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MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL LAZIO Estratto Atti del Convegno Quinto Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina Roma 3-5 dicembre 2007 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER 3 Testatina Lazio e Sabina Scoperte Scavi e Ricerche 5 Lazio e Sabina 5 I parte.qxp 28/04/2009 15.10 Pagina 3

Il parco archeologico di Norba

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MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALISOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL LAZIO

Estratto

Atti del Convegno

Quinto Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina

Roma3-5 dicembre 2007

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

3Testatina

Lazio e SabinaScoperte Scavi e Ricerche

5

Lazio e Sabina 5 I parte.qxp 28/04/2009 15.10 Pagina 3

4 Testatina

Lazio e Sabina 5 I parte.qxp 28/04/2009 15.10 Pagina 4

Il parco archeologico di Norba

Stefania Quilici Gigli

La ricerca archeologica a Norba affonda le sue ra-dici in un’intensa e precoce tradizione di studi. La spettacolare conservazione delle mura in opera poli-gonale, le tragiche vicende che in larga parte hanno fermato la vita e la forma della città nell’81 a.C., l’ec-cezionale conservazione dei luoghi, senza sovrap-posizioni di eta moderna, hanno infatti attirato sulla città, fin dall’inizio del Settecento, l’attenzione degli studiosi e una serie di sperimentazioni di particola-re significato innovativo e spessore scientifico.

Mi riferisco alla lunga e dettagliata descrizione che riserva ai monumenti della città Volpi, nel 1726; alla pianta delineata da Knapp nei primi decenni dell’Ottocento, di particolare accuratezza per i tem-pi, e all’attenta illustrazione che ne propone nel 1829 Gerhard; ai pregevoli disegni di Dodwell; agli scavi di Savignoni e Mengarelli, all’inizio del Novecento, condotti con criteri scientifici eccezionali per i tem-pi e che valsero a un primo corretto inquadramento dell’allora tanto discusso problema della datazione delle mura in opera poligonale; e ancora alla prima sperimentazione di restituzione aerofotogramme-trica della pianta di una città antica, condotta pro-prio su Norba da Schmiedt e Castagnoli nel 1957; all’apposizione del vincolo all’intera città negli anni Sessanta dello scorso secolo per opera dell’allora So-printendenza Archeologica per il Lazio con una pro-cedura eccezionale per quei tempi; alle sperimenta-zioni di riprese aeree a raggi infrarossi condotte nel 1978; alla pianta frutto di aerofotointerpretazione e di sistematiche prospezioni sul campo redatta nel 1987 da Lorenzo Quilici e chi scrive e aggiornata con controlli strumentali nel 1995; all’acquisizione di tutta l’area, per opera della Provincia di Latina e del Comune di Norma nel 1994, iniziativa non co-mune da parte degli enti locali1.

Il parco archeologico della città è nato così qua-le frutto maturo di un’incisiva tradizione di studi innovativi e impegno di tutela, come sempre do-vrebbe essere, e di un serrato dialogo costruttivo in-staurato tra Ministero per i Beni e le Attività Cultu-rali nelle sue vane articolazioni, Regione, Enti locali,

Università, che hanno sinergicamente operato2.I primi obiettivi perseguiti sono stati da un lato

la ricomposizione del paesaggio, dall’altro quello di consentire in tempi brevi la lettura dell’urbanistica della città, nel pieno rispetto della cautela e lentezza che richiedono le metodologie dello scavo archeo-logico. A fronte della fitta trama urbanistica rego-lare riconosciuta, ben poco era infatti percepibile sul posto, così da dare l’impressione che ben poco si potesse conservare. L’intervento di maggiore im-pegno per la ricomposizione del paesaggio è stata l’eliminazione di un campo di calcio, costruito in-torno al 1960 a ridosso dell’ingresso alla città antica: la demolizione delle tribune e gradinate in cemento e la restituzione al loro posto del declivio originario del monte hanno permesso di guadagnare la pro-spettiva delle mura all’entrata della città (figg. 1-2). Gli spogliatoi del complesso sportivo sono stati re-cuperati e, mantenendone la volumetria, sono stati trasformati in centro di accoglienza dei visitatori.

All’interno delle mura, sulla scorta degli studi condotti sulla organizzazione monumentale della città, largo è stato il ricorso a opere di decespuglia-mento, per il recupero visivo sia dei monumenti che dell’organizzazione urbanistica. Per l’immediata percezione di quest'ultima, particolare cura è sta-

1 Volpi 1726; Knapp 1829-1833; Gerhard 1829; Dodwell 1834; Savignoni-Mengarelli 1901; Savignoni-Mengarelli 1903; Savi-gnoni-Mengarelli 1904; Schmiedt-Castagnoli 1957; Quilici-Qui-

lici Gigli 1988; Quilici Gigli 2003.2 Sul progetto e i suoi sviluppi cfr. Quilici Gigli 1994; Quilici

Gigli 2008a.

1. Il campo di calcio all’ingresso della citta di Norba, smantellato per la realizzazione del Parco archeologico.

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ta posta al decespugliamento e all'evidenziazione dei poderosi terrazzi in opera poligonale costruiti per regolarizzare il pendio del monte e sostruire gli assi viari: di particolare impatto monumentale è apparsa, al termine dei lavori, la zona dell’Acropoli Minore (fig. 3). Impegnativi interventi hanno con-sentito inoltre di recuperare alla vista e fruizione sia le terme centrali, che una serie di cisterne e il lacus. Tra questi ultimi, di particolare monumentalità si e rivelato dopo le operazioni di pulizia un grandioso bacino, a sud est dell’Acropoli Maggiore, a pian-ta quadrata, con lati di m 30,5 x 24,4 x 28,5 x 26,5, profondo oltre m 7, costruito in opera poligonale di calcare, che poteva accogliere oltre m3 4.000 di ac-qua e doveva costituire una delle maggiori riserve idriche della città3.

Nella sistemazione dell’area archeologica è sta-to deliberatamente scelto di non realizzare sentieri

di visita, ma di organizzare i percorsi riportando in luce le strade antiche, che con la conservazione del loro basolato calcareo potevano con immediatez-za rendere anche possibile la lettura dell’impianto urbanistico e costituire un elemento forte di impatto visivo.

Le vie rimesse in luce hanno confermato la pian-ta che avevamo restituito, con assoluta precisione nella puntualizzazione cartografica: il grande asse che attraversa tutta la città da Porta Serrone di Bove e che si conclude nella gradinata che sale all’Acro-poli Minore (fig. 3), la via, ortogonale alla preceden-te, che conduce al tempio di Giunone; la strada per Porta Ninfina e la via che dall’asse centrale volge ad allacciare la viabilità proveniente da Porta Mag-giore.

Le strade sono tutte lastricate in basoli di pietra calcarea e mostrano, con la loro diversa ampiezza, una gerarchizzazione dei percorsi; i marciapiedi che le accompagnano offrono la possibilità di rico-noscere la scansione dei complessi edilizi che vi si affacciavano: infatti, analogamente a quanto è stato ben evidenziato anche in altri centri, è possibile ipo-tizzare pure a Norba che a ogni proprietà dovesse rispondere una pavimentazione diversa del marcia-piede, spesso anche sottolineata da un setto lapideo trasversale al confine tra le proprieta4.

Ricostruiamo così, attraverso le dimensioni di-verse degli isolati, definiti da strade pure di diffe-rente larghezza, e dalla scansione delle proprietà ipotizzabile dalla diversa pavimentazione dei mar-ciapiedi, una articolata e non omogenea organiz-zazione dell’edilizia privata, con disuguaglianze dimensionali all’interno della regolarità, che stia-mo evidenziando anche con il supporto di indagini georadar5.

Come è noto, gli scavi dell’inizio del Novecento si appuntarono sui principali templi della città, i cui resti sono da allora rimasti in vista; recuperate con i decespugliamenti le terme e le cisterne pubbliche, è parso opportuno, nell’ambito del parco, integrare l’immagine pubblica e sacra dell’architettura urbana che tali complessi offrivano, con esempi di edilizia privata. Non sfugge a questo proposito come, pro-prio a causa della sua distruzione nell’81 a.C., Nor-ba possa consentire di leggere le incisive trasforma-zioni che dovettero segnare questo tipo di edilizia nel sec. II a.C. e che molto spesso, in altri contesti, è difficile cogliere a causa dei grandi cambiamenti che dopo la guerra tra Mario e Silla vennero a se-gnare la vita delle città romane.

Le ricerche si sono rivolte in particolare al settore a meridione della via che sale all’Acropoli Minore

2. Veduta dell’ingresso alla citta di Norba, dopo i lavori di sman-tellamento del campo di calcio e rimodellamento del pendio.

3. Veduta dell’Acropoli Minore e dei monumentali muraglioni the scandiscono l’impianto urbano, ai lati della principale strada della città.

3 Per le terme: Quilici-Quilici Gigli 1997; per il bacino idrico: Quilici Gigli 1997; Quilici Gigli 2008.

4 Cfr., per Pompei ,Saliou 1999.

5 Per quanto osservato anche altrove, almeno per le dimen-sioni cfr. Zaccaria Ruggiu 1995, 37-38.

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e, in tale ambito, alle domus che occupavano il ter-zo e quarto terrazzo a valle di essa (figg. 3-4). Per il dilavamento secolare che ha denudato il monte sul quale sorge la città i loro resti si intravedeva-no sotto appena un velo di terra: un’occasione che è sembrato utile cogliere anche per conciliare le ca-ratteristiche di una ricerca urbana che per sua na-tura deve essere quanto più possibile estensiva con il rispetto delle esigenze della metodologia dello scavo archeologico. Lo scavo ha costituito così una palestra formativa per gli studenti della Seconda Università di Napoli: un’occasione della quale sia-mo particolarmente grati alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, con la quale continuo e proficuo è stato il confronto scientifico.

Le domus presentavano sulla via una facciata continua, interrotta da una unica porta, aprentesi come di consueto arretrata rispetto al marciapiede.

L’organizzazione planimetrica interna è risultata chiaramente leggibile per la domus posta immediata-mente a valle dell’Acropoli Minore: appare rientra-re in schemi largamente diffusi soprattutto nel sec. II a.C., sia pur con innumerevoli varianti nel det-taglio dell’articolazione e distribuzione funzionale degli ambienti6 (fig. 4). Questi appaiono organizzati intorno all’atrio compluviato, con vasca centrale che mostra la singolarità di una staccionata di recinzio-ne: sul lato sinistro sono disposti gli ambienti utili-tari (cucina, bagno, dispensa); sul lato destro sono la

stanza da letto, divisa in anticamera e alcove, come indica la partizione della decorazione pavimentale, quindi altri cubicula; all’estremità di ambedue i lati lunghi dell’atrio si aprono le alae; sul lato opposto all’ingresso sono gli ambienti di rappresentanza alla cui destra, sempre sul fondo, una scala scende al terrazzo sottostante. Quest’ultimo appare occupato da due ambienti voltati, la cui sommità, giungendo allo stesso livello del piano degli ambienti sovra-stanti della domus, doveva venire ad accrescerne in corrispondenza la superficie, per un’area pari al suo sviluppo.

Interessante soffermarsi sulle dimensioni e le scelte progettuali. La fronte, di 60 piedi circa di svi-luppo (m 17,50), consente di inserire la domus tra quelle di livello medio-alto (per esempio la casa di Diana a Cosa, varie di Pompei, tra cui quella di Sal-lustio, quella di Pansa, le case VI, 13, 13 e VI, 13, 5.6.9, quella delle Nozze d’Argento)7. In analogia a quanto osservato per esempio a fregellae, ove la variazione di superfici e planimetrie delle domus è stata posta in diretta relazione alla loro maggiore o minore vicinanza al Foro, sara interessante verifica-re se anche a Norba si possa istituire più in generate un legame tra dimensioni delle domus e peculiare posizione nel tessuto urbano8.

Nel progetto della planimetria, i rapporti tra i vari ambienti appaiono rispondere a un sistema me-ditato di proporzioni, che si inserisce in esperienze e pratica di adozione delle quali successivamente Vitruvio tenne conto: così il rapporto 3:2 della lun-ghezza rispetto alla larghezza dell’atrio; le propor-zioni del tablino, che nel caso di atri con larghezza di venti passi viene indicata parti a due terzi di quel-la misura e ugualmente per la luce del compluvio, che ricostruiamo di un terzo rispetto alla larghezza dell’atrio. Le deroghe, dal loro canto, rientrano nel costume diffuso di adeguamenti condotti non inten-dendo rigidamente i rapporti e volti a rispondere a connotazioni contingenti e necessità peculiari: in particolare fuori norma è il rapporto tra lunghezza dell’atrio e larghezza delle alae, nel nostro caso più ampie del dovuto così come fauces mostrano un’am-piezza maggiore di quella poi codificata9.

I pavimenti con le loro differenze consentono la definizione dei diversi ambienti, secondo gerarchie che rispecchiano gli usi del tempo.

Nell’atrio il pavimento in battuto di tufo è preferi-to al cocciopesto, come spesso avviene in questo genere di ambienti, in considerazione del calpestio cui erano sottoposti. Nel vano lungo rettangolare, di

4. Pianta del settore subito a valle dell’Acropoli Minore, con le due domus rimesse in luce.

6 Rimando alle osservazioni di Zaccaria Ruggiu 1995, 354.7 Si veda l'attenta analisi condotta per la casa di Diana a Cosa

da Fentress 2003, 19-21.8 Pesando 1977, 278-284.9 Ter maggiori dettagli: Carfora-Ferrante-Quilici Gigli 2008,

216-217.

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servizio, il pavimento è un battuto di scaglie fini di calcare: un tipo di pavimentazione certo molto più comune di quanto non appaia dalla documentazio-ne bibliografica e che, per la semplicità della tecnica, potremmo ritenere copra un ambito cronologico più ampio, sia anteriore che posteriore, rispetto al sec. II a.C. nel quale è stato per lo più riferito in passato10.

Il pavimento dell’ala destra è un battuto di sca-glie di calcare nel quale sono inserite, rade, sparse e disordinatamente, scaglie di calcare diverse per dimensioni e forma, comunque irregolari, di colore verde e rosa-lilla: un tipo di ornato che conosciamo diffuso nell’ambito del sec. II a.C., a partire dai de-cenni iniziali e specie nella seconda metà. Nel pavi-mento di Norba noteremo come rispetto alla gamma

cromatica generalmente presente delle litomarghe, che annovera ilverde, il viola, il giallo e il nero, man-chino i due ultimi colori. Tra i non numerosi esempi noti a Roma e nel Lazio è da richiamare il pavimen-to del complesso di Colle Noce a Segni, ove pure la gamma cromatica è ridotta a soli due colori, il cui inquadramento cronologico ricerche recenti hanno precisato alla seconda meta del sec. II a.C.11.

Il pavimento dell’ambiente contiguo appare singolare nel contesto delle esperienze note in età repubblicana. Il suo battuto contempla spezzoni a grossa grana di cotto, di calcare e anche qualche sca-glia di calcare colorato e appare decorato all’intor-no da una fascia di meandri e quadrati con tessera al centro che incorniciano un campo rettangolare con un delfino a ciascun angolo, tappeto scandito da tre file distanziate di rade tessere romboidali di calcare e al centro un caduceo (fig. 5). Tessere verdi appaiono al centro del quadrato di bordo, a segnare l’occhio dei delfini e delineano in parte il caduceo. Non mi sono noti esempi che possano accostar-si a questo pavimento: i delfini, che tanta fortuna avranno nei mosaici, appaiono raramente nei bat-tuti e non come in questo caso isolati agli angoli di un ambiente, ma connessi al motivo ornamentale del rosone, decorando negli angoli il quadrato en-tro il quale il rosone è inserito, mentre nella lunga tradizione e ampia diffusione della figura del delfi-no sui mosaici in ciottoli, va notato come appaiano in ornamentazioni di organizzazione complessa, nel cui contesto esempi significativi sono offerti, già nel sec. III a.C., dai pavimenti di Arpi12. Il motivo del caduceo, che avrà largo successo nei mosaici di epoca imperiale, è pure assai raro nei pavimenti in cocciopesto e, a quanto mi consta, quasi assente nel-la nostra penisola13.

Il pavimento in cocciopesto con ornato delinea-to in tessere bianche del vano a destra delle fauces mostra una differenziazione della decorazione, se-condo una consuetudine ben attestata in simili pa-vimenti in età repubblicana, in rapporto all’organiz-zazione funzionale degli ambienti.

In questo caso un rosone con rombi iscritto in un quadrato occupa l’ingresso, un meandro alternato a quadrati con tessera al centro segna la soglia dell’am-biente adiacente, occupato da un tappeto di reticola-to di rombi: si tratta di motivi decorativi che rientra-no nel repertorio usuale di epoca repubblicana; per il rosone è da osservare tuttavia la posizione in un piccolo ingresso, rispetto alla più consueta presenza nei tablini o al centro dell’impluvio (fig. 6).

Come più volte osservato, nella casa e soprat-tutto nella sua decorazione il proprietario tendeva

10 Una sintesi in Vassai 2006, 48, 74-75.11 Alvino-Cifarelli-Innico 2003; per un quadro delle attesta-

zioni cfr. Pesando 1977, 226.

12 Cfr. sulla questione, con bibl.: Carfora-Ferrante-Quilici Gi-gli 2008, 220.

13 Un esempio, noto solo da una fotografia e una sintetica

5. Pavimento in cocciopesto, con caduceo al centro.

6. Pavimento in cocciopesto decorato da rosone con rombi is-critto in un quadrato.

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a espri­mere la sua posi­zi­one, aspi­razi­oni­ e l’i­mma­gi­ne di­ sé che voleva proporre: ci­ si­ deve pertanto soffermare con at­tenzione su quegli elementi che possano aver risposto a tali fini.

Abbiamo già osservato come nella sua strut­turazio­ne e organi­zzazi­one la domus si­ i­nseri­sca nelle espe­ri­enze medi­o­repubbli­cane: i­l suo propri­etari­o si­ propone così come pi­enamente parteci­pe di­ scelte e cultura architet­tonica del tempo. II fat­to che nei pavimenti, oltre a motivi largamente diffusi, appaia anche la rappresentazi­one del caduceo, i­nsoli­ta nel­l’ambi­to del repertori­o decorati­vo medi­o­repubbli­­cano, induce a chiedersi se fosse funzionale a espri­mere la distinzione sociale del proprietario. Volendo percorrere questa via, molteplici sono le valenze che potremmo ri­chi­amare e che potrebbero tra loro an­che intrecciarsi. In epoca medio­repubblicana infat­ti i­l caduceo appare raramente a decorare i­ pavi­men­ti di cocciopesto, e, per quanto mi risulta, quando appare si­ ri­scontra per lo pi­ù associ­ato con i­l cosi­d­det­to segno di Tanit: è questo il caso dei pavimen­ti­ i­n cocci­opesto di­ Seli­nunte e della Sardegna14. Il ri­chi­amo che tale associ­azi­one propone all’ambi­ente punico potrebbe assumere un particolare significa­to nel caso di Norba, se consideriamo come la cit­tà, alla fine della seconda guerra punica, sia stata uno dei­ luoghi­ scelti­ dal Senato come resi­denza degli­ ostaggi cartaginesi, ove soggiornarono almeno fino al 198 a.C., quando gli ambasciatori di quel paese solleci­tarono un cambi­amento di­ locali­tà e vennero accontentati­15.

Questa massiccia presenza agli inizi del sec. II a.C. a Norba di personaggi appartenenti all’ élite so­ciale di Cartagine potrebbe avere giocato non solo un ruolo meramente passi­vo, ma anche avere con­tribuito, at­traverso il contat­to di esperienze diverse, a fare maturare peculiari scelte culturali16. In que­st’ot­tica potrebbe essere vista l’adozione del cadu­ceo quale elemento decorativo del pavimento della domus.

Altre consi­derazi­oni­ possono ri­mandare a chi­a­vi di let­tura diverse. È da richiamare infat­ti come il caduceo appaia at­tributo inseparabile di Hermes­Mercurio, con ampia e antica diffusione fin dalle prime raffigurazioni del dio. Nel mondo romano come si­mbolo di­ pace vi­ene recato dai­ personaggi­ inviati a trat­tarla: essendo questi, in virtù della loro funzione, considerati sacri, il caduceo stesso veniva a espri­mere un senso di­ sacrali­tà17. Il significato del caduceo tut­tavia non appare legato solo a Mercurio, ma come simbolo di prosperità e pace è associato

agli­ araldi­ e, i­n epoca i­mperi­ale, appare sul verso delle monete, a sosti­tui­re come si­mbolo del Senato la formula Senatus consulto.

A queste valenze potrebbe essersi voluto richiama­re i­l propri­etari­o della domus, espri­mendo così con i­l caduceo un richiamo a particolari funzioni o compi­ti assolti. Un ruolo peculiare e di prestigio svolto dal propri­etari­o della domus potrebbe d’altronde essere indicato dalla stessa posizione topografica della sua casa, i­mmedi­atamente conti­gua ad una delle pri­nci­­pali aree sacre della cit­tà.

La domus pi­ù a valle presenta di­mensi­oni­ ana­loghe a quella ora descrit­ta, ma si conserva solo parzialmente nel set­tore contiguo alla via e a ridos­so del muro di­ terrazzamento che ha i­n comune con la domus sovrastante. Nell’articolazione e dimensio­ne degli ambienti che è stato possibile riconoscere, e da osservare come si­ venga a ri­proporre lo sche­ma plani­metri­co della domus sovrastante; possi­amo ritenere analoga anche la funzione dei vani, come suggeri­scono i­ resti­ di­ pavi­mentazi­one e tracce di­ fondazione e passando a ricostruire l’intera pla­ni­metri­a della domus potremmo ragi­onevolmente proporre uno schema analogo a quello della domus a monte, con tut­te le considerazioni e osservazioni che ne sono scaturite.

Per ambedue le domus appare possi­bi­le pro­porre l’abbandono i­n epoca tardo­repubbli­cana, i­n suggesti­va coi­nci­denza con i­ noti­ eventi­ che sconvol­sero e portarono alla distruzione della cit­tà nell’81 a.C., al termine della guerra tra Mario e SiIla.

Le due domus ri­messe i­n luce hanno solleci­tato un’intensa riflessione su come risolvere la loro per­cezione, la let­tura e conservazione dei pavimenti in cocci­opesto che di­sti­nguono la pri­ma domus, difficili di­ per sé da mantenere all’aperto e tanto pi­ù i­n un luogo come Norba, esposto al sole cocente esti­vo e alla neve e gelate i­nvernali­, ai­ venti­, alle pi­ogge e ai­ ristagni di acqua.

Abbi­amo consi­derata superata si­a la prati­ca del di­stacco ed esposi­zi­one dei­ mosai­ci­ nei­ musei­, che depaupera i luoghi e ne falsa la comprensione, sia quella dello strappo, spianamento, irrigidimento e loro ricollocazione, tanto diffuse in passato.’ La riflessione ha riguardato pertanto l'opportunita o meno di­ reali­zzare le coperture, essenzi­ali­ per la con­servazione in vista dei pavimenti. Sono state prese i­n consi­derazi­one moltepli­ci­ possi­bi­li­tà18, ma tut­te avrebbero prodot­to un forte impat­to e una rot­tura di quella integrazione nel paesaggio dei grandiosi terrazzi­ i­n opera poli­gonale, che tanta suggesti­one

didascalia, a Teramo, ove appare agli angoli di grande cerchio decorato a losanghe i­n un pavi­mento i­n cocci­opesto della do­mus di piazza Madonna delle Grazie: Angelet­ti 2006.

14 Per le at­testazioni, anche in rapporto alla destinazione fun­zionale, cfr. Carfora­Ferrante­Quilici Gigli 2008, 222­224.

15 Per una raccolta di esempi: Carfora­Ferrante­Quilici Gigli 2008, 222 nota 57.

16 Aymard 1967; Quilici Gigli 2003, 23, con bibl.17 Sulla i­nci­denza della presenza v. Aymard 1967, 448.18 Liv. 32, 32; Nep., Hann. 11, 1­2; Gell., Noct. Att. �, 27 b. Sulla�, 27 b. Sulla

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conferisce al luogo e avrebbero difficilmente potu-to garantire anche un microclima interno rispetto-so delle esigenze di conservazione. Nello scartare pertanto, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, tutte le soluzioni di co-pertura, non è rimasto che abbracciare la mediazio-ne dolorosa di conservare in situ e ricoprire i pavi-menti: una perdita che è stata di stimolo a proporre ai visitatori con immediatezza almeno una lettura del progetto architettonico della domus. Abbiamo cercato così di attuare la comunicazione didattica, oltre che con pannelli, con i tradizionali dépliant e con la documentazione nel museo-centro visitatori, anche attraverso le stesse strutture. L’obiettivo che ci siamo proposti era di ottenere una “suggestione”, più che una vera ricostruzione: un’immagine pla-nimetrica della domus che permettesse di valutarne le dimensioni, l’organizzazione degli spazi nel com-plesso e le loro funzioni principali, senza incedere in radicali ricostruzioni di alzati. Il pessimo stato di conservazione della domus, inizialmente percepito come irrimediabile perdita di dati archeologici, ha offerto, così, la singolare opportunità19 di ricostruire una domus romana nella sua posizione originaria,

piuttosto che in spazi museali decontestualizzanti.I singoli ambienti sono stati distinti, sulla base

del calcolo delle loro dimensioni e disposizione nel-lo schema generale della domus, con pali in massello realizzati in pino silvestre, scortecciati a macchina e torniti a cilindro, impregnati con sali minerali con procedimenti a pressione e fissati con staffe zincate. Nei casi di muri divisori ancora conservati a livello di fondazione i pali sono stati posti su entrambi i lati; per quelli da ricostruire interamente, invece, è sta-to adoperato un solo palo, a mò di “segno”; quanto agli ambienti originariamente aperti sull’atrio è una bacchetta di legno squadrata ne delimita lo spazio.

La ricomposizione visiva della domus è stata com-pletata con l’uso di graniglia colorata stesa all’in-terno dei vani così distinti; l’adozione di differenti tipologie di graniglia (marmo di Carrara, graniglia di lava vulcanica e graniglia di calcare) ha reso di im-mediata leggibilità, se pur a grandi linee, le differenti destinazioni d’uso degli ambienti. Anche le soglie di ingresso ai vani sono state distinte con intelaiature li-gnee, della dimensione presunta per ciascuna soglia, colmate di graniglia bianca per suggerire l’uso, in antico, di lastre in calcare. Alto stesso modo, in luo-

7. Sistemazione delle domus a valle dell’Acropoli Minore nell’ambito del Parco archeologico di Norba.

sacralità Cato in. Fest. s.v.; Cic., De Orat. I, 46, 202.19 Per il dibattito e le linee metodologiche v. Michelides 2003,

con bibl.; Ardovino 2004, 274-278, con bibl.

Il parco archeologico di Norba 443

go della scala per la terrazza inferiore, ipotizzabile nell’angolo sud-ovest della casa, bacchette di legno distinguono ciascun gradino rappresentato, in corri-spondenza del calcare, con graniglia bianca (fig. 7).

Interventi di protezione della sommità dei muri perimetrali con messa in opera di copertina di mal-ta e sassi infissi hanno consentito, infine, l’alloggia-mento dei pali verticali della staccionata lignea che sottolinea, con modulo di m 2 ca., il perimetro di entrambe le domus e ne impedisce l’accesso, con una scansione per moduli di m 1,50 ca.

L’ingresso alle domus, apparentemente limitato, e visivamente suggerito da cancelli, anch’essi in le-gno, ricostruiti, sulla base dei caratteri delle soglie, con l’apertura dei battenti verso l’intemo.

Stefania Quilici GigliSeconda Università degli Studi di Napoli

[email protected]

Le attività di ricerca e scavo delle quali si dà conto sono state svolte in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, prima nell’ambito di un cantiere didattico della Se-conda Università di Napoli, poi, a partire dal 2005, su concessio-ne di scavo accordata dal Ministero per i Beni e le Attivita Cultu-rali alla Seconda Università degli Studi di Napoli, nel quadro di un programma sentito e condiviso di valorizzazione dei luoghi, secondo un progetto elaborato con l’arch. Lucia di Noto: per i proficui scambi di opinione e costante sostegno desidero rin-graziare i Soprintendenti che si sono succeduti nel Lazio, Anna Maria Reggiani, Anna Moretti, Maria Rita Sanzi Di Mino, Mari-na Sapelli e il funzionario responsabile di zona, Marisa de’ Spa-gnolis. A Marina Sapelli e Giuseppina Ghini un ringraziamento anche per l’invito a riferime in questa sede.

Le attività sul ampo sono state condotte con il costante im-pegno di Paola Carfora e Stefania Ferrante, assegniste di ricerca della Seconda Università di Napoli e responsabili scientifiche di settori di indagine; vi hanno partecipato numerosi studenti, laureati, dottorandi e dottori di ricerca della Seconda Università di Napoli.

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