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Una nuova proposta di attribuzione per Paolo Uccello di Matteo Poggi – Leonardo Bucciardini

Nuova proposta di attribuzione per Paolo Uccello

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Una nuova proposta di attribuzione

per Paolo Uccello

di Matteo Poggi – Leonardo Bucciardini

Atti del Convegno,

Una Nuova proposta di attribuzione

per Paolo Uccello,

Sale delle Miniature, Palazzo Vecchio

1 Marzo 2013

Premessa

Il saggio “Una nuova proposta di attribuzione per Paolo Uccello” altro non è che una implementazione del volume “San Niccolò del Ceppo: l'enigma insoluto” (ed. Caminito) scritto dai medesimi autori nel 2006, che si concentrava nello studio storico-archivistico della Compagnia laicale di San Niccolò del Ceppo ed in particolare sull'opera di maggior pregio conservata, La Crocifissione fra i Santi Niccolò e Francesco del Beato Angelico. L'opera, accolta nel silenzio assoluto della critica italiana, ma che si vantava di avere la Prefazione dei Prof. Alessandro Cecchi e Carl Brandon Strhelke, è ad oggi conservata presso molte prestigiose biblioteche universitarie del mondo. Nel 2006 Poggi e Bucciardini, in virtù di scoperte documentarie da loro fatte, proponevano un diverso autore per il Crocifisso: non più il Beato Angelico, come tutt'ora riconosciuto, ma Paolo Uccello, come testimoniato da due inventari inediti della Compagnia, datati rispettivamente 1798 e 1810.Pur nella inconfutabilità dei due documenti l'attribuzione rimaneva incerta, ed il giudizio sospeso. Ora invece, a distanza di sette anni,con il supporto di nuove prove documentarie Poggi e Bucciardini sono in grado di dimostare come, per la Storia, il Crocifisso di San Niccolò sia opera di Paolo Uccello, ed il nuovo saggio in questione non è che la trasposizione formale di queste nuove ricerche. La critica d'Arte ed il mondo degli studiosi dovranno quindi dare in modo definitivo delle risposte a quello che ad oggi è uno dei misteri più avvincenti per la Storia dell'Arte Umanistico-Rinascimentale.

“San Niccolò del Ceppo: l'enigma insoluto” è ad oggi conservato presso: Brown University, University of California – Berkeley, Columbia University, Emory University, Frick Museum, Getty Institute, Harward University, Princeton University, Rutgers University, Smith College, Toronto University, Yale University, University of New York, University of Notre Dame, University of Maryland, University of Virginia, Akademie der Wissensschaften und der Literatur Mainz, Bayerische Staatsbibliothek, Heidelberg Universitat.

Ringraziamenti

Per il supporto fornito e le preziose indicazioni dateci e per la pazienza avuta nel corso degli anni, per la gentile e cortese disponibilità accordataci, sentitamente rigraziamo:

Silvia Bocci, Francesco Cacchiani, Prof. Alessandro Cecchi, Roberto Donati (diacono di San Michele e Gaetano), Francesco Giannoni (custode di San Niccolò del Ceppo), Giuseppe Giari, Lorenzo Fabbri, Letizia La Spisa, Prof. Federico Lucarini, Prof Dante Pastorelli (Governatore San Girolamo), Sonia Ricciardulli, Prof. Carl Brandon Strehlke, Lorenzo Vicentini.

Menzione a parte merita la Dott.ssa Sara Ragazzini che si è prestata come Relatrice al convegno “Una nuova proposta di attribuzione per Paolo Uccello”.

Si ringrazia inoltre per le immagini concesse:

Venerabile Confraternita di San Niccolò del CeppoFototeca – Ufficio Beni Culturali, Diocesi di PratoArchivio Opera del Duomo, FirenzeMonsignor Claudio Maniago, Vescovo Ausiliario e Vicario Generale dell'Arcidiocesi di FirenzeArchivio Foto Scala, Firenze

Queste immagini, protette da copyright, sono solo da usare come riferimento. Il download, la riproduzione, copia, pubblicazione o distribuzione di qualsiasi immagine che appaia in questo documento sono vietati dalla legge.Si precisa che gli autori intendono avvalersi dei loro diritti d'autore.

La Compagnia di San Niccolò del Ceppo

La Venerabile Compagnia di San Niccolò del Ceppo, ubicata in via dei Pandolfini, è

una delle più antiche Confraternite ancora esistenti nella città di Firenze. La prima

testimonianza della presenza del sodalizio risale al 1° maggio 1417, giorno in cui fu

inaugurata la prima sede, nei pressi dell'Ospedale del Ceppo, collocato nell'attuale Corso

Tintori. Il suo prestigio è facilmente desumibile sia dalle varie Indulgenze papali1 ottenute

nella secolare storia, sia dalla sua mancata soppressione nel 1785 e nel 1810, allorché il

Granduca Pietro Leopoldo di Lorena prima e Napoleone Bonaparte poi, decisero di chiudere

la quasi totalità delle Compagnie laicali2.

Al suo interno conserva, ancor oggi, opere d'arte importanti o quantomeno degne di

nota, elemento comune questo, in origine, alla maggioranza delle Confraternite fiorentine.

L'opera senz'altro più importante è la tavola d'altare raffigurante la Crocifissione fra San

Niccolò e San Francesco, attribuita al Beato Angelico e conservata nella sagrestia.

Le prime notizie del dipinto risalgono all'ottobre 1564, allorché fu trasferito dalla

Compagnia del Tempio, sede provvisoria di San Niccolò. Sempre a quegli anni, in

particolare al 1568, risalgono i primi lavori di restauro del dipinto per mano di

Giovanbattista del Verrocchio, dato che l'opera era stata “guastata” dalla precedente

alluvione del 1557, che colpì l'intera città di Firenze. Nel 1611 la Tavola fu spostata in

sagrestia per far posto alla nuova tela commissionata a Francesco Curradi, di soggetto

analogo.

1 Le Indulgenze ottenute dalla Confraternita di San Niccolò del Ceppo sono state concesse da: Leone X (11 maggio 1523), Gregorio XIII (1 febbraio 1584), Paolo V (5 febbraio 1611), Urbano VIII (7 febbraio 1629), Pio VII (4 aprile 1820), Gregorio XVI (6 marzo 1831).

2 Le nove Confraternite salvate dall'Editto del Granduca emanato il 25 marzo 1785 furono: Arciconfraternita della Misericordia, Compagnia di San Benedetto Bianco, Compagnia di San Filippo Neri, Compagnia delle Sacre Stimmate di San Francesco d'Assisi, Arciconfraternita di San Francesco detta “Compagnia dei Banchettoni”, Buca di San Jacopo, Confraternita di San Girolamo in San Marco, Compagnia di San Niccolò del Ceppo. La loro mancata soppressione fu dovuta all'intercessione dell'Arcivescovo Antonio Martini. Cfr. Artusi-Patruno 1994, p. 58. Per quanto riguarda invece le soppressioni napoleoniche la Compagnia pur rimanendo in vita passò di possesso ai francesi dall'aprile 1811 fino al giugno 1814, momento in cui essi l'abbandonarono. In queso lasso temporale la Compagnia mutò il proprio nome in “Collegio del Pio Istituto di San Niccolò del Ceppo”. Cfr. Poggi-Bucciardini 2006, pp. 48-51.

Crocifisso fra San Niccolò e San Francesco, Paolo Uccello (?), Compagnia San Niccolò

del Ceppo, Firenze.

Del periodo 1517-21 sono invece le tele di Giovannantonio Sogliani raffiguranti La

Visitazione e San Niccolò e due fanciulli, che la Compagnia usava unire in occasione delle

processioni.

Le tele del Sogliani e il Crocifisso sono le uniche opere antecedenti al trasferimento

in via dei Pandolfini ad essere giunte fino a noi. Con la nuova sede abbiamo invece, oltre la

citata opera del Curradi, l'affresco del pittore fiammingo Peter de Wit, detto Candido,

raffigurante La Vergine col bambino fra i Santi Niccolò e Girolamo, datato 1585-1586,

ultimo lavoro fiorentino di grandi dimensioni del pittore fiammingo, che successivamente si

trasferì a Monaco al servizio della corte bavarese. Del 1596 e 1601-02 sono i progetti delle

porte interne alla Compagnia, realizzati da Francesco Buonarroti, mentre del 1610 è la

Deposizione del Curradi collocata in origine nell'oratorio di fronte all'altare e oggi invece

situata nella stanza che immette nella Compagnia stessa.

Nel 1626 il confratello Vincenzo Puccini donò poi il San Niccolò sempre del Curradi,

mentre al 1659 risalgono i due ovati, San Francesco e San Girolamo, del confratello Onorio

Marinari; risalgono invece al 1737 il Sant'Antonio Abate e il San Niccolò del confratello

Giovan Camillo Ciabilli.

Pregevole l'affresco della volta dell'oratorio eseguito da Piero Andorlini, Giovan

Domenico Ferretti, Domenico Papi e Francesco Maria Papi raffigurante Scene di vita di San

Niccolò, lavoro databile intorno agli anni trenta del settecento.

In ultimo meritano certamente menzione il coro dell'oratorio del 1642, oggi assegnato a

Filippo e Tommaso Rigacci3, e la tela di Giuseppe Servolini Sant'Antonino approva i

Capitoli della Compagnia del 1820.

3 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1985, p. 64. In precedenza si era pensato che il disegno fosse del Giambologna.

Due diverse attribuzioni

All'interno dell'Archivio di San Niccolò del Ceppo, trovammo nel 1999 due Inventari

della Compagnia ancora non noti e di particolare importanza.

Infatti i due documenti, datati rispettivamente 13 maggio 1798 e 12 dicembre 1810, oltre a

fornire una minuziosa descrizione di tutti gli arredi e apparati della Compagnia a tale altezza

cronologica, fornivano per l'antica pala d'altare la seguente descrizione: “ Un'Altare di legno

con grado dipinto e per Quadro vi è un Crocifisso con S. Niccolò e S. Francesco dipinti a

olio di mano di Paolo Uccello, con cornice di legno tinta, con predella, e suo Armadio per il

vino, Ampolla, Piattini, e panni da pulire”.

La tavola in questione, seppur ritagliata, è ancora lì esistente ad eccezione del busto

del San Francesco ad oggi esposto nella collezione J.J. Johnson di Philadelphia. È senza

ombra di dubbio l'opera di maggior pregio e valore della Compagnia e il dato notevole

risiede nel fatto che ad oggi è attribuita, diversamente da quanto riportato dai documenti

sopracitati, alla mano del Beato Angelico.

L'attribuzione all'Angelico non ha basi documentarie ma si fonda su giudizi stilistici,

a partire da quello formulato dal Poggi nel 19094, e poi ripreso variamente, senza peraltro

trovare mai parere unanime fra gli studiosi, incerti fra la paternità autografa dell'Angelico o

di altri autori di scuola. Infatti, negli anni successivi l'attribuzione fu accolta da Douglas e

dal De Nicola nel 1911, mentre la Collobi Ragghianti la riprese nel 1950, individuando nella

sagomatura un carattere peculiare dell'Angelico; quasi negli stessi anni il Baldini (1955) la

assegnò al Maestro, in collaborazione con aiuti. Interessante è il caso del Pope-Hennessy, il

quale, dopo averla espunta dal corpus dell'Angelico nel 1952 la riattribuì al frate fiesolano

nel 1974; ancora nel 1977 il Cole vide, nonostante le cattive condizioni che alteravano la

lettura del dipinto, la mano del Beato. In tempi più recenti la Sebregondi (1985) e il

Bonsanti (1998) hanno confermato l'attribuzione.

Altri studiosi invece si sono dimostrati incerti sull'effettiva paternità angelichiana, a

partire dall'anonimo autore della “Catalogazione Ministeriale dei beni della Confraternita”

4 Scrivendo a proposito de l'Annunciazione del Beato Angelico a San Francesco di Montecarlo il Poggi postillava: “Aggiungerò che altre due opere dello stesso artista saranno tra breve pubblicate in questa rubrica: un Cristo in croce fra due Santi, proveniente dalla Confraternità di San Niccolò di Bari, di proprietà della Confraternita del Ceppo, e una Madonna col bambino esistente nella pieve di S. Michele a Pontassieve”. Cfr. Poggi 1909, p. 132. La ricostruzione della vicenda critica dell'opera, salvo rare integrazioni, è ripresa da Sebregondi Fiorentini 1985, pp.48-49, cui si rimanda per indicazioni bibliografiche precise.

(maggio 1916) che indica il dipinto come “attribuito all'Angelico”, ossia senza nessun tipo

di assunzione di responsabilità nel merito. Nel 1926 il Marangoni nel compilare la scheda di

catalogazione ministeriale scrive: “Sagrestia – Il Crocifisso, fiancheggiato dalle due figure

genuflesse di S. Niccolò di Bari (a sinistra) e S. Francesco (a destra): figure dipinte a

tempera su tavola profilata, grandi al vero. Vi si nota l'iscrizione consueta: Jesus Nazarenus

Rex Judeorum, oltre che in latino anche in greco e in ebraico. Lavoro pregevole sulla

maniera dell'Angelico”. E' da notare come per altre opere lì conservate gli autori erano

esplicitati con chiarezza mentre in questo caso il critico usò una certa cautela, in quanto tale

nota costituisce più un'indicazione stilistica che un'attribuzione certa. Analoghi dubbi li

nutrirono la Schotmuller (1924) che indicò il dipinto come tardo lavoro di bottega, il Salmi

(1958), il Berti (1955),i Paatz (1952) e, per certi versi, il Van Marle (1952) che ritiene

realizzato dal maestro il solo San Francesco; quest'ultima appare davvero un'affermazione

singolare, dato che la parte in questione è di sicuro una copia ottocentesca.

In effetti, il San Francesco orante di Philadelphia

[www.philamuseum.org/collections/permanent/101876.html?murl=1493017 ] fu riconosciuto

come l'originale sottratto dal Ceppo solo nel 1955, per merito di Baldini e del Berti. In

questo contesto diviene molto interessante l'intuizione del Berenson (1913) riguardo la

paternità angelichiana di questa parte del dipinto, da lui inteso come lavoro indipendente: il

critico, pur ignorando la restante parte della tavola, confermò quindi indirettamente quanto

detto dal Poggi quattro anni prima5.

Siamo quindi di fronte a due attribuzioni diverse e contrastanti fornite da due diversi ambiti,

uno documentario e l'altro stilistico, che nel primo caso pone non pochi dubbi anche

sull'effettiva forma originaria dell'opera, una tavola d'altare e non un sagomato, documenti

che richiedono ulteriori approfondimenti per verificare l'attendibilità e la storicità dei due

Inventari in questione.

5 Cfr. Berenson 1913, pp. 10.11.

I Due Inventari: 1798, 1810

L'Inventario del 1798 è il primo Inventario analitico della Compagnia, poiché i precedenti,

pur numerosi, erano sintetici, ossia si limitavano ad una descrizione generica dei vari

“oggetti”, senza mai citarne gli autori. L'omissione dei nomi degli artisti era forse dovuta al

perdurare, dentro le mura della Confraternita, di una forte tradizione orale, trasmessa di

volta in volta, da Guardiano a Guardiano e da Provveditore a Provveditore6.

A dimostrazione di tale persistente trasmissione orale nella Compagnia si cita l'episodio del

1799, quando i confratelli constatarono che la Liturgia era stata fino ad allora tramandata

solo oralmente, in quanto: “(...) Non essendo stato possibile trovare nel nostro Archivio

verun ricordo stampato”7.

Nell'Inventario del 1798, composto da 13 pagine non numerate, gli articoli non sono

elencati in modo progressivo, come lo saranno in quello del 1810, mentre si trova la

suddivisione dei medesimi in relazione al luogo, con la ripartizione della Compagnia in 16

diversi ambienti, che variano dal Vestibolo avanti alla Compagnia, alla Sagrestia, alla Corte,

ecc.8.

Il documento del 1798 risulta essere controfirmato in calce dai responsabili della

Compagnia, ovvero da Niccolò Salvetti (Guardiano), Niccolò Guiducci (Provveditore),

Gherardo Gherardi (Sottoprovveditore) e da tre testimoni, Jacopo Antonio Rossi

(procuratore Corte d'Appello), Casimiro Giampieri (legale) e Domenico Fanghi9, e trova nel

Libro dei Ricordi della Compagnia medesima un riscontro cronologico puntuale, sia per

tempi che per nomi10.

6 La trasmissione del sapere è più volte documentata nei Libri dei Ricordi. Come esempi citiamo i casi della nomina a Provveditore di Niccolò Guiducci (21 gennaio 1797) e dell'elezione a Guardiano di Niccolò Salvetti (19 febbraio 1797), ovvero due dei firmatari dell'Inventario del 1798: “Ricordo come l'Ill.mo Sign.e e Cav.e Niccolò Guiducci Nostro Degnissimo Provveditore, ha preso possesso della Sua Nuova Carica (…) gli è stato consegnato le Chiavi del Collegio con i Capitoli, e l'Inventario, e fattole vedere capo per capo tutti gli arredi apparati”. “Adì. 19 detto mattina terza del mese essendo piaciuto all.mo Sig. Niccolò Salvetti N.ro Degnissimo Guardiano di prendere privatamamente il possesso della sua carica, è stata regolata la Tornata nell'appo. Forma. A ore 7 e mezza è principato il Rosario, il quale essendo terminato a ore 10 circa, si sono partiti di Como.a i Fratelli adunati per andare a prendere il precisato Guardiano che stava attendendo in Sagrestia e unitosi coi figli è stato introdotto in chiesa, ove alla porta della med.a dall N.ro Governatore li sono stati presentatii Capitoli, e le chiavi di Compagnia....”. Ricordi di tornate e partiti..., 1793-1813.

7 Ibidem.8 Nello specifico i sedici luoghi sono: primo Ricetto; Vestibolo avanrti la Compagnia; in Compagnia; nel banco

opposto; sotto l'Altar Maggiore; nell'andito che immette in Sagrestia; salita la Scala; Oratorio del SS. Crocifisso; nello Stanziono del Confessionale; piccolo ingresso che porta all'Oratorio; nella Stanza d'Udienza; sulla Cantoria ovvero Coretto; sulla Loggia; nella Corte; Archivio.

9 Le attività lavorative del Rossi e del Giampieri sono state reperite da Censimento della città di Firenze 1810.10 “Adì 13 maggio – domenica mattina a ore 12 si fece il riscontro dell'Inventario di tutto ciò che esiste nella n.stra

Da una prima desamina dell'atto emergono i nomi degli autori delle Opere della Compagnia,

diretta conferma della natura patrimoniale dell'atto, benché manchi, cosa non rara negli

Inventari settecenteschi, il valore economico di ogni singolo oggetto. Più di quelli presenti,

sono i nomi degli assenti a indicarci la tipologia dell'atto; infatti, su numerosi arredi di un

certo valore, solo in otto occasioni viene esplicitato il nome dell'autore, che in sei casi è

tuttora riconosciuto come tale: sono infatti presenti le quattro opere del Curradi11, le due del

Sogliani, il detto Crocifisso, e una generica “scuola d'Andrea”. È proprio questa generica

“scuola d'Andrea”, in relazione all'affresco raffigurante la Vergine col bambino fra San

Niccolò e San Girolamo a fornirci le prime indicazioni interessanti; l'attribuzione di per sé è

errata poiché, anche se l'affresco mostra “elementi nordici fusi a più evidenti sarteschi”,

l'autore non è propriamente un allievo di Andrea del Sarto, ma il pittore fiammingo Peter

Candid de Wit, come possiamo leggere nel Libro di Memorie della Compagnia, oltre che ne

Le Bellezze della città di Firenze, opera del Bocchi aggiornata dall'abate Cinelli sul finire

del seicento12.

Madonna col bambino fra San Niccolò e San Girolamo, Peter Candid. De Wit (1585), Compagnia San Niccolò del Ceppo.

Comp.a, il quale fu firmato dall'appresso soggetti: Ill.mo. Sig.re Niccolò Salvetti nro meritiss.Mo Guardiano; Ill.mo Sig.re Niccolò Guiducci nro meritiss.Mo Provveditore; Ecc.mo Sig.re Dott.re Casimiro Giampieri, Testimone; Sig.re Jacopo Antonio Rossi, testimone; Sig.re Domenico Fanghi, testimone; Gherardo Gherardi, Sottoprovveditore; l'originale del Sud. Inventario, esiste in mano all'Ill.mo Sig.re Cav.e Niccolò Guiducci nro Prov.r e la Copia, esiste nell'Arcihvio nella scatola segnata di L. a B.”. Cfr. Ricordi di tornate e partiti..., cit.

11 In realtà le opere attualmente riconosciute al Curradi sono tre: la Crocifissione, la Deposizione ed il San Niccolò ricevuto in donazione con l'eredità Puccini nel 1626. Nell'inventario è altresì presente una quarta opera, un ovato dipinto sul muro dell'andito che immette in sagrestia, citato anche dal Cinelli. Tale attribuzionie è confermata da altri numerosi inventari, fra cui quello del 1856, che ci regala fra l'altro anche la descrizione dell'opera: “Un Ovato dipinto sul muro dal Currado rappresentante un Ecce Homo”. La Sebregondi invece riferisce l'opera al Marinari, in virtù di una ricevuta di pagamento al padre di quest'ultimo. Cfr. Sebregondi Fiorentini 1985, p. 13, Bocchi-Cinelli 1677, p. 393 e Inventari della Compagnia. In virtù di tutto ciò e dato lo stato larvale dell'opera non è possibile definire con certezza l'autore, bensì l'attribuzione è da considerare corretta agli effetti dei due Inventari in questione data la vulgata precedente e posteriore. Peraltro non è possibile escludere del tutto, anche se mancano riscontri documentari, che si faccia riferimento a due opere diverse con identico soggetto, di cui una magari andata persa.

12 Cfr. Bocchi - Cinelli 1677, p. 392.

Senza voler entrare nel merito della questione (sollevata tuttavia da qualcuno)13, dobbiamo

riconoscere che i confratelli rimanevano nell'alveo di un'attribuzione sostenibile; l'errore

(inspiegabile dal momento che nell'archivio era presente anche la ricevuta di pagamento al

pittore fiammingo) dimostra comunque una loro buona conoscenza artistica, capacità critica

che rende ancora più inspiegabile il pacchiano errore sul Crocifisso. I due pittori, Angelico e

Uccello, seppur contemporanei sono - ad oggi – stilisticamente assai diversi e non

confondibili, e anche il loro valore patrimoniale era assai diverso, data la scarsa fortuna

critica di Paolo Uccello fino a metà ottocento circa, rendendo ancor più inspiegabile la sua

presenza in questo Inventario di natura patrimoniale.

Una nuova conferma della natura patrimoniale è fornita, come dicevamo, dalle numerose

omissioni di autori noti agli estensori dei documenti, ma al tempo stesso di scarso valore

economico. Esemplari in questo contesto i casi del Ciabilli e del Marinari, quest'ultimo

citato dal Cinelli ed il cui nome è posto sul retro del San Francesco a caratteri cubitali.

Addirittura il Ciabilli era stato Sottoprovveditore della Compagnia, dal 1726 al 1736,

mentre il padre del Marinari veniva considerato uno dei benefattori della Confraternita,

poiché aveva restaurato l'altare maggiore gratuitamente.

Ma la natura patrimoniale del documento emerge dalle vicissitudini che portarono alla

stesura dello stesso. L'Inventario non fu realizzato per la nomina del nuovo Provveditore

Guiducci, occorsa pochi mesi prima del maggio 1798, ma per una necessità finanziaria.

La Compagnia di San Niccolò del Ceppo, florida fino a metà Settecento, si trovò, agli inizi

degli anni novanta del XVIII secolo ad affrontare una grave crisi economica, originata dalla

diminuzione delle offerte volontarie dei confratelli (proibite dall'editto del Granduca Pietro

Leopoldo del 21 marzo 1785)14, e successivamente acuita da alcune scelte gestionali,

nonostante che Ferdinando III nel 1790, successore di Pietro Leopoldo, avesse

sostanzialmente adottato una politica oppposta, con il ripristino di molte Compagnie.

13 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1985, p. 54. 14 La situazione è riassunta in maniera esauriente da un documento di straordinaria importanza, redatto dal Nunzio

Apostolico Luigi Russo Arcivescovo di Apamea, il quale il 20 luglio 1790 espose la supplica indirizzata al Papa da parte della Compagnia: “Beatissimo Padre, il Guardiano, Ufiziali e Fratelli della Ven. Compagnia di San Niccolò detta del Ceppo posta nella città di Firenze, come una di quelle restate superstite alla generale Soppressione seguita l'anno 1785 (…) umilmente le rappresentano, come fino ab antiquo possedeva un legato di scudi sessanta oggi all'annua rendita di soli scudi diciotto circa, per varie riduzioni seguite nei passati tempi dei Luoghi di Monte, Capitale di quel legato, stato fatto a favore della Medesima dal Rev. Prete Vincenzio Puccini Sacerdote (…) Quindi è che fino all'epoca della Sud.a generale Soppressione, in cui le Compagnie si sostenevano con le offerte volontarie di Cera, di Danaro, e di Limosine (…); ma variate le circocstanze, ed in conseguenza fino all'anno Sud.o 1785, in cui fu proibito alle Compagnie superstiti ogni oblazione, e tassa, essendo così mancati gli assegnamenti sufficienti per sussistere, si trovarono nella necessità di valersi del Sud.o fatto di scudi diciotto annui, per la sussistenza, e per supplire alle spese necessarie occorenti....”. Il documento è stato rinveuto, all'interno dell'Archivio della Compagnia, nella scatola 23.

La volontà di ammodernizzare la struttura da parte del Provveditore Carlo Bonsi, eletto nel

1795, provocò spese insopportabili per il sodalizio fino a raggiungere i 650 scudi secondo i

calcoli dell'ingegner Romanelli. La Confraternita fu così costretta nel febbraio 1798 a

chiedere al Granduca lo scorporo di una parte dell'eredità Puccini, consistente nello

sfruttamento delle rendite di alcuni Luoghi di Monte, vincolate in origine alla distribuzione

di un'elemosina ai poveri ammalati di Santa Maria Nuova15.

In queste difficili circostanze si rese necessaria la redazione di un nuovo Inventario, molto

più analitico rispetto all'ultimo del 1784, ed ecco che i fratelli stesero quello del maggio

1798. Sempre nel merito di quest'ultimo Inventario è molto interessante poi la nota

“Riscontro delle Robe” posta in calce al documento con data settembre 1802 a firma del

Provveditore Guiducci. In quella circostanza il Guiducci si preoccupò di aggiornare

l'Inventario in due sezioni diverse: “Robe perse o Vendute” e “Aumento di Robe ritrovate”

censendo ogni singolo oggetto della Compagnia. Nella prima sezione compare quindi il

furto di due chiavi, mentre nella seconda vi sono sei ciocche di fiori vecchi regalati dal

Padre Correttore Leonetti, assenti nell'Inventario del 1798. E' da notare che in

quell'occasione il Guiducci corresse alcune diciture, ma non il nome del Crocifisso fra San

Nicola e San Francesco, né fece alcuna annotazione a margine. Questo elimina un possibile

errore di classificazione, in quanto la scrittura del 1802, essendo un riscontro, lo avrebbe

portato certamente alla luce, e nel contempo conferma che per il Provveditore Guiducci

l'opera era di Paolo Uccello, come lo era del resto per gli altri firmatari dell'Inventario del

1798.

Se San Niccolò del Ceppo superò tutto sommato indenne la soppressione leopoldina pochi

anni dopo si trovò nuovamente ad affrontare un'altra grave crisi, causata questa volta

dall'invasione francese della Toscana, in seguito alla seconda discesa in Italia di Napoleone

Bonaparte. Dopo una prima fugace apparizione a fine settecento, i francesi tornarono in

Toscana, assumendone dal 10 novembre 1807 il pieno dominio. La regione fu suddivisa in

tre dipartimenti (Arno, Ombrone, Mediterraneo secondo quanto previsto dal trattato di

Fointenbleau del 27 ottobre precedente) e dal 30 maggio 1808 venne completamente

annessa all'impero16. In precedenza col “Decreto Imperiale” del 24 marzo 1808 Napoleone

15 La donazione del Puccini avvenne nel 1626. La pressante esigenza è sottolineata nel Ricordo del 23 febbraio 1798. Cfr. Poggi – Bucciardini 2006, p. 44.

16 “L'aggregazione avvenne gradualmente: dapprima il Regno d'Etruria passa sotto il governo di un Consiglio Imperiale, il quale cambia denominazione in Consiglio toscano, e cessa le sue funzioni il 18 marzo 1808; poco dopo gli subentra la Giunta straordinaria di Toscana, istituita con decreto imperiale del 12 maggio 1808. Infine il 30 maggio avvenne la piena annessione della Toscana all'Impero”. Cfr. Bagianti 1985, p. 455.

dispose che tutti i beni delle corporazioni religiose fossero raggruppati presso il demanio,

decreto recepito da parte dell'Amministratore Generale della Toscana che, dall'aprile

successivo, iniziò l'acquisizione e la raccolta dei beni.

Anche alla Compagnia del Ceppo giunse, in data 26 maggio, una notifica da parte del

Consiglio di Stato avente per oggetto: “ottenere articolo per articolo la notizia del

quantitativo dei Luoghi di Monte Comune, di cui è possessora codesta Compagnia....”17.

I francesi non si fermarono qui: infatti, i confratelli ricevettero il 25 novembre 1808 una

circolare che richiedeva lo stato dei patrimoni ecclesiastici, e dal gennaio 1811 presero

diretto possesso della Compagnia, in quanto esentata dalla generale soppressione. Secondo

infatti il “Decreto Generale” del 13 settembre 1810 gli istituti in cui non si facevano voti

perpetui e i cui adepti si occupavano di assistenza agli infermi e di istruzione pubblica,

come era il caso di San Niccolò, potevano continuare ad esistere, previa comunque la

cessione dei locali.

Prima però dell'ingresso del 1811 i francesi obbligarono il Provveditore Guiducci a stilare

un nuovo analitico Inventario, ossia il nostro secondo documento, datato 12 dicembre 1810:

Ricordo come il 10 dicembre 1810 alla Richiesta

dell'Uffizio dei Sant. Della Cura di SS. Simone e Giuda

coerenti agli Ordini e Leggi veglianti, fu consegnato al M.

Giovanni Altoviti Avila Presidente del S. Ufizio dal Nostro

Provveditore, Niccolò Guiducci, l'Invenatrio di tutti gli

Affissi, Mobili, Arredi, ed altro esistente in detto là, la

Copia del quale si conserva nell'Archivio di Nostra

Compagnia nella scatola (Omissis).

Simile documento è composto da 24 pagine e da 256 articoli numerati progressivamente, a

differenza di quello del 1798 che peraltro viene riprodotto anche in questa sede. Infatti le

due facciate parallele che compongono una pagina dell'Inventario sono divise in tre

colonne: Inventario del 13 mag. 1798, colonna in bianco, Inventario del di 12 dicembre

1810 (prima facciata); In consegna al Servo, In consegna al Sottoprovveditore, In Deposito

(seconda facciata). In sostanza la prima facciata vede la stesura dei due diversi Inventari,

con la colonna nel mezzo in bianco ove si trovano saltuarie annotazioni quantitative per lo 17 Ricordi di Tornate..., 1793-1813.

più riprese dalla nota del Guiducci del 1802, mentre nella seconda facciata i singoli articoli

sono divisi in base a chi ne ha la materiale consegna. Anche in questo secondo Inventario

troviamo per l'oggetto n. 78, inerente il Crocifisso fra San Niccolò e San Francesco, il nome

di Paolo Uccello, a diretta conferma del precedente. La differenza formale fra i due

documenti ci permette infatti di affermare che non siamo di fronte ad una copiatura

meccanica di un errore preesistente. L'errore non si ripete, ma casomai è nuovamente e

volontariamente confermato. L'Inventario fu consegnato il 12 dicembre 1810, come si

evince dal Ricordo del 31 marzo 1811 e dal Ricordo del 5 aprile 1811 si evince anche il loro

controllo di tutti gli arredi; una verifica che fu effettuata avendo come riscontro l'Inventario

del 1810:

Ricordo come in questa mattina stante un preventivo avviso

del Sig.re Aldobrandini aggiunto del Maire, ha dato

formalmente il possesso del locale di nostra Compagnia

all'Uf. Dei Santesi di SS. Simone unitamente all'Inventario

di tutto ciò che riguarda il Patrimonio e nota dei debiti, per

rilevare lo Stato esatto avendo portato seco i libri....

L'evento è di per sé storicamente interessante, e lo diviene ancor di più se si considera che

non fu fatto alcun rilievo nel merito del Crocifisso, in buona sostanza anche i francesi

presero per buono il nome dell'Uccello, indirettamente confermando quanto scritto dal

Guiducci. Tale imperizia è alquanto singolare. È noto che i francesi conoscevano e

apprezzavano Beato Angelico, tanto che l'Inconorazione di Maria, oggi esposta al Louvre

di Parigi, fu “carpita” proprio da loro in quegli anni, insieme ad altre opere, tra le quali però

non compaiono lavori dell'Uccello. Ricordiamo infatti che L'intervento di Micheletto da

Cotignola, tavola del trittico de La Battaglia di San Romano giunse al Louvre Parigi solo

nel 1862 e per vie mercantili. Dunque i commissari napoleonici accettarono l'attribuzione

del Guiducci ma l'elenco delle persone che qualificano l'opera come dell'Uccello non si

esaurisce con loro, ma trova un altro epigono a metà ottocento. L'inventario del 1810 infatti

riporta nella prima pagina una nota di cosegna dell'atto da parte di Oreste Fanghi al

Provveditore Luigi Antonio Novellucci18. Scritta in epoca successiva, la diversa calligafria

18 “Orazio Fanghi rimette quest'inventario della Nobile Venerabile Compagnia detta M. Ceppo di Firenze all'Ill.mo Sig. Luigi Antonio Novellucci Provveditore della medesima”.

ed intensità d'inchiostro risulta evidente, la consegna dell'atto può essere datata dal 31

agosto 1841 (giorno della elezione a Provveditore del Novellucci) al 31 marzo 1848 (giorno

della sua dimissione)19. Orbene ad una verifica incrociata sui documenti d'archivio non

emerge nessuna “diversa valutazione” da parte del Novellucci, il quale accetta nella sua

interezza l'Inventario, avvalorando anch'egli di convesso l'attribuzione, che nei fatti era

assai penalizzante per la Compagnia, dato il diverso valore al tempo dei due pittori.

Diversamente la stessa consegna del documento a distanza di oltre trenta anni dalla sua

redazione, con l'esistenza di altri tre atti più recenti in archivio (1825, 1835 e 1840) e di cui

l'ultimo (1840) compilato solo un anno prima della sua elezione, testimonia come

l'Inventario del dicembre 1810 fosse ritenuto assai importante dagli appartanenti del

sodalizio per la vita della Confraternita.

Fortuna critica di Paolo Uccello e Beato Angelico

La fortuna critica di Beato Angelico e Paolo Uccello è stata nel corso della storia assai

diversa. Il Beato Angelico è stato un pitttore apprezzato già in vita (tanto da meritarsi

l'appellativo di Beato quando ancora non lo era)20, lo stesso non si può dire di Paolo di

Dono, la cui rivalutazione, secondo il parere unanime della critica, risale al XIX secolo,

ovvero ad un periodo molto successivo alla data della sua morte (10 dicembre 1475). Sono

veramente pochi gli attestati di stima per Paolo Uccello fino all'ottocento, e bisogna

aspettare il Cavalcaselle, nel 1864, per averne una prima e vera comprensione stilistica. La

“colpa” di tale oblio va principalmente data al Vasari, il quale ha influenzato in maniera

determinante la storia dell'arte per molti secoli; è il Vasari che consacra l'Angelico mentre

sminuisce l'Uccello, anche se l'inclusione di quest'ultimo nelle Vite deve essere considerata

un riconoscimento del suo valore, sia pure in larga parte inespresso. Il Vasari non fu il solo a

non comprendere l'opera di Paolo Uccello; il Manetti, biografo del Brunelleschi, lo definì

come pittore privo d'inventiva, mentre ancora il Lanzi a fine settecento nella sua Storia

pittorica della Italia (1795-96) pur riconoscendogli un impegno nello studio della 19 Cfr. Libro di Deliberazioni del Collegio del Pio Istituto di S. Niccolò del Ceppo principiato il dì 19 aprile 1812,

seduta del 31 agosto 1841, e Ivi, seduta del 31 marzo 1848.20 L'Angelico fu proclamato ufficialmente Beato solo nel 1984, per opera di Papa Giovanni XXIII.

prospettiva, lo indicò come mediocre nelle altre forme di pittura21.

Nel XVIII secolo se, da un lato, storicamente permane la citazione nominale di Paolo

Uccello, si pensi anche alla sua presenza fra gli artisti citati dall'Abate Moreni riguardo il

Monastero del Santo Sepolcro detto della Campora, o la Nunziatina citata dal Richa in Santa

Maria Maggiore, dall'altro continuano i guidizi negativi nei suoi confronti, che trovano

diretta conferma nell'imbiancatura del chiostro di San Miniato, ove il pittore aveva

realizzato un importante ciclo di affresci (Storie dei Santi Padri Eremiti) documentati dalle

fonti. Proprio in virtù della sua inesistente fortuna in questi secoli Procacci attribuì a Paolo

Uccello, fondandosi sul principio della lectio difficilior, il Tabernacolo di Lippi e Macia. Nel

1960 infatti durante lo studio del tabernacolo il Sopraintendente rinvenne l'iscrizione:

“Anno Domini MCCCCXVI Tabernaculum a Paulu Uccello depictum dinotius et Lucas

Albertius de Lippis restauraverunt anno Domini MDCCXVI die VIII octobris”. Il critico

attribuì il tabernacolo all'Uccello, in quanto la citazione di tale nome nel 1716 faceva

supporre l'esistenza di qualche documento che lo attestasse, oppure che l'opera fosse in

origine firmata. Era talmente acuta l'osservazione del Procacci che la critica successiva l'ha

in gran parte accettata (Tongiorgi-Tomasi 1971, Parronchi 1974, Padoa-Rizzo 1991), anche

se non in modo unanime. Alcuni studiosi infatti - Boskovits 1970, Borsi e Borsi 1992 -

hanno sostenuto che lo stile dell'opera è assai difforme rispetto a quello noto dell'Uccello e

ciò induce a pensare non ad una sua opera autografa ma ad un errore del restauratore

settecentesco, reo di aver confuso il nome latino di Paolo Uccello con quello di Pietro Nelli,

pittore fiorentino di fine trecento – primo quattrocento, avente stile più consono all'opera in

questione. Senza volersi ora addentrare nel periglioso problema di una oggettiva difficoltà

nel compiere simile errore (la grafia latina dei due nomi è molto diversa), rimane il fatto che

i critici non mettono minimamente in dubbio la lectio difficilior rispetto a Paolo Uccello,

lectio difficilior che nel nostro caso è esente da qualsiasi errore di trascrizione o confusione,

come in precedenza dimostrato. A nostro parere non fa testo nemmeno il caso della perduta

opera La Vergine fra San Girolamo San Giovanni Evangelista e la Maddalena della

Compagnia di San Giovanni Battista, detta dello Scalzo. L'affresco, situato sul muro di una

cappella della Compagnia, è citato per ben tre volte in due diversi atti della pia istituzione:

in una descrizione delle stanze del 1708, ove le viene affiancato come autore un generico

“allievo dell'Uccello”, mentre nell'indice dei documenti del 1745 lo troviamo prima dato

all'Uccello, poi col nome di Salvadore di Giuliano. Come detto l'opera in questione è andata 21 Cfr. Lanzi 1834, p. 48.

perduta e quindi è impossibile ogni giudizio in merito, si nota però come nell'incertezza si

rimanga nell'alveo di Paolo Uccello, e che ad oggi il nome di Salvadore di Giuliano è

pressoché sconosciuto alla Storia dell'Arte, e quindi non può essere esclusa la possibilità che

Salvadore di Giuliano fosse un allievo del maestro di Pratovecchio. Questo tipo di

confusione quindi non può essere usata come argomento per dequalificare le attribuzioni

settecentesche a Paolo Uccello, che non lo vedono comunque scambiato con pittori a lui

contemporanei ma stilisticamente diversi. Peraltro queste tre citazioni settecentesche di

Paolo Uccello non sono di per sé bastanti per poter affermare una sua “fortuna critica”,

basti pensare che ancora nel 1785 a Firenze, oltre alle chiese e i conventi, si avevano ben

250 Confraternite di varia natura, ove venivano custodite, tra le altre cose, un cospicuo

numero di opere d'Arte.

Lo scarso riconoscimento artistico di Paolo di Dono in questo periodo trova ulteriore

conferma nel collezionismo che proprio verso la metà del settecento si adoperò per una

prima rivalutazione degli artisti quattrocenteschi con numerosi acquisti dei cosiddetti

“primitivi” da parte di privati22. Orbene è conosciuta, nel primo ottocento, solo la presenza

di tre opere di Paolo Uccello nella collezione di Artaud de Montor, che radunò ben 108

opere di 38 maestri diversi23, e niente più.

Dopo il citato Cavalcaselle saranno le avanguardie di primo novecento a rivalutare Paolo

Uccello, inteso come “precorritore del gusto moderno, della pittura cubista e metafisica”24,

gettando così le fondamenta per il giusto riconoscimento del suo valore artistico,

apprezzamento che si consoliderà per tutto il XX secolo. Di contro, però, si deve

evidenziare che ancora in questo secolo è rimasta lacunosa la conoscenza della vita

dell'artista, di cui si hanno scarsissime notizie. Si pensi, ad esempio, che dalla data della sua

immatricolazione all'arte che includeva i pittori, Arte dei Medici e Speziali (1415), siamo

solo a conoscenza dei suoi perduti affreschi per la Cappella Carnesecchi in Santa Maria

Maggiore (1423-25), incerti i suoi lavori a Venezia (1425-1430 c.a), e bisogna aspettare

quasi venti anni per avere una sua opera conclamata, gli affreschi della Cappella

dell'Assunta a Prato (1435). Alla luce di tutto ciò si deve evidenziare come i confratelli del

Ceppo s'adoperavano nel 1798 e nel 1810 in una autentica operazione di lectio difficilior

citando un artista che all’epoca aveva uno scarso valore patrimoniale, dunque quel nome

22 Cfr. De Benedictis 1991, p. 130.23 Cfr. Previtali 1989, p. 222. Per una panoramica completa del collezionismo europeo si rimanda al testo citato, in

particolare pp. 209-237.24 Cfr. Tongiorgi-Tomasi 1971, p. 10.

probabilmente o era stato tramandato dalla tradizione orale dei confratelli della compagnia

oppure era impresso nell'opera come firma, in parti ad oggi perdute. Diversamente i

confratelli potevano tranquillamente annotare l'opera come “della scuola dell'Angelico”,

come avevano fatto per la “scuola d'Andrea” per l'affresco del De Wit, aumentandone di

certo il prestigio.

La forma originaria

L'esistenza di parti ad oggi mancanti ma presenti nella forma originaria dell'opera

emerge dall'analisi degli inventari presenti in archivio, e da altre fonti esterne.

Come visto infatti nei documenti del 1798 e del 1810 l'opera è descritta completa di altare,

cornice e predella, elementi che inducono a pensare ad una tavola come forma originaria.

Anche nel precedente inventario del 1784 la Crocifissione è descritta come: “Un altare di

legno con grado e Tavola intagliata, e dipinta in cattivo grado, e predella simile”, elementi

ancora presenti per l'ultima volta nel 1825, per poi scomparire a partire dall'inventario del

1835. Se già di per sé tali descrizioni ci conducono in direzione di una tavola d'altare e non

di un sagomato in origine, come invece ipotizzato da taluni critici che hanno individuato in

simile aspetto uno degli elementi fondanti per l'attribuzione all'Angelico25, anche l'uso del

termine “tavola” corrobora tale convinzione, termine peraltro usato anche dal Cinelli sul

finire del seicento. In questo contesto è rilevante il Ricordo del 1610-1611 inerente il

pagamento al legnaiuolo Vincenzo Sassi, per aver “tagliato dua santi, e ristretti e messo

sprange dreto che li tengono accomodato el crocifisso (…) e confitte dette figure e

adornamento”. La scrittura è di per sé illuminante in quanto, dato per assodato che non si

faccia alcun riferimento al taglio del busto del san Francesco, la cui copia risale a due secoli

dopo simile lavoro, l'operazione del Sassi ha senso logico solo nel caso in cui il legnaiuolo

si trovasse di fronte ad una tavola d'altare, come peraltro convenuto anche dalla Improta,

giunta anch'essa alle nostre conclusioni, senza peraltro avere a disposizione tutti i nostri

elementi26. Il taglio del Sassi si rese probabilmente necessario per trasportare l'opera

25 Collobi Ragghianti, Pope – Hennessy, Bellosi e Salmi si sono espressi in tal senso. Si precisa che per Salmi ritiene l'opera di bottega e non del Maestro. Interessante l'ipotesi di Strehlke, che vede nella sagomatura l'elemento distintivo dell'opera, atta ad essere usate dai confratelli per le sacre rappresentazioni. Cfr. Strehlke 1993, pp. 13-14.

26 “I documenti pubblicati da Ludovica Sebregondi alcuni anni or sono dimostrerebbero che la tavola non era sagomata fin dall'origine, ma lo divenne nel 1611 per l'intervento del pittore Giovanni di Zanobi e del legnaiuolo Vincenzo Sassi che ridusse la composizione”. Cfr. Improta 1990, p. 71.

dall'Altare Maggiore, ove era posta, alla sagrestia, viste le ridotte dimensioni della porta che

dall'oratorio conduce al suddetto luogo, che impedivano di fatto un trasporto “unitario”

dell'opera. Dal complesso di questa ricostruzione emerge come originariamente il Crocifisso

fra i Santi Niccolò e Francesco fosse una pala d'altare, e non deve fuorviare la citata dicitura

del 1784, poiché l'aggettivo “intagliata” si spiega con il lavoro eseguito dal Sassi un secolo e

mezzo prima. La forma originaria dell'opera è elemento essenziale per il giudizio stilistico,

in quanto ne esistono tuttora altre due, assai affini alla nostra, che però hanno condotto la

critica d'arte verso autori diversi dall'Angelico; si fa riferimento alla Crocifissione fra i Santi

Francesco e Girolamo [http://www.nga.gov/fcgi-bin/tinfo_f?object=250&detail=exhibit]

conservata nella collezione Kress della National Gallery di Washington, e alla Crocifissione

fra i Santi Francesco e Girolamo e Maria Maddalena collocata all'altare della cappella

Antinori nella chiesa di San Gaetano a Firenze.

Entrambi i dipinti, benché con giudizio stilistico non univoco, sono attribuiti alla mano del

Pesellino, pittore fiorentino del quattrocento, o ad una generica “scuola lippiana”. Le tre

opere, come possiamo vedere, hanno evidenti punti in comune, aspetto peraltro già notato,

nel caso del Crocifisso della cappella Antinori, da Salmi nel 1958. La somiglianza dei due

San Francesco è palese, mentre di diversa qualità è la figura del Cristo, che nel caso di San

Niccolò appare superiore, con una accentuata fisicità, vero elemento distintivo tra le due

opere, oltre ai diversi Santi raffigurati (San Niccolò e San Girolamo). La Crocifissione di

San Gaetano assume importanza ancor più rilevante se confrontata con quella di

Washington: in questo caso è il San Girolamo a rappresentare l'elemento di congiunzione fra

le due, poiché la figura del San Girolamo è praticamente identica, anche se nel dipinto della

collezione Kress abbiamo una notevole novità, in quanto, seppur di più ridotte dimensioni, è

giunto a noi per intero, essendo stata tagliata invece anche la tavola di San Gaetano.

Nell'opera di Washington abbiamo sì in primo piano la Croce con i Santi, ma vediamo anche

la presenza di una “simbolica Gerusalemme” alle spalle dei personaggi, contesto scenico

ovviamente assente sia dal Crocifisso di San Gaetano, sia da quello del Ceppo, che invece

ritroviamo in un'altra opera dell'Uccello, ovvero ne La Lapidazione di Santo Stefano nella

Cappella dell'Assunta del Duomo pratese, il cui paesaggio è stato definito come una sorta di

“Roma-Gerusalemme toscanizzata, quasi metafisica”27.

27 Cfr. Padoa Rizzo 1997, p. 53. Per quanto riguarda la “simbolica Gerusalemme” del Pesellino si veda Boskovits-Brown 2003, p. 570.

Crocifissione fra San Girolamo, San Francesco e Maria Maddalena (metà XV secolo),

bottega Paolo Uccello (?), Cappella Antinori, Chiesa San Michele e Gaetano, Firenze.

Aldilà di questa ulteriore affinità fra l'Uccello e i due quadri del supposto Pesellino, si deve

comunque prendere atto che il Crocifisso di San Niccolò alla stato attuale, mutilato di più

parti ormai perdute (cornice, predella, contesto scenico), offre una lettura stilistica alquanto

parziale e non scevra di possibili fraintendimenti, e che nel suo complesso non può offrire

un giudizio stilistico esaustivo in grado di confutare, oltre ogni ragionevole dubbio, una

ricotruzione storica-documentaria.

Origine di San Niccolò del Ceppo e del culto girolamita

Dopo aver appreso la presenza di due diversi e attendibili Inventari (1798, 1810) che citano

il nome di Paolo Uccello come autore dell'opera di maggior pregio della Confraternita di

San Niccolò del Ceppo, è necessario chiedersi se questo pittore abbia avuto un qualche

legame con questo sodalizio, oppure se il fatto che venga citato sia frutto del caso.

Per rispondere a tale quesito bisogna risalire alle origini di San Niccolò del Ceppo nel

XV secolo. È di questo secolo infatti la prima documentazione inerente alla Compagnia,

secondo quanto riportato dalle Memorie settecentesche della medesima:

La Venerabile Compagnia di San Niccolò detta del Ceppo,

fondata il 1° maggio dell'anno 1417 da alcuni confratelli da

quella omonima d'Oltrarno, distaccatisi da essa per desiderio di

servire il Signore con più rigorosa osservanza delle 'Regole' e

maggior fervore di spirito, è una delle quattro Compagnie della

nostra città approvate e confermate dal Pontefice Eugenio IV di

felice memoria28.

28 Memorie della Venerabile e nobile Compagnia di S. Niccolò vescovo detta del Ceppo, raccolte da me Giovanni Antonio Martini, indignissimo fratello di detta Compagnia l'anno 1720.

Senza or troppo indugiare sulle incerte origini tardo trecentesche della Compagnia29,

la data del 1° maggio 1417 è unanimemente accettata come quella dell'insediamento della

Confraternita di fanciulli di San Niccolò del Ceppo nelle immediate vicinanze dell'Ospedale

delle Sette Opere della Misericordia detto del Ceppo, chiamato poi dei Santi Filippo e

Jacopo della Torricella, santi patroni del 1° maggio. L'insediamento dei giovani di San

Niccolò era stato reso possibile grazie ad una concessione del Vicario dell'Osservanza

Francescana Niccolò da Uzzano, cugino ed omonimo del celebre diplomatico, il quale in un

codicillo del suo testamento impose che una delle due case poste nei pressi dell'orto

dell'Ospedale del Ceppo fosse in uso “de' giovani della compagnia di San Girolamo...”30.

Era infatti prassi comune che insieme alle Compagnie di disciplina, quale San Girolamo era,

si sviluppasse una Compagnia di fanciulli, in questo caso San Niccolò. Analoghi casi vi

furono sempre per la Compagnia di San Girolamo in San Marco con la Compagnia della

Natività fondata nel 1411 in SS. Annunziata, la quale nel 1427 si divise in due gruppi: uno

mantenne il primigenio nome e si trasferì presso l'Ospedale di Santa Maria della Scala,

mentre il secondo gruppo, denominato della Purificazione, trovò ricovero in San Marco31.

Se non esistono dubbi sull'individuazione dei fanciulli di San Niccolò come i “giovani di

San Girolamo”, parimenti non deve sorprendere la generosità del francescano, in quanto

Fra' Niccolò da Uzzano era confratello fin dal 1410 della Compagnia di San Girolamo32, ed

era stato, nel 1413, uno dei componenti iniziali della Compagnia delle Sette Opere della

Misericordia, Confraternita a cui si doveva la creazione dell'Ospedale medesimo.

Nel 1413 infatti 10 benefattori della città di Firenze, Frate Agostino di Bartolo,

Maestro Bartolomeo Tacci, Fra' Niccolò da Uzzano, Jacopo di Niccolò Corbizzi, Giovanni

di Betto Busini, Michele di Giusto di Andreuccio, Francesco di Lorenzo Bianciardi,

Giovanni di Andrea Bonanni, Amideo di Santi di Ricco Bucelli, Bartolomeo di Bernardo

della Rena, costituirono la Compagnia delle Sette Opere della Misericordia, riconosciuta dal

Vescovo Amerigo Corsini nel luglio del medesimo anno, per dar seguito alle volontà

testamentarie dei fratelli Santi e Ricco Bucelli che avevano disposto la costruzione di un

ospedale per sostentamento dei pellegrini, ma che a causa dei dissesti finanziari che

29 Ad oggi non è possibile affermare con certezza la Compagnia come originaria dell'Oltrarno. L'omonima di San Niccolò è infatti una compagnia di disciplina con sede nella chiesa del Carmine, mentre San Niccolò del Ceppo è una Compagnia di fanciulli. Per alcuni invece proviene da una Compagnia di Laudesi del quartiere di San Niccolò. Come vedremo in seguito non è possibile scartare l'origine fiesolana del sodalizio.

30 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1985, p. 4.31 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1991, p. 14.32 Cfr. Ivi, p. 16.

avevano colto la famiglia non era stato possibile costruire in precedenza33. Fu infatti grazie

alla generosità dell'Uzzano che si poté rendere effettivo il testamento dei Bucelli dando così

inizio alla fabbrica di questo nuovo Ospedale in una zona adiacente a via Jacopo tra i' Fossi

(attuale via de' Benci), Ospedale detto poi del Ceppo.

Un dato certamente interessante è che nel nucleo originario della Compagnia delle

Sette Opere della Misericordia l'Uzzano non era l'unico confratello di San Girolamo;

Giovanni di Betto Busini e Francesco di Lorenzo Bianciardi dal 1410, Maestro Bartolomeo

Tacci dal 1411, Michele di Giusto di Andreuccio dal 1412 e Frate Agostino di Bartolo dal

1413 erano anch'essi già appartenenti alla Compagnia del santo dalmata, creando nei fatti

uno stretto connubio fra la medesima e l'Ospedale e oltremodo legittimando la presenza di

San Girolamo in quell'ambiente. A questo punto sarà necessario fornire qualche notizia

inerente la Compagnia di San Girolamo a Firenze, poiché pare essere Istituzione legata in

qualche misura alle nostre ricerche.

L'origine di questo sodalizio va ricercato nell'opera del terziario francescano Carlo

Guidi da Montegranelli, il quale intorno al 1360 si ritirò a vita eremitica per poi fondare a

Fiesole un romitorio dedicato al culto di San Girolamo34. Leggenda vuole che in quel luogo

fosse ospitato anche il predicatore domenicano Giovanni Dominici in attesa che fosse

edificato il convento di San Domenico e che fu lo stesso Dominici a convincere il Guidi a

trasformare i “girolamini” in ordine secolare35, come poi avvenne nel 1405 per opera di

Papa Innocenzo VII che impose loro la regola Agostiniana.

Se agiografia vuole che fu il domenicano Dominici a spingere il Guidi nel

riconoscimento della sua congregazione deve essere certamente precisato che il movimento

dei girolamini a Fiesole si sviluppò inizialmente grazie al proficuo rapporto con

l'Osservanza Francescana, basti pensare oltre al citato Uzzano, alla presenza nel sodalizio

laicale di San Bernardino da Siena e che lo stesso Guidi fosse un terziario di quell'ordine.

L’Osservanza Francescana nel 1390 aveva creato il suo primo insediamento in Toscana,

sempre a Fiesole nel monastero di Santa Maria del Fiore, attuale San Francesco, grazie

33 Per le vicende del primo nucleo della Compagnia delle Sette Opere della Misericordia si rimanda a L. Passerini 1853, pp. 190-192.

34 Cfr. Raspini 1963, pp. 798-799 e Sebregondi Fiorentini 1991, p. 3.35 “E' degno di speciale ricordanza il fatto narrato da vari storici e confermato dalla Cronaca del Convento che il Beato Dominci con i suoi compagni (…) dimorò per qualche tempo nel Romitorio dei Padri Gerolamiti (…) e ivi strinse dolce amicizia col Beato Carlo da Monte Granello primo istitutore dei Gerolamiti (…) e lo stesso B. Dominici fu, secondo il Moreni, che consigliò il Beato Carlo a dato principio a quell'austero istituto”. Cfr. P. Lodovico Ferretti 1901, pp. 9-11.

all'aiuto del nobile fiorentino Guido del Palagio36.

Tornando al Guidi bisogna dire come numerosi fiorentini attratti dalla sua fama di

santità iniziarono a recarsi a Fiesole, al punto tale che fu creata una Compagnia laicale

parallela all'ordine con sede a Firenze nell'Ospedale di San Nicola di Bari (poi San Matteo,

dal nome del protettore dell'Arte del Cambio), meglio conosciuto come Ospedale di Lelmo,

dalla contrazione del nome del suo fondatore Guglielmo Balducci, ubicato in piazza San

Marco (attuale Accademia delle Belle Arti). Già dal 1410 abbiamo notizie di detta

Compagnia, mentre è del 25 marzo 1412 l'approvazione dei Capitoli della Compagnia di

San Girolamo da parte del Vescovo Amerigo Corsini, Confraternita che nel 1413

annoverava al suo interno le più importanti cariche ecclesiastiche della città: lo stesso

Amerigo Corsini, Don Francesco Altoviti generale di Vallombrosa, Don Niccolò Rondinelli

abate di Badia, Fra Pagolo Lapi correttore di Ognissanti, Raffaele Bonciani priore di San

Benedetto, Don Bernardo Morelli abate di San Salvi, Maestro Albizi Nelli del Carmine,

Leonardo di Stagio Dati di Santa Maria Novella, eletto poi nel 1414 Generale dell'Ordine

Domenicano.

Fin dal dal 1411 vi era inscritto Mess. Bindo Rustichelli Vescovo di Fiesole e nel 1412

Mess. Giuliano de' Ricci Arcivescovo di Pisa, senza dimenticare il citato fra' Niccolò da

Uzzano, il beato Tommaso Bellacci e San Bernardino da Siena, altissime figure

dell'Osservanza francescana.

Non deve quindi sorprendere se, insieme a questi, troviamo fin dalle origini iscritti a

San Girolamo esponenti delle più importanti famiglie fiorentine: i Capponi con Rocco

Capponi (1414) e Cappone di Bastiano Capponi (1415), gli Albizi con Maso di Rinaldo

(1418) e Giovanni di Niccolò (1431), i Gianfigliazzi con Giannozzo (1413) e Mariano di

Piero di Stoldo (1433), i Guasconi con Bindo di Baldino (1410), gli Aldobrandini con

Pagolo di Giorgio (1410), i Carnesecchi con Matteo di Niccolò (1412), i Tornaquinci con

Maestro Simone (1413), i Castellani con Antonio di Giovanni (1413), i Pazzi con Giorgio di

Ser. Antonio (1418), i Niccolini con Francesco di Niccolò (1420), gli Antinori con Battista

di Matteo (1420), i Bencivenni con Niccolò (1410) e Piero di Piero (1425), i Portinari con

Giovanni d'Antonio (1425), i Davanzati con Riniero di Piero (1425), i Salviati con Bernardo

di Marco di Forese (1431), gli Strozzi con Francesco di Benedetto (1431), i Baroncelli con

Lorenzo d'Agnolo (1433), i Bonsi con Ugolino di Donato (1433).

36 Cfr. Pulinari 1913, p. 319. Per notizie più dettagliate sulle origine trecentesche del Monastero, cfr. Raspini 1982, pp. 63-67.

Nei fatti dunque possiamo affermare che dal secondo decennio del Quattrocento sia le più

alte cariche ecclesiastiche sia parte dell’aristocratica fiorentina appartenevano alla

Compagnia di San Girolamo, fatto questo che fornisce l'esatta misura dello spessore della

Compagnia, certamente la più potente del tempo, come si comprende dalla sua mancata

soppressione del 1419. In quell'anno infatti il Comune decise di sopprimere ogni tipo di

Confraternita laicale, poiché in queste più che compiere atti religiosi ci si occupava di

faccende di Stato, eccetto quella di San Girolamo poiché inseriva il “lume” nelle persone di

Governo:

“Essendo prevalso in Consiglio l'opinione del doversi tor via

l'abuso scorso con troppo disordine del discorrere che si facevano

nelle Compagnie delle cose appartenenti allo Stato, invece di

Lodare Iddio, e mortificar la carne, al quale effetto sono istituite

e fondate, si decretò nel 1419 che tutte si fermassero, e a questa

sola per grazia speciale a parte, notò ser Piero Dossi, allora

assistente alle deliberazioni del Senato, si concesse di proseguire,

quali si intendesse il compendio e la perfezione di tutte le altre,

fosse lì atta a inserire e la virtù e quel celeste lume necessario

nelle persone di Governo”37.

D'altra parte l'evento non deve stupire molto; ricordiamo che quelli sono gli anni nei quali

con lo scrutinio “pilotato” del 1393, ove l'ingerenza di Maso degli Albizi fu palese,

s'instaurò un regime oligarchico legato strettamente alla famiglia Albizi che perdurò

incontrastato fino al 1434, ovvero fino al ritorno di Cosimo il Vecchio da Venezia 38.

Scipione Ammirato nelle Istorie fiorentine non solo conferma simile situazione ma non si

perita a trasmetterne i nomi, molti dei quali assai “vicini” a San Girolamo: “Io non scriverei

i nomi di costoro, se non servisse per mostrare che questi cittadini in somma erano la

maggior parte di coloro, che in tutto quel tempo reggevano; perciocché chi ben riguarda,

sempre alcun di costoro troverà essere, o de' Dieci di Balia, o Gonfaloniere di Giustizia o

37 Cfr. Ferdinando L. del Migliore 1976, p. 255.38 Per una disamina circostanziata delle vicende elettorali del periodo “albizzesco” si rimanda al saggio di Renzo

Ninci, Lo scrutinio elettorale nel periodo albizzesco (1393 – 1434) contenuto in Istituzioni e società in Toscana nell'età moderna, atti delle giornate di studio in onore di Giuseppe Pansini, Firenze, 1994, vol I.

Ambasciatore, o in altra grave faccenda della Repubblica adoperato. Furono dunque questi:

Filippo Corsini, Andrea Vettori, Giannozzo Biliotti, Nofri Arnolfi, Rinieri Peruzzi, Lionardo

dell'Antella, Donato Acciaiuoli, Rinaldo Gianfigliazzi, Francesco Rucellai, Maso degli

Albizi, Bartolomeo Valori e Francesco Fioravanti ai quali chi aggiungesse Andrea

Minerbetti, Guido del Palagio, Forese Salviati, Lorenzo Ridolfi, Michele e Lotto Castellani,

avrebbe preso tutti i capi della Repubblica raccontati”39.

Santa Maria del Santo Sepolcro

La presenza in quegli anni di importanti esponenti delle famiglie Corsini, Albizi, e Capponi

pone poi la stessa Compagnia in stretto contatto con un altro importante nucleo girolamita,

quello di Santa Maria del Santo Sepolcro, detto della Campora, monastero fondato da

Bartolomeo Tomasi fra il 1348 e il 1358. In verità il creatore di questo ordine di San

Girolamo era stato Bartolomeo Bonomi da Pistoia intorno agli anni venti del Trecento nelle

colline del Chianti, per poi trasferirsi intorno al 1333 a Firenze (zona Bellosguardo)

ottenendo, nel 1334, dal Legato Apostolico di Toscana, Cardinale Giovanni di Caetano

Orsini, di vivere sotto la Regola di Sant'Agostino40. Nel 1348 un’epidemia di tisi costrinse

gli agostiniani a riparare in un luogo più salubre individuato nella vicina via della Campora

ove fu creato il Monastero di Santa Maria del Santo Sepolcro.

Aldilà del Tomasi la figura che certamente ha più influenzato la vita di questa

comunità fu quella di Benedetto Tedaldi, priore dal 1361 al 137341, poiché sotto il suo

priorato vi fu un crescendo di donazioni da parte delle ricche famiglie fiorentine che fece

della Campora un corrispettivo curiale dell'elité economica e culturale della città.

Gli Albizi, gli Ottaviani, i Bartolini, i Del Pugliese, i Malaspini, i Rondinelli, i Capponi,

avevano effigiate le loro arme gentilizie nelle varie cappelle, per merito delle donazioni fatte

al Monastero42, mentre Giovanni Boccaccio lasciò nel 1374 al monastero per volontà 39 Cfr. Scipione Ammirato 1853, pp. 276-77.40 Cfr. Lorenzo Pecchioni 2001, pp. 139-140.41 Pur vivendo fino al settembre del 1387 Benedetto Tedaldi rinunziò al suo priorato il 1 febbraio 1373 in favore di fra

Angelo di Francesco. Cfr. ivi., p. 173.42 Cfr. ivi., 159-165.

testamentaria tutte le sue sacre reliquie43, lascito che testimonia l'importanza del monastero

a questa altezza cronologica.

Grazie alla fama del Tedaldi, nel 1372 Papa Gregorio XI indicò agli eremiti iberici

seguaci di San Girolamo, come riferimento e guida spirituale il modo di vivere dei monaci

della Campora, autorizzandoli a chiamarsi girolamini, sotto la Regola di Sant'Agostino44.

L'indicazione della Campora fu suggerita al Papa dal fidato Cardinale Pietro Corsini, la cui

famiglia era anticamente legata alla Campora, e che con la presenza del nipote e Vescovo

Amerigo Corsini in San Girolamo del Ceppo diventa autentico trade d'union tra

quest'ultima Compagnia e la Campora. Pietro Corsini fu Vescovo Firenze fra il 1363-70 e

Cardinale di Papa Gregorio XI e di Papa Urbano V ad Avignone, ove morì il 16 agosto 1403

per essere poi sepolto in Santa Maria del Fiore. Per il suo ruolo religioso e diplomatico, fu

personaggio molto influente della vita cittadina: si ricorda infatti la sua vasta biblioteca, tra

cui compare anche l’opera del Villani, e la sua centralità nel promuovere lo Studio

fiorentino e la diffusione di testi grechi tradotti in latino, tra cui il De Ira di Plutarco.

Da notare che fra le personalità che promossero la costruzione di Santa Maria del Santo

Sepolcro troviamo il futuro Vescovo di Fiesole Neri Corsini, nipote e successore di

Sant'Andrea Corsini, cugino di Pietro, ennesima riprova del legame dei Corsini con i

girolamini della Campora45. Tra l'altro il Vescovo fiesolano Andrea Corsini fu colui che nel

febbraio 1369 presenziò alla posa della prima pietra per la nuova chiesa di San Michele

Visdomini, eretta exnovo in un appezzamento di terreno concesso dalla famiglia Del

Palagio, fra le attuali vie de' Servi e Bufalini, in quanto quella antica era stata distrutta per i

lavori d'ampliamento della nuova Cattedrale.

La Famiglia Del Palagio risiedeva nella detta via de' Servi, come la famiglia Tedaldi, in una

singolare coincidenza urbanistico-religiosa. L'esponente di spicco della famiglia Del

Palagio, infatti, Guido del Palagio, fu figura di primo piano dell'ultimo scorcio del XIV

secolo46; legato, mediante la moglie Niccolosa, alla famiglia Albizi, ricoprì diversi incarichi

pubblici47 e fu uomo di profonda religiosità, cosi fervida da essere considerato l'autentico

43 Cfr. ivi, pp. 167-170.44 Cfr. ivi., pp.18-19.45 Cfr. ivi. p. 156. Per quanto riguarda la famiglia Corsini si rimanda a Il Libro di Ricordanze dei Corsini, di Matteo di

Niccolò Corsini, a cura di Armando Petrucci, Ist. Storico Italiano per Medio Evo, Roma 1965. 46 A riprova di ciò si pensi che Buonaccorso Pitti chiese a Lui chi scegliere come moglie. Cfr. Cronica di Buonaccorso

Pitti, 2009, pp. 76-77.47 Guido del Palagio fu Ambasciatore nel 1380 presso Carlo di Durazzo e a Genova nel 1392 insieme a Filippo

Adimari e Ludovico Albergotti per discutere la pace con Milano; nei Dieci di Balia nel 1388, fu Gonfalone di Giustizia nel 1394 (eletto per plebiscito) e nel 1397, mentre nel 1398 fu Gonfalone di Compagnia. Muore di peste il 25 Agosto 1399. Cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, voce Guido del Palagio,

fautore della conversione del ricco mercante pratese Francesco di Marco Datini.

Vicino al vallombrosano Giovanni delle Celle e all'agostiniano Luigi Marsili ma

sostanzialmente legato nel suo ultimo scorcio di vita all'Osservanza francescana, Guido del

Palagio era stato anche un lettore delle Epistole di San Girolamo in volgare48, nonché un

precoce seguace di San Girolamo, come la sua cappella in San Michele Visdomini dimostra.

La cappella in questione infatti. dedicata all'Assunta, aveva un intero ciclo pittorico dedicato

a San Girolamo, opera probabilmente di Mariotto di Nardo, come avanzato da De Vries49,

testimonianza diretta del culto del Santo dalmata da parte della famiglia Del Palagio.

Come Guido Del Palagio, anche il mercante pratese Francesco di Marco Datini fu

vicino ai girolamini, come dimostra il lascito al convento di Sant'Anna di Prato, convento

che dal 1369, per volere del Vescovo Pietro Corsini, era stato unito alla Campora50.

Nel testamento del 1410 il Datini lasciò infatti al Convento di Sant'Anna la cospicua somma

di 100 fiorini, suddivisi metà ai frati del Convento e metà per la costruzione di una volta e

logge fra la Chiesa e la porta del chiostro51. Il Convento di Sant'Anna fu in prima istanza

offerto all'Osservanza francescana quando questa volle insediarsi a Prato ma allo stesso fu

preferita, nel 1439, la Villa del Palco - poi San Francesco al Palco - antica villa del Datini,

suscitando non poche rimostranze nei pratesi, dato che il magnanimo concittadino aveva

richiesto esplicitamente che in quel luogo non vi fosse eretta chiesa alcuna. La questione fu

risolta in favore degli osservanti grazie all'intercessione di Cosimo il Vecchio e del Vescovo

di Pistoia, Giovanni dei Medici, poiché fu riconosciuta una “particolare” vicinanza del

Datini all'Osservanza52 e simile disputa non deve essere fuorviante rispetto al proficuo

rapporto fra il Ceppo pratese e l'Osservanza francescana, come dimostra anche l'operato di

San Bernardino nella città della Sacra Cintola53.

48 Cfr. Guasti 1880, vol. I, p. 6149 Cfr. Anneke de Vries, Mariotto di Nardo and Guido del Palagio: the Chapel of St. Jerome at San M. Visdomini in

Florence, in Mitteillungen des Kunsthistorischen, 2006. In questo articolo la De Vries avanza che la tavola d'Altare per la cappella sia il trittico dell'Assunzione di Mariotto di Nardo, oggi a Pesaro.

50 Cfr. Pecchioni 2011, p. 174.51 Cfr. Dami 1910, p. 80. Nella chiesa di San Francesco, ove il Datini fu tumulato, destinataria anch'essa di un lascito

di 510 fiorini, Fillippo Lippi fra il 1459-60 dipinse nelle lunette del chiostro costruito con il soldi del Ceppo, San Francesco che riceve le stigmate, San Lorenzo e Santo Stefano, San Girolamo penitente e la Madonna col Bambino, ulteriore segno della vicinanza del Datini a San Girolamo. Cfr. Gurrieri 1968, pp. 64-65.

52 “Ma la causa della dissenzione in fra i frati e la Comunità di questo sito era, perché sopra il detto monticello era una casa o vero palazzo d'uno divotissimo all'Ordine, che di già era morto, cioè del nobile mercante Francesco di Marco di Datino (…) Ma i frati al contrario adducendo, affermavano che Francesco avanti che fondasse il Ceppo, avea voluto dar loro tutte le sue ricchezze e poderi.... “. Cfr. Pulinari 1913, p. 366.

53 Querelle fra terziari e Osservanti non erano nuove al tempo, basti pensare al caso del Monastero di San Girolamo e San Francesco sulla Costa San Giorgio. Detto luogo, fondato da fra Agostino di Bartolo nel 1416 e strettamente connesso al San Girolamo e San Niccolò del Ceppo, fu “regolarizzato” da Papa Eugenio IV nel 1433 che concesse loro la possibilità di eleggersi una Ministra, ed è stato il principale luogo da dove partirono le monache Osservanti per i nuovi insediamenti in Toscana: San Lino a Volterra, San Giovanni del Valdarno, San Girolamo di Castiglioni, San

Ad oggi non è possibile certificare una conoscenza diretta fra Carlo Guidi da

Montegranelli e Benedetto Tedaldi, i due autentici “iniziatori” del culto girolamino a

Firenze e conseguentemente l'individuazione della Campora come luogo ispiratore anche

per il Montegranelli, anche se l'opera profusa dal Tedaldi nella valle del Mugnone54,

unitamente alla sua origine fiesolana fa supporre che i due, per lo meno di fama, si

conoscessero.

In tal senso è utile ricordare come Guglielmo Balducci, fondatore dell'omonimo Ospedale

che darà poi ricetto ai girolamini fiesolani, fosse tra i donatori del Monastero di San

Michele alla Campora, fondato intorno al 1357 da Monna Data Benci per concessione del

Vescovo Filippo dell'Antella55, Monastero anch'esso agostiniano e legato ai girolamini di

Santa Maria del Santo Sepolcro.

Purtroppo a causa della precoce scomparsa da Firenze dei girolamini della Campora,

datata 1434, le notizie su questo convento sono assai scarse; sappiamo che è solo del 1408 il

riconoscimento “ufficiale” come ordine girolamino sotto la Regola di Sant'Agostino da

parte di Giovanni Dominici, nonostante che già dal 1372 la Campora fosse ritenuto un

esempio per i seguaci di San Girolamo, mentre sono poco chiare le motivazioni che

spinsero Papa Eugenio IV ad allontanare questi girolamini da Firenze e a donare il loro

monastero ai monaci benedettini della Badia, che ne presero possesso dal Novembre 1434.

La motivazione ufficiale infatti fu nella riduzione numerica dei seguaci, ma questa

appare quanto meno singolare, per un Ordine che fino a pochi anni prima raccoglieva buona

parte dell'elité cittadina, al punto tale che ancora nel 1422 i girolamini avevano impedito

una analoga pretesa di possesso sempre da parte dell'Abate di Badia Gomezio, grazie

all'intercessione di alcuni componenti della famiglia Albizi che dissuasero i loro

consanguinei a dar man forte ai benedettini56. Viceversa proprio i legami con questa

famiglia, antimedicea per eccellenza, e la singolare coincidenza temporale fra il rientro in

città di Cosimo il Vecchio dall'esilio veneziano, preceduto nel settembre del '34

dall'estrazione di una Balia del tutto filomedicea, fanno supporre che l'allontanamento di

Giorgio di Prato, San Girolamo di Montepulciano e San Bernardino di Pistoia, monasteri tutti alle dirette dipendenze di San Girolamo e San Francesco. Tuttavia il rapporto fra l'Osservanza e le terziarie colà dimoranti fu dichiaratamente ostile, come dimostra la petizione del 1458 inoltrata a Papa Callisto III ove emergeva chiaramente il malcontento delle terziarie rispetto ai frati dell'Osservanza, imposti a loro da Papa Eugenio IV, senza che questo però pregiudicasse il successo del Monastero, come dimostrato dalla sua penetrazione nel territorio. Cfr. Pulinari 1913, p. 366-367, e Papi Benvenuti 1990, pp. 534 – 538.54 Nel 1374 il Tedaldi fu impegnato nell'elezione del Rettore dell'Ospedale di San Bartolomeo al Mugnone. Cfr.

Lorenzo Pecchioni 2011, p. 174.55 Cfr. Domenico Moreni, 1793, vol IV., p. 123.56 Cfr. Lorenzo Pecchioni 2011, pp. 183-187.

questi girolamini dipese dall'indebolimento di quella oligarchia che fino a quel momento

aveva protetto l'Ordine.

Un complesso circuito

Differentemente dalla Campora la Confraternita di San Girolamo di San Marco poté

continuare ininterrottamente il suo operato anche se alla sua “direzione” passarono i frati

domenicani fedeli alla famiglia Medici, come avvenne con le Compagnie di fanciulli ad

essa collegata con la bolla del luglio 1442 emanata da Papa Eugenio IV che poneva a

sovraintendere alle Compagnie della Purificazione, della Natività, di San Niccolò del Ceppo

e di San Giovanni Evangelista il Priore di San Marco (al tempo Sant'Antonino) e l'Abate di

Badia, al tempo ancora il Beato Gomezio57.

Lo stretto legame fra la Compagnia di San Girolamo in San Marco e la Compagnia di San

Niccolò del Ceppo è facilmente ricostruibile con le notizie a nostra disposizione. In prima

istanza bisogna evidenziare come la Compagnia del Ceppo poté nascere e prosperare grazie

a fra Niccolò da Uzzano (già confratello di San Girolamo) e alla Compagnia delle Sette

Opere della Misericordia (la quale annoverava nel suo nucleo originario ben sei confratelli

di San Girolamo), un connubio di persone fisiche che lascia pochissimi dubbi sulla

“fratellanza” di questi due istituti.

Del resto anche la Compagnia girolamina di San Marco era nota in qualità “del Ceppo”,

come si evince dalla Lettera di supplica dell'omonima compagnia senese inviata

all'Arcivescovo Martini nel 178558 per evitare la soppressione del Granduca Leopoldo:

I fratelli della Ve. Compagnia sotto il titolo di San Girolamo

avendo inteso che S.A.R. Abbia eccettuate in Firenze ad istanza

dell'Arcivescovo, nella generale abolizione delle Compagnie

alcune delle medesime fra le quali quella di San Girolamo detta

del Ceppo, ed essendo la Compagnia di S. Girolamo da Siena

fondata sull'istesso sistema di quella del Ceppo di Firenze....

57 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1985, p. 4.58 Cfr. Seconda nota data posteriormente dall'Arcivescovo di Firenze di altre Compagnie che crederebbe utili di

conservarsi, in Archivio di Stato, Segreteria di Gabinetto, filza n. 51.

Oltre a ciò, ricordiamo che anche la Compagnia di San Girolamo aveva una sua sede

nell'Ospedale del Ceppo, e che fino al 1530 era unita a San Niccolò del Ceppo, e la loro

separazione fu scaturita solo da una causa di forza maggiore, ossia l'assedio alla città delle

truppe di Carlo V che rese inagibile il monastero di San Miniato da parte delle suore lì

dimoranti.

Fu proprio per dare ospitalità alle benedettine di San Miniato che le Compagnie si

divisero: San Niccolò trovò accoglienza in un primo momento presso la Compagnia di

Santa Maria della Croce al Tempio, per poi scegliere, nel 1561, la sede definitiva

nell'attuale via Pandolfini, mentre i fratelli di San Girolamo che non potevano trovare asilo

al Tempio, dati gli angusti locali, né nella consorella di San Marco, in quanto adibita ad

ospedale59, trovarono rifugio presso la Compagnia di San Girolamo sulla Costa San Giorgio,

fondata nel 1441. E’ interessante notare come quest'ultima Confraternita fosse ospitata

all'interno del Monastero di San Francesco e San Girolamo sulla Costa San Giorgio,

monastero creato da fra' Agnolo di Bartolo nel 1416, anch'egli appartenente ai sodalizi di

San Girolamo e delle Sette Opere della Misericordia e che riceveva un contributo annuo di

13 staia di farina da parte di San Niccolò del Ceppo, secondo quanto disposto dallo stesso

Uzzano60 e che nei fatti poneva il Monastero in stretto contatto con il Ceppo.

Ulteriore decisiva prova rispetto al rapporto fra San Niccolò e San Girolamo risiede nella

figura religiosa di maggior spicco di San Niccolò, il beato Tommaso Bellacci, meglio noto

come Tommaso da Firenze, a cui i confratelli del Ceppo dedicarono ancora nel 1763 un

monumento in terracotta. Nato nel 1370 a Firenze, il Bellacci condusse in giovinezza una

vita dissipata fino ad essere coinvolto in un omicidio ed essere tratto in salvo da Agnolo

della Pace, al tempo Governatore della Compagnia di San Girolamo del Ceppo, e

dall'esempio dei fratelli girolamini fu così tanto redento che nel 1400 abbracciò

l'Osservanza Francescana, per poi divenire in seguito una delle figure di primo rilievo

dell'Ordine.

Se la biografia del Bellacci pone più di un dubbio rispetto all'origine temporale del

sodalizio, verosimilmente già esistente nel XIV secolo a Fiesole, diversamente certifica il

perfetto connubio fra San Girolamo, Compagnia a cui aderisce, e San Niccolò, Compagnia

a cui sarà sempre legato, e lo stesso Ospedale dei Santi Jacopo e Filippo, detto del Ceppo. I

primi governatori dello Spedale infatti furono i terziari francescani del convento di San

59 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1991, p. 5.60 Cfr. Pulinari 1913, p. 252.

Michele a Doccia (Fiesole), creato nel 1411 dal fratello del Bellacci, fra Francesco,

convento a cui apparteneva uno dei fondatori dell'Ospedale del Ceppo, fra Agostino di

Bartolo terziario regolare61. La presenza dei romitani francescani non deve sorprendere in

quanto, secondo anche lo Wadding62, l'Ospedale del Ceppo era stato fondato dall'Uzzano

come Ospizio per i frati di Fiesole, che ben presto lasciarono detto luogo per la chiesa di

San Salvatore al Monte, fondata anch'essa dall'Uzzano su un terreno donato da Luca di

Iacopo del Toso nel 141763.

Il secondo decennio del '400 vide quindi nascere a Firenze una serie di istituti

strettamente collegati l'uno con l'altro; la Compagnia di San Girolamo del Ceppo (1410), la

Compagnia della Natività (1411), la Compagnia delle Sette Opere della Misericordia

(1413), il Monastero di San Girolamo e San Francesco sulla costa San Giorgio (1416),

l'Ospedale delle Sette Opere della Misericordia del Ceppo (1417) e le Compagnie di San

Girolamo e San Niccolò del Ceppo (1417). Oltre che la compresenza dei medesimi

personaggi all'interno dei vari sodalizi si nota come molti di essi abbiano in comune la

connotazione “del Ceppo”, ove si intende generalmente con questo termine un tronco di

albero concavo atto alla raccolta delle elemosine. Il reiterarsi però di simile appellativo in

istituzioni fra esse collegate e nate nello stesso periodo storico deve però indurre un

ulteriore approfondimento che vada oltre il puro senso concettuale, in quanto ciò non appare

come mero elemento casuale.

61 Cfr. Eugenia Levi 1911, p. 23 – 25.62 Cfr. Anna Maria Amonaci 1997, p. 45. Sempre per Wadding all'Uzzano si deve la creazione di San Girolamo di

Fiesole. Cfr. Ottaviano Giovannetti 2000, p. 135. 63 Cfr. Pulinari 1913, p. 186.

Origine del Ceppo e l'Arte di Calimala

La connotazione “del Ceppo” legata alle Compagnie o Enti Ospedalieri-Assistenziali infatti

non era nuova per la Toscana, ma trovava già precedenti illustri, nelle città di Pistoia e

Prato. A Pistoia già dal 1277 abbiamo notizie di un Ospedale denominato in tale maniera,

mentre a Prato esistevano due ricche e pie istituzioni chiamate Ceppo e dedite al soccorso

degli infermi ed indigenti: quello Vecchio, fondato dal mercante Monte di Turingo del

Pugliese nel 1283 e quello Nuovo, fondato dal mercante pratese Francesco di Marco Datini,

nell'agosto 1410 per volontà testamentaria. Le due istituzioni, poi riunite nel 1545 per

volere di Cosimo I dei Medici, dopo che con il sacco di Prato del 1512 le rispettive

cassaforti erano state svuotate, avevano molti tratti in comune. Assai vicine al

francescanesimo, non erano solo dedite al soccorso dei miserabili ma anche dei “poveri

vergognosi”, ossia le persone agiate che avevano perso nel corso della vita le proprie

fortune. Ambedue le istituzioni erano sottoposte al controllo amministrativo del Comune di

Prato, il quale si doveva preoccupare di eleggere ogni anno 4 buonomini dei pii istituti per

la gestione diretta del Fondo. Nel suo testamento il Datini redatto dall'amico e Notaio di

Santa Maria Nuova Lapo Mazzei, stabilì che alla corretta esecuzione delle sue volontà

testamentarie dovevano provvedere, oltre ai 4 buonomini, anche due consoli dell'Arte della

Mercatanzia (o Arte di Calimala)64, controllo che durò circa tre anni e che nei fatti

influenzò la vita del pio istituto.

L'Arte di Calimala a partire dal XV secolo era stata l'Arte che si dedicò quasi

esclusivamente all'amministrazione dei pii istituti65 dopo che le leggi comunali gli avevano

chiuso ogni possibilità d'azione economica che consisteva nell'importazione e nella

lavorazione dei panni stranieri. Ciò nonostante nel 1429 l'Arte pagava ancora imposte per

268 fiorini e possedeva 379 immobili, dati tangibili di una sua mantenuta forza66.

In virtù di questa situazione è quantomeno singolare che dal 1410, anno in cui l'Arte di

Calimala “controlla” il testamento datiniano al 1417, si creano a Firenze una serie di

istituzioni, San Girolamo (1410), San Niccolò (1417) e l'Ospedale dei Santi Jacopo e

Filippo (1417), tutte indicate con la desinenza “del Ceppo”, senza dimenticare la creazione 64 Cfr. Dami 1910, p. 71.65 Cfr. Doren 1940. p. 249. 66 Cfr. ivi., p. 407 – 409.

del Monastero benedettino di San Miniato (1414), altra zona controllata dall'Arte, meglio

note nel Seicento, come le Monache del Ceppo. Sempre del 1417 è l'insediamento

dell'Osservanza a Firenze in San Salvatore a Monte per merito di fra Niccolò da Uzzano

nella stessa zona della chiesa di San Miniato, che appunto era controllata dall'Arte di

Calimala. Oltre ai meri dati cronologici, che potrebbero avere anche una apparente dose di

casualità, il legame fra l'Arte di Calimala e i “Ceppi” trova riscontri già dai primi anni di

vita del nosocomio, a livello di persone fisiche. Fra Niccolò da Uzzano fu tra i primi

membri di San Girolamo e il più generoso benefattore dell'Ospedale, e per questo

considerato il suo fondatore, mentre contemporaneamente il cugino Niccolò era l'esponente

di spicco dell'Arte di Calimala, alla quale si era iscritto a 18 anni rivestendone più volte la

carica di console. Inoltre Niccolò da Uzzano era stato fraterno amico del Datini67, del quale

era stato ospite nel 1409 al seguito di Papa Alessandro V, ed era stato podestà di Prato nel

1407 e nel 1415, ossia la più alta carica governativa della città, governo di Prato che,

ricordiamo, controllava direttamente il Ceppo, mediante l'elezione dei Buonomini.

Al fine del nostro ragionamento è interessante osservare come nel 1429 Niccolò da Uzzano

dispose, nel suo testamento, un lascito per la creazione della Sapienza, luogo ove i giovani

potevano trovare ricovero per i propri studi, sottoponendo anche la nuova Istituzione sotto il

controllo dell'Arte di Mercatanzia. Purtroppo la creazione della Sapienza attraversò anche

diverse fasi di stallo, nonché modifiche sostanziali rispetto al progetto originario, fino alla

trasformazione nel giardino dei Semplici e nelle stalle medicee, ciò a causa del mutato clima

politico fiorentino, in quanto era stata voluta dalla parte avversa ai Medici68

Aldilà delle vicende della struttura è l'area scelta dall'Uzzano nel 1429 a fornirci ulteriori

interessanti indicazioni; la zona infatti era inclusa fra piazza San Marco e l'Ospedale degli

Innocenti, in piazza SS. Annunziata. L'Ospedale era stato eretto in un terreno acquistato da

Rinaldo degli Albizi69 nel 1419, il cui figlio Maso apparteneva dal 1418 a San Girolamo,

Compagnia che proprio in quegli anni risiedeva nell'Ospedale di Lelmo, anch'esso incluso

fra le piazze San Marco e SS. Annunziata. Il brefotrofio era stato voluto da Francesco

67 Dell'amicizia fra Francesco di Marco Datini e Niccolò Uzzano esistono numerosi riferimenti nei carteggi. Un esempio fra i tanti la lettera del 6 agosto 1400 indirizzata da Lapo Mazzei a Niccolò a “Niccolò da Uzzano e Francesco di Marco, onorandi padri carissimi”: “Penso Niccolò, che letta questa la manderete al vostro fratello e amico, a cui soprascrivo come a voi. So ch'è villania; ma perché siete amici e come fratelli, non curo cosi....”. Cfr. Guasti 1880, vol. I.. p. 249.

68 Per una esaustiva disamina delle vicende storiche de La Sapienza si rimanda alle pagine di Emanuela Ferretti, La Sapienza di Niccolò da Uzzano: l'istituzione e le sue tracce architettoniche nella Firenze rinascimentale , a.a. 2006-2007.

69 Cfr. Lucia Sandri 2005, p. 21.

Datini, il quale nel testamento del 1410 aveva lasciato 100.000 fiorini per la costruzione a

Firenze di un Ospedale degli Innocenti, ossia per i bambini abbandonati.

La simultanea compresenza di questi istituti e di questi personaggi nell'area di Cafaggio,

come si chiamava al tempo la zona, anche se in assenza di riferimenti diretti non può

ritenersi casuale ma figlia di un preciso progetto urbanistico dedito alla creazione di un

“polo assistenziale” con organizzazioni verosimilmente legate l'una all'altra. Ecco apparire

cosi come non meramente casuale l'indicazione “del Ceppo” rispetto a San Girolamo, San

Niccolò e l'Ospedale dei Santi Jacopo e Filippo, ma come diretta conseguenza di un

connubio pratese-fiorentino, inizialmente orchestrato dall'Arte della Mercatanzia, ed in cui

l'appellativo “del Ceppo” era un vero e proprio segno di appartenenza e non una specifica

peculiarità di ogni singola Compagnia. Non deve stupire quindi la presenza in San Girolamo

già dal 1410 di Francesco Mazzei, figlio di Lapo, uno dei pochi destinatari dei lasciti privati

da parte del Datini, altra diretta conferma del legame fra il pratese e San Girolamo70.

Ugualmente legata al culto di San Girolamo era la famiglia Del Pugliese, come l'omonima

cappella nella chiesa del Carmine dimostra, famiglia Del Pugliese originaria di Prato e

fondatrice nel XIII secolo del Ceppo Vecchio e che annoverava, sul finire del 400, con Piero

di Francesco un grande benefattore degli Innocenti, nonché una cappella di famiglia in detto

Ospedale71. La generosità di Piero per simile Ospedale non deve stupire, se si considera che

lo stesso Piero è citato nel 1453 come buonomo del Ceppo Nuovo del Datini, il cui lascito

fu essenziale per l'erezione degli Innocenti. Sempre Piero di Francesco del Pugliese

commissionò a Filippino Lippi L'Apparizione della Madonna a San Bernardo (1492-96),

opera oggi esposta alla Badia fiorentina ma originaria della Cappella di San Bernardo alla

Campora, al tempo in cui il monastero era già passato sotto il controllo dei monaci di Badia.

A conferma di quanto ora espresso si consideri che la qualifica “ detto del Ceppo” era

disgiunta dalle strutture, come dimostra sia la prima citata lettera di supplica nel caso di San

Girolamo, e come confermato nel caso di San Niccolò dall'atto notarile del 1561 redatto dal

notaio Ser Filippo Argenti per l'acquisto del terreno ove fabbricare la nuova sede del

sodalizio. In questo caso la Compagnia viene definita come “Societati dei juvenibus et

pueris Societatis Nicolai vulgariter loquando della Compagnia del Ceppo”72. Ecco che

appare allora molto più comprensibile la scelta all'interno di San Girolamo dei 12 70 Per l'eredità Datini si veda Dami 1910, pp. 78-82. Per l'iscrizione a San Girolamo di Francesco Mazzei si veda

Sebregondi Fiorentini 1991, p. 14.71 Per avere notizie più dettagliate dell'opera di Piero di Francesco del Pugliese per gli Innocenti, si veda il volume di

Lucia Sandri, Gli Innocenti e Firenze nei secoli, 2005. 72 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1985, p. 17.

Buonomini di San Martino, Compagnia fondata da Sant'Antonino nel 1442, al tempo in cui

Egli era padre correttore73, in soccorso dei “poveri vergognosi”, pratica questa già diffusa

all'interno dei Ceppi pratesi. La benemerita Compagnia che inizialmente aveva la propria

sede presso la casa del calzolaio Primerano di Jacopo74, trovò poi la propria sede dal 1470

nell'attuale omonima piazza grazie ad una concessione della chiesa collegata alla Badia

fiorentina, Badia che dal 1441, unitamente ai domenicani di San Marco, aveva il controllo

delle Compagnie dei Giovani legate a San Girolamo. All'interno della chiesa di San Martino

sono ancora presenti le lunette affrescate con le Sette Opere di Misericordia, opera tardo

quattrocentesca di attribuzione incerta che rimanda direttamente all'omonima Compagnia

da cui nacque l'Ospedale del Ceppo e San Niccolò del Ceppo, prova fattiva della sinergia

finora ricostruita.

Le opere di Paolo Uccello per San Girolamo

Dopo questa lunga digressione sulle origini della nobile Compagnia di San Girolamo ed il

culto del Santo Dalmata a Firenze è doveroso tornare alla domanda iniziale, ossia se esiste

un legame fra Paolo Uccello e San Niccolò del Ceppo. Recenti scoperte archivistiche hanno

dimostrato come il pittore fosse iscritto a San Girolamo in San Marco almeno fra il gennaio

1437 e l'aprile 143875, presenza che, oltre a mostrare una religiosità poco studiata, fa

apparire come non casuale un suo lavoro per San Niccolò del Ceppo, anche in

considerazione del fatto che il pittore in questione abbia prestato la propria opera per tutti

gli “enti” collegati a San Girolamo.

Per l'Ospedale di Lelmo, ove San Girolamo del Ceppo risiedeva, il Vasari76 cita un affresco

raffigurante Una nicchia bislunga fra Sant'Antonio e i Santi Cosma e Damiano (citando

Vasari anche Hugh Hudson reputa simile opera commissionata dalla Compagnia di San

Girolamo)77, per la Compagnia dei fanciulli della Natività l'omonimo affresco purtroppo

quasi interamente perduto, per la Confraternita dei fanciulli della Purificazione realizzò nel

73 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1991, p. 13.74 Cfr. Artusi Patruno 1994, p. 285.75 Cfr. Sebregondi Fiorentini, p. 190.76 Cfr. Vasari 1878, p. 206.77 H. Hudson ha messo a disposizione degli studiosi una sua biografia artistica di Paolo Uccello, Paolo Uccello – Ab

Ovo -, rintracciabile in Internet al sito www.carnesecchi.eu. Il passo in questione è citato a p. 23.

1437 una Pietà e un San Zanobi78, per il Monastero di San Girolamo e San Francesco sulla

Costa San Giorgio, ma più verosimilmente per la Compagnia di San Girolamo lì

dimorante79, la Tebaide o Via della Perferzione, il Dossale di S. Cosma e Damiano per la

cappella di San Girolamo della famiglia Del Pugliese nella chiesa del Carmine, ed operò

anche all'interno del Convento della Campora, come alcune fonti testimoniano80. Oltre a

queste opere non possiamo non citare l'affresco del Beato Andrea Corsini per la libreria del

Duomo (1453) e gli affreschi Vite dei Santi Padri, purtroppo quasi del tutto scialbati, nel

chiostro della basilica di San Miniato al Monte, e il successivo Crocifisso (1454), opera

purtroppo persa ma presente in origine nel refettorio del Monastero benedettino. Le Vite dei

Santi Padri sono citate da diverse fonti81 e datate intorno ai primi anni quaranta, mentre del

Crocifisso sappiamo che Paolo Uccello intraprese l'opera insieme all'aiuto Antonio di Papi,

e terminarono l'opera in un anno circa82. Dobbiamo ricordare, infatti, che il luogo di San

Miniato era da lungo tempo posto sotto la protezione dell'Arte di Calimala, che ribadisce la

non “casualità” di simile commissione. Peraltro è interessante osservare come ai piedi della

basilica di San Miniato vi fosse anche il citato Monastero di Santa Maria al Monte, eretto

grazie alla benevolenza della famiglia Baroncelli e riconosciuto dal Vescovo Amerigo

Corsini nel 141483, sotto la Regola Olivetana di San Benedetto. Da quel luogo, andato

distrutto, si partiranno nel 1530 le benedettine per “occupare” l'Ospedale e la compagnia di

San Girolamo e San Niccolò del Ceppo. A tal proposito è singolare notare come le monache

siano storicamente chiamate anch'esse come “del Ceppo”, a causa, secondo alcuni, della

loro permanenza nell'Ospedale per circa 30 anni, ovvero fino al 1557, quando una rovinosa

alluvione allagò la loro nuova dimora e le costrinse ad un nuovo “trasloco”, definitivo, in

via San Gallo.

Non possiamo definire con certezza se l'appellativo “del Ceppo” delle monache sia dovuto

alla loro permanenza nell'Ospedale, o se invece fosse in uso già in origine poiché alcuni

dati, l'anno di riconoscimento ( il 1414, ossia nel decennio di nascita dei Ceppi), il Vescovo

Amerigo Corsini (già fratello in San Girolamo), la scelta del luogo (San Miniato, zona

78 Annamaria Bernacchioni nello spoglio dei Libri di Entrata e Uscita 1434-1444 trovò la seguente annotazione: “ A Pagholo di Dono di Pagholo dipintore deto Ucielo, a di XIII di dicembre l. otto portò e deto conti in g(rossi), furono per facitura d'una fighura di San Zanobi fecie nella nostra isquola l. 8. A Pagholo detto, a di' detto l. sei. Pportò deto contanti, furono per una piatà ci fiece sopra l'uscio della sagrestia l. sei”. Cfr. Bernacchioni 2003, pp. 418-419.

79 Ibidem. 80 Cfr. Pecchioni 2011, p. 178. 81 Cfr. Anonimo Magliabechiano (1537-42), Billi (1516-30) e Vasari nell'edizione delle Vite del 1568. 82 Cfr. Borsi 1992, p. 327.83 Cfr. Richa 1757, p. 220.

controllata dall'Arte di Calimala) e l'insediamento stesso nell'Ospedale del Ceppo nel 1530

(che fa supporre un legame antecedente del medesimo con le monache), inducono a pensare

che tale appellativo fosse preesistente, e non successivo. Di certo invece c'è il patronato

dell'Arte di Calimala e dagli archivi di questa Arte si sono avute molte informazioni

artistiche di Paolo Uccello, a livello giovanile e non solo. Nota l'attività di Paolo presso il

Ghiberti nella lavorazione della Porta del Paradiso del Battistero per conto dell'Arte, mentre

da una nota delle Deliberazioni 1450-51 si deduce come il pittore avesse ancora rapporti

con la medesima Arte, alla quale chiede di intervenire alfine della riscossione di un credito84

che il pittore vantava nei confronti di Paolo e Domenico Benvenuti da Ugnano. Esemplare

in questa ottica il caso della Cappella di Santa Caterina in Santa Maria Maggiore, sotto il

patronato della famiglia Carnesecchi. La ricca Cappella, datata intorno al 1423, vedeva al

suo interno una Tavola, Nostra Donna Santa Caterina e San Giuliano, del Masaccio, e una

predella, Storie di San Giuliano e Santa Caterina con in mezzo La Nascita di Nostro

Signore, sempre attribuita al Masaccio, ed il tutto sormontato in alto, a coronamento, da un

affresco raffigurante L'Annunciazione di Paolo Uccello.

Il complesso pittorico è citato fin dalla prima edizione del Vasari, e fu commissionato da

Paolo Carnesecchi, importante figura del primo Quattrocento. Paolo infatti fu 4 volte Priore

(1400, 1409, 1415, 1422), 2 volte Gonfalone di Giustizia (1404, 1405), Commissario di Pisa

nel 1407, e per almeno 13 volte Console dell'Arte dei Medici e Speziali (1394, 1396, 1398,

1400, 1403, 1404, 1406, 1408, 1414, 1415, 1416, 1418, 1420) e, sempre in quegli anni,

almeno 11 volte Console dell'Arte di Calimala (1401, 1405, 1406, 1408, 1409, 1411, 1413,

1415, 1416, 1418, 1420)85. Le vicende di questa Cappella, accuratamente ricostruite da

Parronchi86, sono d'estrema importanza poiché testimoniano fattivamente il precoce

connubio artistico fra Paolo Uccello, Masaccio e Masolino, del quale molti critici hanno

letto la mano in taluni scomparti. La collaborazione fra questi artisti è di massima

importanza poiché certifica un reciproco rapporto d'armonia e fiducia in un momento assai

precoce della biografia dell'Uccello, senza dubbio influenzato dallo stile del vero astro

nascente della pittura fiorentina, Masaccio, purtroppo morto troppo precocemente per

regalarci un più cospicuo numero di capolavori. Tra l'altro la sinergia fra l'Uccello e

Masaccio trova altri riscontri nella figura di Andrea di Giusto, autore della predella del

84 Cfr. Gaye 1839, p. 147. 85 I dati citati sono stati ripresi dal sito www.carnesecchi.eu. Si afferma “almeno” in quanto sono mancanti i dati

antecedenti al 1393 e dall'agosto 1421 all'agosto 1429. 86 Cfr. Parronchi 1964, pagina 182 e seguenti.

Polittico del Carmine di Pisa per Masaccio, e continuatore degli affreschi di Paolo Uccello

nella Cappella dell'Assunta di Prato; quell’ Andrea di Giusto cresciuto nella bottega di

Lorenzo di Bicci insieme a Giovanni di Ser Giovanni (detto lo Scheggia), fratello minore di

Masaccio, pittore recentemente riscoperto e che presenta evidenti affinità con Paolo

Uccello87.

Per quanto concerne la committenza della Cappella si è pensato, fino ad oggi, che la

conoscenza di Paolo Carnesecchi rispetto a questi pittori fosse essenzialmente dovuta a una

vicinanza territoriale (ossia Reggello, zona in cui i Carnesecchi vantavano diversi

possedimenti) o alla comune appartenenza all'Arte dei Medici e Speziali, che certamente

favoriva l'incontro fra queste persone, che nel caso dell'Uccello era ulteriormente

avvantaggiato dalla presenza di possedimenti della famiglia Del Beccuto (la famiglia della

madre) nel quartiere della Chiesa in questione. Ipotesi plausibili, ma che alla luce di questa

ricerca trovano nell'appartenenza di Paolo Carnesecchi all'Arte di Mercatanzia una nuova

plausibile spiegazione. Nel XVI secolo la chiesa subì un corposo rifacimento che causò

purtroppo la perdita della tavola del Masaccio e degli affreschi di Paolo Uccello, e che al

posto della tavola di Masaccio fu collocata la Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1675-77),

opera di Onorio Marinari, confratello benemerito di San Niccolò del Ceppo. Se

oggettivamente l'evento in sé può rientrare nella mera casualità, non esistono prove certe

che collegano la Compagnia di San Niccolò con tale Cappella, è certamente indubbio che i

Confratelli conoscessero Paolo Uccello per via diretta, dato che ancora nel Settecento il

Richa descrive una Nunziatina di Paolo Uccello appesa ad un pilastro della chiesa in

questione, e che le fonti coeve al tempo del Marinari descrivevano l'opera di Paolo Uccello.

Ultimo esempio di questo complesso “circuito” sinergico di commissioni artistiche in favore

di Paolo Uccello è il caso della Cappella dell'Assunta di Prato. Uccello intraprese questo

ciclo di affreschi, La Disputa di Santo Stefano e Storie della Vergine nel 1435 per lasciare

poi terminare l'opera ad Andrea di Giusto Manzini in quanto richiamato a Firenze l'anno

successivo per i lavori in Santa Maria del Fiore. Opera certa dell'Uccello è il Beato

Jacopone da Todi e i 4 santi raffigurati nei capitelli, San Domenico, San Girolamo, San

Francesco con le stigmate, San Paolo, che rimandano in maniera letterale alla Compagnia

di San Girolamo.

87 “Lo sfoggio ostentato di cornici a cubi e prisimi in prospettiva, di troni tempestati di punte di diamante, di aureole in arditi scorci (…) indicano poi un'innegabile affinità con Paolo Uccello (Paolo di Dono), che a questo genere di esercizi si dedicò, stando al racconto del Vasari, con concentrazione quasi maniacale”. Cfr Cavazzini 2001, pp. 222-226.

San Francesco, San Domenico, Beato Jacopone da Todi (1433-35), Paolo Uccello,

Cappella dell'Assunta, Duomo di Prato.

Come parimenti rimanda alla Compagnia l'iconografia della presunta tavola d'Altare,

L'Assunzione della Madonna fra San Girolamo penitente e San Francesco (oggi conservata

al National Gallery di Dublino)88, opera di incerta attribuzione, ma che conferma l'affinità

con la Compagnia penitenziale, come lo è del resto la “predella”, oggi conservata presso il

Museo Civico di Prato, che vede raffigurati episodi con San Girolamo penitente, Dormitio

Virginis e San Francesco che riceve le stimmate, attribuiti a Domenico di Michelino (1445

c.a).

La cosa non stupisce se si pensa che, se è indubbio che esiste un preciso committente,

Michele di Giovannino Marcovaldi, è altrettanto certo che una simile opera non poteva

essere decisa da un unica persona, data l'importanza del luogo medesimo. Certamente fu

supportata economicamente dai due “Ceppi” (Pugliese, Datini), e concertata col proposto di

88 La tavola è stata da molti attribuita ad uno psuedo Domenico di Michelino, mentre per Padoa Rizzo è imputabile a Giovanni di Consalvo. Secondo invece il sito ufficiale del Museum of Ireland l'opera è di Zanobi Strozzi. Per l'attribuzione allo Pseudo Domenico di Michelino si veda Mannini 1990, p. 74; per Giovanni di Consalvo si rimanda a Padoa Rizzo 1997, p. 106. Si precisa che non è certo che simile opera fosse in origine all'altare della Cappella dell'Assunta, anche se l'ipotesi di Padoa Rizzo è assai circostanziata e verosimile.

Prato, Niccolò Milanesi, ed il Vescovo di Pistoia, Donato de' Medici, entrambi assai legati

all'Osservanza, in special modo a San Bernardino, come lo era del resto la stessa famiglia

Marcovaldi,89 Osservanza che, come abbiamo visto, era assai legata a San Girolamo.

In tal senso non possiamo non dimenticare come un fratello benemerito di tale ordine fu

Girolamo Della Stufa, discepolo di Tommaso Bellacci e tumulato in San Salvatore90, parente

prossimo di quel Lotteringio della Stufa, presente come testimone al testamento di Paolo

Uccello l'11 novembre 1475, e suo possibile committente in età avanzata91.

In virtù di questo insieme di opere possiamo quindi tranquillamente affermare che la

presenza di Paolo Uccello in San Niccolò del Ceppo non è figlia del caso, ma casomai

logica e ammissibile, al punto tale che anche in assenza di documenti sarebbe ipotizzabile

un suo lavoro per la Compagnia. Confraternita peraltro che annoverava fra i suoi membri

esponenti di famiglie notoriamente committenti di Paolo di Dono, come i Carnesecchi, i

Bartolini Salimbeni e i Rucellai; Paolo Carnesecchi commissiò a Paolo Uccello parte della

Cappella di Santa Caterina in Santa Maria Maggiore, per i Bartolini eseguì le celebri

Battaglie di San Romano92, mentre per Giovanni Rucellai affrescò il palazzo di famiglia93.

Pandolfo di Giovanni Rucellai (passato alla storia con nome di Fra Santi) fu governatore

della Compagnia del Ceppo e, grazie alla sua generosità, nel 1476 fu possibile ampliare la

sede medesima del nosocomio94; Matteo di Simone Carnesecchi risulta iscritto a San

Girolamo dal 1412, mentre Giovan Battista Bartolini fu Capitano dell'Ospedale del Ceppo

nel 1508, anno in cui Francesco Guicciardini venne nominato.95

In questo contesto dobbiamo ricordare anche la famiglia Del Pugliese, per la quale l'Uccello

aveva lavorato alla Cappella di San Girolamo al Carmine, aveva fondato il Ceppo Vecchio

89 Per il Vescovo Donato de' Medici valga il caso dell'insediamento dell'Osservanza in San Francesco al Palco; per quanto concerne la vicinanza della famiglia Marcovaldi si veda Padoa Rizzo 1997, pp. 51-52.

90 Cfr. Pulinari 1913, p.191.91 Cfr. Borsi 1992, p. 43.92 Il Prof. Caglioti rinvenne, durante la preparazione dei volumi su Donatello, la richiesta di restituzione delle tavole

della Battaglia di San Romano, effettuata da Damiano Bartolini Salimbeni in data 30 luglio 1495. Partendo da questo documento, il critico ha storicamente ricostruito le vicende del trittico, individuando in Lionardo Bartolini Salimbeni, padre di Damiano, il probabile committente delle opere, e nella fine degli anni trenta del Quattrocento l'epoca della loro realizzazione. Cfr. F. Caglioti 2000, pp. 265-281. Nel merito dei rapporti fra l'Uccello e la famiglia Bartolini Salimbeni si segnala come il pittore nella portata al Catasto del 1442 dichiarasse di avere bottega in affitto in via delle Terme, strada in cui la famiglia ora detta possedeva vari fondi commerciali. Cfr. Padoa Rizzo 1997, p. 142 e Borsi 1992, p. 31.

93 Cfr. Padoa Rizzo 1991, p. 151.94 Cfr. Passerini 1853, p. 192.95 “Ricordo come a dì 13 febbraio in detto anno 1508, avendo i Capitani dello Spedale del Ceppo che sono in numero

di 12, il quale ufficio dura a vita, a eleggere dua capitani in compagnia loro (…) fummo eletti Tommaso Spini o io, che fui nominato da Alamanno Salviati mio suocero; la quale elezione, benché io fussi di poco momento, fu onorevole rispetto alla qualità degli uomini in compagnia di chi avevo a essere, che erano Domenico Mazzinghi, Pietro Lenzi, Giovacchino Guasconi, Niccolò del Nero, Alessandro Mannelli, Bartolomeo Benci, Giovan Battista Bartolini, Alamanno Salviati....”. Cfr. Francesco Guicciardini 1867, p. 77.

di Prato, era benefattrice dell'Ospedale degli Innocenti nonché all'interno del Ceppo Nuovo

(Piero del Pugliese fu buonomo nel 1453), quindi assai vicina a San Girolamo e San

Niccolò del Ceppo.

In relazione poi alla famiglia Bartolini bisogna ricordare come la stessa avesse diversi fondi

commerciali in via delle Terme, strada nella quale Paolo Uccello dichiarava di avere bottega

nella portata al catasto del 1442, e che la stessa famiglia fu committente anche di Filippo

Lippi per un tondo mariano, che fu causa di una controversia giudiziaria promossa da

Lionardo Bartolini. Il Bartolini infatti lamentava una inottemperanza del frate pittore al

quale era stato affidato il lavoro, non portato a compimento nei tempi prestabiliti; a

risarcimento del danno subito intervennero le casse del Ceppo Nuovo che acquietarono la

famiglia suddetta con ventidue fiorini larghi96. Lionardo Bartolini Salimbeni, già citato

come committente dell'Uccello, lo fu quindi anche del Lippi, facendo ipotizzare che i due

autori avessero intorno agli anni 40-50 una committenza in comune, che in ragione di

questo lavoro può essere identificato nel Ceppo, e nelle famiglie aderenti. Nel merito si

ricorda che fra il 1452 e il 1453 il Lippi realizzò infatti la famosa Madonna del Ceppo, ove

è raffigurato anche Francesco Datini, mentre per il proposto Giminiano Inghirami fece il

celebre Esequie di San Girolamo (1452), senza dimenticare le quattro lunette del chiostro di

San Francesco, costruito a spese del Ceppo Nuovo del Datini, ove il Lippi fra il 1459 e il

1460 raffigurò Madonna con figlio, San Francesco con le stigmate, San Girolamo e Santo

Stefano con San Lorenzo97.

96 Cfr. Ruda 1993, p. 531.97 Cfr. Gurrieri 1968, pp. 64-65. Il Ceppo non si limitò a sovvenzionare la costruzione del chiostro, ma doveva elargire

25 fiorini l'anno ai frati francescani del convento per l'acquisto di cibo e vestiari e per la commemorazione dello stesso Datini. Cfr. Gavitt 1990, p. 48.

La bottega di Paolo Uccello

Da documenti inediti recentemente reperiti da Annamaria Bernacchioni sappiamo che la

bottega dell'Uccello di via delle Terme era intestata dal 1467 al 1481 ai pittori Domenico di

Michelino e Domenico di Zanobi, ambedue di ambito lippesco98. Se infatti solo negli ultimi

decenni Domenico di Michelino è stato avvicinato al Lippi, diversamente Domenico di

Zanobi, meglio noto come il Maestro della Natività Johnson99, si formò presso la scuola del

frate pittore durante il periodo pratese, il quale lavorava al tempo alle dirette dipendenze del

Ceppo Nuovo.

Purtroppo sono andate perse le filze di affitto della bottega dal 1434 al 1467100, ma è lecito

pensare che esista più di un collegamento fra l'Uccello e questi pittori, avendo anche

presente il Ricordo di Benedetto Dei che ci ragguaglia su come questa fosse tra le botteghe

più laboriose nel sesto decennio del Quattrocento101, segno evidente di come esistesse una

lunga tradizione artistica rispetto alla bottega in oggetto, già peraltro attiva prima di Paolo

Uccello con il pittore Scolaio di Giovanni.

La conferma di tale congiuntura, anche al netto delle altre due botteghe che l'Uccello ebbe

nella sua vita102, ci proviene direttamente dall'opera della Cappella Antinori, Crocifisso fra

San Girolamo, San Francesco e la Maddalena, del tutto simile a quella di San

Niccolò del Ceppo. L'opera in questione, anch'essa ritagliata successivamente, è di

attribuzione incerta, e l'unico dato certo è la sua realizzazione posteriore rispetto al

Crocifisso del Ceppo, il quale è suo evidente modello103. I critici che si sono cimentati

nell'attribuzione della tavola infatti l'hanno variamente indicata come opera di Pesellino o di

scuola Lippiana, senza approdare ad un nome certo. Acclarato per certo il modello di San

Niccolò del Ceppo rispetto a quest'ultima opera dobbiamo accettare che qualunque pittore si

cimentò in simile rappresentazione avesse ben presente l'opera del Ceppo, mediante

98 Cfr. Bernacchioni 1990, pp. 5-14.99 Fu la storica Acidini Luchinat ad indentificare in Domenico di Zanobi la personalità artistica del Maestro della

Natività Johnson. Cfr. Acidini Luchinat 2001, p. 53.100 Cfr. Ivi, p. 6.101 Cfr. Romby 1976, p. 71. 102 Dal catasto del 1457 sappiamo che Paolo Uccello ebbe bottega negli anni 50 in piazza San Giovanni, mentre grazie

ad un reperimento in Archivio di Stato effettuato da Padoa Rizzo è recentemente nota una sua bottega dal 1466 al 67 in Borgo SS. Apostoli. Cfr. Padoa Rizzo 2007, p. 10.

103“Il dipinto del Ceppo, nel quale la testa di San Francesco è stata modernamente falsificata, fu imitato da un anonimo lippesco-peselliniano, in un altro Crocefisso, pure contornato fra San Girolamo, la Maddalena e San Francesco, oggi nella canonica di San Gaetano a Firenze....”. Cfr. Salmi 1958, p. 101.

osservazione diretta, o molto più probabilmente avendone potuto studiare il disegno

preparatorio in bottega, tanto da farne una copia fedele nel San Francesco, magari usando

gli stessi cartoni, come, per il caso analogo, gli identici San Girolamo di Washington e San

Gaetano suggeriscono. Siamo quindi di fronte a tre opere uscite verosimilmente dalla stessa

bottega, e il carattere lippo-peselliniano delle opere di San Gaetano e Washington appartiene

sia a Domenico di Michelino come a Domenico di Zanobi, pittori titolari della bottega di via

delle Terme dell'Uccello da fine anni sessanta, avvalorando così una comunanza lavorativa

fra questi artisti e legittimando di riflesso la paternità uccellesca sul Crocifisso del Ceppo.

A conferma di ciò si deve considerare un’ulteriore opera attribuita a Domenico di

Michelino, La Crocifissione fra San Francesco, San Girolamo e la Maddalena della Villa

Belmonte, presso Antella, Firenze104. L'affresco in questione, portato alla luce negli anni 80

del XX secolo, e oggetto di studio da parte di Anna Padoa Rizzo a cui spetta l'attribuzione,

rimanda in maniera chiara al Crocifisso di San Gaetano, soprattutto nella raffigurazione

della plastica postura dei Santi Girolamo e Francesco, rendendo più che plausibile la

circostanza che vi sia un unico autore per queste due opere. E riprova che queste opere

possano essere effettivamente del Michelino si ha nella sua proficua opera per le Istituzioni

legate al Ceppo: autore dello stendardo processionale per l'Ospedale degli Innocenti (1446),

di un tabernacolo per la Compagnia della Purificazione (1469), alla sua bottega appartiene

anche la Madonna col bambino fra i Santi Antonio, Ludovico, Francesco, Girolamo,

Bernardino e Sebastiano del Monastero di San Girolamo e San Francesco sulla Costa San

Giorgio105 (ora in deposito all'Accademia), senza dimenticare la predella dell'Assunta di

Prato, la stessa Cappella affrescata dall'Uccello negli anni trenta. Proprio un particolare

presente nel San Francesco della predella, la presenza di un Cristo alato in croce da cui

provengono le stimmate, ci illumina rispetto alla conoscenza da parte di Domenico dei testi

del francescanesimo. [ http://fe.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/35200/35155.jpg ] Secondo

infatti la biografia del Santo scritta da Bonaventura di Bagnoregio, Francesco ricevette le

stimmate provenienti dalle ferite di Gesù apparso in croce con le ali da serafino, e la dotta

citazione di Domenico di Michelino, peraltro non unica al tempo, conferma la sua

conoscenza dei testi sacri; il particolare in questione poi è del tutto simile a quello presente

nelle Scene di vita eremitica di Paolo Uccello in Costa San Giorgio, come evidentemente

104 Cfr. Padoa Rizzo 1985, pp. 5-17.105 L'opera in passato data come autografa a Domenico di Michelino è stata recentemente attribuita al “Maestro degli

Angeli di Carta”, un anonimo suo imitatore e collaboratore in bottega. Per maggiori dettagli si rimanda alla scheda di catalogo online della Galleria dell'Accademia.

simile è la natura circostante e la posizione di San Francesco vicino ad un altro francescano.

La riprova della vicinanza fra i due pittori non si esaurisce in questo confronto ma che trova

nella comune e temporalmente vicina iscrizione alla Compagnia di San Girolamo del Ceppo

un altro elemento comune; Domenico di Michelino infatti risulta iscritto al sodalizio nel

giugno 1440106, circa due anni dopo l'Uccello, iscrizione al sodalizio di Domenico che

conferma come la Compagnia fosse un veicolo di molteplici committenze. Esemplare in tal

senso la doppia commissione a loro data dalla Compagnia della Purificazione, alla quale il

Michelino era ulteriormente iscritto. Tale Confraternita commissionò infatti a Paolo Uccello

una Pietà e un San Zanobi (1437) al tempo in cui si radunava nell'Ospedale di San Matteo,

per poi commissionare nel 1447 identici soggetti a Domenico di Michelino nella nuova sede

del convento di San Marco107.

Anche in altre opere date a Domenico di Michelino si nota una proficua vicinanza

all'Osservanza francescana e al culto di San Girolamo: si pensi al caso del San Bernardino

da Siena (1450 c.a.), oggi all'Accademia, il San Bonaventura della chiesa di Santa Croce

recentemente restaurato, alla Madonna col bambino in trono fra i Santi Girolamo,

Francesco, Antonio, Cosma e Damiano per la chiesa di San Girolamo a Volterra, e non

ultimi ai Santi Francesco e Girolamo penitente della collezione Kress conservati presso il

Museum of Fine Arts di Dallas. Tra l'altro non si deve dimenticare che una delle poche

opere certe di Domenico di Michelino, Dante che legge la Divina Commedia (1465 c.a)

ancor oggi conservata presso Santa Maria del Fiore, fu eseguita dal pittore su un disegno di

Alesso Baldovinetti, che il Baldinucci cita come allievo di Paolo Uccello, altro elemento

tangibile di un continuum artistico, che si espande anche riguardo il Monastero di

Annalena, o di San Vincenzo Ferrer. Il Monastero delle terziarie domenicane, fondato da

Annalena Malatesta nel 1453-54 ed intitolato nel 1474 a Santo Stefano e San Vincenzo

Ferrer, posto sotto la protezione di Sant'Antonino, conservava secondo il Vasari108 opere, poi

perdute, di Paolo Uccello e Filippo Lippi, mentre a Domenico di Michelino è attribuito il

San Vincenzo Ferrer, oggi conservato alla Galleria di Parma, ma probabilmente originario

del Monastero. Dall'insieme di questi elementi emerge dunque uno squarcio di vita artistica

di questo pittore, fino ad oggi poco studiata, legata all'Osservanza francescana e alla

Compagnia di San Girolamo, ambedue foriere di importanti commissioni, come lo erano

state, del resto, per Paolo Uccello.106 Cfr. Sebregondi Fiorentini 1991, p. 190. 107 Cfr. Polizzotto 2004, p. 104, e Bernacchioni 2003, pp. 418-419.108 Cfr. Vasari 1878, p. 206.

Dante che legge la Divina Commedia (1465), Domenico di Michelino, Santa Maria del

Fiore, Firenze.

Rileggendo la storia artistica quattrocentesca da questa visuale, emerge il convincimento

che la presenza di Domenico di Michelino nel 1467 in quella che un tempo era stata la

bottega dell'Uccello non fu figlia del caso ma facente parte di un circuito lavorativo al

tempo ben strutturato, e del quale sono giunte a noi solo poche evidenti tracce109. D'altra

parte non deve fuorviare la presenza di Domenico di Zanobi come aiutante di Filippo Lippi

a Prato negli anni cinquanta, in quanto si è dimostrato come fra i due Maestri in questione vi

fu più di un contatto in quel periodo. Non va poi trascurato l'interscambio di scolari, e non

solo, che era all'ordine del giorno nelle botteghe fiorentine: si pensi al caso di Andrea di

Giusto, ossia colui che terminò il ciclo dell'Assunta a Prato, e che era stato allievo nella

bottega di Lorenzo di Bicci, nonché aiutante di Masaccio per il Polittico di Pisa (1426). Al

riguardo interessante citare l'ipotesi di Acidini che ha visto in alcune scene del Chiostro

109 Si ricorda che purtroppo le filze d'affitto della bottega di via delle Terme sono andate perse dal 1434 al 1467. Conseguentemente non è certo che Domenico di Michelino e Domenico di Bartolo presero possesso solo dal 1467, e non antecedentemente.

Verde la mano di Francesco d'Antonio e dello Scheggia (fratello di Masaccio), ambedue

scolari del Bicci110.

Conclusioni

È evidente che da tutto ciò l'attribuzione di Paolo Uccello data dagli Inventari del 1789 e

1810 per il Crocifisso fra San Niccolò e San Francesco esce non solo confermata, ma

ampiamente legittimata. Bisogna considerare che i Confratelli estensori dei due documenti

erano probabilmente all'oscuro del loro “nobile” fratello quattrocentesco, poiché a causa

dell'alluvione del 1557 che colpì la Compagnia di San Niccolò, il loro archivio andò del

tutto perso, tanto che ad oggi non esistono documenti originali del XV secolo. Il nome di

Paolo Uccello non compare mai nell'archivio della Compagnia se non nei due Inventari, e

considerando che il pittore in questione godeva al tempo di scarsa fortuna, disconoscimento

artistico che si protrarrà fino a buona parte dell'Ottocento, è del tutto inverosimile l'eccesso

di casualità combinatoria. L'affiliazione del pittore al sodalizio, la presenza nel medesimo

“ente” di famiglie sue committenti, la sua opera prestata a più riprese per le varie Istituzioni

ad esso collegato, l'attendibilità dei documenti in oggetto, rendono quindi l'attribuzione

certa e storicamente inconfutabile. Peraltro anche l'opera “gemella” di San Gaetano si può

imputare alla sua bottega, come dimostrato, il che comprova ulteriormente la paternità

uccellesca rispetto a San Niccolò. Risolto l'enigma non ci rimane altro che addentrarsi nel

periglioso tema della datazione dell'opera, che Noi ipotizziamo essere intorno agli anni 20-

30 del quattrocento in relazione al Crocifisso della chiesa di San Jacopo in Campo

Corbolini, attribuito dal Parronchi111 (1998) come opera giovanile dell'Uccello.

[ http://fe.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/32400/32024.jpg ]

Proprio quest'ultima attribuzione, accettata anche da Hudson112, unitamente al piccolo

110 Cfr. Padoa Rizzo – Frosinini 1984, pp. 6-12.111 Cfr. Parronchi 1998, pp. 44-47. 112 “At the age of around sixteen the characteristics of Uccello’s mature style would most likely not have been fully

developed, yet the Crucifix does exhibit certain Uccelloesque traits. An almost complete figure 8 shape disposed horizontally in the drapery of the Crucifix also appears in Gabriel’s drapery in the Oxford Annunciation, in the Angels’ drapery in the Karlsruhe Adoration (Staatliche Kunsthalle) and, as alluded to by Parronchi, in the drapery of the figure of Hope in the Marcovaldi Chapel in Prato (traditionally called the ‘Assumption Chapel’), but there in a modified form. Christ’s massive body and small head are also similar to the proportions Uccello gave Adam in the lunette of the Creation Stories in the Chiostro Verde. The Crucifix closely follows a number of models by Lorenzo Monaco, one of the most influential painters in Florence in the early fifteenth century, and long before the Crucifix came to light Georg Pudelko observed a dependence in Uccello’s earliest surviving works on the style of Monaco. Despite the uncertainty surrounding its patronage and early provenance, the San Jacopo Crucifix remains a candidate for Uccello’s earliest surviving work”. Cfr. Hudson, pp. 34-35.

Trittico del Metropolitan Museum di New York dato a Paolo di Dono o scolari113, gettano

una nuova luce sugli esordi giovanili di Paolo Uccello, che trovano nell'opera del Ceppo un

ulteriore conferma. Se infatti non poche similitudini o “stilemi” stilistici si riscontrano con il

Trittico di New York, anche se quest'ultimo appare visibilmente un'opera molto più

giovanile, tanto che si è parlato a ragione di bottega (ponendolo negli anni 40 -50), il

confronto del Cristo fra quello di San Jacopo e quello di San Niccolò diventa ancor più

probante, dato il simile stile, soprattutto nella raffigurazione degli arti inferiori, e nella

rappresentazione del Golgota con annesso teschio.

Per quanto concerne invece l'evidente influsso del Masaccio sempre nel Cristo, si ricordi il

citato episodio della collaborazione nella Cappella Carnesecchi, anch'esso avvenuto in un

momento assai preoce della biografia dell'Uccello (1423 c.a), ossia in tempi perfettamente

collimanti con quanto ora esposto, collaborazione che certamente influenzò reciprocamente

i due pittori, e che “giustifica” a questa altezza cronologica l'influsso masaccesco.

Aldilà delle assonanze, più o meno marcate, fra le tre opere rimane l'indubbio fatto che le

attribuzioni all'Uccello del Crocifisso di San Jacopo e del Trittico di New York spazzano via

ogni tipo di obiezione stilistica rispetto alla Tavola del Ceppo, e che invece trovano, nella

mole documentaria dell'Archivio del Ceppo, una conferma storica alle attribuzioni stilistiche

delle altre due opere, facendone così un unico corpus artistico del periodo giovanile di

Paolo Uccello.

Dobbiamo quindi aggiungere una nuova Opera al catalogo del Pittore, Opera che getta una

nuova luce sulla biografia artistica di Paolo Uccello, legato ad una precisa committenza di

stampo laicale-religioso, che certamente influenzava il suo operato, il suo stile.

113 The triptych, a bequest of Lore Heinemann to the Metropolitan Museum of Art, emerged in the literature at the end of the twentieth century with an attribution to Uccello, although it has not been written about at length...In Keith Christiansen’s notice of the work following its acquisition by the Metropolitan Museum of Art, he accepted the attribution to Uccello, and proposed a date for it in the 1430s. He also noted the inscription identifying the Bridgettine nun donor in the central panel as ‘S[OUR]. FELICITA’, and suggested that the work might have been painted for the Bridgettine convent of Santa Maria del Paradiso, near Florence (...)The combination of a clearly Uccelloesque design, familiarity with Uccello’s technique, and some uncharacteristic execution suggests that the work was made from Uccello’s designs by a workshop assistant in the late 1440s or 1450s. Interestingly, archival research by Rolf Bagemihl has revealed that a Felicità di Francesco Casavecchia made profession at the convent in January 1455, a plausible dating for the triptych”. Cfr. ivi, pp. 166-167.

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Ricordi di tornate e partiti della Venerabile Compagnia di San Niccolò detta del Ceppo Com.i l'anno 1793 termina a tutto l'anno 1813.

Ricordi di tornate e partiti della Venerabile Compagnia di San Niccolò detta del Ceppo Com.i l'anno 1814 termina a tutto l'anno 1844.

Libro di deliberazioni del Consiglio del Pio Istituto di San Niccolò del Ceppo 1812 – 1842.

Libro di Entrate e Uscite 1820.

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Archivio di Stato

Relazione sopra tutte le Compagnie, Congregazioni, Centurie, Buche esistenti in Firenze attualmente Li 22 8bre, 1783 (Archivio di Stato, Segreteria di Gabinetto, filza 51).

Seconda nota data posteriormente dall'Arcivescovo di Firenze di altre Compagnie che crederebbe utili di conservarsi (Archivio di Stato, Segreteria di Gabinetto, filza 51).

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