16
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DEL PATRIMONIO CULTURALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO Schola Salernitana In copertina: Miniatura del f. 181 r del ms. 25 dell’Archivio della Badia di Cava de’ Tirreni

L APPORTO CONOSCITIVO E I LIMITI DI alcuni metodi archeometrici

Embed Size (px)

Citation preview

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DEL PATRIMONIO CULTURALEUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

Schola Salernitana

In copertina:

Miniatura del f. 181r del ms. 25 dell’Archivio della Badia di Cava de’ Tirreni

Dipartimento di Scienze del patrimonio culturaleUniversità degli Studi di Salerno

Direzione: Prof. Mauro MenichettiVia Ponte Don Melillo - 84084 Fisciano

Direttore responsabile

Gerardo Sangermanoe-mail: [email protected]

Direzione

Giulio D’Onofrio, Verio Santoro, Chiara Lambert

Comitato scientifico

Marta Cristiani, Vera von Falkenhausen,Cosimo Damiano Fonseca, Jean-Marie Martin,

Giovanna Nicolaj, Fabio Redi, Francesco Romano, Guido Vannini

Segreteria di redazione

Amalia Galdi, Guido Iorio, Alfredo M. Santoro

Saggi, articoli, note, libri da recensire e altri materiali vanno inviati a:Direzione di “Schola Salernitana - Annali”

Dipartimento di Scienze del patrimonio culturaleVia Ponte Don Melillo - 84084 Fisciano

Schola Salernitana is a peer-reviewed journal, open to unsolicited contri-butions. The articles sent to the Direction are assessed by the members

of the Advisory Board, or by other specialists chosen by the Board

Schola Salernitana - Annalisi stampa con il contributo dell’Università degli Studi di Salerno

e del Ministero dell’Università e della Ricerca

Schola Salernitana

ANNALIXVI (2011)

© 2012 by LAVEGLIACARLONE sasVia Guicciardini 31 - 84091 Battipaglia (Sa)

Tel/fax 0828342527; e-mail: [email protected] internet: www.lavegliacarlone.it

Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)

senza l’autorizzazione scritta dell’Editore

Stampato nel mese di maggio 2012 da Stampa Editoriale - Manocalzati (Av)

L’APPORTO CONOSCITIVO E I LIMITI DI ALCUNI METODIARCHEOMETRICI APPLICATI AI REPERTI NUMISMATICI*

ALFREDO MARIA SANTORO

Sin dagli anni ’70 del secolo scorso si sono sviluppati metodi di indaginearcheometrica applicabili alla moneta; i risultati tendono a fornire risposte adomande che la semplice analisi autoptica non può fornire e sono fonda-mentalmente di 3 tipi: sul sapere tecnologico, sulla qualità delle monete esull’origine dei metalli impiegati nella produzione1. Nell’ambito degli studimedievistici, sebbene si stia lentamente riconoscendo il valore archeologicodel reperto numismatico2 è, a mio avviso, ancora più trascurato l’apportoconoscitivo che le monete possono fornire alla storia economica e più ingenerale alla ricostruzione storico-archeologica se accompagnate, inoltre, daindagini archeometriche volte ad approfondimenti specifici.

Negli ultimi anni, dopo un fruttuoso periodo, in Italia sembra sia calatol’interesse e lo slancio per lo studio archeometrico delle monete medievali.L’ultimo survey annovera pochissimi studi3; eppure su certi precisi problemi,se ben calibrate, le tecniche archeometriche hanno dato risposte soddisfacentie molte altre potranno ancora darne. Focalizzando l’attenzione su due casi distudio archeometrico effettuati intorno ad un problema monetario vorreicercare di spiegare come si sono scelte e svolte le indagini chimico-fisichesenza tralasciare i dubbi e le incertezze in cui ci si è imbattuti nel corso delleanalisi.

Nel 2001 ho cominciato a delineare una ricerca che riuscisse ad appro-fondire la conoscenza di una delle più rilevanti riforme monetarie realizzatedurante il periodo medievale in Italia: la riforma di Carlo I d’Angiò. Cerche-rò di inquadrare rapidamente il problema monetario iniziale per poi porrel’accento sulle esperienze ed i risultati della ricerca archeometrica.

* Il testo seguente scaturisce dall’intervento al convegno “Archeologia 2010: nuo-ve frontiere della ricerca”; Paestum, 21 novembre 2010.

1 Si veda in particolare: Metallurgy in numismatics, ed. D. M. METCALF, W. A. ODDY,London 1980; Metallurgy in numismatics, 2, ed. W. A. ODDY, London 1988; Metallurgy in

numismatics, 3, ed. M. M. ARCHIMBALD, M. R. COWELL, London 1993; W. A. ODDY, M. R.COWELL, Metallurgy in numismatics, 4, London 1998.

2 F. BARELLO, Archeologia della moneta. Produzione e utilizzo nell’antichità, Roma 2006.3 Cf. M. AMANDRY, D. BATESON, A survey of numismatic research 2002-2007, Glasgow

2009.

352 ALFREDO MARIA SANTORO

Negli anni compresi fra il 1277 e il 1279, difatti, Carlo I d’Angiò pianificae inaugura una nuova attività di produzione monetaria in Italia meridionalesoprattutto con l’introduzione del carlino, moneta di ottimo contenuto d’ar-gento (fig. 1). Sino a quel tempo (e stabilmente dall’epoca normanna) i siste-mi monetari adottati dai sovrani delle regioni del Sud Italia si imperniavanosulla produzione di moneta aurea per i traffici di livello alto e medio-alto,lasciando che le più modeste monete di rame (nel periodo normanno) emistura (a partire dal periodo svevo) assolvessero agli scambi minuti e locali(fig. 2). I traffici intermedi all’interno dei confini del Regno restavano domi-nati dalla circolazione di moneta d’argento straniera4. Nelle regioni meridio-nali dell’Italia si erano adottati, in linea generale, sistemi monetari centrati sullaproduzione di moneta d’oro, mentre l’Italia settentrionale e gran parte deiterritori dell’Europa continentale, dal periodo carolingio sino al XIII secolo,basavano i propri sistemi monetari sulla realizzazione di monete d’argento. InItalia si erano create, sostanzialmente, due diverse aree monetarie di produ-zione, sebbene monete d’oro e d’argento continuassero a circolare in en-trambe i contesti geografici5. Le ragioni di una differente produzione sonoevidentemente di natura geografica, politica, geologica ed economica e nonesiste un accordo fra gli studiosi.

Il quadro a grandi linee descritto pone, dunque, alcuni quesiti imprescin-dibili per la storia monetaria del Regno di Napoli dominato dal 1266 daCarlo I d’Angiò: quali sono state le motivazioni che hanno portato il sovranoangioino a produrre una nuova e qualitativamente ottima moneta d’argento(il carlino) in Italia meridionale dopo secoli? Quali sono le ragioni di un taleradicale riassetto monetario dopo più di dieci anni di dominazione che vedela soppressione delle zecche periferiche per il solo grande atelier napoletano?Le risposte sono molteplici e scandite, manifestamente, dal contesto storico-economico nel quale la riforma si inserisce alla fine del XIII secolo, per cui sipotrebbe genericamente rispondere che i presupposti commerciali ne hannodettato il cambiamento.

I punti di partenza per le ricerche sono stati, dunque, la documentazionescritta e i reperti numismatici. Utilizzando tali informazioni alcuni studiosi

4 Cf. L. TRAVAINI, Monete e storia nell’Italia medievale, Roma 2007, pp. 49, 63, 71-75.5 L. TRAVAINI, Le aree monetarie italiane alla fine del Medioevo, in Le Italie del tardo

medioevo, II Convegno di studi sulla civiltà dell’altomedioevo, San Miniato, Pisa ottobre1988, Centro di Studi sulla civiltà del Tardo medioevo, collana di Studi e ricerche, 3,Ospedaletto, Pisa, 1990, pp. 361-389; L. TRAVAINI, Monete e storia nell’Italia medievale,

Roma 2007, pp. 191-192.

353L’apporto conoscitivo

Fig. 1. Carlino di Carlo I d’Angiò:D/+KAROL’·IERL’·ET·SICIL’·REX; scudo di Gerusalemme e degli Angiò

R/+AUE·GRACIA·PLENA·DNS·TECUM; Annunciazione(Da P. GRIERSON, L. TRAVAINI, Medieval European Coinage... cit., tav. XXXV, n. 677)

Fig. 2. Alcuni denari di mistura attribuiti a Carlo I d’Angiò

avevano già stilato diverse ipotesi6 sebbene nessuna riuscisse ad approfondirequestioni basilari, se non dall’interpretazione della documentazione scritta,sulla qualità effettiva delle monete e sulla provenienza dei metalli coniati.

6 Per inquadrare lo stato della questione si rimanda a P. GRIERSON, L. TRAVAINI,Medieval European Coinage with a Catalogue of the Coins in the Fitzwilliam Museum, Cambridge.

14 Italy (III) (South Italy, Sicily, Sardinia), Cambridge 1998, pp. 196-206.

354 ALFREDO MARIA SANTORO

Le fonti scritte ci ragguagliano, infatti, sugli spostamenti e sulle mansionidelle molte maestranze in viaggio per Castel Capuano, nel centro di Napoli,mentre Castel dell’Ovo sul mare e in zona periferica viene valutato comeottimo luogo di immagazzinamento e tesoreria della moneta7. Proprio questidue impianti fortificati vengono prescelti da Francesco Formica, banchiere emercante fiorentino che, primo di una serie di toscani, viene incaricato allasovrintendenza dei lavori di organizzazione e gestione della zecca di Napoli.

I documenti scritti ricordano, inoltre, la presenza all’interno della circola-zione di grossi tornesi, sterlini inglesi, grossi veneziani, piccoli tornesi di Fran-cia e Grecia, sottolineando la legittima e regolare circolazione delle emissionilocali. L’archeologia, dal canto suo, ha effettivamente rilevato la presenza digrossi veneziani, tornesi di Francia e principalmente d’Acaia confermando ilquadro presentato nei testi8.

Ecco, quindi, che l’apporto delle indagini archeometriche risulta indispen-sabile per ulteriori contributi a tale quadro conoscitivo. Le necessità sonostate: 1) stabilire quale indagine archeometrica poter considerare per avereinformazioni qualitative sulle monete; 2) metter assieme una campionatura.L’analisi più indicata è stata la PIXE (Particle Induced X-ray Emission), ed èstata svolta presso il C2RMF (Centre de Recherche et Restauration des Muséesde France). I vantaggi della PIXE sono: 1) la non distruttività delle monete;2) La rapidità del risultato, poiché l’indagine per ogni moneta dura pochissi-mi minuti; 3) la possibilità e la precisione nell’indicare tutti gli elementi conte-nuti all’interno della moneta. Gli svantaggi: 1) il costo, poiché una giornata diacceleratore costa oltre 12000 euro al giorno; 2 ) la possibilità di generare

7 A. M. SANTORO, Documenti sulla zecca di Napoli durante il primo regno angioino: le

maestranze, gli ambienti, le attrezzature in «Schola Salernitana. Annali», XI 2006, pp. 253-266; A. M. SANTORO, Le zecche in Italia meridionale durante il regno di Carlo I d’Angiò: prime

riflessioni su organizzazione, gestione e funzioni in Materiali per l’archeologia medievale. Ricer-

che in Italia meridionale, a cura di P. PEDUTO, Salerno 2003, pp. 239-266.8 L. TRAVAINI, Deniers tournois in Southern Italy, in N. MAYHEW (a cura di) The gros

tournois, Proceedings of the forteenth Oxford Symposium on Coinage and Monetary History,

London 1997, pp. 421-451; L. TRAVAINI, Romesinas, provesini, turonenses...: monete

straniere in Italia meridionale e in Sicilia (XI-XVsec.), in L. TRAVAINI, Moneta locale, moneta

straniera: Italia ed Europa XI- XV secoli, The second Cambridge Numismatic Symposium, Local

Coins, Foreign Coins: Italy and Europe 11th- XVth centuries, Milano 1999, pp. 113-134; A. M.SANTORO, Diffusione di grossi veneziani in Italia meridionale durante il regno di Carlo I d’Angio’:

alcune considerazioni tra archeologia e archeometria in III Congresso Nazionale di Archeologia

Medievale; Castello di Salerno, Complesso di Santa Sofia Salerno, 2-5 ottobre 2003, a cura di R.FIORILLO-P. PEDUTO, Firenze 2003, pp. 115-121; L. TRAVAINI, Monete e storia cit., pp. 71-72 e 188-190).

355L’apporto conoscitivo

errori interpretativi dovuti ad una cattiva calibrazione o preparazione dei cam-pioni (e su questo vorrei insistere).

La scelta di una campionatura eterogenea sulla quale effettuare l’analisimirava allo scopo di avere informazioni su diversi tipi di emissioni sia localiche straniere, circolanti al contempo e nello stesso contesto territoriale, ed hainteressato 42 monete: 30 denari di Carlo I emessi prima della riforma, 10emissioni di grossi d’argento battuti dalla zecca di Venezia sia prima che dopola riforma monetaria angioina del 1278, 1 denaro e 1 carlino d’argento diCarlo II d’Angiò battuti successivamente al 1278 (fig. 3). L’obbiettivo è stato,in un primo momento capire la discrepanza qualitativa delle emissioni locali edi alcune delle monete straniere circolanti (i grossi veneziani) nel periodo dipoco precedente e immediatamente successivo alla riforma9. Lo svolgimen-to dell’indagine PIXE consta di alcune fasi:

1) si posiziona il tondello davanti all’acceleratore protonico; 2) si colpiscel’oggetto con il raggio laser (fig. 4): in tale fase una particella del fascio diprotoni espelle un elettrone dell’orbita più prossima al nucleo atomico; l’ato-mo quindi tende a ritrovare il proprio equilibrio per cui un elettrone dall’or-bita più lontana prende il posto dell’elettrone espulso; in questa fase di pas-saggio e di riequilibrio l’atomo sprigiona un raggio X che è unico per ognielemento chimico ed è possibile quindi riconoscere e misurare (fig. 5); 3) se lepercentuali di un certo metallo sono così consistenti da oscurare, nasconderele percentuali dei metalli in tracce, si pone un filtro in maniera da far riemergerei valori minoritari (fig. 6). Ovviamente bisognerebbe insistere sui denari diCarlo II e sui carlini visto che ho potuto considerare solo pochi esemplari,ma grazie all’analisi tali risultati rimangono leggibili e chiari nel raccontarciche le monete del Regno dopo la riforma miglioreranno, e molto, nel tenored’argento.

È accaduto che durante l’analisi di un grosso veneziano, lo spettro rive-lasse una percentuale di ferro dell’85% in superficie e del 96% d’argentoall’interno del tondello. Interrogandomi sulla possibilità che la moneta fosseuna contraffazione, ne ho discusso con gli esperti del procedimento10. In unprimo momento, mi è stato detto che un risultato del genere era possibile.Dopo ulteriori insistenze ho ottenuto di ripetere l’analisi che, stavolta, ha datorisultati assolutamente in linea con le percentuali d’argento del 95/96% diargento. Cosa era avvenuto allora? Nel ricostruire la vicenda ed i vari passag-

9 L’analisi è stata effettuata sia sulla superficie delle monete sia all’interno di micro-fratture dando risultati coerenti.

10 Ringrazio per l’aiuto, la disponibilità e la pazienza François Widemann, ThomasCalligaro, Jean Claude Dran e il prematuramente scomparso Joseph Salomon.

356 ALFREDO MARIA SANTORO

Fig. 3. Parte della campionatura sottoposta all’analisi PIXE: grossi veneziani e carlinodi Carlo II d’Angiò.

357L’apporto conoscitivo

gi mi sono accorto che, durante la prima analisi PIXE, il raggio protonicoaveva analizzato in superficie una zona della moneta che corrispondeva aduna sbavatura, un buchetto pieno di polvere che le apparecchiature hannorilevato come ferro (fig. 7). Tale eclatante vicenda ha evidenziato uno deilimiti della ricerca: spesso, selezionati i campioni, li si invia presso una struttu-ra per l’analisi archeometrica per poi tirare conclusioni o fornire interpreta-zioni su analisi condotte e realizzate da altri, terze persone spesso non adden-tro alla problematica storica. Nessuno, difatti, avrebbe ripetuto l’indagine senon fossi stato sul posto, in prima persona ad effettuarla. Il lavoro di coordi-namento e di ricerca archeometrica si rivela assolutamente un’attività d’equipe,ma la responsabilità dell’interpretazione storica è di coloro che conosconoapprofonditamente le ragioni dell’analisi.

A seguito dei risultati ottenuti dall’applicazione del metodo PIXE la ri-cerca si è concentrata sull’origine del metallo impiegato nella coniazione post-riforma angioina per cercare di comprendere se e quanto il metallo fosse diderivazione straniera e/o quanto di provenienza locale. L’analisi PIXE, difatti,confermando un tenore pari al 97,1% per un carlino di Carlo II, 20,4% perun denaro regale di Carlo II, non meno del 94,1% per alcuni (10) grossiveneziani; 9,6% (massimo) e 0,1% (minimo) per i 30 denari di Carlo I cheprecedono la riforma del 127811, dimostra dunque, la cattiva qualità dellamoneta prima della riforma e l’ottimo tenore sia della moneta veneziana,circolante nel Regno di Napoli, sia delle monete locali coniate successivamen-te al 1278: è proprio l’analisi archeometrica PIXE a diventare, dunque, ilcaposaldo, il punto di partenza e lo stimolo per un nuovo approfondimentosull’origine dell’argento.

Per la ricerca sulla provenienza del metallo, le informazioni di partenzaerano davvero esigue: 1) La documentazione scritta, difatti, narra di unariscoperta di alcune miniere in Calabria nei pressi di Longobucco (fig. 8); inrealtà gli scritti sono degli anni immediatamente precedenti la riforma mone-taria (1268, 1274, 1275, 1277, 1279)12; 2). L’archeologia invece, dal canto suo,non ha ancora fornito indicazioni sullo sfruttamento in epoca medievale delleminiere e tanto, a mio avviso, è possibile ancora dire sulle tecnologie, suimetodi di raccolta e d’estrazione pianificando interventi di archeologia mine-

11 A. M. SANTORO, Diffusione di grossi veneziani cit., pp. 119-121.12 A. M. SANTORO, Metalli e monete: l’argento per la riforma di Carlo I d’Angiò. Stato della

questione e primi risultati in V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale; Palazzo dellaDogana, Salone del Tribunale (Foggia), Palazzo dei Celestini, Auditorium (Manfre-donia). 30 settembre-3 ottobre 2009, a cura di G. VOLPE, P. FAVIA, Firenze 2009, pp.670-674.

358 ALFREDO MARIA SANTORO

Fig. 4. Gli stati dell’atomo durante l’analisi PIXE

Fig. 5. Spettro del raggio X (elementi maggiori)

359L’apporto conoscitivo

raria; 3) Dal punto di vista geologico e archeometrico vorrei ricordare che,all’interno di un ampio programma di ricerca, i coordinatori Gale e Stos-Gale dell’Isotrace Laboratory di Oxford hanno pubblicato, a più riprese, deidatabase costituiti dalle analisi isotopiche di tutti i giacimenti argentiferi del-l’Europa continentale e delle aree del Mediterraneo (Spagna, Bulgaria, Cipro,Grecia, Irlanda e Regno Unito). Per l’Italia, il censimento ha considerato ibacini minerari della Sardegna (Arburese, Barbagia, Gerrei, Baronia, Bosa,Fluminese, Iglesiente, Lanusei, Oridda, Sarrabus, Sulcis) e della Toscana (Boc-cheggiano, Campiglia Marittima, Grosseto, Massa Marittima, Volterra), manon accenna assolutamente alla regione calabrese (STOS GALE et alii 1995, pp.411-413); le miniere di Longobucco mancavano anche da tale vasto, avviatoprogramma di ricerca e quindi proporre nuovi dati di riferimento può di-ventare il confronto ideale per approfondimenti sull’origine dell’argento siaper reperti che per monete di qualsiasi epoca storica.

L’ipotesi di un collegamento fra l’argento di Longobucco e la nuovamoneta d’argento prevista dalla riforma monetaria (il carlino) è formulataanche in base ad un accostamento temporale poiché le miniere risultano inpiena attività nell’anno 1278.

Parte della campionatura utilizzata per l’analisi PIXE è stata, in seguito,impiegata per un’indagine isotopica del piombo (spettrometria di massa) perottenere dati qualitativi sull’origine dell’argento impiegato nella monetazionelocale. A tal fine, oltre alle monete, sono stati sottoposti all’analisi, effettuatain collaborazione con Michel Loubet dell’Université Paul Sabatier di Tolosa,anche due minerali di galena (il primo proveniente dalle miniere dispostelungo il torrente La Manna, l’altro dai siti collocati lungo il torrente Macrociolinei pressi di Longobucco).

L’interpretazione finale è scaturita dalla lettura del rapporto isotopico delpiombo, metallo sempre associato all’argento seppur in parti modeste (206/204 Pb; 207/204 Pb; 208/204 Pb; 207/206 Pb; 208/206 Pb) (fig. 9). In baseall’analisi spettrometrica di massa, la lettura dei risultati avviene peraccostamento, vicinanza e le creazioni di famiglie o gruppi fra gli elementi e ireperti analizzati. Le analisi, non troppo costose, ma distruttive di piccolequantità di metallo e minerale preparate in miscele e sottoposte poi a campimagnetici, mostrano che: 1) l’argento impiegato nei grossi veneziani provie-ne, tranne in un caso, da un unico giacimento (tale indicazione rappresenta unnuovo punto di partenza per una futura ricerca); 2) i denari in mistura diCarlo I, precedenti la riforma del 1278, sono realizzati mescolando e rifon-dendo argento proveniente da materie prime differenti; 3) alcuni denari diCarlo I coincidono con la famiglia delle monete veneziane confermando,così, l’utilizzo parziale nella coniazione di denari in mistura del metallo di cui

360 ALFREDO MARIA SANTORO

Fig. 6. Spettro del raggio X (elementi in tracce)

Fig. 7. La freccia indica il piccolo foro nel quale si era accumulata la polvere

361L’apporto conoscitivo

sono costituiti i grossi; 4) l’argento (e il piombo) di Longobucco (Macrociolie La Manna) sono di origine giacimentologica diversa; 5) l’argento, prove-niente dalla miniera lungo il torrente Macrocioli, potrebbe essere stato impie-gato nella monetazione già prima della riforma essendo più prossimo agliesiti di alcuni denari di Carlo I; 6) la provenienza dell’argento nelle monete diCarlo II è ancora da ricercare: non rientrando in alcun gruppo; i risultati nonprovano una vicinanza con l’argento di Longobucco e aggiungono un ele-mento di discrepanza fra il metallo del denaro regale e l’argento del carlino.

La proposta iniziale dell’equipe di archeometristi era di sperimentare lanuova tecnologia: l’ICP/MS (Inductively Coupled Plasma, Mass Spectrome-try); si tratta di Spettrometria di Massa abbinata a Plasma AccoppiatoInduttivamente, ma l’inconveniente è arrivato al termine dell’indagine dandorisultati incerti sui rapporti analitici tanto da non riuscire a distinguere i cam-pioni gli uni dagli altri. Concretamente si formavano molte meno famiglieperchè i dati relativi ai campioni tendono ad essere molto ravvicinati. Quan-do mi hanno comunicato i risultati ottenuti con tale tipo di indagine si rimasecolpiti ed entusiasti poiché sembrava molto più marcata la famiglia relativaall’utilizzo dell’argento di Longobucco, ma poi l’analisi di spettrometria dimassa “semplice”, indagine molto più di routine, calibrata e affidabile haevidenziato i limiti della metodica utilizzata in precedenza, che va dunqueperfezionata prima di essere attendibile.

In conclusione, tengo a sottolineare che i dati che ho presentato e com-mentato sono stati accolti con interesse da parte degli studiosi, ma rappre-sentano fondamentalmente la possibilità di avere una “nuova informazioneoggettiva” che arricchisca le indicazioni fornite dalle fonti scritte e materialidalle quali, tuttavia, non si può né si deve prescindere poiché le metodologiearcheometriche possono essere ambigue e fuorvianti se non sono ben chiarigli obbiettivi e i quesiti di partenza; è fondamentale, difatti, che il contestostorico sia a fuoco prima di lanciarsi in una esperienza fisico-chimica. Tutta-via ritengo che la via maestra delle analisi archeometriche vada battuta senzaindugio per i tantissimi contributi conoscitivi che può apportare ai problemiinerenti le riforme monetarie, la circolazione, la produzione e l’inserimentodelle monete in determinati contesti storico-economici.

362 ALFREDO MARIA SANTORO

Fig. 8. Carta topografica delle miniere di Longobucco (da A. LIPINSKI, Oro, argento,

gemme e smalti. Tecnologia delle arti dalle origini alla fine del Medioevo 3000 a. C. – 1500 d. C.,

Firenze 1975)

Fig. 9. Grafico dell’analisi spettrometrica di massa