbe stato ri-muovere Ginori da quell’incarico oppure che il sovrano gli impartisse di-rettamente gli ordini senz’altro legame con il consiglio eccettuato il mero obbligo di ragguaglio sugli affari più importanti. Fino a che punto la si-tuazione fosse ormai irrecuperabile è pienamente percepibile in una rela-zione inviata al granduca dal consiglio di reggenza a un mese esatto dal-la morte di Ginori, ad ideale riepilogo conclusivo dei suoi anni livornesi:

Con tutta la ragione possiamo supplicare la maestà Vostra di obbligare il go-vernatore a schiarirsi o almeno lasciarci in pace che tanto si sospira, se non le piacesse di richiamarlo più tosto con li suoi ricorsi indirittura alla maestà Vostra Imperiale, la quale può in appresso comandare quello stimerà di suo miglior servizio. mentre in tutto il carteggio che si riceve dal governatore, e che perviene sí spesso alla maestà Vostra, siamo sempre con sommo rincrescimento esposti ad inquietudini, ed amarezze, che non s’incontrano da veruna altra parte e per quanto si faccia ogni studio di contentarlo e di secondare le sue domande in quanto sia possibile e sia regola stabilita di evitare ogni minimo di lui dispiacere con quella moderazione che resta provata dal confronto delle nostre repliche, pure non giovando, una segnalatissima grazia sarà per noi che egli riceva li or-dini dall’oracolo medesimo della maestà Vostra e possa eseguirli senza altra pendenza che sia darci ragguaglio o sia semplice notizia di quelli di maggior importanza. [...]. e per il buon servizio della maestà Vostra ci crediamo obbli-gati di umilmente soggiungerle che siccome il dover trattare con esso gli affari di Livorno, con quella sola dipendenza che egli pretende avere dal consiglio di reggenza solamente quando gli pare e piace, e non altrimenti, pregiudica infinitamente al bene pubblico, perciò sarebbe meglio che la maestà Vostra ci dispensasse dall’aver con lui veruna comunicazione la quale per sua cagione altro non partorisce che continue questioni da esso per pura picca in ogni affare suscitate. Corrispondendo egli direttamente colla maestà Vostra non avrà più luogo di attaccare ogni giorno (benché senza veruno motivo) le nostre risoluzio-ni e noi altresì liberi dall’obbligo di dover comporre continue apologie contro le di lui insufficienti invettive potremo impiegare il tempo negli altri affari che concernono il servizio della maestà Vostra�75.

L’improvvisa morte del Ginori, l’undici aprile del �757, interrup-pe quella che si prospettava essere una ancora lunga carriera, ma

�75 asFi, Reggenza, 77, cc.n.n, lettera del consiglio di reggenza al granduca Francesco stefano, da Firenze, in data �6 aprile �757.

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quasi certamente non per molto in qualità di governatore di Livor-no�76. La città accolse con gran dispiacere la notizia, si eressero altari funebri e si officiarono cerimonie in suffragio alle quali parteciparo-no tutte le maggiori autorità livornesi, si volle addirittura onorare la memoria di Ginori con dargli sepoltura nel duomo cittadino, crean-do per altro un certo imbarazzo della reggenza per esser «formalità solite osservarsi per i soli sovrani» �77.

al posto di Ginori fu nominato Filippo Bourbon del monte, ap-partenente ad un’antica famiglia patrizia fiorentina, il quale avrebbe detenuto l’incarico per ben venticinque anni, dal �757 al �78�.

Il cursus honorum di Bourbon del monte annoverava tutte le tappe della carriera militare, prima nel reggimento dei veterani corazzieri dal �730 poi, al comando del maresciallo dell’armata austriaca, aveva partecipato a molti dei confronti bellici che insanguinarono l’europa in quegli anni�78. Corrispondente presso i più alti ranghi delle armate francesi e spagnole, il 4 febbraio �74� aveva ottenuto la nomina a comandante della cavalleria di Toscana, un incarico in realtà inferiore alle sue aspettative, come egli stesso ricordava qualche anno più tardi:

sofferse con pena, ma con la dovuta rassegnazione, questa decisione, il colon-nello del monte, vedendosi così nel rischio d’esser comandato da quegli che nelle truppe austriache erano di minor grado di lui, e li riuscì di non restar mai sotto il loro comando, anzi, ebbe la consolazione di vedersi preferito ad ogn’al-tro in tutte le commissioni anche più scabrose politiche e militari che occorsero dal �74� al �750�79.

�76 «Ginori è veramente morto in benedictione. me ne rallegro», così commentò la noti-zia del decesso dello stimato ministro Bernardo Tanucci al priore Viviani, certo che il fioren-tino avesse ricevuto la notizia di dover succedere a Firenze all’odiato richecourt. Da Napoli, il � agosto �757, in B.tanUcci, Epistolario, V, �757-�758, a c.di G.de Lucia, roma, edizioni di storia e letteratura, �985, pp. �87-�88. sulla possibile, ma alquanto improbabile notizia della successione di Ginori al richecourt, incarico che invece nel �757 passò, alla morte del lorenese, ad antonio Botta adorno, si veda a.Contini, Pompeo Neri tra Firenze e Vienna (1757-1766), in Pompeo Neri. Atti del Colloquio di Studi, Castelfiorentino, società storica della Valdelsa, �99�, pp. �39-33�.

�77 asFi, Reggenza, 77, cc.n.n,lettera del consiglio di reggenza al granduca Francesco stefano, da Firenze, in data 8 marzo �757.

�78 a.contini, La reggenza lorenese tra Firenze e Vienna, cit., pp. �30.�79 Questo passo, e tutte le altre notizie biografiche su Filippo Bourbon del monte ri-

portate qui di seguito, sono tratte principalmente dalla «memoria dei diversi gradi militari che Filippo Bourbon del monte, generale maggiore e governatore per sua altezza reale il serenissimo Gran Duca di Toscana in Livorno, ha occupati nel servizio austriaco e in quello di Toscana», autografo e firmato dal Bourbon del monte, inviato al granduca pietro Leopol-do a fine �766 e conservato in asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 795, cc.n.n, all’interno di un fascicolo segnato «memoria riguardante il governatore di Livorno».

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sul finire del �750, per migliorare la propria posizione, chiese di poter assumere l’incarico di governatore della Lunigiana. si trattava di un nuovo ufficio che seguiva la decisione di riunire sotto un solo soggetto le giurisdizioni di Fivizzano e di pontremoli, precedente-mente separate, affiancandolo però con due auditori addetti all’am-ministrazione della giustizia e residenti ciascuno in una delle suddette località. Il del monte seppe sbaragliare la concorrenza di altri stimati militari che si erano presentati per lo stesso incarico (tra i quali il colonnello Guillemin de Corny, che fu poi assegnato al Governo di Grosseto). Il consiglio di reggenza, data l’importanza strategica del territorio, a confine tra parmigiano, modenese e numerosi feudi im-periali, cercava «une personne qui ait avec beaucoup de prudence, une parfait connaissance des coutumes du pais a l’effet de savoir maintenir les droits du souverain et d’éviter les inconvénient qui pourraient se présenter». La scelta ricadde sul del monte grazie al parere positivo di pfütschner e Touissaint, i quali avevano così giudi-cato la sua candidatura:

Conviendra très bien pour le gouvernement de la Lunegiane étant toscane, et par conséquent plus au fait du local d’ailleurs, c’est un sujet qui a du service et de l’acquis, et qui a été employé par le gouvernement dans différentes commis-sions difficiles dont il s’est très bien acquitté; faissance lui donner d’ailleurs plus d’autorité et de cette considération que est nécessaire dans certains postes pour le bien du service�80.

Francesco stefano approvò tale decisione e conferì il posto al del monte «com a un homme de confiance», investendolo ufficialmente con motuproprio granducale del �8 gennaio �75��8�. Del monte, ottenuto nel frattempo anche il tanto desiderato grado di colonnello delle truppe regie, sostenne con polso e fermezza per sette anni e mezzo quel delicato incarico, finché «finalmente, essendo venuto a vacare il Governo di Livorno, [...] li fu ne �7 agosto �757 conferito il grado di generale maggiore e, nel �� del detto mese ed anno, li fu con non minore clemenza dal suo ottimo sovrano conferito il governo ci-vile ed il comando militare di questa piazza»�8�.

�80 asFi, Reggenza, �83, ins.�0�, il consiglio di reggenza a Francesco stefano in data �4 novembre �750, con allegato parere granducale.

�8� Ibidem.�8� «memoria dei diversi gradi militari che Filippo Bourbon del monte», cit.

��0

Contrariamente a quanto avvenuto per il governatore Ginori, dunque, col Bourbon del monte si riunirono in una sola persona il governo civile e il militare, esteso nel �767 anche al comando militare su tutto il litorale toscano�83. La presa di possesso dell’incarico fu effettuata il �8 novembre del �757�84. Il sovrano non provvide però a fornire il nuovo governatore di specifiche istruzioni né in quella, né in successive occasioni. Infatti, ad eccezione delle disposizioni conferitegli durante il granducato leopoldino, tra aprile e luglio del �774�85, le competenze di del monte furono disperse in innumerevoli ordini particolari recuperabili nei carteggi delle segreterie di stato e di guerra�86. La questione di quali dovessero essere i compiti del governatore di Livorno era in realtà stata sollevata dal consiglio di reggenza prima della nomina del Bourbon del monte, quando l’au-ditore assunto Franceschini rivestiva l’incarico di pro-governatore per coprire la vacanza lasciata dalla morte del Ginori. La reggenza aveva allora sostenuto col granduca l’opportunità di abolire quella separazione del governo civile dal militare, risultata pregiudiziale proprio alle attività commerciali che si erano invece in tal modo

�83 asLi, Governo, copialettere, 973, cc.�3v-�4r, pierallini al degli alberti in data �� febbraio �78�.

�84 «Nel �8 novembre �757 fu dal marchese Bourbon del monte preso il possesso del Governo militare, e civile della piazza di Livorno, e siccome questo aveva il comando ancora del militare, incominciò da prendere il comando della guarnigione con ricevere in propria casa dagl’ufficiali di stato maggiore i rapporti di detta guarnigione. Ciò terminato unitamen-te a tutti gli uffiziali che non erano in quel giorno di servizio, si portò alla Chiesa collegiata, e in tutto il restante fu fatto il medesimo ceremoniale che era stato eseguito per il governatore Ginori, all’eccettuazione che non avendo i bastimenti mercantili salutato il detto governato-re, non li fu dalla piazza restituito il saluto», in asFi, Segreteria e ministero degli esteri, 937, ins.�0, cc.n.n., «relazione delle funzioni che furono eseguite nel possesso preso del governo di Livorno dai governatori Ginori, Bourbon del monte e da montauto», a cura del capitano Gherardo maffei del giugno �789.

�85 In prima sintesi, vi si disciplinavano le incombenze, i poteri e l’attribuzione di autori-tà del governatore e dell’auditore di Livorno in materia di governo politico, rappresentativo e giurisdizionale rispetto agli altri organi istituzionali, magistrature ed enti pubblici della città, anche prevedendo l’eventuale conferimento di poteri speciali in caso di emergenza. La minuta del motuproprio contenente queste istruzioni è conservata in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �74, ins.�, ma molti chiarimenti specifici degli articoli delle istruzioni si trovano disseminati anche nella memoria del pierallini, in particolare in asLi, Governo, 958, cc.96r-80r.

�86 Il carteggio del governatore di Bourbon del monte alla segreteria di stato in merito agli affari politici e civili fu principalmente tenuto col priore Vincenzio degli alberti. L’ob-bligo del governatore di Livorno di mantenere corrispondenza con il segretario di stato era stato esplicitato nelle istruzioni del �746 date al Ginori, come da asFi, Reggenza, 649, fasc.30, lettere del Bourbon del monte all’alberti del 7 e �� agosto �76�.

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volute maggiormente sostenere. Certo, i problemi dipendevano da cause estranee sia alle competenze istituzionali che alle capacità del precedente governatore civile, sul quale si evitava comunque di espri-mere alcun commento, ma l’esperienza maturata aveva dimostrato il fallimento di tale divisione dei poteri:

prima di proporre alla maestà Vostra Imperiale quei soggetti che parrebbe-ro più capaci di supplire alle veci dei detti impieghi [cioè di governatore e di presidente del consiglio di commercio, rimasti vacanti dalla morte di Ginori], ci daremo l’onore di riverentemente rappresentarle che quando piacque alla maestà Vostra di dividere il governo civile di Livorno dal commando militare, e di fidare il primo ad una persona intelligente negl’affari del commercio, li lusingava che ne risulterebbe un vantaggio considerabile allo stato, ma l’evento non ha già corrisposto alle sue paterne mire, poiché dalla tabella che qui annes-sa abbiamo l’onore di umiliarle distintamente riconoscerà la deteriorazione del commercio da dieci anni in qua.Tralasciamo di rammentare alla maestà Vostra i vari lamenti del fu governatore, i quali ci hanno messo tante volte nella dispiacevole necessità d’incomodarla. solo le osserveremo che i suoi reali antecessori, parimenti attenti a quello poteva contribuire all’accrescimento del commercio, hanno sempre praticato di fidare il governo civile e militare ad una sola persona, la quale invigilava colla maggiore puntualità alla sicurtà della città, ed alla esatta esecuzione delle leggi che veniva-no pubblicate per la comune quiete�87.

É poi indicativo il riferimento fatto ai tempi della dinastia medicea, attribuendo la responsabilità della fallimentare separazione tra i due incarichi ad una riforma già introdotta nel XVII secolo e dietro ri-chiesta dei gruppi mercantili. simile escamotage di ricorrere al passa-to consentiva per altro ai lorenesi di non riconoscere l’errore da loro commesso nel reintrodurre quell’uso, ma di attribuirlo al medici, o meglio, ad un imprevedibile sviluppo delle circostanze determinatosi in quegli anni lontani eppure utile per capire i danni arrecabili all’at-tuale sistema politico cittadino.

e che il granduca Cosimo avendo ideato di dividere il governo militare dal civile e ciò naturalmente alla richiesta dei negozianti, che ne speravano del vantaggio, confidò i rispettivi impieghi a due fratelli i quali immediatamente diventarono nemici implacabili disuniti. ed infatti non potendosi prevedere tutti quei casi che giornalmente succedono, egli è impossibile il potere fissare e determinare

�87 asFi, Reggenza, 77, cc.n.n, lettera del consiglio di reggenza al granduca Francesco stefano, da Firenze, in data �6 aprile �757.

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le loro rispettive funzioni per mezzo dell’istruzioni, che vengono loro sommi-nistrate, le quali essendo sempre suscettibili di qualche interpretazione relativa all’interesse ed alle mire particolari, procurano querele non poco pregiudiciali al servizio della maestà Vostra Imperiale�88.

Da quell’analisi emergeva con forza l’opportunità di lasciare ampli margini di autonomia al governatore nell’esercizio delle proprie fun-zioni, senza vincolarlo con cogenti istruzioni, ma dotandolo dell’au-torità per dirimere senza ritardi le varie occorrenze che giornalmente si presentavano nel governo della città e del suo porto.

Tra gli intoppi più gravi conseguenti alla divisione della carica vi era stato quello di non poter assicurare l’applicazione dei regolamenti che disciplinavano la neutralità del porto. per garantirne l’osservanza, infatti, le competenze di natura civile e di tipo militare si sovrappone-vano tra loro, creando conflitti di potere difficili da dirimere e soven-te penalizzanti, rendendo peraltro impossibile intervenire tempestiva-mente per correggere eventuali infrazioni:

Fra i molti inconvenienti che derivano di una tale divisione, i più importanti sono quelli che concernono la neutralità, […], questo dà motivo alle potenze in guerra di lamentarsi del Governo ed in ciò recano moltissimo pregiudizio al commercio, come pure troppo si è provato nella guerra presente oltre di che egli è certo che i consoli hanno maggior rispetto per un governatore militare. ardiremo pertanto umilmente rappresentarle che ci parrebbe più adeguato alle circostanze, alla tranquillità dei suoi sudditi, ed la miglior suo servizio di riu-nire il governo civile e militare come prima e conferirlo a uno dei militari che hanno l’onore di servirla, incaricandolo e di procurare che la dovuta giustizia venga per mezzo del suo auditore somministrata a ciascheduno e di proteggere i negozianti�89.

La soluzione suggerita dalla reggenza era dunque di designare un solo soggetto, possibilmente un militare, in qualità di governatore con autorità su tutte le attività principali della città, aumentando per contro le competenze giurisdizionali del suo auditore.

Questa riflessione sulla carica governatoriale livornese si colloca nell’ambito di un più generale ripensamento che da alcuni anni si

�88 probabilmente ci si riferiva a Cosimo III e coi «due fratelli» ad antonio e Tommaso serristori, che avevano infatti come si è visto rivestito gli incarichi di governatore per il civile e governatore per l’arme di Livorno a metà seicento. Ibidem, lettera del consiglio di reggen-za al granduca Francesco stefano, da Firenze, in data �6 aprile �757. Cassato nel testo.

�89 Ibidem.

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conduceva in merito alle cariche periferiche del granducato, spesso promosso e sollecitato dalla necessità di rinnovare i funzionari che le reggevano�90. alla luce di tutte queste considerazioni, la scelta ricad-de sul Bourbon del monte, un militare di carriera e con una solida esperienza pregressa in qualità di governatore della Lunigiana. Il con-te roberto pandolfini gli commissionò addirittura la redazione di un vero e proprio vademecum, a mo’ di «istruzioni per l’uso dell’ufficio di governatore» per consentire più facilmente all’anziano colonnello alessandro du mesnil�9� di succedere nel Governo di pontremoli. Nonostante molti riferimenti puntuali e quindi non immediatamente applicabili alla città portuale, le linee d’azione fornite in quel docu-mento dal del monte svelano in maniera straordinaria quali sarebbe-ro state priorità e obiettivi in base ai quali, anche a Livorno, avrebbe orientato la propria attività:

Gli oggetti che ho avuti in vista nel governare quei popoli sono stati li seguenti. primo. La difesa e il decoro della nostra santa religione. per ottenere questo ho procurato di difendere la vera devozione d’abbattere il Bechinismo, di cui è ripieno pontremoli, che altro non è che una falsa religione molto contraria al lavorio nel basso popolo e dalla buona educazione nelle persone civili, come potrete voi stesso vedere, ed ho procurato il rimbellimento nelle Chiese, […]. secondo. Ho procurato di difendere la maestà del mio sovrano con il mantenere ubbidienti alle leggi li suoi sudditi più con le strida che con i gastighi, sempre però rigorosissimo contro li perturbatori della pubblica quiete e sicurezza, ed il vostro cuore caritatevole ci potrà anche contribuire meglio di quel che non ha fatto il mio con l’aiutare i miserabili. riguardo ai confinanti ho sempre ricercata

�90 si è già accennato alla riforma introdotta per il governo della Lunigiana, in occasio-ne della nomina del Bourbon del monte a tale incarico, vedi supra. Nel �749 si consentì al luogotenente colonnello o’Kelly, che lasciava il governatorato di Grosseto, di prendere il posto dell’ormai anziano mac mahon a pistoia, ma non in qualità di commissario, com’era stabilito, ma mantenendo il titolo di governatore. asFi, Reggenza, �83, ins.�0�, il consiglio di reggenza a Francesco stefano in data �6 maggio �749, con allegato parere granducale. Diversamente, invece, si decise per il governatore militare di Grosseto, colonnello Guillemin de Corny, il quale aveva avanzato richiesta di veder ampliati i propri poteri, aggiungendo anche l’autorità civile che fino a quel momento era stata esercitata da un capitano di giustizia soggetto all’auditore generale di siena. Il consiglio di reggenza (composto da pfütschner, Toussaint, molitoris e d’alberti), e ottenendo la successiva ratifica del granduca, giudicò pregiudiziale cambiare il sistema in vigore: «i governatori militari di Grosseto non si sono mai mescolati dell’amministrazione degli affari civili», e tutto sarebbe dovuto perciò restare invariato. In ibidem, ins.74.

�9� Il consiglio di reggenza aveva presentato a Francesco stefano tre differenti candi-dature, ma tra il colonnello pandolfini, il colonnello barone de Turicque e il du mesnil, che annoverava già quarant’anni di servizio, il granduca aveva optato per quest’ultimo. Ibidem, ins.n.n., redatto in data �8 ottobre �757.

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l’armonia, facendo loro conoscere che il mio sovrano non aveva bisogno di ciò che è loro, ma che viceversa non mi sarei lasciato mai prendere né in giurisdi-zione, né in territorio la minima cosa che fusse sua, metodo che mi ha tenuto lontano da ogni impegno, benché li miei nemici, dei quali ognuno ne deve avere a questo mondo, abbino voluto far credere in contrario, senza averlo mai potuto provare con i fatti. Terzo, ho procurato di distinguere li diversi ceti delle persone nel di dentro di pontremoli, con fare sì che i ricchi non opprimessero li poveri mercanti e brac-cianti, e che questi rispettassero quelli, avendo cercato di levare una certa tale quale fratellanza che ci era fra di loro nel trattarsi, [...].Quarto. pontremoli si è reso sempre in addietro celebre per la mercatura, e per la legge, base sopra della quale si sono formate quasi tutte le più distinte famiglie: alla prima ho procurato il meglioramento delle strade e l’ho difesa da alcune vessazioni che li subalterni dell’appalto generale, e contro la volontà del medesimo, solevano praticare alli mulattieri, perché non metteva conto alli vessati il farne il loro ricorso a Firenze. La seconda è stata da me promessa con la fabbrica di pubbliche scuole, nelle quali si dà anche il corso degli elementi della geometria, procurando in appresso alli giovani capaci il luogo di sapienza nell’Università di pisa, e siccome ho sempre creduto essere necessario l’unire allo studio anche la religione, ci è una tacita obbligazione per quelli che fre-quentano le dette squole di frequentare ancora una congregazione spirituale della quale è degnissimo direttore il signor canonico Bonaventuri della Colle-giata di santa maria.Quinto. L’economico del pontremolese è amministrato da più magistrati, che si mutano ogn’anno, e siccome segue in quel paese come in ogni altro che non tut-ti li cittadini anno un eguale abilità e zelo per gli interessi della loro patria, così ho procurato che le spese necessarie si facessero con attenzione ed economia, senza perder di vista l’estinzione dei debiti pubblici, delli quali era aggravata quella Comunità, il metodo che ho tenuto per far questo ben presto sarà da voi scoperto e ritroverete in quel pubblico e nel tribunale di pontremoli persone onorate ed abili, le quali vi metteranno al fatto di tutto, e che daranno luogo al vostro talento spogliato da quella passione che ha ogni artefice per le sue opere di megliorarlo�9�.

Gli elementi di base della futura gestione di Bourbon del monte a Livorno ci sono già tutti: rispetto e tutela della religione; applicazione rigorosa della legge, seppur più con metodi dissuasori che punitivi; impegno ad una maggior attenzione per le situazioni di disagio so-ciale; totale dedizione alla difesa della sovranità granducale contro le

�9� asFi, Reggenza, 648, ins.37, lettera del Bourbon del monte ad alessandro du mesnil, in copia e s.d., ma databile tra fine del �757 e inizio �758.

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usurpazioni di altri sovrani e dei loro sudditi, all’insegna della dispo-nibilità ma senza cedere alcun diritto pregresso. Ben chiare appaiono le responsabilità nei confronti della comunità locale: da un parte la stabilità dei gruppi sociali, che erano e dovevano restare gerarchica-mente separati, senza fenomeni di sopraffazione né di mescolanza di status; dall’altro la promozione dell’educazione a diversi livelli e in differenti ambiti, laici e religiosi, anche attraverso la realizzazio-ne di istituti pubblici per l’istruzione primaria e secondaria. Infine, spettava al governatore sostenere e favorire le attività economiche e commerciali esistenti con nuove infrastrutture, tutelando però gli interessi delle parti più deboli. particolare riguardo doveva poi essere dedicato al severo controllo delle attività degli amministratori loca-li, contribuendo attivamente alla scelta di soggetti capaci e abili al compito loro affidato. In effetti, anche a Livorno, furono molteplici le occasioni nelle quali il Bourbon del monte fu protagonista in tal senso, intervenendo immancabilmente in occasione dei rinnovi quin-quennali delle liste di soggetti idonei per l’assegnazione di uffici e magistrature della Comunità�93.

Insomma, il Bourbon del monte applicò al Governo di Livorno principi e metodi precedentemente già sperimentati altrove, Livor-no però non era pontremoli né per le necessità, né per dimensioni. all’epoca la sola popolazione cittadina – il così chiamato Capitanato Vecchio, cioè il nucleo urbano propriamente detto e la campagna im-mediatamente circostante – superava le cinquantamila anime, molte delle quali «forestieri, gente di marina e senza educazione»�94. a que-sta si doveva aggiungere la popolazione del Capitanato Nuovo, cioè di quel territorio aggregato alla giurisdizione labronica fin dal �606, e la fluttuante comunità degli stranieri non residenti.

I primi problemi per il governatore comunque non arrivarono da questa popolosa città, bensì da Firenze. I rapporti con la dominante presero subito l’aspetto di un braccio di ferro tra governatore, che rivendicava energicamente le proprie prerogative, e la volontà rifor-

�93 asFi, Statuti delle comunità autonome e soggette, 398, c.�60, giugno �758.�94 pierallini quantifica per l’anno �789 una popolazione pari a un totale di 50.636. La

città propriamente detta risultava composta da 4�.�4� persone, compresi tremila uomini componenti il corpo della guarnigione e della marineria, e gli 8.800 ebrei. a questi si doveva-no aggiungere altre 8.4�5 abitanti la piana di Livorno, cioè le campagne componenti il Capi-tanato Vecchio, subito fuori il centro urbano. asLi, Governo, copialettere, 968, cc.��v-�3r. Tali cifre risultano sovrastimate di almeno un paio di migliaia di persone.

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matrice, in chiaro senso accentratore, del nuovo ministero. Nel �758, a un anno dalla nomina, arrivò al del monte il richiamo del marchese Botta adorno all’obbedienza dell’editto di erezione della Camera granducale del 3� dicembre �740. si era riconosciuta infatti al detto organismo «una giurisdizione così estesa che […] comprenda ancora la città e porto di Livorno» né, come confermava anche l’auditore della Camera granducale (quel Bonsini che in passato era stato au-ditore del governo presso la città labronica), si erano mai contrastati «in Livorno i di lei [della Camera] ordini»�95.

Il �3 agosto successivo arrivò la dura risposta del Bourbon del monte: se alla Camera granducale spettavano gli appalti e le privati-ve, materie oltremodo sensibili per la città,

In questo genere appunto di cose vi sono i precisi ordini a questo Governo di non pubblicare i bandi, benché trasmessi dai supremi ministri, se si prevede che possa nascerne alterazione al commercio e ai privilegi del portofranco, ma di sospenderne in tal caso la pubblicazione e rappresentare quanto occorre, come fu scritto fra l’altre ne’ �0 marzo �753 ab incarnazione�96.

su tali materie non si doveva dunque dipendere dalla Camera granducale, ma piuttosto riferirne al Botta adorno stesso o alla se-greteria delle finanze. Inoltre, in merito alla promulgazione di leggi e bandi, per quanto fosse ampia la giurisdizione della Camera, non poteva esserle riconosciuta alcuna potestà legislativa riservata invece interamente alla presidenza delle finanze negli affari camerali. Quan-to poi alla pubblicazione delle leggi, fosse pure determinata dalla Camera per tutto il granducato, ma non a Livorno, luogo «in cui concorrono dei motivi speciali» e dove era sempre stata esclusiva del suo governatore.

Gli è troppo costante l’uso di non pubblicarsi in questa piazza i bandi a nome di niun altro ministro che sia nella medesima fuori del governatore per non incon-trare delle difficoltà la prima volta che ci volesse alterarsi�97.

Il Botta adorno replicò alla fine di settembre, ribadendo le pro-prie ragioni e, dopo aver chiesto anche il parere di pompeo Neri e

�95 asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 796, ins. anno �758, cc.n.n., lettera da Firenze di Botta adorno al governatore di Livorno Bourbon del monte del �6 agosto �758.

�96 Ibidem, lettera da Livorno al Botta adorno del governatore di Livorno Bourbon del monte del �3 agosto �758.

�97 Ibidem.

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del consiglio di reggenza, confermò come l’editto del �740 delegasse alla Camera granducale una autorità tale da dover essere obbedita dappertutto, anche a Livorno, a deroga di ogni norma precedente. per di più, e qui al danno si aggiunse la beffa, col predetto editto l’auditore di Livorno doveva acquisire giurisdizione in nome proprio, indipendente dal governatore. Di lì in avanti cioè spettava all’audi-tore, quando avesse agito come giudice camerale, assumere piena titolarità delle proprie funzioni ed eseguire gli ordini della Camera granducale. Così concludeva il Botta:

posto questo sistema, Vostra signoria Illustrissima ben vede che ella non può ingerirsi nelli affari dipendenti dalla Camera granducale, mentre mancherebbe in Lei la giurisdizione che viene attribuita unicamente alla Camera suddetta e all’auditore, omissis. e solo per salvare tutti i riguardi che si debbono alle particolari circostanze di Livorno approvo che trattandosi di editti e regolamenti pubblici da eseguirsi in cotesta città, avanti di pubblicargli l’auditore continovi a partecipargli a Vostra signoria Illustrissima come governatore. Ciò non solo serve a salvare la conve-nienza e il rispetto, ma ancora a togliere tutti gli scrupoli poiché Vostra signoria Illustrissima, in caso che trovi qualche cosa di contrario ai privilegi o al bene del paese, potrà sospenderne per breve tempo la pubblicazione ed ingiungere al-l’auditore di rappresentare alla Camera granducale le cause della sua difficoltà, o vero potrà parteciparle ella stessa al consiglio di finanze, da cui gli saranno dati gli ordini definitivi�98.

Incassata questa prima sconfitta, all’inizio del �765 il governatore tornò all’attacco nel tentativo di far modificare il sistema introdotto dal motuproprio del �5 aprile �739 che aveva separato le competenze sulla città tra differenti ministeri. In attesa del nuovo granduca, si auspicava un cambiamento del «sistema generale del governo di To-scana» visto che fino a quel momento era stato retto da un consiglio di reggenza e non, come sarebbe stato da quell’anno in poi, da un sovrano residente. Tant’è che del monte anticipò la venuta di pietro Leopoldo proponendo di stabilire a Firenze un «segretario per gl’af-fari di Livorno», un unico referente che si occupasse di indirizzare le diverse questioni della città labronica avanzate dal governatore ai consigli competenti: si disperava di poter reintrodurre l’antico e assai più efficiente uso di riferire tutto solo alla segreteria di guerra ma, al-

�98 asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 796, lettera da Firenze di Botta adorno al governatore di Livorno Bourbon del monte del �6 settembre �758.

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l’esclamazione di «Iddio perdoni a chi fu causa che s’alterasse a quel bel sistema!», si contava almeno di poter risolvere parte dei gravi problemi allora esistenti.

Io [a scrivere è il Bourbon del monte], l’auditore [Franceschini] e pierallini siamo talmente affaticati che difficil cosa è il poter resistere a tutto il male che in gran parte dipende dallo stesso principio, poiché, parlandosi a gente poco informata sulle cose di Livorno, ogni cosa che succeda e ogni lettera che si scri-va, conviene tornar da capo a dar informazioni, allegare esempi, tralasciando d’enumerare gl’altri inconvenienti�99.

Quale soggetto, tra tutti il più adatto, a rivestire tale incarico, ove era essenziale un «uomo non solo intelligente e legale, ma soprattut-to pratico ed informato dell’affari di questo paese», del monte non aveva dubbi nel proporre il «dotto» pierallini, all’epoca segretario del consiglio del commercio (cosa che, tra l’altro, poteva rassicurare anche i negozianti livornesi, certi così di trovare in Firenze un sicuro e fidato conoscitore delle loro necessità), oltre che cancelliere del tribunale civile e soprintendente del monte pio, dotato insomma di tutte le competenze necessarie e per il quale non si lesinavano parole di grande apprezzamento e stima.

Ovviamente nel progetto bourboniano, all’auspicata unicità del ministro di riferimento a Firenze doveva necessariamente corrispon-dere a Livorno un sistema che fosse il più possibile accentrato nelle mani di una sola persona, con pochi collaboratori, così come era sempre stato:

Il sistema dunque con cui si governa Livorno essendo così complicato e ca-dendo diversi riguardi nella risoluzione di qualunque affare al medesimo spet-tante, è stato sempre reputato necessario che il tutto passasse per il canale del governatore, e che in un solo tribunale si restringesse tutta la giurisdizione e l’amministrazione della giustizia, e ciò per ché qualunque affare che convenga esaminare cada sotto l’ispezione di quelle persone che sono al fatto del sistema del Governo, e che conoscano i riguardi che sono dovuti a questo porto, prefe-rendo piuttosto di riunire tutti gli affari con aggravio anche di troppa fatica ai ministri, che di dividere l’incumbenze e separare la giurisdizione con pericolo che le risoluzioni d’alcuni s’opponghino al sistema del Governo300.

�99 asLi, Governo, relazioni e progetti, �0�5, ins.�4, c.�r-��v, «proposta per istituire in Firenze un segretario incaricato degli affari di Livorno e proposta del titolare», s.a. e s.d., ma del governatore Bourbon del monte del �8 febbraio �765. Un’altra copia è reperibile anche in asFi, Miscellanea di Finanza A, 398, ins.��4.

300 asLi, Governo, relazioni e progetti, �0�5, ins.�4, c.�r-��v, «Proposta per istituire in

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I tempi non erano ancora maturi, la proposta di del monte restò senza esito in attesa di ben altre novità che sarebbero state introdotte di lì a qualche anno dal granduca pietro Leopoldo.

Le cure del governatore del monte non si rivolsero però soltanto a questioni di natura istituzionale, bensì fecero proprie molte delle preoccupazioni che erano già state caratteristiche del miglior governa-torato Ginori. Bourbon del monte riprese ed ampliò alcune delle idee più innovative del suo predecessore rivolte all’ampliamento delle vie commerciali per le Indie orientali, dimostrando anche una approfon-dita conoscenza dei maggiori traffici dell’epoca30�, oltre a caldeggiare, suffragato dalle accurate considerazioni in materia del pierallini, un nuovo trattato da stipularsi con la Celeste porta e le reggenze bar-baresche per incrementare gli scambi con quelle terre30�. Ben altra considerazione ebbero invece le manifatture locali, giudicate tutt’altro che promettenti ed in alcun modo destinabili al mercato interno, dati i prezzi della manodopera che erano a Livorno più alti che altrove303.

Firenze un segretario incaricato degli affari di Livorno e proposta del titolare», s.a. e s.d., ma del governatore Bourbon del monte del �8 febbraio �765. Un’altra copia è reperibile anche in asFi, Miscellanea di Finanza A, 398, ins.��4.

30� asLi, Governo, copialettere, 963, cc.���r-��4v, il governatore da Livorno a pompeo Neri, il �4 ottobre �766.

30� Insieme al progetto del pierallini per il nuovo trattato, si allegava anche una lunga e dettagliata memoria dove si esaminava «la vera utilità della pace in rapporto al commercio di Livorno ed allo stato in generale». Tra le considerazioni conclusive, l’estensore annotava: «rifletto inoltre che un contegno simile non può a meno di produrre buono effetto, perché vedo verificarsi nel pascià di Tunis, quante ha tante volte osservato il signor governatore, che un linguaggio fermo e decisivo è sempre il migliore con i Turchi, e vale più d’ogni altra cosa a moderare le loro pretensioni e le loro idee stravaganti. Finché si sono ascoltate le proposi-zioni di Tunis e si è procurato d’addolcirle, le pretensioni del pascià son sempre cresciute. subito che sua altezza reale ha rigettata la proroga di armistizio egli prende, un tono più pieghevole ed umano e mostra di desiderare la pace», in ibidem, cc.�69v-�70v, il governatore da Livorno al conte Franz rosenberg il �0 febbraio �767.

303 Tra le più importanti ragioni per le quali le «arti e manifatture» di Livorno non dove-vano essere incluse un comune piano economico volto a implementare il commercio interno dello stato, si adducevano le seguenti: «si perché la sussistenza ed il periodo di queste arti e manifatture è molto incerto, e dipende dalle vicende del commercio esterno. Non sono molti anni che la costruzione dei bastimenti era molto viva ed ora senza quelli che si fabbricano per conto di sua altezza reale ella languirebbe quasi del tutto. si perché finalmente pochis-sime e di poca conseguenza sono le arti e manifatture che abbiano rapporto all’interiore del-lo stato e, forse, se si eccettui quella di lustrare il cuoio forestiero, ardirei dire che non ve ne sia veruna. si fanno in Livorno molti lavori di legname come sedie, bureau e simili. si lavora una certa quantità di canditi. si pettina del lino; si fabbricano dei fiaschi, ed altra vetreria; si fila della seta, si tesse qualche pezza di velluto; ma tutto per trasportarsi sopra mare nei paesi stranieri, ed ella comprenderà subito che non può essere altrimenti, quando rifletterà che qui il vivere è più caro che nel restante della Toscana, ed in conseguenza è più cara la manodo-

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più di un’attenzione venne riservata alle problematiche sociali, nel tentativo di sopperire con istituzioni pubbliche alle più urgenti emergenze. Del monte ereditò e assunse come impegno personale la conservazione della «pia Casa del refugio» eretta da Ginori, ottenne che fosse esentata dall’obbligo di versare decime e balzelli, ed avanzò il progetto di ampliarne le funzioni fino ad accogliere i ragazzi del-l’intero granducato tra i �0 e i �6 anni, poveri o abbandonati, purché sani e senza «il vizio di rubare». Il progetto, inizialmente respinto dal consiglio di reggenza, fu approvato nel luglio del �758, seppur con alcune modifiche restrittive suggerite dai governatori che gestivano l’istituto304. Bourbon del monte promosse inoltre la riforma dei capitoli per regolamento della compagnia della misericordia, un’im-portante ente laicale e sottoposto alla giurisdizione secolare, dedita a «mantenere spedali, soccorrere i carcerati, seppellire i morti ed impiegarsi in somma in tutte quelle opere pie che sono utili al pub-blico»305. Fu responsabile dell’erezione di una scuola pubblica, nota come la scuola di santa Giulia dal nome della patrona della città, destinata all’educazione delle fanciulle, sia povere che cittadine e no-bili. L’istituto, che doveva caratterizzarsi come «un luogo meramente laicale», fu fondato con motuproprio granducale l’otto luglio �76� e dotato di regolamenti e statuti in base ai quali si riservava al governa-tore il compito di assicurarne «il buon servizio», dalla nomina delle maestre, alla selezione delle convittrici, alla scelta del soprintendente incaricato dell’amministrazione306.

all’insegna della promozione della «civiltà» nella sua città, il Bour-bon del monte profuse molte energie anche per l’istituzione di una biblioteca «pubblica» e «imperiale» a spese e con i lasciti librari di molti benefattori locali, e giudicata «utilissima, non che necessaria» a Livorno, un «paese commerciale, utile agli ecclesiastici e a chiunque coltivasse le scienze, la storia et ogn’altra fonte di letteratura»307.

pera, onde non può mai tornare conto a far qui dei lavori per l’interno della Toscana, ed in-tanto possono farsi per sopra mare perché si evita la gabella e il trasporto dei generi forestieri da impiegarsi nelle manifatture che si dovrebbero soffrire se elle volessero farsi nell’interno», in ibidem, cc.34�v-343v, il governatore da Livorno al cavalier pecci, il 30 dicembre �767.

304 Un completo fascicolo sulla Casa pia del refugio e sulle misure adottata in proposito da Ginori e da Bourbon del monte è reperibile in asFi, Reggenza, 648, fascicolo �5.

305 asLi, Governo, copialettere, 963, cc.76r-v, il governatore da Livorno al Botta ador-no, il 9 luglio �766 e ivi, cc.�6�r-�6�v, lo stesso al conte rosenberg, il 4 febbraio �767.

306 parecchio materiale sulla scuola di santa Giulia è conservato in asFi, Reggenza, 650, ins.7, cc.n.n.

307 Ibidem, ins.44, cc.n.n., lettere del governatore Bourbon del monte al granduca del 5

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2. l’etàdiPietroleoPoldo

2.1.Cronaca di uno scontro. La crisi del modello mediceo

Nel settembre del �765, ancor prima di averlo conosciuto perso-nalmente308, Bourbon del monte inviò al granduca pietro Leopoldo un breve rapporto nel quale, accanto ad un’utile intenzione informa-tiva, metteva in chiaro quali fossero prerogative e peculiarità istitu-zionali irrinunciabili e proprie della realtà livornese309. Vi ribadiva l’importanza di conoscere «i riguardi che egli [Livorno] esige, gli infiniti rapporti e combinazioni che bisogna avere in vista per ben governarlo, le diverse massime con le quali conviene regolarsi a misu-ra delle circostanze, e le mille altre cose che lo rendono complicato, impegnoso e difficile»3�0. Tanto più difficile perché quel corpus di franchigie, libertà e compromessi istituzionalizzatisi poco a poco non era mai stato reso pubblico, né formalizzato espressamente, ma si era alimentato di ordini puntuali sanciti di volta in volta, inviati privata-mente o tramite istruzioni segrete, oppure affermatosi in via di prassi sulla base di esempi passati, in virtù dell’analogia o dell’opportunità del momento. Un avvertimento legittimo, ma anche una precisa indi-cazione, come si esplicitava nell’incipit di un’altra memoria coeva di del monte: «Non dubito che sua altezza reale, sulle tracce dei suoi predecessori, si degnerà di far notificare a negozianti e nazionali esser sua intenzione che seguitino a godere delli stessi privilegi, esenzioni, franchigie e riguardi», ossia che nulla doveva variare3��.

dicembre �764 e del 9 e del �5 gennaio �765. Il potersi considerare una libreria «pubblica» implicava l’obbligo per gli stampatori di Livorno di donare un esemplare di tutte le opere che uscivano dai loro torchi, ex articolo �6 della legge del �8 marzo �743. «Le tre stamperie che abbiamo in questa città lavorano non poco e questo è un assegnamento di qualche im-portanza per la libreria», commentava il governatore.

308 Il Bourbon del monte si recò a Firenze, insieme al fratello commendatore dell’Or-dine di malta, solo il �7 ottobre �765, come riferì il console spagnolo de silva al marchese Grimaldi, da Livorno, il 30 ottobre �765, in aGsi, Estado, 5409, cc.n.n.

309 m.sanacore, La relazione del governatore Filippo Bourbon del Monte del 1765, in Fonti per la storia di Livorno fra Seicento e Settecento, a cura di L.Frattarelli Fischer-C.mangio, Livorno, Benvenuti e Cavaciocchi, �006, pp. 45-7�.

3�0 asLi, Governo, copialettere, 96�, cc.��7 r-v, il governatore Filippo Bourbon del monte al maresciallo Botta adorno, in data 30 agosto �765 e riprodotta in m.sanacore, La relazione del governatore Filippo Bourbon del Monte del 1765, cit.

3�� si tratta di «memoria sopra privilegi, franchigie ed esenzioni di Livorno», in asLi, Governo, copialettere, 96�, c.�53r, il governatore Filippo Bourbon del monte al maresciallo Botta adorno, in data �� ottobre �765.

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se la peculiarità della carica dipendeva essenzialmente, nelle sue manifestazioni, dalla natura della città che doveva esser governata e da chi la abitava, quelli di Livorno erano in effetti sudditi particolari, dotati di statuto speciale. Il governatore si ergeva a tutore di tale con-dizione privilegiata dei sudditi labronici contro ogni possibile prete-sa proveniente dalle magistrature fiorentine, proclamandosi unico ed autentico interprete della volontà diretta del granduca, «essendo stato detto molte volte che il Governo non riconosce altro superiore che il sovrano istesso e non soggiace all’autorità dei magistrati»3��. Un’affermazione, quest’ultima, che era stata e continuava ad essere tutt’altro che pacifica.

Così, solo per ricordare uno dei casi più significativi, alla fine di gennaio del �765 del monte aveva comunicato al conte roberto pandolfini la sospensione della pubblicazione di un motuproprio e di un bando ritenuti lesivi delle prerogative del Governo livornese. La nuova normativa, infatti, oltre a prevedere l’abolizione di certi pagamenti ai funzionari dell’ufficio governatoriale, reintroduceva per i magistrati fiorentini il diritto d’infliggere pene per i reati commessi a Livorno. Il governatore ribadiva invece che: «il Governo non ha la minima dipendenza» dai detti magistrati, pena la violazione di quan-to stabilito dalle «livornine» del �59�, né poteva tollerare alcuna for-ma di sindacato sulle proprie decisioni, né su quelle dei propri mini-stri. si sarebbe occupato personalmente di applicare il volere sovrano in oggetto ai compensi dei propri collaboratori, rendendo superfluo ogni bando in proposito ed avocando a sé ogni potere di controllo o sanzione in caso di mancanza3�3. Va detto che la facoltà di impedire la pubblicazione di editti sovrani nella giurisdizione livornese era già stata riconosciuta al governatore ogniqualvolta, a seguito di verifica preventiva, vi comparivano elementi non «adattabili al sistema ed ai riguardi che si devono a Livorno»; era prevista addirittura l’eventua-lità di consultare anche il parere dei «negozianti» qualora la nuova

3�� Dalla «memoria sopra i ricorsi de’ magistrati di Firenze perché il tribunale di Livor-no non eseguisca le loro lettere e decreti, rimessa a sua altezza reale il dì �5 agosto �773», asLi, Governo, copialettere, 967, cc. 833v-837v.

3�3 asLi, Governo, copialettere, 96�, cc.�58r-v, il governatore Bourbon del monte al conte pandolfini, il 30 gennaio �765. Nello specifico, si trattava del motuproprio emanato il 6 dicembre �764 e che riguardava l’abolizione di ogni diritto a compenso o emolumento per le informazioni che i ministri del governo labronico inviavano al granduca.

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norma fosse stata pertinente al commercio3�4. D’altra parte, non era facile stabilire quale fosse la fonte giuridica prevalente, giacché nes-suna legge, decreto, o bando sovrano poteva avere effetto a Livorno senza l’esame preventivo del governatore, al quale era riconosciuto il potere addirittura di ignorare qualsiasi ordine ritenesse incompatibile con le prerogative della città e del suo porto:

ed in proposito delle leggi e bandi che questi non debbano pubblicarsi né ese-guirsi in Livorno, se non pervengano per i soliti canali, nel qual caso il governa-tore è incaricato prima di pubblicargli di esaminare e riconoscere se contengano cosa contraria al sistema ed alle prerogative di questo porto e rappresentarlo, si legge in molte lettere simili. [...] Che se da qualche magistrato venivano dati direttamente degli ordini, la pratica è sempre stata di non attendergli, non farne caso e non rispondere3�5.

Talvolta però restava assai dubbio, e così doveva apparire anche a Firenze, distinguere quando il governatore di Livorno difendeva i giusti e legittimi privilegi di Livorno e del suo Governo contro l’ignoranza di ministri non ben informati, da quando invece rivendi-cava un potere arrogante e scevro da ogni sindacato o, nella migliore delle ipotesi, inadempiente rispetto all’obbligo d’informazione che si aveva verso i propri superiori3�6. si osserva, proprio a quest’ultimo proposito, che la massiccia operazione di indagine conoscitiva, con-dotta con determinazione da pietro Leopoldo, incontrò non poche difficoltà nel territorio livornese. soprattutto in materia economica, la collazione delle informazioni fu ostacolata in ogni modo da parte del Governo locale, e lo stesso pierallini ribadì in più occasioni che tali ricerche avrebbero creato grave pregiudizio ai commercianti ed ai

3�4 asLi, Governo, copialettere, 958, cc.�40 r e �4� v.3�5 asLi, Governo, copialettere, 967, cc. 83r-87v, «memoria sopra i ricorsi de’ magistrati

di Firenze perché il tribunale di Livorno non eseguisca le loro lettere e decreti, rimessa a sua altezza reale il dì �5 agosto �773».

3�6 «eccellenza, la premura che ha sua altezza reale di essere informato di tutto ciò che può interessare il Governo dei suoi stati, li fa desiderare dallo zelo di Vostra eccellenza che oltre il trasmettermi le solite portate della Bocca, si prendesse la pena di darmi riscontro di tutto ciò che accadesse in codesta sua giurisdizione di più importante rispetto al politico e ci-vile, ancorché si trattasse di fatti che non esigessero la sovrana risoluzione, potendo la notizia di questi servir non solo per prevenire il real sovrano sopra qualche non giusta doglianza che in qualche affare avanzassero i ministri esteri come frequentemente costumano, quanto an-cora per un maggior lume di esso e de’ suoi ministri in affari che potessero averci relazione», in asLi, Governo, lettere civili, ��, c.�54, Francesco siminetti, direttore della segreteria di stato per gli affari interni, a Bourbon del monte, da Firenze, il �0 luglio �77�.

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loro affari, e quindi all’economia di tutto il granducato3�7. per altro, come scriveva l’abile funzionario a Francesco pecci, «non conviene mescolare in conto alcuno Livorno col restante della Toscana in ciò che ha rapporto al commercio, ma considerandolo affatto distinto dal rimanente dello stato e senza tediarla con addurlene molte ra-gioni che ella e la deputazione avranno ben presenti»3�8. Insomma, si invocava l’anomalia livornese anche per sottrarsi all’operazione di controllo conoscitivo e porsi al riparo dallo sforzo di razionalizzazio-ne e accentramento voluto da pietro Leopoldo.

In determinati momenti il governatore arrivò a pretendere di co-noscere il proprio compito meglio del granduca, e magari ad opporsi agli ordini sovrani in virtù di un principio di fedeltà a quello che s’invocava essere l’unico modo per assicurare il miglior servizio del principe stesso e di Livorno. Ovviamente, a Firenze si sospettava della buona fede del Bourbon del monte, e ciò spiega perché pietro Leopoldo avrebbe accolto anni dopo con aperto sollievo la morte di quel governatore3�9. Il granduca, per altro, si era fatto un’idea ben precisa di chi fosse Bourbon del monte: ne è rimasta traccia in una delle sue «relazioni», redatte tra il �773 e il �7743�0, nelle quali espri-meva giudizi, pareri e commenti sulle magistrature del granducato e

3�7 asLi, Governo, copialettere, 964, cc.43-44, il governatore al cavaliere Francesco pecci, il �0 febbraio �768. In altra lettera successiva, si ricordava come in virtù di privilegio conferito nel �59�, a Livorno non fosse previsto alcun obbligo di farsi iscrivere a nessun «ufizio», né di prender matricola, né di pagar tassa o registrare i propri lavori o manifattu-re. Quindi non vi era addetto alcun ministro, contrariamente ad altre città della Toscana, né i regolamenti delle arti potevano essere utili per conoscere le locali attività artigianali o manifatturiere. Quindi, per avere tali informazioni, o si intervistavano i negozianti, cosa che avrebbe suscitato «sospetto e diffidenza (pensando che il dichiarato possa avere conseguen-ze di qualche tipo)», o si controllavano i libri della Dogana per estrarne i dati sui movimenti import-export delle manifatture di Livorno via mare. Il governatore non aveva però alcun diritto di «ispezione» su quei registri, che erano conservati presso l’appalto generale, in ivi, cc.75-76, in data � marzo �768, sempre al pecci.

3�8 asLi, Governo, copialettere, 963, cc.34�v-343v, il governatore al soprintendente delle Finanze, Francesco pecci, in data 30 dicembre �767.

3�9 Celebre il sarcastico commento «Ora abbiamo riacquistato Livorno» che pietro Leo-poldo avrebbe pronunciato alla notizia della morte del Bourbon del monte, da G.vivoli, Annali di Livorno, cit., p. 360.

3�0 Una attenta esamina di queste Relazioni leopoldine è fornita in O.Gori, Progettualità politica e apparati amministrativi nelle relazioni di Pietro Leopoldo del 1773, in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini (Firenze, 4-5 dicembre 1992), roma, ministero per i Beni culturali e ambientali – Ufficio cen-trale per i Beni archivistici, �994, pp. �9�-3��. ringrazio la dottoressa Orsola Gori pasta per le utili segnalazioni che mi ha fornito su questi aspetti.

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sui funzionari che vi erano collocati. Il profilo del governatore labro-nico appare assai inclemente:

Governatore: marchese Bourbon del monte, disinteressato, attaccato e pieno di buona volontà e d’onore, ha pratica ma non gran talento, violento, piccoso, arbitrario, vuole tutte le cose a modo suo ed essere independente, perseguita la gente, parla molto imprudentemente, con questo si fa molto torto e si fa odiare, con i suoi vantamenti ha disgustato tutte le nazioni, in tutti gli affari si lascia guidare da un certo Vamberti e mazzoni che gli fanno del torto: per i luoghi pii si dà molta premura.In caso di vacanza far venire un generale di Germania, pigliarlo al servizio ma non lasciarlo entrare negli affari né nel politico, interinamente dividere il milita-re dal politico e mandarvi il conte alberti a fare da governatore interino3��.

Né, d’altra parte, variava di molto l’opinione sulla seconda carica del Governo livornese, quella dell’auditore pierallini, un giudizio forse troppo severo visto che il funzionario non solo aveva saputo guadagnarsi la stima dal Bourbon del monte3��, ma era subentrato all’incarico auditorale per volontà dello stesso pietro Leopoldo, il 4 dicembre del �7683�3, alla morte di assunto Franceschini.

3�� asFi, Segreteria di Gabinetto, ��6, III, dipartimenti delle città subalterne e giusdicen-ti foranei, cc.85-94.

3�� «egli ha studiato lungamente la legge teorica, e pratica, e ne ha fatta con molto credi-to la sua prima professione per anni dieci in Firenze, ha esercitato per sette anni l’impiego di cancelliere e nel tempo che era qui auditore Donato redi stante le di lui gravi indisposizioni egli ha nel corso di tre anni fatte diverse volte e per lungo tempo le di lui veci in qualità d’auditore sostituto. egli, e per ragione dei suoi diversi impieghi, e per la continua occasione d’esaminare tutti gl’affari più importanti di questo Governo, per essersi tanto il mio anteces-sore che io serviti sempre del suo aiuto, e molto più di un’utilissima e lunga fatica che egli ha fatta di spogliare tutti i registri di questa segreteria, è pratico più d’ogni altro delle cose di questo paese, a qualunque dipartimento esse appartenghino. egli finalmente ha dato sempre riprove tali della sua onestà, e del suo zelo per il servizio di sua maestà Imperiale che sono ben note», in asLi, Governo, relazioni e progetti, �0�5, ins.�4, cc.�r-��v, «proposta per isti-tuire in Firenze un segretario incaricato degli affari di Livorno e proposta del titolare», s.a. e s.d., ma del governatore Bourbon del monte del �8 febbraio �765.

3�3 pietro Leopoldo nominò l’allora segretario pierallini auditore del governo di Livor-no «con le facoltà, obblighi, cariche, incumbenze, pesi e provvisioni ed emolumenti che godeva il defunto auditore assunto Franceschini, con che gli cessi l’impiego di segretario del consiglio di commercio», suo precedente incarico. «e fermo stante il sistema attuale del tribunale di Livorno, ed in vista di sgravare e dare al nuovo auditore una maggior facilità di adempiere colla dovuta prontezza alla spedizione dell’incumbenze che sono addette alla sua carica, ordina e vuole sua altezza reale che il nuovo cancelliere civile sia autorizzato a prender cognizione, e decide le cause che pettoralmente si posson risolvere; d’interporre tra i litiganti gli accomodamenti di piccole differenze, spedire le licenze per l’introduzione ed estrazione de’ libri, come ancor quelle che sono necessarie perché i cristiani possino andar a servire in casa d’ebrei. e restando vacante per la promozione del segretario pierallini la cancelleria del tribunale civile di Livorno, sua altezza reale elegge e nomina in cancelliere

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auditore Francesco pierallini – abilissimo, attivo e capace, ma superbo, dubbio e arbitrario, tratta male la gente ed è odiato, non sincero, pieno di protezzioni per tutto quello che è dipendente della moglie del cancelliere stefani, persegui-ta, violento, bindolo, da non se ne fidare3�4.

In sintesi, a causa delle intemperanze del governatore e del carat-tere dell’auditore, oltre al sospetto nei confronti di entrambi di aver condotto alcuni affari in modo più incline ai propri interessi che al bene della città, il quadro di Livorno che il granduca tracciò era quel-lo di una popolazione profondamente insoddisfatta e vessata dagli abusi del Governo:

La città che è commerciante si vuole sempre trattare come una piazza di guerra con pattuglie, guardie e cento etichette militari che infastidiscono la gente, e sulle quali il governatore è molto tirato ed esatto. si lamentano della malafede che trovano nei facchini, navicellai, pesatori e nelle guardie di sanità e che il tribunale non li fa mai avere giustizia per le eccessive spese di sanità che si fanno pagare, e anche per il negozio del forno di sant’antonio, il quale è vero che ora è in buone mani, avendolo il Tani che è uomo abile, ma è sempre molto pericoloso essendo un forno unico e privilegiato.Il governatore e l’auditore hanno sempre avuto gran tenerezza per questo forno, e l’hanno sostenuto con molta vivacità, a segno che vi è fino stato chi abbia sup-posto che il governatore vi avesse interesse, quello però che è vero si è che negli affari di Livorno non vi si è mai visto chiaro, né vi è stato mai modo di avere un parere come va e che è una catena tirata la quale bisogna sciogliere assolutamen-te, con mutare qualcheduno degli impiegati che vi sono, e pensare di mandare a Livorno un cancelliere giovine e abile che s’impratichisca di quegli affari e che si possa avere un giorno in vista per succedere all’auditore, non avendosi per ora in vista nessuno3�5.

in luogo e vece del medesimo il dottor Girolamo stefani, attualmente cancelliere della Co-munità di Livorno. […]». asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 805, «auditore pro-tempore del governo», cc.n.n, copia del motuproprio granducale dato in pisa, 4 dicem-bre �768.

3�4 asFi, Segreteria di Gabinetto, ��6, cc.85-94. Interessante confrontare questo breve profilo con quello scritto, una trentina d’anni dopo, dal Gianni: «Non vi fu chi piacesse a Livorno tanto lungamente quanto pierallini, che giunse a governare i governatori, dirigere lo spirito di tutti gl’impiegati, e servire le segreterie ed i ministri di Firenze di tutto ciò che non sapevano relativo a Livorno, e ciò che non sapevano era veramente poco, ed egli ne fece sempre un segreto di mestiere. Questo diventò l’uomo necessario, ma fu sempre modesto e popolare senza alterigia, grande e diligente corteggiatore del ministero e fautore degli uomini mediocri che trovò impiegati in Livorno, e di quelli che seppe introdurvi con la sua occulta influenza», da F.m.Gianni, Discorso sopra a Livorno, redatto nel �804 e edito in Scritti di pubblica economia storico-economici e storico-politici, Firenze, tipografia Luigi Niccolai, �849, pp. �9�-3�� e in particolare p. 3�4.

3�5 asFi, Segreteria di Gabinetto, ��6, cc.85-94. In merito al forno di sant’antonio, sotto

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L’intenzione delle «relazioni» non era tuttavia una semplice critica delle persone che rivestivano incarichi chiave in Toscana, in generale, e a Livorno, in particolare. Le osservazioni espresse dal granduca in merito alle più importanti magistrature cittadine, alla Grascia, all’uf-ficio della Bocca del porto ed all’ancor più importante magistratura della sanità, erano volte a riformarle in profondità oltre che, se pos-sibile, a proporre nuove candidature più idonee. Così, visto che tutte queste istituzioni prevedevano la partecipazione a diverso titolo del governatore, pietro Leopoldo giudicò improrogabile risolvere le evi-denti malfunzioni denunciate diminuendone le prerogative a favore di un maggior potenziamento di altri funzionari più facilmente con-trollabili da Firenze.

Quanto alla Grascia, deputata a fissare i prezzi dei generi alimen-tari e di vendita al dettaglio, nonché dotata di giurisdizione civile e criminale sulle materie correlate, si descriveva asservita agli interessi personali e alla volontà di del monte tramite il deputato, il cavalier Ferdinando sproni, che gli obbediva in tutto e per tutto, mosso an-che da interessi personali. Tale istituzione era quindi giudicata nel complesso un organismo sorpassato e da sopprimere3�6.

Diversamente, l’ufficio della Bocca era presieduto dal capitano ca-valier Tommasi, il quale svolgeva con onestà e competenza il compito di controllare ed assistere nelle tramitazioni burocratiche di accesso al porto imbarcazioni, passeggeri e loro merci. Il bravo funzionario, apprezzato dal granduca ed integerrimo, era però «mal voluto dal governatore, perché non gli cede in tutto», e da questo dissidio ne sortivano dispute e scontri d’autorità continue. L’ufficio ne restava gravemente danneggiato ed innumerevoli rimostranze arrivavano a Firenze denunciando abusi, taglieggiamenti ed inconvenienti di vario genere perpetrati dai ministri subalterni della Bocca, probabilmente – a giudizio di pietro Leopoldo – in ciò sobillati dallo stesso gover-natore per screditare l’autorità del Tommasi. L’unico rimedio pos-sibile per il granduca fu conferire maggior potere al capitano e farlo

la soprintendenza di mariano maggi, anch’egli uomo di fiducia del Bourbon del monte se-condo la lettura leopoldina, se ne veda la lunga analisi critica datane dal granduca in ibidem, cc.��5-�30.

3�6 Ibidem, cc.��9-��0. Un completo fascicolo sull’ufficio della grascia di Livorno, dalla sua istituzione nel �604, con rescritti e ordini diversi, fino alla fine del settecento, si trova in asLi, Comune, ��98, inss. �, 5, 6 e 7.

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risiedere presso il magistrato di sanità, rendendolo così autonomo ed indipendente dal governatore e più autorevole verso i propri sot-toposti, i quali dovevano subito sostituirsi con soggetti di dimostrata probità3�7.

Vi era infine l’ufficio di sanità, composto dal governatore, dal-l’auditore e da due deputati. Tale magistratura era competente in materia di sanità pubblica sotto tutti i suoi aspetti: disposizioni di quarantene e ispezioni sui bastimenti in arrivo, concessione di pa-tenti e gestione dei lazzeretti di san Jacopo e san rocco con i loro custodi, controllo e supervisione sui ministri del proprio ufficio (un cancelliere, oltre ad un sottocancelliere, un medico e i camarlinghi) e di quelli della Bocca del porto e sulle guardie di sanità (più di cento soggetti), oltre a tenere rapporti informativi con le altre località com-merciali italiane e del mediterraneo ed esser dotata di giurisdizione civile e criminale nelle materie di sua pertinenza. Gli arbitrii, le ru-berie, le «baronate delle guardie», gli abusi innumerevoli, avallati e mai puniti dal Governo, suscitavano l’aperta avversione della cittadi-nanza e degli stranieri verso l’istituzione, ostacolando il commercio e mettendo in grave pericolo la salute pubblica. Da dove proveniva la causa di tutto ciò? pietro Leopoldo non aveva dubbi: «il male viene dal che il governatore ha tirato a sé solo tutte le cose di sanità e che le vuole fare a modo suo senza consultare il magistrato», limitandosi a consultare solo il cancelliere paolo Brignole, uomo di sua fiducia. Occorreva anche qui eliminare tale accentramento di potere in una sola persona, conferendo maggior autorità al magistrato in sé, com-porlo di nuovi funzionari capaci di opporsi allo strapotere del Bour-bon del monte, insediarvi il capitano della Bocca e dotarlo di ordini più cogenti, ben articolati e «che il governatore stesso non possa trasgredire» 3�8.

Dallo sguardo di pietro Leopoldo su Livorno, dunque, emergeva uno scenario a dir poco desolante, l’insieme di magistrature ed uffici destinati ad assicurare il benessere della città ed il corretto funziona-mento del commercio appariva inesorabilmente preda della corru-zione e del latrocinio, e tutti i funzionari in diversa misura dominati dalla volontà autoritaria del governatore in carica. a seguito di queste

3�7 asFi, Segreteria di Gabinetto, ��6, cc.97-�03.3�8 Ibidem, cc.�07-���.

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tutt’altro che rassicuranti osservazioni, il granduca si avviò con de-cisione a modificare lo status quo. Orientò la sua azione di riforma a due obiettivi fra loro complementari. In prima istanza agì sugli organi centrali e spazzò via quel complesso sistema che aveva frammentato gli affari livornesi tra molteplici ministeri, avocando ogni competenza alle segreterie di stato e di guerra. su questa direttrice si accoglie-ranno alcune delle indicazioni espresse a suo tempo dal governatore Ginori e poi riprese dal Bourbon del monte. assai meno semplici furono invece gli interventi mirati alla modifica dei poteri periferici.

Già nel corso del �769 le competenze auditorali erano state poten-ziate. prima con il motuproprio del �4 febbraio �769, in base al quale gli affari sia civili che criminali precedentemente risolti dal soppresso consiglio di commercio erano passati al tribunale di Livorno, mentre la cognizione delle cause del dipartimento della marina da guerra fu conferita all’auditore «in tutto e per tutto, in luogo e vece di detto consiglio»3�9. Nel maggio successivo, il granduca assegnò all’audi-tore, come giudice camerale, anche la cognizione delle cause civili e criminali in materia di tabacco330.

Un primo, fondamentale cambiamento fu rappresentato però dal-l’editto del �0 luglio �77� sui vicari e i notai criminali, con il quale si mirava ad assicurare che le attività legate all’amministrazione della giu-stizia fossero svolte da ufficiali giudiziari esperti in diritto, separando nettamente il compito più squisitamente politico di rappresentare il so-vrano, che restava affidato al governatore, dalle competenze in materia di giustizia civile e criminale, che sarebbero invece di lì in avanti spet-tate ad un giudice (cioè all’auditore) soggetto annualmente a sindacato.

Il �7 gennaio �77�, del monte a fronte delle introdotte novità e della richiesta di osservazioni per migliorare il funzionamento del tri-bunale labronico, inviò un accurato memoriale, redatto dal pierallini, al cavaliere siminetti, direttore della segreteria di stato per gli affari interni, e alla giunta per la riforma del sistema giudiziario (presieduta da pompeo Neri) che aveva elaborato l’editto33�. In tale documento

3�9 asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 805, «Disposizioni particolari», cc.n.n, motuproprio del �4 febbraio �769.

330 Ibidem, motuproprio del 30 maggio �769.33� Lo stesso pierallini scrisse al proposito anni dopo come si ritenesse «non esser qui [a

Livorno] praticabile la totale esecuzione dell’editto de’ �0 luglio �77�», oltre a considerare, né più né meno, «impossibile che l’auditore invigilasse agl’oggetti di polizia e di buon ordi-ne, i quali anche per altre ragioni politiche conveniva che appartenessero al governatore, co-

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si indicavano variazioni al sistema giudiziario conseguenti all’entrata in vigore di quella legge e che si giudicavano assolutamente inattuabi-li a Livorno.

Queste si riducono principalmente a due capi:

�° – all’obbligo che viene ingiunto all’auditore e ministri del tribunale di stare ogn’anno a sindacato avanti ai Conservatori di Legge di Firenze, come i giu-sdicenti e ministri di tutte l’altre province.

�° – alla total mancanza d’autorità del governatore alle cose di giustizia33�.

L’errore iniziale all’origine di entrambi i problemi e ai quali si do-veva porre rimedio era stato quello di aver previsto una riforma del compartimento provinciale toscano riducendo Livorno alla medesi-ma condizione di tutti gli altri Governi e giurisdizioni delle province granducali. si ribadiva il concetto secondo il quale la città labronica era sì soggetta alle leggi del granducato, ma tale regola generale cono-sceva soprattutto eccezioni alle quali attenersi:

sarebbe inutile diffondersi a dimostrare che Livorno, e il di lui Governo, sono d’una natura affatto particolare e diversa da tutto il restante della Toscana e, quantunque in sostanza anche quel paese deve regolarsi con le leggi del gran-ducato, vi sono però moltissimi casi nei quali i riguardi dovuti al commercio ed alle Nazioni straniere esigono o che non si insista nella scrupolosa osservanza delle medesime, o che ella si procuri con maniere indirette, o che qualche volta si dissimuli per non entrare in impegni volendo star troppo attaccati al rigore della legge in certe materie333.

proprio «l’incertezza» della norma era stata fino ad allora, e conti-nuava ad esserlo, l’unica condizione possibile per poter conciliare la tutela degli interessi delle «nazioni» e dei consoli, tenendo conto delle differenti situazioni contingenti e della flessibilità necessaria a man-tenere lo stato di neutralità del porto labronico, conservando però intatta la giurisdizione sovrana, la quale ultima non doveva sortire mai pregiudicata da una applicazione troppo lassa delle regole. La soprav-vivenza dell’intero sistema risiedeva proprio nella capacità di saper muoversi con differenti gradi di «fermezza o di compiacenza», salvan-

me fu poi risolto», in asLi, Governo, copialettere, 968, cc.n.n, pierallini all’auditore fiscale, li 30 luglio �777.

33� asLi, Governo, copialettere, 966, cc.304r, lettera del governatore Bourbon del monte al siminetti, li �7 gennaio �77�. a questa si annetteva il memoriale di pierallini.

333 Ibidem, cc.304r-3��v, dal memoriale di pierallini allegata alla lettera del Bourbon del monte al siminetti, li �7 gennaio �77�.

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do tutti gli interessi in gioco grazie ad una approfondita conoscenza di attori e circostanze. ad esclusione del granduca, e dei ministri «ben informati del sistema del porto di Livorno», nessun altro sarebbe stato in grado di intervenire al proposito, men di tutti i magistrati di Firen-ze, ai quali non si riconosceva alcun «diritto di dar ordini né di pre-tenderne l’esecuzione». ecco perchè l’auditore e il tribunale labronico erano stati sempre esenti dal sindacato, e tali dovevano restare, come peraltro confermato in più occasioni dai segretari di guerra sollecitati dai reiterati tentativi in contrario dei «gelosi» ministri della capita-le334. peraltro la dipendenza da Firenze sarebbe stata per il Governo di Livorno non solo dannosa ed illegittima, ma persino inutile. se in-fatti il ricorso al sindacato aveva quale prima ragion d’essere quella di «riparare all’aggravi che potessero esser fatti ai privati nella ammini-strazione della giustizia», a Livorno, dove «si è sempre resa più pronta e spedita giustizia che altrove», restava comunque sempre possibile il ricorso al granduca, direttamente o per mezzo di quei ministri che di volta in volta erano stati destinati a soprintendere agli affari della città. Inoltre, i funzionari di Livorno potevano già essere sindacati per gli affari interni dal segretario di stato, l’unico che fosse autorizzato a impartire loro ordini e quindi competente in materia.

Il pierallini poi, richiamava ancora una volta l’attenzione non solo sull’eccezionalità della condizione della città, ma anche di quella del-la carica di auditore:

Livorno è un paese che merita dei riguardi di molto speciali, e la carica di au-ditore di quel governo è di tale importanza da poter riguardarsi diversamente dagli altri giusdicenti. Oltre l’esser egli giudice camerale, e perciò non soggetto in questa parte a sindacato, se non quanto lo siano i consoli di mare di pisa, e gl’auditori fiscali di siena e pistoia, è ben noto quanto diverse siano le di lui incumbenze da quelle degl’altri semplici giusdicenti335.

Nella ripartizione delle nuove competenze, pierallini giudicava ra-gionevolmente fattibile togliere al governatore la giurisdizione civile e

334 scriveva al proposito, senza mezzi termini, pierallini nel suo memoriale: «Non altro fondamento ebbero i magistrati di Firenze di tornar tante volte inutilmente nel corso di un secolo a ribattere su questo punto, se non quello di non venire attese a Livorno le lor lettere e decreti, come se ciò fosse un mancare d’obbedienza e di rispetto ed un non far conto della loro autorità, la gelosia della quale gli portava a desiderare il sindacato, per ricusarlo ai mini-stri che non avessero eseguiti i loro ordini», in ibidem.

335 Ibidem.

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criminale affidandola in toto all’auditore, riferendosi però ai soli affa-ri civili e criminali da risolversi per via di processo. Quanto invece al-la capacità di comminare «castighi economici o provvedimenti istan-tanei», privarne il governatore avrebbe equivalso a renderlo non suf-ficientemente autorevole né rispetto ai «comandanti di navi da guerra ed i forestieri di altro rango» con i quali trattava quotidianamente, né per «contenere in dovere la numerosa popolazione di Livorno». si escludeva quindi del tutto l’utilità di una tale riforma, senza contare l’impossibilità per l’auditore di potersi occupare convenientemente da solo di tutto, rischiando dilazioni pericolose per il buon servizio soprattutto quando fosse dovuto ricorrere all’aiuto militare, rimasto invece ancora di giurisdizione governatoriale.

alla fine di giugno, il governatore scriveva ancora a pompeo Neri, ribadendo l’inopportunità di introdurre cambiamenti ritenuti pregiu-diziali per il decoro e la dignità dei propri funzionari e raccomandan-dosi di non variare il titolo dell’auditore, o almeno di non «ridurlo» a vicario, perché così sarebbe stato equiparato ai giusdicenti «di tante province non paragonabili certamente con Livorno»336. Il Neri, da parte sua, conservò il titolo auditorale337 e sottopose al vaglio del go-vernatore una memoria nella quale, rammentando i principi di mon-tesquieu, ribadiva la necessità di separare le competenze di chi rap-presentava il sovrano, cioè il governatore (al quale si assicurava «tutta la soprintendenza al governo politico del paese, con piena autorità di dare tutti quegli ordini che crederà a proposito per conservare la quiete pubblica», e su «tutto ciò che può conferire al bene generale», oltre ad avere il voto, il primo posto e i primi onori nelle magistrature pubbliche), da quelle di chi amministrava la giustizia, ovvero l’audi-tore (al quale invece si affidava la giurisdizione ordinaria sulle cause civili e criminali). si ammetteva comunque la necessità di inviare istruzioni adattate alle circostanze locali, prevedendo una procedura

336 Ibidem, c.4�5, lettera del Bourbon del monte a pompeo Neri, li �9 giugno �77�.337 «Ho comunicato a questa giunta deputata sopra la riforma dei governi provinciali

la riverita lettera di vostra eccellenza del dì �9 del caduto giugno e convenghiamo tutti pie-namente che in Livorno i ministri sia ben tenerli nel maggior decoro possibile. sicchè, se l’eccellenza vostra crede che suoni meglio in codesto paese il titolo di auditore che quello di vicario, sarà posto sul ruolo il signor pierallini col solito titolo di auditore senza difficoltà. È ben vero che molti rimarranno nel sentimento che sia più onorifico il titolo di vicario perché molto si potrebbe dire per un partito e per l’altro, ma non credo che importi decidere que-sta questione. […] si farà quel che ella stima di sua maggior convenienza». pompeo Neri a Bourbon del monte, Firenze, �� luglio �77�, asLi, Governo, lettere civili, ��, c.��0 r.

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aggravata nella quale era obbligatorio l’avallo governatoriale per le cause di prede, per quelle in cui una delle parti agiva come «corpo di nazione» e nelle cause di «esecuzione reale o personale» contro con-soli o negozianti338.

per tutta risposta il Bourbon del monte inviò una «rappresen-tanza» al sovrano, il �� settembre �77�, protestando ancora contro l’editto dell’anno precedente, per l’elaborazione del quale non gli era stato richiesto alcun parere nel tentativo di ridurre Livorno «alla con-dizione istessa di ogni altra provincia nell’istessa dipendenza dai ma-gistrati di Firenze», e si metteva sull’avviso il granduca dalle malevole intenzioni dei funzionari fiorentini:

mi è noto che i magistrati e ministri di Firenze, scontenti di non poter estendere liberamente la loro autorità sopra Livorno, e non informati de’ veri motivi che vi sono per raffrenarla, hanno fatti da un secolo in qua i maggiori sforzi per ridurlo alla loro obbedienza, ed hanno sempre procurato di fare apprendere (come for-se anche succede di presente) che il tenerlo separato da tutto il resto del sistema non sia una vera regola di politica, ma l’effetto di una specie d’indipendenza a cui hanno aspirato i governatori e gli altri ministri di Livorno339.

modificare la regola vigente avrebbe provocato invece gravi mal-funzioni e, aggiungeva, «non so quali conseguenze possa portare il cambiarla, e non voglio essere debitore a Vostra altezza reale di contribuire col mio silenzio a tutto ciò che potesse derivarne di pre-giudiziale».

In seconda battuta rispose al Neri, il �8 successivo, inviandogli due documenti, già sottoposti anche al beneplacito di pierallini. si tratta-va di una «memoria» in merito ai «cambiamenti quali unicamente, ed in ogni peggior caso, crederei ammissibili in questo governo in ciò che riguarda l’amministrazione della giustizia», e di un «foglio di osservazioni» con commenti tecnici puntuali sul memorandum del Neri di poco tempo prima. Del monte insisteva sulla necessità di conservare ampi poteri al governatore, se però, «contro questo suo sentimento, fosse giudicato opportuno di restingere l’autorità predet-

338 asLi, Governo, lettere civili, ��, cc.33�r-333r, pompeo Neri al Bourbon del monte l’undici luglio �77�. Il documento inviato s’intitola «ricordi per servire alle istruzioni per il governatore e per il vicario e auditore di Livorno».

339 asLi, Governo, copialettere, 966, cc.487-489, lettera del Bourbon del monte al segretario privato del granduca Jean evangeliste Humbourg, per pietro Leopoldo, del �� settembre �77�.

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ta in quelle cose che riguardano direttamente l’amministrazione della giustizia», tutt’al più avrebbe potuto accettare l’obbligo di consultare l’auditore in merito e di verbalizzarne il parere. su alcune facoltà pe-rò non avrebbe giammai consentito modifiche:

e generalmente potrà darsi un’istruzione al governatore di mescolarsi meno che sia possibile nelle cose di giustizia, quando ciò non sia a richiesta dell’auditore medesimo in quei casi ove sia bisogno d’interporre e far valere la sua autorità, e di lasciare al loro corso ordinario tutte le cause ed affari che pendono ai tribuna-li civile e criminale. È però necessario indispensabilmente che gli esecutori siano nella sua [del governatore] assoluta dipendenza, e che egli abbia la libera facoltà di ordinare e fare eseguire la cattura di tutti quelli che turbano il buon ordine e la quiete in qualunque maniera, con sentir poi il parere dell’auditore rispetto alla più breve o più lunga detenzione di essi ed al castigo che abbiano meritato. ed è egualmente necessario lasciarlo in possesso di tutte le altre facoltà attri-buite alla sua carica e risultanti da’ registri della segreteria di questo Governo e dalle istruzioni delli anni �746 e �747340.

Quanto alla procedura aggravata supposta dal Neri, la bocciava sotto molteplici punti di vista. era inattuabile laddove si ipotizzava-no cause di prede promosse dalle «nazioni» come «corpo politico», poiché violava il principio ormai secolare secondo il quale «i corpi di nazioni non si son mai voluti riconoscere in Livorno» e vi erano in-numerevoli ordini sovrani quanto a non accogliere, né attendere mai alcuna istanza o «domanda giudiciale» che venisse formulata a nome di qualunque «nazione» come rappresentante un «corpo politico» (ad unica eccezione di quella ebrea)34�. altrettanto erronea appariva la previsione dell’avallo governatoriale per le cause contro i consoli perché «non si deve procedere all’esecuzione o personale o reale, se non nel caso estremo ed in certe circostanze solamente», senza con-

340 Ibidem, cc.49�r-496v, «memoria» allegata alla lettera del Bourbon del monte a pom-peo Neri, li �8 settembre �77�.

34� «Ciò che merita di essere avvertito si è che la nazione ebrea, a differenza delle altre, rappresenta in Livorno un corpo politico, governato con leggi proprie e con una giurisdizio-ne quasi separata. La ragione della predetta differenza dipende dall’essere la nazione ebrea riguardata in Livorno come suddita, il che non si verifica rispetto alle altre. Quanto poi alla giurisdizione deve notarsi che sebbene ella si consideri come separata, non è però di fatto independente dal Governo, giacchè il governatore di Livorno ritiene sopra la nazione ebrea e generalmente sopra i suoi magistrati come superiorità. Tal che, venendosi rappresentati dei ricorsi, si farebbe render conto delle resoluzioni che gli avessero cagionati», in asLi, Gover-no, copialettere, 96�, cc.�0v-��v, §�, «stato attuale della nazione ebrea», appunti attribuibili al pierallini del �789 circa. si faceva riferimento alla riforma del �0 dicembre �7�5, vedi oltre.

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tare che riconoscendo apertamente per tali soggetti una procedura differenziata da quella degli altri sudditi si sarebbe negato il principio in base al quale «i consoli non godono alcuna prerogativa o privile-gio, e son soggetti alla giurisdizione del tribunale come tutti gli altri». Quanto poi alle cause contro i «negozianti», «vi sono già ordini ben chiari quanto al contegno che si deve tenere» senza l’aggravio di un’obbligatoria comunicazione al governatore, invece ipotizzata dal Neri, la quale avrebbe rappresentato solo un «imbarazzante» intral-cio. Il sistema in uso era di lasciare massima autonomia all’auditore di accendere tali cause e concedere ai convenuti il tempo perché tro-vassero un accordo, senza immischiarvi in altro modo le procedure ufficiali (eccetto che nei casi di fallimento, nei quali si procedeva «senza riguardo alcuno»)34�.

a distanza di due giorni, il 30 settembre �77� fu emanata la legge sulla riforma delle circoscrizioni giudiziarie con la quale si dava un nuovo assetto ai tribunali toscani e si distinguevano le competenze di giurisdizione civile e penale tra governatori o commissari e vicari, con importanti ricadute anche sull’incarico del governatore e dell’audito-re labronici343.

Il governatore non mancò di obiettare immediatamente che in tale legge Livorno veniva di fatto equiparata alle altre province. Quindi, preparò ed inviò a Firenze una «memoria sopra i ricorsi de’ magi-

34� asLi, Governo, copialettere, 966, cc.49�r-496v, «Osservazioni sopra i ricordi da ser-vire alle Istruzioni», allegate alla lettera del Bourbon del monte a pompeo Neri, li �8 settem-bre �77�. Ci si riferiva al documento inviato dal Neri «ricordi per servire alle istruzioni per il governatore e per il vicario auditore di Livorno» dell’undici luglio �77� sopracitato.

343 Della «Legge per il nuovo comportamento dei tribunali di giustizia dello stato fio-rentino del 30 settembre �77�» merita particolare attenzione, in questa sede, l’articolo 33, che regolava la divisione delle competenze civili e penali tra governatori da un lato e vicari dall’altro, assegnando il diritto a partecipare alle magistrature cittadine e stabiliva ordini di priorità gerarchica. In particolare, si stabiliva «un governatore civile o militare o altro nostro special commissario» a livello superiore dei vicariati, in essi «il governo o reggimento del paese sarà confidato alla persona di detto governatore o commissario [...] e in esso unica-mente risiederà la nostra rappresentanza con facoltà di dare gli ordini in nome nostro che crederà opportuni per l’osservanza delle leggi e per il buon regolamento della provincia [...] e il vicario [...] col titolo di auditore del governo o del commissariato [...] farà le funzioni di giudice ordinario con giurisdizione civile e criminale sopra tutte le cause di pertinenza del tribunale e fra tutte le persone del medesimo sottoposte niuna eccettuata e risiederà an-ch’esso con voto simultaneamente in tutte le magistrature immediatamente dopo del nostro rappresentante. e in caso di sua assenza dalla giurisdizione farà le sue veci». Tra le facoltà da comprendere nel «buon regolamento» del territorio, vi erano ovviamente anche quelle di polizia. Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana, Firenze, stamperia granduca-le, �77�-�8�6, VI, n°�0.

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strati di Firenze perché il tribunale di Livorno non eseguisca le loro lettere e decreti»344. In essa sosteneva l’infondatezza delle lamentele dei tribunali fiorentini contro quello labronico in merito alla giurisdi-zione tra privati, in quanto grazie ai privilegi antichi gli abitanti di Li-vorno «non possono esser citati, né tirati a litigare in prima istanza in niun altro tribunale se non in quello che dal sovrano è stato qui stabi-lito per amministrare la giustizia». Inoltre, in tutti quei casi in cui «un ordine speciale» autorizzava la citazione presso tribunali non livor-nesi, ciò era sempre scrupolosamente eseguito, come nelle cause in-teressanti il regio patrimonio, in quelle ove fosse un giudice delegato ad hoc, in quelle riguardanti l’Ordine di santo stefano e fatta sempre salva la giurisdizione dei consoli del mare. si allegava alla memoria un lungo elenco dei provvedimenti che, dal �570 al �769345, avevano rintuzzato tutti i tentativi, giudicati dallo scrivente ingiusti e prevari-canti, messi in atto dai tribunali della dominante. peraltro, «la sopra enunciata regola» di ignorare le disposizioni provenienti dai giudici di Firenze non riguardava solo l’amministrazione della giustizia ci-vile ed i contenziosi fra privati, bensì si estendeva «generalmente a tutti gli ordini, qualunque sia il dipartimento da cui procedono». ad esempio, il governatore non aveva mai ubbidito all’auditore fiscale, anche se «la di lui autorità è sopra qualunque magistrato e si estende sopra tutto il dominio fiorentino», ed eventualmente, qualora il go-vernatore avesse riconosciuto utilità nell’adottarne gli editti, questi sarebbero stati pubblicati in nome del governatore e dopo opportune modifiche. anche in caso di arresti urgenti richiesti dall’auditore fiscale, la segreteria di stato avrebbe dovuto darne spiegazioni al governatore. Quanto alle leggi ed ai bandi, si pubblicavano e si ese-guivano a Livorno soltanto se provenienti dai canali consueti e «se da qualche magistrato venivano dati direttamente degli ordini, la pratica è sempre stata di non attendergli, non farne caso e non risponderne». Infine, le citatorie e i decreti dei tribunali fiorentini non venivano at-

344 asLi, Governo, copialettere, 967, cc.83r-87v, «memoria sopra i ricorsi de’ magistrati di Firenze perché il tribunale di Livorno non eseguisca le loro lettere e decreti, rimessa a sua altezza reale il dì �5 agosto �773».

345 Bourbon del monte attribuiva particolare rilievo al motuproprio del �3 novembre �766 nel quale si dichiarava «apertamente che per niun titolo potesse citarsi altrove gli abi-tanti di Livorno in prima istanza e fu vietato seriamente a tutti i magistrati di far passo alcu-no che pregiudicasse al libero corso della medesima nel tribunale di Livorno», in «memoria sopra i ricorsi de’ magistrati di Firenze», cit., §�.

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tesi se non con l’accompagnamento di comunicazione delle supreme segreterie, sempre salvo il diritto di previa verifica del governatore. In conclusione, il Bourbon del monte ribadiva:

Da quanto si è osservato fin qui, rimane evidente quanto siano ingiusti e quanta poca sussistenza abbiano i lamenti dei magistrati appresso al sovrano contro i ministri di Livorno, quali nel non attendere i loro ordini altro non fanno che ob-bedire a quelli del principe. Fanno adunque i ministri di Livorno il loro dovere e non sono né saranno redarguibili a meno che non si cambino gli ordini e non si voglia indurre una total variazione di sistema e derogare ad un privilegio di questi abitanti tanto antico e tante volte confermato. per deliberare se convenga un tal cambiamento, bisogna porre in bilancia da una parte i solidi motivi, sopra i quali sono fondati i privilegi e la costituzione di Livorno, e dall’altra l’utile che può sperarsi dall’aderire alle richieste dei magistrati, quale in sostanza si riduce ad accrescere il numero delle cause avanti di loro. [...] Non vi era forse bisogno di prendere l’affare tanto da lontano, e si è fatto solamente perché niuno possa credere che il sistema di non attendere gli ordini dei magistrati di Firenze sia un abuso introdotto appoco appoco dal Governo di Livorno, ma si vede che egli è fondato in una serie di ordini continuata per un secolo e mezzo346.

Nel �773, il del monte inoltrò a Firenze un nutrito numero di al-tre memorie347. Una, di particolare interesse, era dedicata al potere

346 «memoria sopra i ricorsi de’ magistrati di Firenze», cit., §III e IV. Bourbon del mon-te ipotizzava che i dubbi insorti a Firenze in merito al mantenimento dei privilegi della città di Livorno traessero origine da un equivoco, indotto però a malafede. Ovvero, coloro che avrebbero voluto abolirli, ponevano in rilievo gli inconvenienti conseguenti a che a Livorno «la gente possa esimersi dal pagamento dei debiti». L’esenzione da debiti, faceva allora os-servare il governatore, dipendeva da un privilegio completamente diverso rispetto a quello di non poter essere citati altrove per il processo in prima istanza. Traeva infatti origine da altre priorità, cioè dalla deliberazione del �3 febbraio �59� diretta «ad allettare la gente a trasfe-rirsi a Livorno, popolarlo e farvi commercio». Cambiate le circostanze contingenti, scriveva del monte, si abolisse pure il privilegio da debiti per i sudditi, seppur quanto ai «forestieri, Livorno è stato, è e sarà sempre in necessità di alletargli per tutti i modi», e quindi si racco-mandava maggior cautela, ibidem, §V.

347 si ricordano almeno la «memoria sopra le scuole pubbliche per l’educazione della gioventù di Livorno», inviata al senatore Giulio rucellai il 4 ottobre �773, da confrontare colle «Osservazioni sopra il regolamento da tenersi per le scuole pubbliche in Livorno dopo la soppressione di quelle dei Gesuiti», del 3 gennaio �774 ed inviata al conte Federigo da montauto (il quale avrebbe succeduto il del monte al governo labronico), in asLi, Governo, copialettere, 967, rispettivamente alle cc.�0�r-�03v e ��4v-��8v. Il piano colle Istruzioni definitive per le scuole pubbliche di Livorno, dopo molteplici osservazioni e contributi da parte del governatore e di altri ministri incaricati di tale affare, fu inviato da del monte il �5 dicembre del �774 ai gonfalonieri della città, in ibidem, cc.��7v-��0r.

meritano almeno una segnalazione anche le due memorie inviate a pompeo Neri il �7 di-cembre successivo, cioé: «memoria sopra i messi e cavallari per il tribunale di Livorno», con utili indicazioni sulle competenze dell’ufficio di messo nei tribunali civili ed altre osservazio-ni sull’amministrazione della giustizia; «memoria sopra il numero delle case di Livorno e suo

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governatoriale nei processi camerali e nell’erogare le pene «economi-che»348, riprendendo in ciò anche ragioni già addotte dal suo prede-cessore Ginori al consiglio di reggenza vent’anni prima:

son degne di riflessione le ragioni addotte dal governatore Ginori per rilevare la necessità delle punizioni economiche. Di fatto in un paese la di cui popola-zione si avvicina ai quarantamila abitanti, molti dei quali forestieri e molti altri gente di mare, facchini, e popolo minuto senza educazione, e vi si aggiunge un continuo concorso di stranieri di puro transito che un giorno per l’altro fra la città ed il molo si calcola a tremila persone circa, è ben facile a comprendere che se di tutte le mancanze quali per le massime di buon governo non possono lasciarsi impunite si dovesse fare un processo formale, seguirebbero tutti gli inconvenienti accennati nella lettera del governatore Ginori degl’�� gennaio �75�349

Non era possibile rinvenire l’esatta origine giuridica delle facoltà attribuite al governatore, perchè mancavano nella segreteria labro-nica «i registri dei tempi più antichi e ben pochi fogli si conservano del secolo passato», ma il carteggio degli ultimi decenni dimostrava che il governatore godeva della facoltà di esiliare dallo stato, nonché di «castigare con berlina, frusta, staffilate e simili alcuni delinquenti senza processo formale, ma presa cameralmente cognizione dei fatti» e ciò dato le particolari necessità di Livorno. Ne costituiva evidente «riprova» il potere dato ai magistrati della «nazione» ebrea di esiliare correligionari forestieri e residenti senza processo, a patto di comuni-care al governatore i motivi del provvedimento. a Bourbon del mon-te risultava «mostruoso» voler concedere ai giudici ebrei ciò che non fosse invece permesso al governatore350.

capitanato vecchio», dalle cui notizie si apprende che a quel tempo solo il nucleo urbano di Livorno si componeva di 9�9 edifici, divisi in molte abitazioni e quartieri, per un totale di 5547 famiglie, e un totale di �6�95 individui, esclusi i quartieri militari (altre tremila persone alloggiate in circa duecento casamenti), i prelati e gli ebrei. per questi ultimi, si contavano infatti ��6 edifici, con circa 8800 famiglie («non essendosi mai potuta fare la precisa enume-razione delle famiglie e delle persone»). a questi, si aggiungevano gli abitanti di antignano, salviano, sant’Jacopo, solo per il Capitanato Vecchio, raggiungendo un totale di 4�095 abi-tanti. In ibidem, cc.���r-��4r.

348 per «potestà economica» si intende l’autorità di punire reati minori, che non costi-tuivano un delitto propriamente detto e altrimenti non perseguibili. si differenziava dalla autorità giudiziaria sia per la qualità della pena, che doveva essere di minor entità, sia per la procedura di applicazione. per maggiori ragguagli, si rimanda a C.manGio, La polizia tosca-na. Organizzazione e criteri d’intervento (1765-1808), milano, Giuffré, �988, pp. �7-�8.

349 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �76, ins.�6.350 Ibidem.

�49

Finalmente, nei primi mesi del �774, pietro Leopoldo avviò gli studi per l’elaborazione di un nuovo corpus di istruzioni destinate a disciplinare le competenze del governatore di Livorno. In primo luogo, la Consulta, composta da pompeo Neri, Tommaso piccolo-mini, stefano Querci e Giuseppe pelli Bencivenni, mise a punto un regolamento per riformare gli affari criminali del tribunale labroni-co, «acciò siano trattati con l’istesso metodo e con le regole uniformi a quelle che l’esperienza ha fatto conoscer buone e necessarie per gli altri tribunali provinciali della Toscana». La linea d’intervento, infatti, fu quella di uniformare il più possibile il sistema livornese al resto del granducato. pietro Leopoldo era perfettamente consapevo-le dell’enorme potere del tribunale labronico e descriveva così quella magistratura:

Il tribunale del governatore di Livorno è composto dal governatore, di un au-ditore, due cancellieri civili e criminali e di sei subalterni coadiutori e segretari del governatore.Questo ha sotto di sé tutti gli affari di quel porto città e capitanato, sì nuovo che vecchio, tutti gli affari militari, governativi e politici. L’auditore ha tutte le cause civili e criminali, camerali di Dogane, contrabbandi, le mercantili, ecc.Questo tribunale non dipende che dal sovrano, quel che è uno dei privileggi di Livorno, essendo anche questo l’unico tribunale di quella piazza, salvo l’ap-pello ai consoli del mare nelle cause mercantili, nelle cause civili al magistrato supremo di Firenze, nelle criminali alla segreteria di stato e nelle comunitative al soprassindaco di Firenze. Il governativo e gli affari di pulizzia li ha quel go-vernatore con un’autorità molto estesa35�.

peraltro, i poteri del governatore potevano divenire illimitati in caso di emergenza o di «qualche accidente» che interessasse «la pub-blica quiete della città o del porto». Una situazione del tutto inaccet-tabile, come non mancava di osservare lo stesso granduca:

molti sono e continui i reclami contro questo tribunale, per interesse, vessazioni ed arbitrii: è vero che molto vi si fa arbitrariamente e con cattiva maniera, che si strapazza la gente e che i ministri vi sono tutti uniti, per il che bisogna dividerli e mettervi persone conosciute, oneste ed in specie disinteressate: importantissimi sono questi posti, ed è vero che il tribunale di Livorno vuole trattare tutte le sue cose con un segreto impenetrabile, che non può essere buono, cercando anche di impedire qualunque ricorso e non ubbedendo né alle lettere di segreteria, né alle sussidiarie degli altri tribunali di Firenze.

35� asFi, Segreteria di Gabinetto, ��6, cc.85-94.

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per togliere questa catena bisogna assolutamente separare quegli impiegati, le-varne lo stefani35� e il Betti353, ed in vece loro mettere due cancellieri che pos-sino dare soggezione all’auditore, e schiarire la sua condotta, essendo uomo di talento, ma dubbio.Continui sono i lamenti in Livorno per maniere ed arbitri del tribunale, che tratta tutti con altura e cattiva maniera, e con violenza, in specie quelli che si lamentano e spesso anche le nazioni estere, con minacciarle e con discorsi im-prudenti che gli fanno del torto e disgustano i consoli354

La minuta di motuproprio elaborata dalla Consulta ed inoltrata al sovrano per la ratifica, prevedeva che l’auditore del governo di Livor-no conservasse la titolarità della giurisdizione sulle cause criminali, anche per quelle di privativa cognizione del magistrato degl’Otto, ma introduceva l’obbligo per il detto auditore di partecipare agli Otto tutte le cause ordinarie e di esser sottoposto a sindacato ogni trien-nio,

nel modo che fanno tutti gl’altri iusdicenti dello stato per esser ivi esaminati da-gli istessi ministri che votano in tutte le altre cause, e per esser risoluti colle istes-se regole, recedendo dalla consuetudine di dirigerli alla segreteria di stato355.

L’auditore avrebbe potuto eventualmente accompagnare l’inoltro delle proprie attività sottoposte a sindacato con una lettera nella quale far presente eventuali osservazioni, una davvero minima con-cessione aggiunta «per soddisfare a una difficoltà che hanno rilevata i ministri di Livorno» e cioè che talvolta le procedure processuali dovevano seguire modalità non perfettamente in regola in virtù di «ordini prudenziali» del Governo, come mancare ad esempio di per-quisizioni o di testimonianze altrimenti previste a norma dei regola-menti vigenti356.

35� si tratta del cancelliere civile Girolamo stefani, sul quale il granduca non esitò ad annotare: «Debole e sufficiente, vedere di rimuoverlo da Livorno essendo troppo unito col-l’auditore», in ibidem.

353 si tratta del cancelliere criminale Domenico Betti. su di lui, pietro Leopoldo scrive-va: «Onesto, abile ed intelligente, sincero ma di poca salute, farne un assessore degli Otto o capitano di giustizia a siena o vicario, ed in vece sua mettere o il Franciosi, o il Leoni, degli Otto», in ibidem. Il Betti fu sostituito proprio tra il �773 e il �774 da colui che era stato sot-tocancelliere criminale di Livorno, Giusti.

354 Ibidem.355 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �74, ins.�, minuta di motuproprio del �6 aprile

�774.356 «rappresentanza che accompagna un motuproprio per regolamento del tribunale di

Livorno del dì 7 aprile �774», la Consulta composta da pompeo Neri, Tommaso piccolomi-ni, stefano Querci, Giuseppe pelli Bencivenni, al granduca, 7 aprile �774, in ibidem.

�5�

Le intenzioni dei ministri fiorentini non sarebbero potute essere più esplicite, come loro stessi precisavano al granduca:

regolato che sia il tribunale ordinario, resta da provvedere alle facoltà del go-vernatore, perché non insorga mai veruna mala intelligenza tra il governatore e il vicario, e perché il governatore resti munito delle facoltà che convengono al suo carattere e che possono essere necessarie a dare qualche provvidenza straordinaria, che le circostanze locali di quella città e porto possono talvolta richiedere357.

Una bozza delle istruzioni per il governatore di Livorno era già stata preparata ai primi del �774, insieme alle istruzioni per il com-missario e il vicario di pisa. Queste ultime erano state subito spedite per porre fine ad un conflitto esistente tra i due funzionari pisani, mentre per Livorno si era momentaneamente sospeso il procedimen-to «vedendo che da loro il governatore e il vicario [cioè l’auditore] si trovavano d’accordo, e gli affari avevano il loro corso senza che com-parisse reclamo». Fu pietro Leopoldo, alla fine di marzo, a sollecitare le proposte di riforma per l’istituto governatoriale livornese. ricevette così il testo delle nuove istruzioni segrete, destinate sia al governatore che all’auditore di Livorno, e un «foglio di osservazioni» nel quale Neri, piccolomini, Querci e pelli Bencivenni illustravano capitolo per capitolo le disposizioni proposte.

Come ben si spiegava nelle osservazioni, altrettanto importanti del testo definitivo che fu ratificato il �6 aprile �774, quelle istruzioni introducevano una serie di misure, suddivise in venti articoli, tese a precisare con margini ben definiti la potestà governatoriale, riducen-dola in maniera significativa358. In due soli articoli si accolsero i sug-gerimenti del governatore in carica, mentre per alcuni aspetti ci si ac-contentò di ribadire competenze già esercitate in precedenza e ripre-se dalle istruzioni date al Ginori nel �746. Nella gran maggioranza degli articoli, invece, si sottoponeva l’istituzione livornese assai ben più rigidamente al controllo del sovrano di quanto non fosse stata in passato. Le disposizioni più interessanti in questo senso furono anzi-tutto la ribadita autorità dell’auditore fiscale sul tribunale di Livorno

357 Ibidem, rappresentanza della Consulta presieduta dal Neri al granduca, in data �3 aprile �774.

358 Ibidem. Il testo delle istruzioni segrete, con a fronte le «Osservazioni», è riportato integralmente in appendice. Le «Istruzioni segrete per regolamento del governatore» del �6 aprile �774 sono state in parte già illustrate in F.Bernardoni, op. cit., pp. �3-�7.

�5�

e la conservazione dell’autonomia fino ad allora riconosciuta al go-vernatore nelle «cose governative», ma non nell’amministrazione del-la giustizia ordinaria. si introduceva cioè una netta separazione tra le due attività, in modo da non creare più equivoci, né pretese d’indi-pendenza dai magistrati fiorentini, «suscitate in diversi tempi dal tri-bunale di Livorno, che il governatore considerava come suo proprio, e senza distinzione da un genere di affari all’altro talvolta ricopriva col manto e colle prerogative più luminose del suo carattere di gover-natore». Il governatore avrebbe allora, nell’esercizio delle sue funzio-ni, dovuto attenersi solo agli ordini ricevuti per il canale della segre-teria a ciò destinata dal sovrano, senza interventi dell’auditore fiscale o di altri magistrati o ministri fiorentini. per le cause «civili e crimi-nali, ordinarie e sommarie» doveva invece cedere «alla giurisdizione ordinaria dell’auditore». Quanto a quest’ultimo, poi, avrebbe goduto della stessa indipendenza dalle magistrature fiorentine solo quando faceva le veci del governatore, altrimenti ne sarebbe rimasto soggetto per tutti i casi previsti dall’editto del 9 gennaio del �774. L’auditore doveva però informare «stragiudicialmente» il governatore sulle cause riguardanti gli interessi delle «nazioni» e accoglierne le indica-zioni purché «senza pregiudizio del corso ordinario della giustizia».

al governatore si assicuravano tuttavia due «facoltà straordinarie» concesse «in grazia delle circostanze locali di Livorno». restava infat-ti nel diritto di sospendere gli atti criminali del tribunale, sempre at-traverso ordine scritto, e di procedere «di proprio arbitrio a punizio-ni istantanee e straordinarie». Un arbitrio in realtà assai limitato nel timore che desse origine a un «mostruoso dispotismo», «poiché le co-stituzioni dei governi anno in vista i futuri tempi, e un uomo sciolto da ogni regola fa paura, ancorché sia di ottimo carattere». anzitutto ne restavano escluse le pene capitali, quelle procuranti infamia e le mu-tilazioni. si trattava infine di facoltà applicabili solo nei casi di urgen-za, a tutela della pubblica quiete o che potevano coinvolgere le «na-zioni estere», sempre col darne comunicazione immediata al sovrano.

perchè il sovrano potesse avere un riscontro col quale misurare la fiducia che può avere nella prudenza del governatore; e perché il governatore stesso abbia questo freno e non creda che il suo arbitrio vada esente da qualunque rendi-mento dei conti359.

359 asLi, Governo, 958, c.�0� v.

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Il controllo era di natura simbolica, visto che si riduceva all’obbli-go per il governatore di riferire sui provvedimenti e sulle punizioni già attuate, a posteriori quindi, e soltanto su ciò che riteneva «di mag-giore importanza o per la qualità dei fatti o delle conseguenze»360.

molti furono i punti controversi. si verificò subito un contrasto interpretativo fra auditore e governatore, ciascuno nel tentativo di di-fendere la propria autorità. Uno dei punti più dibattuti fu chiarire in chi risedesse l’autorità di comminare pene «economiche». Del monte ribadiva la necessità di conservare al solo governatore tale facoltà, come già sostenuto nella «memoria» del �773, mentre l’auditore an-notava: «non si dubita che tali facoltà si siano volute preservare per Livorno, ma non è chiaro a chi elle competano», ipotizzando piutto-sto il passaggio di tali competenze alla giurisdizione del tribunale (e cioè, appunto, dell’auditore).

Un altro aspetto dibattuto fu relativo all’obbligo per governatore ed auditore d’intervenire alle adunanze delle magistrature cittadine. Il Bourbon del monte si limitava a richiedere di veder ridotta tale forzata presenza a quando gliel’avessero permesse «le sue incum-benze e la sua salute», facendo praticamente ricadere tutto il peso dell’impegno sulle spalle dell’auditore. Quest’ultimo, da parte sua, ricordava quali e quanti fossero tutti i consigli ai quali si sarebbe visto costretto a partecipare, cioè: al magistrato di sanità, che pur si riuniva raramente ed ove da sempre era prevista la partecipazione di entrambi; al magistrato delle Decime, composto dal direttore della Dogana, dal gonfaloniere residente e dall’auditore, dove non era in-vece stato precedentemente contemplato il governatore; al consiglio generale della Comunità, ove era sempre intervenuto il governatore e l’auditore solo in sua vece, ma senza diritto di voto; al magistrato dei rappresentanti il pubblico, dotato di facoltà assai limitate e compe-tente in materia di affari economici di modesta entità; al magistrato dei rettori di carità, che disponeva della distribuzione delle elemosi-ne; al magistrato dei deputati di grascia, che si riuniva solo per stabi-lire il peso del pane e fissare i prezzi delle carni in base a regolamenti rigidi e vincolanti, previa partecipazione di governatore ed auditore; infine al magistrato dell’Opera del duomo, con compiti ispettivi sulle spese della medesima. In sintesi, a riserva del magistrato di sanità,

360 Ibidem, c.�03 r.

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di quello delle Decime e del consiglio generale, pierallini considera-va superflua la presenza del governatore o foss’anche dell’auditore, «all’ultimo specialmente manca il tempo per poterlo fare» a meno di non «toglierlo alle cose più necessarie e importanti».

L’ultimo punto contestato riguardava la soprintendenza sulla re-visione delle stampe in vista della loro pubblicazione e circolazione in città, affidata all’autorità del governatore. su quest’unico aspetto il governatore appoggiò la protesta dell’auditore che rivendicava la completa autorità sulla materia, in virtù più di una consuetudine che di una norma (in base alla lettera delle disposizioni impartite al pro-posito, il governatore ne era sempre stato investito, lasciandone però l’incombenza all’auditore in via di fatto)36�.

effetto di tali obiezioni fu una lettera della segreteria di stato del 5 luglio �774 nella quale si stabiliva come le pene «economiche» fosse-ro prerogativa esclusiva del governatore, dovendo l’auditore seguire il corso regolare della giustizia. Tali pene contemplavano il ricorso al-l’esilio dal Capitanato, a qualche giorno di carcere e alla frusta in pri-vato, mentre le «pene gravi» ed «irroganti infamia», quali la frusta in pubblico, la berlina e la corda, potevano infliggersi solo con processo formale. Nei «casi ed affari di semplice polizia», il governatore pote-va altresì imporre pene «economiche» purché a condizione di darne l’ordine per scritto al tribunale e di parteciparne la decisione al gran-duca36�. Una seconda lettera, del �3 settembre, comunicava a Livor-no la revoca degli ordini impartiti nelle istruzioni in merito all’obbli-go di governatore ed auditore di presenziare alle magistrature comu-nitative, in cambio di una più flessibile «facoltà d’intervenire [...] so-lamente per invigilare al buon ordine e d’impedire le irregolarità»363.

piccole concessioni, certo, ma che non mutavano la sostanza di una linea di riforma che proseguiva il proprio corso con coerenza e

36� asLi, Governo, copialettere, 967, cc.�69v-�7�v, fascicolo riportante le «riflessioni dell’auditore di Livorno sopra le Istruzioni segrete del dì �6 aprile �774», con a fianco le «risposte del governatore». Il documento fu inviato al conte degli alberti il �4 giugno �774. Ne esiste una copia anche in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �76, ins.�6. sulla stampa a Livorno, rimando all’interessante rapporto redatto dal governatore per il conte di rosen-berg in data 3� agosto �767 e reperibile in asLi, Governo, copialettere, 963, cc.�56v-�57v.

36� asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �76, ins.�6. Lettera di Francesco seratti al go-vernatore di Livorno, del 5 luglio �774.

363 asLi, Governo, copialettere 967, c.�95r, da una lettera dal governatore al conte alberti in data �9 settembre �774 dalla quale si desume la precedente comunicazione da Firenze.

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determinazione. Nel luglio del �777, pierallini si lamentò coll’audito-re fiscale di quanto le proprie attività e incombenze fossero divenute troppo gravose per una sola persona, rendendogli impossibile di vigilare e riferire a Firenze sugli oggetti di «polizia e di buon ordi-ne» pubblico, come gli era stato richiesto dal ministro fiorentino. al pierallini si opponevano anche vincoli formali per mettere in pratica quell’occhiuta vigilanza: tutto ciò che veniva sanzionato con pena «economica» o comunque di una certa gravità, anche per «altre ra-gioni politiche», spettava interamente al governatore ed alla sua sola cognizione. all’auditore, d’altro canto, restavano tutte le cause che richiedevano un’indagine formale, impegnandolo permanentemen-te «in casa o al tribunale nell’esame dei processi, in sessioni per le cause, nelle informazioni, carteggio ed altri negozi del Governo e del tribunale, ed in tutt’altro che richiede la spedizione de’ molti affari e l’amministrazione della giustizia»364. La difficoltà nel gestire tale mole di lavoro era una conseguenza inevitabile della molteplicità di affari dei quali si doveva occupare:

[L’auditore] egli è il solo giudice ordinario e camerale di Livorno, paese pieno d’affari al pari d’ogni altro di Toscana, che alle moltissime cause spettanti a dette due qualità si aggiungono spesso non poche fra ebrei e ebrei da decidersi da massari col suo voto. Che tolto il magistrato comunitativo, le di cui incumbenze non si estendono molto al di là dell’economico della Comunità e il magistrato de’ massari per le cause tra ebrei ed ebrei, tutto generalmente si porta avanti di lui senza eccettuare l’oggetto importantissimo della pubblica salute e gl’affari delle Decime e di sensali che un gran numero di suppliche gli vengono dirette per informazione ed ha un carteggio non poco esteso. a tutto ciò s’aggiunge che dal governatore, in vigore della facoltà che gli è stata data, è rimessa a lui la revisione ed approvazione delle stampe e l’intervento in sua vece alle adunanze in materia d’Inquisizione ed a tutte quelle della Comuni-tà, nelle quali si ricercherebbe la di lui presenza. Questi per verità non sarebbero articoli di molta conseguenza, benché non lascino anch’essi di occupare del tem-po, ma il più forte si è che l’auditore è in sostanza un consultore del Governo,

364 asLi, Governo, copialettere, 968, cc.n.n., pierallini all’auditore fiscale a Firenze, in data 30 luglio �777. In un altro documento del �7 dicembre successivo, diretto al conserva-tore delle leggi a Firenze, pierallini – già investito dell’incarico di pro-governatore – riferiva di dover far fronte a circa mille cause l’anno, la maggior parte delle quali rimaste pendenti per volontà degli stessi attori, anche per esser giunti ad accomodamenti extragiudiziali. In ta-le occasione, per altro, si chiedeva di esser dispensato dall’obbligo di dover allegare un elen-co di tutte le cause del triennio precedente, ottenendo l’assoluzione «dal sindacato potendo fondarsi sulla sola mancanza di ricorsi».

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onde piomba e si riposa sopra di lui tutto il carico delle rappresentanze, infor-mazioni e carteggio sopra tutte le cose concernenti il politico e l’economico e tutto si fa da lui come può riscontrarsi nella segreteria, ed il ministro di Firenze sa bene quanti e di quale importanza siano gl’affari relativi a’ citati due Diparti-menti in questo porto in ogni tempo, ed anche più nelle attuali circostanze. L’au-ditore pertanto non solo spera che questi riflessi gli serviranno di scusa quando non fosse rigidamente attaccato al sistema de’ giorni e dell’ore d’udienza, prote-standosi che ciò da altro non dipenderà che dagl’affari, ma sarà anche in grado di esporre umilmente che senza qualche aiuto la sua età e la sua complessione non possono permettergli di portare molto al lungo sì fatto peso365.

si respinsero anche le accuse di «letargo» che erano state mosse contro i ministri del tribunale criminale di Livorno, i quali, scriveva di suo pugno il Bourbon del monte, «esercitano i loro impieghi con la dovuta attenzione e puntualità», oltre che «pronti, e diligenti in tutti gli affari e cose economiche» comminategli. si deploravano i rimproveri e l’idea di rimuovere alcune delle persone impiegate in tali uffici. anzi, aggiungeva il governatore:

Le frequenti mutazioni non possono essere opportune in Livorno, ove prima di servir bene ogni ministro è in necessità d’impiegar non poco tempo a conoscere il molto di diverso da tutti gl’altri ha questo paese, onde cambiando frequente-mente i ministri gl’avrebbamo per lo più inesperti.

Diversamente, invece, quanto poi agli «esecutori», ai «birri» ed alle guardie, il del monte, su ciò in accordo col pierallini, esprimeva note di aperto sconforto. La polizia era in buono stato, e i crimini che si commettevano in città erano pochi rispetto alle sue dimensioni, ma non grazie alla diligenza e alla vigilanza delle squadre degli esecutori, che anzi brillavano per esser «trascurati e meritevoli di riprensione»366.

accogliendo in parte quanto segnalato dal pierallini, «ed avendo rilevata la difficoltà che si possano esattamente eseguire da un solo

365 pierallini inviò questa memoria il 4 settembre �778 al marchese della stufa al fine di illustrare l’insieme delle sue attività e poter fissare un regolamento e delle istruzioni di massi-ma per il tribunale del Governo di Livorno, in ibidem.

366 asLi, Governo, copialettere, 970, cc.�59r-v, il governatore Bourbon del monte all’auditore fiscale, in data 5 febbraio �779. elementi utili di raffronto, quanto agli orienta-menti leopoldini a riguardo della polizia, in C.manGio, La polizia toscana, cit., pp. 89-��0 e a.contini, La città regolata: polizia e amministrazione nella Firenze leopoldina (1777-1782), in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna, roma, ministero per i beni culturali e am-bientali-Ufficio centrale per i beni archivistici, �994, pp. 4�6-508. Interessante quanto avve-niva su questi temi in area italo-asburgica, ben esaminato in s.mori, La polizia fra opinione e amministrazione nel Regno lombardo-veneto, in «società e storia», �05 (�004), pp. 559-60�.

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soggetto» tutti i compiti assegnatigli, il granduca decise finalmente di intervenire in materia drastica con un apposito motuproprio, emana-to il �8 novembre del �780, con il quale divise l’impiego auditoriale in due incarichi separati, uno di auditore consultore del Governo e l’altro di auditore del tribunale. alla prima carica, per la quale si no-minò il pierallini367, si riservava, tra l’altro, l’esame di tutti gli affari di commercio, sanità, franchigia, neutralità e dei regolamenti del porto e della polizia, nonché di ogni altra questione governativa, ad esclusio-ne di quelle civili e criminali da sottoporre a giudizio. Di tutto doveva essere informato il governatore che avrebbe avuto l’ultima parola sul da farsi e sugli ordini conseguenti, senza il vincolo di seguire il parere dell’auditore consultore, a condizione però di renderne nota l’opinio-ne in caso di difformità. Da questo momento si trovano, infatti, molti rapporti ove il governatore e l’auditore consultore esponevano in condizione di quasi parità i propri differenti punti di vista all’atten-zione della segreteria di stato o dello stesso sovrano.

Quanto all’ufficio di auditore del tribunale, conferito a Bartolomeo martini già auditore dell’ufficio dei Fossi, si affidavano competenze in materia di contenziosi civili e criminali, ad unica eccezione di quelli in materia di neutralità, che restavano di esclusiva pertinenza dell’audito-re consultore, e di quelli non meritevoli di corso giudiziario e degli af-fari pettorali, rimasti in titolarità del cancelliere civile del tribunale368.

a questa prima disposizione se ne aggiunse una seconda, regolata dal motuproprio del �0 dicembre successivo e in base alla quale, oltre a fis-sare tutta una serie di precisazioni in merito ai compensi dei due nuovi ministri che sarebbero entrati in carica col primo gennaio del �78�369,

367 asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 805, «Uffizio dell’auditore consul-tore del Governo di Livorno», motuproprio granducale di nomina del pierallini alla carica predetta conformemente alle competenze indicate in altro motuproprio emanato nello stesso giorno, il �8 novembre �780.

368 asFI, Segreteria di Stato (1765-1808), �99, prot.48, ins. �3 e asFi, Segreteria di finan-ze (affari prima del 1788), 805, ins.«Disposizioni particolari», cc.n.n, estratto di motuproprio della regia segreteria di stato del �8 novembre �780 e ibidem, ins.«Uffizio dell’auditore del tribunale di Livorno», cc.n.n, motuproprio granducale del �8 novembre �780 per la nomina di Bartolomeo martini quale auditore del tribunale di Livorno. Il �8 dicembre si fissarono gli emolumenti previsti per i due incarichi, in asLi, Governo, copialettere, 97�, comunicazione al cancelliere Cioni, cc.��9v-�30v.

369 Così non fu, perché il martini rimase bloccato a pisa, ove svolgeva il suo precedente incarico, in attesa del suo successore. Il contrattempo creò qualche problema al pierallini, in quanto dal 3� dicembre erano cessate le sue competenze su tutti gli affari «contenziosi civili e camerali, e nelle cose criminali che esigono processo e risoluzione per il corso ordinario»,

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si estendevano ulteriormente i poteri dell’auditore consultore ai dan-ni del governatore. In particolare, si stabiliva:

• che spetti all’auditore del governo l’incumbenze di intervenire allo squittinio dei mezzani e di regolare la tassa dei medesimi

• che pure spetti all’auditore del governo la revisione delle stampe• che all’auditore del tribunale spetti la cognizione di tutti gli affari contenzio-

si camerali• che sia nella facoltà dell’auditore del governo l’accordare i salvacondotti ai

forestieri, sentito prima l’auditore del tribunale per assicurarsi che non vi siano istanze o ricorsi contro quello che lo domanda370

Non si può certo ancora parlare di esautorazione della figura go-vernatoriale, ma di certo molti degli aspetti più delicati del Governo di Livorno, anche di natura politica, passarono tra le competenze dell’auditore consultore, relegando la più alta carica ad un compito rappresentativo e senz’altro meno operativo di quanto non fosse stato in precedenza. La gestione dei tribunali occupava per altro uno spazio importante nell’attività quotidiana del Governo, sia in quanto conferiva un potere di controllo sociale, sia come mezzo di man-tenimento dell’ordine pubblico. Queste funzioni comprendevano l’autorità in materia di giurisdizione criminale in ogni tipo di pratica, ad unica esclusione della sanità e della Dogana. ed anche riguardo a quest’ultima, che pure dipendeva dall’amministrazione generale (cioè dall’appalto generale), data la grande influenza che poteva avere sul commercio, «il di cui buon stato è confidato principalmente al gover-natore, non possono perciò i ministri della medesima prendere delle resoluzioni in certe materie senza la partecipazione del Governo, specialmente in ciò che concerne i bastimenti stranieri ed i riguardi dovuti ai negozianti»37�.

In linea con l’intento di appropriarsi dell’esercizio della giustizia, Firenze tentò una riforma degli incarichi istituzionali a Livorno attra-

che sarebbero invece spettate all’auditore del tribunale. per evitare eccessive dilazioni, si provvide dunque a far spedire le cause dal cancelliere del tribunale civile, Cioni, al quale però il pierallini dovette comunque prestare tutta l’assistenza del caso. asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 3�3, prot.3, ins.37, lettera di pierallini al degli alberti, da Livorno, in data � gennaio �78�.

370 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 300, prot.53, ins.�6, motuproprio granducale datato �0 dicembre �780 ed inviato al pierallini il �� dicembre successivo.

37� asLi, Governo, copialettere, 959, c.34r-35v, «Dogana di Livorno: suoi rapporti col Governo».

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verso un meccanismo di integrazione formale degli uffici in un coe-rente organigramma giurisdizionale granducale, ma non si poté giun-gere ad una reale ristrutturazione amministrativa. Né si ottennero i risultati sperati avocando a livello centrale l’attribuzione degli incari-chi per gli uffici del Governo, che fino a quel momento erano rimasti affidati dall’insindacabile giudizio del governatore, considerato, non del tutto a torto, l’unico in grado di scegliere uomini di fiducia adatti ad esercitare i compiti richiesti, specialmente quanto alla loro incor-ruttibilità rispetto ai mille interessi in gioco. alle rilevanti decurtazio-ni retributive succedutesi nella seconda metà degli anni Ottanta37�, conseguì una pericolosa deprofessionalizzazione degli impiegati, lamentata in più occasioni anche dallo stesso pierallini. D’altro canto, a seguito delle innumerevoli disposizioni tese ad eliminare tutte le forme di retribuzione che non fossero stabilite ed erogate da Firenze, si assistette all’aumento esponenziale dell’assenteismo, nel tentativo di integrare in altri modi il magro stipendio statale. anche la modifi-ca della titolarità delle nomine dei funzionari subalterni del Governo (coadiutori, sottocancellieri e messi cavallari), prima di competenza del governatore e ora invece riservate all’autorità centrale, non mancò di suscitare accese rimostranze da parte del governatore, come anche dei ministri a livello locale, perché si violavano i patti di reciproca collaborazione tra centro e periferia che avevano costituito la spina dorsale del potere statale di età medicea373.

alla morte del Bourbon del monte, il �9 ottobre �780, si chiuse uno dei governatorati più lunghi del secolo e meno graditi al trono. per dirimere le questioni relative alla cerimonia per le esequie del defunto governatore, causa peraltro di non pochi problemi374, e

37� Interessante al proposito lo specchietto riepilogativo relativo alle retribuzioni perce-pite dai funzionari del Governo di Livorno nel �790, con un confronto rispetto all’anno pre-cedente e la constatazione di una generale diminuzione degli emolumenti, in asLi, Governo, copialettere, 98�, cc.�8r-�0r, al senatore serristori, li �� gennaio �79�.

373 asLi, Governo, copialettere, 967, cc.�09r-��0v, li �5 novembre �774, al conte alberti.374 L’ultima comunicazione del Bourbon del monte fu redatta il �7 ottobre, il �8 il go-

vernatore soffrì di «un colpo d’apoplessia» a seguito della quale perdette l’uso della parte destra del corpo, per poi spirare il giorno successivo. Ne dette notizia Filippo Cioni, cancel-liere e proauditore interino in assenza del pierallini, che si trovava a Firenze. per maggiori dettagli sul decesso, sulla cerimonia funebre e sul monumento onorario eretto a memoria del Bourbon del monte, si vedano le lettere di Filippo Cioni al conte degli alberti in data �8 e �9 ottobre �780, in asLi, Governo, copialettere, 97�, cc.93v, 94r; la «relazione degl’onori militari che furono resi a sua eccellenza il signor tenente maresciallo marchese Filippo Bourbon del monte, governatore della piazza, città e porto di Livorno e generale coman-

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per la gestione degli affari di ordinaria amministrazione, si incaricò pierallini, in qualità di pro-governatore, di tutte le competenze rela-tive al governo civile, e rambaldo strasoldo di Villanova, colonnello del reggimento toscano di stanza in città, per tutto ciò che avesse a che fare col militare; nei casi di emergenza cittadina o di tutela del-l’ordine pubblico il controllo delle forze di terra e di mare spettava comunque al pierallini375. si palesò immediatamente a Firenze la dif-ficoltà di nominare un successore idoneo e di provvedere alle misure necessarie per modificare ciò che non si era potuto durante il go-vernatorato precedente. si voleva dotare il nuovo governatore delle opportune istruzioni per farne un servitore più efficace e soprattutto meno indipendente.

Il periodo di vacanza si dilatò per oltre un anno testimoniando la difficoltà di designare un soggetto che fosse adatto. Infine si optò per Federigo Barbolani dei conti da montauto, cavaliere stefaniano376 e, all’epoca, soprintendente del patrimonio ex-gesuitico del granducato. Barbolani fu nominato ufficialmente il �� gennaio �78�377. Il segreta-

dante delle truppe di sua altezza reale», in ibidem, cc.95v-98r. Il 9 aprile �78� il granduca concesse grazia agli eredi del governatore di erigere un busto in sua memoria presso la Col-legiata di Livorno, lettera al governatore seratti ed agli operai del duomo, in ibidem, 97�, c.68v. su questi aspetti, si veda anche il recente s.BrUni, Il monumento onorario di Filippo Bourbon del Monte. Qualche considerazione a margine di un monumento scomparso, in Duo-mo di Livorno, cit., pp. 6�-68.

375 Quest’aspetto era una novità e rappresentò un bell’aggravio per il pierallini. Il suo predecessore Franceschini, nel periodo di pro-governatorato successivo alla morte del Gi-nori e precedente alla nomina del Bourbon del monte, non aveva avuto tali soprintendenze che erano infatti rimaste al colonnello Gondrecour, comandante militare, e al commendato-re Laparelli, capitano della Bocca del porto. Franceschini aveva inoltre potuto contare sulla collaborazione dell’allora cancelliere pierallini dedito al carteggio col ministero di Firenze quanto agli affari politici ed economici della città. Tutto in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 338, p. ��, ins.93.

376 Federigo dei conti Barbolani da montauto, figlio di Francesco maria, vestì per grazia granducale in età adulta, il �3 maggio �778 come collatario del baliato di pietrasanta. Fu il cavaliere Giovanni ricasoli, priore di Firenze, a prestare al granmaestro, in esecuzione della delibera granducale del �5 aprile �778 e su incarico del consiglio dei Dodici, il processetto nel quale si raccoglievano le prove di legittimità, vita, costumi e sostanze del senatore Fede-rigo. Un motuproprio sovrano del 6 aprile seguente accordò al Barbolani la grazia di vestir l’abito stefaniano. si esibirono: la fede di nascita del comparente avvenuta il �9 giugno �74�, le fedi di matrimonio del padre Francesco del cavaliere conte Ulisse con la madre Clarice Violante del cavaliere conte Francesco maria ricoveri, ed infine la fede d’estimo dalla quale risultava che il Barbolani possedeva un patrimonio pari a 7�40 fiorini ed altre numerose pro-prietà. Tutto in aspi, Ordine di Santo Stefano, 388, ins.9.

377 L’incarico della soprintendenza fu trasferito ad altro soggetto a seguito della «pro-mozione» del Barbolani a governatore, lettera di pietro Leopoldo al consigliere di stato serristori, li 9 marzo �78�, asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 338, prot.��, n.�0. Il motu-

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rio di stato seratti, che doveva aver avuto un ruolo determinante in quella scelta378, chiese a pierallini di stilare un dettagliato rapporto sulle vigenti competenze del governatore militare e civile di Livor-no. prima di intervenire con qualsiasi cambiamento, era necessario conoscere l’esistente, non foss’altro che per non turbare il quanto mai sensibile sistema di equilibri tra tutte le diverse «autorità» presenti a Livorno. risultò subito complicato avere un quadro preciso, in assen-za di un documento di sintesi, quanto ai poteri che erano stati eserci-tati dal Bourbon del monte. alla fine seratti riuscì a ricomporre un rapporto lucidissimo su quali fossero le attività e i compiti dei ministri componenti il Governo di Livorno e cioè di governatore, auditore e, con un ruolo assai inferiore, del capitano della Bocca del porto. Dalle annotazioni serattiane emerge allora un ritratto solitario del governato-re, ancora saldamente al vertice del comando militare, politico, ed eco-nomico della città, con il controllo assoluto su polizia, sanità, ordine pubblico e su tutto ciò che aveva a che fare con la navigazione, il porto e il commercio, ma con oramai ridotte prerogative nell’applicazione della giustizia, passata pressoché in toto all’auditore salvo qualche ri-serva eccezionale. appariva quasi del tutto esautorato anche rispetto all’amministrazione finanziaria cittadina, poiché il granduca aveva conferito una «molto maggior libertà» alle Comunità e «in nulla di più si esigerà la vigilanza del governatore, se non che in provvedere che non manchino i fondi ed i soccorsi che interessano la pietà pubblica». Infine, seratti lo segnalava in maniera inequivocabile, il governatore restava indipendente da tutti i tribunali fiorentini e riceveva ordini esclusivamente dal sovrano379.

Barbolani giunse in città il �4 gennaio �78� per prender visione del proprio alloggio, ma si trattenne solo un giorno e ripartì l’indomani

proprio di nomina a «governatore civile e militare della città, porto e capitanato di Livorno e comandante del littorale con tutti gli onori, prerogative, facoltà e obblighi e presi annessi al medesimo», si trova in ibidem, 336, prot.3, ins.44, dato il �� gennaio �78�.

378 parrebbe attestarlo una criptica lettera inviata dal Barbolani al seratti in data non sospetta, il �7 aprile �74�, nella quale si fa riferimento ad una precedente conversazione tra i due ed alla possibilità di veder realizzato un progetto di promozione per il Barbolani: «Che però senza pretendere e senza domandare una spontanea propensione la prego unicamente del suo favore quando l’occasione si porgesse, e che ella credesse che io fossi per rendermi veramente utile nel servizio. Le mie abituali incumbenze sono molto bene introdotte, e mol-to onore potrebbe farci che vi subentrasse», in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 336, prot.3, ins.44. L’epistola è significativamente conservata in un fascicolo del �78� insieme al giuramento del Barbolani quale governatore di Livorno.

379 asFi, Reggenza, 780, ins.55, cc.�6�7r-�6�9v, testo riportato in appendice.

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per Firenze380. Non prese servizio se non il �3 marzo successivo. Il �6 gennaio, l’auditore pierallini riceveva in tutta fretta una lettera dall’al-larmato seratti, il quale, rispondendo alla richiesta di istruzioni del Barbolani che a tal fine aveva sollecitato addirittura il granduca38�, metteva subito ben in chiaro la difficoltà nella quale ci si trovava. si affidava perciò all’auditore il compito di risolvere la situazione:

Non sono adattabili quelle date al fu governatore Ginori, non furono date nel-l’elezione del fu governatore del monte. Le diverse particolari istruzioni tanto civili che militari si trovano sparse, e divise nei due archivi della segreteria di stato e di guerra per il frequente passaggio che hanno fatto gli affari di Livorno da un Dipartimento all’altro, onde potrà esser più facile il compilare e proporre tali istruzioni quali convenghino alle presenti circostanze. sono incaricato di dare a Vostra eccellenza questa commissione quale è certo che ella adempirà con la solita sua abilità e prontezza38�.

Il pierallini corrispose puntualmente alle aspettative e nel giro di pochi giorni presentò un «progetto delle istruzioni» per il nuovo go-vernatore. Non proponeva niente quanto al governo civile, per il qua-le rimandava alle recenti disposizioni introdotte nel �746 per Ginori, nel �774 per il del monte ed agli altri ordini veglianti. rispetto al go-verno militare ed al comando del litorale, faceva invece anzitutto pre-sente di non essere esperto in materia (ma del resto, si osservava, non lo era neanche il montauto) e quindi chiedeva alla segreteria di stato di verificare bene quanto avanzato vagliando e approfondendo quegli aspetti lasciati solo abbozzati per mancanza di adeguate conoscenze.

380 asFi, Reggenza, �033, cc.nn., lettera dell’auditore pierallini al conte degli alberti, Livorno, �5 gennaio �78�.

38� Lettera di Federigo Barbolani da montauto al granduca pietro Leopoldo, s.d. ma del �78�, nella quale chiede le istruzioni per l’incarico di governatore: «altezza reale, il desiderio di corrispondere più che mi sia possibile alle clementissime vedute della real altezza Vostra nell’avermi destinato al Governo civile, e militare di Livorno mi pone nella necessità di ricor-rere alla real altezza Vostra per domandarle quelle istruzioni che ella crederà a proposito di darmi in questo mio nuovo impiego. sebbene io sia persuaso che la prima istruzione sia la fedeltà, il zelo per il suo reale servizio, non ostante, essendo la mia carica complicata con rapporti a differenti dipartimenti di milizia, marina, etc bramerei di avere quelle massime generali secondo le quali io deva formare il mio sistema, non avendo cosa alcuna in maggiore aversione quanto quella di trovarmi in disputa o per l’autorità, o per le cognizioni dei ne-gozi, o per la dignità, o per altri motivi frivoli che a me punto interessano ma che ritardano sempre il servizio sovrano e cagionano delle noie alla real altezza Vostra. In tal stato di core, supplico la real altezza Vostra acciò voglia ordinare che presi in considerazione questi appunti mi vengano date quelle istruzioni o massime che mi guidino al servizio esatto della real altezza Vostra», asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 336, prot.3, ins.44, cc.n.n,

38� Ibidem, seratti all’auditore di Livorno pierallini, da Firenze, il �6 gennaio �78�.

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Nel compendio delle istruzioni preparato dal pierallini si precisava che erano sotto la diretta e assoluta dipendenza del governatore tutti i castellani e capiposti del litorale, le truppe impiegate nella guarnigione della piazza e gli uomini arruolati in casi eccezionali, compresi gli ufficiali; i comandanti di tutti i corpi della guarnigione, del forte dei cavalleggeri e della marina da guerra che dovevano presentargli quotidianamente un rendiconto, sottoponendosi setti-manalmente a rapporto; il governatore poteva richiedere l’invio di distaccamenti aggiuntivi creduti necessari per ogni evenienza, anche in occasione di spettacoli teatrali o di altra funzione sacra o profana; assoluta obbedienza gli era dovuta per tutto ciò che concerneva «la custodia e difesa del littorale, e la pubblica salute»383. Il «progetto» si trasformò nel documento d’istruzioni definitivo e fu trasmesso al Barbolani il �� marzo �78�.

La cerimonia di assunzione dell’incarico del Barbolani fu diversa da quelle passate perchè a questo governatore fu affidato oltre al go-verno civile, come a Ginori, e al militare, come al del monte, anche il comando sul littorale, che il del monte aveva ottenuto solo in un secondo momento. La cerimonia si tenne la mattina del �� marzo al cospetto di un battaglione del reggimento e di un distaccamento di cavalleggieri schierati sulla piazza d’arme, mentre tutti gli ufficiali della guarnigione e della marina da guerra non impiegati in servi-zio si presentarono per «darli il comando»384. Il Barbolani passò in rassegna le truppe, poi si recò al duomo per celebrare il Te Deum e infine prestò solenne giuramento di «esercitare con tutta l’attenzione, fedeltà e zelo» il suo impiego, promuovendo il «buon servizio» del sovrano e «il bene dei suoi sudditi»385.

Il governatorato del Barbolani da montauto fu relativamente breve e non lasciò tracce rilevanti del proprio passaggio. Tra le sue iniziati-ve più significative, si ricordano l’attenzione mostrata per gli istituti

383 asLi, Governo, copialettere, 973, cc.�8v-�0r, «Instruzioni concernenti il Governo di Livorno», inviate al degli alberti con una breve lettera di accompagnamento e con alcune osservazioni a margine il 4 febbraio �78�.

384 asFi, Segreteria e ministero degli esteri, 937, ins.�0, cc.n.n., «relazione delle funzioni che furono eseguite nel possesso preso del governo di Livorno dai governatori Ginori, Bour-bon del monte e da montauto», a cura del capitano Gherardo maffei del giugno �789.

385 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 336, prot.3, ins.44, cc.n.n., giuramento del governatore Federigo Barbolani dei conti da montauto nelle mani del ministro alberti, il �� marzo �78�.

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d’assistenza386, un progetto per un trattato di pace con algeri387, un altro per un editto generale al fine di implementare le misure a garanzia della nettezza urbana in città, poi approvato dal sovrano388, oltre ad un accurato studio – condotto insieme a pierallini e ad altri collaboratori – per la messa a punto dei regolamenti definitivi per i tre lazzaretti e per il neoistituito dipartimento di sanità, che sostituì la precedente deputazione in conformità al motuproprio del �5 luglio �785389. Quest’ultima riforma, voluta da pietro Leopoldo nel quadro di una più ampia opera di ristrutturazione di questi uffici e precedu-ta dall’abolizione del magistrato di sanità fiorentino con editto del febbraio �778, fu assai rilevante non solo per l’importanza strategica rivestita da quest’ufficio a Livorno e nell’intero granducato, ma an-che perché confermò la disposizione già introdotta dal motuproprio del �3 marzo del �767 con la quale si era posta sotto la tutela gover-natoriale la salute pubblica di tutto il litorale toscano390. risultava ac-centuata la centralizzazione della soprintendenza di tutti gli affari di sanità marittima e locale sul governatore labronico, nominato presi-

386 Un interessante memoriale del Barbolani al degli alberti, in merito all’affare dello spedale della misericordia e di san ranieri, con molte considerazioni sulle riforme adottate in merito ai conventi ed alla loro soppressione, del �� aprile �78�, in asLi, Governo, copia-lettere, 973, cc.75r-77v. Numerose altre lettere sullo spedale delle donne inferme, in ibidem, cc.90r-v, al degl’alberti, del 3 maggio �78�, altra al consigliere schmidveiller ed al granduca, del 30 settembre �78�, ibidem, cc.303r-304r e a cc.304r-305v del pierallini al mormorai, stessa data; altra in ibidem, 975, cc.67v-70v al granduca, in data �0 marzo �784.

387 asLi, Governo, copialettere, 973, cc.�0�r-���r, in data �3 maggio �78�, al marchese della stufa.

388 asLi, Governo, copialettere, 975, cc.76r-89r, in data �7 marzo �784, al seratti. si prendeva spunto da un motuproprio del �4 febbraio �783 nel quale si davano i regolamenti per la pulizia e buon ordine della città, terre e castelli di pisa, e visto che «ha voluto [il gran-duca] che per la città di Livorno, suo porto, darsena e fossi stiano fermi gl’ordini attualmen-te veglianti, e che questi sono stati promulgati sparsamente in diversi tempi, né tutti gl’hanno presenti, onde non sono osservati come conviene, e come si vuole che succeda in avvenire», il governatore stimava perciò opportuno riunirli in un solo editto, ripubblicandoli con alcu-ne aggiunte necessarie, «perché nessuno possa allegarne ignoranza».

389 asLi, Governo, copialettere, 976, cc.�4�r-�43v, fascicolo inviato al seratti, dal Go-verno di Livorno, il �3 giugno �785. I regolamenti definitivi per gli ufficiali del dipartimen-to di sanità, motuproprio di soppressione della deputazione, editto generale sui lazzeretti e istruzioni generali e nuovi ordini, pubblicati il �5 luglio �785, furono trasmessi dal gover-natore il �6 agosto �785, v. ibidem, cc.�8�v-�83v. altra con riferimento a quanto sopra, in asLi, Governo, copialettere, 977, cc.�39v-�4�r, in data 9 agosto �786 del governatore al seratti.

390 p.castiGnoli, Strutture sanitarie a Livorno e Trieste: soluzioni e schemi comuni nel-l’età di Maria Teresa, in id., Livorno dagli archivi alla città, cit., p. �0� e, in prima edizione, in «Quaderni stefaniani», 5 (�986), pp. 87-94.

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dente del dipartimento e coadiuvato dall’auditore consultore soltanto per i casi più importanti39�.

L’atteggiamento del Barbolani fu radicalmente differente da quello del suo predecessore. Lo si può, ad esempio, apprezzare in occasione della entrata in vigore, anche a Livorno, di un regolamento sui gior-ni festivi emanato il �7 aprile �78� in base al quale si prevedeva la chiusura obbligatoria degli esercizi commerciali. Tale disposizione era già stata inoltrata da Firenze nel �767, ma a seguito delle istanze del Bourbon del monte il ministro rosenberg aveva stabilito che «la legge non si pubblicasse in Livorno, ma si riguardasse come non rice-vuta».

al Barbolani, indubbiamente, non sfuggivano certo le peculiarità storiche che rendevano «speciale» il regime della città, come egli stesso ribadì:

Le circostanze di questo paese molto diverse da quelle degl’altri richiedono del-le disposizioni speciali e non è sempre praticabile qui tutto ciò che può farsi nel restante dello stato, e questa è la ragione per cui o non si comprendeva Livorno nelle leggi generali, o queste si dirigevano in addietro al governatore perché prima di pubblicarle potesse rappresentare se vi fosse implicanza col sistema di questo porto.

sostenne pertanto l’opportunità di introdurre qualche correttivo al motuproprio per consentire ai negozianti ebrei e a chi svolgeva mestieri di «precisa necessità» di poter esercitare anche nei giorni di festa cattolica (come nel caso dei calafati, dei barchettaioli e facchini addetti al trasporto di mercanzie, o dediti a altre attività utili alla navigazione; alla vendita minuta di vestiario necessaria ai marinai di passaggio dal porto, oltre ai servizi volti a garantire la pulizia della città). per maggior esattezza, il governatore si oppose alla mera disap-plicazione della legge o ad una generica tolleranza, come era invalso

39� In un interessante «progetto di un regolamento del porto, sanità in portoferraio», in-viato alla segreteria di stato e al governatore di portoferraio, l’auditore consultore illustrava le ragioni che avevano portato a quella riforma e all’abolizione del precedente sistema sanita-rio affidato alla cessata deputazione di sanità: «è stato trovato difettoso il sistema di affidare la direzione delle cose di sanità a magistrati o collegi composti di diverse persone e sono stati aboliti quelli che esistevano e principalmente il magistrato degli uffiziali di sanità di Firenze e la deputazione di Livorno, che erano i più importanti. In luogo del primo si è surrogato in Firenze un solo ministro soprintendente a tutti gli affari di sanità, ed in luogo della seconda è surrogato il solo governatore di Livorno col titolo di presidente di sanità, ordinandoli di ri-cercare solamente ne’ casi più importanti il sentimento del consultore del governo», in asLi, Governo, copialettere, 978, cc.�73v-�0�r, databile �� settembre �787.

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fino ad allora in nome di una perseguita elasticità discrezionale nel-l’attuazione delle norme. Chiese invece di inserire un apposito editto ufficiale ove chiarire bene il lecito ed il proibito:

mentre sua altezza reale stimasse a proposito ridurre a questi termini il regola-mento delle feste in Livorno, mi parrebbe bene dichiararlo con una spiegazione al motuproprio piuttosto che prendere la strada della tolleranza, quale servireb-be di scusa a chi trasgredisse anche a quelle proibizioni che è conveniente di tener ferme, e proporrei la pubblicazione dell’annesso editto39�.

Barbolani dimostrò di saper accettare un drastico ridimensiona-mento del ruolo istituzionale del governatore. pur non tralasciando di far sempre presente alla segreteria di stato l’opportunità di modu-lare la legislazione granducale con modifiche e correzioni ritenute ne-cessarie alla peculiare condizione di Livorno393, Barbolani – in buona parte anche per il suo carattere senz’altro più remissivo rispetto al piglio bourboniano – non offrì troppa resistenza di fronte all’inva-denza dell’auditore consultore, ufficio ancora coperto dal pierallini, con l’evidente appoggio di Firenze. Un episodio emblematico in tal senso avvenne tra dicembre �78� e gennaio �783 quando, su invito del seratti, pierallini predispose il trasloco di tutti i registri contenen-ti gli affari del Governo presso una stanza attigua al proprio apparta-mento, facendone una propria «privativa» e rendendo estremamente complicato per il governatore provvedere alla consultazione di quella documentazione, essenziale per «istruirsi nelli affari del Governo» e decidere sul da farsi. Il Barbolani si oppose inutilmente all’iniziativa,

39� asLi, Governo, copialettere, 973, cc.��4v-��6r, il governatore Barbolani al segretario Francesco seratti, in data �9 giugno �78�. analoghe difficoltà e conseguenti modifiche a motupropri granducali si presentarono anche in seguito su materie affini, come per i rego-lamenti sugli orari di apertura e chiusura di «osterie e bettole» e per i quali fu necessario introdurre editti ad hoc per Livorno in variazione di quanto vigente nel resto del granducato, ibidem, 977, cc.�r-3v, comunicazione del � gennaio �786 dal Governo di Livorno al seratti in merito al motuproprio del �� dicembre precedente.

393 Così, ad esempio, il governatore Barbolani ottenne dal granduca l’avallo di una no-tificazione governatoriale che interveniva a parziale variazione e sospensione dell’entrata in vigore del motuproprio del �� dicembre �785 relativo agli orari da rispettarsi dalle osterie ed altri esercizi simili, nel quale concedeva orari assai più ampi nella città labronica. In asFi, Segreteria di Stato, 460 (�786), prot.�, ins.3�, lettera spedita dalla segreteria di stato al governatore di Livorno in data 4 gennaio �786. In una precedente comunicazione, datata � gennaio �786, Federigo da montauto rammentava al seratti come anche l’altrimenti prevista abolizione delle tasse per l’apertura di nuove osterie, bettole e taverne a Livorno non fosse mai entrata in vigore, né fosse opportuno introdurla, forse per non perdere gli utili prove-nienti da una voce di cassa così rilevante, in asLi, Governo, copialettere, 977, cc.�r-3v.

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esponendo al seratti la propria condizione che ci appare estrema-mente eloquente su quanto poco ormai fosse rimasto dell’antica au-torità governatoriale:

sebbene da molto tempo in qua io abbia argomentato dai fatti e dalle parole che il signor auditore desideri di far vedere in tutte le occasioni d’esser quello da cui tutto dipenda, «che egli regola tutti gli affari», che ha la confidenza esclusiva del sovrano e dei ministri, che tutte le persone si dirigono al medesimo per ottenere gl’ordini che ricercano, onde alle volte io non sappia tutto quello che si passa. Nonostante rilevando dalle istruzioni del �8 novembre �780 date al governatore e all’auditore consultore che al primo è riservata quasi la sola firma dei negozi, e vedendo dall’altra parte con quanto zelo ed intelligenza serva sua altezza reale, mi sono fatto un costante dovere di sacrificare il mio amor proprio a favore di quello d’un ministro onesto, e benemerito, stato già pro-governatore, godendo intanto dentro di me della memoria d’aver data ancor io qualche volta in passato qualche dimostrazione di zelo e capacità quando servivo indipendentemente in qualche dipartimento394.

La debolezza che contraddistinse questo governatorato condusse ad un indubbio esautoramento della carica, traducendosi nell’abitu-dine sempre più spesso rinnovata dei dicasteri fiorentini, e in partico-lare dell’auditore fiscale395, di inoltrare le proprie direttive solamente agli auditori del Governo labronico e da questi applicate con effetto immediato senza alcun coinvolgimento del governatore. addirittura un accordo ove si regolava con Genova il diritto di estradizione dei delinquenti rifugiatisi a bordo di imbarcazioni e navigli presenti a Livorno fu concluso e inviato dall’auditore fiscale all’auditore del tri-

394 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 365, prot.3, ins.58, Federigo Barbolani da mon-tauto a Francesco seratti, Livorno, 8 gennaio �783.

395 La carica di auditore fiscale di Firenze, svolta dal �75� al �784 (anno della sop-pressione) da Giovanni Domenico Brichieri Colombi, rappresentava il vertice indiscusso dell’apparato repressivo del granducato, con ampi poteri sul giudiziario in qualità di «capo supremo» di tutti i tribunali granducali e sulla polizia, ad unica eccezione del rispetto delle giurisdizioni del tribunale senese e, appunto, del governatore di Livorno. Tale disposizione era stata prevista anche nelle già viste istruzioni segrete date al Bourbon del monte il �6 aprile del �774, come ricordava anche Barbolani, nelle quali si indicava «con tutta chiarezza che nelle cose governative e negli affari straordinari che dipendono dalla volontà di sua al-tezza reale, [il governatore] non deva attendere altri ordini che quelli provenienti dalla reale segreteria di stato senza che possa mescolarvisi l’auditore fiscale, né verun altro magistrato o tribunale di Firenze» (in asLi, Governo, copialettere, 974, cc.84v-85r, comunicazione del �6 aprile �783 dal governatore al segretario della consulta della stufa). essenziali notizie sull’auditore fiscale, in C.manGio, La polizia toscana, cit., pp. �5, e e.fasano GUarini, Considerazioni su giustizia, stato e società nel Ducato di Toscana del Cinquecento, Firenze, La Nuova Italia, �980, p. �4�.

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bunale, e fu persino pubblicato ed affisso all’insaputa del Barbolani. Né a molto servirono le timide rimostranze del governatore, il quale ricordò al conte Vincenzio degli alberti il rispetto dell’antico sistema in uso presso il Governo labronico che prevedeva cioé: «o di dirigersi qualunque editto al governatore, o che almeno nelle cose camerali il giudice di quel dipartimento non possa pubblicargli senza prima partecipargli al governatore, quale abbia la facoltà di sospenderne la pubblicazione» per poterne valutare gli effetti e rappresentarne le eventuali difficoltà, come sancito da disposizioni sovrane del �6 set-tembre �758 e ancora vigenti, nonostante «in oggi si trascura affatto dopo il nuovo sistema introdotto l’anno �77�; il che può avere delle non buone conseguenze»396.

Il plurisecolare conflitto di competenze che percorre la storia del Governo di Livorno non trovò soluzione nemmeno con le importanti riforme del �784. La prima, del �� aprile, con la quale pietro Leopol-do, dopo aver stabilito un nuovo regolamento in merito al «numero, le condizioni e gli assegnamenti di tutti gli impiegati» granducali, in-cluso di quelli del Governo di Livorno397, riordinò il sistema repres-

396 asLi, Governo, copialettere, 974, cc.�45v-�46r, il Barbolani al degli alberti, da Livorno, il �8 luglio �783. Questa protesta giungeva a seguito di un’altra, del precedente 7 luglio, in ivi, cc.�38v-�39r. Il contenuto della convenzione era estremamente sensibile, perché stabiliva la reciproca restituzione dei delinquenti tra Genova e il granducato toscano, introducendo un sistema nuovo quanto all’arresto dei ricercati trovati a bordo dei bastimenti toscani o genovesi, ovvero prevedendo l’obbligo non solo dell’avviso, come d’uso, ma anche dell’assenso del console di pertinenza o, in sua assenza, del padrone dell’imbarcazione. Tale modifica introduceva il rischio che il console, ma soprattutto il proprietario dello scafo, non volessero dare il proprio assenso, magari sollecitati da un pingue compenso in denaro loro erogato dal delinquente. L’uso consuetudinario prevedeva invece di inoltrare un «semplice avviso» al console al solo scopo di consentirgli di togliere la bandiera e impedire la resistenza dell’equipaggio durante l’arresto. La pubblicazione della convenzione avrebbe potuto solle-citare la richiesta d’applicazione della norma anche da parte di tutti gli altri consoli, «quali sempre hanno ripugnato a questo atto di giurisdizione che il Governo ha sempre voluto sostenere». Quanto poi ad un’applicazione estesa della detta regola, era senz’altro da esclu-dersi, in quanto avrebbe esposto al rischio di far nascere infinite querele presso le varie corti europee, soprattutto qualora un console avesse rifiutato il proprio assenso all’arresto di un delinquente e il Governo di Livorno si fosse trovato nella necessità di eseguirlo ugualmente ricorrendo al braccio militare, come talvolta era già occorso in passato. Il Barbolani aveva perciò escluso non solo ogni forma di pubblicità a detta convenzione, ma addirittura una riformulazione più adeguata del testo aprendo un nuovo negoziato con Genova. Le racco-mandazioni del governatore non ebbero ascolto, e la convenzione fu pubblicata a Livorno, Firenze ed in altre località del granducato.

397 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 39�, prot.�3, ins.�4, il seratti dalla segreteria di stato al governatore Barbolani, il 5 aprile �784. si abolirono tutti i munuscoli ed emolumenti non previsti nell’enunciato «ruolo», insieme a pensioni, provvisioni ed altri compensi non

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sivo toscano abolendo la carica di auditore fiscale ed istituendo in sua vece il presidente del supremo tribunale di giustizia e il presidente del Buon Governo. Quest’ultimo, da allora in avanti, sarebbe stato il nuovo rivale del governatore di Livorno398. Uno scontro con il Bar-bolani si aprì infatti subito sulla giurisdizione del Bagno dei forzati che era stato, al pari di tutti gli altri istituti di correzione, conferito dall’editto all’autorità del Buon Governo. a seguito delle rimostranze del governatore labronico, la segreteria di stato concesse di riportarlo sotto la sua autorità399, ma si trattò di una temporanea soddisfazione perché la stessa segreteria, pochi anni dopo, conferì definitivamente la soprintendenza dei Bagni alla presidenza del Buon Governo400. La seconda novità, del �� giugno �784, fu l’introduzione di una di-versa delimitazione dei vicariati e delle potesterie di provincia che

esplicitamente indicati in una dettagliata tabella. per il governatore era previsto un com-penso pari a �0.000 lire, oltre all’uso del quartiere di sua residenza e di una scuderia. Il � gennaio �79� vi fu un primo aumento a �8.000 lire di annua provvisione, in vista delle «cir-costanze del Governo di Livorno, che pongono il governatore nell’indispensabile necessità di frequenti dispendiosi trattamenti di tavola e conversazioni», in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 59�, prot.�, ins.30. si noti che, sempre nel �79�, l’ammontare del compenso annuo del governatore di siena ammontava invece soltanto a �6.000 lire, in ibidem, ins.69 rapporto in merito agli aumenti a Livorno ed a siena del consiglio di stato, finanze e guerra composto da antonio serristori, Luigi di schmidveiller e Bartolomeo martini, al granduca, del 3� dicembre �79�.

398 per un’analisi approfondita di questo bando, si rimanda a C.manGio, La polizia to-scana, cit., pp. 59-6�, con la trascrizione del testo alle pp. ��4-��7.

399 «sua altezza reale, nonostante il prescritto nel motuproprio del �� passato aprile, ordina che staccato il Bagno dei forzati di Livorno dalla soprintendenza di presidenza del Buon Governo, sia posto sotto l’immediata giurisdizione del governatore pro tempore di quella città e porto a forma del regolamento de’ �9 settembre �78�. Dato li �8 maggio �784», in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 39�, prot.�4, ins.44.

400 asLi, Governo, copialettere, 975, cc.�36r-v, Barbolani al degli alberti, il �4 maggio �784. Il caso era esploso a seguito dell’ordine dato dal presidente del Buon Governo l’�� maggio che spettava all’auditore vicario del tribunale il presiedere il Bagno dei forzati di Livorno, nonché vigilare sulla loro custodia e disciplina. Il governatore replicò: «Veramente mi ha sorpreso quest’ordine quale non mi è stato comunicato da alcuna parte, e che è di-rettamente contrario al sistema stabilito fino dal �750, per questo Governo, e confermato recentemente dal motuproprio e regolamento del �9 settembre �78�, ove all’articolo �0 son posti nelle dipendenza del governatore tutti quegl’oggetti de’ quali parla la lettera del signor presidente del Buon Governo». si precisava per altro che la detta novità avrebbe creato non pochi disguidi, visto che contrariamente al governatore, difficilmente l’auditore vicario avrebbe saputo a quali lavori destinare i forzati, ricorrendo poi continuamente al militare per la loro custodia e creando un continuo «giro d’istanze e richieste» in tal senso al governatore stesso, a tutto discapito dell’efficienza. La soprintendenza del Bagno dei forzati di Livorno tornò alla presidenza del Buon Governo nel �789 come comunicato nella lettera del �3 otto-bre �789 di antonio serristori, dalla segreteria del consiglio di stato e di finanze, al governa-tore di Livorno, in asLi, Governo, lettere civili, 39, cc.�83r-v.

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si andò a sommare agli effetti della già vista legge del 30 settembre �77�40�.

Gli ultimi anni del governatorato Barbolani trascorsero dunque all’insegna dei conflitti istituzionali, fino alla di lui morte, avvenuta il �0 novembre �788 dopo «lunga e tormentosa malattia»40�. In attesa della nomina del successore, si incaricarono come ormai di consueto l’auditore consultore pierallini, in qualità di pro-governatore (e che aveva di fatto esercitato le funzioni governatoriali almeno a partire dai primi di febbraio di quell’anno a causa dell’indisposizione del Barbolani)403, per il governo civile della città, e il colonnello strasol-do per gli aspetti di natura militare, ferma la dipendenza di quest’ul-timo dal pro-governatore per tutto ciò che concernesse al civile e così pure dei comandanti di torri e porti del litorale in merito ad aspetti relativi alla neutralità ed alla sanità404.

Il pro-governatore ricevette solo alla fine di aprile �789 la comuni-cazione della nomina del nuovo governatore, già ufficiale in realtà fin dal 6 del mese, nella persona del cavaliere Francesco seratti. Costui prese possesso dell’incarico il 30 giugno successivo, iniziando il go-verno della città il primo luglio �789405.

40� Bandi e ordini, cit., vol.��, n°XXXV, Legge del �� giugno �784.40� asFi, Segreteria di Stato Stato (1765-1808), 5�9, prot.�6, ins.56, lettera dell’auditore

pierallini al consigliere di stato Francesco seratti, da Livorno, li �0 novembre �788.403 In data �6 marzo �788, si informava Firenze che il governatore avrebbe dovuto

dimettersi per la malattia sofferta, mentre nella stessa data l’auditore avvertiva Francesco Baille, console a Cagliari, di come il governatore si trovasse convalescente e non avesse ancora ripreso la cura degli affari del governo, in asLi, Governo, copialettere, 979, c.5�v. In una successiva comunicazione del pierallini al viceconsole inglese in aleppo, michele de Vezin, in data 30 luglio, si avvisò che il governatore si trovava infermo dai primi di febbraio, costretto ad assentarsi da Livorno dalla fine aprile per curarsi ai Bagni di pisa, ove si trovava in uno «stato di salute assai pericoloso», in ibidem, c.���v. Il governatore era ancora in ma-lattia e fuori servizio al �3 ottobre �788, in ivi, c.�9�r e così fu fino alla comunicazione della morte, avvenuta il �0 novembre �788.

404 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 5�9, prot.�6, ins.56, motuproprio di nomina del pro-governatore di Livorno, Giuseppe Francesco pierallini, e del comandante militare rambaldo strasoldo, dato il �� novembre �788.

405 asLi. Governo, copialettere, 979, c.�35r-v e asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 53�, prot.7, ins.83, motuproprio di nomina del governatore di Livorno, Francesco seratti, dato il 6 aprile �789.

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2.2.Tra forza e tutela: il rapporto dei governatori con gli abitanti di Livorno

Il corpus di norme, leggi e consuetudini che a vario titolo era stato introdotto a Livorno costituiva un elefantiaco complesso di diritti, li-bertà ed esenzioni pretesi e dati per acquisiti dagli abitanti della città con i quali il governatore, e gli altri ministri da lui dipendenti, dove-vano fare i conti ogni giorno. era questo uno degli aspetti più difficili e importanti delle sue competenze. In virtù infatti delle riconosciute franchigie del porto, consoli esteri e rappresentanti a vario titolo de-gli stranieri residenti o di passaggio rivendicavano spesso esenzioni nei confronti delle autorità locali ed era fondamentale riuscire ad ave-re sempre ben chiaro il limite oltre il quale non ci si poteva spingere. Impossibile elencare tutte le «infinite agevolezze» che si usavano verso i «forestieri», come scriveva Bourbon del monte per illustrare quali fossero i capi principali di tale corpus e che così sintetizzava:

In genere però può dirsi con tutta franchezza che la massima dominante quale ha formato ed accresciuto Livorno e lo sostiene si è quella di far tutto il possibile perché i forestieri vi concorrano, abbandonino la loro patria per stabilirvisi, e vi conducano il più che sia possibile i loro bastimenti e le loro mercanzie.Finalmente deve notarsi che intorno alle franchigie, libertà e riguardi che si usano a negozianti ed a bastimenti stranieri, non si sono mai voluti pubblicare editti e ordini formali dopo gli antichi privilegi notati di sopra ma tutto passa per ordini che si danno privatamente al governatore, quale alle occasioni si re-gola sempre a norma de’ principi generali riportati qui sopra e sugl’esempi di ciò che è stato praticato in altri casi simili406.

Coloro sui quali il governatore di Livorno aveva a tutti gli effetti diritto di giurisdizione e dovere di tutela non erano solo i sudditi granducali. Il governatore esercitava il proprio potere su di un’unica classe di individui i quali, soprattutto se facenti parte della categoria dei negozianti, potevano avvalersi in ugual modo di tutta una serie di trattamenti privilegiati per il solo fatto di trovarsi nel territorio livor-nese.

406 «memoria su i privilegi, franchigie ed esenzioni di Livorno», redatta dal governatore Bourbon del monte il �� ottobre �765 e inviata al maresciallo Botta adorno. Vi si riper-corrono i principali privilegi concessi alla città labronica dal �4�� agli anni sessanta del settecento, in asLi, Governo, copialettere, 96�, cc.�49v-�53v e in asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 795, cc.n.n.

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Inoltre i requisiti necessari a Livorno per diventare sudditi toscani veri e propri erano meno restrittivi rispetto a quelli richiesti nel resto del granducato, come riassumeva ancora il Bourbon del monte nel �758:

per suddito toscano intendiamo non solamente colui che nasce in Toscana, ma quello ancora che colla maggior parte delle sue sostanze e con la famiglia viene in questo stato, con animo di non più partirne; siccome per stabilito intendiamo colui che venendo in questo porto franco di Livorno quivi apre Casa di Negozio trasferendovi la famiglia e sostanze a distinzione di quella specie di mercanti che si trasferiscono in un luogo per poco tempo con poco fondo, e senza la famiglia e senza stabilimento di Casa positiva407.

per ottenere la naturalizzazione era sufficiente soddisfare solo al-cune condizioni, cioè fissare domicilio in Livorno, ottenere l’aggrega-zione alla cittadinanza (per la quale si richiedeva almeno la proprietà di beni stabili) e rinunciare ai privilegi riservati ai nazionali esteri. Non era invece prevista la possibilità di acquisire la naturalizzazione per grazia408. Lo status di «stabilito» si riconosceva anche a quanti non rientravano nemmeno in quella così ampia definizione di sud-dito, cioè ai «forestieri» e con fondate argomentazioni, come scrisse ancora del monte quindici anni più tardi, difendendo i diritti delle comunità straniere contro ogni possibile pretesa da parte dei magi-strati fiorentini409.

In qualche misura, il rispetto delle tradizioni locali e il manteni-mento dell’insieme di convenzioni e norme alla base dei rapporti tra il governatore e la collettività locale finivano per coincidere e dare un reale valore legittimante al potere del governatore stesso. Le modalità d’intervento governatoriali dovettero modellarsi attorno ai principali

407 asLi, Governo, copialettere, 960, cc. 3�r-37r, Filippo Bourbon del monte a Gaetano antinori, il 3 aprile �758.

408 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �76, ins.40, lettera di Francesco seratti al go-vernatore di Livorno Bourbon del monte, in data �4 giugno �774.

409 «Quanto a’ forestieri, Livorno è stato, è e sarà sempre in necessità di allettargli per tutti i modi, giacché essi son quelli che vi fanno principalmente il traffico e non tutti quelli che vi vengono vi restano sempre, essendo anzi piuttosto rapido il giro delle Case straniere che si aprono e vi si chiudono. Onde non si sarebbe mai portati a convenire e molto meno si proporrebbe che venisse fatta qualunque innovazione in questa parte, tanto più che il privi-legio de forestieri non lede punto i sudditi e lo stato, anzi gli giova, perché per tal modo non poche ricchezze vi si sono introdotte dagli stati alieni», in asLi, Governo, copialettere, 967, cc. 83r-87v, «memoria sopra i ricorsi de’ magistrati di Firenze perché il tribunale di Livorno non eseguisca le loro lettere e decreti, rimessa a sua altezza reale il dì �5 agosto �773».

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privilegi concessi ed agli interessi dei gruppi sociali presenti a Livor-no. Ci viene in aiuto, per comprendere questo complicato intreccio, il memoriale che Bourbon del monte redasse nel �765 per esporre i capi a suo giudizio più importanti del «sistema di Livorno» al pro-prio sovrano4�0. Livorno, si scriveva, iniziò ad accumulare favori e concessioni fin dal �4��, cioè dal momento stesso nel quale fu acqui-stata dalla repubblica fiorentina. La prima disposizione fondante il regime speciale della città era stato però l’editto del �� febbraio �59� e pubblicato, com’è noto, «con la mira di accrescere la popolazione di Livorno ed attirarsi de’ negozianti da’ paesi esteri». I punti prin-cipali erano riassumibili nel fatto che chi avesse deciso di venire ad abitare in città restava esentato dall’esser perseguito per debiti, sia contratti con privati che fiscali, e, se non toscano, per delitto com-messo prima di entrare nel granducato, ad unica esclusione dei delitti di lesa maestà, eresia, assassinio e falsa moneta. Tali esenzioni erano state poi in parte ridotte o modificate in virtù di bandi e deliberazioni successive4��.

La chiave di volta dell’intero sistema si trovava nell’aver stabilito che gli abitanti della città e del Capitanato vecchio non avrebbero

4�0 si tratta della «memoria su i privilegi, franchigie ed esenzioni di Livorno», cit., Bourbon del monte la inviò al Botta adorno accompagnata da questa presentazione: «Ho l’onore di accompagnare a Vostra eccellenza una memoria formata per spiegare in dettaglio a sua altezza reale in che cosa consistano i privilegi, franchigie, esenzioni e libertà accor-data agl’abitanti di questo porto, ed a nazionali stranieri e per obbedire all’ordine che ella me ne diede nell’illustrissima sua. Nella medesima troverà raccolto tutto ciò che vi è di più importante in questa materia dovendo però avvertirsi quanto diverse volte in altra si ripete, cioè che sia fatta menzione solamente delle cose più sostanziali per non ridurre questo lavo-ro ad una sovverchia lunghezza e che non potendosi aver presenti tutti i casi estinsibili basta tenere avanti agli occhi i principi sopra i quali si è fabbricato il sistema di Livorno, e agl’og-getti a cui sono state sempre dirette le mire del Governo di Toscana consistenti nell’attirare a Livorno i negozianti di mercanzie ed in una parola il commercio straniero per determinarsi e risolvere ciò che si a da fare all’occorrenza. Non dubito che sua altezza reale sulle tracce dei suoi predecessori si degnerà di far notificare a negozianti e nazionali esser sua intenzione che seguitino a godere delli stessi privilegi, esenzioni, franchigie e riguardi», in asLi, Gover-no, copialettere, 96�, c.�49v.

4�� Importante, tra le altre, l’esenzione dalla gabella sui contratti introdotta da delibera del 3� agosto �6�6 e quella sulla gabella delle doti. Quest’ultima, applicata per favorire i matrimoni, era però applicabile solo a chi avesse vissuto a Livorno per almeno dieci anni. anche se non evidente, il ruolo d’intermediario del governatore nella concessione di questi privilegi era stato decisivo. Così, ad esempio, si veda il ruolo del governatore raffaello me-dici nel far concedere l’abolizione delle gabelle, «ancorché tenuissime», sulle mercanzie e la sostituzione della tassa di stallaggio con un pagamento fisso un tanto a collo, dal bando so-vrano dell’�� marzo �676, asFi, Segreteria di finanze (affari prima del 1788), 795, ins. «anni precedenti», cc.n.n.

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mai potuto esser citati o convocati in giudizio da altri tribunali diver-si da quello di Livorno, «il qual tribunale è affatto indipendente da tutti i magistrati e ministri di Firenze, ed i ministri di esso non sono in conto alcuno soggetti a sindacato, ma dipendono direttamente dal principe e dal governatore, che lo rappresenta». Questo privilegio era rimasto a lungo in vigore e ciò nonostante «tutti gli sforzi del ma-gistrato di Firenze e specialmente del magistrato supremo, che tentò di abolirlo colla riforma del �678, quale però non si è mai attesa».

accanto ai privilegi concessi a tutti gli abitanti di Livorno, sostan-zialmente senza differenza tra «i paesani e i forestieri», ve ne erano altri invece concessi soltanto a questi ultimi, e che trovavano la loro origine nel diploma e nelle lettere patenti del �0 giugno �593. «Do-vendosi avanti a tutto premettere che questi privilegi si chiamano comunemente degli ebrei, ma in realtà riguardano tutti i nazionali di qualunque nazione e religione», si precisava. L’aspetto che aveva maggior importanza per l’attività del governatore non risiedeva nella libertà dei livornesi di professare la propria appartenenza religiosa4��, nel diritto di porto d’armi per i capifamiglia, o in specifiche esenzioni fiscali o facilitazioni economiche, bensì nel fatto che «niun forestiero, quale venga a stabilirsi a Livorno, possa essere molestato per qua-lunque delitto, anche enorme ed enormissimo», commesso fuori dal granducato in precedenza all’arrivo in città.

Vi erano infine i privilegi, sempre concessi il �0 giugno �593, ma accordati soltanto agli ebrei. a questi, oltre a quanto già riconosciu-to agli altri, il governatore doveva garantire di poter effettuare i riti e le cerimonie della loro religione in un proprio tempio, rispettando le festività ebraiche anche nelle attività del Governo che li avessero

4�� Questo punto in realtà fu di enorme rilevanza nell’ambito delle attività del governato-re, il quale, in innumerevoli occasioni, fu chiamato a dirimere questioni sorte nell’ambito dei rapporti tra appartenenti a diverse religioni. ancora il 6 settembre �764, un rescritto grandu-cale aveva ribadito l’osservanza di un privilegio previsto fin dal �593, e cioè il divieto di far battezzare, abiurare o in qualsiasi altro modo convertire al cattolicesimo i bambini eterodossi minori di tredici anni. Tale rescritto aveva concluso un’annosa vicenda relativa al noto caso delle tre figlie di peter Gravier, già trattato in s.villani, Donne inglesi a Livorno nella prima età moderna, in Sul filo della scrittura. Fonti e temi per la storia delle donne a Livorno, a cura di L.Frattarelli Fischer-O.Vaccari, pisa, plus, �005, pp. 377-399 e in particolare pp. 396-397. si era anche affermato l’uso, in rispetto a quanto sancito nel �593 del diritto dei familiari di religione eterodossa (ma non per gli ebrei) di parlare ai bambini maggiori di tredici anni che erano fuggiti per convertirsi al cattolicesimo. Tali colloqui dovevano però avvenire in presen-za e dietro supervisione del governatore o dell’auditore, confermandone il ruolo centrale.

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coinvolti, e di non ricevere alcuna «molestia» per aver vissuto altrove come cristiani. Non solo, ai magistrati ebrei si riconosceva la facoltà di «ballottare» gli ebrei forestieri, una procedura tramite la quale tali nuovi arrivati venivano ammessi nella «nazione» ebraica di Livorno e potevano godere così anche di una estensione di certi privilegi. Im-portanti erano poi le disposizioni in merito all’amministrazione della giustizia, particolarmente incisive anche sulle competenze governa-toriali. per le cause tra cristiani ed ebrei, si nominava un giudice a ciò specificamente deputato, carica che dai tempi del rescritto dell’undici luglio �597 spettava di diritto al governatore pro tempore, e tali sen-tenze sarebbero state inappellabili salvo grazia granducale4�3. Quanto invece alle cause sorte fra ebrei, il governatore ne restava del tutto esente poiché erano riservate al tribunale dei massari. La giurisdizio-ne dei massari si estendeva tanto al civile che al criminale, e solo per quest’ultima erano previsti dei casi nei quali il tribunale del Governo tornava ad essere competente: negli episodi particolarmente gravi, per reati efferati (omicidio o ferite invalidanti e deturpanti) o per le condanne più onerose (di morte, galera, mutilazioni e punizione tramite frusta). Bourbon del monte ricordava infine il motuproprio del �0 dicembre �7�5 con il quale si era confermato per la «nazione» ebrea una «classe dei governanti», composta di sessanta persone no-minate per grazia granducale, e tre dei quali, rinnovati ogni due anni, costituivano il «magistrato dei censori». I censori, insieme ai massari, avevano, tra le altre, la facoltà di esiliare i soggetti, ebrei, sia forestieri che già stabilitisi a Livorno, e solo in quest’ultimo caso si contemplava l’intervento governatoriale, ma a titolo discrezionale, giacchè «non suole il governatore lasciar correre l’esilio senza farsi render conto dei motivi».

Bourbon del monte richiamava poi l’attenzione su due aspetti fondamentali. Il primo consisteva nel fatto che tutti questi privilegi inizialmente concessi per un tempo circoscritto erano diventati poi, in via di fatto e di diritto, «perpetui e non hanno bisogno di confer-

4�3 Il tribunale di Livorno aveva avuto recentemente anche un’ulteriore competenza, e cioè quella di concedere licenza alle donne cristiane – preventivamente esaminate dal propo-sto al fine di accertarne una compiuta conoscenza della religione cattolica e di praticare setti-manalmente la chiesa – di poter lavorare (come balie, governanti o a servizio) presso famiglie di religione ebraica. asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �74, ins.6, Francesco seratti al governatore Bourbon del monte, in data �9 marzo �774.

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ma regolare e periodica». Il secondo elemento era che oltre a quanto concesso tramite legge scritta, si aggiungevano altre immunità o speciali trattamenti impartiti «da ordini particolari e da uno stile e consuetudine introdotta». In particolare, in materia di commercio e circolazione delle merci, ferma la legge degli stallaggi del �675 che disciplinava le franchigie e le riduzioni daziali, si contavano «infinite ampliazioni e dichiarazioni di quella legge [...] introdotte dall’uso e dagli ordini particolari». per il governatore autore della memoria, questo sistema rappresentava il fulcro attorno al quale si equilibra-vano i poteri della città, ma non così giudicò la reggenza lorenese, la quale voleva ristabilire con forza la propria autorità in più e diverse occasioni a spesa delle «nazioni» e dei consoli, dimostrando quanto diverso fosse ormai l’atteggiamento rispetto al regime conciliante instauratosi in età medicea. significativo a tal proposito il commento del console spagnolo a Livorno del 9 luglio del �756 sul fatto che si fosse proibito alle cancellerie consolari inglese e francese un uso introdotto «de tiempo imemorable» quanto alla dilazione dei pa-gamenti dei diritti doganali da parte dei loro bastimenti, «facilidad concedidales por el Govierno de Casa medicis, no sin reciproca con-veniencia». I consoli di entrambe quelle «nazioni» avevano accettato il nuovo sistema senza protestare e senza alcuna sorpresa, essendo ormai persuasi «por la esperiencia de infinitas otras de la particular aplicación de la regencia de coartar toda estera nación a sugetarse qual subordinada al govierno toscano» 4�4.

Quello dei rapporti tra governatore e «nazioni» costituiva un altro aspetto fondamentale del sistema di Livorno. Le «nazioni», infatti, pur non riconosciute come «corpi politici», potevano comunque avere un console, riunirsi in assemblea, stabilire dei regolamenti e per-sino prevedere un meccanismo di tassazione per costituire una cassa a sostegno delle spese comuni. In alcun modo invece non avrebbero potuto presentare ricorsi al granduca a nome della «nazione», né pre-tendere autorità giurisdizionale per le proprie cancellerie consolari o per gli atti da quelle emanati4�5. In caso di richiesta da parte dei con-

4�4 aGsi, Estado, 5399, cc.n.n.4�5 Non era sempre semplice riuscire a districarsi in questa selva di privilegi concessi,

non riconosciuti ma accettati, o altrimenti negati con determinazione. Così rispetto alle can-cellerie dei consoli, il governo non volle mai riconoscerle, ma «sta di fatto che le tengono, ma [il Governo] lo dissimula, non ammettendo però in atti pubblici alcun recapito ove ne sia

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soli per arresto o interrogatori di propri connazionali, il governatore ne consentiva l’effettuazione, anche mettendo a disposizione il pro-prio braccio armato, solo per situazioni particolarmente gravi. In linea di massima, il governatore tentava piuttosto di sollecitare l’accordo tra le parti, anche intervenendo personalmente per favorirne la con-ciliazione, senza ricorrere al tribunale o alle carceri. più in generale, i negozianti godevano di una esenzione dalla prosecuzione giudiziaria nei loro confronti pressoché totale, o almeno «fino al segno che non ne soffra intacco la giustizia ed il buon servizio».

Non si prende cognizione dei loro traffichi per non darli soggezione alcuna e perché possano meditare ed eseguire le loro intraprese con una piena fiducia e libertà. si ha a cuore il loro buon credito e nome nelle piazze estere e se mai si scuoprisse che alcuno parlasse o scrivesse maliziosamente contro di loro si casti-ga ad esempio degl’altri. Non si fanno esecuzioni per cause simili presso i loro banchi e non vi si mandano famigli, né pure a portare delle cittazioni, quando la disobbedienza o altre circostanze non obbligassero il Governo a passare sopra a questo riguardo4�6.

In altri termini il governatore doveva perseguire l’arte del com-promesso badando però a non porre in essere prassi o consuetudini capaci di offuscare la sovranità granducale. si trattava di praticare un vero e proprio equilibrismo tra opposte esigenze:

e per quanto sia valutabile il temperamento prudenziale adottato dal Governo e prescritto da più ordini sovrani di far tacere i diritti di giurisdizione, e dissimu-larli allorché il farne uso può impegnare a delle conseguenze fastidiose o portare a delle vie di fatto troppo forti; [...] non ostante, quando non è stato più luogo ad un conveniente disimpegno e l’autorità sovrana sarebbe rimasta vilipesa in faccia alle nazioni, il Governo ha esercitato gli atti della sua giurisdizione contro le persone e contro i bastimenti stranieri, si in darsena, che al nolo, ed anco alla spiaggia4�7.

In quest’ottica l’arresto e la consegna dei delinquenti stranieri agli stati di provenienza appariva una pratica contraria, anzi, «del tutto opposta» al sistema di Livorno ed ai privilegi del portofranco.

fatta menzione, né dando esecuzione a qualunque scrittura si dica fatta nelle medesime»: così il del monte al degl’alberti, il �4 gennaio �780, in asLi, Governo, copialettere, 97�, cc.��r-��r. spesso l’unico rimedio era mantenersi nell’ambiguità, alimentando così l’equivoco che in numerose occasioni fu ragione di scontri anche violentissimi con i consoli.

4�6 «memoria su i privilegi, franchigie ed esenzioni di Livorno», cit.4�7 «Giurisdizione del Governo sopra le persone e bastimenti stranieri», asLi, Governo,

copialettere, 968, cc.�4r-4�v.

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Conseguentemente, il governatore non dava seguito alle richieste di estradizione avanzate dai consoli o direttamente dalle corti reali este-re: si limitava ad effettuare le ricerche per trovare i rei, ma una volta rintracciati non si provvedeva all’arresto, bensì gli si intimava solo di lasciare la città4�8. se invece la richiesta di estradizione riguardava cri-minali già detenuti nelle carceri labroniche, pur di non consegnarli, si agevolava segretamente la loro fuga, pubblicizzando poi punizioni esemplari per i carcerieri in modo da non gettare troppo discredito sul sistema penitenziario locale4�9. In base allo stesso principio, si erano attribuiti margini d’interpretazione talmente lassisti ai già ampi privilegi concessi, da rendere di fatto leciti molti comportamenti al-trimenti condannati delle leggi. ad esempio, non si procedeva contro gli inadempienti in caso di debiti privati, come da privilegio ricono-sciuto, ma di fatto non si muoveva nemmeno per i debiti pubblici, in-vece in linea di principio perseguibili. Il Governo infatti provvedeva a comunicare agli interessati la prevista azione legale con ampio preav-viso proprio per consentire di porre in regola la propria situazione ed evitare così ogni azione nei loro confronti. Tale condotta era entrata in uso almeno dal �678 e fu poi estesa anche a chiunque avesse atti-vità commerciale e, «per consuetudine, anche alle altre persone di un certo riguardo e solventezza»4�0. analogamente, non si esigevano tas-

4�8 Un caso a sé era rappresentato dalle adultere e dalle fanciulle fuggite dalla famiglia per seguire l’amante. era infatti questa l’unica eventualità nella quale si consegnava la don-na reclamata alla famiglia d’origine o alle autorità locali di provenienza, una eccezione alle regole del portofranco in uso a Livorno in rispetto di «quella privativa autorità che compete a’ capi delle famiglie da cui i fuggitivi si vogliono sottrarre irregolarmente». Quest’aspetto è esaminato in m.aGlietti, Vita, passioni e trasgressioni delle donne nella Livorno fra Settecen-to e Ottocento, in Sul filo della scrittura, cit., pp. �39-�65, citazione a p. �45, dal carteggio di Bourbon del monte alla segreteria stato nel novembre �769.

4�9 asLi, Governo, copialettere, 966, cc.�9-�0, al cavaliere siminetti, li �5 gennaio �77�.4�0 asLi, Governo, copialettere, 968, cc.n.n., il governatore a pompeo Neri, li �3 agosto

�775. L’evidente ragione di tale comportamento del governo era motivato dalla necessità di «evitare al possibile la vistosità dell’esecuzione», in riguardo al «credito di chiunque è mescolato nel commercio, come lo sono la maggior parte degli abitanti di Livorno». sem-pre sullo stesso argomento, del monte aveva scritto: «Questo stile particolare del tribunale di Livorno è fondato nell’estrema gelosia del credito delle persone addette al commercio le quali sarebbero esposte alle più funeste conseguenze se fosse scritto nelle piazze estere che si sono ridotte al caso di soffrire delle esecuzioni per mezzo del tribunale [...]. Non può negarsi che questo stile appoco appoco ha ricevuta molta estensione, giacché sotto nome di negoziante e di persona di credito vengono anche quelli che non sono negozianti di banco, ed è tropo odiosa la differenza che si facesse in un paese piccolo da un negoziante ad una persona accreditata che non negozi, ed il fissare i limiti delle diverse classi delle persone è più difficile qui che in qualunque altro luogo. […]. e non solo si avvisano i debitori, dopo

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se ed imposte sulle merci introdotte al molo, in virtù di un malinteso diritto del portofranco, rendendo peraltro impossibile contrastare il contrabbando di ogni genere che vi si faceva4��; si accoglievano in porto corsari di ogni bandiera e patente offrendo a tutti «i comodi de’ quali possono abbisognare per approvisionarsi o resarcirsi», con le «regole solite di neutralità, senza entrare nell’esame della giustizia o ingiustizia della causa»4��; o, infine, non si perseguivano delitti

che l’esecuzione è commessa, ma molte volte si dà avviso anche dell’istanza che ne vien fatta, il che spesso produce che gli affari si accomodano e le parti di liberano delle spese dell’ese-cuzione. […]», in asLi, Governo, copialettere, 969, cc.�33v-�34v, comunicazione all’alberti del 7 febbraio �777.

4�� «La questione nasce piuttosto dal non essere stato mai definito in che cosa precisa-mente consistono in Livorno i privilegi del portofranco. Quelli del �59� e del �593 riguarda-no solo la sicurezza delle persone, dei loro averi, ed i capitoli del �675 fissano l’importare del dazio da pagarsi sopra le mercanzie, ma non parlano di esenzioni o franchigie di altra sorte. Gli stranieri però anno preteso che la sola qualità di portofranco dia il diritto di non esser molestati rispetto a generi pretesi di contrabando e il Governo di Toscana per sfuggire delle fastidiose discussioni e più per allettare i forestieri a venire a Livorno, non si è mai opposto vigorosamente a tal pretensione. siccome le circostanze non sono cambiate, e milita sempre l’istesso riguardo non vedo ragione di proporre che si muti sistema. In conseguenza crederei che dovesse tenersi ferma le regola di non permettere mai perquisizioni sopra i bastimenti al molo per causa di contrabandi e di non accettar comparse né far processi contro i capitani e padroni e loro equipaggi per vendita di contrabandi fatta al molo, [...]. Le ragioni di un tal contegno essendo fondate più sopra una specie di franchigia lasciata al molo per un reflesso politico, che sopra una esenzione quale voglia esplicitamente concedersi ai bastimenti stra-nieri, parrebbe che elle potessero militare rispetto a tutti i capitani e padroni anche non mu-niti di passaporto o bandi», asLi, Governo, copialettere, 968, cc.n.n., il governatore al con-sigliere Tavanti, li �4 maggio �776. Il �6 giugno seguente, richiamando quanto già praticato in passato (a norma di disposizioni del segretario montemagni al governatore Tornaquinci il �9 settembre �7�4, dal segretario Tornaquinci al governatore del Nero il �8 novembre �7�7, e più recentemente dal segretario rinuccini al governatore Capponi nel �734), il granduca fece scrivere al governatore di non approvare le perquisizioni contro i bastimenti al molo che commerciavano generi di contrabbando, sia nel caso che tali bastimenti fossero muniti di passaporto e bandiera, sia che ne fossero privi: ordinando bensì che si procedesse contro gli equipaggi solo se colti in fragrante a vendere a terra, in asFi, Segreteria di finanze (affari pri-ma del 1788), 796, fascicolo dell’anno �776. Il contrabbando, soprattutto di sale e tabacco, fu un fenomeno particolarmente complesso da contrastare. Nel �783 si arrivò addirittura a raddoppiare il compenso previsto per chi denunciava gli esecutori, in C.manGio, La polizia toscana, cit., pp. 55-56.

4�� Quest’atteggiamento, in particolare, aveva provocato molti problemi nelle relazioni con i sovrani esteri che avevano protestato assai violentemente: così la spagna contro i cor-sari austriaci durante la guerra di successione spagnola, e Genova e la Francia contro i ribelli corsi. Tutto perdeva d’importanza rispetto al più importante interesse di Livorno: «solo osserverò – commentava il del monte all’alberti – che uno dei riflessi politici che io posso unicamente riguardare è quello del maggior vantaggio del commercio di Livorno, rispetto al quale osservo che veramente i corsari americani turbano non poco il nostro commercio con l’Inghilterra, e che molto più lo turberanno quando siano nel mediterraneo, ma non essendo in nostro potere far sì che non vi siano, il proibirgli l’accesso o l’assistenza di questo porto non rimedierà punto al male se gli resteranno aperti i porti di Francia e quelli delle altre

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commessi a terra da «gente di navi da guerra di qualunque potenza», limitandosi a consegnare i colpevoli ai comandanti se non addirittura, come in caso di risse fra equipaggi, seguire «costantemente la massi-ma di non prenderne mai cognizione alcuna, per quanto ne derivino ferimenti o omicidi»4�3.

Come già visto per l’età medicea, oltre a quello di giudice e tutore dell’ordine, pur se sui generis, tra i compiti assegnati al governatore vi era anche quello di contribuire in maniera decisiva alla formazione dell’oligarchia urbana favorendo l’accesso di nuovi soggetti da lui ritenuti utili alla vita pubblica della città. Questa funzione strategica, proprio in qualità di rappresentante periferico del granduca, proseguì anche durante l’età lorenese, seppur con modalità diverse. Decisiva, in tal senso, la «legge per regolamento della nobiltà e cittadinanza», pro-mulgata da Francesco stefano di Lorena il 3� luglio �750, con la qua-le si prescrissero per la prima volta i titoli necessari al riconoscimento della nobiltà e la conseguente iscrizione degli idonei in appositi regi-stri, i libri d’oro4�4. Tale norma da un lato avocava all’autorità sovrana l’origine del privilegio di status secondo una concezione di nobiltà basata su titoli feudali e meriti di servizio nei confronti del principe, dall’altro estendeva la preesistente normativa in materia contenuta negli statuti dell’Ordine di santo stefano all’intera legislazione statua-le4�5. si distingueva la nobiltà in due gradi, il più basso della nobiltà

coste del mediterraneo, e noi perderemo anche quel piccolo profitto che potrebbe risentirsi dal venirvi i medesimi qui a fare le loro provvisioni e a vendere le prede», in asLi, Governo, copialettere, 969, cc.�80v-�8�v, in data �8 agosto �777.

4�3 «Il solo pensiero che si prende il Governo rispetto alle medesime è quello d’impedir-le per quanto è possibile e di prendere delle precauzioni per ottenere che non si rinnuovino [...]. Non è mai stata espressa l’origine di questa massima, ma posso credere che ella dipenda dal riguardo di non entrare in impegni con le nazioni straniere facendosi cognitori del mo-tivo della rissa. Comunque sia, questo metodo è molto adattato alle circostanze del porto di Livorno, e l’usarlo non ha prodotti cattivi effetti, non essendo frequenti simili risse. a fronte di tali riflessi determinerà sua altezza reale se creda del suo migliore servizio il continuarlo o se voglia che sia variato, ed io attenderò che Vostra eccellenza si compiaccia comunicar-mi i sovrani ordini e frattanto in vista di quello che mi vien dato di rappresentare quanto occorra non cambierò sistema se mai succedesse qualche caso prima che mi siano note le reali intenzioni per non introdurre un esempio contrario al solito sistema quale poi ci venisse opposto, mentre non fosse creduto di doverlo alterare». asLi, Governo, copialettere, 97�, cc.58r-59r, il pro-governatore pierallini ad alberti, li �3 marzo �78�.

4�4 Il testo è in Bandi e ordini da osservarsi nel granducato di Toscana, cit., III, n.XVII, e pubblicato in L.cantini, Legislazione toscana raccolta e illustrata, Firenze �806, XXVI, �3�-�80. per un esame della legge, del dibattito preparatorio e delle sue ricadute nel granducato, si rimanda a m.aGlietti, Le tre nobiltà, cit., pp. 5�-60.

4�5 Così si riassumeva all’epoca: «Da qui avanti che per la nuova legge della nobiltà dee

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semplice e il più elevato della nobiltà generosa o patriziato (conse-guibile solo con �00 anni o più di nobiltà), e quattro possibili origini, cioè: l’investitura di un feudo, l’ammissione a un Ordine cavalleresco, il conferimento di un diploma del principe, l’esercizio di una suprema magistratura cittadina. requisito indispensabile era inoltre quello di trarre origine da una delle �4 città nobili del granducato, tra le quali solo sette «più antiche» potevano conferire il grado patrizio4�6. I livor-nesi che aspiravano al riconoscimento della propria nobiltà, dovevano presentare determinati requisiti probatori al governatore di Livorno il quale, dopo averli esaminati ed espresso un proprio parere formale, inoltrava richiesta e documentazione alla deputazione sopra il rego-lamento della nobiltà, a Firenze, per l’approvazione definitiva. Il rap-porto privilegiato tra élites locali e governatore ne uscì quindi ancora una volta confermato e il ruolo di intermediario di quest’ultimo con il trono ancor più rafforzato. In più di un’occasione, la nobiltà di Li-vorno si trovò a dover difendere le proprie aspirazioni contro le per-plessità avanzate dai deputati fiorentini sulla validità dei titoli addotti e il governatore prestò sempre la sua opera in appoggio alle richieste locali. si trattava di una oligarchia dinamica, composta prevalente-mente da grandi commercianti e da un elevato numero di stranieri, la grande maggioranza dei quali poteva attestare solo le residenze nelle maggiori magistrature cittadine quale giustificazione del titolo gentili-zio4�7. Non mancavano certo situazioni limite, ma i governatori che in questo si trovarono spesso in sintonia coi granduchi lorenesi, compre-sero l’importanza di assicurare i privilegi di status anche all’anomala nobilità labronica. pietro Leopoldo avallò le richieste dei livornesi di eliminare quanto sancito in una disposizione del �764 che metteva in

questa principalmente dependere dal diritto che ha il sovrano di distinguere il valore dei cittadini, e la provanza dagli ordinati registri a tal fine e non più l’una dall’imborsazione in simili offizi e l’altra dai partiti dei sudditi», da asFi, Reggenza, �96, ins.�, cc.56-57.

4�6 Le sette città «patrizie» erano Firenze, siena, pisa, pistoia, arezzo, Volterra e Corto-na. per maggiori dettagli, si rimanda a D.marrara, Nobiltà civica e patriziato nella Toscana lorenese del Settecento, in I Lorena in Toscana, a cura di C.rotondi, Firenze, Olschki, �989, pp. 46-49.

4�7 Dei circa trenta casati che vennero ammessi al libro d’oro livornese tra il �750 e il �808, almeno nove attestavano come il comparente e altri suoi congiunti esercitassero attività mercantile o finanziaria, mentre dodici erano originari di diverse zone estere tra le principali delle linee commerciali del tempo: quattro erano corsi, sei dell’area francese (tra montpel-lier, aix en provence e Nizza), uno di anversa e un altro portoghese. m.aGlietti, Le tre nobiltà, cit., pp. 336-34�. Utili notizie anche in B.casini, I ‘Libri d’oro’ della città di Livorno, in «Bollettino storico pisano», LVI, �987, pp. �79-��4.

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dubbio, ai fini dell’ammissione per giustizia all’Ordine di santo ste-fano, la validità della nobiltà conferita dall’acceso al gonfalonierato di Livorno prima del �7�04�8. Con il motuproprio del �0 agosto �767, allora, il granduca previde tre criteri differenti di ammissione alla nobiltà livornese a seconda dell’antichità del titolo, riconoscendo così un principio nobilitante diverso per ciascuna epoca: il valore delle residenze pubbliche fu riconosciuto pienamente valido fin dal �606, l’autorità sovrana e i requisiti previsti dalla legge per regolamento sulla nobiltà per le nobilitazioni avvenute tra il �7�0 e il �750, e il rife-rimento unico alla detta legge dopo il �7504�9.

Con l’importante riforma del �0 marzo �780 si introdussero signi-ficative modifiche nei meccanismi di accesso al potere. Con la crea-zione di nuovi organi municipali (il magistrato comunitativo, formato da un gonfaloniere ed otto priori, e il Consiglio generale), ispirati ai principi fisiocratici dei quali ci si faceva promotori, si voleva tempe-rare il requisito della nobiltà a quello della titolarità della proprietà immobiliare, oltre a consentire per la prima volta l’ingresso di un rappresentante della «nazione» ebrea430.

a Livorno, la riforma comunitativa, non rappresentò un cambia-mento epocale data la natura dei gruppi dirigenti locali, né si attesta una significativa trasformazione del ruolo governatoriale nei mecca-nismi di mobilità sociale rispetto al passato.

Da parte ad esempio del governatore seratti, si condusse un’azione continua di pressione sulla deputazione per la nobiltà al fine di favo-rire l’incremento numerico della classe nobiliare livornese, facendosi

4�8 V.martini, op. cit., pp. �35-�60.4�9 In aspi, Ordine di Santo Stefano, motupropri, �6��, cc.4��r – v, motuproprio fir-

mato da pietro Leopoldo. sul tema si veda anche F.Bernardoni, I contrastati albori della nobiltà livornese, cit., pp. ���-��3; a.zaPPelli, L’Ordine di S.Stefano e le città nobili della Toscana, in «Quaderni stefaniani», XX, pisa, �00�, pp. 87-�0�, e in particolare p. 99-�0�.

430 Quanto al regolamento comunitativo per Livorno, si trova in Bandi e ordini da osser-varsi nel Granducato di Toscana, cit., X, n.�8, oltre che in L.cantini, op. cit., XXX, pp. �96 e segg. Fondamentale riferimento per lo studio della riforma comunitativa, intenti ed effetti sul territorio, resta ancora B.sordi, L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana leopoldina, milano, Giuffrè, �99�. In merito all’impor-tante novità dell’accesso di un soggetto appartenente alla comunità israelitica livornese tra i membri residenti della Comunità cittadina, si veda m.verGa, Proprietà e cittadinanza. Ebrei e riforma delle Comunità nella Toscana di Pietro Leopoldo, in La formazione storica della alterità. Studi di storia della tolleranza nell’età moderna offerti ad Antonio Rotondò, a cura di H.méchoulan-r.H.popkin-G.ricuperati-L.simonutti, Firenze, Olschki, �00�, Secolo XVIII, tomo III, pp. �047-�067.

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direttamente parte in causa nel sostenere le ascrizioni ai libri d’oro di alcuni soggetti che si ritenevano strategici sia per la città, sia per le proprie alleanze. appare in tal senso oltremodo significativo quanto scrisse il seratti al segretario della deputazione affinché concedesse il titolo ad alcuni tra i principali commercianti di Livorno. seratti sostenne con forza l’utilità di riconoscere tra i nobili, al momento numericamente pochi, proprio coloro che si dedicavano ad attività mercantili e finanziarie:

Dove la professione di commerciante non deroga alla nobiltà, è indifferente al commercio che si accresce o si diminuisca il numero dei nobili. In Livorno il numero dei nobili è assai ristretto. Forse vi è anco il difetto che nella concessione della nobiltà qui non si è avuto nei passati tempi un bastante riguardo a non accordarla che a quelli i quali avessero già assicurato in stabili o fondi pubblici un bastante patrimonio, perché la maggior parte delli attuali nobili sono poco ricchi. Quelli che hanno per un tempo esercitata con buon successo la mercatura, ed assicurato un patrimonio amano regolarmente ritirarsi dai risici. Non resterebbero volentieri nella classe della plebe. e se non trovas-sero uno stato decoroso qui lo cercherebbero altrove dove trasporterebbero i loro fondi. Onde l’accordare la nobiltà nei casi nei quali convenga è un favorire nel tempo stesso la mercatura. I casi ne’ quali può convenire di accordarla credo che siano quelli nei quali il postulante non sia esso medesimo sortito dalle ultime classi, ma sia già nato da qualche mercante o da qualcuno che si trattasse civilmente, abbia altresì assicurato uno stato di civiltà con matrimonio nobili, o assai civili, ed abbia un bastante patrimonio in stabili, o fondi pubblici oltre quello che avesse nella mercatura. Nel biglietto di Vostra signoria Illustrissima mi si nominano i figli del signor Giuseppe Calamai. Questi sono figli di mercante, hanno contratto tutti matri-moni nobili. Uno di essi ha per moglie una ricci, hanno maritate le loro sorelle, una al signor cavalier sproni, una al vice ammiraglio Kalalinof, ed una al general Tamarra. Non è dubbia la loro ricchezza. possiedono degli stabili ed altri pos-sono obbligarsi in dato tempo ad acquistarne, e ne hanno già l’intenzione, senza pregiudicare a quel ramo di commercio che fanno molto largamente43�.

Insomma, anche per giudicare la nobiltà, a Livorno valevano cri-teri diversi da quelli validi altrove, e andava interpretata quindi in maniera flessibile non solo la legge del �750, ma anche il regola-

43� asLi, Governo, copialettere, 983, cc.�5�r-v, lettera del governatore Francesco seratti al segretario della deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza a Firenze, Luigi Gaulard, in data �3 luglio �79�.

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mento comunitativo del �780: se infatti quest’ultimo all’articolo 6� prescriveva per i non toscani l’imposizione di una tassa di �00 scudi, «l’usanza livornese aveva introdotto l’osservanza che i forestieri rico-nosciuti nobili ed ascritti alla nobiltà di Livorno erano stati esentati dalla tassa»43�.

3.Glianninovanta:GovernarelivornotraPoliziaeconsenso

Francesco seratti ottenne la nomina a governatore di Livorno il 6 aprile �789 e così se ne profilarono, in sintesi, le competenze:

sua altezza reale elegge alla carica di governatore della città e porto di Livorno il suo consigliere intimo attuale di stato cavaliere Francesco seratti con la prov-visione, facoltà ed obblighi a detta carica annessi. essendo stato trasferito nel generale comandante che dovrà risiedere in Firenze, il comando delle truppe resterà da questo dispensato il signor governatore. spetterà al medesimo anche il comando militare della piazza di Livorno, e del litorale, per ciò che spetta alla sanità e della divisione di marina di Livorno. Il comando della divisione di ma-rina di portoferraio spetterà al governatore di quel porto con la condiscendenza del governatore di Livorno433.

La formula di questa investitura suscitò le perplessità del pierallini, il quale non esitò a riferirle allo stesso seratti, sia a voce che per scrit-to, facendo presente la «necessità che vi sarebbe di diverse dichiara-zioni ed aggiunte», soprattutto in merito al comando della guarni-gione di Livorno e del litorale, e riassumendo i dubbi già espressi al tempo delle istruzioni del Barbolani434.

43� asLi, Governo, copialettere, 984, cc.8�r-84v, lettera del governatore Francesco serat-ti al segretario della deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza a Firenze, Luigi Gaulard, in data 6 maggio �793. seratti si preoccupò anche di sollecitare il gonfaloniere ed i priori della Comunità livornese affinché informassero con accuratezza la deputazione fiorentina dei requisiti necessari per ottenere l’ammissione alla classe della cittadinanza di Livorno, oltre alla trasmissione di un registro con la nota esatta di tutte le famiglie che ne risultassero ascritte e di quelle sospese per mancanza di censo o altrimenti ammesse al beneficio dei sus-sidi in base alla legge del �750, in ibidem, cc.�95v-�96r, in data 7 settembre �793.

433 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 53�, prot.7, ins.83, motuproprio di nomina del governatore di Livorno, Francesco seratti, dato il 6 aprile �789. In qualità di consigliere inti-mo di stato e di finanze venne nominato il senatore Francesco maria Gianni, ibidem, prot.7, ins.8, motuproprio in data 8 aprile �789.

434 asLi, Governo, copialettere, 980, cc.�35r-v, l’auditore pierallini al governatore Fran-cesco seratti, in data 5 giugno �789. si faceva riferimento alle già viste osservazioni inviate insieme al progetto di istruzioni per il Barbolani al degli alberti in data 4 febbraio �78�.

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pierallini era consapevole dell’ormai improcrastinabile necessità di avere un quadro che fosse il più completo possibile dell’istituzione e avviò la stesura del voluminoso regesto che costituisce a tutt’oggi la più completa raccolta delle prerogative del Governo di Livorno. Tale operazione rispondeva al duplice scopo di colmare una lacuna con-vertitasi ormai in un vero e proprio problema di gestione degli affari cittadini, ma rappresentava anche il tentativo di ridimensionare una volta per tutte gli altrimenti troppo ampli margini di discrezionalità ed arbitrio del governatore e che, in un’ottica accentratrice dell’am-ministrazione, non potevano essere più tollerati.

Ciò corrispondeva a pieno anche alle intenzioni leopoldine, infatti, congiuntamente alla nomina del seratti, si provvide ad una riforma dei ministeri fiorentini dotati di competenze sugli affari livornesi. Il motuproprio granducale del 30 marzo �789 ordinò la separazione dalla segreteria di stato del consiglio sugli affari militari, in deroga al precedente motuproprio del 4 aprile �784, e la sostituzione del mi-nistro agli affari militari che vennero affidati al general comandante delle truppe e alla ex segreteria di guerra, ora soppressa e denomina-ta segreteria degli affari militari435. Il cavalier colonnello conte ram-baldo strasoldo fu investito del rango di generale e comandante delle truppe in Toscana, nonché soprintendente alla segreteria degli affari militari, mentre il cavalier Gherardo maffei fu nominato aiutante generale del comando militare e segretario del dipartimento degli affari militari. Le istruzioni per lo strasoldo prevedevano l’obbligo di vigilare sul buon ordine dei corpi armati e d’impedire frodi e con-trabbandi, contemplando il potere di comando su tutti i governatori in qualità di superiore gerarchico, ma riservando espliciti margini di autonomia al governatore di Livorno: Come generale comandante, avrà il comando di tutto lo stato militare, ufiziali, governatori, stato maggiore delle piazze e fortezze, battaglione d’artiglieria e ge-nio, e specialmente il comando della guarnigione di Firenze, eccettuato il corpo delle guardie reali palatine il di cui comandante dipenderà immediatamente da sua altezza reale, la piazza di Livorno e il littorale che dipenderà dal governa-tore di Livorno, e la marina le di cui divisioni dipenderanno respettivamente dal governatore di Livorno e da quello di portoferraio, che per la divisione esistente in portoferraio dovrà render conto al governatore di Livorno436.

435 asLi, Governo, lettere civili, 38, cc.�76r- �8�r, seratti da Firenze il 3� marzo �789 al commissario di guerra spadini.

436 Tutto in asLi, Governo, lettere civili, 38, cc.�77r-�80r.

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a distanza di pochi giorni, il granduca volle unificare le due se-greterie di stato e di finanze (pur conservando separati i due diparti-menti, ministri ed archivi) in un solo dicastero, denominato segreteria del consiglio e diretto da un primo direttore. Costui avrebbe avuto il compito di riferire direttamente al sovrano sugli affari esteri e relativi al Governo di Livorno in materia di franchigie, neutralità, diritti del porto (se connessi con gli affari esteri) e, a sua volta, avrebbe ricevuto gli ordini sovrani in dette materie con l’autorità di farli eseguire tra-mite la segreteria di stato437.

Intanto, a Livorno, si regolamentavano le modalità del funziona-mento quotidiano del potere, designando luoghi pubblici deputati e orari di lavoro, fissando formule, insegne e simboli da attribuire ai consoli stranieri ed a quelli toscani all’estero438.

ai primi di giugno del �789, approfittando del fatto che il nuovo governatore non aveva ancora dato ufficialmente inizio al proprio in-carico, pierallini inviò al granduca le istruzioni integrative che ritene-va utile aggiungere con un motuproprio suppletivo alla patente di no-mina dell’aprile. erano trentatrè articoli dedicati al comando militare sopra tutti i presidi delle coste ed isole toscane, «nel modo istesso che gli è stato attribuito sopra la guarnigione di Livorno», oltre che in ambito di sanità, neutralità, conservazione e tutela della giurisdizione sovrana e dei regi diritti, della navigazione e della pesca439.

Le proposte di pierallini vennero accolte solo in parte, come egli stesso commentò ad antonio serristori avanzando qualche interes-sante puntualizzazione al proposito:

Ho ricevute le instruzioni che Vostra eccellenza ha favorito accompagnarmi con la sua stimatissima del �6 stante ed eseguisco i suoi ordini ritornandole quelle che mi aveva rimesse in data de’ �3440. Osservo che la sola variazione

437 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 53�, prot. 7, ins.�5, motuproprio di riunione in una segreteria del consiglio delle due segreterie di stato e di finanze, dato il 6 aprile �789. Ibidem, inss.�6 e �7, per gli ordini ed istruzioni per le due segreterie riunite e i motupropri di nomina.

438 si determinò una formula precisa di investitura e rappresentazione della nazione d’appartenenza attraverso simboli visibili quali una divisa ufficiale, le insegne e la bandiera sull’abitazione principale del console.

439 asLi, Governo, copialettere, 980, l’auditore pierallini al granduca in data 5 giugno �789, cc.�36v-�39v.

440 Questo secondo invio fu dovuto al fatto che il serristori aveva erroneamente inviato al pierallini una copia con «qualche sbaglio» nella trascrizione, ed aveva quindi provveduto alla trasmissione di una nuova versione corretta. asLi, Governo, lettere civili, 38, c.553r, an-tonio serristori al pierallini in data �6 giugno �789.

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dell’una all’altre consiste nell’art.33, ove ora si dice che i capitani comandanti del littorale rimetteranno all’auditore consultore gli affari di sanità, ed il mede-simo gli spedirà gli ordini. Vedo che è stato appreso quanto potrebbe soffrirne il buon servizio, se i rapporti dovessero farsi al comandante militare e questo dovesse concertare gl’ordini da darsi con l’auditore consultore, come era stato detto nelle prime. ma non son soli gli affari di sanità che riecheggiano la più sollecita speditezza e possono esser pregiudicati dalla formalità e dilazione nel concertare gli ordini, questo istesso riguardo ha luogo egualmente quanto alla neutralità, alla giurisdizione, a regii diritti, alla navigazione e alla pesca, che possono richiedere un sollecito provvedimento con l’arresto di bastimenti e persone o altri passi e vie di fatto. per questo nel mio progetto avevo proposto che il comando del littorale passerebbe in chi fa le funzioni di pro-governa-tore. Vidi che ciò non era approvato e tacqui, per che non si potesse dubitare in me sete di autorità, dalla quale son molto lontano, protestandomi di avere unica-mente a cuore il bene del servizio e mi riserbavo a fare le convenienti rimo-stranze alla prima occasione. ma vedendo ora che è stato appreso l’accennato inconveniente e vi si vuol rimediare, mi trovi in obbligo di esporre che egli è tolto solo in una parte, cioè quanto alla sanità, ma resta per tutti gl’altri oggetti e che non si potrebbe spiegare per che la guarnigione di Livorno, il corpo di marina e la compagnia d’artiglieria debbano eseguire gli ordini del pro-gover-natore sopra tutti gli oggetti concernenti il politico, e civile, come si dice al § «nel qual caso» ed i comandanti e castellani del littorale devono eseguirli solo quanto alla sanità. mi parrebbe adunque che dovesse farsi un’altra variazione all’art.33, e dovesse ridursi, come nell’annesso foglio, togliendo intanto una specie di ripetizione che ora si incontra nel medesimo, giacché tolta di mezzo la differenza fra il comando della guarnigione e quello del littorale una sola disposizione deve determinare ambedue questi articoli. Vostra eccellenza farà di queste riflessioni quel caso che le parrà e che possano meritare ed io frattanto ho l’onore di confermarmi col più profondo rispetto44�.

44� L’auditore pierallini al senatore serristori, in data �9 giugno �789, asLi, Governo, copialettere, 980, cc.�49v-�50v. Conseguentemente, il nuovo articolo 33 ipotizzato da pie-rallini sarebbe dovuto essere il seguente: «In caso d’assenza o impedimento del governatore, il comando della Guarnigione di Livorno e quello del littorale passerà nel colonnello del reggimento o nell’ufiziale più anziano di maggior grado. Il comando poi della marina e della Compagnia d’artiglieria resterà nei respettivi comandanti interni di detto corpi. Del Gover-no civile resterà incaricato l’auditore consultore come pro-governatore e la giurisdizione di Livorno, la marina di guerra, e la compagnia di artigliera ed i comandanti, castellani e capi posti del littorale e dell’isole spediranno al medesimo i rapporti e da lui riceveranno gl’ordini per tutto ciò che riguarda gl’affari di sanità, neutralità, conservazione, rispetto alla giurisdi-zione sovrana, regi diritti, navigazione e pesca», sottolineato nel testo originale.

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Il serristori, pur concordando con quanto osservato, replicò al pierallini di inoltrare personalmente un rapporto formale al sovrano in occasione della prima assenza del governatore, quando gli incon-venienti esposti sarebbero divenuti evidenti e fosse incontrovertibile l’opportunità di introdurre le proposte modifiche44�. Le istruzioni furono così ratificate dal granduca al seratti fin dal �4 giugno, men-tre le ulteriori indicazioni suggerite dall’auditore vennero recepite solo in un secondo momento, con una piccola aggiunta a correzione dell’articolo 33443. Il corpus completo delle istruzioni sul governo mi-litare si componeva di tre distinti documenti destinati rispettivamente al seratti, al colonnello comandante del reggimento reale toscano e ai comandanti delle compagnie del litorale.

sostanzialmente si confermavano al seratti ampie prerogative in fatto di comando militare: l’autorità suprema sulle forze armate pre-senti in città, su tutto il litorale, sui castellani e sui presidi della costa e delle isole, in merito agli affari di sanità e di neutralità, alla tutela della giurisdizione del granduca, quanto al rispetto dei diritti regi, della navigazione e della pesca. si stabilivano precisi obblighi d’in-formazione e d’obbedienza verso il governatore da parte di tutti i comandanti ed ufficiali dei distinti corpi militari, del reggimento regio, della guarnigione e della marina da guerra, dei comandanti delle diverse compagnie costiere e delle isole, in merito allo stato delle strutture d’avvistamento e di difesa, degli approvvigionamenti militari e della nomina ed eventuale sostituzione delle risorse umane impegnatevi. Dal governatore dipendeva interamente il Bagno dei forzati e sua era l’autorità di aprire le porte della città in via straordi-naria. Quanto al governo civile, si rimetteva alle istruzioni impartite

44� asLi, Governo, lettere civili, 38, c.586r, antonio serristori al pierallini, da Firenze, in data �0 giugno �789.

443 asLi, Governo, lettere civili, 39, c.68r-v, dalla segreteria degli affari militari, antonio serristori e Gherardo maffei, al governatore di Livorno Francesco seratti, Firenze, li �8 luglio �789: «sua altezza reale si è degnata di approvare la variazione proposta da Vostra eccellenza all’art 33 delle Istruzioni de’ �3 giugno, nel quale si prescrive che in mancanza o in assenza del governatore devino i capitani comandanti rimettere all’auditore consultore i rapporti di affari di sanità che li perverranno dai castellani e capi posti e potendo ciò portare troppo ritardo in pregiudizio di detti affari, accorda che devino i detti castellani e capi posti del littorale passare direttamente tali rapporti all’auditore del governo, e da esso ne ricevino gl’ordini, in conseguenza è che quanto viene prescritto in detto articolo per la sanità abbia luogo ugualmente per i rapporti che possono interessare la neutralità, giurisdizione sovrana, pesca e diritti regi».

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al Bourbon del monte il primo ottobre del �746 e successive integra-zioni del �6 aprile e 5 luglio �774. si disciplinava poi con precisione il da farsi in caso di assenza o di impedimento del governatore incari-cato: ai corrispondenti superiori gerarchici per le competenze pretta-mente militari, all’auditore consultore – in veste di pro-governatore e con maggior autorità rispetto ai militari – per tutte le altre444.

La formula da usarsi per i cerimoniali di investitura del nuovo go-vernatore creò qualche preoccupazione al pierallini445, che sul tema avviò un fitto carteggio con Firenze. Il seratti, infatti, era dotato delle stesse onoreficenze e «un’autorità anco più estesa del governatore Ginori», perché vi aggiungeva il comando della guarnigione e del litorale, ma per quella più antica presa di possesso erano stati resi gli onori dai corpi militari e dai bastimenti presenti in rada con dei colpi di cannone, ritenuti eccessivi nella presente occasione. rispetto invece alle cerimonie di del monte e Barbolani, più discrete, vi era-no comunque delle differenze perché questi avevano potuto esibire l’uniforme militare, mentre il seratti non aveva grado militare. si sarebbe forse potuto ovviare facendogli indossare l’abito dell’Ordine di santo stefano, che aveva vestito solo pochi anni prima, il �5 aprile �784 e non per giustizia, bensì come collatario di commenda conferi-tagli per grazia granducale446. alla fine, si determinò che la cerimonia ricalcasse le modalità già seguite dal Barbolani447, limitando però in

444 asFi, Segreteria di guerra (1747-1808), �68, ins.�8, «Istruzioni concernenti il governo militare di Livorno», in data �3 giugno �789. Il testo è riportato integralmente in appendice. In ibidem si trovano anche le «Istruzioni concernenti il governo militare di Livorno per il colonnello comandante il reggimento real Toscano», in diciannove articoli, e le «Istruzioni concernenti il governo militare di Livorno per i comandanti le compagnie pel littorale», en-trambe repliche pressoché identiche del documento redatto per il governatore.

445 asFi, Segreteria e ministero degli esteri, 937, ins.�0, «regolamento e funzioni da osservarsi in occasione del prendersi possesso del Governo di Livorno da sua eccellenza il cavalier seratti».

446 aspi, Ordine di Santo Stefano, 40�, ins.8. In occasione della presentazione del com-parente ai Dodici cavalieri dell’Ordine per vestire l’abito come collatario delle commende conferitegli con motuproprio granducale del 5 aprile �784, con dispensa dall’obbligo di pagamento della tassa di passaggio, si offrì un breve profilo del neo cavaliere: «è gentiluomo di vita, costumi e qualità nobili, corrispondenti ai suoi nobili natali [era figlio dell’auditore agostino seratti e di Vittoria pecci], di bella e grata presenza, sano di corpo, atto agli eser-cizi militari e cavallereschi, non macchiato d’infamia, né eresia, e non aver avuta origine da infedeli, ed esser in età d’anni 48 circa per esser nato il dì �8 luglio �736, come dalla fede di suo battesimo». si allegava anche copia di una fede della Decima su due casa di sua proprie-tà poste in Firenze. per la differenza tra le due modalità di ingresso nell’Ordine, per giustizia o per grazia, si veda supra.

447 Istruzioni dal serristori al capitano Gherardo maffei e al pierallini sulle modalità del-

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ogni caso, se si fosse verificato il tiro a salve da parte dei bastimenti in rada, il numero delle cannonate di risposta per ogni «nazione» a non più di sette ciascuna. Dalla relazione «delle formalità praticate in occasione del possesso» tenutosi il 30 giugno successivo, si apprende che il nuovo governatore civile e militare della città, porto e giurisdi-zione di Livorno, comandante del litorale, presidente di sanità, in-dossando la divisa stefaniana448, ricevette gli onori offerti dalle forze armate e dagli ufficiali presenti in città, i saluti del gonfaloniere e dei rappresentanti il pubblico livornese, partecipò al Te Deum celebrato in duomo e, infine, dopo la lettura del motuproprio di investitura del 6 aprile da parte del cancelliere della Comunità, prestò giuramento per l’osservanza degli statuti cittadini449.

Di lì a poco, tra la fine di maggio ed i primi giorni del giugno �790, il governatore si trovò coinvolto nei fatti che sconvolsero Li-vorno, noti come i tumulti di santa Giulia. Dall’analisi condotta da precedenti studi dedicati a tali avvenimenti450, è necessario ricordare almeno due elementi, entrambi capaci di confermare il perdurante potere, prestigio e carisma politico del governatore sulla città.

Il primo fu la sostanziale autonomia con la quale le autorità lo-cali, governatore e auditore, diressero le operazioni di repressione contro i responsabili della sommossa, assumendo un atteggiamento più conciliante rispetto alle indicazioni drastiche promosse da pietro Leopoldo, ormai a Vienna, e dal consiglio di reggenza45�. Questa

la presa di possesso del governo di Livorno, del �3 giugno �789, in asFi, Segreteria di guerra (1747-1808, �68, ins.�8, e comunicazione del conte strasoldo dalla segreteria degli affari militari, stessa data, al pierallini, in asLi, Governo, lettere civili, 38, c.540r.

448 Comunicazione dell’auditore pierallini ai gonfalonieri e priori della Comunità, in data �5 giugno �789, nella quale s’informa come in occasione della presa di possesso ed in tutte le altre uscite pubbliche il seratti possa vestir l’abito dell’Ordine di santo stefano, in asLi, Governo, copialettere, 980, cc.�45r-v.

449 asFi, Segreteria e ministero degli esteri, 937, ins.�0, cc.n.n., lettera di pierallini a Gherardo maffei, in data 8 giugno �789; altra del serristori al maffei, da Firenze, in data �3 giugno �789 e altra del pierallini al senatore serristori da Livorno, in data primo luglio �789.

450 G.tUri, «Viva Maria». La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenze, Olschki, �969, pp. 3-�5 e soprattutto C.manGio, Politica toscana e rivoluzione. Momenti di storia livornese (1790-1801), pisa, pacini, �974.

45� C.manGio, Politica toscana e rivoluzione, cit., pp. 5-�4 e Id., La polizia toscana, cit., pp. �09-��0. In sintesi, in una lettera al governatore seratti del 4 giugno �790, il consiglio di reggenza scrisse come non si fosse «approvato che al principio del tumulto, dopo di es-sere stato mostrato l’apparato della forza e averla adoprata con successo, fosse fatta ritirare la truppa e fosse il popolo lasciato in libertà di commettere quante violenze voleva». Ci si aspettava, invece, dal seratti, che non mancasse «di far uso delle forze che sono a sua di-

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differenza d’approccio costò al pierallini una ben dura reprimenda, fu criticato dal consiglio di reggenza e dal granduca per non aver saputo risolvere il moto con la necessaria fermezza e ricevette non troppo larvate accuse di collusione coi colpevoli45�. al seratti, il qua-le tentò di difendere l’operato dell’auditore addossando la respon-sabilità dell’accaduto all’impreparazione e all’insufficienza numerica delle truppe453, furono diretti altrettanto contrariati richiami perché si adeguasse agli ordini ed usasse tutto il rigore possibile contro i ri-belli454. È difficile dire fino a che punto queste direttive ottennero gli effetti sperati per la messa in atto di un potere governativo maggior-mente severo e intransigente. È vero però che, certo della correttezza delle proprie posizioni e di conservare una paterna benevolenza nei confronti della popolazione livornese, l’auditore perorò la conces-

sposizione per impedire ogni ulteriore arbitrio per la parte del popolo contro la roba, cose e persone di codesti abitanti», asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 538, prot.��, ins.�.

45� «La condotta dell’auditore pierallini è stata molto vergognosa, e pusillanime, ed è stata cagione che sono seguiti più inconvenienti non lasciando operare il militare quando era tempo. Quel che non si può comprendere che non ostante gli ordini reiterati non si sia mai potuto o voluto trovare gli autori, promotori e fomentatori di questi sussurri, il che in un tumulto popolare doveva essere estremamente facile. [...]. pare dunque che oltre all’esservi delle personalità, il Governo col suo contegno non solamente riguardi indifferenti questi rumori, ma quasi li gradisca, li tolleri e li approvi». asLi, Governo, lettere civili, 4�, cc.���r-���v.

453 Il 7 giugno seratti riferiva al serristori di un reggimento composto da pochi soggetti validi. «Il cattivo esito dell’affare del 3� luglio non si deve che alla mancanza di subordina-zione. allora non mi trovai qui io, né viddi personalmente le circostanze ma compatisco se doppo un principio sì infelice, si disperò di poter far nulla con un pugno di due o trecento di tali soldati contro sette o ottomila paesani furibondi, e sopra di ciò mi rimetto a quanto espone nell’annesso biglietto il signor auditore pierallini, al quale conviene rendere la giu-stizia che espose in tale occasione anco la propria vita». asLi, Governo, copialettere, 98�, cc.��5r-��6r.

454 Il � luglio, il presidente del Buon Governo Giuseppe Giusti, con approvazione del sovrano, inviava al governatore «per sua regola e governo», una comunicazione di condan-na delle posizioni recentemente adottate a Livorno di non punire i tumultuanti, ma solo i responsabili di arbitrii, violenze e insulti che fossero stati commessi posteriormente. per il Giusti tale decisione era stata di cattivo esempio ed aveva già portato deleterie conseguenze in tutto il granducato, oltre a rendere «sempre più animosa la plebaglia livornese». L’unica cosa da farsi era piuttosto quella di sottoporre tutti a processo, ma «siccome perché tutto ciò fosse eseguito con buon successo sarebbe necessario che, lungi da ogni timore, si agisse dal ministero, dagli uffiziali, e dai soldati ed esecutori con coraggio e fermezza, requisiti che nelle presenti circostanze non mi pare di ravvisare in tutti i referiti, nei quali anzi sembra che abbia preso luogo la costernazione ed il timore», si rimetteva la decisione al sovrano. assolutamente insostenibile, invece, si giudicò la decisione governatoriale di esiliare «econo-micamente» da Livorno tutti i rei e delinquenti, provvedimento che anzi si temeva avrebbe contribuito a spargere tali facinorosi per tutto il granducato. asLi, Governo, lettere civili, 4�, cc.300r-30�r.

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sione di sussidi per garantire il sostentamento delle famiglie dei rei coinvolti nei tumulti455 mentre, per contro, il consiglio di reggenza dava disposizioni al seratti di pubblicare l’editto che reintroduceva la pena di morte «per tutti quelli che infiammeranno, solleveranno o si metteranno alla testa del popolo»456.

L’altro aspetto, in parte conseguenza ed effetto del primo, è la constatazione dell’esistenza di un rapporto di fiducia e rispetto che la popolazione livornese conservava con i due principali rappresentanti del Governo labronico. Ne costituisce riprova la decisione dell’audi-tore pierallini di scendere a patti coi rivoltosi anziché sparare sulla folla457. Lo dimostrerebbe anche l’efficacia con la quale la popolazio-ne tumultante accolse le assicurazioni e le promesse del seratti, riti-randosi in buon ordine ed affidando a quest’ultimo il compito di rap-presentare le proprie ragioni. Consenso sociale e mediazione costitui-vano ancora la chiave sulla quale si basava il potere del governatore, nonostante i caratteri di quella mediazione fossero già mutati, sempre meno sinonimo di compromesso e tutela, e sempre più ispirati alla moderna «ragion di stato»458. Niente di simile sarebbe accaduto solo dieci anni dopo, soprattutto all’indomani dell’invasione del �799 e ancor più dopo il �847, in piena restaurazione, quando il ricorso alle armi da parte delle masse popolari rappresentò l’unica valida alterna-tiva di difesa e il governatore era percepito non come un alleato sul quale confidare, ma solo uno dei nemici da contrastare459.

Il Governo e l’autorità che rappresentava seratti trovavano invece ancora la propria legittimazione nella ricerca del consenso sociale, per mantenere il quale si doveva saper rispondere alle attese della popolazione livornese. Nella ricerca dell’equilibrio tra le diverse for-

455 asLi, Governo, copialettere, 98�, cc.�65v-�68r, in data �4 settembre �790.456 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 539, prot.�4, ins.��, il segretario Gilkens al go-

vernatore seratti, in data � luglio �790.457 Il pierallini, da parte sua, così si difese dalle accuse in una lettera del 7 giugno del

�790 al governatore seratti: «Non credo che alcuno potrà tacciarmi d’indolenza o di pusil-lanimità in quella occasione, essendo pubblico il coraggio col quale esposi la mia persona. […]. e vi si aggiunse l’opinione che il paterno cuore di sua maestà volesse prima tentate tutte l’altre vie che la strage del suo popolo, ed il mio naturale aborrimento alla medesima. In un caso di tanta urgenza non vi è tempo di maturare l’idea e di bilanciare i compensi, ma ognuno si apprende a quelli che nel momento crede i migliori», in asLi, Governo, copialet-tere, 98�, cc.��0v-��3r.

458 si evince da una lettera scritta dal pierallini al governatore seratti, in data 9 giugno �790 [ma scritta il 7 luglio], asLi, Governo, copialettere, 98�, in cc.��0v- ��3r.

459 C.manGio, Politica toscana e rivoluzione, cit., pp. �8�-�84.

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ze sociali espresse dalla città, emergono con grande forza i gruppi di pressione dei quali si doveva temere l’insoddisfazione: la comunità ebraica, i ceti mercantili, il popolo del quartiere di Venezia, le «na-zioni», i lavoratori del porto. L’attenzione per la pubblica tranquilli-tà, l’esigenza cioè di garantire la pace sociale ai fini del «buon reggi-mento», ebbe importanti riflessi anche nel crescente coinvolgimento del Governo labronico nella tutela della sicurezza. pochi mesi prima della nomina del seratti, pierallini aveva già inoltrato una accurata memoria al Buon Governo suggerendo i provvedimenti necessari per porre rimedio ai maggiori problemi della società del tempo, e cioé: il «lusso smoderato», il «gioco vizioso», la presenza di «forestieri vaga-bondi e donne di partito», e le «frequenze all’osterie, specialmente in campagna». Quanto al «lusso», scriveva:

Non può negarsi che a Livorno vi sia del lusso, specialmente nelle più larghe abitazioni, e ne’ mobili, nella tavola e negli abbigliamenti delle donne e in di-verse altre spese voluttuose, come frequenti viaggi a pisa e altri luoghi vicini, partite di campagna e simili. Non saprei proporre dei provvedimenti efficaci a raffrenarlo460.

Le leggi suntuarie erano a stento rispettate, facilmente eludibili e di dubbia utilità da un punto di vista economico. L’unico rimedio per limitare il lusso era «la persuasione», che nasceva solo dallo «spi-rito di patriottismo e dall’educazione». Il primo era «poco sperabile in Livorno, ove quelli che fanno la principal figura sono forestieri e, per questa ragione medesima, non può sperarsi un sistema di educa-zione regolato ed uniforme». Inoltre, aggiungeva, «io vedo in Livorno una classe di persone il lusso delle quali è più tosto giovevole, questi sono i nazionali stranieri che fanno il principal commercio», come le imprese commerciali inglesi ed amburghesi, e nel loro caso non era certo un male che spendessero «tutti i loro lucri, così questi circolano in Livorno». Del resto, spiegava ancora il pierallini:

La professione di negoziante in Livorno è molto faticosa, e legata, e rari sono quelli che vogliono sopportarne gli incomodi dopo essere arricchiti, onde i na-zionali per lo più non la continuano se non per soddisfarsi, facendosi un trat-tamento signorile e quando sono arricchiti in conseguenza, o di una lodevole frugalità, o di qualche fortunata combinazione, che gli produce di più della

460 asLi, Governo, copialettere, 980, cc.65r- 70v, il pro-governatore pierallini, il �6 mar-zo �789, al presidente del Buon Governo.

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spesa che fanno, abbandonano regolarmente questo commercio e ritornano alla loro patria a fare una vita tranquilla o ad esercitare il traffico in una maniera più comoda e meno penosa. ed è quasi unico l’esempio di sapte, che – dopo avere abbandonato il commercio – resta in Livorno a godere i frutti delle ricchezze accumulate nel medesimo46�.

L’auditore riteneva quindi di «contentarsi che il Governo faccia sentire alle occasioni non esser di gradimento del sovrano il lusso fra i sudditi, senza darsi pensiero degli esteri». era per altro un errore attribuire al lusso la responsabilità del gran numero di fallimenti che si registrava negli ultimi tempi. Una cosa del tutto normale, si diceva, a Livorno c’erano sempre stati fallimenti, ed anzi da qualche anno si assisteva a un nuovo rifiorire sia della città che del suo commercio. La popolazione cresceva, era aumentata di duemila individui solo nell’ultimo quinquennio, e così pure il numero dei bastimenti che avevano attraccato in porto. I presagi non erano buoni per l’anno in corso, il �789, ma ciò a causa dei conflitti europei, perché «la guerra è una sorgente di felicità per il commercio di Livorno, ma non mai nel suo principio, quando non vi sono interessate le nazioni che sogliono navigare di più nel mediterraneo». Quanto poi al «giuoco vizioso», non se ne denunciava una pratica eccessiva in città, «se non verso la fine del Carnevale ed il giuoco più tosto forte, che si fa continua-mente, segue fra pochi nazionali, rispetto a quali si è sempre creduto di dover dissimulare». I giochi d’azzardo, anche impiegando poste molto alte, erano praticati soprattutto dagli inglesi, ma, d’altro canto, lo si usava anche nelle «conversazioni» che si davano dal governatore Barbolani da montauto. «Quanto a’ forestieri vagabondi e donne di partito, altro non può farsi che procurarne l’allontanamento, come si è praticato finora».

Dal febbraio �788 il numero dei vagabondi allontanati dalla città e le prostitute «mortificate» con il carcere o mandate alla casa di cor-rezione era stato molto alto, seppur senza raggiungere l’esito sperato. Non era infatti semplice tenere sotto controllo simili individui, e il presidente del Buon Governo che per tanti anni era stato impiegato

46� Ibidem. si fa riferimento alla società commerciale «sapte & sons», di peter e Thomas sapte, esponenti della cosidetta British Factory in m.d’anGelo, «The Scale or Magazin of an Universall English Trade». Mercanti inglesi a Livorno in età moderna, in Rapporti diplomatici e scambi commerciali nel Mediterraneo moderno, a cura di m.mafrici, soveria mannelli (CZ), rubbettino, �004, pp. 3�7-350 e in particolare p. 346.

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presso il tribunale criminale di Livorno poteva ben capirlo: «ne capi-tano continuamente infiniti dalla parte di mare come deve succedere in un porto frequentato, e ne vengono anche dalla parte di terra». Quanto infine alla frequenza delle osterie, era inevitabile che ve ne fossero sempre in maggior numero a Livorno che nelle altre città granducali, non solo per «l’immenso numero dei forestieri» di pas-saggio, ma anche perché fra gli abitanti ve ne erano moltissimi «senza famiglia» e quindi costretti a mangiare fuori casa. Ciò nonostante, l’auditore riteneva consigliabile ridurre il numero dei locali di campa-gna, un provvedimento già introdotto ed attuato anche in passato46�.

Grazie allo studio sui rimedi per questi «vizi minori», ai quali van-no affiancati gli sforzi del governatore seratti per «purgare questa cit-tà dai forestieri di cattivo carattere o sospetti»463, si sperimentavano nuovi metodi di amministrazione della giustizia, mossi dall’esigenza che il potere costituito garantisse forme di controllo e riduzione della criminalità, introducendo efficaci misure di dissuasione, prima, e pu-nizione, detenzione ed eventuale recupero dei delinquenti, poi. Fin dagli anni Ottanta, e ancor più a seguito della riforma della giustizia e dell’introduzione del nuovo codice penale leopoldino464, si osserva

46� Ibidem.463 Quello dell’immigrazione massiccia a Livorno di persone, spesso colpevoli di crimi-

ni o perseguitati politici, che raggiungevano la città via mare (corsi, soprattutto, ma anche genovesi e napoletani e poi, più avanti, francesi) fu un problema di crescente gravità per il governatore locale. Una delle difficoltà principali era quella di assicurare che quanti ve-nivano cacciati da Livorno non restassero in Toscana. La pena dell’esilio dal granducato, considerata di particolare gravità, non era però più contemplata tra le facoltà governatoriali secondo il disposto della legge criminale del 30 novembre del �786. al governatore compe-tevano solo l’allontanamento per non oltre i sei mesi dal Capitanato e per il raggio di cinque miglia. asLi, Governo, copialettere, 98�, cc.�64r-v, ���r-��3v, ��5v-��6v, ��6r-��8r, tutte del seratti al serristori, in richiesta di informazioni, nel luglio del �790, e c.�49v di pierallini al serristori del �7 agosto successivo.

464 per le indicazioni sulle più interessanti e recenti letture del riformismo leopoldino, te-so tra l’introduzione di riforme legislative e l’allestimento di più efficaci strumenti di verifica e controllo, intervenendo sui sistemi dell’amministrazione e delle strutture istituzionali de-putate alla giustizia ed alla repressione, si rimanda a F.colao, «Iustitia est anima civitatis». Note sugli studi sulla giustizia criminale toscana in età moderna, in Amicitiae pignus. Studi in ricordo di Adriano Cavanna, a cura di a.padoa schioppa-G.Di renzo Villata-G.p.massetto, milano, Giuffrè, �003, I, pp. 545-590 ed ai due saggi di a.contini, Orientamenti recenti sul Settecento toscano, in La Toscana in età moderna, cit., pp. 93-��7 e in particolare pp. ��4-��0, e F.colao, La giustizia criminale come momento di identità dello Stato toscano. Note storiografiche, in ivi, pp. ��9-�75. sulla Leopoldina, si veda l’importante edizione critica in D.zUliani, La riforma penale di Pietro Leopoldo, milano, Giuffré, �995, in due volumi. Utile anche G. Pansini, La giustizia criminale Toscana nelle riforme di Pietro Leopoldo, in Atti e memorie della Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze, n. s., LXV, �003, pp. 303 e ss.

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anche a Livorno una rinnovata attenzione delle istituzioni rivolta a questi aspetti465. Le notizie inviate a Firenze in merito ai delitti, ai processi ed alle pene inflitte restituiscono un quadro dettagliato della criminalità livornese e della repressione giudiziaria che vi si praticava. Le eccezioni alla regola nella pratica penale sono molte, e rientrano tutte in un apparentemente infinito numero di casi afferenti alla condizione anomala, e quindi soggetta a speciali tutele, di Livorno. La giustizia diventa insomma qualcosa di intermedio tra un mezzo di pressione e un valore astratto.

L’azione giudiziaria svolta dal governatore è per molti aspetti, an-che in questo caso, come un sistema aperto, dai confini poco definiti. La conservazione della pace sociale era garantita soprattutto dal suo impegno personale e da quello dei suoi funzionari, fino a risultare difficile distinguere l’istituzione dall’uomo che la incarna: il governa-tore, e con lui l’auditore, esercitavano la propria influenza attraverso il ricorso alle conoscenze e alle reti relazionali. Qui si trova anche la chiave del ruolo cruciale svolto dal pierallini. soprattutto durante gli incarichi del Barbolani e del seratti, è alla sua esperienza che ci si af-fidava per rendere efficace l’azione del Governo. mercanti, negozian-ti, capitani e consoli rivendicavano l’intervento della giustizia facendo appello non solo a norme o privilegi acquisiti in via di prassi, ma in virtù di relazioni confidenziali esistenti con gli ufficiali del Governo, e da queste dipendeva anche l’esito dei processi ove erano (o riusci-vano a non essere) implicati.

si assiste a un evidente esercizio politico della giustizia. La tolle-ranza verso comportamenti giudicati a vario titolo perseguibili appare molto elevato, il compromesso è sempre preferito alla repressione. In prima istanza si cerca sempre l’accordo diretto, il ricorso al tribunale è generalmente considerato come l’ultimo dei rimedi. per alcuni indi-vidui finire coinvolti in una causa equivaleva alla rovina economica (è il caso dei negozianti, e in genere di tutti i commercianti che avrebbe-ro visto la propria credibilità messa in dubbio), in altri casi avrebbe creato pericolosi incidenti diplomatici assolutamente da evitare (è il caso dei consoli rappresentanti delle «nazioni», ma anche dei capi-tani esteri di passaggio con premura di imbarcarsi e partire). Tutte

465 Interessanti considerazioni e notizie sull’attenzione riservata durante il principato leopoldino all’ordine pubblico, oltre a dati e statistiche relative ai reati commessi, sono repe-ribili in C.manGio, La polizia toscana, cit., �988, pp. 8�-87.

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le istanze nelle quali le parti non dimostravano la ferma intenzione di proseguire l’iter di giustizia venivano lasciate pendenti per precisa volontà del Governo, auspicando l’accordo informale, anche per la molteplicità degli affari e la scarsità dei ministri addetti al tribunale cittadino (un solo auditore e due cancellieri erano ben poca cosa per risolvere gli oltre mille processi annuali che si tenevano)466.

Gli arresti e gli imprigionamenti erano rari: mancavano forze di polizia preparate, mentre prolungate detenzioni potevano provoca-re problemi ancor più gravi di ordine pubblico, oltre che gettare le famiglie dei reclusi in condizione di miseria ed indigenza difficili da gestire. Non era un caso che tra le pene più frequenti vi fosse l’esilio, poco costoso da applicarsi ed efficace per eliminare alla radice – con il reo – il delitto, almeno in sede locale.

si prestò nuova attenzione anche all’amministrazione dell’istituzio-ne penitenziaria che si trovava in città: il Bagno dei forzati. a seguito di una serie di regolamenti introdotti a partire dall’�� settembre del �78�467, e poi il �5 maggio e il primo ottobre del �785, l’amministra-zione dei carcerati, con tutto ciò che riguardava le istruzioni ed in-combenze del custode e degli altri dipendenti del Bagno, fu soggetta alla giurisdizione e soprintendenza del Governo civile, finché nel set-tembre del �789 si trasferì definitivamente tale autorità al presidente del Buon Governo, non mancando comprensibilmente di suscitare qualche rimostranza da parte del governatore468.

466 asLi, Governo, copialettere, 966, c. �8-3�.467 Le modifiche introdotte il 30 settembre del �78� erano state anticipate dal «progetto

per la miglior custodia e disciplina de’ forzati del Bagno di Livorno», redatto dal pierallini nel giugno del �78� dietro richiesta dell’auditore fiscale (dell’ottobre dell’anno precedente) per poter introdurre qualche rimedio «contro le frequenti fughe de’ forzati e contro altri di-sordini che da loro si commettono», in asLi, Governo, copialettere, 97�, cc.�07v-���r.

468 asLi, Governo, copialettere, 980, cc.�08r-�09v, pierallini al granduca, in data �� settembre �789, in merito al conferimento delle competenze sul Bagno dei forzati alla presi-denza del Buon Governo, e ibidem, c.�4�v, memoria sui principali ordini, istruzioni, consue-tudini e regolamenti introdotti in materia, inviata in data �6 ottobre �789. altre interessanti informazioni sul costo sostenuto per la custodia dei forzati, sempre inviato alla presidenza del Buon Governo in data �5 giugno �785, in ibidem, cc.�45v-�48r. Il seratti si lamentò inu-tilmente di quel trasferimento di competenze sul Bagno, il granduca si espresse in maniera definitiva su tal oggetto, ribadendo sia la collocazione del Bagno in Fortezza Vecchia, sia l’af-fidarne la direzione al presidente del Buon Governo. avrebbero vigilato sul mantenimento delle strutture e per le piccole mancanze dei custodi e dei forzati il comandante della marina e l’uffiziale delle regie Fabbriche e ingegneri, mentre per quelle gravi si sarebbe dovuto far rapporto all’auditore del tribunale, con l’onere per quest’ultimo di informarne il presidente

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In questo quadro si colloca anche un interessante progetto avan-zato dall’auditore nel �786 in merito alla disciplina alla quale sotto-porre i carcerati. si proponeva una diversa applicazione dei lavori forzati distinguendo, tra i detenuti, i condannati a tale pena in sosti-tuzione di quella capitale (abolita con la riforma del 30 novembre del �786)469. Ci si preoccupava però di assicurare sempre un trattamento decente per non suscitare alcun sentimento di compassione tra la po-polazione cittadina470.

a metà d’ottobre del �793 il pierallini lasciò il suo incarico di audi-tore perché nominato primo auditore presso la ripristinata Consulta civile e criminale di giustizia e grazia a Firenze47�. per altro, la crea-zione della Consulta portò il granduca a dover chiarire le potestà di

del Buon Governo, in ibidem, 39, cc.�83r-v, dal segreterio del regio consiglio di stato e di finanze, il �3 ottobre �789, antonio serristori al governatore di Livorno.

469 È forse utile ricordare come gli avvenimenti del �789 costrinsero il granduca a ritor-nare sui propri passi ed a reintrodurre la pena capitale con l’editto del 30 giugno �790. In se-guito, con legge del 30 agosto �795, se ne ampliò l’applicazione ai delitti contro la religione e al reato d’omicidio deliberato. Nuova estensione si previde con la legge del �� giugno �8�6, con la quale si estese la pena di morte anche al furto violento e a mano armata. F.amBrosoli, Studi sul codice penale toscano confrontate specialmente coll’austriaco, mantova, Tip. Negretti e C., �857, pp. �5-�6.

470 «Le circostanze di questo paese non danno luogo a travagli molto penosi, anzi per garantirsi dalla fuga converrà destinar costoro a quelli entro la città, che sono i più agevoli. se non devono condannarsi alla morte bisogna provvedere alla loro sussistenza, per quanto voglia ridursi meschina. e non bisogna che la loro condizione sia tanto infelice da risvegliare in chi gli vede piuttosto la compassione, sentimento tanto naturale agl’uomini che l’orrore al delitto», asLi, Governo, copialettere, 977, cc.�70v-�7�v, in data 6 ottobre �786, al presiden-te del Buon Governo Giuseppe Giusti. Il progetto non è stato steso dal governatore, che si trovava presso i suoi feudi, ma molto probabilmente fu opera del pierallini. Nell’occasione, si allegano approfonditi commenti in merito al regolamento in uso per i forzati.

47� Così commentarono al granduca, prima di confermarne la nomina, i membri della segreteria di stato serristori, schmidveiller e martini: «abbiamo avanzata la suddetta pro-posizione con la veduta di provveder la nuova consulta di un soggetto dotto giureconsulto dei più veterani nella carriera legale, sommamente dirotto agli affari e che riunisce i suddetti requisiti alle più sublimi qualità morali e di poter procurare un sollievo alla real cassa nel rimpiazzo del posto che lascerà vacante. Dobbiamo perciò far presente a sua altezza reale che l’auditor pierallini ha servito in Livorno prima in qualità di cancelliere di quel tribunale, e di segretario della camera del commercio, di poi di auditore vicario dello stesso tribunale, e dal �780 in poi d’auditore consultore del Governo per più di quarant’anni, e che può ra-gionevolmente dubitarsi se nella sua vecchia età sia per adattarsi di buona voglia a cambiar d’impiego e di clima, e che in ogni caso chiederà una gratificazione d’indennità per le spese cui dovrà soggiacere nella traslazione della sua casa specialmente nella circostanza di non migliorar di sorte. apparterrà a Vostra altezza reale il determinare se convenga prima di destinare l’auditore pierallini al posto di Consulta di presentirlo, ciò che potrebbe farsi per mezzo del governatore di Livorno», in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 6��, prot.��, ins.�0. In realtà il pierallini fu ben contento di accettare, coronando anzi così un antico desi-derio maturato fin dai primi anni del governatorato di Bourbon del monte.

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quel consiglio rispetto ai reclami che potevano essere mossi contro le risoluzioni «economiche» prese dal governatore di Livorno. In base alle istruzioni segrete del �774, infatti, si erano riconosciute le facoltà del governatore solo per punizioni straordinarie da comminarsi in ca-si particolari e accuratamente determinati, e sempre dandone notizia al granduca per i casi di maggiore importanza. In seguito erano state introdotte alcune limitazioni ulteriori. La più importante fu prescritta dalla legge criminale del 30 novembre del �786, in base alla quale il governatore, in qualità di ministro superiore di polizia, poteva ancora erogare pene «economiche», fatto salvo il diritto del punito di ricorre-re al sovrano o di potersi sottoporre all’esame di un processo formale nel quale, sospesa l’esecuzione della condanna «economica», se ne sarebbe definito l’esito. Vi furono poi parziali rettifiche da parte della segreteria di stato: la prima del � settembre del �790 autorizzò il go-vernatore ad infliggere fino ad un anno di carcere a chi, esiliato, aves-se fatto ritorno nel granducato; la seconda, del �6 aprile �79�, cassò la possibilità di ricorrere a un processo ordinario quando la commi-nazione di pena «economica» fosse stata necessaria per conservare la quiete pubblica nel territorio di giurisdizione del governatore47�.

Nella prima formulazione della legge istitutiva della Consulta del 5 novembre �793, invece, si facevano ricadere alla competenza del nuovo istituto anche tutti i reclami contro pene «economiche» inflit-te dal governatore labronico. Di fronte delle proteste del seratti, che rivendicava l’indipendenza su «qualsivoglia affare» rispetto alla detta Consulta, il sovrano cedette e, il 7 giugno �794, introdusse un para-grafo correttivo nelle istruzioni della Consulta, precisando che:

Dovranno per altro intendersi eccettuati intieramente dall’antedetta disposizio-ne tutti indistintamente i reclami che potessero essere avanzati contro le reso-luzioni economiche prese dal governatore di Livorno, mentre dovranno questi rimettersi a sua altezza reale pel canale della segreteria di stato. e qualora alcuno di tali reclami pervenisse alla Consulta, sarà sua cura il passarli alla pre-detta regia segreteria473.

Il seratti aveva inoltre sollecitato la nomina di un nuovo auditore consultore al posto del pierallini. Il granduca incaricò il consiglio di

47� Tutto in asLi, Governo, lettere civili, 53, cc.n.n., dispaccio della segreteria di stato al governatore di Livorno, del �8 marzo �794.

473 asLi, Governo, lettere civili, 54, cc.n.n., lettera di accompagnamento del Gilkens al governatore di Livorno, del 7 giugno �794.

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stato di scegliere un nuovo soggetto il �5 novembre �793, ricevendo da serristori, martini e Gilkens ben più dell’indicazione di un nome. I tre segretari, infatti, osservarono come nel reparto delle competenze tra auditore consultore ed auditore del tribunale di Livorno, a norma del motuproprio del �780, si fosse «enormemente aggravato quello del tribunale, ed al contrario lasciato con ben poche ingerenze l’altro del governo». Quest’ultimo, si aggiungeva, nel caso che l’incarico di governatore fosse ricoperto da un soggetto «dirotto agli affari e di attività», come nel caso del seratti, sarebbe stato ben poco occupato, eccetto che in assenza od impedimento del governatore stesso. si sug-geriva perciò di approfittare dell’attuale vacanza «per fare un miglior reparto» delle competenze spettanti, ed in particolare, dopo matura riflessione, i tre segretari consideravano opportuno che:

all’auditore, oltre l’obbligazione che gli è addossata dagli ordini veglianti di dare il suo consiglio ed aiuto al governatore in tutto ciò di cui sarà dal medesimo richiesto sopra i negozi del governo, devano affidarglisi a sgravio dell’auditore del tribunale i seguenti affari:

• La soprintendenza e direzione dei patrimoni dei pupilli, e sottoposti quanto all'economico, l'elezione dei tutori e curatori, fermo stante il contenzioso anco in questa parte dell'auditore del tribunale.

• Gli affari camerali anco per la parte del contenzioso [oltre all'informativo].• Le cause in cui il governatore di Livorno procede come conservatore della

nazione ebrea.• Le cause di reduzione ad arbitrium boni viri dai lodi degli arbitri.• e finalmente l'obbligo di far le veci dell'auditore del tribunale in caso di

assenza o d'impedimento al modo istesso in cui l'auditore del tribunale è in dovere di far le veci di quello del governo.

Crediamo che anco il governatore sia persuaso della utilità di questo nuovo reparto, essendovi alcune delle incombenze attualmente annesse all'impiego di auditore del tribunale della massima importanza, e gelosia, alle quali per man-canza di tempo non è in grado di prestare l'attenzione che meritano. ma per ogni maggior cautela vostra altezza reale potrebbe degnarsi di far sentire il go-vernatore sopra la suddetta proposizione.

si suggerivano infine i soggetti da nominare nei due incarichi474. Il granduca approvò il �7 gennaio il nuovo reparto d’incombenze tra gli auditori e provvide alla nomina di Leonardo Frullani come auditore

474 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 6��, prot.�, ins.�0, lettera della segreteria di stato al granduca, in data �� gennaio �794.

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del tribunale, e di angelo Felici come auditore del governo. Il primo, un avvocato fiorentino, fu giudicato dai segretari un «giureconsulto consumato e fornito di prudenza e prontezza per la spedizione degli affari mercantili che richiedono la più gran celerità», dotato del più gran credito nella professione e di «illibata morale»; il secondo, in precedenza auditore del tribunale, si descriveva come «uomo che ha dato saggio della più illibata onoratezza e dotato delle più estese cognizioni»475.

Le drammatiche vicende politiche che piombarono sul granducato nei mesi successivi non consentirono di apprezzare il contributo di queste innovazioni.

Da qualche tempo gli echi della rivoluzione francese avevano co-minciato a risuonare anche a Livorno, lo testimoniavano la comparsa di molti pamphlet sovversivi e l’accentuata attenzione profusa dal-l’auditore alla censura sulla stampa476. Le preoccupazioni maggiori furono causate, più che da una reale lungimiranza politica, dalla diffi-cilissima gestione dei profughi francesi e corsi che giungevano in città a frotte, creando al governatore, notoriamente anglofilo, non pochi problemi di ordine pubblico e l’introduzione di molte e diverse misu-re per assicurarne l’espulsione477. La risposta del seratti fu delle più

475 Ivi, comunicazione del governatore seratti, da Livorno, del 5 febbraio �794, al Gil- kens. I motupropri di nomina e di accoglimento delle modifiche istituzionali erano datati entrambi 4 febbraio.

476 per questi temi è d’uopo rimandare a s.landi, Il Governo delle opinioni. Censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, Bologna, Il mulino, �000.

477 simili preoccupazioni, e parzialità, furono costanti per il seratti, anche dopo aver lasciato l’incarico governatoriale, cfr. C.manGio, I Patrioti toscani fra «Repubblica etrusca» e restaurazione, Firenze, Olschki, �99�, pp. 58-67. Utili notizie anche in F.Borronisalvato-ri, Il «Segretario di Stato» Francesco Seratti collezionista di stampe a Firenze, in «mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz», 3 (�988), pp. 439-478. sugli effetti della rivo-luzione francese e l’arrivo di qualche migliaio di profughi francesi e corsi, «quasi tutti ari-stocratici» – scriveva il seratti – seppur non si potesse escludere che fra loro vi fosse anche qualcuno «di partito opposto» e «mescolato apposta», vi sono varie lettere del governatore al serristori, in data 9 luglio, �7, �� e �4 ottobre �79� in asLi, Governo, 983, cc.�4�r-�45r, �0�v-�03r, �06v-�07v, �08r-v. sull’espulsione da Livorno degli emigrati francesi, si vedano i rapporti reperibili in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 6��, prot.��, ins.�, del novembre �793 e in particolare la lettera del seratti al serristori, del primo novembre �793, dalla quale si apprendono i sistemi adottati dal governatore per provvedere a quelle espulsioni. si erano preparate quattro liste separate. Nella prima vi erano i francesi riconosciuti dal consolato, membri delle adunanze nazionali e col consiglio dei quali si doveva regolare il console negli affari, tra questi si separavano quelli che avevano diritto a restare, purché renunziassero alla nazionalità francese e si dichiarassero sudditi toscani, da quelli che invece non avevano tal diritto. In questa prima lista si trovano le case più accreditate di negozianti, alle quali si impose il giuramento. Nella seconda lista, si annotavano quelli che non avevano stabilimento

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rigorose e ciò spiegherebbe anche il tenore di una memoria reperita tra le carte del giovane principe di metternich dei primi anni Novan-ta nella quale si definiva il seratti «un ignorant, bouffi d’orgueil, et un parfait courtisan». aveva goduto per molti anni della confidenza di pietro Leopoldo e perciò era stato incaricato del Governo di Li-vorno, posto assai considerato in Toscana, aggiungeva, dove si era di-mostrato nemico della rivoluzione francese e si era comportato con terribile severità contro i patrioti478.

Nell’estate del �794 anche i tumulti popolari ripresero. Il seratti stavolta fu costretto a far fronte anche a nemici interni, una presun-ta congiura a suo danno imbastita da alcuni impiegati sospettati di simpatizzare per le idee repubblicane, oltre alla crescente presenza di francesi sul territorio, dei quali si conoscevano le intenzioni tutt’altro che amichevoli. Il governatore, comunque, perseverava nella con-vinzione che gli incidenti occorsi fossero privi di contenuto politico, certo della sostanziale lealtà della popolazione livornese, e attribuibili piuttosto alle difficoltà di garantire approvvigionamenti alimentari a buon prezzo479. si accrescevano invece le preoccupazioni per la difesa della città da un possibile attacco francese, tanto che seratti suggerì al serristori di esser sostituito con un militare, governatore più adatto e competente data la situazione480. placatasi l’emergen-za, seguirono mesi di relativa tranquillità sociale e di nient’affatto disprezzabile floridezza economica, favorita dal blocco dei porti di

commerciale in Livorno e che dalle informazioni prese risultavano «in supremo grado cattivi soggetti e tutti partitari della convenzione nazionale e delle massime francesi»: a questi fu intimato di andarsene. Nella terza lista, si comprendeva qualche migliaio di emigrati giunti in tempi differenti e stabilitisi chi a Livorno chi nei sobborghi e nella campagna, vivendo miseramente e quietamente e tutti caratterizzati per «realisti»: per lo più erano stati invitati ad andarsene. Infine, nella quarta lista, vi era la nota dei francesi da non ammettersi al giu-ramento, e quindi nemmeno al diritto di uno stabilimento permanente in Toscana, ma che nello stesso tempo non erano da espellersi, seppure «per la loro condotta e le loro massime» meritavano di esser sottoposti a speciale sorveglianza, «egualmente che altri tanto toscani che di altre nazioni».

478 HHstaV, Staatenabteilungen, Italien, Toscana, K.36, ins.�, «memorie über Tosca-na», giugno �793.

479 Tale lettura apolitica delle agitazioni popolari livornesi pare confermata anche dalla storiografia, così C.manGio, Politica toscana e rivoluzione, cit., 5�-6�, e dai coevi come pie-tro Bernardo prato il quale, nel suo manoscritto, il Giornale della città e Porto di Livorno, de-dicò solo una menzione ai fatti rivoluzionari, dando altrimenti prova di evidenti sentimenti reazionari.

480 C.manGio, Politica toscana e rivoluzione, cit., p. 47-48.

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marsiglia e di Genova ad opera degli inglesi48�. alla fine di agosto del �794, seratti chiese allora di poter lasciare Livorno per qualche tempo, per motivi di salute, e al suo posto fu inviato il senatore Lui-gi Bartolini Baldelli, già consigliere di stato, che lo sostituì fino alla fine di ottobre48�. Tornato il seratti, non vi restò che poco più di un anno, nel corso del quale seppe consolidare la stima e profonda con-siderazione dei dicasteri fiorentini e della corte granducale nei suoi confronti483. Finché, il 9 marzo �796, fu chiamato al posto di anto-nio serristori alla direzione della segreteria di stato ed al ministero degli esteri, ottenendo ulteriori attestati di riconoscimento per quan-to fatto nell’esercizio della sua carica di governatore484. Il seratti non

48� L’analisi della situazione economica di quegli anni è illustrata da J.p.filiPPini, Il por-to di Livorno e la Toscana, cit., in particolare I, pp. 39-��3.

48� asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 6�5, prot.8, ins.�4. Lettera di seratti al serri-stori del �� agosto �794 nella quale chiedeva di poter ritirarsi in campagna per curarsi da febbri che lo tormentavano da due o tre mesi. a Livorno, scriveva seratti: «le circostanze del momento non sono le peggiori, quando ancora lo fossero sono persuaso che ogni altro sia capace di disimpegnarsi egualmente e meglio di me e di piena soddisfazione del nostro real sovrano». Il colonnello de Lavillette si sarebbe occupato bene del comando della piazza e del littorale. Con sovrano motuproprio del 30 agosto si incaricava allora il consigliere di stato, senatore e cavaliere Luigi Bartolini Baldelli, direttore della regia segreteria della co-rona e corte, di portarsi a Livorno «provvisionalmente» «per cuoprire la importante carica di governatore», farne le veci «con tutte le facoltà, prerogative, ed onoreficenze competenti al governatore» e per restarvi finchè il seratti non fosse stato in grado di tornare. per altro serristori, nel riferire al granduca la richiesta di congedo osservava che, a parte la malattia, il seratti non avesse potuto «godere di un momento di riposo» da quando aveva preso servizio come governatore.

483 Oltremodo significativo quanto scriveva in un breve parere Luigi Bartolini al gran-duca, il 4 maggio �795, in merito al modello di riforma della legge criminale emanata il 30 novembre �786. si faceva infatti esplicitamente riferimento alla opportunità di consultare anche il governatore di Livorno: «Oltre ai suoi lumi personali, la qualità del posto che occu-pa, e la popolazione vasta e varia cui presiede, potrebbero darli luogo di avanzare alla real altezza Vostra qualche utile osservazione e, se non li fosse comandato un perfetto segreto, forse sarebbe da non riuscirli inutile il confidenziale consulto dell’abilissimo auditore Frulla-ni». Non si riteneva di dover chiedere consulto a nessun altro. asFi, Segreteria di Gabinetto, 393, ins.3.

484 Ne dava notizia anche il console spagnolo da Livorno, il � marzo �796, in aGsi, Estado, 54�9, cc.n.n. Così Ferdinando III volle suggellare la conclusione dell’esperienza governatoriale del seratti e la sua promozione a segretario di stato, con evidenti parole di apprezzamento rispetto a quanto fatto nell’esercizio delle sue funzioni nella città labronica: «sua altezza reale, avendo presi in ispeciale considerazione i lunghi, fedeli e distinti servigi resi dal consigliere intimo cavalier Francesco seratti all’augustissimo suo genitore di felice memoria non meno nelle reali segreterie che nella carica di governatore di Livorno che ha poi continuato ad esercitare con pienissima sua soddisfazione, lo elegge in segretario di stato degli affari interni e stranieri, relativi al granducato, con la soprintendenza alla segreterie di stato, finanze, e guerra e la firma in tutte le leggi e motupropri che vengono pubblicati per mezzo di quei dipartimenti, dato li 9 marzo �796», in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808),

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vide più Livorno, lo aspettavano, dopo un breve periodo a Firenze, gli anni di esilio in sicilia al servizio della corte borbonica, fino alla rocambolesca morte in schiavitù, nel �8�3, a Tunisi, prigioniero dei corsari barbareschi che lo avevano rapito proprio nei pressi del porto toscano485.

Il governatorato labronico, per volontà dello stesso seratti, fu asse-gnato a un militare dotato (o così almeno si auspicava) di quelle doti di determinazione ed abilità strategica delle quali si aveva maggior-mente bisogno in quel frangente, e cioè al senese Francesco spannoc-chi piccolomini. Lo spannocchi fino a quel momento era stato infatti al servizio della marina napoletana, con piena soddisfazione di Ferdi-nando IV ed era altrettanto inviso ai francesi del suo predecessore486. Il motuproprio di investitura di spannocchi a governatore civile e mi-litare della città, porto e capitanato di Livorno, oltre al comando sul litorale e sulla regia marina, prevedeva tutte le prerogative solite, ad unica eccezione della soprintendenza dell’Opera dei nuovi condotti di Colognole che rimase invece al seratti. La nomina recava la stessa data della conclusione dell’incarico del suo predecessore, per evitare che il giovane militare si trovasse «con suo poco decoro» senza «un destino» per aver già da qualche tempo lasciato il servizio presso il re delle due sicilie (a compensazione della qual cosa il granduca gli aveva conferito il titolo di general maggiore)487.

65�, marzo �796, affari straordinari, ins.4. a titolo di «pubblico attestato della sovrana sua sodisfazione ed avere un benigno riguardo alle più gravi spese cui è stato soggetto nel corso di questa guerra in qualità di governatore di Livorno», il granduca conferì al seratti il priora-to della marca dell’Ordine di santo stefano, rimasto vacante dalla morte del conte Lodovico de’ Nobile, oltre ad altre distinzioni onorifiche della religione, in ibidem, ins.�0.

485 Una biografia approfondita di Francesco seratti attende ancora di essere scritta, alcune utilissime note sono però reperibili nell’erudito ed elegante saggio di L.e.fUnaro, «L’antico sistema, quello che credo il migliore». Lettere di Francesco Spannocchi Piccolomini (1796-1802), in Francesco Spannocchi governatore a Livorno fra Sette e Ottocento, cit., pp. 79-��8, e in particolare pp. 84-89.

486 L.donolo, L’esperienza di ufficiale di marina di Francesco Spannocchi Piccolomini, in Francesco Spannocchi Piccolomini governatore a Livorno tra Sette e Ottocento, a cura di m. sanacore, Livorno, Debatte, �007, pp. �7-64. sulle ragioni dell’avversione, ricambia-ta, dello spannocchi verso i francesi, si veda anche a.zoBi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVIII, Firenze, Luigi molini, �85�, III, p. �67. Furono in molti, contemporanei e non, a criticare la nomina dello spannocchi, ritenuto inadatto alla delicata situazione livornese anche per il suo coinvolgimento con gli ambienti controrivoluzionari, in L.e.fUnaro, «L’antico sistema, quello che credo il migliore», cit., pp. 89-97.

487 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 65�, f. marzo �796, affari straordinari, inss.4, 6 e �3.

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Come mai prima di allora, gli eventi internazionali, e nello speci-fico gli effetti della rivoluzione francese, strinsero il granducato nel timore di restare schiacciato dall’onda lunga dei rivolgimenti politici che stavano scuotendo l’europa intera488. a Livorno, pur dando prova di una sostanziale indifferenza verso le possibili conseguenze di fronte al pericolo dell’invasione francese, spannocchi tentò di gestire la crisi incombente con un atteggiamento che oscillava tra il fatalismo e la sostanziale distanza dai principi rivoluzionari (comune a buona parte delle componenti più significative della popolazione livornese), concentrando l’attenzione più verso questioni di ordine pubblico, per ovviare ai danni al commercio derivanti dalla recrudescenza corsara e per contrastare i giansenisti, che alle probabili conseguenze di un’oc-cupazione straniera489. Il suo fu comunque un governatorato lampo: alla fine di giugno del �796, nonostante le assicurazioni in contrario del governatore, Livorno fu messa sotto occupazione dalle truppe di murat che vi giunse con ottomila uomini per rimanervi fino al �4 maggio dell’anno successivo490. sono note le modalità dell’incontro che si consumò il �7 giugno tra il generale Bonaparte e lo spannoc-chi, e la deposizione immediata di quest’ultimo che ne derivò49�. al suo posto successe, in veste di pro-governatore, il generale Jacopo de Lavillette49�, un ufficiale lorenese in servizio in Toscana fin dal �74�, mentre per i rapporti con le potenze straniere, i consoli esteri residen-ti a Livorno e toscani residenti all’estero, nonché per ogni altro affare di natura internazionale «che in qualunque senso riguardino la città e

488 rispetto alla condizione del granducato di Toscana sulla scena internazionale, si vedano C.manGio, I non facili rapporti diplomatici tra Granducato di Toscana e Francia rivo-luzionaria (1792-1799), e B.m.ceccHini, La politica estera toscana dal 1793 al 1799 nei docu-menti dell’Haus-Hof und Staatsarchiv di Vienna. Prime note, in «rassegna storica toscana», � (�997), rispettivamente alle pp. �6�-�97 e pp. �37-�86.

489 Utili notizie anche in m.sanacore, La carriera a terra di Francesco Spannocchi Pic-colomini, in Archivi, carriere e committenze: contributi per la storia del patriziato senese in età moderna, a cura di r.de Gramatica-e.mecacci-C.Zarrilli, siena, accademia senese degli Intronati, �007, pp. �68-�93.

490 Così riferiva il marchese de silva, console spagnolo a Livorno, il �9 giugno �796, sommando cavalleria ed infanteria, aGsi, Estado, 54�9, cc.n.n.

49� Interessanti, e ancora poco note, le lettere dello spannocchi redatte nei giorni della prigionia presso la Fortezza fiorentina che seguirono allo scontro con Napoleone, e nelle quali offrì la propria versione dei fatti, in L.e.fUnaro, op. cit., pp. 93-99.

49� Una breve ma efficace sintesi della carriera di Jacopo de Lavillette è reperibile in D.Barsanti, Una classe dirigente allo specchio. L’autocertificazione della burocrazia toscana del 1808, pisa, eTs, �005, pp. �0 e 7�.

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porto di Livorno», fu incaricato il ciambellano Vittorio Fossombro- ni493.

Il confuso succedersi degli eventi locali ed internazionali degli anni successivi non consentì al governatore interino de Lavillette di fare molto altro che una politica di riduzione dei danni494, in attesa di una risoluzione senz’altro insperata, quella dell’avvento sul trono fioren-tino della dinastia dei Borbone parma come sovrani del neo-istituito regno d’etruria. allo spannocchi, invece, non restò che attendere tempi migliori per poter far ritorno al «suo Livorno», ove fu effettiva-mente richiamato in qualità di governatore l’undici maggio del �8�4, restaurata la corona asburgica e il granducato di Toscana.

493 motuproprio di nomina, in data 4 luglio �796, in asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 654, prot.7, ins.�. Le circostanze di questa nomina furono senz’altro eccezionali, ma la rilevante deprivazione di competenze in merito a rapporti con i consoli e con i rappre-sentanti esteri, che fino a quel momento era rimasto saldamente contemplato fra le funzioni governative, merita di essere sottolineata.

494 per una trattazione degli importanti avvenimenti di questi anni, essenziali per la sto-ria politica toscana e livornese, ma non rilevante ai fini di una trattazione istituzionale della figura governatoriale, si rimanda a C.manGio, Politica toscana e rivoluzione, cit., pp. ��7-�84 e f.diaz-l.mascillimiGliorini-c.manGio, Il granducato di Toscana. I Lorena dalla Reg-genza agli anni rivoluzionari, Torino, Utet, �997, pp. 43�-433, 445-449, 47�-484, 495-503.

CapITOLO QUarTO

IL GOVerNO DI LIVOrNO NeLL’OTTOCeNTO LOreNese

per quanto io mi ricordi, il governatore di Livorno è stato sempre o un ricco signore o un accreditato militare495

1. la «disPiacevole e scaBrosa sitUazione» dei Governatori dilivornodUranteilreGnod’etrUria

Negli anni del regno d’etruria, Livorno ebbe un ruolo strategico di poco inferiore a quello di Firenze496. La città, seconda solo alla capitale per numero di abitanti497, con il suo porto franco e le impor-tanti relazioni commerciali, ricevette in questo periodo anche molti riconoscimenti, alcuni ottenuti, come il rango di sede vescovile, altri solo prospettati, come l’acquisizione del tribunale dei consoli del ma-re e il titolo di città patrizia498. per alcuni storici, la decisione stessa di aggregare il regno etrusco all’Impero fu motivata principalmente dalla necessità di porre fine alle operazioni di contrabbando che si consumavano nelle vicinanze del porto labronico. e che furono giu-

495 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 478, prot. 97, ins.3, Vittorio Fossombroni al ministro Neri Corsini, da arezzo, in data �0 luglio �835.

496 r.p.coPPini, Il granducato di Toscana. «Dagli anni francesi all’Unità», Torino, UTeT, �993, pp. �5-�6.

497 Una fonte coeva calcolava circa centomila abitanti tra centro abitato e sobborghi prossimi, così pietro Fabroni, cancelliere criminale di Livorno, il �� novembre �80�, all’au-ditore del governo e al governatore di Livorno, in asLi, Governo, lettere civili, 8�, cc.354r-368r.

498 sull’ottenimento del titolo vescovile, si rimanda a G.Greco, La nascita di una nuova diocesi: Livorno 1806, in «Oecumenica Civitas», 4 (�004), pp. �53-�86. Notizie sul trasferi-mento del tribunale dei consoli del mare, in asLi, Governo, copialettere, 996, c.�84r, lettera del governatore di Livorno al presidente della consulta regia, il �6 novembre �807. Quanto alla «promozione» di Livorno in città patrizia, se ne tratterà più diffusamente in seguito. asLi, Governo, copialettere, 996, c.�84r, lettera del governatore di Livorno al presidente della regia consulta, il �6 novembre �807.

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dicate capaci di mettere in crisi sia la sicurezza militare del Tirreno, sia l’integrità del blocco continentale in funzione anti-inglese499.

rispetto ai poteri e competenze formalmente conferiti ai funziona-ri del Governo non si registrano invece trasformazioni o modifiche sostanziali, ciò nonostante siano innegabili alcuni cambiamenti im-mediatamente percepibili effettuando una verifica sull’efficacia reale dell’autorità governatoriale.

Di fatto, a seguito della presenza francese, l’autorità simbolica e le competenze informali del governatore furono di molto ridimen-sionate, molto più di quanto sia possibile verificare dalla lettera delle normative in vigore. pur rimanendo un rappresentante del sovrano, il governatore fu sempre più assimilato ad un burocrate come tanti dell’amministrazione locale, con compiti ben limitati e meno incisivi sul piano politico. Queste considerazioni ci inducono ad anticipare di qualche tempo quella rivoluzione nella gestione della cosa pubblica attribuita prevalentemente agli anni del dominio napoleonico, mentre l’appannarsi del ruolo politico del governatore e il tramonto della sua relativa onnipotenza paiono annunciare la fine del regime privilegiato che il portofranco di Livorno aveva goduto da secoli.

Gli avvenimenti che coinvolsero Livorno tra il �80� e il �807 furo-no tali da costringere i due governatori che si succedettero in quegli anni, Jacopo de Lavillette e Domenico mattei, a ricercare difficili equilibri tra le diverse autorità riconosciute e talora fra loro antagoni-ste: i militari francesi, presenza ingombrante e spesso prevaricatrice; forze sociali, istituzioni pubbliche e rappresentanze cittadine, già note o emergenti, determinate a rivendicare nuovi diritti e vecchi pri-vilegi; e infine un re e una regina dotati di sovranità limitata perché schiacciati tra le pressioni francesi ed i vincoli colla spagna, spesso in contrasto con gli stessi ministri fiorentini che avrebbero dovuto costi-tuire i loro leali portavoce. Un panorama complesso e mutevole, ove non è facile stabilire cosa fosse frutto di autonoma decisione sovrana e cosa esecuzione di direttive superiori, a maggior ragione nel caso del governatore che di quella sovranità rappresentava l’emanazione a livello locale.

499 Così è suggerito da r.dUfraisse, Le role de l’Italie dans la politique napoléonienne, in Il Principato napoleonico dei Baciocchi (1805-1814), Riforma dello Stato e Società, a cura di Vito Tirelli, Banca del monte di Lucca, Lucca, �986, pp. 4�-75, e in particolare p. 50.

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Il gravoso debito contratto con il generale murat, che addossava interamente alla Toscana le spese di mantenimento delle truppe di occupazione500, cadeva prevalentemente su Livorno dove per lo più furono stanziate le guarnigioni. La presenza dei francesi non solo rappresentò una costosa fonte di spesa a carico della cittadi-nanza livornese, ma anche un elemento sgradito con il quale non fu facile la convivenza50�. I rapporti col Governo di Livorno furono sostanzialmente conflittuali, a fronte di un evidente problema di autorità, visti i continui abusi e violazioni della giurisdizione locale perpetrati dai comandanti delle truppe francesi acquartierate in città50�.

Le comunità e i gruppi d’interesse presenti da secoli a Livorno si affiancarono alle magistrature cittadine nell’offrire in più di una oc-casione un’efficace resistenza all’invadenza francese, così come ci si seppe avvalere del legame personale esistente tra la regina d’etruria e il regno di spagna per trarne modesti vantaggi, come, ad esempio, la liberazione di una dozzina di schiavi toscani prigionieri a Tunisi o facilitazioni diplomatiche in vista della stipula di trattati favorevoli al commercio ed alla navigazione con Tunisia e marocco503. Ciò che è parso più interessante è la presenza di aspetti, legati al campo amministrativo e giudiziario, in parte ereditati dal passato, in parte innovativi, fino ad oggi riconosciuti quale portato dell’esperienza na-poleonica invece già presenti in questi anni e capaci di mitigare alme-no in parte il ritratto dato a tinte fosche del regno d’etruria. Ferma la

500 p.covoni, Il Regno D’Etruria, Firenze, [coi tipi di m. Cellini e C.], �894, p. �0�. secondo Covoni la somma necessaria a coprire le spese militari ammontava a circa ottocen-tomila franchi l’anno, da versarsi anticipati.

50� asFi, Reggenza, �04�, ins.�, lettere dal carteggio del governatore di Livorno alla se-greteria di stato dell’ottobre del �80� in merito ai tentativi di far ritirare le truppe polacche e francesi stanziate a Livorno.

50� asLi, Governo, lettere civili, 80, cc.3r-v, �86r-v, �90 r-v, supplica del vicegonfalonie-re della Comunità di Livorno inviata alla segreteria di stato e da questa al governatore, per sua conoscenza, il � maggio �80�.

503 L’intera questione fu gestita dal console spagnolo a Tunisi, vedasi asLi, Governo, copialettere, 994, cc.�3v-r, il governatore al segretario di stato in data �5 gennaio �805; asLi, Governo, copialettere, 995, cc.95v-96v, al console spagnolo a Tunisi, Francesco segni, il �6 giugno �806; ibidem, cc.�7�r-v, al console spagnolo a Tangeri, il �0 ottobre �806 e ove il governatore scriveva esplicitamente come «I vincoli di sangue ed i rapporti politici che uniscano sì strettamente sua maestà Cattolica all’augustissima sua figlia la regina d’etruria mia sovrana mi fanno sperare che Vostra signoria Illustrissima, nella qual qualità di console di spagna, impegnerà tutto il suo zelo e attività onde questa trattativa [...] sorta un esito il più favorevole».

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debolezza del potere governativo, poco più di un pallido simulacro dell’istituzione quasi onnipotente di un ventennio prima, le riforme che si tentarono, le proposte che si avanzarono e le iniziative che si presero dimostrano una vitalità e una capacità di adeguamento di questa carica nella gestione della città davvero sorprendente.

Il �9 marzo �80� il generale maggiore Jacopo de Lavillette, già go-vernatore interino dal �796, ottenne l’ordine dalla segreteria di stato di riassumere «sollecitamente le incumbenze annesse alla carica di governatore interino» di Livorno e d’informare i delegati del governo provvisorio toscano, Becheroni e mangani, della loro sospensione da ogni incarico504.

La situazione non era delle più rosee. La popolazione era vessata dalle spese per il mantenimento delle truppe francesi, le casse del-l’erario erano vuote al punto da impedire ogni intervento di pubblica utilità, mentre il magistrato comunitativo, impotente di fronte alla drammaticità della situazione, minacciava le dimissioni505. manca-vano poi all’appello due importanti collaboratori del governatore, cioè il segretario governatoriale e l’auditore consultore fondamentali per assicurare il corretto funzionamento del Governo livornese e che erano stati sospesi negli anni precedenti. De Lavillette sollecitò subito affinché Firenze provvedesse quanto prima ad assegnare tali incarichi506. Fin dal dicembre �800, invece, e per un intero anno, entrambi gli uffici furono affidati all’auditore del tribunale ranieri Benvenuti, causando un evidente difficoltà organizzativa e un reite-rato malfunzionamento sia delle attività prettamente giudiziarie che dell’amministrazione governativa. per tutto il �80� furono infatti mosse contro il Governo critiche ed accuse, sia dai cittadini che dai ministri fiorentini, che contribuirono non poco a delegittimarne l’autorità507. solo ai primi di dicembre del �80� si poté rimediare alla grave disfunzione con la promozione del Benvenuti ad auditore con-

504 asLi, Governo, copialettere, 990, c.34v, li �9 marzo �80�, il governatore ai delegati straordinari Gaspero Becheroni e Vincenzio mangani, in Livorno. sui fatti politici che pre-cedettero l’avvento dei Borbone in Toscana, si rimanda a C.manGio, I patrioti toscani fra «Repubblica Etrusca» e restaurazione, Firenze, Olschki,�99�, in particolare le pp. 3�5-373.

505 asLi, Governo, copialettere, 990, cc.49r-v e 49v-50r, entrambe al governo provviso-rio di Firenze, in data �5 aprile �80�.

506 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), �99, p. 48, ins. �3.507 asLi, Governo, copialettere, 990, cc.�64r-v, de Lavillette a Biondi, in data �� settem-

bre �80� e ibidem, cc.�69v-�70r, de Lavillette a Biondi, il �� settembre �80�.

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sultore e la nomina di un avvocato, michele Niccolini, alla carica di auditore del tribunale508.

Lodovico I, da parte sua, si limitò a ristabilire il sistema in vigore in età lorenese, e tra le iniziative più significative per Livorno vi fu senz’altro la creazione su richiesta dei ceti mercantili labronici di una Camera di commercio nel dicembre del �80�509, mentre intervenne assai raramente in merito alle funzioni del governatore. Lo fece, però, in occasione dell’editto di marina e di navigazione mercantile toscana emanato il 30 gennaio �80�. Finalità prioritaria dell’atto era anco-ra una volta quella di introdurre norme in grado di proteggere ed incentivare il commercio e gli affari marittimi e, all’uopo, sanciva il principio di una «separazione e distribuzione de’ negozi spettanti alla marina e alla navigazione mercantile toscana e delle incombenze dei rispettivi ministri e tribunali che devono quelli dirigere e conoscere, perché ciò può ugualmente contribuire al loro miglior regolamento ed al più esatto compimento di giustizia». si conferivano dunque al capitano del porto facoltà appartenute al governatore, quali la dire-zione e soprintendenza di tutto ciò che aveva a che fare con la marina mercantile toscana. pur restando fermo l’obbligo di una successiva approvazione governatoriale, in realtà poco più di un onere infor-mativo, il capitano restava investito anche del potere di decisione, «senza formalità d’atti», sulle cause civili di competenza, nonché dell’esame di patenti e passaporti e della facoltà di visita a bordo delle imbarcazioni5�0. Forse a parziale compensazione delle funzioni sottratte, Lodovico conferì subito dopo al de Lavillette, «a titolo di speciale considerazione», il grado onorifico di tenente generale del-l’esercito e una pensione vitalizia di 500 scudi annui5��.

Nonostante questi piccoli aggiustamenti formali, dimostratisi per altro insufficienti ad assicurare il corretto funzionamento del Gover-

508 asLi, Governo, copialettere, 990, cc.�09v, il pro-governatore al direttore della Doga-na, in data 30 novembre �80�.

509 r.p.coPPini, «Dagli anni francesi all’Unità», cit., pp. 34-36.5�0 BLL, Carte Santoni, volume �8 luglio �80�-�7 ottobre �80�, Editto di Marina e di

navigazione mercantile toscana, dato da Lodovico I re d’etruria il 30 gennaio �80�, in par-ticolare si veda l’articolo primo, titolo primo. rimando, per gli aspetti relativi alle politiche commerciali promosse dai sovrani d’etruria, anche con particolare riferimento a Livorno, a C.manGio, Regno d’Etruria e Mediterraneo, in Spagnoli a Palazzo Pitti: il Regno d’Etruria (1801-1807), atti del convegno (Firenze e pisa, �9 novembre – � dicembre �007), in corso di stampa.

5�� asFi, Reggenza, �043, ins. 57, cc.n.n.

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no e del tribunale, anche per le difficili condizioni di lavoro degli im-piegati5��, le accuse di inadempienza e i casi di corruzione continua-rono nei mesi successivi. In più di un’occasione il pro-governatore fu costretto a difendersi dalle proteste avanzate dai livornesi e dalla corte di non tutelare la credibilità del sovrano contro le calunnie e le dicerie di quanti ne invocavano la caduta5�3, di non vigilare sulla si-curezza in città, di consentire alla polizia di assumere comportamenti indolenti, quando non di essere addirittura complice dei delinquenti. Le forze dell’ordine erano insufficienti, replicava de Lavillette, so-prattutto per l’emergenza dei recidivi, per lo più forestieri, i quali, già condannati all’esilio o al confino, tornavano impunemente in città a commettere ogni tipo di reato5�4. La popolazione era permanente-mente in allarme, alcuni si erano persino offerti di armare a proprie spese guardie private per difendere se stessi e i propri beni5�5. anche le carceri erano stracolme e il numero dei condannati era cresciuto in misura «sproporzionalmente maggiore di quello degl’anni anteceden-ti»5�6.

Il pro-governatore propose che gli si riconoscesse la potestà di infliggere pene «economiche» più incisive5�7, di far informare sulle condanne all’esilio tutti i ministri di polizia toscani in modo che i condannati non ricorressero più al facile espediente di passare da una giurisdizione all’altra e, infine, di potenziare le forze dell’ordine. alcune di queste proposte vennero accolte dal sovrano, si introdusse infatti un efficace sistema di comunicazione tra i ministri della polizia

5�� asLi, Governo, lettere, 8�, cc.354r-368r, pietro Fabroni, cancelliere criminale, all’au-ditore del governo e al governatore di Livorno, in data �� novembre �80�, e anche asLi, Governo, lettere, 9�, cc.�57r-�6�r, ancora Fabroni al governatore mattei in data �� novem-bre �806.

5�3 asFi, Reggenza, �043, ins. 57, cc.n.n. in data 3� luglio �80�, il consiglio di stato al de Lavillette: si rimprovera di non aver preso tutte le misure necessarie per tutelare l’immagine del sovrano Lodovico I. Il casus belli fu una commedia teatrale, recitata per tre serate di fila, nella quale un personaggio, Ludovico sforza il moro, tiranno, veniva sbeffeggiato ed insulta-to dal pubblico, con chiari riferimenti ed allusioni al re d’etruria.

5�4 asLi, Governo, copialettere, 99�, cc.98r-�00r, il governatore al segretario di stato, il �8 maggio �80�. sulla stessa questione, si rimanda all’interessante memoria stilata dal can-celliere criminale del Governo di Livorno, pietro Fabroni, redatta il �3 marzo �80� e inviata a Firenze dal de Lavillette il �5 successivo, in asFi, Reggenza, �043, ins.57, cc.n.n.

5�5 asLi, Governo, copialettere, 99�, cc.�66v-�67v, il governatore al segretario di stato, il 4 agosto �80�.

5�6 Ibidem, cc.�57r-�58v, il governatore al segretario di stato, il �9 novembre �80�.5�7 asLi, Governo, copialettere civili, 99�, cc.4�r-v, il governatore al segretario di stato,

il �5 marzo �80�.

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su quasi tutto il territorio toscano5�8, le squadre degli esecutori furo-no aumentate di due caporali e dieci famigli5�9 (seppur con qualche lentezza). Infine, tra il marzo e l’aprile del �803, fu elaborato un progetto per espellere dallo stato gli individui ritenuti più pericolosi inviandoli all’isola di santo Domingo5�0. provvedimenti utili, quindi, ma che non risolsero la situazione, non evitarono le accuse di corru-zione mosse alla polizia e all’amministrazione5��, né conferirono nuo-va autorità al governo.

La morte di Lodovico I, avvenuta il �7 marzo �803, interruppe questi ed altri progetti, avviando, nei casi più felici, soluzioni alter-native. Durante la reggenza di maria Luisa di Borbone si tentò di porre rimedio alla drammatica situazione della criminalità con diffe-renti sistemi e si perseguì il miglioramento delle condizioni di vita dei sudditi livornesi. Le lettere del de Lavillette si riempirono allora di iniziative quali, ad esempio, la realizzazione di un nuovo acquedotto che garantisse l’acqua potabile, la regolamentazione di una più con-sona e salubre sepoltura dei defunti5��, l’introduzione di provvedi-menti per una accurata pulizia delle strade e del sistema fognario5�3, oltre che assicurare un numero sufficiente di scuole, collegi e istituti

5�8 Ibidem, cc.���v-��3r, il governatore al segretario di stato Biondi, il primo ottobre �80�. In realtà il sistema, introdotto con lettera della segreteria di stato il �7 luglio �80�, era entrato in vigore solo a Livorno, siena, pisa, nella provincia inferiore di Grosseto, ma non a Firenze, come si lamentava in questa comunicazione.

5�9 asLi, Governo, copialettere, 99�, cc.�37v-�38v, il governatore al segretario di stato di Firenze, il �5 ottobre �80�, facendo riferimento al rescritto sovrano del 30 agosto pre-cedente che rendeva esecutivo tale incremento di personale, si faceva presente come invece non si fossero mai dati gli ordini alla Dogana di somministrare gli stipendi ai nuovi incaricati e si pregava affinché si provvedesse.

5�0 asFi, Reggenza, �043, ins. �, cc.n.n. 5�� scriveva al proposito il Gianni nel �804: «Non si può omettere di fare qualche os-

servazioni sulle maniere e modi che convengono alla polizia in Livorno, la quale ammette troppo di arbitrario e si è ridotta a pascere gli interessi della sbirreria alta e bassa, ed ha presi troppi passi sull’amministrazione di giustizia. Tutti sanno che la nostra polizia si è occupata di puttane e di puttanesimo più che altro in Livorno. I piccoli traviamenti, o sieno delitti correzionali, sono anche stati oggetti di attenzione. anche le tumultuose agitazioni plateari furono contemplate e vigilate dacché la rivoluzione di Francia ne fece tremare tutti i governi; ma le indagini della polizia non si sono mai dirette sulla condotta degli impiegati nelle am-ministrazioni, e forse perciò sono cadute in quei disordini che ai giorni nostri sono diventati eccessivi. anche la polizia è stata guastata», da F.m.Gianni, Discorso sopra a Livorno, cit., pp. 3�8-3�9. F.mineccia, Aspetti e questioni di storia della Toscana durante il periodo rivolu-zionario e napoleonico, in «ricerche storiche», �9 (�989), pp. 4�9-46�, in particolare p. 434.

5�� asLi, Governo, copialettere, 993, cc.�08v-�09v, lettera al segretario di stato, li �4 ottobre �804.

5�3 Ibidem, cc.���r-v, al Verdier, �7 ottobre �804.

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di carità5�4. Tra tutti però, il compito primo dei governatori di questo periodo fu quello di gestire i rapporti con le autorità di occupazione francese.

Il decreto del �7 maggio �803 proclamò lo stato d’assedio di Li-vorno, riservando al generale di divisione Olivier «tutti i poteri del-l’autorità militare». restava poco da fare a difesa dei poteri toscani, nonostante quella postilla scritta di pugno dallo stesso Olivier con la quale si auspicava che fossero necessari solo minimi cambiamenti imposti dalla sicurezza e dalla prudenza, mentre, aggiungeva, «non ne verrà fatto veruno nel sistema d’amministrazione, se le autorità che sono in carica vorranno secondare, come non dubita, le sue in-tenzioni»5�5. si deve riconoscere che il de Lavillette fece il possibile per non contrastare l’Olivier, eppure i rapporti tra i due non furono idilliaci. Non aiutò certo il fatto che il pro-governatore, come aveva scritto nel febbraio di quell’anno, fosse convinto che molte del-le disposizioni imposte dai francesi fossero motivate da ragioni in buona parte pretestuose5�6. Le cose peggiorarono quando l’Olivier promosse una indagine contro supposti emissari inglesi presenti in città. Dopo la raccolta dei nomi dei sospetti, aveva addirittura ordi-nato l’arresto di alcuni negozianti inglesi, come prigionieri di guerra, suscitando un comprensibile scompiglio fra i commercianti livornesi. Da parte francese si violarono le più elementari regole del portofran-co, ma la corte borbonica a Firenze capitolò di fronte alle pretese degli occupanti e ordinò al de Lavillette di obbedire, seppur ob torto collo5�7. Questa vicenda, che ebbe conseguenze drammatiche sulle attività commerciali di Livorno, va messa in connessione con episo-di analoghi nei quali il governatore appare come l’ultimo ostacolo eretto a protezione di quel delicato caleidoscopio di culture, identità ed interessi diversi che da secoli convivevano a Livorno a fronte del-l’offensiva proveniente da più fronti e tesa a spazzare via ogni forma

5�4 asLi, Governo, registri, ���0, c.306r.5�5 BLL, Carte Santoni, VI, novembre �80�-�8 novembre �804, «Decreto del generale in

capo comandante le truppe francesi stazionate in Italia del 7 pratile anno XI».5�6 asLi, Governo, copialettere civili, 99�, cc.30r-3�v, �� febbraio �803, de Lavillette alla

segreteria di stato.5�7 asLI, Governo, lettere civili, 8�, in data �6 dicembre �80� il de Lavillette invia alla

segreteria di stato comunicazione urgente (cc.455r-v e 457r-v) e copia della lettera di Olivier (cc.454r-v); la segreteria di stato, inviando la sua comunicazione con staffetta per maggio-re urgenza, il �7 dicembre stesso, scrive al de Lavillette di aderire all’istanza dell’Olivier (cc.453r-v e c.458r).

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di anomalia, eccezione, disomogeneità. Oltre a prendere iniziative contro gli inglesi, il governatore fu infatti costretto a intervenire an-che nei confronti di altre minoranze, nello sforzo di sottoporle ad un più rigido controllo. si presero provvedimenti restrittivi contro la comunità ebraica, si chiese di verificare il «contegno» di scismatici ed eterodossi nel timore che potessero costituire un possibile rischio per la pubblica sicurezza5�8, si imposero continui spostamenti e regola-menti contraddittori alle meretrici e si provvide a schedare i nomi dei partecipanti alle neoistituite logge massoniche5�9.

De Lavillette, nonostante l’indubbia abilità diplomatica, ebbe proprio con Olivier gli scontri più duri. La situazione parve infatti migliorare quando, revocato lo stato d’assedio con decreto di murat il �7 dicembre �803 e restituiti al de Lavillette i poteri sul porto così pesantemente lesi in precedenza, l’Olivier fu sostituito col generale Jean-antoine Verdier530.

Le cose sembrarono cambiare nei rapporti con la Francia anche nelle intenzioni della regina, la quale seppe dare prova più del con-sorte di una certa capacità di decisione, insofferente verso qualsiasi forma di violazione della sua autorità. La linea conciliatoria di Lo-dovico I fu abbandonata ed a fronte degli evidenti soprusi di giuri-sdizione la sovrana non esitò, ogni qual volta poté, a protestare uffi-cialmente, incaricando il pro-governatore di riferire tutta la propria indignazione al Verdier53�.

5�8 asLi, Governo, copialettere, 994, cc.��7r-v. Il governatore, pur sorpreso per la ri-chiesta, provvide a controllare il contegno di scismatici ed eterodossi per poi confermare co-me fosse «quale deve essere, qual è sempre stato, e tale da non poter dare la benché minima ombra che la pubblica quiete possa rimanere dal medesimo alterata».

5�9 asLi, Governo, copialettere, 995, cc.48v-49r, al consigliere martini in data � aprile �806.

530 G.drei, Il Regno d’Etruria (1801-1807) con una appendice di documenti inediti, mo-dena, società tipografica modenese, �935, p. ���. Tra il Verdier e il de Lavillette si instaurò, tutto sommato, un rapporto di reciproco rispetto. Lo dimostra la lettera di commiato che il pro-governatore inviò al momento della conclusione del mandato del generale francese, al quale diresse parole di gratitudine per la tranquillità mantenuta a Livorno durante la sua permanenza e il dispiacere per «la perdita di un uomo che giustamente ha meritato la stima e la considerazione di molti», asLi, Governo, copialettere, 994, c.�09v, de Lavillette a Verdier, li 8 settembre �805.

53� Uno dei più interessanti momenti di scontro fu in occasione dell’arresto da parte del console francese di due sudditi livornesi, Giovanni pensa e antonio Baragli, un atto di aperta violazione della sovranità toscana, in asLi, Governo, copialettere, 993, cc.34v-35r, al segretario di stato in data 8 febbraio �804, e ivi, c.��0r, in data �� novembre �804; e ancora in asLi, Governo, lettere civili, 86, cc.�5v-r e c.��r, nota scritta al generale Verdier da parte

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Nonostante ciò, la posizione della corona d’etruria e del suo go-verno restarono in linea generale di estrema debolezza. Lo si verificò anche in occasione di una grave epidemia di febbre gialla che imper-versò a Livorno dall’agosto fino a dicembre del �804, quando la vox populi addossò la responsabilità della tragedia agli ordini regi che avevano dispensato dalla contumacia una nave spagnola proveniente da santa Cruz ritenuta all’origine del contagio53�. Gli stati limitrofi isolarono la Toscana, con gravissimi danni per l’economia del regno, mentre un impenetrabile cordone sanitario metteva Livorno in isola-mento. Il comando militare francese stanziato in città, da parte sua, non esitò a spostare le milizie in aperta compagna nonostante l’ordi-ne del governatore di non uscire dalle mura urbane, non solo dele-gittimando nuovamente il de Lavillette, ma gettando nel panico tutta la regione che temette la propagazione del morbo al resto del terri-torio533. se le calamità sono solitamente attribuite dalle popolazioni alle colpe dei propri governi, nemmeno la fine del contagio e dello stato d’isolamento di Livorno poté esser utile alla causa di maria Lui-sa. anzi, solo gli sforzi dei ministri toscani impedirono una ulteriore beffa alla sovranità della regina. ai primi di gennaio del �805, mozzi partecipò confidenzialmente al de Lavillette la preoccupazione che il generale Verdier anticipasse Firenze e facesse togliere il cordone sa-nitario da Livorno di propria iniziativa. Una tale disposizione avreb-be evidentemente offeso «la sovrana degnità» qualora non fosse stata previamente concertata con il Governo toscano, oltre a dare fiato alle voci popolari che volevano che la fine dell’incubo fosse dovuto all’in-tercessione del Verdier, anziché all’autorità della reggente534.

La segreteria di stato ordinò quindi all’ufficiale lorenese di non permettere in Livorno la stampa di alcun editto o disposizione, fin-ché non vi fosse stata «un’adesione ed un concerto di questo regio Governo per il sostegno della sua dignità, ed in faccia ai propri sud-

della regina maria Luisa datata 7 giugno �804: «Lascio giudicare alla di lei saviezza quanto più sensibile esser dovrebbe a sua maestà, quanto più desolante ai suoi sudditi, vedere nel proprio territorio e sotto gli stessi occhi suoi erigersi una commissione straniera e questa giu-dicare de’ propri sudditi». altri episodi reperibili in m.aGlietti, Politica ed amministrazione periferica durante il Regno d’Etruria, cit.

53� p.covoni, Il Regno D’Etruria, cit., p. �65.533 Ibidem, p. �66,534 asLi, Governo, lettere, 87, cc.�6r-v, ��r, lettera confidenziale di V.G.mozzi dalla se-

greteria di stato al pro-governatore de Lavillette, da Firenze, in data 8 gennaio �805.

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diti e in faccia all’estero» 535. Infine, in tutta fretta, si inviò a Livorno una commissione governativa straordinaria con il compito di riferire sull’evoluzione della malattia e di valutare l’opportunità di rimuove-re lo stato d’isolamento sotto la supervisione del governatore536. La mossa doveva evidentemente servire a palesare l’interessamento so-vrano per la condizione dei livornesi, oltre che per accelerare i tempi e proclamare la rimozione del cordone sanitario dalla città.

Il de Lavillette aveva però cominciato ad accusare seri problemi di salute dall’estate di quell’anno, fino a ridursi a letto incapace anche solo di scrivere537. maria Luisa, senza troppi complimenti, lo mise definitivamente a riposo, rifiutandosi persino di attribuirgli il titolo onorifico di capitano generale delle truppe regie. al suo posto no-minò Domenico mattei, uomo a lei gradito ed imposto a tutti i costi anche contro il diverso parere dei ministri di corte538. mattei fu eletto governatore interino di Livorno con motuproprio del 3� gennaio �806 e prese possesso del Governo labronico il �8 maggio successivo, con il titolo di tenente generale conferitogli nel febbraio e in qualità di governatore civile e militare «effettivo», cioè non più interino ma a pieno titolo, in virtù di altro motuproprio sovrano. La cerimonia, al cospetto dell’ufficialità toscana e spagnola schierata al completo, si concluse con la tradizionale funzione religiosa e il giuramento per l’osservanza degli statuti in presenza del gonfaloniere e dei rappre-sentanti la Comunità, ripetendo in tutto e per tutto le formalità segui-te in occasione della presa di servizio del governatore seratti539.

Il mattei è dipinto dalla storiografia alla stregua di un parvenu, una creatura dei francesi imposta alla stessa regina come protetto di Giu-seppe Bonaparte540. In realtà egli, oltre ad essere cavaliere di santo

535 Ibidem.536 asLi, Governo, lettere, 87, c.�7r, lettera confidenziale dalla segreteria di stato al de

Lavillette, in data 9 gennaio �805 e ibidem, cc.50r-55r, motuproprio dell’�� gennaio �805 e istruzioni per la commissione.

537 asFi, Reggenza, �046, ins. �0, cc.n.n., lettera dell’auditore Benvenuti al segretario di stato in data 6 luglio �804.

538 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 78�, prot.8, ins.4, si vedano le due lettere di maria Luisa al segretario mozzi, senza data, e i due motupropri in bozza datati 3� gennaio �806 e ibidem, ins.5, bozza di motuproprio del 3� gennaio �806 con la nomina a governatore interino del mattei e il rescritto di maria Luisa conferente il grado di tenente generale delle truppe regie, datato �4 febbraio �806.

539 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 786, prot.33, ins.43, relazione redatta dal segre-tario Ludovico piqué e indirizzata al segretario il cavalier strozzi, a Firenze.

540 G.drei, Il Regno d’Etruria, cit., p. �65.

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stefano in virtù di commenda di padronato fin dal �78554�, segno inequivocabile di un felice inserimento all’interno del ceto dirigente locale, collaborava da molti anni informalmente col Governo labro-nico e aveva preso parte a vario titolo alle attività pubbliche cittadine, nel �796 era stato brigadiere del corpo dei cacciatori volontari e nel �80� era stato gonfaloniere della Comunità.

I rapporti del mattei con i ministri a corte furono tesi già all’in-domani della sua nomina a governatore, né gli fu concessa grande libertà d’azione, come dimostra la lettera del consigliere direttore della segreteria di stato, Vincenzio martini, del giugno �806, ove gli si proibiva di pubblicare alcun editto o notificazione senza la previa approvazione sovrana all’infuori di richiami a leggi vigenti o in segui-to a urgentissime misure di ordine pubblico54�. La disposizione era fortemente penalizzante: non solo infatti fino ad allora era stata rico-nosciuta al Governo labronico l’autorità di pubblicare disposizioni ritenute necessarie al mantenimento dell’ordine pubblico inviandone solo successivamente comunicazione a Firenze, ma addirittura il governatore aveva avuto la facoltà di sospendere la pubblicazione di bandi e leggi già promulgate ed applicate nel resto del granducato, «qualora in tutto o in parte non le trovasse adattabili al sistema, ed ai riguardi che si devono a Livorno, partecipando l’occorrente alla segreteria di stato» solo in un secondo momento543.

Il mattei, da parte sua, non promosse azioni particolari a tutela delle proprie competenze, ma prese molto a cuore la questione della sicurezza, visto l’incremento impressionante di attività criminali in città. Le emergenze si succedettero aggravandosi per l’entità dei mi-sfatti commessi e per il loro incremento numerico. a poco più di un mese dalla presa di servizio, il neogovernatore mattei inviava una me-moria dettagliata sullo stato della polizia di Livorno al presidente del Buon Governo. In essa evidenziava come la mancanza di personale adeguato, motivato e opportunamente formato fosse all’origine della situazione denunciata e dell’impossibilità di eseguire gli ordini pro-venienti da Firenze, al punto che aveva dovuto ricorrere alle truppe

54� B.casini, I cavalieri delle città e dei paesi della Toscana occidentale e settentrionale membri del sacro militare Ordine di S.Stefano papa e martire, pisa, eTs, �994, p. 4�.

54� asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 787, prot.39, ins.46, Vincenzio martini per la segreteria di stato al governatore mattei, il �8 giugno �806.

543 asLi, Governo, copialettere, 958, c.�40r.

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ordinarie e al regio corpo dei cacciatori per organizzare delle ronde notturne544.

Non ci fu il tempo per verificare gli effetti di quella riforma. Con la fine del regno d’etruria e l’annessione della Toscana all’Impero francese ogni antica competenza giurisdizionale del governatore fu assunta dai rappresentanti napoleonici. Tra la metà di dicembre �807 e di gennaio �808, la Borbone lasciò Firenze e il consiglio di Toscana, coerentemente ai sistemi vigenti nell’Impero, inviò al governatore di Livorno, come a quelli di pisa e di siena, l’ordine di «cessare dall’in-gerire negli affari militari, assumendo il solo titolo di commissario civile». Tutti gli affari relativi alla marina insieme a quelli spettanti alla sanità di Livorno passarono sotto il controllo diretto di edouard Dauchy, consigliere di stato e amministratore generale della Tosca-na545. Il mattei, perso anche il grado di tenente generale e privato dell’autorità sugli ufficiali del litorale, del porto e dei lazzeretti, che rispondevano solo al generale sextius-alexandre-François de miollis, conservava esclusivamente le funzioni civili, intese però in senso re-strittivo giacché ogni competenza in merito al mantenimento dell’or-dine pubblico spettava ai comandanti della forza armata546.

L’undici marzo �808 fu intimato infine a mattei di lasciare libero il palazzo del Governo in vista dell’arrivo, previsto per il �5 successivo, del neonominato prefetto del dipartimento di Livorno, Guillaume Capelle, che lo avrebbe sostituito in tutto e per tutto. al decaduto governatore furono concessi solo quattro giorni per impacchettare mobili ed effetti personali e andarsene dalla città in tutta fretta senza

544 «Il disordine che regna nel di lui [ci si riferisce al capitano di polizia di Livorno] di-partimento è cagionato dalla mancanza di persone atte a eseguire e secondare le intenzioni del Governo. Il capitano suddetto mi sembra onesto, e intelligente, ma è nuovo in questo paese e anche bene non lo conosce. Il di lui tenente pepi è inesperto e di limitate capacità. I tre caporali pittaluga, Ciotti e Catastini sono cattivi e ricusano di obbedire ai loro capi. […]. Io non posso dispensarmi da tenere nella notte in una continua vigilanza le pattuglie della truppa di linea e quelle del regio corpo dei cacciatori. Con tal vigilanza viene garantita l’individuale sicurezza delle persone, ma i furti privati continuano e i ladri non si ritrovano, e molte altre operazioni necessarie non si fanno o si eseguiscono con molta lentezza», asFi, Reggenza, �049, ins. 54, c.�, lettera del mattei al presidente del Buon Governo, datata �4 maggio �806. La richiesta del mattei di sostituire i tre caporali in servizio fu accolta dal Buon Governo, come comunicato in data �9 marzo �806.

545 asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 8�0, prot.��, ins.3�, affari di dipartimento di stato risoluti dal consigliere di stato e amministratore generale in Toscana, in data 30 gen-naio �808, alla deputazione di sanità.

546 restavano invece al mattei specifici compiti quanto ad assicurare gli alloggi, i traspor-ti e gli ospedali militari, asFi, Segreteria di Stato (1765-1808), 8�0, prot.8, inss.�0 e�3.

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assicurargli nemmeno un altro alloggio ove trasferirsi con la famiglia. Il �0 marzo fu comunicato al gonfaloniere di Livorno la prossima entrata in vigore del codice napoleonico e il �3 marzo il Capelle dette inizio alla propria attività nella nuova prefettura del mediterraneo547.

2. larestaUrazione:continUitàetrasformazioni

2.1.Quale ritorno alla «normalità»?

Conclusasi la parentesi napoleonica e soppresso l’istituto prefetti-zio548, la preoccupazione maggiore del restaurato granduca fu quella di ripristinare quanto più possibile la situazione precedente al terre-moto politico-istituzionale provocato dall’occupazione francese549. Coerentemente, si decise di richiamare in carica il governatore Fran-cesco spannocchi piccolomini, quasi come se nulla fosse successo. In realtà i cambiamenti c’erano stati e anche l’istituto del governatore avrebbe dovuto trasformarsi, non solo per adeguarsi ad una realtà storica e sociale non di poco differente a quella settecentesca, ma

547 asLi, Governo, copialettere civili, 996, c.�7v, mattei a Dauchy in data �� marzo �808; altra del mattei al gonfaloniere della Comunità, in data �0 marzo, ibidem, c.�8v. e al magistrato comunitativo in data �3 marzo, ed ibidem, c.�9v. Tutte queste lettere si trovano staccate e allegate a fondo filza. Interessanti osservazioni sul ruolo di Capelle a Livorno, con particolare riguardo ai circoli massonici cittadini, in F.conti, La massoneria a Livorno: dal Settecento alla Repubblica, Bologna, Il mulino, �006, pp,��0-��3,

548 Trattandosi di una esperienza in sé conclusa e non pertinente all’analisi del gover-natorato di Livorno, si è scelto di non esaminare il periodo napoleonico, peraltro già ben studiato dalla storiografia. si rimanda, in particolare, a G. GUarnieri, Livorno e il suo mare sotto il ciclone bonapartista francese (1796-1814). Studio storico-critico, Livorno, Debatte, �968; La Toscana nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di I.Tognarini, Napoli, edizioni scientifiche italiane, �985; s.marzaGalli, Problemi di applicazione del blocco continentale nelle città portuali: il contrabbando a Livorno in età napoleonica, in «società e storia», 55 (�99�), pp. 8�-�07. per gli aspetti istituzionali si rimanda invece a F.mineccia, Aspetti e questioni di storia della Toscana durante il periodo rivoluzionario e napoleonico, cit. Il decreto di soppressione delle prefetture si trova in Leggi del Gran-Ducato della Toscana pubblicate dal 27 aprile 1814 a tutto l’anno corrente per ordine di tempi, Firenze, stamperia granducale, �8�4, I, pp. ��4-��7.

549 Un’efficace analisi dei primi provvedimenti successivi alla partenza delle truppe di murat, tra febbraio e marzo del �8�4, è in J.P.filiPPini, Le pays italiens. Du départ des Français à la restauration: le «gouvernement provisoire» en Toscane (février-mars 1814), in La fin de l’Europe napoléonienne 1814. La vacance du pouvoir, paris, Y.m.Bercé, �990, pp. �45-363.

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anche – e soprattutto – in conseguenza delle diverse priorità espresse da Firenze.

Il previsto recupero del sistema amministrativo ed istituzionale si tradusse in una rievocazione solo formale550. La restaurazione attuò, nonostante le contraddizioni e una indubbia disorganicità degli interventi, un sostanziale piano di riforme con conseguenze di grande impatto anche sul funzionamento dell’istituto governativo. si andarono infatti a poco a poco affermando meccanismi di governo più rispondenti a una diversa forma di stato e conformi a una visione accentrata della gestione pubblica; contro la precedente struttura pluralistica del territorio ereditata dall’età medicea e mantenutasi per lo più inalterata per tutto il settecento. Cambiarono le competenze e le attribuzioni affidate al Governo di Livorno, e ciò avvenne non solo e non tanto all’insegna di una ideale messa a punto di precedenti sistemi, dimostratisi inadeguati, ma nel quadro più ampio di una tra-sformazione profonda del rapporto tra stato ed autonomie locali che consentì al granducato di pervenire ad una reale omogeneizzazione istituzionale del territorio ed alla modernizzazione amministrativa e burocratica dello stato55�.

La reintroduzione alla carica di governatore di Livorno di France-sco spannocchi assunse comunque un indubbio significato simbolico, di ideale continuità con quanto era stato invece bruscamente interrot-to dalla parentesi francese. Tale intento è evidente anche nelle parole del principe Giuseppe rospigliosi, che aveva preso proprio in quei giorni possesso della Toscana in nome del granduca Ferdinando III di Lorena. In una lettera indirizzata al senese, rospigliosi esplorava in-fatti, in via del tutto confidenziale, la disponibilità dello spannocchi a riprendere servizio a Livorno fin dal primo maggio del �8�4. Tale in-dagine preliminare, si specificava, doveva comunque esser ancora sot-toposta all’avallo granducale (visto che Ferdinando III non era ancora rientrato a Firenze)55�. spannocchi accettò e il 6 maggio del �8�4 fu

550 Ben si spiega quanto la retorica del ritorno alla tradizione nascose invece il progetto di una consapevole strategia di riforma e di applicazione di un nuovo modello di stato «ac-centrato e centralizzatore» in a.cHiavistelli, Dallo Stato alla nazione. Costituzione e sfera pubblica in Toscana dal 1814 al 1849, roma, Carocci, �006, e in particolare pp. �9-3�.

55� per una sintetica, ma efficace, analisi di questo processo si rimanda a L.mannori, Presentazione, in Stato e amministrazione nel Granducato preunitario, a cura di L.mannori, «rassegna storica toscana», � (�003), numero monografico, pp. �35-�44.

55� «La città e il porto di Livorno nel dì primo maggio cessa di avere un prefetto, poiché

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ufficialmente proclamato governatore provvisorio di Livorno, benché solo per il civile, poiché tutte le competenze di natura militare ven-nero riservate al comandante supremo austriaco. rospigliosi chiariva che questa divisione dei compiti era temporanea e dovuta all’eccezio-nalità dei tempi. Non si voleva certo riproporre il modello applicato al governatorato Ginori. anzi, spannocchi doveva succedere in tutto e per tutto «nelle facoltà del passato prefetto, e la variazione del titolo non ha per adesso altro scopo che quello di ripristinare per quanto è possibile le antiche denominazioni intanto che il Governo seriamente si occupa del ristabilimento degli antichi sistemi»553.

ricostruita la presidenza del Buon Governo il �7 giugno �8�4, con a capo aurelio puccini554, e il consiglio di stato, finanze e guerra il �5 settembre successivo555, presero avvio anche gli interventi di riforma e ricostruzione istituzionale. a partire da dicembre, puccini avviò la raccolta, con non poche difficoltà, delle informazioni sulle modalità di esercizio dell’amministrazione della giustizia a livello locale556. era ne-

la persona che cuopre quell’impiego è napoletano e deve abbandonarlo. Io trovo necessario di non lasciare neppure per un momento scoperto questo posto importante, e giacché la combinazione lo permette, sono nell’intenzione di ravvicinare almeno le denominazioni agli antichi usi, lasciando provvisoriamente sussistenti le attribuzioni che la provvisoria conferma dei sistemi attuali rende indispensabili. Ho memoria che lei, degnissimo signor generale, era il governatore di Livorno nominato legittimamente da sua altezza reale e dovendo provvi-soriamente rimpiazzare quel posto, crederei di secondare le intenzioni del sovrano se la no-minassi per modo di provvisione a quel posto per attenderne poi il sovrano volere. La prego pertanto di dirmi candidamente se ella si trova in grado, e se è nel suo buon piacere di tor-nare a servire, come governatore provvisorio di Livorno e nel caso affermativo di portarmi immediatamente la di lei risposta a voce, trovando come le dissi urgente questo rimpiazzo», in assi, Sergardi-Biringucci-Spannocchi, 434, cc.n.n., lettera di Giuseppe rospigliosi a Fran-cesco spannocchi, da Firenze, il �9 aprile �8�4.

553 Ibidem, lettera di Giuseppe rospigliosi a Francesco spannocchi, da Firenze, il 6 mag-gio �8�4

554 aurelio puccini, oltre che presidente della Corte regia, era stato già «rivestito delle at-tribuzioni che erano annesse a quella carica sotto il governo granducale, con la sola differenza [...][che] il nuovo presidente ebbe autorità estesa [...] sopra tutte le parti del granducato», da G.B.nomi, Memoria istorica del governo provvisorio del plenipotenziario principe Rospigliosi, in e.donati, La Toscana ai tempi di Ferdinando III. Vita e «istoria» di Giovan Battista Nomi, Napoli, esI, �999, Appendice, p. �0�. sul puccini si veda G.ciaPPelli, Un ministro del gran-ducato di Toscana nell’età della Restaurazione. Aurelio Puccini (1773-1840) e le sue «memorie», roma, edizioni di storia e letteratura, �007, in particolare le note biografiche alle pp. �3-48.

555 Il consiglio di stato, finanze e guerra fu ripristinato alla conclusione del governo ro-spigliosi. Facevano parte del consiglio Vittorio Fossombroni, in qualità di consigliere segre-tario di stato, Neri Corsini, come consigliere direttore della segreteria di stato e Leonardo Frullani, consigliere direttore della segreteria di finanze. L’atto del Ripristinato il consiglio di Stato, finanze e guerra, si trova in Leggi del Gran-Ducato della Toscana, cit., I, pp. 3�9-3�0.

556 Il presidente del Buon Governo puccini chiese informazioni all’auditore del governo

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cessario rivedere anzitutto le attribuzioni degli uffici provinciali depu-tati al governo, amministrazione, mantenimento della giustizia e del-l’ordine pubblico. a tal fine, la presidenza indirizzò anche una circola-re a tutti i tribunali toscani per verificare che fossero provvisti del cor-pus di leggi e bandi precedenti al �808 e accertarsi che si fosse recupe-rato l’archivio delle documentazioni antiche, dei protocolli criminali e di polizia, degli archivi dei giudici di pace e quant’altro necessario alla ripresa delle attività e alla soluzione di quelle rimaste in sospeso557.

La situazione nella quale si trovavano le cancellerie e gli archivi livornesi era a dir poco drammatica. Il tribunale era privo della docu-mentazione indicata sia per il civile che per il criminale. Nel �808 la cancelleria civile possedeva invero una pur incompleta collezione di leggi toscane, ma non si sapeva che fine avesse fatto dopo di allora. si ignorava anche se i passati auditori avessero mai tenuto un archivio. Quanto infine ai protocolli criminali ed economici anteriori al �808 si erano recuperati presso la cancelleria del tribunale di prima istanza di pisa e il procuratore regio, mentre i giudici di pace non avevano affi-dato a nessuno i propri archivi «non sapendo a chi doverli consegnare. soltanto il tribunale di semplice polizia di questa città rimesse a questa cancelleria criminale, nel passato mese, il suo piccolo archivio»558.

a Livorno, insomma, il caos imperava, mentre in molti attendeva-no in trepidazione il ritorno del nuovo sovrano nell’ansia di vedersi riconfermare privilegi ed indennità che il regime napoleonico aveva abolito. Tra questi, i primi furono i rappresentanti della «nazione» ebrea. L’�� novembre �8�4 essi contestarono infatti presso il sovrano i provvedimenti presi dal Governo di Livorno tesi, a loro giudizio con troppa facilità, ad effettuare arresti, a mandare famigli nelle case e nei banchi dei negozianti ebrei contrariamente a quanto si praticava con

di Livorno, in data �5 dicembre �8�4, «per meglio conoscere se nella direzione degli impor-tanti oggetti di Buon Governo e della polizia si proceda in tutta l’estensione del granducato con quella uniformità che è più atta a garantirne i migliori resultati, desidero che Vostra signoria Illustrissima mi rimetta copia delle istruzioni che ella avrà dirette ai signori potestà della di lei giurisdizione criminale». asLi, Auditore, �, ins.�7, cc.n.n.

557 puccini, il �0 dicembre �8�4, circolare a stampa, in asLi, Auditore, �, ins.�8, cc.nn. sulla rinnovata attenzione per l’attività svolta negli uffici, la «straordinaria proliferazione del-la modulistica» e l’importanza conferita agli archivi pubblici, riprese e sviluppate poi ancor più da Leopoldo II, si veda a.cHiavistelli, Dallo Stato alla nazione, cit., pp. 64-67.

558 asLi, Auditore, �, ins.30, cc.n.n. alcuni documenti ufficiali vennero recuperati grazie alla collaborazione di michon, che era stato per un certo periodo auditore provvisorio du-rante l’assenza del serafini, ibidem, 3, cc.n.n., michon all’auditore in data � dicembre �8�4.

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quelli delle altre «nazioni», «una persecuzione che spera la nazione [ebrea] di non meritare, e che s’avvilisce appresso la plebe, appor-tandogli dell’odiosità e disprezzo». In un tempo nel quale si voleva far rifiorire con rinnovato slancio il commercio a Livorno, era tanto più auspicabile che si provvedesse ad allettare «delle Case ebree dal-l’estero, e specialmente dal Levante, per godere dei benefici influssi dell’ottimo governo di Vostra altezza Imperiale e reale», tali misure avrebbero invece sortito l’effetto opposto. La risposta di Ferdinando III non si fece attendere e, «volendo manifestare alla «nazione» ebrea esistente nel granducato quelle favorevoli disposizioni che conserva a riguardo di esse e per cui fu sempre distinta dai suoi reali predecesso-ri», il �7 dicembre �8�4 emanò un motuproprio con il quale furono confermate tutte le antiche consuetudini. si mantenne invece l’abo-lizione del diritto di esenzione dalla giurisdizione civile e criminale ordinaria, provvedimento di età napoleonica che sottoponeva gli ebrei «indistintamente come tutti gli altri sudditi, a esser soggetti alle leggi ed ordini del granducato e a ricorrere ai tribunali ordinari»559. Fu ribadita però la validità delle decisioni e sentenze espresse dalle magi-strature ebraiche prima della riforma dei tribunali toscani, mentre, un corpo rappresentativo della «nazione» avrebbe vigilato sull’osservanza del culto, l’educazione e la beneficenza, a tal fine nelle cinque «univer-sità» ebraiche di pisa, Livorno, Firenze, siena e pitigliano si costituiva un «corpo governativo» composto da soggetti eletti dai massari con le attribuzioni ritenute opportune dalle dette università560.

Finalmente, tra il dicembre del �8�4 e il maggio del �8�5 furono regolamentate anche competenze e provvisioni dei ministri deputati ai due tribunali di Livorno, quello criminale (per il cancelliere crimi-nale si previde per altro una diversa ripartizione dei compiti con l’au-

559 si abolirono i «concistori israelitici già instituiti sotto il Governo francese in Livorno ed in Firenze». all’effetto di rendere conciliabili le regole del culto israelitico con l’ordinaria giurisdizione civile e criminale, alla quale gli ebrei sarebbero stati soggetti come tutti gli altri sudditi, il granduca disponeva che: «nelle cause relative ad ebrei precisamente per i matrimo-ni, e divorzi, starà fermo il rito ebraico in tutto ciò che ha rapporto ai vincoli religiosi e che per essi dovranno considerarsi feriati in giorni di sabato e le tredici feste dell’anno, delle qua-li sarà passata annualmente la nota ai tribunali», in asLi, Governo, lettere civili, 99, cc.n.n.

560 sulla storia della comunità israelitica di Livorno nell’Ottocento esistono approfonditi studi, ai quali si rimanda. Tra i più recenti, si segnala C.ferraradeGliUBerti, La nazione ebrea di Livorno (1814-1860). Dai privilegi all’emancipazione, Firenze, Fondazione spadolini-Nuova antologia Le monnier (Centro di studi sulla civiltà toscana fra ‘800 e ‘900, 44), �007.

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ditore56�) e quello civile e consolare, al pari di quanto disposto per le altre città dello stato56�.

per le istruzioni al governatore labronico si dovettero invece atten-dere i primi mesi del �8�6. Il 4 febbraio del �8�6 il granduca, tramite la segreteria di stato, incaricò il presidente del Buon Governo, poten-te apice della struttura del sistema di polizia granducale, di preparare «un progetto d’istruzioni per il Governo di Livorno ed i diversi suoi ministri»563. Il puccini, a sua volta, affidò all’auditore del governo di Livorno Gian paolo serafini, che si trovava in quei giorni a Firenze, il compito di stendere una prima bozza, presumibilmente lasciando lo spannocchi all’oscuro di tutto. Del resto, già da alcuni mesi la presi-denza del Buon Governo faceva prevalente affidamento sul serafini per pareri tecnico-legali e per avere informazioni politiche riservate (tra queste, notizie tendenziose che circolavano sullo spannocchi)564 e che in passato sarebbero senz’altro state richieste al governatore565.

56� aurelio puccini, dalla presidenza del Buon Governo, il primo dicembre �8�4, inviò in copia al governatore spannocchi lettera scritta al cancelliere criminale di Livorno per fissare le sue nuove incombenze nelle materie di polizia, sotto la consueta dipendenza del governatore, su ordine della segreteria di stato del �9 novembre. Nella lettera si scriveva come «nel cancelliere criminale di Livorno dalla nuova riforma dei tribunali vengono non solo mantenute le stesse incumbenze e facoltà che aveva nelle materie di polizia e criminali in passato sotto il Governo di sua altezza Imperiale e reale, ma gli vengono anche riunite quelle che si disimpegnavano in dette materie dall’auditor vicario di Livorno, salvo sempre la solita dependenza da sua eccellenza il signor governatore della città e porto di Livorno, e salve egualmente le modificazioni portate in dette materie dagli ordini e regolamenti veglian-ti». si preservava però all’auditore del governo una superiorità di direzione in quei processi criminali nei quali trovasse opportuno intervenire ed in questa parte di servizio avrebbe rice-vuto istruzioni dal presidente della ruota criminale. asLi, Governo, lettere civili, 99, cc.n.n.

56� asLi, Auditore, �, ins.�05, cc.n.n.563 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 4�, prot.8, ins.34, lettera del presidente del

Buon Governo aurelio puccini al granduca in data �0 febbraio �8�6. sulle trasformazioni del sistema di polizia granducale, dotato di un potenziato potere su tutto il territorio e anche in ambito politico ed amministrativo, si rimanda a B.sordi, Police/Policey. Linguaggi comuni e difformi sentieri istituzionali nel passaggio dalla polizia d’antico regime all’amministrazione moderna, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», XXVI, �997, pp. 6�5-65�.

564 In una lettera riservata del �6 gennaio �8�6, puccini incaricò l’auditore di informarsi quanto a una voce che circolava in città, probabilmente diffusa dal colonnello Federighi, e in base alla quale si diffondeva la «notizia che veniva dato il riposo al signor consigliere di stato spannocchi, degno governatore di cotesta città e sua giurisdizione, e qualche altra simile ciarla imprudente». si chiedeva perciò all’auditore di indagare sull’origine di tali dicerie e di provvedere a sopirle, tanto più se – come si temeva – provenienti da altri funzionari grandu-cali. asLi, Auditore, �, ins. 596, cc.nn.

565 solo per fare qualche esempio, si vedano le lettere di puccini all’auditore: in data �6 settembre �8�5, si chiese se una notificazione sugli scarichi e gli ingombri resa già esecutiva nel fiorentino e nel pisano fosse ritenuta opportuna anche a Livorno, in asLi, Auditore, �,

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Il progetto fu preparato dal serafini nel giro di pochi giorni e prese corpo in un lungo ed estremamente elaborato documento: il «proget-to d’Istruzioni per il regolamento delle attribuzioni del governatore e dell’auditore del Governo della città, porto e giurisdizione di Livor-no nelle materie di polizia ed in qualunque altra materia», articolato in quarantasette articoli. Il documento riproponeva facoltà e consue-tudini già in uso, ma ampliava la potestà dell’auditore del governo, in ideale continuità con quanto previsto dal motuproprio leopoldino del �8 novembre �780.

al governatore erano confermate le competenze legate all’autorità militare, il comando della piazza e della truppa in città e del litorale, sulla darsena e sulla marina, in posizione di superiorità gerarchica rispetto al commissario di guerra. Nell’ambito delle competenze civi-li, manteneva la direzione del governo politico, cioè di «tutto quello che può conferire al bene generale», incluso tutelare il commercio e vegliare sulle prerogative del porto, con la possibilità di introdurre misure urgenti in caso di necessità, seppur «sentito prima l’auditore del governo». Nei rapporti con i consoli non si prevedevano partico-lari innovazioni: comunicazioni esclusivamente verbali e una condot-ta il più possibile conciliante, ferma l’irrevocabilità dei diritti e della giurisdizione granducale, ribadiva né più, né meno, margini d’azione già entrati nell’uso. Le disposizioni, ordini e provvedimenti speciali impartiti da Firenze, da qualsiasi segreteria o dicastero essi prove-nissero, sarebbero stati comunicati al governatore perché vigilasse sulla loro corretta attuazione e rappresentasse al granduca sull’even-tuale malfunzionamento degli uffici o per disporre misure correttive convenienti «alle circostanze del commercio e della popolazione di Livorno». restavano di pertinenza governatoriale la direzione dei due luoghi pii presenti in città, gli interventi in materia di sanità (congiuntamente col presidente dell’addetto consiglio) e il controllo

ins.350, cc.n.n.; altra lettera riservata del �6 settembre �8�5 nella quale si richiese un parere su di un regolamento già presentato dal governatore di Livorno, su istanza del magistrato comunitativo, per punire atti vandalici contro gli acquedotti nuovi, precisando: «prima di umiliare il detto piano alla sanzione di sua altezza reale e Imperiale Nostro augusto signo-re, gradirei che ella [l’auditore] mi manifestasse il savio suo sentimento sul medesimo, colle aggiunte e modificazioni che reputasse opportune non tanto sugli articoli contemplati che sulle parti penali», ibidem, ins.355, cc.n.n.; ancora, altra lettera in data �0 ottobre �8�5, per-ché serafini valutasse la validità per l’adozione anche in Toscana di un concordato in vigore tra le corti austriaca e russa in merito alla restituzione dei disertori delle rispettive truppe, ibidem, ins.386, cc.n.n.

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sull’apertura delle porte cittadine. Gli editti pretori, infine, dovevano pubblicarsi in nome del governatore, ma dopo esser stati approvati dall’auditore del governo, e così pure la soprintendenza sulla pulizia spettava ad entrambe le cariche di concerto tra loro.

all’auditore si attribuivano invece nuovi ed estesi poteri. primo fra tutti la direzione in materia di polizia, a parità di competenze attri-buite ai vicari regi, corrispondendo col presidente del Buon Governo e col presidente della ruota criminale di Firenze quanto ai processi ordinari criminali. Lo si dotava della facoltà di poter infliggere in via «economica», con l’ausilio della cancelleria criminale, la pena del-le carceri fino a dieci giorni e delle staffilate. solo in casi più gravi, punibili fino ad un mese di carcere e all’esilio per sei mesi, si doveva rimettere la causa al governatore, riservando però al presidente del Buon Governo il diritto d’informazione quando fosse stata necessaria l’applicazione di misure maggiori e il potere di moderare o variare le decisioni governatoriali (dietro ricorso delle parti e col concorso di gravi circostanze). In tutte le suddette eventualità, vi era anche l’obbligo di informarne il granduca. Invariati, invece, il compito au-ditoriale della concessione dei salvacondotti ai forestieri per mezzo della Dogana566 e l’importante competenza, in veste di «consultore» del governatore, «in tutte le altre materie nelle quali il governatore non potrà mai prima di risolverle o proporle lasciare di prendere il parere dell’auditore predetto». al solo auditore si riservavano infine la supervisione sull’elezione per estrazione a sorte dei mezzani, sul-l’estrazione del giuoco del lotto, la revisione delle stampe e la parte-cipazione alle adunanze della Comunità di Livorno in caso di affari straordinari567.

566 La competenza in merito al rilascio dei salvacondotti ai forestieri era stata recente-mente contesa tra l’auditore del tribunale, come previsto per altro dalle richiamate in vigore istruzioni del 7 giugno �794, e il magistrato civile e consolare. per maggiori notizie, si veda asLi, Auditore, �, ins. ���, cc.n.n., lettere della regia Consulta all’auditore serafini del �� gennaio e del 9 marzo �8�5, e ivi, ins.604, cc.n.n., in data �9 giugno �8�5. risolutivo il motuproprio granducale del 5 aprile �8�6 nel quale si dichiarava come, «ferma stante nella Imperiale e regia Consulta la facoltà di accordare le assicurazioni e salvicondotti ai forestieri che desiderino domiciliarsi nel granducato, una tale facoltà compete anche all’auditore del governo di Livorno, ad esclusione del magistrato civile e consolare di detta città per ciò che concerne i forestieri che amano domiciliarsi nella città medesima», in ibidem, ins.60�, comu-nicazione della regia Consulta all’auditore serafini in data �0 aprile �8�6.

567 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 4�, prot.8, ins.34, cc.n.n., progetto dell’auditore del governo di Livorno, Gian paolo serafini, al presidente del Buon Governo aurelio pucci-ni, da Firenze, in data 9 febbraio �8�6. Testo riportato integralmente in appendice.

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a questa prima versione il puccini apportò tutta una serie di correzioni ed aggiunte nel tentativo, come chiariva al granduca, di mantenere una certa coerenza col «moderno piano governativo» che si stava preparando per l’intero granducato, senza però perdere di vista i «bisogni più particolari, stati sempre e con ragioni valutati del Governo di quella città e porto». Le osservazioni di puccini ebbero anche speciale riguardo «a lasciare [al governatore] quella forza e dignità di potere senza il quale la sua rappresentanza non sarebbe considerata e resterebbe perciò inefficace»568. In effetti, la proposta del serafini fu modificata in una ventina di articoli, prevalentemente per conservare la superiorità formale dell’incarico governatoriale su quella dell’auditore di governo, ferma restando la competenza pres-soché omnicomprensiva di quest’ultimo. Così, ad esempio, puccini aggiungeva il diritto per il governatore di essere informato sulle no-mine dei funzionari ed impiegati delle amministrazioni cittadine, gli assegnava la soprintendenza esclusiva in materia di «pulizia materiale della città» e l’autorità ad accordare certi particolari salvacondotti, seppur in accordo coll’auditore. Infine, si confermava all’auditore la competenza sulla censura della stampa specificando che tale compito era svolto «come delegato del governatore»569.

Il �4 febbraio successivo, i segretari Corsini, Fossombroni e Frulla-ni inoltrarono al principe le risoluzioni conclusive di quel lavoro.

Il presidente del Buon Governo con l’unita sua rappresentanza de’ �0 corrente, rende conto di un progetto di Istruzioni compilate dall’auditore del governo di Livorno per fissare le attribuzioni del governatore, e quelle del suo impiego. Lo stesso presidente unisce diverse osservazioni sul progetto dell’auditore, le quali in alcune parti si moderano ed in parte ne variano le disposizioni.Il consiglio ha fatta reflessione che, se per un lato è interessante che il gover-natore si consulti in tutti gli affari con l’auditore del governo, egli è d’altronde della convenienza della carica di preservare al governatore stesso tutte quelle attribuzioni che influiscono a dar rilievo alla carica predetta.L’oggetto essenziale, adunque, si è quello di render necessario il voto consul-tivo dell’auditore in tutti gli affari di qualunque natura e l’altro di vincolare le ispezioni di polizia alla direzione dell’auditore, specialmente in quanto alla dire-

568 Ibidem, lettera del presidente del Buon Governo aurelio puccini al granduca in data �0 febbraio �8�6.

569 Ibidem, «Osservazioni sul progetto, e modificazioni che si propongono», s.a. e s.d., ma del presidente del Buon Governo aurelio puccini in data �0 febbraio �8�6. Testo ripor-tato integralmente in appendice.

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zione degl’atti economici, ed alla verificazione dei fatti che formano soggetto di polizia. senza entrare nel dettaglio di tutte le attribuzioni tanto del governatore, che dell’auditore del governo, [...], sembra che presi di mira gli indicati due oggetti possa ottenersi lo scopo che si desidera, quello cioè di assicurare la rego-larità e la migliore risoluzione degli affari, combinando sui medesimi anche una adeguata influenza dell’auditore del governo, tanto più che nell’attuale ordine di cose egli riveste specialmente in materia di polizia le attribuzioni di auditore vicario.In tal concetto il consiglio valendosi delle idee dell’auditore del governo e delle osservazioni del presidente del Buon Governo esposte negl’uniti fogli, ha redat-ta l’ingiunta minuta di istruzioni che giudica opportune al caso ed atte a pro-muovere il bene del servizio e che, subordinato alla più alta intelligenza di Vo-stra altezza Imperiale e reale, ardisce umiliare alla sovrana approvazione570.

Il sovrano avallò quanto proposto, privilegiando una versione assai più breve e circoscritta delle istruzioni, ridotte nella minuta del consi-glio a una ventina di punti nei quali si ribadiva essenzialmente la cen-tralità del governatore, il suo ruolo di capo del Governo, sia politico che amministrativo, della polizia, tanto governativa che municipale, ferma la superiore direzione del Buon Governo. all’auditore si rico-noscevano ampi margini d’azione, ma sempre in qualità di delegato del governatore e dopo previa approvazione di quest’ultimo.

Le istruzioni furono finalmente inviate a Livorno il �5 febbraio �8�6, accompagnate da una lettera esplicativa che tradisce l’esistenza di una certa tensione tra centro e periferia e la necessità per il funzio-nario fiorentino di prevenire possibili obiezioni e prevedibili conte-stazioni da parte dello spannocchi. si precisava infatti che analoghe istruzioni erano state impartite anche per il Governo di siena, niente di personale, dunque, ma solo una riforma nel quadro di un piano di riorganizzazione di vasta portata. si aggiungeva inoltre che «oggetto principale» della formulazione delle istruzioni era stato di preservare nella loro integrità tutte le prerogative e le attribuzioni del gover-natore, il quale, «come capo superiore del Governo, non rimane in minima parte ristretto nelle facoltà ad esso attribuite, e soltanto sono state riconosciute alcune facoltà in materia di polizia nell’auditore del governo». Una novità peraltro resa necessaria dalla volontà di sup-

570 Ibidem, lettera a firma Vittorio Fossombroni, Neri Corsini e Leonardo Frullani, al granduca Leopoldo II, in data �4 febbraio �8�6. si annotava a lato, a firma G.rainaldi in data �4 febbraio �8�6: «sua altezza Imperiale e reale approva le accluse Istruzioni per il Governo di Livorno presentategli dal consiglio».

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plire ai compiti precedentemente assegnati all’auditore vicario e che, invece, «per loro natura, meritano di non occupare la segreteria del governatore nel minuto dettaglio»57�.

La versione definitiva delle istruzioni, sulla cui minuta appare significativamente ancora annotato il titolo «Istruzioni per il gover-natore di Livorno», con la successiva correzione e sostituzione della parola «governatore» con quella di «Governo», rese evidente, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la perdita della rilevanza della figura governatoriale a vantaggio di un ufficio concepito come composto da più soggetti e nel quale il governatore era solo uno, seppur il più im-portante, tra altri funzionari.

In sintesi, oltre a quanto già sopra esaminato, si confermarono al Governo di Livorno le prerogative in auge antecedentemente all’an-nessione francese, ma si enfatizzava una competenza che sarebbe divenuta prevalente su tutte le altre e che fu laconicamente riassunta come «quella della polizia, tanto governativa che amministrativa della città». L’auditore del governo ebbe assicurato un ruolo decisivo nel-l’attività di amministrazione, mentre la sua subalternità gerarchica nei confronti del governatore fu ampiamente compensata dalla dipen-denza di quest’ultimo, costretto a consultare l’opinione auditorale in un gran numero di ambiti d’intervento. Non si trattava, formalmente, di un parere vincolante, ma rappresentava comunque un notevole margine di influenza per l’auditore, anche alla luce dell’obbligo per gli uffici di conservare traccia per scritto delle sue considerazioni, con copia nell’archivio cittadino e a corredo di tutti gli affari da inoltrarsi, a diverso titolo, a Firenze. Il potere del governatore appariva ridotto anche nei casi d’emergenza perché, ferma l’autorità di introdurre mi-sure straordinarie per assicurare «il buon ordine», tali provvedimenti, analogamente agli editti e notificazioni da pubblicarsi «in materia di polizia, ovvero di amministrazione governativa», se non previamente approvati da Firenze, dovevano concordarsi sempre coll’auditore, nonché colla presidenza del Buon Governo. per il controllo della stampa si accolse la versione di puccini, cioè la prevalente spettanza all’auditore, pur se come delegato del governatore e riservando a quest’ultimo il potere di approvazione per la pubblicazione. all’au-

57� Ibidem, lettera dalla segreteria di stato al governatore di Livorno, in data �5 febbraio �8�6.

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ditore spettava inoltre la direzione della cancelleria del tribunale e, in buona misura, l’amministrazione della giustizia per via «economica», accogliendo in gran parte quanto già ipotizzato dal serafini e rivisto dal puccini, per i reati più gravi con l’ausilio, l’autorità e in nome del governatore e successiva comunicazione al Buon Governo; ma in so-stanziale autonomia, seppur ancora in qualità di delegato del gover-natore, per i casi meritevoli di punizioni di minor entità57�.

Le istruzioni non furono ben accolte dallo spannocchi, il quale non esitò a riferire tutto il proprio disappunto al ministro Neri Cor-sini, a Firenze, il giorno dopo averle ricevute. si rammaricò per la ef-fettiva perdita di autorità dell’incarico che deteneva, soprattutto alla luce della nuova rilevanza goduta dall’auditore e dell’obbligatorietà di richiederne un parere consultivo, una novità che giudicava foriera di gravi intralci al corretto espletamento del servizio, date anche le difficoltà esistenti nei rapporti con il serafini. Neri Corsini respinse le proteste di spannocchi con fermezza e severità, mettendo ben in chiaro come il perseverare in quell’atteggiamento ostruzionista non sarebbe stato certo gradito dal sovrano:

eccellenza, il consiglio ha portato la sua considerazione sulla lettera di Vostra eccellenza de �6 stante e per quanto abbia ravvolto in mente su quali oggetti precisi possa ella avere concepita l’idea che siano rimaste diminuite con le istru-zioni del �4 corrente le facoltà e le attribuzioni competenti alla carica che ella sostiene, non ha saputo trovar ragione della di lei asserta contradizione.Conosce bene il consiglio l’importanza della carica e quanto convenga di tenerla in rilievo, ma sa ancora che il consiglio dell’auditore del governo è stato già di massima inculcato con altra lettera per ordine di sua altezza reale e Imperiale ed è stato ogn’ora gradito dai governatori; il voto consultivo non vincola né le risoluzioni, che sono in facoltà del governatore, né le sue proposizioni, ed ella che ama tanto il servizio non può non amare di raccogliere il sentimento altrui per combinare il meglio in qualunque affare.Nel concetto pertanto che le istruzioni non fissino se non che quel sistema pra-ticato in avanti, il consiglio ha sentito con dispiacere che una supposta diversità di carattere le renda meno facile la comunicazione con codesto signor auditore del governo. Non vi può essere diversità di carattere allorquando ciascuno ha l’istesso scopo del buon servizio di sua altezza Imperiale e reale, e non può

57� asLi, Auditore, �, cc.5�7r-5�5r, «Istruzioni per il Governo di Livorno» sottoscritte da Neri Corsini e Giovan Battista Nomi, in data �4 febbraio �8� ed inviate dalla segreteria di stato al Governo labronico il �5 febbraio successivo. Testo riportato integralmente in appendice.

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parlarsi di inconciliabilità di umore in rapporto ad un ministro destinato all’im-piego dall’Imperiale e reale altezza sovrana e meriterebbe certamente la più alta disapprovazione l’idea di una diversità di carattere che porterebbe in ultima analisi il sacrifizio del servizio.Doppo queste considerazioni, mi lusingo che Vostra eccellenza avrà per cosa grata che io non faccia alcun caso della pregiata sua lettera e che ella si persua-derà del vero stato delle cose con un sentimento diverso da quello esternato, di cui altrimenti il consiglio si troverebbe astretto di render conto a sua altezza reale e Imperiale573.

Un ulteriore e assai grave colpo alle prerogative speciali del go-vernatore di Livorno fu inferto di lì a breve, prima con la legge del 9 aprile �8�6 che stabilì i compartimenti dei governi e dei commissa-riati toscani574, poi con quella del �6 aprile successivo, con la quale il puccini rese note in tutto il granducato le novelle «Istruzioni per i governatori e commissari regi», valide per tutto il territorio senza eccezione alcuna e in vigore a partire dal successivo mese di maggio. La nuova normativa introduceva un significativo potenziamento del controllo del centro sulla dimensione locale, in nome di una maggio-re e più sicura efficienza amministrativa si immolavano sull’altare del Buon Governo gli ultimi residui di autorità del governatore.

Lo spannocchi, che durante gli anni della sua seconda carica seppe dare prova di non poche abilità575, rimase titolare di compe-tenze in ambito amministrativo solo in merito alla gestione di istituti ospedalieri, di beneficenza e di educazione scolastica, ai fini della vigilanza contro abusi od irregolarità commesse dai funzionari, per «promuovere il bene delle respettive popolazioni». perse invece il controllo della materia finanziaria che fu conferita alla camera della

573 asLi, Governo, lettere civili, �04, cc.n.n., lettera del ministro Neri Corsini da Firenze, in data �7 febbraio �8�6, al governatore Francesco spannocchi.

574 si trattava dei compartimenti governativi di siena, pisa, Livorno e dell’isola d’elba, mentre Grosseto, arezzo, pontremoli, Volterra e pistoia, e in un secondo momento anche rocca san Casciano e montepulciano, furono dotati di commissariato. sia i governi che i commissariati, si dividevano a loro volta in vicariati e quindi in potesterie. B.casini, L’am-ministrazione locale del granducato di Toscana dalla Restaurazione all’annessione (1814-1860), in «Bollettino storico pisano», XXII-XXIII (�953-�954), pp. �63-�90 e in particolare pp. �65-�66.

575 Gli aspetti fondamentali del secondo governatorato spannocchi, durato ben otto anni, sono stati profusamente descritti nel saggio di m.sanacore, Francesco Spannocchi, governatore della Restaurazione fra molte contraddizioni, in Francesco Spannocchi governa-tore a Livorno tra Sette e Ottocento, cit., pp. �6�-�9�, al quale qui si rimanda, oltre che in L.e.fUnaro, op. cit., pp. ��5-��8.

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soprintendenza comunitativa, ma conservò attribuzioni giudiziarie, militari, e quanto a quelle di «buon governo» e di polizia interveniva solo in casi eccezionali o superiori alle stabilite potestà «economi-che» di auditore, vicari e potestà. L’auditore manteneva l’onere di consulente legale governativo e l’incarico di giudice civile di prima istanza per tutte le cause ordinarie, la cognizione privativa delle cause di regalia e l’istruzione delle cause su prede marittime (il cui giudizio spettava però al governatore). Dei diciassette articoli inviati a tutti i ministri periferici dal presidente del Buon Governo, questi sono i più significativi per l’istituto governatoriale:

I. Tutti i governatori e commissari regi saranno soggetti alla direzione superio-re del presidente del Buon Governo nelle materie di polizia, ed in quelle di competenza della potestà economica, ed esso si regolerà a norma delle attri-buzioni spettanti al suo posto, rendendo conto per mezzo dell’imperiale e regia segreteria di stato di quegli affari che eccedano le sue facoltà ordinarie per attenderne la sovrana risoluzione.

III. siccome però i governatori ed i commissari regi assumono il carattere di superiori locali del respettivo governo e commissariato nelle materie di buon governo, e di polizia, i vicari regi e gli altri giusdicenti si metteranno in cor-rispondenza col respettivo governatore e commissario in tutti quei casi e per tutti quegli affari che o eccedano le loro competenze ovvero esigano un provvedimento straordinario.

V. Ferme stanti, come è stato detto, le ordinarie facoltà dei vicari regi negli affari spettanti alla potestà economica, essi risolveranno quelli di loro com-petenza e quando eccedano le dette loro facoltà, rimetteranno gli atti col loro parere al governatore, o al commissario, a cui è attribuita la facoltà di risolverli dentro i limiti della carcere per un mese, delle staffilate, dell’esilio per sei mesi dal governo, o commissariato, e delle multe che non eccedano le lire cento.

VIII. Dalle risoluzioni economiche dei governatori e commissari regi, potrà aversi ricorso al presidente del Buon Governo che sul concorso di gravi cir-costanze avrà facoltà di sospenderne anche l’esecuzione fino a causa cono-sciuta.

XI. Né i governatori, né i commissari regi avranno facoltà di dispensare dall’os-servanza di qualunque articolo di regolamento generale di polizia, o di buon governo, se non ne siano autorizzati espressamente, e letteralmente dal rego-lamento stesso, ed in questo caso dovranno per il canale della presidenza del buon governo partecipare le loro disposizioni576.

576 asLi, Auditore, �, ins. 793, cc.nn., lettera del presidente del Buon Governo conte-nente una circolare riguardante le «Istruzioni generali per i governatori e commissari regi

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In ultimo, onere dei governatori sarebbe stato mantenere aggior-nato un dettagliato protocollo delle risoluzioni di polizia e dei rap-porti ricevuti dai vicari regi, loro dipendenti, da inviare mensilmente al Buon Governo.

Il sistema fu perfezionato con una serie di leggi ispirate agli stessi principi. si rafforzò l’accentramento delle funzioni con la normativa unica del �8 gennaio �8�6 per l’amministrazione dei Bagni dei for-zati di tutto il granducato (pisa, Livorno, Orbetello e portoferraio), confermando l’obbligo per i governatori e il commissario regio di Grosseto di render conto al presidente del Buon Governo di tutte le disposizioni eccedenti le loro facoltà ordinarie (estese fino alla punizione di un mese di carcere e fino a �5 bastonate)577. Inoltre, si trasferirono competenze governatoriali a soggetti direttamente dipen-denti da Firenze, come con la promozione dell’ispettore di polizia di Firenze Giovanni Fabbrini all’incarico d’ispettore generale su tutto il corpo degli esecutori del granducato, riconoscendogli poteri di con-trollo e coordinamento di non poca importanza sulla direzione dei relativi dipendenti578. Queste disposizioni si inserivano nell’ambito della crescente attenzione del governo centrale di avocare a sè il con-trollo poliziesco, riducendo quindi i margini d’azione e la capacità mediatrice del governatore di Livorno. Le direttive principali d’in-tervento miravano a contenere la diffusione di fenomeni criminali, acuitisi in maniera significativa nella città portuale, con il diretto mo-nitoraggio di quei soggetti, provenienti dall’estero, sospettati di favo-rire la circolazione di idee politiche avverse al regime restaurato579. alcune limitate competenze in materia di polizia municipale furono riconosciute dalla legge del �6 settembre �8�6 (e dalle istruzioni del

del granducato» del �6 aprile �8�6. a stampa. altra copia reperibile in ibidem, �04, cc.n.n., dalla presidenza del Buon Governo al governatore di Livorno.

577 asLi, Governo, lettere civili, �04, cc.n.n., regolamento per l’amministrazione dei Bagni dei forzati del �8 gennaio �8�6 e comunicato da Nomi al governatore di Livorno il �6 febbraio successivo.

578 Ibidem, circolare dalla presidenza del Buon Governo del �7 aprile �8�6 di chiarimen-to e delucidazione sul motuproprio del 5 aprile precedente con il quale si era provveduto alla detta promozione.

579 In questa direzione, le raccomandazioni dirette dalla presidenza del Buon Governo all’auditore del governo di Livorno per implementare la sorveglianza e l’adozione di rigide misure nei confronti dei «forestieri sospetti, soprattutto in materia politica» del �8 aprile del �8�5 e la circolare del luglio successivo contenente istruzioni per rafforzare la lotta alla cri-minalità e la disposizione a redigere rapporti bimestrali sui detenuti rimessi in libertà, tutto in asLi, Auditore, �, inss. �07 e �76.

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�0 gennaio successivo) anche ai gonfalonieri, che erano nel frattempo divenuti di diretta nomina granducale580. Con la notificazione del �8 maggio �8�8, il granduca ratificò inoltre le proposizioni avanzate dal puccini per la riforma del regolamento di polizia di Livorno, prece-dentemente sottoposte all’attento esame dell’auditore del governo58�. In base alla nuova normativa, le competenze delle cancellerie civili e criminali di Livorno furono affidate a due commissari di polizia: uno deputato alla città interna, darsena e porto, con tutte le incombenze prima disimpegnate dal soppresso cancelliere criminale, e l’altro re-sponsabile per i sobborghi, campagne limitrofe e altre popolazioni comprese nella soppressa cancelleria civile dell’auditore del governo (con prerogative assai simili a quelle attribuite ai vicari regi ed ai commissari di quartiere di Firenze in virtù delle istruzioni del 5 aprile �8�6)58�. al governatore, infine, si ampliarono le facoltà in materia

580 sulla riforma introdotta con il motuproprio del �6 settembre �8�6, si veda a.macrì, La costituzione del territorio. La dimensione comunitativa nel Granducato di Toscana durante la Restaurazione (1814-1825), in «rassegna storica toscana», � (�003), pp. 30�-348 e in parti-colare pp. 3�3-3��.

58� asLi, Auditore, 7, c.474r, puccini all’auditore del governo, il 4 aprile �8�8, richieden-do suggerimenti ed osservazioni sul regolamento di polizia municipale di Livorno del �784 alla luce e «a forma delle cose sul proposito verbalmente concertate». si preparava evidente-mente la bozza del nuovo regolamento. si comunicò al governatore tale intenzione solo il 7 aprile successivo, in ibidem, cc.534r-v e 585r, puccini al governatore, inviando per altro un documento in parte differente rispetto al definitivo.

58� «sua altezza Imperiale e reale è rimasta convinta che l’ordine stabilito nella sua benemerita città di Livorno per l’amministrazione della giustizia criminale e della polizia, dopo i progressi considerabili che vi hanno fatto la popolazione e il commercio, esigeva dei cangiamenti per confermar sempre pronta ed efficace questa amministrazione e con dei mez-zi proporzionati alle circostanze, e con suo veneratissimo motuproprio ha ordinato sino dai sette aprile decorso che cessino dal primo giugno prossimo in avvenire alla cancelleria cri-minale del Governo tutte le incombenze che gli erano attribuite dagli ordini nelle materie di Buon Governo e di polizia, e che, ferma stante in questa materia la direzione del consigliere di stato governatore della città e porto a forma e nei modi prescritti dalle leggi ed istruzioni veglianti le incumbenze predette, possino e si distribuiscano in due nuovi commissari di polizia che dovranno disimpegnarle nel modo e con le attribuzioni più appresso comulativa-mente alle competenze che gli sono deferite dalla notificazione del �8 maggio cadente della imperiale e regia consulta nelle cause di piccol merito civile», in asLi, Auditore, 78, ins.58, il presidente del Buon Governo aurelio puccini, in esecuzione degli ordini della segreteria di stato del �8 aprile �8�8, elenco delle istruzioni per i due commissari di Livorno, loro competenze e prerogative, in data �� maggio �8�8. In asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 89, prot.�3, ins.60 si conservano le «proposizioni personali per i due commissari di Livorno» di puccini del �3 maggio �8�8 e il «parere» di Corsini, Fossombroni e Frullani del �4 mag-gio successivo. In asLi, Auditore, 7, c.597r, il motuproprio sovrano del �4 maggio �8�8 di nomina dei due commissari, cioè Francesco paoli, già segretario aggiunto della presidenza del Buon Governo, per la città «interna», e Gesualdo restoni, già potestà di Fiesole, per i sobborghi e dintorni.

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di polizia marittima e sanitaria, trasferendogli anche la potestà di accordare il passaggio dalle porte della città nottetempo fino a quel momento spettante al comando militare583, mentre col motuproprio del �9 febbraio �8�0 furono fissate in ben 78 articoli le istruzioni per le diverse autorità militari granducali, stabilendo attribuzioni e ordi-ne gerarchico nei confronti dei governatori.

2.2.Verso un nuovo sistema di governo

morto lo spannocchi il �0 ottobre �8��584, si aprì la questione del-la successione. La scelta cadde su un personaggio dalle caratteristiche personali e familiari relativamente anomale rispetto al curriculum tipico nelle precedenti nomine: il nobile lucchese paolo Lodovico Garzoni Venturi585. Da quanto risulta, il nome era stato suggerito

583 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 87, prot.�4, ins.�0 e ibidem, 9�, prot.30, ins.6�, tutti ordini ed istruzioni trasmessi a Livorno nel maggio del �8�8.

584 spannocchi soffrì diversi mesi di malattia, nonostante le cure e i consulti medici, prima di spirare. Ne dava minuzioso resoconto lo zelante auditore Giovanni Falconcini a Vittorio Fossombroni, consigliere e segretario di stato nonché ministro degli esteri. si veda, ad esempio, la lettera del Falconcini al cavalier Fossombroni, da Livorno, in data �9 luglio �8��, in asFi, Segreteria e ministero degli esteri, �6��, ins.�0, cc.n.n. sul Falconcini era rica-duto in più di un’occasione – per motivi di salute, ma anche per consentire allo spannocchi di far ritorno a siena – l’onere di esercitare le veci dell’anziano senese in merito a tutti gli affari politici, civili e sanitari della città, coadiuvato dai colonnelli Bertini, prima, e Coppini in seguito, per gli affari di natura militare.

585 paolo Lodovico Garzoni Venturi nasceva a Lucca il �5 giugno �76�. rampollo di un antico casato della nobiltà lucchese e in un momento di particolare vigore economico, ricevette un’educazione particolarmente prestigiosa al collegio nazareno di roma e poi col consueto tour in giro per l’europa. Fu uno degli anziani lucchesi già a diciassette anni e, da quelli investito della funzione di ambasciatore, condusse molteplici missioni presso l’impe-ratore. In tal modo poté approfondire le sue conoscenze dei paesi germanici, fiamminghi e dell’Inghilterra. Nonostante le distanze politiche, per le sue conoscenze linguistiche e la sua cultura internazionale fu nominato ministro delle relazioni estere durante il Governo france-se del �799, mantenendo anche in seguito un ruolo di spicco nei governi d’occupazione sia a Lucca che, con murat, a Firenze. Nel �80� fu inviato dalla repubblica lucchese presso il sovrano del regno d’etruria, e, se quel suo primo incarico durò meno di due anni, il suo le-game con Firenze venne invece definitivamente consolidato in virtù delle nozze con Carlotta di pietro Colon, figlia adottiva di Ippolito Venturi, nozze dalle quali contrasse l’obbligo del doppio cognome e della residenza nel palazzo fiorentino del Venturi. Nel �804 richiese, ed ottenne, il patriziato fiorentino seppur congiuntamente si era avanzata supplica al principe Felice Baciocchi per poter conservare la cittadinanza lucchese. Il 6 agosto �806, il sovrano accolse temporaneamente la sua richiesta, accordandogli anche «l’addimandata autorizzazio-ne di esercitare qualunque offizio o carica in etruria», in asLu, Archivio Garzoni, 93, ins.4. La carriera del Garzoni spostò da questo momento il suo fulcro a Firenze, a parte una breve parentesi (�8�0-�8��) trascorsa a parigi presso Napoleone che ne aveva apprezzate le doti

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dall’allora consigliere intimo di stato, il tenente generale nonché governatore militare e civile della città di pisa Niccolò Viviani586. Una candidatura che parrebbe confermare la tendenza, già segnalata dalla storiografia, di scegliere funzionari granducali che fossero il più possibile distanti – in tutti i sensi, sia geografici che culturali – dal-l’aristocrazia fiorentina, privilegiando soggetti appartenenti a realtà periferiche, dotati di ottimi percorsi personali nei ranghi dell’am-ministrazione granducale e, insomma, che fossero soprattutto degli «uomini di corte»587. Un lucchese e un patrizio «atipico», dunque, che aveva in più occasioni dato prova di integerrima fedeltà dinastica agli asburgo-Lorena, privo di velleità politiche o di smanie d’auto-nomia da rivendicare in termini d’identità di ceto588, e che doveva buona parte della sua carriera toscana ad incarichi di fiducia presso la famiglia granducale589. Il Garzoni soddisfaceva appieno i requisiti, al punto da far dimenticare o almeno passare in secondo piano la sua effettiva idoneità in termini di competenze pregresse e di dimostrate capacità per un incarico cruciale come era quello del governatorato livornese. È infatti evidente come il gentiluomo lucchese, diversa-mente dalla pressoché totalità dei governatori che l’avevano precedu-to, fosse privo di una solida esperienza militare, lacuna alla quale si tentò di porre rimedio conferendogli ad hoc il titolo di generale mag-giore delle truppe regie nel �8�9590. mancava inoltre di competenze

di diplomatico. Una sintetica memoria della famiglia e della carriera di Garzoni Venturi è reperibile in asLu, Archivio Garzoni, 9�, ins.�0, mentre utili informazioni biografiche sono ben descritte nell’introduzione di Un patrizio toscano alla corte di Napoleone. Diari di Paolo Lodovico Garzoni, a c.di Carlo pellegrini-Francesco Giovannini, Firenze, Olschki, �994 e in a.volPi, Da lucchesi a toscani: l’aristocrazia cittadina tra chiusure e ralliement, in Fine di uno Stato: il ducato di Lucca (1817-1847), in «actum Luce», XXVI (�997), pp. �7�-3�5.

586 Così almeno ci lascia intuire lo stesso Garzoni nel ringraziamento rivolto all’amico Vi-viani. a questi egli doveva anche la più antica nomina di ciambellano regio, il primo incarico nella sua carriera fiorentina, dopo aver lasciato Lucca. In asLu, Archivio Garzoni, �70, ins.�, lettera n°8, a Niccolò Viviani, governatore di pisa.

587 a.volPi, I governatori di Pisa cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano, in L’Ordine di Santo Stefano e la città di Pisa. Dignitari della Religione, dirigenti dello Studio e funzionari del governo nei secoli XVI-XIX, (atti del convegno, pisa 9-�0 maggio �997), pisa, eTs, �007, pp. 359-378.

588 Un interessante e puntuale profilo del Garzoni Venturi, e della sua «atipicità» nel contesto del patriziato lucchese, è reperibile in a.Breccia, Fedeli servitori. Le onorate carrie-re dei Giorgini nella Toscana dell’Ottocento, pisa, eTs, �006, pp. 44-47.

589 a.volPi, Da lucchesi a toscani, cit., pp. 305-308.590 asLi, Governo, ��30, motuproprio del �7 gennaio �8�9. Copie del motuproprio sono

conservate anche in asLu, Archivio Garzoni, 90, ins.�7 e in ibid., 93, ins.�7.

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amministrative sufficienti per il ruolo che era chiamato a svolgere. È indicativo a tal proposito che fosse stato nominato consigliere intimo di stato, finanze e guerra con validità dal momento dell’elezione a governatore: attribuzione con la quale si tentava di mascherare le evi-denti lacune curriculari del Garzoni59�.

Nonostante tutto però, la scelta era stata fatta con cognizione di causa e dunque non restava che fissare le modalità di quella nomi-na e le attribuzioni da conferire al nuovo governatore in modo che fossero anch’esse più coerenti alla linea amministrativa e burocratica che si desiderava introdurre a livello periferico. aver richiamato lo spannocchi all’incarico governatoriale nel �8�4, un funzionario che era già stato investito della carica prima degli anni francesi, aveva dato continuità alla gestione della città ma reso più complessa l’adozione di riforme troppo radicali dell’ufficio. La nuova investi-tura consentiva di rendere il compito governatoriale più adatto alle istanze espresse dalla restaurazione, almeno da un punto di vista formale. per il momento, nell’urgenza di nominare il successore, il motuproprio emanato il �5 febbraio �8�3 ribadì la consueta formula che assegnava la carica sia civile che militare sulla città e porto di Li-vorno, con tutti gli obblighi, facoltà e prerogative già note, l’onorario previsto come in passato, e l’uso della solita abitazione. Furono con-fermate anche le istruzioni del �3 giugno �789 conferite a suo tempo al seratti59�. Immediatamente dopo, dal Buon Governo si chiese all’auditore Falconcini l’invio di tutta la documentazione che fosse possibile recuperare negli archivi livornesi «riguardanti le istruzioni date in diversi tempi ai governatori di codesta città e porto, nomme-no che la descrizione delle formalità intervenute nel possesso preso di tal carica dal defunto signor governatore seratti», oltre a «un ragguaglio delle formalità che ebbero luogo nell’occasione tanto del primo possesso preso dal governatore spannocchi nel �796, quanto

59� asLi, Governo, corrispondenza ministeriale, ���, cc.n.n., motuproprio di nomina del granduca Ferdinando del �4 marzo �8�3. In realtà, il Garzoni era stato nominato consigliere onorario di stato, finanze e guerra con motuprorio granducale fin dal �3 dicembre �8�7 (asLu, Archivio Garzoni, 93, ins.��), quindi si tratta soprattutto di una ulteriore e più presti-giosa conferma.

59� asLi, Auditore, 8, ins.�49 ed ivi, Governo, corrispondenza ministeriale, ���, cc.n.n, motuproprio di nomina del governatore civile e militare della città a porto di Livorno, nella persona del marchese commendatore paolo Garzoni Venturi, consigliere di stato, finanze e guerra, dato dal granduca Ferdinando, e controfirmato da Vittorio Fossombroni, il �5 feb-braio �8�3.

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dell’altro che ne prese nel suo richiamo a detta carica nel �8�4»593. si tentò anzitutto di modificare le formalità della presa di possesso: il vecchio sistema non era ritenuto più adatto, «né conforme al siste-ma civile ed amministrativo attualmente vegliante nel granducato». Dalla segreteria di stato si inviarono all’auditore Falconcini, allora incaricato del governo civile di Livorno in attesa dell’arrivo del nuovo ministro594, tutti i dettagli della solenne manifestazione con l’opportuna avvertenza di «combinare il tutto nel modo più regolare e soddisfacente, o di suggerire quel più che ella reputasse conve-niente», muovendosi anche in accordo col gonfaloniere cittadino, l’assai stimato sproni. La cerimonia della presa di possesso si svolse il �8 maggio, seguendo la tabella di marcia stabilita da Firenze e che fu, in verità, davvero poco dissimile da quelle di seconda metà sette-cento: prima la rassegna delle truppe, la celebrazione della funzione religiosa nella cattedrale alla presenza dell’oligarchia cittadina tutta come altrimenti specificato, il corteggio conclusivo fino al palazzo di residenza del ministro ed infine i festeggiamenti della serata pro-seguiti ed offerti alle maggiori autorità del luogo595. Il segretario del Governo Lodovico piqué descrisse quella giornata più con le tinte dell’ascesa al trono di un sovrano, amato e rispettato dai propri sud-diti, che con quelle adeguate all’insediamento di un funzionario, per quanto importante. al di là dei toni di circostanza o forse per merito dei «lauti ed abbondanti rinfreschi» offerti, della distribuzione di seimila pani ai poveri e dei 300 scudi dati in beneficenza, fatto sta che il popolo labronico, accorso da ogni parte nella piazza d’arme per render omaggio a questo «impareggiabile nostro signor governa-tore», rimase «commosso e per così dire entusiastato dall’aspetto di un sì bel signore». sul Garzoni, del resto, si erano da qualche mese accumulate enormi aspettative, anche in virtù delle ottime referen-ze che circolavano in città sul suo conto a dispetto del suo atipico

593 asLi, Governo, corrispondenza ministeriale, ���, cc.n.n,, in data �7 febbraio �8�3, Neri Corsini da Firenze ringrazia l’auditore consultore del governo di Livorno, Giovanni Falconcini, di aver inviato tutto il materiale informativo precedentemente richiesto.

594 Il Falconcini si fece carico di tutte le incombenze governatoriali per un periodo di ben otto mesi compreso tra la morte dello spannocchi e la successione del Garzoni Venturi, come sottolineava egli stesso in una lettera del �8�3 al direttore delle regie Fabbriche di Fi-renze, in asLi, Auditore, �8, ins.�97, cc.n.n.

595 asLi, Governo, corrispondenza ministeriale, ���, cc.n.n, regolamento per la presa di possesso del governatore paolo Lodovico Garzoni Venturi, Neri Corsini dalla segreteria di stato all’auditore Falconcini, in data �� marzo �8�3.

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curriculum596. Tanto entusiasmo parve fin da subito condiviso pra-ticamente da tutti, popolani e aristocratici, burocrati, magistrati e commercianti, toscani o meno che fossero:

egli ha dimostrato fin qui un contegno e portamento degno di sé e della lumino-sa carica che cuopre. Tutti i forestieri inglesi, francesi, spagnoli ecc che abbiamo qui non hanno potuto che ammirare le sue belle e franche maniere, parlando agli inglesi e francesi nella loro lingua come se fosse loro nazionale.egli ha assunto l’esercizio delle sue funzioni ed ho ravvisato in lui una grande perspicacia e discernimento negli affari. Bisogna dire in una parola che il no-stro sovrano non poteva fare alla sua città di Livorno un dono più bello e più pregievole quanto quello di avere prescelto per governatore il signor marchese Garzoni Venturi che Iddio ci conservi per moltissimi anni597.

Come auspicato, fu effettivamente l’inizio di una lunga convivenza durante la quale i livornesi non mancarono di dimostrare al Garzoni i segni della propria stima e gratitudine, forse come mai avevano fatto prima. e del resto, questo infaticabile lucchese si dedicò con parti-colare fervore al governo della città, e seppe dimostrare grande effi-cienza nonostante la mancanza d’esperienza e le brevi ma frequenti assenze per recarsi nei possedimenti familiari e a Firenze (dove man-teneva numerosi affari, tra i quali anche la presidenza della prestigio-sa accademia dei Georgofili)598.

596 L’«articolo di rapporto per Firenze del �8 maggio caduto» riferisce nel dettaglio la cerimonia di presa di possesso del Garzoni, l’omaggio offertogli dall’auditore Falconcini, dal colonnello Coppini comandante il primo reggimento reale Ferdinando e dal tenente Gherardi colonnello comandante di piazza; la rassegna della guarnigione e la cerimonia in duomo, ove si era raccolta «una folla immensa di popolo, che tutto si ripromette dai lumi, virtù, e saviezza del Governo di questo ottimo magistrato, la di cui fama onorevole era da qualche mese precorsa in questa città», in ibidem. Interessanti anche gli appunti che lo stesso Garzoni Venturi annotò di quest’evento e dei suoi primi giorni a Livorno, in asLu, Archivio Garzoni, 9�, ins.7, note sparse autografe della fine di maggio �8�3.

597 asFi, Segreteria e ministero degli esteri, �6��, ins.�0, cc.n.n, lettera del segretario Lodovico piqué al cavalier Humbourg, segretario del dipartimento degli esteri, da Livorno �8 maggio �8�3.

598 a proposito di queste assenze da Livorno, Garzoni scriveva in data � novembre �8�4 alla segreteria degli esteri, con preghiera di riferire sia a Vittorio Fossombroni che a Neri Corsini, di come ci si lusingasse che a Firenze avessero comunque ben presente «che nella mia situazione, rappresentata quando mi fece l’onore sua altezza Imperiale e reale di destinarmi a Livorno, i miei congedi e le mie gite mai possono essere per oggetto superfluo e di passatempo, ma sono necessitati da molteplicità d’affari interessanti per me». asFi, Segreteria e ministero degli esteri, �6��, ins.�0, cc.n.n. I possedimenti di casa Garzoni erano posti a Lucca, oltre a una tenuta a Collodi ed alla fattoria di Camporomano nell’entroterra versiliese.

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Dopo poco più di una settimana dal giorno dell’insediamento, lo zelante governatore aveva già «pienamente giustificata l’alta opinione che l’aveva preceduto» dando prova di una «straordinaria attività». al 9 giugno aveva già provveduto alla visita dei lazzaretti, dell’arse-nale, di fortezze, caserme, ospedali e degli uffici di tutte le ammini-strazioni da lui dipendenti, aveva passato in rassegna le guarnigioni delle mura della piazza d’arme, dispensando ovunque suggerimenti e dando prova di aver già una profondissima conoscenza, fin nei più piccoli dettagli, di quel complesso sistema che era stato chiamato a governare. e doveva conoscere il segreto per svolgere al meglio il proprio compito, perchè aveva fin da subito saputo conquistarsi la fiducia e l’appoggio dei livornesi:

Quello che poi gli va cattivando ogni giorno di più l’affetto di questa popola-zione è la somma cortesia con cui riceve ogni sorte di persone e l’affidabilità colla quale seco loro si trattiene, di modo che ognuno si ripromette i maggiori vantaggi dalle virtuose doti dell’animo che l’adornano in grado eminente599.

Tanta perizia dimostrata nell’ufficio governatoriale, in realtà, era frutto di un assiduo e scrupoloso lavoro di preparazione da parte del sessantunenne marchese. a fianco delle istruzioni ufficiali, Garzoni raccolse e compilò, inizialmente aiutato anche dai colleghi fiorentini e dai suoi collaboratori livornesi600, tutta una serie di memorie e di notizie relative alle modalità antiche e moderne di funzionamento del

599 asLi, Governo, corrispondenza ministeriale, ���, cc.n.n., articolo di rapporto per Firenze del dì 9 giugno �8�3, note del segretario di governo.

600 Oltre a quanto richiese al segretario del Governo di Livorno, volle ricevere deluci-dazioni direttamente da Firenze. Neri Corsini gli inviò personalmente copia delle ultime istruzioni impartite ai governatori di Livorno, ed altre carte relative alle più recenti disposi-zioni in materia di polizia. Di tutta questa documentazione, Garzoni conservò la «Nota delle istruzioni date al Governo di Livorno in diversi tempi», con alcune interessanti osservazioni. Non prestò troppa attenzione alle istruzioni per il Ginori, governatore solo civile e che «ave-va per il militare i diritti onorifici, come dar la parola»; mentre già più utili giudicò quelle del �6 aprile �774 date al Bourbon del monte, «interessanti per i rapporti con l’auditore», come lo erano quelle date il �8 novembre e il �0 dicembre del �780 all’auditore del governo pie-rallini e quelle del �� marzo �78� per il conte da montauto, che «riguardano tutto il militare e meritano molta attenzione». poco rilievo si dava invece alle istruzioni richiamate nel suo motuproprio di nomina, quelle cioè del �3 giugno �789, sbrigativamente definite come «mi-litari, e quasi tutte conferma delle precedenti». Infine, quanto alle istruzioni più recenti del �5 febbraio e �6 aprile �8�6, e del �9 febbraio �8�0 per il militare, si scriveva: «riguardano specialmente la polizia, facoltà per casi urgenti e per massima generale riportarsi alla dire-zione del presidente del Buon Governo. Comprendono molti rapporti coll’auditore e sono precise, e interessanti». Tutto in asLu, Archivio Garzoni, �54, ins.40.

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suo ufficio perché egli stesso si sentiva particolarmente inesperto60�. Grazie alla cura coscienziosa che Garzoni ebbe nel raccogliere una grande mole di informazioni, ci è possibile ricostruire moltissimo non solo dell’istituto governatoriale ma anche dei compiti di tutti i princi-pali funzionari sui quali esercitava la propria soprintendenza.

Nella segreteria del Governo di Livorno vi erano un segretario e due commessi, ai quali si riservavano soprattutto compiti di ratifica e registrazione degli atti e delle disposizioni prese dal governatore in materia di giustizia «economica», del rilascio e vidimazione di passa-porti e visti, della registrazione di pratiche relative al movimento di merci, bastimenti e persone, e ai lavori di manutenzione del porto.

Il segretario del Governo è incaricato del portafoglio degli affari governativi civili. egli tiene il registro degli affari medesimi ed è il depositario delle carte dell’archivio che è in consegna alla di lui responsabilità. [...].riceve dal governatore la commissione di minutare le informazioni e le lettere di corrispondenza governativa, e sottopone quindi alla firma dell’eccellenza sovrana gli affari già stati da essa preventivamente approvati. Distende i de-creti alle risoluzioni economiche di competenza del governatore a sfogo degli atti compilati dai commissari di polizia. Tiene il protocollo delle escavazioni del porto, ove sono portate le deliberazioni della deputazione incaricata del-l’oggetto. Di commissione di sua eccellenza il governatore, vidima i passaporti dei forestieri previa l’esibizione del certificato del commissario di città. rilascia i boni ai libbrai e agli stampatori per gli oggetti occorrenti in servizio della segreteria dei quali se ne forma nota trimestrale che si sottopone al vidit del governatore.Il primo commesso della segreteria è incaricato della redazione del rapporto settimanale, del rilascio dei passaporti, carte da viaggio e previa l’esibizione del certificato del commissario di città e dei permessi dell’ingresso ed egresso dei bastimenti di darsena, quali permessi sono muniti della firma del governatore.al secondo commesso è affidato il copialettere, il protocollo delle risoluzioni economiche, il registro delle suppliche, e quello dei bastimenti che entrano e sortono con armi dalla darsena.

60� Garzoni confessava al governatore di siena Giulio Bianchi: «mentre sono gratissimo al grande onore compartitomi dall’incomparabil clemenza e bontà dell’ottimo nostro so-vrano, alla di cui augusta volontà ho creduto debito mio di rassegnarmi senza esitare, con fiducia in quella provvidenza che ci assiste anche nelle cose difficili e che non si conoscono, altrettanto mi avrebbe fatto un vero e sincero giubbilo se avessi veduto traslocato a sì im-portante posto altro degnissimo governatore, e pieno d’esperienza e capacità». In asLu, Archivio Garzoni, �70, ins.�, fascicolo di annotazioni tratte dalle lettere scritte in replica alle missive congratulatorie inviategli per la nomina a governatore di Livorno, lettera n.9, s.d. ma del �8�3.

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I detti due commessi i quali all’occorrenza si prestano di vicenda nelle loro in-combenze, dipendono poi in tutti gli altri affari dalla segreteria del Governo.I sigilli del Governo sono affidati al segretario del Governo.In caso di assenza o impedimento del segretario, supplisce alle sue incumbenze il primo commesso della segreteria60�.

L’immagine che emerge dell’attività governatoriale appare routina-ria e vincolata a compiti rigidamente prestabiliti, secondo un sistema accentrato su di una sola persona, il governatore, seppur molto mar-ginalmente supportata dalla segreteria. Ciò viene confermato anche nella descrizione di una giornata tipo del governatore. Tutto era di-sciplinato da una precisa sequela di incontri fissati in base a consue-tudini, ne emerge però anche la molteplicità della rete di interessi che dovevano inevitabilmente passare sotto l’occhio attento e la vigilanza del governatore, secondo un principio di delega ancora poco affer-mato. Oltre al controllo sul porto, e sul passaggio di merci e persone, spettava al governatore il monitoraggio di ogni tipo di attività relativa all’ordine pubblico e ai teatri, la vigilanza sugli affari di sanità e sul-l’applicazione delle quarantene dei lazzaretti. per il militare, riceveva a diario rapporti, da esaminare e commentare con pareri ed istruzio-ni, in merito al servizio della polizia e degli altri corpi armati presenti in città o dislocati sulle coste tirreniche, supervisionava la gestione del bargello e del Bagno dei forzati, e provvedeva a risolvere tutte le necessità ed emergenze che potevano insorgere senza preavviso.

In tutte le mattine all’ora che piace a sua eccellenza il signor governatore di destinare, riceve separatamente e ad uno per volta il capitano del bargello, il co-mandante della piazza, l’uffiziale del porto, il custode del Bagno, dai sopra men-zionati ministri vengono presentati all’eccellenza sovrana i respettivi rapporti per quello concerne l’accaduto nel giorno e nella notte precedente, il servizio militare, l’arrivo e partenza dei bastimenti e finalmente la situazione del bagno dei forzati con la loro destinazione ai travagli pubblici del giorno.Il signor governatore dà quindi ai medesimi sopra descritti gli ordini che crede propri e passa al comandante della piazza la parola per i corpi militari.

60� Ibidem, ins.�, «regolamento che fissa le attribuzioni degli impiegati della segreteria del Governo civile di Livorno». I commessi erano il dottor Facchini mazzini e Feliciano Ducci, entrambi erano «figli d’arte», il primo di un auditore fiscale di siena e l’altro, descrit-to come assai ambizioso, di un militare. presso il Governo prestava servizio, in qualità di «aiutante», anche il capitano paolo ragnoni, nipote del defunto governatore spannocchi ed assurto a tale impiego, dotato in realtà di assai poche funzioni, a seguito delle pressioni dello zio che lo aveva voluto con sé.

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riceve in appresso separatamente: il segretario del governo, quello del diparti-mento di sanità, ed il segretario del comando militare, ai quali consegna le carte e gli affari da spedirsi nel giorno riguardanti il respettivo dicastero con quelle direzioni ed istruzioni che reputerà convenienti.Vengono in tutte le mattine spediti a sua eccellenza il signor governatore i rap-porti dei commissari di polizia con il ricevimento dei forestieri e i rapporti dei teatri.Il capitano del porto, l’ispettore delle coste e i commissari di polizia hanno giornalmente luogo di presentarsi al signor governatore, ma ciò accade in ore indeterminate.Terminate queste prima incumbenze governative, mediante le quali il signor governatore è già informato di tutto, e ha passati i suoi ordini per disbrigo degli affari delle sue segreterie, dà in seguito quelle udienze che vorrà accor-dare603.

Una «memoria informativa confidenziale» forniva al Garzoni un quadro completo del personale in servizio nel �8�3 in tutte le cariche istituzionali con le quali avrebbe avuto a che fare, in un modo o nel-l’altro, durante l’esercizio delle proprie funzioni. Il governatore, sep-pur in misura diversa che in passato, restava il rappresentante del go-verno centrale rispetto a una vera e propria folla di funzionari che a lui rispondevano e ad un buon numero di soggetti, non direttamente dipendenti dal Governo, ma con i quali doveva mantenere uno stret-to contatto in virtù del ruolo strategico che, a diverso titolo, detene-vano in città. era evidente come il Garzoni dovesse muoversi su due canali, quello ufficiale disciplinato dalle competenze amministrative e militari, e quello ufficioso del compromesso e della mediazione coi principali gruppi d’interesse cittadini. Nel dettaglio, oltre ovviamente ai componenti della segreteria governativa, si descrivevano le pre-rogative degli altri funzionari: l’auditore del governo, il capitano del porto, l’ispettore delle coste (impiego creato a partire dal �8�7 e do-tato di competenze soprattutto in materia sanitaria), i commissari di polizia (istituiti, come si è visto, dal �8�8), il capitano del bargello, il comandante della piazza militare con i suoi aiutanti e il segretario del comando militare, il custode del Bagno dei forzati, il segretario del dipartimento di sanità (con alle sue dipendenze un sottosegretario, un aiuto, un cassiere, un commesso ed il medico Gaetano palloni che

603 Ibidem, «sistema tenuto dai migliori governatori di Livorno nell’ammettere alla loro presenza le persone addette all’immediato servizio del Governo».

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vi prestava servizio con buoni margini d’autorità), il comandante del-la marina da guerra (responsabile anche dei lavori di escavazione del porto e con molti soggetti ai suoi ordini), il direttore della Dogana, il commissario di guerra, il gonfaloniere della Comunità, il presidente del magistrato civile e consolare (insieme a tre colleghi, tutti audito-ri), i capitani dei tre lazzaretti, il cancelliere della «nazione» ebrea e le autorità ecclesiastiche. Garzoni doveva inoltre intrattenere stretti rapporti con molti altri personaggi che già frequentavano la casa del governatore spannocchi quali: il console di Francia, il colonnello del corpo dei Cacciatori volontari, l’economo dei regi spedali e l’inge-gnere a capo delle regie Fabbriche, i cavalieri martellini, michon, de Filippi, pellettier, e molti altri personaggi scelti tra i principali commercianti e accreditati in città, attraverso i quali era possibile co-noscere gli umori di Livorno.

La «memoria informativa» ci offre non solo un profilo di tutti i dipendenti presenti in quell’anno a Livorno, con brevi note biogra-fiche e succinte valutazioni su meriti e qualità, ma restituisce anche il ritratto di un ceto burocratico dotato di caratteristiche omogenee e distintive. Data l’importanza della carica, merita attenzione quanto riferito sull’auditore del governo Giovanni Falconcini. emergono infatti contrasti avuti col governatore spannocchi attribuibili in par-te alla personalità polemica del funzionario volterrano, nello stesso tempo costituiscono il segno di una sovrapposizione poco chiara di competenze tra i due impieghi dovuta al progressivo spostamento di attività dal governatore all’auditore, riservando al primo onori e pre-stigio e al secondo la titolarità operativa.

auditore del governo – Giovanni Falconcini di Volterra, sotto il governo fran-cese era uno dei giudici del tribunale di prima istanza in Livorno, nel �8�4 alla ripristinazione del Governo granducale fu eletto auditor console nel magistrato civile e consolare, ma per quanto si dice affermativamente, non combinando egli punto nelle idee con i suoi colleghi sia per capacità maggiore o minore, nel �8�6 fu remosso di qui e destinato commissario a pontremoli, cioè in impiego inferiore.Nel �8�8 con sorpresa di tutti, egli ricomparve in Livorno in qualità di audito-re del governo. senza punto entrare sulla di lui moralità che in fondo è senza eccezione, possiede però un carattere alquanto intollerante, quale ha fatto pa-lesemente conoscere durante il Governo di spannocchi, poiché dando egli alla natura della sua carica un estensione maggiore di quella non ha, ha cagionato in diversi incontri delle dispiacenze al defunto governatore e a tutti gli altri impie-

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gati specialmente ai commissari di polizia, tentando di togliere al governatore la direzione della polizia, di cui solo è il capo; ma nelle sue pretensioni non ha potuto mai riportare il trionfo604.

Nel braccio di ferro per la ripartizione dei poteri tra governatore ed auditore, Garzoni seppe far valere le proprie ragioni, come nel caso delle competenze in materia di censura sulla stampa. Nell’agosto del �8�6, infatti, a fronte di un dispaccio ministeriale che attribuiva tali facoltà ai governi locali, il governatore richiamò in vigore le di-sposizioni del �79� e del �793 rivendicandone la potestà. L’auditore, da parte sua, pretese un chiarimento aggiuntivo giacché, a suo giudi-zio, occorreva invece distinguere da una parte la revisione delle stam-pe, assegnata fin dalle istruzioni del �4 febbraio del �8�6 all’auditore e ribadita dal nuovo dispaccio, e dall’altra l’approvazione formale della stampa per la pubblicazione, a suo tempo di spettanza governa-toriale e adesso invece conferita al consiglio di stato. Nell’intento di imporre il proprio punto di vista, Falconcini scrisse anche al ministro Corsini a Firenze, dal quale forse si aspettava di ricevere appoggio contro il Garzoni605. Così non fu. La risposta di Corsini, che peral-tro non fu rivolta al Falconcini bensì inviata al Garzoni, ribadì che a fronte della facoltà riservata ai regi censori di dar licenza di stampa, nei casi dubbi o sui quali i censori non avessero potuto esprimersi, le opere sarebbero dovute esser consegnate ai governatori, e da questi ultimi inoltrate al dipartimento di stato congiuntamente alle proprie osservazioni. «Non posso deviare dalla forma prescritta nella sovrana risoluzione né ammettere l’intervento degli auditori del governo, se non in quanto piacesse a Vostra eccellenza o agli altri governatori di valersene consultivamente in questi affari, come negli altri», rimet-tendosi così Corsini in tutto e per tutto alla decisione del Garzoni606.

604 Ibidem, «memoria informativa confidenziale», s.d. ma del �8�3. L’autore della «me-moria» è molto probabilmente il segretario del Governo di Livorno.

605 «affinchè gli ordini convenuti in quel medesimo veneratissimo dispaccio avesser qua un’applicazione esatta ed insieme combinata colle istruzioni per questo Governo de’ �4 febbraio �8�6, manifestai al rammentato signor consigliere governatore l’infrascritta os-servazione, ma siccome mi sembrò che egli titubasse sull’attenzione che la medesima poteva meritare, così io reputo bene di manifestarla anche all’eccellenza Vostra che nella superior sua saviezza ne farà quel conto che stimerà conveniente». Così l’auditore Falconcini a Neri Corsini, in data �� agosto �8�6, in asLi, Auditore, 9, ins.6�, cc.n.n.

606 Ibidem.

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L’affermazione della superiorità gerarchica del governatore sull’audi-tore parve essere così indiscutibilmente preservata.

Degli altri ministri e funzionari ricordati nella «memoria» si met-tono in evidenza, al di là delle differenze personali, alcuni aspetti co-muni che appaiono caratteristici del corpo amministrativo labronico e, pur con qualche peculiarità, dell’intero ceto burocratico periferico granducale607. Nel complesso si trattava di individui provvisti di buone capacità e provate doti d’onestà e dedizione, non di rado in possesso di ottima preparazione culturale e professionale, quasi sem-pre capaci di annoverare numerosi anni di onorato servizio. erano infatti in gran parte funzionari piuttosto anziani, entrati in servizio ai tempi del regno d’etruria o addirittura alla fine del settecento, spesso introdottivi dal padre – già impiegato nello stesso o in affine impiego – o da altro parente prossimo, delineando i contorni di una vera e propria casta di burocrati che si trasmettevano ruoli e cariche di generazione in generazione e secondo un percorso di promozione gerarchica scandito da precisi scatti di carriera tra i diversi funziona-riati periferici del granducato.

Chiudeva la «memoria» un sintetico, lapidario profilo dello «spi-rito pubblico» della popolazione labronica, descritto come «general-mente buono», espressione di una cittadinanza ossequiosa e rispetto-sa delle leggi e dell’autorità governativa, operosa e dedita ai propri af-fari commerciali, quasi mai al centro di episodi rivoltosi o di tumulti ed afflitta unicamente da delitti minori contro il patrimonio. Livorno, «emporio di tante nazioni», si scriveva, «potrebbe quasi rassomigliar-si ad un pacifico villaggio delle alpi», un risultato comunque da at-tribuirsi alla capace vigilanza ed all’azione repressiva esercitata dagli agenti di polizia608.

riguardo a quest’ultima considerazione, anche per Garzoni l’inter-vento repressivo, potenziato con efficacia dalle riforme del �8�8, ave-va sortito l’effetto sperato, dissolvendo i drammatici scenari dipinti dai suoi predecessori di una città preda della criminalità e del ladro-cinio. Il numero dei delitti e dei furti era diminuito molto e sarebbe stato possibile ridurlo ancora qualora si fosse trovato uno stratagem-ma per allontanare una volta per sempre i ladri recidivi, giacché la

607 sul tema, F.Bertini, élites dirigenti e quadri burocratici nel passaggio dalla Toscana napoleonica alla Restaurazione, in La Toscana dei Lorena, cit., pp. 587-604.

608 asLu, Archivio Garzoni, �70, ins.�, «memoria informativa confidenziale», cit.

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stragrande maggioranza dei reati era a carico di una ristretta cerchia di individui già noti ai tribunali609.

a Livorno si godeva una «perfetta quiete pubblica, unita alla soddisfazione dell’arrivo ne’ passati giorni di vari bastimenti mercan-tili»6�0. Nonostante l’abbassamento dei prezzi di tutti i generi com-merciali che rendeva poco redditizio il mercato, nella consapevolezza di non poter più sperare in «alcuna proporzione di vantaggi come quelli goduti in alcuni anni privilegiati della neutralità», e l’inattesa recrudescenza degli attacchi turchi sui mari, non mancavano però alcuni segnali positivi. Il cospicuo transito di bastimenti mercantili, in continua crescita, l’incremento della popolazione e delle aree fabbri-cate nei sobborghi, la fiorente industria cantieristica e manifatturiera, testimoniavano una economia solida e capace di reagire alle difficoltà e all’estinguersi di più tradizionali fonti di profitto6��.

Il governatore, da parte sua, sia nei carteggi ufficiali che nelle corrispondenze private, non esitava a manifestare la propria sod-disfazione per il successo ottenuto nell’esercizio delle sue funzioni, nonostante il gravoso impegno e le molte attività che quell’incarico implicava. Così appuntava infatti nel suo diario a metà ottobre del �8�3:

Je suis gouverneur civil et militaire à Livourne, jusqu’à présent avec un heureux

609 «Una consolante prospettiva per Livorno finalmente offrono i rapporti della polizia, paragonati a quelli d’alcuni anni precedenti, nella diminuzione notabile dei delitti, sia san-guinari come di furti, per i quali secondi è osservabile che costantemente accade di veder tornar a delinquere un circoscritto numero di soggetti medesimi già conosciuti, di maniera che sembra, ove una volta si potesse giungere a veder di questi permanentemente purgato il paese, raro potesse temersi il caso di rinnovazione di simili colpe». asFi, Segreteria e mi-nistero degli esteri, �6��, ins.�0, cc.n.n. Garzoni al segretario di stato e degli affari esteri, in data � novembre �8�4.

6�0 Ibidem, Garzoni al segretario di stato e degli affari esteri, in data �6 novembre �8�4.6�� «molte sono le manifatture che o qui sonosi di nuovo stabilite, o vi hanno acquistate

maggior estensione e generalmente tutte megliorate, il che in parte serve di compenso ai mi-nori profitti del commercio. [...]. L’avvilimento dei generi distrugge le rapide e lucrose spe-culazioni, sorgente di ricchezze e talvolta di rovine, e diminuisce incredibilmente i guadagni che si diffondono in tutti quelli che hanno interesse nelle contrattazioni e che inevitabilmen-te tutti si dolgono della calamità dei tempi. [...]. malgrado tali circostanze vi sono delle case di commercio in Livorno che anche nel corrente anno si sa aver fatto degli utili vistosi, e un numero di bastimenti quadri che già d’ora posti in confronto de’ mesi stessi del passato anno passano �50, giunti nell’anno corrente in numero maggiore in questo porto, prova che non siavi quel totale languore commerciale e quella total decadenza contra la quale molti decla-mano; del che nuovo argomento avrà l’Imperiale e regio Governo dai redditi della Dogana che troverà superiori di quelli dell’anno passato». Ibidem, Garzoni al segretario di stato e degli affari esteri, in data � novembre �8�4.

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succès. Je fais un grand travail, et je n’en éprouve ni lassitude ni aucune autre suite fâcheuse6��.

e ancora, a distanza di un anno:

Gouverneur civil et militaire à Livourne, heureux d’y jouir d’une bonne santé et du meilleur succès dans l’exercice des hautes et nombreuses fonctions de cette éminente et très laborieuse charge6�3.

a fronte di tanto entusiasmo e gratificazione, registrati comunque nei primi anni del suo governo, e nonostante Garzoni sia stato de-scritto come un funzionario prevalentemente supino alle disposizioni sovrane, si può sottolineare la graduale messa a fuoco di un certo sfasamento tra le attese fiorentine e il personale modo d’intendere la carica da parte del marchese. se, infatti, a norma delle più recenti riforme l’autorità governativa pareva dover ridursi a attività di tipo onorifico e di controllo sul corretto operato dei propri sottoposti, in Garzoni si trovano invece evidenti segnali di una interpretazione più ampia del proprio compito, più simile a quel concetto di «buona amministrazione» di memoria leopoldina che prevedeva interventi governatoriali anche in aspetti di natura legislativa, economica, socia-le ed amministrativa.

eppure, fin dall’inizio, era evidente quanto fosse cambiato l’at-teggiamento che i ministri fiorentini avevano nei confronti non solo dell’istituto governativo, ma anche di Livorno, una città che ormai sembrava proprio non avere più i titoli per godere di un trattamento speciale o differente dalle altre città del granducato. Una circolare introdotta nell’aprile del �8�4 appare particolarmente significativa: la ruota criminale di Firenze impose a tutti i giudici dei tribunali gran-ducali una medesima normativa per l’arresto di individui non toscani ed a richiesta dei rispettivi governi, anche a fronte di convenzioni specifiche6�4. In base a questa norma, si rimetteva alla ruota l’auto-

6�� asLu, Archivio Garzoni, 9�, ins.��, foglio 6, note dal diario di Garzoni Venturi, dalla tenuta di Camporomano, �6 ottobre �8�3.

6�3 Ibidem, foglio 7, note dal diario di Garzoni Venturi, dalla tenuta di Camporomano, �8 ottobre �8�5.

6�4 In questi anni si stipularono differenti convenzioni tra il granducato di Toscana ed altri stati limitrofi proprio per tentare di concordare condotte di collaborazione a fronte di problemi comuni. Così, ad esempio, la convenzione con il regno di sardegna per la consegna reciproca dei disertori stipulata nel �8�6 e messa in atto il 3� maggio di quell’anno, in asLi, Auditore, 9, ins.48, cc.n.n.

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rità ultimativa di decidere forme e modalità di tali detenzioni e della possibile estradizione del reo, procedendo al fermo del sospettato colpevole solo in caso di omicidio premeditato, «delitto atrocissimo per il quale può essere dovuta la reciproca assistenza di tutti i governi per assicurarne la punizione», e di duello, «come interessante l’ordi-ne pubblico di tutti gli stati». si bandiva così l’inveterata consuetu-dine in uso a Livorno di non eseguire mai l’arresto richiesto da stati esteri ai danni di soggetti di passaggio in città, né per causa di debiti né di altri reati, e di evitare anzi ogni scandalo che potesse arrecare disturbo alla pace pubblica provvedendo ad informare segretamente i ricercati di lasciare la città. In ogni caso, anche per i reati suddetti, la circolare imponeva ai giudici di effettuare l’arresto soltanto a fron-te di regolari richieste «o dei tribunali, o delle superiori autorità po-litiche estere, e non d’esteri agenti subalterni»6�5, caso quest’ultimo che metteva al riparo dalle possibili richieste espresse a tal fine dai consoli residenti a Livorno.

Nel marzo �8�5, una nuova circolare della presidenza del Buon Governo esplicitò quali fossero i «bisogni di una amministrazione» a carico del governatore. Quei bisogni, si scriveva, si conoscevano attraverso l’osservazione empirica degli accadimenti locali, cioè dei fatti di pertinenza della giustizia ordinaria criminale. Conseguente-mente, si chiedeva alle autorità periferiche di redigere un rapporto generale annuale sui fatti «d’interesse governativo» avvenuti nel terri-torio di competenza stilando registri precisi dei reati commessi, della loro natura e delle caratteristiche distintive di coloro che li avevano perpetrati6�6.

6�5 asLi, Auditore, 8, ins.�93, cc.n.n, circolare a stampa, paolo serafini, in qualità di presidente della ruota criminale di Firenze, li �4 aprile �8�4, all’auditore del governo di Livorno ma in identica copia anche a tutti i giusdicenti del granducato. si fa qui particolare riferimento agli articoli II, IV e VII.

6�6 «L’indole, come i bisogni di una amministrazione, non possono conoscersi meglio che dai fatti e dai risultati pratici. Nelle materie specialmente di polizia e buon governo, i lu-mi che si traggono dalla esperienza sono i più sicuri non tanto per le direzioni locali che per la direzione superiore centrale. e questa esperienza buona per il dipartimento si perderebbe se non si conservassero raccolte in quadri con esattezza e precisione le memorie almeno di fatti che anno per anno interessano e possono interessare l’amministrazione della giustizia ordinaria criminale, e di quelli che interessano le cure dei magistrati di buon governo». Il rapporto annuale doveva contenere dati sui delitti commessi, quantità, cause, età dei rei e loro caratteristiche. asLu, Archivio Garzoni, �70, ins.5, copia d’una circolare del Buon Go-verno ai vicari, commissari del marzo �8�5.

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Garzoni, peraltro, esercitò una modalità di controllo sulla popo-lazione livornese che escludeva ogni forma di vigilanza persecutoria od oppressiva, mostrando una sensibilità d’impronta assai avanzata rispetto alle emergenze sociali. Ne costituisce un esempio paradig-matico l’atteggiamento tenuto a proposito del problema della pro-stituzione. Nell’ottobre del �8�6, infatti, due sacerdoti livornesi, uno dei quali era il ben noto Giovan Battista Quilici, avanzarono una supplica per l’edificazione di un reclusorio per le «femmine travia-te». La proposta venne affidata all’analisi del commissario Francesco paoli e dell’auditore del governo Francesco salvi i quali, nei detta-gliati rapporti inviati al governatore, si opponevano a tale iniziativa non solo dubitando dell’efficacia e della idoneità dei mezzi economi-ci per sostenerla, ma altresì confutando i dati negativi addotti dai due sacerdoti quanto alla diffusione della prostituzione e del malcostume in città6�7. Il Garzoni, da canto suo, confermando quello spirito li-bero da moralismi del quale aveva dato e dette prova anche in altre occasioni6�8, concordò con il giudizio espresso dai due ministri e, nell’informazione inviata al merito al segretario del regio Diritto, aggiunse alcune riflessioni personali. La causa prima della diffusio-ne del malcostume e della prostituzione, comunque assai limitati a Livorno ove anzi si confermava la positiva crescita del numero dei nuclei familiari, era da ricercarsi nella miseria e nel celibato indotto dalla mancanza di mezzi di sussistenza per formare una propria fami-glia. a nulla sarebbe servito proibire i postriboli, se non a trasformare in postribolo l’intera città. solo la bontà delle leggi e il benessere eco-nomico, fortunatamente in ripresa a giudizio del governatore, avreb-bero consentito la riduzione del fenomeno, senza necessità di alcun altro intervento. L’idea di basare il mantenimento del reclusorio sulle questue volontarie era del tutto inutilizzabile viste le caratteristiche della popolazione locale, «persone la di cui fortuna e dimora in Li-vorno è sommamente precaria e variabile». L’esperienza dimostrava

6�7 Il commissario paoli, nel suo rapporto del 3 ottobre �8�6, ribadiva come a Livorno «si può asserire che in altri tempi e non tanto addietro il pubblico costume è stato peggiore, e che è migliore sempre di quello che lo sia altrove, poiché i matrimoni della più fresca gio-ventù sono frequentissimi» e, ad ulteriore dimostrazione di ciò, si attestava come, a Livorno, le nascite degli esposti non arrivavano al 7,5% dei nati, mentre erano oltre il �6% a Lisbona, oltre il �5% a madrid, a roma pari al �8%, a parigi il �6% e a pietroburgo il 45%, in ibi-dem, ins.�0.

6�8 a.Breccia, Fedeli servitori, cit., p. 45.

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come tutte le iniziative, anche quelle a scopo ludico o per comodo del commercio, avviate e sostenute da fondi privati, erano state con-dannate a vita breve o brevissima per il rapido esaurimento di quei sussidi, ciò «malgrado che nei primi momenti della loro erezione si fosse manifestato un trasporto fino al fanatismo». era successo con l’elegante locale del Giardinetto nuovo, con l’accademia del Teatro Carlo Lodovico, con la Borsa mercantile poi ridotta a modesto teatri-no d’arte filodrammatica. Garzoni concludeva quindi di lasciare allo zelo dei supplicanti il compito di soccorrere nel miglior modo possi-bile quelle «traviate femmine» che a loro si fossero rivolte per averne soccorso, e di affidare non al Governo bensì ai prelati il compito di promuovere e trovare i «mezzi per diffondere maggiormente la istru-zione evangelica, molto più atta a migliorare l’educazione e la morale che i reclusori e le case di correzione»6�9.

L’atteggiamento di questo governatore fu quello di un amministra-tore stimolato dai progetti di miglioramento dei servizi per la città in linea colle più avanzate realtà europee, anziché rispondere al profilo di un severo supervisore, a metà fra il gendarme e l’esecutore degli ordini impartiti da Firenze. Ciò, ovviamente, non mancò di avere conseguenze negative sui rapporti con i propri superiori gerarchici che spesso lo richiamavano a limitarsi ai suoi compiti più strettamen-te amministrativi e al controllo dei suoi subordinati. Così, ad esem-pio, col dispaccio del gennaio del �8�4 si sollecitò il governatore ad adempiere meglio al proprio dovere di ispettore sull’operato del di-partimento di sanità, con l’ordine di convocare tutti i ministri addetti alle operazioni del porto per ammonirli sotto minaccia di severe pu-nizione a che «colla loro condotta tanto ministeriale che personale» non dessero luogo a violazioni o reclami, data l’importanza strategica delle loro attività «su cui sono rivolti gli occhi del pubblico e degli esteri»6�0. Tale intervento era stato probabilmente promosso dalle

6�9 Tutto in asLu, Archivio Garzoni, �70, ins.�0, informazione inviata dal governatore Garzoni il �8 ottobre �8�6 al segretario del regio Diritto. Il progetto del Quilici, nono-stante questo primo parere negativo, riuscì ugualmente a realizzarsi a distanza di un paio di anni. Nel �8�8, infatti, si erano già poste le fondamenta dell’istituto delle suore di san Giuseppe, dotandolo del principale scopo di «raccogliervi femmine dissolute vogliose d’emendarsi». L’istituto svolse un ruolo determinante nel dare ricovero ai malati di colera in occasione della terribile epidemia del �83�. Da a.zoBi, Storia civile della Toscana, cit., IV, p. 466.

6�0 Ibidem, ins.38, minuta d’istruzioni contenute nel dispaccio del �� gennaio �8�4.

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lamentele avanzate dai commercianti in merito al comportamento talvolta poco corretto tenuto dalle guardie di sanità.

Le responsabilità governatoriali in merito alla sanità pubblica era-no delicate ed importanti e valgono un pur sintetico approfondimen-to. Quello di sanità marittima era infatti un dipartimento unico per tutto il granducato. a capo dell’istituto vi era un consigliere ministro di stato, il soprintendente di sanità, residente a Firenze, ma il quar-tier generale era stabilito a Livorno, ove si trovava il suo presidente, carica che coincideva con quella del governatore. al governatore spettava il comando sulle coste, disseminate di forti e torri, e sulle isole dell’arcipelago (soprattutto per gli scali elbani) che esercitava attraverso i comandanti dei circondari e dei corpi militari d’artiglie-ria ivi stanziati e coadiuvati a loro volta da un corpo di cavalleggeri deputati alla vigilanza mobile delle spiagge. Il presidente si riuniva a Livorno con il consiglio di sanità per deliberare sulle materie sanita-rie di maggior importanza o di natura straordinaria, oltre a vigilare su tutto ciò che aveva a che fare con la «pulizia sanitaria medica interna» di città, sobborghi e suo Capitanato, come stabilito nelle istruzioni generali del gennaio del �8�9 e aggiuntesi agli ordini ed editti del �758 e del �778, ancora in vigore. Le deliberazioni prese dal consiglio dovevano essere inviate dal presidente al soprintenden-te a Firenze per ottenerne l’approvazione prima di entrare in vigore.

Dal presidente-governatore dipendevano anche la segreteria del dipartimento di sanità, l’ufficio di sanità della Bocca del porto, e i tre lazzaretti, ciascuno dei quali retti da un capitano e un certo numero di guardie sanitarie. Dalla segreteria si inviavano – in nome del presi-dente – gli ordini agli uffici del porto e ai lazzaretti per le operazioni sanitarie relative ai bastimenti in arrivo (in materia di contumacia). L’introduzione recente dell’ispettore di sanità aveva però in gran parte privato quest’organo di molte delle sue antiche responsabilità.

L’ufficio di sanità della Bocca del porto era invece composto dal capitano del porto e da quattro ministri, che esercitavano a turno le proprie funzioni, oltre ad un certo numero di militari addetti (al-l’epoca del Garzoni si contavano almeno duecento guardie di sanità, oltre agli ufficiali), apprendisti e così via. La loro competenza era quella di effettuare il servizio di vigilanza a bordo dei bastimenti in contumacia, assistere alle operazioni di carico-scarico merci, nonché al controllo di tutto ciò che accadeva nel porto e nella rada di Livor-no in merito a questioni di salute pubblica.

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I tre lazzeretti, infine, dipendevano in tutto e per tutto dal presi-dente di sanità e si distinguevano tra loro per i diversi tipi di contu-macia previsti alla quale sottoporre merci e persone6��.

Il presidente poteva avvalersi dell’ausilio di un medico consultore a ciò specificamente nominato, e di un ispettore deputato a vigilare sul servizio sanitario.

rispetto alla gestione di questo complesso sistema, Garzoni sosten-ne in alcune annotazioni personali la titolarità indiscussa della propria supremazia. L’autorità governatoriale, nella sua veste di presidente, gli consentiva di comminare pene «economiche» in caso di trasgres-sione perpetrata dai funzionari in materia di sanità, a condizione che si trattasse di violazioni lievi o di non troppa importanza. «L’arbitrio adunque del presidente nei casi di sopra contemplati è libero ed asso-luto, poiché la legge non gli addebita limitazione di sorta», purché ci si contenesse nel determinare la pena, che doveva essere proporzio-nata alla gravità della trasgressione, valida per costituire un esempio ma «tale da non compromettere troppo clamorosamente in faccia agli esteri ed al pubblico il credito e l’estimazione dei funzionari di sanità, che per quanto si può è utile che rimangano in salvo per decoro del delicato e geloso dipartimento a cui appartengono».

Garzoni rivendicava inoltre l’autorità indiscussa su tutte le cariche militari dislocate sul territorio costiero, tra le quali «non riconosce altri eguali a sé stesso, né alcuno che appartenga a questo servizio è da lui indipendente». anzi, chiariva, «non avvi nel dipartimento sa-nitario che un unico, solo e vero presidente di sanità, che è stato fin qui il governatore di Livorno», contro l’assurda pretesa di alcuni co-mandanti dei circondari e del governatore dell’isola d’elba che negli

6�� per l’esattezza, il lazzaretto di san Leopoldo era riservato agli equipaggi e carichi di bastimenti dotati di una patente «brutta», cioè provenienti da una località sospetta nella quale fosse conclamato un qualche tipo di contagio e partiti con già qualche ammalato a bor-do; in questo caso si prevedeva una contumacia di quaranta giorni per i naviganti e quindici giorni di sciorini per le merci. al lazzaretto di san Jacopo spettavano i possessori di patente «tocca», ovvero quella rilasciata da un porto esente da epidemie ma nei pressi di altre loca-lità contaminate, oppure di un bastimento partito da un luogo ove si fosse sviluppata una epidemia ma con l’equipaggio tutto sano; e infine a quello di san rocco si conducevano i possessori di patente «netta», cioè rilasciata da porti ove non vi fossero, né lì né nei dintorni, fenomeni epidemici. In questi due secondi casi, e in molti altri che rappresentavano possibili varianti (come, ad esempio, l’esser stati abbordati da corsari europei o barbareschi, o l’aver patito altre forme di visite a bordo), si affibbiavano contumacie più o meno lunghe a seconda delle circostanze e dell’opportunità.

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ultimi tempi avevano abusivamente usurpato il titolo. per rinnovare e rendere più moderno il servizio sanitario, Garzoni si fece infine pro-motore di una completa raccolta di informazioni, codici ed istruzioni che fossero allora in uso presso tutti i porti principali del mediterra-neo provvisti di analoghe magistrature6��.

Garzoni seppe gestire egregiamente anche i rapporti internazionali promuovendo collaborazioni congiunte sotto molteplici aspetti, in materia sanitaria, commerciale, strategica e militare. Nel corso della prima metà del �8�7, ad esempio, si dedicò con particolare cura allo studio di questioni di politica estera legate al mantenimento in sicu-rezza delle coste toscane con l’obiettivo di tutelarsi dalla minaccia di una guerra con Tripoli ed algeri, porre rimedio alla recrudescenza degli attacchi barbareschi e facilitare la creazione di nuovi consolati sulle coste africane che assicurassero migliori contatti e nuove possi-bilità di scambi commerciali6�3. Né da meno furono le iniziative che avviò per sollecitare lo sviluppo urbanistico della città: dette inizio al progetto per l’apertura di una porta d’accesso, la cosiddetta porta del Casone6�4, e portò a completamento i lavori dell’acquedotto di Colo-gnole6�5.

Tante attività non riscossero necessariamente il plauso dell’entou-rage del granduca e dei ministri fiorentini. Il 6 novembre del �8�9, un irritato Corsini richiamò il Garzoni all’ordine, ricordandogli quali fossero le competenze ed i limiti imposti dal rispetto della supremazia della presidenza del Buon Governo:

Ho dovuto [...] rilevare che ella non è abbastanza penetrato dell’importanza dei rapporti che tutti i veglianti ordini, dopo il �8�4, hanno stabilito fra i governato-ri come ministri locali di polizia, e la presidenza del Buon Governo.ella riguarda le di lei funzioni in materia di polizia come le minori attribuzioni della di lei rappresentanza, ma devo osservarle che in tutti i Governi provinciali,

6�� Numerosi inserti relativi al dipartimento di sanità, oltre alle osservazioni del governa-tore Garzoni, sono reperibili in asLu, Archivio Garzoni, �70, cc.n.n.

6�3 asLu, Archivio Garzoni, 9�, ins.��, foglio 9, note dal diario di Garzoni Venturi, dalla tenuta di Camporomano, luglio �8�7.

6�4 L’approvazione sovrana al progetto giunse dal ministero delle finanze il 5 dicembre �8�8, ne dette notizia lo stesso Garzoni, entusiasta, nel suo diario privato, Camporomano, 7 dicembre �8�8, in ibidem, foglio ��.

6�5 L’opera si andava ad aggiungere ai lavori di realizzazione avviati alla fine del set-tecento, del tema si tratta in I.arriGHi, L’acquedotto di Colognole, 1792-1868: la storia, la memoria i documenti di un’architettura, Livorno, Ufficio di pubblicazioni del Comune di Livorno, �99�.

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e specialmente in codesta città, esse sono per lo contrario importantissime e che la presidenza è non solamente la superiore centrale direzione della polizia, ma anche del buongoverno interno dello stato in tutti i rapporti che vi sono connes-si, e che in tal qualità esercita la sua autorità secondo gli ordini che direttamente riceve da sua altezza Imperiale e reale per mezzo delle sue segreterie.Qualunque siasi il rango, e qualunque siano le prerogative delle quali vengono i governatori rivestiti a norma del luogo ove sono chiamati ad esercitare il loro ministero, queste estrinseche qualificazioni non cangiano, né attenuano i vincoli di dependenza che nell’ordine gerarchico fissato dall’attual nostra organizzazio-ne devono mantenersi scrupolosissimamente fra la direzione centrale di Buon Governo, residente nella capitale, ed i ministri ai quali questa branca d’affari è delegata nelle diverse città e provincie del granducato.[…]Né posso tralasciare di osservarle ancora, che nell’occasione di trasferirsi per congedo alla capitale deve l’eccellenza Vostra riguardare come indispensabi-le di abboccarsi col presidente del Buon Governo per rendergli conto di ogni affare relativo alla polizia di codesta importante città e riceverne gli ordini ed istruzioni opportune.Tale è la norma di condotta, che stimo mio dovere tracciarle nei di lei rapporti ministeriali col suddetto superiore dicastero affinché vi si uniformi6�6.

Il mantenimento dell’ordine pubblico e la necessità di dirigere effi-caci servizi di sorveglianza divennero insomma, volenti o nolenti, tra le più pressanti occupazioni governatoriali. D’altra parte, la popola-zione livornese, sia del centro urbano che degli adiacenti sobborghi, era cresciuta in maniera davvero significativa. Dal �8�8 al �8�4 si registrò un incremento di quasi 5500 persone, un numero esorbitante per una città che era aumentata costantemente e che – in base ai dati allora rilevati – aveva contato 5�000 persone nel �790, 59000 nel �800, 64000 nel �807, oltre 70000 nel �8�8 e che sarebbe cresciuta ancora durante il governatorato Garzoni per arrivare nel �835 ad ol-tre 75000 anime, ben ��00 in più solo nell’ultimo anno6�7.

a fronte di questa esplosione demografica, oltre che per effetto degli avvenimenti politici europei, il governatore Garzoni cedette di

6�6 asLu, Archivio Garzoni, �54, ins.���, Neri Corsini al governatore Garzoni Venturi, li 6 novembre �8�9.

6�7 asLu, Archivio Garzoni, �70, ins.6, «stati di popolazione della città e sobborghi, inesatti per non potersi conoscere il numero vero degli Israeliti». Questa tendenza fu confer-mata anche l’anno successivo secondo quanto attestato nella corrispondente «riepilogazione dello stato delle anime, anno �836», nella quale si registrava un totale di 76.397 persone, compresi �63� ebrei, in asLi, Auditore, 49, ins.�54, cc.n.n.

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fronte alla necessità di concentrarsi sulla tutela dell’ordine favorendo un costante potenziamento delle forze pubbliche. Fra agosto e set-tembre del �8�9, Garzoni ottenne di aumentare consistentemente il numero degli uomini destinati al corpo di polizia6�8. Fu questo quasi un segnale premonitore dei turbolenti avvenimenti che portarono la città di Livorno ad essere una delle protagoniste del Quarantotto toscano.

2.3.La conquista dello status patrizio: governatori, oligarchie e dinamiche di potere

Negli anni della restaurazione, il ruolo posseduto dal governatore nei confronti dei ceti dirigenti cittadini e dei meccanismi di promo-zione sociale fu sostanzialmente confermato, ma fu anche soggetto a riforme che incisero in maniera significativa sulle sue prerogative reali e simboliche. Da un lato, infatti, l’opera del governatore rimase decisiva nella promozione di status dei gruppi dominanti cittadini appoggiando le loro istanze a Firenze, dall’altro la nuova visione della natura del potere governatoriale determinò una trasformazio-ne delle qualità necessarie per risultare idonei a rivestirne l’ufficio. Non furono più i meriti militari, né l’esperienza maturata in posti di responsabilità a pesare, quanto piuttosto le possibilità – per ricchez-za e prestigio – di poter sostenere ed esibire quel dispendioso stile di vita giudicato sempre più indispensabile al rango attribuito alla carica.

Com’è noto, gli effetti della riforma comunitativa del �780 furono piuttosto limitati sulla composizione dei ceti dirigenti toscani, ancor più a Livorno dove il requisito del censo e della ricchezza avevano comunque da sempre avuto un ruolo indiscusso6�9. L’atteggiamento

6�8 asLi, Auditore, 9, ins.��7, cc.n.n., dalla presidenza del Buon Governo li �0 settembre �8�9 al governatore di Livorno, si comunica rescritto del �� agosto �8�9 nel quale il grandu-ca aveva approvato l’implementazione della forza civile di polizia di Livorno con l’assunzio-ne di un sottocaporale e quattro famigli.

6�9 D.marrara, Riseduti e nobiltà. Profilo storico-istituzionale di un’oligarchia toscana nei secoli XVI-XVIII, pisa, pacini, �976, pp. �99-��0 e Id., Nobiltà e proprietà fondiaria nelle riforme municipali del Settecento toscano, in «Nuova antologia», CXI (�976), pp. 385-39�. Così anche B.sordi, L’amministrazione illuminata, cit., pp. �83-�9�. più recentemente, anche C.manGio, La riforma municipale a Livorno, in L’Ordine di Santo Stefano e la nobiltà toscana, cit., pp. 83-��0.

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della élite cittadina divenne anzi, se possibile, ancor più esclusivo e ispirato a modelli aristocratici. Nei primi mesi del �806, i magistrati della Comunità avanzarono richiesta all’allora sovrana, la reggente maria Luisa di Borbone, per ottenere una propria sede vescovile e l’elevazione di Livorno al grado di città patrizia, il più prestigioso livello di nobiltà dei due riconosciuti in base alla legge «per regola-mento della nobiltà e cittadinanza» del �750, in virtù del compimen-to dei duecento anni di nobiltà semplice e dei meriti della città:

Non la splendidezza soltanto, non l’onore, ed il decoro della città, che oramai può chiamarsi patrizia a tenore delle leggi veglianti per godere della nobiltà dal �606 a questa parte, non la sua sempre più crescente popolazione, non la ricchezza a cui la saggia e indefessa industria dei suoi abitanti l’hanno condotta, non il rapido aumento del suo fabbricato che la fanno ormai gareggiare anche per l’estensione colle più antiche e cospicue città del regno, non l’eleganza e la sontuosità dei suoi edifici pubblici e privati che le provvide leggi della bene amata sovrana l’invitano ad aumentare, non il lustro e il nome che ha presso tut-te le nazioni sono i soli fondamenti tutto che sembrassero per se stessi sufficienti che la lusingano di ottenere dalla più affettuosa fra le madri, dalla più amabile e benefica fra le sovrane, la grazia che umilmente addomanda, ma il bene spiritua-le e temporale di una città a niuna o alla sola capitale inferiore, in specie in po-polazione, sono i più forti motivi che la spingono a domandare col più profondo rispetto e colla maggiore istanza ed efficacia le grazie suddette630.

evidentemente, a dispetto delle riforme leopoldine, sopravviveva incontrastata la capacità attrattiva dei titoli nobiliari e delle pratiche ad essi connesse, e si diffondeva sempre più una irresistibile ansia di fasti e pompe cortigiane. Contrariamente alle origini mercantili dei gruppi oligarchici locali, anche a Livorno si affermava con sempre maggior evidenza il valore attribuito all’ordine nobiliare, espresso e manifestato anche nelle forme più appariscenti, dotato di un evidente significato simbolico nella considerazione pubblica.

Tra le ragioni che i magistrati dalla Comunità adducevano a giusti-ficazione delle proprie richieste, vi era anche la presenza dell’istituto

630 sull’importanza di avere una propria sede vescovile, e su quanto tale mancanza fu pregiudiziale per Livorno nonostante l’erezione a città dal �606, si veda e.fasanoGUarini, Nuove diocesi e nuove città nella Toscana del Cinque-Seicento, in Colle di Val d’Elsa: diocesi e città tra ‘500 e ‘600, a cura di p.Nencini, Castelfiorentino, società storica della Valdelsa, �994, pp. 39-63 e in particolare p. 40. La città di Livorno aveva avanzato richiesta di avere una sede vescovile anche in precedenza, nel �778 e nel �797, come consta dalla memoria sulla storia di Livorno che appunto in quest’occasione fu presentata dal magistrato comuni-tativo e conservata in asFi, Reggenza, �050, ins.�7, cc.n.n.

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governatoriale, prova e segno inequivocabile di prestigio e rilevanza della città stessa:

a tutti questi importantissimi riflessi, si aggiunga [...] che i reali predecessori di Vostra maestà e la stessa maestà Vostra hanno voluto onorarla nel suo capo secolare, dandoli il qualificato titolo di Governatore, e rivestendolo dei più co-spicui gradi e onori, che la di lui carica è stata sempre considerata una delle più importanti e distinte del regno63�.

L’auditore serafini sostenne la supplica dei livornesi, considerando che «la città di Livorno [aveva] un giusto titolo d’implorare, [...], che gli sia accordata l’onoreficenza ed il fregio del patriziato». eppure, aggiungeva, a quel tempo, delle trentaquattro famiglie iscritte ai libri d’oro della nobiltà cittadina63�, soltanto i due rami del casato Lorenzi avrebbero potuto dimostrare di aver avuto per duecento anni il titolo gentilizio, anche se «il patrimonio loro non è tale da porle in grado di mantenersi il lustro che conviene al patriziato». per la promozione delle altre casate si sarebbe invece dovuto aspettare alcuni decenni, o addirittura secoli. sarebbe allora forse stato più opportuno, conclu-deva serafini, rimandare di qualche anno la concessione dello status patrizio, quando almeno cinque o sei casati avessero maturato nobiltà sufficiente per esser promossi, «anche a scanso d’etichette e di gelo-sie» tra gli esclusi633.

La questione passò quindi all’esame di Firenze. Il �0 aprile del �806, il segretario del regio Diritto Tommaso simonelli si espresse in-vece favorevolmente: si trattava di una città «popolata e ricca», degna

63� asFi, Reggenza, �050, ins.�7, cc.n.n. 63� si osserva una visibile contrazione del numero delle famiglie appartenenti alla no-

biltà livornese, nella quale si annoveravano almeno quarantotto casati prima del �808, in m.aGlietti, Le tre nobiltà, cit., pp. 336-34�.

633 si calcolava necessario attendere il �8�3 per i d’angelo, la fine degli anni Trenta per altri due possibili candidati (per altro assai poveri), due famiglie sarebbero state idonee tra il �845 e il �849, gli sproni dal �860, i Farinola dal �878, i Filippi a partire dal �895, mentre per gli altri si sarebbero dovute attendere addirittura epoche posteriori al �969. asLi, Governo, lettere civili, �04, cc.n.n., «parere dell’auditore del governo signor paolo serafini sulla sup-plica del magistrato comunitativo di Livorno diretta ad ottenere che la città sia dichiarata pa-trizia dall’anno �806», rimessa il �3 marzo �8�6. si allegava anche una «Nota delle famiglie le quali godono oggi della nobiltà livornese, sia perché abbiano occupato il grado di gonfalo-niere della città di Livorno dal �606 al �7�0, o che siano state riconosciute e dichiarate nobili dai sovrani della Toscana dopo detta epoca del �7�0, ed a forma del sovrano motuproprio del �0 agosto �767 nel qual tempo le famiglie nobili erano quelle sole che qui sotto si notano con l’epoca della riconosciuta loro nobiltà, come resulta dal processo che occasionò il sopra citato sovrano motuproprio del �0 agosto �767».

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di ricevere tale onoreficenza in quanto «assai valutabili la ricchezza de’ suoi abitanti, la magnificenza delle fabbriche, [...] e l’attaccamento che ha sempre dimostrato per i suoi sovrani». I membri della deputa-zione sulla nobiltà, Tommaso magnani e Orlando malavolti del Beni-no, concordarono col simonelli, aggiungendo che recentemente era stato riconosciuta a Livorno anche un’assemblea di cavalieri stefaniani separata da quella di Firenze, evidente segno dell’esistenza in città di un gruppo di soggetti idonei a fregiarsi di insegne nobiliari. si ritenne però consigliabile esplicitare nel decreto di grazia che l’ammissione al patriziato era possibile solo a seguito della prova del possesso di due secoli di nobiltà ininterrotta. Di ben differente parere fu invece la Consulta che, nonostante l’opinione del suo presidente, giudicò im-meritevole la supplicata promozione, sottolineando che il principio di accesso al patriziato al compimento dei duecento anni di nobiltà vale-va solo per i casati, mentre per le città la legge rimandava all’arbitrio sovrano senza stabilire precisi limiti di tempo. Tant’è, si aggiungeva, che una simile grazia era stata rifiutata anche a Borgo san sepolcro, a montepulciano ed a Colle Val d’elsa, nonostante avessero tutte due secoli di nobiltà634.

Quanto poi alla ricchezza dei livornesi e alla cospicua popolazione cittadina, erano qualità troppo passeggere per costituire un vero tito-lo di merito:

sebbene osservi che Livorno abbonda di popolazione, che ha un’opulenza non ordinaria e che vanta un florido commercio, pure fa presente che la sua popo-lazione è variabile, estera ed in gran parte volgare, che le ricchezze rispetto alle persone non sono progressive e permanenti, ma transitorie, fallaci e precarie, e che le civiche onoreficenze, anziché contribuire alla maggiore prosperità del commercio, conducendo al lusso, alla vanità ed alla disoccupazione, possono essere di pregiudizio ai progressi dell’industria.Di più, rileva che sarebbe nuovo in questo regno di dichiarare decorare del patriziato una città che è stata finora mancante della sede vescovile, la quale per quanto non costituisca la vera caratteristica di città pure le accresce non poco il lustro, e lo splendore, e la inalza ad un grado più cospicuo e più luminoso delle altre città non vescovili635.

634 rispetto a Colle Val d’elsa ed alla richiesta di riconoscimento dello status patrizio, si rimanda a m.aGlietti, Nobiltà periferiche in Toscana tra Sette e Ottocento. Il caso di Colle Val d’Elsa, in Colle Val d’Elsa e l’Ordine di Santo Stefano. Istituzioni, economia e società, pi-sa, eTs, �008, pp. �9-66.

635 asFi, Reggenza, �050, ins.�7, cc.n.n., parere della reale Consulta in data 4 maggio

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Non erano peraltro in pochi a pensare, con i membri della Consul-ta, che concedere onorificenze nobiliari inducesse le classi agiate ad abbandonare le attività economiche e finanziarie condotte fino a quel momento, a favore di una vita opulenta ma improduttiva636. L’aveva scritto anche Francesco maria Gianni pochi anni prima, giudicando riprovevole l’istituzione della nobiltà a Livorno poiché in aperto con-trasto con le ragioni della fondazione della città, per altro correlando gli effetti corruttori della nobiltà sulle classi mercantili con la necessi-tà di riformare l’istituto governatoriale:

Fu una depravazione di Livorno il farvi nascere i gusti del fasto ed il vano splen-dore della corte e della nobiltà; ma in questa parte ormai la macchina è guasta, bisogna disporla a restaurarsi da se stessa senza forzarla, e perciò penserei che il principe non si lasciasse mai vedere a Livorno, altro che nel più stretto incognito e senza veruno apparato. a posare questo fondamento comincierei dal vendere il palazzo reale e tutte le sue dipendenze. sino a tanto che Livorno vede quel tabernacolo di magnificenza, non può perdere il gusto a odorare il fumo incan-tatore di corte di nobiltà, e questo gusto è velenoso per i paesi mercantili. Dietro a questo principio conviene riformare l’apparato del governatore637.

Il governatore, secondo il Gianni, doveva essere anzitutto un co-mandate dell’armi, un «vigilatore» dell’amministrazione del Gover-no, «l’occhio in somma del principe», nonché l’organo di esecuzione degli ordini sovrani. Invece, la congerie di onori, titoli e «attributi di rappresentanza esteriore» avevano trasformato l’incarico, «guastata la testa ad alcuni governatori e fissata una stolida ammirazione del popolo», a tutto svantaggio dell’autorità del principe e dell’obbe-dienza alle sue leggi. «Tutto ha finito in una pompa di corteggio che i governatori hanno ottenuta in pascolo alla loro vanità», contagiando della stessa vacuità anche i ministri e i funzionari da loro dipendenti,

�807, alla regina d’etruria maria Luisa di Borbone. I membri della Consulta erano Bartolo-meo raffaelli, Vincenzo Fabroni, angiolo Felini, Giuseppe paver. si noti la rilevante corre-zione, cancellata nel testo originale, e di sostanziale importanza nella scelta del vocabolo più appropriato per designare il conferimento dello status patrizio alla città.

636 analoghe obiezioni si trovano in situazioni assai simili anche in altre fonti toscane, ol-tremodo utile il raffronto con e.fasanoGUarini, Nuove diocesi e nuove città nella Toscana del Cinque-Seicento, cit., p. 59.

637 F.m.Gianni, Discorso sopra a Livorno, redatto nel �804 e edito in Scritti di pubblica economia storico-economici e storico-politici, Firenze, tipografia Luigi Niccolai, �849, pp. �9�-3�� e in particolare pp. 308-3�0. sull’importanza nel granducato di Toscana degli scritti del Gianni, si veda r.p.coPPini, «Dagli anni francesi all’Unità», cit., pp. ��-�6.

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rendendoli altezzosi, corrotti e poco attenti all’esercizio delle proprie attività.

L’uso inveterato di designare all’incarico governatoriale «persone di nascita e nomi conosciuti, che inoltre abbiano qualche ricchezza per poter fare onore alla rappresentanza» – scriveva il Gianni – trae-va origine dal malinteso di ottenere così maggior deferenza da parte di quanti, viaggiatori importanti per stirpe e carica, fossero giunti al porto labronico trovando nel governatore niente meno del portavo-ce del granduca. Tale convinzione aveva messo in secondo piano le capacità del prescelto, la sua saviezza e la sua probità, e così il go-vernatore aveva perso il suo ruolo più importante, quello di servire da modello per i propri subalterni, ma anche per i negozianti, i quali avrebbero dovuto trovare in lui un esempio di rigore anziché un lo-ro concorrente con il quale gareggiare «in pompe e lusso», suntuosi banchetti e feste638.

alla luce del dissidio d’opinioni presente tra le diverse componenti ministeriali, e nonostante fosse stata concessa l’erezione del vescova-do, nel �806 la Consulta rimetteva la decisione di riconoscimento del patriziato alla sovrana, la quale nel maggio del �807 si limitò a rinvia-re l’affare a tempi migliori639.

Fu nel febbraio del �8�6 che la richiesta fu nuovamente avanza-ta640. Inoltrata la supplica al granduca, la segreteria di stato chiese ancora una volta il parere dell’auditore labronico, il quale si espresse per posticipare tutto al �860, quando almeno un piccolo gruppo di famiglie avrebbe potuto aspirare al titolo. Da parte sua, invece, il go-vernatore spannocchi osservò che la richiesta riguardava solo lo sta-tus della città, non specifici soggetti o casati, e quindi da considerarsi legittima, anche «in vista dell’attaccamento che ha sempre dimostrata quella città ai suoi sovrani». anche il Cempini giudicò «ben fondata la domanda», ricordando come pietro Leopoldo e Ferdinando III avessero sempre avuto «particolari riguardi» per Livorno, «accordan-dole privilegi, esenzioni ed onorificenze per invitare le Case estere fa-coltose a portarvisi ad abitare ed esercitare il commercio». Così, «vo-lendo aver riguardo al maggior lustro della città medesima, ed all’at-

638 Ibidem, pp. 3�0-3��.639 asFi, Reggenza, �050, ins.�7, cc.n.n.640 asLi, Governo, lettere civili, �04, cc.n.n., lettera di Francesco Cempini al governatore

Francesco spannocchi, in data �4 febbraio �8�6.

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taccamento, devozione e fedeltà dimostrata in tutti i tempi», il 3 mag-gio �8�6 il granduca riconosceva la città di Livorno insignita «del-l’onore e distinzione del patriziato» a partire dal �806, collocandola nello stesso rango delle altre sette città patrizie del granducato64�.

Come pronosticato dall’auditore, i primi a potersi fregiare del patriziato non furono livornesi. Il primo, nel febbraio �8�9, fu Do-menico Cipriani, un patrizio fiorentino ascritto anche ai registri del patriziato livornese per esser sua moglie originaria di detta città64�. Il secondo e il terzo furono, nel �830, il governatore paolo Garzoni Venturi anch’egli già ammesso ai libri d’oro del patriziato fiorentino nel �804643 e il conte Luigi de Cambray Digny, allora direttore dello scrittoio delle regie Fabbriche, dietro istanza della Comunità livor-nese «per dimostrare ai due nobili soggetti la pubblica soddisfazione per la parte che si sono presa nell’esecuzione dei nuovi acquedotti, del nuovo grandioso spedale nell’adiacente campagna, e dell’apri-mento della nuova porta del Casone, opere che nobilitano questa cit-tà e porto e che contribuiscono sostanzialmente al bene essere gene-rale»644. per la Comunità locale sollecitare una nobilitazione rappre-sentava un modo di partecipare ai meccanismi di promozione sociale e l’occasione per creare un legame di gratitudine coi soggetti ritenuti

64� Tutta la documentazione relativa alla concessione del patriziato, la lettera di ringra-ziamento del governatore spannocchi diretta alla segreteria di stato in data �7 maggio �8�6 e la minuta del motuproprio, si trovano in asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), prot.36, ins.48, cc.n.n.

64� asFi, Deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza, �7�, «protocollo di decreti della deputazione», c.�54v, deliberazione della deputazione sulla nobiltà di Firenze per la conces-sione di «descrizione fatta per grazia al registro dei patrizi livornesi di Domenico Cipriani, patrizio fiorentino», e della moglie maddalena simonpieri Caroccioli alla nobiltà. anche la famiglia Lorenzi, originaria della Corsica e già ammessa alla nobiltà, aveva fatto richiesta di ammissione al patriziato livornese proprio nel �8�6 in virtù della residenza di un proprio membro in qualità di gonfaloniere nel �6�6, ma la supplica rimase inevasa tra gli affari so-spesi della deputazione, in ibidem, �4�, ins.5.

643 Il fascicolo è reperibile in asFi, Deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza, 73, ins.7, e ibidem, �7�, «protocollo di decreti della deputazione», cc.�34v.-�35v. al comparente venne riconosciuto il diritto di far uso dello stemma e del cognome della famiglia di Ippolito Venturi. Una breve nota sulla documentazione allegata in quell’occasione è in m.aGlietti, Le tre nobiltà, cit., p. �3�.

644 supplica del gonfaloniere sproni al granduca, da Livorno il 4 giugno �830. La de-putazione sopra la nobiltà espresse parere favorevole per quella proposta il �4 giugno e rescritto sovrano concesse quanto richiesto, «in tutte le sue parti» cioè compresa l’esenzione dal pagamento dell’altrimenti dovuta tassa, il �� giugno successivo. anche Cambray Digny, come Garzoni, era già ascritto al patriziato fiorentino. asFi, Deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza, 87, ins.7.

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a diverso titolo utili al territorio. Furono infatti numerose le istanze sollecitate dalla «magistratura civica» livornese, cosa che attesta il va-lore onorifico che tali qualifiche ormai rivestivano: venivano conferite a funzionari pubblici come benemerenza per i servizi resi645, oppure al fine di rimpinguare numericamente le file di una nobiltà costante-mente a rischio d’estinzione646. Il governatore livornese si dimostrò sensibile alla necessità di preservare i corpi sociali privilegiati e non sono rari i casi di individui e famiglie intere da lui raccomandate al so-vrano647 o che ottennero parere favorevole dalla deputazione fioren-tina solamente in virtù delle pressioni provenienti dal governatore648.

3. GliUltimiGovernatoridilivorno

3.1.Dagli anni Trenta al Quarantotto

a partire dal �830 la situazione della città cambiò e cominciarono a palesarsi serie difficoltà nella gestione dell’ordine pubblico. Il ruolo

645 Così, ad esempio, il �� ottobre �830 il gonfaloniere di Livorno richiese il conferimen-to del titolo nobiliare per Leopoldo mesny, all’epoca direttore del dipartimento doganale di Firenze. Come ben rappresentò il gonfaloniere, il mesny, che era stato sottodirettore e doga-niere della Dogana reale di Livorno nel �807, si meritava tale onorificenza per quanto fatto a beneficio della città durante gli anni difficili dell’occupazione francese. Ibidem, ins.�0.

646 a Livorno, le autorità locali inviarono in più occasioni alla deputazione istanze di ammissioni di massa, come nel gennaio del �836 quando si avanzò domanda per ventiquat-tro famiglie alla nobiltà e ventinove alla cittadinanza. asFi, Deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza, 93. Il fenomeno è attestato in molte altre città toscane, si veda, per Volterra, C.PazzaGli, Nobiltà civile e sangue blu: il patriziato volterrano alla fine dell’età moderna, Fi-renze, Olschki, �996; per arezzo e pistoia a.cHiavistelli, Dallo Stato alla nazione, cit., pp. �00-�0� e infine, per Colle Val d’elsa, m.aGlietti, Nobiltà periferiche in Toscana tra Sette e Ottocento, cit., pp. 30-66. Utile, per un quadro storiografico d’insieme sul granducato, C.PazzaGli, Per la storia della nobiltà toscana in età moderna e contemporanea, in La Toscana in età moderna, cit., pp. �0�-��8.

647 Così, ad esempio, in asFi, Deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza, 74, ins.�, si conserva l’ammissione alla nobiltà di Livorno di michele saraff, capitano del corpo dei cacciatori volontari. La sua pratica fu inoltrata nel �805 direttamente dal pro-governatore de Lavillette alla regina maria Luisa di Borbone, dopo aver sentito in tal senso il magistrato civico e il cancelliere comunitativo, ed aver verificato che il supplicante era meritevole del-l’ammissione richiesta perché «comodo possidente» e aveva «goduto di buona opinione».

648 Un caso per tutti quello dei Ciotta, già ammessi al libro dei cittadini di Livorno, loro città natia, esercitanti la mercatura da oltre un secolo, e che richiesero la nobiltà di Colle. La relazione della deputazione sulla nobiltà, presieduta da Ferdinando strozzi, si pronunciò fa-vorevolmente a favore dei comparenti, i quali non nascosero di esser ancora al tempo «nego-zianti», per la nobiltà delle loro consorti ma principalmente «dietro il sentimento ancora del governatore di Livorno», in asFi, Deputazione sopra la nobiltà e la cittadinanza, 87, ins.��.

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mantenuto dai governatori fu senza dubbio importante, anche se per effetto del generale moderatismo politico del quale si fecero interpre-ti buona parte degli appartenenti all’élite dirigente toscana649, salvo qualche momento davvero eccezionale, ebbero un peso politico si-gnificativamente inferiore rispetto ai decenni precedenti.

Livorno divenne un centro delle attività politiche di stampo libe-rale, uno strategico luogo d’incontro di personalità carismatiche, sot-toposto agli influssi della rivoluzione di luglio, dei movimenti legati ai gruppi carbonari e massoni, di orientamento risorgimentale e de-mocratico. L’occhiuto controllo del Buon Governo fiorentino si fece sempre più cogente, con conseguenze rilevanti in merito ai rapporti con le autorità intermedie locali, a carico delle quali si introdussero norme severe che limitarono i margini di autonomia amministrativa e di gestione detenuti fino ad allora. Oltre ad informazioni seme-strali sullo stato personale e di servizio degli impiegati dipendenti dal governatore, il Buon Governo pretese la compilazione, in base a precisi modelli, di prospetti mensili dettagliati di tutte le risoluzioni «economiche» prese dai tribunali650. L’obbligo di aggiornamento sulle attività di amministrazione della giustizia, sulle operazioni di controllo dell’ordine pubblico e di polizia significò l’assunzione da parte del Buon Governo di un potere esclusivo e l’esautorazione dei ministri locali. L’attività svolta da questi ultimi per «moderare, a loro talento e secondo le proprie vedute, queste importanti partecipazio-ni concernenti lo stato morale e politico di ciascuna giurisdizione, e le rimazioni, e le provvidenze che nei rapporti del regio e pubblico servizio sono occorse o possono occorrere», non rappresentava più l’auspicabile contributo interpretativo che solo un ministro presente

649 Il dibattito storiografico più recente ha prestato particolare attenzione all’analisi del-l’atteggiamento politico tenuto dalla nobiltà toscana negli anni della restaurazione, ma al di là delle differenze emerse, gli storici concordano sostanzialmente nel riconoscere un comune appoggio delle famiglie di antica tradizione nobiliare alla causa del moderatismo liberale. Così, tra gli altri, a.salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente italiana (1859-1876), Firenze, Olschki, �965; r.p.coPPini, L’aristocrazia fondiario finanziaria nella Toscana del-l’Ottocento. Note per una ricerca, in «Bollettino storico pisano», 5� (�983), pp. 43-90; id., Tra politica ed economia: studi sulla classe dirigente italiana (1861-1896), in «Il risorgimen-to», �-� (�980-�98�), pp. 77-79; T.Kroll, La rivolta del patriziato. Il liberalismo della nobiltà nella Toscana del Risorgimento, Firenze, Olschki, �005, e in particolare pp. 3-8.

650 asLi, Auditore, 9, inss.��3 e ��4, cc.n.n. Lettera di Garzoni Venturi all’auditore il �� gennaio �8�8 nella quale si dava notizia di una informazione ricevuta dal Buon Governo con circolare ministeriale del �0 gennaio �8�8, ivi conservata.

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sul territorio poteva garantire, ma era anzi precisamente da evitare in quanto – si scriveva da Firenze – violava la segretezza delle comu-nicazioni. I rapporti dovevano essere inviati direttamente al Buon Governo, senza intromissioni in grado di pregiudicare l’esecuzione «delle più delicate ed importanti operazioni politiche» e della messa in atto degli ordini sovrani. Ciò che si voleva ribadire, in linea colla recente soppressione dell’ispettore generale di polizia e il passaggio delle competenze, sia disciplinari che amministrative, a un ministro alla diretta dipendenza del dipartimento del Buon Governo65�, era soprattutto una indiscussa ed univoca centralità dell’autorità gran-ducale e del Buon Governo stesso, senza più alcuna forma di potere autonomo intermedio65�.

pur tuttavia, a fronte di un atteggiamento così profondamente modificato dei rapporti tra centro e periferia, sembrava ancora so-pravvivere la convinzione che, per Livorno, si dovessero usare caute-le speciali nell’applicazione delle misure eccezionali introdotte per il controllo pubblico. Non diversamente da quanto avveniva nel secolo precedente, il granduca, convenendo sulla opportunità di usare «una certa tolleranza» alla luce delle «condizioni speciali di codesta città», affidava ancora alla discrezionalità del governatore il ricorso a una «moderata tolleranza», riservando l’applicazione rigorosa della legge «ai soli casi nei quali si verifichi un eccessivo abuso»653.

alle agitazioni politiche, di sempre maggior e più allarmante gra-vità, si aggiunse il dramma dell’epidemia del colera, che cominciò a dare i primi segni all’inizio del �83�.

65� Ibidem, ins.�69, cc.nn., dalla presidenza del Buon Governo, li 3� dicembre �8�8, circolare a stampa.

65� «Questo modo di accomodare al proprio intento tali rapporti degli esecutori e loro capi, e di stabilire negli esecutori stessi anche dirimpetto a tali comunicazioni segrete, de-stinate esclusivamente pel sommo imperatore e pel dipartimento del Buon Governo che le rassegna direttamente a sua altezza Imperiale e reale, una dipendenza speciale dai respet-tivi regi rappresentanti locali, oltre che è esorbitante ed illegale perché inceppa e coarta il servizio di questi esecutori graduati, e subordina le loro esposizioni, ed il concetto tutto dei loro rapporti a una deferenza mediata, che ne vulnera la tanto preziosa libertà, e segretezza, distrugge poi in radice lo scopo finale di questi periodici lavori, che le veglianti istruzioni impongono non meno ai detti regi ministri che agli esecutori, senza che questi dipendano da quelli», ibidem, ins.�63, cc.n.n., la presidenza del Buon Governo all’auditore del governo di Livorno, in data �� maggio �830.

653 Ibidem, ins.�95, cc.n.n., la presidenza del Buon Governo all’auditore del governo di Livorno, in data �5 dicembre �830. In particolare, questa «speciale tolleranza» faceva riferi-mento all’applicazione dell’art.�5 della notificazione del �8 maggio �8�4 in merito all’osser-vanza di orari per osterie e bettole, e al divieto di fare feste in luoghi pubblici.

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seize mois de suites j’étais resté fixement à Livourne, exceptées des absences de deux ou trois jours faites dans le cours du �83�. Cette année avait commencé par des evenemens politiques les quels avaient donnée de grandes occupations au Gouvernement de Livourne. ensuite j’avais été très occupé des affaires sani-taires à cause du cholera morbus; la fin de l’année et le premiers mois de l’an-née courante je m’étais vû obligé de rester a Livourne pour la correspondance directe avec pise, où le gran-duc faisait sa triste demeure près de son altesse Impériale et réale la granduchesse marianne s’approchant de la mort qui l’a frappé le �4 mars, après une affreuse maladie de poitrine654.

La carriera di Garzoni fu bruscamente interrotta il 3 agosto �835, quando da Firenze si ordinò l’anticipata «giubbilazione» del marche-se – una evidente disposizione punitiva seppur mascherata da toni più che concilianti655 – e la nomina al suo posto del barone Giovanni spannocchi piccolomini. Quella notizia giunse del tutto inattesa e il marchese, «digiuno affatto della cosa», la apprese «nel suo principio con qualche dispiacenza», per poi accettarla con piena rassegnazio-ne, accogliendo anzi la richiesta granducale di mantenersi al proprio posto finché il suo successore non fosse arrivato in città656. Le ragioni della dispensa del Garzoni non furono esplicitate, si fece riferimento a non meglio provate simpatie del lucchese per i democratici, e per Guerrazzi in particolare, ma lo stupore del Garzoni va a favore della sua innocenza, o comunque della sua assoluta dedizione al servizio del granduca. Così annotò egli stesso nella prima metà di settembre,

654 asLu, Archivio Garzoni, 9�, ins.��, foglio �4, dal diario di Garzoni Venturi dalla te-nuta di Camporomano, �5 giugno �83�.

655 «sua altezza Imperiale e reale, volendo usare un benigno riguardo al consigliere di stato governatore di Livorno marchese paolo Garzoni Venturi a cui può riuscire grave ormai la continua permanenza in quella città ed il laborioso esercizio di tal carica, è venuta nella determinazione di dispensarla dalle funzioni di detta carica, riservandosi di profittare in altro modo dei suoi lumi ed esperienza nelli affari. ed attesi i distinti servigi da lui resi allo stato tanto nelli impieghi precedentemente sostenuti, quanto in quello di governatore della suddetta città di Livorno, da esso sempre degnamente e con sommo decoro disimpegnato, gli assegna l’annua somma di lire diciottomila a carico della Imperiale e regia Depositeria», asLu, Archivio Garzoni, 90, ins.�8, motuproprio di Leopoldo II del 3 agosto �835. si trat-tava senz’altro di una forma di rispetto per l’anziano funzionario, come dimostra per altro la nomina conferita al Garzoni di lì a pochi giorni alla carica di maggiordomo maggiore della granduchessa, confermandogli assieme alle prerogative e onorifiche distinzioni connesse alla prestigiosa carica, anche il diritto di conservare il grado militare e la pensione precedente-mente assegnatagli, in ivi, motuproprio di Leopoldo II del �3 agosto �835.

656 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 478, prot. 97, ins.3, lettera di C.Fortuni da Li-vorno a Neri Corsini, a Firenze, del 5 agosto �835.

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in una nota scritta a suo dire senza alcun altro intento che per mante-nersi in esercizio con le lingue inglese e francese:

Which way are you going? I go to Florence. I left Leghorn. I was deprived of that civil and military government and was given me a successor in the son of my predecessor F.sp. [cioé Giovanni spannocchi, figlio di Francesco]. all that has been done by the sovereign, on the advise of some or all among his counsellors, without any previous inquiry about my disposition upon that.and what the reason of that strange behaviour, which I am told was of great damage to the Government and to its credit? Not any visible reason may ac-counted of that. my zeal in the exercise of my functions was unparalleled. I was quiet upon my situation. Though suffering for different reasons I was silent, without any complaint, only I had insisted upon various articles of public ser-vice. If that deserved a punishment I was worthy of every ill treatment.Je suis charmé du commencement de mon dialogue, écrit sans autre but que celui de faire un peu d’exercices d’anglais. Je serais au désespoir que le chan-gement de circonstance peut me faire perdre ce que j’avais acquis dans un âge avancé seulement par l’occasion de m’exercer. Dieu fait tant pour notre mieux. aux yeux du vulgaire, le plus grand bienfait, j’aurais reçu en quittant Livourne. et pourquoi ne dois-je partager cette opinion si commune par mon sentiment? Non, je ne le partage point. entre-je du laisser a Livourne ma propre vie, je n’aurais voulu partir lorsque la terrible flèche a frappé ce malheureux pays. mais Dieu soit toujours loué et sa volonté toujours faite657.

Con queste parole, piene di dolore e di umiliazione per una deci-sione ritenuta ingiusta, ma soprattutto dannosa per la città, Garzoni chiudeva la sua lunga parentesi livornese.

È difficile stabilire fino a che punto Garzoni Venturi fosse stato a torto o a ragione al centro delle critiche provenienti da più parti per non aver fatto abbastanza, per non essere stato sufficientemen-te repressivo contro il fiorire in città dei gruppi politici avversi ai Lorena658. Quel che è certo, è che da tempo i rapporti con Firenze

657 asLu, Archivio Garzoni, 9�, ins.�4. sulla copertina di questo fascicolo appare ap-puntato «Unisco qualche carta ai diari perché esse contengono degli appunti che possono schiarire alcuni momenti della vita di mio padre e perché anche certe espressioni di animo che egli ha lasciate scritte sono la prova la più palese della rettitudine dell’animo suo e del come ingiustamente il Governo, e con evidente danno della città di Livorno, lo remuovesse dall’ufficio di governatore. Giulio Garzoni, li �5 marzo �898».

658 Vi fu un nutrito gruppo di esponenti degli ambienti reazionari toscani, ma anche mo-denesi, che tra il �83� e il �833 promossero una vera e propria campagna propagandistica, con tanto di libelli e operette a stampa, diretta contro il governatore Garzoni Venturi, e la politica toscana, accusati di non sostenere con sufficiente decisione e vigore la repressione contro la diffusione di personaggi ed idee rivoluzionarie a Livorno. F.Bertini, Risorgimento e paese reale, cit., pp. 33-35.

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non erano buoni e probabilmente era venuta meno la fiducia del granduca, il quale non esitò, fin dall’autunno del �833, a riconoscere inadeguata e debole la gestione del governatore in carica, comincian-do a riflettere sull’opportunità di sostituirlo659. Il ministro Corsini stava già da qualche mese valutando chi incaricare al posto di Gar-zoni. Chiese consiglio anche all’anziano Fossombroni, il quale, pur non potendo dire nulla sul proposto spannocchi (che non conosceva personalmente), lo riteneva un candidato comunque accettabile alla luce dei suoi «talenti amministrativi, cosa sempre pregievole special-mente se venga congiunta con felice abitudine di tratto con forestieri di rango e ricchi ed esigenti negozianti che frequentano Livorno, e se inoltre si combini qualche cognizione della azienda militare». Fos-sombroni, per altro, non aveva un nome alternativo, se non forse il generale Fortini perché, scriveva, «mi sopravviene che il vecchio La-villette era amato e stimato, e Fortini ha più talento di Lavillette»660.

Il motuproprio del 3 agosto �835, nominò il barone e cavaliere stefaniano Giovanni spannocchi piccolomini66�, figlio di Francesco,

659 «Dopo i tentativi di disordini politici sventati nell’autunno del �833, nacque grave dubbio che Livorno non fosse governato a dovere: ogni tanto si voleva attaccar briga col Go-verno. Vi furono spediti il presidente del Buon Governo, Bologna, ed il colonnello Fortini, perché conoscessero e riferissero. essi riportarono che era necessità che il Governo vi spie-gasse forza: il governatore marchese Garzoni debole, giudicatura e polizia incerta, Cappelli direttore della Dogana non adatto, birri non rispettati, gente di mano pronta a commettere eccessi in quantità, [...]. scuola di delitti d’ogni maniera», così riferiva il granduca stesso e ri-portato in Il governo di famiglia in Toscana. Le memorie del Granduca Leopoldo II di Lorena 1824-1859, a cura di F.pesendorfer, Firenze, sansoni, �987, p. �9�.

660 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 478, prot. 97, ins.3, lettera di Vittorio Fossom-broni al ministro Neri dei principi Corsini, da arezzo, in data �0 luglio �835.

66� Giovanni spannocchi piccolomini, nato a Napoli il 6 marzo �789, era il secondoge-nito di Francesco spannocchi e di sua moglie Carolina Jackson. Trascorse gli anni della sua infanzia insieme al fratello presso il prestigioso collegio Tolomei di siena, ove seppe distin-guersi per le sue doti nelle scienze matematiche. Le traversie politiche sofferte dal padre, e la morte del fratello perito tragicamente nel terremoto del �789 segnarono gravemente l’animo del giovane Giovanni, il quale rimase da allora in poi soggetto a incerti sbalzi d’umore e ricorrenti depressioni. Lasciato nel �806 il collegio Tolomei ed entrato nell’Ordine di santo stefano per giustizia, seppe mettere a frutto gli anni obbligatori della carovana stefaniana grazie agli studi scientifici e di diritto che seguì presso lo studio pisano, e in particolare dei corsi impartiti da Tosi, Bottieri, maccioni, Del signore e Quartieri. Nella speranza di evitare i reclutamenti per il fronte di Bonaparte, entrò a fa parte delle guardie d’elisa, un corpo più onorifico che combattente, finché a fronte delle crescenti necessità dell’esercito francese fu reclutato come sottotenente del XIV reggimento degli Ussari e inviato alla campagna di russia. scampato fortunosamente, e fregiato per il coraggio dimostrato in battaglia del grado di tenente e poi di aiutante maggiore, nel maggio del �8�4 poté infine lasciare le armi e far ritorno a siena, per occuparsi della gestione del patrimonio di famiglia, mentre il padre si trovava impegnato a Livorno, riconfermato nell’antico suo ruolo di governatore. Contrasse

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all’incarico di governatore civile e militare della città e porto di Li-vorno, oltre che di comandante supremo del litorale toscano e della marina da guerra e generale maggiore delle regie truppe66�. La nomi-na dello spannocchi suggellava un rapporto privilegiato che il senese aveva saputo instaurare con il granduca negli ultimi anni, dimostran-do qualità di abile funzionario, doti di oculato amministratore e pro-va di irreprensibile fedeltà dinastica663. Il sovrano raccomandò che la successione avvenisse con ogni urgenza possibile, tanto che non si celebrò neppure la presa di possesso formale, giacché la notizia della sostituzione del Garzoni si era diffusa subito per tutta Livorno deter-minando una rapida e pericolosa perdita d’autorità del governatore uscente. per evitare problemi nel mantenere il controllo sulla città il granduca affidò la comunicazione dell’avvicendamento al generale Fortini, ordinandogli di restarvi fino all’arrivo dello spannocchi664.

La situazione nella quale si trovava Livorno per altro non era delle più facili, anzi, «non potea toccargli in tempo più difficile, né più lut-tuoso»665. La città era infatti preda di quella che fu forse la più grave e virulenta epidemia di colera. per altro, non troppo diversamente

matrimonio con la nobile cortonese anna Tommasi, e da lei ebbe tre figli, due dei quali morti prematuramente, finché nel febbraio del �833 Leopoldo II lo volle provveditore della Camera di soprintendenza comunitativa del compartimento di siena. proprio in virtù dei meriti acquisiti e delle capacità dimostrate in tale incarico, ricevette dal granduca l’onore dell’abito di cavaliere di san Giuseppe nel giugno del ’35 (e a pochi anni di distanza anche del grado di gran croce dell’Ordine) e la promozione alla carica governatoriale per la città labronica nell’agosto successivo. Nonostante l’impegno profuso per il breve periodo nel quale fu governatore, ed i risultati gratificanti che pur seppe raggiungere in quel così limitato arco di tempo, nuovi lutti familiari e, soprattutto, la scomparsa della moglie aggravarono uno stato di salute già minato dalla malattia, portando lo spannocchi a una rapida morte, soprag-giunta il �3 agosto �839.

66� assi, Sergardi-Biringucci-Spannocchi, 434, cc.n.n., motuproprio granducale del 3 ago-sto �835.

663 Così annotava Leopoldo II: «a Livorno avevo nominato governatore Giovanni spannocchi, uomo di molta intelligenza e d’animo costante a far fronte a qualsiasi difficol-tà», e ancora «avevo adunato in Livorno li ottimi miei impiegati: era governatore Giovanni spannocchi, gonfaloniere il balì Ferdinando sproni; avevo posto li uomini migliori di Buon Governo, i più vigili per la polizia; ai secondari uffici erano pure ministri eccellenti. Nel mol-to da fare si richiedeva assennatezza e calma per fa ciò che era opportuno», da Il governo di famiglia in Toscana, cit., p. �86 e p. �98.

664 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 478, prot.97, ins.3, indicazione di Leopoldo II del 3 agosto �835.

665 F.a.mori, Elogio storico del barone cavaliere gran croce Giovanni Spannocchi Piccolo-mini, si tratta di una breve biografia, dedicata a Giulia spannocchi piccolomini nei sergardi, e presentato nel febbraio �840 all’assemblea dei fisiocratici toscani. È conservata in assi, Sergardi-Biringucci-Spannocchi, 434, cc.n.n.

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da quanto era avvenuto trent’anni prima durante la devastante pan-demia di febbre gialla, anche stavolta non mancarono quanti utiliz-zarono le paure popolari «colla veduta verosimilmente di far nascere allarmi ed inconvenienti o per farli strada a viziose speculazioni». In particolare, si temeva che i disegni sovversivi e filorepubblicani, che in Corsica parevano già assai ben delineati attorno a personaggi che auspicavano il ritorno dei Bonaparte a discapito dei troni restaurati, prendessero piede anche a Livorno666.

Oltre all’avvio di immediate indagini informative, promosse so-prattutto dall’auditore Cerbone Cerboni, spannocchi attuò misure d’igiene e di rafforzamento delle strutture di sanità pubblica a fine di limitare al massimo i danni del colera. Tra le iniziative più effi-caci, vi fu quella di aprire un ospedale dedicato ai malati indigenti, prevedendo anche la gratuità del trattamento medico a domicilio. Il morbo infatti si diffuse con maggior intensità nei quartieri più poveri, soprattutto in quello di san Giovanni, facilitato dalle scarse condizio-ni igieniche e dall’impossibilità di molti di ricorrere a cure mediche a pagamento. per la stessa ragione, provvide a riorganizzare ed intro-durre nuove regole sanitarie all’interno del Bagno dei forzati, che si era tramutato rapidamente in uno dei focolai del contagio667.

666 asLi, Auditore, 47, ins.3�5, cc.nn., lettera «riservatissima» di Giovanni Bologna dalla presidenza del Buon Governo all’auditore del governo, Cerbone Cerboni, il �3 agosto �835, e ibidem, cc.n.n., lettera «riservatissima» al governatore dall’auditore Cerboni, s.d. ma dell’agosto �835, nella quale si riportava come: «il più ardente fra questi capi è quel poli di cui parla il dipartimento del Buon Governo. antico militare, affezionatissimo a Napoleone e quindi nemico feroce di ogni dinastia non napoleonica in Francia, resisté finché gli fu possibile alle forze francesi spedite in Corsica dopo il ritorno dei Borboni: e la lotta finì con una onorevole capitolazione. Oggi egli si è dedicato al commercio della scorza, e per questo mezzo ha continue corrispondenze con Livorno. Trovasi ora in contumacia in questo porto un figlio di lui, proveniente dalla Corsica», il quale sarebbe stato interrogato da persona di fiducia per aver notizie sulle loro intenzioni. si sarebbe indagato anche su Felice Baciocchi, parente di Napoleone e soggetto che «per la cattiva sua testa, mentre crede di favorire il rialzamento dei suoi congiunti, può essere il cieco istrumento dei repubblicani», residente in una villa non lontana da Livorno, in quei giorni trasferitosi a pisa, per paura del colera, presso il cognato saladino dal Borgo.

667 appare a questo proposito oltremodo indicativo il «prospetto degli ammalati di cholera curati negli spedali di Livorno dal 6 agosto al �0 ottobre �835 e loro esiti», in base al quale si registrano un totale di 763 ricoverati, dei quali 48� maschi (così distribuiti: �04 mi-litari, 44 forzati e tutti gli altri civili) e �8� donne. Di questi, �64 erano guariti (�7� maschi, 9� donne), 48� erano invece morti ( �99 maschi, �8� femmine). asLi, Auditore, 47, cc.nn. In questo stesso fascicolo sono illustrati molti degli interventi promossi dallo spannocchi per limitare la diffusione del morbo.

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Col diffondersi dell’epidemia, l’economia locale subì gravi con-traccolpi, anche a causa della partenza precipitosa delle famiglie più agiate e benestanti, mentre la promozione e la messa in atto di opere pubbliche servì solo in parte a sopperire alle necessità di lavoro della massa di manovalanti che era rimasta disoccupata a seguito dell’eso-do di molti tra i principali promotori delle attività cittadine. La mat-tina del �6 settembre �835, la rabbia popolare sfociò in una rivolta al grido di «lavoro e pane». Nel giro di poche ore le strade della città si riempirono di folla urlante che si radunò poi sotto il palazzo del Go-verno. Lo spannocchi, dando prova di lungimiranza politica, ritenne imprudente sia la distribuzione gratuita di pane, che avrebbe solo procurato nuove manifestazioni, sia la repressione violenta dei mani-festanti. ricorse così a un abile stratagemma:

e da una parte il governatore ordinava che numerose pattuglie scorressero pe’ luoghi più frequenti di popolo e dall’altra il colonnello intimava sulla piazza Grande la rivista che solea farsi alla guardia. al suono della banda militare com-parvero per tanto le truppe sul teatro del civile tumulto: ed il popolo diviso dalle schiere intramesse, parte distratto dallo spettacolo inaspettato, parte sbigottito dalla presenza di tante armi, o si ritrasse quietamente a casa, o rimase tranquillo spettatore de’ soldateschi esercizi, comandati in persona dal generale gover-natore. Così fu dato, evitando al medesimo tempo le triste sequele del rigore e della debolezza, di restituire in brev’ora la calma alla scompigliata città e di ottenere, ad esempio della natura, un grande effetto con un piccolo mezzo668.

passata l’emergenza sociale e sanitaria, dalla fine di ottobre del �835 l’attività di spannocchi fu febbrilmente tesa a risollevare nel più breve tempo possibile le condizioni della città. Oltre a provvedere sussidi e pensioni per garantire il sostentamento di quelle famiglie ri-maste prive di un reddito sicuro per le perdite umane dovute all’epi-demia669, il governatore riuscì a far approvare da Firenze la messa in cantiere di opere pubbliche. si promossero molteplici interventi migliorativi quali, ad esempio, un più razionale impianto stradario litoraneo per unire porta san marco al lazzaretto di san Jacopo,

668 F.a.mori, Elogio storico del barone cavaliere gran croce Giovanni Spannocchi Piccolo-mini, cit. cc.n.n.

669 In asLi, Auditore, 47, cc.nn. sono conservate oltre venti suppliche inoltrate da ve-dove e famiglie rimaste senza ausilio per morti di colera, tutte tra novembre e dicembre del �835. Ciascuna supplica, ai fini della concessione del sussidio, venne corredata da rapporti informativi redatti della polizia sulla moralità e condizione di coloro che ne avrebbero bene-ficiato.

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completando il viale lungomare che avrebbe costeggiato la città fino al quartiere dell’ardenza, alla periferia sud del centro urbano. Nel breve corso di quattro anni le operazioni promosse dal governatore spaziarono da incisivi interventi sull’urbanistica cittadina ad impor-tanti iniziative di natura economica, all’implementazione della vita culturale e sociale della città.

si riprese in considerazione la necessità di introdurre misure straordinarie nel tentativo di risolvere la dilagante delinquenza mi-norile e l’abitudine dei ragazzi di dedicarsi al gioco, al turpiloquio ed ai «furti di destrezza»: una vera e propria emergenza cittadina anche a giudizio dell’auditore, il quale riteneva la questione dell’istruzione uno dei più importanti compiti del Governo670. era però un proble-ma assai complesso a fronte della «provata inutilità delle punizioni economiche contro di essi adottate», né parevano percorribili altre proposte quali il progetto di realizzare un asilo correzionale sull’isola di pianosa67�. Grazie alle attente sollecitazioni del Cerboni, spannoc-chi si occupò di escogitare dei rimedi all’arrivo di un gran numero di poveri che, giunti in città grazie ai visti concessi con troppa genero-sità dai consoli toscani all’estero, rischiavano di trasformare Livorno nel «ricovero della miseria e, conseguentemente, del delitto»67�. so-

670 È a questo proposito significativo quanto Cerboni scrisse al governatore, in data �7 aprile �836, richiamandone con vigore l’intervento a proposito dell’iniziativa presa dal gonfaloniere di affiggere sulla porta della scuola infantile pubblica, e della quale era stato nominato soprintendente, un cartello in tutto e per tutto simile a quelli generalmente pre-sente negli istituti privati. «ardisco credere che possa Vostra eccellenza permettere che sia apposto» detto cartello, protestava vivacemente Cerboni, aggiungendo: «Le nostre provvide leggi sulla libertà del commercio portano con loro la facoltà in tutti i negozianti di annunzia-re al pubblico sulla porta delle lor botteghe o negozi ciò che in essi si vende. ma dalla libertà del commercio male si dedurrebbe la libertà della pubblica istruzione, la quale è e deve esse-re essenzialmente dipendente dal Governo. e quando specialmente si tratti di asili destinati ad accogliere donne ed uomini per essere istruiti ed educati, tutto deve essere subordinato al Governo, immensa essendo la differenza che passa tra la vendita del pane e del panno, e il pubblico ammaestramento». In asLi, Auditore, 48, ins.�08, cc.n.n.

67� Ibidem, inss.�3 e �4, cc.n.n., lettere dell’auditore Cerboni al governatore spannocchi in data �5 e �0 gennaio �836.

67� Ibidem, ins.�97, cc.n.n. L’auditore Cerboni al governatore, li �5 aprile �836. La si-tuazione era precipitata nell’ultimo ventennio, ma già il padre del governatore spannocchi, Francesco, aveva denunciato il problema in una memoria inviata al sovrano, il 4 settembre del �8�6, a proposito di un progetto elaborato da tale Gaspero Ferroni, «buono e zelante, ma ignorante suddito», per liberare la città dai mendicanti. In tale occasione, Francesco spannocchi, in accordo col gonfaloniere martellini con il quale aveva discusso il progetto, scriveva: «il balì martellini con molto criterio e giuste ragioni mi fa osservare che a Livorno, dove i poveri non sono pochi, sono pochissimi i mendicanti, se non fossero questi tuttodì accresciuti dai mendicanti esteri che da tutte le parti calano in questa città. Devo convenire

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stenne inoltre la necessità di riportare in pieno vigore la notificazione del �79� che regolamentava il porto d’armi bianche e da fuoco col-l’obbligo di una autorizzazione governatoriale673, e assecondò le esi-genze espresse dai gruppi dirigenti cittadini, mossi a difesa dei propri interessi contro le richiesti fiscali provenienti da Firenze. spannocchi appoggiò la rappresentanza avanzata nel �838 dalla Camera di com-mercio di Livorno in merito al progetto di raccogliere a profitto del regio erario l’annua somma di trecentomila lire in modo diverso dalla tassa imposta ai commercianti della città dal motuproprio sovrano del �3 luglio �834, o meglio in sostituzione dei dazi d’importazione ed esportazione. Non fu però sostenuto dall’auditore che mise anzi sull’avviso il governatore a non intromettersi in una materia così strategica, già disciplinata dal granduca in maniera definitiva e sulla quale spannocchi non aveva alcuna competenza specifica, né tanto meno alcuna autorità per avanzare progetti di riforma, come fu infat-ti ribadito anche dalla segreteria di finanze di lì a poco674.

I meriti e le attività dello spannocchi investirono insomma un gran numero di settori d’intervento, ce ne fornisce una efficace sintesi una biografia ottocentesca, utile seppur non priva di elementi agiografici:

che fino a tanto che non piacerà a Vostra altezza Imperiale di ordinare che la mendicità sia proibita in tutti i suoi stati e non avrà provveduto ai mezzi onde ogni paese e comune pensi a sostentare i pochi veri poveri del suo circondario, è inutile ogni reclusorio, sono anzi dan-nosi al bene pubblico quelli che esistono», in asLi, Governo, carteggi dei Governi di pisa e siena, 85�, cc.n.n.

673 asLi, Auditore, 48, ins.90, cc.n.n. L’auditore Cerboni al governatore, li �8 febbraio �836. si faceva riferimento alla notificazione dell’8 gennaio �79� (emessa dall’allora gover-natore Francesco seratti e qui allegata) ed ai dispacci della segreteria degli affari esteri del �� febbraio e �3 luglio �83� e del �7 settembre �83�.

674 «In questa posizione di cose sarebbe invece mio rispettoso parere che la eccellenza vostra, rammentando alla Camera di commercio i già ad essa partecipati ordini contenuti nei dispacci dei �7 febbraio e �0 luglio �838. Le facesse intendere nel senso delle premes-se avvertenze che questo Governo non può prendere iniziativa di progetti di riforme, né provocare tampoco nuove istruzioni e disposizioni alla materia già da così precisi ordini regolata, e che tanto più la eccellenza vostra non credessi autorizzata di aderire alle istanze fatte in quanto che la Camera non ha sottoposte alla di Lei considerazione né osservazioni, né proposizioni speciali che rendano congruo e conveniente il richiamare di nuovo l’atten-zione dell’Imperiale e real Governo superiore sopra un articolo recentemente dal medesimo esaminato e discusso, e con tanta precisione di disposizioni in modo definitivo risoluto». asLi, Auditore, 57, ins.�5, cc.n.n. L’auditore Cerboni al governatore, li �5 gennaio �839. In data �0 luglio �838, il Cempini per la segreteria imperiale di finanza scrisse al governatore ribadendo come il granduca confermasse la somma da versare da parte della Camera di commercio, dichiarandosi però disponibile a una diversa distribuzione dei gravami qualora si fosse dimostrato esservi alcuna classe più soggetta di altre, ma non accogliendo altrimenti alcuna richiesta di esenzione, né di riduzione.

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a provvedere alla pubblica sanità fu aperto al libero accesso dell’aria marina il quartiere san Giovanni, ove più che in altra parte avea poc’anzi infierito il malore ed un grande ospedale fu eretto: a proteggere la sicurezza delle persone e dei beni, fu abolito il salvocondotto onde Livorno già offriva tranquillo riparo al rifiuto delle altre nazioni, e venne attuato un savio ordinamento municipale, affinché la notturna oscurità delle corti e delle scale private non più favorisse l’appostamento dei sicari e dei ladri; a risvegliare negli operai la provviden-za dell’avvenire, si fondò una Cassa di risparmio; a moderare le usure senza offendere la libertà dei contratti fu creata una banca di sconto; ad allettare i mercadanti stranieri, si riformarono gli usi complicatissimi di commercio da lunga mano in quella piazza vigenti rispetto a’ pesi, alle misure, alle monete, alle tare; ad agevolare i commerci de’ nostri negoziatori con l’estero, nuovi con-solati toscani s’istituirono in Grecia, in Inghilterra, nel Belgio, e si faceva che i porti degli stati Uniti di america a’ nostri legni prestassero la stessa facilità che alle navi americane appresso noi profittavano; ad accrescere le comodità dei naviganti che salpano da Livorno o vi approdano fu perfezionato il sistema di escavazione del porto e dei fossi ed affondato il bacino del molo nei punti di maggiore importanza, benché la resistenza del macigno opponessero; a pro-muovere il culto religioso della crescente popolazione e la corretta architettura degli edifizi, gittaronsi le fondamenta di un tempio sontuoso consecrato a nostra Donna del soccorso, e si prepose alle costruzioni urbane una specie di magi-strato edilizio; ad eccitare i giovani ingegni all’amorosa cultura degli utili studi, fu giovato di miglioranze lo statuto dell’accademia labronica. Inoltre fu rivolto il pensiero anche ad istituzioni di onesto diletto, che la gentilezza di costumi raffinano, ricreando lo spirito ed ebber vita una società filarmonica e due casini di compagnia sollazzevole ed istruttiva, un de’ quali destinato insieme a tener vece di Borsa675.

Nelle «Osservazioni all’elogio storico del barone cavaliere gran croce Giovanni spannocchieschi piccolomini», redatte a cura della censura regia di Firenze in data �5 luglio �840, l’estensore dell’elogio fu invitato a mettere in risalto come i provvedimenti sanitari presi in occasione dell’epidemia di colera e i miglioramenti introdotti per favorire il commercio e l’amministrazione municipale fossero stati resi possibili «dalla singolare filantropia» del granduca e dovuti prin-cipalmente alla «provvida mente» di Leopoldo II, pur senza metter in dubbio «che lo spannocchi sia per rara intelligenza, sia per zelo esemplare, secondò a meraviglia le paterne vedute del suo augusto

675 F.a.mori, Elogio storico del barone cavaliere gran croce Giovanni Spannocchi Piccolo-mini, cit., cc.n.n.

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sovrano»676. L’intento politico teso a rivendicare per il principe la ti-tolarità dei meriti delle iniziative del governatore non sarebbe potuto essere più evidente.

Quelli di spannocchi furono anni nei quali entrarono in vigore im-portanti riforme. Va ricordata, ad esempio, l’abolizione degli antichi privilegi accordati a Livorno fin dal �0 febbraio del �59�. «essendo cessate le cause» per tenere in vita tali disposizioni, si scrisse, e giudi-cando «non più consentaneo alle circostanze attuali ed agli usi stabi-liti nelle altre corti di mantenere una simile esecuzione che, sebbene modificata dalle leggi successive, non lasciava di essere una eccezione all’universale pubblico diritto»677, furono cancellati i più rappresen-tativi privilegi costitutivi dell’identità livornese e dello stato giuridico speciale di quel territorio.

Importanti ricadute sul profilo istituzionale del governatore e dell’auditore furono operative a seguito del motuproprio sulla orga-nizzazione dell’autorità governativa e giudiziaria del � agosto �838, precisate poi con le «dichiarazioni» e «Istruzioni» del 9 novembre, e il motuproprio del �9 novembre �838. Il granduca, con la premessa di voler «che i governatori delle città di Livorno, di pisa e di siena non sieno distratti nelle loro gravi cure dall’esercizio di attribuzioni giudiciarie», e al fine di provvedere «completamente al servizio di polizia e di buon governo», introdusse un sostanziale riordinamento del sistema giudiziario e una complessiva riorganizzazione dei poteri degli organi periferici. In particolare con l’articolo � fu trasferita la «giurisdizione coercitiva e punitiva» dal governatore all’auditore, che conservava i compiti di consulenza legale: al governatore non restava che una generica «direzione superiore» in materia, una ambi-gua ripartizione dei compiti che non chiariva sufficientemente quali fossero esattamente i margini dell’autorità rimastagli678. Il colpo più grave fu senz’altro inferto al governatore che perdeva ogni autorità in

676 «Osservazioni all’elogio storico del barone cavaliere gran croce Giovanni spannoc-chieschi piccolomini», s.a. e s.d. È conservata in assi, Sergardi-Biringucci-Spannocchi, 434, cc.n.n.

677 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 506, prot.68, ins.4, comunicazione per la Con-sulta del 7 giugno �836.

678 asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), �455, lettera L alcune note, mentre il testo del motuproprio di Leopoldo II è reperibile in asFi, Segreteria di Gabinetto, �93, ins.37. Questa ambiguità indusse alla necessità di ulteriori chiarimenti, nuove istruzioni e non poche discus-sioni, fino al progetto di riforma preparato dal consiglio dei ministri, ma mai approvato, del settembre del �846.

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materia giudiziaria, sia civile che criminale, e il controllo sulla polizia periferica, avocati quasi interamente al Buon Governo. a quest’ulti-mo infatti spettava la direzione superiore nelle materie di polizia e in quelle di competenza della potestà «economica»679. Un significativo, e opportuno, snellimento delle procedure civili e criminali derivava dall’istituzione di una Corte di cassazione e da una migliore discipli-na dei tribunali, con la soppressione della terza istanza per il civile (e nelle cause nelle quali fosse in gioco un valore compreso tra le 400 e le 800 lire si rese superfluo anche la causa in appello)680.

La riforma ebbe effetti immediati anche sulle strutture di ausilio che si affiancavano agli uffici del governatore e dell’auditore consul-tore: la segreteria del Governo, composta da quattro persone pre-siedute dal segretario, risultò sovradimensionata rispetto alle attività delle quali era rimasta competente, mentre apparve insufficiente il personale dell’ufficio dell’auditore consultore, formato da sole due persone sulle quali ricadevano invece ben più numerose attività68�.

679 «Istruzioni generali per i governatori e commissari regi del granducato», in asFi, Segreteria di Gabinetto, �93, ins.37.

680 Leggi del Gran-Ducato della Toscana, cit., XXV, pp. 445-448. Una analisi di questi provvedimenti è reperibile in Prontuario delle sovrane disposizioni relative alla riforma giudi-ciaria toscana dell’anno 1838 con aggiunta delle più importanti leggi, Firenze, Cambiagi, �838. Un’efficace sintesi anche in B.casini, L’amministrazione locale del granducato di Toscana dalla Restaurazione all’annessione (1814-1860), cit., pp. �67 e �70.

68� «eccellenza, dopo aver ben ponderato i bisogni del servizio in codesta segreteria del Governo, e nell’uffizio dell’auditore consultore all’oggetto di determinare il correlativo personale degl’impiegati, qual riforma potrebbe farsi ai ruoli degli impiegati [cancellato nel testo] osserverei: che non pochi sono i gravi affari da trattarsi da questo Governo, nei quali tutti emette il suo voto l’auditore consultore, e se quel voto incontra l’approvazione di Vostra eccellenza poco rimane a farsi per parte della segreteria, incaricata in tal caso di minutare in coerenza del voto stesso le respettive risoluzioni o rappresentanze. [...]. Che perciò rapporto agli affari di importanza reclamanti esame e discussione tutto il peso dei medesimi gravita sul governatore e sull’auditore consultore, talché la parte subalterna che vi prenda la segreteria può disimpegnarsi dal solo segretario coll’aiuto di un copista. Che restano pur sempre molte cose di dettaglio, come redazione di passaporti, di permessi riguardanti la polizia del porto, partecipazioni di risoluzioni ma tutte queste faccende materiali (e tale appunto è anco il rilascio dei passaporti attesa la organizzazione di un uffizio di forestieri separato dalla segre-teria) possono senza aggravio soverchio disbrigarsi da un commesso coll’aiuto di un secondo copista. Che nell’uffizio dell’auditore del governo, oltre l’esame e risoluzione delle procedure economiche, debbono maturamente esaminarsi gli affari governativi, di marina mercantile, consolari, e che emettere i relativi voti ragionati richiama respettivamente alla discussione di articoli di gjus penale, di diritto commerciale e marittimo, di economia politica, e talvolta ancora di diritto internazionale», rendendo quindi necessaria una revisione del personale addetto a tale ufficio, aggiungendo una persona in più e sostituendo gli attuali impiegati con personale maggiormente qualificato. Tutto in asLi, Auditore, 57, cc.n.n., lettera dell’audito-re al governatore spannocchi, in data �9 gennaio �839.

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anche il governatore non poté che riconoscere l’utilità delle richieste di integrazione del personale, avallate da motuproprio sovrano del �� febbraio di quell’anno e con il quale si assegnarono all’ufficio dell’au-ditore tre impiegati (un commesso, un copista e un custode) dotati di adeguata preparazione ed esperienza68�.

alla morte improvvisa dello spannocchi, avvenuta il �3 agosto �839683, dopo alcuni mesi di supplenza da parte dell’auditore Giu-seppe Carpanini, l’incarico passò ad un altro rampollo di una delle famiglie che avevano più da vicino legato il proprio destino al gran-ducato, cioè a Neri Corsini marchese di Lajatico684, figlio di Tomma-so e nipote del segretario di stato Neri Corsini685. Come ormai era

68� Comunicazione in data �7 febbraio �839 del governatore spannocchi all’auditore consultore del motuproprio del �� febbraio precedente ricevuto dalla segreteria regia, in ibidem.

683 all’annuncio della morte di Giovanni spannocchi, dato dall’auditore Carpanini, il granduca si disse «assai dolente» della inattesa notizia. Il � settembre successivo si effettuò l’autopsia sul cadavere del defunto ministro, a cura del professor pietro studiati e in grande segretezza per evitare chiacchiere. a parte i dettagli necroscopici sui quali si sorvola, appaio-no interessanti le conclusioni del medico e a giudizio del quale la malattia dello spannocchi risaliva ad antica data e il suo graduale deperimento ne era stata una conseguenza, «nono-stante che da taluno si attribuisce a cause morali anziché a sconcerti fisici». si confermava come l’assistenza che era stata prestata all’infermo da medici e congiunti fosse stata attenta ma irrimediabilmente insufficiente, né si poteva muover loro alcun rimprovero «come sareb-be assurdo il credere che quei gravi e molteplici guasti che la sezione ha dimostrati potessero essere una immediata conseguenza di un qualche più o meno dolore morale», da «Necrosco-pia», in asLi, Auditore, 58, cc.n.n.

684 Neri Corsini, marchese di Lajatico, figlio secondogenito di Tommaso dei principi Corsini (�805-�859). sinceramente legato alla dinastia lorenese e uno dei più fermi sostenito-ri della causa costituzionale moderata, oltre all’incarico di governatore di Livorno e contem-poraneamente di ministro degli affari esteri e direttore del dipartimento di guerra, fu anche ministro, sempre alla guerra e agli esteri durante il ministero ridolfi, membro del consiglio di stato durante il ministero Capponi, poi deputato per i distretti di san Casciano e Borgo san Lorenzo. Il suo apporto fu significativo negli avvenimenti attorno al �7 aprile �859, quando tentò di far abdicare Leopoldo II in favore del figlio e far scendere il granducato in guerra contro gli austriaci, sui quali lo stesso Neri scrisse un breve saggio: Storia di quattro ore, dalle 9 meridiane alle 1 pomeridiane del 27 aprile 1859. Lettera di Neri Corsini, marchese di Lajatico, al figlio don Tommaso Corsini, dica di Casigliano a Roma, sui fatti del 27 aprile 1859, Firenze, Tipografia Barbera, Bianchi e C., �859. morì a Londra, ove si trovava come inviato toscano, ai primi di dicembre del �859. per una dettagliata biografia di questo perso-naggio si rimanda al datato, ma ancora valido, L.Passerini, Genealogia e storia della famiglia Corsini descritta da L.P., Firenze, coi tipi di m.Cellini e C., �858, pp. �06-���, ed all’assai più recente T.Kroll, La rivolta del patriziato, cit., pp. 66-8�, ove si fa riferimento a molta della corrispondenza privata anche da me utilizzata.

685 Neri dei principi Corsini (�77�-�845) rappresentò la Toscana al Congresso di Vien-na, fu ministro dell’interno col Fossombroni e, dopo la morte di quest’ultimo nell’aprile del �844, primo ministro con portafoglio degli esteri. morì alla fine di ottobre del �845. su di lui, vedasi anche a.moroni, L’opera politica di Neri Corsini durante il regno d’Etruria, in «rassegna storica toscana», � (�988), pp. ��5-�48.

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consueto, il nuovo governatore assunse i titoli di governatore civile e militare della città, oltre che di comandante supremo del litorale toscano e della marina militare, presidente del dipartimento di sanità nonché consigliere di stato, finanze e guerra ed annesse onorificenze. Il motuproprio leopoldino sanzionò la nomina il �3 novembre �839, ribadendo «tutti gli obblighi, facoltà, prerogative ed appuntamenti annessivi, oltre l’uso del solito palazzo di abitazione», confermando in tutto e per tutto le precedenti competenze e potestà686.

Nessuno dei Corsini, né lo zio e il nipote, né il padre Tommaso, avevano immaginato e tanto meno desiderato il conferimento di quell’incarico. Certo, ne riconoscevano le grandi potenzialità e le innegabili prospettive di carriera, ma la decisione era stata presa da Leopoldo II in totale autonomia ed a niente erano servite le perples-sità avanzate dal candidato, il quale in verità tentò in ogni modo di declinare la gravosa investitura, nel timore soprattutto – e con fon-datissime ragioni – di non poterne sostenere il dispendioso impegno economico687. riluttante, ma ligio alle volontà sovrane seguendo le rigorose indicazioni impartitegli dal padre e dallo zio688, Neri as-

686 asLi, Governo, lettere civili, �7�, cc.n.n., corrispondenza ministeriale dell’anno �839 e testo del motuproprio in asLi, Auditore, 58, cc.n.n. Il documento di nomina è conservato anche in asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 6�5, prot.�53, ins.30.

687 Quanto la carica di governatore di Livorno fosse onerosa appare evidentissimo dal fa-scicolo di spese affrontate dal Corsini fin dai primi mesi del suo incarico, conservato in aCF, stanza �, armadio C, f. �0�, ins.n.n – Note di spese e conteggi diversi relativi al governatore di Livorno �840-4�. Quello di Corsini non era però un caso isolato, ma era anzi stata una costante anche per i suoi predecessori, come egli stesso ricordava scrivendo al padre: «quello che io faccio non eccede di certo i limiti della decenza e della convenienza, e d’altronde non è in mio potere di allontanare le occasioni di spesa che con opprimente frequenza si ripro-ducono in questo posto che non è pagato, e per sostenere il quale due governatori, il mattei cioè e lo spannocchi padre sono morti oberati, e nel quale il marchese Garzoni, uomo solo, spendeva pure (e me lo ha detto egli stesso) scudi 8000 all’anno. Non parlerò dello spannoc-chi figlio, che vittima delle dilapidazioni paterne fu costretto a fare una figura meschinissima, che son persuaso che ella stesso non amerebbe che io facessi e che fu in gran parte la cagione del poco amor che gli portava il paese», ibidem, armadio D, f.��5, ins.3, lettera n.�9, Neri Corsini al padre Tommaso, senza data ma del �84�, tra luglio e novembre.

688 scriverà esplicitamente il padre Tommaso in una lettera al figlio del 30 dicembre �845, quando la situazione era ormai gravemente compromessa: «Io poi (rispondendo su ciò alla vostra osservazione) avea con mio fratello acconsentito ad abbracciare la carriera degli impieghi in Toscana perchè metteste a profitto la educazione datavi, e vi rendeste utile alla vostra patria, ma mai avrei immaginato che il granduca vi scegliesse al posto di governatore di Livorno, né che tale posto esigesse un trattamento tale da rovinarvi ne’ vostri interessi, e se non è riuscito a dispensarvene non è stata mia colpa, né sono io stata la causa di tale vo-stro dissesto», in aCF, stanza 5, scaf. H, lettere del principe Tommaso Corsini dal �847 al �855, lettera al figlio Neri, da roma, il �� aprile �845.

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sunse il nuovo incarico e il �0 dicembre era già a Livorno pronto ad organizzare la propria presa di possesso formale, viste le insistenze in tal senso fattegli dal principe689. I timori del neogovernatore furono subito manifestati al suo confidente privilegiato, il ministro Neri Corsini, che svolse fino alla morte un ruolo centrale nella carriera governatoriale del nipote, sostenendolo economicamente e rappre-sentando un canale di accesso immediato al granduca. Quanto fosse sofferto l’incarico di governatore del giovane Corsini lo dimostrano le sue scritture private e le dimissioni preparate almeno in tre occasioni diverse, rimaste inevase grazie all’intervento di padre e zio. Di tutto questo c’erano già segnali premonitori ancora prima della cerimonia della presa di possesso dell’incarico:

L’inaspettata mia destinazione richiama sopra di me gli sguardi di tutto il paese, che dalla mia riuscita in questo difficile e delicato impiego dipende la conferma o la perdita del buon concetto che ho potuto fin qui guadagnarmi, che a questa riescita influisce non poco il modo con cui il governatore tiene la rappresen-tanza e si mostra generoso verso i poveri, perchè queste due cose servono a conciliargli il suffragio così delle prime come delle infime classi, ma che queste due cose non si fanno da un padre di famiglia senza una conveniente latitudine di mezzi pecuniari690.

La cerimonia avvenne il �5 gennaio �840 e, non per caso, ripeté pedissequamente quanto organizzato per il Garzoni Venturi, con festeggiamenti in pompa magna e al cospetto di tutti i rappresentanti della società livornese, dalle autorità ecclesiastiche e religiose, ai con-

689 «L’unica cosa alla quale il granduca mi parve tener fu quella che io prendessi con qualche sollecitudine il possesso formale ed io non potei a meno di impegnarmi a farlo nel mese di gennaio prossimo, non essendo necessario che vi assista la moglie del governatore», in aCF, stanza �, armadio D, f. ��5 ins.3, fascicolo di lettere di Neri di Tommaso Corsini allo zio Neri Corsini, lettera non numerata, da Livorno, del �0 dicembre �839. La consor-te di Corsini, eleonora rinuccini, era infatti rimasta a Firenze e, segno inequivocabile dei tempi, Neri non mancò di chiedere istruzioni sul da farsi in vista della presa di possesso in quanto, si scriveva, nessuno dei suoi predecessori aveva avuto la moglie presente in tal occasione. Non si sapeva come avesse fatto lo spannocchi nel �796, «né se ne rammenta l’anzianissimo segretario piqué. Il Garzoni come ognun sa era vedovo, e il mio predeces-sore che era ammogliato non prese mai possesso formale. Ora dunque converrebbe che fosse deciso qual sia il contegno da tenersi in questa circostanza dalla moglie del governa-tore» e se al ricevimento dovessero quindi esser invitate anche le signore, in ibidem, lettera non numerata, Neri di Tommaso Corsini allo zio Neri Corsini, da Livorno, li �4 gennaio �840.

690 Ibidem, Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da Livorno, il �4 gennaio �840.

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soli e viceconsoli residenti in città, ai protagonisti della vita commer-ciale locale, con ben tre pranzi ufficiali di benvenuto69�.

Di lì a pochi mesi, le preoccupazioni finanziarie del Corsini si fece-ro sentire con una certa veemenza, rafforzate per altro da quella che giudicava essere la particolarità dell’incarico, in linea generale, e per la specificità che tale funzione veniva ad assumere a Livorno.

Questa persuasione che io ebbi fin da principio – scriveva Neri al padre Tom-maso – è rimasta sempre più avvalorata dopoché io ho veduto le molte elemosi-ne che convien dare, le opere di pubblica beneficenza e pietà cui bisogna con-correre, il piede finalmente di casa che conviene tenere. Io sono persuasissimo (ne ho avuto luogo di convincermene sempre più anche recentemente) che una delle vedute del granduca nel promuovermi a questo posto è stata quella di dare a Livorno un governatore che potesse, nella parte rappresentativa, fare scordare l’epoca poco brillante dello spannocchi, e rammentare quella molto più gradita ai Livornesi del marchese Garzoni, non perché egli credesse che io con i miei soli mezzi, che egli conosce benissimo, potessi ciò fare, ma perché ha calcolato che distinguendo con segnalato favore tutta la famiglia accordando a me (pochi mesi or sono ancora semplice commesso di Consulta) una così brillante destina-zione, la liberalità fraterna avrebbe supportato a quello che mi poteva mancare per sostenere adeguatamente il posto conferitomi69�.

Nonostante le difficoltà personali, Corsini non esitò ad affronta-re immediatamente quelle che sembrarono essere, fin da subito, le più urgenti problematiche della città. I dati lasciano supporre che a Livorno, diversamente da altri casi, il ruolo governatoriale, pur nel-l’ambito di una innegabile spettacolarizzazione dell’ufficio e del ruo-lo simbolico-onorifico che aveva acquisito, se non per legge, almeno di fatto, avesse saputo mantenere una autorità di vertice rispetto a molte questioni politiche, amministrative e di controllo. Corsini ave-va peraltro ben chiaro quali dovessero essere le priorità di governo e privilegiò l’intervento pubblico e a sostegno di iniziative private rivolte ad arginare l’emergenza legata alla pubblica sicurezza. elevati tassi di criminalità, che dietro il contributo di pochi scellerati trova-vano la più profonda ragion d’essere nell’indigenza e nell’abbandono

69� asLi, Auditore, 59, ins.33, cc.n.n. Il governatore commentò allo zio Neri come, quan-to alla presa di possesso, «in generale può dirsi che tutto sia andato passabilmente bene», da Livorno, 3 febbraio �840, aCF, stanza �, armadio D, f. ��5 ins.3, fascicolo di lettere di Neri di Tommaso Corsini allo zio.

69� aCF, stanza �, armadio D, f.��5 ins.3, lettera n.��, il governatore Corsini al padre Tommaso, da Livorno, il �� maggio �840.

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di una cospicua parte della popolazione, stimata nel �839 poco al di sotto delle ottantamila anime693, apparvero i primi obiettivi sui quali intervenire. Non si trattava tanto di inasprire le regole repressive, ma di migliorare le condizioni di vita della popolazione, di assicurare loro mezzi di sostentamento, istruzione e un’adeguata struttura sani-taria694. «Livorno: educazione, beneficenza, repressione», così il Cor-sini sintetizzava nell’incipit di un appunto senza data i tre principali settori d’intervento sui quali agire695.

Fin dai primi mesi, proprio per «prendere un’idea esatta dei luo-ghi, delle persone e del servizio in genere, sul quale sono spesso nel caso di dover dire il mio parere»696, Corsini condusse un’attenta ri-cognizione sulla città e, l’anno successivo, sull’intero compartimento governativo, nei territori compresi dalla giurisdizione civile e sull’as-sai più ampio litorale, ove invece si aveva giurisdizione militare, da pietrasanta al confine romano.

Così, già nel giugno del �840, chiedeva allo zio ministro di far presente al granduca l’improrogabile necessità di mettere in atto

693 In data 4 giugno �839 l’auditore del governo di Livorno ricevette, come avveniva regolarmente con cadenza periodica, la ricapitolazione dello «stato dell’anime» di Livorno per quell’anno, calcolata sulla base dei rapporti parziali dei parroci compresi nel circondario della cancelleria comunitativa cittadina. Il rapporto era diviso per quartieri, ma aggregando i dati indicati si possono desumere i seguenti risultati: totale della popolazione cittadina 78989, dei quali 4�893 uomini (��333 coniugati, �34�� adulti, 9905 impuberi, �87 ecclesia-stici secolari, ��4 ecclesiastici regolari, ���� non cattolici) e 37096 donne (��367 coniugate, ��335 adulte, 9580 impubere, �5 religiose, 963 non cattoliche); per un numero complessivo di �3805 famiglie, oltre a 3546 ebrei dimoranti in ghetto (di cui �7�0 maschi e �836 femmi-ne). asLi, Auditore, 57, cc.n.n.

694 Tra le prime iniziative a favore della sanità pubblica, vi fu l’adozione di norme più rigorose in merito al regolamento vigente sugli ammazzatoi, così da eliminare l’inconvenien-te del deposito e diverse stalle all’interno della nuova cinta muraria con un numero molto elevato di bestie vaccine da macello. Disposizioni giudicate «coerenti al rigore che dopo la costruzione della cinta ha portato il Governo affine di eliminare dall’interno della città ogni centro d’infezione e garantire scrupolosamente la purità e salubrità dell’aria». In tale direzione, anche il divieto di fare qualsiasi inumazione di cadaveri entro il circondario delle mura, che portò a rifiutare anche la generosa offerta avanzata dal conte de Lardarell che si era offerto di sovvenzionare a proprie spese i lavori della nuova chiesa del soccorso in cam-bio di potervi realizzare una cripta destinata alla sepoltura dei defunti della propria famiglia. asLi, Auditore, 60, cc.nn., l’auditore al governatore il 6 luglio �840. per la fine di luglio di quell’anno si provvide anche a redigere un dettagliato rapporto sui lavori più urgenti da farsi a Livorno in merito agli scoli, fognature e fossi e per ridurre il numero delle fogne a cielo aperto ancora presenti, in ibidem, cc.n.n.

695 aCF, stanza 5, scaf. H, f. «marchese Neri Corsini: carte riguardanti il governatorato di Livorno �839-�847», cc.n.n.

696 aCF, stanza �, armadio D, f.��5 ins.3, lettere n.�0 e n.�8, entrambi del governatore Corsini allo zio ministro a Firenze, da Livorno, rispettivamente del �3 e del �8 aprile �84�.

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alcune misure urgenti. perorò il desiderio del vescovo di chiedere sussidi per l’istituto per le fanciulle povere, ove in effetti – come confermato dall’auditore del governo – si impartiva una «buona e morale educazione» ad almeno trecento fanciulle povere, una inizia-tiva fondamentale «specialmente in un paese come questo, dove è tanta la mancanza dei mezzi di collocazione per il povero e dove non si potrà ottenere più moralità finché questi mezzi non avranno ot-tenuto maggiore sviluppo». appariva inoltre necessario e senz’altro impellente intervenire per sistemare il Bagno dei forzati e realizzare più ampie carceri, un progetto da preferirsi rispetto alla realizzazione degli ospedali, che si erano trovati in buone condizioni. Le carceri, poco areate ed aperte al pubblico, erano invece «pericolose per la salute e perniciose per la morale»697. Quest’allarme coincise con una importante riforma del sistema penitenziario toscano a seguito della quale fu decisa la soppressione del Bagno dei forzati di pisa, riducen-do quel fabbricato ad una casa di correzione maschile e trasferendo i carcerati al Bagno di Livorno, eretto in Bagno centrale e di depo-sito, ed in minima parte all’altro di portoferraio. Tale modifica non era dispiaciuta né alle autorità livornesi, né al governatore (al quale si attribuiva la «facoltà di fargli ammettere e distribuirli secondo la esigenza del servizio e le circostanze», ferma la generale supervisione del Buon Governo), in quanto l’aumento del numero dei forzati da poter impiegare in pubblici lavori consentiva un notevole vantaggio per l’erario regio «impiegando costoro nella escavazione del porto», purché però si fossero aggiunte almeno quattordici unità alle guardie addette all’istituto698.

Nell’esame del governatorato di Corsini, meritano almeno un cen-no i rapporti che mantenne con i suoi tre principali referenti, cioè: il granduca, i funzionari a Livorno e il presidente del Buon Governo.

Quello con Leopoldo II fu un rapporto tormentato, contrasse-gnato da una serie di alti e bassi, di scontri dovuti a incomprensioni

697 aCF, stanza �, armadio D, f. ��5 ins.3, lettera non numerata, il governatore Corsini allo zio ministro, da Livorno, il 30 giugno �840.

698 Tutto in asLi, Auditore, 60, cc.n.n., lettera al governatore Corsini dal presidente del Buon Governo Bologna, del �9 maggio �840, nella quale si comunica il sovrano dispaccio del �3 maggio (allegato in copia) relativo alla soppressione definitiva del Bagno dei forzati di pisa e l’assunzione di quello di Livorno in «Bagno centrale e di deposito»; lettere dell’audi-tore al governatore in data �0 e �4 giugno �840.

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e ragioni personali699. Un primo momento di crisi si manifestò tra la fine del �840 ed primi mesi del �84�, quando Neri maturò la «dolo-rosa persuasione» che il granduca si fosse pentito di avergli affidato l’incarico governatoriale. Durante un breve incontro col sovrano del novembre dell’anno precedente, infatti, era stato accusato di non prestare alla città le attenzioni dovute, una «immeritata rampogna» a seguito della quale, nel dubbio che «i miei servigi non sono graditi e che mi si stimi al di sotto dell’importanza del posto conferitomi», in-viava allo zio nell’aprile successivo una ferma lettera di dimissioni700. Nella lettera, indirizzata al conte Vittorio Fossombroni, consigliere segretario di stato e ministro degli affari esteri (cariche in realtà al tempo rette interinamente dallo stesso Corsini senior, visto le gravi condizioni di salute del Fossombroni che, infatti, sarebbe morto il �5 di quello stesso mese), si rassegnavano le proprie dimissioni a ragio-ne di «imponenti domestiche circostanze», allegando una memoria per il granduca di analogo contenuto70�. entrambi i documenti non raggiunsero mai i rispettivi destinatari. L’anziano Corsini, irritato di esser stato messo al corrente dei fatti così tardi, non esitò un solo mo-mento a verificare con il sovrano i dubbi del nipote, lo rassicurò sulla correttezza di quanto fatto come governatore e gli proibì categori-camente di rassegnare le dimissioni, in accordo anche con il fratello Tommaso70�.

se fino dal novembre vi nacque il dubbio del minor gradimento che i vostri ser-vigi, avrei desiderato che me lo avesse comunicato, che io avrei parlato – come mi propongo di fare adesso – per schiarire un tal dubbio, e conoscere le sovrane intenzioni, onde vi servissero di norma nella vostra ministeriale condotta, che io

699 Fu un impegno molto gravoso da un punto di vista personale, soprattutto perché il Corsini non poté allontanarsi che in maniera estremamente sporadica da Livorno, nonostan-te i reali bisogni della sua numerosa famiglia che risiedeva a Firenze per buona parte dell’an-no. In più e diverse occasioni il granduca gli negò i richiesti congedi, gettando Corsini in un profondo e inconsolabile sconforto. aCF, stanza �, armadio D, f. ��5 ins.3, lettera n.�, Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da Livorno, il � aprile �84�.

700 Ibidem. 70� aCF, stanza 5, scaffale H, lettere al marchese Neri di Tommaso Corsini da parenti ed

altri mittenti dal �8�4 al �859, cc.n.n., memoria allegata alla lettera del governatore Corsini a Vittorio Fossombroni, Livorno, � aprile �84�.

70� sia Tommaso che Neri senior pensavano che la permanenza in qualità di governatore di Livorno per qualche anno potesse valere la pena ed aprire al giovane Corsini «una carriera che può condurvi fra qualche tempo ad una posizione onorevolissima per quello che si può sperare in questo piccolo stato», come scrisse il padre al figlio Neri, il 5 febbraio de l84�, in ibidem.

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però, vi ripeto, trovo regolarissima e pienamente savia. se si facesse considerare lo zelo nell’accumulare progetti sopra progetti, come molti fanno, avrei detto che non era il modo vostro, né il mio, di servire il principe, ed ho veduto che voi avete promosse le cose più sostanziali703.

L’estate passò così senza novità, finché ai primi d’ottobre, il gover-natore riferiva sbigottito come Leopoldo II, in occasione di un nuovo incontro, gli avesse senza mezzi termini rivolto parole tutt’altro che d’encomio:

Con mia sorpresa, mi son sentito dire che io non doveva fare il villeggiante a Castello, che dovevo fare il governatore, che era necessario che gli impiegati stessero al loro posto, che questo mio desiderio di divertirmi spiace all’altezza sua, e che spiace anche ai Livornesi, i quali dicono che il governatore ama di divertirsi704.

Leopoldo II esponeva chiaramente quali fossero i più importanti compiti governatoriali: vigilare sui propri sottoposti ed assicurare il gradimento dei propri amministrati. Il governatore, da parte sua, giu-dicò l’ostilità dimostratagli da quel «principe ottimo» frutto esclusivo delle trame di corte di invidiosi avversari che inducevano Leopoldo a «un rigorismo che, senza giovar nulla alla cosa pubblica, si risolve a una mera ostilità», nella speranza di veder vacante l’ambito ufficio labronico e potervi succedere705. Del resto, aggiungeva Corsini, «io, per le mie relazioni familiari, e più ancora per il mio costante ed in-variabile sistema (figlio di una profonda convinzione) di non deviare giammai nelle trattative degli affari dai canali competenti, non posso esser bene accetto a tutti». rafforzato nelle proprie convinzioni e certo di «riunire le simpatie dei propri amministrati», il governatore tornò alle proprie occupazioni con rinnovato entusiasmo. Da questo momento, i dissidi col granduca furono prevalentemente dovuti a motivi economici, e non sostanziali, mentre si intensificarono i mo-menti di conflitto con i referenti ministeriali.

Un ingrediente determinante del governatorato Corsini fu quello di poter contare sulla fedele collaborazione dei propri sottoposti e sull’ottima intesa, personale e professionale, con l’auditore Carpanini.

703 Ibidem, lettera non numerata, Neri Corsini senior da Firenze al nipote governatore di Livorno, il 6 aprile �84�.

704 aCF, stanza �, armadio D, f.��5, ins.3, lettera n.��, Neri Corsini junior a Neri Corsi-ni senior, da Livorno, il �� ottobre �84�. sottolineato nell’originale.

705 Così anche T.Kroll, La rivolta del patriziato, cit., pp. 75.

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Quest’ultimo, infatti, collaborò in sostanziale concordanza di opinioni col governatore, ricercandone l’avallo anche rispetto a tutti quei prov-vedimenti che gli vennero inoltrati dalla presidenza del Buon Go-verno, spesso non risparmiando critiche ai nuovi sistemi introdotti, giudicati gravemente lesivi del potere politico dell’ufficio governativo, come in materia di controllo dell’ordine pubblico. Così avvenne nel febbraio del �840 quando, su ordine del presidente del Buon Gover-no, fu sperimentata una diversa organizzazione della forza civile e mi-litare di polizia per le perlustrazioni notturne, affiancando un agente civile a due soldati, per potenziare la vigilanza urbana. Tale novità, giudicata solo relativamente utile dal Corsini706, fu considerata anche dal Carpanini «ben poco rilevante» per risolvere i «gravi disordini» occorsi in città, causati in primo luogo dalla ridotta capacità dell’auto-rità locale di prevenire e perseguire la criminalità a seguito di quanto disposto dalla notificazione del �3 settembre �83�. «Qui si può fare ciò che si vuole, rubare, tirare di coltello, perché con poco se n’esce», concordavano i due ministri, e i soli rimedi efficaci stavano piuttosto nell’allontanamento dalla città dei soggetti pericolosi, pochi e ben no-ti, e nell’aumento del numero degli addetti alla sicurezza. Il Buon Go-verno accolse quei suggerimenti e fin dal settembre vennero aggiunti militari per ciascuna pattuglia, mentre il �0 ottobre furono emanate le «Istruzioni per le perlustrazioni notturne e aumento di forza di polizia civile e militare»707.

706 «si sta provando per secondar i desideri del signor cavalier presidente del Buon Governo una nuova disposizione della forza civile e militare di polizia nelle perlustrazioni notturne. sembra che la prova non vada male, ma che bensì faccia conoscere indispensabile un aumento sebbene non grande di teste. Fatte tutte le prove scriverò l’occorrente all’eccel-lenza Vostra onde provocare i necessari provvedimenti. ritengo sempre però che senza uno spurgo qualunque, un imponenente servizio di polizia non garantisce dalle coltellate e dai furti», in aCF, stanza 5, scaf.H, f.«marchese Neri Corsini: carte riguardanti il governatorato di Livorno �839-�847», cc.n.n., l’auditore Giuseppe Carpanini, da Livorno, al governatore Corsini, il � marzo �840. Vedasi anche altra lettera, in ibidem, del 5 marzo successivo.

707 Quanto all’efficacia delle rafforzate misure di vigilanza, ed agli effetti giudicati oltre-modo deleteri della notificazione del settembre �83�, l’auditore specificava come «l’aumento e miglioramento della vigilanza della subalterna polizia ben poco rilevanti e sensibili vantaggi morali arrecherà a questo paese se la legge non darà ai magistrati di polizia e Buon Governo facoltà e mezzi adeguati a frenare il mal talento di tanti facinorosi abitualmente dediti ad ogni genere di delinquenze ed in specie ai furti ed ai ferimenti, i quali colpiti con blande punizioni e vincolati con misure preventive di ben corta durata trovasse quasi sempre nella libertà di nuocere alla sicurezza delle persone e sostanza dei cittadini. [...]. Fra noi mal si presume che il potere politico ridotto dagli ordini vigenti ed in specie dalla notificazione de �3 settembre �83� a non poter far uso che del carcere per due mesi, della casa di forza per tre, della casa di

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a minare l’autorità governatoriale era in realtà l’uso sempre più frequente del Buon Governo di dirigersi direttamente all’auditore senza coinvolgere il Corsini, nemmeno a mero titolo informativo. simili casi si susseguirono, finché, nel �844, si giunse a un punto di rottura. Furono recapitati per errore al governatore comunicazioni «riservatissime» in merito ad indagini di polizia promosse dal Buon Governo ed espletate dall’auditore senza che Corsini ne sapesse niente. Corsini ne scrisse furibondo allo zio ministro lamentando la «deplorabile malattia, dalla quale sono generalmente attaccati in Toscana i capi di dipartimento e anche i semplici capi d’uffizio», di trattare gli affari direttamente aggirando il governatore, nella «ma-nia di rendersi indipendenti». Già in passato, senza che lo avessero «menomamente interpellato», il Buon Governo aveva concesso una dispensa di quaranta giorni all’auditore di governo, aveva accettato le dimissioni di alcuni gonfalonieri del compartimento governativo livornese e provveduto alla loro sostituzione sulla base della semplice informazione dell’auditore confermando per un successivo triennio il precedente gonfaloniere. In un’altra occasione, erano state trasmesse istruzioni ai consoli toscani residenti all’estero in merito al commer-cio dei tabacchi sulla base degli accordi tra l’amministratore generale e l’auditore senza consultare il governatore, dal quale invece i consoli dipendevano direttamente. Corsini aveva lasciato correre «per non parere puntiglioso» e nell’auspicio che si trattasse di episodi isolati. pur soprassedendo su «tutto quello che vi ha di inconveniente e di lesivo per il mio amor proprio nella condotta che si tiene dai ministri superiori di polizia a mio riguardo», reputava inconcepibile doversi far carico della «responsabilità massima del buono o cattivo anda-mento di questo paese» quando poi gli si occultavano notizie e infor-mazioni «di qualunque genere, ma specialmente poi in materie politi-che». si pretese immediatamente che tale condotta fosse apertamente condannata e mai più ripetuta.

correzione per un anno, e per egual tempo del domicilio coatto, sia in grado di tenere in fre-no pessimi soggetti che ormai sono riconosciuti incapaci di esser corretti o remessi da simili coercizioni. e che al men vigoroso e men efficace regime di polizia preventiva indotto dalla precitata legge del �83� siano forse da attribuirsi i gravi disordini che spesso e recentemente ancora sono qui accaduti». L’intera documentazione relativa a questa riforma è conservata in asLi, Auditore, 59, cc.n.n., lettere del Bologna dalla presidenza del Buon Governo al gover-natore Corsini in data 3 febbraio �840 e dell’auditore al governatore del � aprile �840.

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Io crederei che l’unico mezzo di riparare al passato e di provvedere all’avvenire fosse quello di fare avvertire al signor presidente del Buon Governo l’irrigola-rità avvenuta, di invitarlo a ripararla ordinando che mi siano comunicate tutte le notizie raccolte mercè le indagini segrete fin qui praticate, incaricandolo nel tempo stesso di vegliare a che simili irregolarità non si riproducano per parte dei ministri di polizia da lui dipendenti.Forse anche un richiamo generale che insinuasse a tutti i capi di dipartimento di dirigersi, quando loro occorre di attinger notizie o prender concerti nelle diverse città del granducato, ai capi del Governo locale, e di astenersi dal car-teggiare direttamente con i ministri subalterni, comunque in distinta posizione, potrebbe far cessare affatto un abuso che da qualche tempo in qua ha presa una estensione de uno sviluppo veramente avvertibile, e che in ultima analisi non può che ridondare in danno del buon andamento del servizio708.

Le proteste del Corsini vanno collocate in un quadro normativo procedente dalla riforma giudiziaria introdotta con le leggi del � agosto e �9 novembre del �838, un complesso di disposizioni che non aveva saputo sufficientemente specificare limiti e attribuzioni di competenze, soprattutto a fronte delle esigenze dei governatori di conservare la sostanza e l’efficacia di poteri che venivano loro ancora, almeno formalmente, conferiti. Non è certo una coincidenza che, proprio negli stessi mesi, insieme alle rimostranze del governatore di Livorno arrivassero a Firenze, sulla stessa linea d’onda, quelle del governatore di siena, Luigi serristori709. anche per Livorno vale in buona misura l’analisi della storiografia che legge nelle insofferenze del serristori l’espressione della frustrazione di un ministro esautora-to da ogni reale prerogativa di potere e la riduzione dell’ufficio a una vuota carica onorifica7�0. In entrambi i casi emerge il tentativo opera-to dal Consiglio ministeriale e dal Buon Governo di conculcare il po-tere governatoriale per opporsi, anche a livello periferico, al polo di potere di Leopoldo II e della ristretta cerchia della segreteria intima di Gabinetto (della quale faceva parte Corsini senior)7��. Tuttavia, la

708 aCF, stanza �, armadio D, f. ��5, ins.3, lettera di Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da Livorno, �3 marzo �844.

709 m.lenzi, Moderatismo e amministrazione, cit., pp. 8�-86.7�0 Ibidem, p. 79.7�� su questo «dualismo» dei poteri dello stato, si rimanda ad a.zoBi, Storia civile della

Toscana, cit., IV, pp. 5�5-5�7; G.Baldasseroni, Leopoldo II Granduca di Toscana e i suoi tempi. Memorie del cavaliere G.B. già Presidente del Consiglio dei Ministri, Firenze, Tip. al-l’Insegna di s.antonino, �87�, p. �58-�60; r.p.coPPini, Il Granducato di Toscana, cit., pp. �99-343, e alla restante bibliografia suggerita da m.lenzi, Moderatismo e amministrazione, cit.,7�-77.

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situazione senese e quella livornese restavano per altri aspetti abba-stanza differenti. a Livorno il governatore manteneva saldamente po-teri reali in termini di autorità militare e sanitaria con competenze di grande portata e non meramente «decorative», bensì capaci di con-ferirgli autonomia decisionale. se la norma riconosceva alla polizia di poter prendere decisioni indipendenti negli affari di competenza ordinaria, precisava chiaramente il governatore Corsini, sia in quelli relativi alla polizia giudiziaria o punitiva, sia in merito alla disciplina degli istituti di custodia e penali (aspetti di inequivocabile pertinenza della presidenza del Buon Governo), ciò invece non valeva per gli affari straordinari:

mi pare che per il rimanente e soprattutto nelle indagini e scoperte che può esse-re nel caso di fare nelle delicatissime materie politiche non possa dispensarsi dal renderne informata l’autorità governativa e che del pari quando viene richiesta da qualche capo di dipartimento direttamente di informazioni o concerti ai quali il governo locale non può essere estraneo, debba invece di replicare in modo diretto ai detti capi di dipartimento, ricondurre l’affare alla via regolare, rimet-tendo le sue proposizioni all’autorità governativa per il loro corso ulteriore7��.

e questa convinzione era suffragata dai fatti: Corsini aveva adot-tato misure straordinarie per avvenimenti eccezionali7�3 o al fine di reprimere l’ondata di delitti di sangue che alla fine del �843 avevano afflitto Livorno. In tali circostanze il governatore, sebbene fosse con-sapevole «che l’affare secondo gli ordinari sistemi avrebbe dovuto inoltrarsi alla presidenza del Buon Governo», aveva inoltrato la prati-ca alla segreteria di stato perché provvedesse con tutta l’urgenza del caso a informarne e tramitar l’affare al Buon Governo, indicando al presidente Bologna quali fossero gli aspetti specifici sui quali interve-nire.

7�� aCF, stanza �, armadio D, f. ��5, ins.3, lettera di Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da Livorno, s.d. ma tra il �4 marzo e il 6 aprile �844.

7�3 Così, ad esempio, Neri Corsini, in data �6 febbraio �844, comunicava alla segreteria di stato di aver dato, senza chiedere alcun previo avallo, il proprio assenso alla richiesta inoltrata dal magistrato civico di fare pubbliche cerimonie per la morte del gonfaloniere balì Ferdinando sproni. «Io – scriveva il Corsini – nell’angustia del tempo che non permetteva d’invocare sulla medesima le superiori istruzioni, dopo aver sentito il parere dell’auditore consultore e di accordo con esso, sono disceso nella opinione di non poter disapprovare». Da Firenze si era appoggiato ed avallato il comportamento tenuto dal governatore, ricono-sciuta l’urgenza della situazione. asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), �046, prot.�, ins.�8.

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Il conflitto di competenze, al di là delle specifiche questioni, ce-lava un profondo dissapore politico fra l’apparato burocratico ed i governatori, funzionari scelti dal granduca tra gli appartenenti ai casati tradizionalmente più legati al trono, ostili a riconoscere la superiorità gerarchica del Buon Governo. L’oligarchica moderata to-scana, ancora intrisa di concezioni tradizionali e corporativiste, cer-cava di resistere di fronte all’affermarsi di un nuovo sistema di stato, mentre il Buon Governo tentava di appropriarsi dell’ordinamento amministrativo periferico, affidando ai governi locali mere funzioni esecutive e burocratiche7�4.

a Livorno, questo scontro tra due modelli istituzionali acquistò una dimensione ulteriore. Nella dissoluzione dello «stato minimo» – espresso in quella «istituzione inesistente» capace di conferire solo una apparente unità formale, frutto di continue negoziazioni tra il granduca e i ceti dirigenti locali7�5 – a favore di una forma statuale moderna basata su un’amministrazione fortemente accentrata e ver-ticalizzata si perdeva qualcosa in più di un mero particolarismo terri-toriale. Il governatore di Livorno aveva costantemente rappresentato, seppur con maggiore o minore efficacia, una figura istituzionale che trovava la sua ragion d’essere nel ruolo di interprete privilegiato delle istanze locali, anche presso il sovrano. Nella sintesi di attività ammi-nistrative e politiche delle quali era dotato risiedeva il segreto della speciale situazione della città e la sua capacità di tutelarne i diversi in-teressi economici e sociali che non avrebbero altrimenti trovato altra forma di espressione.

La questione sollevata dal Corsini del rapporto di potere tra Go-verno di Livorno e Buon Governo rivestiva quindi particolare deli-catezza. La posizione intransigente del governatore non trovò però l’avallo presso lo zio, il quale anzi lo invitò ad obbedire alla legge e far sempre riferimento al Buon Governo per qualsiasi affare di po-lizia, per quanto straordinario fosse. anche se, con quel «prudente continuismo eclettico» tipico della politica riformista della restaura-

7�4 G.BerGonzi, Tra ‘stato di municipi’ e ‘stato moderno’. Il contraddittorio percorso del-l’amministrazione municipale del Granducato di Toscana tra il 1825 ed il 1853, in «rassegna storica toscana», n.� (�003), pp. �45-300 e in particolare pp. �66-�69. L’estensione anche ad aspetti politici delle competenze della presidenza del Buon Governo e della polizia era una realtà più che consolidata, ed ormai irreversibile, così anche a.cHiavistelli, Dallo Stato alla nazione, cit., pp. 78-8�.

7�5 L.mannori, Il sovrano tutore, cit., pp. �7-54.

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zione toscana7�6, promise la dovuta soddisfazione all’onore ferito del governatore labronico. ai primi di aprile del �844, Giovanni Bologna si recò infatti personalmente a Livorno per incontrare il Corsini e l’auditore Carpanini, conferendo «sulle cose più gravi e più impor-tanti di cui si occupa attualmente questa polizia», sulla necessità di «pensare seriamente alla rigenerazione morale di questo popolo, e sopra quella non meno sentita di provvedere la città di più opportu-no locale per le pubbliche carceri». si accoglieva così la richiesta del governatore di esser informato sugli avvenimenti locali e si riconosce-va l’utilità di provvedimenti in ambiti d’azione che rappresentavano due delle direttive principali del governatorato Corsini7�7. Non solo, Leopoldo II volle suggellare il ritrovato accordo attribuendo al gover-natore l’onorificenza di commendatore dell’Ordine di san Giuseppe, e quello di santo stefano andò al Carpanini (che aveva già un titolo di san Giuseppe e otteneva così le due maggiori decorazioni toscane eguagliando l’auditore di siena)7�8.

ricucita più o meno precariamente l’alleanza con Firenze, Corsini tornò con nuova lena ad occuparsi dei suoi amministrati, nonostan-te indiscrezioni che erano giunte all’orecchio della moglie e che lo volevano destinato a parigi in qualità di rappresentante toscano7�9. La voce risultò falsa, e il governatore poté mettere in atto una serie di «progetti importantissimi» per migliorare la «questione sociale», dedicandosi in prima istanza all’istruzione pubblica. La struttura sco-lastica esistente, primaria e professionale, si riteneva del tutto insod-disfacente e inadeguata. Nel gennaio del �845 il governatore sollecitò a Firenze l’approvazione del piano architettonico per l’erezione di una Casa di lavoro, un istituto pubblico pensato e voluto dal Corsini fin dai primi anni del suo insediamento e nel quale allievi di umile

7�6 a.macrì, La costituzione del territorio, cit., p. 3��.7�7 aCF, stanza �, armadio D, f. ��5, ins.3, Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da

Livorno, in data 8 aprile �844.7�8 Ibidem, Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da Livorno, in data �7 aprile �844.7�9 Corsini giudicava l’incarico parigino inferiore a quello di governatore di Livorno,

dove invece pareva esser destinato serristori a parziale compensazione per non aver potuto conseguire il governo di pisa. Così commentava Neri allo zio, da Livorno, in data �9 gennaio �845: «La scarsità e piccola importanza dei nostri affari a parigi mi toglierebbe il vantaggio di proseguire ad acquistare quelle nozioni pratiche che potrei sperare di acquistare conti-nuando ad occuparmi di cose più gravi, quali sono quelle di Livorno, di dove confesso anche che mi dispiacerebbe di allontanarmi prima di aver veduto dare almeno un principio di ma-teriale esecuzione alle cose progettate per la rigenerazione morale di questa popolazione», in ibidem.

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origine potessero apprendere principi religiosi, morali e civici, oltre ad acquisire i rudimenti di mestieri artigianali capaci ad assicurare una onorevole fonte di reddito7�0. Il granduca ed i ministri fiorentini, come era in buona misura già avvenuto con analoghe proposte avan-zate dal Garzoni Venturi, si dimostrarono poco ricettivi7��, prefe-rendo piuttosto intervenire «per il miglioramento civile e morale del popolo» con misure repressive di polizia7��, oppure con l’istituzione di commissioni create ad hoc, come nel caso della Deputazione per le pubbliche scuole a Livorno. L’intento, dimostratosi fallimentare, mi-rava ad evitare ogni forma di decentramento localistico7�3.

7�0 Il progetto della Casa di lavoro, o ricovero di mendicità, risaliva almeno al �843 ed era stato avviato grazie alla grande determinazione del Corsini, il quale non esitò a racco-mandarsi in diverse occasioni allo zio a Firenze per perorare l’approvazione dell’avvio dei lavori. Il governatore aveva supposto di coprire le spese per l’erezione e il mantenimento dell’istituto in parte con una modica implementazione delle tasse per i poveri da imporsi alle prime classi dei contribuenti comunitativi, in parte aumentando, in numero e quantità, le tas-se sui passaporti, sui visti e sulle carte di soggiorno, e infine dai proventi della nuova tassa da esigersi per la realizzazione di un nuovo faro lenticolare. L’approvazione della «istituzione di massima» della Casa di lavoro si ottenne dalla segreteria di stato il 30 gennaio del �844 e il governatore fu allora incaricato del progetto per la realizzazione dei lavori di edificazione. ai primi di gennaio del �845, si accolsero anche le proposizioni del Corsini per il trasferimento al commissario di san marco dell’incombenza, fino ad allora esercitata dalla segreteria del Governo, della vidimazione dei passaporti e carte di via onde esigere regolarmente le tasse a profitto della nuova Casa di lavoro, accollando conseguentemente al governatore il compito di verificare la necessità di riformare il personale degli impiegati della segreteria suddetta, tutto in asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), �466, lettera L e ibid, �468, lettera L. Neri Corsini non riuscì a vedere terminati i lavori per la realizzazione di questo stabilimento, ancora in corso nel �853, cfr. a.zoBi, Storia civile della Toscana, cit., V, p. 48 e T. Kroll, La rivolta del patriziato, cit., p. 74-76.

7�� Il granduca bocciò anche un progetto per realizzare un centro scolastico, a costi bas-sissimi per la Comunità, e da affidarsi ai padri della dottrina cristiana «Ignorantias», altrove chiamati pères Ignorantiers. Il governatore aveva già praticamente concluso la questione, trattando con il padre provinciale dell’Ordine, residente a Torino, del quale l’avvocato mo-chi gli aveva procurato la conoscenza. Ne scriveva allo zio Corsini, perché ne appoggiasse le ragioni presso il granduca, il 9 gennaio del �845, in aCF, stanza �, armadio D, f. ��5 ins.3. La risoluzione sovrana giunse oltre un anno e mezzo più tardi, il 5 giugno �846, con una ri-sposta seccamente negativa, asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), �47�, lettera L, cc.n.n.

7�� Così, al proposito, lo Zobi: «sin dai tempi che reggeva Livorno il marchese paolo Garzoni, erano state inoltrate diverse rimostranze sopra ad argomento di tanta importanza; aveva però il governo superiore fatto da sordo, come pure non aveva aiutato quanto doveva e poteva Neri Corsini marchese di Lajatico nel disegno d’introdurre adequata istruzione, e la buona educazione fra quella plebe infelicissima. assuefatto il ministero toscano a risguar-dare detta piazza come una fattoria della finanza, incorse più volte nel madornale errore di preferire le opere materiali, a fine di ritrarne pecuniari profitti od abbellimenti, a ciò che era necessario a formare il cuore e la mente, ed a migliorare i costumi degli abitanti», in a.zoBi, Storia civile della Toscana, cit., V, p. 49.

7�3 a Livorno questa operazione sortì infatti non pochi contrasti. al progetto «per l’ordi-namento di disciplina ed educazione per l’istruzione pubblica» avanzato dalla Deputazione

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a fronte dei gravi episodi criminali che si ebbero durante il gover-natorato Corsini, ricorrono con frequenza, anche nei colloqui con Leopoldo II, continui riferimenti alla necessità di adottare «provve-dimenti di prevenzione» eccezionali per Livorno, nella convinzione che la «rigenerazione morale del popolo», conseguibile solo in parte con la realizzazione della Casa di lavoro, dovesse sostenersi con piani di più ampio respiro ed estesa applicazione7�4. proprio con il �847 cominciarono ad aumentare, dopo il periodo di relativa quiete so-ciale degli ultimi mesi, agitazioni e fermenti di piazza. Inizialmente l’intermediazione di Corsini riuscì a riportare la calma, poi le parole non bastarono più e si dovette armare la guardia civica. La situazione degenerò, nonostante le instancabili trattative del governatore con i rappresentanti della rivolta7�5. Finché una vera, profonda, rottura si consumò col granduca, la sera del �6 settembre del �8477�6. Il go-

per le pubbliche scuole, appositamente creata con rescritto granducale del �� agosto �844, si contrappose il rapporto formulato dalla Deputazione delle scuole comunali, composta da soggetti locali appoggiati dal magistrato civico e alla quale partecipava anche il governatore Corsini. Lo stesso Buon Governo si era espresso al proposito in questo modo: «Il consigliere presidente Bologna, senza occuparsi dell’analisi dell’enunciato rapporto, dice in genere che se per un lato è lodevole il concorso della commissione governativa di centralizzare cioè la esecuzione della non facile impresa, dall’altro lato i pensieri preliminari contenuti nel rap-porto della Deputazione delle scuole offrono bastante garanzia di buon successo nella fatta offerta di un rapporto più circostanziato ed appoggiato a più solide basi», in asFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 86�, prot.�04, ins.�0, informativa in data �5 agosto �846, ma referente a una relazione del Bologna del �4 settembre �845.

7�4 «parlammo poi lungamente – scrive Corsini riferendo allo zio in merito ad un col-loquio avuto con Leopoldo II – dell’ultimo tristissimo fatto accaduto, e che ha determinato questo Governo ad avanzare delle proposizioni tendenti ad invocare dei provvedimenti di prevenzione, che quanto prima saranno messi in corso. mi parve che il granduca fosse pene-trato nell’opportunità di tentare di porre, quanto è possibile almeno, un argine a questo ma-le gravissimo ed eccezionale per Livorno, con provvedimenti del pari eccezionali. Il rimedio radicale però consiste nella rigenerazione morale del popolo, la Casa di Lavoro sarà molto utile spero in questo senso [...], ma la Casa di Lavoro sola [...] non supplirà interamente al bisogno. Bisogna pensare a fornir mezzi di conveniente educazione anche agli altri molti che non potranno essere accolti nello stabilimento e bisogna procurare di dare ai padri di fami-glia delle classi inferiori un efficace eccitamento a far profittare i figli della istruzione della quale gli si offriranno i mezzi, mentre questi padri di famiglia cresciuti essi stessi nell’igno-ranza, non apprezzano il vantaggio di educare i figli meglio di quello che essi stessi sieno stati educati». aCF, stanza �, armadio D, f. ��5 ins.3, lettera non numerata, Neri Corsini junior a Neri Corsini senior, da Livorno, il 7 marzo �844.

7�5 La trattazione dettagliata di questi avvenimenti esula dagli intenti di questa ricerca, si rimanda perciò alla documentatissima opera che più di ogni altra ha descritto i travagliati anni dei quali si tratta, F.Bertini, Risorgimento e paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830-1849), Firenze, Le monnier, �003, e in particolare, quanto all’istituzione della guardia civica, alle pp. 4�8-440.

7�6 Non si entra qui nel merito dell’analisi politica della proposta corsiniana rivolta a

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vernatore Corsini, a fronte del precipitare dei fatti a Livorno, pose il sovrano di fronte all’alternativa «o di riforme e di costituzione o di la-sciar lui il posto». Un atto di vera tracotanza, al dire del granduca, un gesto che, se compiuto in altri frangenti, avrebbe meritato l’arresto immediato. Data però la difficoltà della situazione, il granduca prefe-rì limitarsi a ordinare al Corsini di non tornare a Livorno7�7. Il giorno successivo, con motuproprio sovrano furono accolte le dimissioni di Corsini dall’incarico di ministro degli affari esteri, conferitogli nel-l’agosto, e di direttore della segreteria di guerra, conservando soltan-to i titoli onorifici di consigliere intimo di stato, finanze e guerra e di generale maggiore delle truppe7�8.

L’avvenimento fu oggetto di differenti interpretazioni. Vale alme-no un cenno l’analisi fornita dallo stesso Neri Corsini nel gennaio del �849 quando, nell’esporre al padre le ragioni della rinuncia al proprio incarico presso il consiglio di stato durante il ministero montanelli e Guerrazzi, addusse la necessità di difendersi dal sospetto, come «fino dal �847 era stato detto da alcuni malevoli e creduto da molti illusi, che io aveva col Guerrazzi segreta colpevole intelligenza»7�9. ancora la supposta connivenza con il Guerrazzi costava la destinazione a un governatore di Livorno: quello che era avvenuto nel �835 per Garzo-ni si ripeteva in parte anche per Corsini.

meritano infine di esser ricordate le parole piene di spirito risor-gimentale che Leopoldo Galeotti dedicò a questo governatore. Ga-leotti replicava al proclama del �4 marzo �860 diretto ai toscani da Ferdinando di Lorena, da Dresda, e nel quale si accusava il Corsini per il ruolo avuto nei fatti dell’aprile del �859. Così invece riferiva Galeotti:

Leopoldo II sull’opportunità di effettuare una decisa sterzata riformista, rimandando a studi specifici. Tra i molti, si veda almeno T.Kroll, La rivolta del patriziato, cit., pp. 66-68.

7�7 Il governo di famiglia in Toscana, cit., p. 30�.7�8 aCF, stanza 5, scaf. H, lettere al marchese Neri di Tommaso Corsini da parenti e altri

mittenti dal �8�4 al �859, nota di Francesco Cempini in data �7 settembre �847 allegata alla copia del motuproprio granducale nel quale Neri Corsini, non più fregiato del titolo di go-vernatore, veniva destituito. Il motuproprio sanciva: «sua altezza Imperiale e reale accorda al marchese don Neri dei principi Corsini la domandata dimissione dalla carica di ministro degli affari esteri e direttore dell’imperiale e reale segreteria di guerra, conservandogli i titoli onorifici di consigliere intimo attuale di stato, finanze e guerra, e general maggiore delle sue regie truppe dei quali oggi è rivestito». al posto di Corsini fu nominato l’allora governatore di pisa, Luigi serristori.

7�9 Ibidem, lettere del principe Tommaso Corsini scritte dal �847 al �855, lettera n.3�, Neri Corsini al padre, in risposta ad altra paterna del 4 gennaio �849.

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Il marchese di Lajatico fu il consigliere più fido, l’uomo di stato più avveduto, l’amico più sincero e devoto che avesse in Toscana la dinastia di Lorena. ma il marchese di Lajatico non pigliava le sue ispirazioni né da Vienna, né dalle combriccole dei cortigiani, né dal desiderio di piacere al principe. ei pigliava lumi dalla rettitudine della sua coscienza, dal sentimento del dovere, dalli inte-ressi della dinastia che non separò mai da quelli della patria italiana. riservato e prudente, come si asteneva da ogni inutile censura, non si faceva innanzi a dare consigli non richiesti, se la suprema salute della dinastia e dello stato non lo forzava ad uscire dalla sua abituale riservatezza. [...]. Nel maggio del �847, governatore di Livorno, ruppe il silenzio per avvisare la corona dei pericoli a cui si esponeva non impadronendosi in tempo della agitazione per appagarla con savie riforme, e con prudenti istituzioni. Il suo consiglio fu spregiato. richiesto sul finire del settembre di far parte del Gabinetto, pose per condizione la Costi-tuzione. Cadde in disgrazia, ma quattro anni più tardi Leopoldo II promulgò lo statuto fondamentale. [...].La storia a suo tempo dirà ben’altre cose, a noi basti notare che Ferdinando di Lorena, [...] odia nel marchese di Lajatico, il consigliere della Lorena che per la prima volta osò di dire ad un principe austriaco che il regno dell’assolutismo era finito730.

Forse non era il regno dell’assolutismo ad esser finito con il gover-no di Corsini, ma di certo il sistema politico ed istituzionale di una città che, pur con enormi cambiamenti, aveva saputo sopravvivere fino a quel momento. Gli anni successivi furono di assai scarsa rile-vanza per la storia del governatorato di Livorno. L’incarico infatti, travolto dalle vicende risorgimentali, rimase, quando non addirittura vacante, occupato da funzionari che rimanevano in carica solo per brevissimi periodi e comunque ridotti a meri esecutori di ordini presi altrove.

2.5.Dal Quarantotto all’Unità d’Italia: l’epilogo

Le iniziative più interessanti intraprese a Livorno nel decennio che precedette l’unificazione della Toscana al regno d’Italia furono preva-lentemente promosse dagli intraprendenti imprenditori locali, i quali,

730 estratto da un breve saggio di Leopoldo Galeotti che fu pubblicato anonimo come Il marchese di Lajatico e Ferdinando di Lorena, Firenze, achille Batelli, �860 e reperibile in una trascrizione manoscritta anche in ibidem. Qui si trova allegata anche copia del proclama di Ferdinando di Lorena del �4 marzo �860 al quale si faceva riferimento.

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dedicatisi alla speculazione bancaria e finanziaria, ed altre moderne attività economiche, necessitavano di infrastrutture rispondenti alle nuove caratteristiche del territorio. Oltre alla partecipazione diretta con propri capitali alla realizzazione del ramo ferroviario Livorno-Firenze, completata nel �84873�, tramite la Camera di commercio promossero lavori di ampliamento del porto per renderlo idoneo alle aumentate dimensioni delle navi a vapore. Il progetto, per altro, col-limava anche con un rinnovato interesse del granduca Leopoldo II, e ancor più dalla cancelleria viennese, di impiegare lo scalo labronico come piazzaforte militare mediterranea, da collegare con una rete ferroviaria al Lombardo Veneto ed utile avamposto per la flotta au-stro-ungarica in funzione antifrancese73�.

Destituito il Corsini, l’incarico di governatore fu assegnato dal granduca al «fido amico mio aiutante generale Giuseppe sproni, livornese e da tanti amato»733, il quale, assai meno gradito ai livornesi di quanto Leopoldo II auspicasse, rimase in tale ruolo circa tre me-si, impegnandosi nel vano tentativo di placare le violenti agitazioni sociali. sortì invece l’unico esito di guadagnarsi l’odio di quanti rico-nobbero in lui un reazionario e il principale nemico di Livorno734. Il �6 novembre del �849, assodata la difficoltà per lo sproni di gestire la situazione, fu istituita una commissione governativa da lui presie-duta e con gli avvocati antonio Venturi e Gelso marzucchi, in qualità di assessori legali735. Come già avvenuto in occasione dei primi moti di piazza dei mesi precedenti, l’autorità governatoriale e granducale classificarono i disordini livornese alla stregua di tumulti popolari promossi e sobillati da pochi «perturbatori prezzolati» i quali, privi di reale seguito, disseminavano odio e caos trascinando gruppi mino-

73� sulla strada ferrata della società Leopolda, vedasi p.L.landi, La Leopolda: la ferrovia Firenze-Livorno e le sue vicende (1825-1860), pisa, pacini, �974 e a.GiUntini, Leopoldo e il treno: le ferrovie nel Granducato di Toscana (1824-1861), Napoli, edizioni scientifiche italia-ne, �99�.

73� G.mori, Linee e momenti dello sviluppo della città, del Porto e dei traffici di Livorno, in «La regione. rivista dell’unione regionale delle provincie toscane», �� (�956), p. ��.

733 Così ne parlava lo stesso granduca nel suo diario, in Il governo di famiglia in Toscana, cit., p. 30�. La nomina di Giuseppe sproni in qualità di governatore interino della città di Livorno e comandante della guardia civica avvenne con motuproprio in data �6 settembre �8�4, asFi, Segreteria di Stato (1814-1848), �473, lettera L, ins.4.

734 F.Bertini, Risorgimento e paese reale, cit., pp. 444-46�.735 motuproprio in data �6 novembre �8�4, asFi, Segreteria di Stato (1814-1848), �473,

lettera L, ins.4.

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ritari di una popolazione ancora concepita come quieta e pacifica736. La sottovalutazione del fenomeno politico e il timore per il radicali-smo sociale che prese sempre più forma a Livorno a partire dalla pri-mavera del Quarantotto, fu all’origine delle scelte inadeguate sia nel-l’individuare le personalità da designare per l’incarico governatoriale, sia nelle soluzioni di governo di natura prevalentemente poliziesca, e dimostrano tutta la fragilità di uno stato che fu costretto a cambiare il proprio rappresentante in loco per varie volte in un anno.

Già il �5 gennaio del �848 si sostituiva sproni con scipione Barga-gli, all’epoca ministro toscano residente presso la santa sede, in qua-lità di governatore civile e militare di Livorno737. Nonostante l’ap-parente normalità che si tentò di conservare nelle forme di esercizio del potere, persino rinnovando la tradizionale distribuzione di pani ai poveri al momento della presa di possesso, tutta l’attenzione del Bargagli fu subito volta a coordinare le attività di controllo capillare e preventivo per soffocare ogni forma di movimento politico avverso al regime vigente, ricorrendo anche a proprie spese ad effettuare in-dagini segrete sull’operato di molti cittadini sospetti. Nel frattempo, il movimento popolare fremeva, mosso da impulsi democratici e re-pubblicani.

all’indomani della concessione dello statuto leopoldino del �5 febbraio �848, mettendo in atto quanto programmaticamente previ-sto738, Leopoldo II promulgò una riforma istituzionale che modificò

736 In questo senso, anche l’originale lettura degli eventi del Quarantotto toscano, con particolare riferimento alla realtà provinciale ed alla particolare «esperienza urbana» di Li-vorno, in e.francia, Provincializzare la rivoluzione. Il Quarantotto «subalterno» in Toscana, in «società e storia», ��6 (�007), pp. �03-3�0, e in particolare pp. 300-305.

737 asFi, Segreteria di Stato (1814-1848), �475, rubrica affari L-Z per l’anno �848, mo-tuproprio di nomina del Bargagli, in data �5 gennaio �848. Il marchese scipione Bargagli (�798-�868), senese, aveva prestato la propria preziosa ed apprezzata collaborazione a Leopoldo II in precedenti occasioni. era stato per molti anni commissario degli ospedali fiorentini e in tale veste nell’estate del �835 aveva diretto personalmente le operazioni tese a ridurre gli effetti dell’epidemia di colera. era stato poi rappresentante granducale presso la santa sede sin dal �846, in seguito seguì il pontefice anche a Gaeta. rimase fino alla morte fedele alla causa lorenese ed al regime granducale, fino al rifiuto del riconoscimento della legittimità del governo provvisorio instauratosi il �7 aprile �859. Vedi anche Il governo di famiglia in Toscana, cit., pp. �88 e 3�3.

738 Ci si riferisce in particolare in quanto era esplicitamente stabilito nelle disposizio-ni transitorie dello statuto, ove il granduca istituiva un Consiglio di stato e si riservava di promulgare le leggi necessarie «alla pronta e sollecita esecuzione», tra l’altro, alla «legge organica dei governi ed amministrazioni compartimentali e delle loro attribuzioni», mentre si sarebbero presentate alla deliberazione delle assemblee legislative opportunamente desi-

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profondamente il sistema di governo del granducato di Toscana e che prese forma con il nuovo ordinamento politico amministrativo del 9 marzo �848739. L’alta direzione della polizia fu affidata al mini-stero dell’Interno e furono aboliti governi, commissariati di polizia, vicariati, potesterie e giusdicenze. per tutte le funzioni giudiziarie civili e criminali minori venne istituito un pretore al posto del vicario mentre un delegato del governo fu reso responsabile per gli affari di polizia. Il granducato fu ripartito in sette compartimenti, o circondari principali, cioè Firenze, Lucca, pisa, siena, arezzo, pistoia e Grosse-to, con a capo un prefetto, assistito da un consigliere di prefettura; e in quattro sottoprefetture, due nel territorio fiorentino (san miniato e rocca san Casciano), uno nel pisano (Volterra), uno nel senese (montepulciano). a Livorno e nell’isola d’elba rimasero invece in vi-gore i governatorati civili e militari. I consigli dipartimentali, elettivi, erano competenti in materia di viabilità e infrastrutture, beneficenza e salute pubblica, mentre ai prefetti era affidata la direzione della po-lizia, la soprintendenza del governo e dell’amministrazione del com-partimento. I sottoprefetti avevano pari facoltà, ma dipendevano dal prefetto corrispondente quanto all’amministrativo. Dal prefetto di-pendeva anche il gonfaloniere, responsabile della sorveglianza sull’or-dine pubblico e sull’andamento economico della propria Comunità.

Quanto poi alle «facoltà e doveri dei governatori di Livorno», si specificava che:

Il governatore di Livorno esercita, restrittivamente alla stessa città ed al territo-rio della sua comunità, le funzioni governative ed amministrative del prefetto, ritenendo le altre state fin qui inerenti alla sua carica di governatore militare, di comandante supremo del litorale e di soprintendente al dipartimento di sani-tà740.

I poteri del governatore di Livorno, che restava il capo politico ed amministrativo, erano equiparati a quelli del prefetto. manteneva

gnate le proposte di legge in merito alle istituzioni municipali e compartimentali, all’istru-zione pubblica, alla responsabilità dei ministri e sui pubblici funzionari. Il testo a stampa è reperibile in G.lafarina, Storia d’Italia dal 1815 al 1850, Torino, società editrice italiana, �85�, vol.VI, pp. ���-���.

739 Il testo a stampa dell’Ordinamento politico amministrativo della Toscana, del 9 marzo �848, è reperibile in G.lafarina, op. cit., pp. �36-�47.

740 Ordinamento politico amministrativo della Toscana, cit., titolo IV, art. XXXIX e Bandi e Ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana pubblicati dal primo gennaio a tutto giugno 1848, cod.LV, stamperia Granducale, �848, n.LXXXVIII.

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competenze di tipo «politico», il comando sui corpi di polizia e sulle truppe ordinarie al fine della tutela dell’ordine pubblico, la notifica di norme e leggi, ed una posizione di vigilanza e controllo su tutti i dipendenti afferenti al proprio compartimento; e di tipo «ammini-strativo» perché partecipava ai lavori del Consiglio di governo, dan-do esecuzione alle deliberazioni relative, e conservava stretti rapporti con i gonfalonieri e le autorità di controllo sugli aspetti economici delle comunità74�. Il governatore di Livorno dipendeva direttamente dal ministero dell’Interno, ma manteneva contatti con tutti i ministe-ri fiorentini dai quali dipendeva per gli affari in materia di patrimoni ecclesiastici, istituti di beneficenza e religiosi. Inoltre, a differenza dei prefetti, conservava le attribuzioni di presidente del dipartimento di sanità, il potere di comando sul comandante superiore militare di Li-vorno e del litorale, e la titolarità delle attribuzioni militari.

L’assegnazione dei territori, avvenuto spesso in modo arbitrario, suscitò pesanti critiche al sistema proposto, che lo resero in buona parte senza effetto nonostante le disposizioni del regolamento di at-tuazione del �0 novembre �849.

La messa in servizio dei nuovi funzionari non poté essere immedia-tamente attuata per i drammatici eventi politici che si succedevano in quei mesi, ciò nonostante a Livorno vi fu la soppressione dei due posti di assessore presso il governatore labronico che furono sosti-tuiti da due consiglieri di governo, gli avvocati angiolo assirelli, già auditore militare per la guarnigione, e Francesco Trecci74�. Inoltre, si sottrasse alla giurisdizione del tribunale tutto l’ex vicariato di rosi-gnano, oltre a Guardistallo, montescudaio, Casale e Bibbona.

Con la successiva legge sull’ordinamento dei ministeri del �6 mar-zo �848, i ministeri furono abilitati a dettare le istruzioni, regolamenti e circolari attuative necessari per garantire la corretta messa in ese-cuzione delle leggi, con capacità anche di riformare atti precedente-mente introdotti da prefetti, sottoprefetti e governatori. Inoltre, in merito ai regolamenti «generali», questi sarebbero dovuti esser sem-pre esaminati e deliberati dal Consiglio dei ministri e in presenza del

74� Ordinamento politico amministrativo della Toscana, cit., titolo IV, art. XLI. Vedasi anche l’analisi fornitane in r.p.coPPini, Dagli ‘anni francesi’ all’Unità, cit., p. 357.

74� asFi, Segreteria di Stato (1814-1848), �475, rubrica affari L-Z per l’anno �848, deli-bera con protocollo straordinario del �6 marzo �848.

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granduca743. Infine, con la legge del �7 maggio �848 si imposero nor-me restrittive sulla libertà di stampa, e le prerogative che un tempo erano state assegnate al governatore livornese si potevano dire ormai in massima parte esautorate ed avocate dal potere centrale.

Il governatore Bargagli conservò per pochissimo tempo il proprio incarico, nonostante la soddisfazione manifestatagli non dalla città, che non ne lamentò affatto la destituzione, bensì dal granduca, per l’abilità con la quale aveva saputo conservare la «pubblica tran-quillità», anche in frangenti così difficili e a fronte delle notizie che proprio in quelle settimane arrivavano sui fatti politici di Francia744. Il �4 marzo fu ratificata la dispensa del Bargagli, restituito al suo in-carico presso pio IX che ne aveva richiesto con forza il ritorno alla corte pontificia, e la sua immediata sostituzione con il marchese e tenente colonnello, poi generale, Lelio Guinigi magrini, con il titolo di governatore civile e militare745. Il Guinigi, di antico e nobile casa-to lucchese, era «uomo onesto, tranquillo e fermo insieme»746, ma non seppe gestire l’incendiaria situazione cittadina anzi, ne rimase completamente sopraffatto. Impossibilitato a svolgere il proprio in-carico già dopo tre mesi, fu preso prigioniero e addirittura incarce-rato, seppur per un sol giorno, durante la sommossa popolare del �3 agosto, quando i rivoltosi riuscirono ad impadronirsi del palazzo del Governo747. Firenze inviò le truppe al comando del corso Leonetto Cipriani, nominato commissario con pieni poteri per riportare l’ordi-ne in città748. La dispensa ufficiale dall’incarico del Guinigi, di fatto esautorato fin dall’agosto, arrivò con un certo ritardo, il �7 settembre

743 La Temi. Giornale di legislazione e di giurisprudenza, Firenze, Tipografia marianai, �849, vol.II, fascicolo �3, pp. 45-46.

744 maggiori dettagli sulle operazioni di controllo e tutela dell’ordine pubblica promossi nel granducato, in e.francia, Polizia e ordine pubblico nella Toscana del Quarantotto, in Il crollo dello Stato: apparati pubblici e opinione pubblica nelle congiunture di crisi del regime, a cura di p.macry, Napoli, Liguori, �003, pp. �4�-�77.

745 asFi, Segreteria di Stato (1814-1848), �475, rubrica affari L-Z per l’anno �848, motu-proprio di nomina del cavaliere Luigi Guinigi, in data �4 marzo �848. alcune note anche in e.riPoli, Il Risorgimento italiano a Livorno nel diario di Carlo Cecconi: aprile 1847-febbraio 1849, pisa, eTs, �998, pp. �0-��.

746 F.Pesendorfer, Il governo di famiglia in Toscana, cit., p. 3�9.747 sulla così detta «seconda rivoluzione» di Livorno, si veda F.Bertini, Risorgimento e

paese reale, cit., pp. 507-5�8.748 si rimanda a N.danelon vasoli, Leonetto Cipriani e gli avvenimenti del 1848, in

«rassegna storica Toscana», XXIX (�983), pp. 55-95 e Storia della civiltà toscana. L’Otto-cento, a cura di L.Lotti, Firenze, Le monnier, �999, p. 55.

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successivo, probabilmente perché si attese che la situazione livornese si placasse, almeno temporaneamente, e potesse quindi essere nomi-nato un nuovo governatore nell’auspicio di facilitare il ristabilimento dell’ordine749. La scelta cadde sul cavalier Ferdinando Tartini sal-vatici, consigliere di stato e soprintendente all’ufficio delle revisioni e sindacati, peraltro assai inviso ai livornesi per il ruolo avuto come commissario straordinario in recenti vicende. Non erano quindi pere-grine le preoccupazioni che l’ingresso del Tartini rappresentasse una scintilla per riaccendere la sommossa popolare. Il gonfaloniere Luigi Fabbri, il priore e lo stesso Guerrazzi accolsero il governatore fuori Livorno mettendolo a parte del rischio, e rendendogli di fatto impos-sibile l’accesso alla città. al Tartini non restò che fare marcia indie-tro, senza nemmeno esser potuto entrare nel palazzo del Governo750. per tutta risposta il governo fiorentino interruppe le comunicazioni ufficiali con Livorno, ove si era creato una sorta di comitato cittadino autonomo. al che una delegazione di livornesi chiese udienza al gran-duca per implorare la nomina del Guerrazzi quale loro governatore. Leopoldo II e il Governo Capponi accolsero la richiesta di rimuovere il Tartini, decretata il 3 ottobre. si optò però per la nomina di Giu-seppe montanelli, accompagnata dalla grazia di una generale amnistia politica, sperando che le doti politiche del ragionevole professore di diritto civile potessero facilitare l’auspicato obiettivo di pacificare la città e riportarla nei confini della legalità meglio di quanto non aves-se potuto fare il Guerrazzi. malgrado i suoi stessi dubbi e qualche aperta resistenza, montanelli fu ben accolto a Livorno, e qui il 7 e l’8 ottobre tenne due memorabili discorsi inneggiando alla creazione di una assemblea costituente nazionale75�. mosso da un profondo senso

749 La dispensa dall’incarico governatoriale del Guinigi e la nomina del Tartini avvenne-ro nello stesso giorno, con decreto granducale.

750 G.Paolini, La Toscana del 1848-49: dimensione regionale e problemi nazionali, Fi-renze, le monnier, �004, pp. ��9-��0. alcune note biografiche sul Tartini (�793-�857), noto georgofilo, membro della deputazione sopra la conservazione del Catasto, della Direzione del Corpo degli ingegneri, e successivamente procuratore generale della Corte dei conti, a p. ��0.

75� sul montanelli politico a Livorno, si rimanda a G.montanelli, Memorie sull’Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, Firenze, sansoni, �963, p. 55�; F.Bertini, Risor-gimento e paese reale, cit., pp. 507-660; Proclama e discorsi di Giuseppe Montanelli al popolo livornese nei giorni 7 e 8 ottobre 1848, Livorno, Tipografia Fumagalli, �848; a.cHiavistelli, Dallo Stato alla nazione, cit., pp. 3�0-3��; G.L.frUci, La moglie di Montanelli. Circuiti co-municativi e ricezione di una parola magica: la Costituente nel biennio 1848-1849, in Parole in

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dello stato e nonostante il rapido venir meno del consenso popolare, montanelli nel poco tempo del suo incarico, interrotto il �7 ottobre, esercitò le proprie funzioni governatoriali nel tentativo di riportare l’ordine, senza abusare del ricorso alla forza, e ripristinare la gestione amministrativa, riscuotendo persino qualche modesto successo in ambito commerciale e diplomatico75�.

La situazione politica toscana, in conseguenza del fallimento di ogni iniziativa montanelliana tesa a placare Livorno753, precipitò, fino a condurre alle dimissioni dell’allora presidente del consiglio Cap-poni, per le pressioni del Guerrazzi, il �� ottobre del �848. al Guer-razzi, divenuto ministro segretario di stato dell’Interno, si dovette la nomina come governatore di Livorno del professore di medicina aretino Carlo pigli754 al posto del montanelli, che era stato chiamato

azione. Strategie comunicative e ricezione del discorso politico in Europa fra Otto e Novecento, a cura di p. Finelli- G.L. Fruci- V. Galimi, Firenze, Le monnier, �009, in corso di stampa.

75� a.coPPi, Annali d’Italia dal 1750, Firenze, Tipografia Galileiana, �860, tomo X (�848), pp. 534-540. Quanto i fatti politici che sconvolsero Livorno nel biennio del �848-49 abbiano distolto l’attenzione di storici e contemporanei, ma anche dello stesso montanelli a giudicare dalle sue memorie, dalla sua attività governatoriale, è stato recentemente illustrato in U.cHiaromonte, Il governatorato di Giuseppe Montanelli a Livorno: 7-27 ottobre 1848, in «Bollettino storico pisano», LXIX (�000), pp. 93-�40, ove si ricostruiscono con grande atten-zione gli aspetti più significativi della gestione pubblica montanelliana di quei venti giorni.

753 «Livorno, stato nello stato, repubblica democratica in principato costituzionale, ano-malia e contrasto degli ordini e leggi comuni, sprone ed esempio a’ bramosi di novità. Quivi la stampa era liberissima, anzi sfrenata; quivi permessi erano i circoli chiusi in altre città; quivi la guardia civica includea ogni condizione di cittadini, ed eleggeva i suoi ufficiali sino al grado di colonnello; quivi le milizie fregiavansi de’ tre colori italiani; quivi il montanelli gittava alle commosse moltitudini il concetto e la parola di costituente italiana, che contra-stava a’ disegni ed alle opere del ministero; ma che pure il ministero avea approvato, come il montanelli affermò più tardi nel consiglio generale, e nessuno de’ ministri smentì: che anzi è noto come il discorso del montanelli a’ livornesi fosse stato pria letto dai ministri Capponi, Giorgini e samminiatelli, e da loro in qualche parte emendato, nel complesso accettato e commendato», in G.lafarina, op. cit., p. 6�9-6�0.

754 Carlo pigli, aretino di Cortona, liberale e carbonaro, fu titolare dell’insegnamento di fisiologia e patologia dal �83� e poi di storia della medicina presso l’Università di pisa, con qualche interruzione, fino al �846. pigli fu senz’altro «più colto letterato ed ardente patriota che profondo scienziato», come si riferisce in D.Barsanti, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860. Il quadro politico e istituzionale, gli ordinamenti didattici, i rapporti con l’Ordine di San-to Stefano, pisa, eTs, �993, p. �7, ma sulla sua carriera accademica si vedano anche le pp. ��, �7, ��0, ��5-��8, �40, �74, �8�-�83, �09, ��4, ��6. Fu governatore di Livorno dal 6 no-vembre �848 al marzo del �849, quando rassegnò le proprie dimissioni. morì nel marzo del �860. sul pigli, U.viviani, Un aretino Professore di Storia della Medicina: Carlo Pigli (Nota Bio-Bibliografica), in “Cesalpino”, n. �, �9�8, e in “rivista di storia Critica delle scienze, me-diche e Naturali”, n. �, �9�8; a.mancini, Un patriota aretino: C.Pigli, aresso, Zelli, �95�, da «atti e memorie dell’accademia petrarca di Lettere, arti e scienze», XXVII, �949-5�. Una succinta ma efficace autobiografia è reperibile in C.PiGli, Risposta di Carlo Pigli all’apologia di F.D.Guerrazzi, arezzo, Filippo Borghini editore, �85�, pp. 58-.9�.

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al governo a Firenze. L’incarico del pigli, formalizzato il 6 novembre �848 con decreto granducale755, venne accolto nella generale esultan-za dai livornesi. Come i suoi predecessori, anche il governatorato di pigli ebbe vita breve, poco più di quattro febbrili e tormentatissimi mesi, fino alle dimissioni del �4 marzo �849. Questo governatore conseguì ad ogni modo la riduzione del numero dei delitti commessi a fronte di una grave recrudescenza della criminalità locale, e la rego-lare prosecuzione delle attività mercantili e commerciali756.

Fuggito Leopoldo II a Gaeta, proclamata la repubblica e nomi-nato il governo provvisorio del triunvirato di montanelli, mazzoni e Guerrazzi, il pigli seppe mantenere il controllo sulla città. Venne però messa rapidamente in dubbio la sua fedeltà, soprattutto dal Guerrazzi, finché fu obbligato a presentare le proprie dimissioni, con l’ordine, vista la popolarità e la devozione che la cittadinanza gli ave-va dimostrato, di comunicare personalmente ai livornesi in modo da evitare ogni possibile reazione violenta757.

In uno scritto redatto durante l’esilio in Francia, il pigli – nell’in-tento di offrire una giustificazione alle accuse mossegli dal Guerrazzi in merito alla condotta da lui tenuta a Livorno – si soffermò proprio sul rapporto instauratosi tra l’autorità governatoriale e il Governo provvisorio toscano, rivendicando il fatto di aver sempre seguito in tutto e per tutto quanto disposto da Firenze. al di là dei toni pa-triottici e delle finalità politiche e personali dei due autori, e l’accusa mossa al pigli di voler formare a Livorno il «centro di un governo repubblicano, nell’intento di rovesciare il Governo provvisorio»758, colpisce il fatto che Guerrazzi volesse attribuire al governatore di

755 Il decreto di nomina sanciva laconicamente: «Noi Leopoldo secondo per la grazia di Dio Gran Duca di Toscana, sulle proposizioni del nostro ministro segretario di stato al dipartimento dell’Interno, abbiamo decretato, e decretiamo quanto appresso: art.�° – Il pro-fessore D.Carlo pigli è nominato a governatore civile e militare della città e porto di Livorno con gli oneri, prerogative, onorificenze e appuntamenti annessi al posto a forma delle leggi e regolamenti veglianti; art.�° – Il nostro ministro segretario di stato al dipartimento dell’In-terno è incaricato dell’esecuzione del presente decreto». In C.PiGli, Risposta di Carlo Pigli all’apologia di F.D.Guerrazzi, cit., p. 84.

756 asFi, Ministero dell’Interno, ��45, cc.n.n, rapporto del delegato di Governo di san marco del 5 dicembre �848 ed appunto aggiunto dal pigli.

757 La versione ufficiale fu quella che il pigli, già malato da anni, abbandonava il proprio incarico per ragioni di salute. C.PiGli, Risposta di Carlo Pigli all’apologia di F.D.Guerrazzi, cit., p. �93.

758 F.D.GUerrazzi, Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi scritta da lui medesimo, Firenze, Le monnier, �85�, p. 36�

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Livorno il potere di intervenire militarmente di «proprio arbitrio», anche contro il volere del granduca e dello stesso Governo provviso-rio, «abusando della facoltà di usare pubblici denari», «usurpando le funzioni» degli alti gradi responsabili delle forze armate, impartendo ordini di propria autorità e «senza superiore concerto»759. Da parte sua, il pigli, negò di aver abusato del suo potere, ricordando invece l’unica istruzione ricevuta dal Guerrazzi, ovvero quel: «resisti alle chiamate del popolo, e non parlare in pubblico». Una indicazione ri-badita anche dal granduca, e che lasciava certo poco spazio all’auto-nomia del neo-eletto ministro il quale, da parte sua, accettò l’incarico ammettendo fin da subito che sarebbe stato inevitabile disobbedire a quella indicazione760. e così fu, perché in realtà il principale stru-mento utilizzato dal pigli per governare fu quello di cercare il pub-blico consenso, «confortando il popolo a unire la sua voce potente alla mia»76�. Utilizzò infatti lo strumento della propaganda politica e del patriottismo per mantenere il controllo sulla città e sopperire all’inefficacia di altre forme di esercizio del potere76�. È evidente, fin da questi pochi cenni, fino a che punto fossero ormai scardinate le istituzioni pubbliche, cosa che lasciava il passo alla mobilitazione ed alla gestione straordinaria della piazza attraverso strumenti politici non convenzionali.

I fatti precipitarono rapidamente, e il Governo provvisorio non ritenne opportuno nominare un successore al pigli. Nel marzo del �849, Livorno venne assoggettato ad una commissione di governo nominata dal Guerrazzi e composta da un suo amico fraterno, l’avvo-cato elbano Giorgio manganaro, dall’avvocato lucchese Carlo massei e dal dottore pisano Tommaso paolo; commissione poi sostituita nel mese d’aprile dal solo manganaro, in qualità di governatore interino durante la breve dittatura guerrazziana. La situazione era ormai fuori controllo. Dal �9 aprile al 6 maggio del �849 una commissione gover-nativa provvisoria autoproclamatasi, e diretta da Gaetano salvi, tentò

759 C.PiGli, Risposta di Carlo Pigli, cit., pp. 34-35.760 Ibidem, pp. 80 e 87.76� Concorda, su questo, anche F.Bertini, Risorgimento e paese reale, cit., pp. 548-553,

alle cui pagine si rimanda per un’analisi degli importanti avvenimenti politici del periodo.76� scriveva ancora esemplarmente il pigli: «Io accarezzava certamente il popolo perché

lo amava, e perché il governo allora aveva bisogno di mostrare di amarlo», C.PiGli, Risposta di Carlo Pigli, cit.,p. ���.

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di porre limiti al caos763, mentre Livorno resisteva contro le truppe austriache, fino alla caduta della città l’undici maggio del �849. La repressione fu violenta e l’occupazione austriaca impose il proprio dominio, che fu estremamente capillare su tutte le attività di governo della città.

Con la restaurazione granducale, il �8 maggio del �849, il decreto del �4 maggio successivo nominò Leonida Landucci ministro segre-tario di stato per il dipartimento dell’Interno, con il compito di ag-giornare il granduca sulla situazione livornese. In città la tranquillità sembrava di nuovo ristabilita, seppur i problemi restassero gravissi-mi, non solo per l’elevato numero di emigrati livornesi in Corsica764, ma anche per la difficoltà nel designare funzionari affidabili. Non si riusciva nemmeno a trovare un titolare per il Governo di Livorno, visti i numerosi rifiuti avanzati a fronte della prospettiva di assumer-si tale gravoso incarico. Lasciamo descrivere la situazione al mini-stro Landucci:

a Livorno la quiete è perfetta. Là però il male era profondo, estesissimo. Circa a un migliaio ascendono le persone emigrate, moltissime tra le quali e le più compromesse si sono rifugiate in Corsica, e secondo i rapporti della polizia si elevano ad altrettante quelle da arrestarsi non comprese quelle già sottoposte a questa misura in numero di circa ��0. [...]. Le cose accennate mostrano come bene abbiano corrisposto alla loro missione alcuni degli attuali ministri, come molto abbiano altri lasciato a desiderare. Ciò mi ha fatto comprendere la conve-nienza di migliori e più sicure informazioni prima di dar corso ai concerti presi con Vostra altezza Imperiale e reale intorno al personale di diverse prefetture. Questo bisogno mi si fa specialmente sentire rispetto all’assirelli che inviato provvisoriamente al Governo di Livorno non ebbe animo di rimanervi più di

763 asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �8, ins.�� – «rapporto del dottor Gaetano salvi, concernente la di lui condotta nel disimpegno delle proprie ingerenze come deputato del governo di Livorno dal �9 aprile a tutto il 6 maggio �849». Lungo e dettagliato fascicolo nel quale si ripercorrono i fatti dal giorno della fuga del gonfaloniere del �9 aprile del �849 e dimissione del municipio e della commissione, la città cadeva in stato di anarchia. si allegano tutte le notificazioni pubblicate dalla fine di aprile al 6 maggio da questa «Commissione go-vernativa» composta, si scrive, da Giovanni Guarducci, emilio Demi, Gaetano salvi, anton Giovanni Bruno e eugenio Viti.

764 per una completa ed esauriente trattazione di queste vicende, si rimanda a F.Bertini, Risorgimento e paese reale, cit., pp. 507-678 e Id., Risorgimento e questione sociale. Lotta nazionale e formazione della politica a Livorno e in Toscana (1849-1861), Firenze, Le mon-nier, �007, pp. �6-�8. In merito agli esuli toscani, e livornesi, in Corsica, si rimanda invece a m.cini, L’emigrazione politica toscana in Corsica dopo il 1849, in I laboratori toscani della de-mocrazia e del Risorgimento. La «repubblica di Livorno», l’altro Granducato, il sogno italiano di rinnovamento, a cura di L.Dinelli-L.Bernardini, pisa, eTs, �004, pp. 345-36�.

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tre giorni, onde fu forza surrogargli il consigliere ronchivecchi, che fin qui ha pienamente corrisposto al difficile incarico affidatogli765.

Durante l’occupazione austriaca, fu nominato in qualità di «dele-gato straordinario» per il governo granducale della città e comparti-mento di Livorno, ma con funzioni di governatore civile, il commen-datore ed avvocato primo ronchivecchi766. Fu un personaggio poco amato dai livornesi, esperto di sistemi penitenziari, noto per la sua consulenza per la riforma della polizia granducale dei primi anni Cin-quanta del secolo. Le drammatiche vicende del Quarantotto avevano spento ormai ogni velleità riformistica di natura istituzionale a livello centrale, e con quella anche ogni capacità da parte dei funzionari locali di condurre politiche che fossero di più ampio respiro rispetto alla semplice ordinaria amministrazione. ronchivecchi, a dieci gior-ni dall’assunzione del suo incarico, riferiva di una situazione tutto sommato pacificata grazie al massiccio intervento di polizia, di una rigida censura sulla stampa e «dell’applicazione delle prime misure tendenti a togliere di mezzo gli individui più pericolosi, non esclusi

765 asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �8, ins.4, dispaccio di Leonida Landucci, ministro dell’interno, al granduca, da Firenze a Gaeta, del �8 maggio �849. L’assirelli al quale si fa riferimento è quell’angelo assirelli, avvocato, già nominato consigliere di gover-no il �6 marzo �848, insieme all’avvocato Francesco Frecci, al posto dei soppressi assessori presso il governatore, in asFi, Segreteria di Stato (1814-1848), �475. prima dell’assirelli, aveva rifiutato l’incarico, tra gli altri, anche il generale Ferrari, come riferisce F.Bertini, Ri-sorgimento e paese reale, cit., p. 645.

766 primo ronchivecchi aveva alle sue spalle una carriera di un certo spessore. Laureato in legge, era stato commissario di Grosseto dal �837 al �838, poi era passato a Firenze come consigliere aggregato alla Corte regia. Durante la sua presenza a Livorno, collaborò anche alla riforma della polizia toscana che prese forma in quegli anni, prima col regolamento generale di polizia del �� ottobre del �849, col motuproprio granducale del 6 novembre del �85� e infine con il nuovo regolamento di polizia del �0 giugno del �853. Nel �855 tornò a Firenze come consigliere onorario della Corte regia. Dimessosi nel �859 con l’avvento del governo provvisorio, terminò i suoi ultimi anni di vita conducendo una vita molto ritirata, probabilmente a Ginevra. Il suo nome resta legato a tutta una serie di studi, condotti a par-tire dalla metà degli anni Trenta, dedicati al sistema penale e penitenziario. Tra le sue opere più famose, p.roncHiveccHi, Sulla prigione dello Spielberg e sullo stato attuale d’altre prigio-ni: alcuni cenni sull’origine, e progresso del miglioramento nella disciplina degli stabilimenti, Firenze, Fabris, �844. L’edizione critica delle lettere scritte da ronchivecchi al celebre giurista tedesco mittermeier, datate tra il �840 e il �845 e dedicate proprio a questi temi, contenenti anche alcune poche osservazioni sui bagni di Livorno e portoferraio, si trova in a.caPelli, Il carcere degli intellettuali. Lettere di italiani a Karl Mittermaier (1835-1867), milano, Francoangeli, �993, pp. 360-367, ed una breve rassegna in L.HendriKriemer, Das Netzwerk der «Gefängnisfreunde» (1830-1872). Karl Josef Anton Mittermaiers Briefwechsel mit europäischen Strafvollzugsexperten, Frankfurt am main, max-planck-Institut für eu-ropäische rechtsgeschichte – Vittorio Klostermann, �005, pp. �339-�343.

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diversi impiegati nell’ordine amministrativo». si attendeva inoltre che il comandante austriaco, il maggiore Latterer de Lintenburg, rad-doppiasse la guarnigione stanziata in città da duemila a quattromila uomini767. Il governatore lasciava intendere che vi era una regolare ripresa delle attività di commercio, auspicata anche dai rappresentan-ti dell’economia locali, riunitisi nella Camera di commercio768. Tale analisi, purtroppo, coincideva solo in parte con la realtà. L’operazio-ne tesa alla cattura e detenzione dei soggetti giudicati più pericolosi non poté invece «essere compita così sollecitamente come sarebbe desiderabile», non solo per il gran numero degli individui coinvolti e sospetti, ma anche perché il ministero non si era ancora «trovato in grado di determinare i mezzi di coercizione». Il ministero dell’Inter-no stabilì allora le priorità alle quali il delegato avrebbe dovuto atte-nersi per garantire l’efficacia della sua attività: anzitutto dar preferen-za alla detenzione dei «principali agitatori, e tra questi coloro che si distinsero nei più recenti disordini»; poi provvedere ad applicare con il maggior rigore possibile l’osservanza dei regolamenti di polizia. La loro esecuzione, scriveva Landucci, «allontanando il popolo dal vizio, diviene mezzo efficace di educazione sociale, e generando l’abitudi-ne di rispettare la legge anche nei sui minimi oggetti, costituisce il meno avvertibile, ma il più sicuro ostacolo contro il delitto»769. Non corrispondevano al vero le notizie di una significativa ripresa del commercio. La comunità mercantile, che da sempre era stata il prin-cipale punto di riferimento delle attività del governatore, era rimasta di fatto annichilita dalle sommosse popolari, dalle tensioni sociali, dai pesantissimi prelievi fiscali richiesti per sovvenzionare la guerra e poi l’occupazione militare austriaca, e non ritornò più ai livelli raggiunti prima del Quarantotto770.

La frattura fra i governatori e la città di Livorno si era ormai con-sumata. ronchivecchi ci offre un quadro della situazione cittadina

767 asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �8, ins.4, dispaccio di ronchivecchi al se-gretario matteo Bitthauser, da Livorno, il �8 maggio �849.

768 F.Bertini, Risorgimento e paese reale, cit., pp. 650-65�.769 asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �8, ins.4, dispaccio di Leonida Landucci,

ministro dell’interno, al granduca, da Firenze a Gaeta, del 4 giugno �849. Landucci inviava al granduca anche le bozze per una legge di polizia che incrementava i poteri coercitivi delle autorità governative, e di una nuova legge sulla stampa, in ivi, in data �0 giugno.

770 L.dalPane, La finanza toscana, cit., p. 364 e m. BarUcHello, Livorno e il suo porto, cit., p. 599-60�. si veda anche D.G.loromer, Merchants and Reform in Livorno 1814-1868, Berkeley-Los angeles-Oxford, University of California press, �987.

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nell’agosto del �849, ad un mese dal ritorno in Toscana di Leopoldo II, nella quale la eccezionalità che aveva reso Livorno unica e al cen-tro di sempre speciali attenzioni, quel ceto mercantile che aveva co-stituito la ricchezza più grande per la città e per tutto il granducato, quella popolazione che si era incoraggiata a moltiplicarsi in tutti i mo-di, quel crogiuolo di genti, culture e religioni che avevano per secoli costituito l’identità più genuina e verace del nucleo urbano, si erano convertiti nelle radici profonde del male che l’avevano condannata:

Dovendo adesso emettere il mio giudizio, ad evitare qualunque taccia di pre-venzione premetto per debito di giustizia che Livorno fu essenzialmente eguale ad ogni altra città, che essa vide egualmente che le altre nascere e propagarsi il male, che essa pure ha buoni ed onorati cittadini, ma inerti, come altrove apa-tisti. Che se in Livorno più che altrove fu il male gigante, avvenne pel concorso di elementi sociali che in sé racchiude differenti da ogni altra in maniera tale da costituirla eccezzionalissima, ed unica in Toscana. e siffatti elementi sono i seguenti:�° – Difetto di aristocrazia, e ceto medio propriamente detti, perché formate qui esclusivamente dai negozianti più o meno facoltosi. Quindi niuna remora riverenziale a contenere il trasmodare del volgo che riesciva perciò più sbrigliato e più pronto. Quindi niun ceto che trovasse nel sentimento della propria dignità il coraggio neppure di protestare contro le enormezze che si commettevano.�° – La massa enormemente superiore ad ogni cognita proporzione dei pro-letari, conseguenza dei larghi e facili lucri del porto, onde la spensieratezza, l’abituale dissipazione, il vivere alla ventura e quasi di rapina, per strapparsi l’un l’altro la prima arrivata occasione di guadagno, l’odio a lavoro ordinato, e lungo per mercede discreta, la desuetudine da ogni mite ed educatrice affezione familiare, ad ogni idea di ordine, di economia. Della esistenza di tale elemento e dell’esposte caratteristiche ne abbiamo indubitata testimonianza dalle statische [sic], dal numero delle bettole, ed altri bagordi, dalle famiglie in preda d’ogni bisogno mentre largamente il capo guadagna dal monte pio ingurgitante di pe-gni dai brutali trattamenti familiari nelle domestiche pareti, dalle mura della nuova cinta opera di non livornesi, dai recenti lavori per l’ingrandimento della nuova darsena, che sebbene offerti dal Governo delle loro simpatie, costarono dieci volte tanto di tempo e di danaro che non altrimenti.3° – La mischianza di genti d’ogni terra e d’ogni clima spesso rifiuto d’ogni socie-tà, che attirati dai vantaggi di un commerciale emporio, adulterarono il carattere razionale, gl’impressero nuova brutal ferocia, e spensero ogni carità di patria. Quindi qui solo, nella mite Toscana, nati e ripetuti gl’immani ferimenti ad la-sciviam, qui solo una particolare rozzezza di tratto, una proclività al sangue che sarebbero incredibili, ove non ne attestassero purtroppo gli archivii criminali e di polizia, che pure attestano quivi, come certamente non in altro luogo, brutali le libidini, la bestemmia, lo stravizio, impudente la immoralità.

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4° – Un [sic] ignoranza piuttosto singolare che rara cui dette storica celebrità lo stesso Guerrazzi, che reclama remedio, ed accusa la non curanza passata ma che è pur fomentata dal facile guadagno offerto alle braccia, ed ha pur troppo prodotto difetto di senso morale e politico, onde, qui più che altrove, seguiva il movimento senza intelligenza di causa, accreditavasi l’idea di repubblica come regime in cui tutto sia lecito, nulla punibile. Qui predicando libertà e fratellan-za, volevansi privilegi sotto nome di carovane, e si giunse ai reclami, più tardi alle violenze contro i non livornesi che avesser trovato impiego e lavoro, final-mente contro i livornesi che cercassero lavoro e pane senza essere addetti ad una carovana. Qui si violenta il tribunale. Qui si usa la forza contro i delegati perfino a far cessare procedure per furti. Qui viaggiatori, capitani di mare tutti insomma si lagnano invano di patite violenze.[...].5° – La profusione di mezzi di corruttela che, con arte infernale, e profonda co-gnizione dei tristi elementi, qui fu più che altrove impiegata predicando libertà e parità di diritti, mentre con le carovane si resuscitavano privilegi, rovina morale ed economica, con le transazioni fin nei delitti più atroci si spengeva la confi-denza ed il benessere e con il favore alla più perduta gente e coll’assentirgli di conculcare impunemente li onesti si screditava perfino la idea di morale, poiché scopo unico era acquistar fautori a proprio non a sociale vantaggio.Con questi elementi non Livorno, ma qualunque altra città dovea ricevere le più vaste e profonde arme del contagio devastatore, onde i sociali ordinamenti tutti furono minati e sconvolti. Nell’indole eccezionale e nella somma malignità con cui seppe abusarsene è la causa di ciò. per questo, «la gemma più preziosa dell’etrusca corona» divenne il più formidabile centro della toscana anarchia, la spina più acuta al cuore del principe, ed è oggi il più grave ostacolo, la più grave cura del riordinamento sociale e la più pericolosa delle città77�.

Non si sarebbe potuti essere più lontani dall’immagine di una co-munità per la quale apparisse utile riconoscere spazi d’indipendenza od incoraggiare l’autonomia locale, né tanto meno avrebbe avuto alcun senso vedere nel governatore un mediatore tra interessi diversi, ma meritevoli di tutela. Lo scarto esistente tra questa Livorno, scos-sa dalla violenza delle folle tumultuanti dei moti quarantotteschi, e quella descritta in analoghi documenti di fine settecento dà, meglio di qualsiasi altro aspetto, la misura della incapacità della classe diri-gente toscana. Col suo mite moderatismo, non aveva saputo intuire l’esistenza prima, e comprenderne la portata poi, delle situazioni di

77� asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �9, ins.�, primo rapporto «sullo spirito pubblico» di Livorno del delegato ronchivecchi, in data � agosto �849, cc.�0�-��� e in par-ticolare cc.�04v-�07v.

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tensione e conflitto sociale che erano venute a consolidarsi nel primo trentennio del secolo77�.

Ogni forma di intervento politico appariva al ronchivecchi fuori luogo per una efficace azione di governo e si pronunciò a favore della semplice e pura repressione:

e quanto alla forza dirò che il momento più che di governare è di contenere, di ricomporre, di resuscitare, che anche di ferro, fuoco e veleno non si vive e si prospera, ma si risana: che a governare è primo elemento una forza morale bene assodata e che ora o non esiste o fiacca sì che a nulla vale e si attenta. però io credo necessaria una Forza fisica permanente e tale da sgomentare fino dall’imprendere sconvolgimenti, massime quando si legge perfino nel Giornale ufficiale che i toscani son tra coloro che all’arruolamento francese han preferito di tornare in patria a qualunque rischio per prepararsi e attendere la riscossa. [...]. Tutto ciò che può riuscire dannoso alla società, deve reprimersi colla forza, come appunto per utile proprio ed altrui si reclude il demente773.

Furono anni terribili per la città, segnata da numerose esecuzioni e dagli abusi dello strapotere austriaco. si introdussero nuove e più restrittive prescrizioni in materia di polizia amministrativa e giudi-ziaria, limitando le competenze del governatore, il quale, nonostante tutto, restava lo strumento più adatto con il quale Firenze interveniva sul territorio. Con il «regolamento generale di polizia» del �� ottobre �849 e il «regolamento di polizia punitiva» del �0 giugno del �853, promulgato quest’ultimo in concomitanza con il nuovo codice penale toscano, si attribuirono al governatore di Livorno, coadiuvato da un segretario, dirette responsabilità sull’osservanza delle leggi e nell’am-bito del mantenimento dell’ordine pubblico, conferendogli poteri di vigilanza, il comando diretto sulla forza pubblica e di polizia (ordi-naria e municipale, anche sussidiaria), precisi oneri di controllo e de-nuncia in caso di attività sospette o delittuose, e la supervisione sulle strutture detentive e sulla sanità pubblica ancora in termini più auto-ritari774. Tali poteri furono estesi anche al territorio dell’isola d’elba,

77� e.francia, Provincializzare la rivoluzione, cit., p. 300.773 asFi, Segreteria di Gabinetto, appendice, �9, ins.�, primo rapporto «sullo spirito

pubblico» di Livorno del delegato regio straordinario ronchivecchi, in data � agosto �849, cc.�0�-��� e in particolare cc.�09r.v. sottolineato nel testo.

774 Il ronchivecchi basò buona parte del proprio potere sulle forze armate, emerge anche dalla supplica inoltrata il �9 dicembre del �85� con la quale si richiedeva che la regia gendarmeria di stanza a Livorno fosse mantenuta costantemente al completo, alla luce delle «imperiose esigenze del pubblico servizio», poiché «troppi e troppo gravi potendo essere i

3��

ove la legge del 6 novembre �85� aveva declassato il locale governa-tore al rango di sottoprefetto e abolito il consiglio di governo775.

assai poche le note positive da ricordare, anche l’inaugurazione dell’opera di miglioramento ed ingrandimento del porto labronico, completato nell’agosto del �853, non portò benefici immediati.

Tra il primo e il � gennaio �855, le truppe austriache lasciarono fi-nalmente la città e vennero sostituite da una guarnigione toscana for-mata da duemila uomini. poté allora essere ripristinata una qualche normalità istituzionale, fu ristabilito l’ufficio di governatore, limitato però alle sole competenze civili come da decreto del �7 dicembre �854. a tale incarico fu designato il cavaliere Luigi Bargagli, nobile senese ed abile uomo diplomatico, allora ministro residente a Napo-li. Gli affari di natura militare furono affidati invece al comandante della piazza, denominato a tal scopo «comandante supremo militare di Livorno e del litorale continentale». Gli anni che seguirono furono complicati, segnati da nuovi rigurgiti risorgimentali, come l’ultimo moto mazziniano del 30 giugno �857. L’attività governatoriale fu ridotta ad occuparsi di questioni di minima entità e di normale am-ministrazione, alla redazione di rapporti sulle comunicazioni ricevute dai consoli toscani residenti all’estero e dai consoli stranieri in visita a Livorno, dal capitano del porto e dalle due delegazioni di città (pres-so porta san marco e presso il porto), e più raramente alla compila-zione di informazioni riservate per il ministero dell’Interno776.

Tutto ormai si muoveva al di sopra del governatore, che non ave-va più quello spazio di analisi e di parola negli eventi della epopea

danni di un qualunque difetto personale». Il tenente colonnello, comandante del reggimento della gendarmeria, rispose da Firenze il giorno successivo di non poter soddisfare tale richie-sta, ma di impegnarsi a reintegrare con nuovi rinforzi appena fosse stato possibile, in asLi, Governo, affari civili, 384, ins.�788.

775 per esattezza: la giurisdizione sull’isola d’elba fu assegnata al governatore di Livorno; al governatore di portoferraio restarono soltanto le competenze in materia militare e sanita-ria, mentre, per il resto, fu equiparato agli altri sottoprefetti granducali, B.casini, L’ammini-strazione locale del granducato di Toscana dalla Restaurazione all’annessione (1814-1860), cit., pp. �78-�8�.

776 solo a titolo d’esempio, si conserva una «riservata», nella quale Bargagli riferiva di aver separato dai rapporti dei due delegati del Governo e che si inviavano a Firenze con cadenza giornaliera, le notizie relative ad atti vandalici condotti contro la statua del granduca in piazza del Voltone (l’odierna piazza della repubblica), per farne poi una più approfondita comunicazione dopo la conclusione delle «più attive investigazioni» che si stavano condu-cendo. asFi, Ministero dell’Interno, �539, cc.n.n., rapporti del governatore civile di Livorno, Luigi Bargagli, del �856.

3��

nazionale in corso, nei quali un ruolo decisivo ebbe invece quel Neri Corsini che era stato governatore a Livorno e che adesso suggeriva a Leopoldo II di abdicare in favore del figlio Ferdinando. Il granduca non seguì questo consiglio, ma preferì abbandonare la Toscana. In sua assenza nacque un governo provvisorio composto da Ubaldino peruzzi, Vincenzo malenchini ed alessandro Danzini. a questi, l’�� maggio, successe Carlo Boncompagni, in qualità di commissario straordinario del re Vittorio emanuele di savoia. Il �7 maggio �859 si decretò la messa in stato di riposo del Bargagli, il quale lasciò in città forse non molti rimpianti, ma senz’altro un buon ricordo777. spettò allora al cavaliere e maggiore Teodoro annibaldi Biscossi, non a caso un ufficiale piemontese, divenire governatore civile e militare della città di Livorno, oltre che comandante superiore di tutto il litorale toscano. Il governo fiorentino sottolineava con l’unificazione dei diversi compiti la necessità di garantire anzitutto la sicurezza del ter-ritorio durante quegli anni di guerra. annibaldi Biscossi fu un ottimo collaboratore del ricasoli, con il quale manteneva una fitta corrispon-denza sui fatti livornesi, e detenne il proprio incarico nelle ultime de-licate tappe della definitiva annessione. Questo governatore dimostrò grande equilibrio e fermezza in più occasioni, com’è evidente anche dall’accorato testo del proclama che diresse ai livornesi pochi giorni prima dell’abdicazione di Leopoldo II in favore di Ferdinando IV, e nel proclama del municipio cittadino, che chiamava a raccolta le adesioni per l’unione al regno sabaudo. Non privo di toni retorici, il proclama governativo raccomandava la calma, facendo appello a un ritrovato rapporto fiduciario tra il governatore e i suoi amministrati, senza toni vessatori ma riconoscendo anzi proprio nello spirito civico l’appello più efficace alla pace:

Livornesi! Il proclama del governo dice assai chiaro quanto impegno egli ado-peri perché sia dignitosamente provveduto alle sorti della Toscana. […].Livornesi! resta ancora molto da sperare, giacché il re Vittorio emanuele e l’imperatore Napoleone III promisero in faccia all’europa la indipendenza di tutta l’Italia. Quindi il paese ha il più alto dovere di serbare il suo senno e le sue

777 Storia della Guerra d’Italia del 1859, Livorno, s.n. [Tipografia a.Zecchini], �859, pri-ma traduzione dal francese, pp. 448-449. si legga anche la Notificazione del �9 maggio �859 con la quale il governatore Bargagli prese commiato dalla città e riportata anche in a.zoBi, Cronaca degli avvenimenti d’Italia nel 1859 corredata di documenti per servire alla storia, Fi-renze, Grazzini e Giannini e C., �859, I, pp. 36�-363.

3�3

forze pel nostro assetto definitivo. Ogni atto, non che disordinato, impaziente, sarebbe atto di pessimo cittadino nemico della patria, ed il governo, quanto più sono gravi i momenti, tanto più avrebbe il debito di allontanare il pericolo di qualsiasi perturbazione.Livornesi! Io conto sopra di voi. Voi darete il più splendido esempio di un di-gnitoso contegno qual si addice a popolo di alti sensi e civile778.

Con l’abdicazione del �� luglio e la trasmissione dei poteri da Boncompagni a Bettino ricasoli, i deputati toscani proclamarono la decadenza della dinastia lorenese e l’unione al regno d’Italia. rica-soli, giurata fedeltà al nuovo sovrano, si recò a Livorno il �9 gennaio del �860 e in tale occasione annunciò la convocazione del plebiscito popolare per i giorni �� e �� marzo per decidere l’unificazione o l’eventuale creazione di un regno separato. anche in questo frangen-te, annibaldi Biscossi non venne meno al suo dovere di informatore, riferendo al ricasoli ogni notizia ed indiscrezione relativa all’esito di quella votazione779.

Livorno, come il resto della Toscana, confermò con la stragrande maggioranza dei voti quell’unificazione che era stata in buona parte già avviata780. Il savoia accolse il risultato del plebiscito e il �6 aprile giunse in città, dove gli fu riservata un’accoglienza trionfale. Il �8 aprile �860 cessarono le attribuzioni militari del governatorato labro-nico e tutte le attività amministrative e giurisdizionali più importanti passarono nelle mani del neoistituito governo generale delle province di Toscana78�.

Infine, il �4 febbraio �86�, l’autonomia toscana veniva abolita ponendo così fine per sempre all’era dei governatori, che lasciarono definitivamente il passo ai prefetti di Livorno.

778 proclama alla cittadinanza livornese da parte del governatore annibaldi Biscossi del �4 luglio �859, ripreso da Archivio di note diplomatiche, proclami, manifesti, circolari, noti-ficazioni, discorsi ed altri documenti autentici riferibili all’attuale guerra contro l’Austria per l’indipendenza italiana, milano, Francesco Colombo libraio-editore, �859, pp. 4��-4��.

779 si veda, ad esempio, la lettera di Teodoro annibaldi Biscossi a Bettino ricasoli dell’�� marzo �860 e pubblicata in G.sPadolini, Firenze capitale: con documenti inediti e un’appendice di saggi su Firenze nell’Unità, Firenze, Le monnier, �967, pp. 307 e 3�0.

780 asLi, Governo, registro degli affari governativi di Livorno, ��65, n.673, plebiscito per le sorti definitive della Toscana ed avvenuta annessione al regno sabaudo.

78� Ibidem, n.834, lettera del governatore generale del �8 aprile �860.

APPENDICI

APPENDICE I

I governatorI dI LIvorno: uno sguardo d’InsIeme

L’elenco dei governatori di Livorno indicato di seguito, con i ri-ferimenti alla qualità ed alle date estreme della carica (precisando mese ed anno), ha carattere orientativo, soprattutto per l’età medicea durante la quale è emersa una certa contraddittorietà delle fonti. Nei casi dubbi, ho preferito prestare fede alle attestazioni più antiche. Ogni qualvolta è stato possibile, ho precisato tra parentesi anche l’ef-fettivo insediamento del governatore in città, spesso non coincidente con la data del motuproprio di investitura. Succinte notizie biografi-che dei personaggi che rivestirono l’importante ufficio sono reperibili nel testo, in corrispondenza con l’avvio di ciascun governatorato. Ho creduto invece interessante segnalare con il simbolo † il numero co-spicuo di governatori che posero fine al proprio incarico non per una decisione sovrana, ma perché morirono in servizio.

In corsivo sono indicati coloro i quali svolsero le funzioni gover-natoriali, in veste di luogotenente o di pro-governatore, quando – per differenti ragioni – vi furono lunghi periodi di vacanza di potere tra due successivi governatori, un onere che generalmente spettava al-l’auditore in carica.

Come si può constatare, alcuni governatori non ebbero il conferi-mento delle competenze militari, assegnate dal granduca ad un altro soggetto. I nomi dei titolari dell’autorità militare (indicati in modi dif-ferenti e, tra i più importanti, si ricordano quelli di governatore del-l’arme, di comandante della città e porto di Livorno, e di comandante supremo di Livorno e del litorale), assieme alle complesse ragioni po-litiche che, di volta in volta, condussero il principe alla scelta di sepa-rare gli incarichi, trovano spazio nel corso del libro, a cui si rimanda.

L’elenco comincia con la prima investitura ufficiale a governatore di Livorno che fu conferita ad Antonio Martelli il 12 novembre 1609.

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Come si è detto, però, il Martelli aveva detenuto l’ufficio, seppur anco-ra non propriamente definito come tale, fin dal 19 marzo 1595 (e, per interim, Antonio Risaliti e Ugolino Barisoni dal 1602 al gennaio 1609).

I governatori di Livorno Estremi cronologici incaricoQualità dell’incaricoNome e Cognome Inizio incarico (presa

di possesso)Fine incarico

Antonio Martelli 11/1609 09/1617 Governatore civile e militare

Iacopo Inghirami 02/1618 04/1621 Governatore civile e militare

Bartolomeo del Monte 04/1621 06/1621 Governatore civile e militare

Giulio Barbolani da Montauto 06/1621 01/1623 Governatore civile e militare

Pietro Medici 03/1624 11/1635† Governatore civile e militare

Giulio Barbolani da Montauto 12/1635 09/1641† Governatore civile e militare

Lodovico da Verrazzano 10/1641 06/1647† Governatore civile e militare

Piero Capponi 04/1642 01/1643 Governatori ad interim durante le assenze del VerrazzanoAngelo Maria della Stufa 07/1644 12/1644

Giovanni Medici 10/1647 03/1648 Governatore civile e militare

Cosimo Riccardi 04/1648 02/1649† Governatore civile e militare

Filippo Pandolfini 03(04)/1649 05/1652 Governatore civile

Angelo Acciaioli 05/1652 11/1654† Governatore civile

Rocco Cepparelli, auditore del Governo di Livorno Luogotenente di giustizia

Antonio Serristori 11/1655(01/1656) 05/1672 Governatore civile

Raffaello Medici 05/1672 03/1677† Governatore civile

Giacinto Coppi, auditore del Governo di Livorno Luogotenente di giustizia

Marco Alessandro del Borro 06/1678 04/1701† Governatore civile e militare

Mario Tornaquinci 05/1701 09/1717 Governatore civile e militare

Alessandro del Nero 09/1717 03/1730 Governatore civile e militare

Giuliano Capponi 03/1730 12/1745† Governatore civile e militare

Jacopo Mercati già Neroni, auditore del Governo di Livorno Facente funzioni di governatore civile

Carlo Maria Ginori 09(11)/1746 04/1757† Governatore civile

Assunto Franceschini, auditore del Governo di Livorno Facente funzioni di governatore civile

Filippo Bourbon del Monte 08(11)/1757 10/1782† Governatore civile e militare

Francesco Pierallini, auditore del Governo di Livorno Pro-governatore per il civile

Federigo Barbolani da Montauto 01(03)/1782 11/1788† Governatore civile e militare

Francesco Pierallini, auditore del Governo di Livorno Pro-governatore per il civile

Francesco Seratti 04(06)/1789 03/1796 Governatore civile e militare

Luigi Bartolini Baldelli 08/1794 11/1794 Facente funzioni di governatore civile nella temporanea assenza di Seratti

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I governatori di Livorno Estremi cronologici incaricoQualità dell’incaricoNome e Cognome Inizio incarico (presa

di possesso)Fine incarico

Francesco Spannocchi 03/1796 06/1796 Governatore civile e militare

Jacopo de Lavillette 07/1796–03/1801 01/1806 Pro-governatore civile e militare

Domenico Mattei 01(05)/1806 03/1808 Governatore civile e militare

Francesco Spannocchi 05/1815 10/1822† Governatore civile e militare

Giovanni Falconcini, auditore del Governo di Livorno Facente funzioni per il civile

Paolo Garzoni Venturi 02(05)/1823 08/1835 Governatore civile e militare

Giovanni Spannocchi 08/1835 08/1839† Governatore civile e militare

Giuseppe Carpanini, auditore del Governo di Livorno Facente funzioni per il civile

Neri Corsini 11/1839 09/1847 Governatore civile e militare

Giuseppe Sproni 09/1847 11/1847 Governatore civile e militare

Giuseppe Sproni, Antonio Venturi, Gelso Mazzucchi

11/1847 01/1848 Commissione governativa

Scipione Bargagli 01/1848 03/1848 Governatore civile e militare

Lelio Guinigi Magrini 03/1848 09/1848 Governatore civile e militare

Ferdinando Tartini Salvatici 09/1848 10/1848 Governatore civile e militare

Giuseppe Montanelli 10/1848 10/1848 Governatore civile e militare

Carlo Pigli 11/1848 03/1849 Governatore civile e militare

Giorgio Manganaro, Carlo Massei, Tommaso Paoli

03/1849 04/1849 Commissione di governo

Giorgio Manganaro 04/1849 04/1849 Governatore interino

Gaetano Salvi 04/1849 05/1849 Commissione governativa

Angelo Assirelli 05/1849 05/1849 Inviato provvisorio

Primo Ronchivecchi 05/1849 12/1854 Delegato straordinario con funzioni di gover- natore civile

Luigi Bargagli 12/1854 05/1859 Governatore civile

Teodoro Annibaldi Biscossi 05/1859 02/1861 Governatore civile e militare

APPENDICE II I DOCUMENTI

documento 1

Patente dI nomIna dI antonIo marteLLI, PrImo governatore deLLa cIttà dI LIvorno (1609)

ASFi, Mediceo del Principato, 1814, cc.507r-v, copia del registro della patente di conferimento dell’incarico di governatore, Firenze, 12 no-vembre 1609.

Don Cosimo Gran Duca di ToscanaLa nostra città di Livorno et il suo territorio vecchio et nuovo, la populatione, il commercio di vasselli, il pressidio, l’amministratione di giustizia, di Abbondan-za, delle Dogane et altre rendite nostre; del porto et sua nettezza, della politezza delle strade, chiaviche, ponti, fonti dentro e di fuora, il popolo tutto antico et moderno, le varie nationi con lor consoli che per occasione di mercantie vi habitano, et vi vengono da diverse parti del mondo; la sanità, la provisione del lazzeretto, et ogni altro affare concernente il buon trattamento.La conservatione et moltiplicatione del popolo ricercano (sì come l’esperienza ci dimostra) che vi sia governatore superiore a tutti, sì cerca l’arme come cerca la giustizia, di qualità eminente, non partiale e desinteressato del cui valore, fede, prudenza et amore nel servitio nostro et detto luogo possiamo stare con l’animo quieto et sicuro et che non solo sia temuto, et obbedito, amato ancora et che col consiglio et con l’opera aiuti tutti li marinari et altri habitatori et particolar-mente li mercanti, con tenerli in protetione et farli facilitare et rispettivamente avvertendo che non siano aggravati da ministro alcuno pubblico di Dogane, lazzeretto, o magazzini, et che gastighi severamente li malfattori e sopra tutto invigili che non vi siano commessi furti di mercantie, et che sia osservata la li-bertà, sicurezza et franchigia del porto et che s’astenghino li detti ministri dalle mercantie lor prohibite, et che li soldati del pressidio ordinario et straordinario et loro offitiali et capitani et li achibugieri a cavallo et altri descritti nella banda non commettino violenze, et che tale vi sia la pace et la sicurezza di ciascuno che inviti gli estrangeri a venirvi, et li pupilli et vedove siano difese, et si levi ogni occasione d’infettione d’aria, vi si conservino et moltiplichino l’acque buone,

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vi sia concorso grande di mercantie et grascie, vi si facci il mercato conforme alli ordini et il servitio delle nostre rendite di gabbelle et altro sia con fede et diligenza ben trattato et sia ardire a ciascuno di astenersi dall’otio, et dalli diletti con attendere alli negotii et industrie habbino li professori di marineria occasio-ne di venirci ad habitare con loro famiglie, barche et vasselli di qualunque sorte, con pigliarsela per loro patria, acciocchè per li negotii et per l’occorrenze di galere ve ne sia sempre buon numero et si possa da noi continuare con dette no-stre galere et altri vascelli il servitio di Dio et della christianità. Sapendo dunque noi che nelle molt’illustre persona di voi cavalier frat’Antonio Martelli, prior di Messina concorrono le suddette et altre maggiori qualità da poterne sperare la consecutione di quanto sopra ci ha dimostrato l’esperienza della vostra lunga e benemerita servitù in diverse occasioni et particolarmente quando in tempo della felicissima me. Del granduca Ferdinando nostro genitore fusti governatore et ministro princi-pale della fabbrica, del porto, della darsena, et d’altri edifitii, et populatione di Livorno habbiamo di nostro motuproprio resoluto di eleggervi, come in virtù della presente vi eleggiamo et deputiamo, in governatore di detta città et presi-dio et amministratione di giustizia et superiore a tutti li ministri che per qualun-que occasione vi tengamo. Comandiamo noi perciò al colonnello, alli capitani, offitiali, soldati, vantaggiati, guardiani del porto, castellani del fanale, et della torre nuova et altre a tal carica sottoposte et ad’ogn’altra persona tanto pubblica come privata, a’ gonfalonieri, priori, popolo, deputati della Sanità, et habitatori tutti di qualunque sorte, et a ciascun ministro che per tale vi ricevino, accettino, honorino, et obbedischino, anzi come fariano la propria persona nostra; et li commissari delle galere et delli altri armamenti che di presente sono et che per l’avvenire eleggeremo et ogn’altro ministro et custode di Dogane, di Bagni, di magazzinieri, di strade, fonti, ponti, porto, lazzaretto, barche, vasselli, schiavi, et lor ricatti, partecipino con voi et vi deferischino tutto il ministerio loro acciò possiate rimediare a qua-lunque accidente, et al presente commissario di Livorno et delle galere (già che con questa deputattione spira la carica sua) comandiamo che vi relassi tutto il palazzo, et habitatione che di presente gode, poiché la concediamo a voi oltre alli altri assegnamenti convenienti alla qualità et presente carica vostra, quali a parte dichiararemo per quanto ciascuno delli sopranominati stima il servitore et obbedienza dovutaci e teme la nostra indignatione. In fede, dato 12 novembre 1609.A di 12 di novembre 1609 Sua Altezza gl’assegnò scudi 50 il mese sopra la Depositeria generale da cominciarsi il primo di detto mese di novembre oltre la provisione et emolumenti del commissariato di Livorno. Se gli dette anco il contrassegno et una lettera del colonnello del Presidio per darli le chiavi et più un ordine per li ragionieri della Dogana di Pisa et ogn’altro a chi attenesse, perché li paghino l’istessa provvisione et salario solito pagarsi al commissario di Livorno, cominciando dal dì che piglierà il possesso del suo governo.

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documento 2

Patente dI nomIna dI governatore deLLa gIustIzIa dI gIuLIo BarBoLanI dI montauto (1621)

ASFi, Mediceo del Principato, 1814, cc.521r-523r, motuproprio di no-mina e patente di conferimento dell’incarico di governatore da parte delle reggenti Maria Maddalena d’Austria e Cristina di Lorena, in nome del figlio Ferdinando II, da Siena, il 6 giugno 1621.

Ferdinando Granduca di Toscana e, per Sua Altezza Sovrana, le Serenissime tutrici

Occorrendoci provedere di nuovo governatore della giustizia e presidio della città e porto nostro di Livorno, suo Stato e territorio vecchio e nuovo et torre di marine, acciò il marchese Bartolomeo del Monte ritorni alla sua solita carica appresso la persona nostra et quel governo non manchi di persona di qualità come ricerca l’importanza di esso et il servigio nostro l’amministrazione della giustizia et sapendo noi concorrere nella persona del molto illustre signor conte Giulio dei conti di Montauto, antico servitore e nato d’antichi nobili servitori della casa et antecessori nostri di nostro moto proprio, in virtù della presente nostra lettera patente l’habbiamo eletto et eleggiamo, deputiamo governatore della detta città e porto di Livorno con la medesima autorità, superiorità, fa-cultà che hanno havuta et esercitata li governatori antecessori non solo circa l’amministrazione della giustizia, governo e custodia della detta città, porto e presidi, colonnello, capitani o altri ufficiali soldati della sopra intendenza elet-tione di ministri da noi fattane et che se ne farà in avvenire e con li medesimi honori carichi, provisioni emolumenti che dalla Dogana di Pisa et dalla nostra general Depositeria si sogliono et sono soliti somministrarsi alli altri governatori passati, così ordinari come straordinari, oltre alla solita residenza, habitazione, comodità, per il che comandiamo al colonnello, capitano della banda, capitani, officiali, soldati del presidio, guardie delle marine ordinarie, soprannumerari che vi siano arrolati o occorrerà arrolarsi, avvantaggiati di qualunque conditione qualità quali pure vi teniamo o in avvenire vi tenessimo ad ogn’altra persona così pubblica come privata, a gonfalonieri, priori, populo a tutti gli habitanti di qualunque sorte professione conditione natione alli deputati della Sanità, alli ministri delle galere, dogane, ogn’altro ministro pubblic alli castellani, guardia-ni, custodi delle fortezze vecchie e nuove, della torre nuova, altre torri, capitano de’ cavalli della guardia delle marine, che per tale et come tale lo ricevino et ammettino e per quanto s’aspetta alla carica et offitio di ciascuno obbedischino et respettivamente riconoschino, trattino, honorino, per quanto desiderano la gratia, temano l’indignatione, stimino il servigio nostro, tengon conto della fede dovutaci et al depositario nostro generale, alli collatterali della nostra banca, al

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provveditore camarlingo della Dogana di Pisa che come tale parimente rice-vendolo rispondino delle solite provisioni ordinarie et straordinarie com’hanno fatto alli governatori antecessori suoi.Volendo inoltre che li commessari delle galere, galeoni, altri armamenti così pre-senti come futuri, ogn’altro ministro custode, capitano del Bagno, magazzinieri delle galere, provveditori di Grascie, Abbondanza, fabriche, strade, fonti, ponti, lazzaretto, sempre li deferischino, partecipino, ciascheduno l’occorrenze di sua carica acciò possa in qualunque occorrenza rimediare a qualunque accidente che dal nostro buon servigio discordasse. Et in fede dato.

documento 3

regoLamento deL governo cIvILe e mILItare dI LIvorno (30 ottoBre 1672)

Lettera del granduca Cosimo II Medici al generale Marco Alessandro del Borro. Il Governo civile è affidato al marchese Raffaello Medici, come governatore di giustizia, e al del Borro per il militare, come gover-natore dell’armi. ASFi, Mediceo del Principato, 1804, ins.34, cc.n.n.

Cosimo II per grazia di Dio granduca di ToscanaGenerale Marco Alessandro del Borro nostro dilettissimo, havendo noi risoluto d’eleggere, si come habbiamo eletto, per soprintendere al Governo della nostra città di Livorno e suo Capitanato, con amministrarvi la giustizia civile e crimina-le, il senatore marchese Raffaello de’ Medici e dovendo a voi restare il comando di tutte l’armi della medesima città e Capitanato et essendo tanto necessario per assicurare il nostro buon servizio che le funzioni dell’una e dell’altra carica, sieno ben dichiarate e distinte acciò si mantenga fra voi l’unione e la buona corrispondenza, oltre a quanto abbiamo incaricato in voce a ciascheduno di voi. Vogliamo anco regolare in virtù della presente alcune particolarità confermando o variando l’uso praticato per il passato secondo che habbiamo riconosciuto essere espediente. Et però comandiamo che ne’ casi che possono succedere di delitti che commettessero officiali o soldati della nostra compagnia o infanteria alemanna esistente in Livorno, il marchese suddetto possa ordinare ai suoi mi-nistri di giustizia di farli prigioni, e condurli al palazzo della sua residenza, con farvi avvisare della loro cattura per poterli ritenere a vostro nome, o farli con-segnare a chi voi stimerete necessario per conoscere le loro cause e giudicarle secondo lo stile alemanno. E perché si considera che possono essere più urgenti e di maggior conseguenza le occasioni che obblighino voi a valervi delle chiavi delle porte della città, che non il governatore di giustizia, vogliamo che le dette chiavi si tenghino in casa vostra, con questo però che in ogni occorrenza per la

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quale il governatore di giustizia ve ne richiegga, siate obbligato a dargliele senza dilazione, non solo ne’ tempi ordinari ma anco straordinari. Et il medesimo governatore dovrà farvi informare delle cause che lo muovono a dimandarle. E quanto al nome che deve correre la notte per la piazza, vogliamo che sia dato da voi come capo militare, con farlo però sapere al prefato governatore per uno dei vostri ufficiali. Havendo voi qualche ordine speciale da noi, o che succeda no-vità degna della notizia del governatore, vogliamo che glielo participiate come farà all’incontro con voi il medesimo governatore di quelli che daremo a lui degni della notizia vostra, acciò tutto cammini di buon concerto con reciproca soddisfazione e buona intelligenza. Occorrendo al governatore in sussidio e per esecuzione della giustizia haver bisogno del vostro aiuto, et assistenza, vogliamo che lo facciate secondo che da lui ne sarete richiesta di mano in mano. E Dio vi conservi. Data in Firenze, 30 ottobre 1672, il granduca di Toscana.

documento 4

regoLamento Per La gIurIsdIzIone tra I governatorI deLL’armI e dI gIustIzIa dI LIvorno (1672)

Lettera al governatore di giustizia Raffaello Medici, da Firenze, il 23 febbraio 1672 ab inc (1673). ASFi, Mediceo del Principato, 1804, ins.35, cc.n.n.

Ha il Padrone Serenissimo per molte ragioni e rispetti che muovono l’animo suo risoluto che nei delitti che da qui avanti commetteranno i soldati arruolati con stipendio nel presidio di codesta piazza, l’auditore di Vostra Signoria Illu-strissima che sempre per mezzo del solito notaio dei malefizi dovrà fabbricarne i processi, gli participi fino a nuovo ordine al solo signor governatore dell’armi e quello riconosca privativamente per cognitore, e soprintendente di tali cause e da spedirsi con le consuete approvazioni di Sua Altezza e quando ci sarà mistura di delinquenti, cioè soldati et altri non soldati, il detto auditore partecipi a Vo-stra Signoria Illustrissima e al predetto signor governatore dell’armi, e s’aspetti cognizione e soprintendenza all’uno e all’altro per spedirsi pur doppi l’approva-zioni di Sua Altezza in nome d’ambidue e che tal ordine cominci ad avere effetto nella causa dell’omicidio che si pretende commesso nel mese di novembre pros-simo passato nella persona di monsieur Giovanni Martino sensale francese, da certo soldato che si ritrova ritenuto in casa matta, et io nel significar con questa a Vostra Signoria Illustrissima i comandamenti di Sua Altezza Sovrana le ratifico anco il continuo desiderio che ho di servirla.

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documento 5

IstruzIonI aL governatore cIvILe dI LIvorno, carLo gInorI, e aL Barone Henart, Per IL mILItare (1746)

ASFi, Segreteria di Stato, 336, fascicolo 3, ins.44, cc.n.n, copia inviata da Francesco Seratti all’auditore di Livorno Francesco Pierallini, da Firenze, il 26 gennaio 1782. Le istruzioni sono state ratificate a Vien-na, il 1 ottobre 1746.

Instructions pour le marquis Ginori, Gouverneur des ville, port et capitanat de Livourne

Sa Majesté Impérial, aiant mis en considération de quelle importance est pour son grand duché la ville et port de Livourne, et estimant de son meilleur servi-ce et plus avantageux pour ses Ètats d’y placer un gouverneur civil qui puisse maintenir cette ville et son commerce dans un Ètat florissant, et s’occuper plus de soin de l’augmenter qu des détails militaires, se confiant dans le zèle, capacité et expérience de son conseiller d’ Ètat le marquis Ginori, elle l’a nommé pour son gouverneur des ville, port et Capitanat de Livourne. Et pour le mettre en état de correspondre d’autant plus aux intentions de Sa Majesté Impériale, elle a ordonné lui être donnée la présente instruction.1. Comme gouverneur civil, aiant l’administration de la justice civile et crimi-

nelle, de même que de la police, il veillera a ce qu’elle soit administrée le plus promptement, et le plus exactement qu’il sera possible, de même qu’a la sûreté, tranquillité et bon ordre, tant dans la ville et port que dans le Ca-pitanat.

2. Comme chef du tribunal de la Santé, il aura un soin particulier pour que les règlements sur un point aussi important soient observé avec toute l’exacti-tude possible, sans permettre que sous aucun prétexte ou motif l’on puisse s’en écarter.

3. Il aura un soin particulier de soutenir, protéger et encourager le commerce, et pour le mettre plus en état de le faire, Sa Majesté Impériale le déclare d’es a présent chef et président du conseil de commerce, qu’elle établit a Livour-ne.

4. Il aura un soin attentes a soutenir les prérogatives et franchises du port, a maintenir les droits et authoritè de Sa Majesté Impériale sans permettre qu’il soit rien entrepris ou innové par le consuls et nations résidentes a Livourne, ou autrement.

5. Il veillera a ce que les droits, et revenus de Sa Majesté Impériale soient pe-rçus exactement a prévenir tout sorte de contrebande, soit de la part du militaire, soit de tous autres et donnera main-forte aux commis et préposés a leur perception, aussitôt qu’il en sera requis.

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6. Quoique Sa Majesté Impériale nomme un commandant militaire elle réser-ve cependant au gouverneur civil tous les droits honorifiques, comme de donnes la Parole et autres, et le commandant militaire aura ordre d’exécuter ceux que le gouverneur croira devoir lui donner pour le bien du service, relativement a son emploi.

7. Le provvediteur des forteresses et artillerie sera pareillement obligé d’exécu-ter les ordres du gouverneur civil pour ce qui regarde la place de Livourne, son port, les tours et forts en dépendants, mais le gouverneur civil ne pourra néanmoins donner de tels ordres sans la participation préalable et par écrit du commandant militaire, comme réciproquement le commandant militaire ne pourra donner aucun ordre audit provéditeur sans la participation préa-lable, et par écrit du gouverneur civil, et en cas de différence de sentiment, il en sera referé un conseil de Régence par la voie du secrétaire de guerre.

8. Le commissaire des galères sera pareillement obligé d’obéir aux ordres du gouverneur civil soit qu’il commandé des forçats pour travailler a l’entretien, et reparation du mole, au curement du port, aux réparations des fortifica-tions, ou autrement soit lorsqu’il voudra faire sortir les galères et barques pour protéger et faciliter le commerce, ce qu’il fera a la participation du commandant militaire qui lui fournira aussitôt le nombre de truppes néces-saires pour l’armement des dits bâtiments. Il pourra aussi dans le cas pres-sants, envoyer les galères ou barques en course, sans l’aprobation préalable du conseil de Régence, mais l’en informera aussitôt par la voie du secrétaire de Guerre.

9. Dans les affaires politiques, civiles et criminelles, dont il devra ou croira de-voir informer le sonseil de Régence, il le fera par la voie du secrétaire d’état et par la même voie recevra les ordres et résolutions du même conseil, ce qu’il observera nécessairement dans toutes les affaires ecclésiastiques, com-me d’Inquisition et autres qui peuvent intéresser la jurisdiction, n’y faisant aucun pas sans avoir reçu précédemment les ordres par le secrétaire d’Etat.

10. Dans celles qui regarderont le militaire, il informera le conseil de Régence par le secrétaire de guerre, et recevra les ordres par le même canal.

11. A l’égard des affaires économiques ou de commerce, il correspondra avec le conseil des finances.

12. Au surplus il suivra exactement les ordres et instructions données tant par Sa Majesté Impériale que par ses prédécesseurs aux gouverneurs de Livour-ne, pour tout ce qui regarde les parties confiées a ses soins, en ce a quoi il n’est pas dérogé par les présentes.

Examinera et proposera tout ce qu’il croira être avantageux a l’accroissement et pureté de la ville et port de Livourne, et son commerce par les voies respec-tives ci dessus indiquées et sera généralement tout a qu’il croira du meilleur service de Sa Majesté Impériale et du bien et avantage des peuples commis a ses soins.

Fait a Vienne le 1er octobre 1746.

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Instructions pour le colonel baron d’Henart, commendant a LivourneSa Majesté Impériale, connaissant de quelle importance est au bien et a la sûreté de ses Ètats la conservation de la ville et port de Livourne, et combien il importe que le commerce y soit maintenu dans l’état florissant ou il est aujourd’hui, et même l’augmenter, s’il est possible, a estimé du bien de son service de séparer le gouvernement civil de Livourne et son Capitanat du commandement militaire, pour que chacun de ceux qu’elle en chargera respectivement puissent travailler avec d’autant plus d’application et de fruit a la partie dont il sera chargé, et se confiant dans le zèle, capacité et expérience du colonel baron d’Henart, elle l’a nommé pour commandant des ville et port de Livourne, tours et forts en dépen-dants, le tout suivant les instructions suivantes.1. Il aura le commandement de la garnison des ville et port de Livourne, de

même que des tours et forts en dépendants et surtout ce qui sera du service militaire de la place.

2. Le gouverneur civil aura les droits honorifiques, comme de donner la parole et autres, et pourra aussi donner au commandant militaire les ordres qu’il croira du bien du service respectivement a son emploi du gouverneur civil, auquel le commandant se conformera.

3. Le provéditeur des forteresses et de l’artillerie étant de la naturelle dépen-dance du commandant militaire, Sa Majesté Impériale veut néanmoins qu’il ne donne aucuns ordres concernant la Place de Livourne, son port, les tours et forts en dépendants sans la participation préalable et par écrit du gou-verneur civil, comme pareillement le même gouverneur civil ne pourra en donner aucuns au dit provéditeur sans la participation préalable et par écrit du commandant militaire et aucas que les avis seraient differents, il en sera referé au conseil de Régence par la voie du secrétaire de guerre.

4. Comme le bien au service de Sa Majesté Impériale pourrait demander que le gouverneur civil jugeât a propos de faire sortir les galères ou barques, soit pour aller en course, soit pour protéger le commerce, il y est authorisé par Sa Majesté Impériale en en donnant part préalablement au commandant militaire qui devra aussitôt fournir les trouppes qui seront nécessaires pour l’armement des galères et barques respectivement.

5. Le commandant militaire veillera avec toute l’attention a la sûreté et conser-vation de la place qui lui est confiée a ce que le service y soit fait avec toute l’exactitude et la discipline militaire observée.

6. Il aura un soin particulier a prévenir tout désordre de la part du militaire, a ce qu’il ne soit fait aucune violence, fraudes, ou contrebande, soit par l’of-ficier, soit par le soldat et concourrera en tout avec le gouverneur civil pour les réprimer.

7. Il concurrera pareillement avec lui pour tout ce qui concernera l’exécution des ordres de Sa Majesté Impériale les règlements du magistrat de Santé ou il assistera et occupera la première place immédiatement après le gouverneur, ainsi qu’en toutes autres fonctions publiques.

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8. Enfin, il le conformera aux instructions et ordres donnés tant par Sa Majesté Impériale que par les prédécesseurs aux gouverneurs de Livourne en ce qui peut concerner le commandement qui lui est confié et fera généralement tout ce qu’il croira du meilleur service de Sa Majesté Impériale.

Fait a Vienne le 1er octobre 1746.

documento 6IstruzIonI Per IL governatore e L’audItore dI LIvorno (1774)

Istruzioni segrete per regolamento del governatore e dell’auditore (o vicario) di Livorno, date il 26 aprile 1774, con a fianco le «Osservazioni» allegate dalla Consulta che le aveva elaborate e presieduta da Pompeo Neri. Il governatore in carica era Filippo Bourbon del Monte. ASFi, Segreteria di Stato, 174, ins.2, cc.n.n.

Istruzioni segrete per regolamento del governatore e del vicario di Livorno.

Osservazioni sopra la minuta delle Istruzioni

Primo – Il governatore di Livorno oltre la facoltà che ha come governatore militare a tenore delle sue istruzioni, avrà in qualità di governatore civile tutta la soprintendenza al governo politico del Paese con piena autorità di dare tutti quegli ordini che crederà a proposito per conservare la quiete pubblica nella città, porto e capitanato.2. Averà voto e il primo posto e i primi onori in tutte le Magistrature della città.3. Averà incombenza di rappresentarci tutto ciò che può conferire al ben generale della provincia a lui raccomandata con facoltà di prendere nelle cose che non ammettono dilazione le provvidenze istantanee che stimerà convenienti.

Cap.1.2.3) Questi capitoli spiegano il carattere e le facoltà del rappresentante del sovrano. Inerendo alla regola prescritta nella legge de’ 30 settembre 1772 al cap.33.

4. Averà special cura di provvedere ai mezzi di facilitare il commercio che si fa nel Paese dai sudditi di Sua Altezza Reale e dalle nazioni estere e di mantenerlo nello stato sempre più florido che sia possibile.5. Avvertirà di sostenere in tutte le occasioni le prerogative del porto e la giurisdizione e diritti sovrani di Sua Altezza Reale, senza permettere che dalla parte dei consoli o delle nazioni estere residenti a Livorno si tenti alcuna innovazione.

Cap.4.5) Questi capitoli son ricavati, anzi copiati dalle Istruzioni date in Vienna, il primo ottobre 1746 per il governatore civile senatore Carlo Ginori.

6. Similmente averà tutta la soprintendenza perché sia conservato il buon ordine nel teatro, con facoltà di delegare altra persona che possa, quando egli si troverà assente, aver l’ispezione che conviene per la quiete e la buona disciplina del luogo, ben inteso che se mai seguisse un delitto, la cognizione appartenga al tribunale ordinario.

Cap.6) La buona disciplina del teatro, che richiede perdimento di tempo per chi deve invigilarci con la presenza personale, e richiede pronti espedienti e leggierissime mortificazioni, non pare un affare da assegnarsi al vicario, né sottoporsi alle regole del tribunale ordinario, ben inteso che se seguisse un delitto formale il processo debba farsi dal vicario nelle regole solite.

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7. Proseguirà il governatore nella soprintendenza alla revisione delle stampe che senza il suo assenso non potranno pubblicarsi, con che dovendosi processare qualcuno per contravvenzione alla legge vegliante sopra dette stampe, ciò debba farsi per mezzo del tribunale ordinario.8. Presederà similmente il governatore agli affari riguardanti il governo della nazione ebrea, con che trattandosi di revisione dei decreti dei massari e censori della medesima per approvarsi o per sospenderne l’esecuzione, tal revisione si faccia dal vicario.

Cap.7) La soprintendenza alla revisione delle stampe può similmente lasciarsi al governatore, non essendo la licenza di stampare cosa giudiciale, ben inteso che le contravvenzione alle leggi veglianti delle stampe degenerando in un delitto, questo cada sotto la cognizione del tribunale ordinario e così è stato disposto per Pisa.Cap.8) Questo capitolo è stato inserito d’intelligenza dell’istesso governatore.

9. Nelle cose governative e nelle risoluzioni straordinarie che dipendono dalla volontà di Sua Altezza Reale il governatore continuerà nella consuetudine di non attendere altri ordini che quelli che gli pervengono per il canale della segreteria, che Sua Altezza Reale ha destinato e sarà per destinare al carteggio coll’istesso governatore, senza che in questa parte vi si mescoli l’autorità dell’auditore fiscale né di verun altro magistrato o ministro di Firenze, e così anco l’auditor di Livorno in quel tempo che farà le veci del governatore assente nel detto genere di affari governativi non averà altra dipendenza che dalla detta reale segreteria, fermo stante che in tutti gli altri generi di affari di competenza dei Magistrati di Firenze resti il detto auditore sottoposto agli ordini di detti Magistrati a tenore dell’editto de’ 9 gennaio 1774 che deve restare nella sua piena osservanza e in conseguenza ancor agli ordini dell’auditore fiscale come capo del tribunale del Fisco.

Cap.9) Questo capitolo è disteso per prevenire gli equivoci che alle volte sono insorti sopra l’autorità dell’auditore fiscale in Livorno, da cui sono nate in origine tutte le pretensioni d’indipendenza dagli altri Magistrati di Firenze suscitate in diversi tempi dal tribunale di Livorno, che il governatore considerava come suo proprio e senza distinzione da un genere di affari all’altro, talvolta ricopriva col manto e colle prerogative più luminose del suo carattere di governatore.L’auditore fiscale come capo del tribunale del fisco deve senza dubbio avere l’istesse facoltà di dar commissioni in Livorno che anno gli altri magistrati della capitale, a forma della istruzione data alla pratica sotto dì 9 stante.Il detto auditore fiscale, oltre l’esser capo del tribunale del fisco, e di avere la firma dei processi criminali, esercita un’altra carica nella maggior parte dello stato fiorentino che è quella di dare ordini straordinari nelle cose governative che dipendono dall’oracolo del Sovrano da cui si presume che egli abbia la parola.A questa facoltà straordinaria i governatori di Livorno sempre si sono opposti col fondamento che avendo i sovrani tenuto sempre in Livorno un governatore e avendo sempre stabilito tra il governatore e il sovrano un canale privativo di corrispondenza, per cui gli ordini del principe passavano al Governo di Livorno per mezzo di quel segretario che è stato di tempo in tempo destinato, questa destinazione escludeva ogni altro canale e perciò anno sempre impugnato di dipendere dall’autorità dell’auditore fiscale, che sarebbe un canale estraneo, e duplicato contro le buone regole, e in tale pretensione i governatori di Livorno sono stati sempre sostenuti con ordini chiari che di tempo in tempo sono emanati dalla segreteria.Questa esclusione dell’auditore fiscale dalle cose governative di Livorno, che stimiamo ben giusta, perché Vostra Altezza Reale tiene in Livorno un governatore a parte, anno prodotto poi col tempo un equivoco nel Ministero di Livorno perché confondendo con le cose governative le cose di giustizia ordinarie o altre di competenza dei magistrati, il governatore di Livorno vedendosi dichiarato indipendente dall’autorità dell’Auditore Fiscale ha creduto per maggioranza di razione di restare indipendente da tutti

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gli altri Magistrati di Firenze negli affari di loro competenza e questo equivoco ha prodotto tutte le male intelligenze che talvolta sono accadute fra il governatore di Livorno e i Magistrati della capitale, perché nell’istessa persona del governatore era riconcentrata l’autorità governativa e l’autorità del tribunale di giustizia, onde i Magistrati scrivendo al governatore, che era in quel tempo l’unico canale, a cui si potesse scrivere, esso si rivestiva delle qualità più eminenti della sua carica, e di mala voglia voleva far figura di esecutore dei loro ordini.In oggi che per le provvide disposizioni di Vostra Altezza Reale gli affari dell’ordinaria competenza dei Magistrati averanno il suo corso per canale separato dal governatore, sarà sperabile che non seguino più tali equivoci e per questo ci sembra necessario detto capitolo per fare intendere la distinzione che passa tra il corso delle cose di giustizia e altre, che dipendono dai Magistrati, e le cose governative che dipendono dalla volontà di Vostra Altezza Reale e son l’unico oggetto della corrispondenza necessaria tra la sua reale segreteria e il governatore di Livorno.

10. Tra gli affari governativi meritando la principal considerazione gli affari di Sanità, l’istesso governatore come capo del Magistrato di Sanità dovrà continuare il suo carteggio per gli affari occorrenti a detto Magistrato con la segreteria di Stato a ciò destinata e dalla medesima riceverne gli ordini secondo il solito a forma del detto editto de’ 9 gennaio 1774 al cap.12 e in assenza del governatore anco il vicario, facendo le sue veci, terrà l’istesso carteggio con la segreteria di Stato per le occorrenze della Sanità di Livorno.

Cap.10) Tra le cose governative di Livorno non sottoposte agli ordini diretti dei Magistrati di Firenze, sono gli affari di Sanità, che si partecipano per mezzo della segreteria di Stato. Onde finché non piacerà a Sua Altezza Reale di mutar questo metodo, dovrà seguitarsi l’istesso stile, come prescrive l’editto de’ 9 gennaio 1774, al cap.2 sopra la qual materia ci rimettiamo a quanto fu da noi rappresentato nella proposizione di detto editto del dì 5 gennaio 1774 tra le osservazioni al n.12.

11. Del rimanente il governatore come capo della deputazione di Sanità averà tutto lo zelo perché i regolamenti di quel tribunale siano osservati con tutta la più scrupolosa esattezza, senza permettere che per qualunque pretesto i subalterni si dispensino dalla puntuale esecuzione di essi.

Cap.11) Questo è copiato dalla detta Istruzione del dì primo ottobre 1746 per il senatore Carlo Ginori.

12. Nelle cause dei particolari civili e criminali, ordinarie o sommarie o pettorali, lascerà agire alla giurisdizione ordinaria del vicario.

Cap.12) Questa è la regola fondamentale del nuovo sistema, che allontana l’influenza de’ rappresentanti dagli affari di giustizia, che è stabilita nel capitolo 35 della detta legge de’ 30 settembre 1772 e nel precedente editto de’ 10 luglio 1771 al capitolo 23 e nelle Istruzioni che Vostra Altezza Reale si degnò dare alla nostra Giunta sotto il primo aprile 1771 al capitolo 20.

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13. Se per altro nascesse qualche accidente che turbasse la tranquillità del porto o potesse mettere in impegno il Governo con le nazioni estere, averà il governatore tutta l’autorità di sospendere gli atti criminali del tribunale e di procedere ancora di proprio arbitrio a punizioni istantanee e straordinarie, purché non si tratti di pene capitali o di mutilazione di membri o irroganti infamia, e purché non si serva mai per verun pretesto di tal facoltà nei delitti comuni, che possono ricevere il compimento di giustizia per le vie ordinarie, ma unicamente se ne serva nei soli casi che interessano la pubblica quiete della città e porto, o le giuste contemplazioni che debbonsi avere per le nazioni estere e sempre ne faccia uso con la debita cautela e circospezione e senza uscire dai limiti delle pene solite ed approvate dalle leggi, e senza preferire la regola di sentire le giustificazioni che può avere il delinquente prima di punirlo.

Cap.13) Le limitazioni che abbiamo creduto che possino farsi a detta regola, e in conseguenza le facoltà straordinarie che possano accordarsi al governatore in grazia delle circostanze locali di Livorno, che è un porto di mare dove trafficano nazioni estere che cagionano molte inquietudini al Governo, le abbiamo rinchiuse in questo capitolo.Queste facoltà si riducono primo a poter sospendere gli atti criminale del tribunale, che involve ancor la facoltà di non far principiare il processo; secondo a poter procedere di proprio arbitrio a punizioni istantanee e straordinarie.Le dette facoltà e specialmente la seconda, meritano qualche restrizione perché non ne nasca un mostruoso dispotismo. Per prima restrizione abbiamo eccettuato le pene capitali, e di mutilazione di membri e quelle irroganti infamia sicché resterebbe nell’arbitrio del governatore i sequestri, le carcerazioni, le detenzioni in carcere per qualunque tempo, le staffilate, e l’esilio dalla giurisdizione. E abbiamo creduto che debbino restare escluse la corda, la berlina, e le bastonate: la prima perché storpia la persona senza rimedio, ed è pena troppo grave per lasciarsi regolare dal semplice arbitrio; la seconda perché porta infamia e non è di verun uso nei casi che interessano la quiete pubblica; le bastonate perché non sono comprese nel formulario delle pene solite comminarsi dai nostri tribunali.La seconda restrizione la stimiamo ancora più necessaria, perché questa prescrive al governatore che non si serva di tal facoltà, se non nei casi che interessano o la pubblica quiete, o le giuste contemplazioni che debbonsi avere per le nazioni estere, poiché se altrimenti egli avesse tale arbitrio nei casi comuni, che possono con quiete decidersi da un tribunale, Livorno resterebbe ben presto spopolato tanto di sudditi che di forestieri, niuno amando di stare sotto il pericolo di un arbitrio così illimitato e superiore a tutte le regole di ragione: ne basta per dileguare il timore di questo pericolo la moderazione che può sperarsi nel presente governatore poiché le costituzioni dei Governi anno in vista tutti i futuri tempi e un uomo sciolto da ogni regola fa paura, ancorché sia di ottimo carattere.

14. Essendo il governatore per qualunque causa obbligato a valersi di tal facoltà, dovrà almeno dopo il fatto e più presto che sarà possibile darne distinto conto a Sua Altezza Reale e in caso di punizioni straordinarie o in caso di sospensione degli atti del tribunale ne parteciperà un ordine scritto al vicario per discarico suo e de’ suoi ministri.

Cap.14) Due cautele si aggiungono in questo capitolo in grazie delle facoltà straordinarie che si accorderanno al governatore, perché ogni qualvolta egli sia ridotto a valersi per motivi prudenziali di tali facoltà straordinarie, è giusto che il sovrano ne sia informato, almeno dopo il fatto, per misurare la fiducia che può avere nella prudenza del governatore, ed è giusto altresì che il governatore abbia questo freno e non creda che il suo arbitrio sia esente da qualunque rendimento di conti. E secondariamente in caso che gli ordini del governatore impedischino il principio degli atti del tribunale, o ne sospendino, o ne turbino il corso, o comandino qualche punizione che non sia giustificata dagli atti, è bene necessario che i ministri del tribunale ne abbiano un ordine in iscritto che serva loro di discarico nelle partecipazioni e revisioni dei processi che debbon fare al magistrato degli Otto.

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15. Sarà obbligo ancora del vicario di rendere inteso stragiudicialmente il governatore delle cause pendenti avanti il suo tribunale che hanno rapporto con le nazioni estere, cioè di quelle che, oltre l’interesse privato dei particolari litiganti possono avere qualche influenza nei diritti delle pretensioni e nel pacifico soggiorno in Livorno di dette nazioni, perché il governatore possa, quando lo stimi a proposito, rendere intesa Sua Altezza Reale dello Stato dell’affare, e prendere quegli ordini che la prudenza del Governo può di tempo in tempo creder necessari senza pregiudizio del corso ordinario della giustizia.

Cap.15) In grazia delle contemplazioni che debbono aversi in Livorno per le nazioni estere, sarà opportuno questo capitolo purché non ne sia fatto abuso per ritardare o intralciare il corso della giustizia negli interessi privati.

16. Nelle cause di prede, il vicario, oltre l’obbligo di cui si parla nel capitolo antecedente, avanti di procedere alla sentenza sarà tenuto a partecipare sempre l’affare a Sua Altezza Reale col suo parere per attenderne l’approvazione e regolarsi a forma degli ordini che sarà per ricevere.

Cap.16) Questa partecipazione è quella che sempre si è praticata dall’auditor di Livorno nelle sentenze in cause di prede ed è giusto conservarla.

17. Tanto il governatore che il vicario averanno special premura d’intervenire regolarmente alle adunanze delle magistrature del paese senza potersene dispensare che per cause di precisa necessità.

Cap.17) Non ha bisogno di spiegazione.

18. Il governatore presterà il braccio militare per servizio della giustizia ogni qual volta ne sia richiesto dal vicario, riceverà i rapporti del bargello e potrà dare al medesimo o direttamente o per mezzo del vicario gli ordini che crederà opportuni perché gli esecutori procedino a questi arresti e sequestri che crederà necessari per l’esercizio delle sue facoltà nei casi improvvisi interessanti la quiete pubblica, purché seguito l’arresto e provvisto all’urgenza del caso si lasci al corso ordinario del tribunale di procedere a quelle dichiarazioni che sono di giustizia, salvi i casi di cui dispone il soprascritto capitolo 13.

Cap.18) Questo par giusto, e coerente alle facoltà accordate al governatore, e correlativo a quanto vien detto nel capitolo 13.

19. Gli editti pretori continueranno a pubblicarsi a nome del governatore, ma la minuta dovrà esser veduta ed approvata dall’auditore e conservarsi originalmente con la sua firma negli atti della cancelleria.

Cap.19) Questo vien inserito con intelligenza dello stesso governatore.

20. Si conformeranno nel rimanente i detti governatore e vicario al disposto del regio editto del dì 10 luglio 1771, capitolo 23 e dell’altro in seguito pubblicato sotto dì 30 settembre 1772, capitolo 33, e a quelli del 21 settembre 1773 e de’ 9 gennaio 1774 e al motuproprio spedito in data di questo giorno.Dato li 26 aprile 1774.

Cap.20) È necessario inculcare l’osservanza di questi ordini i quali dalle soprascritte istruzioni non restano in veruna parte derogati.

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documento 7«reLazIone deI mInIstrI comPonentI IL governo dI LIvorno,

Loro IncumBenze e facoLtà»(1779-1780)Si riportano le annotazioni in merito all’ufficio del governatore e del-l’auditore di Francesco Seratti, databili tra il 1779 e il 1780. ASFi, Reggenza, 780, ins. 55, cc.1617r-1619v (per il governatore), 1623r-v e 1625r-1626v (per l’auditore).

Il governatore presiede al militare ed al civile.Come governatore militare ha il comando di quella piazza e di tutte le torri di quel littorale. Esso dà la parola e ad esso son fatti tutti i rapporti. Quando oc-corra usar la forza militare o per obbligare alle leggi qualche bastimento o per difendere il porto ed il littorale da qualche attentato contro la salute o la sicu-rezza pubblica è in sua facoltà di darne gli ordini potendo non solo fare agire le batterie che difendono il porto, ma ancora armare qualche barca e mandare dalla guarnigione quei distaccamenti che fossero necessari.Come governatore civile ha la soprintendenza al governo politico ed economico della città, del porto, e di un circondario di alcune miglia che chiamasi capita-nato.Non spettano ad esso gli affari di giustizia ordinaria che esigono la discussione e risoluzione giudiziaria nel tribunale, neppure quelli che riguardano l’esazione dei dazi e gabelle. In ogni altro affare politico e governativo esso è il solo che ne risponde, e tutti i ministri di quella città sono adesso subordinati, né possono agire che per suo ordine.Presiede a tutte le magistrature, la più importante di queste in una città maritti-ma è la deputazione di Sanità; le altre sono deputazioni civiche, che non hanno quasi altro per oggetto che gli interessi e gli onori comunitativi, nulla di più influiscono nel governo.E nel sistema utilmente stabilito da Sua Altezza Reale di rendere alle Comunità una molto maggior libertà nel amministrare e disporre delle loro rendite, e delle loro cariche, in nulla di più si esigerà la vigilanza del governatore se non che in provvedere che non manchino i fondi ed i soccorsi che interessano la pietà pubblica.Richiedendosi negli affari di Sanità una prontezza che difficilmente può sperarsi da una deputazione, il più delle volte esso è il solo che li risolve, o il solo che li propone per la risoluzione al real sovrano.Il sistema con cui viene regolato il dipartimento di Sanità potrà rilevarsi dal dettaglio che si farà dell’incumbenze del capitano ed uffizio della Bocca.Esso è il solo che deve provvedere alla quiete, ed alla polizia pubblica. A questo oggetto ad esso son fatti i rapporti giornalieri di tutte le persone forastiere che entrano in città, di tutte quelle che alloggiano nelle osterie, e locande, di quelle

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che dalla guardia delli sbirri sono incontrate nella notte. E di qualunque scon-certo succeda specialmente nelle feste ed altri concorsi di popolo nelle osterie, nelle strade e nelle case delle prostitute, o dovunque è maggiore il pericolo che ne seguino. Il bargello che è il capo delli sbirri deve immediatamente renderlo inteso per porlo in caso o di provvedere ai casi speciali o di prendere delle idee generali sul costume, sul carattere delle persone, e sopra ogni altro dato che possa contribuire al buon governo, come spettanti alla polizia pubblica sono nella sua dependenza tutti i pubblici spettacoli come pure il teatro e la revisione delle stampe. Il bargello riceve gli ordini dal tribunale per ciò che spetta alle esecuzioni dependenti dalle cause che vi si agitano, dal direttore dell’ammini-strazione per ciò che spetta ai frodi e contrabbandi, e dal solo governatore per qualunque altro oggetto.Il concorso di bastimenti di nazioni differenti ed alcune volte nemiche, questa stessa differenza di nazioni e di religioni nella città popolata di circa 40mila teste, i privilegi e la franchigia del porto, e dall’altra parte la pubblica sicurez-za, rende necessaria nel governatore l’autorità che ha di risolvere e sopperire prontamente molti affari senza formalità di tribunale, e di processo e di punire economicamente con la carcere e l’esilio; ed a questo stesso oggetto in affari che si renderebbero impegnosi può impedire al tribunale stesso che prosiegua la co-gnizione di qualche causa benché da quello già intrapresa, ed ordinarli l’esecu-zione di quella istantanea e prudenziale risoluzione che esso avesse data; se non si tratti dell’esilio di persone vagabonde o scandalose, e di carcere per qualche rissa, o per qualche dovuta soddisfazione, non deve il governatore prevalersi della facoltà di punire o di arrestare il corso alle cause introdotte al tribunale se non che in qualche caso raro ove concorressero dei particolari riflessi, volendosi da Sua Altezza Reale che regolarmente gli affari abbiano il loro compimento di giustizia per le vie ordinarie. E quando si dia il caso di prevalersene, ha l’ordine di darne posteriormente conto alla Reale Altezza Sovrana. Doppo che fu riconosciuto inutile e fu soppresso un consiglio di commercio in Livorno, al quale per altro l’istesso governatore presiedeva, esso è restato solo incaricato di avere una special premura per togliere alla mercatura ogni ostacolo pregiudiziale, e per promuoverla ed estenderla in quanto si possa. Esso in con-seguenza esamina e fa la sue proposizioni sopra i ricorsi ed i progetti tendenti a questo fine. Esso propone previa le verificazioni prese dal capitano della Bocca le patenti per i bastimenti toscani, ed ha la corrispondenza con i consoli. Deve sostenere le prerogative e leggi del porto e la giurisdizione e diritti del real sovrano contro qualunque infrazione si tentasse per parte delle nazioni consoli esteri. Questa incumbenza esige maggior riguardo in tempo di guerra tra le nazioni marittime per impedire nel porto e spiaggia le ostilità tra di loro, per evitare i reciprochi reclami di pretesa parzialità, e per fare osservare quelle spe-ciali leggi e convenzioni che regolarmente sogliono fissarsi al principio di ogni rottura tra le dette potenze per determinare i precisi limiti di questa neutralità, a ciò che sia o non sia permesso in vigore della medesima.

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Il governatore rende continuamente informato il regio sovrano per il canale delle segreterie di guerra per ciò che spetta al militare e per quella di Stato per ciò che spetta al politico di tutto quello che accada in quella Piazza, e por-to, trasmette la nota di tutti i bastimenti che arrivano ed il resultato di tutti i loro deposti, dai quali si rilevano le notizie relative alla mercatura, alle ostilità e piraterie, e specialmente quelle che riguardano la pubblica salute, dalle quali possono regolarsi gli opportuni provvedimenti.Dà conto delle risoluzioni di qualche maggior importanza che abbia prede in qualche caso che non ammettesse dilazione, ed ammettendola lo rappresenta, espone il suo parere ed attende gli ordini.È indipendente da qualunque tribunale di Firenze e non riceve altri ordini che quelli che il Regio Sovrano li fa pervenire per messo delle sue segreterie.Tutti gli altri impiegati in Livorno sono suoi subalterni per ciò che spetta agli affari governativi, ed esso non ha addetti al suo solo servizio che due o tre ema-nuensi.

Giurisdizione dell’auditore vicario di Livorno.Avanti il detto auditore, i capitani e padroni dei bastimenti fanno il loro conso-lato, ma se questo o dai proprietari delle mercanzie, o da qualsivoglia altro inte-ressato venga contraddetto l’affare si devolve al tribunali dei consoli del mare al quale spetta l’assolvere il capitano e padrone dal risarcimento del danno. Oltre l’incumbenza negli affari giudiciari, l’auditore vicario è uno dei componenti la deputazione di Sanità. Negli altri affari politici serve di consultore e di aiuto al governatore, e nella di lui assenza supplisce alle medesime eccettuato il coman-do militare.Ha sotto i suoi ordini nel tribunale un cancelliere o sia notaro civile con un aiuto, ed un cancelliere o sia notaro criminale con due aiuti per la compilazione degli atti.Per il passato tutte le sentenze che si emanavano dal tribunale tanto nelle cause civili che criminali si davano in nome del governatore, benché esso non avesse presa alcuna cognizione di tali cause, né fosse in grado di prenderla per non esser di professione giurisperito, ed il solo che le avesse esaminate e decise fosse il di lui auditore.Questa stessa mostruosità esisteva nei più piccoli tribunali provinciali della To-scana, dove un ministro era di solo nome (mentre nei territori ristretti a poche miglia ed a pochi abitanti tolto il giudiciario nulla vi poteva accadere che riguar-dasse il politico) l’altro era il vero giudicente senza averne il nome.Nella riforma fatta da Sua Altezza Reale, la quale ha avuto per oggetto di dimi-nuire i ministri inutili, accrescere le provvisioni di quelli che sono necessari e far che ognuno possa e deva rispondere dell’esercizio delle proprie incumbenze, nelle piccole città ha riunita in una sola persona la giurisdizione politica e giu-diciaria. In Livorno, attesa la di lui popolazione ed diversi importanti oggetti ai quali conviene servire ne ha lasciata la prima al governatore, ne ha rivestito

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dell’altra in proprio quello che chiamavasi auditore, al quale ha dato il titolo di vicario.Esso è il giudice nelle cause civili, e criminali che esigono il corso di giustizia, o sommario ovvero ordinario, e può anco pettoralmente accomodare dei piccoli interessi che non meritano il dispendio e la lunghezza degli atti.Spetta adesso l’esame e la decisione degli affari criminali, deve in questi pro-cedere con le forme ordinarie del giudizio, alcune di piccola conseguenza può risolverle senza parteciparle ad alcuno, nelle altre non convenendo che la vita, la libertà o l’onore degli uomini dependa dal sentimento di un solo, doppo fab-bricato il processo esso vi pone il suo parere, e lo trasmette i Firenze al tribunale denominato degli Otto di guardia e Balia, il quale col voto consultivo di due giu-dici e il voto decisivo e la firma di un terzo giudice ne determina la risoluzione, e ne ordina all’auditore vicario di Livorno l’esecuzione.Ha pure la cognizione delle cause criminali per frodi e contrabbandi. Giudica solo in prima istanza in tutti gli affari civili dei particolari, in tutte le cause civili ancora ove abbia interesse il fisco o l’erario regio, ed in quasti tutte le cause mercantili e marittime, poche eccettuare, forse perché sono state riguardate di un maggiore impegno, com quelle di avaria, e di assoluzione dal consolato.Delle cause tanto civili che criminali pendenti al suo tribunale, se hanno rap-porto colle nazioni estere, ed oltre l’interesse privato dei litiganti possono avere qualche influenza nei diritti, nelle pretensioni, del pacifico soggiorno in Livorno delle dette nazioni, deve renderne inteso il governatore affinché il medesimo o possa far uso di quella autorità che sopra è stato indicato esserli riservata, se tale è il caso che lo esiga o esigendolo , ma non facendo un pregiudizio la dilazione, possa renderne intesa Sua Altezza Reale per attenderne gli ordini.E nelle cause di prede prima di proferir la sentenza e obbligato sempre di par-tecipare l’affare a Sua Altezza Reale col suo parere.Dalle sentenze dell’auditore vicario di Livorno se si tratti di affari mercantili o marittimi, di contratti di qualunque genere, se siano sopra altre materie si appel-la come da qualunque altro tribunale provinciale alla Ruota o ad altri tribunali di Firenze secondo i respettivi loro dipartimenti; si dà l’appello al tribunale di consoli di Mare. Il tribunale dei consoli di Mare per maggior commodo dei litiganti mercanti risiede in Pisa a 15 miglia distante da Livorno ed è composto da due consoli che si prescelgono tra quei che sono più pratici della mercatura, e da un segretario il quale, è giusperito e fa da loro consultore. A questo stesso tribunale spetta la cognizione della cause marittime eccettuate dalla [MUTILO].

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documento 8IstruzIonI generaLI concernentI IL governo mILItare

dI LIvorno (1789)Istruzioni generali concernenti il Governo militare di Livorno, ap-provate dal granduca ed inviate dal segretario di Stato Antonio Ser-ristori a Rambaldo Strasoldo, della segreteria di guerra, il 14 giugno 1789. Oltre alle istruzioni per il governatore Francesco Seratti, qui riprodotte, vi erano anche le istruzioni separate per il colonnello del reggimento e quelle per i comandanti delle compagnie del litorale. ASFi, Segreteria di guerra (1747-1808), 168, ins.54, cc.n.n.

Istruzioni concernenti il Governo militare di LivornoSua Altezza Reale in aggiunta al motuproprio de’ 6 aprile passato con cui fu elet-to il suo consigliere intimo attuale di Stato cavalier Francesco Seratti alla carica di governatore della città e porto di Livorno, dichiara che spetterà al medesimo il comando di tutto il littorale non solo per ciò che spetta alla Sanità, ma anche alla Neutralità, alla conservazione e rispetto della giurisdizione sovrana, a’ regi diritti, alla navigazione, ed alla pesca, ed avrà il comando sopra tutti i presidi del detto littorale nel modo istesso che gli è stato attribuito sopra la guarnigione di Livorno.Ordina pertanto e vuole che rispetto al detto comando militare si osservi quanto appresso.1. Saranno resi al detto governatore gl’onori militari da tutti i corpi di guardia

della guarnigione, e presentar l’armi.2. Avrà una sentinella alla sua abitazione che sarà rilevata ogn’ora dalla gran

guardia.3. Tutti i corpi che compongono la guarnigione di Livorno, all’eccettuazione

della compagnia d’artiglieria dovranno mandarli un’ordinanza giornalmente.4. Dalla segreteria degl’affari militari gli sarà rimessa mensualmente la parola,

che spedirà ogni giorno per mezzo del suo aiutante a tutti i copri componen-ti la guarnigione di Livorno, e sarà sua cura di passarla ogni mese ai presidi marittimi che sono sotto il suo comando.

5. I comandanti, ed uffiziali de’ respettivi corpi compreso quello della marina di guerra anderanno ogni domenica dal governatore al solito rapporto,ed in tale occasione darà personalmente la parola al maggiore del reggimento regio toscano, al maggiore della Piazza, ed agl’altri capi dei corpi di guarni-gione. E per mezzo del suo aiutante spedirà la parola e gl’ordini agl’aiutanti dei sudditi corpi come vien prescritto sopra all’articolo quarto.

6. I comandanti de’ corpi forniranno ogni giorno il contingente determina-to da’ veglianti regolamenti per la guarnigione della piazza ed inoltre quel numero di gente che sarà richiesto dal governatore per qualche occorrenza straordinaria.

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7. Tutta la truppa impiegata nella guarnigione o in comando alle occorrenze straordinarie, compresi gli uffiziali, dipenderà intieramente e sarà sotto la giurisdizione del governatore, durante la respettiva guardia o fazione.

8. Gli uffiziali addetti alla guarnigione, compresi i comandanti de’ corpi, non potranno assentarsi e pernottar fuori senza la permissione del governatore.

9. Sarà nell’intiera dipendenza del governatore il maggior di Piazza aggregato ed a suo tempo il maggiore del reggimento, per ciò che concerne le funzioni di mag-giore della Piazza, come pure tutti gl’uffiziali che potessero essere addetti alla medesima, e sarà addetto intieramente al governatore l’aiutante del comando.

10. Saranno pure addetti al medesimo per uso della segreteria del comando, e della marina, il foriere Luigi Valori, che Sua Altezza Reale dichiara segretario del detto comando con l’assegnamento fisso di lire cento il mese, ed il quar-tiere che occupa al presente, senza altra gratificazione, pensione, stipendio o emolumento come foriere; e Vincenzio Scotti con lo stipendio che ritira attualmente ed avrà facoltà di destinare un qualche soggetto del reggimento reale toscano in aiuto del Valori, occorrendo e proporrà quella gratificazione che convenga accordargli.

11. Saranno consegnati al governatore tutti i fogli riguardanti il servizio della guarnigione, e degl’altri corpi a lui sottoposti, che possono ritrovarsi appres-so al comandante militare interino.

12. Potrà il governatore servirsi anche degl’uffiziali del reggimento real toscano, e di altri corpi che non siano attualmente di guardia, per mandar compli-menti secondo le istruzioni o per altre occorrenze.

13. Apparterà al governatore ordinare i distaccamenti che venissero richiesti o bisognassero per il teatro, o per qualunque funzione sacra, o profana.

14. La gran guardia dovrà mandargli i soliti rapporti firmati dall’uffiziale della medesima, delle persone che entrano o escono di Livorno, e di quant’altro succede a tutti i posti di guarnigione, come pure il rapporto della forza gior-naliera delle respettive guardie.

15. Ogni settimana i comandanti de’ corpi componenti la guarnigione dovranno dare al governatore un rapporto in scritto della forza del respettivo corpo.

16. Le chiavi della città resteranno sempre in consegna dell’uffiziale della gran guardia, ma le porte non potranno aprirsi straordinariamente senza il previo ordine del governatore, o di chi in assenza o impedimento del medesimo sarà incaricato del Governo civile.

17. Tutte le altre chiavi delle sortite o porte segrete dovranno pure esser custo-dite nella detta gran guardia, in un armadio, di cui riterrà le chiavi il gover-natore.

18. Oltre la guarnigione di Livorno dipenderanno intieramente dal governatore e nel modo stesso prescritto di sopra all’art.7 i castellani, e capi-posti ed i presidii del littorale e quegli dell’isola del Giglio e della Gorgona.

19. Apparterrà in conseguenza al governatore la proposizione a Sua Altezza Reale per la nomina de’ castellani e cappellani.

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20. Dovrà avere regolatamente ed anche straordinariamente tutti i rapporti di ciò che passa a detti respettivi posti.

21. Dovranno i castellani e capi-posti mandare ogni mese al governatore il rap-porto del consumo delle munizioni e di quant’altro abbisognasse ai posti, acciò siano dati gl’ordini opportuni al Commissariato di guerra per il rim-piazzo e per quant’altro possa occorrere. E dovendo il governatore aver tutta l’ispezione sopra ciò che riguarda il buono stato, ed armamento delle torri ed altri posti marittimi il commissario di guerra di Livorno eseguirà gl’ordini che da lui gli verranno dati, il che però non farà il governatore se non per le cose ordinarie, o ne’ casi urgenti, e che non lasciano il tempo di rappresen-tare e spedir gl’ordini di Sua Altezza Reale dai respettivi dipartimenti.

22. Non si farà dai comandanti dei corpi cambiamento alcuno relativamente agl’individui componenti i detti presidj, ed a tutt’altro concernente il servi-zio delle torri senza la di lui approvazione.

23. Dovrà esser sempre informato dello stato delle fabbriche, quartieri e delle torri, per essere in grado di dare o procurare gl’ordini per i necessari risarci-menti.

24. Ogni mese i comandanti, castellani e capiposti dovranno mandarli una ta-bella della sola forza componente la respettiva guarnigione, perché riscontri se ogn’una di esse abbia quel quantitativo di individui che è prescritto dai veglianti regolamenti.

25. Sarà nelle sue facoltà ordinare che sieno permutati dai predetti presidj quei soggetti che si mostrassero negligenti nel loro dovere, che fossero di distur-bo agl’altri o disobbedienti ai loro superiori.

26. I comandanti delle compagnie di Pisa, Pietrasanta, Campiglia, Grosseto, e isola del Giglio ed il governatore di Portoferraio eseguiranno secondo il soli-to tutti gl’ordini che saranno loro dati dal governatore per tutto ciò che con-cerne la custodia e difesa del littorale, della pubblica salute, della neutralità, della sovrana giurisdizione, dei regi diritti, e la navigazione e la pesca.

27. Il Bagno dei forzati dipenderà intieramente dal governatore.28. Ogni volta che la truppa di Livorno o parte di essa, dovrà sortire per l’eser-

cizio a fuoco, esecuzione di sentenze, o altre cose simili, dovranno i coman-danti dei respettivi corpi passarne l’avviso al governatore per di lui notizia.

29. Il corpo della marina di guerra dipenderà dal governatore come capo della medesima, e come quello appresso al quale risiede l’alto comando a forma dell’istruzioni e ordini veglianti, e starà sempre appresso al medesimo un’or-dinanza anche di detto corpo.

30. Dovrà inoltre il governatore corrispondere con quello di Portoferraio, per tutto ciò che concerne il distaccamento che occorra mandare in detto por-to.

31. Il regolamento interno e la disciplina di detto corpo spetterà all’uffiziale in comando sotto la dipendenza di detto governatore.

32. Per il Governo civile di Livorno si regolerà il governatore a forma degl’or-

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dini veglianti e specialmente delle Istruzioni del primo ottobre 1746, e 26 aprile e 5 luglio 1774.

33. In caso di assenza o impedimento del governatore, il comando della guarni-gione di Livorno passerà nel colonnello del reggimento, o nell’uffiziale più anziano di maggior grado. Quello del littorale passerà parimente in detto colonnello o uffiziale più anziano come sopra, e per ciò che riguarda affari di Sanità1 seguiteranno ad esser rimessi all’auditore consultore, il quale spedirà gl’ordini ai respettivi capitani come per il passato.

Il comando poi della marina e della compagnia d’artiglieria, passerà nei respetti-vi comandanti interni di detti corpi, quali dovranno intendersela con il sud-detto auditore consultore, come si è detto di sopra per il littorale. Nel quale caso di assenza del governatore, l’auditore consultore rimane incaricato dal Governo civile come pro-governatore; e la guarnigione di Livorno, la marina di guerra, e la compagnia d’artiglieria dovranno eseguire tutti gl’ordini che gli verranno dati per quello che possa interessare gl’oggetti concernenti il politico, e civile, e che sono enunciati nell’art.26.

34. Tale è la sovrana volontà e vuole che le presenti istruzioni siano pienamen-te osservate in tutte le sue parti, ed ha ordinato che siano firmate dal suo consigliere intimo attuale di Stato e di finanze, e primo direttore delle dette segreterie, e sottoscritte dal segretario della segreteria degl’affari militari.

Date in Firenze li 13 giugno 1789. Antonio Serristori, Cavaliere Maffei segre-tario.

documento 9Progetto d’IstruzIonI Per IL governatore e L’audItore

deL governo e deLLa cIttà, Porto e gIurIsdIzIone dI LIvorno, con osservazIonI e ParerI (1816)

Si mettono a raffronto i seguenti documenti: «Progetto d’Istruzioni per il rego-lamento delle attribuzioni del governatore e dell’auditore del governo e della città, porto e giurisdizione di Livorno nelle materie di polizia ed in qualunque altra materia», di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno al presi-dente del Buon Governo, Aurelio Puccini, da Firenze, in data 9 febbraio 1816; «Osservazioni sul Progetto, e modificazioni che si propongono», redatte da Au-relio Puccini, in data 10 febbraio successivo; altro «Parere» s.a e s.d. ma della segreteria di Gabinetto sulle proposte dell’auditore e del presidente del Buon Governo. Tutto in ASFi, Segreteria di Stato (1814-1849), 42, prot.8, ins.34.

1 Appare in questo punto annotato in una nota a margine al documento: «Variazione del 18 luglio 1789: Giurisdizione sovrana, regi diritti, pesca, seguiteranno ad esser rimessi tanto dai capitani che dai castellani e capiposti del littorale all’auditore consultore, il quale spedirà gl’ordini ai medesimi come per il passato”.

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Progetto d’Istruzioni di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno, del 9 febbraio 1816

Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

1. Il governatore di Livorno nella sua qualità di governatore civile, ha la direzione del governo politico di tutta la giurisdizione nel modo che appresso.

Dall’art 1 al 9 non si riscontra niente da osservare.

1. Il governatore è il capo del Governo locale per il politico, l’amministrativo e per qualunque ramo di pubblica inspezione ed invigila che quanto a tutti abbiano esecuzione le leggi, ordini ed istruzioni veglianti.

2. Debbe far presente all’Imperiale e regio Governo tutto quello che può conferire al bene generale, con facoltà di prendere nelle cose che non ammettono dilazione le provvidenze istantanee che giudichi convenienti, sentito prima l’auditore del governo e renderne quindi conto.

2. Egli è perciò anche il capo della polizia tanto governativa che municipale, ed i decreti economici tanto per le gravi che per le lievi misure si pronunziano in suo nome dal tribunale.

3. Debbe provvedere a tutti quei mezzi che possono facilitare il commercio che si fa nel Paese dai sudditi e dagli esteri e procurare di mantenerlo sempre nel più florido stato.

4. Debbe sostenere in tutte le occasioni le prerogative del porto, e la giurisdizione ed i diritti sovrani senza permettere che per la parte dei consoli o delle nazioni estere sia attentata alcuna innovazione.

5. Gli affari con i consoli dovranno esser trattati dal governatore in voce e mai in scritto.

6. Neppure dovrà il governatore mescolarsi nelle vertenze che insorgessero tra i consoli, ed altre persone particolari, e molto meno nelle dispute fra console e console in rapporto alle loro qualità consolari, dovendo di tutto dar conto all’imperiale e regio Governo.

7. Dovrà il governatore procurare di evitare, quanto è possibile, qualunque motivo di controversia con i consoli e con le nazioni estere residenti in Livorno.

8. I consoli debbono farsi invitare dal governatore alla funzioni pubbliche in occasione di nascite di sovrani o di altri felici avvenimenti.

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Progetto d’Istruzioni di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno, del 9 febbraio 1816

Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

9. Gli ordini che si partono o direttamente dalle imperiali e regie segreterie o da altri dipartimenti di Firenze, come per regolamento generale, o provvedimenti speciali per riparare ad oggetti di pubblico bisogno, o di direzione migliore interna nell’uffizio, siano diretti dal soprasindaco della camera delle comunità, o dall’amministrazione generale delle regie rendite, o dal soprintendente dell’uffizio delle revisioni,e sindacati, agli uffizi e capi dei dipartimenti dai medesimi dipendenti nella città e giurisdizione di Livorno, dovranno egualmente essere comunicati al governatore.

10. Sarà cura del governatore d’invigilare sull’osservanza di tali ordini, di eccitarla e di darne conto all’Imperiale e regio Governo per il canale dei respettivi dipartimenti superiori, ed anche delle regie segreterie, e di tenere per il detto effetto e con i dipartimenti suddetti e con quelli di Livorno l’opportuna corrispondenza non meno che di farsi anche prender conto delle operazioni.

All’art.10 pare che convenga rivolgere la vigilanza del governatore anche sugl’impiegati delle respettive amministrazioni, e che debbono essergli comunicati i respettivi motupropri di nomine.

11. Dovrà il governatore rappresentare quanto occorre a Sua Altezza Imperiale e Reale per il canale delle regie segreterie sugli inconvenienti ed abusi di servizio di qualunque dipartimento, come sulle provvidenze più convenienti alle circostanze del commercio e della popolazione di Livorno.

12. Nella dipendenza del governatore sono i due spedali di Sant’Antonio per gli uomini e della misericordia per le donne. L’amministrazione dei medesimi è riunita nella persona di un commissario regio, il quale deve dare ogni anno lo Stato attivo e passivo di essi da rimettersi alla regia segreteria di Stato.

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Progetto d’Istruzioni di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno, del 9 febbraio 1816

Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

13. Sotto la dipendenza del governatore pure sono i due luoghi pii, cioè la Casa dei poveri mendicanti (che è un conservatorio di femmine) e la Casa del Refugio (che è un conservatorio di maschi stabilito principalmente per iniziare i giovani alla navigazione). Queste due case continueranno ad essere amministrate da un provveditore e da un sotto-provveditore dipendenti da una congregazione composta dal governatore, come presidente, e di diversi altri soggetti fino a dodici nominati da lui.

14. Il governatore ed il presidente del consiglio di Sanità stabilito col rescritto sovrano de 21 dicembre 1814, e come tale gli ordini per l’esecuzione delle risoluzioni come le proposizioni da farsene all’imperiale e regio governo secondo le circostanze debbono essere spedite in suo nome.

15. E’ nelle facoltà del governatore di fare aprire le porte della città in tempo di notte per le occorrenze del governo, e del servigio pubblico o per qualche importante spedizione o arrivo di corriere per interesse dei negozianti.

16. In nome del governatore saranno pubblicati gli editti pretori, notificazioni per dopo che saranno commessi e approvati dall’auditore del governo.17. Il governatore ha la soprintendenza alla polizia della città, molo e fossi di Livorno, di concerto coll’auditore del governo.

Li art 16, 17 e seguenti si ridurrebbero in questa forma: Art.16 - in forza delle attribuzioni sopra espresse s’intende bene che il governatore soprintende anche alla polizia materiale della città, del molo e dei fossi di Livorno.art. 17. Li editti pretori, e le notificazioni sopra oggetti di polizia locale o altri che vengono commessi dall’Imperiale e regio Governo saranno pubblicati in nome del governatore.

18. L’auditore del governo averà nelle materie di polizia per tutta la giurisdizione del governo di Livorno oltre la competenza attribuita ai vicari Regi dai regolamenti veglianti e tutte le altre attribuzioni di che si tratta nell’art.49 della riforma dei tribunali, e magistrati toscani de 13 ottobre 1814, la facoltà di poter mortificare colla carcere fino a giorni dieci, e colle staffilate.

art.18. Per la composizione dei detti editti e notificazioni, come sopra ogni oggetto importante di polizia e di amministrazione governativa, il governatore sentirà sempre il parere dell’auditore del governo, che sarà in tutti gli affari il suo consultore ordinario.

3. L’auditore del governo è il suo consultore ordinario in tutte le materie, anche per gli affari che gli vengono rimessi per il parere dalle regie segreterie e dai dipartimenti della capitale.

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Progetto d’Istruzioni di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno, del 9 febbraio 1816

Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

19. Tutti gli atti e verificazioni in materia di polizia saranno formati, come lo è stato finora nella cancelleria criminale dell’auditore del governo ed allorché le circostanze dei casi sembreranno di meritare in via economica mortificazioni superiori alla carcere per giorni dieci o alle staffilate, gli atti predetti saranno rimessi dall’attuario con spoglio all’auditore il quale ne darà conto col suo parere al governatore, che potrà condannare alla carcere anche per un mese ed all’esilio dalla sua giurisdizione per mesi sei.

art.19. Nelle assenze del governatore l’auditore del governo ne adempirà interinalmente le funzioni.

4. Nelle materie di polizia quando al governatore non piacesse di assumerne egli stesso la cognizione, potrà l’auditore risolvere da se stesso, fatte dal tribunale le consuete verificazioni a forma degli ordini veglianti tutti gli affari che non richiamano che a semplici misure di savia prevenzione, o a mortificazioni non eccedenti la carcere per dieci giorni, le staffilate, e le multe fino alle lire dieci, ed allorché richiameranno a misure o mortificazioni superiori dovrà dar conto degli affari col suo parere al governatore, che potrà decretare la carcere fino a un mese, l’esilio fino a sei mesi dalla città, e capitanato, e le multe fino alle lire cento, commettendone sempre l’esecuzione al tribunale.

20. Il governatore dovrà far tenere nella sua segreteria in buona forma un protocollo d’affari economici nel quale con ordine e numero progressivo dovrà far registrare tutti gli affari di tal natura risoluti con le sue competenze con far riportare in ciascheduno qualsia stato il parere dell’auditore del governo.

art.20. I decreti di competenza della potestà economica tanto per le leggiere, che per le gravi mortificazioni, si pronunzieranno sempre dal tribunale in nome del governatore.

5. L’auditore terrà il suo protocollo di polizia, come vien prescritto dagli ordini veglianti, e terrà quello per le proprie risoluzioni il governatore. l’auditore sottoporrà il suo tutte le settimane al visto del governatore, ed il protocollo del governatore verrà rimesso all’imperiale e regio Governo ad ogni richiesta che ne sia fatta per il canale della presidenza del buon governo.

21. Le risoluzioni del governatore saranno da esso rimesse all’auditore del governo, il quale ne commetterà l’esecuzione all’attuario suddetto, che sarà il primo o il secondo cancelliere criminale.

art.21. L’auditore del governo però, ferma stante la disposizione dell’articolo precedente potrà direttamente risolvere colle sue facoltà tutti gli affari economici che non portano ad una punizione maggiore della carcere per dieci giorni, delle staffilate e della multa di lire 10 e potrà trasmettere tutti i precetti che per misura di savia vigilanza e di prevenzione dei delitti sono nelle competenze dei vicari regi a forma dei veglianti regolamenti, come a tutte le misure di polizia, che a forma dei detti regolamenti sono nelle competenze dei vicari regi.

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Progetto d’Istruzioni di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno, del 9 febbraio 1816

Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

22. Il primo cancelliere criminale tutte le settimane ne formerà il suo rapporto al presidente del Buon Governo, dettagliandovi non solo tutte le risoluzioni economiche prese dall’auditore del governo colle sue competenze, ma ancora quelle date dal governatore con avvertire se ve ne sono ed inoltre tutto quello che è avvenuto nel corso della settimana, con quel più che crederà di aggiungere sullo spirito e sui bisogni del Paese e su ciò che può meritare l’attenzione del governo e dei provvedimenti governativi.

art.22. Terrà un protocollo di tutti i decreti, che in ordine alle facoltà del precedente articolo verranno dal medesimo pronunziati e lo sottoporrà settimana per settimana al visto del governatore.

23. Questo rapporto dovrà dal cancelliere passarsi all’auditore del governo che potrà seguitarlo o farvi le aggiunte ed osservazioni che giudicherà convenienti. La trasmissione alla presidenza sarà fatta dall’auditore del governo.

art.23. Tutti gli atti e verificazioni in materia di polizia verranno formati, come è stato praticato sin qui nella cancelleria del tribunale criminale del governo, ed allorchè resulterà che le misure da applicarsi ai respettivi casi in via economica eccedano le facoltà come sopra accordate all’auditore, col suo parere egli ne darà conto al governatore che potrà procedere alle risoluzioni convenienti fino alla carcere per un mese e all’esilio dei sudditi per sei mesi dalla città e capitanato di Livorno, e alle multe sino alle cento lire.

24. Detto rapporto sarà disteso come prescrivono i regolamenti e gli ordini veglianti.

art.24. Il governatore terrà nella sua segreteria un protocollo di tutte le risoluzioni che egli prenderà con le facoltà dell’articolo precedente, e vi sarà notato allorché sia difforme il parere dell’auditore. Questo protocollo sarà tenuto con ordine e numero progressivo di giorno in giorno e verrà firmato dal governatore e potrà dall’imperiale e regio Governo esserli richiesto per il canale della presidenza del Buon Governo.

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Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

25. Il presidente del Buon Governo sul ricorso delle parti potrà sospendere nel concorso di gravi circostanze l’esecuzione delle risoluzioni del governatore, e reputando conveniente di moderarle o in altro modo variarle, ne darà conto a Sua Altezza Imperiale e Reale.

art.25. Tutte le settimane l’auditore del governo procurerà che venga compilato il solito rapporto settimanale nel quale osservate tutte le forme e prescrizioni stabilite dagli ordini veglianti, verranno dettagliate tutte le risoluzioni in ogni rapporto prese da esso o dal governatore con le respettive facoltà, e tutto ciò che potrà interessare lo spirito ed i bisogni del Paese, ed ogni avvenimento meritevole d’interessare l’attenzione del governo, o di richiamare qualche provvedimento governativo: questo rapporto verrà dal medesimo passato al governatore, che vi farà le aggiunte ed osservazioni che reputerà convenienti, e lo rimetterà quindi alla presidenza del Buon Governo per gli usi consueti.

6. Per le misure di polizia, salve quelle comandate dall’urgenza, che per il miglior servizio saranno sempre nelle facoltà del governatore, come per le mortificazioni superiori alle notate nell’art.4, gli affari verranno col sentimento del governatore partecipati alla presidenza del Buon Governo, colla quale il governatore corrisponderà sul di più che può occorrere nelle materie di polizia, e di Buon Governo.

26. All’occorrenza dei casi nei quali si richieda l’applicazione di misure economiche più forti delle sopraenunciate di competenza del governatore, dovrà esserne reso conto al presidente del Buon Governo cui ne spetta la risoluzione o ulteriore conveniente partecipazione.

art.26. Nel sistema delle presenti istruzioni procedendo l’auditore quasi con facoltà delegata dal governatore potrà questo, se lo crede, nelle particolare circostanze dei casi risolvere direttamente anche gli affari della minor competenza dell’auditore, sentendo però sempre il di lui parere e notandolo nei protocolli e nei rapporti settimanali, se in specie fosse difforme.

7. Dalle risoluzioni in via economica del Governo di Livorno, potranno gl’interessati aver ricorso alla detta presidenza del Buon Governo, che qualora creda per urgentissima circostanza poter meritare una sospensione ne darà conto a Sua Altezza Imperiale e Reale e parteciperà le risoluzioni convenienti.

27. Prima per altro devono compilarsi gli atti verificativi occorrenti della cancelleria criminale dell’auditore del governo, e quindi rimettersi col parere di questi e del governatore. Questa remissione potrà farsi o dal governatore o dall’auditore del governo.

art.27. Dalle risoluzioni del governatore potrà aversi ricorso alla presidenza del Buon Governo che nel concorso di urgenti circostanze potrà sospenderne l’esecuzione sino a nuova cognizione di causa.

28. Dal presidente del Buon Governo si faranno al predetto auditore che si dirigerà al medesimo per tutti gli schiarimenti che possono occorrerli, le partecipazioni degli ordini di polizia.

art 28. Allorché le circostanze dei casi meriteranno l’applicazione di punizioni o misure superiori alle facoltà del governatore, l’auditore ne darà sempre conto al medesimo, ed egli unendovi il suo parere ne farà partecipazione alla presidenza del Buon Governo per attenderne la risoluzione per il canale della detta presidenza, colla quale corrisponderà sul di più che può concernere la polizia ed il buon governo.

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Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

29. L’auditore del governo sottoporrà mensualmente al detto presidente le note delle spese del bargello, le altre tutte di polizia, di forniture di carceri per l’approvazione.

art.29. Le presenti istruzioni non portano alcuna alterazione ai regolamenti stabiliti sul movimento delle carceri e su tutto ciò che riguarda la parte amministrativa delle spese di giustizia, e di polizia, specialmente nei rapporti della corrispondenza col regio fisco.

30. L’auditore del governo a forma del prescritto nella citata riforma ha la superiorità di direzione dei processi ordinari criminali, e corrisponderà in questa materia col presidente della Ruota criminale di Firenze.

art.30. Il governatore per altro invigilerà che questa parte amministrativa sia trattata nell’interesse della regia finanza, e degli ordini veglianti, e le note di spese del capitano del bargello come tutte le altre di spese di giustizia verranno sottoposte all’auditore che vi apporrà il suo visto prima di accompagnarle alla presidenza del Buon Governo o al regio fisco nei congrui casi.Così si attaccherebbe all’art.30 del- l’istruzioni che diventa perciò il 31.

31. Il primo cancelliere criminale sotto la dependenza diretta dell’auditore medesimo avrà la direzione subalterna nelle cause suddette, come l’ha avuta in passato ne farà la partecipazione alla detta Ruota, con cui corrisponderà per dette cause e per ciò che può concernere questa direzione.

32. Dirigerà pure detto cancelliere sotto la dipendenza predetta la cancelleria criminale, per ciò che riguarda la distribuzione dei processi ai coadiutori, e nel caso di qualunque disobbedienza o disordine, ne darà conto all’auditore del governo, cui apparterrà il provvedervi ed al quale spetterà di fare tutte quelle proposizioni al presidente del Buon Governo che reputerà opportune, ed utili per il miglior bene del servizio.

33. L’auditore del governo in aumento delle incombenze giudiciarie espresse nella citata riforma, e sopraenunciate, sarà ai termini della riforma predetta e secondo la sua istituzione il consultore del governatore in tutte le altre materie, nelle quali il governatore non potrà mai prima di risolverle o proporle lasciare di prendere il parere dell’auditore predetto e senza obbligo di seguitarlo, dovrà darne conto colla sua proposizione.

L’art 33 può divenire inutile per avervi supplito sufficientemente l’art 18 sopra trascritto.

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Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

34. Dovrà il detto auditore intervenire allo squittinio dei mezzani, per regolare la tassa dei medesimi.

35. Spetterà all’auditore del governo la revisione delle stampe.

Si aggiungerebbe all’art 35 dopo la parola «stampe», «come delegato del governatore».

36. Sarà nelle di lui facoltà come lo è sempre stato in conseguenza degli ordini sovrani de 10 dicembre 1780 l’accordare per mezzo della Dogana di Livorno i salva-condotti ai forestieri, sentito prima chi reputava conveniente.

Si aggiungerebbe dopo l’art. 36 il seguente:«Sarà nelle facoltà del governatore sentito l’auditore del governo, di accordare i salvacondotti ai condannati per un mese».

8. Salvacondotti

37. Dovrà intervenire invitato alle adunanze comunitative, del Magistrato di Livorno quando si tratti di affari straordinari individuati nei regolamenti comunitativi.

38. Apparterrà al medesimo anche nella qualità del giudice privativo delle cause di regalia, e del fisco, e come ministro di polizia, l’esame delle pratiche usate dai rappresentanti la comunità di Livorno, in rapporto all’idoneità dei ministri del Monte pio e gli altri impiegati di pubblici stabilimenti.

39. Dovrà intervenire col suo cancelliere civile all’estrazione dei numeri del giuoco del lotto.

40. Sarà nelle facoltà dell’auditore del governo di servirsi alle occorrenze degli impiegati della segreteria del governo, come per le ingerenze della sua cancelleria civile, che ha bisogno d’aiuti dei ministri della cancelleria del magistrato civile e consolare.

41. E finalmente dovrà uniformarsi in tutti gli altri ordini ed agli usi che sono attualmente in vigore relativamente alle di lui attribuzioni.

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Progetto d’Istruzioni di Gian Paolo Serafini, auditore del governo di Livorno, del 9 febbraio 1816

Osservazioni e modificazioni proposte da Aurelio Puccini, presidente del Buongoverno, 10 febbraio 1816

Parere della segreteria di Gabinetto

42. Apparterranno tassativamente al nuovo magistrato civile e consolare di prima istanza di Livorno tutti gli affari contenziosi e giudiziali civili e commerciali dei quali parla nel titolo 5 della rammentata riforma dei 13 ottobre 1814 senza che il medesimo possa mescolarsi in altre ingerenze qualunque siansi.

L’art.42 si reputa inutile del tutto perché suppliscono abbastanza le leggi pubblicate.

43. Nei casi d’assenza o impotenza dell’auditore del governo, dovrà supplire alle di lui incombenze il presidente del magistrato civile e consolare.44. Il governatore nella qualità di governatore militare ha il comando generale della piazza e della truppa di Livorno, e del littorale, non meno che quello dell’imperiale e reale marina.45. Il commissario di guerra deve dipendere e corrispondere col governatore sugli oggetti ed articoli tutti riguardanti il servizio.46. Goderà il governatore di tutti gli onori, prerogative, e privilegi dei quali ha goduto fin qui.

47. E tanto in questa quanto nella qualità di governatore civile restano fermi in tutto il rimanente gli ordini e le pratiche che sono attualmente in vigore, e che determinano le attribuzioni del governatore, tanto in proposito dei rapporti sanitari , di sicurezza, d’ornato pubblico, rurali, ed altri, quanto in riguardo al comando della darsena, porto, littorale e della costa sottoposta alla sua giurisdizione.

Sui rimanenti articoli non restano osservazioni da farsi.

9. Rapporti

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documento 10IstruzIonI aL governatore dI LIvorno (1816)

Istruzioni impartite al governatore Francesco Spannocchi, emanate il 14 febbraio 1816. ASLi, Governo, lettere civili, 104, cc.n.n., e ibidem, Auditore del Governo di Livorno (1814-1847), 1, cc.517r-525r.

Istruzioni per il governo di LivornoIl governatore civile e militare di Livorno estende la sua vigilanza su tutti gli og-getti interessanti il buon servizio tanto nei rapporti civili che militari.Ferme stanti le sue attribuzioni e tutte le sue incumbenze a forma del sistema stabilito, e praticato avanti il cessato Governo francese, egli, come capo del Go-verno, riunisce principalmente alle dette sue attribuzioni quella della polizia tanto governativa che amministrativa della città, molo, e fossi di Livorno.L’auditore del governo è il suo consultore ordinario ed il governatore per quanto nelle sue proposizioni o nelle sue resoluzioni possa recedere dal voto consultivo di detto auditore, ciò nonostante in tutti gli affari che o si spediscono o che deb-bono parteciparsi, non potrà dispensarsi dal sentire l’auditore del governo il di cui voto in scritto sarà sempre di corredo agli affari che rimangono in posizione nell’archivio, o che dal governatore si rimettono informati, o alle imperiali e regie segreterie, ovvero agli altri dipartimenti superiori.Quantunque il governatore nei casi di urgenza e che non ammettono dilazione possa adottare, sentito l’auditore del governo, quelle misure che esige il buon or-dine, con tutto ciò per massima generale egli in materia di polizia dovrà riportarsi alla direzione del presidente del Buon Governo.E siccome l’auditore del governo nell’attuale ordine di cose riunisce anche le fun-zioni che si esercitavano in addietro dall’auditore vicario, così spetterà al detto auditore del governo di dare le occorrenti disposizioni per la compilazione degli atti economici, e per la verificazione dei fatti interessanti la polizia.Il resultato di questi atti, e verificazioni sarà dallo stesso auditore partecipato col suo parere al governatore, il quale avrà facoltà di decretare la mortificazione della carcere fino ad un mese, l’esilio fino a sei mesi dalla città di Livorno, e suo capi-tanato, e le multe fino alle lire cento, e nel caso di oggetto di maggior rilievo ne renderà conto al presidente del Buon Governo col suo parere e con quello del-l’auditore, ed il presidente ne comunicherà la resoluzione, partecipando l’affare all’imperiale e regio Governo, qualora ecceda le sue facoltà.Quanto poi agli affari che possono meritare una coercizione più mite per disba-razzarne il governatore, ne è rilasciata direttamente la cognizione all’auditore del governo come delegato, il quale avrà facoltà di condannare alla carcere per un tempo non più lungo di otto giorni, alle staffilate ed alle multe non maggiori di lire dieci.I decreti di condanna e respettive notificazioni o che la resoluzione sia sanzionata dal governatore, o che emani direttamente nei respettivi casi dall’auditore del

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governo, dovranno essere sempre pronunziati e notificati dal tribunale in nome del governatore.Da tali risoluzioni non vi sarà altro ricorso se non che al presidente del Buon Governo, che potrà ordinarne la sospensione o modificazione secondo le circo-stanze.Nella segreteria del governo dovrà tenersi un protocollo delle risoluzioni econo-miche, da cui resulti il titolo della condanna, e se sia stata conforme la risoluzione al voto dell’auditore del governo. Altro protocollo dovrà tenersi dallo stesso au-ditore del governo per gli affari risoluti colle sue facoltà, dei quali darà conto al governatore settimanalmente, rimettendo al suo visto il detto protocollo.Copia degl’indicati protocolli dovrà essere rimessa in ciascun mese alla presiden-za del Buon Governo.Gli editti e notificazioni che occorresse pubblicare in materia di polizia, ovve-ro di amministrazione governativa dovranno essere sempre preceduti dal parere dell’auditore del governo, ogni volta che tali editti o notificazioni non siano sta-ti antecedentemente approvati dall’imperial e regio governo, a cui specialmente quando si tratti di notificazione o altre disposizioni da pubblicarsi con le stampe dovrà per sistema parteciparsi la minuta, sempre che non si tratti di affari urgenti, che non ammettono dilazione.Sarà nelle facoltà del governatore, sentito l’auditore del governo, di accordare i salvicondotti ai condannati per un mese.L’auditore del governo per tutti gli affari che richiedono il suo voto e che appar-tengono alla segreteria del governatore, potrà valersi degl’impiegati in detta segre-teria nel modo stesso che praticavasi nel tempo passato. L’auditore del governo dovrà intervenire allo scrutinio dei mezzani per regolare la tassa di essi.Al medesimo come delegato apparterrà la revisione delle stampe ben inteso però che l’approvazione per la stampa dovrà essere accordata dal governatore.La cancelleria del tribunale sarà intieramente dependente e di essa avrà la direzio-ne l’auditore del governo, cui il primo cancelliere e gli altri ministri dovranno dar conto di tutto ciò che riguarda l’andamento degli affari tanto ordinari che econo-mici e spetterà all’auditore la distribuzione delle incumbenze tra i detti ministri.Le note delle spese del bargello e di tutte le altre di giustizia verranno sottoposte all’auditore che vi apporrà il suo visto prima di accompagnarle alla presidenza del Buon Governo, o al regio fisco nei congrui casi.Spetteranno finalmente allo stesso auditore del governo tutte quelle attribuzioni che competevano all’auditore vicario prima della soppressione di un tale impiego, salve e preservate le competenze giudiciarie del tribunale civile e consolare.Restano fermi nel rimanente gli ordini e le pratiche che sono attualmente in vigo-re, e che determinano le attribuzioni del governatore nei diversi rapporti, cui deve dirigersi l’ispezione del capo superiore, il quale in qualunque caso è autorizzato a rappresentare al real Governo tutto ciò che possa influire ad ottenere per parte del ministro e degl’impiegati l’esatta esecuzione degli ordini e regolamenti veglianti. Li 4 febbraio 1816. Neri Corsini, Gian Battista Nomi.

indice dei nomi

Acciaioli, Angelo (o Agnolo), governatore di Livorno, 64, 67-74, 83, 318

Accolti, marcello, 41Addobbati, Andrea, 63, 81, 112Aglietti, marcella, 32, 74, 90, 97, 101, 105,

110, 113, 178, 180, 181, 216, 259, 260, 263, 264

Aguirre, isabel, 6Alberti (degli), Vincenzio, 14, 120, 123,

135, 154, 158, 159, 162-164, 168, 169, 177, 179, 180, 184

Altieri magliozzi, ezelinda, 18Ambrosoli, Filippo, 198Angiolini, Franco, 32, 49, 54, 68, 80Annibaldi Biscossi, Teodoro, governatore

di Livorno, 312, 313, 319Ansaldi, Francesco, 46Antinori, Gaetano, 111, 113, 172Arrighi, isabella, 255Asburgo, carlo V, imperatore, 18-20Asburgo, carlo Vi, re di Spagna, 82Asburgo, Ferdinando ii, imperatore, 51Asburgo, Filippo iii, re di Spagna, 38Asburgo, Filippo iV, re di Spagna, 80, 82Asburgo, maria maddalena detta d’Au-

stria, 49, 323Asburgo-Lorena, Ferdinando iii, grandu-

ca di Toscana, 203, 221, 222, 224, 262Asburgo-Lorena, Ferdinando iV, grandu-

ca di Toscana, 204Asburgo-Lorena, Leopoldo ii, granduca

di Toscana, 223, 229, 267, 269, 270, 275, 276, 278, 279, 283, 285, 288, 291, 293-297, 301, 303, 308, 312

Asburgo-Lorena, Pietro Leopoldo, gran-duca di Toscana, e imperatore come

Leopoldo ii, 14, 28, 118, 127, 129, 131, 133-135, 137, 138, 143, 149, 150, 151, 160, 162, 164, 168, 181, 182, 190, 202, 262

Ascheri, mario, 6, 12, 24Assirelli, Angiolo, 299, 305, 306, 319

Bacic, nada, 6Baciocchi, Felice, 236, 271Baggiani, daniele, 90, 101Baille, Francesco, 170Balbi de caro, Silvana, 68Baldasseroni, Giovanni, 288Balleri, Rita, 106Banti, ottavio, 86Baragli, Antonio, 215Barbero, Alessandro, 10Barbolani da montauto, Bartolomeo, 49Barbolani da montauto, Federigo, gover-

natore di Siena, 24Barbolani da montauto, Federigo, gover-

natore di Livorno, 14, 160-170, 184, 189, 194, 196, 318

Barbolani da montauto, Francesco maria, 160

Barbolani da montauto, Giulio, governa-tore di Livorno, 49-53, 55, 56, 63, 83, 318, 323

Bardi, Ferdinando, segretario di guerra, 56, 62, 74-77, 79

Bargagli, Luigi, governatore di Livorno, 311, 312, 319

Bargagli, Scipione, governatore di Livorno, 297, 300, 319

Barisoni, Ugolino, 40, 41Barsanti, danilo, 49, 205, 302

354

Bartolini Baldelli, Luigi, 203 Bartolini, Stefano, 37, 203Baruchello, mario, 36, 38, 55, 82, 116,

307Becheroni, Gaspero, 210Benavides, Francesco, conte di Santiste-

ban e vicerè di napoli, 81, 82Bencivenni già Pelli, Giuseppe, 149-151Benvenuti, Ranieri, 131, 210, 217Bergonzi, Gianpietro, 290Bernardini, Luciano, 305Bernardoni, Fabrizio, 87, 88, 151, 182Bertini, Franco, 24, 88, 236, 247, 268, 293,

296, 300, 301, 304-307Betri, maria Luisa, 15Betti, domenico, 150Bianchi, Giulio, 242Bisogni, Fabio, 24Bitossi, carlo, 17, 87Bitthauser, matteo, 307Bologna, Giovanni, 12, 17, 66, 201, 220,

269, 271, 283, 286, 289, 291, 292Bonaparte, carlo Luigi napoleone, napo-

leone iii come re di Francia, 312Bonaparte, Giuseppe, 217Bonaparte, napoleone, 205, 236, 269, 271Boncompagni, carlo, 312, 313Bonfini, Girolamo, 106Bonifacio, Gaetano, 34Bonsini, Francesco, 126Borbone Parma, Lodovico i, re d’etruria,

206, 211, 212, 213, 215Borbone, carlo iii, re di Spagna, 92, 110Borbone, Ferdinando iV, re di napoli, poi

Ferdinando i re delle due Sicilie, 204Borbone, maria Luisa, regina d’etruria,

213, 216, 217, 219, 258, 261, 264Borroni Salvadori, Fabia, 477Bosi da modigliana, Lodovico, 41Botta Adorno, Antonio, 118, 126, 127,

130, 131, 171, 173Bottieri, Antonio, 269Bourbon del monte, Filippo, governatore

di Livorno, 13, 14, 23, 86, 105, 107, 118-120, 123,-135, 137-140, 142-148, 153, 156, 159-163, 165, 167, 171-173, 175, 177-179, 189, 198, 208, 241, 318, 329

Bracelli, Francesco, 53, 54Braudel, Fernand, 32Breccia, Alessandro, 237, 251Brichieri colombi, Giovanni domenico,

167Brignole, Paolo, 138Brignosa (Abrunhosa), Jacopo, 51Bruno, Anton Giovanni, 305Buzzaccherini da Pisa, Fazio, 18, 19

calamai, Giuseppe, 183cámara muño, Alicia, 19cambray digny (de), Luigi, 263canessa, Ugo, 107cantini, Luigi, 32, 180, 182capelle, Guillaume, 219, 220capelli, Anna, 306capponi, Gino, capitano e cavaliere stefa-

niano, 90capponi, Gino, ministro e presidente del

consiglio, 278, 301, 302 capponi, Giuliano Gasparo, governatore

di Livorno, 5, 57, 61, 90-103, 106, 179, 318

capponi, Piero, governatore di Livorno, 59, 70, 318

caricchio, mario, 6carpanini, Giuseppe, 278, 285, 286, 291carrillo de Albornoz, José, conte (poi

duca) e generale di montemar, 96, 97carvajal, Antonia, 51casini, Bruno, 49, 181, 218, 232, 275, 277,

311castelnuovo, Guido, 10castignoli, Paolo, 6, 35, 37, 44, 50, 87,

164castrillo (de), diego, 80cavaniglia, cesare, 34cecchini, Bianca maria, 205cempini, Francesco, 262, 274, 294cepparelli, Rocco, 71, 73, 74cerbone cerboni, 271cervoni, Patrizio, 73charny (de), vedi orléans emanuelchiaromonte, Umberto, 302chiavistelli, Antonio, 221, 223, 264, 290,

301

355

chittolini, Giorgio, 18ciano, cesare, 15, 27, 43ciappelli, Giovanni, 222cicognini, marcantonio, 45, 46cini, marco, 305cioli, Andrea, 46, 56ciotta, famiglia, 264cipriani, domenico, 263cipriani, Leonetto, 300ciuffoletti, Zeffiro, 112, 114colao, Floriana, 64, 195colon, carlotta, 236colon, Pietro, 236conti, Fulvio, 220contini Bonaccorsi, Alessandra, 12, 108,

110, 118, 156, 195, coppi, Antonio, 302coppi, Giacinto, 56, 79, 318coppini, Romano Paolo, 6, 207, 211, 236,

240, 261, 265, 288, 299corral (de), Lucas, 20correa Ballester, Jorge, 10corsini, neri (di Bartolomeo), 267, 269,

278-282, 284, 285, 287, 288, 291-293corsini, neri (di Tommaso), governatore

di Livorno, 278-296, 312, 319corsini, Tommaso, 278, 280, 281, 284,

294covoni, Pierfilippo, 209, 216

da Passano, mario, 40dal Borgo, Saladino, 271dal Pane, Luigi, 112, 307danelon Vasoli, nidia, 300d’Angelo, famiglia, 259d’Angelo, michela, 37, 68, 194dani, Alessandro, 12danzini, Alessandro, 312dauchy, edouard, 219, 220d’Auria, elio, 15de Benedictis, Angela, 17de corny, Guillemin, 119, 123de Filippi, famiglia, 245de Gramatica, Raffaella, 205de Scisciolo, Angelo, 6de Turicque, Luigi, 123de Lavillette, Jacopo, pro-governatore di

Livorno, 203, 205, 206, 208, 210-217, 264, 319

del Borro, marco Alessandro, governato-re di Livorno, 62, 75, 77-79, 81, 83-88, 116, 318

del col, Andrea, 37del Fantasia, Giovanni maria, 91del monte, Bartolomeo, governatore di

Livorno, 48, 49, 318, 323del monte Bourbon, Filippo, vedi Bour-

bon del nero, Alessandro, governatore di

Livorno, 89, 179, 318del Signore, Filippo, 269della Stufa, Angelo maria, governatore di

Livorno, 59, 318della Stufa, Sigismondo, 156, 164, 167dell’Agata Popova, doriana, 37dell’Antella, niccolò, 46demi, emilio, 305di nasso, S., 56, 57di noto, Sergio, 62, 85di Renzo Villata, Gigliola, 195 diaz, Furio, 19, 27, 106, 110, 114, 206 dinelli, Laura, 305dini, Giovan Battista, 34donati, edgardo, 222donolo, Luigi, 204drei, Giovanni, 215, 217droandi, Giovanni, 77du mesnil, Alessandro, 123, 124ducci, Feliciano, 243dufraisse, Roger, 208

edigati, daniele, 15, 32, 62engels, marie-christine, 37, 68, 69erculani, orazio, 46espinosa, Giovanni Francesco, 92

Fabroni, Pietro, 207, 212, 260Fabroni, Vincenzo, 207, 212, 260Falconcini, Giovanni, 236, 238, 239, 240,

245, 246Farinola, famiglia, 85, 259Fasano Guarini, elena, 12, 24, 26, 45, 64,

73, 167, 258, 261Felici, Angelo, 201

356

Ferrara degli Uberti, carlotta, 224Ferroni, Gaspero, 273Filippi, famiglia, 245, 259Filippini, Jean Pierre, 15, 37, 68, 82, 89,

114, 203, 220Finelli, Pietro, 302Fortini, cesare, 269, 270Fossombroni, Vittorio, 206, 207, 222, 228,

229, 235, 236, 238, 240, 269, 278, 284Franceschini, Assunto, 120, 128, 135, 160Francia, enrico, 297, 300, 310Ascanio, Salvatore, 92Frattarelli Fischer, Lucia, 6, 31, 32, 37, 38,

68, 80, 83, 87, 107, 112Frecci, Francesco, 306Fruci, Gian Luca, 301Frullani, Leonardo, 200, 203, 222, 228,

229, 235Funaro, Liana elda, 204, 205, 232

Galasso, cristina, 51Galeotti, Leopoldo, 294, 295Galimi, Valeria, 301Galluzzi, Riguccio, 38, 81Galvani, Francesco, 53Garavini, Tommaso, 46García Hernán, david, 36García Trobat, Pilar, 10Garzoni Venturi, Paolo Lodovico, governa-

tore di Livorno, 236-242, 244-257, 263, 265, 267-270, 279-281, 292, 294, 319

Gemignani, marco, 44, 49Gianni, Francesco maria, 136, 184, 213,

261, 262Gilkens, Pietro ernesto, 192, 199, 200,

201Ginori, carlo maria, governatore di Livor-

no, 13, 14, 105-118, 120, 121, 129, 130, 139, 148, 151, 160, 162, 163, 189, 222, 241, 318, 326, 329, 331

Ginori, Francesco, 109Ginori, Giuseppe, 109Ginori, Lorenzo, 109, 116Giorgini, Gaetano, 237, 302Giuntini, Andrea, 296Giusti, Giacomo, 68Giusti, Giuseppe, 191, 198

Gondi, Giuseppe, 69, 70, 76, 77Gori, massimo, 80Gori Pasta, orsola, 106, 134Gravier, Peter, 174Greco, Gaetano, 35, 207Guarducci, Giovanni, 305Guarnieri, Gino, 38, 112, 220Guerrazzi, Francesco domenico, 267, 294,

301, 302, 303, 304, 309Guerrieri, Aldo, 35, 38Guinigi magrini, Lelio, 300

Harding, Robert, 10Hénart (de), Lorenzo, 108Hendrik Riemer, Lars, 306Hiarce (de), Pietro, 113Humbourg, Alessandro, 240Humbourg, Jean evangeliste, 143Hurtado de mendoza, diego, 23Hurtado de mendoza, Lope, 20

inghirami, Jacopo, governatore di Livorno, 44-50, 55, 56, 318

Jackson, carolina, 269

Kroll, Thomas, 265, 278, 285, 292, 293

La Farina, Giuseppe, 297, 298, 302Landi, Pier Luigi, 296Landi, Sandro, 201Landucci, Leonida, 305-307Lapi, Giovanni, 60, 65Lardarell (de), conte, 282Latterer de Lintenburg, Franz, 307Lazzarini, maria Teresa, 70Lenzi, marco, 30, 288Le Prestre, Sébastien, marchese de Vauban,

80Lévy, Lionel, 37Longland, charles, 69Lorena (di), cristina, 49, 323 Lorenzi, famiglia, 259, 263LoRomer, david, 307Losi, Simonetta, 23Lotti, Luigi, 300Luna (de), Juan, 19, 20

357

mac mahon (de), duca di magenta e mare-sciallo di Francia, 123

maccioni, migliorotto, 269machiavelli, niccolò, 44macrì, Antonio, 235, 291macry, Paolo, 300maffei, Gherardo, 107, 120, 163, 185, 188,

189, 190mafrici, mirella, 91, 97, 194maggi, mariano, 136magnani, Tommaso, 260magri, nicola, 42malavolti del Benino, orlando, 260maldini chiarito, daniela, 15malenchini, Vincenzo, 312manadori, Francesco, 46mancini, Augusto, 108, 302manganaro, Giorgio, governatore di Livor-

no, 304, 319mangani, Vincenzio, 210mangiarotti, Anna, 80mangini, Adolfo, 38mangio, carlo, 6, 16, 39, 56, 82, 90, 100,

106, 112, 131, 148, 156, 167, 169, 179, 190, 192, 196, 201, 202, 205, 206, 210, 211, 257

mannini, Brunello, 42maraffi, Francesco, 77marchi, Vittorio, 107marcocci, Giuseppe, 51mariscotti, orlando, 23marongiu, Antonio, 22marrara, danilo, 6, 12, 24, 26, 87, 88, 181,

257martelli, Antonio, governatore di Livorno,

34, 36, 40-42, 44, 61, 317, 318, 321, 322

martelli, Francesco, 51martellini, famiglia, 245, 273martini, Bartolomeo, 12, 157, 169, 198,

200, 215martini, Vincenzio, 87, 88, 182, 218marzagalli, Silvia, 220marzucchi, Gelso, 296mascilli migliorini, Luigi, 106, 206massei, carlo, 304massetto, Gian Paolo, 195

mattei, domenico, governatore di Livor-no, 208, 212, 217, 218, 219, 220, 279, 319

matteoni, dario, 32mazzanti, Renzo, 39mazzoni, Giuseppe, 135, 303mecacci, enzo, 205méchoulan, Henry, 182medici, Alessandro, duca di Firenze, 18,

19, 32medici, cosimo i, granduca di Toscana,

19, 20, 21, 23, 24, 27, 32, 33, 36, 51, 54, 60, 62

medici, cosimo ii, granduca di Toscana, 42, 44, 47, 48, 324

medici, cosimo iii, granduca di Toscana, 51, 64, 76, 77, 80, 85, 87, 122

medici, Ferdinando, figlio di cosimo iii, 88

medici, Ferdinando i, granduca di Toscana, 33, 36, 38, 87, 44

medici, Ferdinando ii, granduca di Toscana, 50, 51, 53, 58, 59, 60, 63, 70, 77, 80, 323

medici, Francesco i, granduca di Toscana, 33, 34

medici, Gian Gastone, granduca di Toscana, 89, 92, 95, 98, 99, 100

medici, Giovanni, marchese di Sant’Ange-lo, governatore di Livorno, 59, 72, 83, 318

medici, Lorenzo, 56medici, Pietro, figlio di cosimo i, 51 medici, Pietro, governatore di Livorno,

51, 52, 72, 83, 318medici, Raffaello, governatore di Livorno,

56, 77, 78, 79, 83, 173, 318, 324, 325mendoza (de), Francisco, 23mercati già neroni, Jacopo, 106, 318mesny, Leopoldo, 264 metternich (von), Klemens, 202michon, famiglia, 223, 245miele, Alberto, 81migliorini Bertuccelli, Anna Vittoria, 116mineccia, Francesco, 112, 213, 220minerbetti, Anna maria, 109minerbetti, Antonio, 109

358

minerbetti, orazio, 109miniati, miniato, 64, 67, 74, 75miollis (de), Sextius-Alexandre-François,

219mittermeier, Karl, 306mochi, Antonio Giuseppe, 292mochi, Benedetto, 88molitoris, consigliere di Stato del granduca

Francesco Stefano di Lorena, 123montanelli, Giuseppe, governatore di

Livorno, 294, 301-303, 319montauto, vedi Barbolanimontemagni, coriolano, 82, 179montemar, vedi carrillo,montesquieu, charles-Louis de Secondat,

barone de La Brède e de montesquieu, 142

montorzi, mario, 32mori, F.A., 270, 272, 275mori, Giorgio, 81, 296mori, Simona, 156moroni, Andrea, 278mozzi, Giulio, 216, 217murat, Gioacchino, 205, 209, 215, 220, 236

neri, Pompeo, 40, 110, 118, 126, 129, 139, 142-145, 147, 149-151, 178, 329

niccolini, Angelo, 23niccolini, michele, 211nobile (de’), Lodovico, 204nomi, Alessandro, 60nomi, Giovan Battista, 222, 231, 234, 352nubola, cecilia, 52nudi, Giacinto, 32

o’Kelly, Jérôme, 123olivier, Jean-Baptiste, 214, 215orléans (de), emanuel, conte di charny,

92-95 orléans (de), margherita Luisa, 76orsilago, Pietro, 19ossola, carlo, 69

Padoa Schioppa, Antonio, 195Pagano de divitiis, Gigliola, 68Panciatichi, Francesco, segretario di guerra,

37, 84, 85, 87

Pandolfini, domenico, segretario di guerra, 27, 60, 61, 65-74, 102

Pandolfini, Filippo, governatore di Livorno, 63-67, 70, 83, 318

Pandolfini, Roberto, 13, 123, 132Pansini, Giuseppe, 60, 73, 110, 134, 195Paoli, Francesco, 235, 251Paoli, Tommaso, 319Paolini, Gabriele, 301Papi, maria Lia, 35Pasquier, Juan, 19, 20Passarelli, Gaetano, 37Passerini, Luigi, 53, 106, 278Paver, Giuseppe, 260Pazzagli, carlo, 264Pecci, Francesco, 130, 134Pecci, Vittoria, 189Pellettier, famiglia, 245Pelli Bencivenni, Giuseppe, 149, 150, 151Pensa, Giovanni, 215Pensabene, Valentina, 39Pérez núñez, Jesús, 10Peruzzi, Jacopo, 59Peruzzi, Ubaldino, 312Peschiera, Giovanni, vedi Pasquier, JuanPesendorfer, Franz, 269, 300Pfütschner, Karl, 119, 123Piazza, cesare, 105Piazza, Vincenzo, 46Piccolomini, Tommaso, 149, 150, 151, 204,

205, 220, 267, 269, 270, 272, 275, 276Pierallini, Francesco Giuseppe, 14, 105,

107, 116, 120, 125, 128, 129, 133, 135, 136, 139, 140-144, 154-164, 166, 170, 180, 184-193, 195-199, 241, 318, 326

Pigli, carlo, governatore di Livorno, 302-304, 319

Pilli, Lorenzo, 113Piombanti, Giuseppe, 38Piqué, Lodovico, 217, 239, 240, 280Popkin, Richard H., 182Prato, Pietro Bernardo, 75, 202Prini, carlo, 99Prosperi, Adriano, 5, 49Puccini, Aurelio, 222, 223, 225, 227, 228,

230-232, 235, 341-350

359

Quartieri, Lorenzo, 92, 147, 269, 271, 282Quazza, Guido, 91Querci, Stefano, 149, 150, 151Quilici, Giovan Battista, 251, 252

Rabatta (del), Antonio, 18Raffaelli, Bartolomeo, 260Ragnoni, Paolo, 243Restoni, Gesualdo, 235Rezasco, Giulio, 17Ribeira (de), cristofano, 34Ricasoli, Bettino, 312, 313Ricasoli, Giovanni, 160Riccardi, cosimo, governatore di Livorno,

60, 65, 72, 318Richecourt (de) emmanuel, conte di nay,

110, 111, 114, 115, 118Ricoveri, clarice Violante, 160Ricoveri, Francesco maria, 160Ricuperati, Giuseppe, 182Ridolfi, Antonio, 59Ridolfi, cosimo, 278Ridolfi, elisabetta, 59Riemer, Lars Hendrik, 306Rinuccini, carlo, 89-101, 179Rinuccini, eleonora, 280Ripoli, edoardo, 301Risaliti, Alessandro, 40Romano, Ruggero, 32Rombai, Leonardo, 12, 24, 112, 114Ronchivecchi, Primo, 30, 306, 307, 309,

310Rosenberg, Franz, 129, 130, 154, 165Rospigliosi, Giuseppe, 221, 222Rucellai, Giulio, 13, 147Ruiu, Antonio, 26

Salvatici, Silvia, 10, 301Salvestrini, Arnaldo, 265Salvi, Francesco, 251Salvi, Gaetano, 304, 305, 319Samminiatelli, donato, 302Sanacore, massimo, 6, 15, 131, 204, 205,

232Sánchez-Gijón, Antonio, 19Santisteban, vedi BenavidesSaraff, michele, 264

Sardi, Pietro, 111Savoia, Vittorio emanuele, 312, 313Sbriccoli, mario, 15Schmidveiller (di), Luigi, 164, 168, 198Sciuti Russi, Vittorio, 111Segni, Francesco, 209Segni, mariotto, 19Serafini, Gian Paolo (o Paolo), 223, 225-

228, 231, 250, 259, 341-350Seratti, Agostino, 58Seratti, Francesco, governatore di Livorno,

12, 14, 58, 107, 154, 160-162, 164, 166-168, 170, 172, 175, 182-185, 188-193, 195-197, 199-204, 238, 274, 318, 326, 334, 338

Sergardi, Achille, 27, 71, 72, 270Serristori, Antonio, ministro in età lore-

nese, 159, 160, 169, 186-191, 195, 198, 200-203, 338, 341

Serristori, Antonio, governatore di Livorno, 73-76, 77, 86, 122, 318

Serristori, Luigi, 30, 288, 291, 294Serristori, Tommaso, 75, 122Sforza, Ludovico detto il moro, 212Silva (de), Andrés, 81Silva y escosía (de), manuel, 205Silva y Grunembergh (de), duarte o

eduardo, 109, 131Siminetti, niccolò, 133, 139, 140, 178Simonelli, Tommaso, 259, 260Simoni, Luca, 46Simonpieri caroccioli, maddalena, 263Simonutti, Luisa, 182Soccioli, dionigi, 41Sodini, carla, 79Sordi, Bernardo, 182, 225, 257Spadolini, Giovanni, 313Spannocchi Piccolomini, Francesco, gover-

natore di Livorno, 204-206, 220-222, 225, 229, 231, 232, 236, 238, 239, 243, 245, 262, 263, 268, 269, 279, 319, 351

Spannocchi Piccolomini, Giovanni, gover-natore di Livorno, 267-278, 279, 280, 281, 319

Spannocchi Piccolomini nei Sergardi, Giulia, 270

Spreti, Vittorio, 74

360

Sproni, famiglia, 239, 259, 263Sproni, Ferdinando, 137, 183, 270, 289Sproni, Giuseppe, governatore di Livorno,

296, 297, 319Stefani, Girolamo, 135, 136, 150Strasoldo di Villanova, Rambaldo, 160Strozzi, Ferdinando, 217, 264Stumpo, enrico, 68

Taddei, elena, 45Talentoni, Filippo, 52, 53Talentoni, Lelio, 46, 53, 54Tangheroni, marco, 32, 63Tanucci, Bernardo, 111, 118Tartini Salvatici, Ferdinando, governatore

di Livorno, 301, 319Thompson, Allen d., 112Tirelli, Vito, 208Tiribilli-Giuliani, demostene, 74Tognarini, ivan, 220Toledo (de), eleonora, 23Toledo (de), Francisco, 23Tommasi, Anna, 137, 269Tornaquinci, Giovan Antonio, 14, 107,

111, 112, 113, 116, 179Tornaquinci, mario, governatore di Livorno,

88-90, 179, 318Torrigiani, Lucrezia, 60Tosi, Lorenzo, 269Touissaint, Francesco Giuseppe, 119Trecci, Francesco, 299Trivellato, Francesca, 101, 112Turi, Gabriele, 190

Urquijo Goitia, José Ramón, 10

Vaccari, olimpia, 32, 174Van Voss, Lex Herma, 52Vauban, vedi Le PrestreVenturi, Antonio, 319

Venturi, ippolito, 236Verdier, Jean-Antoine,0 213, 215, 216Verga, marcello, 64, 70, 80, 88, 110, 111,

182Verrazzano (da), Bartolomeo, 53Verrazzano (da), Francesco, 53Verrazzano (da), Lisabetta, 53Verrazzano (da), Lodovico, governatore di

Livorno, 53, 59, 72, 83, 318Verrazzano (da), nicolò, 53Vettori, Alessandro, 65Vezin (de), michele, 170Vigo, Pietro, 86Villani, Stefano, 37, 68, 69, 74, 174Vinta, marcello, 41Viola, corrado, 15Visceglia, maria Antonietta, 70 Vitelli, Alessandro, 19Viti, eugenio, 305Viviani, Luigi, 62, 118Viviani, niccolò, 237Viviani, Ugo, 302Vivoli, carlo, 12, 18, 19, 38, 43, 51, 59, 76,

79, 87, 90, 134Volpi, Alessandro, 236, 237Volpini, Paola, 10Volterra, Giovanni, governatore dell’armi

e delle bande di Livorno, 34-36, 44 Volterra, nadal, 35

Wachtendonck (von), Karl Franz, 98, 99Wall, Ricardo, 109

Zamora Rodríguez, Francisco Javier, 81Zangheri, Luigi, 103Zappelli, Alessia, 182Zarrilli, carla, 205Zobi, Antonio, 204, 252, 288, 292, 312Zorzi, Andrea, 12, 62Zuliani, dario, 195

INDICE

Premessa 5Tavoladelleabbreviazioni 7

Capitolo primo profilo storiCo istituzionale del governatore di livorno 9 1.Un«ufficio»difficiledadefinire 9 2.Lefontieilmetodod’indagine 11 3.Ilruoloistituzionaledeigovernatorinellalungadurata 17

Capitolo seCondo il governo di livorno in età mediCea 31 1.TraCinqueeSeicento.Leoriginidellacittà edelsuoGoverno 31 1.1.I primi governatori di Livorno 31 1.2.I governatori livornesi, i Medici e l’Ordine di Santo Stefano 54 1.3.«Essendo tanto necessario per assicurare il nostro buon servizio»: il governatore di Livorno si fa in due 58 1.4.Ascesa ed affermazione del potere dei governatori di Livorno 74 2.IlSettecentomediceo:ladifesadelleprerogative governatoriali 88

Capitolo terzo

il governo di livorno nel setteCento lorenese 105 1.Primeriforme,nuovepreoccupazionievecchiediatribe 105 2.L’etàdiPietroLeopoldo 131 2.1. Cronaca di uno scontro. La crisi del modello mediceo 131

362

2.2.Tra forza e tutela: il rapporto dei governatori con gli abitanti di Livorno 171 3.GlianniNovanta:governareLivornotrapoliziae consenso 184

Capitolo Quarto

il governo di livorno nell’ottoCento lorenese 207 1.La«dispiacevoleescabrosasituazione»deigovernatori diLivornoduranteilregnod’Etruria 207 2.LaRestaurazione:continuitàetrasformazioni 220 2.1. Quale ritorno alla «normalità»? 220 2.2. Verso un nuovo sistema di governo 236 2.3. La conquista dello status patrizio: governatori, oligarchie e dinamiche di potere 257 3.GliultimigovernatoridiLivorno 264 3.1.Dagli anni Trenta al Quarantotto 264 3.2.Dal Quarantotto all’Unità d’Italia: l’epilogo 295

appendiCi

AppendiceI-IgovernatoridiLivorno:unosguardod’insieme 317AppendiceII-Idocumenti 321- Patente di nomina di Antonio Martelli, primo governatore della città di Livorno (1609) 321- Patente di nomina di governatore della giustizia di Giulio Barbolani di Montauto (1621) 323- Regolamento del Governo civile e militare di Livorno (30 ottobre 1672) 324- Regolamento per la giurisdizione tra i governatori dell’armi e di giustizia di Livorno (1672) 325- Istruzioni al governatore civile di Livorno, Carlo Ginori, e al barone Henart, per il militare (1746) 326- Istruzioni per il governatore e l’auditore di Livorno (1774) 329- «Relazione dei ministri componenti il Governo di Livorno, loro incumbenze e facoltà» (1779-1780) 334- Istruzioni per il Governo militare di Livorno (1789) 338- Progetto d’istruzioni per il governatore e l’auditore del governo e della città, porto e giurisdizione di Livorno, con osservazioni e pareri (1816) 341- Istruzioni al governatore di Livorno (1816) 351

Indicedeinomi 353

Finito di stampare nel mese di marzo 2009in Pisa dalle

EDIZIONI ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

[email protected]

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