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Storia/Studi e ricerche Collana fondata da Marino Berengo e Franco Della Peruta Direttori Giuseppe Berta, Carlo Capra, Giorgio Chittolini Come dichiara nel suo titolo, la collana è aperta alla ricerca storica nella varietà e ricchezza dei suoi temi: politici, culturali, religiosi, economici e sociali; e spazia dal medioevo ai nostri giorni. L’intento della collana è raccogliere le nuove voci e riflettere le tendenze della cultura storica italiana. Contributi originali, dunque, in prevalenza dovuti a giovani studiosi, di vario orienta- mento e provenienza. La forma del saggio critico non andrà a detrimento di un sempre neces- sario corredo di riferimenti, di note e di appendici, pur mantenendo un impianto agile ed es- senziale che entra nel vivo del lavoro storiografico in atto nel nostro paese. Comitato scientifico Maria Luisa Betri (Università degli Studi di Milano); Giorgio Bigatti (Università Bocconi, Milano); Christof Dipper (Freiburg Institute for Advanced Studies); John Foot (University College London); Salvatore Lupo (Università degli Studi di Palermo); Luca Mannori (Uni- versità degli Studi di Firenze); Marco Meriggi (Università degli Studi di Napoli “Federico II”); Giovanni Muto (Università degli Studi di Napoli “Federico II”); Gilles Pécout (Ecole Normale Supérieure, Paris); Lucy Riall (Birkbeck College, University of London); Emanue- la Scarpellini (Università degli Studi di Milano); Gian Maria Varanini (Università degli Stu- di di Verona). Il comitato assicura attraverso un processo di peer review la validità scientifica dei volumi pubblicati.

Siciliani in terra d'Africa: la rifondazione di Tripoli tra Ferdinando il Cattolico e Carlo V

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Storia/Studi e ricerche Collana fondata da Marino Berengo e Franco Della Peruta

DirettoriGiuseppe Berta, Carlo Capra, Giorgio Chittolini

Come dichiara nel suo titolo, la collana è aperta alla ricerca storica nella varietà e ricchezzadei suoi temi: politici, culturali, religiosi, economici e sociali; e spazia dal medioevo ai nostrigiorni.L’intento della collana è raccogliere le nuove voci e riflettere le tendenze della cultura storicaitaliana. Contributi originali, dunque, in prevalenza dovuti a giovani studiosi, di vario orienta-mento e provenienza. La forma del saggio critico non andrà a detrimento di un sempre neces-sario corredo di riferimenti, di note e di appendici, pur mantenendo un impianto agile ed es-senziale che entra nel vivo del lavoro storiografico in atto nel nostro paese.

Comitato scientificoMaria Luisa Betri (Università degli Studi di Milano); Giorgio Bigatti (Università Bocconi,Milano); Christof Dipper (Freiburg Institute for Advanced Studies); John Foot (UniversityCollege London); Salvatore Lupo (Università degli Studi di Palermo); Luca Mannori (Uni-versità degli Studi di Firenze); Marco Meriggi (Università degli Studi di Napoli “FedericoII”); Giovanni Muto (Università degli Studi di Napoli “Federico II”); Gilles Pécout (EcoleNormale Supérieure, Paris); Lucy Riall (Birkbeck College, University of London); Emanue-la Scarpellini (Università degli Studi di Milano); Gian Maria Varanini (Università degli Stu-di di Verona).

Il comitato assicura attraverso un processo di peer review la validità scientifica dei volumipubblicati.

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FRANCOANGELI

Identità e frontierePolitica, economia e società nel Mediterraneo (secc. XIV-XVIII)

a cura di Lluis-J. Guia Marín Maria Grazia Rosaria MeleGianfranco Tore

Storia

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In copertina: Identità e frontiere (particolare del disegno dell’architetto Sebastián Antonio Mele, chesi ringrazia per la gentile concessione).

Copyright © 2014 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy

L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore.Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma

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Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascunfascicolo dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22

aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico ocommerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di

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Volume pubblicato con il contributo della:Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato alla Programmazione, ProgettoSardegna e Mediterraneo tra età moderna e contemporanea. Classi dirigenti, economia,società, rapporti centro periferia (Legge Regionale 7 agosto 2007, n. 7: “Promozionedella ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”), codice Prot.CRP2/ 711/83.

Università degli Studi di Cagliari: Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio

e Scuola di Dottorato in scienze storiche, politiche, geografiche e geopolitiche

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Anno2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020

CNR, Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea

Universitat de València - Departament d’Història Moderna

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Indice

Premessa

Introduzione – Mediterraneo, frontiere, identità, di Giovanni Muto

Identità e frontiere

Corona de Aragón e identidad en la Cerdeña bajomedieval, di Esther Martí Sentañes

Sardos al servicio del gran turco, di Emilio Sola Castaño

Un covo di spie: il quartiere greco di Napoli, di Gennaro Varriale

Cautivos sardos y esclavos en Cerdeña: una historia por hacer, di Juan Jesús Bravo Caro

Esclavos moriscos y renegados en las galeras del rey ante la inquisición a principios del siglo XVII, di Rafael Benítez Sánchez-Blanco

Mari, Terre e Frontiere

Le conseguenze della conquista aragonese sull’insediamento rurale della Sardegna (secoli XIV-XV), di Giovanni Murgia

Il sistema delle città regie nella Sardegna aragonese, di Gian Giacomo Ortu

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Castell de Càller e il problema della sua difesa tra XIV e XV

secolo, di Alessandra Cioppi

Tentativi di crociata nelle strategie della Curia Pontifi cia agli inizi

del Cinquecento: l’Orazione di Alessandro Geraldini a Basilio III

di Russia, di Anna Maria Oliva

Il Regno di Sardegna come realtà di frontiera nel Mediterraneo

del secolo XVI: un progetto di conquista franco-turco della metà

del Cinquecento, di Maria Grazia Rosaria Mele

Las galeras de España en tiempos de Manuel Filiberto de

Saboya: difi cultades fi nancieras y proyectos de reforma, di

Manuel Lomas Cortés

La defensa de Cerdeña desde Nápoles y Sicilia en la época del

Duque de Lemos y el Duque de Osuna, di Miguel Ángel de Bunes Ibarra

El siglo de las torres. Los sistemas de vigilancia litoral en el

Mediterráneo hispánico, di Juan Francisco Pardo Molero

Siciliani in terra d’Africa: la rifondazione di Tripoli tra Ferdinando

il Cattolico e Carlo V, di Maurizio Vesco

Forma e progetto della piazzaforte di Cagliari nel periodo 1552-

1578. L’arrivo degli specialisti Rocco Capellino e i Paleari

Fratino, di Andrea Pirinu

La cartografi a per la difesa del territorio, di Sebastiana Nocco

La torre, il territorio e le attività economiche, di Daniele Vacca

Istituzioni, economia e società

Dare udienza ai sudditi, controllare i viceré. La visita generale

di Pietro Vaguer nella Sardegna di Carlo V (1542-1546), di

Gianfranco Tore

Grupos de poder y política fi scal en Valencia, di Remedios Ferrero Micó

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Gobierno, justicia y gracia en las dos orillas del Mediterráneo hispánico. El proceso institucional de la Audiencia real en Valencia y Cerdeña (siglos XVI-XVII), di Teresa Canet Aparisi

Il Regno di Sardegna e gli Ordini di Malta e di Montesa. Storia di un progetto fallito agli inizi del Seicento. I documenti, di Fernando Andrés Robres

El pensamiento político de Francisco Jerónimo de León. La jurisdicción eclesiástica, señorial y municipal en las Decisiones Regiae Sacrae Audientiae Valentinae, di Nuria Verdet Martínez

Valencia-Cagliari-Madrid: interferenze private alla ricerca di un equilibrio istituzionale (1652-1665), di Rafaella Pilo

La ciudad de Cáller en la coyuntura de los cambios dinásticos, di Lluis-J. Guia Marín

L’aristocrazia sarda dagli Asburgo ai Savoia, di Maria Lepori

Viceré, intendenti, ministri nell’amministrazione sabauda, di Pierpaolo Merlin

Cambio político y confl ictividad fi scal en la Valencia del siglo XVIII: la pervivencia de la fi scalidad foral y la imposición de los derechos de regalía, di Ricardo Franch Benavent

Sociabilidad y pautas de consumo en el medio rural valenciano del siglo XVIII, di Luis M. Rosado Calatayud

El Tribunal de la Inquisición de Valencia y los delitos de superstición en el siglo XVIII, di María Luisa Pedrós Ciurana

Inghilterra e Sardegna: la complessità di un rapporto nel contesto della prima età napoleonica (1799-1804), di Giorgio Puddu

Mediterraneo: un cantiere aperto

La biblioteca de los reyes aragoneses de Nápoles dentro del proyecto Europeana regia: la aportación de la Universitat de València di Victoria García Esteve y Margarita Escriche Soriano

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Il progetto “Torri Multimediali. La torre come interfaccia” nell’ambito dell’attività dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea del Dipartimento scienze umane e sociali, Patrimonio culturale del CNR, di Giovanni Serreli

Una strategia integrata per la valorizzazione del patrimonio delle torri costiere della Sardegna, di Alessio Satta

Archivo de la Frontera. Una experiencia educativa basada en el empleo de fuentes primarias y TIC’S, di Laura Massimino Amoresano

Studi e prospettive di ricerca interdisciplinare sulle Corts della Corona d’Aragona, di Giovanni Sini

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Siciliani in terra d’Africa: la rifondazione di Tripoli tra Ferdinando il Cattolico e Carlo V

Maurizio VescoUniversità degli Studi di Palermo

Una domenica sera dell’agosto 1510 Palermo vista dal mare doveva dav-vero brillare, illuminata com’era dalle lanterne accese poste alle porte e alle fi nestre delle case: le luminarie, durate tre giorni, facevano seguito a una solen-ne processione che aveva attraversato la città per concludersi nella Cattedrale, dove l’Arcivescovo aveva celebrato una messa in ringraziamento della “prospe-ra nova di la victoria et conquesta dila chita di Tripuli di la secta maugmetana”1.

Le devastazioni e gli stermini seguiti alla presa e al sacco di Tripoli, chia-ve di volta nella strategia politico-militare dei presidi d’oltremare da poco intrapresa dal cardinale Cisneros2, commessi dalle truppe di Pedro Navarro (fi g. 1), la fuga della popolazione sottrattasi all’invasore e la successiva de-portazione dei prigionieri, venduti come schiavi, dovevano aver provocato la distruzione e lo spopolamento di gran parte della città3. Lo stesso sceicco era stato condotto prigioniero con i familiari e alcuni dignitari a Palermo, dove sarebbe stato costretto a risiedere per anni4, anche se forse in condizioni co-

1. Archivio Storico Comunale di Palermo (d’ora innanzi ASCP), Atti bandi e provviste, vol. 117-33, c. 26v.

2. Sull’argomento, cfr. R. Gutiérrez Cruz, Los presidios españoles del norte de Africa en tiempo de los Reyes Católicos, Málaga 1997, e B. Alonso Acero, Cisneros y la conquista española del norte de Africa: cruzada, poltica y arte de la guerra, Madrid 2006, ai quali si rimanda anche per la ricca bibliografi a.

3. Il drammatico resoconto della battaglia, conclusasi con il combattimento casa per casa, e delle terribili violenze compiute dalle truppe spagnole, che seguirono la caduta della città – la popolazione fu passata per le armi una volta adunata nel cortile della Grande Moschea – è riportato dal cronista Jéronimo Zurita nei suoi Anales: “se pasaron a cuchillo, y los que quedaron vivos se recogieron a la Mezquita mayor, y aun alli pelearon hasta que murieron todos, sin que escapasse ninguno”; J. Zurita, Los Cinco Libro Postreros de la Historia del rey Don Hernando el Catholico, de las empresas, y ligas de Italia..., Zaragoza 1670, f. 226v.

4. Sembrerebbe che lo sceicco di Tripoli avesse provato a ottenere da Carlo V il permesso di poter rientrare nella città libica con la famiglia, ma che incontrato l’Imperatore a corte que-sti non glielo avesse accordato. Lo proverebbe il pagamento, nel maggio del 1522, per conto dello sceicco Mecendi e di due altri mori del suo seguito, per il rimborso delle spese sostenute

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mode e agiate5, come sarebbe avvenuto più tardi per il Re di Tunisi. Uno scenario desolante doveva presentarsi agli occhi dei soldati del contingente

fi n da quando questi “venerunt in hoc regno pro eundo ad Cesarem Magestatem pro obtinen-do ab ea gratiam quod possit habitare civitatem Tripolis”; Archivio di Stato di Palermo (d’ora innanzi ASPa), Conservatoria, Conti, vol. 892, cc.n.n., 5 maggio 1522.

5. Ad esempio, nel marzo del 1522 la Regia Corte calcolava in oltre 20 onze “quillo divino dari li infrascritti mori, fi gli et geniro dilo xeco di Tripuli, per lo mangiari et biviri hanno havuto in lo castello di Castelloammari di Palermo”, cioè per il vitto dell’anno indizionale 1520-1521: si trattava di “Mayometto et Axa Adi et Assinlaguadi”; ivi, 13 marzo 1522. A riprova di un alto tenore di vita concesso ai membri della ex-famiglia regnante, segnaliamo come nell’agosto dello stesso anno venissero confezionate, su ordine del viceré Pignatelli, cinque giubbe, di cui tre di prezioso damasco rosso, per “tri mori xechi et dui loro servituri”; ivi, 13 agosto 1522.

Fig. 1 – Pietro Navarro, da A. Caprioli, Ritratti di cento capitani illustri con li lor fatti in guerra brevemente descritti..., [Roma 1596] Roma 1600

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rimasto a presidiare l’avamposto, asserragliato nel castello espugnato. Inol-tre, a causa dei gravissimi danni subiti durante lo scontro, tanto la fortaleza quanto le mura urbiche dovevano offrire adesso poche o nulle garanzie di sicurezza alle truppe spagnole rimaste non solo costantemente sotto la mi-naccia della controffensiva turca, ma pure circondate da ogni dove da popo-lazioni locali ostili e in cerca di vendetta.

Nel tentativo illusorio, forse persino utopico, di Ferdinando il Cattolico di instaurare a Tripoli condizioni di vita il più possibile prossime alla “nor-malità” e di fare di essa, in una sorta di vera e propria rifondazione, una città nuova in terra d’Africa, e cristiana e spagnola, un anno dopo, nel settembre del 1511, il banditore del Senato palermitano declamava il “bannum super habitacionem civitatis Tripolis”6. Il sovrano, una volta presa la città africana, aveva infatti “agregatola a quisto fi delissimo regno di Sicilia subta la juri-sdicione del viceré di quillo”, dando avvio a un piano per “quilla ampliari et populari de christiani”. Per promuovere il trasferimento dei nuovi coloni, di certo restii a intraprendere una così pericolosa migrazione nonostante le ras-sicurazioni regie, vennero concessi alcuni importanti incentivi: l’assegnazio-ne di un’abitazione decorosa e diversifi cata a seconda della condizione socia-le d’origine, tra quelle rimaste in piedi e abbandonate dai loro proprietari, e di un terreno da coltivare; la concessione dell’immunità per eventuali crimini commessi; l’esenzione per dieci anni da qualunque dazio e gabella su beni e merci condotte oltremare non solo per l’uso e il sostentamento personale, ma anche su quelle – cosa questa ben più allettante – destinate alla vendita agli altri coloni o alle truppe.

Eppure, parrebbe che di fatto nessun siciliano abbia accettato la proposta del governo di trasferirsi nella città libica7. E ciò appare più che comprensi-bile: benefi ci fi scali e amnistie poco o nulla valevano rispetto al terrore di es-sere passati per le armi o ridotti in schiavitù dai turchi, al senso di abbandono in un territorio sconosciuto e ostile, al vivere in una continua condizione di assedio tra le rovine di una città devastata. Questo, in verità, doveva essere chiaro anche al governo viceregio se tra le pene comminate per i reati più gravi, quale ad esempio la lesa maestà, quasi alternativo alla pena di morte divenne presto il confi no nel castello di Tripoli8.

6. ASPa, Conservatoria di registro, vol. 100, c. 3r.7. A questa conclusione giunge C. Trasselli, che per primo segnala il bando, in La con-

quista di Tripoli nel 1510 vista dalla Sicilia, in Melanges en l’honneur de Fernand Braudel. I. Histoire Economique du monde méditerranéen 1450-1650, Toulouse 1973, pp. 611-619 e in particolare p. 612.

8. Ad esempio, un caso celebre è quello di Claudio Imperatore e Vincenzo de Benedictis, già Vice-ammiraglio e Capitano della città di Palermo, due dei congiurati della rivolta fran-cofi la che infi ammò la Sicilia nel 1522, ai quali fu risparmiata, a differenza di altri, la vita per essere invece esiliati a Tripoli; cfr. S. Giurato, La Sicilia di Ferdinando il Cattolico. Tradizio-ni politiche e confl itto tra Quattrocento e Cinquecento (1468-1523), Soveria Mannelli 2003, p. 323.

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Fig. 2 – D. Ugo de Moncada, da D.A. Parrino, Teatro eroico e politico de’ governi de’ vicere del regno di Napoli..., [Napoli 1692] Napoli 1730

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Già Carmelo Trasselli, cui si devono i primi autorevoli studi su questo argo-mento ormai risalenti a quarant’anni fa9, ha messo in evidenza il ruolo, trascura-to allora come oggi, del Regno di Sicilia nell’impresa di Tripoli condotta da Pe-dro de Navarro, soprattutto, nella riorganizzazione e nella successiva ricostru-zione del presidio africano, in primo luogo dal punto di vista dei suoi apparati difensivi, opere affi date al governo siciliano e portate avanti tra mille diffi coltà per quasi un ventennio, sino alla consegna della città nel 1530 al Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano. In particolare, la Sicilia, e primo fra tutti il suo vi-ceré, il tanto discusso don Ugo Moncada (fi g. 2), presto nominato anche gover-natore di Tripoli, dovette sobbarcarsi il grave onere, non solo economico, della rifondazione della città devastata e spopolata a seguito di eccidi e deportazioni, oltre che quello, ben più urgente per la Corona, della costruzione della nuova fortaleza (fi g. 3) posta all’imbocco del porto della capitale libica, una cittadella moderna dotata di bastioni, aderente quindi ai nuovi principi dell’architettura militare italiana, destinata a far fronte a un sempre imminente attacco turco.

Se sono noti i continui approvvigionamenti di vettovaglie, armi e materiali costruttivi necessari al sostentamento di Tripoli e della nuova comunità cri-stiana ivi insediatasi, costretta a vivere reclusa nella città-fortezza e del tutto dipendente dai rifornimenti della madre patria, meno conosciuto è invece il

9. Vedi nota 7.

Fig. 3 – S. Münster, Africa mit umbligenden Inselen und Carthagine, in Strabonis rerum Geographicarum…, Basel 1544

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consistente fl usso di siciliani operatori del mondo dell’architettura tra le due sponde del Mediterraneo (fi g. 4), impegnati nella conduzione dei complessi cantieri promossi dal governo. Non diverso da quello dei coloni e dei funzio-nari regi doveva essere l’animo con cui schiere di capomastri e manovali, cal-cinai e maestri d’ascia affrontarono il diffi cile e pericoloso viaggio per mare dalla Sicilia verso la città libica, chiamati a riedifi care la fortezza a guardia del porto. Non si trattò soltanto di una semplice operazione di ricostruzione dopo gli eventi bellici, quanto piuttosto di un intervento di signifi cativo ammoder-namento della struttura castrense secondo quei dettami dell’architettura mili-tare alla moderna che dall’Italia stavano diffondendosi rapidamente nei terri-tori dell’Europa occidentale. Si trattava di dotare la cinta muraria quadrilatera del castello di baluardi in grado di ospitare l’artiglieria, che in base ai principi del fi ancheggiamento avrebbero garantito la protezione dai cannoni turchi.

Se non stupisce che il progetto delle nuove difese di Tripoli sia stato affi -dato a ingegneri militari della Corona inviati dalla Sicilia a compiere i neces-sari sopralluoghi, potrebbe meravigliare invece l’affi damento dell’esecuzio-ne delle opere – fase questa comunque altrettanto impegnativa della proget-tazione – interamente a maestranze anch’esse siciliane. La verità è che non solo la popolazione tripolina era stata orrendamente trucidata – le cronache parlano di oltre 5000 morti10 – ma che i rapporti tra la comunità locale e quel-

10. “Con esta fatiga se apoderaron de toda la Ciudad con el gran estrago, y matança de los Moros, porque murieron cerca de cinco mil”; J. Zurita, Anales de la Corona de Aragon..., f. 226v.

Fig. 4 – N. Le Fer, Plan de Tripoly en Barbarie, Paris 1695

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la occupante dovevano essere tutt’altro che semplici e fi duciari, tanto che la Corona non poteva contare facilmente su squadre di manovali locali. Certo è anche che le tecniche costruttive adottate dagli europei – quelle dei baluar-di per altro complesse e ancora in via sperimentale – erano molto diverse da quelle africane, legate primariamente all’uso della terra cruda e condiziona-te dalla scarsa disponibilità di legname e dal poco o nullo impiego di mal-te ricche di calce. Ciò spiega perché negli anni vennero inviati dalla Sicilia sia enormi quantitativi di legname e di calcina sia molte squadre di calcinai e maestri d’ascia chiamati a prestare servizio con il loro know-how in terra libica.

Per quanto riguarda la calce, materiale indispensabile alla costruzione dei bastioni11, se in un primo tempo si preferì il suo invio in grosse botti stipate sulle navi in partenza da Palermo verso Tripoli, ben presto si comprese l’im-portanza di poter disporre in loco di maestri calcinai in grado di costruire e governare calcare: nell’aprile del 1513, ad esempio, il viceré Moncada con-cedeva otto onze a maestro Colella de Riccardo, “maestro calcararo in la cità di Tripuli”, in ricompensa del suo buon operato, poichè “mediante soy fruc-tiferi servitii la Regia Curti reportao grandissima utilitati”12.

Il cantiere della fortaleza dovette essere fi n dal suo avvio ben più signifi -cativo e complesso di quanto non sia sinora emerso: lo proverebbe la consi-stenza delle diverse squadre di operai che vennero inviate dalla Sicilia, pro-venienti da diverse parti dell’isola e organizzate da uomini di fi ducia del governo. Ad esempio, il barone della Ferla Francesco Moncada nel 1513 condusse personalmente a Tripoli 139 uomini da impiegare “ala opera dila fortiliza fi chimo di novo construhiri”13, mentre due manovali, un maestro d’ascia e sette maestri di muro “experti in la arti di murari” componevano la compagnia fornita dal messinese Giovan Giacomo Ansalone, regius miles e maestro credenziere della città dello Stretto14.

Sempre nello stesso frangente, il viceré aveva assoldato uno dei migliori operatori nel campo dell’architettura attivi a Palermo nel primo quarto del Cinquecento, il capomastro-architetto di origine cavese Anselmo Quaranta, già autore di palazzi e domus magnae per aristocratici e mercanti palermita-

11. Sono assai eloquenti le parole scritte al riguardo qualche anno più tardi dal viceré di Sicilia Ettore Pignatelli, duca di Monteleone, che asserì come la possibilità di complere le opere fortifi catorie “consiste tutta in ipsa calchi”; cfr. M. Vesco, Pietro Antonio Tomasello de Padua: un ingeniero militar véneto en la Sicilia de Carlos V, “Espacio, Tiempo y Forma. Revista de la Facultad de Geografía e Historia de la UNED de Madrid”, serie VII, Historia del Arte, t. 22-23 (2009-2010), p. 73.

12. Il governatore premiò il calcinaio per quanto aveva fatto in terra libica nella “sua industria seu opera circa il confi ciri dili calcari et calchina”; ASPa, Tribunale del Reale Patrimonio, Lettere Viceregie, vol. 230, c. 187r.

13. Ivi, c. 194v.14. Si trattava del carpentiere Battista D’Ansaldo e dei maestri muratori Marco Ismorto,

Giovanni Genuisi, Antonio Stranito, Miano Gulli, Giuseppe Caminiti, Francesco Trizaniti e Domenico di Marino; ivi, cc. 192r, 194r, 196r., 197r.

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ni, assegnandogli il ruolo di “capomastro dili muraturi ala fabrica dila for-tiliza”, perchè dirigesse l’esecuzione dei lavori15. Moncada condusse perso-nalmente il Quaranta con i suoi uomini a Tripoli vigilando sulla conduzione dell’impresa e una volta fatto rientro in patria decise di premiare il capoma-stro per il suo buon operato16.

Il tecnico a cui, invece, va ascritto il piano per la nuova fortezza libica è Antonello da Trani, uno dei primi importanti artefi ci della fortifi cazione alla moderna nel Sud Italia: valoroso uomo d’armi, prima bombardiere dell’eser-cito aragonese, poi al servizio della Serenissima, quindi al seguito di Pedro Navarro nella presa di Castelnuovo, ricoprì l’incarico di ingegnere militare e di capitano d’artiglieria del regno di Napoli. Figura ancora oggi da indagare, venne inviato in Sicilia dal viceré di Napoli, Charles de Lannoy, su richiesta di Pignatelli17: nel 1518 fu in Sicilia non solo per elaborare un piano di am-modernamento della cittadella del Castellammare di Palermo solo da poco completata18, ma anche per redigere, dopo avere compiuto i necessari sopral-luoghi, i progetti per diverse fortezze del regno. Tra gli otto disegni da lui re-datti e inviati personalmente al sovrano a corte19 riteniamo vi sia stato anche quello relativo alla fortaleza di Tripoli, roccaforte che l’ingegnere conosceva bene avendone già discusso nel 1511 il progetto di fortifi cazione al cospetto del re in un accampamento in territorio romagnolo assieme allo stesso don Pedro de Navarro20.

Ma il castello di Tripoli a quella data doveva essere già operativo: di certo, nell’estate del 1518 i fossati della fortezza spagnola erano ultimati. Il nobilis Cataldo Sabarras sollecitava, infatti, il saldo di quanto dovutogli dalla Corte

15. Nel maggio del 1513 don Ugo Moncada ordinava al tesoriere del Rego di Sicilia Cola Vincenzo Leofante di pagare a maestro Quaranta oltre 130 onze perché questi distribuisse la propria parte ad ognuno di “quilli mastri et manuali perchè novamenti su venuti cum nui di la citati di Tripuli che foro in la frabica di lo castello di la dicta citati”; ivi, cc. 195v.

16. Il governatore decise infatti che al Quaranta andassero ben dieci onze come compenso per le sue fatiche durante la trasferta oltremare poiché aveva svolto la sua mansione di capo-mastro delle fabbriche della fortezza libica “cum omni sollecitudini, diligenza et vigilanza di maynera chi restamo multo contenti di ipso”; ivi, c. 220v.

17. Cfr. C.J. Hernando Sánchez, El Reino de Nápoles en el Imperio de Carlos V. La con-solidación de la conquista, Madrid 2001, pp. 306-307. Per le poche notizie su Antonello da Trani, che lavorò alle difese di Capua, Gaeta, Otranto, Crotone e Manfredonia tra il secondo e il terzo decennio del XVI secolo, cfr. G. Ceci, Un dimenticato ingegnere militare pugliese nel sec. XVI: Antonello da Trani, “Japigia”, I (1930), pp. 54-60, e O. Brunetti, A difesa dell’im-pero. Pratica architettonica e dibattito teorico nel Viceregno di Napoli nel Cinquecento, La-vello 2006, pp. 59 e 125.

18. Nell’aprile del 1518, infatti, questi veniva pagato dalla regia Corte “pro fi eri faciendo modellum seu designum fortilicze faciende in citatella Panormi”; ASPa, Conservatoria, Con-ti, vol. 890, cc.n.n, 23 aprile 1518.

19. Nel maggio dello stesso anno l’ingegnere veniva rimborsato “pro expensis per eum factis pro fi eri faciendo octo designa missa ad Sacram regiam Magestatem domini nostri regis”; ivi, 19 maggio, 1518.

20. Trasselli, La conquista di Tripoli..., p. 614.

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per i servizi prestati insieme a un socio nelle operazioni di scavo, probabil-mente in qualità di soprastanti o di appaltatori di squadre di guastatori, e che avevano implicato una trasferta a Tripoli di oltre un anno21.

Sulle piattaforme e nelle casamatte dei cinque nuovi bastioni del castel-lo22, assai probabilmente quei torrioni circolari tipici della cosidetta fase di transizione dell’architettura militare alla moderna, alcune delle quali ancora foderate dalle cassaforme in legno impiegate per la costruzione delle volte, nel settembre del 1522 risultavano collocati a protezione del forte e della cit-tà svuotata un buon numero di cannoni serpentini, sagri e colubrine, decorati dalle armi del Re cattolico e dei viceré La Nuza e Moncada, assieme ad an-geli e motti moraleggianti, teste leonine, aquile e busti dei Cesari, e recanti al contempo i nomi dei maestri fonditori palermitani che li avevano realizzati23.

In quello stesso anno, in concomitanza di un ritrovato interesse per la città libica da parte della Corona, vennero avviate nuove signifi cative opere edili, se non forse persino urbanistiche. L’imperatore Carlo V dovette, infat-ti, promuovere una campagna di popolamento e ricostruzione della città che avrebbe dovuto produrre per la Corona benefi ci anche di natura fi scale, legati al potenziamento dei traffi ci mercantili e ai maggiori dazi attesi dalla dogana locale, come provato dai capitoli della secrezia tripolina stipulati nell’agosto del 152224.

È interessante osservare come il carattere di luogo di frontiera estrema, in cui si conduceva un’esistenza ai limiti della legge, in una sorta di “Far West” ante litteram, sia ribadito proprio da un punto di questi in cui si concedeva ai corsari di vendere nel porto della città il bottino delle loro razzie, persino se perpetrate nei confronti di vascelli regnicoli, purchè i beni fossero sottoposti come da prassi a dazi a favore della Regia Corte. Non meno sorprendente, d’altro canto, è la richiesta di salvacondotto per i navigli di mori che fossero

21. Doveva trattarsi di uomini maltesi poiché la missiva era indirizzata al secreto di quell’isola che veniva incaricato di verifi care la fondatezza della richiesta di pagamento “per so salario et rationi di manjari et biviri”; ASPa, Conservatoria, Conti, vol. 890, cc.n.n.

22. Si trattava dei torrioni di san Giacomo, di santa Barbara, di san Giorgio, di san Giovanni e di san Cristoforo, a cui si aggiungevano le torri, forse preesistenti, dette di Ribesaltes e di lo comuni. Ricaviamo questi dati dal dettagliato inventario di armi e munizioni presenti “in lo castello et fortelicza dila cità di Tripoli” redatto nel settembre del 1522 dal magnifi cus Matteo Racalmuto, luogotente del maestro secreto del Regno di Sicilia; ASPa.

23. A titolo di esempio riportiamo come nel torrione di san Giacomo fossero collocati un cannone “chiamato santo Jacopo con li armi del re Catholico Sancta Gloria habia et cum la fi gura scolpita di santo Jacobo”, una colubrina “cum certi litteri di supra chi dichino Grego-rio et Petro siciliani et altri litteri di subta chi dichino Julio Cesaro cum la fi gura scolpita di baxo”, una mezza colubrina “cum li armi reali di lo condam don Joanne de la Nuza di supra et plui ali dui custati teni per omni banda una campana, dui stilli et una colonna scolpiti cum certi litteri chi dichino Petrus minor siculus me fecit” e infi ne un sagro “cum uno scuto sen-za armi di supra cum certi litteri vicini la bucca chi dichino Operibus Credite et altri dui plui abaxu chi dichino Magister Petrus de Arena minor siculus me fecit et cum una testa di liuni ala culata”; ibidem.

24. ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, Lettere Viceregie, vol. 251, c. 334r.

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venuti a comprare merci a Tripoli per poi rivenderle ad Alessandria “oy al-tra qualsivoglia parti di infi dili”, ai quali le navi cristiane facevano da chia-ro deterrente, e a cui laconicamente il viceré Ettore Pignatelli rispose: “Non possit fi eri”25.

È sempre il medesimo documento a confermarci il recente reinsediamen-to di genti autoctone all’interno della città murata, fenomeno testimoniato per altro dai provvedimenti con cui il governo provò a favorire la costruzione di nuove abitazioni. Tra agosto e settembre del 1522, infatti, vennero inviate dalla Sicilia nella città africana grandi quantitativi di calce, travi, legname e ferramenta, altrimenti introvabili, destinati signifi cativamente “pro fabrica civitatis Tripolis”26, tutti materiali che il secreto locale avrebbe poi provve-duto a rivendere per conto della Corte ai coloni intenzionati a costruire nuovi alloggi “per apopularisi et habitarisi la dicta cità”27.

Comunque, per provare a immaginare lo stato d’animo di queste mae-stranze coraggiose non si può non tener conto dei pericoli dell’andare per mare, un Mediterraneo solcato sì da millenni in lungo e in largo, ma al con-tempo, per via dei frequenti naufragi, tomba di innumerevoli viaggiatori, tana paurosa di creature mostruose, un Mare Nostrum che, con l’avanzata dell’Impero Turco, per i cristiani si era fatto sempre meno “nostrum” e in cui il rischio di venir catturati – se da pirati barbareschi o dalla fl otta regolare ot-tomana poco importa – e di fi nire, nella migliore delle ipotesi, venduti come schiavi si era fatto sempre più alto, in particolare nel Canale di Sicilia.

Una disavventura di tal genere dovette sperimentarla, ad esempio, qual-che anno dopo, un altro ingegnere militare del regno di Sicilia, il veneto Pie-tro Antonio Tomasello da Padova, quando venne inviato, nel 1526, a Malta e a Tripoli per elaborare i progetti per le fortifi cazioni di quegli avamposti me-diterranei. Nonostante le cautele prese dalla corte nell’organizzazione della missione del tecnico viceregio, inviato a bordo di un brigantino armato, sulla via di ritorno da Tripoli, nel giugno di quell’anno, egli venne catturato nelle acque siciliane al largo di Camarina dai turchi, fortunatamente ignari della sua identità28.

La città di Tripoli nel 1530 venne assegnata dall’Imperatore assieme a Malta e a Gozo – territori pure questi sino ad allora sotto la giurisdizione

25. Ibidem.26. I nuovi abitanti erano tanto europei quanto soprattutto autoctoni, intenzionati non solo

a fare ritorno nella loro città ma anche a intraprendere attività commerciali con gli occupanti. Per questo ragione il viceré conte di Monteleone, “essendo stati venuti ad abitari in la chita di Tripoli alcuni mori et continuamento calando et pretendo abitari la dicta chita et essiri subditi et vasali dila Cesarea Magestà dilo Imperaturi [...] dimandanoni alcuni cosi como su li trave, tabule, chiovami et calcina per construhiri et edifi cari loru stancie”, ordinò l’invio di 40 botti di calce; ivi, vol. 253, c. 260v.

27. I materiali, per i quali la Corte aveva già fi ssato i prezzi di vendita al dettaglio, venne-ro inviati con il galeone di Giovan Pietro Camot, usualmente impiegato nelle rotte tra i porti siciliani e Tripoli; ivi, c. 279v.

28. Cfr. Vesco, Pietro Antonio Tomasello de Padua..., pp. 65-66.

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siciliana – ai cavalieri dell’Ordine Gerosolimitano, rimasti privi di una sede stabile dopo i fatti tragici di Rodi del 1522, perché provassero ad arginare l’a-vanzata del perfi do inimico turco, in particolare nelle acque del Mediterraneo occidentale. Ma anche Tripoli, come Rodi, sarebbe caduta, conquistata nel 1551 dalla fl otta di Sinan pasha e sottoposta questa volta per davvero a inter-venti di ricostruzione e ripopolamento, nonchè di sostanziale rafforzamento delle fortifi cazioni, che ne avrebbero implicato persino il ridisegno parziale del circuito murario (fi g. 5)29. Il tentativo di riconquistare, nel 1559, l’inse-diamento libico, anche per riparare allo smacco subito, impresa affi data da

29. Il nuovo assetto assunto dalle mura di Tripoli, una volta tornata in mano turca, è quello riportato nella bella pianta a volo d’uccello Il vero disegno del porto, della Città, della fortezza et del sito dove è posta Tripoli di Barbaria, la stessa poi pubblicata nell’opera di Giulio Ballino, De’ disegni delle più illustri città e fortezze del mondo (Venezia 1569), che, nonostante rechi la data 1567, potrebbe essere di diversi anni precedente in quanto mostra la città ancora devastata, plausibilmente dagli eventi bellici legati alla riconquista turca del 1551. Segnaliamo, inoltre, le due piante manoscritte cinquecentesche conservate presso l’Archivio di Stato di Torino e recentemente pubblicate in I. Massabò Ricci – F. Paglieri – M. Viglino Davico, Architettura militare. Luoghi, citttà, fotezze, territori in età moderna, vol. II, Roma 2008, 112-113; nello stesso volume si segnalano le schede di studio dei disegni redatte da L. Micara; ivi, pp. 43-45.

Fig. 5 – P. Forlani, Il vero disegno del porto, della Città, della fortezza et del sito dove è posta Tripoli di Barbaria, Roma 1567; poi in G. Ballino, De’ disegni delle più illustri città e fortez-ze del mondo, Venezia 1569

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Carlo V al viceré di Sicilia, don Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, si sa-rebbe trasformato in una tragica disfatta. La fl otta cristiana, bloccata a Gerba, non riuscì neppure a raggiungere le coste libiche30: del progettato assedio di Tripoli sarebbe rimasta così solo una straordinaria dettagliatissima incisione (fi g. 6), forse un piano d’attacco, ricco di annotazioni metriche riguardanti le cortine, frutto del lavoro di spie, grazie al quale si sperava “con l’aiuto di Dio di riportarne vittoria”31, o forse solo un sogno di riconquista.

30. Della sfortunata impresa di Tripoli e della disfatta di Gerba rimane una straordinaria cronaca data alle stampe solo qualche anno più tardi; A. de Ulloa, La Historia dell’Impresa di Tripoli di Barbaria, fatta per ordine del Sereniss. Re Catolico l’anno MDLX con le cose avenute a Christiani nell’Isola delle Zerbe, Venezia 1566.

31. Si tratta della veduta Tripoli città di Barberia, poi pubblicata nel terzo volume delle Tavole moderne di geografi a di Antonio Lafreri, stampata nel 1559, in cui la città è minuziosamente descritta e di cui si conservano presso la Biblioteque Nacional de France di Parigi due esemplari differenti da quella che si trova presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, in quanto privi di testo e legenda e ragionevolmente più tardi.

Fig. 6 – Tripoli città di Barberia, 1559; da A. Lafreri, Geografi a. Tavole moderne di geogra-fi a..., Roma 1550-1572.