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INTERVENTI ESTRATTO da IL SAGGIATORE MUSICALE RIVISTA SEMESTRALE DI MUSICOLOGIA Anno XIX, 2012, n. 2 Leo S. Olschki Editore Firenze

Quando il filologo musicale cerca lo scoop

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INTERVENTI

ESTRATTOda

IL SAGGIATORE MUSICALERIVISTA SEMESTRALE DI MUSICOLOGIA

Anno XIX, 2012, n. 2

Leo S. Olschki EditoreFirenze

Anno XIX, 2012, n. 2

ISSN 1123-8615

Anno

XIX

2012

n. 2

Rivista semestrale di musicologia

Anno XIX, 2012, n. 2

ARTICOLI

MICHEL HUGLO, L’‘‘Inchiriadon Hucbaldi’’: son rapport avec la ‘‘Musica enchiriadis’’ etsa circulation en Italie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 179

ALBERTO HERNANDEZ MATEOS, «Progresso, decadenza e rinnovazione»: el pensamientohistoriografico-musical de Antonio Eximeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 199

GIOVANNI DI STEFANO, La conquista del Messico come ‘‘clash of civilizations’’: l’opera‘‘Montezuma’’ di Giuseppe Antonio Borgese e Roger Sessions . . . . . . . . . . . . . » 215

INTERVENTI

CLAUDIO ANNIBALDI, Quando il filologo musicale cerca lo scoop: considerazioni preventi-ve sull’ultimo volume delle «Opere complete» di Girolamo Frescobaldi . . . . . . . » 237

RECENSIONI

D. LANZ, Zwolftonmusik mit doppeltem Boden (C. Piccardi), p. 265 – A. WELLMER, Versuch uber Musik undSprache (G. Borio), p. 277.

SCHEDE CRITICHE

J. C. Asensio Palacios, D. Fabris, P. L. Bernardini, E. Fava, C. Frigau Manning e P. G. Gillio su L. CANDE-

LARIA (p. 285), M. KOKOLE (p. 288), C. CLARK (p. 290), Von Volkston und Romantik (p. 293), P. MECHELLI

(p. 296) e Tosca (p. 299)

NOTIZIE SUI COLLABORATORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 301

LIBRI, DISCHI E VIDEO RICEVUTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 303

BOLLETTINO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE «IL SAGGIATORE MUSICALE» . . . . . . . . » 307

La redazione di questo numero e stata chiusa il 31 marzo 2013

Redazione

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(segue in 3ª di coperta)

Rivista semestrale di musicologiafondata da Lorenzo Bianconi, Renato Di Benedetto, F. Alberto Gallo,

Roberto Leydi e Antonio Serravezza

COMITATO DIRETTIVO

Marco Beghelli (Bologna), Cesare Fertonani (Milano; responsabile delle recensioni),Maurizio Giani (Bologna), Philip Gossett (Chicago-Roma), Raffaele Pozzi (Roma),

Cesarino Ruini (Bologna), Daniele Sabaino (Cremona),Manfred Hermann Schmid (Tubingen), Tilman Seebass (Innsbruck),

Nico Staiti (Bologna), Martin Stokes (Londra),Luca Zoppelli (Friburgo nello Uechtland)

DIREZIONE

Giuseppina La Face Bianconi (Bologna; direttore)Andrea Chegai (Roma; vicedirettore), Alessandro Roccatagliati (Ferrara; vicedirettore)

CONSULENTI

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Giorgio Biancorosso (Hong Kong), Bonnie J. Blackburn (Oxford),Gianmario Borio (Cremona), Juan Jose Carreras (Saragozza), Giulio Cattin (Vicenza),

Fabrizio Della Seta (Cremona), Paolo Fabbri (Ferrara), Paolo Gallarati (Torino),F. Alberto Gallo (Bologna), Giovanni Giuriati (Roma), Paolo Gozza (Bologna),

Adriana Guarnieri (Venezia), Michel Huglo ({), Joseph Kerman (Berkeley),Lewis Lockwood (Cambridge, Ma.), Miguel Angel Marın (Logrono),

Kate van Orden (Berkeley), Giorgio Pestelli (Torino), Wilhelm Seidel (Lipsia),Emanuele Senici (Roma), Richard Taruskin (Berkeley), Gilles de Van (Parigi)

SEGRETERIA DI REDAZIONE

Andrea Dell’Antonio (Austin; abstracts inglesi), Antonella D’Ovidio (Firenze),Gioia Filocamo (Terni), Saverio Lamacchia (Gorizia), Giorgio Pagannone (Chieti),

Elisabetta Pasquini (Bologna; redattore capo), Anna Quaranta (Bologna),Paolo Russo (Parma), Gabriella Sartini (Bologna), Carlida Steffan (Modena),

Marco Uvietta (Trento)

Hanno collaborato come redattori:Jacopo Doti, Francesco Lora, Francesco Scognamiglio e Maria Semi (Bologna)

Gli articoli inviati al «Saggiatore musicale», o da esso richiesti, vengono sottoposti al-l’esame di almeno due studiosi, membri del comitato direttivo o consulenti esterni: ipareri vengono integralmente comunicati per iscritto agli autori. I contributi, in linguafrancese, inglese, italiana, spagnola o tedesca, accompagnati da un abstract (25-35 ri-ghe), vanno inviati in due formati elettronici sia come file di testo (.doc o simili) sia co-me file .pdf all’indirizzo [email protected]. Sara data la preferenza agli ar-ticoli che non eccedono le 25 pagine a stampa (circa 70 000 battute, circa 15 000 parolein inglese).

CLAUDIO ANNIBALDI

Roma

QUANDO IL FILOLOGO MUSICALE CERCA LO SCOOP

CONSIDERAZIONI PREVENTIVE SULL’ULTIMO VOLUME

DELLE «OPERE COMPLETE» DI GIROLAMO FRESCOBALDI

1. Ci son voluti trentacinque anni, ma con il volume dedicato nel 2010 ai Fiori

musicali l’edizione critica degli opera omnia frescobaldiani e finalmente entrata, come

si usa dire, in dirittura d’arrivo. Per completarla mancano infatti solo due dei tredici

volumi previsti dal piano editoriale dei «Monumenti musicali italiani» patrocinati dal-

la Societa italiana di Musicologia: quelli dedicati ai mottetti del Liber secundus diver-

sarum modulationum, pubblicati nel 1627, e alle «Opere per tastiera manoscritte e di

dubbia attribuzione».E facile previsione che quest’ultimo – il tredicesimo della serie – sara il volume

piu laborioso di tutti, dato il ginepraio di fonti che gli studiosi chiamati a realizzarlo

dovranno districare ‘‘con scienza e coscienza’’, e apprendere dal sito web dell’Univer-

sita di Ginevra che il candidato per eccellenza alla bisogna – Etienne Darbellay, tito-

lare uscente di quella cattedra di Musicologia – ha in animo di pubblicare «l’heritage

manuscrit» di Frescobaldi «en plusieurs volumes» non rende troppo ottimisti sui

tempi di pubblicazione.1 Tuttavia a ispirare questo mio intervento non e tanto il ti-

more che un’attesa pluridecennale possa prolungarsi ulteriormente, quanto la preoc-

cupazione che quel tredicesimo volume, unico o multiplo che sia, chiuda detta edizio-

Il presente scritto, che sviluppa un intervento dell’autore apparso in altra rivista (C. ANNIBALDI,Was Frescobaldi a Chameleonic Scribe?, «Early Music», XL, 2012, pp. 87-89), utilizza le seguenti si-gle RISM: F-Pn = Paris, Bibliotheque Nationale de France; GB-Lbl = London, British Library; I-Rsg= Roma, Archivio musicale della Basilica di S. Giovanni in Laterano; I-Rvat = Citta del Vaticano,Biblioteca Apostolica Vaticana.

1 Da un suo scritto recente risulta che nel 1996 Darbellay aveva gia approntato un’edizione del-le Sonate d’intavolatura del sig. Girolamo Frescobaldi (I-Rvat, mss. Chigiani Q.IV.25) e dei Fioretti delFrescobaldi (GB-Lbl, ms. Add. 40080): due manoscritti del primo Seicento provenienti dalla cerchiafamigliare e professionale del compositore. Cfr. E. DARBELLAY, The Manuscript Chigi Q.IV.24 of theBiblioteca Apostolica Vaticana as Frescobaldian Source: New Criteria for Authenticity, in Fiori musicali:liber amicorum Alexander Silbiger, a cura di C. Fontijn e S. Parisi, Sterling Heights, Mi., HarmoniePark Press, 2010, pp. 23-37: 27 nota 9.

INTERVENTI

ne critica come infelicemente si aprı: dando in luce musiche apocrife che, una voltaedite con tutti i crismi dell’ufficialita, nessuno mettera piu in discussione.

Cosa mi fa paventare questa eventualita al segno da tentar qui di scongiurarla conuna discussione preventiva? Due esperienze personali, l’una recentissima, l’altra me-tabolizzata da tempo: le riflessioni a cui mi ha spinto un libro della giovane musico-loga svizzera Christine Jeanneret – L’œuvre en filigrane: une etude philologique desmanuscrits pour clavier a Rome au XVIIe siecle, Firenze, Leo S. Olschki, 2009 («His-toriae Musicae Cultores», CXVI) – e la constatazione di quanto poco possa una di-scussione critica post festum contro una pubblicazione dalle apparenze autorevoli.Non a caso le riserve che avanzai a suo tempo nei confronti del primo volume degliopera omnia frescobaldiani, per l’equivoca patente di autenticita attribuitavi alle co-siddette ‘‘messe lateranensi’’, sono state suffragate da successive ricerche di WolfgangWitzenmann nell’Archivio di S. Giovanni in Laterano, ma non sono riuscite a insinua-re un’ombra di dubbio neppure negli autori di un catalogo dei fondi musicali di quel-la basilica, poi pubblicato – e tutto dire – con una prefazione di Witzenmann stesso.2

Cio che ha fatto interagire queste due esperienze, persuadendomi a stendere lepagine che seguono, e l’evidenza con cui L’œuvre en filigrane di Jeanneret – il titolosi riferisce alla possibilita d’intravedere il modus operandi di un compositore del pas-sato interpretandone opportunamente gli appunti di lavoro – prefigura i criteri edi-toriali che guideranno l’edizione del lascito manoscritto di Frescobaldi progettatada Darbellay. Tratto da una dissertazione dottorale di cui quest’ultimo e stato il re-latore, il volume va ben oltre la meticolosa ricognizione delle fonti cui si riferisce ilsottotitolo (i due terzi delle 620 pagine del libro sono occupati dalla disamina di74 manoscritti conservati in una trentina di biblioteche europee e nordamericane).A risultati quantitativi gia meritevoli della «mention tres honorable» assegnatale all’u-nanimita dalla commissione esaminatrice, l’autrice ha infatti aggiunto, segnatamentein riferimento all’ambiente romano in cui opero Frescobaldi, identificazioni di nuovefonti, proposte di attribuzione e ipotesi metodologiche atte a guadagnarle una sorta didiritto di prelazione sulla curatela dell’edizione in questione. Un impegno che, del re-sto, non sarebbe il primo da lei assunto nel quadro delle «Opere complete» di Fre-scobaldi, avendo collaborato con Darbellay, Gustav Leonhardt e Luigi FerdinandoTagliavini a tre degli undici volumi usciti finora: Il libro primo delle canzoni a una,due, tre e quattro voci (2002), i Recercari et canzoni franzese (2005) e, appunto, i Fiorimusicali, pubblicati tre anni fa.

2 In questo capoverso mi riferisco, nell’ordine, alle seguenti pubblicazioni: G. FRESCOBALDI,Due messe a otto voci e basso continuo, a cura di O. Mischiati e L. F. Tagliavini, Milano, Suvini Zer-boni, 1975 («Monumenti musicali italiani», I); C. ANNIBALDI, Ancora sulle messe attribuite a Fresco-baldi: proposta di un profittevole scambio, in Girolamo Frescobaldi nel IV centenario della nascita, acura di S. Durante e D. Fabris, Firenze, Leo S. Olschki, 1986, pp. 125-152; W. WITZENMANN, Ledue ‘‘messe lateranensi’’ opera di Paolo Agostini?, «Studi musicali», XXXI, 2002, pp. 323-348; L’Ar-chivio musicale della basilica di San Giovanni in Laterano. Catalogo dei manoscritti e delle edizioni(secc. XVI-XX), a cura di G. Rostirolla, Roma, Ministero per i Beni e le Attivita culturali - Direzionegenerale per gli archivi / Istituto di Bibliografia musicale, 2002, I, p. 527. E appena il caso di aggiun-gere che quest’ultima pubblicazione non tiene conto del mio studio sulle ‘‘messe lateranensi’’ nep-pure nella bibliografia generale.

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Per comprendere in quale misura le ipotesi di lavoro formulate dall’autrice pos-sano ritenersi un’anticipazione attendibile dei criteri editoriali che saranno adottatinel volume conclusivo della serie, e necessario innanzitutto valutare le indagini paleo-grafiche e filologiche da lei condotte sui manoscritti romani riferiti o riferibili a Fre-scobaldi e ai musicisti del suo entourage: in primis, Nicolo Borboni (ca. 1591 - 1641) eLeonardo Castellani (ca. 1610 - 1667), suoi allievi e collaboratori nonche organisti,compositori e maestri di cappella. (Com’e noto, Borboni fu anche incisore e stampa-tore di splendidi volumi musicali, fra cui i due libri di Toccate del suo maestro.3) Nelcorso di tale disamina, cui provvedero partitamente nella seconda e nella terza sezionedel presente intervento, sara giocoforza rinviare alle riproduzioni fotografiche checorredano L’œuvre en filigrane, un testo specialistico che non tutti i miei lettori avran-no sottomano. Circa la meta delle diciotto illustrazioni cui faro riferimento sono tut-tavia reperibili anche in due articoli che l’autrice ha tratto dalla sua dissertazione pri-ma che le fosse pubblicata.4

2.1. Dal punto di vista paleografico L’œuvre en filigrane segnala la presenza del-la grafia musicale e della scrittura ordinaria di Frescobaldi in cinque manoscritti maiconsiderati sotto questo aspetto: 1) i Fioretti del Frescobaldi gia menzionati qui nellanota 1: un’intavolatura per strumento da tasto conservata nella British Library, cal-ligrafata da Borboni ma con un foglio di guardia su cui sarebbero tracce della scrit-tura ordinaria di Frescobaldi; 2) un’intavolatura consimile, ma interamente di pu-gno di quest’ultimo, appartenente alla Bibliotheque Nationale de France (F-Pn,Res. Vmc. ms. 64); 3-4) due quaderni di musiche per cembalo inclusi nel fondo Bar-beriniani latini della Biblioteca Apostolica Vaticana (I-Rvat, Barb. lat., mss. 4181 e4182), che documenterebbero le lezioni di strumento impartite dal vecchio Fresco-baldi a due giovanissimi pronipoti del pontefice Urbano VIII, Carlo e Nicolo Bar-berini; 5) un fascicolo del fondo manoscritti Chigiani della stessa biblioteca (I-Rvat,mss. Chigiani, Q.VIII.205, int. 29), fascicolo in cui si susseguono appunti di teoriamusicale e brani di polifonia sacra riferibili all’attivita didattica e compositiva delmusicista.5

A mio avviso, l’unico autografo incontestabile e l’intavolatura parigina, che pre-senta tutte le caratteristiche morfologiche della scrittura quotidiana e della grafia mu-

3 Notizie intorno alla carriera professionale di questi due musicisti sono reperibili nelle primetre Appendici del libro di Jeanneret, che sintetizzano le notizie da lei raccolte su numerosi organistiattivi a Roma nel secolo XVII.

4 Mi riferisco alle figure di L’œuvre en filigrane contrassegnate con i nn. 10-14 (p. 148 sg.), 19(p. 217) e 25-26 (p. 226 sg.). Esse corrispondono, nell’ordine, alle figure 3.10-3.14 in CHR. JEANNE-

RET, Frescobaldi’s ‘‘Fioretti’’: Testimony from a Missing Book, in Fiori musicali: liber amicorum Al-exander Silbiger cit. (qui alla nota 1), pp. 39-60; e alle figure 12, 10 e 3 in EAD., Un cahier d’ebau-ches autographe inedit de Frescobaldi (F-Pn, Res. Vmc. 64), «Recercare», XVII, 2005, pp. 135-159.

5 I manoscritti catalogati in L’œuvre en filigrane sono identificati da Jeanneret con sigle di suainvenzione (l’intavolatura parigina teste citata e identificata, per esempio, con la sigla ‘Paris 64’), esono passati in rassegna secondo l’ordine alfabetico di queste. Dato il loro numero limitato, le fontidiscusse nel presente intervento saranno identificate in prima istanza secondo le convenzioni biblio-grafiche del RISM e poi facendo riferimento alla loro ubicazione o alla loro segnatura attuale.

QUANDO IL FILOLOGO MUSICALE CERCA LO SCOOP 239

sicale di Frescobaldi da me descritte, ormai molti anni fa, sulla scorta della particellad’organo delle ‘‘messe lateranensi’’ (I-Rsg, ms. Mus. A. 2009) e di altri tre manoscrittivaticani (I-Rvat, mss. Chigiani, Q.IV.19, 25 e 29).6 Nelle altre quattro fonti l’identi-ficazione della mano di lui e assai dubbia, vuoi perche effettuata su campioni di scrit-tura in cui non c’e traccia del ductus personalissimo e spesso disorientante della suagrafia, vuoi per la scarsa persuasivita della teoria con cui Jeanneret giustifica la neces-sita di prenderli ciononostante in considerazione: essi non esemplificherebbero cioe lagrafia propria a Frescobaldi in quanto, nello stendere testi musicali o verbali destinatia terze persone e particolarmente ai suoi allievi, egli faceva ricorso a una sorta di ‘‘gra-fia di servizio’’ di pronta leggibilita (pp. 223, 270 sg., 324).

Direttamente o indirettamente, tutti i rilievi paleografici compiuti da Jeanneretsui cinque autografi in parola si basano su tale teoria e sulla conseguente possibilitadi distinguere a colpo d’occhio quelli legati al lavoro compositivo di Frescobaldi daquelli diversamente intenzionati. Ma si tratta di una possibilita assai remota. Benchedissimile per definizione dalla scrittura musicale e ordinaria di lui, questa presunta‘‘grafia di servizio’’ puo essere individuata unicamente attraverso le sue residue affi-nita con entrambe; tali affinita possono essere colte solo confrontando gli scritti che siabbia motivo di ritenere collegati all’attivita didattica del musicista con campioni dellasua scrittura personale; e questo confronto – dovendosi necessariamente ignorare ilductus dei campioni di scrittura sub iudice – puo riguardare solo elementi grafici iso-lati, come il tratteggio delle lettere dell’alfabeto o delle chiavi musicali. Come tutto ciorenda inconcludenti anche eventuali risultati positivi di un confronto siffatto emergechiaramente dal primo dei cinque autografi elencati all’inizio di questa sezione, che ecostituito in tutto e per tutto da quattro parole isolate, tracciate l’una sotto l’altra suuno degli ultimi fogli di guardia del manoscritto londinese: felippo, argentini, buratini,concolaro (p. 148, Fig. 10).

Secondo Jeanneret, la prova che quelle parole esemplifichino la ‘‘grafia di servi-zio’’ di Frescobaldi sarebbe costituita da talune affinita morfologiche riscontrabili frale lettere dell’alfabeto che compongono le parole in questione e la notazione musicalealfabetica usata da Frescobaldi in una tavola esplicativa delle chiavi musicali inseritain fondo al manoscritto chigiano Q.IV.25 (p. 148, Fig. 11): il primo dei due mano-scritti qui menzionati nella nota 1, anch’esso calligrafato da Borboni. Ma cio non con-vince, per due buoni motivi. Il primo e che sarebbe piu logico attribuire le affinitaemergenti dal confronto lettera per lettera di due campioni di scrittura ordinarianon gia a un amanuense curiosamente avvezzo a cambiare grafia in base alla destina-zione dei suoi scritti, bensı a due amanuensi contraddistinti dallo stesso modello cal-

6 Mi sono occupato delle fonti in questione in tre articoli: Ancora sulle messe attribuite a Fresco-baldi cit.; La didattica del solco tracciato: il codice chigiano Q.IV.29 da ‘‘Klavierbuchlein’’ d’ignoti a pri-ma fonte frescobaldiana autografa, «Rivista italiana di Musicologia», XX, 1985, pp. 44-97; GirolamoFrescobaldi e il Palestrina: un autografo misconosciuto, un filo riannodato, in Palestrina e l’Europa, acura di G. Rostirolla, Palestrina, Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, 2006, pp. 671-705.Del terzo articolo, concernente il manoscritto chigiano Q.IV.19, esiste anche una versione in linguainglese: Palestrina and Frescobaldi: Discovering a Missing Link, «Music & Letters», LXXIX, 1998,pp. 329-345.

240 CLAUDIO ANNIBALDI

ligrafico (nella fattispecie, la lettera italica corsiva, diffusissima nella Roma secentesca).Il secondo motivo e che, se le differenze fra i due campioni di scrittura posti a con-fronto dipendessero davvero dal fatto che uno esemplifica la scrittura personale diFrescobaldi e l’altro la sua ‘‘grafia di servizio’’, quest’ultima avrebbe dovuto essereesemplificata dalla tavola esplicativa delle chiavi musicali di cui s’e detto. Nella fatti-specie, accade pero il contrario: quella tavola dalle evidenti finalita didattiche e assun-ta a modello della scrittura personale di lui, mentre la sua ‘‘grafia di servizio’’ – quasipotesse anche non servire a nessuno – viene identificata nelle quattro parole, apparen-temente prive di nesso e di destinatari, menzionate sopra.

2.2. Ancor meno convincente e il risultato ottenuto da Jeanneret nel confrontotra la medesima tavola esplicativa delle chiavi musicali e il nome e cognome (NicoloBarberini) che fungono da ex libris di un quaderno contenente un pezzo per cembaload uso del minore dei pronipoti di Urbano VIII: uno degli ultimi allievi di Frescobal-di nonche uno dei piu imberbi, avendo solo otto anni quando il musicista morı.7 Alleprecedenti obiezioni su codesti confronti lettera per lettera e sull’uso incoerente di unesempio didattico come specimen della grafia personale di Frescobaldi occorre qui ag-giungerne una piu specifica, concernente la mancata considerazione, da parte di Jean-neret, della disallineatura delle lettere alfabetiche che compongono l’ex libris in parola(p. 270, Fig. 36).

E strano che questo particolare sia sfuggito all’autrice di un libro in cui un capi-tolo supplementare, intitolato ‘‘Calligraphie et philologie’’ (pp. 461-477), si occupafra l’altro della grafia di «personnes quasi-illettrees» (p. 465, Fig. 3-4). Infatti la disal-lineatura di cui si parla rinvia a una peculiarita della scrittura di soggetti poco alfabe-tizzati o ancora in via di alfabetizzazione, essendo essi portati a concentrarsi sull’ese-cuzione delle lettere delle parole che stanno scrivendo cosı da perderne di vista – ameno che non usino un foglio rigato – l’allineamento reciproco. Il conseguente so-spetto che a tracciare il nome e il cognome di Nicolo Barberini non sia stato il vecchioFrescobaldi ma il ragazzo stesso e confermato da un quaderno di pezzi per chitarraspagnola posseduto da quest’ultimo (I-Rvat, Barb. lat. 4178): in esso, dopo alcune in-tavolature alfabetiche tracciate con mano professionale dal maestro di turno, se netrova una di pugno dell’allievo che ripropone la grafia e il ductus maldestro dell’exlibris dell’altro quaderno (lı e la seconda b di ‘Barberini’, qui sono la prima g e la odella dicitura ‘Pasagaglio per B’ a esemplificare il tipico pasticcio del ragazzino chesta imparando a scrivere e che corregge, ripassandoci sopra, gli anelli delle lettere riu-scitigli troppo piccoli).

Ne ci vuol molto a trasformare il sospetto in certezza, giacche basta buttar l’oc-chio sull’ex libris tracciato in apertura di quest’altro quaderno di Nicolo e considerare

7 Sebbene Jeanneret lo dia per scontato, non e affatto sicuro che il ragazzo sia stato scolaro diFrescobaldi. Il documento del gennaio 1643 che, poco piu di un mese prima della morte del musi-cista, attesta la sua iscrizione fra i famigli del padre di Nicolo, il principe Taddeo Barberini, perche«insegna [a] suonar a’ signorini» (I-Rvat, Archivio Barberini, Indice IV, n. 1282, c. 2v, Straordinarijdiversi), usa un’espressione generica che potrebbe riferirsi soltanto ai due fratelli di Nicolo: Carloe Maffeo, che all’epoca avevano rispettivamente tredici e dodici anni.

QUANDO IL FILOLOGO MUSICALE CERCA LO SCOOP 241

cosa ci obblighi, in questo caso, ad attribuirlo al suo maestro di chitarra: da un lato,ovviamente, la grafia, che e la stessa delle intavolature chitarristiche con cui inizia ilmanoscritto; dall’altro, piu significativamente, la formulazione (non «Nicolo Barberi-ni», come nel quaderno di cembalo, ma «Dell’Ill.mo et Ecc.mo sig.r Don Nicolo Bar-berini»), la cui cerimoniosita evoca la rigidita dei coevi rapporti sociali in modo dafarci escludere che Frescobaldi potesse scrivere il nome del rampollo d’una famigliapapale al quale desse lezione omettendo i titoli spettantigli per nascita.

Tutto cio basterebbe a rendere inaccettabile quanto si legge in L’œuvre en filigra-ne (p. 270 sg.) circa la paternita frescobaldiana del contenuto musicale del quadernodi cembalo di Nicolo Barberini e di un quaderno consimile appartenuto a suo fratelloCarlo (Barb. lat. 4182): un personaggio identificato dalle iniziali «C. B.» tracciate, intesta al volume, da una mano che ormai abbiamo tutte le ragioni per attribuire a luistesso e non a Frescobaldi, come al contrario propone Jeanneret (p. 268 sg.). Ma sba-glieremmo a ignorare le considerazioni paleografico-musicali che l’hanno convintadell’autenticita dei pezzi in parola, essendo esse particolarmente illuminanti sulle pa-gine da lei dedicate al lascito manoscritto del musicista.

Se nelle scritte verbali contenute nel foglio di guardia dell’intavolatura londinesee nei quaderni di cembalo dei pronipoti di Urbano VIII Jeanneret individua la ver-sione ordinaria della ‘‘grafia di servizio’’ di Frescobaldi grazie al tratteggio di singolelettere dell’alfabeto, cio che la porta a ravvisarne la versione musicale in quegli stessiquaderni e il tratteggio delle chiavi di Sol, la cui forma puo effettivamente ricordare lecorrispondenti chiavi del codice chigiano Q.IV.29 (p. 270, Fig. 35). Mentre si con-centra su questo particolare, la studiosa ne trascura pero un altro che neutralizza ilpresunto significato del primo. Infatti le chiavi nei quaderni dei fratelli Barberini sidifferenziano da quelle tracciate da Frescobaldi nel manoscritto chigiano poiche, in-vece di essere isolate, fanno corpo con altrettante chiavi di Do, con le quali dannoluogo a un tipo di chiave doppia che, stando alle intavolature autografe sin qui attri-buitegli (pp. 148, Fig. 11; 216 sg., Fig. 18-19; 222, Fig. 20; 224, Fig. 22; 227, Fig. 26),non rientrava nella prassi notazionale del musicista. Ora, cio non soltanto rappresentala riprova della sua estraneita rispetto ai quaderni di cembalo di Carlo e Nicolo Bar-berini, ma ci fornisce anche un piu significativo esempio di una certa disinvoltura nelmettere in pratica le proprie ipotesi di lavoro, che abbiamo intravisto poc’anzi nelmodo incoerente con cui Jeanneret ha applicato la teoria della ‘‘grafia di servizio’’al presunto autografo londinese.8

Nel capitolo introduttivo di L’œuvre en filigrane l’autrice dichiara di voler utiliz-zare il ‘paradigma indiziario’ messo a punto alcuni decenni or sono dallo storico CarloGinzburg, non meno che il metodo di autenticazione di quadri antichi elaborato dalcritico d’arte ottocentesco Giovanni Morelli, alias Ivan Lermoliev (pp. 1-31: 21-24).9

8 Stupisce che una disinvoltura analoga caratterizzi anche il rapporto di Jeanneret con la lezionestoriografica di Fernand Braudel. Sebbene definisca – peraltro banalizzandola come sinonimo di arcocronologico di lunga gittata – la teoria della «longue duree» come «critere fondamental» del propriometodo di ricerca (pp. 230 e 452-457), l’autrice non nomina questo studioso neppure in bibliografia.

9 A prendere le mosse dalla lezione di Morelli/Lermoliev e peraltro Ginzburg stesso, come

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Jeanneret si dichiara tanto entusiasta delle indicazioni metodologiche dell’uno da pro-spettare come unica garanzia della fondatezza di un’ipotesi storiografica la sua congrui-ta con la totalita degli indizi avvistati dallo studioso che la sostenga; invece si proponed’avvalersi di quelle dell’altro per distinguere gli amanuensi delle fonti musicali da leicatalogate, previo trasferimento ai loro manufatti del principio per cui la paternita diun quadro sarebbe rivelata dai dettagli figurativi che il pittore ha ritenuto trascurabili(per esempio, particolari anatomici minimi, come i lobi delle orecchie o le dita dellemani e dei piedi) e ha quindi eseguito secondo stereotipi ricorrenti in tutte le sue opere.

Senonche, quando presume di riconoscere nel tratteggio di una chiave musicalela mano del Frescobaldi didatta, senza tener conto che quella chiave fa parte di unachiave doppia, Jeanneret deroga alla lezione di metodo di Ginzburg non meno che aquella di Morelli/Lermoliev. Cio avviene da una parte – come abbiamo gia notato –poiche ella tiene conto dell’indizio rappresentato dalla forma particolare della chiavedi Sol, ma ignora l’indizio costituito dalla sua appartenenza a un tipo di chiave doppiamai utilizzato da Frescobaldi; dall’altra parte, poiche ipotizza l’analogia fra chiavi mu-sicali e stereotipi pittorici, ma se ne vale per la chiave suddetta e non anche per lachiave di Do cui e abbinata. Cosı le sfugge come la somiglianza di quella con le chiavidi Sol del manoscritto chigiano Q.IV.29 sia neutralizzata dalla dissimiglianza di que-sta con le chiavi di Do che ricorrono nello stesso autografo, essendo l’una tracciatain sette tratti mentre le altre lo sono in cinque.10

2.3. L’attribuzione a Frescobaldi dell’ultimo tra i manoscritti qui elencati all’ini-zio della sezione 2.1 – ossia l’interno 29 del codice chigiano Q.VIII.205 – rappresentaun caso a se stante.11 Secondo Jeanneret saremmo in presenza di un autografo del

risulta dai suoi primi scritti sul ‘paradigma indiziario’ cui accenna Jeanneret, che si occupano segna-tamente delle radici dello statuto epistemologico del ‘metodo morelliano’ dimostrandone la sussisten-za nei piu diversi ambiti della conoscenza umana. Cfr. C. GINZBURG, Spie. Radici di un paradigmaindiziario, in Crisi della ragione, a cura di A. Gargani, Torino, Einaudi, 1979, pp. 57-106.

10 Il lettore che volesse verificare queste mie indicazioni sulla morfologia delle chiavi di Do ne-gli autografi musicali frescobaldiani valendosi delle riproduzioni fotografiche incluse in L’œuvre enfiligrane (cfr. le Fig. 18-20, 22 e 26, comprese fra le pp. 216 e 227) tenga presente che dei cinquetratti di dette chiavi musicali – un tratto verticale e due coppie di tratti orizzontali, una sopra e l’altrasotto la linea del Do centrale – quelli accoppiati sono spesso tracciati senza staccare la penna dal fo-glio, assumendo l’aspetto di una piccola v con l’angolo rivolto verso la linea del Do.

11 In questa sede mi limito a segnalare i principali errori materiali in cui Jeanneret e incorsanella ricognizione degli autografi frescobaldiani da lei segnalati. Ma un libro come L’œuvre en filigra-ne, costituito per due terzi dalla disamina codicologica, paleografica e filologica di decine di mano-scritti, e irrimediabilmente esposto al rischio di inesattezze molteplici, tanto piu che a quelli non col-legabili con l’ambiente professionale romano in cui visse e opero Frescobaldi l’autrice dedicaprogrammaticamente un’attenzione minima (pp. 65 e 179). Cosı l’indice del manoscritto F-Pn,Res. Vmf. ms. 30, una fonte dal contenuto particolarmente caotico, pullula di inesattezze: epigrafitralasciate, tonalita fraintese, brani per violino o per Soprano e basso continuo segnalati come pezzi«pour clavier» o «pour clavier avec texte», eccetera (p. 240 sg.). Incidentalmente, una rettifica sareb-be necessaria anche per le informazioni sulle monete della Roma barocca che si leggono nelle pagineintroduttive del libro (p. 5 nota 8), giacche era lo scudo d’oro in oro a valere 1,5 scudi d’oro in moneta,e non viceversa. E cio, del resto, solo all’inizio del Seicento, perche nel corso del secolo la secondavaluta, che era coniata in argento, fu ulteriormente deprezzata.

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musicista diviso in due sezioni, rispettivamente concernenti annotazioni teoriche rife-ribili alla sua attivita didattica («explications» relative a vari intervalli musicali ed«exercices d’enchaınements par degres conjoints, tierces et quartes») e frammentidi partitura relativi a tre pezzi polifonici contraddistinti dalle seguenti epigrafi: Nelmottetto Veni spirto, Nel mottetto Sacerdotij dei del novo [?] di, Omnij sancti (p. 344).

Ci occuperemo piu oltre del pasticcio ortografico-linguistico di tali epigrafi, chedel resto non e l’unica perplessita sollevata dalla descrizione del manoscritto fornitacida Jeanneret. La quale infatti attribuisce ai mottetti in questione un organico di tre-quattro voci, ma in un capitolo precedente usa la riproduzione fotografica di una loropagina che illustra un mottetto a tre voci e basso continuo (p. 229, Fig. 28), e in unasezione successiva li segnala tout court come composizioni a due voci e basso continuo(p. 371). Qui va sottolineato innanzitutto che, ove le grandi linee della sua descrizionecorrispondessero a verita, dovremmo attribuire all’autrice di L’œuvre en filigrane unautentico scoop filologico-musicale: la scoperta di un manoscritto di Frescobaldi sinqui sconosciuto, che non solo getterebbe nuova luce su due componenti fondamentalidella sua attivita professionale, ma si presterebbe anche a dirimere ogni dubbio sullegrafie da lui utilizzate come insegnante e come compositore. Purtroppo anche una ve-loce ricognizione del fascicolo originale basta a rendersi conto che la verita e un’altra.

Le annotazioni teoriche della sua prima sezione corrispondono a modelli di con-trappunti alla mente attinenti alla didattica del canto, come e facile appurare alla lucedei modelli similari pubblicati a suo tempo da John Hill sulla scorta di un inedito trat-tato di contrappunto di due protagonisti della didattica musicale romana fra Cinque eSeicento: Giovan Maria (ca. 1544 - 1607) e Giovan Bernardino Nanino (ca. 1560-1618).12 Quanto ai frammenti polifonici della seconda sezione, gli errori marchianidelle rispettive epigrafi latine sono tutt’altro che una conferma della loro autenticita,come qualcuno potrebbe pensare ricordando gli svarioni disseminati da Frescobaldinei titoli degli inni del Palestrina e del Victoria messi in partitura nel manoscritto chi-giano Q.IV.19.13 Infatti si tratta di errori dovuti unicamente alla trascrizione malde-stra (e incompleta) che Jeanneret ha eseguito delle diciture Nel mottetto Veni sponsaChristi del Mazzocchio, Nel mottetto Sacerdotes Dei del Mazzochi e Omnes Sancti.Dopodiche, una volta appurato che gli incipit predetti corrispondono a tre dei

12 Si confronti la Fig. 27 a p. 228 di L’œuvre en filigrane, che mostra sinotticamente otto pos-sibilita di contrappuntare un cantus firmus discendente di grado, con le tavole 167 e 168 del volumeII di J. HILL, Roman Monody, Cantata, and Opera from the Circles around Cardinal Montalto, Ox-ford, Clarendon Press, 1997. Dopo la pubblicazione del libro di Hill, la paternita delle regole attri-buite ai Nanino e stata messa in discussione da D. SABAINO, Aspetti della teoria contrappuntistica edella didattica della composizione nella Roma del Giovannelli. I precetti teorici manoscritti attribuitia Giovanni Maria e Bernardino Nanino (note storico-filologiche per nuove attribuzioni), in RuggeroGiovannelli «musico eccellentissimo e forse il primo del suo tempo», a cura di C. Bongiovanni e G. Ro-stirolla, Palestrina, Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, 1998, pp. 323-387. Tuttavia daquanto abbiamo notato sulla coincidenza di tali regole con quelle vigenti nella scuola di Virgilio Maz-zocchi discende che consimili questioni di authorship possono rivelarsi falsi problemi, se non le siinquadra nell’empirismo didattico dei maestri romani dell’epoca.

13 Per farsi un’idea piu precisa dell’imbarazzante entita degli svarioni in parola, si veda la primaappendice del mio Girolamo Frescobaldi e il Palestrina cit., p. 700 sg.

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mottetti a due-quattro voci e basso continuo pubblicati nel 1640 da Virgilio Mazzoc-chi (1597-1646) – il primo e concepito per Canto e Alto, il secondo per Alto e Teno-re, l’ultimo (quello della figura di p. 228) per due Canti e Basso14 –, non resta chesostituire il miraggio di uno sconosciuto testo teorico del Frescobaldi didatta e di pa-gine altrettanto sconosciute del Frescobaldi compositore con l’ipotesi dell’individua-zione di un prezioso documento della didattica praticata nella fiorente scuola musi-cale che Mazzocchi gestı negli anni del suo magistero nella Cappella Giulia dellabasilica vaticana.15

Ovviamente tutto questo non basta a escludere che Frescobaldi abbia preso nota,ad uso di qualche allievo, di modelli di contrappunti alla mente, ne che abbia messo inpartitura, per uso suo proprio, stralci di mottetti del maestro di cappella col qualecoopero, in quanto organista della Cappella Giulia, negli ultimi nove anni della suavita. Se cosı fosse, pero, quei modelli e quegli stralci dovrebbero risultare redatti– stando alle teorie di Jeanneret – gli uni con la ‘‘grafia di servizio’’ e gli altri con lascrittura personale del musicista. Il che non avviene; e la Jeanneret stessa deve esser-sene accorta, visto che non si pronuncia sulle conseguenze notazionali delle diversefunzioni attribuite alle due sezioni del fascicolo (p. 371) dove, in effetti, sono riscon-trabili differenze della grafia musicale solo per la forte accelerazione del ductus nellaseconda sezione.16

Il contrasto tra la pretesa importanza del ritrovamento e la banalita delle ragioniche la smentiscono basterebbe a fare del fascicolo 29 del manoscritto chigianoQ.VIII.205 un caso a parte fra le cinque fonti in cui Jeanneret ritiene d’aver identi-ficato tracce piu o meno significative della scrittura personale o della presunta ‘‘grafiadi servizio’’ di Frescobaldi. Ma in questa sede il fascicolo acquista un significato viep-piu speciale per via della sua totale estraneita rispetto al repertorio strumentale ogget-

14 Essi fanno parte della raccolta Sacri flores binis, ternis, quaternisque vocibus concinendi(RISM A I: M 1679); una trascrizione in partitura si vede in B. SCHRAMMEK, Zwischen Kirche undKarneval. Biographie, soziales Umfeld und Werk des romischen Kapellmeisters Virgilio Mazzocchi(1597-1646), Kassel-Lucca, Barenteiter-LIM, 2001, II, pp. 103-156. I mottetti che qui interessanocorrispondono ai numeri 2 (pp. 105-108), 9 (p. 126 sg.) e 17 (pp. 153-156).

15 L’attivita didattica di Virgilio Mazzocchi e universalmente nota grazie alla descrizione dellegiornate di studio dei suoi allievi che si legge in G. A. ANGELINI BONTEMPI, Historia musica nellaquale si ha piena cognitione della teorica e della pratica antica della musica harmonica secondo la dot-trina de’ greci, Perugia, Costantini, 1695, p. 169 sg. Come risulta anche dall’ampio stralcio che neriporta L. BIANCONI, Il Seicento, in Storia della musica, 2a ed., V, Torino, EDT, 1991, p. 68, tale de-scrizione suffraga l’ipotesi di un collegamento diretto fra le due parti del manoscritto attribuito daJeanneret a Frescobaldi e la scuola di Virgilio Mazzocchi, giacche attesta come gli allievi di Mazzoc-chi si esercitassero quotidianamente tanto «nel contrapunto sopra il canto fermo» quanto «nellacomposizione di qualche salmo o motetto o canzonetta o altra sorte di cantilena» (corsivo mio).

16 Il lettore puo supplire al silenzio di Jeanneret su un dettaglio cosı essenziale per verificare lacoerenza della sua teoria della ‘‘grafia di servizio’’ grazie alle Fig. 27-28 di L’œuvre en filigrane (p. 228sg.), che sono tratte rispettivamente dalla prima e dalla seconda sezione del fascicolo 29 del mano-scritto chigiano Q.VIII.205. Confrontandole, gli sara facile constatare come nella seconda sezione iltratteggio delle chiavi di Do appaia fortemente semplificato rispetto alla prima. Infatti, se qui esseconstano di sei-sette tratti, con gli ultimi tre a volte fusi in un unico tratto ondulato, lı sono perlo piu ridotte al tratto verticale d’inizio e al tratto ondulato conclusivo.

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to di L’œuvre en filigrane, talche chiedersi come mai l’autrice si sia avventurata in set-tori della musica romana del Seicento evidentemente lontani dalle sue competenze,quali la didattica del contrappunto e la polifonia sacra, significa iniziare a compren-dere quanto le pagine da lei dedicate all’«heritage manuscrit» di Frescobaldi abbianoa che fare con il volume che in un futuro piu o meno prossimo chiudera le «Operecomplete» di questo musicista. La risposta piu ovvia, infatti, e che quello sconfina-mento sia stato il frutto di un eccesso di zelo legato ai due ruoli che Jeanneret ha ri-coperto durante l’elaborazione della dissertazione a monte del libro – ossia da unaparte il ruolo di dottoranda in Musicologia, e dall’altra il ruolo di studiosa cooptatada tempo fra i curatori di quegli opera omnia –, e che sia stato soprattutto il secondoruolo, nonche il comprensibile desiderio di continuare a svolgerlo anche in relazioneall’ultimo volume della serie, a indurla allo sconfinamento in parola. Si veda, a con-ferma, la frase ingenuamente compiaciuta – «nous avons ici une veritable methode»(p. 371) – che suggella la discussione del fascicolo 29 del codice chigiano Q.VIII.205,come se davvero essa le avesse permesso di individuare il passe-partout paleograficodel lascito manoscritto frescobaldiano.

3.1. Oltre che corrispondere a un autografo di Frescobaldi incontestabilmenteautentico, l’intavolatura parigina citata nella sezione 2.1 rappresenta un’acquisizionefilologica cruciale da cui, come vedremo oltre, Jeanneret ha preso le mosse per con-siderazioni d’ordine compositivo, socioeconomico ed estetologico estensibili all’interocorpus delle fonti musicali da lei catalogate.17

Confrontata con il manoscritto che ebbi a definire venticinque anni fa come la«prima fonte frescobaldiana autografa» segnalata ai nostri giorni (il gia citato mano-scritto chigiano Q.IV.29), questa intavolatura risulta assai meno ricca e varia: i quattroquinti delle sue 52 carte sono in bianco, e nessuno dei sedici pezzi piu o meno compiutiche essa contiene rientra nella sfera dei generi contrappuntistici (in compenso, tra essifigurano due danze mai trattate altrove da Frescobaldi: un’Allamana [sic!] e una Sara-banda). Secondo Jeanneret, tuttavia, questo autografo sopravanzerebbe quello chigia-no non solo in quanto «temoignage fascinant du travail compositionnel frescobaldien»(p. 235), ma anche perche utilizzato dal musicista lungo un arco di tempo cinque voltepiu lungo: non gia sei anni come l’altro, che a suo tempo datai fra il 1609 e il ’14, bensıil trentennio 1607-37, durante il quale furono pubblicate e ripubblicate tutte le musi-che che Frescobaldi diede alle stampe mentre visse (p. 230).

Del rapporto di questa fonte col processo creativo di lui diremo diffusamente nel-la quarta sezione di questo intervento. Per ora consideriamo la datazione che ne pro-pone Jeanneret e gli indizi che gliel’hanno suggerita: da un lato la presenza, su en-trambi i piatti della rilegatura, del blasone di un non meglio identificato principeBorghese (il 1607 e l’anno in cui sono documentati i primi contatti del giovane Fre-

17 Sia pure con enorme ritardo, e nel contesto di una discussione del suo lavoro che all’epocanon prevedevo affatto d’intraprendere, vorrei qui ringraziare la dott. Jeanneret per avermi interpel-lato durante la stesura dell’articolo per «Recercare», qui cit. nella nota 4, inviandomene gentilissima-mente le bozze di stampa insieme con un microfilm del manoscritto parigino.

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scobaldi con i Borghese, nella persona del duca Francesco, fratello maggiore del pon-tefice regnante Paolo V);18 dall’altro lato l’individuazione di alcune concordanze mu-sicali (quali l’incipit di Ciaccona di c. 6v, che ricorderebbe le Ciaccone incluse nel1637 nell’Aggiunta al primo libro delle Toccate) e la presenza di un’Aria nel tonodi Mi (c. 9r), al quale le opere frescobaldiane a stampa non ricorrerebbero prima diquell’anno (pp. 215 e 234 sg.).19

Si tratta di una datazione ben poco convincente. In primo luogo perche, nono-stante l’ammirazione per il paradigma indiziario di Ginzburg, Jeanneret ignora alcuniindizi che avrebbero potuto orientarla su un ambito cronologico piu limitato. Si pen-si, per esempio, alla quantita di carte da musica lasciate inutilizzate da Frescobaldi:uno scialo di materiale scrittorio impensabile in un cahier de travail che gli sarebberimasto a portata di mano durante il trentennio piu attivo della sua vita professionale.Oppure si pensi alla coerenza morfologica e ortografica che, stando ai titoli dei pezziche egli vi ha incluso, la sua scrittura ordinaria avrebbe mantenuto in un arco tempo-rale cosı esteso: una coerenza che mal si concilia con le ricevute di pagamento da luiapposte in quello stesso trentennio nei libri contabili della Cappella Giulia, le qualiattestano, oltre a modifiche del ductus legate al montare della senescenza, lezioni di-verse d’una stessa parola anche nel giro di pochi mesi.20

C’e poi l’inconciliabilita della datazione predetta con l’identificazione del princi-pe Marc’Antonio Borghese, un nipote ex fratre del papa e del duca sopra citati, come

18 Va notato come il volume sia contrassegnato anche da un altro ex libris blasonato: una mo-derna etichetta a stampa applicata sulla prima carta di guardia, che raffigura «un lion et un ours, cedernier tenant un ecusson couronne avec trois canards» (p. 211). E questa un’etichetta la cui presen-za e segnalata da Jeanneret anche all’interno di altri manoscritti da lei esaminati nella BibliothequeNationale de France, ma senza identificare il personaggio titolato che ve la fece apporre. Essa corri-sponde – me lo ha amabilmente confermato la dott. Sophie Renaudin del Departement de la Musi-que della stessa biblioteca – all’ex libris di Genevieve Thibault, contessa di Chambure, la cui colle-zione di manoscritti e strumenti musicali antichi e stata acquisita nel 1979 dallo Stato francese. Vadunque rettificato quanto si legge a p. 231 di L’œuvre en filigrane circa l’acquisizione del manoscrittoparigino da parte del Conservatoire de Musique di Parigi in occasione della vendita all’incanto deivolumi della biblioteca romana dei Borghese effettuata nel tardo Ottocento.

19 Le concordanze segnalate da Jeanneret per sottolineare il rapporto fra il manoscritto pariginoe talune musiche a stampa di Frescobaldi meriterebbero un discorso a parte. Alcune si limitano apoche note (a p. 214 non piu di sei sono le note comuni attribuite alla Corrente a c. 3r-v del mano-scritto e alla quarta partita dell’Aria detto balletto del secondo libro delle Toccate). Altre sono con-cordanze generiche, nel senso letterale di corrispondere a caratteristiche ritmiche e melodiche delgenere musicale di turno. Cosı il novero delle concordanze dell’incipit di Ciaccona di c. 6v potrebbefacilmente includere altri pezzi, oltre alla «Ciaccona des Corrente e ciaconna de l’Aggiunta» del Primolibro delle toccate o alle «deux chaconnes des Cento partite» (p. 215). Penso, per esempio, alla Ciac-cona adespota inserita da Leonardo Castellani nelle ultime carte nel manoscritto chigiano Q.IV.24,che infatti Darbellay non esita a considerare «an initial version of the section of Ciaccone in C of theCento partite» (DARBELLAY, The Manuscript Chigi cit., p. 33).

20 Si noti come dalla prima all’ultima carta del manoscritto parigino – e dunque dall’inizio allafine del trentennio durante il quale, stando a Jeanneret, se ne sarebbe servito – Frescobaldi tratteggi ititoli Corrente e Toccata con la stessa abbreviatura e lo stesso raddoppio dell’ultima consonante (peril primo titolo, si veda la Fig. 34 a p. 269; per il secondo, le Fig. 19 a p. 217 e 25 a p. 226). E siconsideri, a contrasto, l’ortografia capricciosa della parola mese nelle ricevute da lui apposte nel librocontabile della Cappella Giulia durante il 1639, che nel volgere di un quadrimestre passa da messea messo (p. 149, Fig. 13, quarta e tredicesima riga).

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titolare del blasone impresso sulla rilegatura del manoscritto. Si tratta di un’identifi-cazione a monte della quale sta il convincimento di Jeanneret che il volume sia statorilegato precedentemente alla sua utilizzazione da parte di Frescobaldi. Il che l’haportata a considerare il volume come un dono ch’egli avrebbe ricevuto dai Borghesee a individuare in Marc’Antonio l’unico principe di questo nome che potrebbe aver-glielo donato, stante l’uso dei grandi musicofili romani di provvedere i loro musici deimateriali scrittorii di cui abbisognavano e la possibilita che lo zio Francesco lo abbiaincoraggiato per tempo a far parte di quell’elite (p. 231 sg.).

Si tratta pero di un’ipotesi che non tiene nel debito conto l’assoluta impossibilitache il manoscritto parigino sia passato dalle mani del rilegatore a quelle di Frescobaldinel 1607, visto che Marc’Antonio Borghese non ebbe titoli principeschi prima dellamorte del padre (25 dicembre 1609). Inoltre, se fu davvero costui a donare al musi-cista un volume rilegato di carte musicali in bianco, dovremmo annoverare fra i gran-di musicofili della Roma del tempo anche gli infanti al di sotto dei dieci anni: nel 1609Marc’Antonio ne aveva otto, essendo nato nel 1601 – non nel 1598, come scrive Jean-neret (p. 231) –, e sarebbe vissuto fino alla maggiore eta sotto la stretta sorveglianzadello zio pontefice.21 Ne meno discutibile e l’idea che le armi nobiliari impresse sullarilegatura del volume potessero avere, sia pure occasionalmente, una funzione oppo-sta a quella solitamente espletata da consimili contrassegni araldici: che di normaidentificavano il proprietario, non gia il donatore.22

Ancora una volta, comunque, siamo in presenza di ingenuita, sviste e contraddi-zioni che meritano di essere segnalate non tanto perche abbiano un qualche interesseintrinseco, quanto perche orientative, su aspetti piu generali, delle pagine che Jeanne-ret riserva agli autografi frescobaldiani da lei scoperti o riesaminati. In questo caso neemerge la sua incauta ostinazione nel seguire la pista di una rilegatura au prealable delmanoscritto parigino, ancorche questo contenga la prova palmare che esso fu rilegatodopo che Frescobaldi ebbe utilizzato la dozzina di carte cui aveva posto mano: la let-tera capitale della parola Toccatta [sic!] alle cc. 9v e 13r (p. 226, Fig. 25), che risulta

21 Cfr. I-Rvat, Urb. lat. 1077, c. 667r (30 dicembre 1609). Dopo la morte del di lui padre, PaoloV prese il nipote presso di se e ne controllo personalmente l’educazione. Una lettera da Roma a Fer-rara del febbraio 1612 parla di uno spettacolo di comici dell’arte allestito «per far vedere a questoputo come si fano le comedie, poiche non ne ha mai viste fare», precisando: «e forza che sia conconsenso di N. S., perche questo puto non va in alcun loco senza sua licencia» (cfr. D. FABRIS, Me-cenati e musici. Documenti sul patronato artistico dei Bentivoglio di Ferrara nell’epoca di Monteverdi(1585-1645), Lucca, LIM, 1999, p. 241 n. 285).

22 Nel diffondersi sulla musicofilia di Marc’Antonio Borghese, Jeanneret stessa cita due volumipubblicati fra il 1616 e il ’19 sulla cui rilegatura il blasone del principe funge inequivocabilmente daex libris (p. 231). Che questa sia l’esclusiva funzione di tale contrassegno araldico e confermato dalfatto che sul volume del 1619, a lui dedicato, il blasone di Marc’Antonio Borghese risulta anchestampato sul frontespizio (p. 233, Fig. 30). Lı dove, cioe, non avrebbe dovuto trovarsi se davveroavesse avuto la funzione alternativa di indicare la provenienza di un volume, essendovi collocatonon gia per disposizione del dedicatario ma su indicazione del compositore dedicante (tale AngelicoProvedali). Quanto al volume del 1616 – il primo libro di Sacrarum cantionum di Ottavio Catalano(un musicista attivo fra gli anni ’10 e gli anni ’40 del Seicento) – Jeanneret lo dice dedicato a Mar-c’Antonio, ma in realta l’autore lo offrı al pontefice suo zio, come si evince anche da un frammentodella dedicatoria da lei citato alle pp. 232 e 234.

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priva dell’estremita destra della traversa a causa della rifilatura del volume da partedel rilegatore.

Jeanneret passa sotto silenzio questo particolare, ma deve averne preso buona notavisto che, sia pure incidentalmente, non esclude del tutto che il volume sia stato acqui-sito da Marc’Antonio Borghese dopo la sua compilazione (p. 234).23 Per di piu, la stu-diosa minimizza un analogo particolare nel quaderno delle lezioni di cembalo di CarloBarberini – i gambi delle note del rigo superiore di c. 1r, parimenti tranciati durante larifilatura del volume –, dichiarandolo sic et simpliciter «curieux» (p. 268), ma poi di-fende l’ipotesi di una rilegatura au prealable del manoscritto parigino, argomentandoche un volume musicale cosı poco calligrafico sarebbe stato inadatto a una bibliotecaprincipesca e che, accogliendo l’ipotesi alternativa, non si riuscirebbe a spiegare comemai sia rimasto per la maggior parte intonso (pp. 231 e 234).

A me sembra che da tutto cio emerga un orientamento metodologico ispirato alparadigma indiziario di Ginzburg – o, meglio, alla lezione che Jeanneret ritiene diaverne tratto a proposito del rapporto fra l’affidabilita di un’ipotesi storiografica ela numerosita degli indizi di cui riesce a tener conto – quasi che, di fronte a diverseipotesi interpretative, convenga optare non gia per la piu plausibile ma per quella chepiu si presta a elaborare uno scenario costruito col maggior numero di indizi dispo-nibili (acquisizioni paleografiche, rilievi filologici, documenti d’archivio, testimonian-ze cronachistiche, dati desunti dalla letteratura critica). Donde l’attivazione di unmeccanismo argomentativo noto ai semiologi come ‘retorica euristica’, la cui efficacianon sta tanto nel fornire all’interlocutore una qualche certezza quanto nel persuaderlo«ristrutturando al massimo possibile il gia noto».24

Il punto e che, sul momento, un meccanismo del genere puo anche raggiungerelo scopo, inducendoci quantomeno a dar credito a chi si dimostra cosı bene informa-to sulle materie di sua competenza, ma comincia a perdere colpi appena si inizi a ve-rificare la consistenza del gia noto da cui e alimentato. Il che, nella fattispecie, com-promette non soltanto la ricostruzione del retroterra storico-biografico del lascitomanoscritto di Frescobaldi, come mostrano le suggestive ma fragili ipotesi accampateda Jeanneret a supporto della sua datazione dell’intavolatura parigina, ma anche ladiscussione del contenuto musicale di questa stessa fonte come «un temoignage fasci-nant du travail compositionnel frescobaldien» (p. 235).

23 Peraltro un personaggio assai piu qualificato per rivestire il ruolo di acquirente del mano-scritto parigino a valle della sua utilizzazione da parte di Frescobaldi e un nipote di Marc’Antonio,Giovan Battista Borghese iuniore, che eredito il principato di Sulmona nel 1654 ed ebbe al suo ser-vizio Bernardo Pasquini (1637-1710), il musicista che «elevated Frescobaldi to the rank of pedago-gical authority»: cfr. FR. HAMMOND, Girolamo Frescobaldi, Cambridge, Ma., Harvard UniversityPress, 1983, p. 95; trad. it. Palermo, L’Epos, 2002, p. 168. Circa i rapporti di Pasquini con questopersonaggio, cfr. A. MORELLI, Un modello di committenza musicale: i Borghese nella seconda meta delSeicento, in Musikstadt Rom. Geschichte – Forschung – Perspektiven. Beitrage der Tagung ‘Rom – DieEwige Stadt im Brennpunkt der aktuellen musikwissenschaftlichen Forschung’ am Deutschen Histori-schen Institut in Rom (28.-30. September 2004), a cura di M. Engelhardt, Kassel, Barenreiter, 2011(«Analecta Musicologica», XLV), pp. 204-217.

24 U. ECO, La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologica, Milano, Bompiani, 1968,p. 87 sg.

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3.2. Tale definizione si fonda essenzialmente sulla disamina di tre pezzi del ma-noscritto parigino: le due Correnti delle cc. 4v-5r e 11r-12r, e l’Aria detta la Fresca-tanna [sic!] di c. 9r. Nelle Correnti, che hanno in comune la sezione iniziale e poi pro-seguono autonomamente, talche la seconda finisce per sopravanzare la prima di diecimisure, Jeanneret ravvisa «une preuve irrefutable contre le statut didactique» del ma-noscritto nel suo complesso, giacche esse testimonierebbero «indubitablement d’untravail de compositeur travaillant et retravaillant des ebauches» (p. 225). Quanto al-l’Aria – «l’unique concordance litterale du volume» (p. 215), in quanto identica a unBalletto adespoto incluso da Leonardo Castellani in un suo manoscritto autografo (I-Rvat, mss. Chigiani, Q.IV.24) –, essa rappresenterebbe una versione alternativa dellaprima parte dell’Aria detta la Frescobalda, e quindi una prova tangibile degli strettilegami del manoscritto che la contiene con la produzione frescobaldiana a stampa,rappresentata nella fattispecie dalla pagina piu famosa del Secondo libro delle toccate.

La valutazione delle due Correnti come testimonianza del processo creativo diFrescobaldi procede con ogni evidenza dalla teoria della ‘‘grafia di servizio’’, in basealla quale un brano annotato con la scrittura personale del musicista va riferito al la-voro creativo di lui e, ove ne esistano versioni diverse, queste possono unicamenteriferirsi a momenti successivi dell’elaborazione di uno stesso pezzo. Si tratta di dueipotesi che si puntellano a vicenda, talche revocare in dubbio la prima – stanti le am-biguita e le contraddizioni della teoria anzidetta e delle sue applicazioni (vedi qui lesezioni 2.1 e 2.2) – e tutt’uno con l’invalidare la seconda, aprendo ipso facto la strada auna lettura delle Correnti in questione proprio come pezzi didatticamente intenziona-ti. E bensı vero che Jeanneret ritiene questa opzione inammissibile, come dimostral’insistenza con cui, oltre a negare che al manoscritto parigino possa attribuirsi uno«statut didactique», contesta «vigoureusement» quanto da me sostenuto a suo temposul carattere didattico del manoscritto Chigiano Q.IV.29 (pp. 225, 230, 326 sg., 372,481). Ma non e difficile ricondurre un tale empito polemico alla sua scarsa coerenzarispetto alle proprie dichiarazioni programmatiche.

Questa volta si tratta non dell’intenzione di valersi di modelli d’indagine gia col-laudati da altri studiosi, bensı del proposito di affrontare i problemi connessi con imanoscritti attribuibili a Frescobaldi tenendo conto di «toutes les facettes du musi-cien, afin d’eviter des malentendus interpretatifs» (p. 327). Il punto e che tenere d’oc-chio i dati della sua biografia professionale non meno che ogni informazione dispo-nibile circa «la vie musicale des organistes romains gravitant autour de GirolamoFrescobaldi» (p. 451) non impedisce a Jeanneret d’interpretare malamente quella fon-damentale facette del musicista rappresentata dagli impegni didattici cui egli si sob-barco – lo attestano esemplarmente le sue lezioni ai ‘‘signorini’’ di casa Barberini –fino ai suoi ultimi giorni. Non che la studiosa ignori quegli impegni: tuttavia vi si ri-chiama soprattutto per respingere ogni correlazione fra la modesta qualita composi-tiva degli autografi musicali di lui e una loro possibile valenza didattica,25 oppure per

25 Questa correlazione, che Jeanneret sembra considerare arbitraria, e un dato impossibile daignorare quando ci si occupi di un’epoca in cui gli insegnanti di musica erano soliti scrivere perso-nalmente gli esercizi assegnati agli allievi. Si ricordi quanto ebbe a scrivere, ai primi del Settecento,

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lamentare le insuperabili difficolta che la grafia «quasi neumatique» del maestro po-neva agli allievi, dichiarandosi addirittura incapace d’immaginare «un malheureuxeleve dechiffrant l’ecriture de Frescobaldi» (p. 223). Che e una esternazione abba-stanza avventata, visto che altrove lei stessa li segnala come copisti di fiducia del mu-sicista due suoi allievi come Borboni e Castellani (p. 327 sg.).

Ma lasciamo da parte, ancora una volta, incongruita e ingenuita occasionali. Quiinteressa soprattutto segnalare un’idea del lavoro didattico di Frescobaldi che nonrende giustizia a un’esperienza umana e professionale di straordinaria latitudine, nellaquale rientrano tanto i ‘‘pezzi infantili’’ ch’egli compose per Alberto del Vivaio, ungentiluomo fiorentino che «per suo diporto» insegnava la musica a «fanciulli di pocaeta»,26 quanto le lezioni di cembalo da lui impartite a scolari piu adulti ma dagli in-certi destini artistici;27 tanto l’accudimento di giovani avviati al suo stesso mestiere diorganista di chiesa (a Borboni e Castellani si potrebbe aggiungere, fra gli altri, il pi-stoiese Valerio Spadi, organista del duomo di Firenze fra il 1645 e il ’49) quanto ilperfezionamento di organisti gia in carriera, come il Kammerorganist dell’imperatoreFerdinando III d’Asburgo, Johann Jakob Froberger (1616-1667), il quale, giungendoa Roma nel 1637, non intendeva certo prendere da Frescobaldi lezioni di strumento,bensı impratichirsi sotto la sua guida nei generi e negli stili propri alla musica italianaper strumenti a tastiera.28 In realta, chiunque sia consapevole della stupefacente gam-ma degli obiettivi formativi perseguiti da Frescobaldi nell’arco della sua carriera d’in-segnante non avra difficolta a considerare la suddetta coppia di Correnti accomunate

un estimatore dell’organista mediceo Domenico Anglesi (ca. 1610 - 1674) nel venire richiesto di pezzididattici composti da costui: «faro riflessione a’ componimenti dell’Anglesi, ... ricordandole che eglinon componeva per far mostra del suo sapere, ma solo per la lezzione che di mano in mano cono-sceva opportuna all’abilita dello scolare, e percio non ne sara fatta quella stima uguale al valor dellasua virtu» (cit. in W. KIRKENDALE, The Court Musicians in Florence during the Principate of the Me-dici, Firenze, Leo S. Olschki, 1993, p. 393).

26 Questa preziosa testimonianza si deve a Giovanni Scipione – organista e maestro di cappellacremonese, citato anche da Jeanneret ma per tutt’altri motivi (p. 319 nota 275) –, che la incluse nel-l’avvertenza di una perduta Partitura di cembalo et organo stampata a Venezia nel 1652. Cfr. HAM-

MOND, Girolamo Frescobaldi cit., p. 140.27 Si pensi, oltre che ai fratelli Barberini, al ragazzo cantore che nel 1615 fu affidato dal nobile

ferrarese Enzo Bentivoglio a un gruppo d’insegnanti romani, fra cui appunto Frescobaldi, incaricatidi prepararne il debutto come cantante di teatro (su questo episodio si veda la mia recensione suHILL, Roman Monody cit., «Early Music History», XVIII, 1999, pp. 365-398: 371-373). Ne va di-menticato, a riprova della varieta tipologica degli scolari di Frescobaldi, come tra i romani figuri an-che una ragazza, Lucia Coppi (1627-1699), che servı come cembalista il cardinale Giancarlo de’ Me-dici (cfr. HAMMOND, Girolamo Frescobaldi cit., p. 140).

28 Sul soggiorno romano del musicista tedesco alla fine degli anni ’30 e sui suoi contatti conl’entourage di Frescobaldi si vedano due miei articoli (quello pubblicato per primo e in realta la ver-sione definitiva del secondo): Froberger in Rome: From Frescobaldi’s Craftsmanship to Kircher’s Com-positional Secrets, «Current Musicology», n. 58, Summer 1995, pp. 5-27; e Froberger a Rome: de l’ar-tisanat frescobaldien aux secrets de composition de Kircher, in J. J. Froberger musicien europeen, Paris,Klicksieck, 1998, pp. 39-66. In L’œuvre en filigrane l’influsso del tardo stile frescobaldiano su Fro-berger e discusso alle pp. 293 sg. e 301-303, dove la vexata quaestio delle ultime tre Toccate del ma-noscritto chigiano Q.IV.25 e affrontata con esiti singolarmente contraddittorii, giacche dapprimaJeanneret non sembrerebbe aver dubbi sulla loro «paternite frescobaldienne» (p. 302) e poi finisceper indicare in Froberger «un candidat possible pour l’attribution de ces trois pieces» (p. 480).

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dalla sezione iniziale, anziche come una prova inconfutabile che l’autografo frescobal-diano di cui fanno parte sia scevro di finalita didattiche, come un esempio fra i piucanonici della didattica della composizione: la dimostrazione di come uno stesso co-strutto musicale possa esser volto a esiti completamente diversi.

L’ipotesi che l’intavolatura parigina contenga pezzi annotati in vista di una lezio-ne di composizione o durante il suo svolgimento – una circostanza, quest’ultima, ca-pace di dar conto del ductus celerrimo di certe pagine autografe di Frescobaldi assaimeglio di ipotetici raptus creativi che un improvvisatore come lui era certamente av-vezzo a memorizzare all’istante – puo essere sostenuta anche sulla base dell’Aria dettala Frescatanna. Stavolta, anzi, l’operazione e piu agevole che nel caso delle Correntigiacche, alla gia fragile ipotesi della ‘‘grafia di servizio’’, Jeanneret ne aggancia un’altratanto evanescente da avere come unico riscontro la sua propria testimonianza oculare.Secondo lei, infatti, l’attuale intitolazione di questo pezzo – un toponimico deformatodall’ortografia avventurosa di Frescobaldi, ma chiaramente riferibile alla cittadina diFrascati presso Roma – e un trompe-l’œil causato dal fatto che, mentre il musicistastava vergando il titolo del pezzo, la penna gli sarebbe rimasta improvvisamente a sec-co. Di conseguenza, le aste delle ultime consonanti di Frescobalda si sarebbero risoltein «griffures de la plume sur le papier» non documentabili fotograficamente ma rav-visabili «tres clairement» a occhio nudo (p. 218 sg.).

Per confutare tali affermazioni potrei limitarmi a sostenere a mia volta che, puravendo io esaminato il manoscritto originale con una forte lente d’ingrandimento,non mi e riuscito di scorgere, a ridosso del titolo sub iudice, alcunche di simile allescalfitture prodotte dal passaggio di una punta sulla carta. Ma mi guardero benedal contrapporre la testimonianza oculare di un vecchio studioso a quella di una col-lega nel fiore degli anni. Diro invece che a smentire costei e il manoscritto pariginostesso, una delle cui prime carte mostra con tutta evidenza come, pur scrivendo ce-lerrimamente, Frescobaldi non esitasse a fermarsi per rettificare o rendere piu leggi-bile un segno malriuscito. Infatti nell’ultimo sistema di c. 3v (corrispondente all’iniziodi una partita sulla cosiddetta Aria della Monica) la nota piu grave del secondo accor-do del basso e un’insolita minima con due gambi, uno dei quali molto piu corto esbiadito dell’altro. Il che e senz’altro dipeso da un intervento correttivo da lui effet-tuato una volta accortosi della scarsa evidenza del gambo tracciato in un primo mo-mento: un intervento cosı irruento da impedirgli di ripassare sul gambo gia tracciato,finendo con l’affiancargliene un altro che attraversa tutto il sottostante margine delfoglio.29 Come pensare che, capitandogli di deformare involontariamente una paroladerivata dal suo proprio nome, Frescobaldi potesse omettere l’operazione compiutaper una singola nota musicale?

A questo punto, la possibilita d’intendere come pezzo con fini didattici anchel’Aria detta la Frescatanna – un titolo che va dunque considerato perfettamente rispon-dente alle intenzioni del musicista – e a portata di mano. Venuto meno ogni riferimen-

29 Per interventi correttivi di altrettanta se non maggiore irruenza operati da Frescobaldi nelmanoscritto chigiano Q.IV.29, cfr. il mio La didattica cit., p. 65.

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to all’Aria detta la Frescobalda, esso rientra nel novero dei tanti schemi melodico-armo-nici utilizzati dai suonatori del tempo per comporre o improvvisare cicli di partite(l’Aria della Monica ce ne ha teste prospettato uno dei piu frequentati). O, meglio,rientra in quegli schemi distinguendosene sotto tre aspetti: l’intitolazione inconsueta,30

la sua impostazione nella tonalita parimenti insolita di Mi (una tonalita che compare,come abbiamo visto sopra, solo nelle ultime composizioni frescobaldiane a stampa), eil fatto che sia un pezzo isolato, cui non segue neppure una seconda parte, come inveceaccade nel Balletto che lo precede alle cc. 7v-8r. L’Aria detta la Frescatanna, insomma,potrebbe essere stata scelta (se non addirittura inventata) da Frescobaldi perche i suoiallievi di composizione ne prendessero spunto per un ciclo di partite che battesse viediverse da quelle suggerite loro dalle arie piu diffuse. E Castellani potrebbe averlaannotata per valersene in proprio: cosa che spiegherebbe come mai, agendo da com-positore e non da copista, si sia sentito libero di sostituire l’insolito titolo toponimicoassegnatole da Frescobaldi con un titolo generico ma dalle stesse implicazionicompositive.31

3.3. Se tutto cio e corretto, ne consegue che l’interpretazione degli autografi pa-rigini come «temoignage fascinant» del lavoro compositivo di Frescobaldi non e l’u-nica possibile. Direi anzi che, tornando a quanto affermato da Jeanneret circa il rap-porto esistente fra l’attendibilita di un’ipotesi storiografica e la numerosita degli indizidi cui essa puo dar conto, quell’interpretazione e corroborata da indizi assai menonumerosi e cospicui di quelli su cui si fonda la mia. Penso per esempio ai gia citatiincipit di Ciaccona e di Toccata, che potrebbero essere considerati a loro volta comeesemplificazioni didattiche del peculiare modo d’incedere dei rispettivi generi musi-cali. Ma soprattutto penso a un indizio tecnico-compositivo di portata generale: l’im-postazione delle toccate contenute in questo manoscritto come pezzi basati sulla for-mula d’intonazione salmodica corrispondente al tono d’impianto.

Si tratta di un modello arcaico di toccata su cui a suo tempo feci leva, sulla scortadi un brillante studio di Murray C. Bradshaw, per sottolineare come la valenza didat-tica del codice chigiano Q.IV.29 trovasse riscontro nel fatto che vi si fossero inclusetoccate di un tipo quasi del tutto superato nei volumi frescobaldiani a stampa.32 Tut-

30 A questo riguardo, non sara inutile ricordare come non vi sia traccia di arie ‘‘frascatane’’ nel-l’Indice dell’Arie antiche, e moderne, descritte sotto i nomi noti al volgo, pubblicato nell’ultima edi-zione della Corona di sacre canzoni di Matteo Coferati (1710) e trascritto in D. ALALEONA, Le laudispirituali italiane nei secoli XVI e XVII e il loro rapporto coi canti profani, «Rivista musicale italiana»,XVI, 1909, pp. 1-54: 8-10.

31 Va notato come Jeanneret stessa ritenga che l’Aria detta la Frescatanna sia stata trascritta(e re-intitolata) in una sezione del manoscritto chigiano Q.IV.24 in cui Castellani avrebbe cessatodi copiare musiche di Frescobaldi e inserito pezzi che lo interessavano personalmente (p. 286).

32 Cfr. M. C. BRADSHAW, The Origin of the Toccata, s.l., American Institute of Musicology,1972. Secondo questo studioso solo sei delle ventitre toccate a stampa di Frescobaldi si richiamereb-bero, ancorche limitatamente, a toni salmodici (la nona e la decima del Primo libro, e la quarta, laquinta, la nona e la decima del Secondo libro), mentre vi si riferirebbero tutt’e ventiquattro le toccatedi Froberger (cfr. ibid., pp. 79-81). Quanto alla presenza di tale modello nei pezzi attribuibili a Ca-stellani, essa e documentata dalla Toccata annotata alle cc. 40v-42r del manoscritto chigiano suo

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tavia la possibilita di estendere tale lettura alle toccate dell’intavolatura parigina haimplicazioni che vanno molto al di la della possibilita di assegnare una funzione di-dattica al manoscritto di cui esse fanno parte, in quanto permettono di escludere ognipossibilita di correlarlo direttamente alle grandi opere frescobaldiane a stampa, cosıcome invece insiste a fare Jeanneret quando evoca, come se davvero le fosse riuscitodi certificarli, i «developpements qui ont transforme les ebauches du manuscrit deParis pour en faire les livres de Toccate» (pp. 236 e 484). In realta, il fatto che le cin-que toccate di detto codice chigiano e le quattro toccate complete del manoscrittoparigino appartengano a fasi distinte della biografia professionale di Frescobaldi– si veda la diversa grafia della parola toccata nei due manoscritti: tocata in quello chi-giano, toccatta in quello parigino – e nondimeno ignorino modelli di toccata diversidal tipo basato su cantus firmus salmodico non lascia molte alternative.33 O conclu-diamo inverosimilmente che egli abbia costruito le grandi toccate ‘‘libere’’ da lui pub-blicate elaborando e rielaborando brevi toccate su cantus firmi salmodici, come quelleparigine, o rinunciamo saggiamente a sostenere la derivazione di quelle da queste.

Mette conto sottolineare – per chiudere con le indagini paleografiche e filologi-che condotte da Jeanneret sull’«heritage manuscrit» di Frescobaldi e passare final-mente al suo tentativo di ricostruirne il modus operandi – che la seconda opzionenon significherebbe affatto disconoscere le concordanze testuali da lei segnalate frail manoscritto parigino e i volumi frescobaldiani a stampa, ne significherebbe ratifica-re l’identificazione fra mediocrita compositiva e intenzionalita didattica da lei respintaaprioristicamente, come se la storia della musica d’arte non fosse lı a dimostrarci cheuna composizione didattica puo anche essere un capolavoro.34 Alla luce del lavorod’insegnante cui Frescobaldi si dedico per tutta la vita, il modesto livello qualitativodei pezzi da lui scritti per gli allievi andrebbe inquadrato in un’aurea mediocritas mi-rante ad assicurare loro, quand’anche poco talentosi, la possibilita di utilizzare appie-no i modelli propostigli. Ed eventuali agganci testuali di quei pezzi con i suoi volumi astampa, lungi dal porsi come prove di un legame compositivo fra gli uni e gli altri,andrebbero considerati come testimonianze di un rapporto docente/discente le cui

autografo, che e impostata sulla formula salmodica del quarto tono. Sebbene rappresenti un’utilechiave di lettura di un genere monostrumentale al crocevia fra oralita e scrittura – e quindi taleda risultare facilmente estraneo alla nostra sensibilita di posteri o da spingerci ad analisi anacronisti-che –, la proposta teorica di Bradshaw non ha mai avuto buona stampa. Cio forse spiega come mai inL’œuvre en filigrane il suo libro sia citato in bibliografia ma ignorato completamente nel testo. Pur-troppo l’autrice ha dimenticato, insieme a quel libro, il fatto che da lı io abbia preso le mosse per lemie ipotesi sulla funzione didattica del manoscritto chigiano Q.IV.29, finendo cosı per ridurre quellemie ipotesi a un tentativo a buon mercato di dar conto della modesta qualita dei pezzi che Fresco-baldi vi ha annotato di suo pugno (pp. 327 e 481).

33 Per le toccate del manoscritto chigiano, cfr. il mio La didattica cit., pp. 70 sg. e 86 sg.(Appendice II). Circa le toccate del manoscritto parigino, si tenga presente che la prima, la terzae la quarta si articolano sulle note della sezione conclusiva del primo tono salmodico (nell’ulti-ma, il cui titolo e insolitamente completato dall’indicazione avanti la Romanesca, tali note sono tra-sposte una quarta sopra). La seconda si basa invece sulla formula salmodica dell’ottavo tono nella suainterezza.

34 Su questo problema, che ovviamente comprende anche la possibilita contraria, del testo mu-sicale d’arte con ambizioni pedagogiche, cfr. il mio La didattica cit., p. 70 nota 72.

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controparti erano rappresentate da un virtuoso di gran fama e da giovani desiderosidi calcarne le orme. Un rapporto dunque spontaneamente alimentato da riferimentipiu o meno estesi a musiche che il maestro aveva pubblicato o aveva in animo di pub-blicare.

4.1. Non e solo perche vi intravede la matrice compositiva dei due libri di Toccateche Jeanneret definisce l’intavolatura parigina un «temoignage fascinant» del lavorocompositivo di Frescobaldi. Una ragione ancora piu importante sta appunto nellapossibilita di leggerne il contenuto musicale ‘‘in filigrana’’, cosı da ricostruire le mo-dalita tecniche di quel lavoro e acquisire un «regard privilegie dans l’atelier mental ducompositeur ferrarais» (p. 235). Ma, prima di avviare a conclusione questo mio inter-vento considerando come la studiosa abbia colto questa seconda possibilita, s’imponeun chiarimento. Che nelle sezioni precedenti io sia passato dalla disamina di specificiproblemi di metodo o di lettura delle fonti a una proposta d’interpretazione degliautografi parigini alternativa a quella di Jeanneret potrebbe aver sollevato, in chimi ha seguıto sin qui, un dubbio fuorviante. Il dubbio, cioe, che le presenti conside-razioni preventive all’ultimo volume degli opera omnia frescobaldiani siano sostanzial-mente una ‘‘risposta per le rime’’ all’indirizzo di una collega ipercritica verso quantoebbi a scrivere, ormai un quarto di secolo fa, sulla valenza didattica del manoscrittochigiano Q.IV.29. Non mi sono forse valso degli stessi argomenti di allora per respin-gere i suoi sulla natura degli autografi parigini come cahier de travail del Frescobaldicompositore?

Se ogni riuscita scientifica esige d’essere superata e d’invecchiare, come insegnavaMax Weber,35 un articolo musicologico che venga dichiarato ‘‘superato’’ a venti-cinque anni dalla pubblicazione ha espletato fin troppo bene la sua umile funzioneconoscitiva. Pertanto non avrei alcunche da eccepire alle critiche di Jeanneret sesostituissero un’ipotesi interpretativa innegabilmente invecchiata con un’altra piuconvincente. Ma, sfortunatamente per tutti, non e cosı, visto che la prova inconfuta-bile della natura di cahier de travail del manoscritto parigino sarebbe costituita, secon-do lei, dalle due Correnti che abbiamo considerato nella sezione 3.2, constatando chesi tratta, al contrario, d’una prova confutabilissima.

Non dimentico, nel dir questo, che L’œuvre en filigrane e un libro ricavato da unadissertazione dottorale e che non c’e aula universitaria, per quanto tecnologicamenteattrezzata,36 dove sia possibile acquisire l’esperienza necessaria a condurre felicemen-

35 Cfr. M. WEBER, Wissenschaft als Beruf 1917/1919 – Politik als Beruf 1919, a cura di J.Mommsen, Tubingen, Mohr (Siebeck), 1992 («Max Weber Gesamtausgabe», I/17), p. 85: «jede wis-senschaftliche ‘Erfullung’ bedeutet neue ‘Fragen’ und will ‘uberboten’ werden und veralten» (corsi-vo originale); trad. it., La scienza come professione. La politica come professione, Torino, Einaudi,2004, p. 18.

36 Nelle pagine introduttive di L’œuvre en filigrane (pp. 16-21) Jeanneret accenna a una banca-dati informatica denominata Roma 1600, messa a punto nella Division informatique dell’Universitaginevrina allo scopo di rendere accessibili a quanti si interessano della Roma musicale del secoloXVII «toutes les indications connues tant du point de vie philologique qu’historique: donnees bio-graphiques sur les musiciens, relations de travail entre musiciens et mecenes, contenu des manuscrits

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te in porto due imprese impegnative come l’imponente ricognizione bibliografica dacui la dissertazione di Jeanneret ha preso le mosse, e la ricostruzione del processocompositivo di Frescobaldi, che ne ha rappresentato il punto d’arrivo ideale. Al con-trario, ho presente tutto cio a tal segno da concludere che la responsabilita delle pa-gine di L’œuvre en filigrane dedicate al lascito manoscritto frescobaldiano non e tuttadell’autrice.

Il libro si apre con una copiosa serie di ringraziamenti di rito dai quali risultano icontatti da lei avuti mentre metteva a punto la sua dissertazione sotto la guida di Dar-bellay, con musicologi di collaudata esperienza, come Alexander Silbiger, i cui pionie-ristici studi sulle musiche manoscritte per strumenti da tasto del Seicento italianol’hanno guidata nella fase iniziale del suo lavoro (p. 28 sg.), o come Dinko Fabris e Ar-naldo Morelli: il primo dei quali l’ha messa sulle tracce di numerose intavolature pocostudiate o affatto sconosciute, ivi compresa quella parigina (p. 220 nota 149), mentre ilsecondo, oltre a esserle prodigo di suggerimenti (pp. 148 nota 81, 218 nota 145, 234nota 164), ha tempestivamente ospitato su «Recercare» un estratto della sua disserta-zione concernente quel manoscritto.37 E dunque da credere che, nei quattro anni in-tercorsi fra la discussione in sede di esame di dottorato (2005) e la pubblicazione per itipi di Leo S. Olschki (2009), parti sostanziali della dissertazione di Jeanneret sianopassate sotto gli occhi di studiosi perfettamente in grado di notarne quanto meno certeincongruita metodologiche. Perche mai nessuno le ha suggerito di revisionarne atten-tamente il testo prima di darlo alle stampe?

Stando a un articolo uscito nell’arco di quel quadriennio si direbbe che la neces-sita d’una revisione non sia stata avvertita neppure da chi ha guidato l’autrice di L’œu-vre en filigrane nell’ultimo tratto dei suoi studi universitari.38 Si tratta di un articolo incui Darbellay convalida come autografi tutti i manoscritti frescobaldiani segnalati nellibro, compresi i frammenti di mottetti concertati contenuti nel fascicolo 29 del codi-ce Chigiano Q.VIII.205 e i pezzi inclusi nei quaderni di cembalo dei fratelli Barberini

avec indications des titres, attributions, dates, concordances etc., lieux de travail des musiciens avecles dates» (p. 16). Per quanto consenta finanche la visione istantantea di specimina della grafia di ma-noscritti musicali dell’epoca, detta banca-dati sembra pero riguardare solo i musicisti attivi come suo-natori di strumenti a tastiera o come compositori di musiche a loro destinate. Accade cosı che in duediverse appendici del suo libro Jeanneret citi il romano Tommaso Tizi (cappellano e poi tenore dellaCappella papale dal 1648 all’86) unicamente come organista e cembalista ingaggiato dalla Confrater-nita del Crocifisso in occasione degli oratorii quaresimali del 1664 (pp. 510 sg. e 543).

37 Mi riferisco al secondo degli articoli di Jeanneret citati nella precedente nota 4.38 Cfr. E. DARBELLAY, Les habitudes de Frescobaldi compositeur revelees par l’etude des sources

manuscrites pour clavier et par ses pratiques de publication, in Arte organaria e musica per organo nel-l’eta moderna. L’Umbria nel quadro europeo, a cura di E. Bellini, Perugia, Deputazione di Storia pa-tria per l’Umbria, 2008, pp. 253-268. E interessante notare come questo articolo sia stato recente-mente citato da Frederick Hammond in una breve ma favorevolissima recensione di L’œuvre enfiligrane (FR. HAMMOND, The Hidden World of Frescobaldi Manuscripts, «Early Music», XXXVIII,2010, pp. 589-590: 590). Non c’e dubbio, infatti, che solo il pubblico avallo fornito da Darbellayal libro di Jeanneret possa aver indotto uno dei pionieri dei moderni studi frescobaldiani a limitarele proprie riserve sul volume a defaillances insignificanti, quali le discordanze fra le sigle con cui l’au-trice elenca le fonti da lei studiate all’inizio del suo libro (pp. IX-XI) e le sigle con cui le identifica nellepagine successive.

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(il che autorizza a ritenerlo d’accordo anche con la teoria della ‘‘grafia di servizio’’retrostante a quei presunti ritrovamenti). Per quanto attiene specificamente all’intavo-latura parigina, Darbellay condivide appieno la tesi che si tratti di un cahier de travaildi Frescobaldi, che taluni pezzi – e soprattutto la coppia di Correnti parzialmenteconcordanti – gettino nuova luce sul metodo di lavoro del musicista, e che questivi abbia incluso una versione alternativa dell’Aria detta la Frescobalda (ma su quest’ul-timo punto deve aver pesato la concordanza dell’Aria detta la Frescatanna con il Bal-letto del codice chigiano Q.IV.24, in quanto conferma d’una vecchia ipotesi di Dar-bellay circa la paternita frescobaldiana dei pezzi adespoti inclusi da Castellani in quelsuo autografo).39

Un’approvazione cosı incondizionata del lavoro compiuto da Jeanneret sul lascitomanoscritto di Frescobaldi e meno stupefacente di quanto possa sembrare a tutta pri-ma. Darbellay ha scritto l’articolo citato quando la dissertazione dottorale di lei eraancora inedita, e quindi serbava la sua impronta originaria di prova iniziatica, spessoaffrontata dai giovani studiosi con l’ambizione di imprimere un’orma indelebile nellarispettiva disciplina e reciprocamente valutata con pedagogica condiscendenza verso iloro sforzi in tal senso. Se a questo aggiungiamo l’interesse personale di Darbellay perl’impresa di Jeanneret, in quanto ricognizione aggiornata di un repertorio manoscrittoalla cui edizione critica egli stava pensando da molti anni, l’articolo summenzionato ciparla di un rapporto docente/discente assai particolare. Un rapporto nel quale ai dueruoli ricoperti da Jeanneret nell’elaborare il suo lavoro – in quanto dottoranda in Mu-sicologia e studiosa cooptata da tempo fra i curatori degli opera omnia frescobaldia-ni – hanno fatto da pendant i due ruoli del suo mentore come relatore della disserta-zione e come componente di spicco di quel gruppo di specialisti.

Circa gli sviluppi che un rapporto siffatto ha potuto avere in corso d’opera, il rin-graziamento particolare che l’una rivolge all’altro, in un capitolo interno di L’œuvreen filigrane, «pour toutes les perspicaces pistes d’investigation qu’il nous a suggerees»(p. 235), non lascia dubbi che siano stati improntati ad analoga mescolanza di solle-citudine pedagogica e complicita professionale. D’altro canto, come pensare che sen-za il placet del suo relatore Jeanneret potesse spingere tanto avanti la sua disamina delmanoscritto parigino da trasformarla in una ricostruzione del modus operandi di Fre-

39 Per questi punti, cfr. DARBELLAY, Les habitudes cit., rispettivamente alle pp. 253 sg., 256 e264 sg. Nel primo passo si accenna, via via, al «fasc. 29 du Chigi Q.VIII.205-206, contenant diversestables de cadences», al manoscritto – erroneamente ritenuto unico e destinato a una sola persona –«Barb. lat. 4181-2, inacheve, contenant des pieces probablement destinees a un eleve parent des Bar-berini», nonche ai pezzi «encore a critiquer ... du Chigi Q.VIII.205-206 ... a deux voix et trois voixsur continuo». Nel secondo passo si sottolinea che «l’autographe de Paris contient le meme Balletto[scil. quello copiato da Castellani nel codice chigiano suo autografo], sous le titre curieux d’Aria dettala Frescobalda – renvoyant a la fameuse serie de variations de 1627!»; e si conclude che «il s’agit sansle moindre doute d’un veritable cahier d’esquisses de compositeur, et de rien d’autre». Nel terzo pas-so, infine, si accenna alla doppia versione della Corrente come segue: «Ce qui nous interesse ici n’estpas simplement l’existence de versions differentes de la meme piece ... mais bien ... la formationd’une nouvelle piece a partir d’ingredients appartenent a d’autres pieces reperables». Circa l’ipotesidi Darbellay sulla paternita dei pezzi adespoti inclusi da Castellani nel manoscritto chigiano Q.IV.24,se ne veda la versione piu recente nel suo The Manuscript Chigi cit., p. 35 sg.

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scobaldi, temerariamente condotta sulla scorta di una dozzina di carte autografe con-tenenti null’altro che brevi pezzi in stile idiomatico?

E bensı vero che a rendere seducente l’impresa non erano soltanto quelle carte, inquanto contenenti composizioni piu stringate di quelle del manoscritto chigianoQ.IV.29 e quindi verosimilmente piu prossime allo stato nascente del pensiero musi-cale del compositore. Era anche un brillante studio sui metodi di lavoro dei polifonistidel periodo rinascimentale pubblicato nel 1997 da Jessie Ann Owens, la cui classifi-cazione dei vari tipi di annotazioni compositive di quei maestri lasciava intravedere lapossibilita di definire con esattezza il rapporto degli autografi parigini con la dinamicadel processo creativo frescobaldiano.40 Certo, sussisteva il problema di farli rientrarein una classificazione esemplarmente basata su manoscritti corrispondenti a varie fasi

della lavorazione di pezzi determinati, che pertanto era possibile ripartire in sketches,drafts e fair copies collegati rispettivamente alla fase iniziale, intermedia e conclusiva diquella lavorazione.41 Gli autografi parigini, infatti, potevano rientrare tutt’al piu nelleprime due categorie e non presentavano concordanze che permettessero di intenderlicome schizzi e abbozzi di una stessa composizione. Ma per ostacolare una studiosametodologicamente disinvolta come Jeanneret occorreva ben altro.

Cosı in L’œuvre en filigrane troviamo attribuito a Frescobaldi un percorso com-positivo tripartito, conforme al modello stabilito da Owens quanto alle prime due fasie poi semplicemente caratterizzato, quanto alla fase conclusiva, dal montaggio occa-sionale di piu abbozzi, secondo una tecnica che il modello – paragonando i materialivia via utilizzati a building blocks – riteneva esperibile in tutte le fasi del processocompositivo.42 In pratica, Jeanneret ipotizza che Frescobaldi iniziasse a comporre

al cembalo, interrompendosi quanto bastava per fissare le idee in esquisses di pochemisure (esemplificate dagli incipit di Ciaccona e di Toccata di cui abbiamo detto);passasse poi alla stesura di una prima ebauche della composizione in cantiere (un’o-perazione virtualmente esemplificata da qualsiasi pezzo compiuto dell’intavolaturaparigina); e infine procedesse a ultimare il lavoro, valendosi alla bisogna di diverseebauches assemblate come blocs de constructions: un’operazione che, in mancanzadi esempi concreti, viene esemplificata evocando, con scelta alquanto singolare, i cen-toni monofonici di medievale memoria (p. 235 sg.).

40 Cfr. J. A. OWENS, Composers at Work: The Craft of Musical Composition 1450-1600, NewYork - Oxford, Oxford University Press, 1997. Dati i molteplici debiti, anche lessicali, da lei contrat-ti con questo libro, non si comprende come mai Jeanneret si limiti a citarlo in bibliografia e in duefrettolose note a pie di pagina, per di piu relative a un dato secondario: l’uso di comporre aiutandosicon uno strumento polivoco caratterizzante numerosi maestri del passato (cfr. pp. 236 nota 169e 483 nota 2).

41 Alla classificazione degli autografi compositivi «into three main categories», ove si riflettereb-bero «in a general way the stages of work on a composition – early, middle, late», e riservato un in-tero capitolo di Composers at Work (pp. 135-202). Quanto all’esemplificazione di dette categorie tra-mite gli autografi compositivi relativi a una medesima composizione, si vedano in particolare lepagine dedicate da Owens al manoscritto di un polifonista catalano della meta del Cinquecento,tal Pujol (ibid., p. 188 sg.).

42 Cfr. OWENS, Composers at Work cit., pp. 188-191.

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L’assemblaggio di piu abbozzi e un dato tecnico su cui Jeanneret torna piu volte(pp. 155 sg., 162, 300, 484), evidentemente rendendosi conto che, per far passare iconcisi autografi parigini come la matrice delle grandi pagine polisezionali dei libridi Toccate frescobaldiane, non bastava individuarvi sporadiche concordanze testualicon quelle pagine e, ancor meno, ‘‘gesti’’ musicali che li accomunassero a esse «sanspour autant y identifier de veritables concordances» (p. 483). Qui, peraltro, non in-teressa tanto il fatto che la studiosa insista sul dato tecnico in parola quanto la pro-spettiva che, cosı facendo, ne fornisce. Ne dipende infatti un passaggio decisivo diqueste mie considerazioni preventive sull’ultimo volume delle «Opere complete» diFrescobaldi: la comprensione di come – ove il punto di partenza dei curatori del vo-lume fossero le pagine di L’œuvre en filigrane dedicate al lascito manoscritto di lui:cosa piu che probabile dopo il pubblico viatico che esse hanno ricevuto dal principalecandidato a curarne l’edizione – l’affidabilita dell’impresa sarebbe messa a repenta-glio da qualcosa di molto piu deprecabile della disinvoltura metodologica, della fra-gilita delle argomentazioni o delle sviste rilevabili in quelle pagine.

4.2. Del montaggio di materiali musicali eterogenei non si occupano soltantoOwens e Jeanneret. Nel summenzionato articolo del 2008 vi si richiama anche Darbel-lay, ricordando come la disamina delle edizioni seicentesche delle Toccate e dei Capric-ci di Frescobaldi lo avesse portato a concludere che questi non esitava, «face au besoind’enrichir [un] volume», a recuperare «des materiaux existants qu’il retravaille ... ouqu’il incorpore sans autres formes de proces» anche a operazioni di stampa avviate.43

E dunque evidente che, quand’anche descritta con gli stessi termini – il lettore avracerto notato la derivazione dei blocs de constructions di Jeanneret dai building blocksdi Owens –, una stessa tecnica compositiva puo essere intesa in modi assai diversi.Nel libro di Owens l’assemblaggio di materiali eterogenei rientra in un percorso ope-rativo ricostruito sulla scorta di autografi risalenti ad autori di generazioni, nazionalitae scuole diverse: e una tecnica inquadrata in un contesto storico.44 Negli scritti di Dar-bellay e in L’œuvre en filigrane, invece, tale tecnica attiene al modus operandi di Fre-scobaldi cosı come gli autori l’hanno intravisto lavorando intorno a talune sue opereedite e inedite: e una tecnica inquadrata in un contesto biografico. Non a caso, fra gliinnumerevoli punti di convergenza di Jeanneret con il suo mentore, c’e il propositodi avviare una revisione dell’immagine mitica di Frescobaldi come compositore e im-provvisatore dalla creativita straripante, sostituendola con quella, decisamente anti-eroica, che trapelerebbe dalla sua produzione manoscritta e a stampa: qui l’imma-gine di un compositore di un perfezionismo esasperato ed esasperante, capace

43 DARBELLAY, Les habitudes cit., p. 260.44 Da questo punto di vista il libro di Owens avrebbe meritato di essere menzionato anche da

Darbellay, visto che vi si dimostra, citando fra gli altri il caso di Heinrich Isaac, come presso queimaestri «the process of composing could continue from the earliest sketches through the preparationof a fair copy and even beyond» (Composers at Work cit., pp. 145 e 196). Aveva dunque radici anti-che il perfezionismo che lo studioso attribuisce a Frescobaldi durante la preparazione dei proprivolumi a stampa.

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di modificare in extremis l’organizzazione e il contenuto di volumi gia sotto il tor-chio, lı quella di un paziente artigiano impegnato a elaborare e rielaborare appuntimusicali custoditi per decenni come «une sorte de vademecum, un reservoir d’ideescompositionnelles», facendo germogliare i suoi capolavori a stampa da «une longueexploration des possibles» celati in spunti musicali che nessuno penserebbe maidi attribuire al musicista esaltato dai contemporanei come ‘‘il mostro degli or-ganisti’’ (pp. 230 e 236).45

Mi si intenda. So bene che l’aspirazione a far leva su un’opera specifica per acqui-sire una visione piu genuina della prassi e della personalita del suo creatore appartieneallo statuto delle discipline filologiche.46 Purtroppo, a meno di non cambiare mestieree trasformarsi in storici della musica, i filologi musicali possono tuttora assecondarequesta loro aspirazione soltanto con l’ausilio di una letteratura critica pessimamenteattrezzata per cogliere la dinamica della vita musicale di societa perente. Conseguen-temente devono limitarsi a corredare le proprie edizioni critiche con introduzioni sto-rico-biografiche mescolanti alla bell’e meglio rilievi originali e dati di seconda mano,talche non stupisce che a volte le lascino redigere ad altri, anche se con esiti, oltreche poco interessanti, decisamente incongrui.47 Non altra, del resto, e la tipologia dinotazioni autocritiche in cui rientrano le congetture di Jeanneret intorno alla datazio-ne, al contenuto e alla funzione degli autografi frescobaldiani da lei discussi, concen-trate come sono nella sezione Commentaires et analyses che – ora risolvendosi in poche

45 Circa le riserve di Darbellay sul mito secentesco di Frescobaldi come creatore ex nihilo dimusiche geniali, tanto scritte quanto improvvisate, cfr. The Manuscript Chigi cit., pp. 26 sg. e 37.Quanto alla posizione di Jeanneret sull’argomento, cfr. le critiche rivolte in L’œuvre en filigrane adue fra le piu celebri testimonianze d’epoca sugli exploits compositivi del musicista: quella di Barto-lomeo Grassi (1628) sugli «infiniti altri volumi» da lui prodotti accanto a quelli editi, che e definita«avant tout un argument commercial» (p. 25), e quella di Andre Maugars (1639) sulle memorabiliimprovvisazioni pubbliche di Frescobaldi, che e archiviata tra gli atti fondativi della mitografia fre-scobaldiana (p. 327).

46 Per una panoramica su questi problemi in relazione al testo musicale, cfr. G. FEDER, Filologiamusicale. Introduzione alla critica del testo, all’ermeneutica e alle tecniche d’edizione, Bologna, Il Mu-lino, 1992, pp. 36-40. Per un cenno intrigante alla critica testuale come disciplina indiziaria, cfr.GINZBURG, Spie cit., p. 72.

47 Per esempio, c’e da dubitare fortemente che Gustav Leonhardt avrebbe mai fantasticato sul-l’assenza della firma di Frescobaldi in calce alla dedicatoria della seconda edizione dei Recercari etcanzoni franzese, cosı come ha fatto Jeanneret redigendo l’introduzione storica al volume delle «Ope-re complete» di Frescobaldi da lui curato: Recercari et canzoni franzese fatte sopra diversi oblighi inpartitura. Libro primo (1615), a cura di G. Leonhardt, con il contributo di E. Darbellay e C. Jean-neret, Milano, Suvini Zerboni, 2005 («Monumenti musicali italiani», XXIV), pp. IV e VI. La studiosainfatti vi azzarda l’ipotesi che Frescobaldi abbia ritirato la firma apposta alla dedicatoria della primaedizione onde significare al suo destinatario, il cardinale Pietro Aldobrandini, il proprio risentimentoper l’esito sfavorevole di una causa civile in cui si erano recentemente fronteggiati come controparti(per la ricostruzione documentaria di questo episodio, cfr. il mio A ‘‘Ritratto’’ of Frescobaldi: SomeProblems of Biographical Methodology, in Frescobaldi Studies, a cura di A. Silbiger, Durham, DukeUniversity Press, 1987, pp. 30-54). Purtroppo si tratta di un’ipotesi priva del presupposto necessarioa renderla plausibile: la certezza che la ristampa dei Recercari frescobaldiani sia stata effettuata a pro-cesso concluso. Che e una certezza impossibile da raggiungere, visto che ci sono noti il giorno, il me-se e l’anno nei quali fu pronunciata la sentenza ai danni del musicista (3 aprile 1618), mentre dellaseconda edizione dei Recercari sappiamo solo che fu data in luce nel 1618.

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righe, ora dilungandosi per qualche decina di pagine – conclude la descrizione di quasitutti i manoscritti catalogati nel suo libro.

La questione che vorrei affrontare a conclusione del presente intervento e del tut-to diversa. Non riguarda la legittimita del rapporto di consequenzialita fra indaginefilologica e interpretazione dei suoi risultati. Riguarda bensı le conseguenze del ribal-tamento di tale rapporto che si realizzerebbe ove, come si diceva, i criteri editorialidell’ultimo volume degli opera omnia frescobaldiani derivassero davvero dalle paginedi L’œuvre en filigrane dedicate al lascito manoscritto del compositore. Ritengo infattiche, a ingenerare il rischio che detto volume includa anche musiche apocrife, sarebbeproprio la trasformazione di pagine che rappresentano il punto d’arrivo di un lavorobibliografico nel punto di partenza di un’edizione critica.

Per dimostrare tale assunto compatibilmente con lo spazio che mi e ancora conces-so, mi limitero a esaminare le argomentazioni messe in campo da Jeanneret per assicu-rare agli autografi frescobaldiani da lei presi in considerazione una valutazione criticaottimale. Si tratta di argomentazioni interessanti non solo perche coerenti con la suapolemica contro ogni interpretazione di quegli autografi in chiave didattica – polemicarivolta anch’essa a respingere il deprezzamento cui tale interpretazione li condannereb-be, stante «l’equation trop souvent admise selon laquelle ‘l’absence de genie’ impliquesystematiquement une fonction didactique» (p. 327) – ma anche perche rappresentanol’esempio piu significativo della strategia espositiva che caratterizza il libro di Jeanne-ret. Infatti si configurano come una catena congetturale simile a quelle di cui ci siamogia occupati nelle sezioni 3.1 e 3.2, eppero piu pericolante di altre giacche, prendendole mosse dalla ricostruzione del processo compositivo di Frescobaldi, si innesta sullegia fragili congetture retrostanti a quell’operazione: la teoria della ‘‘grafia di servizio’’del Frescobaldi didatta, la definizione del manoscritto parigino come cahier de travaildel Frescobaldi compositore; l’adattamento, agli schizzi e agli abbozzi che egli vi avreb-be inserito, del modello di processo creativo messo a punto da Owens in Composers atWork. La catena congetturale di cui si parla prende l’abbrivo con l’estensione delle mo-dalita operative del processo creativo di Frescobaldi a tutti i compositori di musicheper strumenti a tastiera della Roma seicentesca: estensione che Jeanneret giustificasic et simpliciter con l’affermazione che il manoscritto parigino «permet d’etablirune methode compositionnelle probablement generalisee au XVIIe siecle» (p. 481).Ne consegue la parificazione delle opere manoscritte di quei compositori a «objets pri-ves sans visee commerciale» diffusi «en general dans le cercle des musiciens» (pp. 11,327, 482), che assimila ulteriormente la loro produzione a quella di Frescobaldi: e in-fatti ai suoi autografi musicali che spettano in primis i tratti salienti dell’assenza di va-lore commerciale (legata alla grafia poco decifrabile di lui) e della circolazione limitataagli addetti ai lavori (a p. 328 Jeanneret ricorda opportunamente come il manoscrittochigiano Q.IV.29 sia stato utilizzato da altri musicisti «peut-etre meme pendant unquart de siecle apres les entrees autographes du Maestro»).48 Il terzo e ultimo passag-

48 A questo riguardo va ricordato che la circolazione postuma di questo manoscritto – da meevidenziata in La didattica cit., pp. 70-83 – ebbe come tramite Leonardo Castellani, che alla fine dellavita si trovo a custodire la maggior parte degli autografi musicali frescobaldiani noti a tutt’oggi. Per

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gio e costituito dalla contrapposizione fra il contenuto di una qualsiasi fonte musicalemanoscritta, in quanto, appunto, «objet prive a usage interne ou limite a quelques per-sonnes», e quello di un qualsiasi volume a stampa «dont la fonction premiere est pu-blique puisqu’il est concu pour etre diffuse» (p. 482): una contrapposizione ancora unavolta ispirata da Owens, trattandosi di un adattamento della distinzione fra «manu-cripts for private use» e «manuscripts for public use» tracciata in Composers atWork,49 del quale Jeanneret si vale per concludere che ai repertorii musicali manoscrit-ti va riservato un metro di valutazione ad hoc basato sul ripensamento della «notiond’œuvre dans sa relation au support ecrit» (p. 236).

Al lettore non sfuggiranno le analogie di un percorso cosı spericolato fra aspettitecnici, funzionali, socioeconomici ed estetologici del repertorio manoscritto oggettodi L’œuvre en filigrane con l’incauta incursione nel campo della didattica musicale edella musica sacra che abbiamo visto indurre l’autrice a scambiare tre mottetti a stam-pa di Virgilio Mazzocchi per inediti vocali frescobaldiani. Posso quindi limitarmi aosservare brevemente come si tratti di due eccessi di zelo dalla portata e dalle conse-guenze assai diverse: lı l’individuazione di una «veritable methode» capace di distri-care il ginepraio delle fonti manoscritte attribuite e attribuibili a Frescobaldi che,nonostante la sua infondatezza, non compromette la ricognizione catalografica diJeanneret; qui una visione multiplanare di quelle fonti che si direbbe ansiosa di oltre-passare l’ambito della musica monostrumentale della Roma seicentesca per aprirsi apiu ampi orizzonti storico-musicali, ma che, affermando il principio dell’inconfronta-bilita della musica manoscritta rispetto alla musica a stampa, si scontra frontalmentecon gli esiti di quella ricognizione medesima.

Il punto e che tutte le risultanze di questa convergono, a ben vedere, su un datostatistico incontrovertibile: Frescobaldi e il solo autore di musiche per strumenti a ta-stiera operante nella Roma seicentesca la cui produzione abbia attinto livelli qualita-tivi e quantitativi tali da porre il problema di una valutazione acconcia delle opereinedite rispetto a quelle edite. Dal che consegue che imbastire una catena d’ipotesidue volte pericolante allo scopo di generalizzare un problema circoscritto a un casoeccezionale e un tentativo, oltre che azzardato, sostanzialmente inutile. Lo e per lo

una ricostruzione su basi documentarie di questo episodio biografico, cfr. C. ANNIBALDI, MusicalAutographs of Frescobaldi and His Entourage in Roman Sources, «Journal of the American Musico-logical Society», XLIII, 1990, pp. 393-425: 414-421.

49 Cfr. OWENS, Composers at Work cit., p. 113 et passim. Quest’ulteriore riferimento al libro diOwens espone nuovamente L’œuvre en filigrane a un impari confronto metodologico. Proprio comenell’adattare al caso di Frescobaldi il modello di processo compositivo elaborato da Owens, Jeanneretrielabora la sua distinzione fra manoscritti musicali ad uso privato e a destinazione pubblica, sorvolan-do disinvoltamente su alcune difficolta non proprio secondarie. Se lı aveva ignorato come l’intavolaturaparigina non consentisse di documentare l’intero percorso del presunto processo creativo di Frescobal-di, qui la studiosa tace la circostanza che, a differenziarsi dalle pagine autografe di quell’intavolatura odel manoscritto chigiano Q.IV.29, non sarebbero soltanto le musiche contenute nei volumi frescobal-diani a stampa ma – giusta la distinzione di Owens – anche ogni copia manoscritta di composizioniincluse cola. Per non dire delle raccolte di pezzi inediti sul tipo dei Fioretti del Frescobaldi: il manoscrit-to londinese di cui abbiamo detto nella sezione 2.2 che, redatto calligraficamente da Borboni su sistemicostituiti da due pentagrammi e non dai righi musicali di sei-sette linee in uso nella Roma seicentesca,non puo certo ritenersi un ‘‘oggetto privato’’ destinato a circolare fra i musici di mestiere della citta.

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studioso interessato alla musica di lui, che gia sa – o dovrebbe sapere – come la mis-sione assegnatagli dalla storia sia stata quella di traghettare i generi monostrumentalidel tardo Rinascimento italiano dalla tradizione orale a quella scritta. E lo e per chi siinteressa alla produzione compositiva degli altri organisti e cembalisti attivi nella Ro-ma barocca, che non sa – ma non puo neppure stabilirlo ex officio – quale scarto qua-litativo avrebbe comportato l’impegno di una pubblicazione per musicisti le cui opereci sono note quasi esclusivamente in versione manoscritta.

Torniamo cosı un’ultima volta a quanto ripetutamente osservato sui due ruoli ri-coperti da Jeanneret nell’elaborare la dissertazione dottorale che e a monte del suolibro. Perche solo in un caso la suddetta catena d’ipotesi, pur restando azzardata,era tutt’altro che inutile: nel caso di una dottoranda in Musicologia gia cooptatafra i curatori degli opera omnia frescobaldiani, che affidava all’esito della propria dis-sertazione la possibilita di collaborare anche all’ultimo volume della serie. Su quell’e-sito incombeva il pericolo che l’indiscutibile inferiorita qualitativa delle composizioniinedite di Frescobaldi rispetto a quelle edite sminuisse il valore dei manoscritti da leiattribuitigli, e non v’e dubbio che il modo piu drastico per evitarlo fosse sottrarre l’in-tero repertorio manoscritto oggetto della propria dissertazione al confronto conle coeve fonti a stampa.

Possiamo finalmente precisare che cosa esporrebbe al rischio di accogliere musi-che apocrife un ultimo volume delle «Opere complete» di Frescobaldi i cui criterieditoriali derivassero dalle pagine di L’œuvre en filigrane dedicate al lascito mano-scritto di lui: la subordinazione dei curatori a una linea interpretativa che, per metterein sicurezza la valutazione di alcuni autografi frescobaldiani, ha finito per aprire lastrada, congettura dopo congettura, all’autenticazione di qualsiasi pagina che somma-ri rilievi paleografici, generiche concordanze testuali, immaginose considerazioni cir-costanziali o il miraggio di uno scoop filologico suggeriscano di attribuire a un qual-siasi compositore di musiche per strumenti da tasto operante a Roma nell’arco delSeicento. Cos’altro significa, infatti, stabilire ex officio che la qualita intrinseca diuna pagina musicale pervenutaci unicamente in versione manoscritta dipenda nondal musicista che l’ha concepita ma dal suo statut particulier di manufatto composi-tivo semilavorato – e quindi imparagonabile per definizione alle «pieces abouties, soi-gneusement selectionees et amendees» smerciate a mezzo stampa (p. 483) –, se nonavviare la liquidazione dell’analisi stilistica: l’unico strumento tecnico a cui possa af-fidarsi il filologo musicale alle prese con fonti ad alto rischio di apocrifia?

5. Per un libro che si apre, come L’œuvre en filigrane, con ripetute dichiarazionisull’importanza dell’analisi tecnica dei testi musicali (pp. 13, 15, 24) questa conclusio-ne puo sembrare una critica decisamente immeritata. Nondimeno – ennesima derogadell’autrice alle proprie ipotesi di lavoro – nei Commentaires et analyses che integranola descrizione delle fonti da lei studiate piu a fondo il secondo termine del binomiosignifica raramente qualcosa di piu del confronto fra dettagli minimi di composizionidi cui si vuole verificare la concordanza.50 Certo, di per se questo non rappresenta

50 Per di piu, le poche volte che si spingono oltre i confronti in questione, le analisi di Jeanneret

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una rinuncia all’analisi, e tanto meno all’analisi stilistica. Tuttavia neppure rassicurasull’inclinazione di Jeanneret a valersi convenientemente di uno strumento tecnicoche avrebbe potuto farle superare le mie vecchie ipotesi sulla valenza didattica delmanoscritto chigiano Q.IV.29 assai meglio di come le sia riuscito di fare affermando-ne pervicacemente l’inammissibilita. Si consideri quanta piu efficacia avrebbero avutole sue argomentazioni – e quante minori possibilita avrei avuto io di estendere quellemie vecchie ipotesi agli autografi parigini – ove fossero state accompagnate, per esem-pio, dalla dimostrazione che la cifra stilistica di questi ultimi e tutt’altra da quella deipezzi cembalistici annotati ad usum infantis nei quaderni dei fratelli Barberini.

Come si vede, lungi dal difendere un articolo pubblicato venticinque anni fa, stofacendo di tutto perche gli studiosi che in un futuro piu o meno prossimo pubbliche-ranno l’«heritage manuscrit» frescobaldiano possano effettivamente dimostrarne l’in-vecchiamento. Va da se che questa possibilita dipende soprattutto dalla loro disponi-bilita a convincersi che l’avventura filologico-musicale che li attende – un’avventurache, una volta suggellata da una sontuosa pubblicazione ufficiale, nessuno ritenterapiu – li investe di una responsabilita cui potranno corrispondere assai piu degnamen-te tenendo a mente come «il y a des moments ou le plus imperieux devoir du savantest, ayant tout tente, de se resigner a l’ignorance et de l’avouer honnetement»,51 chenon sfidando a colpi di congetture evanescenti la straordinaria imprevedibilita rivela-taci dal passato ogniqualvolta un ritrovamento documentario o musicale degno delnome ci sottrae al regno delle ipotesi e ci restituisce a quello della realta storica.

In tal senso, queste mie considerazioni preventive sull’ultimo volume delle «Operecomplete» di Frescobaldi sono ispirate dallo stesso spirito di critica costruttiva che a suotempo mi spinse a intervenire post festum sul volume dedicato alle ‘‘messe lateranensi’’con l’unico scopo di far notare ai suoi autorevoli curatori come la paternita frescobal-diana da loro asseverata avesse contro il manoscritto stesso che ce le aveva tramandate.Oggi, tuttavia, mi guarderei dal ripetere l’aureo motto con cui aprii quel mio intervento:«io deferisco al merito altrui, et osservo il valore di ciascuno; ma si gradisca l’affetto, concui l’espongo al studioso esercitio».52 Non che l’esperienza accumulata nei decenni chesono seguiti mi abbia dissuaso dal deferire al merito dei colleghi e dall’osservarne il va-lore individuale, ma stavolta non mi spiacerebbe se quanto da me esposto «al studiosoesercitio» riuscisse gradito per qualcosa di piu dell’affetto che l’ha ispirato.

risultano tecnicamente sfocate. Si vedano, per esempio, le sue osservazioni sull’ultima Toccata delmanoscritto parigino: la Toccatta avanti la Romanesca di cui ho parlato nella precedente nota 33 co-me costruita su una formula d’intonazione salmodica. Dapprima essa e descritta come una toccata«effectivement construite sur la premiere section de la basse de la Romanesca», poi come «une pieceecrite en style de toccata, sur la basse de la Romanesca» (pp. 219 e 235). In realta, l’unico, limitatis-simo rapporto di questa pagina col basso anzidetto sta – per quanto mi consta – nella figurazionemelodica a cavallo delle prime due misure, che e imperniata sulle quarte discendenti corrispondential primo segmento del basso suddetto (Si b–Fa, Sol–Re).

51 M. BLOCH, Apologie pour l’histoire ou metier d’historien, Paris, Colin, 1952, p. 23; trad. it.:Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969.

52 G. FRESCOBALDI, Il primo libro di toccate d’intavolatura di cembalo e organo, a cura di E. Dar-bellay, Milano, Suvini Zerboni, 1977 («Monumenti musicali italiani», IV), p. XXVI. Si tratta di unafrase dell’indirizzo Al lettore premesso nel 1615 alla prima edizione dell’opera.

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Direttore responsabileGIUSEPPINA LA FACE BIANCONI

Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4456 del 22-2-1995

CITTA DI CASTELLO . PG

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI OTTOBRE 2013

Anno XIX, 2012, n. 2

ISSN 1123-8615

Anno

XIX

2012

n. 2