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Francesco Giuliani Occasioni letterarie pugliesi Edizioni del Rosone 2004 De Amicis - Pascoli - Bacchelli - Soccio - Cassano

La novella \"Fortezza\" di Edmondo De Amicis

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Francesco Giuliani

Occasioni letterariepugliesi

Edizioni del Rosone2004

De Amicis - Pascoli - Bacchelli - Soccio - Cassano

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i – la periZia Del giOVane scrittOre

l’opera di edmondo De amicis sta attraversando da alcuni anni un periodo di positivo interesse, dopo una fase di appan-namento e di giudizi al vetriolo. Un momento significativo nell’ambito di questa rinnovata frequentazione dei testi dea-micisiani può essere visto, considerata anche l’autorevolezza della collana e la sua diffusione, nel Meridiano apparso nel 1996, a cura di Folco portinari e giusi Baldissone.

la selezione, in queste Opere scelte, può lasciare qualche dubbio, come sempre avviene quando bisogna lavorare di for-bici, tanto più se nell’ambito di una produzione decisamente ampia, quale quella di De amicis, e si possono anche avanzare qua e là dei rilievi; ma a noi preme anzitutto rilevare come il volume sia il segno di una preziosa continuità di studio e di ricerca, che allunga quel filo che consegna lo scrittore al nuovo millennio.

in gran parte delle biblioteche è facile reperire i testi di De amicis, che hanno potuto vantare in passato delle tirature molto considerevoli, ai quali vanno aggiunti volumi come le Letture scelte curate da Dino Mantovani1, del 1908, l’anno della morte dello scrittore. si tratta di un’«antologia scolasti-ca e famigliare», indirizzata «alla gioventù», come si legge sulla copertina, con due precisazioni intese a rassicurare i potenziali acquirenti.

il caraBiniere, i Briganti e la cOntaDinaFORTEZZA Di eDMOnDO De aMicis

1 treves, Milano, 1908.

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un libro al di sopra di ogni sospetto, insomma, formativo, il che, per la verità, era noto a tanti. «come per milioni d’altri ragazzi italiani della mia generazione, – ha scritto antonio Baldini nell’Introduzione ai due ponderosi tomi dedicati alla produzione di De amicis – il mio primo libro di lettura che non fosse unicamente di scuola, per quanto se ne leggessero molte pagine anche a scuola, fu Cuore. in prima ginnasiale, come “libro di lettura in classe”, erano prescritti i bozzetti di Vita militare»2.

con il rondista, chino a rievocare il suo passato, ma ormai giunto in età matura, ci spostiamo all’immediato secondo dopoguerra, all’indomani di un’immensa tragedia. e di qui, passando attraverso rivolgimenti di gusto e di tendenze non meno densi, ma per fortuna incruenti, ritorniamo al 1996 e all’inizio del terzo millennio, ancora una volta intenti a di-scutere di questo personaggio e dei suoi libri, con tutto ciò che al tema si collega.

ci riferiamo, in particolare, all’immancabile richiamo ai buoni sentimenti e al socialismo del cuore, che per alcuni si trasformano in retorica ed ipocrisia, dando adito ad acide osservazioni o ad elogi volutamente fuori luogo. un quadro nel quale non è mancata neppure una riedizione televisiva del suo libro più celebre in stile da perfetta telenovela.

segni, in fondo, sia pur con le necessarie precisazioni e riserve, di un autore che ha ancora parecchio da offrire ai lettori di oggi, tanto più se si tengono presenti i vari aspetti della sua vena letteraria, che si distende nell’arco di alcuni decenni.

in quest’ambito, il nostro punto d’osservazione è rappre-

2 a. BalDini, Introduzione a De Amicis, opere scelte, garzanti, Milano, 1945, vol. i, p. iX.

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sentato dalla produzione giovanile di De amicis, prima della fase segnata dai libri di viaggio, nell’ambito della quale si inserisce la novella Fortezza.

Ha poco più di vent’anni, questo intraprendente ufficiale con il pallino della scrittura, che aveva frequentato il collegio Candellero di torino e l’accademia militare di Modena, dove aveva conosciuto dall’interno la vita del soldato dell’esercito italiano.

nel 1866 partecipa alla terza guerra d’indipendenza, ed in particolare alla battaglia di custoza, di cui spesso parla nelle sue pagine, una sconfitta che lascerà comunque spazio alla gloria dell’annessione del Veneto.

l’anno dopo, a Firenze, inizia la sua collaborazione a «l’italia Militare», un periodico legato al Ministero della guerra, che esce tre volte alla settimana3 e lascia poco spazio ai dubbi, visto il titolo e il compito che intende svolgere a favore dell’esercito nazionale.

Qui appaiono i primi scritti dell’intraprendente personaggio, che brucia subito le tappe. nel 1868, non a caso, treves gli pubblica La vita militare, con i suoi dodici bozzetti, desti-nati a diventare venti nel 1869, numero che, sia pure con aggiunte ed esclusioni, resterà invariato anche nell’edizione definitiva del 1880.

Questi racconti, nati in un momento storico ben preciso, celebrano le virtù del militarismo, illuminano ufficiali e supe-riori burberi ma buoni, accanto a soldati che hanno lasciato le proprie case per ben cinque anni, ma che sono pronti a persuadersi della necessità di servire la patria. Mostrano madri orgogliose dei propri figli e cittadini solidali verso i soldati,

3 una pagina è riprodotta in una tavola fuori testo dell’ancora utile biografia di L. GIGLI De Amicis, utet, torino, 1962.

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che isolano i malfattori. sono racconti chiaramente orientati, per così dire, ma che

non nascondono, pur superandole e ricomponendole in un quadro unitario, le note stonate, si tratti della lunga leva o del volto cruento della guerra.

Una vena che fluisce, senza grosse differenze, anche nei sei racconti che formeranno, nel 1872, la prima edizione delle Novelle, ed in particolare in Fortezza, che portinari ha a giusta ragione definito «un “racconto mensile”, calato giù dalla Vita militare»4, incentrato su di un eroico carabiniere coinvolto nella fase più terribile della lotta al brigantaggio, nel 1861.

in fondo, pur nei loro lati discutibili, questi scritti rientrano nell’ambito di una stagione nella quale bisognava fare gli Ita-liani, a pochi anni dall’unità, confrontandosi con la questione romana e i suoi duraturi effetti. Quanto questo compito fosse gravoso, è del tutto superfluo evidenziarlo.

l’esercito portava gli uni accanto agli altri giovani di ogni parte della nazione, e all’inizio del primo bozzetto de La vita militare, Una marcia d’estate, ci imbattiamo già in una emblematica descrizione: «a tre, a quattro, a cinque voci assieme, si sentiva cantare qua l’allegro stornello toscano, là la patetica romanza meridionale, più lontano la canzone guerriera delle alpi; ed altri smettere, ed altri cominciare, e mille accenti e dialetti svariati succedersi e mescolarsi»5.

È l’esercito inteso come modello interclassista e interre-

4 F. pOrtinari, La maniera di De Amicis, Introduzione a De Amicis. Opere scelte, a cura di F. portinari e g. Baldissone, Mondadori, Milano, 1996, p. XXV.

5 e. De aMicis, La vita militare, treves, Milano, 1908, p. 1.

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gionale, che lascerà poi risolutamente posto alla scuola, nel libro del 1886.

sullo sfondo, la differenza rimaneva, nella concretezza e nella durezza di una realtà quotidiana fatta di stenti e di po-vertà, ma tra mille contraddizioni e difficoltà nasceva anche una nazione nella quale riconoscersi.

riletti oggi, a distanza di tanti anni, questi racconti mostra-no una straordinaria, anche per certi versi inattesa, capacità di tenuta.

in parte si tratta di motivi contingenti, legati ad una fase storica, come quella attuale, nella quale l’idea di solidarietà nazionale viene inquinata ed aggredita, da nord a sud, senza grandi differenze, da uno strisciante e rancoroso particolarismo municipalistico.

in fondo, c’è ancora bisogno di un De amicis che ci parli di punti di convergenza, di valori comuni, al di là di certe forzature sentimentali e del militarismo, che oggi appare, per felice ironia della sorte, come una sorta di cornice d’epoca, di sfondo peculiare, tanto lontano dalle esperienze della gran parte dei lettori, quanto suggestivo.

soprattutto, però, al di là di questo elemento contingente, che comunque ci ricorda che tutti siamo figli dell’epoca in cui viviamo, e ci regoliamo di conseguenza, questi racconti mostrano le indubbie qualità artistiche di De amicis. egli è abilissimo nel costruire vicende lineari ma avvincenti, semplici ma frutto di un’abile ricerca di effetti calcolati, servendosi di una lingua che si piega docilmente allo scopo, scorrevole ed accessibile, ma mai sciatta.

in queste pagine circola la leggerezza di uno scrittore poco più che ventenne, il dono che lo rende in grado di dar vita a personaggi che restano ben impressi nella mente, come il carabiniere di cui ci apprestiamo ad interessarci, che rientra però in una galleria affollata da tanti altri volti, colti nella

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loro dedizione o nel loro sacrificio. come dimenticarci, ad esempio, del protagonista de Il

mutilato? È un povero soldato, visto nella patetica scena dell’addio alla sua bella, in una sera di maggio che precede la partenza per la città e poi per il fronte di guerra; ferito nel combattimento, gli viene amputata una parte della gamba, ritrovandosi costretto a servirsi di una rudimentale protesi. Non vorrebbe più tornare al suo paese, ma alla fine, dopo il mesto arrivo su di un carretto, si ritrova consolato dall’im-mancabile amore della madre e da quello della sua fidanzata, che non lo abbandona e si dice onorata di sposarlo.

una donna, come vedremo, benché non sia sua moglie, consolerà anche i giorni del carabiniere di Fortezza, reso cie-co dalle torture subite. Il sacrificio per un alto ideale, quale quello patriottico, trova sempre una ricompensa.

Pochi scrittori, come De Amicis, sanno essere così definibili e, insieme, così smaliziati e godibili, così perfettamente in grado di mettere a frutto una non comune perizia letteraria.

ii – in terra Di capitanata

Fortezza chiarisce subito gli intenti dell’autore, la sua po-sizione, ma nello stesso tempo tiene sempre desta l’attenzione del lettore, non gli offre un momento di tregua, mescolando sapientemente elementi sentimentali e realistici, fino ai colpi di scena finali, che danno ragione del particolare comporta-mento di uno dei briganti ed avviano ad uno scioglimento gravido anche di elementi di riflessione.

il racconto occupa il sesto ed ultimo posto nelle Novelle edite dalla le Monnier nel 1872, dopo Gli amici di collegio, Camilla, Furio, Un gran giorno ed Alberto, mentre nell’edi-zione trevesiana del 1878 sarà seguito da La casa paterna,

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che rimpolpa il libro. le Novelle sono state da poco ripubblicate, nel 20026. l’idea

di riproporre questi scritti deamicisiani è stata di certo felice; peccato, però, che il testo sia stato curato in maniera così carente, senza inquadramento storico e critico, senza note ed apparati. la presentazione del curatore è brevissima e rinvia alle successive pagine di achille Macchia, a suo tempo scritte per l’edizione Bideri del 1914, senza nemmeno correggere uno strafalcione come quello che si legge a proposito di Fortezza, racconto che «esalta il coraggio di un carabiniere preso in mezzo dai briganti in Basilicata»7. si tratta, invece, come vedremo, di un’opera ambientata in capitanata.

Di solito si ritiene che la novella più riuscita del volume, se non di tutta la produzione deamicisiana, sia Furio, un pre-gevole sforzo di approfondimento psicologico, che fa il paio con Carmela, in La vita militare. la valutazione ci sembra inattaccabile, ma Fortezza resta pur sempre una novella va-lidissima, fornita di una sua straordinaria individualità e di un non comune spessore artistico.

per questi motivi, non sono mancati nel tempo i suoi estimatori, tra cui gilberto Finzi, che l’ha inclusa, accom-pagnandola con delle positive valutazioni critiche, sia pur accentuandone in modo esagerato l’eccentricità rispetto alla restante produzione, nella raccolta dedicata dalla garzanti alle Novelle Italiane, apparsa nel 19858.

Più scontata, ma pur sempre significativa, è la menzione che di Fortezza viene fatta nei siti telematici dell’arma dei

6 e. De aMicis, Novelle, a cura di t. citeroni, adda, Bari, 2002.7 ivi, p. 9.8 Novelle Italiane. L’Ottocento, a cura di g. Finzi, garzanti, Milano,

1985, volume i, pp. 497-517.

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carabinieri. Nel sito ufficiale di questi tutori dell’ordine, tra l’altro,

troviamo dei dati sull’imponente utilizzo dei carabinieri al fianco dell’esercito regolare, in funzione di supporto nella lotta al brigantaggio, che impegnò un terzo dell’organico. inoltre, sono riportati alcuni esempi di eroismo, sanciti da medaglie al merito, che ci aiutano a penetrare nello spirito di un’epoca nella quale non mancarono prove di grande abnegazione e dedizione alla causa nazionale, come nel caso di giovanni Martano, nei pressi di lanciano:

Sotto un caldo che spacca le pietre (7 agosto 1862) sta tornando da una perlustrazione di routine con il vicebrigadiere Giacomo Bassano. Ad un tratto compaiono ben 25 banditi: dopo una tenace difesa le munizioni finiscono. Bassano si butta in un burrone e ce la fa a salvare l’osso del collo. Martano si difende come una belva anche nel corpo a corpo, ma alla fine viene legato a un albero. Il capobanda gli impone di rinnegare re Vittorio Emanuele II e di gridare «Viva Francesco II!». Altri al posto di Martano avrebbero gridato qualunque cosa pur di salvare la vita, magari convincendosi che è più utile un soldato vivo per un’altra battaglia, che un eroe morto. […]

Eppure in quei momenti terribili possono verificarsi, e si verificano, strane reazioni: lo spirito di corpo, l’impulso a non concedere una preziosa vittoria psicologica al nemico, il senso dell’onore ed anche l’orgoglio personale fanno venir fuori parole come «No, ho giurato, piuttosto ammazzatemi». Le suppliche di una anziana donna che ha assistito alla scena da una masseria vicina incrinano la brutalità del capobanda, che in uno sprazzo di umanità, lascia libero il prigioniero. Martano riceverà la me-daglia d’argento9 .

anche Martano, come l’eroe della novella deamicisiana,

9 in La lotta contro il brigantaggio, www.carabinieri.it.

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salverà la vita e, tutto sommato, a quanto sembra, pagando un prezzo meno alto.

Di certo, la fase del brigantaggio meridionale, nel suo periodo più terribile, fino al 1865, è ricca di vicende cruen-te, di pagine dense di una straordinaria ferocia, che non ha risparmiato nessuno.

sull’argomento, com’è noto, esiste ormai un’imponente documentazione, che oscilla con varie sfumature e sensibilità tra i due estremi della unilaterale valutazione delle ragioni del nuovo stato italiano e della difesa dello status quo bor-bonico, trasformando con facilità talvolta sconcertante i tutori dell’ordine in assassini, e viceversa.

il giovane De amicis, nato ad Oneglia, oggi imperia, e trasferitosi in tenerissima età con la famiglia a cuneo, intra-prende, come abbiamo già ricordato, la carriera militare: già da questi dati è facile dedurre quale sia la sua posizione di fronte al brigantaggio, decisamente schierata in difesa della nuova realtà politica, messa così a dura prova dalle ribellioni registrate nel Meridione.

Si tratta della linea ufficiale risorgimentale, che trova in lui, che scrive per giunta a pochi anni di distanza dai fatti, quando molti elementi dovevano ancora chiarirsi e si avvertiva solo lo strascico di una sofferenza che aveva lasciato il segno in uomini del nord come del sud, un appassionato difensore.

i briganti sono dei malfattori, dei delinquenti comuni, e come tali li rappresenta in Fortezza, iniziando il racconto vero e proprio, dopo l’ampia cornice, con la descrizione dei cruenti effetti prodotti dal brigantaggio, resi con una forte ac-centuazione, soffermandosi, tra l’altro, sulle lugubri esibizioni dei cadaveri e sul ricorso esasperato alla tortura.

De amicis non concede attenuanti ai ribelli, né pone l’ac-cento sulle questioni sociali e politiche poste alle spalle delle insorgenze, come farà ad esempio Bacchelli in Il brigante di

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Tacca del Lupo (si veda il saggio relativo in questo libro), che però scrive a distanza di molti anni dai fatti.

attentare alla causa dell’unità, nelle modalità in cui si era realizzata, incrinare la debole pianta dell’italia di Vittorio emanuele ii, è un delitto grave per lo scrittore, che evidenzia in modo netto questa sua posizione; ma nel racconto la di-visione tra buoni e cattivi, che pure è lampante, non giunge fino all’inverosimile, alla più sfacciata falsificazione storica.

la lotta tra briganti e piemontesi è uno scontro senza esclusione di colpi, in cui i soldati nazionali rispondono agli attacchi con altrettanta violenza. uno dei briganti, così, spinge bruscamente il carabiniere rapito con queste parole: «- su, poltrone! Voialtri, quando ci cogliete, ci legate ai vostri cavalli! una volta per uno, piemontese!» (p. 50)10 .

i ribelli sanno che cadendo in mano ai nemici saranno passati per le armi e nei loro discorsi fa capolino la men-zione dei sette briganti della banda di codipietro, arrestati e fucilati. Per loro non c’è perdono e lo stesso patto finale tra il protagonista e la donna di san severo viene sancito dalla «fragorosa scarica» (p. 63) con la quale i soldati pongono fine alla vita dei tre prigionieri.

una novella apertamente orientata, come già ricordato, ma che non arriva fino a nascondere il carattere bilateralmente violento dello scontro verificatosi nel Meridione.

non va neanche dimenticato, d’altra parte, che i briganti non appaiono solo nemici dell’esercito nazionale, dei piemon-

10 il numero delle pagine si riferisce a quelle del nostro libro. il te-sto di Fortezza è tratto da Novelle, treves, Milano, 1909, che riproduce l’edizione del 1878, «riveduta e ampliata dall’autore»; essa presenta dif-ferenze di modesta entità rispetto a quella del 1872. abbiamo provveduto alla correzione di alcuni isolati refusi, anche sulla base del confronto con altre stampe delle Novelle.

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tesi, ma anche degli stessi meridionali, che taglieggiano ed opprimono, come testimonia in particolare l’indifesa contadina di san severo, che avrà un così grande risalto nell’opera.

essi non vengono rappresentati meglio nel racconto Una medaglia, presente già nell’edizione del 1869 de La vita militare, che tematicamente si ricollega a quello in esame.

la decorazione alla quale si fa riferimento nel titolo vie-ne ottenuta da un ruvido e duro soldato abruzzese proprio lottando contro dei briganti.

la scena centrale è ambientata nella valle del tronto, dove, in una zona particolarmente impervia, un gruppo di militi viene assalito dai malfattori, che cercano di sfruttare l’effetto sorpresa.

tre briganti, tanti quanti sono quelli che hanno teso l’imboscata al carabiniere di Fortezza, cercano di uccidere il soldato abruzzese, senza riuscirci. nella novella del 1872 spara uno solo, colpendo il cavallo dell’eroe, ma i tre riescono comunque ad avere la meglio su di lui; qui, invece, usciti allo scoperto, i briganti devono fare i conti con il milite, che reagisce con grande energia, uccidendoli tutti.

ampia e particolareggiata, oltre che avvincente, è la de-scrizione, quasi da film western, dello scontro con l’ultimo degli assalitori, che sembra aperto ad ogni esito, per poi concludersi con la vittoria dell’abruzzese, che conficca il coltello nella gola dell’avversario.

È un lungo primo piano, che in seguito si allarga, ricor-dando che «la pattuglia era stata assalita nello stesso tempo da un branco di briganti i quali, appena sparate le carabine, s’erano dati alla fuga. i soldati li avevano inseguiti per un buon tratto di via»11.

11 e. De aMicis, La vita militare, cit., p. 260.

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anche qui, dunque, si tratta di malfattori, per giunta mostrati come maldestri nella preparazione dell’imboscata e vigliacchi, visto che quasi tutti si danno immediatamente alla fuga.

La figura femminile di questo racconto è canonicamente rappresentata dalla madre, che ritroverà dopo due anni ad Ascoli il figlio, decorato per la sua coraggiosa e decisa resi-stenza. in questo, Fortezza presenta un motivo di maggiore originalità, considerato il particolare rapporto che legherà la contadina al carabiniere cieco.

Lo sfondo geografico di Fortezza, a differenza di quello del bozzetto militare, è costituito dalla capitanata, la parte settentrionale della puglia, nella quale particolare risalto viene assegnato a san severo. Qui sta tornando «un carabiniere a cavallo, il quale era partito la notte da quella città per andar a recare al comandante d’una “colonna mobile” un ordine del colonnello» (p. 47).

De amicis sapeva bene che la capitanata era stata una terra fortemente infestata dai briganti, nella quale si erano verificati numerosi scontri, non di rado con esiti cruenti, specie fino al 1863.

in questa provincia, san severo, nel cuore della pianura, era uno dei paesi più importanti e popolosi, con oltre 16 mila abitanti, posto al centro di un ampio circondario, formato da numerosi comuni. lì era la sede della sotto-prefettura e lì hanno operato dei carabinieri, nel periodo del brigantaggio, dato, anche questo, che lo scrittore non doveva verosimil-mente ignorare.

il tutore dell’ordine non rientra alla base, ma viene rapito e trascinato fino ad un nascondiglio nascosto nel fianco di una montagna. immaginiamo si tratti del gargano, ma la descrizione resta vaga. lo scrittore si limita a sottolineare il trasferimento dell’uomo in un posto appartato, dove inizia il suo calvario.

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Di certo, la vicinanza alle ampie distese della pianura, ideali per le scorrerie a cavallo, di luoghi simili, accidentati e difficilmente accessibili, ha effettivamente aiutato le imprese dei briganti.

a san severo è nata anche la donna scoperta nel covo dei malfattori, come lei stessa ci racconta nell’ultima parte della novella («-sì! – gridò questa come una forsennata; – sono una donna… m’hanno rubata… son quindici giorni… mi misero il coltello alla gola… m’hanno condotta con loro… Ma io non mi sono macchiata le mani di sangue, no! lo giuro! io li accompagnava soltanto perché non m’uccidessero! io sono di san severo… sono una povera contadina…», pp. 60-61).

la sua presenza accanto ad un gruppo di briganti è tutt’al-tro che anomala.

la pagina storica del brigantaggio, come si sa, vede an-che la presenza di donne, che sanno essere feroci complici nelle azioni dei compagni, ma più spesso appaiono nel ruolo di vittime. il personaggio deamicisiano rientra in una delle tipologie comprese nella definizione di donna del brigante, si tratta, cioè, di una persona che viene rapita e ridotta in stato di schiavitù, costretta, contro il suo volere, a seguire i malfattori nelle loro imprese.

lo scrittore attenua notevolmente le sue responsabilità, per giustificare la sua sorte diversa rispetto agli altri tre per-sonaggi e per rendere verosimile il suo futuro di dedizione accanto al carabiniere.

essa non ha alcuna colpa, è una delle tante contadine che vivono nella zona, ma nello stesso tempo il rapimento subito (al quale probabilmente si è accompagnata la violenza sessuale, anche se nella novella non c’è alcun riferimento specifico, per ovvi motivi) ha compromesso la sua reputazione, si è trasformato in una grave macchia, che rende impossibile, sic et simpliciter, il suo ritorno a casa.

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la situazione in cui si viene a trovare, unita alla disperazione del momento, spiega la sua richiesta di farsi fucilare insieme ai briganti, esattamente come se fosse stata colpevole. Ma a questo punto, in un susseguirsi di colpi di scena, interviene il carabiniere, assegnandole un compito ben diverso e più nobile, accanto a lui.

iii – la cOrnice-cOntinuaZiOne

il titolo della novella, Fortezza, è chiaramente riferito all’indiscusso protagonista, seguito nella sua stoica soppor-tazione delle violenze inflittegli. Il termine non compare mai nel corpo dell’opera ed è, in fondo, la risposta ideale del narratore ai dubbi espressi dai briganti, sconcertati di fronte alla straordinaria reazione del prigioniero:

– Ma il più bello – disse uno – è che non parla... O che sarà?... Superbia?

– Modestia, – rispose l’altro con un riso sguaiato.– Paura, – aggiunse il capobanda.Il carabiniere scosse la testa come per dire di no.– Ah! no? – esclamò il brigante, balzando in piedi; – ora

vedremo. (p. 55)

l’uomo riesce a dominare il dolore, mostrandosi saldo nelle avversità. era sin dall’inizio preparato ad una simile situazione, sapeva che poteva essere catturato e torturato dai nemici, ed ora, nel momento in cui si trova di fronte all’evento temuto, rivela la sua forza, la sua incrollabile e tenace coerenza.

il soldato vile disonora se stesso ed i suoi ideali, ma quello coraggioso li esalta, specie di fronte a dei briganti.

la fortezza, tra l’altro, è una delle quattro virtù cardinali

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della dottrina cattolica, uno dei sette doni dello spirito san-to, ed anche questo riferimento, tutto sommato, immesso in un diverso contesto, contribuisce a far rifulgere il valore di questo martire della causa nazionale, di questo eroe laico di cui si intende tessere l’elogio.

la novella è divisa in due parti. la prima, decisamente più breve, ma pur sempre articolata nel suo interno, svolge una duplice funzione: da una parte funge da cornice, aumentando l’interesse intorno alla narrazione vera e propria, ma dall’altra completa la stessa storia, rappresentandone la continuazione. l’azione della prima parte, infatti, si svolge dieci anni dopo l’accecamento del carabiniere, è la quotidianità che fa seguito al momento eroico.

l’uomo, di cui al momento non si rivela nulla di preciso, vive in una semplice casa, con le sue abitudini di non veden-te, mostrando i suoi bisogni e le sue necessità. egli divide l’esistenza con una donna, che solo nelle ultime pagine della novella sarà identificabile con la contadina sanseverese, che ha qualche anno in più di lui e porta ben chiari i segni del tempo e delle sofferenze.

le condizioni in cui l’uomo trascorre i suoi giorni non sono affatto facili, come egli stesso ricorda («io ho della pazienza, essa pure, e si vive… come Dio vuole», p. 46), ma, ovviamente, non è affatto pentito e le sue «due grandi consolazioni sono la stima della gente e la devozione di questa povera disgraziata» (ivi).

egli è un eroe, il suo volto è noto, tante persone vengo-no ad omaggiarlo, ammirando il suo sacrificio, apprezzando l’altissimo valore del suo gesto; ma non c’è dubbio che De amicis non nasconde del tutto l’altro lato dell’eroismo, la sua dimensione quotidiana, con il risultato di rendere più vivo e credibile il personaggio, al quale, alla fine, non si possono che baciare le mani, in segno di stima, come fa l’amico del

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narratore.Questi è il protagonista di un divertente, ma significativo,

anzi edificante, equivoco, che lo porta ad usare parole molto polemiche verso il carabiniere.

egli ha vent’anni, è impetuoso, facile agli eccessi, e così, osservando da lontano il comportamento del cieco, mostra tutta la sua insofferenza verso di lui («m’è antipatico a tal punto, che mi venne più volte l’idea di cambiar di casa non per altro che per procurarmi la consolazione di non averlo più da vedere», p. 43). lo considera un viziato («lui fa l’idolo; lui è nato per farsi guardare e servire», p. 44), pensa che sia un avido commerciante, che tratta la propria moglie come una serva, in un crescendo di maligne e gratuite illazioni.

la verità, però, è che il giovane non ha mai parlato con lui, non sa chi sia e, per giunta, ha una vista tutt’altro che acuta, persino usando il cannocchiale. il denigratore, così, diventa il simbolo di chi valuta in maniera superficiale, di chi si ferma all’apparenza, allontanandosi dalla concretezza dei fatti.

il presunto bottegaio, osservato con occhi lucidi ed at-tenti, assume il suo vero volto di eroe («È quel viso visto cento volte nei ritratti!», p. 45), rivelandosi un personaggio completamente diverso. Di qui la visita che il narratore fa al carabiniere, dal quale ascolta la storia che ha segnato la sua esistenza dieci anni prima, e la stesura del racconto, nel quale viene fissata tutta la vicenda.

la verità si impone, con tutti i valori che ad essa si ac-compagnano, e il giovane impetuoso e superficiale, ma che al fondo ha un animo buono, alla fine si ricrede, andando a chiedere scusa all’eroe, all’uomo che aveva sempre osser-vato da lontano, senza mai apprezzarne le virtù. È un gesto di riparazione tipicamente deamicisiano, il cui risalto viene amplificato dall’autore.

nell’edizione del 1872 la scena terminava in questo modo:

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«l’amico comparve sulla soglia. – tu, - io continuai ad alta voce, - tu sei andato a dargli un bacio! – egli mi guardò, sorrise, e poi gettandomi le braccia al collo mi rispose con un grido d’allegrezza: - sì!». nella successiva revisione, però, l’amico risponderà in modo diverso, con un più forte effetto: «no, perché n’ero indegno; sono andato a baciargli le mani» (p. 47).

la prima parte di Fortezza, dunque, offre informazioni nuove e significative, che acquisteranno però il loro senso preciso solo dopo, a novella completata; intanto, il narratore fa abilmente nascere nel lettore il desiderio di conoscere fi-nalmente la vicenda che ha reso questo cieco così degno di ammirazione e di stima.

a questo punto, la seconda e più ampia sezione dell’opera può iniziare.

iV – l’erOe e gli aguZZini

la vicenda del carabiniere viene inquadrata in un momento storico ben determinato, l’estate del 1861, quando «la fama delle imprese brigantesche correva l’europa» (ivi).

siamo, dunque, nella fase più cruenta della rivolta e il nar-ratore tiene a rimarcarlo, attraverso vari esempi. le descrizioni sono accese, i toni esasperati, i particolari cruenti, tendenti ad impressionare con la loro forza, mostrando l’inquietante sconvolgimento della vita normale («quando turbe di pleba-glia forsennata uscivan di notte dai villaggi, colle torcie alla mano, a ricevere in trionfo le bande; quando s’incendiavano messi, si atterravano case, si catturavan famiglie, s’impiccava, si scorticava e si squartava», ivi). È un repertorio di orrori, evidenziato dall’uso accorto di anafore (quando), ripetizioni, enumerazioni, pregnanti aggettivi.

È una violenza contro l’italia e pertanto, partendo da

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questa posizione, il narratore coglie solo le azioni crudeli compiute dai briganti e i dolori patiti dai tutori dell’ordine, soffermandosi su alcuni episodi di particolare gravità.

Montemiletto è un piccolo comune dell’avellinese. Qui arrivano, nei primi giorni di luglio del 1861, in gran nume-ro, i briganti, assediando il sindaco, che si rifugia nel suo palazzo insieme con i liberali. Dopo aver vinto la resistenza opposta, i ribelli si abbandonano ad atti di violenza, ferendo ed abbandonando ai cani il capitano del luogo, oltraggiando cadaveri e commettendo altri episodi simili.

Viesti è il vecchio nome di Vieste, sul Gargano. Alla fine di luglio, in un contesto che vede delle rivolte anche in vari comuni della zona, i briganti si impadroniscono del paese, inneggiando ai Borboni, tra le acclamazioni del popolo. poi, viene data la caccia ai liberali e ai galantuomini, con un bilancio di alcuni morti; la successiva risposta dell’esercito nazionale sarà molto dura.

altri terribili episodi di violenza avvengono a pontelan-dolfo, nel Beneventano. siamo ai primi di agosto del 1861, in un territorio nel quale i briganti godono di molti appoggi e di estese complicità.

il «povero luogotenente Bacci» (ivi) è, più precisamente, il tenente cesare augusto Bracci, che viene inviato con 40 soldati e 4 carabinieri in un paese già sconvolto dalla guerra. sopraffatto dai nemici, grazie anche, a quanto pare, al suo comportamento poco accorto, viene ucciso con le sue truppe, in un crescendo di violenze.

il colonnello negri, partito da Benevento la sera del 13 agosto, all’alba del 14 è a pontelandolfo, mettendo in atto una repressione durissima e spietata, che coinvolge anche il vicino centro di casalduni. l’ordine degli eventi è inverso rispetto a quello nel quale i due personaggi compaiono nel racconto.

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Quanto al pietropaolo, che «portava in tasca il mento di un ‘liberale’ col pizzo alla napoleonica» (ivi), si tratta del calabrese Ferdinando pietropaolo, del quale Marc Monnier parla come di un perfetto emblema della crudeltà dei brigan-ti, nel suo classico volume apparso nel 1862, incentrato sul brigantaggio nelle province meridionali12.

l’ultimo riferimento storico è dedicato al Vaticano, in perfetto stile risorgimentale ed anticlericale, lamentando il ruolo svolto a favore di ribelli, reazionari e legittimisti («e a tener vivo e ad accrescer l’eccidio miserando venivan dalla riva destra del tevere armi, scudi e benedizioni», ivi).

in quest’infuocato contesto, dunque, si svolge la delicata missione del carabiniere a cavallo che, da solo, sta ritornando alla base, portando con sé la risposta del comandante di una colonna mobile all’ordine del colonnello.

la determinazione cronologica («uno degli ultimi giorni di luglio», ivi) diventa più precisa, rispetto a quella iniziale, in cui si parlava del periodo estivo. inoltre, come già sappiamo,

12 nel quinto capitolo del suo volume, Storia del brigantaggio nell’I-talia meridionale, si legge quest’interessante passo: “io non mi sono esteso sulle atrocità commesse dai briganti, per non essere tacciato di inverosimiglianza. Ma ecco una testimonianza che non sarà posta in dubbio, un considerando di una sentenza pronunciata contro un calabrese di Feroleto Vecchio, chiamato Ferdinando pietropaolo e capitano dello stato maggiore di crocco: “considerando che la ferocità di pietropaolo è posta in evidenza anche dalla scoperta di un mento umano con pizzo alla Napoleone (imperiale) tolto a qualche disgraziato di opinioni liberali, e che pietropaolo portava barbaramente seco… ec”” (M. MOnnier, Il brigantaggio da fra’ Diavolo a Crocco, presentazione di g. custodero, capone, lecce, 2001, p. 77). lo studioso di lingua francese è decisamente polemico verso il brigantaggio, con una posizione che al giovane stato italiano non fu affatto sgradita. Da notare che nel sesto capitolo si citano anche dei documenti sulle violenze brigantesche in capitanata nel 1861.

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viene circoscritto il luogo in cui si svolge l’azione. È un attacco dal sapore vagamente manzoniano, che fa

venire in mente il primo capitolo dei Promessi sposi, quando viene introdotto il personaggio di don abbondio. entrambi, di sicuro, sono attesi da una brutta sorpresa.

il narratore rivela il contenuto del biglietto portato dal carabiniere, e il dettaglio è importante, come si scoprirà poi, dal momento che giustifica, dal punto di vista logico, la successiva irruzione dei soldati nel covo dei briganti, che è stato già individuato.

la descrizione del protagonista è meticolosa, nel rispetto delle consuetudini del De amicis, che ama indugiare sui suoi personaggi e sui dettagli delle situazioni che crea. egli ha all’incirca trent’anni, «alto, asciutto, con due occhietti scin-tillanti e due baffetti aguzzi» (pp. 47-48), ma soprattutto, «il suo rigido atteggiamento, e le sue mosse franche e recise, attestavano un vigor d’animo rispondente ai bisogni dei tempi e dei luoghi» (p. 48).

il carabiniere è ben conscio, e questo sarà ripetuto anche in seguito nella novella, come un leit-motiv legato al tema della fortezza, dei rischi che corre e si comporta con estrema prudenza, muovendosi in un paesaggio solitario e silenzioso; ma i briganti conoscono il territorio molto meglio di lui e riescono a tendergli un’imboscata.

il ritmo descrittivo diventa incalzante. È un’azione rapi-da, preceduta da un colpo di fucile che, come si scoprirà in seguito, era riservato all’uomo, ma colpisce in ogni caso il cavallo, costringendo il milite a fermarsi.

i periodi si spezzettano attraverso l’uso del punto e virgo-la, segno di punteggiatura molto caro allo scrittore, i verbi si susseguono, rendendo la concitazione del momento («Qui provò a resistere, si divincolò, percosse, morse; ma non poté alzarsi; spossato, si arrese, e si lasciò disarmare», ivi).

Alla fine, il carabiniere cade nelle mani dei briganti, che si

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avviano verso il covo tra i monti, ma ha salvato il biglietto, ponendoselo in bocca di nascosto, il che gli salverà la vita.

il protagonista, che ha sul viso «un po’ della calma solenne della morte» (p. 49), è già colto nel suo atteggiamento di eroe consapevole, di santo avviato al martirio, e nel contempo ini-zia a rivelare la sua capacità di sconcertare i briganti, quasi fossero dei carnefici pagani, abituati a ben altre reazioni.

i rapitori sono tre, ma il narratore, con molta abilità, prende ad isolarne progressivamente uno, «che pareva il più giova-ne» (ivi), con indizi che riveleranno con crescente chiarezza, pagina dopo pagina, un animo più delicato e sensibile.

sta percorrendo un tratto di via crucis, il carabiniere, che, «soffocato dall’uniforme, grondante di sudore, saliva a sbilan-cioni, inciampava nei sassi, cadeva in ginocchio, e si rialzava a fatica, per tornare a cadere; e i briganti lo picchiavano, lo malmenavano, lo spingevano su a pedate» (p. 50).

È una violenza che, nelle parole dei briganti, vuole anche ripagare quella subita dai soldati dell’esercito nemico («una volta per uno, piemontese!», ivi), nella logica di uno scontro sulla cui bilaterale crudeltà, come abbiamo già ricordato in precedenza, De amicis non manca di richiamare l’attenzione del lettore.

il covo tra i monti è accuratamente descritto, forse anche troppo meticolosamente, evidenziando la sua posizione ap-partata, in grado di proteggere gli occupanti da ogni pericolo («s’entrava là per un’apertura poco più larga d’un uomo. Fuori, non appariva indizio di luogo abitato; dentro, pareva insieme una tana, un ridotto e un corpo di guardia», ivi). come se non bastasse, c’è anche un brigante di vedetta, il quarto, dunque, della banda, che si compiace della cattura del milite.

la situazione appare davvero disperata e l’effetto si am-plifica se si ha il piacere di leggere l’edizione delle Novelle illustrata da arnaldo Ferraguti, il noto artista che ha rivolto

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le sue attenzioni, tra l’altro, al Cuore e alle opere di Verga. per i sette racconti di De amicis Ferraguti ha preparato

cento disegni, una parte dei quali, ovviamente, riservati a Fortezza, dalla visione dei tre briganti in attesa dell’arrivo del carabiniere al momento in cui lo conducono nel rifugio tra i monti, fino alla scena finale, in cui l’eroe cieco è colto mentre stringe la mano alla donna.

l’espediente deamicisiano di rivelare la natura femminile di uno dei malfattori solo alla fine ha complicato un po’ il lavoro dell’artista, che non può certo svelare la sorpresa; in ogni caso, il risultato (abbiamo sotto gli occhi l’edizione del 1909) è molto valido e il testo se ne avvantaggia non poco. nelle edizioni della treves corredate da sette disegni di V. Bignami, invece, uno di questi si riferisce alla nostra novella, mostrando l’eroe cieco e la dolente donna abituata a soffrire, così come vengono descritti nelle pagine iniziali dell’opera.

l’arrivo nel covo, rendendo meno movimentata l’azione, offre finalmente l’occasione al narratore per soffermarsi sui briganti, rivelando anche nelle loro fattezze esteriori i segni del loro particolare modo di vivere e delle terribili azioni che abitualmente compiono.

È un ritratto esasperato ed impietoso, che parte dal capo-banda, «che pareva un gigante rientrato in sé stesso, che si fosse gonfiato di tanto, di quanto s’era accorciato» (p. 52), per poi cogliere il legame di sangue che unisce due di quegli uomini. Al di là delle fattezze fisiche, in ogni caso, «Tutti e tre avevano negli occhi quel non so che di cupo, di furbo, di lubrico, di spiritato, che esprime la mostruosa stravaganza di cotali nature miste di superstizione e di ferocia, di coraggio temerario e di abbietta vigliaccheria» (ivi).

si tratta, evidentemente, di una descrizione forzata, rispon-dente a trasparenti intenti artistici, anche se efficace, che si sofferma senza infierire (anzi, notando che ha «un viso più

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umano», p. 53) solo sul quarto brigante, proprio perché non è davvero tale.

il carabiniere, invece, in questa costruzione chiaroscurale, mostra i suoi lati più patetici, mentre le sue braccia, appena slegate, pendono senza forza, e mentre cerca inutilmente di conservare l’uniforme, il simbolo dell’appartenenza all’arma, di cui è orgoglioso.

Ma il momento più toccante viene poco dopo e si lega, come spesso succede in De amicis, al pensiero della madre.

l’eroe è già stato legato ad un grosso uncino, impotente di fronte ai suoi aguzzini, e sembra assorto:

– Guarda, – disse un altro, accennando il carabiniere ai com-

pagni, – sta pensando.– A che pensi? – domandò il capo, forbendosi i baffi. – A màmmata? – ridomandò il primo. – Dove la lasciasti?– Sentiamo. –E si voltarono tutti e tre a guardarlo. Il povero giovane chiuse

gli occhi, stette un po’ così, e poi li riaperse grandi ed umidi, e guardò lontano, di là dai monti.

I tre briganti risero. (p. 55)

il carabiniere si commuove, al pensiero della genitrice, da buon soldato, pieno di un’incrollabile forza di sopportazione, ma pur sempre legato a lei, che si trova tanto lontano, mentre il sorriso dei tre somiglia molto a quello che farà anni dopo il perfido Franti di Cuore. È la risata di esseri malvagi. il tocco dello scrittore è già riconoscibilissimo.

Da notare che «màmmata», ossia tua madre, è l’unico ter-mine chiaramente meridionale posto sulla bocca dei briganti, al quale possiamo accostare solo in parte «cacio-cavallo» (p. 54), scritto con il trattino. per il resto, i briganti e l’uomo che hanno rapito utilizzano la stessa lingua.

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V – il nOBilissiMO pattO

la parte in cui i tre briganti colloquiano tra di loro, men-tre consumano il pasto, è artisticamente molto riuscita. essi parlano di estorsioni, di scontri a fuoco con i piemontesi, di fucilazioni, alle quali fanno seguito propositi di vendetta.

Va rilevato che le notizie su casalvecchio, sull’«affare di Don alessio» (ivi) e sul sindaco non sono inventate di sana pianta, ma hanno un fondamento storico. il primo luglio 1861, effettivamente, «alcuni componenti della banda caruso, chia-vone e turri-turri… si recarono a castelvecchio [in realtà casalvecchio] di puglia e ivi imposero a giuseppe antonio D’alessio, di mandare ai loro capi, che si trovavano nella vicina selva, ducati duemila… la stessa minaccia fecero a quel sindaco, al quale chiesero ducati tremila»13.

Biccari è un centro del subappennino, a non molta distanza da casalvecchio, dove i briganti hanno operato molto attiva-mente, rendendosi protagonisti di numerosi episodi e scontri.

Quanto a salvatore codipietro, si tratta di un brigante di torremaggiore, nel cuore del tavoliere, che proprio in questo comune sarà fucilato, il 6 gennaio 1862.

De amicis, insomma, utilizza dei dati e dei personaggi legati alle vicende brigantesche della capitanata, che pone sulla bocca dei tre uomini.

il momento del pasto segna anche una parentesi nelle sofferenze del carabiniere, che infatti riprendono poco dopo, giungendo fino al culmine.

il capobanda mostra di aver compreso una parte della verità («costui andava a portar qualche ordine per farci coglier nel

13 a. De BlasiO, Il Brigante Michele Caruso Ricerche di Abele De Blasio, Stab. Tipografico, Napoli, 1910; da internet, www.brigantaggio.net.

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covo», p. 55), ma non immagina che il nascondiglio era già stato localizzato e che il comandante della colonna mobile sarebbe in ogni caso arrivato fin lì, anche senza le truppe del colonnello di stanza a san severo.

la narrazione si basa su di un crescendo di violenze, con le quali i malfattori cercano di vincere la fortezza dell’eroe, ma senza ottenere alcun risultato. essi appaiono sempre più agitati e feroci, mentre la vittima, benchè straziata, resta ferma nel suo rifiuto.

al pugno del capobanda, che fa sanguinare il malcapitato milite, fa riscontro un cenno di diniego, «con un’espressione d’imperturbata alterezza» (p. 56). e la stessa risposta viene opposta anche al successivo raffinamento di crudeltà, quando il coltello incide la pelle scoperta del carabiniere, causando la fuoriuscita del sangue.

l’ulteriore violenza («e alzata l’arma da terra, gliela battè con tanta forza sui piedi, che l’ossa scricchiolarono», p. 57) provoca solo il passaggio dal cenno ad un grido più esplicito, ma pur sempre di diniego.

A modificare questa situazione, alla quale solo la morte sembra poter porre termine, interviene il quarto brigante, con il suo controcanto di raccapriccio e di orrore. il suo ruolo diventa ora più importante e nel suo «leggero atto di meraviglia» (ivi) il narratore fa balenare la speranza di un diverso scioglimento della vicenda.

il quarto brigante ha visto qualcosa e le sue parole mirano a rallentare l’opera degli altri tre personaggi, per scongiurare il possibile decesso del carabiniere.

le descrizioni sono crude («e pestavano, punzecchiava-no, mordevano, e cadevano in terra stille di sangue, brani di camicia, ciocche di capelli», p. 58), illuminando l’azione forsennata dei tre, che infieriscono sadicamente, senza ucci-dere; si scorge, nella pagina deamicisiana, un compiacimento

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descrittivo quasi morboso, che sembra precorrere quell’atten-zione agli aspetti forti e violenti della società che domina nei giorni nostri, occhieggiando dagli schermi televisivi come dalle pagine dei giornali.

il giovane ma già smaliziato scrittore porta al massimo la tensione, senza risparmio di mezzi, prima di guidare con sicurezza la novella verso un inatteso scioglimento, denso di colpi di scena.

il quarto brigante, si scopre, ha nascosto l’arrivo dei mi-liti e l’ormai prossima irruzione gli dà la forza di esprimere tutta la sua condanna morale («ah! vigliacchi! tre contro un moribondo!», p. 59), permettendo di giustificare sempre più, a posteriori, la sua sostanziale innocenza.

l’accelerazione narrativa viene resa, come già in altri casi, enumerando sostantivi («scoppiò uno strepito d’armi, di passi, di voci», ivi) e verbi («uno stuolo di carabinieri, che in un baleno circondò, oppresse, disarmò e buttò a terra quanti trovò nel recinto», ivi); poi, nel successivo silenzio, si odono le parole del presunto brigante, che sventa l’ultima insidia dei malfattori, che avevano gettato un pesante mantello sull’eroe ferito, per nasconderlo alla vista dei nuovi arrivati.

sin dall’ingresso dei liberatori nel covo si sottolinea la loro appartenza all’arma dei carabinieri, e questo fa scattare lo spirito di corpo, davanti a quell’uomo ferito, ridotto ad «orrenda cosa» (p. 60).

particolare attenzione va riservata al personaggio del capi-tano, che incarna la saggezza e l’autorevolezza del superiore, come spesso si riscontra nei bozzetti de La vita militare. È lui che frena in un primo momento l’ira dei carabinieri verso i tre torturatori, è lui che interroga il quarto brigante, che si rivela finalmente nel suo vero aspetto di donna e di vittima, è lui che assegna punizioni e premi.

il capitano, così, diventa la voce delle istituzioni, sulla cui

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valenza positiva De amicis pone l’accento a più riprese. Di qui il chiaro significato dell’ordine di condurrre i briganti da-vanti ai piedi della vittima, un’attestazione di stima che appare ancora più solenne poco dopo, quando l’ufficiale riconosce il biglietto da lui stesso affidato al carabiniere.

L’omaggio dei militi è la prefigurazione di quello di tutti gli uomini buoni, come (e qui ritorniamo alle pagine iniziali della novella) l’amico del narratore, una volta conosciuta la verità.

Siamo di fronte alla glorificazione del carabiniere appena liberato, affidata alle parole del capitano-superiore, voce auto-revole ed autorizzata («È un eroe! È un martire! È un’anima grande!», p. 62).

per i briganti, costretti, nella solita costruzione chiaroscu-rale, a strisciare come serpi, è invece la dannazione.

La novella potrebbe anche finire qui, ma l’opera rivela i suoi non comuni pregi continuando ad offrire delle altre sorprese, senza soluzione di continuità.

la donna, disonorata dai briganti, pur senza avere alcuna colpa, doppiamente vittima della situazione, che le ha tolto un posto onorevole in seno alla comunità di appartenenza, chiede, in cambio dell’aiuto concesso ai carabinieri, di esse-re fucilata; ma per lei, disperata e provata dagli eventi, c’è ancora un’altra possibilità, quella di vivere accanto all’eroe bisognoso di cure.

l’ultima scoperta è anche la più terribile: «tutti s’avvici-narono ansiosi, guardarono, e gettarono un grido straziante di orrore e di pietà. lo sventurato era cieco» (ivi).

È una rivelazione che accelera il compimento del destino dei tre briganti (per i quali non c’è pietà, né il narratore ritiene che la meritino), con una fucilazione che avviene immediatamente, proprio mentre il carabiniere e la contadina suggellano la loro intesa: «allora si strinsero la mano, e una

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fragorosa scarica, che scoppiò giù nella valle, parve salutare il nobilissimo patto, che lega da dieci anni la donna pietosa all’eroe» (p. 63).

in questa conclusione, la novella rivela la sua struttura circolare, rinviando alla prima parte, a quella cornice-continua-zione, che ora appare del tutto chiara nella mente del lettore.

l’accordo tra il carabiniere del nord e la contadina del Sud acquista una sua profonda e significativa valenza, che non va trascurata, sottolineando la necessità della collabora-zione tra le due parti dell’italia. la base dell’intesa è il bene della nazione, unita dopo tanto tempo, per la quale l’eroe ha pagato un altissimo prezzo, che trova una ricompensa nella solidarietà manifestata dalla donna.

eliminata la parte malata e negativa del sud, costituita dai feroci briganti, l’accordo non potrà che essere possibile, nell’interesse di tutti.

ritroviamo, in questo modo, quel progetto di collaborazione tra parti diverse dell’italia che avrebbe dovuto portare in tempi rapidi alla creazione di un corpo nazionale più coeso, ricco di valori e di solidarietà. un proposito messo a dura prova dagli eventi, da un processo storico che ha smentito molte ottimistiche previsioni; ma ancor oggi attuale ed auspicabile, pur nel nuovo contesto europeo.

È questo il degno epilogo di Fortezza, una novella che, ad analisi completata, si conferma densa di pregi artistici e di motivi d’interesse, il frutto giovanile e smaliziato di un autore che si lascia leggere con immutato piacere.