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Rotte e commerci marittimi tra Ellenismo e prima età imperiale: i
giacimenti dell’Adriatico e dello Ionio.
Rita Auriemma, Francesca Silvestrelli – Dipartimento Beni Culturali, Università del Salento
Atti del Workshop “Immensa Aequora. Ricerche archeologiche, archeometriche e
informatiche per la ricostruzione dell’economia e dei commerci nel bacino
occidentale del mediterraneo (metà IV sec.a.C. – I sec. d.C. (Progetto FIRB
RBNE03KWMF)”, resp. G. Olcese, Roma, Università la Sapienza, 24-26 gennaio 2011,
c.s.
L’ambizioso titolo di questo contributo non introduce una
rassegna esaustiva dei giacimenti della fase in esame lungo le
coste adriatiche e ioniche, pochi dei quali, peraltro, oggetto di
indagini sistematiche. L’obiettivo o, meglio, il tentativo è
quello di mettere a fuoco, lungo queste vie del mare tutt’altro
che lineari, attraverso i loro “miliari” – relitti, carichi,
discariche portuali – modi, vettori e attori di fenomeni di
circolazione e distribuzione, con la consapevolezza dei limiti e
delle peculiarità che – come richiamava già Morel (1998) – questi
“viaggi mancati”, queste “intenzioni tradite” mostrano rispetto ai
contesti di terra.
Il fil rouge che caratterizza l’area adriatica è l’appartenenza
ad una koiné "marittima" che comprende le coste dello Ionios poros
(greco-macedoni, epirote), è il rapporto privilegiato che questo
mare “intimo”1 e non a caso “greco” mantiene, se non prima, dal II
millennio in poi, con l’Oriente. Il canale d'Otranto rivestiva un
ruolo di primo piano agli occhi dei pionieri del commercio greco,
cioè corinzi, corciresi ed egeo-orientali; era il punto di
1 Matvejević 2007, p. 26.1
giunzione tra il bacino settentrionale dell'Adriatico, e quindi
l'Europa continentale, e il mondo egeo.
La cesura tra i due Mediterranei, che spesso si individua
lungo l’Adriatico e fino alla Grande Sirte, interessa anche la
Puglia meridionale: tutto il Salento, anche quello ionico con
Taranto, gravita sul bacino adriatico e sul Mediterraneo
orientale. Morel sottolinea giustamente la profonda differenza tra
un relitto “tirrenico” e il giacimento subacqueo di Torre S.
Sabina (di cui parleremo specificatamente), così come tra la
colonia latina di Brindisi e le sue sorelle del versante
tirrenico2.
Doppiato il capo di Leuca si avverte comunque una maggiore
“permeabilità” alla pars occidentalis del Mediterraneo: appaiono qui le
produzioni tirreniche, del Bruttium e della Sicilia, pressoché
sconosciute sull’altro versante.
Per i giacimenti di età ellenistica il lavoro di revisione
dei materiali, alla luce delle ultime acquisizioni degli studi
ceramologici, si è rivelato particolarmente utile: le produzioni
indici del boom agricolo e produttivo che interessa l’Italia
meridionale e la Sicilia tra IV e prima metà del III sec. a.C.
sono protagoniste di flussi di esportazione ormai consistenti, e
la loro originaria e semplicistica etichetta, “grecoitalica
antica” sembra ormai definitivamente superata dalle nuove
acquisizioni (che integrano peraltro l’imponente lavoro di
raccolta, classificazione e interpretazione di Van der Mersch
1994).
Tali produzioni costituiscono i carichi di vari relitti, in
particolare nello Ionio, anche di recente individuazione; gli2 Morel 1996, p. 159.
2
esemplari di Gallipoli3 e S. Caterina-Scogli delle tre Sorelle
(fig. 1), sono assimilabili ai tipi MGS I e III del Van der Mersch
ma soprattutto ai tipi "à pate rouge" o "corinthien B?" restituiti dai
livelli della seconda metà del IV - prima metà del III sec. a.C.
di Torre S. Giovanni, per i quali è stata postulata un’origine
bruttia.
In taluni casi viaggiano insieme a contenitori corinzio-
corciresi A' – B, secondo un precoce modello di commercio di
redistribuzione, come osservano giustamente Ph. Desy e P. De
Paepe, a due sensi: vini greci in Italia e vini magnogreci o
comunque dell’Italia meridionale e siciliani nel Mediterraneo
centrale e orientale; ne sono esempi i carichi dei relitti di
Madonnina (corinzio-corciresi A e B, MGS IV; fine del IV, inizi
del III sec. a.C.) e Savelletri (Br), datato tra il 280 e il 250
a.C. (corinzio-corciresi A e B, MGS III), rispettivamente ionico e
adriatico, ma anche il nutrito repertorio di corinzie B,
protagoniste assoluta nei contesti salentini per quanto concerne
le fasi di IV e prima metà del III sec. a.C.4. Le ultime indagini
tendono ad individuare per queste ultime più centri produttivi
proprio nell’area adriatica meridionale: oltre a Corinto e a
Corfù, come si è detto, altri sono da ubicare in Illiria
(sicuramente a Zgërdesh, a NE di Epidamno, e forse ad Apollonia),
lungo la costa dalmata (a Hvar) e con tutta probabilità in Italia
meridionale (per esempio ad Eraclea)5. 3 Auriemma 2004, 2, p. 85, n. 191; p. 152.4 Ivi, pp. 36-37 (Madonnina A, SR 37), 20-21 (Savelletri, SR 12), 148-150.5 In Italia settentrionale è postulata una produzione a Spina, sulla base dell’altissima incidenza di questi contenitori: Van der Mersch 1994, p. 138, conbibliografia precedente. Inoltre, una produzione di anfore di tipo corinzio A1
3
Nel relitto di Mali Lošinj, Quarnero, della prima metà –
decenni centrali del III, figurano produzioni forse dell’Italia
meridionale: anfore MGS VI, terrecotte architettoniche, un louterion
e pesi da rete. Questo carico è “gemello” (stesse anfore e louterion)
di un altro ionico, rinvenuto a notevole profondità a Capo
Passero, Portopalo (Sr)6.
Vari elementi inducono a postulare l’esistenza di una
“corrente adriatica”, tra IV e III sec. a.C., per queste
produzioni dell’Italia meridionale e della Sicilia, ancora poco
visibile a causa di problemi di identificazione (assenza di bolli
e di analisi petrografiche); oltre a ciò occorre pensa a
filiazioni locali, in parte imputabili alle intense relazioni tra
la Sicilia siracusana, Taranto e le colonie greche dell’Adriatico,
in parte alla circolazione stessa di questi contenitori7. Anfore
“greco italiche antiche” provengono da rinvenimenti subacquei nel
medio Adriatico (acque prospicienti il litorale marchigiano-
abruzzese) riferibili presumibilmente a fabbriche dell’Italia
meridionale; per gli esemplari più recenti, di III sec. a.C., non
si può escludere una produzione medio-adriatica8.
tra fine IV - inizio III sec. a.C. sarebbe stata individuata a Spina sulla base di scarti di fornace (Desantis 1989, p. 116, tav. VII, 9-11). Per altri riferimenti v. Campagna 2000, p. 446, n. 27.6 Kapitän 1979, pp. 104-106, figg. 11-13; Radić 1991, p. 155; Basile 1997(Portopalo; l’iniziale identificazione con MGS IV non è convincente).7 Van der Mersch 1994, p. 138, con riferimenti; una produzione medio-adriaticadi anfore grecoitaliche a partire dal III secolo a.C., successiva ad una primafase “magnogreca” e “siceliota”, è stata ipotizzata (De Luca De Marco 1979;Desantis 1991-1992) e poi accertata grazie alla presenza di anfore grecoitalichenei corredi funerari di Spina e di Adria (Toniolo 2000: anfore con impasticaratteristici dell’area adriatica) e soprattutto al recente rinvenimento discarichi di fornaci lungo la costa romagnola, a Cattolica (Stoppioni 2007;Stoppioni 2008; v. anche il contributo di M. L Stoppioni in questa sede); ancheuna produzione salentina è fortemente indiziata..8 Volpini c.s.
4
La maggiore “densità” di testimonianze si registra però solo
alla fine dell’età ellenistica, negli ultimi due secoli della
repubblica, ed è scandita in due “generazioni”: una più antica,
che non scende oltre i decenni finali del II secolo a.C.,
costituita dai carichi di produzioni “grecoitaliche tarde” e dalle
forme più evolute di queste (di transizione con la Lamb.2), e
l’altra dominata dall’anfora adriatica per eccellenza, la
Lamboglia 2 e dalla sua immediata filiazione Dr. 6A.
Alla prima generazione afferisce un nutrito numero di
evidenze: lungo la costa occidentale ad Ancona9, Fano10, al largo
della costa di Grado11, e a Punta del Vapore, nelle Isole
Tremiti12. Un discorso a parte merita l’insigne carico di Torre S.
Sabina, che rappresenta il nostro caso-studio, su cui torneremo
nella seconda parte di questo contributo.
Giacimenti analoghi punteggiano la costa istriano-dalmata,
dall’Istria e Quarnero (Salvore13, Pernat B, isola di Cres14, Punta
Glavina, isola di Rab15) alla Dalmazia centrale (Vis A, C16, Hvar17)
e meridionale (Lastovo B, E, Korcula18), solo per citare i
9 Profumo 1986, p. 43 ss.10 Profumo 2003, 390-393: due relitti profondi (60-70 m), 40 miglia a NE diFano.11 Tortorici 2000.12 Ruegg 1971, n. 3; De Juliis 1981, pp. 19-20 (le anfore greco italiche recanobolli sulle anse: ANTIP.R, CA.T.R).13 Vrsalović 1974, pp. 21, 53, 238, 240; Parker1992, n. 1044; da ultimo KoncaniUhač, Uhač c.s. 14 Vrsalović 1974, pp. 134, 238; Cambi 1989, pp. 318-320; Parker 1992, n. 804.15 Parker 1992, n. 942.16 Cambi 1989, pp. 311-315 (Vis A); Parker 1992, nn. 1220, 1222.17 Presso l’isola di Hvar sono stati individuati, a partire dal XVIII secolo,alcuni carichi di anfore grecoitaliche, in gran parte totalmente saccheggiati:Gaffney et al. 1997, p. 72, nn. BG0501, 504 (Bogomolje).18 Lastovo B: prima metà del II sec. a.C.: Radic 1988; Radic 1991; Parker 1992,nn. 555, 571, 574.
5
principali. Nella Carta Archeologica Subacquea del Salento
figurano ben 12 relitti ed oltre 50 rinvenimenti isolati o
decontestualizzati. Nello Ionio, in provincia di Lecce, giacciono
due carichi “gemelli” particolarmente significativi: il relitto di
S. Caterina di Nardò19 (fig. 2) e quello di T. Sinfonò, Alliste,
recentemente individuato a notevole profondità (fig. 3). Il carico
del primo, oggetto di una campagna di scavo e di alcuni
provvedimenti giudiziari (!) raggiungeva sicuramente il migliaio
di esemplari, ascrivibili ad un tipo evoluto, in due varianti
dimensionali, probabilmente di produzione locale; la piccola
porzione indagata ha inoltre restituito undici patere in ceramica
a vernice nera (una sola completa) Morel 1312-1314. Non è stato
possibile esaminare direttamente questi reperti, e di conseguenza
precisare se si tratta di un produzione locale o di altra
origine20.
La ceramica a vernice nera ellenistica è certamente la
produzione fine da mensa più attestata nel repertorio dei
rinvenimenti subacquei del Salento, e frequente è la sua
associazione con le produzioni anforarie locali; oltre al relitto
di S. Caterina segnaliamo, sempre nello Ionio, Saturo A ed un
altro ipotetico a Luogovivo (due piatti riferibili ai tipi 2231b1
e 1742b1 della classificazione del Morel), nell’Adriatico il
relitto di Torre Chianca Nord, dove sembra riconoscersi un piatto
che per caratteristiche morfologiche e di argilla potrebbe
identificarsi con la forma 2 della produzione locale "HFR group"21.
19 Auriemma 2004, 2, pp. 14-18 (con bibliografia precedente), 154, 176.20 Si segnala anche la presenza di un frammento – presumibilmente di anfora /squat neck amphora with twist led handles – di ceramica delle Pendici Occidentalidell’Acropoli /Attic West Slope Vase Painting: Rotroff 1991, pl. 46, n. 119. 21 Auriemma 2004, 2, pp. 40, 44, 109.
6
La “seconda generazione” è rappresentata dai carichi di anfora
Lamboglia 2, filiazione adriatica delle ultime produzioni
“grecoitaliche”, destinata al trasporto del vino calabro, apulo,
piceno, veneto, dalmata, prodotta su entrambe le sponde22 e
fossile - guida di questo imponente movimento di merci tra la fine
del II ed il I secolo a.C.
Ben noto è il relitto di Porto Badisco, oggetto di uno dei
primi interventi programmati di archeologia subacquea in Puglia,
ad opera del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina
diretto da N. Lamboglia23; le operazioni, effettuate nel 1972,
permisero il recupero di alcune delle anfore Lamb. 2 sfuggite al
sistematico saccheggio.
Giacimenti con anfore Lamb. 2 e Dr. 6A e/o forme di transizione
tra i due tipi sono numerosi, sia a sud, in particolare nel
brindisino, che a nord, lungo le coste delle Marche e dell’Emilia
Romagna (relitti di Ancona, Pesaro, Cattolica)24. L’unico relitto
oggetto di uno scavo scientifico è quello delle Tre Senghe, nelle
isole Tremiti; la nave trasportava quasi un migliaio di anfore
vinarie, molte delle quali ancora sigillate, caratterizzate dal
bollo di Marcus Fuscus e, su un solo esemplare, da quello di Dasmus,
che rimanda all’area dauna (fig. 4). Nel carico figuravano anche
alcune partite di vino pregiato, contenuto entro anfore di ridotta
capacità, mentre alla dotazione di bordo vanno ascritte le
ceramiche comuni e quelle fini da mensa, come la coppa in
sigillata norditalica di Sarius Surus che permette di datare il
22 V. la sintesi in Bezeczky 2010, p. 353.23 Auriemma 2004, 2, pp. 12-14, 159.24 Cfr. Dolci, Maioli 1986 (Emilia Romagna) e Profumo 1986 (Marche), inparticolare p. 45; Profumo, Medas, Delbianco 2001.
7
naufragio agli ultimi decenni del I sec. a.C.25. Per quanto
riguarda la provincia di Brindisi, un giacimento di considerevole
entità è presente nella zona di Acque Chiare/Lido S. Anna,
purtroppo già abbondantemente saccheggiato all'epoca delle prime
prospezioni, nel quale figurano anche produzioni tardorodie.
Particolarmente interessante è il carico del relitto A di Punta
della Contessa, di cui sono stati recuperati, nel corso di vari
anni (dal 1968 al 1974) numerosi esemplari, molti dei quali
integri; si riconoscono due tipi morfologicamente simili, ma di
dimensioni diverse, con gli stessi bolli26.
Ovviamente, non mancano attestazioni nell’alto arco adriatico: ben
noto è il relitto delle alghe di Caorle (Ve), con un carico di
Lamboglia 2 di fine II – inizi I sec. a.C. protetto da un guscio
naturale prodotto da una forte attività bentonica27; nel Canale
Sdrettolo della laguna di Grado, di fronte all’isola di Villanova,
si sono individuati gli esigui resti di un’oneraria di
considerevole tonnellaggio, colata a picco in uno dei canali
navigabili che portavano ai piccoli scali interni; i pochi
materiali anforari in associazione, relativi a forme di
transizione Lamb. 2/Dr. 6A e a Dr. 6B (due delle quali con i noti
bolli Apici e Rasonis Coctor) e i frammenti di ceramica fine, in
sigillata norditalica e in vernice nera, datano il naufragio
all’età augustea. Presunte tracce di un carico analogo si sono
individuate sul fondo del canale delle Mee, sempre nella laguna,
insieme ad un ceppo d’ancora in piombo, disperso28.
25 Freschi 1982, Volpe 1990, 246-250; Volpe, Auriemma 1998, 203-204.26 Auriemma 2004, 2, pp. 26-27, 29.27 Toniolo 1995.28 V. da ultimo Gaddi 2001, 265-268.
8
Lungo la costa croata, il 20% dei carichi censiti29 comprende, come
voce principale, anfore Lamb. 2, associate alle forme di
transizione precedente e successiva (tipi “cerniera” Lamb. 2/ Dr.
6A), a Dr. 2-4 di cui è talora acclarata la produzione egea (coa)
e contenitori tardorodii, ed a sigillate orientali (relitto
dalmata di Šćedro B30). I bolli frequenti (in particolare nei
carichi di Baška, Punta Glavina A, Gospa Prizidnica nell’isola di
Čiovo, Korčula, Hvar31 e, con un ricco e diversificato repertorio,
in quelli di Vela Svitnja (Vis A), e Stanići-Ćelina presso Omiš32)
rimandano spesso alle produzioni della costa occidentale, dalla
Calabria romana alla Cisalpina.
Com’è noto, oltre a contenitori vinari il versante adriatico
della penisola produce anfore destinate al trasporto dell’olio:
una volta note come anfore “di Brindisi”, per le numerose fornaci
rinvenute in prossimità del grande terminal adriatico, oggi, a
seguito di scoperte nel Salento meridionale, così come nel medio
Adriatico (per esempio in Abruzzo), e dei rinvenimenti in vari
punti della fascia litoranea e delle acque prospicienti, sono
confluite nella vasta famiglia delle anfore “ovoidali adriatiche”.
La produzione di queste anfore ovoidali in Salento va dal
secondo quarto del II secolo – come ha dimostrato l’ultima
revisione che dobbiamo a M. Silvestrini e a P. Palazzo, in
29 Cambi 1989; Parker 1992; Gaffney et al. 1997; Jurišić 2000; Gaffney, Kirigin2006; Perkić 2009; Miholjek 2009.30 Jurišić 2000, p. 28 (citando Orlić, Jurišić 1993) segnala la presenza diceramica megarese (“individual finds”) e iden ESA (50 frammenti o individui),identificando questi ultimi con dotazione di bordo ma il numero fa piuttostopensare ad un carico di accompagno; Maggi 2007, p. 34.31 Gaffney et al. 1997, pp. 108-109, n. HV0509, fig. 5.1.32 Parker 1992, nn. 94, 463, 555, 940, 1112, 1220; per Gospa Prizidnica, Vis A,Stanići-Ćelina v. anche Cambi 1989, pp. 315-318; Gaffney, Kirigin 2006, p. 77,n. VS 1509 (Vis A).
9
particolar modo della “facies aniniana” della fornace di Apani -
alla fine del I sec. a.C.33. Il volume del commercio vinario e
oleario dalla penisola italica all’Oriente mediterraneo ha un
repentino picco tra 160 e 100 a.C., proprio per la prepotente
immissione sul mercato dei prodotti adriatici trasportati nelle
anfore salentine e della costa occidentale in genere; è pur vero
che questi generi di prima necessità raggiungevano in particolare
alcuni centri, come Atene, Alessandria, Delo, Efeso, che
potrebbero non essere paradigmatici dell’intero bacino
mediterraneo orientale, ma configurarsi come i grandi porti di
redistribuzione delle derrate provenienti dalla penisola italica34.
Oltre a numerosi rinvenimenti isolati, si sono individuate
“partite” di questi contenitori sia nei giacimenti di “prima
generazione” (le presenze quantitativamente più significative
interessano Torre S. Sabina, dove ricorrono con frequenza i tipi
Apani II, III, V, VII), sia in quelli successivi: il carico
frammentato e disperso del relitto delle Pedagne, all’ingresso del
sistema portuale di Brindisi, dove sono attestate insieme al tipo
Will 6 della Lamb. 2 e quello di Punta S. Andrea35. Una nave che
trasportava produzioni analoghe giace a 200 m circa dalla costa di
Palombina Vecchia, Falconara; tra le anfore recuperate si
distinguono alcuni esemplari –uno con bollo NICIA, che appare
anche su Lamboglia 2 - riferibili a manifatture locali o comunque
medio-adriatiche, ed altri più probabilmente ascrivibili a
produzioni salentine (per esempio quello con bollo ECTI)36. 33 Palazzo, Silvestrini 2001.34 Lund 2004, p. 10; Bezeczky 2002, 2010 (Efeso).35 Auriemma 2004, II, pp. 45-46.36 Mercando 1981; Profumo 1986, p. 43; Cipriano, Carre 1989, p. 77; Perna 1994-5, pp. 295-299; Profumo, Medas, Delbianco 2001 (campagne 1996-1998 sui restilignei).
10
Tra l’età augustea e la prima età imperiale i giacimenti
subacquei suggeriscono un’impennata delle presenze orientali, che
trova piena consonanza nei contesti terrestri37 e che vede il
primato dei contenitori tardorodii / Camulodunum 184: segnaliamo,
ad esempio, gli esemplari di un relitto profondo al largo di
Ancona38, i rinvenimenti isolati e i carichi lungo le coste
orientali, in cui figurano come voce principale (Capo Arat
nell’isola di Silba, Capo Maharac, Mlin, Tramerka, Capo Pelegrin a
Hvar39) o secondaria (Glavat, Lastovska, Capo Plavac nell’isola di
Zlarin40) spesso in associazione con Dr. 2-4, cnidie e sigillate
orientali o, come si è detto, con le produzioni adriatiche Lamb. 2
, Dr. 6A e a fondo piatto. Le presenze sono consistenti anche
lungo le coste salentine, dove le anfore tardorodie, insieme alle
Dr. 2-4 orientali, costituiscono le voci maggioritarie dei flussi
d’importazioni egee in età augustea e altoimperiale ed in
particolare i carichi di Madonnina B (Taranto) e quello, presunto,
del porto medio di Brindisi, insieme ad anfore cnidie 41. Ben
attestate, in particolare lungo la rotta orientale, sono le Dr. 2-
4 egee, sia come carico principale (Greben, Mrčara, Capo Plavac,
Quarnero42) che come carico secondario o dotazione di bordo,
insieme ad altri contenitori orientali o adriatici. Nel I secolo
iniziano le prime apparizioni delle anfore cretesi (per esempio
37 Auriemma, Quiri 2004; Auriemma, Quiri 2006; Auriemma 2007 (Trieste); per laredistribuzione in Europa centrale v. ad es. Bezeczky 1994.38 Profumo 2003, p. 390, figg. 4-5.39 Jurišić 2000, nn. 1, 38, 45, 54, 79; per il relitto di Mlin v. anche Cambi1989, p. 323.40 Jurišić 2000, nn. 10, 35, 56.41 Auriemma 2004, 2, nn. 38, 59, pp. 36-37, 46.42 Jurišić 2000, nn. 15, 47, 56; Quarnero: Parker 1992, n. 996 (Pompei 6).
11
l’AC 1 dotazione di bordo nel relitto di Capo Glavat) e continuano
quelle delle anfore cnidie come merce d’accompagno nel carico di
Mlin, in due varianti dimensionali43.
Seppur decisamente minoritarie, le produzioni del Mediterraneo
occidentale si rintracciano lungo la sponda balcanica
dell’Adriatico e nello Ionio, ma mancano completamente o quasi,
come è ormai acclarato, lungo la costa italiana. Nella Forma maris
del Salento le presenze si concentrano nello Ionio (il relitto
delle Secche di Ugento, individuato nel 1959 da G. Roghi e una
serie di rinvenimenti isolati, per lo più tra Ugento e
Gallipoli44). Va però detto che la notevole incidenza di anfore sia
"à lèvre inclinée" che "à lèvre verticale" nei livelli tardorepubblicani di
Torre S. Giovanni, polo litoraneo di Ugento, che presentano spesso
impasti tipicamente salentini, renderebbe legittima l'ipotesi di
una produzione apula per un "bon nombre d'amphores rangées dans les
publications sous l'appellation Dr. 1". Uno degli esemplari ugentini , da noi
esaminato, che Desy classifica nel tipo grecoitalico, conservato
solo nella parte superiore, presenta su entrambe le anse un bollo
entro cartiglio rettangolare [---]LICI (retrogrado), per il quale
si potrebbe suggerire un'identificazione con L. Publicius, gentilizio
attestato su anse dei tipi di Brindisi prodotti ad Apani45.
Lungo la costa dalmata si segnalano anfore Dressel 1 nei
relitti di Gojca (Isole Pakleni), con un carico principale di Dr.
6A bollate, di Palagruža A, che presenta i sottotipi B e C
insieme a Lamb. 2 (il louterion rinvenuto nelle vicinanze non sembra
43 Jurišić 2000, nn. 10, 45 e supra, nota 39.44 Auriemma 2004, 2, p. 156.45 Desy, De Paepe 1990, p. 232.
12
pertinente lo stesso carico ma ben più antico di questo) e di Vis
B46.
Sempre in Dalmazia ricorrono altre produzioni tirreniche; le
anfore da allume di Lipari Richborough 52747, associate alle anfore
da salagione – come ha accertato E. Botte48 - Dr. 21-22 (Capo
Glavat) o a Dr. 2-4 tirreniche (Svetac) o iberiche e ad altre
produzioni iberiche (Pupak), sembrano essere un tratto specifico
del commercio transmarino della prima età imperiale lungo la costa
adriatica orientale49. Inoltre, un carico di almeno un centinaio di
esemplari frammentati di Dr. 2-4 “italian type” (Brusić) in due
varianti dimensionali giaceva nei fondali dell’isola di Mljet, a
Vratnička50.
Anche le anfore iberiche, pressoché assenti nelle acque
italiane – anche se attestate nei contesti terresti, in
particolare della Cisalpina - costituiscono voci di carico di
alcuni giacimenti orientali: Gušteranski , Paržani, Olib B e
soprattutto Pupak51; si tratta di Dr. 8, 10, Beltran II A e IIB,
Beltran IIA , Dr. 2-4 e Haltern 70.
Lungo le rotte adriatiche non viaggiano solo generi di prima
necessità: vasellame decorato di produzione italo-settentrionale
46 Gojca: Jurišić 2000, n. 11; Palagruža A: Radić 1991, pp. 157-158; Parker1992, n. 774; Vis B: Parker 1992, n. 1221.47 Per la produzione, il commercio e l’uso dell’allume - “il gran dimenticatonella storia dell’economia antica” (Nenci 1982, p. 18) - si veda Cavalier 1994;Borgard 1994, 2000, 2001; Picon 2001; i vari contributi in Alun 2005; Cipriano,De Vecchi, Mazzocchin 2000; Pesavento Mattioli 2001, 2005.48 Botte 2009; Botte 2010, pp. 117-162.49 Jurišić 2000, nn. 10, 62, 70 e p. 17; Borgard 2001, nn. 1-3. Gli esemplari diCapo Glavat, ascrivibili al tipo Lipari 2a, presente da età flavia fino al IId.C., abbasserebbero la cronologia di Jurišić (fine del I sec a.C.) all’ultimoterzo del I sec. d. C.50 Jurišić 2000, n. 90.51 Jurišić 2000, nn. 17, 49, 53, 62; Parker 1992, n. 761 (ipotetico carico diOlib B; per Jurišić “scattered finds”).
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figura in almeno due giacimenti ‘gemelli’; il primo è il relitto
di Valleponti, presso Comacchio52, e il secondo, noto solo da pochi
materiali, è a Punta Patedda, poco a nord di Brindisi53. In
entrambi, una delle voci importanti del carico, oltre ad anfore
Dr. 6A, era senz’altro costituita da ceramica norditalica liscia e
decorata: i bicchieri del ceramista Aco (fig. 5) e le coppe di
Sarius Surus, insieme ad altre forme54. Entrambe le imbarcazioni
naufragarono nei decenni finali del I sec. a.C., stando ai
materiali e alla moneta di Sesto Pompeo recuperata a Valleponti
(45-27 a.C.), dopo esser salpate probabilmente da un porto
dell'alto Adriatico (Aquileia, Concordia Sagittaria, Altino55);
entrambe sarebbero testimonianze di un flusso – sicuramente
limitato - di prodotti norditalici che discendono l’Adriatico: non
è escluso che queste merci fossero trasbordate, nello scalo di
Brindisi, sulle onerarie ancora cariche di vini e olii apuli e
dirette verso Oriente o alla sponda opposta, nella rete del grande
commercio di redistribuzione. La diffusione nel bacino orientale
del Mediterraneo è allo stato attuale delle conoscenze,
sporadica56, mentre questi vasi decorati a matrice, che non hanno
paralleli nelle produzioni italiche e mutuano motivi e stile dal
repertorio ellenistico57, sono largamente esportati nei paesi52 Berti 1985, 1986, 1990, 1992.53 Auriemma 2004, 2, pp. 21-22.54 Sulla classe v. i numerosi contributi della Lavizzari Pedrazzini, tra i qualiLavizzari Pedrazzini 1987, 1997, 2000, 2010.55 Ad Altino rimandano i bolli delle Dr. 6A del carico di Punta Patedda:GAESATI. LUCR, THEODORI: Toniolo 1991, p. 130, n. 30, p. 189, n. 44. La nave diComacchio, stando alla condizioni di rinvenimento, poteva anche aver disceso ilPo e non necessariamente apprestarsi a risalirlo, come sostiene la LavizzariPedrazzini (2010, nota 214).56 La carta di distribuzione è in costante incremento, ma sono ancora esigue leattestazioni nel Mediterraneo orientale (una in area pergamena e una ad Ascalonain Palestina). 57 Lavizzari Pedrazzini 2004.
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nordorientali. La terra sigillata norditalica figura anche nella
dotazione di bordo del relitto di Capo Glavat e nei livelli di
discarica degli approdi di Verige, Zaton58 e Torre S. Sabina;
notevoli le attestazioni “liburniche”: coppe di Sarius appaiono in
11 siti e soprattutto nei contesti funerari di V. Mrdakovica
presso Zaton, Sebenico (110 esemplari), ma anche nei depositi dei
santuari diomedei di Palagruža e Capo Ploča59; minoritari gli
Acobecher, attestati con soli 8 specimina60. In ogni caso sembra più
comune della sigillata italica attestata con pochi frammenti nei
relitti di Punta Patedda61 e Capo Plavac, Isola di Zlarin62 e nella
discarica portuale di Torre S. Sabina. La sigillata italica
appare, prima della fine del I sec. a.C., in quei siti del
Mediterraneo orientale che avevano un rapporto consolidato con la
penisola italica fin dall’Ellenismo, per esempio Corinto e
Berenice, o dove è riflesso di una presenza militare (Stobi)63.
L’archeologia subacquea conferma quanto già suggerito dalle
analisi di contesti terrestri (in particolare Delo, Corinto): le
produzioni italiche di ceramica fine e da cucina giocano un ruolo
molto limitato nel Mediterraneo orientale tra II sec. a.C. e la
prima età imperiale; più che a merci “parassitiche”, di
58 Jurišić 2000, p. 28.59 Miše, Šešelj 2008.60 Brusić 1999, pp. 22-29.61 Auriemma 2004, 2, pp. 21-22.62 Brusić 1999, p. 21; Jurišić 2000, n. 56.63 Eiring 2004, p. 71; Martin 2004 sottolinea l’ “Adriatic bias” di questi flussi diimportazioni e soprattutto, l’arrivo ad Olimpia attraverso un commercio diredistribuzione. A Knossos dopo scarne attestazioni tardo-augustee solo sottoClaudio e Nerone si ha un’incidenza rilevante della classe, che successivamentecede il passo alla ESB e, dal tardo II, alla ceramica di Çandarli (Eiring 2004).A Cipro i primi arrivi si datano nell’ultimo ventennio del I sec. a.C., undeciso incremento si registra dal 15-20 d.C. e le importazioni continuano finoal II sec. avanzato (Malfitana 2004). L’eccezione è rappresentata da Corinto,dove si registrano arrivi precoci, fin dalla prima età augustea: Slane 2004.
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accompagno, in gran parte dei casi si devono ascrivere alla
presenza di Italiani residenti, e identificare con beni
personali / “personal possessions, a mark of Roman status” o – nel caso dei
relitti – con commesse specifiche più che con circuiti commerciali
stricto sensu64.
Ben più ricorrente, per esempio tra il vasellame di cambusa, è la
ceramica comune orientale o Eastern Coarse Ware, in varie forme
(tazze, olle, piatti, coperchi, brocche con orlo trilobato)
frequentemente e ovviamente associata a contenitori orientali (ma
non solo), che circola però a partire dal I secolo65.
Dall’Egeo proviene inoltre la ceramica ellenistica a rilievo: un
importante lotto di coppe megaresi costituisce una delle voci del
carico di Torre S. Sabina (v. infra). La classe ricorre nei siti
costieri dalmato-illirici, in alcuni dei quali sono accertate
produzioni locali databili tra II e I sec. a. C., per esempio a
Durazzo, a Resnik, antica Siculi, la cui discarica portuale ha
restituito 104 esemplari tra cui una matrice e un punzone,
nell’isola di Vis (Issa), a Zadar (Iader, Zara) e a Phoinike, dove
sono state trovate matrici; figura inoltre – anche se con pochi
individui - nei relitti di Gospa Prizidnica (isola di Čiovo) e
Šćedro B, nella valle delle Neretva a Gabela presso l’antica
Narona, a Salona, nei depositi di Capo Ploča e Palagruža, ecc. 66.64 Lund 2004, con ricca bibliografia precedente. La citazione è da Slane 2004,p. 40.65 Per i carichi lungo la costa adriatico orientale (Izmetište, Viganj, Nerezine(isola di Lošinj), Capo Maharac e Veliki Školi, entrambi presso l’isola diMljet), per i giacimenti in cui la ECW/Aegean Cooking ware appare come dotazionedi bordo e per i depositi da discarica portuale cfr. Jurišić 2000, pp. 34-38 epassim. Per la classe v. Hayes 2000; Istenič, Schneider 2000; una recenteaccurata rassegna delle presenze nell’alto Adriatico è in Žerial 2008, pp. 136-138.66 Hidri 1988 (atelier di Aristen); Reynolds 2003, p. 374 (Durres); Babin 2004(Resnik); Miše, Šešelj 2008 (i santuari diomedei di Palagruža e Capo Ploča,
16
Coppe ellenistiche a rilievo sono attestati nei contesti dell’alto
e medio Adriatico occidentale, come Aquileia, Este, Adria, Altino,
Rimini (dove è presente una matrice) ed Ancona67.
La Eastern Sigillata A è presente sempre nei carichi di Torre S.
Sabina e Šćedro B; quest’ultimo, peraltro, ha restituito, oltre ad
anfore Lamb. 2, circa 50 esemplari di questa produzione, numero
che rende poco credibile l’ identificazione avanzata da Jurišić
con dotazione di bordo68.
Particolarmente significativi sono, lungo le coste croate,
tre carichi (Capo Glavat, Gušteranski, Pupak) di ceramica da cucina di
produzione campana (l’identificazione è mutuata da M. Jurišić, che ha
indagato, insieme ad Orlić, almeno due dei tre giacimenti)
costituiti essenzialmente da tegami / patinae ad orlo bifido (Di
Giovanni tipo 2130, forme 2131a e b), largamente attestati in
tutto il Mediterraneo69, piatti/coperchi (Di Giovanni tipo 2420,
forme 2421a, b), tegami ad orlo piano (Di Giovanni tipo 2110,
forme 2111a, b; Goudineau forme 13 e 15) a vernice rossa interna
(Pompejanisch-roten Platten – Loeschcke 1909, Pompeian red ware, engobe rouge
produzioni dalmate); Shehi 2010 (matrice di Phoinike, con riferimenti); per uninquadramento generale si veda Brusić 1999 (che ritiene verosimile la presenzadi altri workshops in altri siti costieri, come Tragurium/Trogir o Epetium/Stobreč:p. 14); una revisione è in Šešelj 2008, che assegna le coppe firmate da Aristen eSopatros rinvenute a Resnik ad ateliers di Durazzo.67 Materiali del Porto fluviale di Aquileia in corso di studio (P. Maggi, R.Merlatti); Lavizzari Pedrazzini 2004, p. 265; Lavizzari Pedrazzini 2010, p. 211.68 Orlić, Jurišić 1993; Jurišić 2000, p. 28. 69 La forma è voce di carico del relitto de La Madrague des Giens: Tchernia,Pomey, Hesnard 1978, p. 64. La Pompeian red ware conosce un’ampia diffusione, daAntiochia, alle Gallie e alla Britannia; rotte orientali sono testimoniate anchedalle presenze – talora occasionali, però - in vari contesti terrestri di etàimperiale: Butrinto (Reynolds, Hernandez, Çondi 2008), Knossos (Sackett et al.1992, p. 168), tra gli altri.
17
pompéien), le cui prime attestazioni nei contesti pompeiani
risalgono alla fine del II, inizi del I sec. a.C.70.
Il carico di Capo Glavat - il più consistente dei tre -
sicuramente il trasportava oltre 500 tra tegami ad orlo bifido e
piatti acromi e 15 a vernice rossa interna71; tegami e piatti erano
impilati in sets di 200 cm di altezza, con il piatto/coperchio
inserito nel tegame con la parte convessa all’interno; si sono
evidenziate 7 varianti dimensionali di piatti e 6 di patinae. In
questo caso una diretta provenienza tirrenica, se non proprio
dall’area vesuviana, è evidenziata anche dalle anfore associate
Dr. 21-22 (9), Richborough. 527 tipo Lipari 2a (2), oltre a
contenitori a tre anse in due varianti dimensionali, contenenti
minio, galenite e cerusite, a pani di vetro grezzo, vasellame
vitreo e sigillata italica e norditalica, forse un’anfora ovoidale
adriatica; la presenza però di anfore (Dr. 24 “antica”, AC 1 e AC
2, ecc.) e ceramica comune orientale fa pensare ad un’imbarcazione
che batteva frequentemente rotte adriatiche.
In quello di Pupak troviamo merci dalla penisola iberica
(salse di pesce nelle Beltran IIB, vino nelle Dr. 2-4 e nelle
Haltern 70) insieme a prodotti dell’area vesuviana o comunque
italici (Richborough 527 e mortaria). Tale commistione induce
Jurišić ad ipotizzare una rotta dalla penisola iberica
all’Adriatico, con scalo intermedio lungo le coste tirreniche; si
tratta però di una lectio facilior ormai superata dall’evidenza: i
flussi di merci seguono percorsi molto più segmentati, zigzaganti
70 Per la classe cfr. Scatozza Höricht 1988; Scatozza Höricht 1996 (daErcolano); Di Giovanni 1996 (Pompei); Chiosi 1996 (Cuma); De Bonis et al. 2009(Cuma). Oltre Cuma, la cui produzione sembra definitivamente accertata in base ascarti di cottura, sembrano evidenziarsi altri siti produttivi. 71 Jurišić 2000, p. 30 e n. 10.
18
e complessi dell’apparente semplicità restituita dall’
“istantanea” del relitto; i carichi compositi, quindi, o, meglio,
carichi di seconda o terza formazione, sono risultanti di questi circuiti
complessi e della gerarchia di porti e approdi a quelli correlata,
con centri primari di raccolta, stoccaggio e redistribuzione e
centri secondari o satelliti; gli stessi carichi sono esito anche
di buone pratiche mercantili (per esempio un’imbarcazione non deve
viaggiare vuota o a poco carico) e di prassi ergonomiche di
stivaggio e assetto della nave.
Una notazione riguarda il trasporto di mortaria; un carico
giace concrezionato nei fondali rocciosi di Gallipoli (fig. 6),
insieme a pochi esemplari di Dr. 2-4 e Dr. 21-22; si ipotizza, in
assenza di bolli, un ambito cronologico analogo agli esemplari di
Cap Dramont D, cui sono assimilabili per caratteristiche
morfologiche e d’impasto, ovvero nei decenni centrali del I sec.
d.C.; questi due relitti, insieme forse a quello di Ventotene II,
sono tra le più antiche attestazioni di questo tipo di trasporto e
gli unici a presentare l’associazione dei due tipi di mortaria72. In
Adriatico carichi analoghi sono stati individuati nei relitti di
Pupak / Palagruza B e Paržanj, in Dalmazia centrale, in
associazione con anfore Dr. 2-4 ed altre produzioni iberiche,
databili quindi nella seconda metà del I sec. d. C.
Sembra che i tre relitti – Gallipoli, Pupak e Paržanj - siano
markers di una stessa rotta, che dalle coste tirreniche attraversa
lo Ionio e doppia il Capo di Leuca per poi biforcarsi: un ramo in
Adriatico e un altro verso il Mediterraneo orientale.
Un discorso analogo vale forse il trasporto di vino sfuso
nelle navi a dolia, che avevano cioè, come armamento di bordo, i72 Florido, Dell’Anna, Iannuzzi c.s. con bibliografia.
19
grandi contenitori globulari. Si tratta di un fenomeno di mercato
ormai ben noto, grazie soprattutto ad una numerosa serie di
relitti e rinvenimenti isolati nel Tirreno e nel Mediterraneo
occidentale, e circoscritto alla seconda metà del I sec. a.C. -
prima metà del I sec. d.C. Una serie di attestazioni lungo le
coste del Salento (Gallipoli, Otranto, Monopoli, ecc.) acclarano
l’esistenza di una rotta ionico-adriatica e orientale, già
indiziata, peraltro, dalle anfore Dr. 2-4 di produzione adriatica
ed egea nel carico di alcuni relitti a dolia tirrenici, e,
soprattutto dal nome del navicularius o negotiator Peticius Marsus, che
appare sui dolia del relitto di Diano Marino e sulla statuetta di
Ercole Curino nel santuario di Sulmona: il personaggio, di origine
centroitalica, è sicuramente uno dei protagonisti del commercio
marittimo, persino con il Mediterraneo orientale e l’estremo
Oriente, come provano le ultime scoperte73. Oltre a quella dei dolia
si registra la presenza di doliola (Torre S. Giovanni, Gallipoli,
ecc.)74, per i quali è stata recentemente e convincentemente
avanzata l’identificazione con kadoi /cadi di pece / pix bruttia75. Non
è escluso che questi presunti cadi viaggiassero insieme ai grandi
dolia vinari (a Gallipoli la compresenza sembra denunciare la
provenienza da uno stesso carico) forse anche come riserve di
bordo per garantire la costante impermeabilizzazione dei grandi
contenitori di vino sfuso destinato al largo consumo.
73 V. riferimenti in Auriemma 2002.74 Auriemma 2004, 2, 167-168; Auriemma 2002.75 Cavassa 2008, 101, note 29-31. Un contenitore simile, pieno di pece, provienedal medio Adriatico, a 40 miglia dalla costa abruzzese di Giulianova: Volpinic.s.
20
In ogni caso, i contenitori e le ceramiche provenienti
dall’area tirrenica della penisola o dal bacino occidentale del
Mediterraneo in genere (Dressel 1, Dressel 2-4, Dressel 21-22,
Richborough 527, anfore iberiche, dolia, doliola/cadi, mortaria,
ceramica da cucina, ecc.) sfiorano le coste ioniche ma sembrano
evitare – fatta la sola eccezione di Brindisi - la costa ovest
dell’Adriatico, dirigendosi e battendo invece la costa orientale,
dove rappresentano il 15% dei giacimenti croati. Perché si
registra questa differenza fra le due sponde? Esiste un circuito
preferenziale seguito dalle merci tirreniche che punta
direttamente agli empori dell’altra costa, dalmati e istriani,
escludendo gli importuosa laeva litora? O, piuttosto, queste merci
risalgono l’Adriatico orientale in carichi di seconda formazione,
riassemblati nei porti dell’Illiria, dell’Epiro, dell’Acarnania e
del Peloponneso, come Durazzo, Apollonia, Butrinto, Corcyra,
Corinto, ma anche in scali minori come Cassiopi, Azio, Patrasso, o
nel grande terminal di Brindisi? Venti e correnti suggeriscono
peleggi all’altezza del Gargano attraverso le Tremiti (isole
Diomedee) e Palagruža (sede di un culto dell’eroe); da qui le navi
potevano dirigersi verso i porti dalmati o risalire verso nord76.
Come anticipato, un breve approfondimento è dedicato al
relitto di Torre S. Sabina. I fondali di questa località, poco a
nord di Brindisi, conservano resti di vari relitti e carichi, e
segni cospicui delle attività portuali: si segnalano due scafi
lignei di età romana, uno dei quali, indagato nel 2007 conserva
76 Per un quadro generale delle rotte che interessano l’Adriatico, cfr. Auriemma2004, 1, pp. 349-355; Jurišić 2000, pp. 52-55.
21
eccezionalmente buona parte dell’opera morta, resti di un terzo di
età moderna, e carichi sovrapposti77.
Nella campagne condotte a partire dal 2007 si è proseguita
l’indagine ai piedi del banco roccioso occidentale, alla base
della scogliera sommersa, fino a 5 m di profondità: si tratta di
un deposito di materiale in parte recuperato tra gli anni ’70 e
’80 (circa undicimila pezzi), estremamente eterogeneo sia per la
provenienza, sia per le fabbriche, sia, soprattutto, per la
cronologia: dalla ceramica micenea (LH III) alla classe Late Roman
C, di età tardoantica, a quella medievale.
Lo scavo stratigrafico ha indagato una porzione limitata ma
intatta e densamente stratificata del giacimento sommerso, fino ad
allora generalmente identificato, pur con alcune voci discordanti
(ricordo i dubbi avanzati da Lamboglia) con una discarica
portuale; nella sequenza si distinguono almeno due livelli che,
benché scompaginati e tormentati da potenti mareggiate, sembrano
in posto . In base a valutazioni di ordine stratigrafico si è
avanzata l’identificazione del livello più “alto”, insieme al
soprastante accumulo che ne rappresenta l’ulteriore
dispersione/distruzione, con un carico tardo repubblicano,
costituito da anfore di produzione locale (fig. 7) e da
contenitori, per lo più vinari, provenienti dall’Egeo e da altre
aree del Mediterraneo, che viaggiano con ceramiche da mensa e da
cucina di produzione sia occidentale che orientale, secondo un
modello di commercio di redistribuzione che ha il suo epicentro
nel grande porto di Brindisi. Alcune peculiarità avallano
ulteriormente l’identificazione del deposito con i resti di un
carico: la posizione ribaltata dei reperti, l’altissima incidenza77 Un primo report è in Auriemma c.s. v. anche Silvestrelli, Auriemma c.s.
22
di ciottoli forse alloctoni, la presenza, segnalata negli scavi
pregressi, di resti lignei con tracce di combustione nello strato
di ciottoli; tutti questi elementi indiziano l’ipotesi di una
stratigrafia rovesciata, cioè di un carico ribaltato, con la
zavorra (i ciottoli) che, originariamente sparsa sul fondo della
stiva, copre ora i materiali, e con i pochi resti erratici dello
scafo, naufragato anche in seguito ad un incendio a bordo,
presenti al di sopra o frammisti alla zavorra stessa (fig. 8).
Questo deposito è separato da un sottile diaframma dallo strato
inferiore, diverso per composizione e per cronologia dei
materiali, identificabile, per analoghi motivi, con un carico ben
più antico, di età tardo arcaica.
Quindi, in questo tratto fortemente esposto, sono venute ad
infrangersi, nel corso dei secoli, più imbarcazioni, e qui sono
precipitati più carichi o parti di carichi, scompaginati e
dispersi lungo la scarpata rocciosa; nello stesso punto,
probabilmente per effetto della stessa energia ambientale, si sono
addensate tracce dell’attività di discarica portuale, attestate da
materiali isolati ed eterogenei (“intrusi”) per produzione e
cronologia.
Il supposto carico tardo repubblicano – denominato Torre S.
Sabina 4 - comprende un cospicuo numero di anfore vinarie ed
olearie di età tardorepubblicana e produzione salentina; prevale
(36 % di tutto il corpus) una forma di transizione tra la
grecoitalica tarda e la Lamb.2, che possiamo assimilare al tipo
Apani 1, a destinazione vinaria, ma è presente anche il suo
immediato antecedente, la grecoitalica vera e propria, dalle
proporzioni più “leggere” (11%); minoritari e spesso dubbi (anche
per lo stato di frammentarietà) gli esemplari ascrivibili alla23
Lamb. 2 canonica; interessante è l’indice di presenza (7%) dei
tipi riconducibili alla famiglia delle anfore ovoidali adriatiche
(Apani II, III, V, VII), destinati al traporto dell’olio; pochi
esemplari sono identificabili con le altre produzioni vinarie del
Salento, in particolare la forma Giancola 2B/Apani VIIIA, mentre è
difficile individuare i prodotti salentini nel gruppo delle Dr. 2-
4, a causa del frequente viraggio del colore dell’impasto.
Un elemento di riferimento significativo potrebbe essere
rappresentato dai vari bolli individuati sulle anfore di
produzione salentina o comunque adriatica, sia nei precedenti
recuperi che nel corso delle ultime indagini: SABIN o SABINA, TI
ALLI, BELSO, A C, ANTIOC, DARD, C. GR, TITEL, NICADA, ]AOIVS, ed
altri , alcuni dei quali di più difficile lettura78. A questo lotto
locale, di gran lunga maggioritario, si affiancano produzioni
egee; spiccano quelle rodie (2%), con bolli che rimandano ad un
arco compreso, in linea con la cronologia “bassa” di
Finkielsztejn, tra 192 e 152 a.C.; la prima metà del II sec. a.C.
segna il picco delle importazioni rodie in Adriatico, in cui è
assai verosimile un ruolo di Brindisi di terminal di redistribuzione
– anche per i suggestivi echi con altri siti delle due coste. Il
commercio rodio in Puglia segue due rotte, una ionica, che ha il
suo terminale in Taranto, una adriatica, sicuramente lungo la
costa orientale, come attestano in particolar modo le evidenze di
Apollonia, dove peraltro risultano anche due bolli speculari ai
nostri (quello con eponimo Thestor e quello con la figula Timò); le
presenze lungo quella occidentale, in Molise, Abruzzo, Marche, e
78 Per il catalogo dei bolli, così come degli altri materiali, si rimanda allaprossima esaustiva pubblicazione del sito; alcune indicazioni sono in Auriemmac.s.; note preliminari su altre classi appaiono in Antonazzo c.s.; Silvestrelli,Auriemma c.s.
24
in Italia settentrionale, indiziano circuiti di redistribuzione
che fanno capo a porti come Ancona e soprattutto Aquileia79.
Si rileva inoltre la presenza di Dr. 2-4 di probabile
produzione coa, e quella assai limitata delle produzioni cnidie.
Si segnala inoltre un’anfora punica (tipo Ramón 7.6.2.1).,
prodotta in Africa settentrionale o nelle colonie della Sicilia
occidentale tra la metà del II e la metà del I sec. a.C.,
pressoché integra80 (fig. 9); rappresenta un unicum in Salento e
testimonia ulteriormente la vivacità di questi circuiti
commerciali tra II e inizi del I secolo a.C. che ben si spiega
alla luce degli intensi rapporti tra Rodi, Cartagine e i centri
punici della Sicilia in questa fase, e dei flussi di esportazioni
veicolati con tutta probabilità dagli stessi Rodii81.
Alle anfore è frammisto altro materiale fittile,
caratterizzato da produzioni fini e comuni da mensa, dispensa e
cucina riferibili ad area apula, egea e, in misura inferiore,
tirrenica. Va sottolineato che la presenza di materiali imputabili
alla discarica portuale, in una stratigrafia compromessa
dall’energia ambientale, rende ancora problematica la restituzione
complessiva di questo carico nonostante gli elementi già ricordati
dell’analisi stratigrafica. Si presentano pertanto i vari nuclei
finora individuati82.
Le produzioni apule di ceramica fine del II secolo a.C. sono
rappresentate dalla ceramica a vernice nera, soprattutto coppe
mastoidi, alcune delle quali in HFR (fig. 10,1), ed emisferiche83 e79 Tiussi, Mandruzzato 1996; Tiussi 2007.80 Ramón Torres 1995, 218-219, fig. 182, n. 295; Toti 2003, 1208, nn. cat. 21-25, tavv. CCX-CCXI.81 Lund 1993.82 Note del tutto preliminari sono in Silvestrelli, Auriemma c.s. 83 Yntema 2001, 197-198, Form K45.
25
da pasta grigia. Coppe mastoidi ed emisferiche costituiscono la
forma quantitativamente meglio attestata in pasta grigia84, cui si
aggiungono piatti ed altre forme85 perlopiù riconducibili alla fase
iniziale della produzione, la cui cronologia è fissata da D.
Yntema al periodo compreso tra il 160/150 a.C. e il 120/110 a.C.
Tra le produzioni tirreniche si segnala la presenza di un
consistente nucleo di Campana A, composto da almeno 31 individui
(fig. 10, 2-9) riferibili a patere Morel 1312, a coppe 2645,
2574, 2825 e 2973-2974. Attestata ciascuna con un esemplare di 26
cm di diametro sono le patere 1443, 2234 e 2252.
L’analisi del materiale ha anche rivelato la presenza di
produzioni la cui origine va probabilmente ricercata in ambito
egeo e che costituiscono il pendant delle anfore provenienti da
questa parte del Mediterraneo. I materiali fino ad ora
identificati non sembrano conoscere ampia diffusione nel settore
sudorientale della penisola, ma costituiscono una conferma della
varietà di importazioni che interessano il Salento nel II sec.
a.C.86.
Notevole è l’incidenza delle coppe “megaresi”: si tratta di
circa 600 frammenti appartenenti ad almeno 300 coppe (fig. 11),
già parzialmente note grazie ad un articolo di G. Siebert87. Un
piccolo nucleo è stato attribuiti ad officine peloponnesiache ed
attiche, mentre la gran parte è riferibile ad ateliers ionici, tra i
quali è stato possibile riconoscere vasi di Menemachos e,
soprattutto, l’officina efesina del Monogramma. Interessante è il84 Si tratta delle coppe Yntema 2005, forme 31-33. 85 Patera Yntema 2005, forma 1, dei piatti forme 2 e 4 e del kantharos Yntema2005, forma 37. La ceramica a pasta grigia è in corso di studio da parte diFederica Mauro. 86 Una esaustiva rassegna si deve a Yntema 2006, 113-116.87 Siebert 1977.
26
confronto con il relitto Apollonia B (Cirenaica), che presenta un
carico principale di coppe megaresi dell’atelier di Menemachos,
insieme ad anfore rodie bollate Drakontìdas (167-165) e Arìston II
(150-147)88. Ad esse si aggiungono coppe emisferiche decorate sulla
superficie esterna da poligoni incisi, un esemplare dei quali era
già stato reso noto da Siebert, che lo considerava di produzione
peloponnesiaca89. Alcuni degli esemplari di Torre Santa Sabina
presentano affinità, per impasto e vernice, con le coppe dell’atelier
del Monogramma. Sono inoltre presenti coppe a vasca carenata di
tipo cnidio, prodotte a partire dall’inizio del II secolo a.C. e
presenti principalmente nel Mediterraneo orientale, lungo le coste
africane e nel Mar Nero. Esse non sembrano godere di grande
popolarità in Italia meridionale; esemplari datati al I secolo
d.C. sono tuttavia attestati ad Otranto90 mentre frammenti inediti
sono segnalati a Pantanello (presso Metaponto) e ad Aquileia91.
Numerose sono le coppe e, in quantità minore, i piatti, in “colour-
coated ware”, presenti soprattutto nel Mediterraneo orientale e nel
Mar Nero (fig. 10,10)92.
La classe maggiormente rappresentata, però, è la ceramica di
uso comune, con un picco per le presenze di età tardorepubblicana
ed impasti in parte riconducibili ad area egea o adriatico-
orientale93. Sono presenti anche numerose lucerne: degno di nota un
88 Parker 1992, p. 57 n. 48; Arìston II è datato da Finkielsztejn agli anni 167-165, coevo del nostro Archidamos, mentre Drakontidas ha una probabileassociazione con Pitoghenes, uno degli ultimi eponimi del periodo IVb, datato tra150 e 147: Finkielsztejn 2001, pp. 131, 135, 136. 89 Siebert 1977, 146, no. 134, fig. 26e.90 Semeraro 1992, pp. 38-40, n. 158, fig 2:6. 91 Informazione personale di K. Swift (Pantanello) e P. Moggi (Aquileia).92 Hayes 1991, pp. 23-24; Domzalsky 2007, pp. 167-173 (con ulteriore bibliografia). 93 Pietropaolo 1997.
27
esemplare del tipo biconico dell’Esquilino, rinvenuto in posizione
ribaltata, incastrata sotto il collo di un’anfora greco-orientale.
In attesa dell’analisi di tutte le classi, potremmo
riconoscere in questo giacimento – ancora in via assolutamente
ipotetica - un carico “di seconda formazione”, comprendente cioè
materiali di un certo pregio, beni voluttuari e partite di vino
pregiato provenienti in buona parte dal bacino orientale del
Mediterraneo ma anche dall’area tirrenica, giunti probabilmente a
Brindisi, scaricati e di nuovo imbarcati alla volta di altre
destinazioni, in associazione con prodotti locali, vino e olio del
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