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Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Studi Giuridici Internazionali
Sezione di Napoli
Quaderni nuova serie
Gianluca Serra
Le corti penali “ibride”:
verso una quarta generazione di tribunali
internazionali penali?
Il caso del Kosovo
Editoriale Scientifica
Presentazione
Il pregevole volume di Gianluca Serra è particolarmente interessante
non solo perché costituisce la prima monografia in lingua italiana
dedicata in maniera specifica all’argomento delle cd. “corti ibride”, ma
anche perché frutto di un’esperienza di ricerca svolta “sul campo”,
ovverosia presso il Dipartimento di Giustizia della Missione di
Amministrazione Interinale delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK).
La ricerca, che ha beneficiato della borsa di studio messa a concorso
dalla Banca Carime e dedicata a Nicola Calipari, s’inserisce nel quadro
di uno dei settori che più hanno catturato l’attenzione dei giuristi e degli
scienziati politici in questi ultimi anni: il diritto internazionale penale.
Questo “infant criminal justice system of the international
community”1, le cui vicende hanno attraversato con alterne fortune tutto
il ventesimo secolo, è qui esaminato attraverso il prisma di una delle
evoluzioni più recenti, nonché meno indagate: i tribunali misti o, come
propone la dizione utilizzata dall’Autore, di “quarta generazione”.
Tale generazione segue quella dei Tribunali militari internazionali di
Norimberga e di Tokyo (la prima), quella dei Tribunali penali
internazionali ad hoc per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda (la seconda), e
quella della prima giurisdizione a carattere permanente ed aspirazione
universale, la Corte penale internazionale (la terza).
Nessuna di queste generazioni è esente da critiche: i Tribunali
militari internazionali del secondo dopoguerra, per le note diatribe legate
al rispetto del principio di legalità e all'intrinseca parzialità della c.d.
“giustizia dei vincitori”; i Tribunali ad hoc istituiti dal Consiglio di
Sicurezza, in ragione del loro fondamento giuridico e della selettività del
loro operato (a cui occorre aggiungere i costi che, secondo un rapporto a
firma del Segretario Generale delle Nazioni Unite, ammontavano, nel
2004, a circa il 15% del budget complessivo dell’ONU); ed infine la
Corte penale internazionale, a causa della lentezza delle attività sino ad
oggi svolte nonché della mancata adesione e talvolta avversione (è noto
l’ostruzionismo degli Stati Uniti d’America) degli Stati maggiormente
influenti della comunità internazionale.
1 L’espressione è tratta da un opinione del giudice Shahabuddeen annessa alla decisione
della Camera d’appello del Tribunale ad hoc per il Ruanda del 31 marzo del 2000 - caso
Barayagwiza, ICTR-97-19-AR72.
4
Anche al fine di ovviare a tali inconvenienti, nell’ambito delle
Nazioni Unite sono state sperimentate nuove istituzioni giudiziarie, la
cui natura, appunto, “mista” (in parte internazionale, in parte domestica)
dovrebbe teoricamente consentire tanto il rispetto degli odierni standard
processuali internazionali quanto i costi e la praticità delle giurisdizioni
territorialmente competenti sui crimini perpetrati.
Questo insieme di nuovi tribunali, misti o internazionalmente
assistiti, rivela un fenomeno di “ibridazione” della natura interna o
internazionale delle giurisdizioni. Gli esempi sono costituiti dalla Special
Court in Sierra Leone, dai Serious Crimes Panels in Timor Est, dalle
Extraordinary Chambers in Cambogia, dalle War Crimes Chambers in
Bosnia Erzegovina, dal costituendo Tribunale Speciale per il Libano, o
ancora -ed è di quest’ultima che tratta dettagliatamente il lavoro che
segue- dal programma “Giudici e Procuratori Internazionali” istituito nel
quadro della missione UNMIK e che si distingue dagli altri per
l’ampiezza della giurisdizione esercitata, oltre che per aver costituito il
primo esperimento, in ordine di tempo, di questa nuova tipologia di
tribunali., Di questo esperimento, grazie al lavoro di Gianluca Serra,
siamo ora in grado di apprezzare a pieno le caratteristiche e la portata
innovativa.
Giuseppe Cataldi Professore ordinario di Diritto internazionale - Università di Napoli “L’Orientale”
Responsabile dell’Istituto di Studi giuridici internazionali del C.N.R. (sede di Napoli)
Ragion di Stato e giustizia internazionale
La pretesa certezza scientifica circa il fatto che la crisi della
sovranità statuale costituisca un fenomeno oramai conclamato e
destinato ad un epilogo risolutivo1 vacilla di fronte all’incontestabile
persistenza della ragion di Stato in quanto comprimaria forza motrice
delle dinamiche della comunità internazionale.
A partire dalla concettualizzazione rinascimentale di Machiavelli e
Botero, la ragion di Stato si è imposta come la teoria secondo cui ogni
azione dello Stato, se necessaria per il bene di quest’ultimo, ha la
presunzione di essere legittima, indipendentemente dalla sua moralità.
Ai nostri giorni, i condizionamenti, più o meno evidenti, subiti dalla
giustizia internazionale in senso lato si prestano ad essere letti come una
manifestazione dell’inossidabilità della sovranità statale, di cui la ragion
di Stato è, in fondo, il precipitato teorico-pratico.
Nel campo della giustizia penale internazionale -per non
allontanarmi dall’orizzonte a me personalmente più prossimo- il diniego
di cooperazione giudiziaria da parte degli USA all’Italia sul caso
Calipari rivela il primato della ragione di Stato sulle ragioni avanzate
dall'Italia e dai familiari di un individuo di un altro Stato (peraltro
alleato) che ha patito la massima lesione dell’integrità personale.
Volendo estendere l’analisi all’ambito della giustizia internazionale
tout court e della giustizia internazionale penale, le diverse conclusioni
sull’eccidio di Srebrenica della Corte Internazionale di Giustizia e del
Tribunale Penale Internazionale ad hoc per la ex Jugoslavia2 si lasciano
leggere come il tentativo di sublimare il fumus di responsabilità di uno
Stato nella certezza di torto di alcuni individui facenti capo alla sua
comunità etnica.
1 Uno fra gli altri si veda U. BECK, La società cosmopolita. Prospettive dell'epoca
postnazionale, Bologna, 1999. 2 La Corte, pur qualificando il massacro di Srebrenica come genocidio, non ha ravvisato
la diretta responsabilità dello Stato serbo nella commissione dello stesso (caso Bosnia
and Herzegovina v. Yugoslavia, sentenza del 26 febbraio del 2007); il Tribunale, d’altra
parte, non ha mancato di condannare singoli individui di etnia serbo-bosniaca per quello
stesso eccidio (e.g. il generale Radislav Krstic, case No. IT-98-33, sentenza definitiva del
19 aprile del 2004), in ciò seguito dal Tribunale Speciale di Belgrado per i Crimini di
Guerra (sentenza Slobodan Medic, Pero Petrasevic, Aleksandar Medic, Aleksandar
Vukov and Branislav Medic del 12 aprile del 2007).
6
Nella ragion di Stato -ed in particolare in quella degli Stati più forti-
può, dunque, scorgersi uno dei maggiori vincoli allo sviluppo di una
giustizia internazionale in cui il valore intrinseco della persona umana
sia anteposto a qualsivoglia valutazione di opportunità politica.
Le proposte di ingegneria giuridico-istituzionale cui la presente
ricerca approda si muovono generosamente in questa direzione e ad esse
va il mio supporto. Plaudo l'originalità del metodo di ricerca utilizzato e
sottolineo l'importanza di questo saggio -il primo sull'argomento in
Italia- nel più ampio scenario della tutela dei diritti umani.
Esprimo un sincero ringraziamento alla banca CARIME ed in
particolare alla sensibilità del suo Presidente, professore Andrea Pisani
Massamormile, che, su proposta della dottoressa Ermanna Carci Greco,
all'indomani della morte di mio marito, decise l'istituzione di due borse
di studio in diritto internazionale penale intitolate a “Nicola Calipari”
perché il suo sacrificio non fosse dimenticato.
Ho sempre ritenuto che la “memoria”, pur essendo di per sè un
valore, può rischiare di essere sterile se confinata esclusivamente
nell'ambito di cerimonie celebrative, mentre diventa “produttiva” di
valori per le generazioni future quando si concretizza nella continuità
dell'impegno di coloro il cui percorso di vita riteniamo emblematico.
Per Nicola, come per tutti gli uomini di valore che non si limitano a
sopravvivere ma vivono la propria vita, che sono artefici e non vittime
del proprio destino, che determinano lo svolgersi degli eventi e non si
rassegnano a subirlo, vale un antico proverbio cinese: “Non è il vento
che fa muovere la barca ma l'arte di disporre le vele”. E il vento ce l'ha
portato mentre era intento a disporre le vele3.
Tutti noi, oggi, abbiamo il compito di riprendere a disporre le vele.
Rosa Maria Villecco Calipari Senatrice della Repubblica – XV Legislatura
3 M. BOZZA (a cura di V. VASILE), Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Roma,
2005, pag. 26.
Prefazione
“Je m’accomoderais fort mal d’un monde sans livres,
mais la réalité n’est pas là,
parce qu’elle n’y tient pas tout entière.” Marguerite Yourcenar, Mémoires d’Hadrien, 1951.
Lo Stato nazionale, nelle sua fase di formazione, è stato testimone
dell’agone politico-giuridico dell’individuo per riscattarsi dallo status di
suddito ed essere riconosciuto come cittadino da un sovrano che, a sua
volta, non fosse più legibus solutus ma esso stesso sottoposto a leggi
create da organi rappresentativi.
Oggi, nella sua fase di crisi -in cui cede volontariamente quote
sempre più consistenti di sovranità a soggetti sovranazionali (e.g. la
Comunità Europea) e sub-statali (e.g. le Regioni, per restare al caso
italiano) ovvero perde inesorabilmente capacità di controllo su attori
transnazionali (e.g. le organizzazioni criminali, quelle terroristiche, le
imprese multinazionali1)- lo Stato nazionale si fa -in modo paradossale-
promotore di un ordinamento in cui i diritti già riconosciuti e garantiti a
livello interno all’individuo in quanto uomo e cittadino possano trovare
ulteriore certificazione e tutela, a livello sovranazionale, a vantaggio
dell’individuo in quanto soggetto del diritto internazionale.
Quello che la storia moderna e contemporanea racconta, se riletta dal
punto di vista della filosofia politica e del diritto, è, dunque, un
movimento di contrazione in due tempi: dapprima l’individuo pone dei
limiti allo Stato nazionale, quindi lo Stato nazionale pone dei limiti alla
“volontà di potenza” di cui l’individuo è capace, specie in alcune
situazioni tipizzabili: i governanti dello Stato nazionale assumono la
suprema decisione di sovranità esterna (i.e. la guerra internazionale); i
leader di fazioni provocano l’implosione dello Stato nazionale (i.e. la
guerra civile); il singolo accentra il potere dello Stato nazionale nelle
proprie mani, esercitandolo con l’obiettivo di ridurre l’altro a sé, il
diverso e molteplice all’identico ed unico (i.e. il totalitarismo).
1 Sul tema della crisi dello Stato nazionale di fronte all’incalzare del fenomeno
multinazionale, si veda G. SERRA, “Codici di condotta e prospettive di tutela dei
lavoratori a livello transnazionale” in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 1, Milano,
2007, pagg. 143-166.
8
Il paradosso, cui sopra si alludeva, è, tuttavia, solo apparente:
ancorché eziologicamente distinti, i due moti di contrazione sono
teleologicamente convergenti, in quanto mirano a potenziare la sfera
delle garanzie dell’individuo; il primo in un’ottica lockiana, rendendo il
sovrano legibus legatus, il secondo in una logica kantiana, facendo dei
singoli sovrani una comunità organizzata attorno a valori da tutti sentiti
come irrinunciabili.
Con questa chiave di lettura risulta possibile inquadrare nella
medesima dimensione storica due processi distinti, sviluppatisi a partire
dal secondo dopoguerra: il movimento convenzionale per la promozione
e la tutela dei diritti dell’uomo2 (che ha peraltro contribuito alla
formazione di norme consuetudinarie) e la progressiva costituzione di un
ordine internazionale penale basato su norme ed organi di giustizia3.
Lasciando sullo sfondo il primo, il presente studio è focalizzato sul
secondo processo, ed in particolare sui suoi più recenti sviluppi.
Il libro è strutturato in cinque capitoli.
Il primo, senza alcuna pretesa di esaustività, si prefigge lo scopo di
ripercorrere le principali tappe evolutive della giustizia internazionale
penale dai Tribunali di Norimberga e Tokyo, istituiti alla fine della
seconda guerra mondiale, alla Corte Penale Internazionale, creata con lo
Statuto di Roma del luglio del 1998, passando per i due Tribunali ad hoc
per la ex Jugoslavia e per il Ruanda (1993-1994).
Il secondo approfondisce, con riferimento al caso del Kosovo,
l’ultima “frontiera” giuridico-istituzionale della storia del diritto
internazionale penale: le corti penali c.d. “ibride” sperimentate a partire
dal febbraio del 2000.
Il terzo tenta una valutazione del “progetto-pilota” kosovaro a oltre
sette anni dal suo lancio e ne tratteggia gli scenari futuri.
Il quarto compara il caso kosovaro alle altre esperienze di
“ibridazione”, proponendo spunti per una ideal-tipizzazione e
classificazione del fenomeno delle corti penali “ibride”.
Il quinto si spinge oltre l’esistente con l’intenzione di suggerire
soluzioni di ingegneria giuridico-istituzionale volte a sviluppare le
2 La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite l’8 dicembre del 1948 può considerarsi l’atto iniziale di tale
processo. 3 La costituzione dei due Tribunali Militari Internazionali di Norimberga e Tokyo, tra il
1945 ed il 1946, segnò l’inizio di questo secondo processo.
9
potenzialità delle corti penali “ibride” all’interno del più generale
sistema internazionale penale.
La ricerca condotta non ha natura meramente compilativa: è
piuttosto un lavoro sperimentale, svolto interfacciando diritto e dottrina,
da una parte, con il punto di vista qualificato di attori privilegiati,
dall’altra. Il presente saggio si avvale, oltre che di due contributi diretti4,
del risultato di incontri ed interviste con figure operanti nell’ambito del
sistema giuridico-giudiziario kosovaro e, pertanto, capaci di fornire un
punto di vista “speciale” sulla questione oggetto di indagine.
Per legittimare un tale approccio, l’autore si è rifatto alla lezione
metodologica di Max Weber (1864-1920)5, secondo cui i fenomeni
sociali (di cui quelli giuridico-istituzionali costituiscono un
sottoinsieme), diversamente da quelli naturali, non sono dotati di
un’autonoma ontologia, ma la loro intelligibilità passa, giocoforza,
attraverso il nodo scorsoio della “relazione al valore” (Wertbeziehung) e
del “vissuto d’esperienza” (Erlebnis). Più esplicitamente: proprio
accettando di calarsi in una dimensione fatta di valori culturali e di
esperienze personali, il ricercatore sarebbe in grado di sottrarre un
oggetto all’indefinita massa del reale ed investirlo di quel fascio di luce
che è il “senso” (Sinn).
4 Ospitati ai parr. II.2.3 e III.3. 5 M. Weber, “L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale”
(1904), “Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura” (1906) in Il metodo
delle scienze storico-sociali, Milano (ried. Einaudi), 1997.
10
L’autore Gianluca Serra (1979) è laureato con lode in Scienze Internazionali e
Diplomatiche all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” (20
marzo del 2003).
Ha frequentato, nel 2002 e nel 2003, i corsi in crisi umanitarie e
cooperazione interuniversitaria organizzati dell’Associazione Europea
di Studi Internazionali presso le missioni SFOR della NATO a Sarajevo
e UNIFIL dell’ONU a Beirut.
Nel 2004, ha conseguito con lode un master in Local Development
presso Stoà - Istituto di Studi per la Direzione e Gestione d’Impresa
(Ercolano).
Nel 2005 e nel 2006, è stato consulente dell’Ufficio Giuridico della
Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero
degli Affari Esteri.
Nel marzo del 2006, si è aggiudicato il premio “Giovani Studiosi”
della Fondazione Marco Biagi di Modena per la tesi di laurea in diritto
internazionale dell’economia sul tema della responsabilità sociale delle
imprese multinazionali.
Nel luglio del 2006, ha vinto la borsa di ricerca in diritto
internazionale penale “Nicola Calipari” della Banca Carime (Cosenza),
grazie alla quale ha condotto la ricerca di cui questo libro è il frutto.
Ringraziamenti L’autore sentitamente ringrazia:
- la Banca Carime spa nelle persone del suo Presidente, professore
Andrea Pisani Massamormile, del dottor Giuseppe Lombardi e della
dottoressa Ermanna Carci Greco;
- il professor Giuseppe Cataldi, per la supervisione scientifica sulla
ricerca e per aver consentito la pubblicazione del presente saggio nei
“Quaderni” della Collana, da lui diretta, dell’Istituto per gli Studi
Giuridici Internazionali -Sede di Napoli- del Consiglio Nazionale delle
Ricerche;
- lo Human Rights Centre presso la Faculty of Law della University of
Pristina (Kosovo), per aver ospitato e supportato in più fasi l’attività di
ricerca;
- Marco Cito e Alberta Fumo per gli innumerevoli spunti critici offerti
nel corso della revisione del testo.
11
INDICE
CAPITOLO PRIMO
Tre generazioni di tribunali internazionali penali
I.1 La lunga strada verso Norimberga: la giustizia dei vincitori ........................ 14
I.2 Da Norimberga ai Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia ed il Ruanda: la
giustizia selettiva ................................................................................................ 20
I.3 La Corte Penale Internazionale: verso una giustizia universale? .................. 31
CAPITOLO SECONDO
Le corti "ibride" in Kosovo: verso una quarta generazione di
tribunali internazionali penali?
II.1 Il contesto generale di riferimento ............................................................... 39 II.1.1 Le coordinate storiche: profili militari e diplomatici ............................ 41 II.1.2 Le coordinate istituzionali: la Missione UNMIK ed il sistema
giudiziario kosovaro ....................................................................................... 51
II.2 Il contesto giuridico di riferimento .............................................................. 55 II.2.1 Il fondamento giuridico ........................................................................ 55 II.2.2 Il diritto applicabile .............................................................................. 58 II.2.3 La competenza ratione materiae .......................................................... 69 II.2.4 La competenza ratione temporis .......................................................... 74 II.2.5 La competenza ratione loci .................................................................. 79 II.2.6 La competenza ratione personae .......................................................... 80
II.3 Il rapporto col sistema giudiziario locale ed i profili organizzativi in
prospettiva diacronica ........................................................................................ 83
II.4 Il rapporto con le altre giurisdizioni ............................................................ 91 II.4.1 Il rapporto con le autorità militari di KFOR e con il potere esecutivo di
UNMIK .......................................................................................................... 92 II.4.2 Il rapporto con le corti nazionali straniere ............................................ 94 II.4.3 Il rapporto con il Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia ...................... 97 II.4.4 Il rapporto con la Corte Penale Internazionale ................................... 112 II.4.5 Il rapporto con la Corte Internazionale di Giustizia ........................... 115 II.4.6 Il rapporto con la Corte Europea dei Diritti Umani ............................ 119 II.4.7 Il rapporto con il Comitato dei Diritti Umani istituito nell’ambito del
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici ............................................ 124
12
II.4.8 Il rapporto con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ........... 126
CAPITOLO TERZO
Un bilancio sull'esperienza delle corti "ibride" in Kosovo
III.1 I potenziali punti di forza ........................................................................ 128 III.1.1 La legittimità .................................................................................... 129 III.1.2 Il capacity-building .......................................................................... 131
III.2 Le criticità................................................................................................ 132 III.2.1 L’efficacia e l’efficienza a livello organizzativo .............................. 133 III.2.2 La capacità di perseguire crimina juris gentium e crimini a movente
etnico ........................................................................................................... 142 III.2.3 La qualità degli atti giudiziari relativi ai crimina juris gentium ....... 144
III.3 Le prospettive .......................................................................................... 154 III.3.1 I progetti esplorati ............................................................................. 154 III.3.2 Gli sviluppi della presenza internazionale in Kosovo: il futuro ruolo
dell’UE nel settore della giustizia ................................................................ 162 III.3.3 Il futuro delle corti “ibride” in Kosovo secondo la “proposta Ahtisaari”
..................................................................................................................... 165
CAPITOLO QUARTO
Cenni sulle altre corti "ibride"
IV.1 I Panel Speciali per Gravi Crimini a Timor Est ...................................... 170
IV.2 La Corte Speciale di Sierra Leone ........................................................... 172
IV.3 Le Camere di Bosnia-Erzegovina per i Crimini di Guerra e per il Crimine
Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione ....................................... 174
IV.4 Il Tribunale Penale Supremo Iracheno .................................................... 176
IV.5 Le Camere Straordinarie di Cambogia .................................................... 178
IV.6 Il Tribunale Speciale per il Libano .......................................................... 180
IV.7 Le analogie e le differenze ...................................................................... 182 IV.7.1 Il periodo di operatività .................................................................... 182 IV.7.2 Il contesto di riferimento .................................................................. 185 IV.7.3 La base giuridica .............................................................................. 186 IV.7.4 Il diritto applicabile .......................................................................... 188
13
IV.7.5 La competenza .................................................................................. 189 IV.7.6 Il rapporto con il sistema giudiziario nazionale ................................ 190 IV.7.7 I profili organizzativi ........................................................................ 191 IV.7.8 Le fonti di finanziamento ed il fabbisogno medio annuo .................. 193 IV.7.9 Il rapporto con altre giurisdizioni...................................................... 193
IV.8 Alcuni spunti per una possibile ideal-tipizzazione e tassonomia ............. 195
CAPITOLO QUINTO
Proposte di ingegneria giuridico-istituzionale
V.1 Per una rinnovata complementarietà con la Corte Penale Internazionale . 199
V.2 Alcuni spunti per la Conferenza di revisione dello Statuto di Roma ........ 202
Capitolo I
Tre generazioni di tribunali internazionali penali Sommario: I.1 La lunga strada verso Norimberga: la giustizia dei vincitori. - I.2 Da
Norimberga ai Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia ed il Ruanda: la giustizia selettiva. - I.3 La Corte Penale Internazionale: verso una giustizia universale?
La portata innovativa delle corti penali c.d. “ibride”, sperimentate in
Kosovo a partire dal febbraio del 2000, risulta meglio comprensibile se
adeguatamente contestualizzata nel divenire della giustizia internazionale
penale, ove tre “generazioni” di tribunali possono essere individuate1. La
prima è quella dei Tribunali Militari Internazionali (TMI) di Norimberga
e Tokyo, istituiti al termine di un processo storico di lungo periodo, di
cui la seconda guerra mondiale rappresenta l’ultimo atto (par. I.1); alla
seconda sono ascrivibili i Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il
Ruanda (par. I.2), la cui costituzione, se letta a posteriori, appare come
un “incidente” nel tortuoso tragitto politico-diplomatico verso la Corte
Penale Internazionale (par. I.3)2.
I.1 La lunga strada verso Norimberga: la giustizia dei vincitori
La storia conserva la memoria di non pochi tentativi di affermare,
sul piano internazionale, il principio della responsabilità penale
1 Due precisazioni si rendono opportune. In primo luogo, l’ordine degli aggettivi riferiti
al sostantivo “giustizia” risponde all’esigenza di rimarcare la distinzione con il limitrofo
concetto di “giustizia penale internazionale”. Quest’ultima risulta dal diritto interno
relativo al coordinamento dell’ordinamento penale nazionale con gli ordinamenti
stranieri, mentre la giustizia internazionale penale si colloca a pieno titolo nel campo del
diritto internazionale, in quanto disciplina la responsabilità penale degli individui per la
violazione di norme internazionali. F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, pag.
911 e ss. In secondo luogo, va precisato che la nozione di giustizia internazionale penale,
pur includendo quella di diritto internazionale penale, non si esaurisce in quest’ultima.
Infatti, esso rappresenta la base normativa sostanziale di una più ampia nozione che
comprende altresì le procedure, l’organizzazione per la persecuzione e la repressione dei
crimini internazionali ed il sistema penitenziario per l’esecuzione delle pene. G.
VASSALLI, La giustizia internazionale penale, Milano, 1995, pag. 189 e ss. 2 Per una diversa ripartizione “generazionale” si vedano: H. ASCENSIO, R. MAISON,
“L’activité des juridictions pénales internationales” in Annuaire Français de Droit
International, 2004, pagg. 416-468; R. DE LA BROSSE, “Les trois générations de la
justice pénale internationale: tribunaux pénaux internationaux, cour pénale internationale
et tribunaux mixtes” in Annuaire Français de Relations Internationales, vol. 6,
2005,.pagg. 154-166.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
15
individuale, superando lo schema classico della responsabilità
interstatuale3.
Un precedente degno di nota risale al 1474, anno in cui un’assise,
voluta dall’arciduca d’Austria e composta da ventotto giudici di diverse
nazioni del Sacro Romano Impero, processò il signore feudale von
Hagenbach, condannandolo a morte per i “crimini contro le leggi di Dio
e dell’uomo” commessi dalle sue truppe nel tentativo di sedare una
ribellione esplosa nella città alsaziana di Breisach. Al netto di alcuni
evidenti limiti (il rimando al diritto di derivazione divina e l’inflizione
della pena capitale), il caso Von Hagenbach, per quanto isolato, fu
“profetico” almeno sotto tre punti di vista: la composizione
“internazionale” del collegio giudicante, la ricusazione della tesi della
difesa, basata sull’obbedienza ad ordini superiori, l’oggetto del giudizio,
cioè crimini ante litteram definibili “contro l’umanità” commessi in
tempo di pace4.
Tuttavia, fu solo dalla fine del XIX secolo che presero corpo progetti
di tribunali internazionali penali per i crimini di guerra. Alcuni di essi
rimasero mere proposte, altri portarono alla creazione di organismi
giurisdizionali internazionali di varia natura.
Un tribunale internazionale contro i crimini di guerra (i.e. le
violazioni della Convenzione di Vienna del 1864) fu invano proposto
dallo svizzero Gustav Moynier all’indomani del conflitto franco-
prussiano del 1870. Una commissione internazionale d’inchiesta fu
istituita dalle Potenze vincitrici del primo conflitto mondiale nel corso
della Conferenza di pace di Parigi del 1919 con l’obiettivo di
determinare se vi fossero le basi per incriminare gli Imperi Centrali di
violazioni del diritto internazionale. Nel rapporto del 29 marzo del 1919,
la Commissione individuò trenta categorie di crimini perpetrati dalle
forze prussiane in violazione dello jus in bello così come definito dalle
Convenzioni dell’Aja del 1907, del 1911 e dalle consuetudini vigenti, e
raccomandò l’istituzione di un Alto Tribunale Internazionale per punire i
maggiori responsabili, ivi incluso l’imperatore di Prussia. Nonostante il
venir meno della volontà politica degli alleati statunitensi, nei Trattati di
pace di Versailles del 1919 e di Sèvres del 1920 furono inserite delle
clausole che abilitavano i vincitori a perseguire il Kaiser Guglielmo II, 3 U. LEANZA, Il diritto internazionale. Da diritto per gli Stati a diritto per gli individui,
Torino, 2002, pag. 297. 4 M.C. BASSIOUNI, International Criminal Law, New York, 1986, pag. 3 e ss. L’autore
riporta anche altri due casi di minore rilievo: il processo a Corradino Von Hohenstafen,
nel 1268, condannato a morte per aver scatenato una guerra ingiusta; l’estromissione
dall’esercito del conte Rosen per l’assassinio di civili durante l’assedio di Londonderry
nel 1688-1689.
CAPITOLO PRIMO
16
accusato della violazione della neutralità del Belgio -“supremo oltraggio
all’etica internazionale e alla santità dei trattati”5- ed i leader turchi
responsabili del primo genocidio del secolo (lo sterminio del popolo
armeno), allora qualificato con la formula di “crimini contro l’umanità”6.
Queste clausole restarono pressoché lettera morta: l’imperatore
tedesco non fu mai processato, poiché l’Olanda, dove si era rifugiato, ne
rifiutò l’estradizione; i criminali prussiani, lasciati alla giustizia del loro
Paese, furono assolti o subirono condanne molto miti7; mentre i maggiori
responsabili dello sterminio armeno furono processati e condannati a
morte in contumacia.
Due ulteriori tentativi per la creazione di una corte penale
internazionale furono infruttuosamente esperiti tra le due guerre
mondiali. Il primo di essi risale al 1926, anno in cui l'Association
Internationale de Droit Pénal elaborò un progetto, sostenuto anche dalla
International Law Association, destinato al fallimento a causa della
mancanza di un adeguato sostegno politico. Il secondo risale al 16
novembre del 1937, quando a Ginevra la Società delle Nazioni aprì alla
firma il trattato per la creazione di una corte penale internazionale che
avrebbe dovuto giudicare sulle violazioni della Convenzione per la
prevenzione e la repressione del terrorismo della stessa data8. La
mancata entrata in vigore di quest’ultima impedì alla corte di nascere.
Nel luglio del 1943, una commissione internazionale fu incaricata di
raccogliere informazioni sui crimini di guerra commessi nei territori
sottoposti ad occupazione, di compilare una lista di sospettati e di stilare
progetti per la loro cattura ed incriminazione. Infine, il 1° novembre del
1943, al termine della Conferenza interalleata di Mosca venne firmata
una Dichiarazione ove per la prima volta si affermò l’esigenza che i
5 Art. 227 del Trattato di Versailles. 6 La categoria giuridica di “crimini contro l’umanità” fu coniata proprio con riferimento
al caso armeno, definibile ex post come “genocidio”. Per la nozione giuridica di
“genocidio” si dovette attendere fino al 1933, anno in cui fu introdotta dal giurista
Raphael Lemkin. 7 In base al Trattato di Versailles, gli Alleati avrebbero potuto processare, oltre al Kaiser,
anche tutti i cittadini dell’ex Impero prussiano che avessero offeso la morale
internazionale, la santità dei trattati, le leggi ed i costumi di guerra. Le pressioni
dell’opinione pubblica tedesca condussero, tuttavia, i vincitori a rinunciare ad una tale
oltraggiosa prerogativa e ad affidare alla corte di Lipsia il giudizio su circa 900 criminali
di guerra dell’ex Impero prussiano. La corte assolse, dopo un processo sommario, 808
degli imputati e condannò gli altri 13 a pene molto miti, peraltro ineseguite. 8 Per il testo delle due Convenzioni, si veda M.O. HUDSON, International legislation. A
collection of the text of multiple international instruments of general interest (1935-
1937), vol. VII, n. 402-505, Washington, 1941, pagg. 862-893.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
17
maggiori responsabili, i cui delitti non erano stati commessi sul territorio
di uno Stato in particolare, venissero giudicati secondo una decisione
comune degli Alleati.
L'8 agosto del 1945, gli Stati usciti vincitori dal secondo conflitto
mondiale sottoscrissero un atto, l’Accordo di Londra “for the
Prosecution and Punishment of the Major War Criminals of the
European Axis”9, cui venne allegata la Carta del Tribunale Militare
Internazionale (TMI), un organo giurisdizionale competente a giudicare
sui seguenti crimini di diritto internazionale (crimina juris gentium):
crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l'umanità10
.
Appositi tribunali vennero, inoltre, istituiti dagli Alleati nelle rispettive
zone di occupazione del territorio tedesco. Un’apposita legge fu emanata
a Berlino il 20 dicembre del 1945, a firma dei generali delle forze alleate
occupanti, allo scopo di dare attuazione alla Dichiarazione di Mosca e
all’Accordo di Londra, predisponendo una base legale uniforme in tutta
la Germania per processare criminali di guerra diversi da quelli di cui si
stava occupando il TMI11
. L'insieme di tali giudizi, passati alla storia con
la denominazione di “processi di Norimberga”, fu di ampiezza senza
precedenti: ne furono interessati circa 15.000 individui.
Quanto alle atrocità perpetrate sul fronte asiatico, già dal 1942 era
stata istituita una Commissione internazionale per i crimini di guerra
nell’Estremo Oriente. Ad essa fece seguito la costituzione del TMI di
Tokyo, il quale, pur essendo composto da magistrati che rappresentavano
ben undici Stati, fu, tuttavia, posto in essere da un “Proclama speciale”
del 19 gennaio del 1946 a firma del generale statunitense MacArthur,
comandante supremo delle forze alleate nel Pacifico sud-occidentale. Se
per i processi di Norimberga si era ritenuto necessario un accordo
internazionale, in questo caso un atto unilaterale fu giudicato sufficiente.
Inoltre, i magistrati, benché di nazionalità diversa, furono scelti
personalmente dal generale MacArthur. Alla luce degli elementi
brevemente richiamati, non stupisce quindi che, pur inseriti quale pietra
miliare nella cronologia della giustizia internazionale penale, i processi
condotti a Tokyo siano considerati precedenti meno autorevoli rispetto a
quelli di Norimberga12
.
Innegabilmente i due TMI costituirono un passaggio fondamentale
lungo la strada per la definizione di una giustizia internazionale penale:
per la prima volta vennero individuate con precisione fattispecie
9 Ad esso avrebbero successivamente aderito altri diciannove Governi. 10 Art. 6, lett. a)-c) dello Statuto del TMI di Norimberga. 11 Control Council Law no. 10. 12 Si veda A. CASSESE, The Tokyo Trial and beyond, Cambridge, 1990, pag. 30 e ss.
CAPITOLO PRIMO
18
incriminatrici per atti in precedenza considerati come condotte militari o
politiche, e, come tali, prive di rilievo penale; nel contempo, responsabili
della violazione del diritto internazionale risultarono non più i soli Stati
ma anche le persone fisiche. Inoltre, per la prima volta -se si fa eccezione
per l’episodico caso von Hagenbach- fu sistematicamente sconfessata la
dottrina del c.d. “Act of State”, considerata una delle principali
estrinsecazioni della sovranità statale, in quanto posta a garanzia
dell’immunità di individui che si fossero macchiati di atrocità
nell’esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali ovvero in
esecuzione di ordini superiori13
.
Tuttavia, non può essere omessa l’intrinseca parzialità di un tale
modo di fare giustizia. Rispondenti ad opinabili standard di fair trial14
, i
processi dei TMI di Norimberga e Tokyo furono istruiti al fine di
giudicare i vinti per le azioni criminali di cui si erano macchiati ma non
contemplarono la possibilità di giudicare atti altrettanto gravi commessi
dai vincitori15
. Questa tradizionale critica va temperata con la realistica
considerazione secondo cui l’illiceità delle violazioni della pace e del
diritto internazionale umanitario poteva essere fatta valere solo per mano
del vincitore della guerra, non essendovi negli anni Quaranta altro
strumento di applicazione coattiva del diritto internazionale se non la
guerra e nessun altra modalità per arrivare alla punizione dei criminali se
non la vittoria sui loro Stati nazionali16
.
Va, inoltre, rimarcato che il fondamento giuridico dei TMI esibiva
all’epoca una certa solidità:
13 La demolizione della dottrina dell’atto di Stato comporta per l’individuo l’obbligo di
disobbedire alle leggi o agli ordini ogni qual volta sia in gioco la violazione di diritti
umani internazionalmente tutelati. Sull’eredità lasciata dal TMI di Norimberga si veda C.
TOMUSCHAT, “The Legacy of Nuremberg” in Journal of International Criminal
Justice, vol. 4, 2006, pagg. 830-844. 14 Non mancano giudizi severi sui profili procedurali dei processi di Norimberga e
Tokyo. L’adozione di un modello processuale di tipo prevalentemente accusatorio tipico
dei sistemi di common law -in cui ogni mezzo di prova deve essere acquisito oralmente
nel corso del dibattimento e dunque sottoposto all’esame incrociato da parte di accusa e
difesa- avrebbe a priori posto gli imputati nazisti in una posizione di svantaggio, dal
momento che gli Alleati avevano confiscato tutti i documenti rilevanti e negato alla
difesa l’accesso a questi ultimi. D. IRVING, Nuremberg: The Last Battle, London, 1996. 15 Si ricordano, tra gli altri, la fucilazione di ufficiali polacchi da parte dell’esercito
sovietico nella foresta di Katyn, il bombardamento a tappeto delle città tedesche di
Dresda e Amburgo, l’esplosione di ordigni atomici nelle città giapponesi di Hiroshima e
Nagasaki da parte degli Alleati. 16 Alla luce di queste considerazioni si comprende appieno il significato sostanziale
dell’aggettivo “militare” che qualifica i Tribunali di Norimberga e Tokyo. G.
GINSBURGS e V.N. KUDRIAVSTEV (a cura di), The Nuremberg Trial and
International Law, Dordrecht, 1990.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
19
a) la loro istituzione riposava sulla consuetudine classica conferente
allo Stato la facoltà di punire i criminali di guerra nemici;
b) i rispettivi Statuti erano diretta emanazione del diritto delle
potenze occupanti ad esercitare il loro sovrano potere legislativo su Stati
che si erano arresi senza condizioni (debellatio)17
;
c) benché la creazione dei TMI fosse avvenuta in patente violazione
di taluni profili del principio di legalità18
, la punizione dei crimini
17 Un’originale interpretazione a posteriori ha, invece, visto nel Tribunale di Norimberga
la prima manifestazione nella storia dell’esercizio collettivo della giurisdizione
universale da parte di una corte internazionale costituita attraverso trattato. M. SCHARF,
“The ICC’s Jurisdiction over the Nationals of Non-Party States: A Critique of the U.S.
Position”, in Law & Contemporary Problems, 2001, pag. 627. 18 Il principio di stretta legalità -che trova la sua origine nell’esigenza illuministica di
vincolare la sovranità dello Stato per porre la libertà dell’individuo al riparo da
interpretazioni che facciano filtrare nelle decisioni giudiziarie valori estranei alla tutela
del bene protetto dal divieto penale- opera, negli ordinamenti interni dei Paesi di civil
law, su almeno cinque piani: a) riserva assoluta di legge, b) precostituzione del giudice e
delle regole processuali, c) tassatività della previsioni di reato e delle pene conseguenti,
d) irretroattività, e) necessaria offensività del comportamento deviante. Non esistendo un
“legislatore” nel sistema di produzione del diritto internazionale, la riserva di legge
mantiene il suo fondamento nella necessità che le norme penali siano poste in essere
attraverso strumenti convenzionali ovvero si formino per consuetudine. La pre-esistenza
del giudice e delle regole disciplinanti lo svolgimento del processo costituiscono una
garanzia per l’imputato, in quanto lo pongono al riparo dall’arbitrio del sovrano ovvero
dello stesso giudice. La ratio della tassatività è connessa alla certezza del diritto: essa
rappresenta, infatti, una condizione indispensabile perché la norma penale possa
efficacemente fungere da guida del comportamento del cittadino, ponendolo nella
condizione di discernere senza ambiguità tra zone del lecito e dell'illecito. Il divieto di
retroattività comporta che tutti gli elementi dell'illecito, comprese le condizioni di
punibilità e di riferibilità dell'imperativo penale ad un soggetto ben determinato, nonché
le conseguenze penali, siano stabiliti (ed entrati in vigore) prima della commissione del
fatto. Il quinto ed ultimo profilo implica la necessità che oggetto delle fattispecie penali
siano esclusivamente valori la cui funzione consiste nel proteggere le condizioni minime
della vita in comune e la cui violazione può essere tradotta in termini di dannosità
sociale.
Sul piano strettamente formale, i Tribunali di Norimberga e Tokyo violarono sicuramente
il principio di legalità sotto i profili a), b) e d): all’epoca della loro costituzione, non
esistevano norme internazionali penali di tipo pattizio ovvero consuetudinario aventi
come diretto destinatario l’individuo (a); giudici e procedure furono costituiti dopo la
commissione dei reati (b); le fattispecie incriminatorie previste dai rispettivi Statuti
furono applicate retroattivamente (d).
Va, tuttavia, rimarcato che, così come è formulato, il principio di legalità può essere
invocato solo in quegli ordinamenti che lo hanno riconosciuto e adottato assieme alla
separazione dei poteri. Ne deriva che esso, come non poteva essere invocato negli
ordinamenti nazionali prima della rivoluzione francese, così non può essere utilizzato
come metro di paragone nell’ordinamento internazionale esistente alla fine della Seconda
Guerra Mondiale. Peraltro, quest’ultimo si basava allora su consuetudini e appariva,
pertanto, lontano dai sistemi di civil law (basati su leggi scritte ed elencazioni tassative di
CAPITOLO PRIMO
20
commessi da individui delle potenze dell’Asse era stata ripetutamente
preannunciata, almeno sin dal 1941, ed era diventata vincolante e precisa
con la Dichiarazione congiunta di Mosca;
d) l’applicazione retroattiva delle norme materiali poste dagli Statuti
dei TMI era solo apparente: i crimini di guerra erano già da tempo
riconosciuti dal diritto internazionale pattizio19
e consuetudinario; i
crimini contro la pace erano sorretti, nell’ambito del diritto pattizio, da
numerosi trattati internazionali20
; i crimini contro l’umanità avrebbero
potuto essere legalmente perseguiti purché in esecuzione ovvero in
collegamento con i crimini di guerra e contro la pace21
;
e) i TMI si auto-legittimarono, specie nei discorsi dei loro
procuratori, come organi di giustizia internazionale operanti in nome dei
sessanta popoli della neonata Organizzazione delle Nazioni Unite
(ONU).
I.2 Da Norimberga ai Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia ed il
Ruanda: la giustizia selettiva
Esauritasi la fase dei processi di Norimberga e Tokyo, risultando la
comunità internazionale ancora priva di organi attraverso i quali
affermare la propria autorità su individui ritenuti colpevoli di crimini
fatti), e, semmai, prossimo a quelli di common law (ancorati al precedente -stare decisis-
e alla consuetudo). 19 Convezioni dell’Aja del 1899 (ivi inclusa la c.d. “clausola Martens”) e del 1907. 20 Si ricordino la Convenzioni dell’Aja sulla risoluzione pacifica delle controversie del
1899 e del 1907, il Protocollo di Ginevra sulla risoluzione pacifica delle controversie del
1924, la Dichiarazione sulle guerre d’aggressione del 1927 ed il Trattato internazionale
per la rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale del 1928 (meglio noto
come “Patto Briand-Kellog”). 21 Le ragioni di questa definizione non erano di teoria generale del reato ma
squisitamente politiche, come si desume dalle osservazioni del procuratore del TMI di
Norimberga Robert H. Jackson, il quale rappresentò peraltro gli USA in sede di stesura
dello Statuto del Tribunale: “da tempo immemorabile, è principio generale della politica
estera del nostro governo di non intervenire negli affari interni di un altro governo. Il
modo in cui la Germania, o qualsiasi altro paese, tratta i suoi abitanti, non è affare nostro,
come non sarebbe affare di un altro governo intromettersi in nostri problemi. (…) Credo
non esistano basi giuridiche per occuparci delle atrocità senza collegarle con la guerra.”
(nostra traduzione da testo disponibile on line sul portale “The Avalon Project”
dell’Università di Yale <http://www.yale.edu/lawweb/avalon/avalon.htm>. Tale
escamotage ermeneutico implicò, tuttavia, l’esclusione dall’ambito di competenza
ratione materiae dei TMI di tutte le azioni corrispondenti alle fattispecie di crimini
contro l’umanità ma commesse prima della guerra. Per completezza, va precisato che la
già richiamata Control Council Law no. 10 del 20 dicembre del 1945, innovando rispetto
allo Statuto di Norimberga, ammise la possibilità di un’autonoma valutazione dei crimini
contro l’umanità.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
21
internazionali, furono nuovamente gli Stati ad agire in forza dei rispettivi
ordinamenti interni. Processi vennero intentati dagli Stati che avevano
subito l'occupazione nazista nei confronti di militari tedeschi ovvero di
propri cittadini che avevano collaborato con l'occupante. La stessa
Germania processò oltre cinquantamila tedeschi per crimini commessi
durante gli eventi bellici del 1939-1945. Anche in Italia vennero
celebrati numerosi processi, in applicazione delle norme contenute nel
Codice penale militare di guerra.
Contemporaneamente a questa ondata di giudizi nazionali, la
comunità internazionale, soprattutto nell’ambito della neonata ONU, si
impegnò nel perseguimento di due distinti ma correlati obiettivi: la
codificazione del diritto internazionale penale e l’istituzione di un
Tribunale internazionale penale permanente.
Quanto al primo degli obiettivi, si poté assistere ad un fenomeno di
progressiva creazione, e talvolta sovrapposizione, di norme penali
afferenti allo jus in bello e a quello applicabile in tempo di pace.
L'Assemblea Generale (AG) dell’ONU riaffermò, nel 1946, “i principi di
diritto internazionale sanciti dalla Carta del Tribunale di Norimberga e
dalla sentenza”22
, con ciò favorendo la consacrazione della citata Carta
quale fonte di norme internazionali generali. L’anno successivo la stessa
AG istituì la Commissione di Diritto Internazionale (CDI), richiedendole
contestualmente di dare compiuta formulazione ai c.d. “principi di
Norimberga”, nonché di elaborare un progetto di “Codice delle Offese
alla Pace ed alla Sicurezza dell’Umanità”23
: il primo incarico sarebbe
stato portato a termine nel 195024
, il secondo nel 195425
. L’AG mirò, con
22 Risoluzione n. 95 del dicembre del 1946. Già con la risoluzione n. 3 del 13 febbraio
dello stesso anno, l’AG aveva preso atto della definizione delle fattispecie criminose
come formulata dallo Statuto di Norimberga, raccomandando agli Stati di prendere le
misure necessarie per l’arresto dei criminali. 23 Risoluzione n.177 del 21 novembre del 1947. 24 Per via induttiva la CDI codificò sette principi: 1) la responsabilità penale è individuale
(senza pregiudizio per quella dello Stato in caso di mancata prevenzione e repressione),
2) i crimini internazionali sono indipendenti da quelli secondo il diritto nazionale, 3) e 4)
il fatto di ricoprire una funzione statale di alto livello ovvero l’esecuzione di un ordine
superiore non costituiscono cause esimenti dalla responsabilità per crimini internazionali,
5) il soggetto cui sia addebitato un crimine internazionale ha diritto ad un equo processo,
6) i crimini internazionali sono quelli di cui all’art. 6 dello Statuto del Tribunale di
Norimberga (dunque, i crimini contro l’umanità sono ancora subordinati alle altre due
fattispecie), 7) la complicità costituisce crimine internazionale. 25 Il progetto di Codice del 1954 -per il quale si veda in Yearbook of the International
Law Commission, 1954, vol. II- si componeva di soli quattro articoli, il cui contenuto
normativo era quasi totalmente modellato sulla Carta di Norimberga e sulla Convenzione
contro il genocidio. I crimini contro l’umanità, tuttavia, non risultavano più collegati ai
CAPITOLO PRIMO
22
queste iniziative, ancorché non produttive di atti vincolanti, a radicare
presso la comunità internazionale l’opinio juris ac necessitatis per sanare
l’unilateralità e la retroattività dei principi di Norimberga. Nel frattempo,
importanti strumenti di hard law erano stati predisposti: proprio un
giorno prima di approvare la Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo, il 9 dicembre del 1948, l’AG aveva aperto alla firma la
Convenzione contro il genocidio, recante una disposizione (l’art. 2) -
invero giammai attuata- sull’istituzione di una corte internazionale con
competenza esclusiva sul crimine; l’anno successivo, le quattro
Convenzioni di Ginevra avevano sancito, per volontà di un’apposita
Conferenza diplomatica, il consolidamento dei diritti di prigionieri, feriti
e malati, naufraghi e civili coinvolti in operazioni militari26
.
Vent’anni dopo, nel 1968, l’AG approvò una risoluzione
sull’imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità27
e, nel 1973, un’altra
sulla repressione universale, ove si chiedeva agli Stati la cooperazione
internazionale per la ricerca, l'arresto, l'estradizione e la punizione delle
persone colpevoli di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. Il 30
novembre del 1973 la Convenzione contro l’apartheid e il 10 dicembre
del 1984 quella contro la tortura segnarono un ulteriore progresso nella
definizione delle fattispecie penali di rilevanza internazionale.
Comuni ai citati strumenti convenzionali sono il recepimento e
l’ulteriore sviluppo del principio di giurisdizione penale universale28
, già
introdotto nel 1927 dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale29
.
crimini di guerra e contro la pace, benché la bozza del 1950 avesse confermato tale
connessione. 26 Un articolo comune alle quattro Convenzioni (art. 3) aveva posto in capo ai belligeranti
l’obbligo di assicurare un minimum di trattamento umanitario anche alle persone
coinvolte nei conflitti interni; lo stesso articolo aveva auspicato l’estensione, anche a
questo genere di conflitti, di tutte le garanzie proprie dello jus in bello, invito accolto nel
II Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977. 27 Risoluzione n. 2391 del 26 novembre del 1968. A livello regionale la Dichiarazione è
stata ispiratrice di uno strumento pattizio, come tale vincolante: la Convenzione Europea
sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e contro l’umanità, approvata a Strasburgo il
25 gennaio del 1974. 28 Non può accettarsi l’obiezione secondo cui detti trattati prevedrebbero un principio di
giurisdizione universale di tipo meramente “convenzionale”, essendo vincolanti soltanto
inter partes. In seguito alla diffusa adesione degli Stati alle rispettive convenzioni che
espressamente li vietano, nonché per effetto del largo consenso registratosi in sede di
giurisprudenza (nazionale ed internazionale) e di dottrina, le fattispecie incriminatorie cui
il principio si riferisce sono, infatti, da considerarsi inequivocabilmente vietate dal diritto
internazionale generale. 29 In occasione del “caso Lotus”, la Corte non solo appurò l’inesistenza di norme di
diritto internazionale impedienti ad uno Stato di giudicare uno straniero per un fatto
commesso al di fuori del proprio territorio ma affermò che “(...) in assenza di una Corte
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
23
Essi, infatti: a) radicano la competenza degli Stati contraenti a perseguire
individui sospettati di taluni crimini, prescindendo dalla sussistenza di un
particolare criterio di collegamento (territorialità, nazionalità
attiva/passiva, difesa dello Stato); b) chiamano gli Stati parti che non
intendano esercitare l’azione penale ad estradare il sospettato verso un
altro Stato parte che ne faccia richiesta (aut dedere aut judicare). Da
un’analisi comparata delle summenzionate convenzioni non emerge,
tuttavia, una definizione univoca del principio aut dedere aut judicare30
.
Da una parte, la Convenzione contro la tortura31
, al pari del corpus
convenzionale di Ginevra sui crimini di guerra32
, accoglie il sistema
teorico di punibilità assoluta, in quanto formula il principio in termini di
obbligo per lo Stato parte di sottoporre a giudizio il presunto autore di un
crimine internazionale, ovunque esso sia stato commesso, ovvero di
estradarlo verso uno degli Stati competenti in ragione del principio di
territorialità o di nazionalità attiva e/o passiva33
. D’altra parte, le
Internazionale, l’ordinamento internazionale deve ricorrere ai poteri legislativi e
giudiziari di ogni Paese, per dare attuazione alle proprie disposizioni penali e giudicare i
criminali. La competenza e la giurisdizione per giudicare di crimini di diritto
internazionale sono universali.” The S. S. Lotus (France v. Turkey), 1928 PCIJ Series A,
no. 10. Va rilevato che la facoltà per qualsiasi Stato di catturare la nave pirata e punire i
membri dell’equipaggio configurava, già per il diritto internazionale generale classico, il
principio di universalità della giurisdizione penale, essendo i pirati considerati hostes
humani generis. 30 Della codificazione della norma aut dedere aut judicare -in quanto estrinsecazione del
principio di giurisdizione universale- è stata recentemente incaricata la CDI (risoluzione
dell’AG dell’ONU n. 60 del 6 gennaio del 2006). Un rapporto preliminare, nel quale si
enucleano i principali problemi da affrontare, è stato presentato dalla Commissione il 12
luglio del 2006. International Law Commission, Preliminary report on the obligation to
extradite or prosecute (“aut dedere aut judicare”), 7 June 2006. 31 Art. 5, co. 3. 32 Testo comune del co. 2 degli artt. 49, 50, 129 e 146, rispettivamente, della I, II, III e IV
Convenzione di Ginevra, nonché art. 85 del I Protocollo aggiuntivo del 1977. 33 Al di là di questa importante analogia, va rimarcato che, in base ad un’interpretazione
strettamente letterale, soltanto le Convenzioni di Ginevra del 1949 prevedrebbero il
principio della giurisdizione universale in senso stretto (o puro), visto che l’obbligo di
aut dedere aut judicare è previsto senza alcun esplicito riferimento alla presenza del
sospettato nel territorio dello Stato parte (c.d. “giurisdizione universale in absentia”). La
Convenzione contro la tortura, invece, condiziona l’attivazione dell’obbligo alla
materiale presenza del sospettato nel territorio dello Stato parte (c.d. “giurisdizione
universale in personam). In questo caso, si è parlato di principio di giurisdizione
universale in senso improprio (o spurio), più correttamente qualificabile come “principio
di giurisdizione territoriale per fatti extraterritoriali”. R. O’KEEFE, Universal
Jurisdiction - Clarifying the basic concept, in “Journal of International Criminal Justice”,
2, 2004, pagg. 735-760. Il concetto di “presenza” è stato autorevolmente assimilato, in
dottrina, a quello di “custodia”, per cui ad aver competenza in ordine al crimine sarebbe
CAPITOLO PRIMO
24
Convenzione contro l’apartheid34
e contro il genocidio35
si rifanno al
sistema teorico di punibilità relativa, giacché conferiscono agli Stati parti
soltanto la facoltà di giudicare ovvero di estradare36
.
Benché nel diritto internazionale generale non sia ancora stato
trasceso il paradigma della punibilità relativa37
, il principio di
giurisdizione universale per i crimina juris gentium rappresenta
comunque un passo significativo nell’ideale percorso di sostituzione del
modello westphaliano-groziano di comunità internazionale -basato sulla
reciprocità tra Stati pienamente sovrani- con quello kantiano che
considera centrale l’esistenza di valori universali inerenti l’essere umano
in quanto tale.
Quanto all’obiettivo di istituire una corte penale internazionale, già
nel 1948, l’AG dell’ONU incaricò la CDI di compiere uno studio sulla
possibilità di rendere effettivamente operativa quella prevista
nell’appena approvata Convenzione contro il genocidio38
;
funzionalmente a tale scopo, alla CDI fu altresì richiesto di valutare la
possibilità di creare una Camera penale nell'ambito della Corte
Internazionale di Giustizia (CIG)39
. La CDI si pronunciò favorevolmente
sul primo punto ma sul secondo espresse l'avviso che la creazione di una
Camera penale all'interno della CIG avrebbe reso necessaria una
modifica dello Statuto di quest'ultima, dato che, in base all’art. 34, solo
gli Stati avrebbero potuto essere parti nei processi dinanzi alla Corte
medesima. Nel 1950 e nel 1952, l'AG istituì due comitati ad hoc, perché
solo il forum deprehensionis (si legga: lo Stato in cui avviene la cattura). A. CASSESE,
International Law, Oxford, 2001, pag. 261 e ss. 34 Art. V. 35 Art. VI. 36 Mutatis mutandis, per queste Convenzioni, l’attivazione della facoltà è condizionata
alla materiale presenza del sospettato nel territorio dello Stato parte. Va precisato che la
Convenzione sul genocidio prevedeva il principio aut dedere aut judicare (art. 7)
unicamente per quegli Stati che non avessero accettato la giurisdizione di una corte
internazionale dedicata. Quest’ultima, come già accennato, non fu mai istituita, per cui il
principio di giurisdizione universale assurse a regola per l’attuazione dell’articolato
convenzionale. 37 L’assenza di un obbligo, sancito dal diritto internazionale generale, ha consentito un
utilizzo strumentale e nazionalistico del principio di giurisdizione universale. L’Italia, ad
esempio, ha avuto interesse a perseguire e punire gli autori dei crimini commessi negli
anni Settanta e Ottanta dalla dittatura argentina solo nella misura in cui questi ultimi
fossero stati perpetrati contro cittadini italiani (criterio della nazionalità passiva).
Analogamente, alla fine degli anni Novanta, la Spagna si è spesa per perseguire l’ex
dittatore cileno Augusto Pinochet per crimini commessi in territorio cileno contro
cittadini spagnoli. 38 Risoluzione n. 260 del 9 dicembre del 1948. 39 Risoluzione n. 260 B del 9 dicembre del 1948.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
25
elaborassero delle proposte per lo Statuto di una Corte internazionale
penale. Uno di tali Comitati si cimentò, in particolare, nella spinosa
questione dei rapporti tra l’istituenda Corte e l’ONU. Una complicazione
di non poco conto derivò dall'intrecciarsi della questione concernente
l’istituzione di una giurisdizione internazionale penale con altri due
controversi temi già da tempo all'esame dell’ONU. Il primo riguardava la
definizione - con implicazioni più politiche che giuridiche nel clima di
montante tensione della guerra fredda- del crimine di “aggressione”. Il
secondo era quello relativo all’elaborazione del già richiamato progetto
di “Codice delle Offese alla Pace e alla Sicurezza dell'Umanità”. Nel
1954, l'AG, non pervenendo ad una definizione condivisa del crimine di
aggressione, decise per l’accantonamento del progetto di Codice -che nel
frattempo le era stato presentato dalla CDI40
- nonché del progetto di
Statuto di un tribunale penale internazionale41
.
La definizione di aggressione venne approvata nel dicembre del
197442
e solo allora fu soddisfatta la principale condizione giuridico-
politica perché potesse essere ripreso l'esame delle questioni rimaste in
quiescenza. In ogni caso, i tempi morti furono notevoli: solo nel 1981,
infatti, la CDI fu invitata a rioccuparsi del progetto di Codice43
. I lavori
della CDI durarono per ben quattordici anni, costellati da alterne
vicende. Sin dall'inizio, fu evidenziato il problema della stretta
connessione esistente tra la questione del Codice e quella dell’istituzione
di una giurisdizione internazionale penale, tanto che, nel 1983, la CDI
chiese all'AG di indicare “whether the Commission’s mandate extends to
the preparation of the statute of a competent international criminal
jurisdiction for individuals”, considerato che “a code unaccompanied by
penalties and by a competent criminal jurisdiction would be
ineffective”44
. Soltanto nel 1989, l'AG invitò la CDI ad approfondire,
nell'ambito dello studio del progetto di Codice, anche il problema
concernente l’istituzione di una giurisdizione internazionale penale45
.
Nel 1992, l’invito si trasformò nella prioritaria richiesta di elaborare un
progetto di Statuto per una Corte Penale Internazionale. Questo fu
presentato all’AG nel 1994, la quale lo sottopose ad un Comitato
40 L’AG motivò questa prima decisione, ritenendo che vi fosse una stretta connessione tra
la definizione di aggressione e la definizione di alcuni dei crimini contenuti nel progetto
di Codice. 41 Risoluzione n. 1187/XII del 14 dicembre del 1954. 42 Risoluzione n. 3314/XXIX del 14 dicembre del 1974. 43 Risoluzione n. 36/106 del 10 dicembre del 1981. 44 Yearbook of the International Law Commission, 1984, vol. II, Part Two, par. 69. 45 Risoluzione n. 44/39 del 4 dicembre del 1989.
CAPITOLO PRIMO
26
intergovernativo ad hoc affinché si potesse addivenire ad un testo
largamente condiviso da sottoporre, in prospettiva, ad una conferenza
internazionale.
Mentre l’intelligenza dei giuristi e la diplomazia delle cancellerie si
cimentavano nell’impresa di progettare norme penali e meccanismi
giurisdizionali capaci di fungere da deterrente alle più violente
manifestazioni della volontà umana, la storia, col suo irruente e
drammatico corso, precipitò gli eventi, dettando una nuova gerarchia di
priorità per la comunità internazionale. La necessità di non lasciare
impuniti i gravi crimini commessi da individui nelle guerre civili della ex
Jugoslavia e del Ruanda -motivata dal timore che le rispettive
popolazioni, in assenza di giustizia, tornassero ad avvitarsi in una faida
etnica di proporzioni regionali- condusse il CS dell’ONU a decidere
l’istituzione, nel 1993 e nel 1994, di due Tribunali Penali Internazionali
ad hoc (TPIh). Ad essi fu dato mandato di perseguire gli individui46
,
indipendentemente dalla loro nazionalità47
, responsabili di crimini di
guerra, genocidio e crimini contro l’umanità48
commessi nei territori
della ex Jugoslavia e del Ruanda49
in periodi di tempo ben definiti50
.
46 Ciò esclude i crimini commessi da Stati e da persone giuridiche ed associazioni; questi
ultimi erano invece perseguibili in base agli artt. 9 e 10 dello Statuto di Norimberga e
all’art. 5 dello Statuto di Tokyo: la qualificazione di una associazione come criminale
avrebbe comportato l’automatica colpevolezza dei suoi componenti. 47 I due TPIh considerano per Statuto irrilevante la nazionalità dell’autore del crimine,
facendo propria una competenza ratione personae teoricamente illimitata ma di fatto
circoscritta agli individui delle sole entità in guerra; sono esclusi, stando alla prassi finora
sviluppata, gli individui facenti capo a Stati terzi ed ad organizzazioni internazionali
intervenuti in teatro. 48 Si tratta, a ben vedere, di una competenza più ristretta rispetto a quella dei TMI, i quali
avevano giudicato anche sui crimini contro la pace. Una tale limitazione fu
probabilmente dovuta, almeno per il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia
(TPIJ), all’esigenza politica di evitare che un organo giurisdizionale si pronunciasse sulle
cause e sulle responsabilità del conflitto interferendo con i lavori della Conferenza di
pace che avrebbe portato agli accordi di Dayton del dicembre del 1995. L’ipotizzata
esigenza sarebbe rivelatrice dell’esistenza di un trade-off tra giustizia e sicurezza
internazionali. Va, inoltre, precisato che, secondo l’art. 5 dello Statuto del TPIJ, i crimini
contro l’umanità risultano perseguibili solo se in connessione temporale con le vicende
belliche. L’analogia con le Carte di Norimberga e Tokyo è solo apparente: il diritto
internazionale generale ha oramai acquisito il principio secondo cui i crimini contro
l’umanità sono punibili a prescindere dalla sussistenza di un conflitto (internazionale o
interno); pertanto, l’incompetenza del TPIJ rispetto a casi non sottesi da vicende
conflittuali sarebbe da ricondurre al fatto che l’istituzione dello stesso è avvenuta in base
ai poteri in tema di ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. G.
CARELLA, “Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia” in P. PICONE (a
cura di), Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, 1995, pag. 501 e ss. Lo
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
27
Concorrenza e primato (primacy) furono posti come principi
regolatori del rapporto tra l’allora nascente giurisdizione internazionale e
le pre-esistenti giurisdizioni nazionali. Avendo i tribunali interni agli
Stati giurisdizione rispetto ai crimini perseguiti dai due TPIh, si optò per
il principio della giurisdizione concorrente; tuttavia, ai TPIh fu data
priorità sui tribunali nazionali, potendo i primi, in ogni fase del
procedimento, richiedere formalmente che il caso trattato da un giudice
di uno Stato fosse deferito alla propria competenza in conformità a certe
norme procedurali. Inoltre, obblighi di cooperazione ed assistenza
giudiziaria nelle indagini e nel perseguimento dei criminali furono posti
in capo agli Stati membri dell’ONU.
Quello che all’opinione pubblica mondiale apparve prima facie un
importante progresso per la giustizia internazionale penale51
, non mancò,
tuttavia, di sollevare dubbi e rivelare limiti.
Anzitutto, l’individuazione della base legale dei Tribunali ad hoc ha
acceso un vivace dibattito, che, lungi dal rappresentare un certamen
accademico-dottrinale, ha ribadito la centralità e la delicatezza del tema
della legittimità giuridica delle giurisdizionali internazionali penali.
Statuto del Tribunale per il Ruanda non prevede la necessità di una connessione tra
crimini contro l’umanità e conflitto armato. 49 Va puntualizzato che la competenza ratione loci dei Tribunali di Norimberga e Tokyo
non era stata soggetta ad alcuna limitazione, dato il carattere mondiale della guerra del
1939-1945. Va, inoltre, precisato che la competenza ratione loci del Tribunale per il
Ruanda è estesa anche a violazioni commesse -da cittadini ruandesi- nel territorio di Stati
limitrofi allo stesso Ruanda. 50 Il TPIJ (con sede a l’Aja) è competente per i crimini commessi a partire dal 1° gennaio
del 1991; il TPIR (con sede ad Arusha, in Tanzania) è, invece, competente per i crimini
commessi dal 1° gennaio del 1994 al 31 dicembre del 1994. Diversamente dai Tribunali
di Norimberga e Tokyo (istituiti alla fine della seconda guerra mondiale dopo la
definitiva sconfitta delle Potenze dell’Asse) e persino dal Tribunale “gemello” per il
Ruanda (istituito quando la guerra civile tra le etnie Tutsi ed Hutu era abbondantemente
terminata), il TPIJ fu istituito quando il conflitto ancora infuriava nella ex Jugoslavia.
Ciò spiega l’assenza di un dies ad quem della competenza ratione temporis del TPIJ. 51 E’ innegabile lo straordinario progresso conseguito dal diritto internazionale
umanitario grazie all’attività ermeneutica dei due TPIh. Sul piano sostanziale, tra i
diversi precedenti stabiliti per via giurisprudenziale sono degni di menzione:
l’introduzione di un metodo -c.d. “overall control test”- per la verifica dell’esistenza di
un conflitto armato internazionale che, superando il più esigente “effective control test”
della CIG, ha esteso l’ambito di applicazione delle gravi violazioni delle Convenzioni di
Ginevra del 1949; la considerazione dell’etnia come fattore sostanziale determinante, nei
moderni conflitti interni, l’appartenenza nazionale ai sensi e per gli effetti delle citate
Convenzioni di Ginevra; l’enucleazione di cruciali elementi definitori del crimine di
genocidio; la qualificazione delle fattispecie di “riduzione in schiavitù” e “persecuzione”
come crimini contro l’umanità; l’ampliamento la dottrina della “command
responsibility”.
CAPITOLO PRIMO
28
All’atto di istituirli con apposite risoluzioni52
, cui erano allegati i
rispettivi Statuti, il CS aveva individuato nel Capitolo VII della Carta
dell’ONU la fonte normativa legittimante la creazione dei due
Tribunali53
. Con evidenza, il Capitolo VII della Carta -fino a quel
momento utilizzato per vincolare gli Stati in azioni collettive implicanti
o meno l’uso della forza- era stato interpretato in senso estensivo ed
innovativo, facendo discendere dai poteri del CS in materia di
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale anche la facoltà
di costituire organi giurisdizionali tesi a perseguire gravi crimini
internazionali54
. Più esplicitamente -come in seguito precisato dal TPIJ
in occasione della decisione del 2 ottobre del 1995 della Camera
d’Appello sul caso Dusko Tadic- la punizione dei colpevoli dei crimini
più gravi e la lotta all’impunità sono stati considerati dal CS passi
obbligati per il ristabilimento della pace55
. La scelta del CS è stata ed è
52 Il TPIJ fu istituito con la risoluzione n. 827 del 25 maggio del 1993; quello per il
Ruanda con la risoluzione n. 955 dell’8 novembre del 1994. Essendo gli Statuti
necessariamente scarni in tema di regole processuali, per poter effettivamente operare, i
Tribunali hanno dovuto elaborare dettagliati regolamenti interni sulle regole di procedura
e di prova. Ciò facendo, essi hanno rilanciato il processo -già avviato dai TMI- di
creazione e codificazione di una procedura penale internazionale, un processo non meno
importante di quello avente ad oggetto il diritto internazionale penale materiale. La
procedura dei TPIh ha fatto propri sia elementi del modello inquisitorio, tipico degli
ordinamenti continentali di civil law, sia elementi del modello accusatorio, proprio degli
ordinamenti di common law. 53 Le ragioni per cui i due TPIh non furono istituiti attraverso appositi trattati
internazionali, piuttosto che con atti c.d. “derivati”, sono ricostruibili guardando al caso
jugoslavo. Con la risoluzione n. 808 del 22 febbraio del 1993, il CS aveva richiesto al SG
di preparare una bozza di Statuto per il TPIJ, lasciando a lui la valutazione delle opzioni
disponibili per l’istituzione dello stesso. Il SG sconsigliò la via del trattato internazionale:
tempi relativamente lunghi sarebbero stati necessari per negoziarne il testo nonché per
raggiungere il numero di ratifiche necessario per l’entrata in vigore; inoltre, non vi erano
garanzie circa il fatto che tutti gli Stati sorti dallo smembramento della Repubblica
Socialista Federale di Jugoslavia (RSFJ) lo avrebbero ratificato; infine, non era chiaro
quali fra questi Stati avrebbero dovuto essere parti del trattato, affinché questo fosse
veramente efficace. Per queste ragioni -mutatis mutandis valide per il Ruanda- il SG
suggerì che il Tribunale fosse istituito con una decisione del CS sub capitolo VII della
Carta dell’ONU. Si veda Report of the Secretary-General, pursuant to paragraph 2 of
Security Council Resolution 808 (1993), 3 May 1993, par. 18-30. 54 Il SG dell’ONU aveva addirittura suggerito, nel rapporto citato alla nota precedente, di
porre alla base della decisione del CS, oltre al Capitolo VII, anche l’art. 29 della Carta, il
quale autorizza il CS medesimo ad istituire organi sussidiari necessari per l’esercizio
delle sue funzioni. Tuttavia, in base alla Carta, non è espressamente previsto che il CS
possa esercitare funzioni giurisdizionali per il mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale. G. CARELLA, op. cit., pag. 475 e ss. 55 La citata decisione ha, inoltre, precisato che all’interno del Capitolo VII la base
giuridica per l’istituzione del Tribunale sarebbe da individuarsi nell’articolo 41,
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
29
tuttora oggetto di contestazioni da parte di chi, in dottrina, ritiene che
tale organo non abbia, in base alla lettera del Capitolo VII, il potere di
istituire tribunali. Il CS si sarebbe, in un certo senso, arrogato un potere
legislativo che l’atto costitutivo dell’ONU non gli conferisce. D’altra
parte, si è anche sostenuto che una lettura sistematica del Capitolo VII,
in cui vengano considerate anche la prassi e le norme esterne alla Carta,
sarebbe suscettibile di fondare con certezza la legittimità dei due TPIh.
L’iter argomentativo seguito è sintetizzabile nei seguenti passaggi: la
Carta affida la responsabilità principale per il mantenimento della pace al
CS (art. 24 par. 1) che, per assolverla, agisce, secondo l’articolo 51, “in
tutti i momenti nella maniera che giudica necessaria” ma pur sempre in
modo “conforme ai principi dell’ONU” (art. 24), tra i quali sicuramente
rientrano quelli di giustizia. Secondo questa interpretazione il CS,
istituendo i due Tribunali, non avrebbe violato i principi della Carta in
senso stretto; piuttosto, impegnandosi a far rispettare il diritto umanitario
di fronte a violazioni gravi, qualificate come minacce alla pace, esso
avrebbe agito in modo pienamente legittimo alla luce degli odierni
principi di diritto internazionale incorporati nella Carta. Altre
interpretazioni hanno individuato al di fuori dell’articolato della Carta il
fondamento per l’istituzione dei Tribunali. Si è autorevolmente
sostenuto56
che i TPIh, più che misure per il ristabilimento della pace,
costituirebbero una “sanzione” irrorata dall’ONU per conto degli Stati
operanti ai sensi del diritto internazionale generale in reazione ad illeciti
erga omnes57
. Nulla impedisce, infine, di considerare la creazione dei
TPIh come un’ulteriore estrinsecazione del principio di giurisdizione
universale, applicato non più da parte dei soli Stati ma anche da parte di
un altro soggetto internazionale, quale l’ONU.
A quello della base giuridica vanno aggiunti altri limiti, che
condizionano pesantemente il giudizio complessivo sui TPIh.
riguardante “le misure non implicanti l’uso della forza armata”, il cui elenco potrebbe
quindi essere considerato non esaustivo. In dottrina, il nesso tra giustizia e pace era già
stato sottolineato all’epoca dei TMI; nel 1944, Hans Kelsen aveva pubblicato “Peace
through law” (Ed. It.: La pace attraverso il diritto, a cura di L. Ciaurro, Torino, 1990),
saggio che può oggi essere considerato come l’incunabula della strategia istituzionale per
il raggiungimento della pace incentrata sulla centralità della funzione giudiziaria. 56 P. PICONE, “Sul fondamento giuridico del Tribunale penale per la ex Jugoslavia”, in
Comunità Internazionale, I, 1996, pagg. 3-24. 57 Il governo stesso del Ruanda, richiedendo l’attivazione del Tribunale, sostenne che il
genocidio ivi perpetrato era identificabile con la dizione di “crimini contro il genere
umano” e che, quindi, gli autori di questi crimini avrebbero dovuto essere puniti
dall’intera comunità internazionale.
CAPITOLO PRIMO
30
Sebbene la loro competenza ratione materiae sia stata
prudentemente circoscritta a fatti la cui natura di crimini internazionali
risultava sufficientemente certa già prima della creazione delle rispettive
giurisdizioni58
, i TPIh afferiscono pur sempre al paradigma di una
giustizia internazionale penale a posteriori e straordinaria. Infatti, in
punto di principio, affinché un soggetto possa essere considerato
penalmente responsabile non è sufficiente l’esistenza di una norma atta a
sanzionare un certo comportamento, ma è anche necessaria la pre-
costituzione di un giudice incaricato di applicarla59
.
Un altro limite di non secondaria importanza riguarda la materiale
disponibilità dei presunti criminali. I TPIh necessitano della
collaborazione degli Stati per poter effettivamente funzionare. A
differenza dei TMI, che disponevano dei maggiori sospettati -in quanto
prigionieri di guerra- nel caso jugoslavo, ed in misura meno estesa in
quello ruandese, alcuni degli ipotetici criminali non solo non sono stati
sconfitti ma godono dalla connivenza e protezione di entità militari e
para-militari60
.
V’è, poi, da considerare la questione finanziaria. Sostenuto per lo
più da contributi obbligatori e volontari degli Stati membri dell’ONU, il
bilancio di ciascuno dei due Tribunali ha assorbito, e continua ad
assorbire, cospicue risorse61
, tanto che lo stesso organo genitore, il CS,
ha fissato, con le risoluzioni n. 1503/2003 e 1534/2004, una strategia per
58 Con ciò appare superata quantomeno l’impronta punitiva del Tribunale di Norimberga,
la quale ha comportato critiche riguardo alla violazione del principio di legalità. 59 Nel caso dei due TPIh, il principio di legalità sarebbe stato violato anche sotto il già
ricordato profilo della riserva di legge: essi non sono stati creati attraverso trattato
internazionale bensì unilateralmente dal CS. 60 Si pensi ai criminali serbo-bosniaci Radovan Karadzic e Ratko Mladic, principali
sospettati, rispettivamente, per gli eccidi di Vukovar del 1991 e di Srebrenica del luglio
del 1995. Essi ancora oggi sfuggono alla giustizia del TPIJ, beneficiando della
connivenza delle autorità della Repubblica Srpska e della Serbia. 61 Lo stesso SG dell’ONU, in un rapporto dell’agosto del 2004, non ha potuto esimersi
dal rimarcare che: “The two ad hoc tribunals have grown into large institutions, with
more than 2,000 posts between them and a combined annual budget exceeding a quarter
of a billion dollars -equivalent to more than 15% of the Organization’s total regular
budget [in valore assoluto, circa 100 milioni di $ all’anno ciascuno dei due Tribunali].
Although trying complex legal cases of this nature would be expensive for any legal
system and the tribunals’ impact and performance cannot be measured in financial
numbers alone, the stark differential between cost and number of cases processed does
raise important questions”. Si veda The rule of law and transitional justice in conflict and
post-conflict societies, August 23, 2004, par. 42.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
31
il completamento (completion strategy) del loro mandato62
. Tale strategia
contempla tre scadenze: la chiusura di tutte le indagini entro il 2004, di
tutti i processi di primo grado entro il 2008, di tutti gli appelli entro il
201063
.
Ma il limite più grave riguarda la parzialità con la quale la comunità
internazionale, di cui il CS è esponenziale, ha applicato il principio “non
c’è pace senza giustizia” moralmente e giuridicamente posto dal CS a
fondamento dell’istituzione dei due TPIh. Sulla base di quest’ultimo,
ogni qual volta si presentasse una situazione di conflitto accompagnato
dalla commissione di crimini internazionali, l’ONU dovrebbe istituire un
TPIh. Tuttavia, la limitatezza dell’area geografica rispetto alla quale il
CS ha discrezionalmente ravvisato la necessità di istituire i Tribunali a
fronte delle numerose altre aree del mondo in cui si sono manifestate
gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, solleva il problema
di una “giustizia selettiva” che risponderebbe, secondo gran parte della
dottrina, a esigenze più politiche che legali e che indebolisce il
messaggio di giustizia e di eguaglianza di cui ogni corte dovrebbe essere
portatrice.
I.3 La Corte Penale Internazionale: verso una giustizia universale?
I limiti palesati dai Tribunali ad hoc hanno agito da catalizzatore sul
tema di una corte internazionale penale precostituita e permanente,
coagulando il necessario consenso politico per la ripresa e
l’accelerazione dell'iter della sua creazione. Nel 1995, l'AG, sulla scorta
del rapporto del Comitato ad hoc, istituì un Comitato Preparatorio di tipo
intergovernativo per approfondire il progetto di Statuto ed elaborare un
testo consolidato64
. Nel 1996, l’approvazione del progetto di “Codice
62 Il carattere permanente dei TPIh era in patente contrasto con la Carta dell’ONU che
prevede il carattere temporaneo delle misure ex art. 41. G. CARELLA, op. cit., pag. 477
e ss. 63 Connessa a questa decisione è stata l’attuazione di una riforma strutturale di ampio
respiro all’interno dei due Tribunali, finalizzata a renderli più efficaci ed efficienti. Tra le
misure adottate si segnalano: la nomina di giudici ad litem per accrescere la capacità di
tenere udienze, la focalizzazione dell’attività giudiziaria su casi di maggiore gravità ed il
deferimento di quelli meno gravi alle corti locali (rafforzate attraverso iniziative di
capacity-building). Sulla completion strategy si veda D. RAAB, “Evaluating the ICTY
and its Completion Strategy: Efforts to Achieve Accountability for War Crimes and their
Tribunals” in Journal of International Criminal Justice, vol. 3, 2005, pagg. 82-102. Sul
tema del deferimento e sulla relativa procedura si veda infra al par. II.4.3. 64 Risoluzione n. 50/46 dell’11 dicembre del 1995. Con la risoluzione immediatamente
successiva (n. 51/160 del 16 dicembre) l’AG richiamò l’attenzione del Comitato
Preparatorio sul progetto di Codice appena approvato dalla CDI, ritenendolo rilevante per
lo svolgimento dei lavori.
CAPITOLO PRIMO
32
delle Offese alla Pace e alla Sicurezza dell'Umanità”65
da parte della CDI
confermò la progressiva maturazione della volontà politica della
comunità internazionale. Prendendo atto di questi progressi, l'AG
dell’ONU, nel dicembre del 1996, decise che una conferenza diplomatica
di plenipotenziari degli Stati membri dell’ONU avrebbe dovuto tenersi
due anni dopo, per formalizzare e adottare la Convenzione
sull'istituzione di una Corte Penale Internazionale (CPI)66
. La
conferenza, cui parteciparono rappresentanti di 160 Paesi, fu ospitata a
Roma dal 15 giugno al 17 luglio del 1998. Lo Statuto della Corte fu
approvato a conclusione di un lungo e a tratti difficoltoso negoziato, il
cui esito, rimasto incerto fino all'ultimo, presenta luci ed ombre.
Tra le luci va sicuramente annoverato il recepimento di quelli che
possono essere oggi considerati i principi generali del diritto
internazionale penale, di cui i TPIh, per il fatto stesso di essere stati
costituiti dopo la commissione dei crimini, erano formalmente sforniti:
nullum crimen et nulla poena sine praevia lege poenali (e relativi
corollari: tassatività delle fattispecie, irretroattività delle legge penale
tranne che nel caso di favor rei) e pre-costituzione del giudice naturale.
Un altro aspetto positivo è il divieto di apporre riserve allo Statuto, il
quale si configura, pertanto, come un trattato “normativo”, spiegante
effetti in assoluto, cioè per ciascuna parte considerata per se, e non tra le
parti considerate inter se67
.
65 Il titolo del Codice era stato parzialmente modificato nel 1983 su proposta della
Commissione (il sostantivo “offese”, di cui alla versione del 1954, era stato sostituito da
“crimini”, termine la cui connessione semantica alla materia penale risultava più
immediata). Rispetto alla bozza del 1954, quella del 1996 (per la quale si veda in
Yearbook of the International Law Commission, vol. II, Part Two, 1996) esibisce un
articolato più lungo e complesso: la Parte 1 (artt. 1-15) è dedicata alle disposizioni
generali del diritto internazionale penale (ivi incluso, all’art. 9, il principio di
giurisdizione universale formulato accogliendo, tranne che per il crimine di aggressione,
il sistema teorico della punibilità assoluta in personam), la Parte 2 (artt. 16-20) è, invece,
focalizzata sulle fattispecie criminose (aggressione, genocidio, crimini contro l’umanità,
crimini contro l’ONU e il personale associato, crimini di guerra). Il progetto di Codice
adottato in prima lettura nel 1991 includeva tipologie incriminatorie innovative rispetto a
quelle di cui all’art. 2 della bozza del 1954, tra le quali: colonialismo, mercenarismo, uso
di armi atomiche, terrorismo internazionale, narcotraffico, aggressione economica, gravi
ed intenzionali danni all’ambiente umano. L’assenza di tali delitti nella versione
consolidata del 1996 è indice della mancata volontà degli Stati (che tra la prima e la
seconda lettura hanno presentato commenti e osservazioni) di avallare un’estensione
della nozione di “crimine contro la pace e la sicurezza dell’umanità”. 66 Risoluzione n. 51/207 del 17 dicembre del 1996. 67 G.G. FITZMAURICE, “Reservations to multilateral conventions” in International and
Comparative Law Quarterly, vol. 2, January 1953, pag. 15.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
33
Sull’altare dell’integrità dello Statuto si è tuttavia dovuto sacrificare
la più larga adesione allo stesso. L'approvazione non è avvenuta per
consensus, ma a maggioranza, seppure numericamente larghissima.
Costituisce sicuramente un'ombra il fatto che, tra gli Stati contrari, ve ne
siano tre (Cina, India e Stati Uniti) che rappresentano, nel loro insieme,
oltre il 40% della popolazione mondiale. Inoltre due di essi sono membri
permanenti del CS e uno di loro, gli USA, è la prima potenza militare ed
economica del pianeta68
. Proprio la vigorosa opposizione di questo
Stato69
, ennesima manifestazione di un atteggiamento unilaterale70
,
diminuisce la statura della Corte ed inibisce la sua effettiva operatività.
68 Clamoroso è da considerarsi anche il voto contrario di Israele, Paese che in ragione
della sua particolare condizione geopolitica è portato a condurre una politica di ordine
pubblico interno e di difesa continuamente in bilico tra legalità ed illegalità
internazionale. 69 Si precisa che, nonostante il voto contrario espresso in sede di conferenza diplomatica
dall’ambasciatore Scheffer, l’uscente amministrazione democratica aveva deciso, il 31
dicembre del 2000, di firmare lo Statuto di Roma; tuttavia, lo stesso presidente Clinton
non aveva potuto esimersi dall’affermare in quello stesso giorno: “I will not, and do not
recommend that my successor submit the Treaty to the Senate for advice and consent
until our fundamental concerns are satisfied”. Nel maggio del 2002, l’amministrazione
repubblicana Bush aveva poi deciso di non perfezionare la procedura di ratifica, con ciò
accogliendo pienamente le preoccupazioni manifestate dall’ambasciatore Scheffer al
Congresso: “Multinational peacekeeping forces operating in a country that has joined the
treaty can be exposed to the Court’s jurisdiction even if the country of the individual
peacekeeper has not joined the treaty. Thus (…) United States armed forces operating
overseas could be conceivably prosecuted by the international court even if the United
States has not agreed to be bound by the treaty. Not only is this contrary to the
fundamental principles of treaty law [corsivo nostro], it could inhibit the ability of the
United States to use its military to meet alliance obligations and partecipate in
multinational operations, including interventions to save civilian lives”. Le dichiarazioni
sono tratte dal portale internet del Dipartimento di Stato USA. Tuttavia, si è fatto notare
in dottrina (M. SCHARF, cit., pagg. 64, 67 e 98) che nessuna disposizione dello Statuto
della Corte impone a Stati che non sono parti obblighi di facere ovvero di non facere; la
prerogativa della Corte di perseguire un cittadino di uno Stato non Parte, anche in
assenza del suo consenso sullo specifico caso, si fonderebbe sul fatto che la maggior
parte delle fattispecie previste nello Statuto di Roma costituiscono crimini rispetto ai
quali già gli Stati hanno giurisdizione universale allorché il sospettato si trovi sul loro
territorio. 70 La lotta al terrorismo internazionale, dopo l’11 settembre del 2001, ha qualificato la
condotta americana in senso ulteriormente unilaterale, sollevando non pochi profili di
illiceità dal punto di vista del diritto internazionale; una concezione illiberale dello “stato
di necessità” ha consentito la compressione della dignità umana, legittimando pratiche
come: l’istituzione di commissioni militari speciali autorizzate ad operare in deroga ai
diritti fondamentali dei sospettati; la creazione di strutture di detenzione al di fuori del
territorio nazionale (Guantanamo, Abu Ghraib, Bagram), nelle quali sarebbe praticata la
tortura; le azioni di “extraordinary rendition” della CIA sul territorio di altri Paesi -
complici o meno (il caso Abu Omar è esemplare).
CAPITOLO PRIMO
34
La CPI, il cui Statuto è entrato in vigore il 1° luglio del 2002 in seguito
al deposito del sessantesimo strumento di ratifica71
, vede, infatti, il
proprio attuale e futuro ruolo frustrato dalla politica estera statunitense,
la quale ha messo a punto un efficace sistema giuridico-diplomatico per
garantire l’immunità dei propri cittadini da ogni azione penale72
.
Il fatto che la Corte sia finanziata da risorse dell’ONU, oltre che da
contributi degli Stati parti e da contributi volontari, ne rafforza il
carattere normativo ed universale, assicura effettività a lungo termine e
garantisce un grado di indipendenza apprezzabile. L’indipendenza (e
quindi la credibilità) della Corte risulta, tuttavia, pregiudicata almeno su
altri due versanti. Il primo è quello dell’attività ermeneutica: la soluzione
delle controversie tra i contraenti relative all’interpretazione dello Statuto
71 Il quadro giuridico-istituzionale della Corte (inter alia: adozione del regolamento di
procedura e prova, nomina dei magistrati e dei funzionari) è stato definito nel corso del
2003-2004 ed oggi essa è forte della membership di centoquattro Paesi. Tra le diverse
centinaia di casi segnalati, la Corte sta attualmente investigando, attraverso l’Ufficio del
Procuratore, su situazioni riferite, in relazione ai loro rispettivi territori, da tre Stati parti
(Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centro Africana); una quarta
situazione (Darfur-Sudan) è stata sottoposta alla Corte da parte del CS. I primi processi
potrebbero essere celebrati a partire dal 2007. 72 Tale sistema si basa essenzialmente su due strumenti: l’Atto per la Protezione del
Personale Americano in Servizio (APPAS) del 2002 e gli Accordi Bilaterali di Immunità
(ABI). L’APPAS è una legge approvata dal Congresso per proteggere i membri delle
forze armate americane, del Governo e lo stesso Presidente da possibili incriminazioni da
parte delle CPI; la legge vieta inter alia: tutte le forme di cooperazione giudiziaria con la
CPI; la partecipazione a missioni di pace rispetto alle quali il CS dell’ONU non abbia
previamente esentato il personale americano dalla perseguibilità da parte della CPI; la
cooperazione militare con Stati che siano parti dello Statuto della CPI. Proprio da
quest’ultimo divieto originano gli ABI, trattati “estorti” sotto minaccia di sospensione
della collaborazione militare, che farebbero scattare, a vantaggio di entrambe le parti,
l’applicazione del disposto dell’art. 98 par. 2 dello Statuto: “La Corte non può presentare
una richiesta di consegna che costringerebbe lo Stato richiesto ad agire in modo
incompatibile con gli obblighi che incombono in forza di accordi internazionali (…)”.
Una tale interpretazione dell’art. 98, non solo è contraria allo spirito ed allo scopo dello
Statuto ma abusa della vera finalità della norma che è quella di coordinare il trattato
istitutivo della Corte con accordi internazionali sullo status delle forze militari all’estero,
sull’estradizione e sulle immunità dei diplomatici. Legittimo è chiedersi se il sistema
APPAS-ABI debordi il diritto sovrano degli USA di non aderire alla Statuto, dal
momento che esso interferisce con gli obblighi degli Stati parti, frustrando l’effettività
della Corte. Sul punto si vedano: D. ALANKE, “The Jurisdiction of the International
Criminal Court over Nationals of Non-Parties: Legal Basis and Limits” in Journal of
International Criminal Justice, vol. 1, 2003, pagg. 618, 642-646; M. T. JOHNSON, “The
American Servicemember’s Protection Act: Protecting Whom?” in Virginia Journal of
International Law, 2003, pag. 405 e ss; D. SCHEFFER, “Article 98(2) of the Rome
Statute: America's Original Intent” in Journal of International Criminal Justice, vol. 3,
2005, pagg. 333-353.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
35
resta competenza dell’Assemblea degli Stati Parti (ASP). Il secondo è
quello del rapporto con il supremo organo politico della comunità
internazionale: il CS dell’ONU. A questo sono state riservate importanti
prerogative. In primo luogo, una situazione può essere portata
all’attenzione della CPI, oltre che per iniziativa autonoma del suo stesso
Procuratore (c.d. “attivazione motu propriu”) ovvero per iniziativa di
uno Stato parte, anche dal CS. In secondo luogo, il CS dispone del potere
di sospendere sia pure per il periodo di un anno (prorogabile), l'attività
investigativa e giudiziaria della CPI73
. In entrambi i casi è richiesto il
voto unanime dei membri del CS. Va rimarcato, inoltre, che i membri
permanenti del CS che non hanno sottoscritto lo Statuto di Roma (USA e
Cina), in quanto titolari del diritto di veto, godranno, in ogni caso,
dell’immunità dalla giurisdizione della CPI per crimini commessi sul
loro territorio o da loro cittadini.
Un importante risultato raggiunto è, invece, la complementarietà
della giurisdizione della CPI rispetto alle corti nazionali. In tal modo, si è
evitato che la Corte diventasse un giudice esclusivo dei crimini
internazionali: il suo ruolo è stato limitato a quello di ulteriore garante, a
livello sovranazionale, che può attivarsi/essere attivato quando le
giurisdizioni degli Stati parti siano riluttanti a (ovvero incapaci di)
intervenire, e sussista, dunque, il rischio di impunità. Anche su questo
aspetto, tuttavia, su proposta degli USA, è stata inserita una sorta di
“aggravamento” della procedura noto come “sistema della doppia
chiave”, in base al quale la procedibilità da parte della Corte è
condizionata al previo accertamento dell’inesistenza di procedimenti
(conclusi o in corso) presso gli Stati parti. Una tale previsione tutela sì il
principio ne bis in idem ma potrebbe mettere a rischio l'attivazione della
giurisdizione internazionale.
Inoltre, una lunga e complessa elaborazione ha portato al
compromesso secondo cui la giurisdizione della Corte sussiste in forma
automatica soltanto se lo Stato sul cui territorio è stato commesso il
crimine (territorial link), ovvero lo Stato di nazionalità dell'accusato
73 Di tale potere il CS si è avvalso già a pochi giorni dall’entrata in vigore dello Statuto.
La risoluzione n. 1422 del 12 luglio del 2002 ha, infatti, sospeso, per un anno, l’attività
investigativo-giudiziaria della Corte su personale impiegato in operazioni sotto l’egida
dell’ONU. L’efficacia della risoluzione è stata prorogata di un altro anno dalla
risoluzione n. 1487 del 12 giugno del 2003. E’ appena il caso di evidenziare che l’uso di
tale potere sospensivo del CS è stato caldeggiato dagli USA, anche in ragione di quanto
disposto dal già ricordato APPAS del 2002.
CAPITOLO PRIMO
36
(national link), od anche entrambi, siano Stati parti dello Statuto74
. La
qualcosa comporta, specularmente, che la perseguibilità di un crimine da
parte della CPI dipenderà dal consenso dello Stato che non è parte dello
Statuto, nei casi in cui: a) la violazione ipotizzata sia avvenuta nel suo
territorio, b) il sospetto risieda nel suo territorio, c) il sospetto/la vittima
sia suo cittadino. Con evidenza, non è stato riconosciuto il principio della
giurisdizione universale, il quale avrebbe garantito alla CPI l’effettività e
l’indipendenza necessarie per svolgere la funzione giurisdizionale senza
dover passare attraverso il “diaframma” della volontà sovrana di alcuno
Stato. La giurisdizione universale (si legga: giurisdizione su qualsiasi
territorio e nei confronti di cittadini di qualsiasi Stato) della CPI è stata
prevista solo nel caso in cui essa venga adita dal CS, le cui decisioni
scaturiscono da valutazioni per lo più politiche che potrebbero frustrare
l’imparzialità della CPI. Si palesa, rispetto a quest’ultimo punto,
l’esistenza di un trade-off tra l’indipendenza della CPI e l’effettività
della sua azione assicurata dai poteri coercitivi del massimo organo
politico del consesso internazionale.
Benché lo Statuto sancisca la competenza ratione materiae della
CPI sul nucleo dei più gravi crimini di diritto internazionale generale (i
c.d. “core crimes”: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di
guerra), di per sé perseguibili in quanto ormai definitivamente
riconducibili alla categoria di jus cogens75
, sul piano materiale, almeno
tre spinosi problemi rimangono irrisolti.
Il primo riguarda ancora una volta la definizione del crimine di
aggressione. A causa della resistenza opposta da molti Stati (in primo
luogo gli USA) l'aggressione è stata sì inclusa dalla conferenza di Roma
nel novero dei crimini ricadenti sotto la giurisdizione della CPI, ma solo
a condizione che una definizione di tale crimine fosse adottata sette anni
dopo l'entrata in vigore dello Statuto, in occasione dell’introduzione di
eventuali emendamenti da parte di un’apposita conferenza di revisione.
Ne deriva che soltanto allora la CPI potrà esercitare la sua giurisdizione
74 Il fatto di avere previsto, ai fini della giurisdizione automatica, l’alternatività della
sussistenza dei due link, e non la necessità di entrambi, ha allarmato gli USA e la
Francia, preoccupati di vedere processati davanti alla Corte propri militari in missione in
territori stranieri. La parziale sconfitta incassata su tale questione è stata una delle cause
che hanno portato gli USA a non votare a favore dello Statuto. Si veda G. CONSO, “The
Basic Reasons for US Hostility to the ICC in Light of the Negotiating History of the
Rome Statute” in Journal of International Criminal Justice, vol. 3, 2005, pagg. 314-322. 75 La categoria di jus cogens -la cui base giuridica positiva è rintracciabile nell’articolo
53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969- comprende norme
internazionali generali rispetto alle quali non è ammessa alcuna deroga. C. L. ROZAKIS,
The concept of jus cogens in the law of treaties, Amsterdam, 1976.
TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI
37
sui crimini di aggressione, verosimilmente non senza esporre la propria
indipendenza giudiziaria all’interferenza politica del CS, che ex art. 39
della Carta dell’ONU è titolato a “determinare” la sussistenza di
un’aggressione.
Il secondo grande problema inerisce i crimini di guerra commessi in
occasione di conflitti non internazionali. Mediante una clausola di
opting-out, inserita su pressione degli USA e della Francia, ogni Stato
parte potrà escludere, per un periodo di sette anni, la giurisdizione della
CPI per i crimini di guerra commessi sul suo territorio o addebitati a suoi
cittadini. Tale clausola ha eroso un’importante porzione di giurisdizione
della CPI.
Il terzo problema è connesso alla limitazione del novero dei crimini
perseguibili: in seno alla conferenza diplomatica è prevalso un approccio
“tradizionalista” -o, se si preferisce, “non evolutivo”- favorevole alla
codificazione delle sole preesistenti regole materiali di diritto
internazionale consuetudinario. Ne è risultata la mancata inclusione fra i
“core crimes” di altre figurae criminis come il terrorismo internazionale,
il traffico internazionale di droga76
. Sebbene costituiscano condotte
criminali di interesse internazionale, queste sono state qualificate nel
corso dei lavori preparatori come “treaty crimes”, cioè crimini codificati
dal diritto internazionale pattizio ma ancora privi del necessario
consenso per assurgere al rango di norme consuetudinarie77
.
Si ricorda, infine, che la CPI, come i due TPIh, è sprovvista di una
propria forza di polizia; pertanto, essa necessita della cooperazione degli
Stati in molti settori, inclusi la raccolta delle prove, l’arresto e la
consegna dei presunti criminali e l’esecuzione delle sue decisioni.
76 Alcuni “treaty crimes”, pur non essendo stati riconosciuti come figure autonome, sono
comunque stati interiorizzati dallo Statuto sotto categorie sottese da più certo e largo
consenso (e.g. l’apartheid è ricompreso sotto i crimini contro l’umanità, gli attacchi al
personale ONU sotto i crimini di guerra). 77 Lo Statuto di Roma ha comunque previsto la possibilità che la giurisdizione materiale
della CPI sia estesa attraverso un’apposita conferenza di revisione. Gli sviluppi storici e
giuridici successivi al 17 luglio 1998 (si pensi agli attentati di Washington e New York
dell’11 settembre del 2001, di Madrid dell’11 marzo del 2004 e di Londra del 7 luglio del
2005), hanno indubbiamente creato le condizioni perché si consideri con diverso spirito
la possibilità di includere il crimine di terrorismo internazionale nella competenza ratione
materiae della CPI.
Capitolo II
Le corti “ibride” in Kosovo: verso una quarta generazione di
tribunali penali? Sommario: II.1 Il contesto generale di riferimento. - II.1.1 Le coordinate storiche: profili
militari e diplomatici. - II.1.2 Le coordinate istituzionali: la missione UNMIK ed il sistema giudiziario kosovaro. - II.2 Il contesto giuridico di riferimento. - II.2.1 Il fondamento giuridico. - II.2.2 Il diritto applicabile. - II.2.3 La competenza ratione materiae. - II.2.4 La competenza ratione temporis. - II.2.5 La competenza ratione loci. - II.2.6 La competenza ratione personae. - II.3 Il rapporto col sistema giudiziario locale ed i profili organizzativi in prospettiva diacronica. - II.4 Il rapporto con le altre giurisdizioni. - II.4.1 Il rapporto con le autorità KFOR. - II.4.2 Il rapporto con le corti nazionali straniere. II.4.3 Il rapporto con il Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia. - II.4.4 Il rapporto con la Corte Penale Internazionale. - II.4.5 Il rapporto con la Corte Internazionale di Giustizia. - II.4.6 Il rapporto con la Corte Europea dei Diritti Umani. II.4.7 Il rapporto con il Comitato dei Diritti Umani istituito nell’ambito del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. II.4.8 Il rapporto con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Ad oltre mezzo secolo dai processi di Norimberga e Tokyo, mentre
lo Statuto della CPI guadagnava il consenso necessario per entrare in
vigore ed i TPIh proseguivano nell’espletamento del loro mandato, il
panorama delle giurisdizioni internazionali penali si è arricchito,
attraverso un “progetto-pilota” della missione ONU in Kosovo, di una
nuova tipologia istituzionale: le corti penali “ibride”.
L’attributo “ibride” tradisce l’impropria catalogazione di tali corti
nell’ambito delle giurisdizioni internazionali penali: rispetto a queste
ultime non si configura, invero, un rapporto di species ad genus, essendo
logicamente più corretto considerare le corti “ibride” come un novum
genus. Esse possono, in prima approssimazione, essere definite come
organi della giurisdizione penale caratterizzati, sia sotto il profilo
istituzionale che giuridico, da una modulazione di elementi nazionali ed
internazionali: giudici stranieri siedono a fianco di omologhi locali per
giudicare -secondo la legge penale domestica integrata da standard
procedurali e sostanziali internazionali- presunti criminali accusati e
difesi, rispettivamente, da procuratori e avvocati, anch’essi di origine
straniera e locale.
In ogni caso, le corti “ibride” si collocano a pieno titolo nella più
estesa e variegata categoria dei meccanismi, giudiziari e non1, di
1 Tra i meccanismi non giudiziari meritano una nota le c.d. “Commissioni di Verità”, ad
oggi costituite in diversi Paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Si avrà modo
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
39
“giustizia di transizione” (transitional justice), attraverso cui una società,
divisa e sconvolta da eventi drammatici (e.g. guerra internazionale e/o
civile, regime totalitario), si confronta con la pesante eredità di abusi
perpetrati su larga scala contro gli individui e i gruppi che la
compongono2.
II.1 Il contesto generale di riferimento
Prima di tratteggiare il background storico ed istituzionale delle
corti penali “ibride” kosovare, opportuna appare una breve digressione
sull’underground ideale del travagliato contesto balcanico-jugoslavo3.
Le guerre che, dal 1991 al 1999, hanno seminato sul territorio della
ex RSFJ orrori e barbarie che l’Europa si era illusa aver definitivamente
superato attraverso la “catarsi collettiva” di Norimberga, sarebbero state,
in base alla chiave di lettura di Huntington, delle manifestazioni locali di
“guerre di faglia” tra mondo latino-cattolico e mondo cirillico-ortodosso
(sloveni e croati vs serbi) e tra mondo cristiano e mondo islamico (serbi
vs bosniaci musulmani e kosovari albanesi)4. Per quanto seducente,
di tornare sull’argomento allorquando si accennerà alla complementarietà tra corti
“ibride” e commissioni di verità a Timor Est (par. IV.1) e in Sierra Leone (par. IV.2). 2 Rendere giustizia e creare riconciliazione sono i due ideali obiettivi di una così delicata
e difficile impresa. Ciascuno di essi, lungi dal restare un concetto astratto, risulta, a sua
volta, declinabile in un insieme di più concrete ed interrelate finalità. Rendere giustizia
significa, anzitutto, opporsi aprioristicamente alla via dell’impunità per crimini che su
vasta scala offendono la dignità umana, affinché la responsabilità dei criminali possa
essere accertata secondo regole eque, conseguendo un triplice effetto di punizione-
delegittimazione dei colpevoli, deterrenza-prevenzione in ordine a casi analoghi,
soddisfazione-riparazione delle vittime o dei loro familiari. D’altra parte creare
riconciliazione significa: spezzare la spirale della vendetta; sublimare l’odio etnico nel
sentimento della civile contrapposizione politica all’interno di istituzioni condivise e
credibili; stabilire una memoria collettiva, certa e condivisa, sulle atrocità commesse
affinché la storia non possa essere revisionata e strumentalizzata riattizzando risentimenti
di parte, forieri di nuovi abusi. Sul tema si veda il rapporto del SG dell’ONU The rule of
law and transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par. 8, pag. 4;
inoltre: Z. D. KAUFMAN, “The Future of Transitional Justice” in Stair 1, n. 1, 2005,
pagg. 58-81,. 3 Sul tema si vedano: S. BIANCHINI La questione jugoslava, Firenze, 1999; A.
PERICH, Origine e fine della Jugoslavia nel contesto della politica internazionale,
Milano, 1998. 4 Apparso per la prima volta nell’estate del 1993 sulla rivista Foreign Affairs ed accolto
con entusiasmo (e sollievo), il saggio “The Clash of Civilisations?” del politologo di
Harvard Samuel Huntington ha fornito agli internazionalisti un nuovo schema per
l’interpretazione del mondo post-bipolare. La fine della guerra fredda, consumatasi tra il
1989 ed il 1991, avrebbe liberato, secondo l’analista, le relazioni internazionali dal
manicheismo ideologico “comunismo vs capitalismo” e da quello geo-politico “Est vs
Ovest”. Forze profonde, rimaste congelate dal 1945, avrebbero ripreso, in seguito allo
sfaldamento del blocco sovietico, il loro corso, generando “guerre di faglia” tra civiltà.
CAPITOLO SECONDO 40
quello descritto resta comunque uno schema riduzionistico, che coglie
solo in minima parte la complessità dello specifico divenire dei popoli
jugoslavi. La causa prima della fragilità geopolitica della regione
balcanica sud-occidentale non sarebbe da ricercarsi nell’esistenza -pur
indubitabile- di faglie tra civiltà diverse5, bensì in una concezione della
nazione che tali faglie ha dapprima divaricato ed approfondito e poi
violentemente fatto scontrare. Presso le genti della ex RSFJ, l’idea di
nazione mai è riuscita a sottrarsi alla tentazione romantico-herderiana di
una interpretazione “naturale” di se stessa: “[gli] anziani (…) si curvano
sulla carta geografica che indica la nuova divisione della penisola
balcanica. Guardano la carta e tra quelle linee tortuose non scorgono
niente, eppure sanno e comprendono ogni cosa, perché hanno la loro
geografia nel sangue e posseggono una percezione biologica della
configurazione del mondo”6. La nazione è rimasta etnia, cioè comunità
che pretende di essere pre-politica, originaria, in cui i diritti umani sono
riconosciuti e garantiti solo su base etnica, in quanto diritti nazionali, e in
cui sono del tutto legittime l’esclusione, la discriminazione e persino
l’eliminazione dell’altro, dell’etnicamente diverso7. Durante la fase di
socialismo reale, la nazione etnica è stata, ma solo in apparenza,
sublimata in un’altra forma di appartenenza -quale la classe sociale-
anch’essa con pretese di naturalità e non meno dannosa per i diritti
5 Proprio nel territorio della ex Jugoslavia sono passate alcune delle linee divisorie più
importanti della storia del continente europeo. Il fiume Drina funse, a partire dal 395
d.C., da confine tra l’Impero Romano d’Occidente e l’Impero Bizantino. Nel 1054, le
secolari lotte di potere tra la Chiesa Romana e le Chiese Bizantine, culminarono nello
scisma tra Cattolicesimo e Ortodossia, che trovò ancora una volta nella Drina la sua linea
di demarcazione. Nel fossato scavato tra Cattolicesimo ed Ortodossia si inserì l’Islam,
portato dall’invasione turca, iniziata intorno alla metà del XIV secolo. Dal 1945 al 1989-
91, la “cortina di ferro” tra Est comunista e Ovest capitalista passò per la ex RSFJ, la
quale, sotto Tito (1945-1980), seppe interpretare la sua posizione “di frontiera” con una
politica di equidistanza dai due blocchi, nota come “non allineamento”. Si vedano: G.
PREVELAKIS, I Balcani, Bologna, 1997; G. SERRA, I tragitti storico-politici della ex
Jugoslavia: la dialettica tra l’uno ed il molteplice. Tentazioni identitarie e tentativi di
ricomposizione, Paper elaborato al termine della Summer School nella ex Jugoslavia
(Bosnia-Erzegovina e Serbia) organizzata nel luglio del 2002 dall’Associazione Europea
di Studi Internazionali (AESI) in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e la
Missione NATO SFOR, disponibile on line sul portale <http://www.tesionline.it>. 6 Così il premio Nobel per la letteratura (1961) Ivo Andric (1892-1975) ne Il ponte sulla
Drina, 1945. 7 Durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, persino le popolazioni
italiane della regione istriano-dalmata sono state letteralmente “inghiottite”, in quanto
vittime, nella voragine carsica dell’idea balcanica di nazione.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
41
umani8. Lo Stato-nazione inclusivo introdotto dalla rivoluzione francese,
inteso come comunità politica volontaria, che raccoglie uomini e gruppi
diversi attorno al principio di cittadinanza, attorno all’universalismo dei
diritti, per cui prima si dà l’uomo, poi lo si declina come “cittadino” e
solo, da ultimo, si aggiungono, ma senza finalità discriminatorie,
apposizioni etniche (“serbi”, “albanesi”…): ecco la vera lacuna della
storia balcanico-jugoslava9.
II.1.1 Le coordinate storiche: profili militari e diplomatici
Il Kosovo non è rimasto immune dai condizionamenti geo-politici e
geo-culturali delle numerose faglie generate dalla storia balcanica10
, delle
8 Dire che Tito tentò di sublimare le irrisolte questioni nazionali nella questione sociale è
inesatto. Liberando la Jugoslavia dalle forze dell’Asse, Tito aveva certamente compreso
quanto cruciale fosse il problema della convivenza fra popoli diversi entro lo stesso Stato
e ciò lo aveva portato a superare l’illusione sovietica di poter disinnescare antichi
risentimenti interetnici e cancellare profonde differenze culturali attraverso l’astratto e
spaesante comunismo che contrapponeva gli uomini solo lungo la linea dei rapporti di
produzione. L’assetto costituzionale da lui conferito alla Jugoslavia nel 1946 lo dimostra:
non erano sovrane le sei Repubbliche Socialiste ma le sei nazioni (serba, montenegrina,
croata, slovena, macedone e musulmana), la cui distribuzione geografica attraversava i
confini amministrativi delle stesse Repubbliche (fatta eccezione per l’omogenea
Slovenia). In base alla “finzione” creata da Tito, un serbo (o un croato) che viveva a
Sarajevo non si sarebbe dovuto considerare come parte di una delle “minoranze” della
Bosnia-Erzegovina ma titolare, al pari di un serbo di Belgrado (o di un croato di
Zagabria), di una quota infinitesima della sovranità nazionale serba (o croata). Gli unici
due gruppi etnici cui la Costituzione riservava un trattamento “in quanto minoranza”
erano gli albanesi del Kosovo e gli ungheresi della Vojvodina, province, queste, per le
quali fu pensato uno statuto di autonomia in seno alla Repubblica di Serbia. 9 Sul tema si veda B. DE GIOVANNI, L’ambigua potenza dell’Europa, Napoli, 2002. 10 Già nel VI secolo d.C., gli Illiri, presunti antenati degli attuali kosovari albanesi,
subirono l’invasione di tribù slave e ripararono più a sud, nell’attuale Albania. Tra il
1180 ed il 1200, i serbi, approfittando dei disordini interni all’Impero Bizantino,
conquistarono il Kosovo e ne fecero per due secoli il centro culturale, religioso ed
amministrativo del loro Stato. Pec, nel Kosovo centro-occidentale, fu scelta per insediare
la sede del Patriarcato della Chiesa Ortodossa Serba (1346); l’epiteto “Metohia”
(letteralmente “dono”, ovverosia terra donata alla Chiesa ed amministrata dai monasteri),
che nei documenti ufficiali accompagna il nome Kosovo, connota ancor oggi la sacralità
della regione per il sentimento nazionale serbo. Nel 1389, in seguito all’epico scontro
della Piana dei merli (Kosovo Polje; in serbo “kos” significa, appunto, merlo), i Turchi
Ottomani riuscirono a sottrarre il Kosovo ai serbi e vi stabilirono il proprio dominio per
quattro secoli. Quella “Roncisvalle balcanica” rappresentò il mito fondante della nazione
serba, confermando l’importanza simbolico-mistica del Kosovo per il popolo serbo. Nel
1878, quasi simultaneamente al Congresso di Berlino col quale il “concerto europeo”
riconobbe il definitivo affrancamento del Regno di Serbia dall’Impero Ottomano, a
Prizren, nel Kosovo meridionale, in risposta alla decisione del Congresso di cedere a
Grecia e Montenegro terre popolate da albanesi, si costituì, il primo movimento
nazionalista albanese (c.d. “Lega di Prizren”). Nel 1912, mentre l’Albania, grazie al
CAPITOLO SECONDO 42
quali la crisi del 1998-99 ha rappresentato l’ennesima drammatica
manifestazione.
Le radici recenti della crisi rimontano al dicembre del 1989, quando
il neo-eletto Presidente serbo Slobodan Milosevic, sull’onda emotiva del
600mo
anniversario della battaglia di Kosovo Polje11
, revocò lo status di
ampia autonomia concesso da Tito al Kosovo (ed alla Vojvodina) nel
197412
ed emanò una serie di provvedimenti fortemente discriminatori
nei confronti della maggioranza albanese13
. Quest’ultima, grazie ai
finanziamenti della c.d. “diaspora kosovara”14
, riuscì a costituire un vero
e proprio “Stato ombra”, sostenuto da un governo in esilio a Stoccarda.
Le secessioni slovena, croata, bosniaca e macedone fecero passare in
subordine la questione kosovara, la quale però non tardò a riemergere in
tutta la sua tragicità con le contraddizioni dell’accordo di Dayton del
dicembre del 1995. Esso, premiando, di fatto, le fazioni responsabili del
conflitto attraverso la costituzione di uno Stato solcato da nette linee di
divisione etnica15
, produsse profonde ripercussioni in Kosovo, dove la
sostegno austro-ungarico, conquistava l’indipendenza, la Serbia, in esito alla prima
guerra balcanica, si riappropriò del suo storico focolaio nazionale ed avviò una politica
discriminatoria contro il maggioritario elemento albanese, i cui capi, nel 1921, invano
presentarono una petizione alla Società delle Nazioni per chiedere l’annessione
all’Albania in ossequio al principio di auto-determinazione dei popoli. Nel 1941, la
Serbia divenne protettorato tedesco ed il Kosovo fu, con l’entusiasmo della sua
componente albanese, ceduto all’Italia per essere amministrato come parte integrante
dell’Albania, già conquistata nel 1939. Nel 1943, il Kosovo tornò sotto la sovranità di
Belgrado e la sua storia confluì nell’alveo della Jugoslavia titina. Si vedano: N.
MALCOM, Storia del Kosovo. Dalle origini ai giorni nostri, Milano, 1999; M.
VICKERS, Between Serb and Albanian: a History of Kosovo, New York, 1998. 11 Il 28 giugno del 1989, Milosevic arringò una folla di 300.000 belgradesi e le sue
parole, lette col senno di poi, suonano come profetiche della tragedia che si sarebbe
consumata nel volgere di un decennio: “Ogni nazione ha un sentimento che eternamente
riscalda il suo cuore. Per la Serbia, esso è il Kosovo” (traduzione nostra da Prosecutor v.
Milosevic et alii, Prosecutor’s Pre-Trial Brief, ICTY caso n. IT-99-37-PT, n. 14) 12 Attraverso imponenti manifestazioni, i kosovari albanesi avevano chiesto, nel 1968, il
distacco dalla Serbia ed il riconoscimento dello status di Repubblica nell’ambito della
RSFJ. Date le tensioni tra Belgrado e Mosca, e soprattutto data l’alleanza tra Tirana e
Mosca, Tito comprese appieno il potenziale destabilizzante delle richieste kosovare. Egli,
temendo che il Kosovo, una volta elevato al rango di Repubblica, potesse rivendicare la
secessione dalla federazione e l’annessione all’Albania, si limitò, sei anni dopo i moti del
‘68, a concedere, attraverso una revisione costituzionale, un’effettiva autonomia a livello
amministrativo e culturale. 13 Stimata intorno al 90% della popolazione. 14 I kosovari residenti all’estero erano, all’epoca, stimati in oltre mezzo milione. 15 All’interno dei vecchi confini titini, la Bosnia-Erzegovina assunse un ambiguo assetto
doppiamente federale; sorsero, infatti, due entità: una repubblica serba (Repubblica
Srpska) ed una federazione croato-musulmana (Bosnia-Erzegovina), ciascuna con
fortissime autonomie e una vera e propria costituzione, nonché la possibilità di stabilire
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
43
politica della “opposizione silenziosa” promossa dall’intellettuale
Ibrahim Rugova finì per essere surclassata dalla violenza. Dopo Dayton,
divenne, infatti, forte presso talune frange estremiste kosovaro-albanesi
il convincimento che solo una guerra contro i serbi avrebbe potuto
preparare il tavolo diplomatico su cui trattare la ridefinizione del
controverso rapporto Pristina-Belgrado. In questo clima, sotto la guida di
Hashim Thaci, un sedicente Esercito di Liberazione del Kosovo, noto
come UCK, iniziò, intorno alla metà del 1996, la sua azione terroristica
ai danni dell’establishment e della minoranza serba in Kosovo,
rivendicando il distacco della provincia da Belgrado e la creazione di una
“Grande Albania”. Ad attacchi episodici condotti dall’UCK contro
obiettivi serbi, Belgrado non esitò a rispondere con rappresaglie su larga
scala ai danni dell’intera popolazione albanese del Kosovo. Dal febbraio
del 1998, gli scontri tra la milizia irregolare albanese e le forze di polizia
serbe -o meglio, della Repubblica Federale di Jugoslavia16
(RFJ)-
subirono un’intensificazione tale da destituire di fondamento la
conveniente lectio facilior serba connotante la crisi come questione di
domestic jurisdiction. Infatti, il 31 marzo il CS dell’ONU per la prima
volta intervenne sul conflitto in Kosovo, definendolo una “minaccia alla
pace e alla sicurezza regionale” e deplorando tanto l’uso eccessivo della
forza contro civili e dimostranti pacifici da parte della polizia serba
quanto gli attacchi dell’UCK. La successiva risoluzione n. 1199 del 23
settembre del 1998 dispose il dispiegamento di osservatori
dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
(OSCE) e la sorveglianza aerea dell’Organizzazione del Trattato del
Nord Atlantico (NATO), missioni che tuttavia non riuscirono ad
impedire, tra l’autunno e l’inverno del 1998-99, l’escalation delle ostilità
tra le parti. Numerosi kosovari, sia di etnia albanese che di etnia serba,
furono uccisi o feriti, mentre le forze regolari inviate da Belgrado erano
impegnate in una campagna di pulizia etnica, eseguita attraverso il
bombardamento di paesi e villaggi a maggioranza albanese, l’estesa
distruzione delle infrastrutture private e l’espulsione di civili dalle aree
in cui era attivo l’UCK17
. I negoziati tra i contendenti, svoltisi, sotto
rapporti privilegiati, rispettivamente, con i governi di Belgrado e Zagabria (c.d. “etno-
federalismo”). Nel 2000, alle due entità è stato aggiunto il Distretto di Brcko abitato da
serbi (40%), bosgnacchi (quasi 40%) e croati (20%). 16 Dopo le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia (25 giugno del 1991), di
Macedonia (5 settembre del 1991) e di Bosnia-Erzegovina (6 marzo del 1992), il 27
aprile del 1992, le Repubbliche di Serbia e Montenegro avevano congiuntamente
dichiarato di continuare, col nome di RFJ, la personalità giuridica internazionale della ex
RSFJ. 17 Office of the Prosecutor (ICTY), Press Release, 10 March 1998, CC/PIO/302-E.
CAPITOLO SECONDO 44
mediazione internazionale, a Rambouillet nel febbraio e a Parigi nel
marzo del 1999, non approdarono ad un accordo di pace a causa
dell’intransigenza dei rappresentanti belgradesi sul principio di sovranità
serba sul Kosovo, invero oltraggiato dalla promessa di un referendum
sull’indipendenza della provincia, da tenersi entro tre anni, ventilata dal
mediatore statunitense18
alla delegazione albanese composta sia da
Rugova che da Thaci. Il 24 marzo del 1999, la NATO scatenò, per la
prima volta nella sua storia, un’azione militare offensiva contro uno
Stato sovrano19
, la RFJ, in violazione della Carta dell’ONU, mancando la
preventiva autorizzazione del CS20
. Lungi dall’arrestare immediatamente
gli scontri, la campagna di bombardamenti aerei della NATO -
Operazione Allied Force- li catalizzò: mentre l’UCK tornava
all’offensiva (dopo l’arretramento dell’estate del ‘98), i serbi
18 Ci si riferisce al Segretario di Stato Madeleine Albright. Si veda M. WELLER, “The
Rambouillet conference on Kosovo” in International Affairs, vol. 75, n. 2, 1999, pagg.
211-251. 19 L’operazione Allied Force sancì, a quasi un decennio dalla fine della guerra fredda, la
trasformazione della NATO da alleanza difensiva a comunità di sicurezza. Sulla nuova
dottrina di sicurezza della NATO inaugurata dall’intervento in Kosovo si vedano: C.
JEAN, “Il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica” in Affari Esteri, vol. 31,
n. 3, 1999, pagg. 528-542; E. CANNIZZARO, “La nuova dottrina strategica della Nato e
l’evoluzione della disciplina internazionale sull’uso della forza” in Nato, conflitto in
Kosovo e costituzione italiana, Milano, 2000, pagg. 43-66, pagg. 31-41. 20 La NATO ha motivato il suo intervento militare unilaterale contro la RFJ sulla base di
superiori ragioni umanitarie: porre fine alla pulizia etnica patita dalla popolazione
kosovara albanese ad opera delle forze militari serbo-jugoslave e al suo consequenziale
esodo di massa verso i Paesi confinanti. La potenziale destabilizzazione arrecata ai Paesi
membri della NATO appare come l’unico esplicito movente strategico. Analizzando la
prassi di Stati e organizzazioni internazionali dalla fine del bipolarismo, certa dottrina (si
veda V. GRADO, Guerre Civili e Stati Terzi, Padova, 1998) ha concluso nel senso della
legittimità dell’intervento militare unilaterale a finalità umanitaria di Stati terzi in assenza
del consenso dello Stato territoriale interessato, a condizione che siano rispettate le
seguenti condizioni: 1) sussistenza di una grave (si legga: sistematica e su larga scala)
violazione dei diritti umani; 2) imparzialità dell’intervento (si legga: divieto di destituire
il governo responsabile della violazione e di alterare l’esito finale del conflitto interno a
favore della parte soccombente); 3) temporaneità e proporzionalità dell’azione coercitiva.
Legittima rispetto al primo presupposto, l’operazione Allied Force difficilmente potrebbe
dirsi tale con riferimento agli altri due. Sul tema si vedano, inoltre: A. CASSESE, “Ex
iniuria ius oritur: Are we moving towards International Legitimation of Forcible
Humanitarian Countermeasures in the World Community?” in European Journal of
International Law, 1999, pagg. 23-30; IDEM, “A Follow-Up: Forcible Humanitarian
Countermeasures and Opinio Necessitatis” in ibidem, 1999, pagg. 791-799; P. PICONE,
“La ‘guerra del Kosovo’ e il diritto internazionale generale” in Rivista di diritto
internazionale, 2000, pagg. 309-360; N. RONZITTI, “Raids aerei contro la Repubblica
Federale di Jugoslavia e Carta delle Nazioni Unite” in Rivista di diritto internazionale,
1999, pagg. 476-482.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
45
intensificarono la pulizia etnica. L’intera regione balcanica precipitò nel
caos per via dell’inarrestabile flusso di profughi albanesi verso i
confinanti Stati di Albania, Macedonia e Montenegro. L’8 giugno, dopo
ben 78 giorni di bombardamenti contro obiettivi militari e civili serbi in
Kosovo e nella Serbia propriamente detta, il governo di Belgrado accettò
un accordo per porre fine alle ostilità, ritirare le proprie forze di polizia,
militari e paramilitari dalla provincia ed acconsentire al dispiegamento di
truppe NATO (accordi di Kumanovo)21
. Il giorno successivo la fine dei
bombardamenti, il 9 giugno, con la sola astensione della Cina22
, il CS
approvò la risoluzione n. 1244, riportando nell’alveo della legalità
internazionale l’intervento militare della NATO e dando disposizioni
sull’assetto post-bellico a breve e medio termine del Kosovo. Ribadendo
il principio di integrità territoriale (si legga: divieto di secessione) quale
affermato nell’Atto Finale di Helsinki del 197523
, il CS si limitò ad
21 Si è fatto notare in dottrina (E. MILANO, “Security Council Action in the Balkans:
Reviewing the Legality of Kosovo’s Territorial Status” in European Journal of
International Law, Nov. 2003, pagg. 999-1022) che gli accordi di Kumanovo, firmati
mentre i bombardamenti della NATO contro la ex RSFJ erano ancora in corso, sarebbero
nulli in base all’art. 52 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969.
Esso stabilisce che un trattato è nullo se ottenuto attraverso la minaccia o l’uso della
forza in violazione dei principi del diritto internazionale inclusi nella Carta dell’ONU. Da
una tale interpretazione si potrebbe addirittura desumere l’invalidità del consenso dell’ex
RFJ al dispiegamento della presenza internazionale. 22 Va ricordato che l’apparentemente erronea distruzione dell’Ambasciata cinese a
Belgrado da parte di missili NATO aveva aperto una crisi diplomatica tra Pechino e
Washington. 23 Nessun Paese della NATO ha giustificato la sua partecipazione all’Operazione Allied
Force richiamandosi al principio di autodeterminazione dei popoli; né, in precedenza,
l’allora CEE aveva risposto positivamente alla richiesta di riconoscimento del Kosovo
che, il 19 ottobre del 1991, per voce del suo Parlamento-ombra, si era auto-proclamato
Stato indipendente. La Dichiarazione ONU del 1970 sui principi di diritto internazionale
riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati disegna un rapporto tra
il principio di autodeterminazione dei popoli e quello di integrità territoriale, in base al
quale la comunità internazionale avrebbe potuto avallare una soluzione diversa per la
questione kosovara: il divieto di attentare all’integrità territoriale varrebbe solo nel caso
in cui il governo al potere sia rispettoso dell’autodeterminazione, cioè sia rappresentativo
dell’intera popolazione governata senza operare alcuna distinzione fondata sulla razza,
sul credo religioso e sul colore. Per completezza va detto che, a parte il precedente della
secessione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, la clausola contenuta nella
Dichiarazione non ha trovato concreti riscontri nella prassi internazionale: si è, invero,
continuato a considerare illecito il supporto prestato a movimenti secessionisti, pur in
presenza di patenti violazioni del principio di autodeterminazione dei popoli. Sul punto si
veda V. GRADO, Guerre Civili e Stati Terzi, op. cit., pagg. 174-175. Sul piano politico-
ideologico, la crisi kosovara si lascia, invero, interpretare come lo scontro tra due
“ragioni”: da una parte, la ragione di Stato della Serbia nazional-comunista, decisa a
difendere l’integrità territoriale della ridimensionata RFJ dall’offensiva secessionista
CAPITOLO SECONDO 46
affermare il diritto del popolo kosovaro albanese ad una piena autonomia
all’interno dei confini serbo-jugoslavi. La sovranità di Belgrado sul
Kosovo fu, tuttavia, “sospesa” a favore di una doppia presenza
internazionale. Il nucleo centrale della risoluzione n. 1244 è, infatti,
rappresentato dal dispiegamento, col formale consenso di Belgrado, di
una presenza militare -la Forza NATO KFOR24
- e di una presenza
internazionale civile -la Missione ONU in Kosovo (in seguito
“UNMIK”)25
. L’una fu incaricata di garantire il mantenimento della pace
e di condizioni di sicurezza26
; all’altra fu assegnato non solo il compito
di portare aiuto umanitario ma anche di amministrare ad interim il
Kosovo, favorendone la sostanziale autonomia ed il democratico auto-
governo nel rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, nonché la
ricostruzione delle infrastrutture e dell’economia. La risoluzione chiese,
infine, ad UNMIK di facilitare il processo politico finalizzato a
determinare lo status definitivo del Kosovo27
. La gravità e la complessità
dell’UCK; dall’altra parte, la ragione dello Stato più forte, cioè degli USA, interessati ad
un rinnovato ruolo della NATO alla fine della guerra fredda e ad una rinnovata presenza
nel ed influenza sul Vecchio Continente in una fase in cui il processo di integrazione
europea (dopo i Trattati di Maastricht del ’92 e di Amsterdam del ’97) prefigurava un
affrancamento dell’UE dal ruolo di junior partner di Washington. Sul punto si veda G.
SERRA, “Ragione di Stato e Ragione dello Stato più forte” in Sottovoce (Periodico
universitario di opinione), Napoli, Luglio-Agosto 1999, pag. 6. 24 KFOR fu inizialmente composta di 50.000 uomini (incluso un significativo
contingente russo) e divisa in cinque Brigate multinazionali a comando, rispettivamente,
USA, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. 25 La catena di comando c.d. “a doppia chiave” KFOR-UNMIK vanta due precedenti
nella storia delle missioni: il tandem UNOMIL (ONU) – ECOMOG (ECOWAS) in
Liberia e quello UNMIH (ONU) – IFOR/SFOR (NATO) in Bosnia Erzegovina. 26 In concreto, a KFOR fu chiesto di accompagnare il ritiro delle forze militari serbo-
jugoslave e promuovere la smilitarizzazione dell’UCK, condizioni necessarie affinché i
profughi e gli sfollati potessero far ritorno nei luoghi di origine e la presenza civile
potesse operare. 27 Il mandato conferito ad UNMIK è di ampiezza senza precedenti. Siderale è la distanza
misurabile rispetto al modello classico di peace-keeping operation -una forza militare di
interposizione tra le fazioni in lotta, autorizzata all’uso delle armi solo in legittima difesa-
col quale il CS dell’ONU ha fatto fronte alla mancata applicazione dell’art. 43 e ss. della
Carta (si legga: la creazione di un “esercito” ONU). Significativo è anche lo scarto
rispetto ai più complessi modelli sviluppati dopo la fine della guerra fredda: le peace-
keeping operation di seconda generazione (multidimensional post-conflict peace building
operation), caratterizzate da una sensibile riduzione della componente militare a favore
di quella civile, incaricata di svolgere limitati compiti come la preparazione di elezioni,
l’assistenza ai rifugiati etc; le peace-keeping operation di terza generazione (peace
enforcement operation), autorizzate all’uso di tutti i mezzi necessari per ristabilire la
pace. Invero, UNMIK potrebbe essere definita, insieme alla successiva missione
dell’ONU a Timor Est (UNTAET), come un’evoluzione del modello di peace-keeping
operation di seconda generazione, in quanto investita di un mandato di nation and
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
47
della crisi fu tale che la risoluzione n. 1244 espressamente autorizzò il
SG dell’ONU a strutturare la missione civile avvalendosi dell’assistenza
delle rilevanti organizzazioni internazionali28
. Mentre le milizie serbo-
jugoslave si ritiravano e le due presenze internazionali iniziavano, con
tempi e modi diversi, a dispiegarsi sul campo, i rapporti di forza tra le
fazioni etniche si alterarono drasticamente, trasformando la parte
soccombente -quella albanese- da vittima in vendicatrice delle atrocità
subite. Da questa seconda ondata di pulizia etnica alla rovescia derivò un
esodo, sia pure di dimensioni ridotte, di serbi verso la “madrepatria”.
Gli strascichi lasciati dalla crisi kosovara del 1999, e più in generale
dalle guerre che hanno accompagnato lo smembramento della RFJ,
sembrano confermare la validità dell’assioma di Winston Churchill,
secondo cui Balcani sarebbero capaci di produrre più storia di quanta
non riescano a metabolizzarne. La questione serbo-kosovara, come anche
quella bosniaca29
, che la comunità internazionale, lungi dal risolvere, ha
semplicemente “congelato” con formule politico-istituzionali provvisorie
ed ambigue, fanno da pendant agli Stati di Slovenia30
, Croazia31
e
Macedonia32
, stabilizzati e proiettati, a diversa velocità, verso l’UE33
.
“State” building. Si vedano: B. CONFORTI, Le Nazioni Unite, Padova, 2000, pag. 59 e
ss.; P. PICONE, “Il Peace-Keeping nel mondo attuale: tra militarizzazione e
amministrazione fiduciaria” in Rivista di diritto internazionale, 1996, pag. 5 e ss. 28 Risoluzione n. 1244/99, par. 10. 29 Originando da un più complesso mosaico etnico, il capitolo bosniaco delle guerre
jugoslave fu indubbiamente il più cruento:). Le ostilità fra tre opposte fazioni etniche
(serbi, croati e bosgnacchi musulmani) durarono dal marzo del 1992 alla pace di Dayton
del dicembre del 1995. Questa pose le basi per un’artificiosa e costosa costruzione
statuale “a compartimenti etnici stagni” (si veda alla nota 15 di questo stesso capitolo), la
cui tenuta risulta alquanto dubbia in assenza dei “puntelli” messi dalla comunità
internazionale e, in particolare, dell’UE (avvicendatasi alla NATO nel dicembre del
2004). Si veda International Crisis Group, Ensuring Bosnia’s Future: a new international
engagement strategy, Europe Report n. 180 – 15 February 2007; e, inoltre: D. D’URSO,
“L’insostenibile leggerezza della Bosnia-Erzegovina” in Kosovo: lo Stato delle Mafie,
(Quaderni Speciali di Limes, supplemento al n. 6/2006), pagg. 155-166. 30 In ragione della sua omogeneità etnica, la Slovenia fu risparmiata dalla guerra civile; lo
scontro tra le truppe slovene e l’Armata Federale Jugoslava, accorsa nel tentativo di
bloccare la dissoluzione della RSFJ, durò solo una decina di giorni, tra la fine di giugno e
l’inizio di luglio del 1991. 31 La guerra in Croazia fu più lunga e sanguinosa di quella slovena a causa della forte
presenza serba nelle regioni di Krajina e Slavonia; durò dall’inizio di luglio del 1991 agli
accordi di Dayton del dicembre del 1995. 32 Rimasta immune dalle guerre jugoslave, la Macedonia (oggi Repubblica ex Jugoslava
di Macedonia) fu parzialmente coinvolta nella crisi kosovara del 1999, quando circa
360.000 kosovari albanesi vi si rifugiarono, innescando violente rivendicazioni
separatiste nelle aree nord-orientali macedoni, storicamente a maggioranza albanese
CAPITOLO SECONDO 48
L’inquieta Serbia, da poco diminuita anche del suo fedele “compagno di
storia”- il Montenegro (geo-politicamente cruciale per lo sbocco sul
Mediterraneo)34
- tarda a sciogliere il dilemma tra la vocazione europea e
la tentazione nazionalistica35
. La costituzione approvata dal popolo
serbo36
ne è prova, laddove, con riferimento al più spinoso ed attuale dei
problemi balcanici, considera il Kosovo -da quasi sette anni posto sotto
un protettorato internazionale tanto inefficace quanto contraddittorio
nell’atto fondativo della sua legalità37
- come “inalienabile” alla sovranità
territoriale di Belgrado38
. Mentre la comunità internazionale tarda a
trovare un assetto definitivo e sostenibile per il Kosovo, la provincia
arranca in un limbo in cui prospera il crimine organizzato
(paradossalmente indifferente alle linee di divisione etnica), foriero di
temibili emergenze di raggio transnazionale per lo Spazio di libertà,
(Tetovo e Gostivar). Nella primavera del 2001, venne combattuta una guerra civile su
piccola scala, la cui escalation fu scongiurata dal dispiegamento di una missione NATO
(terminata nell’aprile del 2003 col passaggio del testimone ad un contingente dell’UE). Il
riconoscimento, già dall’agosto del 2001 (Accordi di Ohrid), di significative garanzie alla
minoranza albanese (circa il 25% della popolazione nazionale) sembrerebbe aver risolto
la questione sul piano politico interno. 33 Solo la Slovenia è già Stato membro, dal 2004, dell’UE (dal 1° gennaio del 2007 è
anche stata ammessa nella zona euro) e della NATO; la Croazia e la Repubblica ex
Jugoslava di Macedonia sono candidate (rispettivamente, dal giugno 2004 e dal dicembre
2005) all’adesione all’UE. Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro si trovano ancora,
sia pur distanziati, in una fase più arretrata di integrazione con l’UE, come dimostrato
dallo stato dell’arte dei negoziati per la firma di un Accordo di Stabilizzazione e
Associazione (ASA), strumento propedeutico alla candidatura per l’adesione. L’UE ha
avviato tali negoziati, nell’ottobre del 2005, con la Serbia-Montenegro (allora Stato
unico) e, il mese successivo, con la Bosnia-Erzegovina. Alla fine del 2006, la Bosnia-
Erzegovina risulta non aver ancora concluso i negoziati; la Serbia ha subito il
congelamento dei negoziati nel maggio del 2006 per aver disatteso le promesse di piena
collaborazione con il TPIJ; infine, il Montenegro, dopo l’indipendenza dalla Serbia, ha
proseguito i negoziati separatamente, concludendoli alla fine di novembre del 2006. 34 La separazione è stata sancita da un referendum tenutosi in Montenegro nel maggio del
2006. 35 G. ALIBERTI, La Serbia e la prospettiva europea: un cammino accidentato, ISPI
Policy Brief, n. 49, febbraio 2007. 36 L’approvazione è avvenuta con un referendum tenutosi a fine ottobre del 2006. 37 Frutto del compromesso fra i Paesi favorevoli all’indipendenza del Kosovo (gli USA
in primis) e quelli contrari (come la Russia), la già ricordata risoluzione n. 1244 del 1999
prevedeva, a ben vedere, che la creazione di istituzioni politiche di auto-governo e
l’avvio di un processo politico per la definizione dello status definitivo del Kosovo,
avvenissero in un vuoto di sovranità e, ad un tempo, nel rispetto dell’integrità territoriale
dell’allora RFJ. 38 Secondo considerando.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
49
sicurezza e giustizia dell’UE: il traffico di armi, di droga39
, di organi, di
esseri umani, di migranti e, non ultimo, il network terroristico di
ispirazione jihadista. L’aver condizionato, nel dicembre del 2003, l’avvio
dei negoziati per la definizione dello status40
al conseguimento di precisi
obiettivi da parte delle istituzioni di auto-governo locale (“standards
before status” policy) -tra cui la costituzione di un solido stato di diritto,
capace di scongiurare l’impunità per gli autori di crimini di guerra o
motivati da ragioni etniche41
- ha, invero, creato presso la comunità
albanese l’aspettativa di una “sovranità da conquistare” e, al tempo
stesso, ha alimentato un clima di frustrazione ed insofferenza per
l’ennesimo temporeggiamento della comunità internazionale. La
sommossa di metà marzo del 2004 ed il lento stillicidio di attentati
dinamitardi hanno rivelato i rischi della contraddizione in termini di un
mandato internazionale ad interim sine die, convincendo l’ONU,
nell’ottobre del 2005, ad avviare comunque il processo politico per la
definizione dello status del Kosovo, nonostante il mancato
raggiungimento di rilevanti obiettivi, specie nel settore della giustizia42
.
All’inizio di febbraio del 2007, l’Ufficio dell’Inviato Speciale delle
Nazioni Unite (UNOSEK) presieduto dall’ex presidente finlandese
Martti Ahtisaari43
ha presentato, dopo circa un anno di lavoro, un
documento sulla cui base Pristina e Belgrado sono state invitate a
condurre le trattative diplomatiche per superare la quasi decennale
39 L’intenso pattugliamento del Canale d’Otranto da parte del naviglio militare italiano
avrebbe reindirizzato i traffici illeciti sulle direttrici di terra, facendo del Kosovo un nodo
nevralgico soprattutto per lo smistamento dell’eroina che dall’Afghanistan giunge in
Europa via Turchia. 40 La parola “status”, di per sé neutra, si è prestata ad una duplice interpretazione: da una
parte, le autorità kosovare, interessate all’indipendenza, l’hanno intesa come “status
internazionale”, dall’altra, il governo serbo, al massimo disposto a concedere un’ampia
autonomia, l’ha intesa come “status interno”. 41 Concordati tra le autorità della missione ONU in Kosovo e le locali Istituzioni
Provvisorie di Auto-Governo, gli standard (ed il relativo meccanismo di controllo) hanno
ricevuto il formale avallo del CS dell’ONU (Presidential Statement S/PRST/2003/26 in
Press Release SC/7951 del 12 dicembre del 2003). Si veda il rapporto Kosovo Standards
Implementation Plan, 31 March 2004 (accessibile on line dal portale UNMIK). 42 Il 7 ottobre del 2005, il SG dell’ONU ha accolto i suggerimenti contenuti nel rapporto
commissionato, il precedente 13 giugno, al suo inviato speciale Kai Eide,
raccomandando al CS che “while standards implementation in Kosovo has been uneven,
the time has come to move to the next phase of the political process” (A comprehensive
review of the situation in Kosovo, 7 October 2005, S/2005/635). Il successivo 24 ottobre
del 2005, il Presidente del CS si è detto favorevole all’inizio del processo per la
definizione dello status definitivo del Kosovo (S/PRST/2005/51). 43 Ex Presidente finlandese, già emissario diplomatico dell’UE, insieme al russo
Chernomyrdin, durante la guerra in Kosovo nel 1999.
CAPITOLO SECONDO 50
impasse kosovara44
. Benché la parola “indipendenza” non figuri in
alcuna delle sue 58 pagine, la proposta Ahtisaari è stata accolta con
estrema freddezza da parte della Serbia, per la quale i minus alla sua
sovranità sulla provincia45
pesano più delle garanzie offerte alla sua
comunità etnica residente in Kosovo46
. Nell’impossibilità di una
soluzione consensuale, la proposta Ahtisaari potrebbe, dunque, essere
sottoposta direttamente al CS dell’ONU, dove, tuttavia, rischierebbe di
infrangersi contro l’assai probabile veto russo, innescando un contrastato
processo di riconoscimenti unilaterali da parte di singoli Stati. In questo
scenario, l’UE, che sta preparando il suo avvicendamento alla missione
ONU47
, è chiamata, con ben cinque Stati membri nel CS48
e quattro nel
Gruppo di Contatto49
, ad un particolare sforzo di coordinamento per
contribuire ad una soluzione politica di una questione dal non
trascurabile potenziale destabilizzante a livello internazionale50
nonché
44 Special Envoy of the Secretary-General (M. Ahtisaari), Comprehensive Proposal for
the Kosovo Status Settlement, 2 February 2007.
Comprehensive Proposal for the Kosovo Status Settlement, 2 February 2007. 45 Tra le previsioni che palesano la perdita di sovranità di Belgrado sul Kosovo si
segnalano: l’attribuzione agli organi costituzionali kosovari del potere di negoziare e
concludere accordi internazionali e richiedere l’ammissione in organizzazioni
internazionali, il divieto di unirsi a qualsivoglia Stato (quindi anche alla Serbia!), la
perdita del diritto di proprietà su tutti i beni mobili e immobili siti in territorio kosovaro,
l’istituzione di servizi segreti e di un esercito kosovari (di 2.500 effettivi e 800 riservisti,
muniti di sole armi leggere), la perdita del controllo dei confini e dello spazio aereo
kosovaro. 46 Tra le previsioni poste a tutela della minoranza serba in Kosovo (circa 130.000 su un
totale di quasi 2 milioni di abitanti) si segnalano: l’ufficializzazione del bilinguismo,
l’introduzione di simboli nazionali multi-etnici, l’ampio decentramento amministrativo
per sei municipalità a maggioranza serba, autorizzate a stabilire rapporti di cooperazione
orizzontale (tra di loro) e verticale (con lo Stato serbo), speciali garanzie di sicurezza per
il clero, per le proprietà ed i siti di interesse storico-religioso della Chiesa Ortodossa
Serba, il diritto ad un’equa rappresentanza nell’assemblea costituente e nelle istituzioni
costituzionali. 47 Si veda infra, par. III.3.2. 48 La Francia e la Gran Bretagna in quanto membri permanenti; l’Italia, il Belgio e la
Slovacchia in quanto membri non permanenti. 49 Istituito dagli accordi di Dayton del dicembre del 1995 al fine di monitorare la pace e
la stabilità nell’area della ex Jugoslavia, il Gruppo di Contatto include i seguenti Stati:
USA, Russia, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna. 50 Sebbene i leader locali considerino il caso kosovaro come un unicum, in quanto
espressione di un processo a guida internazionale, approvato e regolato dal CS dell’ONU
(A. ÇEKU, “Manifesto del Kosovo Indipendente”, Kosovo: lo Stato delle Mafie,
(Quaderni Speciali di Limes, supplemento al n. 6/2006), pagg. 131; A. KURTI, “Né
Serbia né Unmik”, ibidem, pagg. 111-122), gli analisti ritengono che un eventuale
riconoscimento internazionale dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia potrebbe aprire
il “vaso di Pandora” dei movimenti secessionisti, innescando un “effetto domino” su
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
51
cruciale per misurare il grado di maturità politica della costruzione
continentale di fronte al verosimile rischio geo-politico che uno “Stato
fallito” nasca alle sue porte51
.
II.1.2 Le coordinate istituzionali: la Missione UNMIK ed il sistema
giudiziario kosovaro
Si deve al Dipartimento delle Operazioni di Peace-Keeping
dell’ONU la progettazione della singolare architettura istituzionale
attraverso cui UNMIK si è fatta carico dell’ampio mandato affidatole.
La struttura originaria prevedeva la divisione delle responsabilità tra
quattro componenti di governo -dette “Pilastri”- dell’amministrazione
internazionale civile. Soltanto una di esse -il II Pilastro (amministrazione
civile in senso stretto)- veniva assegnato direttamente ad UNMIK. La
gestione del I Pilastro (assistenza umanitaria), veniva delegata all’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del III
(democratizzazione e costruzione delle istituzioni) all’OSCE, e, infine,
del IV (ricostruzione economica) all’UE. Ciascuna delle citate
organizzazioni internazionali, pur afferendo all’unica cornice
istituzionale di UNMIK, rispondeva ad una propria catena di comando. Il
necessario coordinamento sarebbe stato garantito da un’articolata
struttura di vertice composta dal Rappresentante Speciale del Segretario
Generale (RSSG) dell’ONU in quanto autorità suprema52
, da un Vice-
RSSG alla guida di ciascun Pilastro53
, da un Vice Principale posto tra il
scala mondiale. Anzitutto nello stesso Kosovo, le enclaves a maggioranza serba a nord
del fiume Ibar potrebbero dare luogo ad una contro-secessione (o, se si preferisce, ad una
“secessione nella secessione”) ricongiungendosi alla Serbia; l’esempio potrebbe essere
seguito dai serbo-bosniaci della Repubblica Srpska; né si possono escludere disordini
nelle zone serbo-croate. Sempre nei Balcani, pulsioni centrifughe potrebbero manifestarsi
nelle enclaves albanesi della Serbia meridionale, della Macedonia settentrionale, di
talune zone del Montenegro e persino della Grecia (Ciamuria). Né vanno trascurati,
infine, i rischi di secessione nell’area caucasica (Abkhazia, Ossezia del Sud, Transnistria,
Cecenia) dove forti sono gli interessi territoriali russi. Si veda, International Crisis
Group, Kosovo’s Status: Difficult Months Ahed, Europe Briefing n. 45, 20 December
2006; e inoltre: P. QUERCIA, “Il Kosovo in bilico” in Kosovo: lo Stato delle Mafie, op.
cit., pagg. 13-14, 20-21, 26. 51 F. MINI, “Buco nero, Stato mafia e/o Stato canaglia” in Kosovo: lo Stato delle Mafie,
op, cit., pagg. 25-44. 52 Figura espressamente prevista al par. 10 della risoluzione n. 1244. 53 La coordinazione delle strutture di comando di organizzazioni internazionali differenti
è ritenuto uno dei fattori di maggiore problematicità per la gestione interinale del Kosovo
post-bellico. Il medesimo problema si riscontra, mutatis mutandis, anche all’interno della
presenza internazionale militare, KFOR, essendo questa composta da cinque Brigate, con
a capo altrettanti comandanti, a loro volta suddivise in numerose task force che
comprendono contingenti nazionali, ciascuno con una propria catena di comando e
CAPITOLO SECONDO 52
RSSG ed i quattro capi-Pilastro e, infine, da un organo collegiale, il
Comitato Esecutivo, raggruppante tutti i sei alti funzionari. Al RSSG
venivano attribuiti poteri ad esteso raggio: modificare, sospendere,
abrogare le leggi ed i regolamenti vigenti, emanarne nuovi -sotto il
nome, rispettivamente, di “Regulation” e “Administrative Direction”-
nominare e rimuovere qualsiasi funzionario dell’amministrazione civile
provvisoria locale, ivi inclusi i magistrati54
. La concentrazione di poteri
sovrani in capo ad un organo monocratico -necessaria per assicurare
unità e coerenza all’azione amministrativa di una missione complessa e
composita- esponeva UNMIK alla paradossale critica di aver violato il
principio di separazione dei poteri, posto a fondamento del moderno
stato di diritto.
La macchina della presenza civile internazionale -dal costo medio
annuo stimato in 1,3 miliardi di dollari- si è evoluta con il progressivo
sviluppo della missione. Il Pilastro “umanitario” ha cessato di operare
nel giugno del 2000, per essere sostituito, nel maggio del 2001, da un
proprie regole di ingaggio. Le difficoltà di coordinamento interne a ciascuna delle due
presenze internazionali, civile e militare, si riflettono ovviamente sul rapporto tra di esse.
Si veda P. SALZANO, “ONU e Kosovo: un caso sui generis” in S. BALDI e C.
BUCCIANTI Le Nazioni Unite viste da vicino, Padova, 2006, pagg. 103-127. 54 Report of the Secretary-General on the UNMIK, 12 July 1999, par. 39; nonché
UNMIK Regulation n. 1, Section 1 del 25 luglio del 1999.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
53
nuovo I Pilastro dedicato a Giustizia e Polizia, materie fin lì
amministrate nell’ambito del II Pilastro. Nell’autunno del 2005, in esito
al progressivo trasferimento di poteri alle locali Istituzioni Provvisorie di
Auto-Governo (IPAG), il II Pilastro è stato abolito. Il Pilastro Giustizia e
Polizia è stato, a sua volta, soppresso il 1° maggio del 2006 e le relative
funzioni di comando sono state trasferite direttamente al RSSG.
Nell’ambito del I Pilastro, il Dipartimento di Giustizia (DG), già
Dipartimento per gli Affari Giudiziari (DAG)55
, ha svolto, rispetto al
sistema giudiziario kosovaro, compiti propri di un ministero di giustizia.
Dalla primavera del 2006 (marzo-aprile), solo funzioni meramente
amministrative sono state trasferite al Ministero di Giustizia56
e
all’organo di auto-governo della magistratura, il Consiglio Giudiziario
del Kosovo (CGK)57
, residuando al DG importanti poteri “riservati”, tra i
quali si ricorda la preparazione del bilancio dell’intero sistema
giudiziario kosovaro.
Il sistema giudiziario kosovaro, con cui il DG si interfaccia, è
sostanzialmente identico a quello vigente al 1999, a sua volta rimasto
immutato rispetto a quello di cui il Kosovo si era dotato nell’ambito
della sua autonomia58
. A più riprese confermato da UNMIK59
, detto
sistema si struttura su quattro “livelli”:
1) le 25 Corti per i Delitti Minori e l’Alta Corte per i Delitti Minori,
2) le 24 Corti Municipali e le 7 Procure Municipali,
3) le 5 Corti Distrettuali e le altrettante Procure Distrettuali,
4) la Corte Suprema e l’Ufficio del Pubblico Procuratore per il
Kosovo60
.
55 Il DG è stato formalmente istituito nel 2001, in seguito alla riforma del DAG, a sua
volta creato nel luglio del 1999. 56 Il Ministero di Giustizia è stato formalmente istituito con la Regulation n. 53 del 20
dicembre del 2005. Prima della sua effettiva entrata in funzione, il coinvolgimento locale
nella gestione degli affari giudiziari è avvenuto, dapprima, attraverso il Dipartimento
Amministrativo di Giustizia costituito in seno alla Struttura Amministrativa Interinale
Congiunta (Regulation n. 15 del 21 marzo del 2000) e, poi, attraverso il Dipartimento per
l’Amministrazione Giudiziaria costituito presso il Ministero dei Servizi Pubblici
(Regulation n. 19 del 13 settembre del 2001). 57 Il CGK è stato formalmente istituito dalla Regulation n. 52 del 20 dicembre del 2005. 58 Leggi della Provincia Socialista Autonoma del Kosovo n. 32 sull’Ufficio del Pubblico
Procuratore, n. 21 del 1978 sulle Corti Ordinarie, n. 7 del 1981 sull’Attività Interna delle
Corti Ordinarie e n. 23 del 1979 sulle Corti per i Reati Minori. 59 Regulation n. 1 del 1999; Regulation n. 24 del 1999; Constitutional Framework for
Provisional Self-Government in Kosovo varato con Regulation n. 9 del 15 maggio del
2001 (par. 9.4.4); Codice Provvisorio di Procedura Penale, adottato con Regulation
UNMIK n. 26 del 6 luglio del 2003 (artt. 20-26). 60 Unitamente a due Corti Distrettuali commerciali specializzate sulla patologia dei
rapporti mercantili, la Corte Suprema, le Corti Distrettuali e le Corti Municipali
CAPITOLO SECONDO 54
Le Corti per i Reati Minori hanno giurisdizione su reati punibili con
pena massima di due mesi di detenzione. Le loro pronunce sono
impugnabili dinanzi all’Alta Corte per i Reati Minori.
Le Corti Municipali hanno giurisdizione su reati punibili con
sanzioni che vanno da una multa ad un periodo di detenzione fin ad un
massimo di 5 anni e sono organi giurisdizionali di primo grado. Il
collegio giudicante (panel) di una Corte Municipale è composto da 3
giudici (un togato e due laici).
Le Corti Distrettuali hanno giurisdizione di prima istanza su reati
punibili con la detenzione da 5 a 40 anni. Esse hanno, inoltre,
giurisdizione di secondo grado rispetto alle decisioni delle Corti
Municipali. In primo grado, una Corte Distrettuale giudica attraverso
panel composti da 3 giudici (uno togato e due laici). Quando il reato è
punibile con detenzione di almeno 15 anni, la composizione dei panel è
più larga e comprende 5 giudici (due togati e tre laici). In secondo grado,
la Corte Distrettuale giudica attraverso panel di 5 membri (due togati e
tre laici).
Oltre ad avere competenza -attraverso due Camere Speciali- sulle
questioni “costituzionali”61
e su quelle connesse al processo di
privatizzazione della proprietà pubblica62
, la Corte Suprema ha
giurisdizione su decisioni prese in primo grado (e, in certi casi, anche in
appello) da una Corte Distrettuale e sui rimedi straordinari previsti dalla
legge. L’annullamento di una sentenza di primo grado comporta
l’obbligatorio rinvio del caso al primo giudice (i.e. la competente Corte
Distrettuale), il quale celebrerà un nuovo processo (retrial). La Corte
Suprema decide attraverso panel composti di tre giudici togati e, per
reati punibili con almeno 15 anni di detenzione, attraverso panel di
cinque giudici togati. Quando giudica su reati più gravi, la composizione
è di cinque giudici togati.
costituiscono, secondo la legislazione vigente al 1989, le “Regular Courts” (Corti
Ordinarie). 61 La Camera Speciale sulle Questioni della Cornice Costituzionale è stata istituita con la
Regulation n. 9 del 15 maggio del 2001, Section 9.4.11. 62 La Camera Speciale sulle Questioni Connesse alla Agenzia Fiduciaria del Kosovo
(AFK) è stata istituita con la Regulation n. 13 del 13 giugno del 2002.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
55
Il quadro istituzionale di riferimento
II.2 Il contesto giuridico di riferimento
Tre principali coordinate concorrono a definire il contesto giuridico
di riferimento delle corti penali “ibride” in Kosovo: il loro fondamento
giuridico (II.2.1), il diritto penale materiale e procedurale applicabile
(II.2.2) e, infine, i limiti della loro giurisdizione (II.2.3-6).
II.2.1 Il fondamento giuridico
L’atto normativo che pone le basi per l’istituzione delle corti
“ibride” è la Regulation n. 6 del 17 febbraio del 2000, seguita, nello
stesso anno, dalle Regulation n. 34 e n. 6463
, e, nel 2001, dalla n. 2. In
63 Avendo durata annuale, la Regulation n. 64 è stata prorogata di anno in anno
all’approssimarsi della sua scadenza.
I Pilastro UNMIK -
Polizia e Giustizia
Dipartimento di
Polizia
Dipartimento
di Giustizia
Ministero
di Giustizia
Consiglio
Giudiziario
Corte Suprema
(2 Special Chambers)
5 Corti Distrettuali
(Pristina, Mitrovika, Pec, Pizren e Gjilan)
Alta Corte per i Reati Minori
25 Corti per i Reati Minori
24 Corti Municipali
Isti
tuzi
on
i P
rov
vis
ori
e d
i A
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ver
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del
Ko
sov
o
CAPITOLO SECONDO 56
maniera oltremodo sintetica, esse individuano la propria base giuridica -e
quindi il fondamento ultimo delle corti “ibride” in Kosovo- nella
risoluzione n. 1244 del CS dell’ONU e, subordinatamente, nella
Regulation n. 1 del 25 luglio del 1999 “On the Authority of the Interim
Administration in Kosovo”64
.
Atto di diritto internazionale derivato coperto dal Capitolo VII della
Carta dell’ONU65
e suprema fonte normativa -se si vuole,
“costituzionale”- disciplinante finalità e funzioni della presenza
internazionale in Kosovo, la citata risoluzione esplicitamente incarica
UNMIK di mantenere l’ordine pubblico attraverso la costituzione di una
forza di polizia locale e, allo stesso tempo, attraverso il dispiegamento di
una forza di polizia internazionale66
, ma nulla dispone, sull’altro versante
del I Pilastro, circa l’inserimento di magistrati internazionali all’interno
del sistema giudiziario kosovaro. Né, d’altra parte, la “Regulation-
64 Il riferimento alla base giuridica contenuto nel preambolo delle Regulation n. 6 e n. 34
è del seguente tenore: “The Special Representative of the Secretary-General, [p]ursuant
to the authority given to him under United Nations Security resolution 1244/1999 of 10
June 1999, [t]aking into account United Nations Interim Administration Mission in
Kosovo (UNMIK) Regulation No. 1999/1 of 25 July 1999 (…), [f]or the purpose of
assisting in the judicial process in Mitrovica/in Kosovo (…) [h]ereby promulgates the
following: (…)”. Il preambolo della Regulation n. 64 si arricchisce di una precisazione:
“[r]ecognizing the responsibility of the international civil presence to maintain civil law
and order and protect and promote human rights (…)”, in cui si scorge l’implicito
rimando a due puntuali lettere, (i) e (j), del par. 11 della risoluzione 1244 del 1999. La
Regulation n. 2 del 2001 torna sullo stile delle prime due con la variatio: (…) [f]or the
purpose of enhancing the judicial process and the proper administration of justice (…)”. 65 Il Capitolo VII (artt. 39-51) disciplina le “Azioni rispetto alle minacce alla pace, alle
violazioni della pace ed agli atti di aggressione”. Nulla specifica la risoluzione circa il
puntuale articolo del Cap. VII posto a suo fondamento. E’ ragionevole ritenere che la
risoluzione n. 1244 possa essere ricondotta all’art. 41 (misure non implicanti l’uso della
forza) per quanto riguarda la decisione del CS di dispiegare in Kosovo una presenza
internazionale civile, e all’art. 42 (misure implicanti l’uso della forza) per quanto
concerne la decisione di autorizzare gli Stati membri e la NATO a dispiegare, sotto gli
auspici dell’ONU, una presenza internazionale militare. Non meno convincente appare la
tesi secondo cui alla base del dispiegamento della presenza internazionale militare vi
sarebbe una consuetudine affermatasi nell’ambito del Capitolo VII della Carta
specularmente alla caduta in desuetudine degli artt. 43-45 relativi all’obbligo de
contrahendo posto a carico degli Stati membri di concludere accordi speciali con il CS
per mettere a sua disposizione forze armate e facilitazioni militari necessarie per il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Il ricorso del CS al Capitolo
VII per decidere operazioni di peace-keeping potrebbe, ad adiuvandum, essere
legittimato dalla teoria c.d. “dei poteri impliciti”. 66 Il par. 11, lett. (i) della risoluzione, annoverava tra le responsabilità della presenza
civile internazionale: “[m]aintaining civil law and order, including establishing local
police forces and meanwhile through the deployment of international police personnel to
serve in Kosovo”.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
57
madre” della missione UNMIK prevede espressamente la possibilità di
inserire magistrati internazionali nel sistema kosovaro: essa si limita ad
investire il RSSG del potere di amministrare la magistratura e di
nominare “any person [corsivo nostro]” per il concreto esercizio della
funzione giudiziaria nel quadro delle leggi esistenti in Kosovo.
Nel silenzio della risoluzione e della Regulation n. 1, si rende,
pertanto, necessaria un’interpretazione estensiva dei rispettivi testi al fine
di individuare un nucleo di disposizioni logicamente correlabili per
legittimare, sul piano formale, la creazione delle corti “ibride”.
Per quanto riguarda la risoluzione n. 1244, vengono in rilievo
almeno quattro disposizioni del paragrafo 11:
- la lettera (b), che include nel novero delle responsabilità di
UNMIK lo svolgimento delle funzioni amministrative civili di base;
- la lettera (i), che, in tema di mantenimento dell’ordine
pubblico, espressamente -ma non tassativamente- prevede, come già
detto, una forza civile di polizia internazionale;
- la lettera (j) che incarica UNMIK di proteggere e promuovere i
diritti umani in Kosovo;
- la lettera (k) che chiama UNMIK ad assicurare un ritorno
sicuro e senza impedimenti di tutti i rifugiati e gli sfollati del Kosovo.
Il criterio ermeneutico che permetterebbe di evincere dalle citate
disposizioni la facoltà di inserire magistrati internazionali nelle corti
penali locali è, a nostro avviso, quello c.d. “dei poteri impliciti”. Esso
consentirebbe ad UNMIK di disporre di tutti i poteri necessari per
l’esercizio di quelli espressamente previsti dalla risoluzione n. 1244
nonché di quelli direttamente deducibili dalle ampie finalità istituzionali.
CAPITOLO SECONDO 58
L’impiego di tale criterio non ci pare escluso dall’incipit del par. 11,
laddove afferma che “the main responsibilities of the international civil
presence will include: (…)” [corsivo nostro], lasciando intendere che
l’elenco delle responsabilità non è tassativo (né, del resto, potrebbe
esserlo, data la genericità delle previsioni). Pertanto, applicando la teoria
dei poteri impliciti alla risoluzione n. 1244, il potere di creare corti
“ibride” potrebbe ricavarsi dalle responsabilità di UNMIK -intese nella
duplice accezione di “poteri” e “finalità”- di cui alle citate lettere del
paragrafo 11:
b) svolgere le funzioni amministrative di base, tra cui v’è certamente
la giustizia;
i) mantenere l’ordine pubblico, non solo attraverso l’apparato
repressivo della polizia ma anche attraverso l’effetto deterrente prodotto
da una credibile attività giudiziaria;
j) proteggere i diritti dell’uomo, tra cui il diritto ad un equo
processo;
k) incoraggiare il ritorno di rifugiati e sfollati nei loro luoghi di
origine, attraverso la rimozione di impedimenti, anche psicologici,
connessi all’impunità degli autori di atti di violenza interetnica.
Per quanto concerne, invece, la Regulation n. 1, vale a dire la fonte
normativa immediatamente subordinata alla risoluzione n. 1244, il
principale appiglio ermeneutico è offerto dall’aggettivo indefinito “any”
(qualunque) che connota la “person”67
che il RSSG ha il potere di
nominare “to perform functions in the civil administration in Kosovo,
including the judiciary (…)”68
. E’ ragionevole ritenere che se il
legislatore onusiano avesse voluto escludere la possibilità di nominare
dei magistrati internazionali, la citata disposizione avrebbe dovuto
espressamente porre la “nazionalità” kosovara come requisito di
eleggibilità. Dunque, la Regulation n. 1/1999, pur non prevedendo
apertis verbis la nomina di internazionali nell’ambito della magistratura
kosovara, sicuramente non la esclude.
II.2.2 Il diritto applicabile
La decisione del RSSG, circa la legge penale applicabile, non è stata
lineare ed ha rivelato una scarsa sensibilità da parte di UNMIK alle
ripercussioni sociali di scelte su questioni solo in apparenza “tecniche”.
Inizialmente, con la già citata Regulation n. 1 del 25 luglio del 1999,
il RSSG stabilì che “[t]he laws applicable in the territory of Kosovo prior
67 Section 1.1. 68 Section 1.2.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
59
to 24 March 1999”69
avrebbero continuato ad applicarsi in Kosovo a
partire dal 10 giugno del 199970
, nella misura in cui fossero state
conformi agli “internationally recognized human rights standards”71
. La
“reviviscenza” del diritto sospeso de facto durante la campagna militare
della NATO (24 marzo-9 giugno del 1999) risultava coerente con la
nominale riaffermazione della sovranità della RFJ72
.
La conferma delle leggi vigenti fino al giorno dell’intervento aereo
della NATO suscitò la vivida opposizione di magna pars dei magistrati
di etnia albanese, che, vedendo in esse il simbolo di dieci anni di
oppressione e discriminazione ad opera del regime serbo-jugoslavo73
, si
rifiutarono di applicarle, preferendo il diritto vigente negli anni
dell’autonomia (1974-1989). Dopo cinque mesi di allarmante incertezza
giuridica, il 12 dicembre del 1999, il RSSG, preso atto degli effetti
paradossali dell’iniziale decisione74
, assecondò le pretese albanesi,
optando, con la Regulation n. 24, per “[t]he laws in force in Kosovo on
22 March 1989”75
, cioè il giorno precedente l’avocazione dello status di
autonomia da parte di Belgrado76
. L’applicazione del richiamato diritto
venne fatta decorrere ex tunc, dal 10 giugno del 1999, creando, oltre che
un’imbarazzante violazione del principio di irretroattività della legge
69 Section 3. 70 Section 7. Il 10 giugno è la data che, con l’adozione della risoluzione del CS dell’ONU
n. 1244, segnò il formale avvio della missione UNMIK in Kosovo. 71 Section 2. 72 L’attribuzione, ancorché temporanea, di poteri sovrani al RSSG avrebbe violato, dal
punto di vista di Belgrado, il decimo considerando della risoluzione n. 1244 in cui il CS
dell’ONU “[r]eaffirm[s] the commitment of all Member States to the sovereignty (…) of
the Federal Republic of Yugoslavia (…)”. Se si condivide la tesi serba, si deve
ammettere l’esistenza di un conflitto tra fonti di diritto internazionale, in cui, in modo del
tutto anomalo, una fonte di grado inferiore prevale, in via di fatto, su una fonte
formalmente sovraordinata. 73 Si trattava, in effetti, di leggi entrate in vigore dopo la sospensione dell’autonomia del
Kosovo e che, pur non essendo discriminatorie in astratto, avevano trovato
un’applicazione discriminatoria. 74 In una lunga intervista (“Kosovo: le courage de Sysiphe”) pubblicata su Politique
Internationale (n. 86, hiver 1999-2000) il RSSG, Bernard Kouchner, ammetteva che
considerare applicabili le leggi serbo-jugoslave sarebbe stato “comme si l’on avait
demandé à Mandela d’appliquer les lois de l’apartheid”. 75 Section 1.1. 76 Il repentino “aggiustamento di tiro” lasciò, tuttavia, insoddisfatta larga parte di politici,
magistrati ed opinione pubblica: la reiterata dipendenza del Kosovo dal diritto della ex
Jugoslavia fu avvertito come un ostacolo alle aspirazioni indipendentiste. Belgrado,
d’altra parte, non poté che vedere nella Regulation n. 24 la conferma di una sempre più
intensa usurpazione di sovranità sul Kosovo nonché della parzialità di UNMIK.
CAPITOLO SECONDO 60
penale77
, anche la necessità di un regime transitorio per tutte le decisioni
giudiziarie adottate fino al 12 dicembre del 1999 in base al diritto
vigente prima del 24 marzo del 199978
.
Le Regulation promulgate dal RSSG avrebbero costituito
un’ulteriore fonte, prevalendo, in caso di confliggenza, sulle leggi
vigenti. Il diritto “in force in Kosovo after 22 March 1999” avrebbe
potuto, infine, essere applicato, in quanto “gap filler”, solo alle
fattispecie non coperte, a condizione che non fosse stato discriminatorio
e avesse rispettato gli standard internazionalmente riconosciuti79
quali
risultanti da un corposo elenco di strumenti internazionali (non tutti
ratificati dalla RFJ) cui si faceva rimando80
; contestualmente fu abolita la
pena di morte.
Un cenno meritano i tratti caratterizzanti del diritto penale vigente in
Kosovo al 22 marzo del 1989.
Per quanto riguarda i profili processuali, veniva in rilievo il Codice
di Procedura Penale della RFJ (CPPRFJ), il quale collocava il Kosovo a
pieno titolo nella famiglia degli ordinamenti di civil law. Il CPPRFJ
disegnava, infatti, un processo di tipo “inquisitorio”, caratterizzato da
una disparità di poteri tra giudice e parti, essendo il giudice direttamente
coinvolto nel caso, con talune funzioni proprie dell’organo di accusa. La
fase precedente il rinvio a giudizio si caratterizzava, infatti, per
l’esistenza di un giudice inquirente preposto alla ricerca delle prove a
carico e discarico dell’indagato in ossequio all’impostazione ideologica
continentale che pone come prioritaria l’aspirazione ad una ricostruzione
veritiera dei fatti. Si ammetteva il processo in contumacia81
.
77 Il diritto richiamato dalla Regulation n. 1 del 1999 subentrava virtualmente a se stesso
dopo un periodo di fattuale sospensione e contestuale vuoto normativo; lo jus
superveniens richiamato dalla Regulation n. 24 del 1999, ancorché “redivivo”, si
sostituiva, invece, ad un diritto diverso da sé. 78 Tali decisioni vennero considerate “valid” nella misura in cui non fossero state in
conflitto con i diritti umani sanciti negli strumenti internazionali richiamati nella stessa
Regulation (Section 1), per i quali si veda alla successiva nota 80. 79 Section 1.2. 80 La Section 1.3 li elenca secondo questo ordine: Dichiarazione Universale sui Diritti
Umani del 1948, Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle
Libertà Fondamentali, Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 e relativi
Protocolli, Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966,
Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale del 1965,
Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne
del 1979, Convenzione Contro la Tortura ed Altri Trattamenti o Punizioni Crudeli,
Inumani e Degradanti del 1984, Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino del
1989. 81 Art. 300, par. 3, 4 del CPPRFJ.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
61
Quanto al diritto penale materiale, esso risultava dalla non sempre
chiara stratificazione di tre livelli normativi espressi da altrettanti livelli
di governo: il Codice Penale del Kosovo (CPK), il Codice Penale della
Serbia (CPSe) ed il Codice Penale della RFJ (CPRFJ).
L’adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, ivi
incluso quello penale, era mediato da due principali meccanismi: quello
di trasformazione automatica e permanente desumibile dall’art. 210 della
Costituzione federale del 197482
e quello c.d. “ordinario” di materiale
riformulazione delle norme internazionali in norme interne. Con
quest’ultimo meccanismo erano state incorporate nel CPRFJ (Capo XVI)
le norme contenute nella Convenzione sul Genocidio del 194883
e quelle
sullo jus in bello delle Convenzioni di Ginevra del 194984
.
Benché modellato sulla lettera della Convenzione del 194885
, l’art.
141 del CPRFJ includeva nella lista di atti genocidi una fattispecie
assolutamente innovativa, quale il trasferimento forzato di popolazione.
Tale previsione, che in linea di principio copriva il crimine più
diffusamente perpetrato in Kosovo dalle forze serbo-jugoslave durante il
conflitto armato, appariva, tuttavia, difficilmente conciliabile con il
presupposto psicologico per la qualificabilità di un atto come
“genocidio”, vale a dire l’intenzionalità di distruggere, in tutto o in parte,
un gruppo (nazionale, etnico, razziale, religioso)86
.
82 L’articolo in parola sanciva, secondo una logica monista, la diretta applicabilità da
parte dei giudici delle norme dei trattati internazionali sottoscritti dalla RSFJ. La tesi di
chi indica come trasformatore permanente l’art. 16 par. 2 della Costituzione della RFJ del
27 aprile del 1992 è incoerente con la Regulation n. 24 del 1999 che, come già detto,
considera applicabile il diritto vigente al 22 marzo del 1989. (J. CERONE, C.
BALDWIN, “Explaining and Evaluating the UNMIK Court System” in Internationalized
Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia (a
cura di C. ROMANO, A. NOLLKAEMPER, J. KLEFFNER), New York, 2004, pag 44
(nota 14). 83 Art. 141 del CPRFJ. 84 Artt. 142-153 del CPRFJ. Come notato dal TPIJ nella già citata decisione del 2 ottobre
del 1995 sul caso Tadic (par. 132), gli artt. 142, sui crimini di guerra contro la
popolazione civile, e 143, sui crimini di guerra contro i feriti e gli ammalati, traspongono
nel diritto interno le norme sulle c.d. “gravi violazioni” di cui agli artt. 49 e 50 della I
Convenzione di Ginevra, 50 e 51 della II, 146 e 147 della IV. L’art. 144 riguarda i
crimini contro i prigionieri di guerra, il 146 il nemico c.d. “hors de combat”, l’art. 147 il
saccheggio, l’art. 148 i mezzi di conduzione della guerra proibiti, l’art. 149 gli arresi,
l’art. 150 i diritti degli ammalati e dei prigionieri di guerra, l’art. 151 la distruzione di
monumenti culturali e storici, l’art. 152 l’istigazione di un guerra di aggressione, l’art.
153 l’uso abusivo di insegne internazionali. 85 La RSFJ aveva ratificato la Convenzione contro il genocidio del 1948 nel 1950. 86 Con riferimento al caso Goran Jelisic (IT-95-10 Trial Chamber I, Judgement, 14
December 1999), il TPIJ ha fissato criteri estremamente esigenti per l’accertamento di
quello che è considerato il più grave crimine internazionale: è necessario che l’elemento
CAPITOLO SECONDO 62
Per il genocidio e per i crimini di guerra era specificamente prevista
la possibilità di perseguirne non solo la materiale commissione ma anche
l’istigazione o l’organizzazione di un gruppo finalizzato a commetterli87
.
La descritta previsione, in combinato disposto con un'altra norma
contenuta nella parte generale del codice88
, avrebbe consentito di
ricostruire, per via ermeneutica, la dottrina della “joint criminal
enterprise”, largamente utilizzata nella strategia accusatoria del
procuratore del TPIJ e associabile a quella della “conspiracy” del TMI di
Norimberga89
. Sulla base di altre disposizioni contenute nella parte
generale del CPRFJ sarebbe, inoltre, risultato possibile considerare degli
individui responsabili per omissione90
, preparazione91
, tentativo92
,
complicità93
, incitamento94
e aiuto95
. Erano espressamente previsti, in
materia di crimini di guerra, il principio della responsabilità del
subordinato per violazioni commesse su ordine di un superiore96
e,
specularmente, quello di responsabilità del superiore che abbia ordinato
la commissione di una violazione97
. La responsabilità c.d. “di comando”
-cioè del superiore che, pur non avendo impartito ordini ovvero
pianificato i crimini, non si è comunque adoperato per evitare che il
subordinato commettesse violazioni- non era prevista nel CPRFJ ma
avrebbe potuto essere desunta, ex art. 210 della Costituzione federale,
direttamente dal I Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di
materiale (actus reus) sia corredato da quello psicologico (mens rea), vale a dire
l’intenzione di annichilimento, la quale sarebbe segnalata dall’estensione del crimine e
dall’esistenza di un sistema preordinato alla sua commissione. 87 Ibidem, art. 145. 88 Art. 26 del CPRFJ. Secondo l’articolo in parola, gli individui che creano o si
avvalgono di varie forme di gruppo, bande o associazioni per commettere crimini sono
responsabili per tutte le azioni di rilievo penale commesse da tali gruppi, a prescindere
dall’intensità della loro partecipazione. 89 La Camera d’Appello del TPIJ ha precisato la differenza tra le due dottrine: “joint
criminal enterprise and «conspiracy» are two different forms of liability. While mere
agreement is sufficient in the case of conspiracy, the liability of a member of a joint
criminal enterprise will depend on the commission [corsivo nostro] of criminal acts in
furtherance of that enterprise” Decision on Dragoljub Ojdanic’s Motion Challenging
Jurisdiction - Joint Criminal Enterprise” (21 May 2003), The Prosecutor v. Milutinovic
et al. - caso n. IT-99-37-AR72. 90 Art. 11 del CPRFJ. 91 Ibidem, art. 18. 92 Ibidem, art. 19. 93 Ibidem, art. 22. 94 Ibidem, art. 23. 95 Ibidem, art. 24. 96 Ibidem, art. 239. 97 Ibidem, art. 142.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
63
Ginevra del 194998
. Analogamente, nulla disponendo il CPRFJ sui
crimini contro l’umanità, si è ritenuto che le fattispecie potessero
comunque essere applicate sulla base del citato “trasformatore
permanente”99
.
Le Regulation di UNMIK hanno comportato una significativa
evoluzione del diritto penale applicabile.
Sul piano procedurale, si è proibito il processo in contumacia per
gravi violazioni del diritto internazionale umanitario quali definite dal
Capo XVI del CPRFJ nonché dallo Statuto di Roma sulla Corte Penale
Internazionale100
; si è esteso da 6 a 12 mesi il periodo massimo di
custodia pre-processuale101
; si sono introdotte norme sulla protezione
delle vittime e dei testimoni102
; si è disciplinata la materia dei
collaboratori di giustizia103
; i diritti delle persone arrestate sono stati
uniformati agli standard internazionali104
; si è ammesso l’uso delle
trascrizioni di interrogatori condotti dalle autorità di polizia105
; si sono
introdotte misure speciali di sorveglianza ed indagine106
.
Sul piano materiale, in sostituzione della già abolita pena di morte,
si è fissata come sanzione massima la detenzione per un periodo di 40
anni107
; sono stati introdotti i reati di incitamento all’odio, alla discordia
98 L’art. 86, par. 2 del Protocollo in parola (ratificato dalla RSFJ nel 1978) afferma: “the
fact that a breach of the Conventions or of this Protocol was committed by a subordinate
does not absolve his superiors from (…) responsibility (…) if they knew, or had
information which should have enabled them to conclude in the circumstances at the
time, that he was committing or about to commit such a breach and if they did not take
all feasible measures within their power to prevent or repress the breach”. 99 La mancata previsione di una specifica pena da parte dell’ordinamento interno (nulla
poena sine praevia lege poenali) si poneva, tuttavia, come ostacolo alla tesi secondo cui
un individuo avrebbe potuto essere processato per crimini contro l’umanità direttamente
in base al diritto internazionale. 100 Regulation n. 1 del 12 gennaio del 2001, Section 1. Facendo riferimento allo Statuto
di Roma, che include i crimini contro l’umanità, la Regulation n. 1 del 2001 suffragava la
tesi, descritta supra, della perseguibilità dei crimini contro l’umanità direttamente
secondo il diritto internazionale. 101 Regulation n. 26 del 22 dicembre del 1999. Il provvedimento, interpretabile come una
velata dichiarazione di stato d’emergenza da parte di UNMIK, mirava ad evitare che i
sospettati di gravi reati fossero rilasciati allo scadere del sesto mese di custodia cautelare. 102 Regulation n. 20 del 19 settembre del 2001, emendata dalla n. 2 del 24 gennaio del
2002. 103 Regulation n. 21 del 19 settembre del 2001, emendata dalla n. 1 del 24 gennaio del
2002. 104 Regulation n. 28 ottobre del 2001. 105 Regulation n. 7 del 28 marzo del 2002. 106 Regulation n. 6 del 18 marzo del 2002 107 Regulation n. 59 del 27 ottobre del 2000.
CAPITOLO SECONDO 64
e all’intolleranza nazionale, razziale e religiosa108
, di terrorismo109
, di
traffico di esseri umani110
, di possesso illegale di armi111
, di
attraversamento non autorizzato di confini112
; sono state emendate le
figure di reato legate alla violenza sessuale già previste dal CPK113
; è
stata “costituzionalizzata” la diretta applicabilità degli strumenti
internazionali già considerati “applicable law” dalla Regulation n. 24 del
1999114
;
Il 6 aprile del 2004 è iniziata la più importante tappa del processo
evolutivo del diritto applicabile, il quale è stato sistematicamente
modificato dall’entrata in vigore di un Codice di Procedura Penale
Provvisorio (CPPP) e di un Codice Penale Provvisorio (CPP), entrambi
promulgati da UNMIK il 6 luglio del 2003 sotto forma di Regulation115
.
L’esigenza di adeguare l’ordinamento penale kosovaro ai principi del
moderno diritto internazionale -ed in particolare ai diritti umani- si era
manifestata già all’inizio della missione UNMIK, quando, nell’agosto
del 1999, il RSSG aveva istituito il Comitato Consultivo Congiunto sulle
Questioni Legislative composto dai rappresentanti della comunità
giuridica kosovara (accademici, avvocati, ex giudici e procuratori) e
investito del mandato di predisporre, con il supporto del Consiglio
108 Regulation n. 4 dell’1 febbraio del 2000. 109 Regulation n. 12 del 14 giugno del 2001. 110 Regulation n. 4 del 12 gennaio del 2001. 111 Regulation n. 7 del 21 febbraio del 2001. 112 Regulation n. 10 del 24 maggio del 2001. La motivazione contingente per l’adozione
di questa Regulation è da ricercarsi nei disordini esplosi in Macedonia e nella Serbia
meridionale nella primavera del 2001. 113
Regulation n. 1 del 6 gennaio del 2003 emendante gli artt. 74-76 e 78 del CPK.
114 Il Chapter 3.3 della Regulation n. 9 del 15 maggio del 2001 stabilisce che: “[t]he
provisions on rights and freedoms set forth in these instruments [per l’elenco completo si
rimanda alla nota 80 di questo stesso capitolo] shall be directly applicable in Kosovo as
part of this Constitutional Framework” [corsivo nostro]. Sul tema della diretta
applicabilità di taluni di questi strumenti (la Convenzione Europea per la Protezione dei
Diritti e delle Libertà Fondamentali del 1950 ed il Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici del 1966) si tornerà infra ai parr. II.4.6-7.
115 Regulation n. 25 (per il CPP) e n. 26 (per il CPPP) del 6 luglio del 2003. E’ appena il
caso di rimarcare che il CPP ed il CPPP, traendo la loro forza da atti formalmente
ascrivibili ad UNMIK, hanno come fondamento ultimo la Regulation n. 1 del 1999 e la
risoluzione n. 1244 del CS. La comunità albanese ha salutato l’adozione dei due codici
come un definitivo affrancamento del sistema giuridico-giudiziario del Kosovo dalla
Serbia. L’aggettivo “provvisorio”, connotante i due codici, risponde all’esigenza di
rimarcare il carattere temporaneo dei due testi giuridici onusiani in attesa che venga
definito lo status del Kosovo.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
65
d’Europa, dell’OSCE e dell’ABACEELI116
, una revisione dell’esistente
legislazione penale.
Il nuovo CPPP ha spostato il baricentro del sistema giudiziario
penale verso l’idealtipico modello processuale di common law definito
“adversarial” o “accusatorial”. Centrale è diventato, infatti, il ruolo delle
parti, accusa e difesa, chiamate a confrontarsi ad armi pari117
per la
presentazione delle prove durante la fase dibattimentale, in cui il giudice
conserva una funzione passiva di mero arbitro; il tutto in ossequio
all’impostazione liberal anglo-sassone che prepone alla ricerca di una
pretesa verità fattuale “regole del gioco” garanti della naturale selezione
delle forze e di un’equa soluzione della lite118
.
Dal punto di vista del potere pubblico, il vero dominus della
procedura, specie nella fase pre-dibattimentale, è il procuratore, cui sono
trasferite (in forma ampliata) le funzioni in precedenza spettanti al
giudice inquirente: “the (…) basic power and main function of the public
prosecutor shall be (…): [t]o undertake the necessary measures
connected with the detection of criminal offences and the discovery of
perpetrators and to undertake investigative actions while directing or
supervising the investigation in preliminary criminal proceedings”119
.
L’accrescimento dell’efficienza delle procedure e l’innalzamento
della protezione delle persone in esse a vario titolo coinvolte hanno
rappresentato altri due vettori della riforma. La riallocazione dei poteri
nella fase pre-processuale è stata congeniale al perseguimento di
entrambi gli obiettivi. E’ stato introdotto un giudice per la fase pre-
dibattimentale, la cui principale funzione -dapprima propria del giudice
inquirente- è quella di prendere decisioni aventi effetti sui diritti e sulle
libertà individuali. Il potere di esaminare l’imputato120
, i testimoni e i
periti121
è stato riservato esclusivamente al procuratore quando invece,
nel previgente sistema, esso era esercitato, con duplicazione di tempi,
anche dal giudice inquirente.
116 American Bar Association Central and Eastern European Law Iniziative. 117 Art. 10 del CPPP. A ben vedere, il carattere “adversial” della procedura è temperato
dalla previsione secondo cui “[t]he public prosecutor has a duty to consider the
inculpatory as well as exculpatory evidence and facts during the investigation (…)”
(ibidem, art. 46, par. 3). 118 La dichiarazione di colpevolezza (guilty plea) ed il contraddittorio tra le parti (cross-
examination) sono altri due significativi elementi attinti dal modello di common law. 119 Ibidem, art. 47, par. 1-2. Il procuratore può condurre indagini in modo diretto ovvero
attraverso la polizia giudiziaria (ibidem, art. 51, par. 2). La polizia è obbligata a seguire le
richieste (legali) del procuratore (ibidem, art. 209, par. 1) e può intraprendere indagini
solo con la previa autorizzazione dello stesso (ibidem, art. 221, par. 4). 120 Ibidem, art. 231, par. 1. 121 Ibidem, art. 237, par. 1.
CAPITOLO SECONDO 66
Sul piano procedurale va, infine, ricordata l’introduzione di due
Capi122
appositamente dedicati al coordinamento del sistema penale
locale con gli ordinamenti esterni, dai quali sono espressamente esclusi i
tribunali internazionali (e.g. CPI, TPIJ)123
.
Quanto al nuovo CPP, esso contiene un Capo, il XIV, appositamente
dedicato ai crimini di diritto internazionale124
, il quale colma la lacuna
del previgente CPRFJ inserendo, al fianco del genocidio125
e dei crimini
di guerra (commessi in conflitti armati interni ed internazionali)126
, anche
i crimini contro l’umanità127
, per i quali non è richiesta l’esistenza di un
collegamento col conflitto armato. Oltre alla responsabilità per
l’esecuzione di un ordine superiore128
, è espressamente disciplinata la
responsabilità “di comando”129
ma non è codificata la figura di “joint
criminal enterprise”, che potrebbe comunque essere ricavata per via
interpretativa dal combinato disposto delle disposizioni dedicate alla
“co-perpetration”130
, alla “criminal association”131
ed all’organizzazione
di gruppi per la commissione di crimina juris gentium132
. Coperte dal
principio di giurisdizione universale133
, le norme su tali crimini sono
state modellate su fonti internazionali, quali la Convenzione contro il
genocidio del 1948, le Convenzioni di Ginevra del 1949 (ivi inclusi i
Protocolli Aggiuntivi del 1977)134
, la Convenzione del 1984 contro la
122 Ibidem, Capo XLVII - Procedures for International Legal Assistance and the
Execution of International Agreements in Matters of Criminal Law; Capo XLVIII -
Procedures for Transfer of Defendants and Convicted Persons To and From Foreign
Jurisdiction. 123 Ibidem, art. 516, par. 2. 124 Criminal Offences Against International Law. 125 Art. 116 del CPP. Il trasferimento forzato di popolazione, in precedenza contemplato
sotto il crimine di genocidio (art. 141 del CPRFJ) è adesso correttamente incluso
nell’elenco dei crimini contro l’umanità (art. 117, par. 4 del CPP). 126 Artt. 118-127 del CPP. 127 Ibidem art. 117. 128 Ibidem, art. 10. 129 Ibidem, art. 129. 130 Ibidem, art. 23. 131 Ibidem, art. 26. 132 Ibidem, art. 128. 133 Ibidem, art. 100. 134 Il CPP accoglie la differenziazione del regime giuridico applicabile a seconda della
natura del conflitto armato. Al conflitto interno si applicano espressamente gli artt. 120
(War Crimes in Serious Violation of Artiche 3 Common to the Geneva Conventions), 121
(War Crimes in Serious Violation of Laws and Customs Applicable in Armed Conflict
Not of an International Character) e 122 (Attacks in Armed Conflict Not of an
International Character Against Installations Containing Dangerous Forces); mentre a
quello internazionale l’art. 119 (War Crimes in Serious Violation of laws and Customs
Applicable in International Armed Conflict). Si applicano espressamente ad entrambi i
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
67
tortura ed altro trattamento o punizione crudele, inumana e degradante,
lo Statuto di Roma del 1998 della CPI. Nel Capo XIV sono, infine,
integrate norme, per lo più definite in base alle rilevanti convenzioni
internazionali, sull’istigazione di una guerra di aggressione135
, sul
terrorismo136
, sulla pirateria137
, sulla schiavitù e sul lavoro forzato138
, sul
traffico di migranti139
, di esseri umani140
, sulla messa in pericolo di
personale internazionale141
, sulla cattura di ostaggi142
, sul traffico e
sull’uso di materiale nucleare143
.
Il diritto internazionale non ha mancato di influenzare la
formulazione di norme contenute in altri Capi: per la definizione dei reati
contro l’integrità sessuale144
è stata recepita la giurisprudenza della Corte
Europea per i Diritti Umani; per l’espulsione di stranieri dal territorio del
Kosovo (in quanto pena accessoria) si è fatto espresso riferimento, inter
alia, alla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951.
Va, inoltre, fatta menzione del Capo XIII che rende perseguibili le
“criminal offences against Kosovo and its residents”145
: il tentativo di
conflitti l’art. 123 (Conscription or Enlisting of Persons Between the Age of Fifteen and
Eighteen Years in Armed Conflict) e l’art. 124 (Employment of Prohibited Means or
Methods of Warfare). L’art. 118 sui War Crimes in Grave Breach of the Geneva
Conventions dovrebbe, in base al dettato pattizio, applicarsi ai soli conflitti armati
internazionali ma il contesto di riferimento delle violazioni ha una così ampia
formulazione nel Codice (“during war time or armed conflict”, par. 2) da lasciare aperta
all’interprete la possibilità di estendere le previsioni anche ai conflitti interni, magari
anche attraverso il ragionamento seguito nel 1999 dal TPIJ (Prosecutor v. Tadic,
Judgement, caso n. IT-94-1-A, Appeal Chamber, 15 July 1999) ed incentrato su una
meno esigente nozione di “agency control” (“overall control”) e su un’interpretazione
funzionale del concetto di “nationality” (cui è assimilata la “ethnicity”). Per
l’applicazione degli artt. 125-131 -sulla riconsegna dei prigionieri e dei civili (125), sugli
atti di predoneria sul campo di battaglia (126), sulla messa in pericolo dei negoziatori
(127), sull’organizzazione di gruppi (128), sulla responsabilità di comando (129),
sull’istigazione alla guerra (130) e sull’uso abusivo di insegne internazionali (131)- non è
specificata la natura del conflitto armato e sarebbe, pertanto, ammissibile, oltre che
auspicabile, un’interpretazione estensiva. 135 Ibidem, art. 130. 136 Ibidem, artt. 132-135. 137 Ibidem, art. 136. 138 Ibidem, art. 137. 139 Ibidem, art. 138. 140 Ibidem, artt. 139-140. 141 Ibidem, artt. 141-142. 142 Ibidem, art. 143. 143 Ibidem, artt. 144-145. 144
Ibidem, Capo XIX. 145 Nel wording del capo XIII si riflette tutta l’ambiguità della risoluzione n. 1244. Essa,
da un lato, riaffermando la nominale sovranità di Belgrado, obbliga il legislatore
onusiano a definire i kosovari “residents of Kosovo” (e non “citizens of Kosovo”) e a
CAPITOLO SECONDO 68
cambiare, con l’uso di violenza o minaccia, l’ordine legale costituito
ovvero di rovesciare un’istituzione pubblica146
, il terrorismo147
,
l’attraversamento non autorizzato di confini148
e l’incitamento all’odio,
alla discordia e all’intolleranza nazionale, razziale, religiosa ed etnica149
.
Per la definizione delle ultime tre fattispecie si proceduto ad incorporare
quanto previsto dalle Regulation precedentemente adottate da UNMIK.
Infine, che il CPP sia un testo giuridico alquanto avanzato è
dimostrato anche dall’ampio spazio riservato, in coerenza con l’esplicita
finalità riabilitativa della pena150
, alle misure alternative alla
detenzione151
, e dall’attenzione ai reati commessi attraverso i media152
, a
quelli commessi contro i diritti sindacali153
, contro la salute pubblica154
,
contro l’ambiente e i beni culturali155
e contro la proprietà156
.
Per completezza d’analisi, va ricordato che l’entrata in vigore del
CPP e del CPPP, lungi dal mettere i magistrati internazionali in
condizione di perseguire più efficacemente i reati a movente interetnico
commessi durante disordini del marzo precedente, ha creato l’ennesima
aporia sul diritto applicabile: quello vigente al tempus commissi delicti,
in conformità al principio di irretroattività della legge penale, ovvero
quello vigente all’inizio delle indagini e del processo, in deroga al citato
principio? Dopo un’imbarazzante esitazione, l’aporia è stata superata
applicando di volta in volta la legge più favorevole al reo.
sottolineare il distinguo tra “boundary” (confini amministrativi tra Kosovo e Serbia) e
“border” (confini internazionali tra Kosovo, in quanto parte della Serbia, e Macedonia,
Albania e Montenegro); dall’altro lato, sancendo la sostanziale autonomia della
provincia, rende possibile l’utilizzo di una locuzione -“territory of Kosovo”- carica di
significato politico perché connotante la nozione giuridica di Stato sovrano. A ben
vedere, al di là di ogni “ipocrisia nominalistica”, la sostanza è che il Capo XIII è
congegnato come catalogo dei reati contro lo Stato ed i suoi cittadini. 146 Ibidem, art. 108. 147 Ibidem, artt.109-113. E’ evidente che una tale previsione è preposta a deterrere la
riattivazione di forme terroristiche organizzate sul modello dell’UCK. 148 Ibidem, art. 114. 149 Ibidem, art. 115. 150 Ibidem, art. 34, par. 1. 151 Ibidem, artt. 40-53. 152 Ibidem, artt. 28-30. 153 Ibidem, Capo XVII. 154 Ibidem, Capo XXI. 155 Ibidem, Capo XXIV. 156 Ibidem, Capo XXIII. L’importanza storica di tale Capo è comprensibile alla luce non
solo dell’epocale passaggio dal regime di proprietà pubblica del socialismo reale a quello
liberista di proprietà privata ma anche al problema, ancora largamente irrisolto, delle
rivendicazioni di proprietà (soprattutto sull’edilizia residenziale) da parte di kosovari,
albanesi e serbi, rifugiati e sfollati durante la crisi del 1998-1999.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
69
Il discorso sulla legge applicabile porta a considerare più da vicino i
diversi profili -materiale, temporale, territoriale e personale- della
giurisdizione entro cui operano i magistrati internazionali.
II.2.3 La competenza ratione materiae157
Ai profili materiali di maggiore rilievo della legge penale
applicabile, nonché alla sua evoluzione nell’arco della missione
UNMIK, si è già accennato. Ci si limiterà, pertanto, a tratteggiare le
principali fasi del trend seguito da una competenza che, come dimostrato
dal generico wording delle rilevanti Regulation, è potenzialmente estesa
all’intera materia penale: “[i]nternational judges [and prosecutors] shall
take responsibility for (…) criminal cases [and criminal investigations or
proceedings]”158
; “[a]t any stage in the criminal proceedings, (…) a
petition for an assignment of international judges/prosecutors (…) [may
be submitted]”159
.
Nella fase tra il 2000 ed il 2002, caratterizzata da un clima di
sicurezza alquanto incerto, la competenza materiale dei magistrati
internazionali si è focalizzata sui crimina juris gentium (genocidio,
crimini di guerra e contro l’umanità) perpetrati da quei pochi kosovari di
etnia serba ancora presenti nel territorio della provincia. Di fatto, per le
ragioni e con le modalità di cui si dirà ai paragrafi II.3 e III.2.2, i
magistrati internazionali sono subentrati agli omologhi locali nella
trattazione di casi da questi ultimi indagati, perseguiti ed aggiudicati in
violazione dei basilari principi dello stato di diritto. Constatata
l’impossibilità di procedere nei confronti di altri criminali di etnia
serba160
, il focus si è spostato su quelli di etnia albanese, cioè i membri
dell’UCK che hanno commesso crimini sia contro i serbi sia contro
albanesi “collaborazionisti” del regime serbo.
La mutazione dei modelli di comportamento criminale associati al
contesto sociale post-bellico ha fatto diventare prioritaria, dal 2000-
157 Il presente paragrafo (incluse le note ed esclusa la parte virgolettata), è stato curato dal
dott. Jason Uliana, ispettore della Guardia di Finanza presso la Financial Investigation
Unit in Kosovo (si veda infra alla nota 167). Le opinioni ivi contenute sono espresse a
titolo puramente personale e non rispecchiano la posizione ufficiale dell’ONU e
dell’amministrazione di appartenenza. 158 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.2 e 1.3 e Regulation n. 34 del 27
maggio del 2000. Corsivo nostro. 159 Section 1.2 e 1.3, Regulation n. 64 del 15 dicembre del 2000, Section 1.1. Corsivo
nostro. 160 La Regulation n. 1 del 12 gennaio del 2001 (Section 1) avrebbe, come già anticipato al
precedente paragrafo, precluso la possibilità di perseguire i contumaci per violazioni del
diritto internazionale umanitario.
CAPITOLO SECONDO 70
2001, la persecuzione di reati di diritto comune commessi per lo più
nelle zone cuscinetto con le enclaves serbe e motivati da un persistente
odio interetnico.
All’apparente stabilizzazione della provincia non è affatto
corrisposta una diminuzione del livello quanti-qualitativo della
criminalità. La presenza dell’ONU e della NATO sul territorio non ha,
infatti, impedito il radicamento di organizzazioni criminali e
terroristiche. Queste, che fissano le rotte dei traffici, le basi logistiche ed
i centri di riciclaggio sulla base di attente valutazioni, hanno trovato nel
Kosovo un vero e proprio “buco nero geopolitico” in cui prosperare161
.
Dal 2002 i reati di crimine organizzato e di terrorismo hanno, pertanto,
fatto il loro ingresso nella competenza materiale dei magistrati
internazionali, i quali hanno potuto perseguirli sulla base di apposite
Regulation emanate da UNMIK162
. I tumulti dilagati nel marzo del 2004
ai danni della minoranza serba in tutta la provincia hanno peraltro
rivelato l’esistenza di preoccupanti collegamenti tra le “mafie” locali ed i
fenomeni di violenza interetnica.
La consapevolezza che la stabilizzazione del Kosovo passa anche
attraverso la creazione di un sistema economico funzionante nel rispetto
delle regole di mercato ha comportato l’ennesimo ampliamento della
competenza materiale della componente giudiziaria internazionale.
“La proliferazione di condotte di allarme sociale connesse alla
repentina transizione dal sistema di pianificazione socialista al libero
mercato163
ha, infatti, indotto i vertici di UNMIK a reclutare, nel 2004,
un procuratore internazionale specificamente preposto alla conduzione di
indagini su reati economico-finanziari e per istruire processi anche
davanti a panel “ibridi”.
Le numerose gare frettolosamente indette per la collocazione sul
mercato del patrimonio economico-produttivo pubblico si sono rivelate
ghiotte occasioni per la commissione di reati di tipo economico-
finanziario come la turbativa d’asta, la collusione fra i partecipanti,
161 Si vedano R. AITALA e P. SARTORI, “Le strade del crimine non hanno confini” in I
Balcani non sono lontani (Quaderni Speciali di Limes, supplemento al n. 4/2005), pagg.
91-104; R. AITALA, “Pristina nuova capitale delle mafie” in Kosovo: lo Stato delle
Mafie, op. cit., pagg. 59-66. 162 Si veda supra al par. II.2.2. 163 Valutazioni di tipo tecnico tecnico-economico sull’entità da privatizzare sono spesso
state subordinate all’imperante necessità di produrre gettito a favore del bilancio
pubblico.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
71
l’estorsione, il peculato e la corruzione dei commissari preposti alla
valutazione delle offerte”164
.
Oltre che alla privatizzazione, il proliferare di complessi reati di tipo
economico-finanziario165 si connette ad un secondo non meno importante
processo giuridico-istituzionale in atto in Kosovo: l’accelerato
trasferimento di competenze in capo alle IPAG e la conseguente
intensificata attività di gestione finanziaria a livello locale.
Proprio nei gangli del potere locale si è manifestata la pesante
eredità “culturale” lasciata dalla Jugoslavia socialista, dove la corruzione
ed i connessi reati economico-finanziari erano tollerati in quanto
condotte necessarie per integrare magri stipendi e profitti ovvero per
ottenere, sotto forma di favori, servizi che lo Stato stentava ad erogare166
.
La percepita “normalità” dei fenomeni criminali a sfondo economico nel
quadro statuale della ex RSFJ, e più in generale dello Stato “a socialismo
reale”, invita a svolgere una riflessione di più ampio respiro sul deficit di
univocità concettuale che, ad oggi, si registra a carico della categoria dei
reati economico-finanziari. Al di là del minimo comune denominatore
della finalità di lucro e della perpetrazione in un contesto in cui
s’intrecciano potere politico ed economico, la considerazione dei
comportamenti di criminalità economica varia a seconda del sistema
giudiziario: ad una stessa fattispecie si associano sanzioni di natura
penale in alcuni sistemi e rimedi e sanzioni di diritto civile o
amministrativo in altri. La presenza di funzionari internazionali
provenienti da Stati e sistemi giuridici diversi ha fatto sì che in Kosovo
ci si esercitasse, dal 2003, sulla nozione di crimine economico-
finanziario con la finalità -più operativa che teorica- di fissare profili 164 Dall’incontro col dott. Andrea Venegoni, ex procuratore internazionale per i reati
economico-finanziari in Kosovo (2004-2006). Le opinioni contenute nel virgolettato
sono espresse a titolo puramente personale e non rispecchiano la posizione ufficiale
dell’ONU. 165 Per questi reati, le indagini si concentrano solitamente sull’analisi di un ingente
quantitativo di documenti, specialmente registri, documentazione bancaria, contabilità
pubblica e privata e qualsivoglia altro documento, più o meno formale, che possa
contenere informazioni di natura economica nonché finanziaria. 166 Deboli istituzioni locali inclini a pratiche clanico-clientelari e processi di massiccia
dismissione della proprietà pubblica fanno dei Balcani un contesto ideale per la
proliferazione dei reati economico-finanziari. Nella lista degli Stati più corrotti stilata nel
2006 dalla ong Transparency International, su un totale di 163 Paesi, la Serbia è
posizionata al 90° posto, la Bosnia-Erzegovina al 93° e la Macedonia al 105°. Oltre ai
manager delle imprese privatizzande ed ai funzionari pubblici kosovari, indagini e
procedimenti penali hanno riguardato anche individui della “galassia” internazionale: ad
esempio, nel 2004, il direttore di una ong impegnata nel favorire il ritorno degli sfollati;
nel 2005, uno staff member di UNMIK in servizio presso un’IPAG; entrambi sono stati
perseguiti per appropriazione indebita di fondi.
CAPITOLO SECONDO 72
definitori univoci. Presente nelle due unità investigative internazionali
specializzate sui reati economico-finanziari167
, la Guardia di Finanza si è
non di rado trovata ad interloquire con procuratori non italiani restii a
considerare illegali delle condotte che nel nostro ordinamento sono di
sicuro rilievo penale168
. A titolo esemplificativo, per tornare al processo
di privatizzazione, la collusione con la finalità di abbattere il prezzo di
aggiudicazione di una gara non veniva inizialmente considerata reato se
non in stretto collegamento ad un danno patrimoniale derivante da un
ribasso al di sotto del valore economico dell’entità privatizzata.
Numerosi incontri, tra gli investigatori della Guardia di Finanza ed i
procuratori internazionali incaricati delle indagini, si sono resi necessari
al fine di far maturare una communis opinio sulla natura patologica della
collusione. Espressione di profonde divergenze sulla concezione del
mercato e delle funzioni giudiziarie poste a presidio dello stesso, questo
esempio non è che la sineddoche degli ostacoli che si frappongono -
come già dimostrato dalla conferenza diplomatica del 1998 sullo Statuto
della CPI- alla realizzazione di una giurisdizione universale sui reati
economico-finanziario.
Da ultimo, va rimarcato che l’ambito di competenza dei magistrati
internazionali deborda la materia penalistica per sconfinare nel campo
civilistico. Si è già accennato all’esistenza, all’interno della Corte
Suprema, di una Camera Speciale avente giurisdizione esclusiva sulla
trattazione di ricorsi avverso decisioni ed azioni dell’Agenzia Fiduciaria
del Kosovo (AFK), un ente indipendente costituito da UNMIK nel
2002169
al fine di amministrare170
e privatizzare171
le imprese
167 Ci si riferisce alla Financial Investigation Unit (FIU) ed all’Investigation Task Force
(ITF). Composta, ad oggi, da Ufficiali e Sottufficiali della Guardia di Finanza (per un
totale di 13 unità), la FIU è stata istituita dalla Administrative Direction n. 3/2003
nell’ambito del I Pilastro di UNMIK e rappresenta la principale struttura investigativa in
Kosovo per la lotta alla corruzione e ai reati economico-finanziari. La FIU opera in forza
di un protocollo tripartito sottoscritto da UNMIK, l’Agenzia Europea per la
Ricostruzione (AER) ed il Governo italiano; l’intero costo dell’operazione è sostenuto
dall’AER, UNMIK fornisce strutture e mezzi, il governo italiano l’expertise della
Guardia di Finanza. L’ITF è il risultato di un accordo tripartito, concluso nel 2003, tra
l’OLAF (Ufficio Europeo per la lotta Anti Frode), l’ONU - Ufficio di Supervisione dei
Servizi Interni (Office of Internal Oversight Services - OIOS) ed UNMIK. L’ITF è
specializzata sulle indagini amministrative e, in particolare, su quelle riguardanti le
imprese di proprietà pubblica ovvero dei lavoratori. In rappresentanza di UNMIK, la FIU
-e, dunque, la Guardia di Finanza- partecipa all’ITF con due dei suoi membri. 168 Sul tema della privatizzazione in Kosovo (e dei reati connessi) si veda A. DE
RIENZO, “Il programma di privatizzazione in Kosovo” in Y. BATAILLE, La lotta per il
Kosovo -Quaderni di Geopolitica, n. 6, Parma, pagg. 79-104. 169 Regulation n. 12 del 13 giugno del 2002, emendata dalla Regulation n. 18 del 22
aprile del 2005. La Camera Speciale può deferire specifici ricorsi, categorie di ricorsi, o
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
73
pubbliche172
. L’attribuzione della descritta competenza, per quanto
eccentrica rispetto alla materia penale, trova comunque la sua ratio
nell’elevata valenza politica -e negli inevitabili risvolti sulla convivenza
interetnica- di un processo di privatizzazione di asset pubblici che,
nell’incertezza sullo status definitivo del Kosovo, incrocia
inevitabilmente le pretese di proprietà rivendicate dal governo di
Belgrado.
La patologia dei rapporti in materia di diritti proprietari relativi al
patrimonio residenziale173
rientra, solo in parte, nella giurisdizione dei
magistrati internazionali. Un panel di tre giudici -di cui almeno due
internazionali- nominati dal RSSG, su raccomandazione del DG, è
competente a conoscere i ricorsi avverso le decisioni, emesse dalle
competenti autorità municipali, di diniego di registrazione di un contratto
di vendita reale174
. In materia di proprietà residenziale, il restante ambito
di giurisdizione è stato sin dall’inizio della missione riservato, “as an
exception to the jurisdiction of the local courts”175
ad un organo “quasi-
giudiziario”, la Commissione per i Ricorsi in materia di Proprietà
Immobiliare (CRPI), competente a trattare -in regime di esclusiva176
e
con potere decisorio definitivo177
- i casi ad essa deferiti da un’omonima
parti di essi, a qualsiasi corte che abbia la necessaria competenza ratione materiae; in tal
caso, la Camera Speciale avrà giurisdizione sui ricorsi in appello (Section 4.2 e 4.3). Le
persone che reclamino diritti di proprietà, i creditori e altre persone che possano vantare
un interesse finanziario diretto sono soggetti titolati ad introdurre ricorsi contro la AFK
ovvero le imprese e le società poste sotto la sua amministrazione (Section 5). Le decisioni
della Camera Speciale sono definitive (Section 9.7). 170 Regulation n. 12 del 13 giugno del 2002, Section 2.1. 171 Ibidem, Section 6, 8, 10. 172 Occorre distinguere tra “imprese di proprietà pubblica” (publicly-owned enterprises) e
“imprese di proprietà dei lavoratori” (socially-owned enterprises). Le prime sono imprese
statali mentre le seconde possono essere assimilate ai modelli cooperativi. 173 Ci si riferisce alle tre ipotesi contemplate dalla Regulation di cui alla nota successiva
(Section 1.2): a) revoca dei diritti di proprietà, possesso o occupazione del patrimonio
immobiliare residenziale a causa della legislazione discriminatoria, nelle intenzioni
ovvero nella sua applicazione, adottata dopo il 23 marzo del 1989; b) transazioni
informali successive al 23 marzo del 1989 per l’acquisto dei diritti di proprietà su beni
immobili residenziali; c) perdita, non volontaria, dei diritti di proprietà su beni immobili
residenziali dopo il 24 marzo del 1999. Sul significato delle due date si è ampiamente
detto supra. 174 Regulation n. 17 del 22 agosto del 2001, Section 7. 175 Regulation n. 23 del 15 novembre del 1999, Section 1.2. Tale limite sussisterà “until
the [RSSG] determines that local courts are able to carry out the functions entrusted to
the Commission”. 176 Ibidem, Section 2.5. 177 Ibidem Section 2.7
CAPITOLO SECONDO 74
Direzione178
. In quanto a composizione, la CRPI si rifaceva al modello
delle corti “ibride”: “[it] shall (…) be composed of one Panel of two
international and one local members”179
; agli internazionali non si
richiedeva espressamente di possedere la qualifica di magistrati nei Paesi
d’origine: era sufficiente che essi fossero “experts in the field of housing
and property law and competent to hold judicial office”180
. Nel marzo del
2006, un nuovo ente indipendente, l’Agenzia per la Proprietà del Kosovo
(APK), è subentrata al quadro istituzionale sopra descritto per
completarne il mandato anche con riferimento a controversie sui diritti di
proprietà terriera e commerciale181
. Un organo quasi-giudiziario, la
Commissione per i Ricorsi Proprietari (CRP), è istituito all’interno della
APK, conservando la composizione “ibrida” della CRPI182
; di assoluta
novità è il fatto che le sue decisioni possono essere impugnate in appello
dinanzi alla Corte Suprema, che giudicherà attraverso un panel composto
da due giudici internazionali ed un giudice locale183
. Di un’ulteriore
evoluzione relativa alla competenza materiale civilistica si darà
menzione più avanti al par. III.3.1.
II.2.4 La competenza ratione temporis
I magistrati internazionali non operano nell’ambito di una
giurisdizione speciale costituita per trattare solo ed esclusivamente
fattispecie criminose connesse e/o contestuali a vicende belliche, ma
sono inseriti nell’ordinario sistema penalistico locale, potenzialmente
competenti rispetto a “new and pending (…) investigations or
proceedings/cases [corsivo nostro]”184
. Ne deriva che la loro competenza
temporale copre, in potenza, una durata sicuramente più ampia della
parentesi cronologica del conflitto armato kosovaro. Il dies a quo di
questa durata sarebbe “elastico” e si situerebbe tanto indietro nel tempo
178 Si tratta della Direzione per i Ricorsi in materia di Proprietà Immobiliare (DRPI), una
struttura a guida UNMIK, materialmente gestita dal personale di HABITAT, organo
sussidiario dell’AG specializzato nella promozione di modelli urbani socialmente ed
ecologicamente sostenibili al fine di garantire il diritto alla casa di tutti. Per una disamina
critica dell’operato della DRPI, si veda B. VAGLE, F. DE MEDINA - ROSALES, An
evaluation of the Housing and Property Directorate in Kosovo, NORDEM Report
12/2006. 179 Ibidem, Section 2.2. 180 Ibidem. 181 Regulation n. 10 del 4 marzo del 2006, emendata dalla Regulation n. 50 del 16
Ottobre del 2006. 182 Ibidem, Section 7.1-2. 183 Ibidem, Section 12.8. 184 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.2 e 1.3 e Regulation n. 34 del 27
maggio del 2000, Section 1.2 e 1.3.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
75
quanto sono lunghi i termini di prescrizione previsti dalla legge vigente
al momento della commissione del reato185
; mentre il dies ad quem
coinciderebbe con una deadline per la trattazione di nuovi casi, allo stato
non ancora fissata ma necessaria nella prospettiva di una previdente
exit/completion strategy per la presenza giudiziaria internazionale.
Il periodo del conflitto armato kosovaro sine dubio rientra nella
giurisdizione temporale dei magistrati internazionali. Esso, secondo la
più formalistica delle periodizzazioni, avrebbe avuto inizio, in quanto
conflitto armato interno, il 31 marzo del 1998, allorquando il CS
dell’ONU, auspicando nella risoluzione n. 1160 (sull’embargo delle armi
all’allora RFJ), una “peaceful solution to the situation in Kosovo”,
implicitamente riconobbe l’esistenza di una situazione di conflitto
armato tra le forze governative serbo-jugoslave e l’UCK;
successivamente a quella data, il conflitto si sarebbe internazionalizzato
per poi concludersi tra l’8 ed il 20 giugno del 1999, con la firma,
rispettivamente, dell’Accordo Tecnico-Militare di Kumanovo tra NATO
e RFJ e di un’intesa politico-militare tra NATO e UCK186
.
La natura -interna e/o internazionale- del conflitto armato ha cruciali
implicazioni giuridiche. Il conflitto armato interno è sottoposto ad un
regime normativo specifico, risultante dall’art. 3 comune alle quattro
Convenzioni di Ginevra del 12 agosto del 1949 e dall’intero II Protocollo
Aggiuntivo dell’8 giugno del 1977 che tale articolo integra e sviluppa; il
conflitto armato internazionale è, invece, disciplinato dall’intero corpus
convenzionale ginevrino (escluso l’art. 3 comune) quale integrato dal I
Protocollo Aggiuntivo (anch’esso dell’8 giugno del 1977). La
perseguibilità di una particolare categoria di crimini -le c.d. “grave
185 In linea teorica, i magistrati internazionali potrebbero trattare anche reati commessi in
un qualsiasi momento precedente il formale inizio del loro dispiegamento (15 febbraio
del 2000), purché la legge vigente al tempus commissi delicti preveda per quella tipologia
di reato dei termini di prescrizione sufficientemente lunghi da permetterne ancora la
perseguibilità. 186 Va precisato che entrambi gli accordi non riguardano la pace tra le parti del conflitto
armato interno (invero giammai conclusa) bensì, rispettivamente, la fine di quello
internazionale tra la RFJ e NATO, e la smilitarizzazione dell’UCK e la sua
trasformazione in Corpo di Protezione del Kosovo sul modello delle protezioni civili
occidentali. Tuttavia, per i loro contenuti, gli accordi si prestano a demarcare l’estremo
temporale di chiusura della guerra civile kosovara, dal momento che sanciscono, sia pure
con modi e tempi diversi, la desistenza di entrambe le parti. L’accordo di Kumanovo
stabilì la cessazione delle ostilità da parte delle forze serbo-jugoslave “against any person
in Kosovo” ed il loro graduale ritiro dalla provincia entro il termine massimo di 11 giorni
(cioè entro il 20 giugno del 1999); l’intesa NATO-UCK stabilì la smilitarizzazione del
sedicente esercito di liberazione entro 90 giorni (cioè entro il 19 settembre del 1999).
CAPITOLO SECONDO 76
breaches”187
- è ancorata al carattere internazionale del conflitto armato e,
conseguentemente, al possesso, da parte delle “protected persons”, dello
status di “nationals” di uno Stato diverso da quello cui fanno capo gli
autori del crimine188
. Essendo l’ex RFJ parte di tutti i menzionati
strumenti internazionali189
, le norme in essi contenuti risultano
applicabili in quanto diritto interno, laddove siano state trasposte
nell’ordinamento nazionale, ovvero direttamente come diritto
internazionale ex art. 210 della Costituzione Federale del 1974.
Ai fini dell’applicazione delle rilevanti norme di jus in bello, è
plausibile considerare quello kosovaro come un conflitto armato interno,
internazionalizzatosi progressivamente190
: dapprima, sul piano
meramente normativo, in forza della risoluzione del CS dell’ONU n.
1199 del 23 settembre del 1998, accertante, per la prima volta,
l’esistenza di una “minaccia alla pace ed alla sicurezza della regione”
connessa al “rischio di una catastrofe umanitaria”191
; in seguito, anche
sul piano fattuale, con l’intervento della NATO il 24 marzo del 1999192
.
187 Art. 50 della I Convenzione di Ginevra (CG), art. 52 della II CG, art. 130 della III CG,
art. 147 della IV CG, artt. 11, par. 4 e 85, parr. 2-4 del I Protocollo Aggiuntivo, trasposti
negli artt. 142-143 del CPRFJ. 188 N. WAGNER, “The development of the grave breaches regime and of individual
criminal responsibility by the ICTY” in International Review of the Red Cross, June
2003, vol. 85, n. 850, pagg. 351-383. 189 L’ex RSFJ -della cui soggettività giuridica internazionale la RFJ si è dichiarata
continuatrice- aveva ratificato le quattro Convenzioni di Ginevra il 21 aprile del 1950 e i
due Protocolli Aggiuntivi l’11 giugno del 1979. 190 Il conflitto armato tra RFJ e UCK avrebbe potuto essere definito da subito
“internazionale”, se la comunità internazionale avesse avallato l’auto-rappresentazione
dell’UCK come “movimento di liberazione nazionale”, attivando, in tal modo, la norma
di cui all’art. 1.4 del I Protocollo Aggiuntivo del 1977 delle Convenzioni di Ginevra, che,
a prescindere di qualsivoglia requisito materiale dei ribelli, considera di rilievo
intrinsecamente internazionale i conflitti condotti per l’autodeterminazione. Si vedano:
N. RONZITTI, “War of National Liberation – A Legal Definition” in Italian Yearbook of
International Law, 1975, pag. 192 e ss.; S.A. EGOROV, “The Kosovo crisis and the law
of armed conflicts” in International Review of the Red Cross, n. 837, pagg. 183-192. 191 La grave ed estesa violazione dei diritti umani, accertata dal massimo organo politico
della comunità internazionale, è oggi considerata da parte della dottrina (si veda V.
GRADO, Guerre Civili e Stati Terzi, op. cit.) come uno dei moderni fattori di
internazionalizzazione dei conflitti armati interni. La guerra civile accompagnata da una
crisi umanitaria di dimensioni significative si internazionalizzerebbe non già per ragioni
di fatto (e.g. l’intervento di Stati terzi, l’effettivo controllo del territorio da parte delle
fazioni in lotta) bensì per il qualificato interesse della comunità internazionale alla
protezione dei diritti umani. 192 Il conflitto kosovaro non può essere inquadrato come una guerra civile
internazionalizzatasi in esito alla dinamica “classica” dell’effettivo, duraturo ed
indipendente esercizio del potere di governo, da parte del movimento ribelle, su tutta o su
una parte della comunità territoriale; infatti, se si eccettua la fase successiva
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
77
Pur non potendosi provare, sulla base degli elementi ad oggi disponibili,
l’esistenza un “effective193
/overall194
control” della NATO sull’UCK195
,
è ragionevole ritenere che l’intervento di quest’ultima abbia decisamente
alterato i rapporti di forza sul terreno in favore dell’elemento albanese196
.
Va respinta la tesi secondo cui il conflitto armato kosovaro avrebbe
subito, dal 24 marzo del 1999, non già una modificazione qualitativa (da
interno ad internazionale) bensì uno sdoppiamento (al fianco del
conflitto interno tra forze serbo-jugoslave e UCK si sarebbe sviluppato
un autonomo conflitto internazionale tra NATO e RFJ)197
. Un tale
all’intervento della NATO, è arduo provare la tesi secondo cui le milizie UCK abbiano
controllato una parte del Kosovo stabilmente e senza il concorso di soggetti
internazionali terzi. 193 Il test dell’effective control, elaborato dalla CIG, chiederebbe, invece, di verificare
“whether or not the relationship” tra UCK e NATO “was so much one of dependence on
the one side and control on the other that it would be right to equate” l’UCK, “for legal
purposes, with an organ of” NATO “or as acting on behalf of” NATO (Military and
Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicar. v. U.S.), Jurisdiction and
Admissibility, 1984 ICJ REP. 392, June 27, 1986, par. 109). 194 Il test dell’overall control, elaborato dal TPIJ, chiederebbe di provare che la NATO ha
avuto “a role in organising, coordinating or planning the military actions” dell’UCK “in
addition to financing, training and equipping or providing operational support to that
group” e che detto ruolo non si è spinto “so far as to include the issuing of specific
orders” da parte della NATO, “or its direction of each individual operation” (Prosecutor
v. Tadic, T-94-1-A, Judgement, 15 July 1999, para. 137). Il TPIJ non ha, nei casi trattati,
attribuito natura internazionale al conflitto armato kosovaro. Da alcuni atti del TPIJ
risulta, al contrario, un’implicita catalogazione del conflitto armato kosovaro, tra il 1998
ed il 1999, tra le guerre interne. Ai par. 13 e 19 degli atti di accusa contro,
rispettivamente, Limaj et alii (caso n. IT-03-66-I) e Haradinaj et alii (caso n. IT-04-84-
I), il Procuratore ha precisato che, nel periodo di tempo rilevante per l’accusa, gli
imputati erano tenuti a rispettare il vigente jus in bello, ivi incluse le Convenzioni di
Ginevra del 1949 ed il II Protocollo Aggiuntivo, che sappiamo riferirsi ai conflitti armati
interni. 195 Opportuno sarebbe indagare sulla fondatezza di talune asserzioni “giornalistiche” che,
nei giorni dell’operazione aerea Allied Force, descrivevano l’UCK come “fanteria della
NATO” e la sua organizzazione territoriale come “base per il dispiegamento delle truppe
di terra della NATO”. 196 Disattendendo il test dell’overall control elaborato con riferimento al caso Tadic,
alcune successive sentenze del TPIJ (Blaskic, IT-95-14, Judgement, 3 March 2000, e
Kordic and Cerkez, IT-95-14/2-T, Judgement, 26 February 2001) hanno considerato
condizione sufficiente per l’internazionalizzazione l’intervento militare di uno Stato terzo
che solo indirettamente produca effetti su un autonomo conflitto interno. Volendo
modellizzare: dato un conflitto armato tra A e B, se lo Stato C interviene contro A, pur
non supportando B, il conflitto tra A e B dovrà considerarsi internazionalizzato in quanto
la distrazione di forze militari di A sul fronte C, indirettamente favorisce B, che vede
alleggerita la pressione militare su di sé e può eventualmente avvantaggiarsene contro A. 197 Elementi per una tale tesi potrebbero dedursi dalla giurisprudenza del TPIJ
(Prosecutor v. Tadic, cit., par. 84): “an (…) armed conflict breaking out on the territory
CAPITOLO SECONDO 78
approccio è da respingere perché fondato sull’implicita premessa della
neutralità della NATO rispetto alle parti del conflitto interno; esso
sarebbe, inoltre, contrario al fine ed allo spirito del diritto internazionale
umanitario -assicurare la massima protezione possibile alle varie
categorie di persone coinvolte nelle ostilità- in quanto renderebbe
possibile, limitatamente a fatti successivi al 24 marzo, un’applicazione
differenziata dello jus in bello, assicurando maggiore tutela alle persone
coinvolte nel “segmento” internazionale del conflitto198
.
Volendo assumere un approccio più attento alla sostanza e
maggiormente cautelativo dell’interesse pubblico internazionale alla
repressione dei crimina juris gentium (e, specularmente, alla protezione
delle vittime di abusi), l’inizio della fase interna del conflitto andrebbe
retrodatata di alcuni giorni, cioè all’escalation di scontri e violenze
cominciata verso la fine di febbraio del 1998199
; d’altra parte, il termine
finale dovrebbe essere spinto più innanzi nel tempo, almeno fino al
giorno dell’effettivo ritiro delle forze serbo-jugoslave e dell’effettivo
disarmo dell’UCK200
; ancor più cautelativamente si potrebbe far
riferimento, in applicazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949201
, al
giorno in cui entrambe le parti in lotta avrebbero concluso la reciproca
riconsegna di prigionieri di guerra nonché di civili arrestati per ragioni
connesse alle ostilità.
Infine, guardando al nuovo CPP, i principali profili temporali della
competenza dei magistrati internazionali possono essere così sintetizzati:
divieto di retroattività della legge penale202
(fatto salvo il principio del
of a State (…) may (…), depending upon the circumstances, be international in character
alongside an internal armed conflict”. 198 Sul punto si veda J. G. STEWART, “Towards a single definition of armed conflict in
international humanitarian law: a critique of internationalized armed conflict” in
International Review of the Red Cross, June 2003, vol. 85, n. 850, pagg. 313-350. 199 Benché abbia ad oggetto tutt’altra materia (i.e. la risoluzione delle controversie in
materia di diritti proprietari), la Regulation n. 10 del 4 marzo del 2006, alla Section 2.1,
considera come estremi temporali del conflitto armato il 27 febbraio del 1998 ed il 20
giugno del 1999. 200 In tal modo, potrebbero essere perseguiti in quanto crimini di guerra gli abusi
commessi dagli albanesi kosovari contro le etnie minoritarie del Kosovo (serbi, rom,
ashkali, egiziani, gorani) nei mesi successivi alla fine dell’intervento NATO. Il
coinvolgimento di membri del Corpo di Protezione del Kosovo in crimini a sfondo
interetnico inducono a nutrire seri dubbi sulla sua natura di corpo di protezione civile
nonché sull’effettivo completamento del disarmo dell’UCK. 201 In particolare, dell’art. 6 della III Convenzione di Ginevra, dell’art. 6 della IV CG,
dell’art. 3 del I Protocollo Aggiuntivo (PA) e dell’art. 2 del II PA. 202 “The law in effect at the time a criminal offence was committed shall be applied to the
perpetrator” (art. 2, par.1 del CPP).
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
79
favor rei203
); applicabilità dei termini di prescrizione dei reati fissati
secondo un sistema “a scaglioni”204
; inapplicabilità dei citati termini ai
crimini di genocidio, di guerra e contro l’umanità “as well as [to] other
criminal offences to which statutory limitation cannot be applied under
international law”205
(principio di imprescrittibilità dei crimina juris
gentium).
II.2.5 La competenza ratione loci
Quanto alla competenza ratione loci, essa copriva originariamente
solo i crimini commessi in uno dei cinque distretti giudiziari della
provincia: “appointments [of international judges and prosecutors] shall
be made to the District Court of Mitrovica and, other courts within the
territorial jurisdiction of the District Court of Mitrovica and offices of
the prosecutor with corresponding jurisdiction”206
.
Già tre mesi dopo, la giurisdizione territoriale veniva estesa anche
agli altri quattro distretti: “appointments shall be made to any court or
public prosecutor’s office in the territory of Kosovo”207
.
Con l’entrata in vigore del CPP del Kosovo, nell’aprile del 2004, si è
realizzata un’ulteriore espansione, giacché, il Capo XI208
, a complemento
del tradizionale principio della giurisdizione territoriale (art. 99)209
, ha
introdotto nell’ordinamento locale il principio della giurisdizione extra-
territoriale. Essendo i magistrati internazionali tenuti ad applicare il
diritto locale, una tale previsione ha automaticamente inciso sul raggio
spaziale della loro competenza. L’art. 100210
ha declinato
l’extraterritorialità nella forma di principio di giurisdizione penale
universale, riferendolo non solo a fattispecie tradizionali, come i crimina
juris gentium (genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra) e
203 “In the event of a change in the law applicable to a given case prior to a final decision,
the law more favourable to the perpetrator shall apply” (ibidem, art. 2, par. 2). 204 Ibidem, artt. 90 e 92 del CPP. Le due disposizioni stabiliscono termini di prescrizione
per la perseguibilità dei reati e per l’esecuzione di sentenze di condanna, la cui durata è
direttamente proporzionale alle pene associate ai reati stessi. 205 Ibidem, art. 95. 206 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.1. 207 Regulation n. 34 del 27 maggio del 2000, Section 1.1. 208 Applicability of Criminal Laws of Kosovo According to the Place of the Commission
of the Criminal Offence. 209 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Persons Committing Criminal Offences
on the Territory of Kosovo. Nella nozione di “territory of Kosovo” sono inclusi gli
aeromobili civili registrati in Kosovo, a prescindere dal luogo in cui effettivamente si
trovino nel momento in cui il reato è stato commesso (art. 99, par. 2). 210 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Specific Criminal Offences Committed
Outside the Territory of Kosovo.
CAPITOLO SECONDO 80
la pirateria, ma anche ad altre figure di reato: gli atti di terrorismo211
(ivi
inclusi quelli commessi contro il Kosovo ed i suoi residenti212
), la
riduzione in schiavitù213
, il traffico di esseri umani214
, la messa in
pericolo di personale internazionale215
, la cattura di ostaggi216
e la
contraffazione di moneta217
; gli artt. 101218
e 102219
, hanno, inoltre,
connesso il principio di giurisdizione penale universale ai criteri della
“nazionalità” attiva e passiva.
Entrando in vigore contestualmente al CPP, il CPPP ha disciplinato i
profili procedurali della competenza territoriale, prevedendo, come
regola generale, che essa “shall (…) be vested in the court within whose
territory a criminal offence has been committed or attempted or where its
consequence occurred”220
. Tra le eccezioni alla regola è degna di rilievo
l’ipotesi in cui tanto il locus commissi delicti quanto la residenza
dell’autore del crimine sono siti al di fuori del territorio del Kosovo: in
tal caso, la competenza territoriale sarà assegnata al forum
deprehensionis221
.
II.2.6 La competenza ratione personae
Come si dirà meglio più avanti (par. II.4.3), la competenza ratione
personae delle corti “ibride” kosovare in materia di crimina juris
gentium è speculare a quella del TPIJ, essendo la strategia accusatoria di
quest’ultimo focalizzata sui criminali di più elevato livello, mentre
quella delle prime, in via residuale, sui criminali di rango medio-basso.
Quanto all’universo dei reati ordinari, la competenza personale delle
corti “ibride”, quale da ultimo definita dal nuovo CPP, non incontra
limitazioni di rilievo, se non quelle previste dalla legge per la
magistratura locale.
Viene, anzitutto, in rilievo l’art. 99: “[t]he criminal laws of Kosovo
apply to any person” [corsivo nostro] che commetta un reato sul
211 Artt. 132-135 del CPP. 212 Ibidem, art. 110. 213 Ibidem, art. 137. 214 Ibidem, art. 139. 215 Ibidem, artt. 141-142. 216 Ibidem, art. 143. 217 Ibidem, art. 244. 218 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Residents of Kosovo and Other Persons
Committing Criminal Offences Outside the Territory of Kosovo. 219 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Foreign Citizens Committing Criminal
Offences Outside the Territory of Kosovo. 220 Art. 27, par. 1 del CPPP. Lo stesso criterio si applica alla procura (ibidem, art. 49, par.
1). 221 Ibidem, art. 30, par. 3.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
81
territorio del Kosovo. L’indefinito “any” (qualsiasi) sottolinea
l’irrilevanza della nazionalità dell’autore del reato, purché dotato della
capacità di intendere e di volere222
e dell’età di almeno 14 anni223
.
In secondo luogo, va considerato l’art. 100 sulla giurisdizione penale
universale: “[t]he criminal laws of Kosovo apply to any person” [corsivo
nostro] che commetta, al di fuori del territorio del Kosovo, uno dei reati
(in sostanza i crimina juris gentium) elencati. Anche in questo caso,
“any” rimarca l’irrilevanza della nazionalità del trasgressore.
Infine, i principi di “nazionalità” attiva e passiva, accennati trattando
della giurisdizione extra-territoriale, trovano a questo punto del discorso
la sede logicamente più opportuna per essere approfonditi. Va, anzitutto,
chiarito che le virgolette intendono segnalare un uso improprio del
termine: la pendente questione dello status definitivo del Kosovo ha
obbligato il legislatore onusiano a “mimetizzare” la nozione politica di
“citizen of Kosovo” -implicante quella assai imbarazzante di “sovranità
del Kosovo”- nel concetto burocratico-anagrafico -pertanto politicamente
neutro- di “resident of Kosovo”224
. Secondo i già citati artt. 101 e 102 del
CPP, i reati commessi al di fuori del territorio del Kosovo da residenti
kosovari ovvero da cittadini stranieri contro residenti kosovari sono
perseguibili secondo la legge penale kosovara e, come tali,
potenzialmente trattabili anche da panel “ibridi”225
. Affinché i principi in
parola possano essere attivati, si richiede che gli atti dal CPP qualificati
come “criminal offences” siano punibili anche nel luogo in cui sono stati
commessi. Per la perseguibilità dei cittadini stranieri è posta una
condizione aggiuntiva: essi devono trovarsi in Kosovo ovvero devono
esservi stati estradati.
Un approfondimento merita il tema della perseguibilità di individui
facenti capo alla forza militare NATO ed alla missione civile UNMIK
222 Art. 11, par. 1 del CPP. 223 Ibidem, par, 2 e art. 105. Per i reati commessi da minori (individui di età compresa tra
gli 8 ed i 14 anni), si rimanda ad una legge ad hoc (il 20 aprile del 2004, con la
promulgazione della Regulation n. 8, è entrato in vigore il Codice Provvisorio di
Giustizia Minorile). Analogo rimando è fatto per i reati commessi da persone giuridiche
(ibidem, art. 106). 224 L’art. 107, par. 20 del capo XII (Meaning of the Terms in the Present Code) precisa:
“[t]he term «resident of Kosovo» means a person who is registered, or is eligible to be
registered, as a habitual resident of Kosovo with the Central Civil registry, in accordance
with UNMIK Regulation No. 2000/13 of 17 March 2000 on the Central Civil Registry”.
Detta Regulation pone alternativamente tre requisti per il riconoscimento di una persona
come “residente abituale del Kosovo”: la nascita in Kosovo, l’esser nati da almeno un
genitore kosovaro, la dimostrazione di aver risieduto in Kosovo per almeno cinque anni
continuativi. 225 Art. 101, par. 2 e art. 102 par. 2.
CAPITOLO SECONDO 82
intervenute in Kosovo. Il punto 3 dell'Allegato B dell'Accordo di
Kumanovo tra NATO e RFJ specificava che né la missione KFOR né
alcuno degli Stati partecipanti ed il relativo personale avrebbero potuto
essere considerati responsabili per qualsiasi danno a proprietà pubbliche
o private arrecato nell'esercizio dei doveri correlati all'attuazione
dell’Accordo. Era, inoltre, prevista la conclusione di un Accordo sullo
Stato delle Forze Armate (ASFA) “as soon as possible”. Quest’ultimo è
stato surrogato da un semplice Memorandum d’Intesa tra gli Stati
partecipanti a KFOR226
.
La Dichiarazione Congiunta UNMIK-KFOR del 17 agosto del 2000
ha stabilito la totale immunità da ogni forma di procedimento legale da
parte degli individui delle rispettive missioni. Il giorno successivo, la
Regulation UNMIK n. 47 ha fissato, con efficacia retroattiva dal 10
giugno del 1999 (cioè dalla fine dell’operazione Allied Force), “status,
privilegi ed immunità di KFOR ed UNMIK e del loro personale in
Kosovo”.
Per quanto riguarda il personale KFOR, è stata esplicitamente
prevista l’immunità dalla giurisdizione penale (oltre che amministrativa
e civile) delle corti kosovare, e si è affermata l’esclusiva competenza dei
rispettivi “sending States” (art. 2.4); la rinuncia all’immunità dei militari
può essere decisa dal rispettivo comandante del contingente nazionale
d’appartenenza. Una tale formulazione sembrerebbe aver escluso, sia
pure implicitamente, l’esercizio della giurisdizione penale anche da parte
del TPIJ227
, nonché della CPI ovvero di corti straniere che intendessero
avvalersi del principio di giurisdizione universale. Tuttavia,
226 Si veda RONZITTI, Le operazioni multilaterali all’estero a partecipazione italiana -
Profili giuridici, Servizio Studi del Senato della Repubblica (XV Legislatura), n. 44,
maggio 2006, pag. 13. 227 Già il 2 giugno del 2000, il Procuratore Capo del TPIJ aveva informato il CS
dell’ONU della sua decisione di non aprire un’indagine sulle violazioni del diritto
internazionale umanitario presuntivamente commesse da individui (i vertici militari e
politici) della NATO attraverso la campagna di bombardamenti cui fu sottoposta la RFJ
dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet. Nell’aprile del 1999 l’ex RFJ ha citato in
giudizio dinanzi alla CIG i dieci Stati della NATO partecipanti all’operazione aerea
Allied Force per presunto uso illecito della forza. In attesa di una pronuncia sui casi, ci si
è chiesto, in dottrina (M. A. DRUMBL, “Looking up, down and across: the ICTY’s place
in international legal order” in New England Law Review, vol. 37:4, 2003, pag. 1047), se
il Procuratore del TPIJ avrebbe dovuto riconsiderare la sua iniziale decisione di non
indagare sulla responsabilità penale individuale dei vertici NATO alla luce di
un’eventuale sentenza della CIG che avesse dato soddisfazione all’ex RFJ. Le sentenze
emesse il 15 dicembre 2004 hanno fatto venir meno tale ipotesi, in quanto la CIG ha
dichiarato di non avere giurisdizione sui reclami introdotti dall’allora RFJ, in quanto
questa al tempus commissi delicti non era Stato membro dell’ONU né ipso facto Stato
parte dello Statuto della stessa Corte.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
83
interpretando estensivamente e per analogia quanto previsto dall’art. 19
(Rules concerning UN privileges and immunities) dell’Accordo del 4
ottobre del 2004 che disciplina le relazioni tra la CPI e ONU, c’è da
ritenere che la presunta commissione di gravi violazioni di norme di jus
cogens comporterebbe l’automatica perdita delle immunità godute da
militari KFOR e, dunque, la teorica possibilità per le corti kosovare,
come per il TPIJ -in regime di concorrenza e primato con le corti
nazionali competenti (in sostanza quelle dei “sending States”)- di
procedere contro presunti criminali dei contingenti della forza NATO
anche per violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in
vigore della Regulation n. 47, e cioè durante l’intervento militare c.d.
“umanitario”228
.
Meno “spinta” è la previsione riguardante il personale UNMIK (art.
3): la più ampia immunità dalla giurisdizione civile e penale delle corti
kosovare è riconosciuta solo alle maggiori cariche di UNMIK; per il
resto del personale (incluso quello reclutato in loco), si prevede una non
meglio specificata immunità “from legal process in respect of (…) acts
performed (…) in the[ir] official capacity” (art. 3.3). Per entrambe le
categorie di soggetti, l’organo competente a decidere sulla rinuncia
all’immunità è il SG dell’ONU229
.
II.3 Il rapporto col sistema giudiziario locale ed i profili
organizzativi in prospettiva diacronica
E’ bene precisare che i magistrati internazionali non sono stati
introdotti nel sistema giudiziario kosovaro secondo uno schema
organizzativo-funzionale predefinito, bensì secondo un approccio
pragmatico, “per approssimazioni successive” stimolate da situazioni
critiche contingenti.
228 Sul punto si veda il rapporto di Amnesty International The apparent lack of
accountability of international peace-keeping forces in Kosovo and Bosnia-Herzegovina,
April 2004, pag. 8. Sul tema immunità-jus cogens si veda L.M. CAPLAN, “State
Immunity, Human Rights, and Jus Cogens: a Critique of the Normative Hierarchy
Theory” in American Journal of International Law, vol. 97, 2003, pagg. 741-781. 229 Va fatta menzione dell’esistenza in Kosovo di una figura giuridico-istituzionale di
derivazione scandinava, l’Ombudsperson, competente a raccogliere denunce di abusi dei
diritti umani commessi da qualsivoglia persona o ente in Kosovo. Istituito dalla
Regulation UNMIK n. 38/2000 e nominato dal RSSG, l’Ombudsperson aveva,
inizialmente, giurisdizione anche su UNMIK ma non su KFOR. Dal febbraio del 2006, il
nuovo Ombudsperson (Regulation UNMIK n. 6/2006), nominato dall’Assemblea del
Kosovo, non ha più giurisdizione su UNMIK ma unicamente sulle IPAG. Nel marzo del
2006, UNMIK ha istituito un organo, il Consiglio Consultivo per i Diritti Umani, che
potrà ricevere ricorsi contro il personale della missione ONU. Si veda infra al par. II.4.6.
CAPITOLO SECONDO 84
Allarmante era il vuoto di cariche giudiziarie presentatosi ai primi
peace-keeper dell’ONU accorsi in teatro230
:
a) la maggioranza dei giuristi kosovaro-albanesi non esercitava
dal 1989, cioè da quando la magistratura era stata “serbizzata”, e per di
più la loro unica esperienza risaliva al sistema giudiziario comunista,
che, dal 1946 al 1989, aveva visto il partito controllare ogni
procedimento giudiziario;
b) i pochi giuristi di etnia albanese, che avevano continuato ad
esercitare sotto il regime oppressivo di Milosevic231
, erano invisi alla
loro stessa comunità, che li tacciava di “collaborazionismo”;
c) la stragrande maggioranza dei giuristi serbi aveva
abbandonato la provincia sotto le minacce e la violenza della
popolazione albanese ed i pochi rimasti avevano deciso, sotto le
pressioni di Belgrado, di abbandonare la magistratura e boicottare
l’amministrazione transitoria UNMIK.
Volendo tenersi al riparo da accuse di neo-colonialismo, UNMIK
respinse la proposta dell’OSCE di reclutare magistrati internazionali232
e
rispose alla cronica mancanza di giuristi limitandosi a creare un Sistema
Giudiziario di Emergenza (SGE) composto soltanto da kosovari che
potessero provare un’adeguata “familiarità” con la materia giudiziaria233
.
Ciò che risultò dal processo di selezione condotto da un’apposita
commissione fu una magistratura quasi interamente albanese234
.
Il SGE si rivelò da subito inadeguato sia sotto il profilo dei numeri
che della qualità. Poco più di una cinquantina di magistrati, tra giudici e
230 Sulla situazione del sistema giudiziario kosovaro all’indomani della guerra del 1998-
99 si veda M. JUSTMAN KAMAN, “To Live and Work in Kosovo, Justice in the
Aftermath of War” in Criminal Justice, 2004. 231 Una trentina su un totale di oltre 750 alla vigilia della crisi del 1998-99. 232 “In the early stages of establishing a new judicial system in Kosovo, international
judges and prosecutors can assist with disseminating and promoting the application of
international human rights standards. The participation of international judges and
prosecutors may be particularly helpful in national tribunals for violations of
international humanitarian law”. OSCE LSMS, Report 2 - The Development of the
Kosovo Judicial System (10 June through 15 December 1999), 17 December 1999. 233 Invero, la selezione dei primi giudici avvenne sulla base di mezzi di prova di assai
dubbia attendibilità, come ad esempio, la presentazione, da parte di chi si candidava a
ricoprire una carica, di un certo numero di firme attestanti l’esercizio della professione
legale nel periodo antecedente il 1989. Di maggiore attendibilità è da ritenersi, invece, la
lista di giuristi predisposta dalla Missione di Verifica dell’OSCE attraverso apposite
visite nei campi profughi durante la campagna aerea Allied Force. 234 La Commissione fu istituita dal RSSG con l’Emergency Decree n. 1 del 28 giugno del
1999. Sui 55 magistrati da essa selezionati, 11 erano di etnia non albanese, di cui 7 serbi;
questi, tra luglio ed ottobre dello stesso anno, rifiutarono l’incarico, ufficialmente per
motivi di sicurezza, discriminazione ed insufficiente remunerazione.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
85
procuratori, venne investita di un colossale numero di casi, connessi non
solo alle vicende belliche ma anche all’ordine pubblico. Nelle more dei
procedimenti, le carceri si affollarono di sospettati, trattenuti anche per
mesi senza essere condotti davanti al giudice. L’assenza di competenza
ed esperienza si tradusse nell’incapacità di condurre indagini e in
clamorosi errori nella determinazione fattuale dei reati. Ma la faglia più
grande del sistema restò la parzialità -apparente ed effettiva- di una
magistratura monoetnica che trattava gli ex membri dell’UCK come eroi
di guerra e considerava, al contrario, i serbi collettivamente responsabili.
I magistrati albanesi approfittavano della posizione di potere loro
riconosciuta per attuare un sistematico piano di vendetta contro i serbi;
anche in assenza di un movente vendicativo, la discriminazione contro i
serbi era dettata dalle molteplici forme di pressione esercitata dalla
comunità albanese (intimidazioni, ostracizzazione, violenze, corruzione).
All’approssimarsi della scadenza del mandato trimestrale dei
magistrati del SGE, la Regulation UNMIK n. 7 istituì un organo, la
Commissione Giudiziaria Consultiva (CGC), incaricato di selezionare
giuristi locali da raccomandare al RSSG per la nomina a magistrati
nell’ambito del Sistema Giudiziario Ordinario (SGO)235
. La dichiarata
intenzione di stabilire una magistratura multietnica236
continuò, tuttavia,
a scontrarsi con il diniego di collaborazione espresso dalla comunità
giuridica dei serbi kosovari237
e con la generalizzata parzialità dei
magistrati albanesi.
Verso l’inizio del 2000, mentre un progetto di tribunale ad hoc per il
Kosovo aleggiava nei palazzi onusiani238
, i vertici UNMIK acquisirono
maggiore consapevolezza della scottante questione giudiziaria. I
disordini occorsi nel nord del Kosovo all’inizio di febbraio spinsero il
RSSG a mitigare la monoetnicità della Corte Distrettuale di Mitrovica
con l’inserimento, ex Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000239
, di un
procuratore ed un giudice internazionali. Essi avrebbero avuto il potere
di avocare direttamente a sé la trattazione di casi penali nuovi ovvero
pendenti in ambito distrettuale240
.
235 La CGC fu, inoltre, incaricata di svolgere indagini sulla condotta dei magistrati e di
raccomandare al RSSG l’adozione di apposite misure. 236 Regulation n. 6 del 7 settembre del 1999, terzo considerando. 237 Tra i 354 giudici (togati e laici) e procuratori nominati presso le Corti Distrettuali tra
gennaio e marzo del 2000 non figurava un solo serbo. 238 Sul tema si rimanda infra al par. II.4.3. 239 On the Appointment and Removal from Office of International Judges and
International Prosecutors. 240 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.2-3.
CAPITOLO SECONDO 86
L’esperimento -noto come “Programma Giudici e Procuratori
Internazionali” (GPI)- rappresentò una straordinaria innovazione nella
storia delle missioni di pace internazionali, le quali al massimo si erano
spinte fino al monitoraggio o alla supervisione sul sistema giudiziario241
.
La situazione kosovara tornò ad arroventarsi nel maggio del 2000: lo
sciopero della fame dei detenuti serbi, che guardavano con speranza
all’esperienza di Mitrovica, convinsero il RSSG ad estendere -mediante
la Regulation n. 34 del 27 maggio del 2000242
- l’esperimento anche agli
altri quattro distretti del SGO: Pristina, Pec, Pizren e Gjilan. L’inglese fu
eletto lingua di lavoro ufficiale dei procedimenti in cui avessero preso
parte magistrati internazionali243
.
Già nel corso del 2000 venne a definizione un trittico di elementi
che tuttora caratterizzano il Programma GPI dal punto di vista
organizzativo-funzionale.
In primo luogo, i magistrati internazionali non furono inseriti nel
sistema giudiziario kosovaro in quanto personale distaccato dagli Stati
membri dell’ONU bensì come staff direttamente selezionato, assunto
(con contratto semestrale prorogabile) e remunerato da UNMIK. Tanto
la loro nomina quanto la loro rimozione furono sottoposte al RSSG,
assistito dal DAG nella compilazione degli annunci, nell’analisi delle
candidature, nella redazione della rosa ristretta di candidati eleggibili e,
infine, nell’intervista telefonica di questi ultimi244
.
In secondo luogo, benché la Regulation n. 34 prevedesse la
possibilità che le nomine fossero fatte “to any court or public
prosecutor’s office in the territory of Kosovo”245
, di fatto, i magistrati
internazionali furono inseriti nei due “livelli” più elevati, vale a dire le
cinque Corti Distrettuali (ed i relativi Uffici dei Pubblici Procuratori) e la
241 Si pensi al Programma di Valutazione del Sistema Giudiziario creato nell’ambito
della UNMIBH in Bosnia-Erzegovina in base alla risoluzione del CS dell’ONU n. 1184
del 16 luglio del 1998. Sull’esercizio della funzione giudiziaria nell’ambito di
amministrazioni internazionali si vedano: S. CHESTERMAN, “Justice under
International Administration: Kosovo, East Timor and Afghanistan” in Finnish Yearbook
of International Law, 2001, pagg. 143-164; H. STROHMEYER, “Collapse and
Reconstruction of a Judicial System: The United Nations Mission in Kosovo and East
Timor” in American Journal of International Law, 2001, pagg. 46-63. 242 Amending UNMIK Regulation No. 2000/6 on the Appointment and Removal from
Office of International Judges and International Prosecutors. 243 Regulation n. 46 del 15 agosto del 2000. 244 L’Ufficio del Personale della missione ha un ruolo meramente strumentale nella
procedura di recruitment. 245 Section 1.1.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
87
Corte Suprema (ed il relativo Ufficio del Pubblico Procuratore Capo)246
,
ivi inclusa la Camera Speciale per le questioni connesse al processo di
privatizzazione247
. Presso i livelli più bassi -le Corti per i Delitti Minori,
l’Alta Corte per i Delitti Minori, le Corti Municipali- la giustizia
continuò ad essere amministrata unicamente da magistrati locali.
In terzo luogo, per quanto riguarda l’inquadramento gerarchico, ai
presidenti delle corti e dei rispettivi uffici dei pubblici procuratori non fu
attribuito il potere di decidere l’assegnazione dei magistrati
internazionali ai casi, prerogativa di esclusivo appannaggio del DAG,
presso cui fu creata una struttura, la Divisione Supporto Giudiziario
Internazionale (DSGI), appositamente preposta al coordinamento ed alla
gestione amministrativa del Programma GPI.
Nonostante tutte le sue buone intenzioni, il Programma GPI non
mancò di palesare problemi di spessore tale da metterne in discussione
l’utilità pratica: a) la presenza minoritaria dei giudici internazionali nei
panel delle corti; b) la parzialità; c) il sovraccarico di lavoro.
Quanto al primo dei tre problemi, va rilevato che la presenza dei
giudici internazionali all’interno dei panel non aveva alterato la
tradizionale composizione che assicurava la maggioranza dei voti ai
giudici locali di etnia albanese. La composizione tipica di un panel
investito di un caso “sensibile” (omicidio, genocidio, crimini di guerra)
prevedeva la presenza di cinque giudici, di cui, nella migliore delle
ipotesi, soltanto uno di estrazione internazionale. Due concomitanti
fattori contribuivano a questa situazione: ad ogni distretto giudiziario, il
RSSG aveva assegnato al massimo due giudici248
e, in base alla
procedura penale vigente, ad un magistrato che aveva rivestito il ruolo di
giudice inquirente era automaticamente vietato presiedere alle successive
fasi del procedimento. In queste condizioni, il peso della decisione del
giudice internazionale risultava praticamente nullo; né, dato l’obbligo di
246 Soppresse nel 1989, la Corte Suprema e la relativa procura furono formalmente
ristabilite il 14 dicembre del 2000. Già la Regulation n. 5 del 4 settembre del 1999 aveva
istituito una Corte di ultima istanza (Court of Final Appeal) che, “pending a more
thorough review” (terzo considerando), avrebbe avuto “the powers of the Supreme
Court” (Section 1). 247 Alla Section 3.1 della Regulation n. 13 del 13 giugno del 2002 si prevede che: “[t]he
Special Chamber shall be composed of a panel of five judges of which three shall be
international judges and two shall be judges who are residents of Kosovo”. La Section
3.2 aggiunge che il RSSG “shall assign one of the international judges as presiding judge
of the Special Chamber”. 248 La ripartizione territoriale dei magistrati internazionali rispondeva ad uno schema
distributivo alquanto rigido: essi avrebbero potuto svolgere le funzioni del loro ufficio
soltanto “within the jurisdiction of the court to which he or she is appointed” (Regulation
UNMIK n. 34 del 27 maggio del 2000, Section 1.2).
CAPITOLO SECONDO 88
segretezza del voto di ogni singolo magistrato, il suo eventuale dissenso
avrebbe potuto accrescere, presso la comunità kosovara, specie nella
componente serba, le chance legittimazione della corte nel suo insieme.
Il secondo problema era un corollario del primo: panel a
maggioranza locale (si legga: albanese) discriminavano gli imputati e le
vittime serbi per il combinato agire di pregiudizi e pressioni esterne249
.
Il terzo problema riguardava il campo di competenza ratione
materiae di giudici e procuratori internazionali, ai quali UNMIK
assegnava la competenza a trattare non solo crimina juris gentium ma
anche reati ordinari.
In risposta ai menzionati problemi, sull’onda della protesta della
comunità serbo-kosovara e delle autorità di Belgrado, esplosa tra il
giugno ed il dicembre del 2000, il RSSG adottò due importanti
provvedimenti: la Regulation n. 64 del 15 dicembre del 2000250
e la
Regulation n. 2 del 12 gennaio del 2001.
Con il primo provvedimento, fu attribuito al RSSG il potere di
assegnare, su raccomandazione del DAG, magistrati internazionali ad un
determinato caso e/o di rimettere quest’ultimo ad altra corte (change of
venue)251
. Il DAG avrebbe potuto attivarsi motu proprio ovvero su
richiesta del procuratore competente o della difesa. Il punto qualificante
della Regulation era la facoltà di designare, a seconda della fase
procedurale, un procuratore internazionale, un giudice inquirente252
internazionale e/o un panel composto da 3 giudici togati, di cui almeno 2
internazionali (ivi incluso il presidente)253
. L’inserimento di
249 Già nell’estate del 2000, l’OSCE aveva ben inquadrato il problema: “the equal
distribution of voting powers to all judges severely reduces any real impact that the
international judges may have upon a potential verdict motivated by ethnic bias”. OSCE
LSMS, First Review of the Criminal Justice System (1 February 2000-31 July 2000),
pag. 70. Al riguardo, aveva raccomandato che: “[c]ases involving allegations of war
crimes, serious ethnically motivated crimes or other politically charged offences must be
prosecuted by international prosecutors and presided over by a single international judge
or a panel with a majority of international judges”. Ibidem, pag. 75. 250 On Assignment of International Judges/Prosecutors and/or Change of Venue. 251 Si invita a notare che, diversamente dalla Regulation n. 6 del 2000, la n. 64 non
prevede la diretta avocabilità dei casi da parte dei magistrati internazionali bensì un
meccanismo in cui l’avocazione è, per così dire, “filtrata” dal potere esecutivo
internazionale. 252 Dall’entrata in vigore del nuovo CPPP, la possibilità di nominare un giudice
inquirente internazionale non è più attuale. La Regulation n. 54 del 15 dicembre del
2004, Section 1.1 ha, pertanto, modificato il wording della n. 64 sostituendo a
“international investigative judge” la locuzione “a pre-trial judge or a judge who will
conduct the proceedings to confirm the indictment”. 253 Da subito, la maggioranza sarebbe stata assicurata agli internazionali anche presso la
Camera Speciale della Corte Suprema, istituita nel 2002 ed avente competenza esclusiva
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
89
internazionali avrebbe potuto aver luogo in qualsiasi momento della
procedura, tranne che nelle ipotesi in cui la sessione di processo di primo
grado, ovvero di processo d’appello, fosse già iniziata. Questa
limitazione intendeva evitare che il meccanismo della Regulation n. 64
ingolfasse il sistema con un eccessivo numero di interruzioni
procedurali.
Per aggirare la norma procedurale vietante al giudice di presiedere a
fasi diverse dello stesso procedimento, ciascun magistrato internazionale
avrebbe potuto operare “throughout Kosovo”254
; in altre parole, la scelta
dei giudici internazionali da assegnare a panel “ibridi” avrebbe potuto
essere fatta non più su base distrettuale, bensì nell’ambito dell’intero
organico GPI. L’Administrative Direction n. 13/2000 -rimasta inattuata
fino al settembre del 2005- assegnò, inoltre, al RSSG il potere di
“appoint any international judges or prosecutor to more than one court
or public prosecutor’s office” (Section 1.1, corsivo nostro).
E’ bene precisare che l’adozione della Regulation n. 64 non
comportò l’abrogazione della Regulation n. 6, per cui i magistrati
internazionali avrebbero potuto continuare ad avocare direttamente a sé i
casi da loro ritenuti “sensibili”.
Quanto alla Regulation n. 2 del 2001, essa assegnò ai procuratori
internazionali il potere di riaprire casi abbandonati dagli omologhi locali
(resurrection power) senza dover rispettare i vincoli procedurali previsti
dal CPPRFJ255
. Potendo essere esercitato solo entro trenta giorni dalla
data di promulgazione della Regulation, tale potere non riuscì, tuttavia, a
porre fine all’atmosfera di impunità che oltraggiava la comunità serba e
delegittimava il Programma GPI. I limiti temporali per l’esercizio del
resurrection power, fecero della Regulation n. 2 un atto, a dispetto del
nomen juris, privo di portata generale ed astratta, concepito per trovare
applicazione rispetto ad un ben preciso caso “sensibile”, quale quello
dell’omicidio di tre serbi ed il ferimento di altri due presuntivamente
commesso dall’albanese Afrim Zeqiri nella municipalità di Cernica256
.
sui ricorsi presentati avverso la AFK: “[d]ecision of the Special Chamber (…) shall
require the supporting vote of at least three (3) judges” nell’ambito di un panel composto
da cinque giudici, di cui tre, come già ricordato, internazionali (Regulation n. 13 del 13
giugno del 2002, Section 9). 254 Regulation n. 64 del 15 dicembre del 2000, Section 2.2. 255 Regulation n. 2 del 12 gennaio del 2001, Section 1.4 c). 256 Ex combattente UCK, Zeqiri era stato arrestato e rilasciato ben quattro volte (anche da
un giudice inquirente internazionale) in esito alla decisione di abbandonare il caso presa
da procuratori locali di etnia albanese. Al quarto rilascio, l’imbarazzo delle autorità
UNMIK per il patente fumus di parzialità della magistratura monoetnica kosovara fu tale
da spingere il RSSG a rendere possibile la “resurrezione” del caso attraverso una deroga,
CAPITOLO SECONDO 90
Diverso è, invece, il giudizio su altre due norme della stessa Regulation,
non soggette a restrizioni temporali e, pertanto, di portata universale257
:
ai procuratori locali fu imposto l’obbligo di notificare, entro 14 giorni, al
competente procuratore internazionale (ovvero al DAG) la decisione di
chiudere un’indagine; ai procuratori internazionali fu attribuito il potere
di impugnare in appello tale decisione. La ratio complessiva della
Regulation n. 2 era quella di correggere un limite dell’allora vigente
procedura penale, la quale poneva in capo al giudice inquirente l’obbligo
di rilasciare il sospettato ed archiviare l’indagine in seguito alla formale
decisione procuratoriale di abbandonare un caso.
Nel maggio del 2001, con il varo della Cornice Costituzionale per
l’Auto-Governo Provvisorio, i due momenti centrali della vita
professionale dei magistrati UNMIK -la nomina e l’eventuale rimozione
dall’incarico- non furono sottoposti al potere delle IPAG ma restarono
soggetti all’autorità del RSSG. Pertanto, l’organo di auto-governo della
magistratura kosovara258
, il Consiglio Giudiziario e Procuratoriale del
Kosovo (CGPK), istituito il mese precedente in sostituzione della CGC,
non avrebbe potuto esercitare i suoi poteri sugli internazionali; anzi, dal
2005, sarebbe stato teoricamente possibile l’esatto contrario, visto che il
CGPK sarebbe stato sostituito da un organo, il Consiglio Giudiziario del
Kosovo (CGK) nella cui composizione sono inclusi due magistrati
internazionali259
.
Tra la primavera e l’estate del 2001, l’istituzione di un nuovo I
Pilastro della missione UNMIK dedicato a Giustizia e Polizia ed il quasi
contestuale trasferimento di funzioni amministrative alle IPAG crearono
le premesse per una ristrutturazione del DAG, che, sotto il nuovo nome
di DG, ereditò la DSGI.
Quanto al problema del sovraccarico, il RSSG prese provvedimenti
solo nel marzo del 2003, creando, in seno al DG, una struttura
centralizzata, la Divisione Penale (DP), incaricata di monitorare lo
praticamente ad personam, alla legge procedurale vigente. Nonostante la profusione di
impegno legislativo e giudiziario, Zeqiri fu assolto e rilasciato (per la quinta volta!) nella
primavera del 2002 per insufficienza di prove a suo carico. Il caso Zeqiri è trattato in M.
E. HARTMANN, “International Judges and Prosecutors in Kosovo. A New Model for
Post-Conflict Peacekeeeping” in United States Institute of Peace Special Report 112,
October 2003. 257 Regulation n. 2 del 12 gennaio del 2001, Section 1.5-6 258 Regulation n. 8 del 6 aprile del 2001. 259 Il CGK, che ha competenza solo rispetto ai giudici locali, si compone di 11 membri
nominati dal RSSG, di cui 7 giudici. Quanto all’auto-governo dei procuratori, fintantoché
non sarà costituito un organo analogo al CGK, uno dei due posti riservati a giudici
internazionali sarà ricoperto da un procuratore internazionale ed uno dei posti riservati ai
giudici locali ad un procuratore locale (UNMIK Press Release n. 1523, 3 April 2006).
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
91
sviluppo di tutti i casi in vista di un dispiegamento strategico dei
procuratori internazionali. La DSGI poté, a sua volta, focalizzarsi sulla
gestione dei giudici internazionali. Un Procuratore Capo Internazionale
ed un Giudice Capo Internazionale furono posti al vertice,
rispettivamente, della DP e della DSGI.
Organigramma semplificato
del Dipartimento di Giustizia UNMIK (I Pilastro)
Dalla fine del 2005, tutti i giudici internazionali, originariamente ripartiti
per distretti giudiziari, sono stati riallocati, insieme al personale
ausiliario e di supporto, presso il DG a Pristina, da dove, sulla base della
Administrative Direction n. 13/2000 (Section 1.1), possono essere
assegnati a qualsiasi corte ordinaria del Kosovo (c.d. “giurisdizione
unica”).
Il costo medio annuo del Programma GPI è stimabile in oltre 15
milioni di dollari USA $, finanziati a valere del bilancio della missione
UNMIK e del bilancio kosovaro.
II.4 Il rapporto con le altre giurisdizioni
Per completezza, l’analisi andrà estesa ai rapporti, effettivi o
potenziali, tra le corti “ibride” operanti in Kosovo e le “giurisdizioni”,
lato sensu intese, di altre autorità: KFOR ed i vertici del potere esecutivo
di UNMIK (par. II.4.1), le corti nazionali straniere (par. II.4.2), il TPIJ
(par. II.4.3) la CPI (par. II.4.4), la CIG (par. II.4.5), la Corte Europea dei
Ufficio del
Direttore
Divisione
Sviluppo
Giudiziario
Divisione
Supporto
Giudiziario
Internazionale
Divisione
Penale
Divisione
Gestione
Penale
Ufficio
Persone
Scomparse
e Medicina
Legale
Procuratori
Internazionali Giudici
Internazionali
CAPITOLO SECONDO 92
Diritti dell’Uomo (par. II.4.6), il Comitato dei Diritti Umani istituito
nell’ambito del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (par.
II.4.7) e la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (par. II.4.8).
II.4.1 Il rapporto con le autorità militari di KFOR e con il potere
esecutivo di UNMIK
Preliminare ad ogni considerazione sui rapporti tra corti “ibride”
kosovare ed altre giurisdizioni, nazionali o internazionali, è il discorso
sull’interazione con le autorità più immediatamente prossime.
Il riferimento è, anzitutto, a KFOR, la forza militare multinazionale
della NATO operante in Kosovo sotto l’egida del CS dell’ONU. Benché
il mandato KFOR non includa funzioni giurisdizionali ma unicamente di
polizia internazionale, non sono mancati attriti con le corti “ibride”
UNMIK. Alla loro origine vi è un’estensiva interpretazione, da parte dei
vertici KFOR, della responsabilità di “ensuring public safety and order
until the international civilian presence can take responsibility for this
task”260
: il Comandante KFOR (COMKFOR) ed i comandanti di
battaglioni multinazionali possono, sulla base di un atto unicamente
ascrivibile alla volontà politica della NATO -la Detention Directive n. 42
del 9 ottobre del 2001- autorizzare il fermo e la detenzione di
individui261
. Sulla carta, l’applicazione della procedura è circoscritta a
casi eccezionali “as a last resort when civil authorities are unable to take
action addressing the threat to KFOR or the safe and secure environment
in Kosovo” (art. 3 d); in concreto, ad essa KFOR avrebbe fatto ricorso in
almeno 3.600 casi262
. Si tratta di una procedura militare priva di
fondamento legale, sottratta alla supervisione giudiziaria (sia sul piano
dell’autorizzazione che della revisione263
), non sottesa dai diritti civili
basilari incorporati nella Regulation UNMIK n. 28 del 2001264
e la cui
reiterazione appariva immotivata già nel 2003265
.
260 Risoluzione n. 1244, par. 9, lett. d. 261 Invero, la pratica dei fermi extra-giudiziari da parte di KFOR si era sviluppata già
dalla seconda metà del 1999, in risposta alla parzialità del SGE. 262 Con l’eccezione di brevi e giustificabili periodi di detenzione decisi durante i
disordini del marzo del 2004, KFOR non avrebbe più fatto ricorso alla pratica in parola.
OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal justice System 1999-2005, Reforms and
Residual Concerns, March 2006, pag. 33. 263 Secondo la stessa direttiva “[d]etainees may submit petitions regarding their
detention” unicamente al COMKFOR (e non ad un indipendente organo giudiziario). 264 Il catalogo dei diritti di un individuo sottoposto ad arresto -ricostruibile attraverso
l’esame comparato dell’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani del 1950 e
dell’art. 9 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966- comprende: il
diritto ad essere informato al più presto ed in una lingua comprensibile delle ragioni
dell’arresto; il diritto ad essere tradotto al più presto dinanzi ad un giudice per essere
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
93
Il punto di maggiore interesse rispetto agli scopi del discorso qui
condotto è da rintracciarsi nel fatto che, anche di fronte a decisioni di
rilascio prese da corti “ibride” (oltre che da corti puramente kosovare),
KFOR ha continuato a detenere individui posti sotto custodia in base alla
Direttiva n. 42. Il 25 luglio del 2000, un giudice internazionale,
ribadendo la decisione infruttuosamente presa il 16 novembre dell’anno
precedente da un omologo locale, ha ordinato il rilascio di due albanesi
(Shaban Beqiri e Xhamal Sejdiu) detenuti da KFOR; in quell’occasione,
il giudice internazionale ha affermato che solo le corti hanno l’autorità
per detenere legalmente delle persone266
. L’immediato rilascio dei due
albanesi, lungi dall’inaugurare dei rapporti di collaborazione improntati
al rispetto della legalità, è rimasto un caso episodico, seguito, nello
stesso mese di luglio, dall’arresto, su ordine di COMKFOR, di un altro
albanese, Afrim Zeqiri267
, rilasciato proprio da un giudice inquirente
internazionale. La richiesta di autorizzazione inoltrata da COMKFOR al
RSSG ha rivelato il maldestro tentativo di sanare a posteriori, attraverso
il consenso retroattivo del massimo organo esecutivo (beninteso: non
giudiziario) di UNMIK, l’illiceità della detenzione. In altri casi,
COMKFOR non ha neppure ricercato un’autorizzazione esecutiva ex
post da parte del vertice di UNMIK, reclamando l’indipendenza della
forza NATO dall’amministrazione civile internazionale. Di più grave vi
è il fatto che COMKFOR giammai ha motivato i propri ordini di arresto
sulla base delle leggi applicabili in Kosovo, emanate o meno da UNMIK.
In rari casi, KFOR ha consegnato dei detenuti al sistema giudiziario.
Infine, KFOR ha sviluppato un proprio meccanismo extra-giudiziario,
parallelo a quello esistente, per la revisione delle detenzioni ordinate da
giudicato entro un termine ragionevole o di essere posto in libertà durante l’istruttoria; il
diritto di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché esso prontamente decida sulla
legalità della detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale; il diritto
ad una riparazione in caso di detenzione illegale. Va segnalato che la Regulation in
parola non annovera KFOR tra le law enforcement authorities soggette al divieto di
privare una persona della libertà al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge.
Analogamente il CPPP non include KFOR nella definizione di “police” di cui all’art.
151, par. 17. 265 Già allora, la presenza civile internazionale aveva fatto significativi progressi, essendo
operative sia una polizia UNMIK (UNCivPol) sia una polizia locale, entrambe sottoposte
ad un adeguato corpus di leggi ed al controllo del sistema giudiziario. Si veda D.
MARSHALL e S. INGLIS, “The Disempowerment of human rights-based justice in the
United Nations Mission in Kosovo”, in Harvard Human Rights Journal, vol. 16, spring
2003. 266 OSCE LSMS, Review of the criminal justice system in Kosovo (February-July 2000). 267 Sul caso Zeqiri si veda supra al par. II.3.
CAPITOLO SECONDO 94
COMKFOR. Si tratta di una procedura alquanto lontana dai canoni
giuridici dell’equo processo.
A ben vedere, la condotta di KFOR non è da considerarsi meno
illegale di quella tenuta dallo stesso RSSG, il quale si è auto-investito, a
partire dall’estate del 2000, proprio in relazione al citato caso Zeqiri, del
potere esecutivo di ordinare l’arresto di persone, nonostante il rilascio
deciso dall’autorità giudiziaria incarnata da un magistrato internazionale.
Nell’estate del 2001, poco tempo dopo l’ordine di arresto di tre kosovari
albanesi, che erano stati rilasciati da una corte “ibrida” per insufficienza
di prove, la Regulation n. 18 del 2001268
ha invano tentato di riportare il
potere del RSSG nell’alveo dello stato di diritto con un’operazione di
facciata consistente nell’istituzione di una commissione ad hoc
(nominata dallo stesso RSSG) incaricata di esaminare i ricorsi contro le
detenzioni esecutive269
.
L’intrusione del potere militare (COMKFOR) da un lato e
l’interferenza del potere esecutivo (SRSG di UNMIK) dall’altro hanno
minato l’autorità e l’indipendenza delle corti kosovare in genere e
“ibride” in particolare270
.
II.4.2 Il rapporto con le corti nazionali straniere
Il principio di giurisdizione universale271
prefigura la possibilità che
corti nazionali straniere radichino la propria giurisdizione in ordine a
violazioni del diritto internazionale umanitario commesse in Kosovo e
268 Adottata il 25 agosto del 2001 col titolo Detention Review Commission for Extra-
Judicial Detentions Based on Executive Orders. 269 Convocata nel dicembre del 2001 per riesaminare il caso dei tre kosovari albanesi, la
commissione ha confermato l’ordine di detenzione del RSSG; da allora non è più stata
convocata, né si sarebbero più verificati casi di detenzione extra-giudiziaria ordinati dal
RSSG. OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal justice System 1999-2005, Reforms
and Residual Concerns, cit., pagg. 31-33. 270 A tal riguardo il Comitato dei Diritti Umani, istituito nell’ambito del Patto
Internazionale dei Diritti Civili e Politici del 1966, ha raccomandato: “UNMIK should
revoke the Regulation conferring power on the SRSG [RSSG] to detain and expel
individuals, seek the cessation of detentions under COMKFOR Detention Directive 42,
and ensure that all persons arrested under the discretionary powers of UNMIK police or
under a court order are informed of the reasons for their arrest and of any charges against
them, brought promptly before a judicial authority, granted access to a lawyer and to
proceedings before a court to determine the lawfulness of their detention, and are tried
without undue delay.” Human Rights Committee, Concluding Observations of the
Human Rights Committee, Kosovo (Republic of Serbia), 14 August 2006, pag. 5, par. 17. 271 Per il quale si rimanda supra al par. I.2.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
95
per le quali le corti kosovare, ivi incluse quelle “ibride”, avrebbero
automatica competenza272
.
L’ipotesi descritta si è verificata, con problematici risvolti politici,
rispetto alle corti nazionali serbe. Il 7 luglio del 2005, l’Ufficio del
Procuratore della Camera per i Crimini di Guerra della Corte Distrettuale
di Belgrado273
ha incriminato Anton Lekaj, kosovaro albanese ex
membro dell’UCK, per crimini di guerra presuntivamente commessi nel
giugno del 1999 nella municipalità di Djakovica, in Kosovo274
. Iniziato
nel novembre del 2005, il processo di primo grado si è concluso il 18
settembre del 2006 con una sentenza di condanna a tredici anni di
carcere. L’iter giudiziario è stato costellato da ripetute frizioni tra la
corte belgradese e le autorità UNMIK, le quali ultime avrebbero invano
richiesto il trasferimento dell’imputato alla loro custodia affinché fosse
processato da una corte “ibrida”275
. Di fronte al diniego serbo, UNMIK
ha osteggiato lo svolgimento del processo, pretendendo che tutti i
testimoni residenti in Kosovo (e contrari a recarsi a Belgrado) fossero
ascoltati in presenza di un giudice del Programma GPI e respingendo,
senza plausibili motivazioni, la lista di quelli proposti dall’organo di
accusa serbo276
.
Nel fondare la propria competenza in ordine al caso Lekaj, la corte
serba ha applicato quanto disposto sulla competenza ratione loci et
personae dalla legge nazionale istitutiva della Camera per i Crimini di
Guerra277
, e cioè la perseguibilità di qualunque crimen juris gentium
272 Estendendo il discorso all’intero territorio della ex Jugoslavia, va ricordato che non
sono mancate sentenze di condanna emesse da corti nazionali straniere per crimina juris
gentium perpetrati durante fasi belliche precedenti quella kosovara. Ad esempio,
l’Oberlandesgericht di Düsseldorf (Repubblica Federale Tedesca), esplicitamente
richiamando la teoria della giurisdizione universale, ha condannato, il 26 settembre del
1997, il serbo bosniaco Nikola Jorgic per il crimine di genocidio commesso in quanto
capo di un’organizzazione paramilitare impegnata in operazioni di pulizia etnica ai danni
dei musulmani di Bosnia-Erzegovina. 273 La citata Camera opera nell’ambito della completion strategy del TPIJ di cui si dirà
infra al par. II.4.3. 274 KTRZ - no.7/04. Lekaj era stato arrestato per un banale furto d’auto in Montenegro
nel 2004. Si ricorda che il distacco del Montenegro dalla Serbia è avvenuto solo il 3
giugno 2006. 275 Così riporta il quotidiano kosovaro Koha Ditore (Venerdì, 3 aprile 2006). 276 Di fatto, soltanto i testimoni della difesa sono stati ascoltati, peraltro unicamente da un
giudice internazionale UNMIK. Le testimonianze scritte trasmesse da UNMIK alla Corte
belgradese sono comunque state lette nel corso del procedimento, facendo salvi i diritti
della difesa. 277 Legge del 2 luglio del 2003 sull’Organizzazione e Giurisdizione delle autorità di
Governo nella Persecuzione degli Autori di Crimini di Guerra. Disponibile in traduzione
inglese su <www.osce.org/documents/fry/2003/07/446_en.pdf>.
CAPITOLO SECONDO 96
“commesso sul territorio della ex RSFJ, a prescindere dalla nazionalità
dell’autore o della vittima”278
. Si tratta, in sostanza, di un principio di
giurisdizione penale universale con portata territoriale limitata ai vecchi
confini della ex RSFJ.
In generale, per quanto la risoluzione n. 1244/99 del CS dell’ONU
abbia nominalmente mantenuto la sovranità della Serbia (già RFJ) sul
Kosovo, c’è da ritenere che la situazione di fatto sia oggi tale per cui le
corti nazionali serbe potrebbero essere considerate “straniere” ai sensi e
per gli effetti del principio di giurisdizione penale universale; esse,
pertanto, avrebbero facoltà di perseguire anche kosovari per crimini
presuntivamente perpetrati nella “ex” provincia. E’, tuttavia, da
escludere che nel caso Lekaj la corte belgradese abbia inteso procedere
in qualità di corte “straniera”, giacché una tale conclusione sarebbe
equivalsa all’implicita ed imbarazzante rinuncia alla sovranità giudiziaria
sul Kosovo. L’approccio “universalista” fatto proprio dalla legge è stato
concepito dal Parlamento di Belgrado per i crimini commessi in Croazia
e Bosnia Erzegovina, entità statali rispetto alle quali le corti serbe non
incontrano problemi ad auto-rappresentarsi come “straniere”, certo non
per fatti occorsi in Kosovo.
Per completezza d’analisi, va fatta menzione dell’opinione di chi, in
dottrina, ha sillogisticamente argomentato che:
a) i poteri del RSSG (ivi inclusi quelli relativi
all’amministrazione del sistema giudiziario) derivano -via Regulation
UNMIK n. 1/1999- dalla risoluzione n. 1244/1999 adottata dal CS
dell’ONU ex capitolo VII della Carta;
b) la risoluzione n. 1244 impone agli Stati membri dell’ONU (ivi
inclusa l’attuale Serbia) una piena cooperazione per la sua stessa
attuazione;
c) l’obbligo di cooperazione giudiziaria della Serbia nei
confronti di UNMIK deriva dalla risoluzione n. 1244279
.
La linearità logica del ragionamento proposto ci pare inficiata da un
vizio insito nella premessa a): i poteri del RSSG in materia giudiziaria
derivano solo indirettamente dalla risoluzione n. 1244/1999, peraltro da
una Regulation posta in essere dallo stesso RSSG. Il punto che andrebbe
rimarcato è piuttosto il seguente: in base ad una norma di diritto
internazionale generale (già formata ovvero in stadio nascendi), la
Serbia avrebbe il dovere di estradare (verso uno Stato che possa esibire
278 Art. 3 della Legge citata alla precedente nota. 279 J. KLEFFNER, A. NOLLKAEMPER, “The Relationship Between Internationalized
Courts and National Courts” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra
Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag. 366.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
97
un qualche link) il presunto autore dei più efferati crimini internazionali,
solo qualora non intenda processarlo direttamente (aut dedere aut
judicare).
Il rapporto tra corti “ibride” kosovare e corti serbe (ivi incluse quelle
c.d. “parallele”, cui si accennerà infra alla nota 335) porta, infine, a
svolgere alcune riflessioni sull’applicabilità del principio di diritto
internazionale penale ne bis in idem. La già ricordata Regulation
UNMIK n. 24/1999, quale emendata, considera sia la Convenzione
Europea per la Protezione dei Diritti dell’Uomo e le Libertà
Fondamentali (ed i suoi Protocolli) che il Patto Internazionale sui Diritti
Civili e Politici come parte integrante della legge applicabile in Kosovo.
Entrambi gli strumenti prevedono il principio ne bis in idem, il quale,
tuttavia, si applica solo alle relazioni tra corti dello stesso Stato. La
questione è, pertanto, se il rapporto tra Kosovo e Serbia può ancora
essere considerato di natura interna. E’ di tutta evidenza che solo in caso
di risposta affermativa, il succitato principio troverebbe applicazione.
II.4.3 Il rapporto con il Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia
Ciò che rende il caso delle corti “ibride” del Kosovo assolutamente
singolare, rispetto a quelli cui si accennerà al capitolo IV è la sua
coesistenza con uno dei due TPIh creati dal CS dell’ONU nella prima
metà degli anni Novanta280
.
E’ utile ricordare che, già dal maggio del 1993, il Kosovo, parte
integrante della Serbia, già Repubblica della RSFJ, risultava
potenzialmente coperto dalla competenza ratione loci del TPIJ. E, infatti,
non appena il baricentro delle ostilità e degli orrori si spostò dalla
Bosnia-Erzegovina al Kosovo, il TPIJ non mancò di far valere le proprie
prerogative anche sulla provincia a maggioranza albanese.
Accadde a poco più di due anni dagli storici accordi di Dayton: dal
febbraio del 1998, gli scontri tra l’UCK e le forze di polizia serbo-
jugoslave subirono un’intensificazione tale da indurre il Procuratore
Capo del TPIJ a dichiarare pubblicamente, il successivo 10 marzo, che il
suo ufficio era titolato a condurre indagini anche rispetto alle gravi
violazioni del diritto internazionale umanitario già occorse, o che
sarebbero occorse, in Kosovo.
Benché difficilmente contestabile sotto il profilo della competenza
ratione materiae, temporis281
personae282
et loci283
, la giurisdizione del
280 Si veda supra al par. I.2. 281 Il metro giuridico per valutare la legalità dell’azione del TPIJ in Kosovo è
chiaramente il suo Statuto, nel quale il CS ha fissato i limiti della competenza ratione
materiae (artt. da 2 a 5), personae (art. 6), temporis et loci (art. 8). Nei casi finora trattati,
CAPITOLO SECONDO 98
TPIJ in ordine a fatti accaduti in Kosovo fu presto confermata dal CS
attraverso la risoluzione n. 1160 del 31 marzo del 1998, adottata sub
Capitolo VII della Carta dell’ONU284
. Condannando l’abuso di forza
della polizia serba contro civili e dimostranti in Kosovo e imponendo
l’embargo delle armi sulla RFJ, il CS richiese al Procuratore di iniziare a
raccogliere informazioni relative a fatti occorsi in Kosovo e suscettibili
di ricadere sotto la giurisdizione del TPIJ. Nel maggio dello stesso anno,
l’AG approvò una richiesta finanziaria abilitante il Procuratore del TPIJ
a reclutare una squadra di esperti per intraprendere delle indagini
preliminari. Le indagini condotte nei successivi dodici mesi ebbero come
sfondo un crescendo di tensioni tra la RFJ ed il CS285
, esacerbato da una
situazione diplomatico-militare in progressivo deterioramento.
il TPIJ ha riconosciuto l’esistenza in Kosovo, tra il 1998 ed il 1999, di un conflitto
armato, esistenza la cui prova è conditio sine qua non per l’attivazione della competenza
rispetto a crimini di guerra (ex art. 3) e contro l’umanità (ex art. 5). Tuttavia, come già
detto supra, il TPIJ non ha accertato l’internazionalità del conflitto, requisito necessario
per attivare la competenza materiale anche rispetto alle “gravi violazioni” delle
Convenzioni di Ginevra (ex art. 2). Sull’attività del TPIJ rispetto al Kosovo si veda S.
BOELAERT-SUOMINEN, “The ICTY and the Kosovo conflict” in International Review
of the Red Cross, n. 837, pagg. 217-252. 282 Essendo la nazionalità dell’autore del crimine irrilevante per lo Statuto del TPIJ,
indubbia è la competenza ratione personae del TPIJ rispetto ai crimini commessi in
Kosovo tanto da individui facenti capo alla RFJ (serbi) quanto da elementi dell’UCK
(kosovari albanesi). Sulla perseguibilità dei militari della missione NATO KFOR ovvero
dei civili UNMIK da parte del TPIJ, ovvero delle corti kosovare, si veda anche supra al
par. II.2.6. 283 Quanto alla competenza ratione loci, va ricordato che nel maggio del 2004, la Camera
d’Appello del TPIJ ha rigettato (con motivazioni emesse l’8 giugno) il ricorso
interlocutorio presentato dall’imputato Ojdanic (caso n. IT-99-37), il quale contestava la
giurisdizione del Tribunale sui crimini perpetrati in Kosovo, asserendo che al tempus
commissi delicti la RFJ non era membro dell’ONU e quindi il CS non avrebbe
legittimamente potuto vestire di competenza il suo organo sussidiario giurisdizionale di
competenza in ordine a fatti occorsi in alcuna parte del territorio della RFJ. In effetti, le
risoluzioni n. 777/1992 del CS e n. 47/1992 dell’AG avevano negato la successione
automatica della RFJ alla RSFJ, stabilendo, di conseguenza, che la RFJ avrebbe dovuto
presentare domanda d’adesione ex novo; la RFJ è stata ufficialmente riammessa all’ONU
il 1° novembre del 2000. All’eccezione sollevata dall’imputato, la Camera d’Appello ha
risposto richiamando la già citata decisione del 2 ottobre del 1995 sul caso Tadic (si veda
supra al par. I.2), e sottolineando che il Kosovo era coperto dalla giurisdizione del TPIJ
in quanto lo Statuto di quest’ultimo si riferisce, fin dal titolo, al territorio della “ex”
(“former”) Jugoslavia, di cui la provincia serba era indiscutibilmente parte. 284 In quella stessa data un comunicato stampa dell’Ufficio del Procuratore ricordava, con
toni minacciosi, a Milosevic e al Governo della RFJ che appena otto mesi prima il
Tribunale “gemello” per il Ruanda aveva condannato l’ex Primo Ministro ruandese per
genocidio. Office of the Prosecutor, Press release n. 391-E, 31 March 1999. 285 Il 7 ottobre del 1998, le autorità belgradesi dichiararono che non avrebbero più
rilasciato i visti agli investigatori del TPIJ, la cui attività era giudicata lesiva della
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
99
Il 23 settembre del 1998, la risoluzione del CS n. 1199 qualificò gli
eventi kosovari come “minaccia alla pace internazionale ed alla
sicurezza della regione”, iniziativa che può essere letta, attraverso il filtro
ermeneutico della già richiamata decisione Tadic, come l’apposizione
del definitivo suggello sulla giurisdizione del TPIJ rispetto all’appendice
kosovara della guerra jugoslava.
Verso la fine di maggio del 1999, mentre la RFJ era sottoposta agli
attacchi aerei della NATO e le truppe serbe reagivano intensificando la
loro sistematica campagna di persecuzioni, deportazioni e omicidi contro
l’etnia albanese del Kosovo, il TPIJ emise nei confronti del Presidente in
carica della RFJ, Slobodan Milosevic, e di altri quattro rappresentanti di
altissimo livello dei governi della RFJ e della Serbia286
un atto di
accusa287
ed un mandato d’arresto288
, per crimini di guerra e contro
l’umanità commessi in Kosovo tra l’inizio di gennaio e la fine di maggio
del 1999. Si trattò di un atto di portata storica, non solo perché il primo
emesso dal TPIJ in relazione alla “fase kosovara” del conflitto ma
soprattutto perché indirizzato ad un capo di Stato mentre le ostilità erano
ancora in corso289
.
All’inizio dell’autunno del 1999, il Procuratore Capo affidò ad un
comunicato stampa290
la descrizione delle modalità attraverso le quali
sovranità della RFJ. Il diniego di collaborazione si basava sulla tesi secondo cui le loro
operazioni condotte dalle forze della RFJ in Kosovo contro l’UCK avrebbero costituito
azioni di polizia tese a reprimere un movimento terroristico interno e come tali non
suscettibili di costituire l’oggetto di indagini internazionali. Con la risoluzione n. 1203
del 24 ottobre del 1998, il CS richiese la piena collaborazione degli Stati membri al TPIJ
per la conduzione delle indagini, con ciò implicitamente ribadendo quanto disposto
dall’art. 2.7 della Carta dell’ONU, e cioè l’inopponibilità dell’eccezione di domestic
jurisdiction ad interventi sub Capitolo VII. Il 4 novembre del 1998, le autorità della RFJ
rinnovarono il loro diniego. Il CS reiterò, con la risoluzione n. 1207 del 17 novembre del
1998, l’obbligo per la RFJ (nonché per i leader kosovari albanesi) di collaborazione.
L’apice della tensione fu raggiunto verso la fine di gennaio del 1999, quando la RFJ negò
l’accesso in territorio kosovaro al Procuratore Capo del TPIJ, il quale intendeva svolgere
indagini nel villaggio di Racak, in cui 45 kosovari albanesi inermi erano da poco stati
assassinati. 286 Milan Milutinovic, Presidente della Serbia, Nikola Sainovic, Vice Primo Ministro
della RFJ, Dragoljub Ojdanic, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito della RFJ, e Vlajko
Stojiljkovic, Ministro degli Interni di Serbia. 287 The Prosecutor against Slobodan Milosevic (et alii), caso n. IT-99-37-I, Indictment of
22 May 1999. 288 Warrants of Arrest and Orders for Surrender against all accused, caso n. IT-37-I, of
24 May 1999. 289 Senza precedenti fu anche la richiesta agli Stati membri dell’ONU di indagare per
scoprire se gli imputati fossero titolari di patrimoni nei rispettivi territori e, in tal caso,
congelarli finché gli stessi non fossero stati arrestati. 290 Office of the Prosecutor, Press Release, 29 September 1999, PR/P.I.S./437-E.
CAPITOLO SECONDO 100
avrebbe espletato il suo mandato in Kosovo. Affermò, anzitutto, che i
crimini commessi nella provincia sarebbero stati indagati e perseguiti se
ed in quanto fossero state soddisfatte le tre seguenti condizioni: 1)
copertura della giurisdizione statutaria del Tribunale; 2) compatibilità
con una strategia accusatoria focalizzata sui leader di più alto livello291
;
3) adeguatezza delle risorse disponibili.
Ne risultò che i cinque già accusati leader serbo-jugoslavi sarebbero
rimasti il “primary focus” dell’attività investigativa dell’Ufficio del
Procuratore292
. Questo non si precluse la possibilità di perseguire, sulla
base di un’analisi caso per caso, anche altri individui di entrambe le
fazioni coinvolte nel conflitto293
. Tuttavia, il Procuratore Capo precisò
291 Nella fase iniziale del suo mandato, coincidente con la guerra di Bosnia (1992-1995),
il TPIJ, non riuscendo a disporre della materiale presenza dei presunti criminali di più
alto livello, si era concentrata su individui ricoprenti cariche meno importanti (e.g. Dusko
Tadic). 292 In esito a forti pressioni internazionali, alla fine di giugno del 2001, la RFJ avrebbe
accettato di trasferire Milosevic alla custodia del TPIJ, di fronte ai cui giudici sarebbe
comparso, per la prima volta, il successivo 3 luglio. Con riferimento alla fase croata
(agosto 1991-giugno 1992) e quella bosniaca (1992-1995) del conflitto jugoslavo, il
Procuratore del TPIJ avrebbe imputato a Milosevic, tra l’ottobre ed il novembre del
2001, ulteriori capi d’accusa, afferenti non solo alle fattispecie dei crimini di guerra e
contro l’umanità ma anche a quelle di genocidio e di gravi violazioni delle Convenzioni
di Ginevra del 1949. Gli atti di accusa a carico di Milosevic sarebbero stati unificati, il 1°
febbraio del 2002, in un unico procedimento (simbolicamente il più importante nella
storia dell’TPIJ). Lo straordinario ambito temporale e geografico dei capi d’accusa
avrebbe reso il processo di una tale complessità tecnica da indurre il TPIJ a stralciare,
con riferimento alla fase kosovara del conflitto, la posizione di Milosevic da quella degli
altri quattro co-imputati (all’epoca ancora in libertà). Il processo avrebbe avuto inizio
solo il 12 febbraio del 2004 e si sarebbe interrotto con la morte dell’ex Presidente
jugoslavo, sopraggiunta per cause naturali l’11 marzo del 2006. Quanto ai quattro iniziali
co-imputati, Sainovic e Ojdanic sarebbero comparsi di fronte al TPIJ tra la fine di aprile e
l’inizio di maggio del 2002, poche settimane dopo il suicidio di Stojlkovic a Belgrado;
per Milutinovic si sarebbe dovuto attendere la fine di gennaio del 2003. Il processo a
Milutinovic, Sainovic e Ojdanic per crimini commessi in Kosovo nel 1999 avrebbe avuto
inizio solo il 10 luglio del 2006. Per lo sviluppo giudiziario dei casi trattati dal TPIJ si
vedano i rapporti annuali dello stesso all’AG e al CS dell’ONU, e, in particolare, il più
recente: Thirteenth annual report of the International Tribunal for the Prosecution of
Persons Responsible for Serious Violations of International Humanitarian Law
Committed in the Territory of the Former Yugoslavia since 1991, 15 August 2006. 293 Nel corso del triennio 2003-2005, il Procuratore avrebbe, infatti, incriminato anche
altri individui per crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati in Kosovo tra il 1998 ed
il 1999: il 24 gennaio del 2003, quattro ex comandanti dell’UCK -Fatmir Limaj, Haradin
Bala, Isak Musliu, Agim Murtezi (caso Limaj et alii, no. IT-03-66); il 22 settembre dello
stesso anno, quattro generali serbi -Vlastimir Djordjevic, Vladimir Lazarevic, Sreten
Lukic e Nebojsa Pavkovic (caso Pavkovic et alii, no. IT-03-70, poi unificato al caso
Milutinovic et alii); il 21 ottobre del 2004, un altro kosovaro albanese per aver interferito
con potenziali testimoni nel processo Limaj et alii; infine, il 4 marzo del 2005, altri tre ex
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
101
che il Tribunale “has neither the mandate, nor the resources, to function,
as the primary investigative and prosecutorial agency for all criminal
acts committed on the territory of Kosovo294
. (…) Therefore, the judicial
authorities in Kosovo [corsivo nostro] have the competence to judge
those accused of crimes of the sort that come within the jurisdiction of
the International Tribunal”295
. Quella che il Procuratore Capo abbozzò -
allorché oltre 2.000 corpi erano già stati riesumati da circa 200 fosse
comuni, restituendo un parziale, ma già drammatico, ordine di grandezza
della tragedia consumatasi296
- era una divisione di competenze di tipo
orizzontale tra TPIJ, da una parte, e sistema giudiziario locale, dall’altra.
Quanto al coordinamento tra i due livelli giurisdizionali, il Procuratore
Capo non poté che rimandare all’art. 9 dello Statuto del TPIJ,
affermando che: “Continuing liaison with ICTY [TPIJ] is important,
because the Security Council provided for concurrent jurisdiction in the
International Tribunal and in national courts to prosecute persons for
crimes within the scope of the ICTY Statute (…). In appropriate cases,
which must be determined on a case by case basis, it is open to the
International Tribunal to request national courts to defer to its
competence (…)”297
. Tuttavia, come già ampiamente discusso nel
paragrafo II.3, le deficienze, in termini di capacità e di imparzialità, della
magistratura kosovara erano di tale portata da vanificare la sola idea di
un tandem tra TPIJ-corti locali. Ben consapevole di tale situazione, il
Procuratore Capo esplicitamente confidava nel fatto che la missione
ONU, avrebbe, grazie al suo ampio mandato, preso a carico anche
l’amministrazione provvisoria del sistema giudiziario locale: “[t]he
investigation and prosecution of offences, which may fall outside the
scope (…) described above is properly the responsibility of UNMIK,
through UNCivPol and newly formed civilian police in Kosovo, assisted
by KFOR”298
.
Il coinvolgimento di UNMIK nel sistema giudiziario kosovaro
diventò, dunque, la conditio sine qua non per l’effettiva concorrenza tra
la giurisdizione del TPIJ e quella delle corti kosovare. I responsabili di
comandanti dell’UCK -Ramush Haradinaj (premier kosovaro al momento
dell’incriminazione), Idriz Balaj e Lahi Brahimaj (caso Haradinaj et alii, no. IT-04-84). 294 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 6. 295 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 7. 296 Seventh Annual Report of the ICTY, 26 July 2000, par. 180. Il programma di
riesumazione di cadaveri condotto dall’Ufficio del Procuratore sarebbe stato ultimato nel
2000, durando oltre due anni e disvelando qualcosa come 4.000 corpi o parti di corpi
umani. Eighth Annual Report of the ICTY, 13 August 2001, par. 191. 297 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 7. 298 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 6.
CAPITOLO SECONDO 102
UNMIK non tardarono a prenderne atto e, già il 13 dicembre del 1999, la
Commissione Consultiva Tecnica sulla Magistratura e sul Servizio
Procuratoriale, istituita dal RSSG299
, raccomandò la creazione di un
tribunale ad hoc sul modello del TPIJ: il Tribunale Kosovaro per i
Crimini di Guerra ed i Crimini contro l’Umanità, in seguito ridenominato
Corte Kosovara per i Crimini di Guerra ed Etnici (CKCGE). La CKCGE
avrebbe dovuto essere un tribunale provvisorio, “ibrido” in quanto a
composizione e legge applicabile: magistrati e funzionari internazionali
avrebbero supportato e supervisionato gli omologhi locali (di etnia sia
albanese che serba) nel perseguire, in base al diritto internazionale,
crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio, e, in base alla legge
locale, gravi reati commessi sulla base della razza, dell’etnia, della
religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad una minoranza etnica o
ad un gruppo politico300
. La CKCGE avrebbe, tuttavia, trovato
collocazione al di fuori dell’esistente sistema giudiziario kosovaro, col
quale avrebbe stabilito un rapporto di primacy, analogo a quello che il
TPIJ avrebbe, a sua volta, stabilito con la stessa CKCGE301
. Ma il vero
criterio di coordinamento tra CKCGE e TIPJ sarebbe stato dettato dal
livello gerarchico dei presunti criminali: il TPIJ avrebbe perseguito
quelli di più alto rango mentre la CKCGE i quadri intermedi e bassi, per
processare i quali il Tribunale dell’Aja risultava sprovvisto di sufficienti
risorse.
Sotto il profilo tecnico, il progetto di CKCGE raggiunse uno stato di
avanzamento tale da renderne possibile la realizzazione già nell’estate
del 2000. Tuttavia, sotto il profilo politico, l’iniziativa si arenò nelle
secche di un dibattito trascinatosi fino al settembre del 2000, quando le
autorità UNMIK decisero di accantonare il progetto. Le ragioni del
mancato decollo furono svariate.
In primo luogo, vi era l’opposizione della comunità giuridica
kosovara albanese, la quale, pretestuosamente, si riteneva capace di
perseguire con competenza e imparzialità i crimini commessi e temeva
che la creazione di un organo come la CKCGE avrebbe drenato
importanti risorse umane alle corti locali proprio nel momento in cui
299 La Commissione, composta di esperti kosovari e internazionali, fu istituita dalla
Regulation UNMIK n. 6/1999 On Recommendations for the Structure and
Administration of the Judiciary and Prosecution Service del 7 settembre del 1999. 300 Quanto alla competenza ratione loci e temporis, la CKCGE avrebbe potuto perseguire
crimini commessi sul territorio kosovaro dal 1° gennaio del 1998; come per il TPIJ non
era previsto un dies ad quem. 301 La separatezza tra le due giurisdizioni sarebbe stata temperata dalla previsione di
un’apposita Camera d’Appello della CKCGE competente a ricevere ricorsi anche da corti
locali.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
103
queste, appena ricostituite, ne avevano maggior bisogno; in realtà, dietro
queste argomentazioni si mascherava la preoccupazione politica che un
“eccesso di indipendenza” del costituendo organo giurisdizionale
avrebbe portato all’incriminazione di numerosi albanesi, riattizzando le
mai sopite tensioni interetniche.
In secondo luogo, vi erano le imprescindibili questioni finanziarie
che ponevano UNMIK di fronte all’imbarazzo di chiedere ulteriori
contributi volontari agli Stati membri: i costi di start-up e di gestione per
i soli primi sei mesi erano stimati in quasi 9 milioni di euro302
.
In terzo luogo, vi era il diniego delle autorità USA di garantire
adeguata sicurezza al personale della Corte, ospitando le strutture della
stessa all’interno della base Bondsteel; tale diniego era verosimilmente
sotteso dal timore che una corte “troppo indipendente” indagasse anche
su presunti criminali di guerra americani e, più in generale, dei Paesi
della NATO.
Infine, vi erano le preoccupazioni trasversali, squisitamente tecnico-
giuridiche, legate alla creazione di un’ulteriore organo giurisdizionale
posto tra il sistema giudiziario kosovaro ed il TPIJ.
Nel frattempo, tra il 15 febbraio ed il 27 maggio del 2000, in
risposta ad un’ondata di disordini ed al fine di rilanciare la fiducia di
tutta la popolazione kosovara nella magistratura locale, il RSSG aveva,
con un appositi regolamenti303
, nominato giudici e procuratori
internazionali presso i quattro distretti giudiziari del Kosovo. Dopo il
fallimento del progetto di una CKCGE, il dispiegamento di questi
magistrati internazionali -dapprima concepito come una soluzione
estemporanea e pragmatica in attesa del perfezionamento del progetto di
una corte ad hoc con giurisdizione speciale- rimase per UNMIK la sola
via realisticamente percorribile, e si sviluppò, di conseguenza, in un
programma strutturato, radicato ed articolato all’interno dell’esistente
sistema giudiziario kosovaro.
Le uniche norme che, in linea teorica, si prestano a regolare il
rapporto tra il TPIJ e le corti “ibride” kosovare sono rintracciabili nei più
volte richiamati artt. 9 e 10 dello Statuto del primo, la cui applicazione
incontra, tuttavia, un limite di non poco conto nel fatto che il Kosovo
non sia de jure uno Stato sovrano per cui le sue corti possano stricto
sensu essere qualificate come “corti nazionali”. Detto limite potrebbe
302 Il Comitato Consultivo dell’ONU sulle Questioni Amministrative e di Bilancio non
mancò di esprimere le sue perplessità sulla sostenibilità finanziaria della CKCGE nel
rapporto Financing of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo del
13 novembre del 2000, par. 32. 303 Regulation UNMIK n. 6/2000 e 34/2000. Si veda supra al par. II.3.
CAPITOLO SECONDO 104
superarsi interpretando la risoluzione n. 1244 del 1999 come un atto che,
pur riaffermando la nominale sovranità sul Kosovo dell’allora RFJ, ne ha
sospeso -con finalità sanzionatorio-umanitarie- l’esercizio da parte di
quest’ultima a favore di un “sovrano interinale”, quale UNMIK. Se
l’amministrazione transitoria di UNMIK possiede de facto attributi di
sovranità sul Kosovo304
, allora le corti kosovare, ed a fortiori quelle in
cui siedono magistrati internazionali, potrebbero essere qualificate lato
sensu come “corti nazionali”305
.
Accettando -beninteso: solo in modo provvisorio e funzionale allo
sviluppo del ragionamento- questa premessa, il TPIJ e le corti “ibride”
kosovare avrebbero giurisdizione concorrente per perseguire le persone
che abbiano commesso gravi violazioni del diritto internazionale
umanitario nel territorio del Kosovo dal 1991 in poi (art. 9.1). Il
principio della giurisdizione concorrente andrebbe, anzitutto, letto nel
304 Il combinato disposto della risoluzione n. 1244/99 e della Regulation n. 1 del 1999 ha
conferito ad UNMIK prerogative di ampiezza tale da far parlare, in dottrina, di una
sospensione della sovranità della ex RFJ sul Kosovo. P. SALZANO, “ONU e Kosovo: un
caso sui generis”, cit. pagg. 104-105. Sul tema si vedano, inoltre: J. CHARVET, “The
idea of state sovereignty and the right of humanitarian intervention” in International
Political Science Review, vol. 18, n. 1, 1997, pagg. 39-48; A. YANNIS, “The Concept of
Suspended Sovereignity in International Law and Its Implications in International
Politics” in European Journal of International Law, vol. 13, n. 5, 2002, pagg. 1037-1052.
Oltre a trasferire in capo al RSSG i poteri legislativo ed esecutivo e l’amministrazione
della magistratura, la Regulation n. 1 ha sospeso i diritti di proprietà statale della Serbia e
della RFJ: “UNMIK shall administer movable or immovable property, including moneis,
bank accounts, and other property of, or registered in the name of the Federal Republic of
Yugoslavia or the Republic of Serbia or any of its organs, which is in the territory of
Kosovo” (Section 6). Ulteriori limitazioni della sovranità belgradese sul Kosovo sono
state: la creazione di un’amministrazione doganale separata (Regulation n. 3 del 1999),
l’introduzione, da parte di UNMIK, del marco tedesco (poi sostituito dall’euro) al posto
del dinaro jugoslavo (Regulation n. 4 del 1999), l’emissione di documenti di viaggio
UNMIK in sostituzione dei passaporti jugoslavi. 305 C’è, in dottrina, chi ha indicato nella risoluzione n. 1244/1999 del CS dell’ONU, e
non nello Statuto del TPIJ, il fondamento giuridico dell’obbligo per le corti “ibride” di
sottomettersi alla primacy del TPIJ. Più precisamente l’obbligo sarebbe desumibile dal
par. 14 della citata risoluzione che richiede “full cooperation by all concerned, including
the international security presence, with the ICTY” (G. SLUITER, “Legal Assistance to
Internationalized Criminal Courts and Tribunals” in Internationalized Criminal Courts
and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag. 395). Pur
essendo incontestabile la premessa da cui muove il ragionamento -secondo cui sia le corti
“ibride” che il TPIJ derivano, in ultima analisi, la propria autorità dal CS dell’ONU- per
smontare la tesi, è sufficiente sottolineare che la “international security presence” cui si
fa riferimento è la forza NATO KFOR e non la missione UNMIK (presenza
internazionale civile); si potrebbe, poi, aggiungere che la locuzione “full cooperation” è
troppo generica per poterne dedurre un concetto così ben definito come il regime di
primacy cui è informato lo Statuto del TPIJ.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
105
suo più immediato significato, in base al quale la competenza del TPIJ
non esclude quella delle corti nazionali, e viceversa. Tale definizione,
costruita per adversum, dovrebbe, poi, essere inquadrata alla luce della
divisione orizzontale di competenze affermatasi in via di fatto a seguito
delle pubbliche dichiarazioni dell’Ufficio del Procuratore del TPIJ cui le
autorità di UNMIK si sono conformate. Pertanto, il TPIJ, in funzione
delle risorse disponibili e della strategia giudiziaria adottata, si limita a
perseguire i “most senior perpetrators”, mentre le corti “ibride” kosovare
si concentrano sui “lower profile offenders”.
Il TPIJ sarebbe, inoltre, in posizione di primato rispetto alle corti
“ibride”, in quanto, in un qualsiasi stadio della procedura, potrebbe
formalmente richiedere a queste ultime di deferire un determinato caso
alla sua competenza (art. 9.2)306
; le corti “ibride” non potrebbero
processare una persona che sia già stata processata dal TPIJ (art. 10.1); il
TPIJ potrebbe, d’altra parte, processare una persona che sia già stata
processata da una corte “ibrida” solo se: a) l’atto per il quale questa è
stata processata è stato qualificato come reato comune, oppure b) le
procedure della corte non sono state imparziali ed indipendenti, o sono
state concepite per proteggere l’accusato dalla responsabilità penale
internazionale, o il caso non è stato trattato con diligenza (art. 10.2)307
.
306 L’art. 9.2 dello Statuto rimanda alle Regole di Procedura e Prova (RPP) la disciplina
delle modalità attraverso le quali il TPIJ può chiedere il deferimento di un caso alla sua
competenza. Vengono, a tal proposito, in rilievo le Regole 9-10-11 del RPP. La Regola 9
del RPP individua nel Procuratore l’organo titolato a proporre una formale richiesta di
deferimento (request for deferral) ad una Camera di primo grado designata dal
Presidente; tale richiesta può essere proposta laddove, in un qualsiasi stadio delle
indagini o del procedimento penale istituito presso le corti di un qualsiasi Stato, il
Procuratore riscontri, alternativamente, che (i) l’atto oggetto di indagini ovvero sub
judice è qualificato come reato comune; o (ii) v’è un difetto di imparzialità o
indipendenza, o le indagini ovvero le procedure sono congegnate per far scudo alla
responsabilità penale internazionale dell’accusato, o il caso non è trattato con la dovuta
diligenza; o (iii) una questione risulta strettamente connessa, o altrimenti implica,
significative questioni sostanziali o formali suscettibili di avere conseguenze per le
indagini o i processi dinanzi al Tribunale. La Regola 10 del RPP conferisce alla Camera
di primo grado il potere di valutare la conformità della proposta del Procuratore a quanto
stabilito dalla precedente Regola 9, ed emettere, ove lo reputi appropriato, formale
richiesta di deferimento. Lo Stato interessato, in base alla Regola 11 del RPP, disporrà, al
massimo, di 60 giorni (computati dalla notifica) per soddisfare la richiesta, pena
possibilità di deferimento da parte del Presidente del TPIJ al CS. Una Camera di primo
grado diversa da quella che ha emesso la richiesta condurrà il processo (Regola 10 C del
RPP). 307 La Regola 12 del RPP è un’altra manifestazione del primato del TPIJ; in base ad essa,
le decisioni di corti “ibride” kosovare non sarebbero vincolanti per il Tribunale.
CAPITOLO SECONDO 106
Ad oggi, non risultano casi rispetto ai quali il TPIJ abbia
formalmente rivendicato, attraverso le esistenti modalità procedurali, il
suo primato sulle corti kosovare. Invero, una tale evenienza appare
alquanto improbabile. Al riguardo, è opportuno puntualizzare che tra le
corti operanti sotto l’egida di UNMIK ed il TPIJ intercorre un rapporto
qualitativamente diverso da quello che si stabilisce, ad esempio, tra una
corte serba (o croata o bosniaca o macedone) e lo stesso TPIJ.
Quest’ultimo è un rapporto tra “estranei”: da una parte, uno Stato
sovrano che persegue i propri interessi, dall’altra, un organo
giurisdizionale di tipo sovranazionale teso a perseguire obiettivi di
interesse generale per la comunità internazionale; al contrario,
nonostante l’auto-referenzialità burocratica tipica dell’intero sistema
onusiano, quello tra UNMIK e TPIJ è un rapporto tra “parenti”: essi
restano pur sempre due istituzioni della medesima organizzazione
internazionale. Pertanto, non desti meraviglia che la competenza a
trattare un determinato caso sia stata talvolta stabilita, in fase pre-
processuale, sulla semplice base di informali contatti tra gli investigatori
inviati in Kosovo dal Procuratore del TPIJ e gli inquirenti UNMIK,
specie nei primi tre anni di vita della missione ONU308
. Ciò sarebbe
avvenuto, ad esempio, per il caso Limaj309
, iniziato dinanzi a corti locali
e successivamente preso in carico dal TPIJ310
. In maniera analoga, prima
che un caso pendente dinanzi ad una corte puramente kosovara potesse
sollevare questioni tali da implicare una richiesta di deferimento da parte
del TPIJ, sono state le competenti autorità UNMIK, talvolta su informale
impulso dell’Ufficio distaccato del TPIJ a Pristina, ad attivarsi per
l’assegnazione del caso medesimo a magistrati del Programma GPI. Al
riguardo, si può dire che il meccanismo procedurale di “deferral” ha, in
sostanza, operato a livello decentrato, nel senso che è stato il sistema
UNMIK, e non il TPIJ, a richiedere il deferimento del caso alla sua
competenza.
Ai generali criteri di coordinamento sopra enunciati vanno aggiunte
le regole desumibili dalla Regola 11-bis delle RPP del TPIJ, quale
308 Intervista ad un procuratore del Programma GPI, 23 novembre del 2006. 309 Accusato dal TPIJ all’inizio di gennaio del 2003 per crimini contro l’umanità e di
guerra commessi, tra il maggio ed il luglio del 1998, ai danni di civili serbi nel campo di
prigionia di Lapusnik (presso Glogovac), Fatmir Limaj è stato assolto il 30 novembre del
2005. Limaj, comandante UCK presso il citato campo di prigionia, è stato processato
unitamente ad altre tre guardie UCK, delle quali solo una è stata condannata in primo
grado (a tredici anni di carcere). 310 T. PERRIELLO, M. WIERDA, Lesson from the Deployment of International Judges
and Prosecutors in Kosovo, International Center for Transitional Justice, March 2006,
pag. 29.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
107
emendato dal plenum dello stesso Tribunale sulla scia delle risoluzioni n.
1503/2003 e n. 1534/2004 del CS sulla completion strategy per i due
TPIh311
. Secondo quest’ultima regola312
, il Referral Bench, sezione di
giudici di primo grado istituita dal Presidente del TPIJ dopo il rinvio a
giudizio e prima dell’inizio del processo313
, può, motu proprio ovvero su
richiesta del Procuratore, ordinare314
il trasferimento di un caso (e
dell’imputato, se questo è sotto la custodia del Tribunale315
, e di tutte le
informazioni ed il materiale rilevanti316
) alle autorità di uno Stato317
,
affinché queste immediatamente lo deferiscano alla competente corte
interna per celebrare il processo318
. Lo Stato al quale un determinato caso
può essere trasferito è, alternativamente, (i) quello competente ratione
loci commissi delicti, (ii) il forum deprehensionis, (iii) un altro Stato
avente comunque giurisdizione (ad esempio ratione personae, attiva o
passiva), volontà e adeguata preparazione per accettare il caso319
. Quale
che sia il fondamento della competenza, deve comunque trattarsi di uno
Stato in cui l’imputato possa ricevere un processo equo e la pena di
311 Al fine di razionalizzare il carico di lavoro del TPIJ, in vista di precise scadenze
temporali contestualmente fissate, la risoluzione n. 1503 ha esortato il Tribunale stesso a
formalizzare “a detailed strategy to transfer cases involving intermediate and lower rank
accused to competent national jurisdictions”. La risoluzione n.1534 è tornata sul tema
precisando che le decisioni del Tribunale sul trasferimento di casi alle corti nazionali
dovranno essere basate su due parametri: la gravità del crimine oggetto di accusa ed il
livello di responsabilità dell’imputato. Sul punto si vedano: M. BOHLANDER, “The
Transfer of Cases from International Criminal Tribunals to National Courts”, Paper
presented at the Prosecutors’ Colloquium in Arusha, 25-27 November 2004 (accessibile
attraverso il portale del TPIR); G. DELLA MORTE, “Osservatorio dei Tribunali penali
internazionali” in Diritto Penale e Processo, n. 11/2005, pagg. 1445-1447. Sulla
completion strategy si veda anche supra al par. I.2. 312 La Regola 11-bis ha subito ripetute revisioni sull’abbrivio della richiamata risoluzione
del CS n. 1534/2004: il 10 giugno 2004, l’11 febbraio del 2005 e, da ultimo, il 13 giugno
del 2006. Nella sua originaria formulazione, essa disciplinava le modalità
dell’incriminazione da parte del TPIJ, qualora il caso fosse pendente dinanzi ad una corte
nazionale. 313 I membri del Referral Bench sono scelti tra i giudici delle Camere di primo grado.
Regola 11-bis, lett. (A). 314 Prima di emettere tale ordine, il Referral Bench, è tenuto a concedere al Procuratore e,
dove applicabile, all’accusato l’opportunità di essere sentito. La lett. (I) prevede che la
decisione (positiva o negativa) del Referral Bench sul deferimento di un caso sia
impugnabile in appello da parte del Procuratore e dell’imputato. 315 Regole 11-bis, lett. (D). In base alla lett. (E), ove l’imputato fosse in libertà, il
Referral Bench può emettere un mandato d’arresto nei suoi confronti, specificando lo
Stato nel quale deve essere trasferito per il processo. 316 Ibidem, lett.(D), (iii). 317 Ibidem, lett. (B). 318 Ibidem, lett. (A). 319 Ibidem, lett. (A), (i), (ii), (iii).
CAPITOLO SECONDO 108
morte non sia comminata o eseguita320
. Quanto alla tipologia di casi
trasferibili, la Regola 11-bis espressamente richiama la risoluzione del
CS n. 1534 del 2004, la quale, come già detto, considera determinanti i
criteri di gravità del crimine ed il livello di responsabilità
dell’imputato321
. Un preciso regime di garanzie si erge, inoltre, a tutela
del primato del TPIJ sulle giurisdizioni interne: il Referral Bench può
ordinare che misure di protezione per taluni testimoni o talune vittime
rimangano in vigore322
; il Procuratore può inviare degli osservatori al
fine di monitorare, per suo conto, l’esercizio dell’azione penale dinanzi
alle corti interne323
; e ancora che in ogni momento successivo
all’ordinanza resa in virtù del presente articolo ma antecedente alla
dichiarazione di colpevolezza o di assoluzione emessa dalla corte
interna, il Referral Bench può, su domanda del Procuratore e dopo aver
offerto alle autorità dello Stato interessato la possibilità di essere
ascoltate, annullare l’ordinanza e domandare la dismissione del caso ai
sensi dell’art. 10324
ed il trasferimento dell’imputato325
. La giurisdizione
dello Stato interessato ha, a questo punto, il dovere di procedere senza
ritardo.
A fronte di un crescente numero di casi trasferiti a corti nazionali di
Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia326
, alcun caso risulta, tuttavia,
trasferito alle corti “ibride” kosovare.
Continuando ad assumere come logica premessa che UNMIK, ex
risoluzione n. 1244/99 del CS, è il sovrano de facto del Kosovo, per cui
le corti “ibridate” da magistrati internazionali sono lato sensu
qualificabili come “corti nazionali”, la possibilità di futuri trasferimenti
di casi pendenti dinanzi al TPIJ per crimini commessi in Kosovo può
essere valutata considerando sistematicamente almeno tre criteri: 1) la
gravità dei crimini ed il grado di responsabilità degli imputati, 2) lo stato
d’avanzamento dei procedimenti penali, 3) l’opportunità politica di una
tale evoluzione giudiziaria.
320 Ibidem, lett. (B). 321 Ibidem, lett. (C). 322 Ibidem, lett.(D), (ii). 323 Ibidem, lett. (D), (iv). 324 Ibidem, lett. (F). La Regola 10 del RPP disciplina il potere del TPIJ di richiedere
l’avocazione del procedimento iniziato presso le corti interne. 325 Ibidem, lett. (G). Tale prerogativa è rafforzata dal potere di emettere un mandato di
arresto nei confronti dell’imputato. 326 Al novembre del 2006, sette casi, per un totale di dodici imputati, risultano trasferiti
ex Regola 11-bis del RPP dal TPIJ a corti nazionali: cinque casi alla Camera per i
Crimini di Guerra della Corte di Stato di Bosnia-Erzegovina, uno alla Camera per i
Crimini di Guerra presso la Corte Distrettuale di Belgrado (Serbia) ed uno alle Camera
Speciale per i Crimini di Guerra istituita in Croazia.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
109
Per quanto riguarda gli imputati di etnia serba, il caso Milosevic, il
caso Milutinovic et alii ed il caso Pavkovic et alii (che in quest’ultimo è
confluito) non potrebbero essere trasferiti alle corti “ibride” per tre ordini
di ragioni: in primo luogo, perché trattasi di ex esponenti politici e
militari di primo piano della Repubblica Serba e dell’ex RFJ accusati di
violazioni estremamente gravi del diritto internazionale umanitario; in
secondo luogo, perché, pur volendo prescindere dalle argomentazioni
appena esposte, i procedimenti hanno raggiunto un avanzamento tale da
non permettere più l’istituzione di un Referral Bench, il quale, stando
alla lettera (A) della Regola 11-bis, può essere nominato solo nello iato
procedurale tra il rinvio a giudizio (i.e. confirmation of the indictment) e
l’inizio del processo; in terzo luogo, perché, trattandosi essenzialmente
di casi di fortissima valenza politica327
, la sola idea che possano essere
giudicati da corti kosovare, ancorché “ibridate” da magistrati
internazionali, rischierebbe di esacerbare il perdurante e strisciante clima
di tensione tra Belgrado e Pristina. Per queste stesse ragioni, i citati casi
non potrebbero essere trasferiti a corti serbe, in linea teorica competenti
in base al principio della nazionalità attiva328
.
Per quanto riguarda gli imputati di etnia albanese, il quadro non è
dissimile. Relativamente al caso Limaj et alii, è sufficiente ricordare che
il processo è già arrivato alla sentenza di primo grado (il 30 novembre
del 2005) per escludere la possibilità di un trasferimento ex Regola 11-
bis329
. Anche il caso Haradinaj et alii appare ormai sottratto ad un
potenziale deferimento, essendo il processo iniziato il 5 marzo del 2007.
327 Gli imputati di questi casi non sono processati per la diretta commissione dei crimini
ma per il fatto di aver ricoperto cariche apicali nella catena del commando dello Stato
serbo-jugoslavo all’epoca della crisi umanitaria kosovara. 328 In generale, il trasferimento di casi inizialmente trattati dal TPIJ a corti nazionali
solleva una questione “di psicologia collettiva” non priva di implicazioni politiche nel
delicato contesto post-bellico della ex Jugoslavia: quelli che l’etnia-vittimizzata
considera crimina juris gentium sono spesso guardati come atti di eroismo dall’etnia cui
appartengono gli autori. Pertanto il trasferimento di casi “politicamente caldi” a corti
nazionali può essere percepito: a) come l’occasione per dispensare “giustiza etnica” (una
forma sublimata di vendetta) laddove la corte nazionale di destinazione è quella
dell’etnia-vittima; b) come l’occasione per dispensare una “giustizia edulcorata” (una
forma di revisionismo giudiziario), se la corte nazionale di destinazione è quella
dell’etnia-criminalizzata. Si tratta di una questione tutt’altro che sociologica, visto che le
percezioni della giustizia giocano un ruolo non secondario nei processi di riconciliazione
interetnica. 329 Laddove fossero sussistiti i presupposti procedurali per il trasferimento, il Referral
Bench avrebbe dovuto confrontarsi con una situazione resa complessa dal fatto che i
crimini presunti erano sì di sicura gravità mentre gli imputati, fatta eccezione per Limaj
(comandante UCK), erano collocati ad un livello di responsabilità certamente non elevato
(si trattava di due guardie carcerarie). Anche per questo caso, come per quelli relativi ad
CAPITOLO SECONDO 110
Dal momento che la procedura di “referral” ex Regola 11-bis è stata
estesa anche a casi che si trovino ancora alla fase investigativa330
, in
linea teorica, si potrebbero ipotizzare trasferimenti alle corti “ibride”
kosovare laddove nuovi casi di crimini commessi in Kosovo fossero
iscritti al ruolo dal TPIJ e sempre che la gravità delle violazioni ed il
livello di responsabilità degli indiziati fossero tali da consentirlo.
Tuttavia, a ben vedere, almeno due motivi rendono l’ipotesi alquanto
remota: come già ricordato, il TPIJ è, per volontà del CS, in phasing out
e solo eccezionalmente accetterebbe di trattare nuovi casi oltre a quelli
che deve ancora concludere331
; inoltre, fintantoché lo status definitivo
del Kosovo non sarà definito (nel senso dell’indipendenza da Belgrado),
il trasferimento di casi, ancorché in fase investigativa, a corti “ibride”
creerebbe tra UNMIK e Belgrado più imbarazzo di quanto non abbia già
creato la complessiva ambiguità giuridico-istituzionale discesa dalla
risoluzione n. 1244/99.
Il ragionamento fin qui svolto si basa, come già ricordato,
sull’esplicita, ancorché provvisoria, premessa che le corti “ibride”
kosovare siano sostanzialmente assimilabili a “corti nazionali”, e questo
non già perché il Kosovo sia uno Stato sovrano in pectore ma perché un
sovrano -UNMIK- comunque esiste in Kosovo sul piano fattuale. A ben
vedere, gli elementi che concorrono alla de-costruzione di una tale
protasi logica sono numerosi e di consistenza non trascurabile. UNMIK è
davvero sovrano provvisorio de facto in Kosovo? Una risposta è
possibile esplorando il panorama dei soggetti che contendono ad
UNMIK l’esercizio effettivo ed esclusivo del potere di governo sul
territorio kosovaro.
A tal proposito, va, anzitutto, ricordato che la forza NATO KFOR si
colloca al di fuori dei “Pilastri” di UNMIK332
e, essendo responsabile
imputati serbi, il trasferimento a corti kosovare non sarebbe stato politicamente
opportuno; godendo Limaj della fama di “eroe nazionale” tra la popolazione di etnia
albanese, rimettere il suo giudizio ad una corte kosovara, ancorché “ibridata” da
magistrati UNMIK, avrebbe indubbiamente irritato la componente serba del Kosovo
nonché le autorità di Belgrado. 330 American University Washington College of Law, “Updates from the International
Criminal Courts” in Human Rights Brief, vol. 12, issue 3, spring 2006, pag. 37. 331 Al 9 ottobre del 2006, rimanevano ancora pendenti dinanzi al TPIJ procedimenti
contro 64 imputati (su un totale di 161 complessivamente trattati dall’inizio della sua
attività). Address of Judge Fausto Pocar, President of the ICTY, to the United Nations
General Assembly, The Hague 9 October 2006. 332 La stessa risoluzione n. 1244/99 del CS formula in termini ambigui il rapporto tra
presenza internazionale civile (UNMIK) e presenza internazionale militare (KFOR) in
Kosovo. Benché entrambe siano chiamate ad operare sotto gli auspici dell’ONU (par. 5),
la seconda non è stata posta sotto il controllo della prima; le due presenze sono piuttosto
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
111
della sicurezza in Kosovo, sine dubio detiene in via provvisoria
un’importante quota della sovranità revocata alle autorità belgradesi333
.
Un’ulteriore diminutio alla sovranità di UNMIK discende, poi, dal
progressivo trasferimento di competenze a favore delle IPAG, iniziato
nel marzo del 2002; ancor prima della definizione del suo status, il
Kosovo possiede già ministeri in tutti i settori (dal dicembre del 2005
anche in quello di Giustizia e dell’Interno334
) della vita pubblica, sociale
ed economica, nonché un Parlamento democraticamente eletto sotto
l’osservazione dell’OSCE.
Tuttavia, UNMIK non è riuscita a creare delle IPAG anche nelle
enclaves a maggioranza serba che rimangono sotto l’effettivo controllo
delle autorità di Belgrado, specie per quanto riguarda il settore
giudiziario335
.
Benché ancora titolare di un congruo numero di “domaines
reservées”336
, UNMIK non è, dunque, il sovrano che si era
provvisoriamente ipotizzato. Ne deriva che le corti kosovare non
possono essere latamente qualificate come “corti nazionali” ai sensi e per
gli effetti dello Statuto e del RPP del TPIJ; si tratta piuttosto di corti
“locali”, aggettivo di valenza semantica più politica che giuridica,
emblematico dell’assenza di una piena sovranità da parte di UNMIK
nonché delle IPAG. La realtà è che in Kosovo, dal luglio del 1999, non
esiste una sovranità piena ed in capo ad un unico soggetto. “Nazionali”,
con tutti i loro difetti, erano state fino a quella data solo le corti della
RFJ.
Se UNMIK non è il sovrano interinale del Kosovo e se le corti
kosovare non posono essere considerate, sia pure impropriamente, come
chiamate ad un rapporto orizzontale, cioè di coordinamento e reciproco supporto (par. 6 e
par. 9). 333 L‘accordo di Kumanovo disponeva una limitazione della sovranità di Belgrado
persino al di fuori del territorio kosovaro: la temporanea smilitarizzazione di una zona
aerea e di una zona terrestre estese, rispettivamente, per 25 e 5 km nel territorio serbo. 334 Regulation UNMIK n. 53/2005. 335 Sebbene alcuni giuristi serbi abbiano accettato, dall’inizio del 2003, di far parte della
magistratura kosovara, corti dislocate nel territorio della Serbia vera e propria (Kraljevo,
Niš, Vranje, Leskovac, Kruševac) continuano a dichiararsi competenti in ordine a fatti, di
rilievo penale e civile, accaduti nei cinque distretti del Kosovo (rispettivamente:
Mitrovica, Pristina, Gjilan, Peć, Prizren). Sulle corti parallele serbe in Kosovo si vedano:
OSCE, Report on Parallel Court Activity in Northern Kosovo (November 2001), OSCE-
UNHCR, Tenth Assessment of the Situation of Ethnic Minorities in Kosovo (March
2003), OSCE, Report on Parallel structures in Kosovo (October 2003), pagg. 16-23. 336 Ad esempio, per restare al settore giudiziario, resta prerogativa del RSSG di UNMIK:
la nomina dei magistrati locali ed internazionali, mentre la cooperazione giudiziaria
internazionale è di competenza del DG di UNMIK.
CAPITOLO SECONDO 112
“corti nazionali”, allora prende corpo un’ipotesi fin qui rimasta
adombrata nel non detto del discorso: con riferimento al Kosovo, il TPIJ,
organo sussidiario del CS dell’ONU, giammai ha attivato procedure di
“deferral”, ex Regole 9, 10 e 11 del RPP, ovvero di “referral”, ex Regola
11-bis del RPP, per evitare di incappare nell’imbarazzo, più politico che
giuridico, di un implicito riconoscimento della sovranità del Kosovo,
dato che entrambe le procedure fanno continuo ed espresso riferimento
alle nozioni di “Stato” e di “corti nazionali”.
Alla luce di questa plausibile ipotesi, può leggersi l’informale
coordinamento tra autorità giudiziarie UNMIK e TPIJ in surroga alla
procedura di “deferral”.
Sull’intensità e la qualità dei rapporti tra la missione UNMIK e TPIJ
il Comitato dei Diritti Umani ha, nelle recenti considerazioni sul
rapporto presentato da UNMIK sull’applicazione del Patto
Internazionale sui Diritti Civili e Politici, espresso un giudizio negativo:
“The Committee regrets the failure of UNMIK to fully cooperate with
the International Tribunal for the Former Yugoslavia. (…) UNMIK (…)
should (…) extend full cooperation to ICTY prosecutors”337
.
II.4.4 Il rapporto con la Corte Penale Internazionale
La competenza ratione temporis della CPI decorre, come già detto,
dal 1° luglio del 2002338
. Tutti gli Stati emersi dallo smembramento della
RSFJ hanno aderito allo Statuto della CPI già dalla primavera del
2001339
. Ne consegue che qualora crimini di sua competenza fossero
commessi nel territorio della ex RSFJ e/o da cittadini di ex Repubbliche
jugoslave posteriormente al dies a quo sopra indicato, la CPI potrebbe -
in regime di complementarietà con le corti nazionali- avere giurisdizione
su di essi.
L’ipotesi prefigurata pone, anzitutto, la più generale questione dei
rapporti tra CPI e TPIJ, la cui competenza ratione materiae è largamente
coincidente. E’ chiaro che non ci sarebbe alcuna sovrapposizione
laddove il TPIJ riuscisse ad ultimare la sua completion strategy prima
dell’ipotizzata commissione dei crimini. In caso contrario si porrebbe,
con riferimento alle corti nazionali, il delicato problema del
337 Human Rights Committee, Eighty-seventh session, Geneva, 14 August 2006,
Concluding observations of the Human Rights Committee, Kosovo (Republic of Serbia),
cit., par. 12, pag. 4. 338 Si rimanda supra al par. I.3. 339 La Croazia il 21 maggio del 2001, la Serbia il 6 settembre del 2001, la Slovenia il 31
dicembre del 2001, l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia il 6 marzo del 2002, la
Bosnia-Erzegovina l’11 aprile del 2002 e, da ultimo, il 3 giugno del 2006, il Montenegro
resosi indipendente dalla Serbia.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
113
coordinamento tra il regime di concorrenza-primato del TPIJ con quello
di complementarietà della CPI. C’è da ritenere che, avendo il Procuratore
del TPIJ definitivamente chiuso il ciclo delle incriminazioni alla fine del
2004, difficilmente potrà configurarsi un qualche attrito giurisdizionale
con l’incipiente CPI, e le eventuali tensioni saranno, al massimo, di
natura ermeneutica, legate cioè ai principi giurisprudenziali che il TPIJ
ha elaborato in quasi tre lustri di attività340
.
Tra gli ipotetici scenari, che meritano di essere esplorati, si può
includere quello relativo alle potenziali modalità di interazione tra corti
“ibride” kosovare e CPI. A tal fine, occorre preliminarmente chiedersi se
il rapporto di complementarietà che lo Statuto disegna tra CPI e corti
nazionali possa essere esteso fino a dare copertura anche alle corti
“ibride”.
In dottrina si è sostenuto che la stessa CPI potrebbe, per via
ermeneutica, incuneare negli interstizi lasciati aperti dallo Statuto di
Roma e costruire una teoria per l’assimilazione sostanziale delle corti
“ibride” a quelle nazionali341
. Un approccio interpretativo teleologico
fornirebbe utili spunti per la costruzione di una tale teoria:
a) porre fine all’impunità di chi abbia commesso crimini che
massimamente indignano il comune sentire umano è il principale scopo
cui mira l’istituzione della CPI;
b) lo Statuto di Roma, da un lato, fa ricadere sugli Stati firmatari
la principale responsabilità per la repressione di tali crimini, dall’altro,
individua la causa prima dell’impunità proprio nella mancanza di volontà
o di capacità da parte degli Stati;
c) il fatto che uno Stato richieda/subisca l’inserimento nel
proprio sistema giudiziario penale di elementi internazionali atti a creare
i presupposti di volontà e capacità necessari a spezzare il ciclo
dell’impunità sarebbe, pertanto, conforme all’oggetto e allo scopo dello
340 La CPI li considererà dei precedenti secondo un approccio da common law, oppure,
come, a sua volta, ha fatto il TPIJ rispetto alla CIG (e.g. in tema di “agency control”), si
considererà libera di non osservarli? La domanda, lungi dall’essere meramente
speculativa, ha tante e tali implicazioni da poter essere ricondotta nel più generale alveo
del tema della frammentazione e diversificazione del diritto internazionale, sul quale si
veda il recente Rapporto della Commissione di Diritto Internazionale Fragmentation of
international law: difficulties arising from the diversification and expansion of
international law, 13 April 2006. 341 Si veda M. BENZIG e M. BERGSMO, “Some Tentative Remarks on the Relationship
Between Internationalized Jurisdictions and the International Criminal Court” in
Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and
Cambodia, op. cit., pagg. 409-414.
CAPITOLO SECONDO 114
Statuto e, in ultima analisi, la corte “ibrida” originante da tale
inserimento sarebbe assimilabile ad una corte nazionale.
Se si accetta la suesposta premessa, la prima ipotesi con la quale
occorre confrontarsi è quella che, considerando il Kosovo come parte
integrante della Serbia (a sua volta, parte dello Statuto di Roma)
conclude nel senso della competenza della CPI -in regime di concorrenza
con le corti locali- sui crimini commessi in Kosovo e/o da kosovari dal
1° luglio del 2002. Invero, l’appartenenza del Kosovo allo Stato serbo
sancita dalla risoluzione n. 1244/1999 risulta solo nominale. Fatta
eccezione per alcune piccole enclaves a maggioranza serba, Belgrado
non controlla più la provincia, la quale, retta da un’organizzazione a
metà strada tra il protettorato internazionale e l’auto-governo, possiede
un sistema giuridico-giudiziario penale del tutto separato da quello della
Serbia. Scartata quest’ipotesi, gli scenari possibili restano almeno
quattro:
(i) se al Kosovo fosse riconosciuto uno status definitivo di ampia
autonomia (anche in materia di giustizia penale) all’interno dei confini
internazionali della Serbia, allora il fatto che quest’ultima è già parte
dello Statuto della CPI sarebbe sufficiente per attivare, in regime di
complementarietà con le corti kosovare (“ibridate” o meno da magistrati
internazionali), la potenziale giurisdizione della Corte medesima su
crimini da chiunque commessi in Kosovo ovvero ovunque commessi da
kosovari;
(ii) se al Kosovo fosse riconosciuto uno status di piena sovranità e
aderisse allo Statuto della CPI, le conseguenze, in termini di copertura
giurisdizionale da parte della Corte, sarebbero sostanzialmente identiche
a quelle sub (i);
(iii) laddove un Kosovo indipendente decidesse, invece, di non
aderire allo Statuto della CPI, si ricadrebbe nell’ipotesi sub (iv)342
;
(iv) se le trattative sullo status dovessero protrarsi sine die e la
presenza di UNMIK (o comunque internazionale) fosse prorogata anche
nel settore della giustizia penale, il Kosovo si configurerebbe, di fatto,
come uno “Stato” non parte e la competenza della CPI rispetto a crimini
a vario titolo collegabili ad esso sarebbe, in linea di principio, quella
sinotticamente presentata nella seguente matrice, nella quale “SI” e
“NO” indicano, rispettivamente, la sussistenza o meno della
giurisdizione della Corte sulla base degli articoli 12 e 13 del rispettivo
Statuto:
342 In tale ipotesi ricadono gli USA e tutti quegli Stati che non hanno aderito allo Statuto
della CPI.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
115
(§) Invero, l’insieme delle quattro sotto-ipotesi ottenibili incrociando nazionalità
dell’autore del crimine e locus commissi delicti assume rilevanza solo se il crimine è
perpetrato a danno di kosovari. In tal caso, valgono le regole in base alle quali la CPI può
avere giurisdizione se: il crimine è stato commesso nel territorio di uno Stato parte
(ovvero di uno Stato non parte che abbia accettato la competenza della CPI in relazione
allo specifico caso); il crimine è stato commesso da un cittadino di uno Stato parte
(ovvero di uno Stato non parte che abbia accettato la competenza della CPI in relazione
allo specifico caso); il caso è stato deferito alla Corte dal CS dell’ONU.
* La CPI avrebbe giurisdizione solo in caso di deferimento da parte del CS dell’ONU.
°* La CPI avrebbe giurisdizione in due casi: se lo Stato non parte dello Statuto accetta,
attraverso apposita dichiarazione, la sua competenza rispetto al crimine in questione,
ovvero se il caso è deferito da parte del CS dell’ONU.
II.4.5 Il rapporto con la Corte Internazionale di Giustizia
Alcuni elementi di contesto vanno preliminarmente forniti per
l’inquadramento dei potenziali rapporti tra corti “ibride” kosovare e CIG.
Quest’ultima è competente a dirimere controversie fra gli Stati, che siano
membri dell’ONU343
ed abbiano previamente accettato la sua
giurisdizione344
. Non sono mancate, nel corso degli anni Novanta,
343 Secondo l’art. 93 par. 1 della Carta dell’ONU “[t]utti i Membri delle Nazioni Unite
sono ipso facto aderenti allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia”. 344 Secondo l’art. 36 par. 2 dello Statuto della CIG, gli Stati parti dello stesso Statuto
possono (facoltà) in qualsiasi momento dichiarare che riconoscono come obbligatoria, in
Locus commissi delicti
Crimine non commesso in Kosovo
Crimine
commesso in Kosovo
in uno
Stato
parte dello
Statuto
della CPI
in uno
Stato non
parte dello
Statuto
della CPI
Na
zio
na
lità
att
iva
Crimine
commesso da non
kosovari
Cittadini di
uno Stato
parte dello Statuto
della CPI
IPOTESI
IRRILEVANTE
AI FINI
DELL’INDAGINE
(§)
SI
Cittadini di uno Stato
non parte
dello Statuto
della CPI
NO*
Crimine commesso da kosovari
SI
NO°*
NO*
CAPITOLO SECONDO 116
dispute fra gli Stati sorti dallo smembramento della RSFJ sulla
responsabilità internazionale per presunte violazioni della Convenzione
contro il genocidio del 1948. Nel 1993, la Bosnia-Erzegovina ha
introdotto un ricorso contro l’allora RFJ345
, citata in giudizio, nel 1999,
anche dalla Croazia346
. Ad oggi, la CIG si è pronunciata sul merito del
primo dei due casi347
. Sarebbe sensato interrogarsi sul peso che le
sentenze del TPIJ relative al crimine di genocidio348
imputato ad
esponenti dell’ex RFJ349
hanno avuto sul giudizio nella causa
interstatuale350
; tanto più che: a) la CIG è tenuta, per Statuto, a decidere
relazione a qualsiasi altro Stato che accetti il medesimo obbligo, la giurisdizione della
Corte. 345 Nel 1997, l’allora RFJ ha, a sua volta, presentato un contro-ricorso (poi ritirato nel
settembre del 2001) avverso la stessa Bosnia-Erzegovina. 346 Un ulteriore strascico giudiziario delle guerre nella ex Jugoslavia sono le dieci cause
che hanno opposto, dal 1999 al 2004, l’ex RFJ a ciascuno dei singoli Stati della NATO
(Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna,
USA) intervenuti nell’ambito dell’operazione aerea “Allied Force” (marzo-luglio 1999)
per presunto uso illecito della forza (Legality of Use of Force). 347 Il complesso dispositivo della sentenza rileva che la Serbia non ha fatto nulla per
rispettare i suoi obblighi di prevenire e punire il genocidio di Srebrenica patito dai
bosniaci musulmani nel 1995 ed ha fallito nel cooperare pienamente con il TPIJ, che ha
incriminato i responsabili. Una colpa, tuttavia, non sufficiente per condannare la Serbia,
dal momento che, secondo il verdetto, non può essere considerata direttamente
responsabile di questo genocidio, in quanto le azioni di coloro che hanno commesso il
genocidio a Srebrenica non possono essere direttamente attribuite al governo di Belgrado
(ICJ Press Release 2007/8). Rispetto al ricorso introdotto dalla Croazia, in base al più
recente comunicato stampa (ICJ Press Release 2002/34), la procedura non avrebbe
ancora superato la fase delle obiezioni preliminari sulla giurisdizione della Corte e
sull’ammissibilità del caso. 348 Si pensi, ad esempio, al caso del generale serbo-bosniaco Krstic (caso n. IT-98-33-T),
condannato in secondo grado dal TPIJ per crimine di genocidio in relazione all’eccidio di
Srebrenica (sentenza del 19 aprile del 2004). Se non fosse sopravvenuto il decesso
dell’imputato, anche l’assai probabile sentenza di condanna (per i capi d’accusa di
genocidio riferiti al territorio della Bosnia-Erzegovina) contro Milosevic avrebbe creato
un autorevole “precedente” per la CIG. 349 Ovvero a serbo-croati o a serbo-bosniaci soggetti ad un overall control da parte delle
autorità di Belgrado. 350 Specularmente, ha senso chiedersi se, in caso di accertata responsabilità dell’ex RFJ
per violazione della Convenzione contro il genocidio, il Procuratore del TPIJ sarà tenuto
a riconsiderare il contenuto degli atti di incriminazione emessi contro presunti criminali
serbi che siano stati fin lì processati per capi d’accusa diversi da quelli ricompresi sotto il
crimine di genocidio. Quella che si delinea all’orizzonte è questione di coerenza formale
e sostanziale tra le pronunce di due corti che possono rispondere, su piani diversi ma
interrelati, alla richiesta di rimedi giurisdizionali per gravi violazioni del diritto
internazionale umanitario: il TPIJ infliggendo sanzioni penali per responsabilità
individuale, la CIG imponendo allo Stato trasgressore l’obbligo di risarcire lo Stato
parens patriae dei cittadini che hanno patito le conseguenze l’illecito internazionale.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
117
sulle controversie sottopostele considerando come fonti giuridiche
applicabili anche le “decisioni giudiziarie”351
, categoria in cui
sicuramente possono ricomprendersi, per autorevolezza e prossimità
sostanziale, le sentenze del TPIJ; b) lo Statuto del TPIJ, diversamente da
quello della CPI352
, non contiene una disposizione che espressamente
esclude la possibilità per i giudicati sulla responsabilità penale personale
di avere ripercussioni sul piano della responsabilità statuale per illecito
internazionale.
Sul calco degli elementi illustrati, è ipotizzabile la situazione in cui
la giurisdizione della CIG potrebbe “intersecare” quella delle corti
“ibride” kosovare:
a) il Kosovo assurge al rango di Stato sovrano e diventa membro
dell’ONU ed ipso facto parte dello Statuto della CIG353
;
b) avendo previamente riconosciuta come obbligatoria la
giurisdizione della CIG, il Kosovo cita in giudizio la Serbia, che, a
sua volta, accetta lo stesso obbligo354
;
c) la controversia tra i due Stati ha ad oggetto la violazione di norme
internazionali, sancite dalla Carta dell’ONU ed assurte a
consuetudine355
, che non presuppongono il possesso, al tempus
commissi delicti, del requisito della statualità da parte dello Stato
che ne contesta la violazione;
d) le norme internazionali di cui si contesta la violazione esibiscono,
infine, sul piano logico-giuridico, un sicuro collegamento con la
competenza ratione materiae dei magistrati del Programma GPI.
351 Art. 38 par. 1 lett. d) dello Statuto della CIG. 352 Si veda l’art. 25 (4) dello Statuto di Roma della CPI. 353 Si ricorda che in base all’art. 1 dello Statuto della CIG, solo gli Stati possono essere
parti in casi di fronte alla Corte. Se al Kosovo fosse riconosciuta la più ampia autonomia
nell’ambito dei confini internazionali serbi, verrebbe meno la premessa iniziale
dell’intera ipotesi. 354 Le ipotesi a) e b) sarebbero necessarie per fondare la competenza ratione personae
della CIG. 355 Non potendo vantare un pregresso statuale (e, dunque, la titolarità di diritti sanciti da
trattati di cui sia parte), l’ipotetico Stato del Kosovo potrebbe fondare la competenza
ratione materiae et temporis della CIG unicamente invocando la violazione di puntuali
norme internazionali sancite dalla Carta dell’ONU ed aventi, al tempus commissi delicti,
incontestabile carattere generale. Trattandosi di norme consuetudinarie, la Serbia non
potrebbe addurre l’obiezione secondo cui, difettando dello status di membro dell’ONU
tra il 1999 ed il 2000 (fatto ormai acclarato dalla stessa CIG in relazione ai citati casi
Legality of Use of Force, 1999-2004), essa non sarebbe stata tenuta ad osservarle.
CAPITOLO SECONDO 118
Per quanto riguarda la condizione sub c), il Kosovo potrebbe
ricorrere alla CIG in quanto parens patriae di un popolo che ha patito,
tra il 1989 ed il 1999, la progressiva violazione, da parte degli organi di
governo serbo-jugoslavi, del proprio diritto all’auto-determinazione,
quale sancito dagli artt. 1 par. 2 e 55 della Carta dell’ONU356
(nonché da
numerosi altri strumenti convenzionali357
) ed assurto a norma di diritto
internazionale generale inderogabile (jus cogens). La soppressione de
jure e de facto, nel 1989, dell’autonomia di cui la provincia kosovara
aveva goduto sin dal 1946, la conseguente discriminazione
istituzionalizzata -assimilabile alla dominazione razzista- dell’elemento
etnico albanese, da parte della minoranza serba effettivamente
controllata da Belgrado, e, da ultimo, la pulizia etnica attuata tra la fine
del 1998 e l’inizio del 1999 come minimo integrano prima facie la
fattispecie di violazione del principio di auto-determinazione358
. Il
356 Dal disposto dei citati artt. della Carta dell’ONU risulta, anzitutto, che il principio di
auto-determinazione non rappresenta un fine in sé perseguito dall’Organizzazione bensì
uno strumento, fra gli altri, necessario per lo sviluppo di relazioni pacifiche ed
amichevoli tra le nazioni. Inoltre, la formulazione delle due disposizioni è talmente
generica che il principio può essere considerato come universale, cioè esteso a tutti i
popoli, non solo quelli sottoposti a dominazione coloniale, razzista, straniera (c.d.
autodeterminazione esterna) ma anche quelli metropolitani, la cui volontà non sia in
alcuna misura rispecchiata in quella governativa (c.d. autodeterminazione interna). Il
preciso contenuto materiale del principio in parola può ricavarsi dalla Dichiarazione
ONU del 1970 sui principi di diritto internazionale riguardanti le relazioni amichevoli e
la cooperazione tra gli Stati: “tutti i popoli hanno il diritto di determinare liberamente,
senza interferenza esterna, il proprio status politico e di perseguire il proprio sviluppo
economico, sociale e culturale, ed ogni Stato ha il dovere di rispettare questo diritto
[corsivo nostro] in conformità con le previsioni della Carta”. Ancorché norma di diritto
internazionale, il principio di auto-determinazione dei popoli non esige, in ragione della
sua stessa formulazione, che il soggetto beneficiario (il popolo, appunto) possegga il
requisito della statualità; ciò potrebbe far parlare di una limitata soggettività
internazionale dei popoli. Si vedano: A. RUIZ, “Autodeterminazione dei Popoli e Diritto
internazionale: dalla Carta delle Nazioni Unite all’Atto di Helsinki (CSCE)” in Rivista di
Studi Politici Internazionali, 1983, pag. 523 e ss.; A. CASSESE, Self-Determination of
Peoples, Oxford, 1995; G. PALMISANO, “L’autodeterminazione interna nel sistema dei
Patti sui diritti dell’uomo” in Rivista di diritto internazionale, 1996, pag. 365 e ss. 357 A livello universale si ricordano, anzitutto, i due Patti sui diritti dell’uomo, l’uno sui
diritti civili e politici, l’altro sui diritti economici, sociali e culturali, adottati dall’AG
dell’ONU il 16 dicembre del 1966 (e aperti alla ratifica degli Stati membri). In secondo
luogo, viene in rilievo la già citata Dichiarazione ONU del 1970 sui principi di diritto
internazionale riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati. A
livello regionale europeo, invece, spicca l’Atto finale di Helsinki della Conferenza per la
Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1975. 358 Sull’applicazione del principio di auto-determinazione al caso kosovaro si vedano: J.
P. HARRIS, “Kosovo: An Application of the Principle of Self-Determination” in Human
Rights Brief, vol. 6, issue 3, 1999, pag. 28 e ss.; H. QUANE, “A right to self-
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
119
principio di auto-determinazione dei popoli non esige, in ragione della
sua stessa formulazione, che il soggetto titolare del relativo diritto (il
popolo appunto) possegga il requisito della statualità359
.
La competenza ratione materiae dei magistrati del Programma GPI
si presta, a ben vedere, al collegamento logico-giuridico con il principio
di auto-determinazione360
(condizione sub d). Infatti, le sentenze delle
corti “ibride” su crimini internazionali commessi ai danni di kosovari
albanesi da serbi, sotto il controllo effettivo (ovvero con la
connivenza/protezione) del governo di Belgrado, potrebbero, in quanto
“verità processuale internazionalmente certificata”, essere tenute in
considerazione dalla CIG quale elemento sussidiario per valutare la
sussistenza della responsabilità serba in ordine alla violazione del
principio di auto-determinazione.
In questo senso, è possibile prefigurare una potenziale “interfaccia”
tra CIG e corti “ibride” kosovare.
II.4.6 Il rapporto con la Corte Europea dei Diritti Umani
Il discorso sui potenziali rapporti tra corti kosovare e Corte Europea
dei Diritti Umani (CtEDU) di Strasburgo prende le mosse dalla
previsione contenuta nella Regulation UNMIK n. 24 del 1999, oggi
determination for the Kosovo Albanians” in Leiden Journal of International Law, 2000,
pagg. 219-227. 359 Respingendo la tesi secondo cui i popoli posseggano una limitata soggettività
internazionale (deducibile proprio dal principio di autodeterminazione), autorevole
dottrina (B. CONFORTI, Diritto Internazionale, Napoli, 1999, pagg. 22-27) ha sostenuto
che i popoli non sono titolari di posizioni giuridiche positive soggettive ma
semplicemente concreti beneficiari di un rapporto giuridico intercorrente esclusivamente
tra Stati; secondo questo approccio, dunque, destinatari dell’obbligo di rispettare
l’autodeterminazione dei popoli -e del corrispondente diritto- risulterebbero essere tutti
gli Stati della comunità internazionale. Una variante -altrettanto autorevole- di tale
dottrina è quella che considera il principio di autodeterminazione dei popoli come un
obbligo di ciascuno Stato nei confronti dell’intera comunità internazionale (erga omnes),
la cui violazione abiliterebbe qualsivoglia altro Stato, ancorché non leso in modo diretto
ed individuale, ad intervenire in quanto tutore di un interesse pubblico internazionale (uti
universi) a sostegno (economico, politico e militare, sia pure indiretto) del movimento di
liberazione nazionale. Si veda: P. PICONE, "Nazioni unite e obblighi erga omnes" in La
comunità internazionale, 1993, pag. 709 e ss.; IDEM, “Valori fondamentali della
Comunità internazionale e Nazioni Unite” in Ibidem, 1995, pag. 439 e ss. 360 Invero, l’auto-determinazione di un popolo può intendersi come il fondamento logico-
giuridico per l’effettivo godimento dei diritti fondamentali da parte degli individui che
compongono tale popolo; pertanto, qualsivoglia violazione dei diritti individuali, in
qualche misura, estrinseca la violazione del diritto all’auto-determinazione, se il governo
autore di quest’ultima è anche autore dei primi.
CAPITOLO SECONDO 120
inclusa nella “Costituzione” provvisoria361
, che fa della Convenzione
Europea per la Protezione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali del 1950 (CEDU) uno strumento giuridico direttamente
applicabile ed al cui rispetto sono obbligate “all persons undertaking
public duties or holding public office in Kosovo [corsivo nostro]”; in tale
categoria rientrano anche i magistrati internazionali, tenuti, per
giuramento, a garantire “the highest level of internationally recogniezed
human rights, including those embodied in the (…) ECHR [CEDU] and
its protocols”362
. Dal momento che l’art. 1 del citato strumento pattizio
pone in capo agli Stati contraenti l’obbligo di “riconoscere ad ogni
persona soggetta alla loro giurisdizione [corsivo nostro] i diritti e le
libertà” garantiti nel successivo articolato, è legittimo chiedersi se la
CtEDU abbia giurisdizione “as court of last resort” per presunte
violazioni (ad esempio dell’obbligo di garantire un equo processo363
)
imputabili a corti kosovare “ibridate” dalla presenza di magistrati
internazionali “inviati” da Stati che siano parti della CEDU. La domanda
è legittima, data la giurisprudenza della CtEDU in tema di esercizio della
giurisdizione extra-territoriale su personale militare di Stati parti della
CEDU364
.
Alcune considerazioni legate alla funzione giudiziaria in quanto tale
portano ad escludere che il ragionamento giurisprudenziale della CtEDU
in tema di giurisdizione extra-territoriale possa essere dilatato fino al
punto da assimilare magistrati a militari e più in generale funzionari
361 Constitutional Framework for the Provisional Institutions of Self-Government,
Regulation UNMIK n. 9/2001, Chapter 3.2 (b). 362 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 3. 363 Sulla nozione di equo processo rilevante ai fini dell’applicazione della CEDU si veda
M. DE SALVIA, La convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 2001, pag. 202 e
ss. 364 Si veda la sentenza del 23 marzo del 1995 sul caso Loizidou v. Turkey (preliminary
objections), Series A n. 310, originato dal rifiuto delle forze armate turche, occupanti dal
1974 la parte settentrionale di Cipro, di accogliere la richiesta di una cittadina greco-
cipriota di poter accedere, in quella zona, ad un bene immobile di sua proprietà. La
CtEDU ha stabilito che il diniego, ancorché espresso al di fuori del territorio nazionale,
fosse comunque imputabile alla Turchia, essendo Cipro nord ed i suoi abitanti sottoposti
ad un effettivo controllo (effective control) da parte del governo di Ankara in
conseguenza di un’occupazione militare; ne risultava che la ricorrente ricadeva “sotto la
giurisdizione” della Turchia ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 della CEDU. La CtEDU
ha, inoltre, precisato che: in astratto, il controllo può originare, oltre che dall’occupazione
militare, anche dal consenso, dall’invito o dall’acquiescenza del governo locale; non è
necessario dimostrare che lo Stato convenuto abbia esercitato, all’epoca dei fatti allegati,
capillarmente i poteri pubblici normalmente esercitati dal governo locale, ma è
sufficiente provare che ne abbia esercitato alcuni tali da consentirgli un controllo
generale (overall control).
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
121
civili di organizzazioni internazionali a personale militare di un preciso
Stato.
In primo luogo, si fa osservare che la funzione giudiziaria svolta da
un magistrato UNMIK non è imputabile allo Stato (sia esso parte o meno
della CEDU) di cui questo è cittadino, sebbene tale Stato ne abbia
autorizzato l’esercizio di funzioni “fuori ruolo”, rendendo, così, possibile
la sua volontaria candidatura ad una vacancy UNMIK; interpretando ed
applicando la legge penale procedurale e sostanziale vigente in loco, il
magistrato internazionale non esegue ordini o istruzioni impartite dallo
Stato di appartenenza, essendo la sua indipendenza fatta salva, da parte
degli organi di governo di tale Stato, anche nell’espletamento di funzioni
in missioni internazionali all’estero. In secondo luogo, non si può non
ricordare che il magistrato UNMIK (proveniente da uno Stato parte della
CEDU) opera pur sempre all’interno di una struttura istituzionale
composita, in cui le decisioni suscettibili di violare norme come quella
posta a tutela del diritto ad un equo processo sono prese collegialmente
da organi (ad esempio, in sede giudicante, dai panel) in cui siedono altri
magistrati UNMIK (anche di Stati non parti della CEDU) e kosovari.
Dalla giurisprudenza in tema di giurisdizione extra-territoriale si
potrebbe, al massimo, dedurre la competenza della CtEDU a ricevere
ricorsi di individui per violazioni (ad esempio, del divieto di detenzione
arbitraria365
) da parte di personale di contingenti KFOR facenti capo a
Stati che sono parti della CEDU366
. Tuttavia, anche in questa ipotesi, non
mancherebbero impedimenti -desumibili per analogia dalla sentenza sul
caso Bankovic367
- all’attivazione della giurisdizione della CtEDU368
.
365 Art. 5 della CEDU. Anche questa ipotesi è tutt’altro che “di scuola” in Kosovo, dato il
ricorso di KFOR alla pratica della c.d. “executive detention”, per la quale si rimanda
supra al par. II.4.1. 366 In coerenza coi criteri fissati dalla CtEDU nella ricordata sentenza Loizidou
(preliminary objection), KFOR è presente in Kosovo con il consenso (formalizzato negli
accordi di Kumanovo) del governo dell’ex RFJ ed esercita alcuni dei poteri (difesa ed
ordine pubblico, inclusi arresto e detenzione di presunti criminali) normalmente esercitati
da tale governo. 367 Bankovic and others v. Belgium and 16 Other Contracting States, sentenza del 19
dicembre del 2001. Il caso riguardava il bombardamento della sede belgradese della
Radio Televisione Serba da parte della NATO durante il conflitto armato in Kosovo (23
aprile 1999). I ricorrenti (cittadini della RFJ, Stato all’epoca non parte della CEDU)
avevano adito la CtEDU nell’ottobre del 1999, lamentando violazioni della CEDU
causate da un atto extra-territoriale imputabile alla NATO e quindi a quegli Stati membri
ipso tempore parti della CEDU. La CtEDU ha, sulla base di motivazioni in larga parte
contenute alla nota successiva, dichiarato il ricorso inammissibile. 368 In primo luogo, KFOR non opera sotto il controllo di -ma in coordinamento con-
UNMIK; ne consegue l’impossibilità di estendere in automatico al personale della
NATO l’obbligo sancito dalla Regulation n. 24/1999. Del resto, né i vertici militari di
CAPITOLO SECONDO 122
Si diceva sopra che, in base ai regolamenti UNMIK, “all persons
undertaking public duties or holding public office in Kosovo” sono
obbligate a rispettare la CEDU. Quid juris se la violazione di un diritto
protetto dalla Convenzione (ad esempio, il diritto ad un equo processo369
)
fosse commessa da un’IPAG o addirittura da una corte puramente
kosovara? Dato che la CtEDU non giudica sulla responsabilità di
KFOR né quelli politici della NATO hanno mai avallato una tale estensione, giudicata
pregiudizievole per i compiti di difesa e sicurezza militare collettiva cui l’Organizzazione
è preordinata ed il cui svolgimento, al di fuori dei rispettivi territori nazionali, certamente
non esige la previa attivazione, da parte degli Stati membri, che siano anche firmatari
della CEDU, del meccanismo di deroga/sospensione di cui all’art. 15 della stessa CEDU
(previsto unicamente per le situazioni interne di guerra e di emergenza pubblica). In
secondo luogo, è difficilmente sostenibile la tesi per cui tutti gli Stati che partecipano alla
missione KFOR sarebbero singolarmente responsabili per un’azione condotta
dall’Organizzazione internazionale militare di afferenza (la NATO appunto), la quale non
solo possiede un’autonoma personalità giuridica internazionale ma si compone anche di
Stati (come gli USA ed il Canada) non parti della CEDU; questi ultimi potrebbero
invocare la “Monetary Gold doctrine” elaborata dalla CIG (in relazione al caso Italy v.
France, UK and USA, ICJ Reports 1954, par. 19, ed applicata anche al caso East Timor,
Portugal v. Australia, ICJ Reports 1995, par. 90), in base alla quale la CtEDU non
potrebbe decidere sul merito di un caso laddove ciò implicasse la previa valutazione della
posizione giuridica di soggetti di diritto internazionale che, non avendo sottoscritto la
CEDU, non sono sottoposti alla sua giurisdizione obbligatoria. In terzo luogo, si pone la
questione del previo esaurimento delle vie di ricorso interne ex art. 35, par. 1 della
CEDU. Se un kosovaro ritiene che un diritto garantito dalla CEDU (ad esempio, quello
connesso al divieto di detenzione arbitraria) sia stato violato dal contingente militare di
un ben identificabile Stato parte della stessa Convenzione, prima di poter adire la
CtEDU, dovrà esaurire tutte le vie di ricorso individuale offerte dal sistema dello Stato
cui fa capo il contingente, sempre ammesso che questo ritenga ammissibile il ricorso. La
situazione si complica se la violazione ipotizzata è stata commessa da un contingente
multinazionale: per poter adire la CtEDU, la vittima kosovara dovrebbe previamente
esperire tutte le vie di ricorso giurisdizionale interne a ciascuno Stato parte della CEDU?
Un’ulteriore complicazione deriva, infine, dal fatto che il contingente multinazionale può
comprendere anche militari di Stati non parti della CEDU. Infine, va ricordata la sentenza
del 10 maggio del 2001 relativa al caso Cyprus v. Turkey (N. 25781/94), nella quale la
CtEDU, tornando sulle implicazioni della questione turco-cipriota, ha ben circostanziato
la portata della teoria della giurisdizione extra-territoriale: la CEDU non è uno strumento
concepito per essere applicato in tutto il mondo con riferimento alla condotta degli Stati
parti, bensì in uno spazio giuridico essenzialmente regionale, quale quello dei contraenti;
pertanto, la giurisdizione extra-territoriale sussiste solo con l’obiettivo di evitare un vuoto
nella tutela dei diritti umani per quelle aree normalmente coperte dalla CEDU (tale è il
caso di Cipro nord). 369 Anche questa ipotesi di violazione non è lontana dal vero. Rapporti dell’OSCE e di
Amnesty International hanno concordemente denunciato il fatto che l’organo di auto-
governo della magistratura locale (il CGK, già CGPK) competente con riferimento ai soli
magistrati kosovari non è immune dal controllo delle IPAG. Il Ministro di Giustizia ed il
Presidente della Commissione Parlamentare sulle Questioni Legislative Giudiziarie e
Costituzionali sono membri ex officio del CGK.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
123
individui ma di Stati parti della CEDU (cui può essere ingiunto l’obbligo
di risarcire, anche pecuniariamente, la vittima), l’attuale assenza di
sovranità del Kosovo impedisce che la CtEDU possa condannare le
IPAG e imporre loro la restitutio in integruum370
. Né si potrebbe far leva
sul fatto che l’ex RFJ (oggi Serbia), nominale titolare della sovranità sul
Kosovo, è Stato parte della CEDU371
, perché, con questa premessa
logica, la vittima kosovara potrebbe adire la CtEDU solo dopo aver
infruttuosamente esperito l’ultimo grado di giudizio del sistema serbo
(l’ex Corte Suprema Federale). La qualcosa sarebbe a dir poco assurda
perché il Kosovo ha già oggi una propria Corte Suprema che funge da
ultimo grado di giudizio e che, come tutte le altre corti kosovare, procede
e giudica secondo codici (emanati da UNMIK) che non sono più quelli
della ex RFJ. E per di più, un tale espediente sarebbe oltraggioso nei
confronti di Belgrado che, in caso di condanna da parte della CtEDU,
dovrebbe pure procedere al risarcimento di individui i cui diritti non
sono stati lesi dallo Stato serbo372
! A ben vedere, in attesa che lo status
del Kosovo venga definito, l’unica via plausibilmente percorribile resta
quella di considerare UNMIK come soggetto cui è imputabile la
responsabilità oggettiva per violazioni della CEDU e imponibile
l’obbligo di risarcimento per i danni arrecati alla vittima. Ciò non perché
UNMIK sia da considerarsi l’interinale sovrano de facto (ipotesi già
confutata) ma perché UNMIK resta pur sempre l’organismo supervisore
responsabile per l’attuazione da parte delle IPAG di standard
internazionali in materia di diritti umani. Tuttavia, UNMIK, nel suo
rapporto del 2006 al Comitato dei Diritti Umani373
, ha apertamente
affermato di non considerarsi vincolato al rispetto della CEDU come
automatica conseguenza del fatto che essa è certamente vincolante per lo
Stato che vanta la nominale sovranità sul Kosovo. In quello stesso
rapporto, UNMIK, constatando che “people in Kosovo do not have an
effective means of seeking redress for an alleged violation of human
370 Quand’anche il Kosovo dovesse diventare uno Stato sovrano, le violazioni della
CEDU commesse dalle sue “public persons”, civili e militari, potrebbero essere portate
dinanzi alla CtEDU (previo esaurimento delle vie di ricorso interne) solo dopo la formale
adesione di Pristina alla CEDU. Il rimando alla citata Convenzione fatto da una
Regulation UNMIK non potrebbe automaticamente valere come atto di adesione e
ratifica della stessa. 371 La Serbia ha aderito alla CEDU il 3 aprile del 2003; la procedura di ratifica è stata
perfezionata il 3 marzo del 2004. 372 Report submitted by the UNMIK to the Human Rights Committee on the human rights
situation in Kosovo since June 1999, Kosovo (Serbia and Montenegro), 13 March 2006,
par. 132, pag. 29. 373 Al Comitato in parola è dedicato il successivo sottoparagrafo.
CAPITOLO SECONDO 124
rights by application to the Strasbourg Court”, ha indicato nella
costituzione di un panel ad hoc (Human Rights Advisory Panel) la
possibile soluzione per colmare la lacuna nella protezione dei diritti
umani di fronte a possibili violazioni da parte dell’amministrazione
interinale di UNMIK374
. Istituito nel marzo del 2006375
, in esito ad un
dialogo instaurato con l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
all’inizio dell’anno precedente, il Panel risponderebbe, nelle intenzioni
di UNMIK, alla “effective lack of jurisdiction of the ECtHR over
Kosovo”376
. Nominati per un periodo di due anni (prorogabile) dal RSSG
su proposta del Presidente della CtEDU, tre giuristi internazionali
comporranno l’organo377
, che potrà ricevere, una volta accertato il previo
esaurimento delle vie di ricorso esistenti378
, reclami di individui (e gruppi
di individui) aventi ad oggetto presunte violazioni della CEDU originate
da fatti occorsi non prima del 23 aprile 2005 (ovvero da fatti occorsi
prima di tale data ma che abbiano dato luogo ad una persistente
violazione); in ogni caso, il Panel potrà, ove lo ritenesse necessario,
elaborare delle mere raccomandazioni da indirizzare al RSSG, il quale
ultimo avrà l’esclusiva autorità e discrezione di decidere se seguirle o
meno379
. Trattandosi, a ben vedere, di un organo internazionale
esercitante funzioni consultive a favore della massima autorità di
UNMIK, è legittimo avanzare qualche pregiudiziale dubbio sulla sua
capacità di garantire un’effettiva, oltre che imparziale ed indipendente,
tutela dei diritti sanciti dalla CEDU380
.
II.4.7 Il rapporto con il Comitato dei Diritti Umani istituito
nell’ambito del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici
Oltre alla CEDU, la Regulation UNMIK n. 24/1999 e la successiva
“Costituzione” provvisoria considerano direttamente applicabile in
Kosovo anche un ampio ventaglio di strumenti internazionali, tra cui il
374 UNMIK, Report to the Human Rights Committee on the human rights situation in
Kosovo since June 1999, Kosovo (Serbia and Montenegro) cit., par. 124, 131-134 pagg.
28, 30. 375 Regulation UNMIK n. 12 del 23 marzo del 2006. 376 UNMIK Press Release n. 1525 del 5 aprile del 2006. 377 Ibidem, Section 4.2, 5.1. 378 Ibidem, Section 3.1. 379 Ibidem, Section 17.1, 17.3. 380 Human Rights Committee, Concluding Observations of the Human Rights Committee,
Kosovo (Republic of Serbia), 14 August 2006, cit., par. 10, pag. 3. Amnesty
International, Kosovo (Serbia and Montenegro), UNMIK, Briefing to the Human Rights
Committee, 87th Session, July 2006, pagg. 7-8.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
125
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (PIDCP) del 1966381
ed i
relativi Protocolli382
.
La questione dei potenziali rapporti con il sistema giudiziario
kosovaro si pone proprio in relazione al Primo Protocollo Opzionale
(PPO) del PIDCP383
, che ha conferito ad un apposito organo, il Comitato
dei Diritti Umani (CDU), la competenza a esaminare reclami presentati
da individui per presunte violazioni del PIDCP commesse da Stati parti.
Dal momento che l’art. 1 del PIDCP -analogamente all’art. 1 della
CEDU- pone in capo agli Stati contraenti l’obbligo di rispettare i diritti
civili e politici di “tutti gli individui all’interno del loro territorio e
soggetti alla propria giurisdizione [corsivo nostro]”, è legittimo
domandarsi se il CDU abbia titolo a ricevere ed esaminare reclami per
una presunta violazione del PIDCP (ad esempio, dell’obbligo di
garantire un equo processo384
) imputabile a corti kosovare “ibridate” da
magistrati “inviati” da Stati che siano parti del PPO. La domanda è
sensata, data la posizione ufficialmente assunta dal CDU circa l’esercizio
extra-territoriale della propria competenza385
. Le stesse identiche ragioni
esposte con riferimento alla CtEDU, inducono a propendere per una
risposta negativa386
. Non a caso la competenza ratione materiae dello
381 Nelle sue osservazioni conclusive sul rapporto iniziale presentato da Serbia e
Montenegro nel 2004 (cit.), il CDU ha richiesto ad UNMIK un analogo rapporto
sull’applicazione del PIDCP in Kosovo dal 1999. L’imbarazzo di un possibile implicito
riconoscimento della sovranità del Kosovo (l’art. 40 del PIDCP pone agli Stati parti
l’obbligo di presentare rapporti periodici) è stato immediatamente fugato dal CDU, che
ha precisato di essersi rivolto a UNMIK in quanto soggetto incaricato dal CS dell’ONU
di proteggere e promuovere i diritti umani in Kosovo; inoltre, il CDU ha richiamato il
commento generale n. 26 del 1977 sulla continuità degli obblighi secondo cui i diritti
garantiti dal Patto appartengono al popolo che vive nel territorio dello Stato parte e la
loro protezione, una volta accordata, si trasmette al territorio e continua ad appartenere al
popolo, nonostante i cambiamenti nell’amministrazione di quel territorio. 382 Il PIDCP ed il relativo PPO sono trattati internazionali nati nell’ambito e su iniziativa
dell’ONU. 383 Adottato ed aperto alla firma con risoluzione dell’AG dell’ONU n. 2200° (XXI) del
16 dicembre del 1966. 384 Art. 14 del PIDCP. 385 Commentando un rapporto in cui gli USA sostenevano la tesi in base alla quale il
PIDCP sarebbe privo in ogni caso di qualsiasi portata extra-territoriale, il CDU ha
affermato che gli individui possono rientrare nell’ambito della giurisdizione materiale di
uno Stato parte anche quando essi si trovino al di fuori del territorio di quello Stato. UN
Doc. CCPR/C/79/Add50 (1995), par. 19. Sul punto, il CDU era pervenuto alla medesima
conclusione in un caso deciso nel 1981 (Delia Saldìas de Lopez v. Uruguay - decisione
del 29 luglio 1981, Comunicazione n. 52/1979, in Human Rights Committee, Selected
Decisions. Second to Sixteenth Sessions, New York, 1985, pag. 91, parr. 12.2-12.3. 386 Per l’ipotesi di violazioni (ad esempio, del divieto di detenzione arbitraria, ex art. 9
del PIDCP) commesse da personale di contingenti KFOR facenti capo a Stati parti del
CAPITOLO SECONDO 126
Human Rights Advisory Panel istituito da UNMIK nel marzo del 2006
copre anche il PIDCP.
II.4.8 Il rapporto con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee
La competenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee
(CGCE) a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione e la
validità del diritto comunitario387
configura un “caso di scuola” in cui la
giurisdizione della citata Corte potrebbe “interagire” con quella delle
corti “ibride” kosovare.
Si supponga che un kosovaro di etnia serba (o di altra minoranza388
)
venga ingiustamente condannato in ultimo grado da una corte “ibrida”
(in cui, oltre agli internazionali, siedono solo magistrati dell’etnia
maggioritaria, cioè albanese) e, riuscendo a fuggire in un Paese membro
dell’UE, chieda asilo in quanto rifugiato ma la sua domanda venga
respinta per ragioni sostanziali legate al motivo posto a fondamento della
richiesta. Si ipotizzi, inoltre, che tale atto, impugnato dinanzi al
competente giudice nazionale dello Stato membro interessato, avverso le
cui decisioni non possa proporsi ricorso389
, provochi un rinvio
pregiudiziale alla CGCE affinché le norme comunitarie in materia di
relativo PPO, valgano, mutatis mutandis, le considerazioni svolte con riferimento alla
CtEDU. Si tenga presente che la posizione degli USA rispetto al CDU è sostanzialmente
identica a quella rispetto alla CtEDU; infatti, gi USA, pur essendo parte del PIDCP (la
ratifica è dell’8 settembre del 1992), non hanno, allo stato, sottoscritto il PPO. 387 Secondo l’art. 234 del Trattato CE, le giurisdizioni degli Stati membri, qualora
debbano statuire nell’ambito di un procedimento destinato a concludersi con una
decisione giudiziaria, possono (e, se di ultima istanza, devono) sottoporre alla CGCE una
questione relativa all’interpretazione ovvero alla validità di una norma di diritto
comunitario ritenuta necessaria ai fini della soluzione del caso. Il ruolo della CGCE non è
quello di applicare il diritto comunitario alla situazione di fatto che è alla base della causa
principale dinanzi al giudice nazionale (prerogativa che spetta solo a quest’ultimo) ma di
fornire una risposta utile per la definizione della controversia. Si veda G. TESAURO,
Diritto Comunitario, Padova, 2001, pag. 250 e ss. 388 In Kosovo vivono anche minoranze gorani, ashkali, rom, egiziani, turchi, bosgnacchi,
croati. 389 Si precisa che nel settore “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la
libera circolazione delle persone” il rinvio ex art. 234 TCE è consentito solo ai giudici
che statuiscono in ultimo grado, conformemente all’art. 68 del TCE. Il settore in parola,
che il Trattato di Maastricht del 1992 aveva inizialmente incluso nel “Pilastro
intergovernativo” (Giustizia e Affari Interni, Titolo VI TUE) del sistema UE, è transitato,
col successivo Trattato di Amsterdam del 1997 nel “Pilastro comunitario” (Titolo IV
TCE). Atti adottati dalle istituzioni UE in materie residuate al “Terzo Pilastro” -
Cooperazione di Polizia e Giudiziaria in materia penale- possono costituire oggetto di un
rinvio pregiudiziale solo da parte dei giudici degli Stati membri che hanno accettato la
competenza della Corte.
LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI
INTERNAZIONALI PENALI?
127
diritto d’asilo390
siano interpretate/sottoposte a controllo di validità per
poter consentire la soluzione del caso di specie. Laddove la pronuncia
incidentale della CGCE fornisse elementi a favore del riconoscimento
all’extra-comunitario del diritto a vedere accolta la propria richiesta
d’asilo di fronte al rischio effettivo di subire, in ragione della propria
etnia, una condanna penale ingiusta, allora, la Corte di Lussemburgo, pur
non entrando nel merito del caso pendente dinanzi al giudice a quo, di
fatto interferirebbe con la giurisdizione della corte “ibrida” kosovara cui
il richiedente asilo imputa l’ingiusta condanna.
390 Il diritto comunitario derivato in materia di asilo si basa sull’applicazione integrale
della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio del 1951,
modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio del 1967. L’art. 1 della citata
Convenzione definisce il rifugiato come “colui che, temendo a ragione di essere
perseguitato per motivi (…) di nazionalità, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e
non può e non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo
paese”. La direttiva comunitaria n. 83 del 29 aprile del 2004 include fra gli atti di
persecuzione rilevanti ai fini dell’attribuzione della qualifica di rifugiato anche i
provvedimenti giudiziari (art. 9).
Capitolo III
Un bilancio sull’esperienza delle corti penali “ibride” in
Kosovo
Sommario: III.1 I potenziali punti di forza. - III.1.1 La legittimità. - III.1.2 Il capacity-
building. - III.2 Le criticità. - III.2.1 L’efficacia e l’efficienza a livello organizzativo. - III.2.2 La capacità di perseguire i crimina juris gentium. - III.2.3 La qualità degli atti giudiziari relativi ai crimina juris gentium e crimini a movente etnico. - III.3 Le prospettive. - III.3.1 I progetti esplorati. - III.3.2 Gli sviluppi della presenza internazionale in Kosovo: il futuro ruolo dell’UE nel settore della giustizia. - III.3.3 Il futuro delle corti “ibride” in Kosovo secondo la “proposta Ahtisaari”.
Il presente capitolo si propone, con specifico riferimento al caso
kosovaro, di enucleare i potenziali vantaggi (par. III.1) ed i limiti
effettivi (par. III.2) delle corti “ibride” sperimentate in Kosovo, nonché
di far luce sulle prospettive future delle stesse (par. III.3).
III.1 I potenziali punti di forza
All’interno della copiosa letteratura sulla c.d. “giustizia di
transizione” le corti “ibride” hanno finora ricevuto scarsa attenzione, o,
per lo meno, un’attenzione non comparabile a quella tributata dalla
dottrina alle giurisdizioni internazionali penali. Ciò è in parte dovuto
all’opposizione che il paradigma ibrido ha incontrato a livello politico. Si
è registrata la reticenza di governi, come quello USA, che scorgono
nelle corti “ibride” molte delle insidie alla propria sovranità già presenti
nella CPI. Inoltre, parere negativo è stato espresso persino dagli alti
funzionari che hanno ricoperto ruoli chiave nella creazione di corti
“ibride”1. Eppure, non è mancata dottrina che ha scommesso sulla
formula delle corti “ibride”, ritenendole potenzialmente capaci di
superare i limiti di una giustizia penale puramente internazionale o
nazionale2.
1 David Scheffer, ex ambasciatore di complemento degli USA per le questioni connesse
ai crimini di guerra, e Hansjörg Strohmeyer, consigliere giuridico dell’ONU, si sono detti
contrari all’idea che le corti “ibride” esistenti possano servire da modello per il futuro. Il
primo aveva messo i suoi buoni uffici al servizio del negoziato sulle corti “ibride” di
Sierra Leone e Cambogia; il secondo aveva messo la sua esperienza a disposizione
dell’ONU per lo sviluppo di corti ibridi nell’ambito delle amministrazione interinali in
Kosovo e a Timor Est. Severe critiche non sono mancate in dottrina; inter alia si veda S.
DE BERTODANO, “Current Developments in Internationalized Courts”, Journal of
International Criminal Justice, 2003, pagg. 226-244. 2 L. DICKINSON, “Transitional Justice in Afghanistan: The Promise of Mixed
Tribunals” in Denver Journal of International Law and Policy, symposium issue, 2000;
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
129
Legittimità (par. III.1.1) e capacity-building3 (par. III.1.2) sono i due
parametri rispetto ai quali possono essere apprezzati i teorici “vantaggi
relativi” delle corti “ibride”.
III.1.1 La legittimità
La legittimità, formale e sostanziale, di una corte “ibrida”,
risulterebbe superiore a quella di omologhe giurisdizioni puramente
nazionali (a) o sovranazionali (b).
(a) Una corte nazionale può ritenersi legittima, sul piano formale, se
è costituita ed opera nel pieno rispetto delle norme poste dagli organi
depositari del potere sovrano, e, sul piano sostanziale, se gode del favore,
più ampio possibile, dell’opinione pubblica sulla quale le sue pronunce
spiegano effetti giuridici e psicologici4. La dimensione formale della
definizione proposta si scontra con un dato oggettivo tipico delle realtà
post-crisis: l’assenza di una struttura statuale consolidata e di un quadro
legislativo certo e condiviso; la dimensione sostanziale, d’altra parte,
deve fare i conti con la disomogeneità della popolazione civile sotto il
profilo identitario.
Il caso del Kosovo è esemplare sotto entrambi i profili: l’assenza di
un quadro istituzionale sovrano diverso da quello provvisorio dell’ONU,
unito all’aporia sulla legge applicabile, ha impedito al SGE -a
composizione interamente locale- di godere della formale legittimazione
che solo un processo politico-giuridico auto-centrato avrebbe potuto
conferirgli5; il boicottaggio delle istituzioni interinali da parte dei serbi
rimasti in Kosovo, la creazione di un sistema giudiziario parallelo nelle
aree a maggioranza serba e la conseguente egemonizzazione della
cariche da parte di una risentita maggioranza albanese hanno, d’altra
IDEM, “The Relationship Between Hybrid Courts and International Courts: the Case of
Kosovo” in New England Law Review, vol. 37, n. 4, summer 2003, pagg. 1059-1072;
IDEM, “Accountability for War Crimes: What Roles for National, International, and
Hybrid Tribunals?” in American Society of International Law Proceedings, 2004, pagg.
181-182; F. MEGRET, “Who Should Try or Ousted Leaders: In Defense of Hybridity:
Towards a Representational Theory of International Criminal Justice” in Cornell
International Law Journal, 2005, pagg. 725-751. 3 Per capacity-building si intendono le forme di assistenza tese a rafforzare le capacità di
intervento autonomo delle corti locali. 4 Sul tema della legittimità delle istituzioni giudiziarie si veda S. COSTANTINO, Diritto,
Societù, Legittimazione, Palermo, 2004, pagg. 87-104. 5 Sintomatica di tale deficit è stata la disaffezione dell’opinione pubblica albanese
(segnalata da certa stampa sensazionalistica locale) per la presenza di UNMIK in un
posto chiave della pretesa sovranità kosovara, quale la magistratura.
CAPITOLO TERZO
130
parte, reso impossibile l’informale legittimazione del SGE6.
L’introduzione di magistrati internazionali, per definizione terzi rispetto
alle etnie kosovare, ha -in combinazione con gli sforzi profusi nella
direzione della rappresentatività etnica delle istituzioni7 e con il
progressivo trasferimento di poteri e funzioni alle IPAG- contribuito ad
elevare la quasi nulla legittimità formale e sostanziale del sistema
giudiziario puramente locale sperimentato da UNMIK nella primissima
fase del suo intervento8.
(b) Per una corte sovranazionale, la legittimità si connette,
formalmente, al rispetto della legalità internazionale e, sostanzialmente,
al radicamento della convinzione della sua necessità presso l’opinione
pubblica mondiale ed in particolare presso quella che si forma nel raggio
della sua competenza ratione loci.
I crimina juris gentium commessi in Kosovo sono
giurisdizionalmente coperti sia dalle corti “ibride” che dal TPIJ, secondo
i principi di coordinamento già descritti al par. II.4.3. Questa
straordinaria “concomitanza” rende le due corti direttamente comparabili
sotto il profilo della legittimità. Istituito dal CS dell’ONU a mezzo di una
risoluzione dall’opinata legittimità giuridica, il TPIJ ha incontrato serie
difficoltà ad auto-legittimarsi attraverso il suo operato: la lontananza
delle sue aule dalle scene dei crimini è rappresentativa di una distanza
“psicologica” dalle opinioni pubbliche dei popoli dell’ex RSFJ ed in
6 Di tale carenza è stata sintomo la parzialità dei magistrati albanesi (segnalata da un
eccessivo prolungamento della custodia cautelare, dell’overcharging, del mancato
riconoscimento di garanzie processuali) quale percepita dagli imputati serbi e dalla
rispettiva comunità di appartenenza, e quale comprovata dalla quasi generalizzata
cassazione, da parte di panel “ibridi” della Corte Suprema, delle sentenze di condanna
inflitte dalle Corti Distrettuali ad imputati serbi. L’OSCE ha denunciato la parzialità delle
corti locali a favore di vittime ed imputati albanesi. Si vedano i casi Sekulic, Thaci,
Berisha, Momcilovic, Simic e Nikolic in OSCE LSMS, Kosovo - First Review of the
Criminal Justice System, 1 February-July 2000, cit., pagg. 60-69. 7 Un’apposita sezione del DAG (poi DG) di UNMIK si è specificamente occupata,
dall’inizio del 2002, di creare una magistratura multi-etnica. Nel gennaio del 2003, i
primi 7 giudici serbi sono entrati a far parte della magistratura kosovara (4 presso Corti
Municipali e 3 presso Corti per i Reati Minori). All’ottobre del 2004, il numero dei
giudici serbi risultava essere salito a 16, quello dei procuratori a 3. 8 L’ex SG dell’ONU ha riconosciuto che “[w]here mixed tribunals are envisaged for
divided societies and in the absence of clear guarantees regarding the real and perceived
objectivity, impartiality and fairness of the national judiciary, consider mandating a
majority of international judges, taking account of the views of various national groups,
in order to enhance the credibility and perceived fairness of such tribunals among all
groups in society”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in
conflict and post-conflict societies, cit., par. XIX.64, (i), pagg. 21-22.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
131
particolare di quello serbo. Per quest’ultimo, il TPIJ, lungi dal costituire
un ideale strumento di catarsi e riconciliazione con le altre genti
balcaniche e con l’Europa, ha rappresentato la fonte di un continuo
oltraggio alla sovranità dello Stato ed all’orgoglio nazionale: il processo
“politico” all’ex Presidente Milosevic, il diniego di aprire un’indagine
sulle violazioni dello jus in bello presuntivamente commesse dalla
NATO ai danni della popolazione civile serba durante l’operazione
Allied Force, l’assoluzione di ex membri dell’UCK, i ripetuti richiami
del CS dell’ONU per la mancata consegna di Mladic e Karadzic (peraltro
serbo-bosniaci), strumentalizzata persino dall’UE in sede di negoziato
sull’accordo di associazione e stabilizzazione. Vi è, poi, l’incapacità di
rendere trasparente e comprensibile il proprio lavoro presso l’opinione
pubblica, contrastando le possibili distorsioni informative della stampa
nazionalistica; e ancora: la mancanza di familiarità della comunità
giuridica dell’ex RSFJ -storicamente legata al civil law- con una giustizia
penale con forti attributi di common law.
Istituite nell’ambito di una missione ONU legittimata anche dal
previo consenso dell’ex RFJ, le corti “ibride” kosovare godono di una
più certa legittimità formale. Inoltre, per il solo fatto di aver diluito, fino
a renderla minoritaria, la presenza albanese nei panel investiti di casi di
valenza interetnica, il Programma GPI si è costruito una più forte
legittimazione sostanziale anche presso il segmento più critico
dell’opinione pubblica kosovara, cioè quello serbo. La diffusa presenza
in tutto il territorio kosovaro all’interno dell’esistente sistema
giudiziario, la trattazione di un numero di casi superiore a quello
sostenibile da parte del TPIJ, la prossimità fisica alle scene del delitto ed
ai testimoni, la diretta accessibilità per le vittime ha “avvicinato” i
magistrati del Programma GPI all’intera opinione pubblica kosovara9.
Per le suesposte ragioni, le corti “ibride” kosovare godrebbero di
maggiore legittimità rispetto al TPIJ.
III.1.2 Il capacity-building
Anche sotto il profilo competenziale-esperienziale, il paradigma
delle corti “ibride” offrirebbe la possibilità di superare i limiti intrinseci
ad un sistema giudiziario puramente locale (a) ovvero internazionale (b).
9 “[T]here are a number of important benefits to locating tribunals inside the countries
concerned, including easier interaction with the local population, closer proximity to the
evidence and witnesses and being more accessible to victims. Such accessibility allows
victims and their families to witness the processes in which their former tormentors are
brought to account”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in
conflict and post-conflict societies, cit., par. XII.44, pag. 15.
CAPITOLO TERZO
132
(a) Uno Stato (ovvero una sua parte) che, dopo un lungo periodo di
oppressione ai danni di una o più delle sue componenti identitarie, è
passato attraverso una guerra civile (e/o sistematiche violazioni dei diritti
umani) ed un repentino rovesciamento del regime oppressore,
difficilmente disporrà di una magistratura competente ed esperta.
Il caso del Kosovo è emblematico della situazione in astratto
ipotizzata. Lasciando, anche se per pochi mesi, le redini del potere
giudiziario all’etnia che per un decennio aveva subito, tra le altre
discriminazioni, anche l’esclusione dalle cariche giudiziarie, UNMIK ha
fatto esperienza diretta dei limiti intrinseci ad una magistratura
interamente locale, peraltro privata degli unici funzionari -i serbi, auto-
esclusi- che potevano vantare un qualche pregresso.
(b) D’altra parte, se si decidesse di rispondere alle lacune teorico-
pratiche delle risorse umane nazionali costituendo un organo
giurisdizionale a totale composizione internazionale, ci si precluderebbe
la possibilità di sviluppare un expertise locale capace di subentrare
gradualmente nella trattazione giudiziaria di casi di elevata complessità
tecnica e dalle forti implicazioni politiche per la riconciliazione interna.
Il Kosovo sarebbe ricaduto in questa ipotesi se la comunità
internazionale si fosse affidata unicamente al TPIJ.
In generale, i vantaggi potenziali offerti dal paradigma ibrido sotto il
profilo del rafforzamento delle capacità giudiziarie locali sono ben
sintetizzabili con le parole dell’ex SG dell’ONU: “[n]ational location
(…) enhances the national capacity-building contribution of the ad hoc
tribunals, allowing them to (…) build the skills of national justice
personnel. In the nationally located tribunals, international personnel
work side by side with their national counterparts and on-the-job training
can be provided to national lawyers, officials and staff. Such benefits,
where combined with specially tailored measures for keeping the public
informed and effective techniques for capacity-building, can help ensure
a lasting legacy in the countries concerned”10
.
III.2 Le criticità
I punti di forza sopra delineati vanno contemperati con le criticità
del Programma GPI rispetto ai seguenti parametri: efficacia ed efficienza
organizzativa (par. III.2.1), capacità di perseguire i crimina juris gentium
10 Ibidem.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
133
ed i crimini a movente etnico (par. III.2.2), qualità degli atti giudiziari
emessi in relazione a casi “sensibili” (par. III.2.3).
III.2.1 L’efficacia e l’efficienza a livello organizzativo
Sotto il profilo organizzativo lato sensu inteso, sono almeno quattro
le “aree critiche” del Programma GPI: la procedura di reclutamento, il
numero di magistrati, l’assetto normativo consolidato e, infine,
l’interazione col sistema giudiziario locale.
La procedura di reclutamento
I difetti della procedura di selezione dei magistrati internazionali
hanno minato alle basi l’efficacia e l’efficienza del Programma.
In primo luogo, la durata del contratto dei magistrati internazionali
(sei mesi prorogabili), è talmente breve da impedire la necessaria
continuità nell’adempimento della funzione giudiziaria penale11
, e
risulta, inoltre, ostativa alla familiarizzazione con la complessa struttura
della missione UNMIK. La rinnovabilità del contratto espone, inoltre, il
magistrato internazionale a potenziali condizionamenti da parte della
struttura amministrativa -formalmente il RSSG, di fatto il DG- preposta
ad autorizzare la proroga. Il CDU, come anche l’OSCE12
, si è detto
preoccupato dell’assenza di adeguate garanzie per l’indipendenza dei
giudici e dei procuratori internazionali ed ha raccomandato ad UNMIK
di stabilire, in cooperazione con le IPAG, procedure indipendenti per la
11 La problematicità dell’esigua durata del mandato-base dei magistrati internazionali
emerge soprattutto di fronte all’obbligo giuridico di ricominciare il procedimento
nell’ipotesi in cui si renda necessaria, nel corso del dibattimento, la sostituzione del
giudice che presiede il panel (intervista con un funzionario del DG UNMIK, 14 febbraio
del 2007). Non possono essere ignorate le implicazioni della descritta evenienza sul
diritto dell’imputato ad un rapido processo e della vittima (e dei testimoni a suo favore) a
non subire un ulteriore stress emotivo. Per superare il problema descritto, l’OSCE ha
raccomandato l’inserimento di una clausola nel contratto del magistrato internazionale
che obblighi quest’ultimo a non lasciare la missione finché i procedimenti pendenti non
siano stati completati. OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System
1999-2005, cit., pag. 65. 12 “Any judiciary must enjoy functional independence, namely, freedom from
interference by the executive in the performance of judicial work. The OSCE has been
concerned that, due the nature of the contracts under which the international judges and
prosecutors were hired, they did not enjoy functional independence from the executive”.
OSCE LSMS, Fourth Review of the Criminal Justice System (September 2001-February
2002), pag. 29. “Taking into account the short term of office (…) decisions about
extending these officials’ contracts should be taken outside the authority of DOJ and
SRSG [DG e RSSG], as a guarantee of effective institutional independence. The matter
of extending contracts for international judges and prosecutors should be submitted
regularly to the KJPC [CGPK] for consideration. Ibidem, pag. 43.
CAPITOLO TERZO
134
selezione, la nomina e la disciplina dei magistrati internazionali13
. Se si
esclude l’istituzione del Capo dei Giudici e del Capo dei Procuratori
Internazionali -figure che hanno rilevato parte delle funzioni proprie del
vertice del DG- poco è stato fatto per ridurre l’apparente interferenza
dell’esecutivo sul Programma GPI.
In secondo luogo, la scarsa attenzione prestata al background
giuridico di provenienza dei candidati ha comportato l’immissione in un
sistema giudiziario di tradizione continentale, quale quello kosovaro,
anche di magistrati di estrazione common-law (e.g. USA) e persino
“ibrida” (e.g. Malta, Mauritius). L’appartenenza a modelli giuridici
diversi ha, non di rado, comportato una diversa interpretazione di una
stessa disposizione procedurale14
o, più in generale, un diverso approccio
allo svolgimento della medesima funzione15
; da ultimo, l’adozione di un
codice di procedura penale ibrido, nel 2004, ha formalizzato la
potenziale aporia tra le due tradizioni giuridiche.
In terzo luogo, è plausibile ritenere che i deludenti livelli qualitativi
degli atti giudiziari vergati da internazionali (si veda al par. III.2.3) siano
il risultato di una non sempre adeguata valutazione della conoscenza e
dell’esperienza dei candidati in tema di diritto internazionale umanitario
e di tutela dei diritti umani16
. Il difetto risiede comunque a monte, nella
rilevante normativa UNMIK sulla nomina dei magistrati internazionali,
la quale non indica l’expertise appena ricordata come un requisito
indispensabile17
per l’eleggibilità né come motivo per la revoca del
13 Human Rights Committee, Concluding Observations of the Human Rights Committee,
Kosovo (Republic of Serbia), 14 August, cit., par. 20, pag. 6. 14 Ad esempio, le ambigue disposizioni del CPPP relative all’ammissione di colpevolezza
(guilty plea, art. 316, par. 6, art. 376, par. 1, art. 386, par. 3), in quanto circostanza
attenuante da prendersi in considerazione da parte della corte in sede di fissazione della
pena, sono state interpretate estensivamente da magistrati internazionali di common law,
che ne hanno fatto la base giuridica per introdurre nel sistema -senza fissare adeguati
criteri d’applicazione- l’istituto del patteggiamento (plea bargaining). I magistrati di civil
law hanno tendenzialmente preferito un’interpretazione restrittiva delle citate
disposizioni (intervista ad un giudice UNMIK, 23 novembre del 2006). 15 Ad esempio, gli atti d’accusa redatti da procuratori internazionali provenienti da
sistemi di common law sono risultati più concisi di quelli dei colleghi di tradizione
continentale (intervista ad un procuratore UNMIK, 17 gennaio del 2007). A ciò si
devono alcune delle incongruenze tra incriminazione e sentenza. Si veda infra al par.
III.2.3. 16 Le faglie della procedura di recruitment, sotto il profilo del “controllo di qualità” sui
magistrati, sono analizzate in M. BASKIN, Lessons Learned on UNMIK Judiciary
(Pearson Peacekeeping Centre 2002), 51. 17 Le nomine sono vincolate al possesso dei seguenti requisiti: laurea in legge, almeno
cinque anni di servizio come magistrato nel proprio Paese, integrità morale e della fedina
penale (Regulation n. 34 del 27 maggio del 2000, Section 2).
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
135
mandato18
. Le carenze del personale selezionato non sono state colmate,
d’altra parte, attraverso un sistematico ricorso a seminari intensivi tenuti
da personale esterno qualificato19
. A ciò si aggiunga l’assenza di un
sistematico pre-entry training dei magistrati internazionali sulla legge
penale applicabile, a loro, in ogni caso, ignota.
Il numero di magistrati
Il numero di magistrati del Programma è stato lentamente
incrementato fino a raggiungere, nel 2005, il picco di 28 unità (14
giudici e 14 procuratori), comunque inferiore alle 34 che il RSSG aveva
promesso alla RFJ in un Documento Comune siglato il 5 novembre del
2001. A fine dicembre del 2006, il numero di magistrati internazionali
operanti in Kosovo è sceso a 20 (di cui 11 procuratori e 9 giudici)20
, così
che il rapporto internazionali e locali è risultato di 1 a 8, per quanto
riguarda i procuratori, e di 1 a 34, per quanto riguarda i giudici. La
significatività di questi valori aumenta se li si considera in relazione alla
mole di lavoro (stimabile intorno al 5% dell’universo dei casi di rilievo
penale) di cui il Programma GPI è gravato in ragione della sua
competenza ratione materiae21
. L’illimitatezza di quest’ultima, invero,
sembra rispondere più ad esigenze della comunità internazionale che a
priorità locali: gli USA premono per la persecuzione dei reati di
terrorismo, l’UE per la repressione delle organizzazioni criminali dedite
al traffico di armi, droga ed esseri umani22
.
Legato ai vincoli di bilancio del DG (fattisi sempre più stringenti
con l’incedere della missione UNMIK), all’elevato costo dei magistrati
18 La rimozione dall’incarico è, invece, condizionata alle seguenti cause: incapacità fisica
o mentale permanente o prolungata, grave cattiva condotta, incapacità di eseguire i
compiti assegnati, incompatibilità con l’ufficio di magistrato (Ibidem, Section 4). 19 Ad oggi, soltanto due seminari di questo tipo risultano svolti (nel settembre del 2000,
sul diritto internazionale umanitario e sugli artt. 5 e 6 della CEDU, e, nell’ottobre del
2003, sul terrorismo, sul crimine organizzato e sulla protezione dei testimoni), su
impulso dell’OSCE, in collaborazione con il TPIJ. 20 Nel corso del 2006 si sono raggiunte punte di 13 procuratori e 13 giudici. Allo stato,
risultano aperte (con scadenza 30 giugno 2007) due vacancy per procuratori ed una per
giudice. 21 A metà giugno del 2004, il numero complessivo di casi in trattazione da parte dei
magistrati del Programma è stato di 92, ed è salito a 104 nel settembre del 2005. Stupisce
come, di fronte ad un tale backlog di casi, l’OSCE abbia raccomandato al RSSG di
estendere, via Regulation, l’assegnazione di magistrati internazionali a casi civili. OSCE
LSMS, First Review of the Civil Justice System, June 2006, pagg. 46-47. 22 Intervista con un procuratore UNMIK, 10 novembre del 2006. I crimini di guerra
costituivano, al marzo del 2003, il 10% circa del totale dei casi trattati da procuratori
internazionali. PERRIELLO, M. WIERDA, op. cit., pag. 22.
CAPITOLO TERZO
136
internazionali23
ed alle lungaggini burocratiche della procedura di
reclutamento, il sottodimensionamento del Programma rappresenta un
oggettivo limite all’efficacia (numero di casi conclusi) ed all’efficienza
(durata media di un caso) della presenza giudiziaria internazionale in
Kosovo. A ciò si aggiunga l’esiguità numerica delle risorse umane in
staff ai magistrati internazionali (legal officers, interpreti, segretari),
l’inadeguatezza e la dispersività della logistica24
.
L’assetto normativo consolidato
La strutturazione delle corti “ibride” secondo una logica di tipo
incrementale ha, da un lato, consentito di superare situazioni critiche
contingenti ma, dall’altro, ha rivelato l’assenza, presso i vertice di
UNMIK, di un progetto strategico per la gestione della giustizia penale
di transizione. I continui rimaneggiamenti del Programma GPI sono,
purtroppo, stati il risultato di un approccio reattivo, piuttosto che
proattivo25
.
Le critiche dell’OSCE all’assetto consolidato del Programma
rivelano l’inadeguatezza di tale approccio26
: i) la limitazione del campo
di applicazione della Regulation n. 64/2000 ai processi non ancora
iniziati (in primo grado ed in appello) avrebbe smorzato l’impatto del
meccanismo, atteso che vizi ed errori (sottesi da pregiudizi etnici ovvero
da imperizia tecnica) tenderebbero ad emergere proprio in fase di
processo, ad esempio, in seguito ad ordinanze per la proroga della
custodia cautelare27
ovvero a decisioni sull’ammissibilità delle prove28
; 23 Tutti i magistrati internazionali sono inquadrati nelle categorie contrattuali P-3 (lordo
annuo da 70.222 a 96.224 $), P-4 (lordo annuo da 85.974 a 114.890 $) e P-5 (lordo annuo
da 104.600 a 131.019 $). Le due figure di procuratore e giudice internazionale capo sono
inquadrate nella categoria contrattuale “D-1” (lordo annuo da 126.566 a 147.265 $). Ai
compensi contrattuali di tutte le categorie va aggiunto un per diem lordo di 350 $. 24 I magistrati sono dislocati in più edifici di Pristina ed i loro uffici lasciano spesso a
desiderare in quanto a spazio e confortevolezza. 25 Agli scontri di Mitrovica, all’inizio di febbraio del 2000, UNMIK rispose con la prima
localizzata assegnazione di magistrati internazionali (Regulation n. 6/2000); lo sciopero
della fame dei detenuti serbi, nel maggio del 2000, spianò la strada all’assegnazione di
magistrati internazionali a tutti i distretti del Kosovo (Regulation n. 34/2000); le
rimostranze della comunità serba, tra il giugno e il dicembre del 2000, per le
discriminazioni subite ad opera di panel “ibridi” a maggioranza albanese portarono a
panel maggioritariamente composti da internazionali (Regulation n. 64/2000); il quarto
rilascio consecutivo dell’albanese Afrim Zeqiri, nel gennaio del 2001, a tal punto irritò la
comunità serba ed imbarazzò UNMIK da spingere il RSSG ad introdurre il resurrection
power del procuratore internazionale (Regulation n. 2/2001). 26 OSCE LSMS, Kosovo - A Review of the Criminal Justice System, cit., pagg. 76, 78. 27 Nel caso Gashi, relativo a presunti crimini di guerra commessi da tre fratelli di etnia
rom arrestati il 7 ottobre del 1999, il procuratore locale ha richiesto -dopo quasi un anno
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
137
ii) la mancata fissazione e pubblicizzazione di criteri oggettivi per la
valutazione delle petizioni ex Regulation n. 64/2000, avrebbe reso opaco
il meccanismo di allocazione dei panel a maggioranza internazionale,
comportando un’arbitraria attribuzione di priorità ai casi29
. Un terzo
limite è ravvisabile in relazione al principio internazionalmente
riconosciuto della pre-costituzione del giudice naturale, il quale si erge a
tutela del diritto dell’individuo ad una previa indubbia conoscenza del
giudice competente a decidere o, ancor più nettamente, del diritto alla
certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in
relazione ad un fatto già verificatosi. Se la ratio del principio è eliminare
qualunque forma di discrezionalità nella determinazione di chi si debba
pronunciare su un certo affare, allora c’è da ritenere che esso sia violato
dalla Regulation n. 64, visto che questa, proprio dopo la commissione di
un reato, consente al RSSG di decidere se assegnarne la trattazione a
magistrati internazionali o addirittura rimetterla ad una corte diversa da
quella naturalmente competente30
.
di detenzione cautelare!- alla Corte Distrettuale di Prizren una proroga dei termini di
detenzione pre-processuale, motivandola sulla base di un preteso ritardo del TPIJ a
fornire materiale e fondandola su una norma del CPPRFJ che, in realtà, autorizzava solo
l’estensione dei termini per la presentazione dell’atto di incriminazione. Ibidem, pagg.
79-81. 28 Nel caso Trajkovic, un panel a maggioranza albanese (in esso sedeva, ex Regulation n.
34/2000, un solo giudice internazionale) della Corte Distrettuale di Gjilan ha ritenuto
l’imputato serbo colpevole di crimini di guerra, manipolando opinioni espresse dai
testimoni ed elevandole al rango di prove (sentenza del 6 marzo del 2001). Ibidem, pagg.
78-79. 29 La petizione presentata il 12 gennaio del 2001 dalla difesa di Apostolovic (un serbo-
kosovaro accusato di crimini di guerra) è stata respinta il 23 dello stesso mese dal DAG,
il quale, motu proprio, ha successivamente richiesto al RSSG che un panel a
maggioranza internazionale fosse assegnato al caso. Alla petizione della difesa
dell’imputato serbo-kosovaro Slavic, presentata il 17 gennaio del 2001, il DAG ha
risposto proponendo al RSSG soltanto l’assegnazione di un procuratore locale. Ibidem,
pag. 77. Al fine di superare l’arbitraria assegnazione di magistrati internazionali, l’OSCE
ha suggerito che “[t]here should be an immediate formalisation of the criteria upon which
Regulation 64 petitions are reviewed. These criteria should be disseminated to defence
counsel (…) [and] to all appointed judges and public prosectors”. OSCE, Strategy for
Justice, June 2001, pag. 6. 30 Intervista con un funzionario del DG UNMIK, 14 febbraio del 2007. Al fine di
temperare la violazione del principio della pre-costituzione del giudice naturale l’OSCE
ha raccomandato che “[a] mechanism should be established for randomly selecting which
judge are assigned to a specific case; the assignment of judges to cases should not be left
to the discretion of the Director of the DOJ and the SRSG”. OSCE, Fifth Review of the
Criminal Justice System (March 2002-April 2003), pag. 30.
CAPITOLO TERZO
138
L’interazione col sistema giudiziario kosovaro
Ancorché inserito all’interno del sistema giudiziario kosovaro, il
Programma GPI ha, in concreto, funzionato come un sistema in sé
conchiuso: selezione, nomina (eventuali proroga e revoca del mandato),
controllo disciplinare31
, decisione su quali magistrati internazionali
assegnare a quale caso soggiacciono a meccanismi diversi da quelli
previsti per gli omologhi locali.
Di fatto, la componente internazionale ha operato in sostituzione di
quella locale piuttosto che in supporto della stessa. Sarà certamente vero
che l’esiguo numero di magistrati internazionali, sopraffatto dalla
cospicua mole di lavoro, ha avuto a disposizione poco tempo da dedicare
al mentoring dei colleghi locali; come è certamente vero che la
generalizzata deficienza tecnica (per lo più legata alla decennale assenza
dai ruoli dell’elemento albanese) ed etico-motivazionale (connessa
all’affiliazione clanica, alla suscettibilità a pressioni ed intimidazioni,
alla disponibilità a farsi corrompere per integrare bassi stipendi32
) dei
magistrati locali ha alimentato la diffidenza degli internazionali -e, di
riflesso, dell’opinione pubblica locale- verso la magistratura kosovara.
Sarebbe, tuttavia, miope ridurre la mancata interazione ad un
problema di tempo disponibile e di percezione psicologica. Il
parallelismo tra i due sistemi appare piuttosto il risultato di una pluralità
di scelte istituzionali consapevoli, tese a fare del Programma GPI più
un’articolazione del potere esecutivo di UNMIK che un autonomo corpo
di magistrati prestato al sistema locale. Le velleità di primato del RSSG
sul Programma GPI si sono manifestate in modo eclatante con
l’introduzione dell’istituto della “detenzione esecutiva”, la sua
applicazione in violazione di ordinanze di rilascio emesse anche da
giudici internazionali e la definizione di un meccanismo extra-
giudiziario per la revisione delle decisioni esecutive sulla restrizione
della libertà personale33
.
31 Sul punto l’OSCE ha rimarcato che: “international judges and prosecutors should be
subjected to the same mechanism of disciplinary accountability as any other member of
the judiciary, [that is] the disciplinary procedure of the KJPC [CGPK]”. OSCE, Fourth
Review, cit., pag. 43 32 “The OSCE believes that higher salaries are needed (…) to prevent corruption”. OSCE
LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005 – Reforms and
Residual Concerns, cit., pag. 44. In seguito ad un irrisorio aumento del 5% autorizzato
nel 2002, lo stipendio mensile di un magistrato di Corte Municipale ammonta a 420 euro,
di Corte Distrettuale a circa 480 euro e di Corte Suprema percepisce 538 euro. Ibidem,
pag. 45. 33 Intervista con un procuratore UNMIK, 14 febbraio del 2007. Si veda supra al par.
II.4.1.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
139
La più che apparente dipendenza dei magistrati internazionali
dall’esecutivo sarebbe in contrasto con il diritto di ciascun individuo -
sancito dall’art. 6 della CEDU- ad essere giudicato da una magistratura
libera da qualsivoglia condizionamento politico. I vertici del I Pilastro
UNMIK tendono a rispondere a questa critica facendo leva sul fatto che
il Programma GPI, per quanto organico al sistema giudiziario locale,
costituisce pur sempre una componente speciale di una missione di
peace-keeping, rispondente ad una strategia politica generale (si legga:
garantire una credibile neutralità in casi suscettibili di creare tensioni
interetniche) ed a scelte tattiche ispirate da esigenze di sicurezza
contingenti34
. A ciò si aggiunga che il principio di separazione dei poteri
è proprio dello stato di diritto nazionale e non si attaglia
all’organizzazione internazionale, cui è intrinseca, piuttosto, la
confusione dei poteri35
.
La mancanza di un adeguato livello di integrazione del Programma
GPI col sistema locale si è rivelata d’ostacolo soprattutto al trasferimento
di expertise su temi delicati e cruciali per la costruzione di un credibile
stato di diritto, quali, fra gli altri, la tutela dei diritti umani in sede
processuale e l’interpretazione ed applicazione del diritto internazionale
umanitario36
.
Tardiva e poco promettente è da considerarsi l’istituzione, con fondi
dell’AER37
, dell’Ufficio Speciale della Procura del Kosovo (USPK),
incaricato, nell’ambito della DP del DG, di preparare un corpo di
34 J-C CADY, N. BOOTH, “Internationalized Courts in Kosovo: An Unmik Perspective”
in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo,
and Cambodia, op. cit., pag. 74. 35 C. P. R. ROMANO, “The Judges and Prosecutors of Internationalized Criminal Courts
and Tribunals” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East
Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag. 260. Sul tema della divisione dei poteri
nell’ambito delle organizzazioni internazionali si veda U. DRAETTA, Principi di Diritto
delle Organizzazioni Internazionali, Milano, 1997, pag. 92 e ss. 36 “[T]here was no apparent overall strategy to make the most of the presence of the IJP
to provide hands-on mentoring or to meaningfully include IJP in trainings”. OSCE
LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005, cit., pag. 67. 37 L’AER opera nell’ambito dell’iniziativa comunitaria CARDS (Community Assistance
for Reconstruction, Development and Stabilisation), che copre l’intera area dei Balcani
occidentali (Serbia e Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Croazia e
Albania), in quanto strumento del Programma di Stabilizzazione ed Associazione. Il
finanziamento del progetto USPK da parte dell’AER (si veda supra al par. III.2.1,
Interazione col sistema giudiziario kosovaro) è sintomatico, insieme ad altre iniziative
(e.g. il supporto alla FIU, il Sistema Informativo per la Gestione dei Casi), di un
progressivo spostamento del campo d’intervento dell’UE in Kosovo da compiti di
ricostruzione economica, tipici del IV Pilastro UNMIK, verso compiti più “politici” di
institution/capacity-building, specie nel settore dello stato di diritto.
CAPITOLO TERZO
140
procuratori “speciali” da inserire nell’Ufficio del Pubblico Procuratore
del Kosovo (UPPK), e da assegnare di volta in volta a qualsivoglia Corte
Distrettuale per il perseguimento dei reati più gravi previsti dalla legge
applicabile38
. L’iniziativa è stata formalmente avviata il 30 settembre del
200639
e stenta a decollare per il mancato raggiungimento di un
sufficiente numero di risorse umane locali capaci ed interessate; per di
più, è legittimo chiedersi quale sia il senso di rafforzare la capacità
procuratoriale locale se poi alcuna analoga iniziativa è, almeno allo stato,
prevista a favore del personale degli organi giudicanti. L’unico elemento
promettente del progetto finanziato dall’AER sembrerebbe l’interesse
dell’UE per il tema del capacity-building del sistema giudiziario
kosovaro.
Il giudizio ampiamente negativo sul mancato radicamento della
componente giudiziaria internazionale nel sistema locale e sulle sue
ripercussioni sotto il profilo del capacity-building deve essere mitigato
alla luce di alcune considerazioni.
a) La formazione dei magistrati locali non è una responsabilità
del DG nell’ambito del I Pilastro di UNMIK ma, all’interno del III
Pilastro, dell’Istituto Giudiziario del Kososo (IGK) istituito dall’OSCE
già nell’agosto del 199940
.
b) La finalità istituzionale del Programma GPI è, come
dichiarato nel preambolo della Regulation n. 64, quella di “ensuring the
indipendence and impartiality of the judiciary and the proper
administration of justice (…)”, considerato che “the presence of security
threats may undermine the indipendence and impartiality of the judiciary
and impede the ability of the judiciary to properly prosecute crimes
which gravely undermine the peace process and the full establishment of
the rule of law in Kosovo”.
c) I problemi di sicurezza, il fatto che -con l’eccezione della
Corte Distrettuale di Mitrovica e della Corte Suprema- gli internazionali
siano stati dislocati in strutture diverse da quelle degli omologhi locali41
,
le barriere linguistico-culturali (rimaste invalicabili a causa
38 L’USPK, una volta avviato, dovrebbe, nelle intenzioni di chi ne ha concepito il
progetto, sostituire la DP del DG. 39 Administrative Direction n. 15/2006. 40 Consapevole di tale fatto, l’OSCE ha raccomandato al Programma GPI di “expand its
mandate so that the internationals serve as mentors to their local counterparts; helping
them in more serious cases and training the local judiciary to apply human rights
provisions”. OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005,
cit., pag. 67. 41 Le possibilità di interazione a livello territoriale si sono ulteriormente ridotte in seguito
al materiale trasferimento di tutti i magistrati internazionali a Pristina.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
141
dell’inadeguato servizio di interpretariato42
), sono tutti fattori di contesto
che certamente non hanno favorito le occasioni di contatto tra le due
componenti, invero ridotte a brevi colloqui -costellati di losses in
translation- prima dell’inizio delle udienze.
d) I magistrati locali hanno ricambiato la diffidenza degli
internazionali con motivazioni che vanno da un’istintiva frustrazione per
l’abissale forbice retributiva ad un più ideale sentimento di repulsione
per una forma di ingerenza avvertita come imperialistico-coloniale.
e) L’assenza di un adeguato programma di protezione ha spinto i
magistrati locali a rifiutarsi di trattare casi “sensibili” (corruzione,
crimine organizzato…) all’interno di panel misti, che non di rado hanno
funzionato a composizione completamente internazionale.
f) Le scollature esistenti all’interno del sistema giudiziario
kosovaro non sono meno gravi di quelle tra quest’ultimo ed il
Programma GPI. Basti ricordare che l’UPPK ha circoscritto il suo ruolo
a quello di organo d’accusa presso la Corte Suprema, rinunciando, di
fatto, alla prerogativa, attribuitagli per legge, di supervisionare il lavoro
delle 12 Procure di livello inferiore, e favorire l’omogeneo radicamento
di buone pratiche. Pertanto, anche ipotizzando un adeguato livello di
interazione tra magistrati internazionali e singoli magistrati locali,
difficilmente, a partire da questi ultimi, si sarebbero potuti produrre
effetti a cascata sull’intero sistema kosovaro.
Alla luce delle “attenuanti” sub a) e b), la critica al Programma GPI
andrebbe rimodulata in un giudizio negativo sulla qualità del
coordinamento tra i Pilastri di UNMIK. Sinergie, in effetti, avrebbero
potuto essere attivate tra i formali seminari dell’IGK e l’informale
training-on-the-job dei magistrati locali all’interno dei panel ibridi. I
punti c) ed f), d’altra parte, inducono a criticare severamente la scarsa
attenzione di UNMIK a fattori di contesto cruciali per l’attecchimento
del Programma GPI, come, ad esempio: una logistica capace di
contemperare le esigenze di sicurezza con quelle dell’interazione coi
locali; l’affiancamento, in pianta stabile, agli internazionali di un corpo
di mediatori linguistico-culturali qualificati; l’insegnamento della lingua
42 La reciproca diffidenza tra le etnie ha obbligato UNMIK a ricorrere, con notevole
aggravio di costi, a interpreti del serbo e dell’albanese provenienti, rispettivamente, dalla
Croazia e dall’Albania. Le inevitabili varianti locali delle due lingue hanno originato non
pochi fraintendimenti nel corso delle udienze. Intervista con un giudice UNMIK, 15
febbraio del 2007.
CAPITOLO TERZO
142
internazionale veicolare ai locali; la retribuzione43
e la protezione dei
magistrati locali; i programmi di informazione e sensibilizzazione volti a
plasmare percezioni ed aspettative dell’opinione pubblica locale
(outreach), troppo spesso condizionate dalle distorsioni dei media locali,
nonché lo sviluppo di meccanismi di coordinamento verticale ed
orizzontale tra le strutture del sistema giudiziario locale.
III.2.2 La capacità di perseguire crimina juris gentium e crimini a
movente etnico
Le più recenti stime delle dimensioni quantitative della crisi
umanitaria kosovara del 1998-99 indicano in 800.000 -su una base
demografica complessiva di 1,7-2,2 milioni di abitanti- il numero dei
profughi riparati in Albania e Macedonia (di cui 150.000 giammai
ritornati), in 500.000 gli sfollati, tra 4.000 e 12.000 le vittime44
. Di fronte
alla tragica eloquenza dei numeri, all’aprile del 2006, solo 23 casi di
crimini di guerra (per lo più patiti da albanesi), su un totale di 53
indagini aperte, sono stati trattati da corti kosovare con il coinvolgimento
di magistrati internazionali. Solo 10 dei 23 processi celebrati sono
approdati a sentenze di condanna in primo grado; 8 di esse sono state
cassate in appello dalla Corte Suprema per inadeguata definizione dei
fatti ovvero per mancata escussione dei testimoni. Nei processi
successivi alla pronuncia d’appello, gli imputati sono stati condannati
per reati meno gravi, se non addirittura assolti45
. La maggior parte dei
processi per crimini di guerra (17) è stata celebrata prima del 2002; solo
6 si sono svolti dal 2002 alla metà del 2006 e sono alquanto improbabili
ulteriori rinvii a giudizio per crimini di guerra, dati il deterioramento
delle prove inesorabilmente prodottosi col trascorrere degli anni46
e la
latitanza di un cospicuo numero di criminali. Il limitato numero di
43 Stipendi più elevati avrebbero potuto attrarre nella magistratura giuristi più preparati,
che hanno, invece, ritenuto più conveniente la professione avvocatizia privata. OSCE
LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005, cit., pag. 44; inoltre,
intervista con un avvocato kosovaro-albanese, 14 novembre del 2006. 44 UNMIK, Report submitted to the Human Rights Committee on the human rights
situation in Kosovo since June 1999, Kosovo (Serbia and Montenegro), cit. pag. 5, par. 9. 45 A questi si aggiungano i numerosi imputati per crimini di guerra fuggiti dai centri di
detenzione e mai processati per il già ricordato divieto di cui alla Regulation n. 1 del 12
gennaio del 2001, Section 1. L’incapacità, da parte di UNMIK; di perseguire i crimini di
guerra è severamente criticata da Amnesty International nel rapporto del novembre del
2006 Kosovo (Serbia): The UN in Kosovo - a Legacy of Impunity. 46 Amnesty International, Kosovo (Serbia and Montenegro) - UNMIK: Briefing to the
HRC, 87th Session, July 2006, cit., pagg. 10-13. Human Rights Watch, The Continuing
Failure to Address Accountability in Kosovo Post-March 2004, vol. 18, n. 4(D), May
2006, pagg. 18-20.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
143
processi (e soprattutto di condanne) per crimini di guerra è tanto più
preoccupante se letto in combinato disposto con l’ostruzionismo del
RSSG rispetto alla possibilità che taluni casi di crimini di guerra
commessi in Kosovo vengano trattati da corti serbe47
. Dal quadro
affrescato emerge una situazione di generalizzata impunità che
certamente non favorisce la riconciliazione interetnica48
in un contesto
socio-demografico in cui la più bassa età media d’Europa49
già si pone
come un forte ostacolo allo “smaltimento” della memoria generazionale
sulle atrocità subite.
Il reflusso di violenza dell’elemento albanese contro le minoranze
etniche del Kosovo nel marzo del 2004 invita, inoltre, a leggere l’azione
delle corti “ibride” come inefficace rispetto all’obiettivo, desiderabile,
della deterrenza.
Il CDU si è detto preoccupato della perdurante impunità per i
crimini di diritto internazionale commessi prima dell’inizio del mandato
UNMIK nonché per i reati a movente etnico perpetrati sin dal giugno del
1999, ivi inclusa l’ondata di violenza anti-serba che, tra il 17 ed il 18
marzo del 2004, ha causato la morte di 19 persone, il ferimento di quasi
1.000, lo sfollamento di oltre 4.000, l’incendio ed il saccheggio di oltre
700 abitazioni private, di 26 siti della fede ortodossa e di 10 edifici
pubblici50
. Al di là dei solenni impegni della comunità internazionale e
sebbene la punizione dei responsabili delle violenze interetniche del
marzo 2004 sia stata inserita tra le condizioni prioritarie per l’avvio dei
negoziati sullo status definitivo del Kosovo, le cifre fornite dall’OSCE
sono eloquenti circa l’incapacità dei magistrati UNMIK di perseguire i
reati. A fronte di 51.000 persone coinvolte nei disordini, la polizia
internazionale ha avviato quasi 1.400 indagini nell’ambito
dell’operazione “Thor”51
, di cui solo 348 (riguardanti 426 individui52
)
approdate al banco dei procuratori; i magistrati internazionali sono stati
47 Si veda supra al par. II.4.2. 48 E’ intuitivo che l’impunità individuale tende a tradursi in un persistente pregiudizio di
colpevolezza collettiva. 49 Stimata in 22,5 anni. 50 HRC, Concluding observations of the Human Rights Committee, Kosovo (Republic of
Serbia), cit., pag. 4, par. 12. 51 L’operazione, condotta da uno staff di 140 persone (di cui 90 investigatori), ha avuto
inizio solo nel maggio del 2004. 52 Il gap tra il numero di individui arrestati ed il numero stimato di persone partecipanti ai
disordini sarebbe addebitabile alla mancanza di adeguate misure di protezione dei
testimoni e dei magistrati, alla singhiozzante e scoordinata conduzione delle indagini da
parte di investigatori internazionali inviati in missione semestrale. OSCE LSMS, The
Response of the Justice System to the March 2004 Riots, December 2005.
CAPITOLO TERZO
144
assegnati solo a 56 procedimenti -ivi inclusi i 19 casi di omicidio. Di
questi 56, a due anni di distanza, solo 13 risultavano conclusi, per lo più
con sentenze di condanna sospese; i restanti, se non erano stati archiviati,
si attardavano nella fase pre-processuale, prossimi ad essere trasferiti ai
magistrati locali, nel frattempo distintisi, in negativo, per aver applicato -
in virtù di una strumentalizzazione delle circostanze attenuanti- pene
minime a 209 dei 221 individui (per lo più albanesi) processati53
. La
limitata capacità di risposta di questi ultimi può, invero, essere
considerata come la prova contro-fattuale del mancato
perseguimento/conseguimento di obiettivi di capacity-building da parte
degli internazionali.
Prima di essere superata attraverso il principio del favor rei, l’aporia
apertasi con l’entrata in vigore del CPP e del CPPP, giusto qualche
settimana dopo i fatti di marzo 2004, ha fornito un comodo alibi alla
mancata ovvero inadeguata iniziativa dei diversi soggetti del sistema
giudiziario kosovaro: i procuratori hanno potuto far ricadere sulla polizia
il mancato ovvero tardivo coinvolgimento nelle indagini; i giudici, da
parte loro, hanno indicato la disfunzione del sistema nella mancata
iniziativa dei procuratori, che la nuova legge avrebbe voluto driving
force del procedimento; infine, il DG ha dissimulato l’imbarazzo dei
magistrati internazionali, specie dei procuratori, di fronte al repentino
cambiamento della legge applicabile, dietro una pretesa inerzia della
polizia e degli omologhi locali54
.
III.2.3 La qualità degli atti giudiziari relativi ai crimina juris gentium
I magistrati internazionali svolgono pur sempre un lavoro di tipo
intellettuale, di cui gli atti giudiziari costituiscono la materiale
estrinsecazione. Funzione diretta della procedura di reclutamento e del
carico di lavoro gravante sull’esiguo numero di magistrati, la qualità
degli atti si presta come ulteriore parametro per valutare il capacity-
building -inteso come capacità dimostrativa- del Programma. Tanto più
che, rispetto ai crimina juris gentium, gli atti non dovrebbero limitarsi
alla funzione burocratico-giudiziaria di accertamento della verità
processuale su fatti relativi ad individui ma dovrebbero assolvere anche
alla funzione socio-politica della riconciliazione interetnica attraverso
l’imparziale ricostruzione della verità storica. I rapporti periodici redatti
dall’OSCE, in quanto responsabile, nell’ambito del III Pilastro di
53 Human Rights Watch, The Continuing Failure to Address Accountability in Kosovo
Post-March 2004, cit., pagg. 6-8, 22-27. 54 Ibidem, pag. 31, 45-48.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
145
UNMIK, del programma di monitoraggio del sistema giuridico
costituiscono una fonte completa ed affidabile per svolgere tale analisi55
.
La trattazione di casi “sensibili” da parte di procuratori
internazionali ha elevato sensibilmente i livelli qualitativi degli atti di
incriminazione (indictment), la cui chiarezza, strutturazione ed
esaustività sono -specie in presenza di reati plurimi commessi ai danni di
più vittime in periodi di tempo estesi (tali sono per definizione i crimina
juris gentium)- requisiti indispensabili tanto per un’efficace persecuzione
quanto per un’effettiva difesa56
.
Può, inoltre, riconoscersi ai procuratori internazionali il merito di
aver ridimensionato taluni “inflazionati” indictment inizialmente emessi
da procuratori locali nei confronti di kosovari di etnia serba. Viene in
rilievo il caso del minore “Z”57
, kosovaro di etnia serba che, tra la fine di
marzo ed il maggio del 1999, avrebbe provocato, con la complicità di un
non meglio identificato adulto, la fuga di un centinaio di famiglie
albanesi dalle loro case. “Z” fu inizialmente perseguito per genocidio, e
in seguito, non riscontrandosi la sussistenza del dolus specialis del
crimine (si legga: l’intenzione di distruggere in tutto, o in parte, il gruppo
kosovaro albanese), fu accusato di aver provocato una situazione di
pericolo generale58
e commesso gravi atti contro la sicurezza generale59
.
55 Per alcuni casi, possono essere di complemento i rapporti ed i comunicati stampa
dell’ong Humanitarian Law Center, disponibili on line attraverso il portale
<http://www.hlc.org.yu/english/>. Si avverte il lettore che il sistema giudiziario kosovaro
non era provvisto all’epoca dell’attività di reporting cui ci si riferisce, di un sistema per
protocollare in maniera univoca i documenti giudiziari, pertanto, ciascun caso sarà, ove
possibile, contraddistinto dal cognome dell’imputato seguito da una parentesi contenente
la data dell’incriminazione. 56 L’OSCE considera esemplari, al riguardo, i casi Grkovic (indictment dell’11 novembre
del 2001) e Besovic (indictment del 19 febbraio del 2002), kosovari di etnia serba
accusati di crimini di guerra. OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review,
September 2002, pagg. 36-37. I procuratori internazionali dei casi Besovic e Mldenovic
(indictment del 2 febbraio del 2001), sono, inoltre, meritevoli di menzione per aver
qualificato i fatti ascritti ai rispettivi imputati sia dal punto di vista del diritto interno (art.
142 del CPRFJ) che del diritto internazionale umanitario (I Convenzione di Ginevra e I
Protocollo Aggiuntivo). Ibidem, pagg. 36-37. 57 Indictment del 23 dicembre del 1999. 58 Art. 157 CPRFJ. 59 Art. 164 CRFJ. OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pagg. 15-16
e pag. 34. Non sarebbe ascrivibile alla stessa categoria il caso Jokic (indictment del 25
febbraio del 2000), kosovaro di etnia serba che un procuratore locale aveva incriminato,
il 25 febbraio del 2000, di genocidio per fatti presumibilmente commessi, in quanto
paramilitare, tra il 15 aprile e l’8 maggio del 1999. Se, in sede di retrial, il procuratore
internazionale ha emendato l’indictment, incriminando Jokic per crimini di guerra, è stato
solo per sanare un vizio procedurale commesso in primo grado da un panel a
CAPITOLO TERZO
146
Analogo è il caso Vuckovic60
, in cui, sulla scorta della decisione della
Corta Suprema di cassare la sentenza di condanna per genocidio emessa
il 18 gennaio del 2001 da un panel a maggioranza locale, il procuratore
internazionale ha emendato l’indictment, procedendo per crimini di
guerra.
D’altra parte, tuttavia, alcuni emendamenti nel senso
dell’undercharging offrirebbero il fianco a severe critiche circa la
qualificazione del contesto fattuale dei reati allegati61
. Esemplare è, al
riguardo, il caso Apostolovic, kosovaro di etnia serba dapprima62
accusato di crimini di guerra ex art. 142 del CPRFJ e in seguito63
del
solo reato comune di furto aggravato64
, sebbene gli atti a lui ascritti, in
quanto membro di un gruppo paramilitare, fossero certamente collocati
all’interno della fase internazionale del conflitto armato65
. Mutatis
mutandis, analoga critica può essere fatta ai procuratori internazionali
che hanno trattato, presso la Corte Distrettuale di Gjilan, i casi Nikolic66
e Stojanovic67
e, presso la Corte Distrettuale di Pristina, quello
Stanojevic68
. I procuratori locali avevano incriminato ciascuno dei tre
kosovari di etnia serba per l’omicidio69
di individui albanesi. I
procuratori internazionali subentrati agli omologhi locali -in sede di
retrial nei primi due casi e di appello nel terzo- non hanno emendato gli
indictment nel senso dell’overcharging, sebbene tutti i presunti assassini
indossassero uniformi paramilitari ovvero di polizia ed il tempus
commissi delicti suggerisse di collocare i primi due omicidi (perpetrati,
rispettivamente, il 5 ed il 15 aprile del 1999) nel time-frame del conflitto maggioranza locale che aveva condannato l’imputato per un reato diverso (crimini i
guerra, appunto) da quello originariamente contestato dall’organo d’accusa. Si osserva,
incidentalmente, che un panel a maggioranza internazionale della Corte Suprema non
aveva, neppure discusso la questione della condannabilità di un imputato per un reato
diverso da quello allegato dal procuratore. Ibidem, pagg. 17-18 e pag. 34. 60 Indictment del 29 novembre del 1999. 61 Ibidem, pagg. 22-23 e pag. 35. 62 8 settembre del 2000. 63 28 gennaio del 2002. 64 Art. 135 CRFJ. 65 Nel caso del paramilitare serbo-kosovaro Besovic (cit.), il procuratore internazionale
ha, da subito, proceduto per crimini di guerra rispetto a fatti commessi tra il 29 maggio
del 1998 ed il 14 maggio 1999, cioè sia nella fase interna del conflitto armato che in
quella internazionale. Analogamente, nel caso di un altro paramilitare serbo-kosovaro
Grkovic (cit.), il procuratore internazionale ha qualificato come crimini di guerra fatti
occorsi tra il 25 ed il 28 marzo del 1999, in piena fase internazionale del conflitto armato. 66 Indictment del 5 novembre del 1999. 67 Indictment del 28 febbraio del 2000. 68 Indictment del 9 maggio del 2000. 69 Art. 30 del CPK.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
147
armato internazionale ed il terzo (commesso il 15 gennaio del 1999)
nella fase di mero rilievo interno.
Quanto ai giudici internazionali, le sentenze da loro emesse in
relazione a casi di violazioni del diritto internazionale umanitario
sarebbero largamente al di sotto non solo degli standard qualitativi
propri delle pronunce dei due TPIh ma anche di quelli tecnico-
redazionali richiesti dalla legge locale.
Il CPRFJ prevedeva che la sentenza si componesse di tre parti:
l’introduzione, il dispositivo e la motivazione, a sua volta suddivisa in tre
sezioni, dedicate all’accertamento della sussistenza del reato, della
responsabilità penale e, infine, alla qualificazione giuridica dei fatti
ovvero delle omissioni di cui l’imputato sia stato riconosciuto
responsabile70
; in sede di accertamento della responsabilità penale, si
richiedeva alla sentenza di valutare in maniera specifica e completa la
credibilità delle prove, specie di quelle contraddittorie71
. Le sentenze di
pugno internazionale si sono allontanate dallo schema descritto e la loro
strutturazione è dipesa dalla strategia argomentativa discrezionalmente
adottata dal giudice redattore che, non di rado, ha preposto la valutazione
della credibilità delle testimonianze agli altri elementi72
. Inoltre, nelle
sentenze sono stati riscontrati grossolani difetti tecnici: confusione tra
questioni di fatto e questioni di diritto, mancata presentazione degli
elementi costitutivi del reato imputato, mancato riferimento a questi
ultimi in sede di analisi delle prove processuali, condanna per reati
diversi da quelli allegati nell’indictment. Rispetto a quest’ultimo difetto,
vengono in rilievo i casi Matic73
e Kolasinac74
, in cui panel “ibridi” della
Corte Distrettuale di Prizren hanno condannato in primo grado gli
imputati per reati diversi (e di minore gravità) da quelli per cui i
rispettivi procuratori locali avevano deciso di procedere75
.
70 Art. 357 del CPRFJ. 71 OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., par. 7. 72 E’ questo, ad esempio, il caso delle sentenze Nikolic (cit.) e Jokic (cit.). OSCE LSMS,
Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pagg. 12-13, 17-18, 46. 73 Indictment dell’11 settembre del 2000. 74 Indictment del 7 agosto del 2000. 75 A fronte di un’incriminazione per crimini di guerra, l’imputato Matic è stato
condannato per lesioni fisiche leggere (sentenza del 14 giugno del 2001), mentre
l’imputato Kolasinac per aver aiutato un’altra persona (il co-imputato Jovanovic) dopo
che questa aveva commesso crimini di guerra. Nei due casi, panel “ibridi” della Corte
Suprema hanno cassato le sentenze anche in considerazione dell’assenza di un formale
emendamento dell’indictment.
CAPITOLO TERZO
148
Dal punto di vista internazionalistico, sono state evidenziate le
seguenti deficienze: a) mancata trattazione di rilevanti questioni
preliminari; b) approssimativo riferimento alle teorie sulla responsabilità
penale personale per gravi violazioni dello jus in bello; c) mancata o
errata qualificazione dei reati dalla prospettiva del diritto internazionale
umanitario; d) assenza di riferimenti a fonti giurisprudenziali e dottrinali
autorevoli; e) valutazione delle testimonianze effettuata sulla base di
criteri diversi da quelli fissati dalla giurisprudenza internazionale; f)
carenza di riferimenti ai diritti umani quali sanciti dal diritto
internazionale.
a) Sono essenzialmente due le questioni preliminari che avrebbero
dovuto essere trattate sin dall’inizio con le dovute metodicità e
completezza, su sollecitazione delle parti ovvero ex officio.
In primo luogo, risalta la scarsa attenzione tributata dai panel ibridi
al fondamento della loro competenza a giudicare ed alle implicazioni di
tale competenza sulla sovranità territoriale serbo-jugoslava. Mancano di
solidità giuridica le argomentazioni addotte in relazione al già citato caso
del serbo-kosovaro Vuckovic, incriminato di genocidio da un
procuratore locale dinanzi ad un panel a maggioranza locale della Corte
Distrettuale di Mitrovica. La difesa ha eccepito la legalità della Corte
Distrettuale, sostenendo che la sovranità della Serbia, quale sancita
anche dalla risoluzione n. 1244/99 del CS dell’ONU, fosse violata
dall’impossibilità per i giudici nominati dal Parlamento serbo di tenere
udienze in Kosovo. Il panel ha respinto le doglianze della difesa,
indicando nella volontà di UNMIK (ed in ultima analisi del CS
dell’ONU che aveva deciso il dispiegamento di una presenza
internazionale civile in Kosovo) il fondamento di legalità, legittimità e
competenza della Corte Distrettuale di Mitrovica, il cui operato in alcun
modo minaccerebbe l’integrità territoriale della RFJ76
.
In secondo luogo, si evidenziano, limitatamente ai processi per
crimini di guerra: i) il mancato previo accertamento dell’esistenza di un
conflitto armato al tempus delicti, ii) la mancata definizione della sua
76 All’inizio del processo, il 6 giugno del 2000, la difesa aveva invano introdotto dinanzi
alla Corte Suprema istanza di ricusazione di tutti i membri locali del panel, ritenendo che
la loro appartenenza all’etnia delle presunte vittime e l’avere essi stessi subito danni li
avrebbe equiparati alla “parte lesa”, costituendo un insormontabile ostacolo
all’imparzialità del giudizio; l’istanza aveva riguardato anche l’unico membro
internazionale del panel, di cui si era contestato il mancato possesso della cittadinanza
jugoslava. HLC, Press Release, Trial of Kosovo Serbs for Genocide Resumed, November
13, 2000, Pristina.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
149
natura (interna o internazionale) nelle diverse fasi della crisi kosovara,
iii) la considerazione delle implicazioni della natura del conflitto sul
piano dello jus in bello applicabile. Ad esempio, nel caso Jokic77
, un
panel locale partecipato da un solo giudice internazionale, senza
previamente interrogarsi sull’esistenza di un conflitto armato al
momento della commissione del reato, ha riqualificato come crimini di
guerra fatti che il procuratore locale aveva allegato come genocidio; né
la Corte Suprema si è avveduta dell’errore (ovvero ha preferito non
discuterne). Si sottrae a tale quadro la sentenza di primo grado emessa il
7 luglio del 2003 da un panel “ibrido” della Corte Distrettuale di Pristina
investito del caso Gashi et alii. Il caso, meglio noto col nome del locus
delicti (“Llap”, presso Podujevo), è stato il primo ad aver costituito
l’oggetto di un processo internazionalizzato contro esponenti dell’UCK
accusati di crimini di guerra commessi tra l’inizio dell’agosto del 1998
ed il giugno del 1999 ai danni di civili di etnia albanese ritenuti
collaborazionisti del regime di Milosevic. La corte ha ritenuto che per
l’intera parentesi temporale dei fatti allegati sia sussistito un conflitto
armato, la cui natura sarebbe stata interna fino al 24 marzo del 1999, data
dalla quale si sarebbe internazionalizzato per effetto dell’intervento della
NATO, per concludersi il 10 giugno con l’inizio dell’attuazione degli
accordi di Kumanovo. Durante la fase interna, le vittime sarebbero,
pertanto, state protette dall’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di
Ginevra del 1949 e dall’art. 6 del II Protocollo Aggiuntivo; iniziata la
fase internazionale, l’intero corpus convenzionale ginevrino si sarebbe
esteso alle vittime78
.
b) Solo raramente i panel internazionali hanno applicato le
disposizioni del CPRFJ ovvero le norme di diritto internazionale
umanitario pattizio e generale relative ai profili della responsabilità
penale personale che, invece, avrebbero dovuto essere considerate con
maggiore attenzione, atteso che i crimina juris gentium, per loro stessa
natura, quasi mai vedono un individuo agire isolatamente ma quasi
sempre secondo varie forme di collegamento con altri individui
(subordinazione/sovraordinazione gerarchica, gruppo, joint criminal
enterprise, complicità, istigazione etc).
Sebbene in quasi tutti i casi di violazione del diritto internazionale
umanitario siano state addotte prove del fatto che gli imputati avevano
77 Cit. in questo stesso capitolo alla nota 59. 78 HLC, Report Trial of “Lap group” (17 February-16 July 2003), September 9, 2003,
Pristina.
CAPITOLO TERZO
150
agito di concerto con altri individui (peraltro indossanti identiche
uniformi di polizia/militari/paramilitari), a stento ci si è allontanati dalla
nozione di “complicità”79
propria dei reati comuni. Ne è derivato che i
crimini sono stati perseguiti e giudicati al di fuori del loro contesto
speciale (il conflitto armato), quasi fossero dei reati ordinari80
. Nel già
richiamato caso Stanojevic, non ci si è neppure chiesti se all’imputato,
soldato semplice meramente esecutore di ordini superiori, fosse
applicabile o meno l’art. 239 del CPRFJ sulla responsabilità dei
subordinati per azioni commesse su ordine di autorità gerarchiche. Solo
nei casi Kolasinac81
e Trajkovic82
i crimini sono stati considerati in
un’ottica più adeguata alla loro complessità. Nel primo, facendo
riferimento alla giurisprudenza del TPIR, è stata affrontata la questione
della responsabilità di comando dell’imputato, un serbo-kosovaro posto
in posizione di rilievo a livello locale (presidente dell’Assemblea
Municipale e comandante dell’Unità di Protezione Civile Municipale);
tuttavia, il panel non ha precisato la base giuridica per l’applicazione
dell’esposta dottrina (una norma di diritto internazionale generale resa
direttamente applicabile ex art. 210 della Costituzione della RFJ oppure
gli artt. 86 e 87 del I Protocollo Aggiuntive delle Convenzioni di
Ginevra?)83
. Nel secondo caso, la Corte Distrettuale di Gjilan ha
affrontato anche la questione della responsabilità di un comandante di
polizia serbo-kosovaro per azioni commesse da altri su suo ordine ed ha
ritenuto, senza precisare su quale base giuridica (locale ovvero
internazionale), che questa insorgesse solo per “azioni organizzate” e
non per quelle “isolate”84
. Una più rigorosa e sistematica applicazione
delle dottrine sulla responsabilità penale personale, ivi inclusa quella
della joint criminal enterprise (ricondotta all’art. 26 del CPRFJ), risulta
nel solo caso “Llap”. Il wording della sentenza è assai eloquente per le
connessioni stabilite tra i quattro imputati: “Rrustem Mustafa, (…) as
Commander of the Llap zone, (…) failed to prevent the (…) illegal
detention of (…) persons and failed to take any steps to identify and
punish the members of the KLA [UCK ndr] responsible for those
offences”; (…) “in complicity with Latif Gashi, and aided (…) by Nazif
79 Art. 22 del CPRFJ. 80 Ai panel locali è stato addebitato un eccesso in senso opposto: nei casi Ademi
(indictment del 23 novembre del 1999) e Jokic (cit.) i singoli imputati sono stati
assimilati all’intera forza criminale agente nel locus ed al tempus delicti. 81 OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pagg. 20-22. 82 Indictment del 3 aprile del 2000. Ibidem, pagg. 24-25. 83 Ibidem, pag. 43. 84 Ibidem, pag. 43, 50.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
151
Mehmeti (…) and pursuant to a joint criminal plan, he illegally detained
Kosovo Albanian citizens suspected of collaboration with Serbs in a
detention centre organised by and under the control of the KLA (…), the
purpose of the plan being to seek to force those detained to confess to
disloyalty to the KLA (…)”; (…) he ordered Naim Kadriu to torture the
witness “R” (…)”85
.
c) Quasi sempre i fatti ascritti agli imputati sono stati qualificati
secondo la legge locale, sebbene la loro natura ed intrinseca complessità
avrebbero richiesto, ad adiuvandum, il riferimento a norme del diritto
internazionale umanitario, convenzionale e/o generale. Un tale
approccio, in combinazione con l’assegnazione di giudici internazionali,
avrebbe potuto accrescere la legittimazione all’organo giudicante. Le
eccezioni al quadro descritto sono state davvero rare. Nel caso “Llap”, i
crimini di guerra sono stati qualificati associando alle rilevanti
disposizioni del diritto penale locale le corrispondenti norme di diritto
internazionale pattizio. Nel più volte citato caso del serbo-kosovaro
Vuckovic, non riscontrando prove suffraganti la sussistenza del dolus
specialis del crimine di genocidio, un panel a maggioranza
internazionale della Corte Suprema ha suggerito, in dicta ed ultra petita,
che i fatti ascritti ad esponenti del regime di Milosevic “cannot be
qualified as criminal acts of genocide, since their purpose was not the
destruction of the Albanian ethnic group in whole or in part, but its
forcefully departure from Kosovo as a result of systematic campaign of
terror including murders, rapes, arsons and severe maltreatments” e che,
pertanto, “such criminal acts correspond to the definition of crimes
against humanity given by international laws (widespread or systematic
plan of attack against civilian population during the war) or can be
qualified war crimes as per Article 142 of the CLY [CPRFJ].”86
Il citato
passaggio, se da un lato risulta apprezzabile per lo sforzo profuso nella
corretta qualificazione dei fatti sub specie juris gentium, dall’altro ha
rivelato come la Corte Suprema, specie nella sua composizione “ibrida”,
abbia preferito porsi, all’interno del sistema giudiziario kosovaro, come
un’istanza giurisdizionale più incline ad un velato riesame ultra vires dei
fatti (funzione della Corte Distrettuale in sede di retrial) piuttosto che, in
ossequio alla legge, come “cour de cassation”, le cui pronunce, ancorché
non vincolanti erga omnes87
, dovrebbero prefiggersi la funzione di
85 OSCE LSMS, The “”Llapi Case”, Public Prosecutor’s Office vs Latif Gashi, Rrustem
Mustafa, Naim Kadriu and Nazif Mehmeti. 17 December, 2003. 86 Ibidem, pag. 49. 87 Come accade nei sistemi di common law.
CAPITOLO TERZO
152
armonizzare, a vantaggio dei giudici dei gradi inferiori, l'interpretazione
giurisprudenziale delle norme più ambigue (c.d. funzione nomofilattica).
Più numerosi, e talvolta eclatanti, sono stati gli errori. Nel già
menzionato caso Trajkovic, la sentenza di primo grado emessa il 6
marzo del 2001 da un panel a maggioranza locale della Corte
Distrettuale di Gjilan ha qualificato i fatti imputati ad un serbo-kosovaro
come crimini di guerra ex art. 142 del CPRFJ; l’unico giudice
internazionale assegnato al panel col ruolo di presidente ha qualificato
diversamente tali fatti, avendo considerato, a torto, l’art. 142 del CPRFJ
come la codificazione delle vigenti norme di diritto internazionale
generale sui crimini contro l’umanità. Paradossale è stato che la Corte
Suprema non si sia avveduta dell’errore (o non abbia voluto
discuterne)88
.
d) Raramente le sentenze emesse da panel “ibridi” hanno richiamato
fonti giurisprudenziali e dottrinali autorevoli, suscettibili di conferire
maggiore solidità al ragionamento giuridico e più ampia legittimità al
giudizio. Raro è il riferimento alle decisioni di tribunali internazionali
(penali e non). Nel già ricordato caso Kolasinac è stata citata la
giurisprudenza di entrambi i TPIh, ed in particolare, come già ricordato
al punto b), quella del TPIR sulla responsabilità di comando. In alcuni
casi, addirittura, il riferimento alla giurisprudenza internazionale è stato
fuori luogo e fuorviante. Ad esempio, sempre nel caso Trajkovic, la
citazione di un passo di una sentenza del TPIJ relativo alla definizione di
“crimini contro l’umanità” è stata preludio dell’errore di qualificazione
giuridica dei fatti accennata al punto c). Del tutto assente è il riferimento
alle sentenze emesse da corti nazionali che abbiano fondato sul principio
di giurisdizione penale universale la propria competenza a perseguire e
giudicare crimina juris gentium.
Quanto alle fonti dottrinali, qualche volta89
si è fatto riferimento ai
pochi commentari sui rilevanti articoli del CPRFJ90
, giammai al
Commentario della CDI sulla Bozza di Codice dei Crimini contro la
Pace e la Sicurezza dell’Umanità del 199691
.
88 Ibidem, pagg. 24-25, 47. 89 Caso Jovanovic (indictment dell’1 febbraio del 2000), ibidem, pagg. 25-26, 47. 90 Tra tutti si ricordano: F. BACIC et al., Commentary on the Criminal Law of the
Federal Republic of Yugoslavia, 5th edition, Belgrade, 1999; L. LAZAREVIC,
Commentary on FRY CC 26, Savremena Administracija, Belgrade, 1999. 91 OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pag. 33.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
153
e) Per la valutazione dell’attendibilità delle deposizioni dei
testimoni, i panel ibridi avrebbero potuto adottare i criteri fissati dai due
TPIh. In relazione al caso Akayesu, il TPIR ha stabilito che le
incongruenze e le contraddizioni tra le deposizioni processuali dei
testimoni e le loro prime dichiarazioni al procuratore non sono un
sufficiente motivo per ritenere che i testimoni hanno dichiarato il falso,
in quanto è plausibile che: i) le percezioni umane siano fallibili, ii) la
memoria individuale degeneri col trascorrere del tempo, iii) i testimoni
abbiano subito, nell’assistere al crimine, un trauma tale da influenzare la
loro capacità di raccontare in sede giudiziaria la sequenza di eventi visti,
iv) esistano barriere linguistiche e culturali alla comunicazione92
. Inoltre,
già qualche anno prima, il TPIJ aveva dichiarato che un teste non può
essere dichiarato inaffidabile per il semplice fatto di essere stato vittima
di un crimine commesso dalla stessa etnia dell’imputato93
.
Le sentenze emesse da panel “ibridi” hanno, invece, fatto discendere
l’inaffidabilità di un teste in automatico dal deficit di coerenza tra
deposizione processuale e dichiarazioni rese alle autorità KFOR, al
giudice inquirente o in altri processi (ad esempio davanti al TPIJ). Fa
parzialmente eccezione il caso Stanojevic94
, in cui il giudice
internazionale ha considerato un nutrito elenco di criteri per ponderare la
credibilità dei testimoni: stress, paura, tempo trascorso dai fatti, ostilità
etnica, pressioni della comunità etnica locale, rumores locali ed
internazionali, mentalità etnica ed aspettative tra pari95
.
f) Sporadicamente le sentenze emesse da panel “ibridi” si sono
richiamate ai principali strumenti internazionali convenzionali posti a
tutela del cluster di diritti umani connessi alla nozione di fair trial,
sebbene le Regulation UNMIK abbiano ripetutamente sancito la diretta
applicabilità degli stessi. Ancora nel caso Trajkovic, ribadendosi la
diretta applicabilità della CEDU, la Corte Suprema ha dato istruzioni alla
Corte Distrettuale in tema di diritti del detenuto96
. Nel caso Stojanovic97
,
a proposito della mancata convocazione di testimoni a discarico residenti
92 Prosecutor vs. Akayesu, ICTR 96-4-T, Trial Chamber Judgement of 2 September 1998,
par. 140. 93 Prosecutor vs. Tadic, IT-97-1, Trial Chamber Judgement of 7 May 1997, par. 54. 94 Cit., supra. OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pag. 19. 95 Ibidem, pagg. 38-41. 96 Ibidem, pag. 52. 97 Cit., supra.
CAPITOLO TERZO
154
nella Serbia vera e propria, è stato citato l’art. 6, par. 3, lett. d) della
CEDU98
.
III.3 Le prospettive
Il Programma GPI è, ad oggi, un’esperienza ancora in fieri sul cui
futuro è, pertanto, possibile speculare. Saranno dapprima criticamente
presentati i progetti già esplorati, sia pur senza successo (par. III.3.1);
quindi, premesse alcune notazioni sul quadro istituzionale post-UNMIK
disegnato dalla proposta Ahtissari (par. III.3.2), verranno analizzate le
previsioni che la stessa dedica al Programma GPI (par. III.3.3)99
.
III.3.1 I progetti esplorati
La exit strategy del Programma GPI non è stata ancora definita.
Certo è che un continuato ricorso a giudici e procuratori internazionali è
da considerarsi essenziale tanto nel perdurante processo di trasferimento
di poteri e funzioni a favore delle IPAG quanto nella futura fase a
gestione UE, il cui inizio potrebbe aversi entro la fine del 2007.
Tale orientamento è emerso, già nell’ottobre 2005, dal Rapporto
dell’Ambasciatore Kai Eide, allora Inviato Speciale del SG dell’ONU,
secondo il quale “[a] continued presence of international judges and
prosecutors will (…) be required to handle cases related to war crimes,
organized crime and corruption as well as difficult inter-ethnic cases.
The currently ongoing reduction of international judges and prosecutors
is premature and should urgently be reconsidered. The results of such
reductions would be a further loss of credibility of the justice system and
of confidence among the population in general and the minority
communities in particular. There is little reason to believe the local
judges and prosecutors will be able to fill the functions carried out by
international personnel in the near future ”.
Lo scenario affrescato invita a considerare alcune proposte di
progetto provenienti dall’Ufficio del Capo dei Giudici Internazionali,
dott. Carol M. Peralta, e che faticano a concretizzarsi, sebbene siano
state avanzate da tempo, e ad interrogarsi sulla loro adeguatezza e
sostenibilità in vista dell’avvicendamento dell’UE all’ONU.
98 Ibidem, pagg. 18-19, 52. 99 L’intero paragrafo III.3 è stato direttamente curato dal dott. Alessandro De Rienzo,
funzionario di contatto presso l’Ufficio del Capo dei Giudici Internazionali del DG
UNMIK. Le opinioni da lui espresse sono da considerarsi esclusivamente personali e,
pertanto, non rispecchiano la posizione ufficiale dell’ONU.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
155
Il Progetto per una continuata presenza dei giudici internazionali
In risposta ad una richiesta delle autorità locali, già nell’aprile del
2005 è stato presentato un primo progetto dal titolo “Enhancement of the
presence and utilisation of International Judges in Kosovo during the
transition phase 2005-2006 and thereafter”. Esso si inserisce nell’ambito
della proposta di Regulation sulla giurisdizione unica e definita, volta ad
abrogare le due Regulation n. 6/2000 e n. 64/2000100
.
Scopo del progetto è predisporre un insieme di correttivi volti a
rafforzare le garanzie minime proprie dello stato di diritto, eliminando le
principali cause di malfunzionamento del Programma GPI, tra cui si
annoverano: la mancanza di una sede di tribunale unica, con uffici e sale
d’udienza, ove perseguire e aggiudicare i casi sinora riservati agli
internazionali; la mancanza di una giurisdizione unica su tutto il Kosovo
(single jurisdiction) e limitata a specifici reati (defined jurisdiction);
l’insufficiente integrazione tra la componente giudiziaria internazionale e
quella locale; la mancanza di una cancelleria centralizzata per la
gestione dei casi di competenza degli internazionali; e, infine, la
mancanza di condizioni economiche appropriate per la componente
locale e di misure di sicurezza idonee a garantire lo svolgimento delle
attività giudiziarie.
L’identificazione di una già esistente struttura (o la sua costruzione
ex novo) idonea ad ospitare giudici e procuratori internazionali è
certamente il prerequisito materiale per l’attuazione del progetto ma di
per sé insufficiente a porre le basi legali ed istituzionali dello stesso.
A tal fine, la proposta di Regulation, oltre ad istituire in via
legislativa la figura del Capo dei Giudici Internazionali e del Capo dei
Procuratori Internazionali, prevede che la competenza dei magistrati
internazionali sia circoscritta, oltre che alle attività di carattere
internazionale (rogatorie ed estradizioni), ai reati più gravi: crimini di
guerra, corruzione, terrorismo, crimine organizzato, reati inter-etnici e a
movente politico, complessi reati finanziari e reati che coinvolgono
personale dell’UNMIK. Tale limitazione mira a fare chiarezza circa i
metodi di selezione dei casi da parte della componente internazionale101
e ad arginare il problema relativo alla potenziale discrezionalità del DG
nell’assegnazione di giudici e procuratori internazionali ai casi
100 La proposta, la cui versione più aggiornata risale al gennaio del 2006, è nota come
UNMIK Regulation on International Judges and Prosecutors e risulta ancora al vaglio
delle competenti autorità UNMIK. 101
La selezione dei casi sulla base dell’individuazione di reati specifici è stata suggerita
dall’OSCE a più riprese. In tal senso, si veda OSCE LSMS, Kosovo Review of the
Criminal Justice System 1999-2005, cit, pag. 65.
CAPITOLO TERZO
156
“sensibili”102
, assicurando così il rispetto dei principi di indipendenza ed
imparzialità sanciti all’articolo 6 della CEDU.
La proposta introduce poi una giurisdizione unica su tutto il Kosovo,
allo scopo di far fronte al problema connesso ad un qualsivoglia
procedimento interlocutorio, che, coinvolgendo un giudice
internazionale nel merito di un caso, lo inabilita a sedere, in seguito, nel
panel che aggiudicherà quello stesso caso. Il numero di giudici
internazionali disponibili è talmente ridotto che vi è il rischio di ricadere
nella sfera d’applicazione dell’articolo 40 del CPPP, la c.d. “clausola
d’esclusione”, che prevede i casi di incompatibilità e ricusazione del
giudice. Rendendo possibile la composizione di panel con giudici
internazionali dell’intero organico GPI, la Regulation n. 64/2000 aveva
già cercato di ovviare a tale rischio, incappando, tuttavia, nella
violazione del principio di pre-costituzione del giudice naturale103
. La
previsione di una giurisdizione estesa a tutto il Kosovo (Kosovo-wide)
consentirebbe di superare tale inconveniente.
La proposta prevede, inoltre, la cooptazione di una decina di
professionisti locali (e di personale di supporto) rappresentativi di tutte le
etnie e le religioni del Kosovo, da affiancare alla componente
internazionale per la trattazione di casi aventi ad oggetto le figurae
criminis sopra elencate. La selezione di questi ultimi sarebbe vincolata al
previo accertamento dei requisiti di professionalità tecnica oltre che di
non coinvolgimento in pratiche discriminatorie. Obiettivi di capacity
building sarebbero sostenibilmente perseguiti attraverso la formula
dell’in-job training, corredata da seminari proposti e tenuti da vari attori
presenti sul territorio (OSCE, Consiglio d’Europa, IGK, CGPK, oggi
CGK).
Nel contempo, la creazione di un Ufficio del Registro centralizzato e
la predisposizione di una banca-dati elettronica per i casi inerenti ai reati
di competenza, si proporrebbero di ovviare al problema
dell’allungamento dei tempi procedurali104
.
102 Ibidem, pag. 66. 103 Prevedendo che l’assegnazione di uno o più giudici ad un caso avvenga nel distretto
cui essi sono stati precipuamente nominati, la Regulation UNMIK n. 6/2000 sarebbe,
invece, conforme al principio del giudice naturale. 104 Gli atti di parte e della corte continuerebbero ad essere registrati dalla sola cancelleria
della corte territorialmente competente, gestita esclusivamente da personale locale; i
documenti dovrebbero essere tradotti in inglese e passare attraverso diverse mani -col
rischio di perdita materiale- prima di raggiungere il corpo di giudici internazionali e/o le
parti interessate.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
157
Da ultimo, incentivi economici e incremento delle misure di
sicurezza servirebbero ad attrarre l’interesse della comunità giuridica
locale verso il progetto.
Tuttavia, la proposta descritta sembra non riscuotere successo. In
primo luogo, la cornice legislativa di riferimento sulla giurisdizione
unica e definita non è stata approvata, sopraffatta dal susseguirsi di
proposte legislative di diversa natura ed importanza. Inoltre, essa erra
laddove continua a fare riferimento alla persona dei procuratori e giudici
internazionali, e ai panel da questi composti, piuttosto che ad
un’istituzione locale vera e propria con una giurisdizione su tutto il
Kosovo e su specifici reati. Pertanto essa continua ad apparire in
contrasto col principio della pre-costituzione del giudice. In secondo
luogo, non si è ricevuta risposta da taluni governi donatori circa la
richiesta del DG, risalente al dicembre 2005, di riconvertire parte dei
fondi, ammontanti a 400.000 Euro - impegnati su altri progetti- per la
costruzione di un edificio da adibire a corte. Infine, avvicendamenti ai
vertici del DG, occorsi nel febbraio del 2006, hanno contribuito al
congelamento del progetto.
Il Progetto di una Corte Speciale per il Kosovo
Dato il limitato interesse -soprattutto dei vertici internazionali- verso
il progetto illustrato nella sezione precedente, nel settembre del 2006 è
stata proposta una soluzione di più ampio respiro portante sullo Statuto
di una Corte Speciale (denominata “Serious Crimes Court of Kosovo”),
riecheggiante l’antica idea di una CKCGE105
.
Il progetto di Corte Speciale trae spunto dall’esperienza delle
Camere Speciali della Corte di Stato di Bosnia-Erzegovina, in cui giudici
e procuratori internazionali siedono accanto a colleghi nazionali.
L’esperimento istituzionale bosniaco sottende le medesime esigenze oggi
avvertite in Kosovo: la necessità di combattere specifici reati (e.g.
crimini di guerra, corruzione e reati finanziari) ed il contestuale bisogno
di capacity building per giudici e procuratori locali. La presenza di un
organo di amministrazione internazionale in una situazione post-
conflittuale in cui permangono pericolose linee di tensione interetnica è
poi un ulteriore fattore socio-politico comune ai due scenari.
Per garantire maggiore imparzialità, indipendenza e trasparenza, la
proposta fa leva sull’introduzione dello Statuto della Corte via
Regulation e sull’integrazione di quest’ultimo, tramite opportuni
emendamenti, col vigente CPPP. La Corte diverrebbe, così,
105 Si veda supra, al par. II.4.3.
CAPITOLO TERZO
158
un’istituzione giudiziaria locale a tutti gli effetti e, come tale,
maggiormente idonea ad integrarsi nel contesto socio-giuridico
kosovaro.
I tratti salienti di questa proposta legislativa sono:
1) la strutturazione della Corte in un Tribunale di prima istanza,
una Camera d’Appello e una Camera Speciale di Cassazione (integrata
nella già esistente Corte Suprema) e la predeterminazione del numero di
giudici internazionali e locali;
2) la contemplazione di una serie di reati, tali e quali descritti dal
vigente CPP, di esclusiva competenza della Corte in prima istanza e in
appello, e l’introduzione della giurisdizione della Camera Speciale di
Cassazione sui casi di “protection of legality” connessi ai soli
procedimenti avviati davanti alla Corte Speciale106
;
3) l’estensione della giurisdizione della Corte, per le figurae
criminis di competenza, ai procedimenti in cui l’imputato sia un minore
o un giovane adulto;
4) la facoltà del Tribunale di rimettere il procedimento, prima
del rinvio a giudizio, ad un’altra corte ritenuta competente per legge;
5) l’istituzione, quale organo indipendente presso la Corte, di un
USPK con giurisdizione esclusiva sulle indagini e sui procedimenti
inerenti ai reati di competenza della Corte medesima;
6) l’introduzione, per via legislativa, delle funzioni e delle
competenze del Presidente e del Vice Presidente della Corte, del
Procuratore-Capo e del Vice Procuratore-Capo dell’USPK;
7) l’istituzione, sotto l’esclusiva autorità funzionale e
disciplinare del Procuratore-Capo, di un Ufficio di Polizia Giudiziaria
con una giurisdizione esclusiva sulle indagini e sui procedimenti di
competenza dell’USPK;
8) l’istituzione di un Gran Consiglio, composto da tutti i giudici
e procuratori, locali ed internazionali, nominati presso la Corte, con
competenze proprie, incluso il potere di nomina dei membri dei Comitati
di cui al punto successivo;
9) l’istituzione di Comitati ad hoc formati da giudici e
procuratori volti all’accertamento di responsabilità disciplinari dei
giudici o procuratori della Corte;
10) la previsione di organi e personale ausiliario della Corte, tra
cui il Direttore della Corte, con funzioni di supervisione
106 Questi casi sono assimilabili ai ricorsi in Cassazione in quanto producono
l’annullamento della decisione impugnata.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
159
dell’organizzazione e operato degli ulteriori organi quali l’Ufficio del
Registro, l’Ufficio Amministrativo e l’Ufficio Legale;
11) la previsione di un bilancio proprio della Corte, ivi incluso
l’USPK;
12) la previsione di emendamenti miranti ad integrare certe
disposizioni del CPPP con la disciplina della Corte nonché a disciplinare
certi specifici aspetti di natura tecnico-procedurale che sono attualmente
causa di malfunzionamento e/o della lunghezza dei procedimenti;
13) la previsione di una sezione sulla legge applicabile con un
esaustivo richiamo agli strumenti internazionalmente riconosciuti e
applicabili in Kosovo in materia di protezione dei diritti umani;
14) la previsione di una disposizione abrogativa delle Regulation
n. 6/2000 e n. 64/2000;
15) la previsione di disposizioni transitorie e finali, tra cui il
principio di applicabilità delle norme procedurali del CPPP, la
regolamentazione dei casi già avviati e pendenti davanti ad altre corti e
che ricadono sotto la giurisdizione della Corte, la selezione del personale
locale ed internazionale e le successive modifiche del numero iniziale di
personale per ogni funzione nell’ottica del phasing-out di UNMIK.
I benefici di una tale proposta appaiono molteplici e di diversa
natura:
1) per la prima volta competenze giurisdizionali finora attribuite
a singoli giudici e procuratori internazionali sarebbero trasferite ad un
foro unico, con sede a Pristina, preposto al perseguimento di specifici
reati che costituiscono la causa principale dell’instabilità regionale;
2) conseguentemente, i limiti intrinseci alla Regulation n.
64/2000 e mai eliminati in seguito (in primis la creazione di collegi ad
hoc, e la selezione on a case by case basis) verrebbero automaticamente
superati, in quanto la Corte, nei suoi diversi gradi di giudizio, opererebbe
come un giudice naturale pre-costituito per legge;
3) la previsione di una componente locale ed internazionale,
predefinite nel numero, darebbe maggiore coesione ad entrambi gli
organi, inquirente e giudicante, con ricadute positive in termini di
efficacia/efficienza funzionale e di capacity-building a favore dei locali;
4) la costituzione in seno all’USPK di un Ufficio di Polizia
Giudiziaria formato da forze di polizia internazionali e locali sotto la
direzione e responsabilità del Procuratore Capo dell’USPK
rappresenterebbe una novità assoluta in Kosovo e contribuirebbe al
rafforzamento delle capacità investigative locali, rendendo ancora più
efficace la lotta contro i reati più gravi;
CAPITOLO TERZO
160
5) l’introduzione dell’Ufficio del Registro e la creazione di un
data-base elettronico garantirebbero accesso ad informazioni aggiornate
sui casi e sul lavoro della Corte e della Procura tanto a fini statistici che
operativi. Tale ufficio unico eviterebbe, inoltre, la duplicazione delle
attività di registrazione e archiviazione dei documenti e consentirebbe al
personale ausiliario dei giudici di concentrarsi esclusivamente su
questioni di carattere squisitamente tecnico-giuridico;
6) la Corte sarebbe uno strumento flessibile e, in quanto tale, ben
si adatterebbe alle esigenze della transizione. Grazie alla sua integrazione
nel CPPP e al phasing-out della componente internazionale, la Corte
avrebbe in sé le potenzialità per essere gestita dalla subentrante Missione
UE e, in prospettiva, dall’amministrazione locale;
7) gli investimenti richiesti per il funzionamento della Corte
sarebbero minori rispetto a quelli attuali, in quanto la Corte, col
progredire del progetto, potrebbe far ricorso ad un accresciuto numero di
risorse umane locali. Conseguentemente, si renderebbero disponibili
fondi per incentivare la componente locale all’assunzione di incarichi di
maggior responsabilità, garantendo, così, un loro prolungato interesse al
progetto.
Nonostante gli evidenti vantaggi, anche questa proposta sembra non
essere gradita all’ambiente kosovaro. Il 30 settembre del 2006,
l’Administrative Direction n. 15 ha previsto la costituzione dell’USPK in
quanto un’unità organica alla DP del DG. L’USPK è stato investito della
responsabilità di selezionare, formare e assistere un gruppo di
procuratori specializzati nel perseguire, in qualsivoglia competente corte
del Kosovo, i reati più gravi previsti dal CPP, tra cui, a titolo indicativo,
il crimine organizzato, la corruzione, i reati motivati dalla razza, da un
background nazionale o etnico, o dalla religione, il terrorismo e il
traffico di persone. Ad una tale previsione non se ne accompagna,
tuttavia, una analoga per i giudici, nonostante le chiare indicazioni al
riguardo contenute nella proposta di Regulation sulla Corte Speciale. A
ciò si aggiunga che l’UE sembra mostrare alcune reticenze al progetto di
Corte Speciale, preferendogli il sistema del Programma GPI, tanto da
lasciar intendere un possibile incremento del numero dei giudici e
procuratori internazionali ed una concomitante riduzione delle funzioni.
Nell’attuale prospettiva di smobilitazione, appare assai improbabile
che UNMIK si concentri su questioni strategiche cui è intrinseco un
orizzonte di medio-lungo termine. Pertanto, è da escludere che i due
progetti sopra descritti possano integralmente essere realizzati a breve.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
161
Solo il progetto dell’USPK è stato approvato, quasi a sancire
definitivamente il principio che i giudici del Kosovo non necessitano di
alcun aiuto esterno.
Tuttavia, alcuni passi in avanti sono stati fatti. Ad esempio, un
funzionario internazionale è stato reclutato per svolgere funzioni di
cancelleria e per creare un data-base elettronico. Il reclutamento del
personale di supporto da affiancare ai giudici locali è stato effettuato tra
il primo e il secondo semestre del 2006, per interrompersi bruscamente
alla fine dello stesso anno per motivi strategico-budgetari. Dal settembre
del 2005, il RSSG ha sviluppato la prassi di attribuire ai magistrati
internazionali -all’atto della nomina- una competenza Kosovo-wide107
. In
forza di tale giurisdizione, dei magistrati internazionali sono stati talvolta
assegnati a corti ordinarie per trattare anche alcune -invero poche- liti in
materia civilistica diverse da quelle descritte al paragrafo II.2.3.
Non si esclude che, nel futuro prossimo, l’adozione di una
Regulation sulla giurisdizione unica e definita, incorporante la disciplina
dell’USPK di recente approvazione, possa almeno dar luogo ad una corte
speciale almeno de facto.
In assenza di volontà politica, neppure questo second best potrebbe
essere conseguito e allora lo scenario più probabile resterebbe quello di
un continuato utilizzo, fino all’avvicendamento con l’UE, dell’attuale
configurazione giuridico-istituzionale del Programma GPI. La missione
UE erediterebbe, così, tutti i limiti del programma e potrebbe addirittura
fare un passo indietro, decidendo di dislocare giudici e procuratori
internazionali nelle cinque Corti Distrettuali.
In ogni caso, sarebbe quantomeno auspicabile che l’UE ed UNMIK
facessero fronte a certe problematiche di comune interesse nella fase di
transizione, a presidio di quanto sinora realizzato dal DG.
A tal fine, logica impone che l’UE trasferisca presso la propria
missione la componente di magistrati internazionali che sarà in forza al
DG al momento del passaggio di consegne108
. Ciò renderebbe possibile
107 Invero, tale prassi si basa sulla Administrative Direction n. 13 del 2000, per la quale si
veda supra al par. II.3. L’attuazione -tardiva- della Direction si deve ad una richiesta del
DG a sua volta originata su impulso del Capo dei Giudici Internazionali. 108 Siccome un siffatto trasferimento sarebbe possibile a condizione che i giudici ed i
procuratori in forza all’UNMIK siano cittadini dell’UE, il DG dovrebbe provvedere alla
sostituzione, sulla base di prinicipi non discriminatori, di quei magistrati extracomunitari
in scadenza di contratto con altrettanti appartenenti all’UE, ovvero a Paesi terzi con cui
l’UE abbia stabilito un accordo. D’altra parte, solo in questo modo sarebbe possibile
sottrarsi al vincolo giuridico imposto dall’articolo 345, co. 3 del CPPP, che sancisce
l’obbligo di ricominciare il procedimento ogniqualvolta si renda necessaria la
sostituzione del presidente del collegio nel corso del dibattimento; con tali premesse,
CAPITOLO TERZO
162
la continuità strategico-funzionale tra le due organizzazioni
internazionali e sancirebbe, nel contempo, il trasferimento dell’acquis
tecnico-procedurale e della memoria istituzionale proprie dei giudici e
procuratori internazionali attualmente in forza all’UNMIK. Ogni altra
soluzione che escluda il trasferimento di quest’ultimi sotto l’egida
dell’UE è da scoraggiare e rappresenta di sicuro il peggior scenario
immaginabile.
III.3.2 Gli sviluppi della presenza internazionale in Kosovo: il futuro
ruolo dell’UE nel settore della giustizia
Quale che sarà l’esito dei negoziati tra Pristina e Belgrado, è ormai
acquisito che una continuata presenza internazionale, civile e militare,
sarà comunque necessaria per la stabilizzazione del Kosovo: nella
migliore delle ipotesi, servirà per monitorare l’attuazione dell’accordo
che le parti potrebbero raggiungere sulla base della proposta Ahtisaari;
nella peggiore, ad evitare che il mancato raggiungimento di un accordo e
la paralisi decisionale del CS dell’ONU possa degenerare in un nuovo
conflitto regionale. La NATO, come rivela la proposta Ahtisaari109
, ha
già manifestato la sua ferma volontà di continuare a mantenere in
Kosovo la missione KFOR -oltre 16.000 uomini per un costo medio
annuo di almeno 1,5 miliardi di dollari. La proposta ha, inoltre,
incorporato l’intenzione dell’UE di ricoprire un ruolo centrale nella fase
“post-status”, un’intenzione che rappresenta l’ideale punto di arrivo di
un non sempre lineare processo di maturazione politica della stessa UE.
La vicenda kosovara ha rappresentato una pietra miliare nella storia
del processo europeo. La fallimentare mediazione diplomatica delle
cancellerie continentali e l’unilaterale attacco “umanitario” sferrato dalla
NATO contro l’allora RFJ, ritenuta responsabile di una campagna di
pulizia etnica in Kosovo, è stato un potente catalizzatore
dell’integrazione politica europea. Preso atto dell’impotenza europea nei
confronti della crisi kosovara, il Consiglio Europeo di Colonia del 3-4
giugno del 1999 ha dato impulso all’integrazione nel settore della difesa:
“the Union must have the capacity for autonomous action, backed by
credible military forces, the means to decide to use them, and readiness
to do so, in order to respond to international crises without prejudice to
risulta evidente l’impossibilità di assegnare un giudice extracomunitario ad un caso di
lunga durata o, se non ancora iniziato, prevedibilmente lungo, senza correre il rischio di
dover arrestare il procedimento, e ricominciarlo ab initio, prima della sua fine. 109 Annesso XI della proposta Ahtisaari.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
163
actions by NATO”110
. Tuttavia, l’UE, difettando nell’immediato della
necessaria capacità organizzativo-istituzionale per assumere
responsabilità di rilievo politico e militare111
, si è ritagliata, nell’ambito
della missione multi-task disposta dal CS dell’ONU con la risoluzione n.
1244/1999, un ruolo consono alla sua identità consolidata di “unione
mercantile”: la ricostruzione economica (IV Pilastro UNMIK112
).
L’ONU e l’OSCE hanno tenuto per sé le funzioni più “politiche” della
missione (rispettivamente, l’amministrazione interinale della provincia e
l’institution-building). Gli Stati membri dell’UE hanno preferito
accettare un coinvolgimento politico e militare -in alcuni casi anche
intenso ed oneroso- in altri consessi multilaterali: la stessa ONU, la
NATO ed il Gruppo di Contatto.
Solo nel giugno del 2005 il Consiglio Europeo, nella prospettiva del
ritiro della missione ONU, ha espresso la volontà dell’UE di giocare un
ruolo centrale nel continuato perseguimento degli standard da parte delle
autorità kosovare, nella definizione della proposta di status definitivo del
Kosovo e nel monitoraggio sull’attuazione dell’accordo che da tale
proposta potrà derivare. Il successivo 6 dicembre, un rapporto congiunto
del Segretario Generale del Consiglio dell’UE, dell’Alto Rappresentante
per la Politica Estera e di Sicurezza (PESC) e della Commissione
Europea ha indicato nel Processo di Stabilizzazione ed Associazione
(PSA)113
lo strumento per la normalizzazione delle relazioni tra UE e
110 EU Presidency, European Council Declaration on Strengthening the Common
European Policy on Security and Defence, Cologne European Council, 3 and 4 June
1999, par. 1. 111 Il Trattato di Amsterdam del 2 Ottobre del 1997, con le sue previsioni sulla figura
dell’Alto Rappresentante per la PESC, è entrato in vigore proprio durante l’azione aerea
della NATO contro l’ex RFJ (1° maggio del 1999). Sull’evoluzione della politica di
difesa comune si veda B. OLIVI, L'Europa difficile. Storia politica dell'integrazione
europea. 1948-2000, Bologna, 2003. 112 Tra il 1998 ed il 2005, l’impegno finanziario dell’UE nel IV Pilastro di UNMIK è
stato di 102 milioni di euro (fonte: AER, <http://ear.eu.int>). 113 Il processo di progressiva disgregazione della ex Jugoslavia va in controtendenza
rispetto alle dinamiche storiche in atto, tese a creare entità sovranazionali di natura
anzitutto economica, ma anche politica, per superare gli angusti confini nazionali in un
mondo sempre più globalizzato. Per offrire al disarticolato spazio post-jugoslavo una
prospettiva di integrazione capace di disinnescare pericolosi nazionalismi fratricidi, l’UE
ha avviato, già dal novembre del 2000 (vertice di Zagabria), il PSA. Il programma
CARDS (cui, dal 2007, è subentrato l’IPA, Instrument for Pre-Accession Assistance) e
l’AER sono due degli strumenti attraverso cui l’UE accompagna il PSA. Tra il 1998 ed il
2005, l’UE ha impegnato in Kosovo, attraverso l’AER nell’ambito del CARDS, 1,1
miliardi di euro (fonte: AER, cit.). Altre voci dell’impegno finanziario dell’UE in
Kosovo sono: l’assistenza umanitaria ed il contributo finanziario straordinario al Bilancio
del Kosovo, ammontanti, rispettivamente, al 2005, a 375 e 65 milioni di euro. A queste,
CAPITOLO TERZO
164
Kosovo ed ha sottolineato la necessità di una Squadra di Pianificazione
dell’UE (SPUE) per la preparazione di una futura missione di Politica
Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) con importanti compiti nei settori
giudiziario e di polizia. Una missione congiunta Consiglio-Commissione
ha esplorato, nel febbraio del 2006114
, le priorità dell’impegno
comunitario nel settore dello stato di diritto ed ha suggerito, tra l’altro,
una strategia d’intervento basata sul dispiegamento rapido di almeno un
centinaio di magistrati dei 27 Paesi membri115
.
A tal fine, l’UE potrebbe capitalizzare l’esperienza maturata:
a) in ambito PESC, con gli interventi di riconciliazione post-
bellica attuati nel settore dello stato di diritto attraverso il Meccanismo di
Reazione Rapida116
;
b) in ambito PSA, con lo Strumento per l’Assistenza Tecnica e lo
Scambio di Informazioni (TAIEX) impiegato dalla Commissione per
distaccare esperti a breve termine a supporto del recepimento dell’acquis
communautaire nei Paesi di nuova adesione e nei Paesi partner.
Il 10 aprile del 2006, l’azione comune n. 304 adottata dal Consiglio
dell’UE nell’ambito dei poteri previsti dal Trattato UE in materia di
PESC117
ha disposto l’istituzione della SPUE (comprensiva di un gruppo
di lavoro appositamente dedicato alla giustizia), sotto il controllo politico
e la direzione strategica del Comitato Politico e di Sicurezza (CPS) del
infine, andrebbero aggiunti il contributo ad UNMIK al di fuori del IV Pilastro ed i fondi
allocati attraverso iniziative CARDS di tipo regionale. 114 Joint Council-Commission Fact Finding Mission regarding possibile ESDP and
Community engagement in the field of the rule of law, 19-27 February 2006. 115 D. HELLY, N. PIROZZI, “The EU’s changing role in Kosovo: what next?” in
European Security Review, Number 29, June 2006. Il dispiegamento di magistrati
internazionali in contesti di crisi non sarebbe una novità per l’UE, che, già dal Consiglio
Europeo di Santa Maria da Feira del giugno del 2000 ne ha fatto uno degli strumenti non
militari PESC: “Member States could establish national arrangements for selection of
judges, prosecutors, penal experts and other relevant categories within the judicial and
penal system, to deploy at short notice to peace support operations, and consider ways to
train them appropriately”. Study on concrete targets on civilian aspects of crisis
management (Appendix 3 to the Presidency Conclusions), Santa Maria da Feira
European Council, 19 and 20 June, par. 1, B., II lett. (i). Esempi di mobilitazione di
magistrati UE in contesti di crisi, principalmente con funzioni di institution & capacity-
building, sono costiuiti dalle Missioni EuJust Lex Themis - Georgia (Azione Comune del
Consiglio n. 523 del 28 giugno del 2004, Official Journal of the European Union,
29.06.2004, L 228) ed EuJust Lex - Iraq (Azione Comune del Consiglio n. 190 del 7
marzo del 2005, Official Journal of the European Union, 09.03.2005, L 62/37). 116 Regolamento del Consiglio EC 381/2001 del 26 febbraio del 2001. L’efficacia del
regolamento è cessata il 31 dicembre del 2006. 117 Per una disamina dei profili giuridici della PESC si veda C. ZANGHI’, Istituzioni di
diritto dell'Unione Europea, Torino, 2004.
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
165
Consiglio dell’UE, allo scopo di preparare il trasferimento di specifiche
funzioni di UNMIK ad una futura “crisis management operation”
dell’UE118
, che si stima dispiegherà circa 1.500 risorse, tra poliziotti,
funzionari di dogana e magistrati119
. Dapprima prevista fino al 31
dicembre del 2006, la scadenza del mandato della SPUE è stata in
seguito prorogata fino al 31 maggio del 2007120
.
Su questo quadro si innestano le previsioni contenute negli Annessi
IX e X della proposta Ahtisaari. La futura missione PESD dell’UE è
designata erede istituzionale di parte delle funzioni giudiziarie assolte dal
DG di UNMIK: “The ESDP [PESD] Mission (…) shall provide
mentoring, monitoring and advice in the area of the rule of law
generally, while retaining certain powers, in particular, with respect to
the judiciary (…), under modalities and for a duration to be determined
by the EU Council, in accordance with Annexes IX and X of this
Settlement”121
. Un Rappresentante Speciale dell’UE (RSUE) sarà posto
al vertice della missione e ricoprirà, contestualmente, la carica di
Rappresentante Civile Internazionale (RCI)122
; tale figura “double-
hatted” sarà, pertanto, nominata dal Consiglio dell’UE e,
contestualmente, da una Cabina di Regia Internazionale comprendente i
principali stakeholder internazionali e, preferibilmente, dovrà avere
l’appoggio del CS dell’ONU123
.
III.3.3 Il futuro delle corti “ibride” in Kosovo secondo la “proposta
Ahtisaari”
Alcuni puntuali passaggi degli Annessi I (“Previsioni
Costituzionali”), VII (“Proprietà ed Archivi”) e, soprattutto, IX
(“Rappresentante Civile Internazionale”) della proposta Ahtisaari
tracciano il futuro del Programma GPI. Nella proposta si prevede che il
vertice della nuova presenza internazionale civile, disporrà, in qualità di
118 Azione Comune del Consiglio n. 304 del 10 aprile del 2006 (Official Journal of the
European Union, 26.04.2006, L 112/19). 119 European Union Planning Team for Kosovo – EUPT KOSOVO, Fact Sheet EUPT
and the future ESDP mission, accessibile on line <http://www.eupt-kosovo.eu>. Al
settembre del 2006, 461 persone (di cui solo 125 provenienti da Stati membri)
compongono lo staff del IV Pilastro UNMIK a guida UE. UNMIK, Kosovo Fact sheet,
October 2006. 120 Azione Comune del Consiglio n. 918 dell’11 dicembre del 2006 (Official Journal of
the European Union, 12.12.2006, L 349/57). 121 Art. 12.3 della Proposta Ahtisaari, pag. 8. 122 Si noti l’analogia con la Bosnia-Erzegovina dove l’Alto Rappresentante istituito con
gli accordi di Dayton è anche RSUE. 123 Ibidem, art. 11.1 dei Principi Generali, pag. 7.
CAPITOLO TERZO
166
RCI, del potere di nominare giudici e procuratori internazionali124
;
mentre, in quanto RSUE, eserciterà i poteri necessari per garantire che i
reati di maggior rilievo (crimini di guerra, terrorismo, crimine
organizzato, corruzione, reati inter-etnici, reati economico/finanziari
“and other serious crimes”) siano adeguatamente:
a) indagati, nel rispetto della legge, con il supporto, ove opportuno,
di investigatori internazionali operanti congiuntamente alle, ovvero
indipendentemente dalle, autorità locali125
;
b) perseguiti, ove opportuno, da procuratori internazionali operanti
congiuntamente a, ovvero indipendentemente da, procuratori kosovari126
;
c) aggiudicati da giudici internazionali che siedano da soli ovvero in
panel misti “in the court which has jurisdiction over the case”127
;
Benché la figura del RCI ricalchi quella del RSSG, al rischio
d’interferenza dell’esecutivo sul potere giudiziario ovvierebbe la
meritoria previsione secondo cui la selezione dei casi di competenza di
procuratori e giudici internazionali dovrà basarsi su “objective criteria
and procedural safeguards, as determined by the Head of the ESDP
[PESD] Mission”128
.
Con riferimento al punto a), va accolta con favore la previsione di
un corpo di investigatori internazionali, segmento istituzionale che,
anche alla luce delle novità introdotte dal CPPP, andrebbe
opportunamente raccordato con quello dei procuratori, internazionali e
locali, per accrescere d’efficacia ed efficienza le capacità inquisitorie di
questi ultimi.
Purtroppo, con riferimento ai punti da a) a c), si osserva che
l’indefinita formula “and other serious crimes” posta a chiusura
dell’elenco di reati suscettibili di essere indagati, perseguiti e aggiudicati,
rispettivamente, da investigatori, procuratori e giudici internazionali crea
un limite analogo a quello dell’Administrative Direction n. 15/2006
istitutiva dell’USPK, che fornisce solo un elenco indicativo dei reati
perseguibili dai procuratori “speciali”. Più esplicitamente, il rischio è che
la competenza ratione materiae degli internazionali rimanga ancora una
volta “aperta”. 124 Ibidem, art. 2.2 dell’Annesso IX, pag. 50. 125 Ibidem, art. 2.3 lett. a) dell’Annesso IX, pag. 51. 126 Ibidem, lett. b). 127 Ibidem, lett. c). 128 Ibidem, lett. b) e c). Maggiori garanzie di indipendenza si sarebbero potute avere
rendendo tale nomina una prerogativa esclusiva di, ovvero in condominio con, un organo
giurisdizionale sovranazionale composto di individui (ad esempio, la CtEDU, per restare
in ambito continentale; o la CPI, per spostarsi sul campo internazionale-universale, che
meglio si addice alla caratura del RCI).
UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO
167
Con riferimento al punto c), la locuzione “in the court which has
jurisdiction over the case” lascia presumere che i giudici internazionali
saranno nuovamente assegnati alle Corti Distrettuali, sollevando
problemi di sicurezza, in primis per loro stessi e, in secundis, soprattutto
per quei giudici locali che, in qualità di membri di panel “ibridi”,
sarebbero ostracizzati dalla comunità locale, giacché percepiti come
avversari di imputati della loro stessa etnia o clan. Se, da un lato,
l’assegnazione dei giudici internazionali (ed anche dei procuratori) alle
Corti Distrettuali offrirebbe il vantaggio di rispettare del principio di pre-
costituzione del giudice naturale, dall’altro, in caso di penuria di risorse
umane, i procedimenti interlocutori potrebbero impedire un imparziale
ed efficace corso della giustizia a causa delle conseguenti ricusazioni e
dell’impossibilità di spostare giudici da altri Distretti. Si ricadrebbe, in
breve, nel problema cui l’introduzione della Regulation n. 64/2000 ha
cercato di rispondere, seppur con evidenti limiti ed un successo limitato.
Senza spingersi fino alla previsione di una Corte Speciale, un accettabile
second best avrebbe potuto essere l’esplicita previsione della
giurisdizione unica per tutti i magistrati internazionali. Per completezza d’analisi va aggiunto che la proposta Ahtisaari
riconosce l’utilità di una reiterata presenza giudiziaria internazionale
anche al di fuori del campo penale.
Si prevede, in primo luogo, che tre dei nove giudici di una
costituenda Corte Costituzionale siano nominati dal Presidente della
CtEDU, previa consultazione con il RCI. Dal momento che importanti
strumenti internazionali per la protezione dei diritti umani (e.g. CtEDU,
PIDCP) e per la repressione dei crimina juris gentium (Convenzioni
contro il razzismo e contro la tortura) sono considerati “directly
applicable in Kosovo” e provvisti di “priority over all other law”129
, il
ruolo dei tre giudici internazionali in seno alla massima corte kosovara si
prospetta tutt’altro che trascurabile per le possibili ricadute sulla giustizia
penale.
Infine, è confermata la presenza internazionale all’interno degli
organi giudiziari preposti ad aggiudicare cause di natura civilistica nel
settore dei diritti di proprietà sulle imprese pubbliche e sul patrimonio
immobiliare130
: a) ciascuno dei cinque panel della Camera Speciale della
Corte Suprema specializzata sui ricorsi avverso atti e omissioni della
AFK comprenderà tre giudici, di cui due internazionali ed uno locale; il
panel d’appello sarà composto da tre giudici internazionali e due
129 Ibidem, art. 2.1 dell’Annesso I, pag. 11. 130 Ibidem, art. 2.3, lett. c) dell’Annesso IX, pag. 51.
CAPITOLO TERZO
168
omologhi locali131
; b) panel della Corte Suprema composti da due
giudici internazionali ed un solo giudice locale decideranno in appello
sui ricorsi contro decisioni della CRP dell’APA132
.
131 Ibidem, art. 3.2-3 dell’Annesso VII, pag 45. Sulla AFK si veda supra al par. II.2.3. 132 Ibidem, art. 4.2 dell’Annesso VII, pag. 46. Sulla CRP dell’APA si veda supra al par.
II.2.3.
Capitolo IV
Cenni sulle altre corti “ibride”
Sommario: IV.1 I Panel Speciali per Gravi Crimini a Timor Est. - IV.2 La Corte Speciale
di Sierra Leone. - IV.3 Le Camere per i Crimini di Guerra e per il Crimine Organizzato di Bosnia-Erzegovina. - IV.4 Il Tribunale Penale Supremo Iracheno. - IV.5 Le Camere Straordinarie di Cambogia. - IV.6 Il Tribunale Speciale per il Libano. - IV.7 Le analogie e differenze: una possibile tassonomia. - IV.7.1 Il periodo di operatività. - IV.7.2 Il contesto di riferimento. - IV.7.3 La base giuridica. - IV.7.4 Il diritto applicabile. - IV.7.5 La competenza. - IV.7.6 Il rapporto con il sistema giudiziario nazionale. - IV.7.7 I profili organizzativi. - IV.7.8 Le fonti di finanziamento ed il fabbisogno medio annuo. - IV.7.9 Il rapporto con altre giurisdizioni. - IV.8 Alcuni spunti per una possibile ideal-tipizzazione e tassonomia.
Ancorché focalizzata sul caso kosovaro, questa ricerca non può
esimersi dal fornire una panoramica sulle altre esperienze di
“ibridazione” di corti penali. A tal fine, sono di seguito proposte sei
schede sintetiche, riferite ai casi di Timor Est (par. IV.1), Sierra Leone
(par. IV.2), Bosnia-Erzegovina (par. IV.3), Iraq (par. IV.4) Cambogia
(par. IV.5) e, da ultimo, Libano (par. IV.6). Per rendere agevole la
comparazione con il caso del Kosovo e fornire spunti per la costruzione
di un idealtipo valido a fini tassonomici (par. IV.7), ciascuna scheda è
stata strutturata sugli stessi punti che hanno scandito il capitolo II. Il caso
dell’Etiopia non è stato trattato, perché prima facie privo del requisito di
comparabilità; insufficiente è apparsa, ai fini della qualificazione come
“corte ibrida”, l’assistenza tecnica prestata da esperti internazionali
all’Ufficio Speciale del Procuratore istituito, nell’agosto del 1992, dal
Governo Transitorio d’Etiopia per perseguire i crimini di guerra
commessi dal regime militare-comunista del colonnello Mengistu (1974-
1991).
CAPITOLO QUARTO
170
IV.1 I Panel Speciali per Gravi Crimini a Timor Est
Periodo di operatività Dal Luglio del 2000 al 20 maggio del 2005.
Contesto di riferimento
storico
Il 28 novembre del 1975, sull’onda dei disordini esplosi nella madrepatria portoghese, Timor Est (T-E) dichiarò la propria indipendenza ma fu subito occupata dall’esercito indonesiano (7 dicembre del 1975). A seguito dell'accordo fra Portogallo ed Indonesia, sanzionato dal SG dell’ONU (5 maggio del 1999), a T-E fu indetto un referendum, che il 30 agosto del 1999 accertò l’esistenza di un’estesa volontà popolare a favore dell'indipendenza. L’Indonesia impiegò il proprio esercito in supporto di sedicenti milizie autonomiste. L’internazionalizzazione del conflitto fu completata dall’intervento, autorizzato dal CS dell’ONU, di un contingente multinazionale a guida australiana.
istituzionale
UNTAET: Missione di amministrazione interinale a T-E, decisa dal CS dell’ONU, iniziata il 25 ottobre e terminata il 20 maggio del 2002, data dalla quale T-E è uno Stato indipendente che continua ad essere assistito dall’ONU.
Base giuridica
Regulation UNTAET n. 15/2000 istitutiva dei Panel Speciali per Gravi Crimini (PSGC) sulla base della risoluzione n. 1272, par. 16 del 25 ottobre del 1999 adottata dal CS dell’ONU ex cap. VII. Dopo l’indipendenza, l’art. 163 della Costituzione di T-E ha funto da base giuridica per la continuata presenza giudiziaria internazionale.
Diritto applicabile
materiale
Crimini internazionali, tortura e principi generali: sono stati definiti direttamente dalla Regulation UNTAET n. 15/2000. Reati ordinari: si è fatto rinvio al codice penale indonesiano vigente al 25 ottobre del 1999 purché conforme con il mandato e gli atti normativi di UNTAET.
procedurale
Dapprima, il diritto vigente al 25 ottobre del 1999 (Regulation UNTAET n. 1/1999); in seguito, il Codice di Procedura Penale (“ibrido”) adottato con Regulation UNTAET n. 30/2000, emendato dalla Regulation n. 25/2001.
Competenza
ratione materiae
Crimini internazionali: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, definiti sulla base delle disposizioni della Convenzione contro il genocidio del 1948 e dello Statuto della CPI. Reati ordinari: omicidio, reati sessuali e tortura (definito sulla base della Dichiarazione dell’AG dell’ONU del 9 dicembre del 1975 e della Convenzione contro la tortura del 1984). I principi e le norme generali di diritto penale applicabili alle due categorie di crimini sono stati modellati sullo Statuto della CPI e, in parte, sugli Statuti dei TPIh.
ratione temporis
Crimini internazionali e tortura: dal 7 dicembre del 1975. Reati ordinari: dal 1° gennaio al 25 ottobre del 1999.
ratione loci Crimini internazionali e tortura: giurisdizione universale.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
171
ratione
personae
Alcuna limitazione fino all’emanazione della citata Regulation UNTAET n. 25/2001 che ha introdotto il divieto di perseguire minori di 12 anni e circoscritto a reati gravi (stupro e omicidio) la perseguibilità di minori di età compresa tra 12 e 16 anni.
Rapporto con il sistema giudiziario nazionale
Due PSCG sono stati istituiti presso la Corte Distrettuale ed uno presso la Corte d’Appello di Dili. Ai PSGC è stata affiancata una procura speciale: l’Unità Gravi Crimini (UGC), istituita presso l’Ufficio del Procuratore Generale (UPG) di T-E a Dili. Avendo avuto giurisdizione esclusiva sui crimini sopra elencati, i PSGC e l’UGC hanno goduto di una posizione di primacy sulle corti nazionali. L’organo di auto-governo della magistratura nazionale non ha avuto alcuna prerogativa sulla componente giudiziaria internazionale. Alla cessazione del loro mandato, 9 casi trattati dalla UGC sono stati trasferiti all’UPG.
Profili organizzativi
Ciascuno dei tre panel è stato composto da tre giudici, di cui due internazionali. Tutte le decisioni sono state soggette alla regola della maggioranza assoluta. A T-E hanno operato, al massimo, 14 magistrati internazionali nominati dal RSSG con mandato base di 12 mesi (prorogabile): 6 giudici (4 presso la Corte Distrettuale e 2 presso la Corte d’Appello) ed 8 procuratori internazionali (ripartiti tra quattro pool a copertura dei 13 distretti di T-E). L’UGC è presieduta dal Vice Procuratore Generale che è un magistrato internazionale. Non è stata costituita una Cancelleria ad hoc. Le lingue ufficiali sono state quattro: inglese, portoghese, tetum ed indonesiano.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo
(FMA)
Bilancio della Missione UNTAET (poi UNMISET) e bilancio nazionale. FMA: 6 milioni di $.
Rapporto con altre giurisdizioni
I PSGC hanno operato in parallelo alla Commissione di Accoglimento, Verità e Riconciliazione (CAVR) istituita da UNTAET nel luglio del 2001 con competenza circoscritta ai reati “meno gravi” commessi tra il 25 aprile del 1974 ed il 25 ottobre del 1999. La CAVR ha avuto l’obbligo di trasmettere all’UPG tutte le informazioni relative a crimini gravi; un Memorandum d’Intesa del 4 giugno del 2002 tra l’UPG e la CAVR ha disciplinato lo scambio di informazioni tra le parti. Un Memorandum d’Intesa del 6 aprile del 2000 avrebbe dovuto disciplinare, sulla base del principio aut dedere aut judicare, la cooperazione giudiziaria tra Indonesia (di cui sono cittadini ed in cui risiedono i principali responsabili dei crimini sopra elencati) e le autorità giudiziarie UNTAET. L’Indonesia si è sempre rifiutata di cooperare. Dal marzo del 2002, a Jakarta, in Indonesia, opera una Corte ad hoc per i Diritti Umani. Essa è competente a perseguire e giudicare -secondo lo Statuto della CPI (che l’Indonesia non ha, ad oggi, ratificato)- i crimini commessi in soli tre distretti (Dili, Liquida e Suai) di T-E, peraltro nei soli mesi di aprile e settembre del 1999).
CAPITOLO QUARTO
172
IV.2 La Corte Speciale di Sierra Leone
Periodo di operatività Dal luglio del 2002 (in corso). La Corte ha natura temporanea.
Contesto di riferimento
storico
Conflitto armato interno combattuto tra il 23 marzo del 1991 ed il 19 gennaio del 2002. Non può a priori escludersi che il conflitto abbia mutato natura, in ragione del coinvolgimento, in fasi diverse, di soggetti internazionali, tra cui la Liberia.
istituzionale
Stato sovrano che ha ufficialmente richiesto assistenza al CS dell’ONU (12 giugno del 2002). Quest’ultimo ha svolto un ruolo centrale nella direzione politica del negoziato, condotto in sua vece, a partire dall’agosto del 2000, dal SG.
Base giuridica
Accordo internazionale concluso il 16 gennaio del 2002 tra ONU e S-L, che lo ha ratificato nel marzo del 2002.
Diritto applicabile
materiale
Crimini internazionali: Statuto della Corte Speciale allegato al citato Accordo internazionale. Reati ordinari: lo Statuto rimanda alla legge del 1926 sulla prevenzione di atti di crudeltà contro i bambini ed alla legge del 1861 sui danni dolosi. Le decisioni delle Camere d’Appello dei TPIh e della Corte Suprema di S-L guidano l’interpretazione e l’applicazione, rispettivamente, del diritto internazionale e del diritto interno da parte della Camera d’Appello della Corte Speciale.
procedurale
Le RPP del TPIR vigenti al momento dell’istituzione della Corte, emendate il 24 novembre del 2006 dal plenum della Corte Speciale sulla base della procedura penale nazionale del 1965.
Competenza
ratione materiae
Crimini internazionali: crimini contro l’umanità, violazioni dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra, del II Protocollo Aggiuntivo, attacchi contro la popolazione civile, crimini contro i peace-keeper, coscrizione obbligatoria di minori con meno di 15 anni. Gli Statuti del TPIR e della CPI hanno rappresentato le principali fonti per la definizione dei crimini e dei principi generali di diritto penale. Reati ordinari: abusi su ragazze, distruzione massiccia di proprietà.
ratione
temporis
Crimini internazionali: dal 30 novembre del 1996 (data del fallito Accordo di Pace di Abijan); non è previsto un dies ad quem ma è plausibile ipotizzare che esso sia il 19 gennaio del 2002. Reati ordinari: dal 7 luglio del 1999.
ratione loci Territorio di S-L.
ratione personae
Circoscritta alle persone di età superiore a 15 anni maggiormente responsabili per i crimini sopra elencati. Per i peace-keeper, la Corte sarebbe competente solo in caso di incapacità/mancanza di volontà da parte del sending State, e sempre che il CS dell’ONU abbia previamente autorizzato la Corte.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
173
Rapporto con il sistema giudiziario nazionale
Formalmente la Corte, che ha sede a Freetown, non fa parte del sistema giudiziario nazionale né rientra nel sistema dell’ONU: ha autonoma soggettività giuridica internazionale grazie alla quale può concludere accordi necessari all’esercizio delle sue funzioni. La Corte ha competenza esclusiva sui crimini sopra elencati ed è posta in posizione di primacy rispetto alle corti nazionali, cui può indirizzare specifiche richieste di cooperazione by-passando il diaframma del governo di S-L.
Profili organizzativi
La Corte comprende due Camere di primo grado (ciascuna composta da tre giudici) ed una Camera d’Appello (composta da 5). Il rapporto tra internazionali e nazionali è, rispettivamente di 2:1 e 3:2. Le decisioni sono prese a maggioranza assoluta. Il procuratore capo è nominato dal SG, previa consultazione del governo di S-L. I giudici internazionali sono nominati dal SG dell’ONU sulla base di candidature presentate, su invito dello stesso, dagli Stati dell’ECOWAS e del Commonwealth. I magistrati della Corte hanno un mandato triennale rinnovabile. La Corte è supportata da una Cancelleria ad hoc, il cui vertice è nominato dal SG dell’ONU, sentito il Presidente della Corte (a sua volta eletto dal plenum dei giudici). L’inglese è la sola lingua ufficiale della Corte.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo
(FMA)
Esclusivamente contributi volontari raccolti ed amministrati da un apposito Comitato di Gestione, composto da rappresentanti del SG dell’ONU, del governo di S-L e dei Paesi che sponsorizzano la Corte Speciale. Il Comitato risponde al Gruppo degli Stati Interessati. FMA: ca 19 milioni di $.
Rapporto con altre giurisdizioni
La Corte opera complementarmente ad una Commissione di Verità e Riconciliazione (CVR), istituita dal Parlamento di S-L, col supporto dell’ONU, nel 2000. Essa ha operato dalla metà del 2002 all’ottobre del 2004 con competenza sulle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da chiunque (ivi inclusi i bambini) tra il 23 marzo del 1991ed il 7 luglio del 1999 (Accordo di Pace di Lomé) anche al di fuori del territorio nazionale. Le relazioni tra la Corte Speciale e la CVR sono state improntate a criteri non formalizzati. L’amnistia generale concessa con l’Accordo di Lomé non preclude alla Corte la possibilità di perseguire i crimini di sua competenza. La Liberia ha adito il 4 agosto del 2003 la CIG contro S-L, impugnando l’incriminazione ed il mandato d’arresto emessi dalla Corte Speciale contro il proprio presidente Charles Taylor in presunta violazione delle immunità da questi godute in quanto capo di Stato. Non avendo S-L accettato la giurisdizione della CIG, quest’ultima non ha potuto giudicare sul merito.
CAPITOLO QUARTO
174
IV.3 Le Camere di Bosnia-Erzegovina per i Crimini di Guerra e per
il Crimine Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione
Periodo di operatività Dal 9 marzo del 2005 (in corso). Soltanto la presenza internazionale ha natura temporanea.
Contesto di riferimento
storico
Periodo successivo al conflitto armato interno-internazionale di Bosnia-Erzegovina (B-E), combattuto tra il 1992 ed il 1995.
istituzionale
Camera per i Crimini di Guerra (CCG): completion strategy del TPIJ - processo giuridico-istituzionale a guida internazionale, i cui principali stakeholder sono il CS dell’ONU, in quanto organo genitore del TPIJ, l’Ufficio dell’Alto Rappresentante (UAR) per la Bosnia-Erzegovina (B-E), in quanto autorità internazionale responsabile per l’attuazione della componente civile degli accordi di Dayton del 1995, e, infine, lo Stato federale di B-E. Camera per il Crimine Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione (CCOCEC): processo di state-building e di rule of law-building di cui l’UAR è responsabile. La B-E è da considerarsi uno Stato “a sovranità condizionata”.
Base giuridica
Due leggi del dicembre del 2004 2004 (Official Gazette of BiH, No. 61/04) adottate in attuazione delle risoluzioni del CS dell’ONU n. 1503/2003 e 1534/2004 sulla completion strategy, ed un accordo internazionale tra l’UAR e la B-E (1° Dicembre del 2004).
Diritto applicabile
materiale Codice Penale della B-E (Official Gazette of BiH, No. 3/03 e s.m.i.)
.
procedurale
Codice di Procedura Penale della B-E (Official Gazette of BiH, No. 3/03 e s.m.i); Regole di Procedura sul Lavoro della Corte di B-E (Official Gazette of BiH, br. 82/05).
Competenza
ratione materiae
CCG: crimini di competenza del TPIJ, quali definiti dal Capo XVII del Codice Penale della B-E. La CCG può anche emanare, ex officio ovvero su richiesta di altre corti, direttive pratiche su tali figurae criminis. CCOCEC: crimine organizzato (e.g. traffico internazionale di droga, di persone), corruzione di pubblici funzionari della B-E, evasione fiscale, contrabbando internazionale, frode doganale, riciclaggio di denaro.
ratione temporis
CCG: 1992-1995. CCOCEC: dal 1° marzo del 2003 (entrata in vigore del Codice Penale della B-E).
ratione loci
Territorio della B-E (la competenza extra-territoriale è disciplinata dalla Regola 11-bis, lett. A, ii, iii del RPP del TPIJ e dall’art. 12 del Codice Penale di B-E).
ratione
personae
CCG: identica a quella del TPIJ ma circoscritta ai criminali di medio-basso rango. CCOCEC: qualunque persona fisica di età superiore a 14 anni (la responsabilità delle persone giuridiche è disciplinata dal Capo XIV del Codice Penale di B-E).
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
175
Rapporto con il sistema giudiziario nazionale
La CCG e la CCOCEC sono state istituite sotto le Divisioni Penale e d’Appello della già esistente Corte di Stato di B-E in Sarajevo. Alle due Camere fanno da pendant due omonimi Dipartimenti Speciali creati presso il già esistente Ufficio del Procuratore di B-E. Alla CCG sono state trasferite le funzioni ricoperte, fino al 1° ottobre del 2004, dalla Rule of the Road Unit (si veda alla nota 16). Esse riguardano sia lo stock di casi che la citata Unit ha trasferito alla CCG prima della sua chiusura sia nuovi casi “di elevata sensibilità” iniziati autonomamente da qualsivoglia corte delle entità dello Stato federale. I casi di quest’ultima categoria possono essere avocati a sé dalla CCG. Il rapporto tra la Corte di B-E, cui le due Camere afferiscono, è sostanzialmente di primacy.
Profili organizzativi
Ciascuno dei 6 panel della CCG (5 di primo grado ed 1 d’appello) e dei 4 panel della CCOCEC (3 di primo grado ed 1 d’appello) è composto da tre giudici, di cui due internazionali ed uno nazionale come presidente. Le decisioni sono prese a maggioranza assoluta. I magistrati internazionali sono nominati dall’UAR su raccomandazione congiunta del Presidente della Corte/Procuratore Capo (entrambi nazionali) e dell’organo di auto-governo della magistratura nazionale. Il loro mandato è biennale (rinnovabile). Attualmente, su 39 giudici e 26 procuratori, il numero degli internazionali è, rispettivamente, di 16 e 10 (questi ultimi equamente divisi tra i due Dipartimenti Speciali). Il sistema di assegnazione dei casi è automatico. Una Cancelleria indipendente, a composizione “ibrida”, è stata istituita, con l’accordo internazionale sopra citato, a supporto delle due Camere e dei rispettivi procuratori. Le lingue ufficiali sono quattro: inglese, bosniaco, serbo e croato.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo
(FMA)
Bilancio della B-E e contributi internazionali volontari. FMA: 10 milioni di dollari.
Rapporto con altre giurisdizioni
Il rapporto tra CCG e il TPIJ è disciplinato dalla Regola 11 bis del RPP del TPIJ e da un’apposita legge che, inter alia, prevede l’obbligo di adattare l’atto di incriminazione del Procuratore del TPIJ alla procedura nazionale. Alla CCG il Procuratore del TPIJ può anche trasferire casi per i quali le indagini non siano ancora state concluse. Il rapporto tra CCOCEC e corti straniere è disciplinato dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale che la B-E ha ratificato il 15 aprile del 2005.
CAPITOLO QUARTO
176
IV.4 Il Tribunale Penale Supremo Iracheno
Periodo di operatività Dall’agosto del 2005 - in corso. Il Tribunale ha natura temporanea.
Contesto di riferimento
storico
Dittatura del partito Baath, iniziata col colpo di stato del 17 luglio del 1968 e conclusasi nell’aprile del 2003, in esito all’intervento militare -non autorizzato dal CS dell’ONU- di una coalizione a guida anglo-americana. Durante i 35 anni di regime, alcun gruppo etnico o religioso è rimasto immune da campagne di discriminazione e repressione. Crimini efferati sono stati commessi anche durante il conflitto internazionale contro l’Iran (1980-1988) e l’occupazione del Kuwait (1990-1991).
istituzionale
Il Tribunale è stato istituito per volontà dell’Autorità Provvisoria della Coalizione (APC), un organo a guida USA raggruppante i Paesi della forza multinazionale di occupazione che ha rovesciato il regime di Saddam Hussein. Le autorità irachene -organizzate dapprima nel Consiglio di Governo Iracheno (CGI), quindi nel Governo Transitorio Iracheno (GTI)- hanno avuto un ruolo marginale nell’istituzione del Tribunale.
Base giuridica
Lo Statuto del Tribunale Speciale Iracheno è stato emanato dal CGI il 10 dicembre del 2003 su delega dell’APC. Il 18 ottobre del 2005, il GTI, formato il 30 giugno del 2004, ha emendato lo Statuto, integrandolo nella legge nazionale. Il Tribunale è stato rinominato “Tribunale Penale Supremo Iracheno”.
Diritto applicabile
materiale
Crimini internazionali e responsabilità penale personale: specifiche disposizioni dello Statuto riproducono fedelmente il contenuto di rilevanti strumenti internazionali; nell’interpretazione di tali disposizioni, il Tribunale può richiamarsi alle rilevanti decisioni di giurisdizioni internazionali. Reati ordinari: Costituzione provvisoria irachena del 1970, talune disposizioni della legge irachena n. 7 del 1958; per i principi generali: la legge penale dell’Iraq vigente al tempus commissi delicti. La pena di morte, sospesa dall’APC (10 giugno del 2003), è stata reintrodotta dal GTI (8 ottobre del 2004).
procedurale Legge di Procedura Penale Irachena n. 23 del 1971 e RPP adottate dal Tribunale.
Competenza
ratione materiae
Crimini internazionali: crimini di guerra (definiti secondo le Convenzioni di Ginevra del 1949, ratificate nel 1956), crimini contro l’umanità (definiti in base allo Statuto della CPI) e genocidio (definito secondo la Convenzione contro il genocidio del 1948, ratificata nel 1959). Reati ordinari: tentativo di manipolazione della magistratura, distruzione di risorse nazionali e saccheggio di proprietà pubbliche, minaccia di atti bellici contro Stati arabi.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
177
ratione temporis
Dal 17 luglio del 1968 al 1° maggio del 2003 (data in cui il Presidente degli USA ha dichiarato conclusa, e vinta, la guerra contro il regime Baath).
ratione loci
Non è circoscritta al territorio iracheno; l’avverbio “elsewhere”, letto in combinato disposto con la dimensione materiale e temporale, lascia intendere la perseguibilità anche dei crimini commessi sul territorio di Iran e Kuwait.
ratione personae
Circoscritta a cittadini e residenti iracheni. Di fatto, la strategia accusatoria è stata focalizzata sugli individui posti al vertice delle catene di comando politico-militari.
Rapporto con il sistema
giudiziario nazionale
Il Tribunale ha sede a Baghdad ed è posto in posizione di primacy rispetto alle corti nazionali. Alle corti ordinarie irachene è stata, di fatto, demandata la persecuzione dei criminali di livello gerarchico medio-basso.
Profili organizzativi
L’originaria versione dello Statuto conferiva al CGI la facoltà di nominare -ove ritenuto necessario- giudici stranieri; inoltre, al presidente, al procuratore capo e al giudice inquirente capo era fatto obbligo di richiedere l’assistenza della comunità internazionale (ivi inclusa l’ONU) affinché consiglieri e osservatori stranieri fossero assegnati ai loro rispettivi uffici; i consiglieri avrebbero fornito supporto in materia di diritto internazionale umanitario; gli osservatori avrebbero provveduto a monitorare la legalità delle procedure. La versione dello Statuto emendata dal GTI circoscrive la possibilità di nominare giudici internazionali solo per casi in cui uno Stato straniero si sia costituito parte civile. Ad oggi, non risulta la nomina di alcun giudice internazionale; quanto ai consiglieri ed agli osservatori, le previsioni della versione originaria sono state confermate dal GTI. Va rilevato che, ad oggi, i consiglieri provengono quasi esclusivamente dall’Ufficio di Contatto per i Crimini del Regime istituito nel marzo del 2004 presso l’Ambasciata USA a Baghdad. Quest’ultimo, invero, ha svolto funzioni-chiave in materia logistica, di sicurezza e amministrativa, configurandosi come una vera e propria “cabina di regia” del Tribunale. La lingua ufficiale del Tribunale è l’arabo.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo
(FMA)
Bilancio Generale Iracheno e contributi volontari anglo-americani. FMA: oltre 100 milioni di $. Il contributo annuale USA al Tribunale è stato, nel 2004, di 75 milioni di $ (quello britannico di 2,5 milioni di $), e, nel 2005, di 128. Contrari alla pena di morte, né l’ONU, né i Paesi dell’UE (escluso il Regno Unito) hanno sostenuto il Tribunale.
Rapporto con altre giurisdizioni
Alcuna commissione di verità e riconciliazione è stata istituita. Non si pongono problemi di compatibilità con pregresse amnistie. Rimane teorico il rapporto con le giurisdizioni di Paesi terzi (e.g. Iran e Kuwait), nei confronti dei cui eserciti e popolazioni civili siano stati commessi crimini internazionali. Potenziale rimane anche il rapporto con la CIG, che potrebbe fondare la propria giurisdizione in ordine alla responsabilità dell’Iraq nei confronti di Paesi che abbiano subito illeciti.
CAPITOLO QUARTO
178
IV.5 Le Camere Straordinarie di Cambogia
Periodo di operatività Dal luglio 2006 (in corso). Le Camere hanno natura temporanea.
Contesto di riferimento
storico
Sotto il regime totalitario dei Khmer Rossi instaurato da Pol Pot tra il 1975 ed il 1979, almeno 2 milioni di cambogiani furono uccisi. La caduta del regime fu seguita da una guerra civile internazionalizzatasi a causa dell’intervento vietnamita. La guerra è terminata solo nel dicembre del 1998.
istituzionale
Stato sovrano che ha ufficialmente richiesto l’assistenza al SG dell’ONU (21 giugno del 1997). Quest’ultimo, su impulso dell’AG, ha guidato, a partire dal luglio del 1999, un travagliato negoziato. Allo stallo delle trattative la Cambogia ha risposto istituendo unilateralmente le Camere Straordinarie; di fronte al “fait accompli”, l’ONU ha riaperto e concluso i negoziati, apportando alcune modifiche al progetto cambogiano.
Base giuridica
Legge nazionale (n. 801/12 del 10 agosto del 2001) incorporata e, in parte, modificata da un accordo internazionale tra Cambogia e ONU (6 giugno del 2003), cui ha fatto seguito una seconda legge nazionale di emendamento (n. 1004/6 del 27 ottobre del 2004).
Diritto applicabile
materiale
Crimini internazionali: definiti dall’Accordo, il quale per ciascuno di essi rinvia ad uno specifico strumento internazionale; salvo che per il genocidio ed i crimini di guerra, la legge attuativa replica il rinvio. Reati ordinari: Codice Penale di Cambogia del 1956.
procedurale
Specifiche disposizioni della legge attuativa dell’accordo internazionale nonché la procedura penale cambogiana purché conforme agli standard internazionalmente riconosciuti, i quali fungono anche da “gap filler”.
Competenza
ratione materiae
Crimini internazionali: genocidio e crimini contro l’umanità (definiti dalla legge secondo la Convenzione contro il genocidio del 1948 e lo Statuto della CPI), gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 (non vi è alcuna previsione sui crimini di guerra commessi durante un conflitto armato interno), distruzione di beni culturali (esplicito rinvio alla Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato), crimini contro personale che gode di protezione diplomatica (esplicito rinvio alla Convenzione di Vienna del 1961). L’imprescrittibilità (sulla quale l’accordo è silente) è prevista dalla legge solo per il genocidio e per i crimini contro l’umanità. Reati ordinari: omicidio, tortura e persecuzione religiosa (i relativi termini di prescrizione, che per la legge del 1966 sono di 10 anni, sono stati estesi a 40 anni).
ratione temporis
Dal 17 aprile del 1975 al 6 gennaio del 1979.
ratione loci
Non vi è alcuna previsione nell’accordo e nella legge ma la competenza è plausibilmente circoscritta al territorio della Cambogia.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
179
ratione personae
Gli individui al vertice dello Stato cambogiano e quelli su cui ricade la maggiore responsabilità per i crimini sopra elencati.
Rapporto con il sistema giudiziario nazionale
Le due Camere Straordinarie sono state istituite all’interno dell’esistente sistema giudiziario cambogiano, una presso la Corte di primo grado e l’altra (che funziona sia come camera d’appello che come camera di ultima istanza) presso la Corte Suprema. Entrambe hanno sede a Phnom Penh. La loro giurisdizione è, di fatto, esclusiva sia sui crimini internazionali che su quelli ordinari. La legge segue l’accordo nel rimettere alle Camere Straordinarie la valutazione della validità dell’amnistia che il re concesse, nel 1996, a Ieng Sary (condannato a morte in contumacia per genocidio nel 1979 da una corte speciale costituita in seguito all’invasione delle truppe vietnamite).
Profili organizzativi
La Camera della Corte di primo grado si compone di 5 giudici, di cui solo 2 internazionali ed è presieduta da un cambogiano. La Camera della Corte Suprema si compone di 7 giudici, di cui solo 3 internazionali ed è anch’essa presieduta da un cambogiano. Le decisioni delle due Camere sono prese a maggioranza qualificata (4/5 e 5/7 dei voti sono, rispettivamente, necessari); in sostanza gli internazionali dispongono del diritto di veto. L’organo d’accusa è bicefalo: esso si compone di due co-procuratori, di cui uno internazionale. Le indagini sono condotte da due giudici inquirenti, di cui uno internazionale. L’eventuale disaccordo tra i due co-procuratori ovvero tra i due giudici inquirenti è rimesso ad una Camera pre-dibattimentale la cui composizione è identica a quella della Camera di primo grado. La decisione non è impugnabile. I giudici ed il co-procuratore internazionali sono nominati dall’organo di auto-governo della magistratura cambogiana sulla base di due elenchi di candidati presentati dal SG dell’ONU. Il co-procuratore internazionale può nominare uno o più vice-procuratori sulla base di un elenco sottopostogli dal SG. Il mandato dei magistrati internazionali (come di quelli nazionali) si estende per tutta la durata dei procedimenti/delle indagini. Un Ufficio Amministrativo funge da cancelleria: il suo personale è misto e la componente internazionale è reclutata dal vice direttore, nominato direttamente dal SG (il direttore è cambogiano). Le lingue di lavoro ufficiali sono tre: khmer, inglese e francese.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo
(FMA)
Le spese connesse al personale nazionale sono di competenza del governo cambogiano; quelle relative al personale internazionale competono all’ONU. Sono ammessi contributi volontari da parte di governi stranieri, istituzioni internazionali, ong ed individui. FMA: tra 6 e 7 milioni di $.
Rapporto con altre giurisdizioni
La Cambogia si è impegnata a non concedere amnistie a individui che potrebbero essere indagati, perseguiti e condannati dalle Camere Straordinarie.
CAPITOLO QUARTO
180
IV.6 Il Tribunale Speciale per il Libano
Periodo di operatività Il Tribunale non è ancora operativo; in ogni caso, esso avrà natura temporanea.
Contesto di riferimento
storico
Il Libano ha subito per quasi trent’anni l’occupazione siriana, terminata solo nel maggio del 2005. Dall’assassinio dell’ex premier Hariri (14 febbraio del 2005) -seguito da un’ondata di proteste che ha contribuito al ritiro dell’esercito occupante- uno stillicidio di attentati terroristici di sospetta matrice filo-siriana scuote la stabilità interna del Libano.
istituzionale
Il 13 dicembre del 2005, il governo libanese ha ufficialmente richiesto al SG dell’ONU l’istituzione di un tribunale speciale per processare i responsabili degli attentati terroristici susseguitisi dal 1° ottobre del 2004. Il 30 marzo del 2006, il CS ha incaricato il SG di iniziare i negoziati con il Libano per la conclusione dell’accordo istitutivo di tale tribunale. Già nell’aprile del 2005, appurato il coinvolgimento dei vertici del regime siriano nell’attentato contro Hariri, il CS aveva istituito, con risoluzione n. 1595/2005, una Commissione Internazionale Indipendente d’Indagini (CIII), il cui mandato è stato esteso fino al giugno del 2007. Essa costituisce, di fatto, il nucleo del futuro Ufficio del Procuratore del Tribunale Speciale.
Base giuridica
Accordo internazionale concluso il 6 febbraio del 2007 tra ONU e Libano, che non lo ha ancora ratificato a causa della persistente crisi politico-istituzionale dovuta al ritiro dal governo dei ministri dei partiti filo-siriani.
Diritto applicabile
materiale
Disposizioni del Codice Penale Libanese relative agli atti di terrorismo, ai reati contro la vita e l’integrità della persona, alle associazioni illecite, alla mancata denuncia dei reati, alla partecipazione ai reati ed alla cospirazione; inoltre, talune disposizione della legge libanese dell’11 gennaio del 1958 relative all’aumento di pena per gli atti di terrorismo (la pena di morte è, tuttavia, esclusa); infine, i profili della responsabilità penale personale sono definiti dallo Statuto del Tribunale sulla falsariga dello Statuto della CPI e della Convenzione Internazionale per la Repressione del Terrorismo del 1997.
procedurale
Codice di Procedura Penale Libanese purché conforme ai principi internazionalmente riconosciuti. Alcuni di questi sono direttamente previsti dallo Statuto del Tribunale. L’adozione di specifiche RPP è demandata allo stesso Tribunale.
Competenza
ratione materiae
La competenza materiale del tribunale è focalizzata sull’assassinio di Hariri e su altri 14 attentati terroristici -precedenti e successivi- prima facie connessi al primo per natura o gravità. La lista di tali attentati è allegata all’accordo istitutivo del Tribunale.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
181
ratione
temporis
15 ben identificate date comprese tra il 1° ottobre del 2004 ed il 12 dicembre del 2005. Su decisione delle parti dell’accordo (e col consenso del CS), il dies ad quem potrà essere spostato in avanti.
ratione loci I 15 attentati terroristici coperti dalla giurisdizione del Tribunale sono tutti avvenuti nell’area Beirut.
ratione personae
Non è posta alcuna limitazione.
Rapporto con il sistema giudiziario nazionale
Formalmente il Tribunale Speciale non farà parte del sistema giudiziario nazionale né rientrerà nel sistema dell’ONU: avrà autonoma soggettività giuridica internazionale grazie alla quale potrà concludere accordi necessari all’esercizio delle sue funzioni. Esso, inoltre, sarà posto in posizione di primacy rispetto alle corti nazionali, cui potrà indirizzare specifiche richieste di cooperazione by-passando il governo libanese. Per motivi di sicurezza, il Tribunale non avrà sede in Libano.
Profili organizzativi
Il Tribunale consisterà di una camera di primo grado, composta da tre giudici, di cui due internazionali, e di una camera d’appello, composta da cinque giudici, di cui tre internazionali. Le decisioni saranno prese a maggioranza assoluta. Internazionali saranno l’unico giudice per la fase pre-dibattimentale, il procuratore (assistito da un vice libanese) ed il cancelliere. I giudici internazionali saranno nominati dal SG sulla base delle candidature presentate dagli Stati membri dell’ONU. Il procuratore sarà nominato dal SG, previa consultazione con il governo libanese. Anche i giudici libanesi saranno nominati dal SG, tuttavia su proposta dell’organo di autogoverno della magistratura nazionale; il vice-procuratore sarà nominato dal governo libanese di concerto con il SG e il procuratore capo. Il cancelliere sarà un funzionario dell’ONU e verrà nominato dal SG. Il mandato di tutti i magistrati e del cancelliere sarà di tre anni (rinnovabile). Le lingue di lavoro ufficiali saranno tre: inglese, francese e arabo.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo
(FMA)
Il 51% delle spese sarà finanziato con contributi volontari degli Stati membri dell’ONU; il governo del Libano contribuirà per la restante parte. FMA: 25 milioni di $ (stima non ufficiale).
Rapporto con altre giurisdizioni
Damasco, che sin dall’inizio si è detta estranea alla catena di attentati politici, ha dichiarato che nell’ipotesi in cui fosse acclarato il coinvolgimento di suoi cittadini, questi dovrebbero essere giudicati secondo la legge siriana. Ciò prefigura un problematico rapporto con la giurisdizione del Tribunale. D’altra parte, è plausibile che l’obbligo di cooperazione con la CIII imposto dal CS con decisioni ex Capitolo VII (risoluzioni n. 1595, 1636 e 1644 del 2005) venga riferito al futuro Tribunale. Il governo libanese si è impegnato a non concedere alcuna amnistia a individui ricadenti sotto la giurisdizione del Tribunale; né eventuali amnistie pregresse potranno impedire l’attivazione del Tribunale.
CAPITOLO QUARTO
182
IV.7 Le analogie e le differenze
Per punti si procederà ad enucleare le principali analogie e
differenze intercorrenti tra il caso del Kosovo ed i casi descritti nelle
schede soprastanti1.
IV.7.1 Il periodo di operatività
Il Programma GPI di UNMIK è operativo già dal febbraio del 2000
e può, pertanto, vantare un primato storico rispetto alle altre esperienze,
succedutesi col seguente ordine: Timor Est (dal luglio del 2000)2, Sierra
Leone (dal luglio del 2002)3, Bosnia-Erzegovina (dal marzo del 2005)
4,
1 Per la comparazione tra le corti “ibride” si considerino anche: K. AMBOS, M.
OHTMANN, New approaches in international criminal justice: Kosovo, East Timor,
Sierra Leone and Cambodia, Freiburg, 2003; H. ASCENSIO, E. LAMBERT-
ABDELGAWAD, J. M. SOREL, Les juridictions pénales internationalisées (Cambodge,
Kosovo, Sierre Léone, TimorLeste), Société de la Législation comparée, UMR de droit
comparé et CERDIN, Coll. De l’UMR de droit comparé (vol. 11), 2006; S. LINTON,
“Cambodia, East Timor and Sierra Leone: Experiments in International Justice” in
Criminal Law Forum, 2001, pagg. 185-246; IDEM, “New Approaches to International
Justice in Cambodia and East Timor” in International Review of the Red Cross, March
2002, pagg. 93-119; C. ROMANO, A. NOLLKAEMPER, J. KLEFFNER,
Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and
Cambodia, op. cit., 2004. 2 Sui Panel Speciali di Timor Est si vedano: J. BEAUVAIS, “Benevolent Despotism: A
Critique of UN State-building in East Timor”, in New York University Journal of
International Law and Politics, 2001, pagg. 1101-1178; N. BHUTA, Great Expectations-
East Timor and the Vicissitudes of Externalised Justice” in Finnish Yearbook of
International Law, 2001, pagg. 165-189; S. DE BERTODANO, “East Timor: Trials and
Tribulations” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East
Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 79-97; S. KATZENSTEIN, “Hybrid
Tribunals: Searching for Justice in East Timor” in Harvard Human Rights Journal, 2003,
pagg. 245-278; S. LINTON, “Prosecuting Atrocities at the District Court of Dili” in
Melbourne Journal of International Law, 2001, pagg. 414-458; IDEM, “Rising from the
Ashes: The Creation of a Viable Criminal Justice System in East Timor” in Melbourne
University Law Review, 2001, pagg. 122-180; IDEM et alii, “The Evolving Jurisprudence
and Practice of East Timor’s Special Panels for Serious Crimes on Admissions of Guilt,
Duress and Superior Orders” in Yearbook of International Humanitarian Law, 2001,
pagg. 1-48; B. LYONS, “Getting Untrapped, Struggling for Truths: the Commission for
Reception, Truth and Reconciliation (CAVR) in East Timor” in Internationalized
Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op.
cit, pagg. 99-124. Per la documentazione relativa ai casi trattati dai Panel Speciali si
visiti il portale: <http://socrates.berkeley.edu/~warcrime/ET.htm>. 3 Sulla Corte Speciale di Sierra Leone si vedano: S. BERESFORD et alii, “The Special
Court for Sierra Leone: An Initial Comment” in Leiden Journal of International Law,
2001, pagg. 635-651; J. CERONE, “The Special Court for Sierra Leone: Establishing a
New Approach to International Criminal Justice” in ILSA Journal of International and
Comparative Law, 2004; R. CRYER, “A Special Court for Sierra Leone?” in
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
183
Iraq (dall’agosto del 2005)5 e Cambogia (dal luglio del 2006)
6. Va,
tuttavia, osservato che l’idea di una corte “ibrida” risale già al giugno del
International and Comparative Law Quarterly, 2001, pagg. 435-446; N. FRITZ et alii,
“Current Apathy for Coming Anarchy: Building the Special Court for Sierra Leone” in
Fordham International Law Journal, 2001, pagg. 391-430; P. MOCHOCHOKO, G.
TORTORA, “The Management Committee for the Special Court for Sierra Leone” in
Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and
Cambodia, op. cit., pagg. 141-156; W. SCHABAS, “Internationalized Courts and their
Relationship with Alternative Accountability Mechanisms: The Case of Sierra Leone”,
ibidem, pagg. 157-180; C. SCHOCKEN, “The Special Court for Sierra Leone: Overview
and Recommendations” in Berkeley Journal of International Law, 2002, pagg. 436-461;
A. SMITH, “Sierra Leone: The Intersection of Law, Policy, and Practice”, in
Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and
Cambodia, op. cit., pagg. 125-139; A. TEJAN-COLE, “The Special Court for Sierra
Leone: Conceptual Concerns and Alternatives” in African Human Rights Law Journal,
2001, pagg. 107-126; N. UDOMBANA, “Globalization of Justice and the Special Court
for Sierra Leone’s War Crimes” in Emory International Law Review, 2003, pagg. 55-
132; J. WEBSTER, “Sierra Leone – Responding to the Crisis, Planning for the Future:
The Role of International Justice in the Quest for National and Global Security” in
Indiana International and Comparative Law Review, 2001, pagg. 731-777. Per la
giurisprudenza della Corte Speciale si visiti il portale: <http://www.sc-sl.org/>. 4 Sulle due Camere speciali di Bosnia-Erzegovina si vedano: M. FREEMAN
(International Center for Transitional Justice), BiH: Selected Developments in
Transitional Justice, October 2004; A. RODRIGUES, “The War Crimes Chamber of
BiH: a new solution for the impunity gap” in Guest Lecture Series of the Office of the
ICC Prosecutor, The Hague, 23 June 2006. A. SCHRÖEDER (Zentrum für
Friedenseinsätze), Strengthening the Rule of Law in Kosovo and Bosnia and
Herzegovina, Berlin, March 2005; Human Rights Watch, Looking for Justice The War
Crimes Chamber in BiH, vol. 18, n. 1(D), February 2006. Per gli aggiornamenti si
consultino i portali: <http://www.tuzilastvobih.gov.ba/> e <http://www.sudbih.gov.ba/>. 5 Sul Tribunale Penale Supremo Iracheno si vedano: Amnesty International, Iraqi Special
Tribunal-Fair trials not guaranteed, 13 May 2005; M. BOHLANDER, “Can the Iraqi
Special Tribunal Sentence Saddam Hussein to Death?” in Journal of International
Criminal Justice, vol. 3, 2005, pagg. 463-468; O. OLUSANYA, “The Statute of the Iraqi
Special Tribunal for Crimes Against Humanity - Progressive or Regressive?” in German
Law Journal, vol. 5, n. 7, pagg. 858-878; United States Institute of Peace, Building the
Iraqi Special Tribunal, Special Report 122, June 2004; D. ZOLO, “The Iraqi Special
Tribunal: Back to the Nuremberg Paradigm?” in Journal of International Criminal
Justice, vol. 2, 2004, pagg. 313-318; United States Institute of Peace, Building the Iraqi
Special Tribunal, Special Report 122, June 2004. 6 Sulle Camere Straordinarie di Cambogia si vedano: C. ETCHESON, “The Politics of
Genocide Justice in Cambodia” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals:
Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 181-205; E. MEIJER,
“The Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia for Prosecuting Crimes
Committed by Khmer Rouge: Jurisdiction, Organization, and Procedure of an
Internationalized National Tribunal”, ibidem, pagg. 207-232; S. WILLIAMS, “The
Cambodian Extraordinary Chambers - A Dangerous Precedent for International Justice?”
CAPITOLO QUARTO
184
1997, allorquando il governo di Cambogia richiese all’ONU il necessario
sostegno tecnico-finanziario per la realizzazione di quelle che sarebbero
diventate le Camere Straordinarie; i negoziati tra Cambogia e SG
dell’ONU iniziarono nel luglio del 1999, mentre il suolo kosovaro
fumava ancora per i bombardamenti della NATO. Con l’esclusione di
Timor Est (in cui, tuttavia, non si esclude una riapertura dei Panel
Speciali7) e del Libano (in cui il Tribunale Speciale tarda ad essere
istituito8), tutte le corti “ibride” risultano, ad oggi, ancora operative.
Le corti “ibride” considerate hanno natura temporanea anche se una
distinzione va operata tra i casi kosovaro e bosniaco-erzegovino, da una
parte, e quelli di Timor Est, Sierra Leone, Cambogia, Iraq e Libano
dall’altra. Per la prima categoria, temporanea è esclusivamente la
presenza di magistrati internazionali, essendo le procure/corti presso cui
questi ultimi operano delle istituzioni stabili che continueranno ad
esistere anche dopo il disimpegno straniero; per la seconda categoria,
temporanee sono le strutture giudiziarie cui i magistrati internazionali
sono stati assegnati; esse, invero, sono state concepite come corti ad hoc.
Si osserva, infine, che: a) tutte le corti “ibride”, sono state istituite,
sia pure con “tempi di reazione diversi”, solo dopo la conclusione delle
“situazioni di crisi” sottese (Bosnia Erzegovina: dicembre del 1995;
Cambogia: dicembre del 1998; Kosovo: luglio del 1999; Timor Est:
ottobre del 1999; Sierra Leone: gennaio del 2002; Iraq: aprile del 2003);
b) tutte le “situazioni di crisi”, fatta eccezione per lo scorcio di quella
irachena (1° luglio 2002 del - 1° maggio del 2003) sono
cronologicamente collocate nella fase precedente l’entrata in vigore dello in International & Comparative Law Quarterly, 2004, pagg. 227-245. Per gli
aggiornamenti si visiti il portale delle Camere Straordinarie: <http://www.eccc.gov.kh/>. 7 Il SG dell’ONU ha lasciato presagire un “revival” dei Panel Speciali: “[a]s serious
crimes defendants who were previously indicted but arrested after the closure of the
Special Panels for serious crimes proceed to trial, the need for additional international
judges, prosecutors and defence lawyers with appropriate experience will further
increase”. Si veda Secretary-General, Report on Timor-Leste pursuant to Security
Council resolution 1690 (2006), 8 August 2006, par. 87. Accogliendo una proposta
contenuta nel citato Rapporto, il CS ha deciso, con risoluzione n. 1704 del 25 agosto del
2006, la riapertura delle indagini (chiuse il 30 novembre del 2004 su sua stessa richiesta)
sui fatti occorsi nel 1999, ed ha, a tal fine, incaricato la missione UNMIT (l’ultima delle
cinque finora dispiegate a Timor-Est) di provvedere all’inserimento di un pool
specializzato di investigatori all’interno dell’UPG affinché possano essere riprese e
completate le indagini dell’UGC. 8 Sul Tribunale Speciale per il Libano si vedano: Secretary-General, Report on the
establishment of a special tribunal for Lebanon, 15 November 2006; UN News Service,
Hariri murder tribunal awaits approval after UN and Lebanon sign deal, 6 February
2007.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
185
Statuto della CPI e, come tali, ricadono al di fuori della sua competenza
ratione temporis. Una volta operativo, farà eccezione da questo quadro il
Tribunale Speciale per il Libano: a) esso opererà verosimilmente nel
corso della crisi (la catena di attentati terroristici di matrice filo-
siriana/iraniana e/o Hezbollah) che sottende la sua istituzione; b)
tuttavia, i crimini da esso perseguibili, ancorché commessi dopo il 1°
luglio del 2002, non ricadono tra i “core crimes” dello Statuto di Roma.
IV.7.2 Il contesto di riferimento
Tutte le esperienze di corti “ibride” sono accomunate da un contesto
storico la cui principale coordinata è un conflitto armato interno-
internazionalizzato segnato da gravi ed estese violazioni dei diritti
umani. Fa eccezione il costituendo Tribunale “ibrido” libanese, il cui
contesto storico di riferimento è circoscritto agli attentati terroristici
avvenuti nella fase successiva agli eventi bellici del 1975-90 e
precedente alla guerra dell’estate del 20069.
La guerra del Kosovo e quella di Bosnia-Erzegovina costituiscono
due paragrafi dello stesso capitolo storico: il violento smembramento
della RSFJ.
Quanto al contesto istituzionale delle corti “ibride”, il Kosovo
condivide solo con Timor Est l’esistenza di una missione di
amministrazione internazionale interinale disposta dal CS dell’ONU. Va,
tuttavia, rimarcato che la risoluzione relativa a Timor Est prevedeva
esplicitamente l’indipendenza del territorio amministrato (dal 20 maggio
del 2002 i Panel Speciali hanno, infatti, operato nell’ambito della
cornice istituzionale di uno Stato sovrano), mentre quella del Kosovo ha
9 Teatro, tra il 1975 ed il 1990, di quindici anni di conflitto armato interno
(internazionalizzato dall’intervento diretto di Siria, Iran, Israele e della forza di
interposizione dell’ONU UNIFIL) il Libano è rimasto sotto occupazione siriana per quasi
un trentennio, praticamente fino al maggio del 2005, quando, sull’onda delle proteste
suscitate dall’attentato terroristico di matrice filo-siriana all’ex premier Hariri (14
febbraio del 2005), Damasco ha deciso il ritiro del proprio esercito dal Paese dei cedri.
Nell’estate del 2006, Israele ha attaccato il Libano in risposta alle azioni terroristiche
lanciate da Hezbollah (movimento politico-militare sciita finanziato da Siria e Iran) dal
territorio libanese; il massiccio rafforzamento della missione UNIFIL nella zona di
confine tra Libano e Israele ha creato le condizioni per la cessazione delle ostilità. G.
SERRA, Alle origini della questione libanese: la vicenda di un Paese “composito” nella
storia di un contesto “complicato”, Paper elaborato al termine della Summer School in
Libano organizzata nel luglio del 2003 dall’Associazione Europea di Studi Internazionali
(AESI) in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e la Missione ONU-
UNIFIL, disponibile on line sul portale www.tesionline.it.
CAPITOLO QUARTO
186
“congelato” la situazione geo-politica successiva all’intervento della
NATO e rimandato al futuro la definizione dello status della provincia.
L’amministrazione transitoria delle forze della Coalizione è stata
stabilita in Iraq al di fuori dell’ombrello ONU.
Il contesto istituzionale della Camera per i Crimini di Guerra di
Bosnia-Erzegovina è quello della strategia per il completamento del
mandato del TPIJ, quale disposta dal CS dell’ONU ed attuata per mezzo
di leggi poste in essere dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante che vigila
sull’applicazione degli aspetti civili degli accordi di Dayton del 1995. La
Camera per il Crimine Organizzato, il Crimine Economico e la
Corruzzione esula, in quanto a contesto istituzionale, dalla completion
strategy, e può essere ascritta alla costruzione dello stato di diritto, di cui
è supervisore lo stesso Alto Rappresentante10
. La Corte Speciale di
Sierra Leone e le Camere Straordinarie di Cambogia originano, invece,
da esplicite richieste di assistenza che Stati pienamente sovrani hanno
rivolto all’ONU.
IV.7.3 La base giuridica
Le corti “ibride” di Kosovo e Timor Est sono accomunate da
un’analoga base giuridica: le risoluzioni, fondate sul Capitolo VII della
Carta dell’ONU, con le quali il CS ha stabilito le rispettive missioni di
amministrazione interinale. Le Regulation adottate dai RSSG di UNMIK
ed UNTAET si basano entrambe su tali risoluzioni. Si noti, tuttavia, che
diversamente dalla n. 1244/99, che è assai avara di riferimenti alle
funzioni giudiziarie della missione UNMIK, la risoluzione relativa a
Timor Est affida esplicitamente ad UNTAET il mandato di perseguire gli
autori delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario11
.
10 La presenza di magistrati internazionali nel sistema giudiziario della B-E, ancorché in
corti non penali, può essere retrodatata. Nel marzo del 1996, 8 giudici internazionali
furono affiancati ai 6 nazionali della Camera per i Diritti Umani, istituita, nei seguiti
degli accordi di Dayton in attesa che la B-E diventasse membro del Consiglio d’Europa e
ratificasse la CEDU; nel maggio del 1997, 3 giudici internazionali furono affiancati ai 9
nazionali della Corte Costituzionale. 11 Non ci sembra condivisibile l’opinione di chi, in dottrina, ha considerato diritto
nazionale gli atti posti in essere dalle missioni di amministrazione interinale dell’ONU,
muovendo dall’assunto che essi spiegano effetti unicamente sul territorio amministrato
(S. NOUWEN, “Hybrid courts: the hybrid category of a new type of international crimes
courts” in Utrecht Law Review, cit., pag. 200, 203). In primo luogo, si invita ad
osservare che le Regulation di una missione come UNMIK o UNTAET non si limitano
ad impattare il solo ambito territoriale amministrato ma, fondandosi sulla
sospensione/cessazione della sovranità di uno Stato (Serbia ovvero Indonesia), ipso facto
producono effetti su tale Stato e, a catena, sugli Stati coi quali quest’ultimo,
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
187
Il Tribunale iracheno è stato posto in essere da un atto internazionale
sostanzialmente adottato dall’organo politico delle forze occupanti
(l’Autorità Provvisoria della Coalizione).
La formale base giuridica delle Camere di Bosnia-Erzegovina è
sostanzialmente internazionale: esse sono state istituite da due leggi
nazionali che, di fatto, ratificano decisioni prese unilateralmente
dall’Alto Rappresentante12
.
Nel caso della Camera per i Crimini di Guerra il fondamento ultimo
è da rintracciarsi nelle risoluzioni con le quali il CS dell’ONU ha
disposto la completion strategy del TPIJ. La Cancelleria che fornisce
supporto amministrativo ad entrambe le Camere è stata istituita con un
accordo internazionale tra l’Alto Rappresentante e la Bosnia-Erzegovina.
E su accordi internazionali bilaterali stipulati con l’ONU, a partire
dall’ufficiale richiesta di assistenza degli Stati sovrani interessati, si
basano anche la Corte Speciale, le Camere Straordinarie ed il Tribunale
Speciale. Essendo quello di Sierra Leone e quello cambogiano due
ordinamenti giuridici dualisti: gli accordi sono stati attuati attraverso
procedimento di materiale riformulazione, non senza variazioni, delle
norme internazionali in norme interne. Anche quello libanese è un
ordinamento dualista: se il Tribunale non è ancora operativo, la causa è
da ricercarsi proprio nella mancata ratifica dell’accordo da parte del
Parlamento di Beirut. Non è da escludersi che, nell’impossibilità della
ratifica, il Tribunale venga istituito con risoluzione del CS ex capitolo
VII della Carta dell’ONU13
.
eventualmente, avesse contratto obblighi “territorializzati”, cioè connessi al territorio
passato sotto tutela ONU. Piuttosto, le Regulation in parola possono essere considerate
atti internazionali ONU di terzo grado, derivando da una risoluzione del CS (secondo
grado) che, a sua volta, deriva dal Capitolo VII della Carta ONU (primo grado). 12 Trattasi, più precisamente, di decisioni adottate dell’UAR (ex art. V dell’Annesso 10
degli accordi di Dayton) e ratificate dall’Assemblea Parlamentare della Bosnia-
Erzegovina. 13 POST SCRIPTUM: e, infatti, il 30 maggio del 2007, quando la stesura del presente
volume era già ultimata, il CS ha adottato, sub capitolo VII della Carta dell’ONU, una
risoluzione -n. 1757/2007- che “de imperio” ha disposto l’entrata in vigore dell’accordo
istitutivo del Tribunale.
CAPITOLO QUARTO
188
IV.7.4 Il diritto applicabile14
Per quanto riguarda le fonti del diritto materiale applicabile, alcun
discrimine è stato operato in Kosovo tra reati ordinari e crimini
internazionali. Questi ultimi sono stati perseguiti sulla base del CPRFJ,
che, insieme al CPK e al CPSe, ha costituito -fino all’entrata in vigore
del CPP UNMIK- la principale fonte normativa per la persecuzione
anche dei reati ordinari.
Analogamente, in Bosnia-Erzegovina, i crimini di competenza delle
due Camere sono definiti dalla medesima fonte: il Codice Penale
formalmente licenziato dall’organo legislativo nazionale ma di fatto
ascrivibile al potere decisorio dell’Alto Rappresentante.
A Timor Est, in Sierra Leone, in Iraq ed in Cambogia, invece, la
distinzione tra crimini internazionali e reati ordinari è stata sottolineata
anche dalla scelta della legge applicabile. Tendenzialmente, i primi sono
stati definiti (per esteso ovvero per rimando a strumenti internazionali)
direttamente dagli atti istitutivi delle rispettive corti “ibride”, mentre per
i secondi si è operato il rinvio alla legge nazionale.
Ai reati contemplati dallo Statuto del Tribunale libanese si
applicherà unicamente il diritto nazionale, sia pure con significative
“ibridazioni” internazionali in tema di principi generali, come, ad
esempio, la sospensione della pena di morte (che è, invece, applicabile in
Iraq).
Una breve digressione, che non avrebbe potuto trovar spazio nelle
tabelle riassuntive, merita il divieto di applicazione retroattiva della
legge penale, in quanto norma penale internazionalmente riconosciuta. In
tutti i casi considerati, è da ritenersi che il principio nullum crimen, nulla
poena sine praevia lege poenali sia fatto salvo per le seguenti
motivazioni: (i) i reati ordinari sono stati considerati perseguibili solo se
ed in quanto previsti da preesistenti leggi nazionali (al massimo, come
nel caso della Cambogia, ne sono stati estesi i termini di prescrizione);
(ii) laddove i crimina juris gentium non siano stati considerati
perseguibili in base al pre-esistente diritto locale, la loro codificazione ex
post sarebbe comunque sorretta dall’esistenza, al tempus commissi
delicti, di consuetudini internazionali ovvero di norme internazionali
pattizie.
14 H. FRIMAN, “Procedural Law of Internationalized Criminal Courts” in
Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and
Cambodia, op. cit., pagg. 317-358; B. SWART, “Internationalized Courts and
Substantive Criminal Law”, ibidem, pagg. 291-316.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
189
Quanto alla procedura, solo il caso di Timor Est può dirsi analogo a
quello kosovaro: via Regulation il RSSG ha dapprima indicato nelle
leggi vigenti al momento dell’inizio della missione UNTAET il diritto
applicabile, quindi ha introdotto un codice provvisorio “ibrido”.
La Corte Speciale si avvale della procedura del TPIR adattata alla
specificità di Sierra Leone, le Camere Straordinarie ed il Tribunale
libanese delle rispettive procedure nazionali completate e da emendarsi
in base ai principi internazionalmente riconosciuti, le Camere di Bosnia-
Erzegovina della procedura introdotta dall’Alto Rappresentante e
ratificata con legge parlamentare. Il Tribunale iracheno applica la
procedura nazionale ignorando molte delle garanzie proprie del processo
internazionale.
IV.7.5 La competenza
La competenza delle corti “ibride” kosovare non regge confronti in
quanto ad ampiezza:
a) copre potenzialmente l’intera materia penale (di cui i crimina
juris gentium non sono che una parte) più il segmento civilistico di
talune controversie sui diritti di proprietà;
b) è temporalmente “aperta”, nel senso che il dies a quo si
colloca tanto indietro nel tempo quanto sono lunghi i termini di
prescrizione previsti dalla legge vigente al momento della commissione
del reato, ed il dies ad quem resta ancora da definire;
c) in seguito all’introduzione del nuovo codice penale (aprile del
2004), è stata assortita del principio di giurisdizione universale per talune
fattispecie di rilievo internazionale;
d) fatta eccezione per gli autori di crimina juris gentium di più
elevato rango (ricadenti nella giurisdizione del TPIJ), riguarda chiunque
abbia più di 14 anni.
La competenza materiale delle altre corti “ibride” già operative è
circoscritta ad un numero limitato di figurae criminis, sia internazionali
che ordinarie. Tra quelli internazionali, i crimini contro l’umanità e i
crimini di guerra rappresentano, ancorché declinati in modo diverso, il
minimo comune denominatore; solo lo Statuto della Corte Speciale di
Sierra Leone non contempla il genocidio; al di fuori di questo “nocciolo
duro”, l’insieme-intersezione dei crimini internazionali perseguibili da
ciascuna delle quattro corti è un insieme vuoto, tanto diverse sono le
previsioni. completamente disomogeneo è l’ambito dei reati ordinari di
competenza delle corti. Le uniche due significative eccezioni sono date
dai reati economico-finanziari, categoria per la quale sono competenti sia
CAPITOLO QUARTO
190
le corti “ibride” kosovare che una delle due Camere speciali di Bosnia-
Erzegovina, e dal reato di terrorismo, comune alle corti “ibride”
kosovare ed al costituendo Tribunale Speciale per il Libano.
Con l’eccezione delle Camere Straordinarie, tutte le altre corti
“ibride” si caratterizzano per una differenziazione della competenza
temporale a seconda della tipologia di crimini (internazionali ovvero
ordinari). Al Tribunale libanese si associa una competenza temporale
“puntiforme”: saranno perseguibili solo i crimini commessi in 15 ben
identificate date.
La competenza della Corte Speciale e delle Camere Straordinarie
non deborda dai confini del territorio, rispettivamente, di Sierra Leone e
della Cambogia. Il Tribunale libanese avrà giurisdizione sull’area di
Beirut, in cui sono avvenuti i 15 attentati terroristici elencati nell’annesso
dello Statuto. I Panel Speciali di Timor Est, la Camera per i Crimini di
Guerra della Bosnia-Erzegovina ed il Tribunale iracheno sono
competenti anche in ordine a crimini commessi al di fuori dei confini
territoriali nazionali.
La Corte di Sierra Leone, il Tribunale iracheno e le Camere di
Cambogia perseguono esclusivamente i criminali di più elevato rango
e/o quelli su cui ricade la maggiore responsabilità per le atrocità
commesse. La Camera per i Crimini di Guerra di Sarajevo, in base alla
logica della completion strategy, ha competenza personale sui criminali
di medio e basso rango. Alcuna limitazione della competenza ratione
personae è stata prevista per i Panel di Timor Est e per il Tribunale
libanese. La competenza personale della Camera per il Crimine
Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione è soggetta solo al
limite dell’età minima, 14 anni, valore intermedio tra i 12 previsti a
Timor Est ed i 15 previsti a Sierra Leone. Alcun limite di età è
espressamente previsto per le Camere Straordinarie di Cambogia.
IV.7.6 Il rapporto con il sistema giudiziario nazionale15
In Kosovo, giudici e procuratori internazionali non sono assegnati ad
una specifica corte -in questo senso si può affermare che difettano di una
vera e propria istituzionalizzazione- ma permeano potenzialmente
l’intero sistema giudiziario penale, visto che possono “ibridare” qualsiasi
corte/procura penale kosovara sulla base di discrezionali valutazioni
15 J. KLEFFNER, A. NOLLKAEMPER, “The Relationship Between Internationalized
Courts and National Courts” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra
Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., 359-378; G. SLUITER, “Legal
Assistance to Internationalized Criminal Courts and Tribunals”, ibidem, pagg. 379-406.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
191
fatte, caso per caso, da loro stessi ovvero dal RSSG. Rispetto al sistema
locale, i magistrati internazionali godono di una posizione che è, di fatto,
di primacy. Infatti, essi possono direttamente avocare a sé casi che
ritengano “sensibili” (Regulation n. 34/2000) ovvero essere assegnati de
imperio (Regulation n. 64/2000) a casi che il RSSG abbia ritenuto
“sensibili”; inoltre, i procuratori internazionali hanno disposto, sia pure
per una brevissima parentesi, del potere di riaprire -in deroga alle regole
procedurali vigenti- casi che omologhi locali avevano deciso di
abbandonare; ai magistrati locali, d’altra parte, è stato imposto l’obbligo
di notificare al DG UNMIK la decisione di chiudere un’indagine
affinché i procuratori internazionali possano impugnarla in appello
(Regulation n. 2/2001).
Ad eccezione della Corte di Sierra Leone, del Tribunale iracheno e,
in prospettiva, del Tribunale libanese, auto-sussistenti per Statuto, le
altre corti “ibride” sono state istituite presso già esistenti e ben
identificate corti nazionali (Timor Est: Corte Distrettuale e Corte
d’Appello in Dili; Bosnia-Erzegovina: Corte di Stato in Sarajevo;
Cambogia: Corte di primo grado e Corte Suprema in Phnom Penh). Il
rapporto con queste ultime è per tutte, formalmente (Timor Est, Sierra
Leone, Iraq, Libano) o sostanzialmente (Cambogia, Bosnia
Erzegovina16), di primacy, potendo le corti “ibride”: a) avocare a sé casi
su cui vantino competenza; b) derogare al principio ne bis in idem. La
Corte di Sierra Leone e, in prospettiva, il Tribunale libanese sono gli
unici provvisti di soggettività internazionale.
IV.7.7 I profili organizzativi17
La presenza internazionale all’interno di panel kosovari (in cui
siedono, a seconda della gravità del caso, 3 o 5 giudici) è stata
inizialmente minoritaria (1:2 o 1:4) per poi diventare maggioritaria (2:1
16 In tabella si è fatto riferimento alla Rule of the Road Unit, sulla quale è opportuno un
accenno. Introdotta dal par. 5 dell’Accordo di Roma del 1996 tra Bosnia-Erzegovina,
Croazia e RFJ, la procedura c.d. delle “Rules of the Road” (letteralmente “regole della
strada”) ha obbligato, fino al 1° ottobre del 2004, le autorità nazionali delle Parti
contraenti a sottoporre ad un’apposita struttura istituita presso l’Ufficio del Procuratore
del TPIJ, la Rules of the Road Unit, tutti i casi suscettibili di sfociare in incriminazione
per crimini di guerra; detta struttura ha verificato, in base a standard internazionali, la
sussistenza di sufficienti prove affinché le autorità nazionali potessero procedere
all’arresto. 17 C. ROMANO, “The Judges and Prosecutors of Internationalized Criminal Courts and
Tribunals” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East
Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 236-270.
CAPITOLO QUARTO
192
o 3:2) e talvolta totale (3:0 o 5:0); le decisioni sono da sempre soggette
alla regola della maggioranza assoluta (2/3 o 3/5). Normalmente i casi
aggiudicati da panel “ibridi” sono trattati da un procuratore (e, fino alla
riforma della procedura penale dell’aprile del 2004, anche da un giudice
inquirente) internazionale. I magistrati internazionali sono nominati dal
RSSG con mandato base semestrale rinnovabile. A provvedere al loro
supporto amministrativo sono due Divisioni del DG UNMIK (la DP per i
procuratori internazionali e la DSGI per i giudici internazionali). Le
lingue ufficiali sono tre, di cui una internazionale.
Nelle camere del tribunale iracheno non siede alcun giudice
internazionale. Tranne che in Cambogia, dove il rapporto tra giudici
internazionali e nazionali è di 2:3 (Camera di primo grado) ovvero di 3:4
(Camera della Corte Suprema) e le decisioni sono prese a maggioranza
qualificata (4/5 o 5/7), la presenza internazionale è maggioritaria in tutte
le corti “ibride” secondo il medesimo rapporto di proporzione (3:2) e le
decisioni sono adottate a maggioranza assoluta (2/3).
Innovativa è la previsione, circoscritta alle Camere speciali
bosniaco-erzegovine, di un graduale phasing-out della presenza
giudiziaria internazionale, così che si potrà passare, dapprima, ad una
maggioranza nazionale e, infine, ad una composizione interamente
nazionale.
La Cambogia si segnala, d’altra parte, per il fatto che le indagini
sono condotte da una coppia di giudici inquirenti ed i crimini sono
perseguiti da una coppia di procuratori; ciascuna coppia contempla un
magistrato internazionale ed uno nazionale, chiamati a decidere
all’unanimità e, in caso di contrasto, tenuti a rimettere la questione ad
una Camera pre-dibattimentale le cui regole di composizione e voto sono
le medesime della Camera di primo grado.
Nelle altre tre corti “ibride” l’organo d’accusa è internazionale. A
Timor Est, come in Kosovo, i magistrati internazionali sono stati
nominati dal RSSG posto a capo della missione di amministrazione
interinale ma il loro mandato è annuale, rinnovabile. Tranne che in
Cambogia, in cui i giudici ed il co-procuratore internazionali sono
nominati dall’organo di auto-governo della magistratura nazionale sulla
base delle candidature sottoposte dal SG dell’ONU, la nomina dei
magistrati internazionali compete direttamente ad organi internazionali:
al SG dell’ONU in Sierra Leone e in Libano, all’Alto Rappresentante in
Bosnia-Erzegovina. Il mandato dei magistrati nazionali ed internazionali
della Corte Speciale, delle Camere Straordinarie e del Tribunale Speciale
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
193
è identico: triennale (rinnovabile) nei primi due casi e fino al
completamento dei procedimenti nel secondo.
Eccettuato il caso di Timor Est, le altre tre corti “ibride” sono
supportate da una cancelleria ad hoc a composizione mista. Tutte le corti
“ibride” utilizzano gli idiomi ufficiali nazionali come lingue di lavoro e
l’inglese come “lingua franca” internazionale (il francese è utilizzato in
Cambogia e sarà utilizzato anche in Libano); un caso a sé è quello del
Tribunale iracheno, i cui processi si svolgono solo in arabo.
IV.7.8 Le fonti di finanziamento ed il fabbisogno medio annuo18
Come il Programma GPI di UNMIK, così anche i Panel Speciali di
Timor Est sono stati finanziati a valere sul bilancio della missione ONU
di amministrazione interinale (i.e. contributi obbligatori degli Stati
membri) e del bilancio locale. Analogamente, le Camere Straordinarie di
Cambogia sono finanziate, per quanto riguarda la componente
internazionale, dall’ONU (con contributi obbligatori degli Stati membri),
e, per quanto riguarda la componente nazionale dal governo
cambogiano; a queste due fonti si aggiungono i contributi volontari di
soggetti internazionali e non. Le due Camere speciali di Bosnia-
Erzegovina ed il Tribunale iracheno sono finanziate dal bilancio
nazionale e da contributi volontari; allo stesso modo sarà finanziato il
Tribunale libanese. La Corte Speciale di Sierra Leone conta unicamente
su contributi volontari raccolti da un apposito Comitato di Gestione.
Il fabbisogno medio annuo del Programma GPI (16 milioni di $) è
inferiore a quello della Corte Speciale di Sierra Leone (19 milioni di $),
del futuro Tribunale Speciale per il Libano (25 milioni di $) e del
Tribunale Supremo iracheno (oltre 100 milioni di $!); risulta, invece,
superiore a quello della Camera dei Crimini di Guerra di Bosnia-
Erzegovina (10 milioni di $), delle Camere Straordinarie di Cambogia
(6-7 milioni di $) e dei Panel Straordinari di Timor Est (circa 6 milioni
di $).
IV.7.9 Il rapporto con altre giurisdizioni
Partecipi del medesimo contesto storico, la Bosnia-Erzegovina ed il
Kosovo sono entrambi coperti dalla giurisdizione del TPIJ.
Analogamente alle corti “ibride” kosovare, la Camera per i Crimini di
Guerra di Sarajevo ha competenza sui criminali di medio-basso rango,
18 T. INGADOTTIR, “The Financing of Internationalized Criminal Courts and
Tribunals” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East
Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 271-289.
CAPITOLO QUARTO
194
essendosi la strategia accusatoria del TPIJ focalizzata su individui posti
al vertice delle strutture di comando politiche/militari e macchiatisi delle
più gravi atrocità. Tuttavia, se, da un lato la divisione di sfere di
competenza tra corti “ibride” ed il Tribunale dell’Aja si basa su una
statuizione -peraltro priva di valore normativo- del Procuratore Capo del
TPIJ, quella tra la Camera speciale di Bosnia-Erzegovina e lo stesso
Tribunale ha come cornice giuridico-istituzionale la “completion
strategy” decisa dal CS dell’ONU.
Il problema della collaborazione giudiziaria tra Indonesia e
UNTAET/Timor Est19
è, mutatis mutandis, analogo a quello tra UNMIK
e Serbia, con l’importante differenza che tra questi ultimi non è, ad oggi,
stato concluso alcun accordo di cooperazione giudiziaria. I termini della
collaborazione della Siria (e di altri Stati) col Tribunale libanese sarà
verosimilmente decisa dal CS ex capitolo VII della Carta dell’ONU. Con
l’eccezione di Timor Est e della Bosnia-Erzegovina (che è parte di una
convenzione tematica del Consiglio d’Europa), in nessun altro dei casi
considerati si riscontra l’esistenza di un obbligo di cooperazione
giudiziaria da parte degli Stati terzi. Proprio da tale difetto origina il
“corto circuito” tra la giurisdizione -invero, rimasta solo potenziale-
della CIG e quella della Corte Speciale di Sierra Leone, la quale si è
spinta fino all’incriminazione e al mandato d’arresto del Presidente di
uno Stato terzo (la Liberia) rispetto all’accordo internazionale istitutivo
della Corte medesima20
.
Si osserva, inoltre, che i casi di Timor Est e di Sierra Leone si
differenziano da quello kosovaro per l’esistenza, a complemento della
giurisdizione delle corti “ibride”, di una commissione di verità e
riconciliazione. E ancora: il caso kosovaro è immune dalle complicazioni
che in Sierra Leone e in Cambogia sono state causate dalla pregressa
concessione di amnistie (generale nel primo caso, ad personam nel
secondo) affrontata, peraltro, con soluzioni diverse.
* * *
19 Sulla cooperazione del governo indonesiano, ed in particolare, sulla Corte ad hoc di
Jakarta citata al par. IV.2 si veda International Center for Transitional Justice, Intended to
Fail: The Trials before the Ad Hoc Human Rights Court in Jakarta, Occasional Paper
Series, August 2003. 20 Si veda M. FRULLI, “A Turning Point in International Efforts to Apprehend
War Criminals: The UN Mandates Taylor's Arrest in Liberia” in Journal of
International Criminal Justice, vol. 4, 2006, pagg. 351-361.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
195
Le specificità del caso kosovaro, quali segnalate dall’analisi
comparata (soprattutto rispetto ai temi della competenza e del rapporto
col sistema giudiziario nazionale), inducono a considerare il Programma
GPI più come un’azione per la costruzione dello stato di diritto, condotta
nell’ambito di una più ampia missione di amministrazione internazionale
interinale, che ad un vero e proprio esperimento di “ibridazione”
giudiziaria focalizzato sui crimina juris gentium, come negli altri casi.
IV.8 Alcuni spunti per una possibile ideal-tipizzazione e tassonomia
All’inizio del capitolo II, con mere finalità introduttive, è stata
fornita una definizione provvisoria di “corte penale ibrida”; adesso, sulla
base del confronto tra comparatum (il caso kosovaro) e comparanda (gli
altri sei casi), risulta possibile una più compiuta formulazione. Si
dispone, infatti, di sufficienti elementi per procedere, induttivamente,
all’ideal-tipizzazione delle corti “ibride”, cioè all’elaborazione di un
costrutto mentale empiricamente irrintracciabile nella sua purezza
concettuale ma comunque utile, sul piano epistemologico-gnoseologico,
al lavoro dell’internazionalista, cui si offre come tertium paragonis
rispetto al quale misurare la maggiore o minore distanza di un caso reale,
per ciò stesso definendolo21
.
IDEAL-TIPO DI CORTE PENALE “IBRIDA”
Periodo di operatività: natura temporanea; cessa di operare una volta portato a termine il mandato di cui è investita.
Contesto di riferimento
storico: viene istituita successivamente al verificarsi di una crisi di rilievo internazionale accompagnata da gravi ed estese violazioni dei diritti umani.
istituzionale: viene creata nel cono d’ombra giuridico-istituzionale dell’ONU.
Base giuridica: si caratterizza per un fondamento giuridico sotteso sia dalla volontà dello Stato interessato sia della comunità internazionale, ovvero soltanto di quest’ultima in assenza di un sovrano riconosciuto.
Diritto
Materiale
per i crimini internazionali: norme di diritto internazionale penale generale e/o pattizio già vigenti al tempus delicti; ovvero il diritto nazionale, già vigente al tempus commissi delicti, traspositivo del diritto internazionale penale.
21 M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, 1922. Un tentativo di classificazione
(non già di ideal-tipizzazione) delle esistenti corti internazionali ed “ibride è stato fatto da
R. GEIβ, N. BULINCKX, “International and Internationalized Criminal Tribunals. A
Synopsis” in International Review of the Red Cross, vol. 38, n. 861, March. 2006.
Sull’impossibilità di procedere ad una modellizzazione delle corti “ibride” si veda S.
NOUWEN, “Hybrid courts: the hybrid category of a new type of international crimes
courts” in Utrecht Law Review, vol. 2, issue 2, December 2006.
CAPITOLO QUARTO
196
applicabile per i reati ordinari: norme di diritto nazionale già vigenti al tempus delicti.
procedurale: norme nazionali, purché conformi agli standard internazionalmente riconosciuti, i quali fungono anche da “gap filler”.
Competenza
ratione materiae
per i crimini internazionali: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e, in prospettiva, anche terrorismo.
per i reati ordinari: gravi fattispecie non (ancora) coperte dal diritto internazionale (generale) pattizio al tempus delicti.
ratione temporis
per i crimini internazionali: dal giorno di inizio al giorno di chiusura della crisi di rilievo internazionale.
per i reati ordinari: oltre alla fase della crisi di rilievo internazionale, il periodo immediatamente precedente e/o quello immediatamente successivo.
ratione loci
per i crimini internazionali: spazio territoriale interessato dalla crisi di rilievo internazionale (non necessariamente coincidente col territorio di un intero/solo Stato).
per i reati ordinari: territorio nazionale.
ratione personae
per i crimini internazionali: gli individui, di età superiore ad una certa soglia compresa tra 14 e 16 anni, posti al vertice delle strutture di comando dell’apparato politico/militare e su cui ricade la maggiore responsabilità per i crimini commessi.
per i reati ordinari: qualunque individuo, purché di età superiore ad una certa soglia compresa tra 14 e 16 anni.
Rapporto con il sistema giudiziario nazionale: posizione di primacy sulle corti nazionali (si legga: avocabilità di casi e derogabilità, solo in un senso, al principio ne bis in idem).
Profili organizzativi: articolazione in un certo numero di camere/panel di primo grado (ciascuna composta da tre giudici, di cui due internazionali) ed una camera/panel d’appello (composto da 5 giudici, di cui tre internazionali); decisioni prese a maggioranza assoluta. Magistrati internazionali selezionati da istituzioni internazionali e nominati (per un congruo periodo di tempo, comunque rinnovabile) di concerto con le competenti autorità nazionali. Supporto amministrativo di una Cancelleria ad hoc, a composizione mista. Lingue di lavoro: inglese e/o francese, oltre alle lingue maggiormente diffuse a livello nazionale.
Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo (FMA): contributi volontari/obbligatori della comunità internazionale e, ove possibile, contributi dello Stato interessato. FMA: ca 10 milioni di $.
Rapporto con altre giurisdizioni: a) chiara linea di demarcazione con la giurisdizione di un’eventuale commissione di verità e riconciliazione; b) invalidità di eventuali precedenti amnistie per crimini di competenza della corte; c) obbligo di cooperazione giudiziaria per gli Stati terzi in cui siano eventualmente presenti/di cui siano cittadini i presunti criminali rientranti nella competenza ratione personae della corte; d) complementarietà con la CPI secondo i modi stabiliti dallo Statuto di Roma.
CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”
197
Le specificità di ciascun contesto di riferimento storico-istituzionale
sono state tali da aver richiesto approcci e soluzioni differenti. Ciascuna
delle sette corti “ibride” costituisce, pertanto, un unicum. Tuttavia,
l’analisi comparata rivela l’esistenza di una caratteristica di fondo
comune a tutti i casi: la natura “ibrida”, intesa come combinazione, a più
livelli (base giuridica, diritto applicabile, composizione,
finanziamento…), tra l’elemento locale/nazionale e l’elemento
internazionale. Invero, è proprio il grado di commistione tra questi due a
differenziare una corte “ibrida” dall’altra22
. L’unica tassonomia generale
(cioè ottenibile dalla ponderazione di tutti gli elementi per i quali è
possibile la gradazione nazionale/internazionale) suscettibile di avere
valore euristico appare, dunque, quella che consente di posizionare le
corti lungo il range che corre dall’estremo della corte puramente
nazionale all’estremo della corte puramente internazionale, passando per
un punto intermedio convenzionale, rappresentato dall’ideal-tipo sopra
proposto.
Diagramma tassonomico
In concreto, la precisa collocazione di una corte all’interno di tale
ambito di definizione, dal quale sono esclusi gli estremi, sarebbe utile
solo comparativamente (e non in assoluto), per misurare la distanza
relativa delle corti da uno stesso estremo di riferimento ovvero dal punto
di ideale equidistanza dagli stessi (cioè l’ideal-tipo). Pertanto, si potrebbe
22 In questo senso anche L. CONDORELLI, T. BOUTRUCHE, “Internationalized
Criminal Courts and Tribunals: Are They Necessary?” in in Internationalized Criminal
Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag.
427.
Corte
nazionale
Corte
internazionale
Cam
bogia
Ko
sovo
Tim
or
Est
Bo
snia
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ego
vin
a
Sie
rra
Leo
ne
Ambito di esistenza delle corti “ibride”
Ideal-
tip
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corte
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a” Iraq
Lib
ano
CAPITOLO QUARTO
198
affermare che: la Corte Speciale di Sierra Leone, seguita dal Tribunale
Speciale per il Libano, è la più vicina all’estremo della corte
internazionale; mentre il Tribunale Penale Supremo Iracheno, seguito
dalle Camere Speciali di Cambogia, appare il più vicino all’estremo della
corte nazionale; il Programma GPI di UNMIK e i Panel Speciali di
Timor Est sono collocabili in una posizione intermedia tra l’estremo
nazionale e l’ideal-tipo, mentre le Camere speciali di Bosnia-Erzegovina
tra quest’ultimo e l’estremo internazionale.
Capitolo V
Proposte di ingegneria giuridico-istituzionale
Sommario: V.1 Per una rinnovata complementarietà con la Corte Penale Internazionale. -
V.2 Alcuni spunti per la Conferenza di revisione dello Statuto di Roma
Muovendo dai punti di forza e dalle criticità emersi analizzando la
particolare esperienza kosovara nonché dai risultati della comparazione
con gli altri casi, il presente capitolo, elabora, induttivamente, una bozza
di proposta di ingegneria giuridico-istituzionale per il rafforzamento del
paradigma delle corti “ibride”. L’accento è posto sulle potenzialità del
rapporto tra le corti “ibride” e la principale istituzione del sistema
internazionale penale: la CPI. In particolare, si prospetta una riforma del
regime di complementarietà stabilito dallo Statuto istitutivo della CPI
(par. V.1) e si suggeriscono spunti per un più compiuto ed avanzato
progetto di emendamento dello stesso in vista della prima conferenza di
revisione (par. V.2).
V.1 Per una rinnovata complementarietà con la Corte Penale
Internazionale
UNMIK ha istituito il Programma GPI per due principali ragioni: da
un lato, perché il Procuratore del TPIJ si era prontamente dichiarato
incapace di perseguire tutti i crimini commessi in Kosovo1, e, dall’altro,
perché le deficienze della magistratura locale (sul piano tecnico, etico e
della rappresentatività etnica) si erano rivelate tali da provocare ulteriori
tensioni tra le parti del conflitto appena concluso.
Di fronte ad una crisi umanitaria analoga -per natura, proporzioni e
postumi- a quella kosovara, è improbabile che le corti nazionali siano
materialmente capaci di (ovvero sinceramente disposte a) processare gli
autori di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Proprio in
un’evenienza di questo tipo, la CPI potrebbe, nel rispetto delle norme
dello Statuto, attivare la propria giurisdizione; tuttavia, nella migliore
delle ipotesi, essa, con le risorse a disposizione, non potrebbe che
focalizzarsi sui casi di maggior rilievo. Una tale circostanza rivela i
limiti dell’aut-aut intrinseco al regime di complementarietà tra CPI e
corti nazionali e invita a guardare alle corti “ibride” come ad uno
strumento alternativo all’impunità ovvero a troppo sbrigative amnistie o
1 Si veda supra al par. II.4.3.
CAPITOLO QUINTO
200
a meccanismi extra-giudiziari di espiazione collettiva (e.g. commissioni
di verità e riconciliazione) di opinabile efficacia.
Negoziato in epoca antecedente alla prima concreta esperienza di
corti “ibride” (quella kosovara, dal febbraio del 2000), lo Statuto di
Roma non prevede, comprensibilmente, alcun tipo di relazione tra la CPI
e le prime2.
Per integrare le corti “ibride” all’interno del vigente sistema internazionale penale, si renderebbe, pertanto, necessario il superamento dell’attuale definizione giuridica del regime di complementarietà
3, la
quale implica un sistema binario, regolato da una logica alternativa (diagramma a). Il sistema è binario perché ammette l’esistenza di soli due tipi di giurisdizione: la CPI e le corti nazionali (tertium non datur); la logica è alternativa in quanto le due giurisdizioni sono reciprocamente esclusive: secondo l’art. 17 del suo Statuto, la CPI ha competenza
2 Il linguaggio adoperato nello Statuto della CPI non lascia margini di incertezza circa il
fatto che l’unico rapporto inter-giurisdizionale contemplato sia quello con le corti
nazionali. Si veda, in particolare, l’art. 17, par. 1, lett. (a) e (b), par. 2, lett. (a) e par. 3. 3 Al fine di garantire sufficiente copertura legale alla proposta che verrà di seguito
illustrata non può considerarsi sufficiente l’interpretazione teleologica dello Statuto di
Roma di cui ci si è avvalsi supra al par. II.4.4. Sull’integrazione del paradigma “ibrido”
all’interno dello Statuto della CPI e, più in generale, del vigente sistema internazionale
penale si vedano: M. BENZIG e M. BERGSMO, “Some Tentative Remarks on the
Relationship Between Internationalized Jurisdictions and the International Criminal
Court” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor,
Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 409-414; W. BURKE-WHITE, “A Community of
Courts: Towards a System of International Criminal Law Enforcement”, in Michigan
Journal of International Law, 2002, pagg. 1-101; IDEM, “Regionalization of
International Criminal Law Enforcement: A Preliminary Exploration” in Texas
International Law Journal, 2003, pagg. 729-761; R. LIPSCOMB, “Restructuring the ICC
Framework to Advance Transitional Justice: A Search for a Permanent Solution in
Sudan” in Columbia Law Review, 2006, pagg. 182-212.
CPI Corti
nazionali
Corti
nazionali (a)
aut-aut
aut-aut VO
LO
NT
A’
CAPACITA’
CPI
(b)
+
Corti
“ibride”
primacy
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
201
laddove le corti nazionali siano incapaci o non vogliano intervenire mentre, in caso contrario, la CPI è tenuta ad astenersi dall’intervento. Una rinnovata nozione di complementarietà -diagramma b- dovrebbe comportare, invece, un sistema ternario sotteso da una logica alternativa, rispetto al parametro della volontà, e cumulativa, rispetto al parametro della capacità
4.
Il sistema sarebbe ternario in quanto fondato sulla permanente esistenza di due tipologie giurisdizionali -la CPI e le corti nazionali- e sulla possibilità, in via provvisoria, di un tertium genus -le corti “ibride”, appunto. Una logica di tipo cumulativo (simboleggiata nel diagramma b dal segno aritmetico “+”) regolerebbe il segmento CPI-corti “ibride”: nell’ipotesi in cui uno Stato voglia ma non sia materialmente capace di perseguire i crimini, esso potrebbe acconsentire al dispiegamento di un pool di magistrati internazionali a supporto del sistema giudiziario nazionale
5; tale evenienza non escluderebbe la possibilità per la CPI di
focalizzare -come ha fatto il TPIJ rispetto al Kosovo ed alla Bosnia-Erzegovina- la sua strategia accusatoria sui maggiori responsabili dei crimini più efferati ed estesi, lasciando alle corti “ibride” il mare magnum dei criminali di piccola e media taglia. Per i crimini commessi prima dell’entrata in vigore dello Statuto di Roma, potrebbe prevedersi -in presenza del consenso dello Stato interessato ovvero di una decisione ex Capitolo VII del CS dell’ONU- l’estensione della competenza ratione temporis della CPI: troppe, e troppo estese, sono le atrocità commesse antecedentemente al 1° luglio del 2002, per poter stendervi sopra un velo di oblio giudiziario (e di impunità). Per garantire l’uniformità ermeneutica del diritto internazionale umanitario, si potrebbe prevedere un meccanismo di rinvio pregiudiziale, sul modello di quello disciplinato dall’art. 234 del Trattato CE, da parte delle corti “ibride” ad una Camera Suprema da istituirsi all’interno della CPI. La logica dell’aut-aut, d’altra parte, continuerebbe a regolare, con
riferimento al parametro della volontà, il rapporto tra CPI e corti
nazionali. La CPI potrebbe assumere giurisdizione -purtroppo su un
4 Va da sé che la logica varrebbe unicamente per i crimini rientranti nella giurisdizione
della CPI e non per i reati ordinari eventualmente inseriti nella sfera ratione materiae
della corte “ibrida”. 5 Pur non operando alcun utile distinguo tra “mancanza di volontà” e “mancanza di
capacità”, l’ex SG dell’ONU ha ben colto le potenzialità delle corti “ibride”: “domestic
justice systems should be the first resort in pursuit of accountability. But where domestic
authorities are unwilling or unable to prosecute violators at home, the role of the
international community becomes crucial. The establishment and operation of the
international and hybrid criminal tribunals of the last decade provide a forceful
illustration of this point”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice
in conflict and post-conflict societies, cit., par. XII.40, pag. 14.
CAPITOLO QUINTO
202
numero limitato di casi suscettibili di provocare il maggiore effetto di
deterrenza- solo nell’ipotesi in cui le corti nazionali non vogliano
intervenire, viceversa dovrebbe astenersi in presenza di una sincera
intenzione statale di perseguire i crimini. Del resto, se uno Stato non
intende perseguire da sé gli autori di crimini coperti dalla giurisdizione
della CPI, risulta arduo ipotizzare che esso possa accettare di buon grado
l’inserimento di magistrati internazionali nel proprio sistema giudiziario
per adempiere a quella stessa funzione6.
Il principio della giurisdizione penale universale, codificato nella
forma dell’obbligo di aut dedere aut judicare da parte del forum
deprehensionis, potrebbe fungere da “norma di chiusura” del sistema
giudiziario penale internazionale sopra abbozzato7.
V.2 Alcuni spunti per la Conferenza di revisione dello Statuto di
Roma
Affinché future corti “ibride” possano efficacemente funzionare in
complementarietà con la CPI ed al riparo da qualsivoglia ingerenza
politica (nazionale o internazionale) sarebbe opportuno incastonare la
struttura preposta alla loro governance all’interno di un’istituzione: a)
permanente, b) a vocazione universale, c) con sicuri attributi di
sovranazionalità e d) specializzata nel settore dei crimina juris gentium.
Il profilo istituzionale delineato è chiaramente quello della CPI, la cui
Cancelleria (Registry), in quanto organo “responsible for the non-judicial
aspects of the administration and servicing of the Court”8, potrebbe
essere messa in condizione di gestire, su richiesta dello Stato interessato
-parte o meno della CPI- ovvero su decisione del CS dell’ONU ex
capitolo VII della Carta, programmi integrati per il dispiegamento
rapido di giudici, procuratori, avvocati ed investigatori internazionali in
Stati disposti a, ma incapaci di, perseguire crimini per i quali la CPI è
competente. A tal fine, sarebbe necessario istituire al suo interno una
6 Non può, tuttavia, escludersi che detto Stato, sotto le pressioni politiche della comunità
internazionale (e finanche sotto le sanzioni, non implicanti l’uso della forza, del CS)
possa accettare il dispiegamento di magistrati internazionali, il quale certamente è meno
“intrusivo” nella sovranità nazionale di un tribunale puramente internazionale. 7 “[U]niversality principle (…) stands as a potentially important reserve tool in the
international community’s struggle against impunity”. UN Secretary General, The rule of
law and transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par. XII.48, pag.
16. Certa dottrina ha considerato le corti “ibride” come l’ultima frontiera del principio di
giurisdizione universale; sul punto si veda C. SRIRAM, “Globalising Justice: From
Universal Jurisdiction to Mixed Tribunals” in Netherlands Quarterly of Human Rights,
2004, pagg. 7-32. 8 Art. 43 dello Statuto di Roma.
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
203
struttura ad hoc -Dipartimento per la Giustizia Penale di Transizione
(DGPT)- la cui possibile struttura è di seguito sinotticamente
rappresentata e descritta.
Nominato dall’ASP e supportato da una Segreteria Tecnica, un Vice
Cancelliere Speciale, sarebbe posto al vertice del DGPT. Un Comitato
Esecutivo coordinerebbe le attività delle 9 Divisioni Generali (DiG) del
DIPARTIMENTO
PER LA GIUSTIZIA DI
TRANSIZIONE
Vice Cancelliere Speciale
Comitato
Esecutivo
(Capi Divisione)
DiG per la Gestione del Roster
DiG Investigativa e Procuratoriale
DiG Giudiziaria
DiG per il Supporto alla Difesa, alle Vittime e
ai Testimioni D
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Segreteria Tecnica
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DIVISIONI DI SUPPORTO
DIV
ISIO
NI O
PE
RA
TIV
E
Ufficio Supporto
Logistico
Ufficio
Finanziario
Ufficio
Amministrativo
CAPITOLO QUINTO
204
DGPT e deciderebbe su tutte le questioni complesse; esso
comprenderebbe i Capi di tutte le DiG e sarebbe presieduto dal Vice
Cancelliere Speciale. Le questioni amministrative, finanziarie (ivi
incluse le necessarie attività di procurement) e logistiche dell’intero
DGPT sarebbero curate da uffici dedicati.
Quattro DiG operative sovrintenderebbero alle attività “core” del
DGPT:
DiG per la Gestione del Roster, preposta alla progettazione,
realizzazione e manutenzione evolutiva di un roster (letteralmente
“elenco”) elettronico di magistrati, avvocati ed investigatori dispiegabili,
con preavviso massimo di 30 giorni9, in contesti post-crisis, non
necessariamente nell’ambito di missioni di peace-keeping10
.
Il roster conferirebbe al versante operativo del DGPT una
struttura organizzativa flessibile e finanziariamente efficiente, in quanto,
solo all’occorrenza, i magistrati sarebbero contrattualizzati per missioni
di durata minima di un anno e con avvicendamenti non repentini. La DiG
avrebbe unicamente funzioni esecutive, in quanto la selezione dei
magistrati e degli investigatori da inserire nel roster dovrebbe essere
rimessa ad un costituendo comitato speciale dell’ASP (CSASP),
destinatario delle short-list di candidati trasmesse dagli Stati parti della
CPI. Il CSASP dovrebbe accertare la preparazione e l’esperienza, per
quanto riguarda i magistrati, nel campo del diritto internazionale
9 Per attenuare gli inconvenienti procedurali del repentino abbandono, da parte dei
magistrati, dei casi in trattazione presso i rispettivi sistemi giudiziari d’afferenza, gli Stati
parti della CPI dovrebbero introdurre nelle rispettive legislazioni delle norme a tutela
della continuità del procedimento penale e, dunque, del diritto dell’imputato ad essere
processato in tempi ragionevoli. 10 “There is (…) a clear need to develop a reliable international roster of individuals (…)
in order to facilitate both efficient identification, screening, recruitment, pre-deployment
training and deployment of high-quality personnel (…); an up-to-date roster/database of
justice and transitional justice experts [should be] based upon explicit criteria, reflecting
geographic, linguistic, gender and technical diversity, and organized according to
particolar areas of expertise”. UN Secretary General, The rule of law and transitional
justice in conflict and post-conflict societies, cit., parr. XVIII.62, pag. 20, XIX.65,(h),
pagg. 22-23. Per inciso, gli “occupational groups” “Jurists”, “Legal affairs”, “Human
Rights” del sistema di recruitment dell’ONU (si veda al sito web <http://jobs.un.org>),
non sottendono dei roster di candidati potenziali; si tratta piuttosto di gruppi di vacancy
predisposte di volta in volta a seconda di esigenze contingenti. L’assenza di un roster
dedicato è lamentata da molti analisti, tra cui C. P. R. ROMANO, “The Judges and
Prosecutors of Internationalized Criminal Courts and Tribunals” in Internationalized
Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op.
cit., pag. 253 e 256.
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
205
umanitario e della tutela dei diritti umani, e, per quanto concerne gli
investigatori, nelle indagini su reati la cui complessità approssima quella
dei crimina juris gentium11
. Per gli avvocati, potrebbero prevedersi
meccanismi più snelli, come, ad esempio, la selezione, da parte del
CSASP, di auto-candidati per titoli e per colloquio. Per tutte le figure
professionali dovrebbero, ovviamente essere accertati i requisiti di
integrità morale e di conoscenza di una delle lingue veicolari
internazionali (inglese e francese).
Tra le funzioni della DiG rientrerebbe la catalogazione dei profili dei
magistrati e degli avvocati secondo una pluralità di criteri, tra cui quelli
considerati strategici per l’aderenza dei futuri programmi di intervento ai
contesti locali: provenienza geografica, lingua, sesso, sistema giuridico
di afferenza (common law, civil law, misto, islamico…).
DiG Investigativa e Procuratoriale, responsabile della gestione amministrativa degli investigatori e dei procuratori internazionali dal momento della loro contrattualizzazione e per tutto il periodo del dispiegamento.
DiG Giudiziaria, avente, con riferimento ai giudici, le stesse funzioni della DiG Investigativa e Procuratoriale. DiG per il Supporto alla Difesa, alle Vittime ed ai Testimoni con il mandato di gestire il dispiegamento di avvocati internazionali capaci di garantire agli imputati processi equi e contribuire, allo stesso tempo, al rafforzamento delle capacità degli omologhi locali
12. La DiG
coordinerebbe, inoltre, programmi per la protezione delle vittime e dei testimoni.
11 Valgano, al riguardo, le parole dell’ex SG dell’ONU: “The first challenge is the lack of
experts who combine the complementary skills required to do this work on behalf of the
United Nations. Nor are there adequate cadres of civilian police, judges, prosecutors,
lawyers, prison officials and so on. To be sure, there are plenty of persons who are expert
in the workings of their own legal system, their own legislation and their own language.
Such expertise is, however, of limited value to our activities. What is required is a mix of
expertise that includes knowledge of United Nations norms and standards for the
administration of justice, experience in post-conflict settings, an understanding of the
host country’s legal system (inter alia, common law, civil law, Islamic law), familiarity
with the host-country culture, an approach that is inclusive of local counterparts, an
ability to work in the language of the host country and familiarity with a variety of legal
areas”. Ibidem, par. XVIII.61, pag. 20. 12 Magistrati ed investigatori internazionali sono sì il motore del sistema giudiziario
penale ma, senza un corpo avvocatizio preparato, i rischi di violazione del diritto -
internazionalmente riconosciuto- dell’imputato ad un equo processo sarebbero alquanto
probabili.
CAPITOLO QUINTO
206
Nel comporre il pool di investigatori, procuratori, giudici ed avvocati, le rispettive DiG dovrebbero posizionare il criterio dell’equa ripartizione geografica (cui sono tradizionalmente informate le corti internazionali) in un secondo piano rispetto a pragmatiche valutazioni di opportunità, quali, ad esempio: la compatibilità “politica” e “culturale” col contesto di destinazione
13, il diverso contributo finanziario volontario
offerto ad ogni singolo programma d’intervento da parte degli Stati parti della CPI
14.
Altre cinque DiG sarebbero di supporto allo svolgimento delle attività “core”: DiG per il Supporto all’Institution-Building, deputata a progettare ed attuare, di concerto con le autorità locali, l’assetto istituzionale di ogni singolo programma d’intervento, contemperando obiettivi di efficacia-efficienza e di indipendenza funzionale. A seconda della specificità del contesto d’intervento, la DiG potrebbe optare tra più alternative:
a) individuazione di già esistenti strutture giudiziarie (procure e corti) alle quali assegnare i magistrati internazionali secondo un meccanismo analogo a quello previsto dalla Regulation UNMIK n. 64/2000 ma opportunamente corretto con la formale previsione di una giurisdizione unica su un elenco tassativo di figurae criminis (a tutela del principio di pre-costituzione del giudice naturale) e la fissazione di criteri oggettivi e trasparenti sulla cui base selezionare i casi “sensibili”;
b) progettazione e messa in funzione di panel/camere speciali/straordinarie all’interno di una corte già esistente, come nei casi di Timor Est, della Bosnia-Erzegovina e della Cambogia;
c) progettazione e messa in funzione di una nuova corte auto-sussistente sul modello di quella sperimentata in Sierra Leone ovvero di quella progettata per il Libano. In ogni caso, il rapporto tra presenza giudiziaria internazionale e
sistema giudiziario locale andrebbe improntato alla regola della primacy:
avocabilità dei casi coperti da esclusiva competenza e derogabilità, solo
in un senso, del principio ne bis in idem15
.
13 Ad esempio, sarebbe inopportuno inviare esperti di un Paese direttamente coinvolto
nella crisi che ha preceduto il programma di dispiegamento, ovvero esperti afferenti a
sistemi di civil law in Paesi tradizionalmente di common law e viceversa. 14 E’ realistico supporre che uno Stato contribuirà in misura maggiore ad un programma
d’intervento in cambio di significativo coinvolgimento dei suoi esperti, ferma restando la
loro indipendenza. 15 Si spiega così perché nel diagramma (b) le corti “ibride” sono state poste alla sommità
del piano inclinato che le collega alle corti nazionali.
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
207
In concreto, nella fase immediatamente successiva all’attivazione
del DGPT, una task force di funzionari della DiG dovrebbe essere
inviata in missione nel Paese interessato per valutare le opzioni possibili
e predisporre i profili istituzionali di un programma d’intervento “su
misura”. Soluzioni standard andrebbero respinte a priori, perché ciascun
contesto d’intervento ha le sue specificità16
. La rapidità dell’attività
progettuale e della successiva attuazione sarebbe cruciale per dare un
chiaro segnale di deterrenza, oltre che per evitare il materiale
deterioramento delle prove. Il “rapporto Brahimi” raccomanda un
termine massimo di 30 giorni per il dispiegamento di missioni di
peacekeeping tradizionali e di 90 giorni per quelle complesse17
. Dal
momento che un programma di intervento del DGPT è certamente più
complesso di una missione di peacekeeping tradizionale (si legga:
dispiegamento di forze militari di interposizione) ma meno complesso di
una missione tipo UNMIK ed UNTAET, il tempo di reazione può essere
stimato nel valore mediano di 60 giorni, di cui i primi 30 per mobilitare
gli esperti attraverso il roster, ed i secondi 30 per prepararli alla
specificità del contesto d’intervento (pre-deployment training). A programma avviato e rodato, la DiG potrebbe focalizzarsi sul supporto alle autorità locali per un più vasto progetto di riforma del sistema giudiziario penale locale, nell’ottica di adeguarlo agli standard dei Paesi in cui lo stato di diritto è una realtà consolidata
18.
L’individuazione di best practice a livello internazionale, di lesson learned da altri programmi d’intervento sviluppati dal DGPT e la codificazione delle procedure per la loro replicabilità sarebbero certamente utili a questa finalità.
DiG per il Supporto Giuridico, avente, oltre al compito di
predisporre, in tempi strettissimi, la traduzione dei testi giuridici
applicabili in una lingua veicolare internazionale19
, quello di fornire
assistenza alle autorità nazionali per: a) un’immediata revisione, nel
solco della tradizione giuridica locale, delle norme di procedura penale;
16 “Pre-packaged solutions are ill-advised”. UN Secretary General, The rule of law and
transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par. VI.16, pag. 7. 17 Panel on United Nations Peace Operations, Report to the Secretary General, 17
August 2000, par. 91. 18 A tal fine, utili benchmark potrebbero essere i “Basic Principles on the Indipendence of
the Judiciary” adottati dall’AG dell’ONU con risoluzioni n. 40/32 del 29 novembre del
1985 e n. 40/146 del 13 dicembre dello stesso anno, e i “Basic Principles on the Role of
Lawyers” richiamati dall’AG nella risoluzione n. 45/166 del 18 dicembre del 1990. 19 Sarebbe opportuno tradurre anche la giurisprudenza delle corti di più elevato grado
(soprattutto se il sistema in cui si interviene è di common law) ed i testi di dottrina (ove
esistenti).
CAPITOLO QUINTO
208
b) un più graduale e condiviso adeguamento del diritto penale
materiale20
. Gli standard internazionalmente riconosciuti dovrebbero
fungere da “bussola” per entrambe le attività21
. E’ appena il caso di
ricordare che, in attesa dell’adeguamento del codice penale, i crimina
juris gentium andrebbero perseguiti sulla base del diritto internazionale
generale e della giurisprudenza elaborata dalle giurisdizioni
internazionali.
In alcuni casi, l’impegno della DiG potrebbe consistere
semplicemente nell’emendamento di puntuali disposizioni, in altri nella
completa riscrittura dei testi legislativi.
In ogni caso, sarebbe auspicabile che la DiG non accogliesse
l’opinione di chi, in dottrina22
, ha guardato con favore all’impegno di
taluni centri di ricerca per la predisposizione di modelli “ibridi” di codici
giuridici utilizzabili, in via provvisoria, in contesti post-conflittuali23
.
Esperienze come quella kosovara suggeriscono di considerare con
maggiore attenzione il rischio di aporia ermeneutica (nonché di
espropriazione culturale) connesso alla “ibridazione” normativa; codici
“ibridi” complicano l’applicazione del diritto tanto per gli operatori
locali che per quelli internazionali: l’appartenenza di un sistema locale
ad una certa tradizione giuridica andrebbe piuttosto assecondata24
.
20 A monte della sfasatura temporale tra le due attività vi è il condivisibile distinguo che
l’ex SG dell’ONU ha operato nel rispondere alla raccomandazione del “Rapporto
Brahimi” (cit., par. 83, pag. 14) di valutare la fattibilità e l’utilità di un codice penale
provvisorio, comprensivo di eventuali adattamenti regionali, da applicare in missioni tipo
UNMIK o UNTAET nelle more del processo di costruzione del sistema giuridico
nazionale: “rebuilding of a legal system, or a sector thereof, and the promulgation of
substantive rules of criminal law would be a longterm exercise. It requires extensive
participation and training of the local judicial and legal communities concerned, which
will ultimately bear the burden of applying the law. [I doubt] whether it would be
practical, or even desirable given the diversity of country specific legal traditions, for the
Secretariat to try to elaborate a model criminal code, whether worldwide, regional, or
civil or common lawbased, for use by future transitional administration missions. (…)
[P]ractical aspects of criminal procedures, as opposed to the substantive elements of the
law itself, would be of great benefit” Si veda Secretary-General, Report on the
implementation of the report of the Panel on United Nations Peace Operations, 20
October 2000, parr. 31 e 33, pagg. 7-8). 21 Ibidem, par. 32, pag. 8. 22 D. TOLBERT, A. SOLOMON, “United Nations Reform and Supporting the Rule of
Law in Post-Conflict Societies” in U.N. Reform and the Rule of Law, Harvard Human
Rights Journal, vol. 19, 2006, pag. 43. 23 Si pensi al Model Codes for Post Conflict Criminal Justice Project dell’Università
irlandese di Galway e dell’USIP (United States Institute of Peace), consultabile on line:
<http://wwwnuigalway.ie/human_rights/Projects/model_codes.html>. 24 H. FRIMAN, “Procedural Law of Internationalized Criminal Courts” in
Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
209
Inoltre, la DiG dovrebbe resistere alla tentazione “culturalista” di
chi, in dottrina25
, ha sostenuto che i meccanismi di giustizia penale post-
conflittuale dovrebbero, per non risultare estranei ai loro destinatari,
incorporare elementi della cultura locale. Significa forse che i diritti
umani non sono universali e che sono, pertanto, possibili tante dottrine
dei diritti umani quanti sono i contesti locali26
? Significa forse, per
restare al caso del Kosovo, che le autorità UNMIK avrebbero dovuto
incorporare nei codici provvisori del 2004 anche elementi del Kanun27
?
Con maggiore favore andrebbe considerata la posizione dell’ex SG
dell’ONU che auspica solo un ruolo complementare, e comunque nel
rispetto degli standard internazionali, per i meccanismi tradizionali di
amministrazione della giustizia e di risoluzione delle controversie28
. DiG per il capacity-building, incaricata, in primo luogo, di provvedere al pre-deployment training del personale internazionale
29; in
secondo luogo, di selezionare i giuristi locali da affiancare agli internazionali; in terzo luogo, di sviluppare, con il coinvolgimento di questi ultimi, programmi di formazione integrati a favore del sistema
Cambodia, op. cit., pagg. 355-356. W.S. BETTS, S.N. CARLSON, G. GISVOLD, “The
post-conflict transitional administration of Kosovo and the lesson-learned in efforts to
establish a judiciary and rule of law” in Michigan Journal of International Law, vol. 22,
spring 2001, pagg. 371-389. 25 E. HIGONNET, Restructuring Hybrid Courts: Local Empowerment and National
Criminal Justice Reform, Yale Law School Student Scholarship Series, Paper 6, Year
2005, pagg. 10-12. 26 Sul tema si veda M. IGNATIEFF, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Milano
2003. 27 Sotto il termine “Kanun” (dal greco “kanon”, regola) si usa indicare l’insieme delle
norme consuetudinarie applicate da secoli alle relazioni sociali del popolo albanese.
Insidiato dalla sharia turco-ottomana (dalla fine del XIV secolo) e, in seguito, dallo
sforzo modernizzatore impresso dagli Stati albanese e jugoslavo (sia quello monarchico
che quello comunista), il Kanun ha attraversato i secoli giungendo fino ai nostri giorni,
certamente non nella sua forma originaria, cioè come sistema di norme giuridiche, ma
come dimensione meta-legale improntata a valori sentiti come tradizionali dal popolo
albanese: l’onore (besa), la parola data, la vendetta, il coraggio, il carattere sacro
dell’ospitalità, la famiglia in quanto clan (shpi), la fedeltà coniugale, la fratellanza
(vllazni), il clan (fis), la saggezza degli anziani. Si veda S. GJEÇOV, L. FOX, The Code
of Lekë Dukagjini, New York, 1989. 28 UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in conflict and post-
conflict societies, cit., par. XI.36, pag. 12. 29 “Once qualified personnel are identified, the next step is to ensure that they benefit
from serious and systematic pre-deployment training, with core subjects ranging from the
systems and traditions of the host country to the operations of the mission, to the norms
and standards to be applied and to the standard of conduct expected of them”. Ibidem,
par. XVIII.63, pag. 20.
CAPITOLO QUINTO
210
giudiziario locale. L’on-the-job-training, reso possibile dal materiale contatto con gli internazionali, dovrebbe essere integrato da altri mezzi formativi -seminari tematici, focus group, diffusione di case paper, tirocini- affinché il progressivo potenziamento delle capacità professionali dei locali, renda possibile, sin dalle prime fasi del dispiegamento, la programmazione del phasing-out della presenza straniera
30. Logiche, come quella kosovara, di separazione e parallelismo
tra componente internazionale e locale andrebbero respinte perché, oltre ad essere contrarie all’ownership-building, sono d’ostacolo al perseguimento di obiettivi di capacity-building
31. Pre-condizione
formale affinché gli internazionali sentano propria la funzione di formatori dovrebbe essere l’inserimento di un’esplicita previsione in tal senso nel loro contratto. DiG per la Comunicazione Esterna, con la responsabilità di perseguire, attraverso un’opportuna attività di mediazione culturale, veicolata attraverso canali informativi adeguati
32, obiettivi di confidence
building33
verso la presenza internazionale, affinché quest’ultima non venga percepita dalla magistratura e dall’opinione pubblica locali come
30 La necessità di definire tempi e modi del disimpegno della presenza giudiziaria
internazionale è stata rimarcata anche dall’ex SG dell’ONU: “it is essential that, from the
moment any future international or hybrid tribunal is established, consideration be given,
as a priority, to the ultimate exit strategy and intended legacy in the country concerned”.
Ibidem, par. XII.46, pag. 16. 31 “[We] have learned that effective and sustainable approaches begin with a thorough
analysis of national needs and capacities, mobilizing to the extent possible expertise
resident in the country. (…) The role of (…) the international community should be
solidarity, not substitution.” (…) in the long term, no as hoc, temporary or external
measures can ever replace a functioning national justice system”, UN Secretary General,
ibidem, parr. VI.15, pag.6, VII.17, pag. 7, XI.34, pag. 12. 32 Non sempre i mezzi di comunicazione di massa (TV, radio, internet…) sono capaci di
penetrare società arretrate, per cui strumenti diversi dovrebbero essere predisposti, come,
ad esempio, incontri per la sensibilizzazione delle comunità locali e di chi presso di loro
è opinion-leader. 33 Valgano al riguardo le parole dell’ex SG dell’ONU: “[o]ur experience in the past
decade has demonstrated clearly that the consolidation of peace in the immediate post-
conflict period, as well as the maintenance of peace in the long term, cannot be achieved
unless the population is confident that redress for grievances can be obtained through
legitimate structures for the peaceful settlement of disputes and the fair administration of
justice (…) public expectations must be informed through an effective communications
strategy”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in conflict and
post-conflict societies, cit., parr. II.2, pag. 3, XII.46, pag. 16.
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
211
un “corpo estraneo”, bensì come una necessaria, utile e provvisoria integrazione
34.
DiG Diplomatica, col mandato di negoziare, per conto dell’ASP,
accordi di cooperazione tesi a rendere più efficaci e finanziariamente
sostenibili le attività del DGPT, evitando duplicazioni ed attivando
sinergie con gli attori della comunità internazionale che esibiscono un
“vantaggio comparato” derivante da una consolidata esperienza35
. Si
noti, per inciso, che l’art. 4, par. 2 dello Statuto di Roma dota la CPI
della capacità giuridica necessaria all’esercizio delle proprie funzioni ed
al perseguimento dei propri fini; da una tale ampia formulazione, se ne
potrebbe dedurre anche il potere di concludere accordi internazionali
ovvero intese con enti non governativi.
Almeno cinque tipologie di accordi possono essere individuate a
priori:
1) accordi con Stati diversi da quello beneficiario del
dispiegamento (specialmente quelli confinanti), la cui cooperazione
giudiziaria sia considerata cruciale per l’arresto ed il trasferimento
presunti criminali, per assicurare la materiale presenza dei testimoni, per
eseguire le sentenza36
;
2) accordi con Stati ed organizzazioni militari regionali, il cui
apparato di sicurezza, investigativo e repressivo sia ritenuto necessario
per rendere effettiva l’attività giudiziaria svolta dai magistrati
internazionali37
;
3) accordi con la missione di amministrazione internazionale
transitoria eventualmente operante in loco su mandato del CS dell’ONU;
34 Un valido esempio è offerto dalla Cancelleria delle Camere per i Crimini di Guerra e
per il Crimine Organizzato presso la Corte di Stato di Bosnia-Erzegovina, presso cui è
stata creata una Public Information and Outreach Section. 35 “[C]oordination within the broader international community, including among bilateral
and multilateral donors, aid agencies, non-governmental organizations, private
foundations and the United Nations is equally vital, yet remains a largely unresolved
challenge. Inadequate coordination in this sector leads to duplication, waste, gaps in
assistance and conflicting aid and programme objectives”. UN Secretary General, The
rule of law and transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par.
XVII.58, pag. 20. 36 Nell’impossibilità di concludere tali accordi, il responsabile della DiG dovrebbe
sollecitare il Vice Cancelliere Speciale affinché quest’ultimo sottoponga la questione al
CS dell’ONU che potrebbe, a mezzo di una risoluzione ex Capitolo VII della Carta,
obbligare alla collaborazione il Paese (o i Paesi) renitenti. 37 Ad esempio, tali accordi potrebbero avere ad oggetto l’assistenza necessaria per
predisporre programmi di protezione testimoni e vittime, servizi di medicina legale e
perizie tecniche.
CAPITOLO QUINTO
212
4) accordi con organizzazioni internazionali e convenzioni con
soggetti non statuali (università, centri di ricerca, ong) affinché expertise
qualificato, diverso da quello inserito nel roster, venga messo a
disposizione del DGPT38
;
5) accordi con Stati ed organizzazioni finanziarie internazionali
per il reperimento di contributi volontari a fondo perduto, ovvero a titolo
oneroso (purché a condizioni agevolate), per la costituzione di un Trust
Fund dedicato ad ogni singolo programma d’intervento. La fase
progettuale di ciascun programma dovrebbe essere finanziata a valere su
un Fondo di Riserva/Emergenza da pre-costituirsi all’interno del bilancio
della CPI con contributi obbligatori; per accrescere il grado di
ownership, sarebbe auspicabile il diretto impegno finanziario del Paese
beneficiario39
.
La struttura del DGPT dovrebbe essere traslata, su scala ridotta, a
livello locale. Un Responsabile Generale (RG) sarebbe posto al vertice di
ciascun programma d’intervento e risponderebbe al Vice Cancelliere
Speciale per l’attuazione delle decisioni del DGPT. Il RG coordinerebbe
gli uffici di proiezione locale delle nove DiG. All’Ufficio Finanziario
centrale dovrebbe fare da pendant un apposito Comitato di Gestione -
presieduto dal RG e composto da rappresentanti dei Paesi donatori, delle
eventuali organizzazioni internazionali prestatrici e del Paese
beneficiario- responsabile unicamente dell’amministrazione del Trust
Fund. Ciascun programma d’intervento potrebbe essere avviato solo
dopo che la citata DiG abbia raccolto risorse sufficienti per i primi 12
mesi di attività e promesse di finanziamento almeno per i successivi 2440
.
38 Accordi di questo tipo sarebbero necessari, in primo luogo, per sgravare le risorse
dispiegate dagli adempimenti burocratici connessi alle loro specifiche funzioni e fare in
modo che il loro ufficio sia focalizzato sull’attività “core” della repressione dei crimina
juris gentium e su quella complementare di formazione dei locali; in secondo luogo, essi
consentirebbero ad altre DiG, come quella per il Supporto Giuridico e quella per il
Capacity-Building, di attivare utili sinergie con strutture già rodate e di comprovata
capacità, superando il vincolo dei costi c.d. “di apprendimento”. Quanto alle ong, il loro
apporto potrebbe essere cruciale per il contestuale invio nei contesti post-conflict di
avvocati internazionali da parte della DiG per il Supporto alla Difesa. 39 L’Accordo del 1° Dicembre del 2004 tra l’Ufficio dell’Alto Rappresentante e la
Bosnia-Erzegovina per la costituzione della Cancelleria dedicata alle Camere speciali
(per i Crimini di Guerra e per il Crimine Organizzato) della Corte di Stato prevede,
all’art. 3, par. 2.2, la responsabilità del Cancelliere per la conclusione di “grant
agreements and other agreements with the authorities of BiH, international governments,
international and non-governmental organizations”. 40 Uno schema analogo è stato previsto negli accordi istitutivi della Corte Speciale di
Sierra Leone e del Tribunale Speciale del Libano.
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
213
La performance di ogni singolo programma dovrebbe essere
periodicamente valutata da un autonomo Nucleo di Valutazione e
Auditing, nominato dal gruppo degli Stati parti della CPI interessati a
sponsorizzare finanziariamente e politicamente il Programma41
. I
rapporti renderebbero l’attività del DGPT trasparente all’intera ASP oltre
che ai soggetti latori di contributi volontari42
, e sulla loro base il
Comitato Esecutivo potrebbe decidere in itinere aggiustamenti del
programma.
L’idea di corredare la CPI di un Dipartimento per il dispiegamento
rapido di personale specializzato nella giustizia penale di transizione e
provvisto delle funzioni sopra descritte condurrebbe la stessa CPI al di
fuori di una mission meramente giurisdizionale e farebbe del suo côté
non giudiziario, la Cancelleria, l’embrione di un’organizzazione
sovranazionale specializzata anche in compiti di capacity/institution
building nello specifico settore della repressione dei crimina juris
gentium.
L’idea di inserire le corti “ibride” all’interno di più ampi programmi
integrati si sposa con l’autorevole opinione espressa dall’ex SG
dell’ONU Kofi Annan, secondo cui: “[our] main role is not to build
international substitutes for national structures, but to help domestic
capacities43
. (…) [o]ur experience confirms that a piecemeal approach to
the rule of law and transitional justice will not bring satisfactory results
in a war-torn or atrocity-scarred nation. Effective rule of law and justice
strategies must be comprehensive, engaging all institutions of the justice
sector, both official and non-governmental, in the development and
implementation of a single nationally owned and led strategic plan for
the sector. (…) strategies must be olistic”44
.
41 L’esperienza di Sierra Leone è emblematica al riguardo: i contributi volontari che
finanziano il funzionamento della Corte Speciale sono amministrati da un apposito
Comitato di Gestione (a composizione “ibrida”) che risponde al Gruppo degli Stati
Interessati (i.e. gli sponsor della Corte). 42 L’Accordo citato supra alla nota 39 prevede, all’art. 3, par. 2.7 l’istituzione di un
Oversight Committee composto da esperti nazionali ed internazionali preposto alla
valutazione del funzionamento e all’auditing finanziario della Cancelleria. 43 UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in conflict and post-
conflict societies, cit., pag. 1. 44 Ibidem, par. IX.23 e 26, pag. 9.
CAPITOLO QUINTO
214
La conferenza di revisione dello Statuto di Roma -in calendario al
più presto, per l’estate del 200945
- incentiva a capitalizzare l’esperienza
giuridico-istituzionale delle corti “ibride” e ad alimentare il dibattito
scientifico con spunti di riflessione suscettibili di ispirare le delegazioni
degli Stati parti dello Statuto di Roma.
La conferenza di revisione che si prospetta è un’occasione che non
dovrebbe essere lasciata sfumare dagli Stati parti -come l’Italia-
sinceramente interessati allo sviluppo di un’efficace sistema di giustizia
internazionale penale.
Il primo documento ufficiale in preparazione a tale evento è stato
presentato il 21 novembre del 2006 dal focal point dell’ASP46
. Esso
esplora gli scenari e le opzioni aperti e pone sul tavolo almeno tre grandi
questioni negoziali: 1) la revisione della clausola sull’accettazione
differita della giurisdizione della CPI sui crimini di guerra47
, 2) la
definizione dei crimini di aggressione, terrorismo e narcotraffico ed il
loro eventuale inserimento nella competenza ratione materiae della CPI,
e, infine, 3) le modifiche di natura istituzionale necessarie ad accrescere
efficacia ed efficienza della CPI.
Gli emendamenti necessari affinché il paradigma “ibrido” possa
essere integrato nel sistema previsto dallo Statuto di Roma sono
principalmente di natura organizzativo-istituzionale e ricadrebbero,
pertanto, nella terza macro-questione. Alcune frasi del documento si
prestano, inoltre, ad essere lette come un implicito invito agli Stati parti a
presentare proposte in tal senso: “[t]he Review Conference will also (…)
be an occasion for a «stock taking» of international criminal justice at a
time where the completion strategies of the International Criminal
Tribunal for Rwanda and the Former Yugoslavia are well under way”48
.
Nulla esclude che l’ibrido giurisdizionale sperimentato in Bosnia-
Erzegovina in attuazione della completion strategy del TPIJ possa essere
considerato parte dello “stock” di esperienze di giustizia penale
internazionale cui la Conferenza potrebbe attingere per trarre utili
insegnamenti. E ancora, cosa esclude che il lascito teorico-pratico delle
altre esperienze di “ibridazione” -in Kosovo, a Timor Est, in Sierra
Leone ed in Cambogia- possa essere assimilato al “progress made in
45 L’art. 123 dello Statuto di Roma del 17 luglio del 1998 pone in capo al SG dell’ONU
l’obbligo di convocare una conferenza di revisione, una volta che siano trascorsi sette
anni dall’entrata in vigore dello stesso, avvenuta il 1° luglio del 2002. 46 ICC-ASP, Review Conference: scenarios and options, 21 November 2006. 47 Art. 124 dello Statuto di Roma. 48 ICC-ASP, Review Conference: scenarios and options, cit., pag. 3, par. B, punto 12.
PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE
215
various existing fora which have a bearing on the possibility of
amendments to the Statute” 49
?
Laddove una modifica dello Statuto di Roma volta ad integrarvi il
DGPT risultasse impraticabile (per difficoltà tecniche, finanziarie,
mancanza di sufficiente volontà politica), un onorevole second best
potrebbe essere rappresentato dalla rimodulazione del quadro
istituzionale sopra abbozzato al fine di inserirlo, come Divisione ad
hoc50
, all’interno del Dipartimento delle Operazioni di Peace-Keeping.
Tuttavia, si tratterebbe pur sempre di un ripiego con evidenti limiti: a)
difficoltà di coordinamento tra la giurisdizione delle corti “ibride” e
quella della CPI; b) impossibilità di dispiegare personale giudiziario
internazionale in assenza di missioni di peace-keeping (almeno che il
dispiegamento di tale personale non diventi di per sé una missione di
peace-keeping); c) rischi di interferenza politica della catena di comando
del Segretariato Generale dell’ONU, sotto il quale il Dipartimento è
posto.
49 Ibidem, pag. 4, par. D, punti 22 (prima frase) e 23, lett. (b), sub-lett. (ii). 50 Attualmente il Dipartimento conta quattro Divisioni: le Divisioni Militare e di Polizia,
poste direttamente sotto l’Ufficio del Sotto-Segretario Generale, e le Divisioni di
Supporto Amministrativo e Logistico, subordinate all’Ufficio per il Supporto alle
Missioni. La nuova Divisione Giudiziaria dovrebbe, per coerenza logica, essere posta
sullo stesso piano delle Divisioni Militare e di Polizia.
Lista dei principali acronimi1
ABI (BAI) = Accordi Bilaterali di Immunità
AER (EAR) = Agenzia Europea per la Ricostruzione
AFK (KTA) = Agenzia Fiduciaria del Kosovo
AG (GA) = Assemblea Generale (dell’ONU)
APK (KPA) = Agenzia per la Proprietà del Kosovo
APPAS (ASPA) = Atto per la Protezione del Personale Americano in Servizio
ASA (SAA) = Accordo di Stabilizzazione ed Associazione
ASFA (SOFA) = Accordo sullo Status delle Forze Armate
ASP (ASP) = Assemblea degli Stati Parti (dello Statuto istitutivo della CPI)
CDI (ILC) = Commissione di Diritto Internazionale
CDU (HRC) = Comitato dei Diritti Umani (istituito nell’ambito del PIDCP)
CEDU (ECHR) = Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle
Libertà Fondamentali
CKCGE (KWECC)= Corte Kosovara per i Crimini di Guerra ed Etnici
CGC (AJC) = Commissione Giudiziaria Consultiva
CGCE (ECJ) = Corte di Giustizia delle Comunità Europee
CGK (KJC) = Consiglio Giudiziario del Kosovo
CGPK (KJPC) = Consiglio Giudiziario e Procuratoriale del Kosovo
CIG (ICJ) = Corte Internazionale di Giustizia
COMKFOR = Comandante di KFOR
CPK (CCK) = Codice Penale del Kosovo
CPI (ICC) = Corte Penale Internazionale
CPPP (PCPC) = Codice di Procedura Penale Provvisorio (del Kosovo)
CPP (PCC) = Codice Penale Provvisorio (del Kosovo)
CPRFJ (CLY o CCFRY) = Codice Penale della RFJ
CPPRFJ (CPCFRY) = Codice di Procedura Penale della RFJ
CPS (PSC) = Comitato Politico e di Sicurezza
CPSe = Codice Penale della Serbia
CRP (PCC) = Commissione per i Ricorsi Proprietari
CRPI (HPCC) = Commissione per i Ricorsi in materia di Proprietà Immobiliare
CS (SC) = Consiglio di Sicurezza (dell’ONU)
CSASP = Comitato Speciale dell’Assemblea degli Stati Parti (della CPI)
CtEDU (ECtHR) = Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
DAG (DJA) = Dipartimento per gli Affari Giudiziari (di UNMIK)
DG (DoJ) = Dipartimento di Giustizia (di UNMIK)
DGPT = Dipartimento per la Giustizia Penale di Transizione (presso la Cancelleria della
CPI)
DiG = Divisione Generale (del DGPT)
DP (CD) = Divisione Penale (del DG)
DRPI (HPCD) = Direzione per i Ricorsi in materia di Proprietà Immobiliare
DSGI (IJSD) = Divisione Supporto Giudiziario Internazionale (del DAG/DG)
GPI (IJPs) = Giudici e Procuratori Internazionali
1 In parentesi è indicato il corrispondente acronimo in lingua inglese. Sono esclusi dalla
lista gli acronimi utilizzati unicamente nelle schede di cui al Capitolo IV.
217
KFOR = Forza militare multinazionale della NATO in Kosovo
IGK (KJI) = Istituto Giudiziario del Kososo
IPAG (PISG) = Istituzioni Provvisorie di Auto-Governo (del Kosovo)
NATO = Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico
ONU (UN) = Organizzazione delle Nazioni Unite
OSCE = Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
PESC (CFSP) = Politica Estera e di Sicurezza Comune
PESD (ESDP) = Politica Europea di Sicurezza e Difesa
PIDCP (ICCPR) = Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966
PSA (ASP) = Processo di Stabilizzazione ed Associazione
RCI (ICR) = Rappresentante Civile Internazionale
RFJ (FRY) = Repubblica Federale di Jugoslavia
RG = Responsabile Generale (del programma integrato per il dispiegamento rapido di
giudici, procuratori, avvocati ed investigatori internazionali)
RPP (RPE) = Regole di Procedura e Prova
RSFJ (SFRY) = Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia
RSSG (SRSG) = Rappresentante Speciale del Segretario Generale (dell’ ONU)
RSUE (EUSR) = Rappresentante Speciale dell’UE
SG (SG) = Segretario Generale (dell’ONU)
SGE (EJS) = Sistema Giudiziario di Emergenza
SGO = Sistema Giudiziario Ordinario
SPUE (EUPT) = Squadra di Pianificazione dell’UE
TCE = Trattato della Comunità Europea
TMI (IMT) = Tribunali Militari Internazionali (di Norimberga e Tokyo)
TPIh = Tribunali Penali Internazionali ad hoc (per la ex Jugoslavia e per il Ruanda)
TPIJ (ICTY) = Tribunale Penale Internazionale ad hoc per la ex Jugoslavia
TPIR (ICTR) = Tribunale Penale Internazionale ad hoc per il Ruanda
TUE = Trattato dell’Unione Europea
UCK (KLA) = Esercito di Liberazione del Kosovo
UE (EU) = Unione Europea
UNCivPol = Polizia Civile UNMIK
UNOSEK = Ufficio dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite in Kosovo
UPPK (OPP) = Ufficio del Pubblico Procuratore del Kosovo
USA (US) = Stati Uniti d’America
USPK (KSPO) = Ufficio Speciale della Procura del Kosovo
218
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