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DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA CALABRIA RIVISTA STORICA CALABRESE MAURIZIO C. A. GoRRA - MAru:usA MoRRONE Un coperchio di sarcofago figurato da Castelvetere-Caulonia: problemi di identificazione e reimpiego N.S. ANNO XXVIII (2007) -NUMERI l - 2

Un coperchio di sarcofago figurato da Castelvetere-Caulonia: problemi di identificazione e reimpiego

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DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA CALABRIA

RIVISTA STORICA CALABRESE

MAURIZIO C. A. GoRRA - MAru:usA MoRRONE

Un coperchio di sarcofago figurato da Castelvetere-Caulonia: problemi di identificazione e reimpiego

N.S. ANNO XXVIII (2007) -NUMERI l - 2

MAURIZIO C. A. CORRA - MARILlSA MORRONE

UN COPERCHIO DI SARCOFAGO FIGURATO DA CASTELVETERE-CAULONIA:

PROBLEMI DI IDENTIFICAZIONE E REIMPIEGO

1. Il Sarcofago: problemi di identificazione

Nella chiesa dell'Arciconfraternita del SS. Rosario di Caulonia1,

tra gli altri pezzi erratici provenienti da opere artistiche collocate nella stessa chiesa e smontate nel corso dei secoli, si conserva un frammento di lastra di copertura di un sarcofago marmoreo2 bianco

1 Un doveroso ringraziamento va all'Arciconfraternita del SS. Rosario di Caulonia, in particolare al vice Priore Franco Amato e al confratello Franco Cannizzaro, per le riprese fo­tografiche del pezzo e per la disponibilità nel fornire notizie e documenti tratti dall'Archivio della stessa Arciconfraternita.

2 Il pezzo, realizzato in marmo bianco, (misure: cm 98x67x8) è mutilo della sua parte in­feriore e tagliato su lutto il lato destro, per consentirne il riuso come lastra tombale, capo­volto rispetto all'originario uso. Presenta un foro sul dorso della mano destra e una spessa grappa conficcala al di sotto dello bo sini siro dell'orecchio della figura rappresentata. Tut­ta la superficie marmorea appare disseminala di macchie e varie incroslazioni.

Il lato posteriore è il risultato di un riuso e presenta, inquadrato in una cornice incisa e centrala nelle nuove dimensioni assunte dalla lastra marmorea, una cornice araldica, sor­montata da una corona nobiliare e recante al centro un monogramma.

Sono presenti sulla superficie di questo lato posteriore, due grossi anelli in ferro perla ri­mozione della stessa lastra.

Sul piano è scolpita a rilievo una figura femminile giacente, con abiti di stretta foggia spagnola di moda alla fine del X fii sec. La grande e sontuosa veste, che si impreziosisce ul­teriormente con una grande catena formala da piastre larghe e piastre più piccole quadri­lobate raccordate tra loro da piccoli globi e che dopo tre giri giunge fin sotto il petto, si apre su corte e ampie maniche da dove fuoriescono braccia, a loro volta, coperte da maniche ade­renti e strette ai polsi e terminanti in un armonioso incrocio di mani. Le mani, dalle dita af­fusolate e leggermente distanziate tra loro, si adagiano una per una sulla parte dell'abito che copre il ventre e reggono un fazzoletto terminante con nappe; solo il pollice destro scom­pare sotto la piega del fazzoletto.

Una aristocratica gorgiera nasconde la gola e si armonizza al volto rasserenato dalla

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con l'immagine di una donna scolpita a bassorilievo (fig. 1 )3 •

Una tradizione locale attribuisce questa lastra ad una non meglio precisata "tomba della principessa'\ e la pone in relazione ad una donna della famiglia Carafa, feudatari della cittadina, antica Castel­vetere5.

Una recente ricognizione del pezzo, avvenuta in occasione della sua esposizione in una mostra temporanea6, ha consentito a chi scrive di formulare ipotesi sulla identificazione del personaggio, sulla datazio­ne del pezzo e sulle vicende che portarono allo smembramento della sepoltura con il conseguente riutilizzo della lastra.

morte. Il capo appare mutilo dalla fronte in su, per il taglio operato alfine del reùnpiego del pezzo, e sembra volere affondare nell'elegante ed elaborato cuscino intessuto con delicati fio­rellini di campo e terminante agli angoli con vistose nappe.

Alla luce dei dettagli dell'abbigliamento, dell'acconciatura della figura, e della resa scul­torea, il pezzo si data alla fine del XVI sec. (scheda a cw·a di Gustavo Cannizzaro e Marilisa Morrone).

3 Della lastra è stata pubblicata un'immagine con un breve commento da R. M. CAcuo­STRO, Le arti figurative nella provincia reggina in epoca barocca, in Sacre Visioni. Il patri­monio figurativo nella provincia di Reggio Calabria (XVI- XVIII secolo), a cura di R. M. CA­cuosTno- C. NosTno- M. T. SonRE'.'TI, Roma 1999, p. 112. L'autrice ritiene il pezzo uno scar­so prodotto di una bottega locale e lo data al XVII secolo.

4 La tradizione, ancora oggi viva nel centro, è riportata da D. PROTA, Ricerche storiche su Caulonia, Roccella Jonica 1913, p.p. 169-170. cfr. anche G. C\.\\IZZARO, Itinerari caulonie­si, Locri 1999, p. 45.

5 Castelvetere, antico e grosso centro della Calabria Ultra, sito sul versante jonico, tra le fiumare Allaro e Amusa, fu per lungo tempo a capo dello Stato feudale dei Carafa della Spi­na, e fin dal 1531 , vi fu incardinato il titolo di Marchese, concesso a Giovanni Battista per il sostegno alle imprese militari dell 'Imperatore Carlo V. Anche dopo la concessione al Marche­se di Castelvetere Fabrizio Carafa del titolo principesco (1595) incardinato sulla limitrofa Roccella, la cittadina continuò ad essere la residenza principale dei principi eli Roccella, tan­to che i rampolli della casata nascevano nel locale Castello e venivano battezzati nella Chie­sa Protopapale di S. Maria la Cattolica, di juspatronato degli stessi feudatari. Sulla succes­sione feudale, cfr. M. PELLICA.'>O CASTAGM, Storia di feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, vol. I, s.v. Castelvetere, Catanzaro 1996, pp. 40-45; sui bauesiini. dei rampolli Carafa, m. , Noterelle da vecchi libri parrocchiali e alli notarili, in Scritti storico nobiliari, Chiaravalle Centrale, 1996, pp.14-15. Sulle vicende familiari e storiche dei Carafa nello Stato di Roccel­la e Castelvetere, si vedano: B. ALD~1ARI , Ilistoria Genealogica della Famiglia Carafa, Napo­li 1693; R. FuoA, Formazione ed immagine di uno Stato Feudale, Gioiosa Jonica 1995; V. NAn1o, Uno stato feudale nella Calabria del Cinquecento. La Platea di Giovanni Battista Carafa marchese di Castelvetere e Conte di Grotteria, Gioiosa Jonica 2005.

6 Si tratta della Mostra La Dinastia dei Carafa e lo Stato di Roccella , a cura di Marilisa MoiTone, allestimento di Marò D'Agostino, abbinata al Convegno organizzato dalla Deputa­zione eli Storia Patria per la Calabria, Lo stato feudale dei Carafa di Roccella, Roccella Jo­nica, ex Convento dei Minimi, 1-2 dicembre 2007.

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La ricostruzione archeologico-documentaria è potuta avvenire gra­zie al consistente apporto della discipline documentarie della storia. Il convergere di esse ha permesso la piena realizzazione di quella interdi­sciplinarietà metodologicamente necessaria all'analisi storica in gene­rale, ma ancor di più, dei manufatti nello specifico; e in questa, l'Aral­dica, grazie al contributo di M. C. A. Corra contenuto in questo lavo­ro, ha potuto dare un apporto fondamentale per la completa lettura ar­cheologica, storica, artistica, genealogica e araldica del manufatto.

La lastra, come specificato nella scheda tecnico-descrittiva alla no­ta 2, ha subito un pesante intervento di riduzione in altezza ed in lar­ghezza, tanto che la figura ne risulta fortemente mutilata. Ma l'inter­vento più significativo si riscontra sul retro, dove è presente uno pseu­do-stemma inciso sulla superficie piana, sormontato da una corona nobiliare in rilievo (fig. 2). Tale particolare, accuratamente descritto e valutato nella scheda araldica (vedi in fra), induce a pensare che il pezzo, una volta smontato, sia stato reimpiegato per ben due volte: la prima volta per la scultura di uno stemma nobiliare in bassorilievo, la seconda volta per incidervi uno pseudo-stemma, risultato dallo spia­namento dell'arma a bassorilievo; di questa, è stata risparmiata la co­rona allo scopo di un suo riutilizzo nella composizione para-araldica seriore. La riduzione di spessore della lastra è testimoniata anche dal fatto che la grappa ancora infissa in essa è concepita per contenere un maggiore spessore del materiale marmoreo. Risulta perciò evidente come la lastra originaria a bassorilievo sia stata reimpiegata rovescia­ta, con conseguente sacrificio della parte artisticamente scolpita.

Nel primo reimpiego la lastra sembra essere stata collocata per una visione frontale; la presenza del foro sulla mano e della spessa grap­pa ancora in situ sotto il lobo auricolare destro della figura a bassori­lievo, evidenziano la necessità occorsa, di fissare la lastra ad un'altra superficie; il tutto verosimilmente lascia presupporre un suo utilizzo nell'ambito di una composizione murale, quale potrebbe essere stato un cenotafio o un altare gentilizio.

7 Si vedano le considerazioni di M. C. A. Corra, infra, dove è sottolineato come la corona a bassorilievo non abbia segni di usura, perciò la lastra non fu utilizzata come copertura di una sepoltura terragna.

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Il secondo reimpiego della lastra, invece, è molto più caratterizza­to, per la presenza dei due grossi anelli per il sollevamento della stes­sa: si tratta certamente di un riuso come lapide tombale, inserita nel pavimento della chiesa.

Ambedue le volte, il pezzo si è adattato all'intento di esporre in bel­la vista l'arma gentilizia o il simbolo parlante di una famiglia.

Ritornando all'originaria destinazione della lastra, ovvero come sarcofago a bassorilievo, l'analisi stilisti ca della figura muliebre, la particolare foggia delle vesti, il modello compositivo, il confronto con le coeve realizzazioni artistiche, hanno permesso a Gustavo Cannizza­ro (autore insieme alla scrivente della scheda didascalica, contenuta nella nota 2, che ha accompagnato il pezzo in Mostra), a datare alla fine del XVI secolo il sarcofago.

Da queste premesse, risulta evidente come i problemi scaturiti dal­l'analisi autoptica e artistica del pezzo, siano quelli delle tre ricostru­zioni: prima del sarcofago, poi dello stemma per l'ipotizzato altare gentilizio, quindi della tomba con lo pseudo-stemma.

Il sarcofago non era sfuggito all'attenzione della letteratura locale che ne attribuiva l'appartenenza di sicuro ad una donna di casa Ca­rafa, ma sulla scorta di altre fonti documentarie, l'aveva destinata ad accogliere le spoglie ora di Livia Spinelli8 , consorte del II marchese di Castelvetere, Girolamo I, ora di Giulia Tagliavia d'Aragona9, nuora di costei in quanto moglie del I principe della Roccella Fabrizio I, mor­ta nel 1621w.

8 La notizia è tiportata in A. 0PPEDISAXO, Cronistoria della Diocesi di Gerace, Gerace 1934, p. 257; anche c~\"i\lZZARO, Itinerari .... 45, si avanza l'ipotesi che la donna ritratta sia la Marchesa Livia Spinelli, fondatrice del Convento.

9 PROTA, Ricerche storiche ... 170. La notizia, tratta da una disposizione testamentaria di Giulia Tagliavia d'Aragona, è da rigettare, in quanto la disposizione contiene la volontà del­la testatrice di essere seppellita nella chiesa conventuale dei Cappuccini (ibidem .. 131 ), che però sorge ben extra-moeni.a, nel luogo dove nel XIX sec. fu realizzato l'odierno Cimitero di Caulonia. Nuovi dati archeologici, con l'apporto di altri elementi araldici, tuttavia, lasciano pensare ad una collocazione della tomba della prima principessa di Roccella insieme al con­sorte Fabrizio, nella chiesa Matrice della stessa Castelvetere, di juspatronato dei Principi. È in corso di preparazione uno studio della scrivente sull'argomento.

10 I dati della morte della I principessa di Roccella, in D. SI!M•1À, I Carafa principi di Roc­cella, in corso di pubblicazione nel volume di Atti del Convegno Lo Stato feudale dei Cara­fa di Roccella.

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La chiesa di Maria Santissima del Rosario di Castelvetere, già de­dicata all'Annunziata11 , fu concessa ai Padri Domenicani; il convento nacque intorno al 15 72 sotto gli auspici della Marchesa Li via Spinel­li12, che, rimasta vedova ancora giovane, resse le sorti dello Stato Feu­dale di Castelvetere-Roccella durante la minore età del figlio Fabri­zio13. Molto plausibile, pertanto, la sua destinazione ad accogliere le spoglie della stessa Marchesa fondatrice.

Le giovani fattezze della defunta ritratta sul coperchio mutilo del sarcofago, però, non si adattano a Livia Spinelli come titolare della sepoltura, pertanto la sua identificazione è stata controversa, fino al ritrovamento di un documento nell'Archivio Carafa di Roccella pres­so l'Archivio di Stato di Napoli, da parte di Enzo D'Agostino 14 , che ha permesso l 'identificazione del personaggio con buona approssimazio­ne vicina al vero e una conferma della datazione del pezzo.

11 Tale titolo è attestato almeno dal 1536 (cfr. P. F. Russo, Regesto Vaticano per La Cala­bria, vol. 3, Roma 1977, p. 470, n. 17648) e si è conservato per tutto il XVIII sec., mentre alla Vergine del SS. Rosario era dedicata solo una cappella. Il titolo, probabilmente, cambiò durante il XIX secolo, dopo la definitiva chiusura del Convento.

12 La data di fondazione del Convento si evince da un memoriale del 1594 presentato dal vicario del Convento al Vescovo di Gerace Bonardo, in cui si dice che il convento è stato eretto già da 20 anni prima. n convento fu chiuso per un breve periodo dopo la disposizione di Inno­cenza X sugli ordini religiosi, e riaperto nel 1654. Si vedano al proposito A. BARILARo, Corwen­li Domenicani di Calabria, Soriano Calabro, 1989, p. 33. O. MILELLA (a cum di) , I Domenica­ni in Calabria. Storia e architettura dal XV al XVIII sec. , Roma 2004, pp. 109-110; il docu­mento della liapertma del1654 è edito in Russo, Regeslo .. .. , vol. 7, 1983, p. 332, n . 37232. La data di fondazione è riportata, senza l'indicazione della fonte in 0PPEDIS~L'\O , Cronistoria .... 257.

13 FunA, Formazione ed immagine .... 15. ~<Archivio di Stato di Napoli , Sezione Archivi Privati, Carafa di Roccella, b. 40. Attesta­

zione del notaio T. Argirò, 25.5.1770. Ringrazio il prof. Enzo D'Agostino, Deputato di Storia Patria per la Calabria, per avermi

dato la possibilità di pubblicare in anteprima il testo del documento da lui ritrovato e trascrit­to, presentato per la prima volta integralmente nella sua relazione I Carafa di Roccella e la chiesa di Gerace, al Convegno Lo stato feudale dei Carafa di Roccella, svoltosi a Roccella Jo­nica l' l e il 2 di.cernbre 2007. Lo studioso, in base al documento, sottolinea la funzione svol­ta dalla chiesa dei Padri Domenicani, di "Pantheon" dinastico per le donne di casa Cru·afa. Aggiungo che anche Carlo Mru·ia Carafa, figlio di Agata Branciforte, Principe di Roccella e di Butera, Primo dei Pari di Sicilia (si veda al proposito F. S~L\ MAnTI,\0 DE SPUCCIIIO:S, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai giorni nostri, Palermo 1924-1941, I, p. 502) , aveva disposto per testrunento: " ... morendo nello Stato in Calablia sia seppellito nel­la chiesa della SS. Annunciata de PP. Domenicani di Castelvetere"; il testrunento è pubblica­to integralmente in F. ltlcco, Una Codificazione feudale del seicento calabrese, Gli Ordini, Pandette, e Costituzioni del Principe Carlo Maria Carafa, Rosru·no, 1996, pp. 19-21.

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Il documento riporta la testimonianza di un notaio castelveterino del XVIII sec., che, in seguito ad una ricognizione della Chiesa del­l'Annunziata (oggi del Rosario) effettuata nel1770 per conto dei feu­datari, annota tutto ciò che fu realizzato dai Carafa nello stesso te m­pio; fra altri arredi e suppellettili, vi sono descritte anche due sepol­ture femminili, l'una di Agata Branciforte di Butera15, consorte del

15 Si riportano qui la descrizione del Mausoleo con la trascrizione dell'epigrafe e quella di un'altra epigrafe che ricorda la munificenza della stessa Principessa verso la chiesa:

D.O.M. D. D. AGATHAE BRANCIFORTE EX BUTERAE

PRIN.BUS RO.LLAE PRIN.PI CASTRIVE.s MARCI-I. &.e QUAE XP.NAE PERFECTIONIS SIMULACRUM,

TEMPLIS MUNIFICA, EGENIS PROPENSA, SUBDITIS STUDIOSA, ET VIRTUTUM. O.IUM COMPE

MENTUM, IN 32 AETATIS ANNO DIE 16 MAR. 1655 OBIIT HICQ. IACET, PRIN.PS D. FABRITI

US CARAFA VIR, TUMULUM HUNC CE MEBUNDUS EREXIT

La presente copia fu estralla dal suo proprio originale, ch'esiste iscolpito ne' stessi versi, ed abbreviature in calce di un magnifico mausoleo di marmo bianco forastiero commissato, qual si trova eretto ed innalzato dentro la ven. chiesa de' RR.PP. Domenicani di questa città di Castelvetere tra l'altare del SS. Rosario, e quello di S. Caterina da Siena, con una statua ben fatta di marmo, cioè il solo busto di D. Agata Branciforte dentro una nicchia, con due pat­tini ne' lati e coll'impresa della Ecc.ma casa Caraffa e Branciforle. Notar Tommaso Argirò.

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D.O.M. D. AGATA BRANCIFORTE ROCC.lae PRINCEPS ET C.

DUCATOS MILLE HUIC SACELLO DIVI DOMINICI AB EADEM ERECTO LEGAVIT

QUOTIDIANO DUARUM. MISSAR. IN PPTUUM. ONERE PER FRAT. CONVENTUS SPECIATIM ADIUDICANDOS

CELEBRANDAR. AC QUOTIES DESTITERINT HAEREDUM. ARBITRIO ALY SAECULARES VEL REGUL.es SACERDOTES

ADDICI VALEANT Q SIBI IPSIS DE DOTIS CENSIBUS SATISFACIANT

INSUPER PRO ALYS DUCATIS 250 EX EIUSDEM PIA DISPOSIT.e ASSIGNATIS P.o DIE LUNAE SING.lis MENSIBUS

MISSAM CANTATAM CUM ORAT.e ET IN DIE OBITUS Q. FUIT 16 MARTY ANNIVERSARIUM CUM MISSA CANTa CELEBRAN. EST PPETUUM ONUS UT EX

INSTRUM.o SUB 4 JUNY 1655 PER NOT. L BAPT.AM SOTIRA STIGNANI P.TINEN. STILI CUI MISSAE ET

ANNIVERS.o SOLEMNI CLERUS CASTRIVET.s TENETUR ADESSE ET TUNC 20 MISSAS CELEBRARE PRO ANN.

DUCATIS OCTO UT EX ACTIS NOT. MICH.s ANG'

Principe Fabrizio II, l'altra, più antica, di una giovane figlia di Livia Spinelli e Girolamo I:

Nel muro a man destra dell'altare maggiore [della Chiesa dei Do­menicani} in d. coro si trova iscolpita una statua di marmo bianco in sito di defunta, ben lavorata, colla seguente iscrizione in calce:

DOM. ISABELLA CARAFAE MARCHIONIS CASTRIVETERIS FILIAE QUAE VIRO

CONIUNCTA VIX XV DIES VIXIT OBIITQ NEAPOLI V IUNII MDLXXXV HOC

SUB LAPIDE CINERES LIVIA SPINELLA EIUS MATER TEGENDOS CURA VIT

e colla impresa della Ecc.ma Casa di Caraffa e Spinelli.

E a questo mausoleo, sopra descritto, ho individuato la pertinen­za della lastra a bassorilievo, essendo l'altra descrizione, quella del mausoleo di Agata Branciforte, dalle caratteristiche non assimilabili al nostro pezzo. La definizione iscolpita una statua di marmo bianco in sito di defunta, ben lavorata, non lascia dubbi circa l'identificazio­ne di quanto descritto con la figura della defunta adagiata sul coper­chio del sarcofago.

Il documento fornisce indicazioni precise circa la collocazione del­la tomba, posta presso il lato destro dell'altare maggiore; viene anche riportata la trascrizione dell'epigrafe apposta sul sarcofago, che era affiancata dalle armi di casa Carafa e casa Spinelli.

ARCADI SUB DIE 3 MART. 1658 SUNT ET ADDITI DUCATI 500 PRO ALIA MISSA

QUOTID.a EADEM LEGE PRO ANIMA MARCH.s D. HIERON.mi FILY UT P. ACTA D.ti DE SOTIRA SUB DIE 19

APRIL. 1661 PATET Tavola di marmo forastiero nella Chiesa de' PP. Domenicani di Castelvetere. Letta dal

not. Tommaso Argirò. Agata Branciforte viene menzionata anche nella relazione del 1650 sulle strutture conven­

tuali della Provincia di Calabria dei Padri Predicatori, edita in MILELLA, I Domenicani ... 168, in cui si dice che la chiesa si stava adornando con il finanziamento della Principessa di Roccella.

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Dal documento, perciò, abbiamo indicazioni fondamentali per l'identificazione del personaggio rappresentato: essa è dunque Isabel­la Carafa, figlia di Girolamo, II marchese di Castelvetere e di Livia Spinelli, figlia del duca di Castrovillari. Dalla lapide veniamo a cono­scenza che morì a Napoli il 5 giugno del 1585 e visse solo 15 giorni unita in matrimonio.

Il dato tratto dalla fonte primaria, l'epigrafe, pur riportata dal no­taio settecentesco, viene ad integrare e si integra a sua volta, con le ri­costruzioni genealogiche della famiglia Carafa già note. È noto, infat­ti, che Isabella Carafa andò in sposa a Ferrante Cavaniglia II Marche­se di San Marco, patrizio napoletano 16, mentre nel frontespizio della Platea generale dello Stato Carafa del 1534, è annotato il giorno del­la nascita di donna Isabella17 • Pertanto, il convergere delle ricerche e delle discipline hanno potuto far delineare il quadro completo dei da­ti riguardanti il personaggio: nata il 26 di marzo del 1561 , Isabella Carafa andò in sposa il 18 maggio del 1585 al Marchese Cavaniglia, e morì, a soli 24 anni, il 5 giugno dello stesso anno in Napoli, pochi giorni dopo il matrimonio 18; da lì traslata a Castelvetere, le sue spo­glie mortali furono sepolte nella chiesa dei padri Domenicani, per la cura della madre Livia Spinelli.

Sempre dall'epigrafe abbiamo altri importantissimi dati: il primo, appunto, che la tomba fu fatta erigere dalla madre Li via Spinelli, fon­datrice e dotante del Convento dei Domenicani; il secondo che sul monumento funerario c'erano lo stemma Carafa e quello Spinelli.

Nella sepoltura di questa sfortunata giovane, sembra del tutto as­sente il coniuge, se non per quella fugace ed anonima menzione nel-

16 La notizia è riportata da ALDI.\'LIRJ , Historia Genealogica .... 275; in SIIA.\1À, www.iagi.in­fo/genealogienobili s.v. Cavaniglia, viene riportata anche la data del matrimonio, il 18 mag­gio del 1585.

17 "la Signora donna Sabella carrafa (na]cque alli vintisei di marso, ad ore tre di notte, di Giovedì Santo nell'anno 1561 ",in NAn1o, Uno stato feudale ... S., Annotazioni sulla coper­tina pergamenacea della platea.

18 C'è una lieve discordanza per la durata del matrimonio, poiché tra la data del 18 mag­gio riportata nelle fonti e la data di morte del 5 giugno riportata dall'epigrafe, trascorrono 18 giorni, mentre l'epigrafe parla di 15 giorni che Isabella visse da coniugata. A conferma che si tratti di Isabella, si noti come Ferrante Cavaniglia passò a nuove nozze nel 1586 con Ippolita Caracciolo di Brienza, dato che testimonia l'avvenuta morte prematura della I mo­glie, come attestato dall'epigrafe: cfr. SIIAMÀ, www.iagi.info/genealogienobili, s.v. Cavanigfia.

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l'epigrafe: viro coniuncta vix xv dies vixit. La giovane marchesa di S. Marco non fu seppellita a Napoli, o comunque presso le tombe dei Ca­vaniglia, non fu il marito a curarne la sepoltura, non c'è traccia del suo nome, non viene apposta sulla tomba della moglie, come avrebbe dovuto, l'arma dei Cavaniglia. Queste anomalie suscitano non pochi interrogativi sulla vicenda, se si pensa che la giovane Isabella visse soltanto pochi giorni dopo il matrimonio, cosa già di per sé alquanto anomala. Tali considerazioni aprono la strada ad una futura ed au­spicabile più approfondita ricerca.

La descrizione del notaio, come abbiamo visto, ci porta anche una testimonianza di due elementi araldici contenuti nel monumento fu­nerario di Isabella, purtroppo andati dispersi, ovvero le armi paterna e materna che inquadravano l'epigrafe. Tale particolare è confronta­bile con il bancale marmoreo che oggi si trova alla base dello straor­dinario Mausoleo marmo reo attribuito ad Antonello Gagini conserva­to nella chiesa Matrice della stessa Caulonia, che accoglie le spoglie di Jacopo Carafa, capostipite dei Marchesi di Castelvetere e dei Principi di Roccella 19 • Anche lì, l'epigrafe fatta apporre, 148 anni dopo la mor­te del titolare in occasione di restauri al Mausoleo, da Girolamo II principe di Roccella, dunque nipote ex filio di Livia Spinelli, viene af­fiancata dall'arma Carafa della Spina e da un'arma che solo di recen­te è stata identificata con quella degli Spinelli20 (fig. 3).

19 Sul mausoleo si rimanda alla Bibliografia contenuta nel pannello a firma di M. C. Mon­teleone, esposto nella stessa Mostra del1 e 2 dicembre 2007. PROTA, Ricerche storiche ... 127; A. FRA:\GIPA.'-"E, Elenco degli edifici rnonumentali. Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Ro­ma 1938, pp. 161-162; R. PANE, Il Rinascimento nell'Italia Meridionale, Milano 1975-1977, II, p. 306, nota 22 (p. 323); L. HvERAGE, Caulonia ed i suoi antichi monumenti, in Calabria Sconosciuta, I (1978), 2, pp. 84-88; F. NEGIU AA"\'OLDI, Scultura del Cinquecento in italia me­ridionale, Napoli, 1997, pp. 184, 198, fig. 174; CAGLIOSTBO- NosTBO -Somllil'\TI, a cura di, Sa­cre Visioni .... 112 (scheda di C. Nostro); F. CAGLIOTI, La scultura del Quattrocento e dei pri­mi decenni del Cinquecento , in Storia della Calabria nel Rinascimento, a cma di Simonetta Valtieri, Roma 2002, pp. 1006-1008; B. Ml 'SSAIU, I monumenti sepolcrali, in Storia della Ca­labria .... 924 e 940 (scheda).

zo M. C. A. CoRRA, relazione Due Stemmi per tanti rami: il caso della dinastia Carafa, al Convegno dell' l e 2 dicembre 2007. Uautore identifica la figma araldica contenuta nello scudo di destra: partito (. . .) nel 2° una fascia diminuita, sostenente un rametto di spino di cinque pezzi, posto in palo. Le considerazioni araldiche, fatte dallo studioso sulla figura, fan­no desumere una derivazione di questa insolita rappresentazione dello Stemma Spinelli da quello dei ligmi Spinola. Lo stemma Spinelli di Castrovillari, infatti, come attestato anche a

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E la corrispondenza tra i due manufatti potrebbe non essere casuale. Questo bancale, infatti, è al centro di una vexata quaestio tra gli

storici dell'arte: il Caglioti ritiene che il bancale sia stato solo riutiliz­zato da Girolamo II, quando nel 1637 fece collocare il monumento nell'abside centrale della Chiesa, dove ancora oggi si trova (e l'epigra­fe , fatta apporre sul marmo più antico, ricorderebbe questa risistema­zione); in origine il bancale, invece, faceva parte dell'arredo della cappella funeraria fatta costruire da Vincenzo Carafa figlio di J acopo per ospitare il Mausoleo del padre21 •

Più di recente M.C. Monteleone, in un lavoro in corso di stampa22 ,

avanza l'ipotesi che non sia un bancale da seduta, bensì il piedistallo del sarcofago di Jacopo, commissionato da Girolamo II a scalpellini locali e realizzato nel 1637, come l'epigrafe ricorda, mentre l'attuale sistemazione sarebbe molto più tarda.

Il dato araldico aggiunge molti elementi, contribuisce a chiarire molti dubbi ed a circoscrivere la datazione del pezzo: innanzitutto la committenza, che ha a che vedere con l'alleanza matrimoniale Cara­fa-Spinelli , dunque il matrimonio tra Girolamo I (morto nel 1570) , nonno del Girolamo dell'epigrafe, eLivia Spinelli, la committente del sarcofago oggetto di questo studio, che ospitava le spoglie della gio­vane figlia Isabella. In un mio precedente lavoro, volendo considera­re seicentesco tutto il bancale, ho sottolineato come il dato genealogi­co non corrispondesse affatto alla scelta di cortesia araldica usuale; avevo notato, infatti, l'incongruenza dell'adozione di uno stemma partito Carafa/Spinelli, dal momento che Girolamo II disponeva di una scelta araldica di primo piano nell'arma della madre Tagliavia d'Aragona o della moglie Vettori Borghese; per questo motivo avevo visto la scelta come un'adesione al modello già presente a Castelvete-

Castelvetere dalla lapide tombale recentemente identificata con quella di Fabrizio I, figlio di Li via, consta di un'aquila imperiale con lo scudo su tutto, contenete l'arma classica degli Spi­nelli, ovvero una fascia caricata da tre rami di spino. Una plausibile spiegazione alla varian­te presente nel Mausoleo Carafa, potrebbe essere la provenienza del bancale, in marmo di Carrara, dalla Toscana settentrionale, area di forte influenza ligme, dunque dove l'arma Spi­nola era ben attestata.

21 CAGLJOTJ , La scultura del Quattrocento ... , 1039. 22 M. C. MowELEONE, Sul monumento funerario Carafa di Caulonia, in corso di stampa;

l'autrice rileva sulla parte superiore, fori per il fissaggio del sarcofago.

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re nella chiesa dell'Annunziata e costituito dal sarcofago di lsabella23.

L'approfondimento dell'analisi stilistica e tipologica dello scudo adottato per le armi sul bancale, hanno accertato la sicura anteriorità di esso rispetto all'epigrafe, con tutt'evidenza apposta successivamen­te utilizzando come supporto la tabella centrale del manufatto con gli stemmi. Questa forma di scudo è peculiare del periodo rinascimenta­le, e trovò in Toscana una buona applicazione; anche il particolare del nastro sistemato dietro lo scudo, concorre alla datazione di esso al XVI sec. 24 Inoltre, va notato che quanto scaturito dall'analisi teorica gene­rale, viene confermato dal confronto attuato nella stessa Castelvetere con stemmi degli inizi del XVII sec.: questi, infatti, adottano canoni stilistici manieristi e barocchi, in uso in Araldica già alla fine del '500, come testimoniano nella stessa Chiesa Matrice di Caulonia quelli di Fabrizio, precedenti allo stesso Girolamo25 • Perciò la datazione degli stemmi sul bancale va riportata a ben prima del 163 7.

Ma anche l'ipotesi di un'appartenenza del bancale all'originario progetto del Mausoleo (1520 circa) non è più percorribile, per il dato genealogico emergente da quello araldico: l'arma partita Carafa/Spi­nelli non può fare la sua comparsa a Castelvetere prima della metà del XVI secolo, cioè quando Girolamo impalma Livia26 •

23 M. MonHONE, L'apporto delle discipline documentarie della storia nello studio di un ma­nufatto artistico: il sarcofago di Isabella Carafa in Castelvetere, in Nobiltà, Rivista eli Aral­dica, Genealogia, Ordini Cavallereschi, annoXV, marzo-aprile 2008, W 83, pp.167 -178. ,M. C. Monteleone spiega questa adozione dello stemma dell'ava con la volontà del nipote eli ri­cordare un qualche lascito della Marchesa eli Castelvetere.

2• Si vedano al proposito le considerazioni e i confronti fatti da M .C .A. Corra nella re­lazione al Convegno Carafa i cui Atti sono in corso eli pubblicazione.

25 Si tratta degli stemmi partiti Carafa/ Aragona e Aragona/Ventimiglia, pertinenti a Fa­brizio e alla moglie Giulia Tagliavia d'Aragona, genitori eli Girolamo II, che si trovano nella I cappella della navata sinistra, oggi ingresso alla chiesa. Si confrontino anche gli altri stem­mi secenteschi sparsi nello Stato Cm·afa, primo tra tuui quello sulla lastra tombale identifi­cata dalla scrivente, in base agli elementi araldici, come pertinente sempre a Fabrizio e a Giulia Tagliavia d 'Aragona; o quello di Fabrizio, che accompagna l'epigrafe eli fondazione della Chiesa della Concezione eli Roccella, o quello conservato nell'ex Priorato di Malta a Roccella, pertinente a Francesco, (morto nel 1679) , nipote di Girolamo II e III priore della Roccella (cfr. F. RAcco - S. ScALI, Guida a Roccella fonica , Cosenza 1986, p. 95). Perla trat­tazione tipologica e stilistica eli questi stemmi, si rimanda alla relazione Corra nel Convegno Carafa del 1 e 2 dicembre 2007.

26 Non si conosce l'esatta data del matrimonio tra Li via Spinelli e Girolamo I, ma partia­mo dal dato certo della nascita eli Isabella avvenuta nel1561 (si veda la nota 17). Prima eli

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Perciò il bancale non può che essere pertinente a questa coppia o alla sola Marchesa, e quindi avere la stessa committenza e realizzazio­ne di quello di Isabella; la sua datazione si circoscrive tra la metà del XVI sec.(matrimonio Carafa-Spinelli) e la fine del secolo, periodo della morte di Livia27 • Sicuramente pertinente allo stesso ambito in cui era posto il Mausoleo, la sua funzione sarà da accertare, stante le due ipotesi su riportate, se bancale o piedistallo; il dato che oggi appare molto vicino al vero è che l'iscrizione vi fu posta successivamente e l'incerta grafia di essa suggerisce che l'incisione vi fu realizzata con il manufatto già fissato al suo posto.

Le considerazioni storico-artistiche sul bassorilievo effigiante Isa­bella Carafa esulano dallo scopo di questo lavoro, perciò toccherà agli specialisti del settore il compito di circoscriverne gli ambiti di produ­zione, la corrente artistica e/o l'autore del manufatto. Questa opera­zione consentirà non poco a chiarire le stesse circostanze anche sul bancale sottostante il Mausoleo, considerate l 'identica commitenza e, verosimilmente, anche la medesima bottega realizzatrice.

(MARILISA MORRONE)

2. Note araldiche sui reimpieghi del marmo tomba/e

a. Premessa

Il pregevole manufatto marmo reo protagonista di queste pagine ri­badisce la concreta diffusione lungo tutta la bella regione di eccellen­ti fenomeni d'arte28 , il cui livello qualitativo contribuisce in maniera notevole alla corretta valutazione storica e culturale dell'intera area.

Nel caso del presente manufatto, poi, diversi fattori concorrono ad elevarne l'interesse: oltre alle spiccate qualità artistiche del suo ""lato

questo matrimonio, non si hanno altre alleanze dei Marchesi di Castelvetere con la famiglia Spinelli

27 La precisa da ta di morte di Livia si ignora, ma nel 1589 la Marchesa era ancora in vi­ta, se refutò al figlio Fabrizio il feudo di Siderno, cfr. PELLICANO CASTAC:-<A, La Storia dei f eu­di ... 42, vol. II.

28 Si badi bene che non stiamo parlando di arte del periodo classico, per il quale la Cala­bria è considerata a giusto titolo una fra le regioni "trainanti".

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principale", il "rovescio" mostra segni di riutilizzo tali da incuriosire non poco l'attenzione dello studioso. Tutto ciò riveste particolare im­portanza sia per i margini di studio e per gli agganci interdisciplinari che ne conseguono29 , sia per i risvolti connessi alla materia araldica, la quale proprio su esemplari inediti come questi vede esaltare il suo va­lore significante di scienza documentaria della storia: una chiave in più con cui cercare di dischiudere l 'oscurità del passato; un ulteriore stru­mento con cui dare nuovi appigli alla ricerca; un'altra maniera per cer­care di ricostruire la vita quotidiana dei nostri maggiori; un contribu­to significativo alla sempre miglior rivalutazione del territorio.

Tali valori si concretizzano in questa lapide sepolcrale, oggetto di mestizia prima che oggetto d'arte, nel quale noi lontani posteri vedia­mo la seconda senza più vivere la prima. E nel quale qui è lo strug­gente ritratto di Isabella Carafa a dominare, pur storpiato da succes­sivi adattamenti: la giovane nobildonna, le affusolate mani incrociate sul grembo, affronta il Viaggio su un cuscino decorato a stelle e rose, morbido e curato come le pieghe delle vesti, le anse della gorgiera, i dettagli che la ornano. Mancano gli stemmi, ma il lettore di segni os­serva in Isabella qualcosa di ancor più significante: il delicato e me­raviglioso sorriso, fiorito nella tranquilla serenità di un Arrivederci a suggello di mille gioie tramontate ma non dimenticate. Un sorriso che è il vero Stemma dell'intero manufatto, racchiuso nel dolce Scudo di questo volto indimenticabile, di questa Bella cui fa da contraltare la "Bestia" estetica che orna l 'altra faccia del coperchio.

b. Lo stemma: descrizione araldica

Rovescio di coperchio di sarcofago (vedi scheda alla nota 2) , ripor­tante una raffigurazione dotata delle forme araldiche di seguito det­tagliate.

Scudo sagomato in cartiglio, inciso su marmo. "Blasone" : le iniziali RR, intrecciate in fascia. Timbro, modellato a bassorilievo: una corona gemmata a cinque

fioroni.

29 Come il testo redatto da Marilisa Morrone attentam ente dimostra.

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Il cartiglio, corposo e spesso, appare simmetricamente composto da due grandi volute geometriche di sapore architettonico, innestate su tm vistoso e sporgente basamento fitomorfo divergente da un'asim­metrica foglia basale, e sostenenti un elemento schematizzato (vaga­mente somigliante ad una A o ad un'H) il quale fa da "sostegno" al­la corona.

La corona è di risicato aspetto, sottodimensionata rispetto alle pro­porzioni del cartiglio, e di larghezza assimilabile al punto più largo dello scudo.

Lo stemma vero e proprio è racchiuso in uno scudo elegantemente ricavato da due elementi curvilinei, simmetrici, più abbondanti ed ar­cuati nella parte superiore (vagamente piriformi): nel suo complesso, lo scudo appare di proporzioni quasi adeguate al cartiglio ed all'inte­ro 1ns1eme.

c. Deduzioni e annotazioni

Questa decorazione in forme araldiche è realizzata sulla superficie liscia del retro del detto manufatto, all'interno di un rettangolo inci­so ed equidistante dai bordi. Dati i palesi adattamenti apportati alla fronte del coperchio30, è lecito ritenere che la parte incisa di questo la­voro sia stata globalmente realizzata dopo la riduzione dell'insieme alle attuali dimensioni: l'ipotesi è rafforzata dal fatto che lo stemma riempie tale rettangolo con armoniosa proporzione.

L'aspetto di quest'insieme dalle forme araldiche consente una serie di osservazioni e di deduzioni:

a) è opera di una discreta mano, capace di padroneggiare una buo­na tecnica realizzativa, ma priva dell'estro necessario ad accom­pagnarla con spunti artistici che vadano oltre una certa decora­tività di "maniera";

b) a conferma di quanto sopra, le limitate e incerte linee fitomorfe alla base del cartiglio appaiono prive di ornamenti e di dettagli

30 Dove, come detto, il ritratto di Isabella Caraia appare ora ridotto alla metà superiore del corpo, e verosimilmente quasi dimezzato rispetto alla sua interezza primigenia (si veda la scheda nella nota 2).

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che le possano far definire fogliami in senso stretto. A salvare l'estetica dell'insieme intervengono le due "orecchiature" latera­li del cartiglio, ognuna dotata di quattro incavi e d'un ricciolo sommitale che costituiscono senz'altro la parte più ornamentale del tutto3 ';

c) molto interessante è la corona, non tanto per l'aspetto in sé (piuttosto generico e niente affatto significativo) quanto per le dimensioni relative, e la fattura: troppo piccola rispetto al resto della raffigurazione, e a bassorilievo. Si osserva che inoltre è l 'unico elemento non inciso dell'insieme;

d) il contenuto interno dello scudo è semplicemente costituito da due lettere intrecciate, scritte in calligrafia ornata a svolazzi, ed accompagnate verso la punta da uno stentato minuscolo decoro, simile ad una bacca racchiusa entro una coppia orizzontale di foglioline. Benché le due lettere siano identiche (RR), la prima è resa con tratti più abbondantemente curvilinei, in specie nella metà superiore. La raffigurazione è comunque di tipologia ano­mala, sia nel merito che nella forma32 : e l'averla accompagnata alla base da un generico decoro suona a conferma dell'assenza di intenti araldici nella sua realizzazione.

Quest'incisione non raffigura alcuno stemma noto. Anzi, non raffigura nemmeno un stemma: si può dire senz'ombra

di dubbio che siamo di fronte ad un insieme che di araldico ha sol­tanto la forma, non certo la sostanza; un segno grafico che ben rien­tra nel concetto di para-araldica33 • Per questo motivo, non trattando­si di uno stemma nel senso pieno del termine, la descrizione araldica data in precedenza è stata preceduta dalla dicitura blasone posta fra virgolette.

L'incisione palesa l'abitudine ad un manierismo molto pragmatico, conscio di un approccio barocco che tendeva a far prevalere la forma sulla sostanza (come comprovano le dimensioni e le proporzioni del

31 Gli stemmi costituiti soltanto da lettere costituiscono un'assoluta, sparuta minoranza in araldica.

32 Una calligrafia ornata di questo genere presenta molti pregi estetici, ma non certo quel­lo della facilità di lettura che è requisito importantissimo per le figure dell'araldica.

33 Cfr. al riguardo l'apposita nota in appendice.

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tutto) ormai però non più sentito né vissuto: un manierismo piegato alle quotidiane esigenze di bottega, tese a soddisfare spicciole richie­ste correnti ed usando forme adatte più al vedere che al capire, inter­pretare o trasmettere. Forme che riempiano spazi, non che palesino significati, eccetto quelli legati ad un'evidenza più immediata: come appunto sono le iniziali di un nome.

La corona, di dimensioni inferiori rispetto al resto, lascia aperte di­verse questioni: perché è di proporzioni ridotte rispetto all'insieme? Come mai ha dettagli relativamente più ricchi e rifiniti degli altri or­namenti? Soprattutto: perché è a bassorilievo, e non incisa come le al­tre parti dell'emblema? Tenendo conto che la sua forma è riconduci­bile solo genericamente ad alcune note tipologie d'uso34, va scartata l'ipotesi che queste eccezionalità possano essere ricondotte al bisogno di sottolineare un titolo; appare invece più lecito ritenere che attenga­no ad altre motivazioni meno nobili.

Ma quali? L'attento esame globale del manufatto, così come ci appare oggi, è

il solo modo che abbiamo per cercare di rispondere a questa doman­da. Già il fatto che lo scudo non contenga uno stemma vero, ma solo le iniziali del titolare, conferma che la corona è qui presente soltanto come "'accessorio dovuto", come ornamento di cui un insieme di que­sto genere non poteva esser privo. Ma ciò si aggiunge, e non dà spie­gazione, alle eccezionalità esteriori di questo timbro.

L'osservazione del materiale marmoreo su cui insiste l'incisione evidenzia una lastra assolutamente piana e ben levigata35 , e trattan­dosi in origine dell'interno di un coperchio da sarcofago la cosa appa­re anomala: a rigor di logica una rifinitura così curata e di non poco conto appare eccessiva, se si considera che doveva rimanere nascosta alla vista. É quindi del tutto razionale ritenere che il suo spianamen­to risalga all'epoca del riutilizzo, quando per capovolgimento il fondo del coperchio è diventato superficie visibile. Per evidenti e conseguen-

3' Corone a cinque fioroni come questa possono riferirsi a tipologie differenti, in funzio­ne del luogo e dell'epoca di utilizzo, che dal punto di vista nobiliare aJferiscono a titoli an­che di rilievo (da principe in giù) , mentre da quello formale ricadono nel più vasto ambito estetico delle corone a cerchio cimate da cinque elementi visibili.

35 Tranne che nella corona, come detto.

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ti motivi, su questa superficie il marmo mostra una tonalità cromati­ca più chiara e "pulita" rispetto a quella su cui è ritratta Isabella Ca­rafa: e pare inoltre di osservare che esso sia ulteriormente più polito al centro, in corrispondenza dello scudo e del suo interno.

Inoltre, i due componenti fitomorfi laterali del cartiglio presentano curvature ed, ancor più, nervature interne assimilabili esteticamente a quelle dei fioroni della corona, dai quali sembrano essere stati ispi­rari.

Dal confronto con altri manufatti36 si può ritenere con buona cer­tezza che quest'incisione risalga ad un lasso di tempo il cui inizio è da porre a metà XIX secolo: la semplice nitidezza dell'emblema qui visi­bile probabilmente si lega ad un periodo a cavallo fra quel secolo ed il successivo.

Forte è l'impressione che l'incisione sia stata eseguita su un pree­sistente riuso, a sua volta eseguito in forme sempre araldiche ma a bassorilievo. Un bassorilievo in seguito assoggettato a una spianatura tale da "cancellare" tutto, tranne la corona. Il che spiegherebbe più cose: innanzitutto, le tante differenze fra corona e scudo; e le diverse tonalità della superficie marmorea; e la similitudine fra le sporgenze fitomorfe del ca:r1iglio ed i fioroni della corona:n; e la curiosa presen­za della componente superiore del ca:riiglio, incisa quasi a sorreggere la corona che (soprattutto per la sua piccolezza) non sembra merita­re un "supporto" così spiccato e così inusuale per le abitudini araldi­che. Un supporto che oltretutto, nella sua eccezionalità, sembra silen­ziosamente ribadire una consecutio, un voler omaggiare una preesi­stenza, quasi a voler sostanziare nel riciclo della corona una sorta di patente di nobiltà per l 'ultimo riutilizzatore della lastra.

In generale, ed a prescindere dalla quantità dei riutilizzi sopra ac­cennati, le ottime condizioni della corona a bassorilievo appaiono si­curo indizio del limitato periodo supra terra di questo manufatto, e/o di un suo posizionamento estraneo all'usura d'un quotidiano calpe­stio.

36 Cfr. infra, nel paragrafo 5 . Iniziali e monogrammi .. . 37 Benché la rifinitura dei fioroni sia di genere non certo sopraffino, i due componenti fi­

tomorfi laterali del cartiglio la imitano senza nemmeno riuscire ad avvicinarla.

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d. Sul concetto di para-araldica

L'araldica da sempre convive con raffigurazioni iconografiche per­tinenti alla cultura occidentale ed ideate parallelamente ad essa, ma prive di almeno uno dei requisiti fondamentali dello stemma, fra le quali rientrano sia le armi di fantasia abbinate a personaggi storici o mitologici, sia i grafemi anche contemporanei ispirati alle forme del­l'araldica.

La letteratura tecnica manca di una loro specifica classificazione38,

e chi scrive ha recentemente avanzato la proposta di studio di utiliz­zare a tal fine il neologismo para-araldica, identificando per tale una branca dell'araldica comprendente stemmi d'epoca barocca (a volte anche anteriori) attribuiti a titolari vissuti in epoca prearaldica, o di fantasia, o ideali; e "stemmi" realizzati in forme perfettamente aral­diche a semplice scopo decorativo o propagandistico, soprattutto con­temporanei; e quelli (spesso belli e ben blasonahili, ma sovente privi di titolare) che a scopo speculativo ne riproducono altri, e di norma coniati extra legem su parecchie monete dopo il XV secolo; e quelli che, pur avendo un titolare, contengono figure a cui non è possibile applicare il metodo del blasone (come gli esercizi grafici che il parlar corrente definisce popolarmente stemmi: scudetti delle squadre di cal-

38 Per i motivi appena esplicati, ritengo la para-araldica una branca sperimentale di ri­cerca nella nostra scienza: come tale, è purtroppo ancora priva di specifica bibliografia di ri­ferimento, essendo prevalenti gli scritti di natura episodica e mirata.

Ad esempio, un cenno locale di natura prevalentemente documentaria è in AA.VV. , Riva araldica, Arco 1997, p. 165.

Poi GJOnGIO ALDRIGIIETTI , in Nobiltà n° 81 , novembre 2007, p. 565, nell'articolo Araldica piscatoria descrive con abbondanza un sistema para-araldico di decorazione delle vele sulle imbarcazioni chioggiotte.

In Inghilterra vi è maggior sistematicità: i locali testi di araldica di norma dedicano al­meno un capitolo ai badge (cfr. Boutell's Heraldry, Londra 1983 (9"edizione)).

ll testo italiano piÙ recente che forse ha meglio posto i termini del discorso è il B.~SGAPÈiDEL PIAZZO, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata. medievale e moderna, Roma 1983, nel capitolo di p. 91 dal titolo Lo stile araldico (ricco di utili spunti, specie fino a p. 102).

Più specifici e calzanti al tema, infine, ma più rari, sono i testi dedicati alle imprese rina­scimentali (date anche le oggettive difficoltà connesse alla loro natura relativamente "oscu­ra") : a tal fine si segnalano J. GELLJ, Divise motti e imprese di famiglie e personaggi italiani, Milano 1928 (2• ediz.) , rist. Milano 1976, e il curatissimo R. SIG.\ORJSI/c. MALAGARJ'(E, Monete e medaglie di Mantova e dei Gonzaga dal XII al XIX secolo., vol. II, Stemmi imprese e motti gonzagheschi, Milano 1996.

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cio, graffiti metropolitani, marchi di fabbrica, ecc). A quest'ultimo genere appartiene lo stemma oggetto del presente studio.

La para-araldica comprende anche le raffigurazioni iconografiche aventi funzionè identificativa le quali, a prescindere dal fatto che ab­biano o meno un aspetto riconducibile alla scienza del blasone, non sono comunque racchiuse in uno scudo: è questa la forma di para-araldica più diffusa, pertinente a sistemi estetici paralleli al­l'araldica ma significativamente differenti nel merito, nella tecnica grafica e nella destinazione d'uso. Rientrano in questa categoria le im­prese rinascimentali, i badge moderni, i marchi di casa medievali (che talora divengono a loro volta figure araldiche, in specie negli stemmi di area germanica) e i tartan scozzesi: tutti simboli e figure regolarmente posseduti dai titolari, e talora oggetto di codifiche e di terminologie proprie.

e. Iniziali, monogrammi ed emblemi affini: paragoni e raffronti

Come sopra accennato, gli stemmi che rientrano nel concetto di pa­ra-araldica possono avere aspetti profondamente diversi fra loro e rag­gruppabili in generi uniformi. Uno di essi è quello degli scudi entro cui si effigiano non le armi, ma le iniziali del titolare. Ciò può avvenire per i motivi più differenti, il più comune dei quali è che costui non dispone di uno stemma. Cosa che, con ogni evidenza, accadde al signor R.R. "soggetto" di queste pagine: il segno per lui inciso su questa lastra mar­morea di riutilizzo rientra appieno in tale genere, che al pari dell'inte­ra sottocategoria della para-araldica non risulta finora esser stato og­getto di studi specifici, e del quale ci sono rimaste testimonianze spar­se per tutt'Italia e oltre. Dal raffronto fra le quali sembra di poter indi­viduare le caratteristiche comuni a tale fenomeno estetico: una datazio­ne non anteriore al XIX secolo; il facile inserimento in un contesto aral­dico dalle forme ridondanti e pompose; la scrittura delle lettere in cal­ligrafia ornata e svolazzante (o comunque ornamentale e complessa).39

39 Tale ultima caratteristica consente a questa forma di para-araldica di venir applicata soprattutto dalle forme di artigianato che più sono in grado di avvicinarsi ai detti stili calli­grafici, specie quelle connesse alla modellazione del legno, dello stucco e del ferro battuto.

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Nella speranza e nell'attesa che questo specifico, interessante lato della para-araldica possa esser fatto oggetto di studi più approfondi­ti, se ne riportano un paio di esempi.

Il primo abbina le caratteristiche temporali e formali sopra indica­te con una forma di nettissima derivazione araldica: lo scudo con le iniziali MT (molto probabilmente attribuibili all'imperatrice Maria Teresa d'Austria), modellato a bassorilievo in marmo bianco al secon­do piano della Rocca di Riva del Garda (Trento) (fig. 4)•0 •

Il secondo è privo di scudo, ma conserva una parte importante del­l 'apparato araldico di contorno, e ribadisce la datazione del genere: l'iniziale S del Senato del Regno d'Italia, sormontata da una corona reale, e dipinta a colori sulla fiancata di una carrozza di servizio (fig. 5 )41 ; anzi, questa semplice lettera evidenzia anche la persistenza del fenomeno nel tempo, essendo la precorritrice dei tanti monogrammi di enti pubblici•2 che quotidianamente vediamo (ad esempio) nelle immagini dei servizi telegiornalistici irradiati dalle rispettive sedi.

(MAuRizio C.A. CoRRA)

3. Ipotesi di attribuzione dello stemma e dello pseudo-stemma con monogramma

L'analisi araldica dei segni presenti sul retro del coperchio di sarco­fago, non chiarisce la questione dell'attribuzione dello stemma abraso e dello pseudo-stemma con monogramma43 ; la ricerca documentaria e bibliografica, apporta dati che potrebbero essere risolutivi.

Fino al 1770, anno della ricognizione effettuata dal notaio Argirò nella chiesa, il monumento di Isabella era ancora in piedi, perciò il suo smembramen1o è successivo e la causa di ciò al momento sfugge44 ;

4o Da: AA.VV., Riva araldica ... 166. 41 Su gentile concessione del Museo della Motorizzazione Militare (Roma - Cecclùgnola). 42 La S del Senato della Repubblica Italiana; il CD della Camera dei Deputati; il BI del-

la Banca d'Italia. 43 È necessario in questo caso specifico il ricorso all'interdisciplinarietà della ricerca e del­

l'intrecciarsi delle competenze. "'È da scartare l'ipotesi, sebbene sempre plausibile nell'analisi dei monumenti della Ca­

labria meridionale, che possa essere stato danneggiato dal terremoto del 1783. La ricogni­zione delle relazioni dei parroci e priori dei Conventi di Castelvetere all'indomani del sisma,

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esso subì, comunque, uno smontaggio, e il coperchio, ridimensionato, fu utilizzato per scolpirvi uno stemma a bassorilievo. Ho ipotizzato il suo riuso in un altare, per la presenza dei fori di fissaggio e per la per­fetta conservazione della corona, unico elemento superstite dello stemma; per questo primo reimpiego abbiamo solo il terminus a qua del 1770 e il terminus post quem legato al secondo reimpiego.

Dopo questa data, i bollari vescovili•5 non riportano l'erezione di nuovi altari, ma per la chiesa ci fu un avvenimento fondamentale per il prosieguo della sua storia: la costituzione della Arciconfraternita del SS. Rosario nel 179046 • Dopo il periodo francese il convento dei Do­menicani fu soppresso47 e la chiesa rimase in mano alla Confraterni­ta48 • È plausibile ritenere che, dopo il periodo di chiusura del conven­to, nel riassesto seguito al periodo francese che coincise anche con l'eversione della feudalità e l'allontanamento della famiglia feudata­ria, il sepolcro fu smontato e riutilizzato, in assenza dei titolari.

La fattura della corona a bassorilievo, unica superstite dello stemma scolpito sul resto del coperchio del sarcofago, genericamente realizzata, senza connotazioni peculiari del rango nobiliare, sembra inquadrarsi in questo momento storico; perciò è da ritenere che la lastra sia stata ri­messa in uso da una qualche famiglia appartenente alla confraternita49 •

La datazione del monogramma presente nel secondo reimpiego, ri­porta ad un periodo successivo alla metà del XIX secolo, con confron­ti relativi ad esemplari di Istituzioni sovrane oltre che private50 • È sta-

contenuti nel Fondo Cassa Sacra dell'Archivio di Stato di Catanzaro, mi ha fatto escludere tale ipotesi. Il priore del convento, fra' Vincenzo Grasso, il 26 marzo 1783 attestò che si era verificata una qualche lesione di una parte delle fabbriche di detto Convenlo ..... essendo ri­masta in piedi la chiesa; cfr. ASCZ, fondo Cassa Sacra, Mappe, fase. Castelvetere, f. 30v. Un ringraziamento all'avv. Domenico Romeo per la concessione dei documenti. Le Liste di cari­co, con le richieste di contributi per la ricostruzione, dicono, invece, che il convento andò di­strutto (sic), come riportato in MILELLA, I domenicani .... 110, n. 222.

45 Cfr. F. vo:- LosSTE~, l Bollari dei Vescovi di Gerace, Chiaravalle Centrale 1986. 46 OrrEDISAXO, Cronistoria .... 253. 47 Ibidem ... 257. • 8 La chiesa venne riaperta e consegnata alla Confraternita nel 1809, cfr. MILELLA, I Do­

menicani .... 110. 49 Il fondatore della Confraternita fu il dott.Francesco Cricelli, ma di essa facevano par­

te molte tra le famiglie della nobiltà locale: Ilyerace, Museo, l{umano etc. so Vedi nota araldica, supra.

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to rilevato ampiamente in precedenza che per realizzare il mono­gramma, fu spianata la lastra e vi furono apposti gli anelli per il sol­levamento, dunque essa servì come copertura ad una fossa tombale. Considerando le note leggi del periodo napoleonico sulle inumazioni fuori le mura degli abitati, la sepoltura dovette avvenire per speciale concessione, perciò la tomba fu pertinente ad un personaggio che go­deva di una posizione privilegiata, quale poteva essere un Priore del­la Confraternita. Fra i priori e le alte cariche dell'Arciconfraternita del Rosario, si annoverano per lungo tempo esponenti della famiglia Romano51 : l'iniziale del monogramma può ben a ragione essere ascrit­ta ad un esponente di questa famiglia.

Una plausibile circostanza di chiusura delle sepolture della chiesa52

si ebbe nel 18955\ quando la Chiesa fu sottoposta ad in pesante in­tervento di ristrutturazione; l'arciprete Prota ricorda i lavori di pavi­mentazione, durante i quali sparì anche l'ipogeo dipinto dove riposa­va una principessa di casa Carafa5"'.

Con ogni probabilità, fu in questa circostanza che la lastra, origi­nariamente coperchio del sepolcro della Marchesa di S. Marco Isabel­la Carafa, poi ornamento araldico di un anonimo (per ora) altare, quindi copertura della tomba del Priore Romano, fu smontata e mai più utilizzata per essere depositata nella sagrestia della Chiesa.

(MARIL!SA MORRONE}

51 Ancora nel 1931, Giovarmi Battista Romano era 2° assistente della confraternita, cfr. 0PPEDISA"\O, Cronistoria .. . 15-1:.

52 Oltre alle sepolture delle donne Carafa, nella chiesa si ricorda una cripta della famiglia IIyerace, una seconda dei baroni Museo di Ambato e Alta, il cui ricordo oggi viene perpetua­to dalla presenza delle iniziali H e M in due piastrelle del pavimento, un'altra della famiglia Cricelli, oltre alle sepolture dei confratelli e dei priori dell'Arciconfraternita.

53 Il rifacimento del pavimento è attestato anche dalla data 1895 inserita in esso, presso il portale d'ingresso della stessa Chiesa , che ricorda la fine dei lavori di "ammodernamento": fw·ono rifatti il soffitto, gli stucchi, il pulpito (cfr. CA.N"\IZZARO, Itinerari .... 44).

54 P noTA, Ricerche .... 132. La posizione del mausoleo indicata dall 'arciprete, coincide con la descrizione settecentesca del mausoleo di Agata Branciforte, evidentemente sopravvissuto a quello di Isabella. Il Prota erroneamente ipotizza che si tratti di quello di Giulia Tagliavia d'Aragona, cfr. supra, nota 9.

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Fig. 1

155

9Sl.

Fig. 3

157

8Sl.

Fig. 5

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