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GEMITO Vincenzo La collezione DE LUCA EDITORI D’ARTE GALLERIA D’ARTE MODERNA DI ROMA CAPITALE

Gemito a Roma

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GEMITOVincenzo

La collezione

DE LUCA EDITORI D’ARTE

GALLERIA D’ARTE MODERNA DI ROMA CAPITALE

Brani di vita: Vincenzo Gemito e la collezione della Galleria d’Arte ModernaCINZIA VIRNO

Gemito e RomaGIANCARLO BROCCA

Anna Cutolo modella per Gemito: storia di una bellezzafemminileMARIA CATALANO

“ ‘O scultore pazzo” e i Dioscuri:Gemito, Savinio, de Chirico e la magia della lineaFEDERICA PIRANI

Le opere

Catalogo

Sommario

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Nell’immaginario collettivo, la figura diVincenzo Gemito è da sempre stretta-mente legata a Napoli: eppure, se siconsidera la fase matura della vita del-lo scultore, quella forse meno nota alpubblico, si può scorgere un intenso le-game con la città di Roma. Alla genesi di tale rapporto vi è l’Espo-sizione Internazionale di Belle Arti del1911 a Valle Giulia, che rappresenta unvero e proprio momento di svolta nel-la carriera dell’artista. In quell’occa-sione, Gemito presenta tre nuove ver-sioni dell’Acquaiolo del 1881 (Fig. 1)in argento, uno dei quali placcato inoro, e una Testa di Medusa. Nono-stante la lunga reclusione domesticadovuta alla malattia, lo scultore si ri-vela niente affatto arretrato sulle pro-blematiche che animavano in quegli an-ni il panorama della scultura italiana e,mediante la ripresa di tecniche care al-la tradizione, sembra preannunciare itemi del “ritorno all’ordine”. A questopunto della sua carriera, lo scultore in-traprende una nuova stagione artistica,lasciandosi alle spalle quel tipo di pro-duzione, caratterizzata da un talentoinnato e impetuoso, che lo aveva resopopolare fin da giovane. Il VincenzoGemito del Novecento è dunque muta-to, pervaso da sensibilità nuove: le suefigure, sebbene legate al dato reale, ten-dono sempre più a caricarsi di valenzesimboliche.

Pur apprezzando la modernità 1, se nemette al riparo rifugiandosi in un tem-po lontanissimo, immaginato comel’Età dell’oro della scultura, vale a direl’Ellenismo, costruendosi ex novo unavisione dell’arte del tutto personale che,secondo Corrado Maltese, è «sempliceed enigmatica come una forza natura-le, come un temporale, un torrente, unalbero» 2. Attraverso le figure di eroi mi-tici e divinità classiche, lo scultore puòquindi continuare a dare alle proprie fi-gure forme e volumi ben definiti, in-corrotti dal logorio dei tempi moderni. Con queste premesse, Gemito si reca aRoma nel 1915, dove sembra voler ri-prendere le fila della propria storia ar-tistica: decide di ricominciare a studia-re, come avrebbe fatto un diligente al-lievo dell’Accademia. Il 4 luglio è nellaCapitale, come attesta una lettera allafiglia Giuseppina, in cui l’artista scrivedi essere immerso nel proprio lavoro percercare di «mettere da parte» 3 dei gua-dagni. Pochi giorni prima, Giuseppinagli aveva spedito una missiva al fine diavvisarlo dell’intenzione di raggiunger-lo, e lo scultore gli aveva risposto di nonportare con sé dei “quadrelli” da Na-poli perché deciso a realizzarne di nuo-vi in loco 4. È la Galleria Borghese a ca-talizzare l’attenzione di Gemito duran-te il suo soggiorno romano: lo scultorevi si reca più volte, mettendosi di fron-te alle opere al fine di studiarle e co-

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Gemito e Roma

GIANCARLO BROCCA

piarne i particolari più interessanti, perconoscerli approfonditamente e farlipropri. Così accade davanti alla Ma-donna col Bambino e i Santi Flavio eOnofrio (Fig. 2) di Lorenzo Lotto del1505: l’artista è attratto dal movimen-to di Gesù che sfugge dalla solida pre-sa materna per andare a toccare e be-nedire il cuore di San Flavio. Nella suacopia, Gemito coglie attentamente ilgioco delle mani, ma ne modifica i to-ni a proprio piacimento, facendo risal-tare le parti che più gli risultano inte-ressanti 5. In basso a sinistra appunta ilnome dell’autore dell’opera, insieme al-l’anno e il luogo di nascita e morte. Co-sì farà anche con un’altra opera: il Bac-

chino Malato (Fig. 3) di Caravaggio,che riproduce a tempera prendendosi lalicenza di aggiungergli uno sfondo agre-ste. In basso a destra, annota “dal det-to il Gobbo, Museo Borghese 1915” 6.Quando Gemito lo copia, il quadro nonè stato ancora attribuito al pittore mi-lanese, per via di un errore del catalo-go, e viene fatto invece risalire a PietroBonzi, detto Il Gobbo dei Carracci 7.Questa non è la prima volta che Gemi-to dimostra di essere attratto dall’artedi Caravaggio. Molti dei disegni di pe-scatori e arcieri realizzati alcuni anniprima del 1915 fanno rifermento allaposa del San Giovannino dei Musei Ca-pitolini e altri ancora, eseguiti nellostesso periodo, presentano più in gene-rale tensioni muscolari e composizionitipicamente caravaggesche 8. Tra questi,va ricordato un disegno di Donna se-duta con cesto di frutta (Tav. 27) dellaGalleria d’Arte Moderna di Roma Ca-pitale risalente al 1903, per il quale po-sò probabilmente la moglie Anna Cu-tolo. Ad oggi, non si conoscono com-menti scritti di Gemito sull’arte del Me-risi: la sua affezione alle pose caravag-gesche, tuttavia, ha fatto parlare di una“simpatia spirituale” che probabilmen-te non era “razionalmente consapevo-le” 9. Sebbene non siano giunti sino anoi, altri furono i disegni che Gemitocompose nei musei romani: Carlo Si-viero ricorda la copia di un Putto diRaffaello conservato all’Accademia diSan Luca e una figura ripresa dagli af-freschi della Farnesina, realizzata su unbiglietto del lotto 10. Nella CollezioneMinozzi si conservava inoltre un dise-gno di datazione incerta raffigurante

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1. Vincenzo Gemito, Acquaiolo, 1881, bronzo, h cm55, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

un’altra opera romana, la testa del Mo-sè (Fig. 4) di Michelangelo, ripropostadue volte, prima a matita e poi penna 11. Nell’estate del 1915 Gemito si sposta aGenazzano per un periodo di riposo e,

durante la villeggiatura, si dedica al di-segno, eseguendo ritratti dal vero didonne e ragazzi del posto che dedica al-la figlia e al padre putativo. Lo stile èanalogo a quello dei disegni compiuti

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2. Vincenzo Gemito, Madonna col Bambino e iSanti Flavio e Onofrio, particolare dell’opera diLorenzo Lotto, 1915, acquerello e tempera su tavola, cm 22x28, Roma, Collezione privata

3. Vincenzo Gemito, Bacchino Malato, da Cara-vaggio, 1915, tempera su carta, già CollezioneTreccani

4. Vincenzo Gemito, Testa del Mosè, da Miche-langelo, 1915, matita e penna su carta, Napoli,Collezione Minozzi

5. Vincenzo Gemito, Profilo della ragazza di Genazzano, 1915, tempera su carta, mm 345x255,Collezione privata

che egli esegue soprattutto per accon-tentare i clienti. Nel frattempo si fan-no avanti richieste più particolari, le-gate senza dubbio ad ambienti piccoloborghesi, come la realizzazione di unservizio di piatti, che probabilmentel’artista portò a termine servendosi del-la tecnica del nerofumo, già usata dagiovane in altre occasioni insieme al-l’amico Antonio Mancini.Nel gennaio del 1916 Gemito è nuova-mente a Roma alla ricerca di acquiren-ti e qui ritrova Mancini, l’amico di gio-ventù dal quale si era separato per piùdi trenta anni a seguito di un litigio, na-to per motivi economici ai tempi in cuii due soggiornavano a Parigi. Nello stes-so anno, lo scultore realizza una repli-ca del busto di Cesare Correnti (Fig. 6),la cui prima versione era stata commis-sionata nel 1878 dalla colonia degli ita-liani a Parigi, anno in cui lo statista eracommissario per l’Italia all’EsposizioneInternazionale. Il gesso originale delCorrenti (Tav. 5) è conservato nella col-lezione capitolina, mentre il bronzo del1916 è alla Galleria Nazionale d’ArteModerna. Il gesso è realizzato con lafreschezza e i tratti naturalistici tipicidel primo Gemito, mentre il bronzo sidistingue per la cura attenta nella resadelle superfici, alle quali viene data unapatinatura differente in base al mate-riale che rappresentano. La testa è do-rata, la barba e i capelli radi sulla fron-te sono ripresi a cesello con dei solchileggerissimi. Il soprabito è ruvido, adimitare il panno, mentre al di sotto losparato è liscio come fosse di lino. An-

6. Vincenzo Gemito, Busto di Cesare Correnti,versione del 1916, Bronzo patinato e dorato,cm 62x59x39, Roma, Galleria Nazionale d’ArteModerna

nella Galleria Borghese ed emerge pre-ponderante la cura per i dettagli che ca-ratterizzerà la produzione scultorea de-gli ultimi anni di vita. Tuttavia, i trat-ti naturalistici che avevano accompa-gnato le opere della giovinezza sonoscomparsi: le forme si fanno solide eastraenti, i contorni delle figure ben de-finiti e le linee sicure. Alberto Saviniole trovò «profonde e metafisicamentegiustificate» 12 e, a proposito del Profi-lo della ragazza di Genazzano 13

(Fig. 5), affermò che «pure senza rin-negare il suo carattere di contadinaprende la maestà di una dea. […] Lacreatura mortale diventa immortale» 14.Alla fine dell’agosto di quello stesso an-no, Gemito scrive una lettera alla figliaGiuseppina in cui racconta di aver ot-tenuto delle commissioni, dichiarando-si soddisfatto dall’ambiente romanoche dimostra di apprezzarlo non solocome scultore 15. Gli vengono infatticommissionati numerosi autoritratti,

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cora nel marzo del 1916 lo scultore rea-lizza i bozzetti per il concorso dellatomba di Pio X indetto dal Vaticano.Esistono diversi studi preparatori sullefigure che avrebbero dovuto comporrel’opera: essi rivelano che, in principio,l’autore aveva preso in considerazionedi inserire delle figure allegoriche, co-me la Fede, di cui realizzò alcuni dise-gni da presentare al papa. Tuttavia, lasoluzione definitiva giunse a Gemitodopo aver disegnato nel dettaglio quel-la che doveva essere la collocazione del-l’opera. Il disegno di grandi dimensio-ni appartiene oggi alla Galleria d’ArteModerna di Roma Capitale: datato algiugno del 1916, riproduce le due co-lonne con nicchia sovrastante una por-ta tra la seconda e la terza cappella del-la navata sinistra di San Pietro, e indi-ca, come avrebbe fatto un capo botte-ga del Rinascimento, le misure esattedella collocazione del monumento, i no-mi e gli indirizzi degli artigiani che viavrebbero preso parte, ognuno con lapropria arte 16. Il bozzetto in cera do-rata 17 (Fig. 7) dimostra la volontà del-

l’artista di fare in modo che lo stile del-l’opera si accordasse con le opere cir-costanti. Per tale motivo, Gemito siorienta su modelli caravaggeschi e ber-niniani, riconoscibili nei grandi angeliche sorreggono il papa e rimandano aquelli della tela napoletana del Merisicon le Sette opere di Misericordia. Allostesso modo, la postura e il panneggiomorbido e ampio del piviale di Pio Xricorda da vicino la Santa Teresa inestasi di Bernini. Tuttavia, il bozzettonon soddisfece la commissione giudica-trice, che premiò l’opera più conven-zionale dell’Astorri, giudicando forsetroppo ardita la visione gemitiana di Pa-pa Sarto, che ascendeva al cielo sorret-to dagli angeli alla stregua di un Santo.Eppure, l’estro di Gemito era stato pro-fetico, perché meno di quarant’anni piùtardi Pio X sarebbe asceso davvero al-la gloria degli altari.Tra il 1916 e il 1917, mentre lo scul-tore è ancora a Roma, nelle diverse let-tere inviate a “Masto Ciccio” si inten-sificano i le invocazioni a Dio, come arivelare un personale avvicinamento al-la fede e la convinzione di essere inve-stito da una missione divina. Gemito siallontana quindi nuovamente dalla realtà; lo dimostrano gli autoritratti diquesti anni, in cui l’artista si rappre-senta spesso nelle vesti di profeta o ad-dirittura di filosofo, come nel caso deldisegno del 1917 in cui posa con un li-bro in mano 18. Mentre nel 1918 lo scultore si allonta-na da Roma per far ritorno a Napoli,dove resterà circa quattro anni, GiulioAristide Sartorio sta dirigendo le ri-prese del film muto Il mistero di Gala-tea. Nella pellicola, ispirata a temi dimatrice dannunziana, la figura centra-le del racconto è l’Acquaiolo di Gemito,

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7. Vincenzo Gemito, Bozzetto per il Monumentofunebre per Papa Pio X, 1916, cera dorata, cm 50,Napoli, Museo di Capodimonte

al quale viene affidato il compito disvelare il mistero del luogo dove è na-scosta Galatea, depositaria di tutte lebellezze del mondo. Contrariamente aquanto si è sin’ora creduto, Sartorio,più che fare riferimento all’Acquaiolodel 1881 (Fig. 1), nel film intendeva ri-cordare la versione del 1908, nota co-me La Sorgente (Fig. 8). Esaminandol’iconografia dell’opera, si possono ri-scontrare interessanti riferimenti almondo marino e in particolare alla sto-ria di Galatea raccontata nelle Meta-morfosi di Ovidio. Secondo il raccon-to ovidiano, la ninfa fu scoperta insie-me al suo bel giovane innamorato Acidal ciclope Polifemo che, per invidia,uccise il suo rivale in amore scaglian-dogli contro un enorme masso. Gala-

tea, pur di continuare a tener vivo Aci,decise di trasformarlo in sorgente: èchiaro il riferimento iconografico del-l’opera di Gemito. Per di più, ai piedidell’Aquaiolo-Sorgente sono collocatiuna conchiglia e un delfino, simbolispesso associati tra Rinascimento e Ma-nierismo alle raffigurazioni di Gala-tea 19, che con ogni probabilità è la te-sta femminile emergente dalla coppaposta tra i piedi del giovane. Tali rife-rimenti dimostrano che la produzionenovecentesca di Gemito non è affattoestranea al dannunzianesimo, e questospiega anche il progressivo avvicina-mento, sempre più evidente dal 1918,al neo-rinascimentalismo di cui Sarto-rio era tra i massimi interpreti.Ad un contesto sartoriano si può ri-condurre un’opera che Gemito realizzaa Napoli nel 1919: un Bustino mulie-bre (Tav. 17), oggi conservato alla Gal-leria Comunale di Roma e a lungo con-siderato un ritratto di donna capresedegli anni Ottanta dell’Ottocento, mache nel 1994 è stato ricollocato nel suoesatto ambito cronologico 20. L’opera dipiccole dimensioni è con ogni probabi-lità il ritratto di Irene, figlia del pitto-re Carlo Siviero, come dimostra un di-segno dello stesso anno conservato alMuseo Diego Aragona Pignatelli Cor-tes di Napoli. La lavorazione dell’ope-ra è accuratissima, interamente ripresaa cesello, e sia la postura che l’accon-ciatura dei capelli ne permettono unconfronto diretto con i diversi profilifemminili e di Vergini realizzati da Sar-torio tra cui la Madonna degli angeli 21. Nel 1922 Gemito si reca nuovamente a

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8. Vincenzo Gemito, La Sorgente, versione del1912, Argento parzialmente dorato, cm 48x20,Napoli, Collezione privata

Roma per esporre alcune opere ad unamostra organizzata da “La Fiamma”, epresto si impegna a riprendere i rap-porti con le famiglie che in passato ave-vano acquistato i suoi lavori. Dalle let-tere inviate alla figlia Giuseppina, si ri-scontra la costante preoccupazione del-l’artista per il sostentamento quotidia-no e la necessità di trovare un alloggio-laboratorio dove vivere e operare. Inquel periodo Gemito aveva trovato ilmodo di avanzare una richiesta al Go-verno perché gli venisse concessa unaabitazione e una fucina all’interno diCastel Sant’Angelo. In un primo mo-mento sembrò che il Ministro Di Sca-lea 22 avesse accolto la richiesta delloscultore, che era rimasto talmente per-suaso da scrivere con sicurezza alla fi-glia «andrò […] a prendere possesso edaverne la consegna dopo Cellini al 500che vi lavorò dentro opera d’arte oggiGemito» 23. Tuttavia, fin da subito al-cuni problemi burocratici fecero dila-zionare la vicenda per diversi anni, sen-za mai giungere ad una decisione a fa-vore dello scultore, causandogli conti-nue delusioni. Gemito desiderava ar-dentemente quella struttura soprattut-to per il valore simbolico che essa rap-presentava nell’essere stata la dimoraromana di Benvenuto Cellini, l’artistarinascimentale da lui prediletto neglianni della maturità. Alla fine del 1922,lo scultore vedeva Roma come unanuova patria delle arti, alla stregua diciò che era stata nel Cinquecento, e sisentiva sempre più legato ad essa, di-mostrando l’ambizione di divenirnel’artista vivente più importante (scrive-va il 16 dicembre alla figlia «Roma èentusiasta di sapermi a Roma dove tut-te le glorie l’abitarono è ragionevoleche un capo d’arte manca ed io potrei

riempire questo vuoto» 24). Dentro taliconvinzioni si possono ancora ravvisa-re i sintomi dei disturbi di personalitàdi cui da molti anni soffriva lo sculto-re. L’accanimento per la concessione diCastel Sant’Angelo lo portò a confron-tarsi con diverse personalità politichepresenti in Parlamento, fino a chiederedelle udienze al Re, ma l’impegno nondiede i risultati sperati e nel febbraiodel 1923 lasciò la Capitale per far ri-torno a Napoli. Mentre nello stesso an-no la figlia Giuseppina soggiornava aRoma, l’anziano padre continuava amandarle inutilmente lettere per spro-narla a sottoporre la questione del ca-stello a Mussolini 25.Alla fine del 1923, Gemito torna a Ro-ma per terminare alcuni lavori e, dauna lettera dell’8 dicembre, si evinceche si è ormai rassegnato a non avereuna dimora in Castel Sant’Angelo 26.Del resto, il Parlamento aveva già incantiere altri progetti per il castello: il20 novembre del 1925 si inaugurava ilMuseo dell’Aeronautica Militare Ita-liana con ingresso monumentale, ope-ra dello scultore Eugenio Maccagnaniche aveva anche il compito di essere unmonumento ai Caduti dell’Arma delGenio della Grande Guerra 27, mentrel’anno seguente Cambellotti firmava levolte della “Sala delle colonne” e “Sa-la delle Bandiere” che avrebbero cu-stodito i cimeli dell’Esercito Italiano.Soltanto nel 1927 il Ministro della

Pubblica Istruzione Pietro Fedele co-municò a Gemito la decisione del Par-lamento di premiarlo con centomila li-re 28: ma l’artista, rassegnato a non ot-tenere il castello, ormai da tre anni ave-va fatto ritorno a Napoli abbandonan-do Roma, dove non avrebbe fatto piùritorno.

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1 Gemito incoraggia Marinetti: cfr. D.M. Paga-no, Gemito, (catalogo della mostrta: Napoli, Mu-seo Diego Aragona Pignatelli Cortes, 29 marzo -5 luglio 2009), Napoli 2009, p. 22.2 C. Maltese, Storia dell’Arte in Italia 1785-1943, Einaudi 1960, p. 256.3 Lettera di Gemito a Giuseppina, 4 luglio 1915,pubblicata da M.S. De Marinis, Gemito, Japadre,Napoli 1993, appendice al cap. VIII tav. 1b.4 Ibidem.5 Il disegno è stato pubblicato da D.M. Pagano,op. cit., p. 199 è oggi in collezione privata.6 Il disegno è stato pubblicato da C. Maltese, op.cit., già nella Collezione Treccani risulta oggi di-sperso.7 C. Maltese, “La formazione culturale di Gemi-to e i suoi rapporti con il Caravaggio”, in Col-loqui del sodalizio, II, 1951-54, pp. 44-45.8 Cfr. M.S. De Marinis, op. cit, p. 101.9 C. Maltese, op. cit., p. 46.10 C. Siviero, Gemito, Morano, Napoli 1953, p.83, anche in D.M. Pagano, op. cit., p. 198.11 Il disegno è stato pubblicato da D.M. Pagano,op. cit., tav. 91.12 A. Savinio, Seconda vita di Gemito, Roma1938, p. 20.13 Il disegno è pubblicato da D.M. Pagano, op.cit., p. 157.14 A. Savinio, op. cit., p. 32.15 Lettera di Gemito alla figlia Giuseppina, pub-blicata da M.S. De Marinis, op. cit., p. 101.16 M. Mormone in D.M. Pagano (a cura di), Ge-mito, Napoli 2009, p. 204.

17 Conservato presso il Museo di Capodimonte,è pubblicato da D.M. Pagano, op. cit., p. 205.18 Cfr. con il disegno “Profeta” o “Autoritratto”pubblicato da M.S. De Marinis, op. cit., tav. 293.19 A tal proposito si confronti col l’affresco diRaffaello di Villa Farnesina a Roma del 1512.20 Cfr. C. Virno (a cura di), GCAMC: GalleriaComunale d’Arte Moderna e Contemporanea,Roma, catalogo Autori dell’Ottocento, Roma2004, pp. 321-323.21 G.A. Sartorio, Madonna degli angeli (Magni-ficat), 1895, collezione privata, S. Panei, Roma2006, p. 174.22 Pietro Lanza Di Scalea nel 1922 era Ministrodella Guerra del Governo Facta.23 M.S. De Marinis, op. cit., p. 104.24 Lettera di Gemito alla figlia Giuseppina, 16 di-cembre 1922, pubblicata da M.S. De Marinis,cap. VIII alleg. 49.25 Cfr. M.S. De Marinis, op. cit., p. 108.26 Lettera di Gemito alla figlia, 8 dicembre 1923,in M.S. De Marinis, op. cit., p. 108.27 La Capitale a Roma, città e arredo urbano,1870-1945, catalogo della mostra a cura di Lui-sa Cardilli e Anna Cambedda Napolitano, Ro-ma, Palazzo delle Esposizioni, 2 ottobre - 28 no-vembre 1991, p. 192. L’opera fu poi smontata nel1934 e ricollocata nel 1938 in Piazza Marescial-lo Giardino.28 M.S. De Marinis in Gemito, Napoli 2009, p.275.

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