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Consiglio Nazionale delle Ricerche Istituto di Studi Giuridici Internazionali Sezione di Napoli Quaderni nuova serie Gianluca Serra Le corti penali “ibride”: verso una quarta generazione di tribunali internazionali penali? Il caso del Kosovo Editoriale Scientifica

Gianluca Serra Le corti penali \" ibride \" : verso una quarta generazione di tribunali internazionali penali? Il caso del Kosovo

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Consiglio Nazionale delle Ricerche

Istituto di Studi Giuridici Internazionali

Sezione di Napoli

Quaderni nuova serie

Gianluca Serra

Le corti penali “ibride”:

verso una quarta generazione di tribunali

internazionali penali?

Il caso del Kosovo

Editoriale Scientifica

A Nicola Calipari,

caduto per la libertà

e ancora senza giustizia.

Presentazione

Il pregevole volume di Gianluca Serra è particolarmente interessante

non solo perché costituisce la prima monografia in lingua italiana

dedicata in maniera specifica all’argomento delle cd. “corti ibride”, ma

anche perché frutto di un’esperienza di ricerca svolta “sul campo”,

ovverosia presso il Dipartimento di Giustizia della Missione di

Amministrazione Interinale delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK).

La ricerca, che ha beneficiato della borsa di studio messa a concorso

dalla Banca Carime e dedicata a Nicola Calipari, s’inserisce nel quadro

di uno dei settori che più hanno catturato l’attenzione dei giuristi e degli

scienziati politici in questi ultimi anni: il diritto internazionale penale.

Questo “infant criminal justice system of the international

community”1, le cui vicende hanno attraversato con alterne fortune tutto

il ventesimo secolo, è qui esaminato attraverso il prisma di una delle

evoluzioni più recenti, nonché meno indagate: i tribunali misti o, come

propone la dizione utilizzata dall’Autore, di “quarta generazione”.

Tale generazione segue quella dei Tribunali militari internazionali di

Norimberga e di Tokyo (la prima), quella dei Tribunali penali

internazionali ad hoc per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda (la seconda), e

quella della prima giurisdizione a carattere permanente ed aspirazione

universale, la Corte penale internazionale (la terza).

Nessuna di queste generazioni è esente da critiche: i Tribunali

militari internazionali del secondo dopoguerra, per le note diatribe legate

al rispetto del principio di legalità e all'intrinseca parzialità della c.d.

“giustizia dei vincitori”; i Tribunali ad hoc istituiti dal Consiglio di

Sicurezza, in ragione del loro fondamento giuridico e della selettività del

loro operato (a cui occorre aggiungere i costi che, secondo un rapporto a

firma del Segretario Generale delle Nazioni Unite, ammontavano, nel

2004, a circa il 15% del budget complessivo dell’ONU); ed infine la

Corte penale internazionale, a causa della lentezza delle attività sino ad

oggi svolte nonché della mancata adesione e talvolta avversione (è noto

l’ostruzionismo degli Stati Uniti d’America) degli Stati maggiormente

influenti della comunità internazionale.

1 L’espressione è tratta da un opinione del giudice Shahabuddeen annessa alla decisione

della Camera d’appello del Tribunale ad hoc per il Ruanda del 31 marzo del 2000 - caso

Barayagwiza, ICTR-97-19-AR72.

4

Anche al fine di ovviare a tali inconvenienti, nell’ambito delle

Nazioni Unite sono state sperimentate nuove istituzioni giudiziarie, la

cui natura, appunto, “mista” (in parte internazionale, in parte domestica)

dovrebbe teoricamente consentire tanto il rispetto degli odierni standard

processuali internazionali quanto i costi e la praticità delle giurisdizioni

territorialmente competenti sui crimini perpetrati.

Questo insieme di nuovi tribunali, misti o internazionalmente

assistiti, rivela un fenomeno di “ibridazione” della natura interna o

internazionale delle giurisdizioni. Gli esempi sono costituiti dalla Special

Court in Sierra Leone, dai Serious Crimes Panels in Timor Est, dalle

Extraordinary Chambers in Cambogia, dalle War Crimes Chambers in

Bosnia Erzegovina, dal costituendo Tribunale Speciale per il Libano, o

ancora -ed è di quest’ultima che tratta dettagliatamente il lavoro che

segue- dal programma “Giudici e Procuratori Internazionali” istituito nel

quadro della missione UNMIK e che si distingue dagli altri per

l’ampiezza della giurisdizione esercitata, oltre che per aver costituito il

primo esperimento, in ordine di tempo, di questa nuova tipologia di

tribunali., Di questo esperimento, grazie al lavoro di Gianluca Serra,

siamo ora in grado di apprezzare a pieno le caratteristiche e la portata

innovativa.

Giuseppe Cataldi Professore ordinario di Diritto internazionale - Università di Napoli “L’Orientale”

Responsabile dell’Istituto di Studi giuridici internazionali del C.N.R. (sede di Napoli)

Ragion di Stato e giustizia internazionale

La pretesa certezza scientifica circa il fatto che la crisi della

sovranità statuale costituisca un fenomeno oramai conclamato e

destinato ad un epilogo risolutivo1 vacilla di fronte all’incontestabile

persistenza della ragion di Stato in quanto comprimaria forza motrice

delle dinamiche della comunità internazionale.

A partire dalla concettualizzazione rinascimentale di Machiavelli e

Botero, la ragion di Stato si è imposta come la teoria secondo cui ogni

azione dello Stato, se necessaria per il bene di quest’ultimo, ha la

presunzione di essere legittima, indipendentemente dalla sua moralità.

Ai nostri giorni, i condizionamenti, più o meno evidenti, subiti dalla

giustizia internazionale in senso lato si prestano ad essere letti come una

manifestazione dell’inossidabilità della sovranità statale, di cui la ragion

di Stato è, in fondo, il precipitato teorico-pratico.

Nel campo della giustizia penale internazionale -per non

allontanarmi dall’orizzonte a me personalmente più prossimo- il diniego

di cooperazione giudiziaria da parte degli USA all’Italia sul caso

Calipari rivela il primato della ragione di Stato sulle ragioni avanzate

dall'Italia e dai familiari di un individuo di un altro Stato (peraltro

alleato) che ha patito la massima lesione dell’integrità personale.

Volendo estendere l’analisi all’ambito della giustizia internazionale

tout court e della giustizia internazionale penale, le diverse conclusioni

sull’eccidio di Srebrenica della Corte Internazionale di Giustizia e del

Tribunale Penale Internazionale ad hoc per la ex Jugoslavia2 si lasciano

leggere come il tentativo di sublimare il fumus di responsabilità di uno

Stato nella certezza di torto di alcuni individui facenti capo alla sua

comunità etnica.

1 Uno fra gli altri si veda U. BECK, La società cosmopolita. Prospettive dell'epoca

postnazionale, Bologna, 1999. 2 La Corte, pur qualificando il massacro di Srebrenica come genocidio, non ha ravvisato

la diretta responsabilità dello Stato serbo nella commissione dello stesso (caso Bosnia

and Herzegovina v. Yugoslavia, sentenza del 26 febbraio del 2007); il Tribunale, d’altra

parte, non ha mancato di condannare singoli individui di etnia serbo-bosniaca per quello

stesso eccidio (e.g. il generale Radislav Krstic, case No. IT-98-33, sentenza definitiva del

19 aprile del 2004), in ciò seguito dal Tribunale Speciale di Belgrado per i Crimini di

Guerra (sentenza Slobodan Medic, Pero Petrasevic, Aleksandar Medic, Aleksandar

Vukov and Branislav Medic del 12 aprile del 2007).

6

Nella ragion di Stato -ed in particolare in quella degli Stati più forti-

può, dunque, scorgersi uno dei maggiori vincoli allo sviluppo di una

giustizia internazionale in cui il valore intrinseco della persona umana

sia anteposto a qualsivoglia valutazione di opportunità politica.

Le proposte di ingegneria giuridico-istituzionale cui la presente

ricerca approda si muovono generosamente in questa direzione e ad esse

va il mio supporto. Plaudo l'originalità del metodo di ricerca utilizzato e

sottolineo l'importanza di questo saggio -il primo sull'argomento in

Italia- nel più ampio scenario della tutela dei diritti umani.

Esprimo un sincero ringraziamento alla banca CARIME ed in

particolare alla sensibilità del suo Presidente, professore Andrea Pisani

Massamormile, che, su proposta della dottoressa Ermanna Carci Greco,

all'indomani della morte di mio marito, decise l'istituzione di due borse

di studio in diritto internazionale penale intitolate a “Nicola Calipari”

perché il suo sacrificio non fosse dimenticato.

Ho sempre ritenuto che la “memoria”, pur essendo di per sè un

valore, può rischiare di essere sterile se confinata esclusivamente

nell'ambito di cerimonie celebrative, mentre diventa “produttiva” di

valori per le generazioni future quando si concretizza nella continuità

dell'impegno di coloro il cui percorso di vita riteniamo emblematico.

Per Nicola, come per tutti gli uomini di valore che non si limitano a

sopravvivere ma vivono la propria vita, che sono artefici e non vittime

del proprio destino, che determinano lo svolgersi degli eventi e non si

rassegnano a subirlo, vale un antico proverbio cinese: “Non è il vento

che fa muovere la barca ma l'arte di disporre le vele”. E il vento ce l'ha

portato mentre era intento a disporre le vele3.

Tutti noi, oggi, abbiamo il compito di riprendere a disporre le vele.

Rosa Maria Villecco Calipari Senatrice della Repubblica – XV Legislatura

3 M. BOZZA (a cura di V. VASILE), Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Roma,

2005, pag. 26.

Prefazione

“Je m’accomoderais fort mal d’un monde sans livres,

mais la réalité n’est pas là,

parce qu’elle n’y tient pas tout entière.” Marguerite Yourcenar, Mémoires d’Hadrien, 1951.

Lo Stato nazionale, nelle sua fase di formazione, è stato testimone

dell’agone politico-giuridico dell’individuo per riscattarsi dallo status di

suddito ed essere riconosciuto come cittadino da un sovrano che, a sua

volta, non fosse più legibus solutus ma esso stesso sottoposto a leggi

create da organi rappresentativi.

Oggi, nella sua fase di crisi -in cui cede volontariamente quote

sempre più consistenti di sovranità a soggetti sovranazionali (e.g. la

Comunità Europea) e sub-statali (e.g. le Regioni, per restare al caso

italiano) ovvero perde inesorabilmente capacità di controllo su attori

transnazionali (e.g. le organizzazioni criminali, quelle terroristiche, le

imprese multinazionali1)- lo Stato nazionale si fa -in modo paradossale-

promotore di un ordinamento in cui i diritti già riconosciuti e garantiti a

livello interno all’individuo in quanto uomo e cittadino possano trovare

ulteriore certificazione e tutela, a livello sovranazionale, a vantaggio

dell’individuo in quanto soggetto del diritto internazionale.

Quello che la storia moderna e contemporanea racconta, se riletta dal

punto di vista della filosofia politica e del diritto, è, dunque, un

movimento di contrazione in due tempi: dapprima l’individuo pone dei

limiti allo Stato nazionale, quindi lo Stato nazionale pone dei limiti alla

“volontà di potenza” di cui l’individuo è capace, specie in alcune

situazioni tipizzabili: i governanti dello Stato nazionale assumono la

suprema decisione di sovranità esterna (i.e. la guerra internazionale); i

leader di fazioni provocano l’implosione dello Stato nazionale (i.e. la

guerra civile); il singolo accentra il potere dello Stato nazionale nelle

proprie mani, esercitandolo con l’obiettivo di ridurre l’altro a sé, il

diverso e molteplice all’identico ed unico (i.e. il totalitarismo).

1 Sul tema della crisi dello Stato nazionale di fronte all’incalzare del fenomeno

multinazionale, si veda G. SERRA, “Codici di condotta e prospettive di tutela dei

lavoratori a livello transnazionale” in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 1, Milano,

2007, pagg. 143-166.

8

Il paradosso, cui sopra si alludeva, è, tuttavia, solo apparente:

ancorché eziologicamente distinti, i due moti di contrazione sono

teleologicamente convergenti, in quanto mirano a potenziare la sfera

delle garanzie dell’individuo; il primo in un’ottica lockiana, rendendo il

sovrano legibus legatus, il secondo in una logica kantiana, facendo dei

singoli sovrani una comunità organizzata attorno a valori da tutti sentiti

come irrinunciabili.

Con questa chiave di lettura risulta possibile inquadrare nella

medesima dimensione storica due processi distinti, sviluppatisi a partire

dal secondo dopoguerra: il movimento convenzionale per la promozione

e la tutela dei diritti dell’uomo2 (che ha peraltro contribuito alla

formazione di norme consuetudinarie) e la progressiva costituzione di un

ordine internazionale penale basato su norme ed organi di giustizia3.

Lasciando sullo sfondo il primo, il presente studio è focalizzato sul

secondo processo, ed in particolare sui suoi più recenti sviluppi.

Il libro è strutturato in cinque capitoli.

Il primo, senza alcuna pretesa di esaustività, si prefigge lo scopo di

ripercorrere le principali tappe evolutive della giustizia internazionale

penale dai Tribunali di Norimberga e Tokyo, istituiti alla fine della

seconda guerra mondiale, alla Corte Penale Internazionale, creata con lo

Statuto di Roma del luglio del 1998, passando per i due Tribunali ad hoc

per la ex Jugoslavia e per il Ruanda (1993-1994).

Il secondo approfondisce, con riferimento al caso del Kosovo,

l’ultima “frontiera” giuridico-istituzionale della storia del diritto

internazionale penale: le corti penali c.d. “ibride” sperimentate a partire

dal febbraio del 2000.

Il terzo tenta una valutazione del “progetto-pilota” kosovaro a oltre

sette anni dal suo lancio e ne tratteggia gli scenari futuri.

Il quarto compara il caso kosovaro alle altre esperienze di

“ibridazione”, proponendo spunti per una ideal-tipizzazione e

classificazione del fenomeno delle corti penali “ibride”.

Il quinto si spinge oltre l’esistente con l’intenzione di suggerire

soluzioni di ingegneria giuridico-istituzionale volte a sviluppare le

2 La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea Generale

delle Nazioni Unite l’8 dicembre del 1948 può considerarsi l’atto iniziale di tale

processo. 3 La costituzione dei due Tribunali Militari Internazionali di Norimberga e Tokyo, tra il

1945 ed il 1946, segnò l’inizio di questo secondo processo.

9

potenzialità delle corti penali “ibride” all’interno del più generale

sistema internazionale penale.

La ricerca condotta non ha natura meramente compilativa: è

piuttosto un lavoro sperimentale, svolto interfacciando diritto e dottrina,

da una parte, con il punto di vista qualificato di attori privilegiati,

dall’altra. Il presente saggio si avvale, oltre che di due contributi diretti4,

del risultato di incontri ed interviste con figure operanti nell’ambito del

sistema giuridico-giudiziario kosovaro e, pertanto, capaci di fornire un

punto di vista “speciale” sulla questione oggetto di indagine.

Per legittimare un tale approccio, l’autore si è rifatto alla lezione

metodologica di Max Weber (1864-1920)5, secondo cui i fenomeni

sociali (di cui quelli giuridico-istituzionali costituiscono un

sottoinsieme), diversamente da quelli naturali, non sono dotati di

un’autonoma ontologia, ma la loro intelligibilità passa, giocoforza,

attraverso il nodo scorsoio della “relazione al valore” (Wertbeziehung) e

del “vissuto d’esperienza” (Erlebnis). Più esplicitamente: proprio

accettando di calarsi in una dimensione fatta di valori culturali e di

esperienze personali, il ricercatore sarebbe in grado di sottrarre un

oggetto all’indefinita massa del reale ed investirlo di quel fascio di luce

che è il “senso” (Sinn).

4 Ospitati ai parr. II.2.3 e III.3. 5 M. Weber, “L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale”

(1904), “Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura” (1906) in Il metodo

delle scienze storico-sociali, Milano (ried. Einaudi), 1997.

10

L’autore Gianluca Serra (1979) è laureato con lode in Scienze Internazionali e

Diplomatiche all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” (20

marzo del 2003).

Ha frequentato, nel 2002 e nel 2003, i corsi in crisi umanitarie e

cooperazione interuniversitaria organizzati dell’Associazione Europea

di Studi Internazionali presso le missioni SFOR della NATO a Sarajevo

e UNIFIL dell’ONU a Beirut.

Nel 2004, ha conseguito con lode un master in Local Development

presso Stoà - Istituto di Studi per la Direzione e Gestione d’Impresa

(Ercolano).

Nel 2005 e nel 2006, è stato consulente dell’Ufficio Giuridico della

Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero

degli Affari Esteri.

Nel marzo del 2006, si è aggiudicato il premio “Giovani Studiosi”

della Fondazione Marco Biagi di Modena per la tesi di laurea in diritto

internazionale dell’economia sul tema della responsabilità sociale delle

imprese multinazionali.

Nel luglio del 2006, ha vinto la borsa di ricerca in diritto

internazionale penale “Nicola Calipari” della Banca Carime (Cosenza),

grazie alla quale ha condotto la ricerca di cui questo libro è il frutto.

Ringraziamenti L’autore sentitamente ringrazia:

- la Banca Carime spa nelle persone del suo Presidente, professore

Andrea Pisani Massamormile, del dottor Giuseppe Lombardi e della

dottoressa Ermanna Carci Greco;

- il professor Giuseppe Cataldi, per la supervisione scientifica sulla

ricerca e per aver consentito la pubblicazione del presente saggio nei

“Quaderni” della Collana, da lui diretta, dell’Istituto per gli Studi

Giuridici Internazionali -Sede di Napoli- del Consiglio Nazionale delle

Ricerche;

- lo Human Rights Centre presso la Faculty of Law della University of

Pristina (Kosovo), per aver ospitato e supportato in più fasi l’attività di

ricerca;

- Marco Cito e Alberta Fumo per gli innumerevoli spunti critici offerti

nel corso della revisione del testo.

11

INDICE

CAPITOLO PRIMO

Tre generazioni di tribunali internazionali penali

I.1 La lunga strada verso Norimberga: la giustizia dei vincitori ........................ 14

I.2 Da Norimberga ai Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia ed il Ruanda: la

giustizia selettiva ................................................................................................ 20

I.3 La Corte Penale Internazionale: verso una giustizia universale? .................. 31

CAPITOLO SECONDO

Le corti "ibride" in Kosovo: verso una quarta generazione di

tribunali internazionali penali?

II.1 Il contesto generale di riferimento ............................................................... 39 II.1.1 Le coordinate storiche: profili militari e diplomatici ............................ 41 II.1.2 Le coordinate istituzionali: la Missione UNMIK ed il sistema

giudiziario kosovaro ....................................................................................... 51

II.2 Il contesto giuridico di riferimento .............................................................. 55 II.2.1 Il fondamento giuridico ........................................................................ 55 II.2.2 Il diritto applicabile .............................................................................. 58 II.2.3 La competenza ratione materiae .......................................................... 69 II.2.4 La competenza ratione temporis .......................................................... 74 II.2.5 La competenza ratione loci .................................................................. 79 II.2.6 La competenza ratione personae .......................................................... 80

II.3 Il rapporto col sistema giudiziario locale ed i profili organizzativi in

prospettiva diacronica ........................................................................................ 83

II.4 Il rapporto con le altre giurisdizioni ............................................................ 91 II.4.1 Il rapporto con le autorità militari di KFOR e con il potere esecutivo di

UNMIK .......................................................................................................... 92 II.4.2 Il rapporto con le corti nazionali straniere ............................................ 94 II.4.3 Il rapporto con il Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia ...................... 97 II.4.4 Il rapporto con la Corte Penale Internazionale ................................... 112 II.4.5 Il rapporto con la Corte Internazionale di Giustizia ........................... 115 II.4.6 Il rapporto con la Corte Europea dei Diritti Umani ............................ 119 II.4.7 Il rapporto con il Comitato dei Diritti Umani istituito nell’ambito del

Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici ............................................ 124

12

II.4.8 Il rapporto con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ........... 126

CAPITOLO TERZO

Un bilancio sull'esperienza delle corti "ibride" in Kosovo

III.1 I potenziali punti di forza ........................................................................ 128 III.1.1 La legittimità .................................................................................... 129 III.1.2 Il capacity-building .......................................................................... 131

III.2 Le criticità................................................................................................ 132 III.2.1 L’efficacia e l’efficienza a livello organizzativo .............................. 133 III.2.2 La capacità di perseguire crimina juris gentium e crimini a movente

etnico ........................................................................................................... 142 III.2.3 La qualità degli atti giudiziari relativi ai crimina juris gentium ....... 144

III.3 Le prospettive .......................................................................................... 154 III.3.1 I progetti esplorati ............................................................................. 154 III.3.2 Gli sviluppi della presenza internazionale in Kosovo: il futuro ruolo

dell’UE nel settore della giustizia ................................................................ 162 III.3.3 Il futuro delle corti “ibride” in Kosovo secondo la “proposta Ahtisaari”

..................................................................................................................... 165

CAPITOLO QUARTO

Cenni sulle altre corti "ibride"

IV.1 I Panel Speciali per Gravi Crimini a Timor Est ...................................... 170

IV.2 La Corte Speciale di Sierra Leone ........................................................... 172

IV.3 Le Camere di Bosnia-Erzegovina per i Crimini di Guerra e per il Crimine

Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione ....................................... 174

IV.4 Il Tribunale Penale Supremo Iracheno .................................................... 176

IV.5 Le Camere Straordinarie di Cambogia .................................................... 178

IV.6 Il Tribunale Speciale per il Libano .......................................................... 180

IV.7 Le analogie e le differenze ...................................................................... 182 IV.7.1 Il periodo di operatività .................................................................... 182 IV.7.2 Il contesto di riferimento .................................................................. 185 IV.7.3 La base giuridica .............................................................................. 186 IV.7.4 Il diritto applicabile .......................................................................... 188

13

IV.7.5 La competenza .................................................................................. 189 IV.7.6 Il rapporto con il sistema giudiziario nazionale ................................ 190 IV.7.7 I profili organizzativi ........................................................................ 191 IV.7.8 Le fonti di finanziamento ed il fabbisogno medio annuo .................. 193 IV.7.9 Il rapporto con altre giurisdizioni...................................................... 193

IV.8 Alcuni spunti per una possibile ideal-tipizzazione e tassonomia ............. 195

CAPITOLO QUINTO

Proposte di ingegneria giuridico-istituzionale

V.1 Per una rinnovata complementarietà con la Corte Penale Internazionale . 199

V.2 Alcuni spunti per la Conferenza di revisione dello Statuto di Roma ........ 202

Capitolo I

Tre generazioni di tribunali internazionali penali Sommario: I.1 La lunga strada verso Norimberga: la giustizia dei vincitori. - I.2 Da

Norimberga ai Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia ed il Ruanda: la giustizia selettiva. - I.3 La Corte Penale Internazionale: verso una giustizia universale?

La portata innovativa delle corti penali c.d. “ibride”, sperimentate in

Kosovo a partire dal febbraio del 2000, risulta meglio comprensibile se

adeguatamente contestualizzata nel divenire della giustizia internazionale

penale, ove tre “generazioni” di tribunali possono essere individuate1. La

prima è quella dei Tribunali Militari Internazionali (TMI) di Norimberga

e Tokyo, istituiti al termine di un processo storico di lungo periodo, di

cui la seconda guerra mondiale rappresenta l’ultimo atto (par. I.1); alla

seconda sono ascrivibili i Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il

Ruanda (par. I.2), la cui costituzione, se letta a posteriori, appare come

un “incidente” nel tortuoso tragitto politico-diplomatico verso la Corte

Penale Internazionale (par. I.3)2.

I.1 La lunga strada verso Norimberga: la giustizia dei vincitori

La storia conserva la memoria di non pochi tentativi di affermare,

sul piano internazionale, il principio della responsabilità penale

1 Due precisazioni si rendono opportune. In primo luogo, l’ordine degli aggettivi riferiti

al sostantivo “giustizia” risponde all’esigenza di rimarcare la distinzione con il limitrofo

concetto di “giustizia penale internazionale”. Quest’ultima risulta dal diritto interno

relativo al coordinamento dell’ordinamento penale nazionale con gli ordinamenti

stranieri, mentre la giustizia internazionale penale si colloca a pieno titolo nel campo del

diritto internazionale, in quanto disciplina la responsabilità penale degli individui per la

violazione di norme internazionali. F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, pag.

911 e ss. In secondo luogo, va precisato che la nozione di giustizia internazionale penale,

pur includendo quella di diritto internazionale penale, non si esaurisce in quest’ultima.

Infatti, esso rappresenta la base normativa sostanziale di una più ampia nozione che

comprende altresì le procedure, l’organizzazione per la persecuzione e la repressione dei

crimini internazionali ed il sistema penitenziario per l’esecuzione delle pene. G.

VASSALLI, La giustizia internazionale penale, Milano, 1995, pag. 189 e ss. 2 Per una diversa ripartizione “generazionale” si vedano: H. ASCENSIO, R. MAISON,

“L’activité des juridictions pénales internationales” in Annuaire Français de Droit

International, 2004, pagg. 416-468; R. DE LA BROSSE, “Les trois générations de la

justice pénale internationale: tribunaux pénaux internationaux, cour pénale internationale

et tribunaux mixtes” in Annuaire Français de Relations Internationales, vol. 6,

2005,.pagg. 154-166.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

15

individuale, superando lo schema classico della responsabilità

interstatuale3.

Un precedente degno di nota risale al 1474, anno in cui un’assise,

voluta dall’arciduca d’Austria e composta da ventotto giudici di diverse

nazioni del Sacro Romano Impero, processò il signore feudale von

Hagenbach, condannandolo a morte per i “crimini contro le leggi di Dio

e dell’uomo” commessi dalle sue truppe nel tentativo di sedare una

ribellione esplosa nella città alsaziana di Breisach. Al netto di alcuni

evidenti limiti (il rimando al diritto di derivazione divina e l’inflizione

della pena capitale), il caso Von Hagenbach, per quanto isolato, fu

“profetico” almeno sotto tre punti di vista: la composizione

“internazionale” del collegio giudicante, la ricusazione della tesi della

difesa, basata sull’obbedienza ad ordini superiori, l’oggetto del giudizio,

cioè crimini ante litteram definibili “contro l’umanità” commessi in

tempo di pace4.

Tuttavia, fu solo dalla fine del XIX secolo che presero corpo progetti

di tribunali internazionali penali per i crimini di guerra. Alcuni di essi

rimasero mere proposte, altri portarono alla creazione di organismi

giurisdizionali internazionali di varia natura.

Un tribunale internazionale contro i crimini di guerra (i.e. le

violazioni della Convenzione di Vienna del 1864) fu invano proposto

dallo svizzero Gustav Moynier all’indomani del conflitto franco-

prussiano del 1870. Una commissione internazionale d’inchiesta fu

istituita dalle Potenze vincitrici del primo conflitto mondiale nel corso

della Conferenza di pace di Parigi del 1919 con l’obiettivo di

determinare se vi fossero le basi per incriminare gli Imperi Centrali di

violazioni del diritto internazionale. Nel rapporto del 29 marzo del 1919,

la Commissione individuò trenta categorie di crimini perpetrati dalle

forze prussiane in violazione dello jus in bello così come definito dalle

Convenzioni dell’Aja del 1907, del 1911 e dalle consuetudini vigenti, e

raccomandò l’istituzione di un Alto Tribunale Internazionale per punire i

maggiori responsabili, ivi incluso l’imperatore di Prussia. Nonostante il

venir meno della volontà politica degli alleati statunitensi, nei Trattati di

pace di Versailles del 1919 e di Sèvres del 1920 furono inserite delle

clausole che abilitavano i vincitori a perseguire il Kaiser Guglielmo II, 3 U. LEANZA, Il diritto internazionale. Da diritto per gli Stati a diritto per gli individui,

Torino, 2002, pag. 297. 4 M.C. BASSIOUNI, International Criminal Law, New York, 1986, pag. 3 e ss. L’autore

riporta anche altri due casi di minore rilievo: il processo a Corradino Von Hohenstafen,

nel 1268, condannato a morte per aver scatenato una guerra ingiusta; l’estromissione

dall’esercito del conte Rosen per l’assassinio di civili durante l’assedio di Londonderry

nel 1688-1689.

CAPITOLO PRIMO

16

accusato della violazione della neutralità del Belgio -“supremo oltraggio

all’etica internazionale e alla santità dei trattati”5- ed i leader turchi

responsabili del primo genocidio del secolo (lo sterminio del popolo

armeno), allora qualificato con la formula di “crimini contro l’umanità”6.

Queste clausole restarono pressoché lettera morta: l’imperatore

tedesco non fu mai processato, poiché l’Olanda, dove si era rifugiato, ne

rifiutò l’estradizione; i criminali prussiani, lasciati alla giustizia del loro

Paese, furono assolti o subirono condanne molto miti7; mentre i maggiori

responsabili dello sterminio armeno furono processati e condannati a

morte in contumacia.

Due ulteriori tentativi per la creazione di una corte penale

internazionale furono infruttuosamente esperiti tra le due guerre

mondiali. Il primo di essi risale al 1926, anno in cui l'Association

Internationale de Droit Pénal elaborò un progetto, sostenuto anche dalla

International Law Association, destinato al fallimento a causa della

mancanza di un adeguato sostegno politico. Il secondo risale al 16

novembre del 1937, quando a Ginevra la Società delle Nazioni aprì alla

firma il trattato per la creazione di una corte penale internazionale che

avrebbe dovuto giudicare sulle violazioni della Convenzione per la

prevenzione e la repressione del terrorismo della stessa data8. La

mancata entrata in vigore di quest’ultima impedì alla corte di nascere.

Nel luglio del 1943, una commissione internazionale fu incaricata di

raccogliere informazioni sui crimini di guerra commessi nei territori

sottoposti ad occupazione, di compilare una lista di sospettati e di stilare

progetti per la loro cattura ed incriminazione. Infine, il 1° novembre del

1943, al termine della Conferenza interalleata di Mosca venne firmata

una Dichiarazione ove per la prima volta si affermò l’esigenza che i

5 Art. 227 del Trattato di Versailles. 6 La categoria giuridica di “crimini contro l’umanità” fu coniata proprio con riferimento

al caso armeno, definibile ex post come “genocidio”. Per la nozione giuridica di

“genocidio” si dovette attendere fino al 1933, anno in cui fu introdotta dal giurista

Raphael Lemkin. 7 In base al Trattato di Versailles, gli Alleati avrebbero potuto processare, oltre al Kaiser,

anche tutti i cittadini dell’ex Impero prussiano che avessero offeso la morale

internazionale, la santità dei trattati, le leggi ed i costumi di guerra. Le pressioni

dell’opinione pubblica tedesca condussero, tuttavia, i vincitori a rinunciare ad una tale

oltraggiosa prerogativa e ad affidare alla corte di Lipsia il giudizio su circa 900 criminali

di guerra dell’ex Impero prussiano. La corte assolse, dopo un processo sommario, 808

degli imputati e condannò gli altri 13 a pene molto miti, peraltro ineseguite. 8 Per il testo delle due Convenzioni, si veda M.O. HUDSON, International legislation. A

collection of the text of multiple international instruments of general interest (1935-

1937), vol. VII, n. 402-505, Washington, 1941, pagg. 862-893.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

17

maggiori responsabili, i cui delitti non erano stati commessi sul territorio

di uno Stato in particolare, venissero giudicati secondo una decisione

comune degli Alleati.

L'8 agosto del 1945, gli Stati usciti vincitori dal secondo conflitto

mondiale sottoscrissero un atto, l’Accordo di Londra “for the

Prosecution and Punishment of the Major War Criminals of the

European Axis”9, cui venne allegata la Carta del Tribunale Militare

Internazionale (TMI), un organo giurisdizionale competente a giudicare

sui seguenti crimini di diritto internazionale (crimina juris gentium):

crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l'umanità10

.

Appositi tribunali vennero, inoltre, istituiti dagli Alleati nelle rispettive

zone di occupazione del territorio tedesco. Un’apposita legge fu emanata

a Berlino il 20 dicembre del 1945, a firma dei generali delle forze alleate

occupanti, allo scopo di dare attuazione alla Dichiarazione di Mosca e

all’Accordo di Londra, predisponendo una base legale uniforme in tutta

la Germania per processare criminali di guerra diversi da quelli di cui si

stava occupando il TMI11

. L'insieme di tali giudizi, passati alla storia con

la denominazione di “processi di Norimberga”, fu di ampiezza senza

precedenti: ne furono interessati circa 15.000 individui.

Quanto alle atrocità perpetrate sul fronte asiatico, già dal 1942 era

stata istituita una Commissione internazionale per i crimini di guerra

nell’Estremo Oriente. Ad essa fece seguito la costituzione del TMI di

Tokyo, il quale, pur essendo composto da magistrati che rappresentavano

ben undici Stati, fu, tuttavia, posto in essere da un “Proclama speciale”

del 19 gennaio del 1946 a firma del generale statunitense MacArthur,

comandante supremo delle forze alleate nel Pacifico sud-occidentale. Se

per i processi di Norimberga si era ritenuto necessario un accordo

internazionale, in questo caso un atto unilaterale fu giudicato sufficiente.

Inoltre, i magistrati, benché di nazionalità diversa, furono scelti

personalmente dal generale MacArthur. Alla luce degli elementi

brevemente richiamati, non stupisce quindi che, pur inseriti quale pietra

miliare nella cronologia della giustizia internazionale penale, i processi

condotti a Tokyo siano considerati precedenti meno autorevoli rispetto a

quelli di Norimberga12

.

Innegabilmente i due TMI costituirono un passaggio fondamentale

lungo la strada per la definizione di una giustizia internazionale penale:

per la prima volta vennero individuate con precisione fattispecie

9 Ad esso avrebbero successivamente aderito altri diciannove Governi. 10 Art. 6, lett. a)-c) dello Statuto del TMI di Norimberga. 11 Control Council Law no. 10. 12 Si veda A. CASSESE, The Tokyo Trial and beyond, Cambridge, 1990, pag. 30 e ss.

CAPITOLO PRIMO

18

incriminatrici per atti in precedenza considerati come condotte militari o

politiche, e, come tali, prive di rilievo penale; nel contempo, responsabili

della violazione del diritto internazionale risultarono non più i soli Stati

ma anche le persone fisiche. Inoltre, per la prima volta -se si fa eccezione

per l’episodico caso von Hagenbach- fu sistematicamente sconfessata la

dottrina del c.d. “Act of State”, considerata una delle principali

estrinsecazioni della sovranità statale, in quanto posta a garanzia

dell’immunità di individui che si fossero macchiati di atrocità

nell’esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali ovvero in

esecuzione di ordini superiori13

.

Tuttavia, non può essere omessa l’intrinseca parzialità di un tale

modo di fare giustizia. Rispondenti ad opinabili standard di fair trial14

, i

processi dei TMI di Norimberga e Tokyo furono istruiti al fine di

giudicare i vinti per le azioni criminali di cui si erano macchiati ma non

contemplarono la possibilità di giudicare atti altrettanto gravi commessi

dai vincitori15

. Questa tradizionale critica va temperata con la realistica

considerazione secondo cui l’illiceità delle violazioni della pace e del

diritto internazionale umanitario poteva essere fatta valere solo per mano

del vincitore della guerra, non essendovi negli anni Quaranta altro

strumento di applicazione coattiva del diritto internazionale se non la

guerra e nessun altra modalità per arrivare alla punizione dei criminali se

non la vittoria sui loro Stati nazionali16

.

Va, inoltre, rimarcato che il fondamento giuridico dei TMI esibiva

all’epoca una certa solidità:

13 La demolizione della dottrina dell’atto di Stato comporta per l’individuo l’obbligo di

disobbedire alle leggi o agli ordini ogni qual volta sia in gioco la violazione di diritti

umani internazionalmente tutelati. Sull’eredità lasciata dal TMI di Norimberga si veda C.

TOMUSCHAT, “The Legacy of Nuremberg” in Journal of International Criminal

Justice, vol. 4, 2006, pagg. 830-844. 14 Non mancano giudizi severi sui profili procedurali dei processi di Norimberga e

Tokyo. L’adozione di un modello processuale di tipo prevalentemente accusatorio tipico

dei sistemi di common law -in cui ogni mezzo di prova deve essere acquisito oralmente

nel corso del dibattimento e dunque sottoposto all’esame incrociato da parte di accusa e

difesa- avrebbe a priori posto gli imputati nazisti in una posizione di svantaggio, dal

momento che gli Alleati avevano confiscato tutti i documenti rilevanti e negato alla

difesa l’accesso a questi ultimi. D. IRVING, Nuremberg: The Last Battle, London, 1996. 15 Si ricordano, tra gli altri, la fucilazione di ufficiali polacchi da parte dell’esercito

sovietico nella foresta di Katyn, il bombardamento a tappeto delle città tedesche di

Dresda e Amburgo, l’esplosione di ordigni atomici nelle città giapponesi di Hiroshima e

Nagasaki da parte degli Alleati. 16 Alla luce di queste considerazioni si comprende appieno il significato sostanziale

dell’aggettivo “militare” che qualifica i Tribunali di Norimberga e Tokyo. G.

GINSBURGS e V.N. KUDRIAVSTEV (a cura di), The Nuremberg Trial and

International Law, Dordrecht, 1990.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

19

a) la loro istituzione riposava sulla consuetudine classica conferente

allo Stato la facoltà di punire i criminali di guerra nemici;

b) i rispettivi Statuti erano diretta emanazione del diritto delle

potenze occupanti ad esercitare il loro sovrano potere legislativo su Stati

che si erano arresi senza condizioni (debellatio)17

;

c) benché la creazione dei TMI fosse avvenuta in patente violazione

di taluni profili del principio di legalità18

, la punizione dei crimini

17 Un’originale interpretazione a posteriori ha, invece, visto nel Tribunale di Norimberga

la prima manifestazione nella storia dell’esercizio collettivo della giurisdizione

universale da parte di una corte internazionale costituita attraverso trattato. M. SCHARF,

“The ICC’s Jurisdiction over the Nationals of Non-Party States: A Critique of the U.S.

Position”, in Law & Contemporary Problems, 2001, pag. 627. 18 Il principio di stretta legalità -che trova la sua origine nell’esigenza illuministica di

vincolare la sovranità dello Stato per porre la libertà dell’individuo al riparo da

interpretazioni che facciano filtrare nelle decisioni giudiziarie valori estranei alla tutela

del bene protetto dal divieto penale- opera, negli ordinamenti interni dei Paesi di civil

law, su almeno cinque piani: a) riserva assoluta di legge, b) precostituzione del giudice e

delle regole processuali, c) tassatività della previsioni di reato e delle pene conseguenti,

d) irretroattività, e) necessaria offensività del comportamento deviante. Non esistendo un

“legislatore” nel sistema di produzione del diritto internazionale, la riserva di legge

mantiene il suo fondamento nella necessità che le norme penali siano poste in essere

attraverso strumenti convenzionali ovvero si formino per consuetudine. La pre-esistenza

del giudice e delle regole disciplinanti lo svolgimento del processo costituiscono una

garanzia per l’imputato, in quanto lo pongono al riparo dall’arbitrio del sovrano ovvero

dello stesso giudice. La ratio della tassatività è connessa alla certezza del diritto: essa

rappresenta, infatti, una condizione indispensabile perché la norma penale possa

efficacemente fungere da guida del comportamento del cittadino, ponendolo nella

condizione di discernere senza ambiguità tra zone del lecito e dell'illecito. Il divieto di

retroattività comporta che tutti gli elementi dell'illecito, comprese le condizioni di

punibilità e di riferibilità dell'imperativo penale ad un soggetto ben determinato, nonché

le conseguenze penali, siano stabiliti (ed entrati in vigore) prima della commissione del

fatto. Il quinto ed ultimo profilo implica la necessità che oggetto delle fattispecie penali

siano esclusivamente valori la cui funzione consiste nel proteggere le condizioni minime

della vita in comune e la cui violazione può essere tradotta in termini di dannosità

sociale.

Sul piano strettamente formale, i Tribunali di Norimberga e Tokyo violarono sicuramente

il principio di legalità sotto i profili a), b) e d): all’epoca della loro costituzione, non

esistevano norme internazionali penali di tipo pattizio ovvero consuetudinario aventi

come diretto destinatario l’individuo (a); giudici e procedure furono costituiti dopo la

commissione dei reati (b); le fattispecie incriminatorie previste dai rispettivi Statuti

furono applicate retroattivamente (d).

Va, tuttavia, rimarcato che, così come è formulato, il principio di legalità può essere

invocato solo in quegli ordinamenti che lo hanno riconosciuto e adottato assieme alla

separazione dei poteri. Ne deriva che esso, come non poteva essere invocato negli

ordinamenti nazionali prima della rivoluzione francese, così non può essere utilizzato

come metro di paragone nell’ordinamento internazionale esistente alla fine della Seconda

Guerra Mondiale. Peraltro, quest’ultimo si basava allora su consuetudini e appariva,

pertanto, lontano dai sistemi di civil law (basati su leggi scritte ed elencazioni tassative di

CAPITOLO PRIMO

20

commessi da individui delle potenze dell’Asse era stata ripetutamente

preannunciata, almeno sin dal 1941, ed era diventata vincolante e precisa

con la Dichiarazione congiunta di Mosca;

d) l’applicazione retroattiva delle norme materiali poste dagli Statuti

dei TMI era solo apparente: i crimini di guerra erano già da tempo

riconosciuti dal diritto internazionale pattizio19

e consuetudinario; i

crimini contro la pace erano sorretti, nell’ambito del diritto pattizio, da

numerosi trattati internazionali20

; i crimini contro l’umanità avrebbero

potuto essere legalmente perseguiti purché in esecuzione ovvero in

collegamento con i crimini di guerra e contro la pace21

;

e) i TMI si auto-legittimarono, specie nei discorsi dei loro

procuratori, come organi di giustizia internazionale operanti in nome dei

sessanta popoli della neonata Organizzazione delle Nazioni Unite

(ONU).

I.2 Da Norimberga ai Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia ed il

Ruanda: la giustizia selettiva

Esauritasi la fase dei processi di Norimberga e Tokyo, risultando la

comunità internazionale ancora priva di organi attraverso i quali

affermare la propria autorità su individui ritenuti colpevoli di crimini

fatti), e, semmai, prossimo a quelli di common law (ancorati al precedente -stare decisis-

e alla consuetudo). 19 Convezioni dell’Aja del 1899 (ivi inclusa la c.d. “clausola Martens”) e del 1907. 20 Si ricordino la Convenzioni dell’Aja sulla risoluzione pacifica delle controversie del

1899 e del 1907, il Protocollo di Ginevra sulla risoluzione pacifica delle controversie del

1924, la Dichiarazione sulle guerre d’aggressione del 1927 ed il Trattato internazionale

per la rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale del 1928 (meglio noto

come “Patto Briand-Kellog”). 21 Le ragioni di questa definizione non erano di teoria generale del reato ma

squisitamente politiche, come si desume dalle osservazioni del procuratore del TMI di

Norimberga Robert H. Jackson, il quale rappresentò peraltro gli USA in sede di stesura

dello Statuto del Tribunale: “da tempo immemorabile, è principio generale della politica

estera del nostro governo di non intervenire negli affari interni di un altro governo. Il

modo in cui la Germania, o qualsiasi altro paese, tratta i suoi abitanti, non è affare nostro,

come non sarebbe affare di un altro governo intromettersi in nostri problemi. (…) Credo

non esistano basi giuridiche per occuparci delle atrocità senza collegarle con la guerra.”

(nostra traduzione da testo disponibile on line sul portale “The Avalon Project”

dell’Università di Yale <http://www.yale.edu/lawweb/avalon/avalon.htm>. Tale

escamotage ermeneutico implicò, tuttavia, l’esclusione dall’ambito di competenza

ratione materiae dei TMI di tutte le azioni corrispondenti alle fattispecie di crimini

contro l’umanità ma commesse prima della guerra. Per completezza, va precisato che la

già richiamata Control Council Law no. 10 del 20 dicembre del 1945, innovando rispetto

allo Statuto di Norimberga, ammise la possibilità di un’autonoma valutazione dei crimini

contro l’umanità.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

21

internazionali, furono nuovamente gli Stati ad agire in forza dei rispettivi

ordinamenti interni. Processi vennero intentati dagli Stati che avevano

subito l'occupazione nazista nei confronti di militari tedeschi ovvero di

propri cittadini che avevano collaborato con l'occupante. La stessa

Germania processò oltre cinquantamila tedeschi per crimini commessi

durante gli eventi bellici del 1939-1945. Anche in Italia vennero

celebrati numerosi processi, in applicazione delle norme contenute nel

Codice penale militare di guerra.

Contemporaneamente a questa ondata di giudizi nazionali, la

comunità internazionale, soprattutto nell’ambito della neonata ONU, si

impegnò nel perseguimento di due distinti ma correlati obiettivi: la

codificazione del diritto internazionale penale e l’istituzione di un

Tribunale internazionale penale permanente.

Quanto al primo degli obiettivi, si poté assistere ad un fenomeno di

progressiva creazione, e talvolta sovrapposizione, di norme penali

afferenti allo jus in bello e a quello applicabile in tempo di pace.

L'Assemblea Generale (AG) dell’ONU riaffermò, nel 1946, “i principi di

diritto internazionale sanciti dalla Carta del Tribunale di Norimberga e

dalla sentenza”22

, con ciò favorendo la consacrazione della citata Carta

quale fonte di norme internazionali generali. L’anno successivo la stessa

AG istituì la Commissione di Diritto Internazionale (CDI), richiedendole

contestualmente di dare compiuta formulazione ai c.d. “principi di

Norimberga”, nonché di elaborare un progetto di “Codice delle Offese

alla Pace ed alla Sicurezza dell’Umanità”23

: il primo incarico sarebbe

stato portato a termine nel 195024

, il secondo nel 195425

. L’AG mirò, con

22 Risoluzione n. 95 del dicembre del 1946. Già con la risoluzione n. 3 del 13 febbraio

dello stesso anno, l’AG aveva preso atto della definizione delle fattispecie criminose

come formulata dallo Statuto di Norimberga, raccomandando agli Stati di prendere le

misure necessarie per l’arresto dei criminali. 23 Risoluzione n.177 del 21 novembre del 1947. 24 Per via induttiva la CDI codificò sette principi: 1) la responsabilità penale è individuale

(senza pregiudizio per quella dello Stato in caso di mancata prevenzione e repressione),

2) i crimini internazionali sono indipendenti da quelli secondo il diritto nazionale, 3) e 4)

il fatto di ricoprire una funzione statale di alto livello ovvero l’esecuzione di un ordine

superiore non costituiscono cause esimenti dalla responsabilità per crimini internazionali,

5) il soggetto cui sia addebitato un crimine internazionale ha diritto ad un equo processo,

6) i crimini internazionali sono quelli di cui all’art. 6 dello Statuto del Tribunale di

Norimberga (dunque, i crimini contro l’umanità sono ancora subordinati alle altre due

fattispecie), 7) la complicità costituisce crimine internazionale. 25 Il progetto di Codice del 1954 -per il quale si veda in Yearbook of the International

Law Commission, 1954, vol. II- si componeva di soli quattro articoli, il cui contenuto

normativo era quasi totalmente modellato sulla Carta di Norimberga e sulla Convenzione

contro il genocidio. I crimini contro l’umanità, tuttavia, non risultavano più collegati ai

CAPITOLO PRIMO

22

queste iniziative, ancorché non produttive di atti vincolanti, a radicare

presso la comunità internazionale l’opinio juris ac necessitatis per sanare

l’unilateralità e la retroattività dei principi di Norimberga. Nel frattempo,

importanti strumenti di hard law erano stati predisposti: proprio un

giorno prima di approvare la Dichiarazione Universale dei Diritti

dell’Uomo, il 9 dicembre del 1948, l’AG aveva aperto alla firma la

Convenzione contro il genocidio, recante una disposizione (l’art. 2) -

invero giammai attuata- sull’istituzione di una corte internazionale con

competenza esclusiva sul crimine; l’anno successivo, le quattro

Convenzioni di Ginevra avevano sancito, per volontà di un’apposita

Conferenza diplomatica, il consolidamento dei diritti di prigionieri, feriti

e malati, naufraghi e civili coinvolti in operazioni militari26

.

Vent’anni dopo, nel 1968, l’AG approvò una risoluzione

sull’imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità27

e, nel 1973, un’altra

sulla repressione universale, ove si chiedeva agli Stati la cooperazione

internazionale per la ricerca, l'arresto, l'estradizione e la punizione delle

persone colpevoli di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. Il 30

novembre del 1973 la Convenzione contro l’apartheid e il 10 dicembre

del 1984 quella contro la tortura segnarono un ulteriore progresso nella

definizione delle fattispecie penali di rilevanza internazionale.

Comuni ai citati strumenti convenzionali sono il recepimento e

l’ulteriore sviluppo del principio di giurisdizione penale universale28

, già

introdotto nel 1927 dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale29

.

crimini di guerra e contro la pace, benché la bozza del 1950 avesse confermato tale

connessione. 26 Un articolo comune alle quattro Convenzioni (art. 3) aveva posto in capo ai belligeranti

l’obbligo di assicurare un minimum di trattamento umanitario anche alle persone

coinvolte nei conflitti interni; lo stesso articolo aveva auspicato l’estensione, anche a

questo genere di conflitti, di tutte le garanzie proprie dello jus in bello, invito accolto nel

II Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977. 27 Risoluzione n. 2391 del 26 novembre del 1968. A livello regionale la Dichiarazione è

stata ispiratrice di uno strumento pattizio, come tale vincolante: la Convenzione Europea

sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e contro l’umanità, approvata a Strasburgo il

25 gennaio del 1974. 28 Non può accettarsi l’obiezione secondo cui detti trattati prevedrebbero un principio di

giurisdizione universale di tipo meramente “convenzionale”, essendo vincolanti soltanto

inter partes. In seguito alla diffusa adesione degli Stati alle rispettive convenzioni che

espressamente li vietano, nonché per effetto del largo consenso registratosi in sede di

giurisprudenza (nazionale ed internazionale) e di dottrina, le fattispecie incriminatorie cui

il principio si riferisce sono, infatti, da considerarsi inequivocabilmente vietate dal diritto

internazionale generale. 29 In occasione del “caso Lotus”, la Corte non solo appurò l’inesistenza di norme di

diritto internazionale impedienti ad uno Stato di giudicare uno straniero per un fatto

commesso al di fuori del proprio territorio ma affermò che “(...) in assenza di una Corte

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

23

Essi, infatti: a) radicano la competenza degli Stati contraenti a perseguire

individui sospettati di taluni crimini, prescindendo dalla sussistenza di un

particolare criterio di collegamento (territorialità, nazionalità

attiva/passiva, difesa dello Stato); b) chiamano gli Stati parti che non

intendano esercitare l’azione penale ad estradare il sospettato verso un

altro Stato parte che ne faccia richiesta (aut dedere aut judicare). Da

un’analisi comparata delle summenzionate convenzioni non emerge,

tuttavia, una definizione univoca del principio aut dedere aut judicare30

.

Da una parte, la Convenzione contro la tortura31

, al pari del corpus

convenzionale di Ginevra sui crimini di guerra32

, accoglie il sistema

teorico di punibilità assoluta, in quanto formula il principio in termini di

obbligo per lo Stato parte di sottoporre a giudizio il presunto autore di un

crimine internazionale, ovunque esso sia stato commesso, ovvero di

estradarlo verso uno degli Stati competenti in ragione del principio di

territorialità o di nazionalità attiva e/o passiva33

. D’altra parte, le

Internazionale, l’ordinamento internazionale deve ricorrere ai poteri legislativi e

giudiziari di ogni Paese, per dare attuazione alle proprie disposizioni penali e giudicare i

criminali. La competenza e la giurisdizione per giudicare di crimini di diritto

internazionale sono universali.” The S. S. Lotus (France v. Turkey), 1928 PCIJ Series A,

no. 10. Va rilevato che la facoltà per qualsiasi Stato di catturare la nave pirata e punire i

membri dell’equipaggio configurava, già per il diritto internazionale generale classico, il

principio di universalità della giurisdizione penale, essendo i pirati considerati hostes

humani generis. 30 Della codificazione della norma aut dedere aut judicare -in quanto estrinsecazione del

principio di giurisdizione universale- è stata recentemente incaricata la CDI (risoluzione

dell’AG dell’ONU n. 60 del 6 gennaio del 2006). Un rapporto preliminare, nel quale si

enucleano i principali problemi da affrontare, è stato presentato dalla Commissione il 12

luglio del 2006. International Law Commission, Preliminary report on the obligation to

extradite or prosecute (“aut dedere aut judicare”), 7 June 2006. 31 Art. 5, co. 3. 32 Testo comune del co. 2 degli artt. 49, 50, 129 e 146, rispettivamente, della I, II, III e IV

Convenzione di Ginevra, nonché art. 85 del I Protocollo aggiuntivo del 1977. 33 Al di là di questa importante analogia, va rimarcato che, in base ad un’interpretazione

strettamente letterale, soltanto le Convenzioni di Ginevra del 1949 prevedrebbero il

principio della giurisdizione universale in senso stretto (o puro), visto che l’obbligo di

aut dedere aut judicare è previsto senza alcun esplicito riferimento alla presenza del

sospettato nel territorio dello Stato parte (c.d. “giurisdizione universale in absentia”). La

Convenzione contro la tortura, invece, condiziona l’attivazione dell’obbligo alla

materiale presenza del sospettato nel territorio dello Stato parte (c.d. “giurisdizione

universale in personam). In questo caso, si è parlato di principio di giurisdizione

universale in senso improprio (o spurio), più correttamente qualificabile come “principio

di giurisdizione territoriale per fatti extraterritoriali”. R. O’KEEFE, Universal

Jurisdiction - Clarifying the basic concept, in “Journal of International Criminal Justice”,

2, 2004, pagg. 735-760. Il concetto di “presenza” è stato autorevolmente assimilato, in

dottrina, a quello di “custodia”, per cui ad aver competenza in ordine al crimine sarebbe

CAPITOLO PRIMO

24

Convenzione contro l’apartheid34

e contro il genocidio35

si rifanno al

sistema teorico di punibilità relativa, giacché conferiscono agli Stati parti

soltanto la facoltà di giudicare ovvero di estradare36

.

Benché nel diritto internazionale generale non sia ancora stato

trasceso il paradigma della punibilità relativa37

, il principio di

giurisdizione universale per i crimina juris gentium rappresenta

comunque un passo significativo nell’ideale percorso di sostituzione del

modello westphaliano-groziano di comunità internazionale -basato sulla

reciprocità tra Stati pienamente sovrani- con quello kantiano che

considera centrale l’esistenza di valori universali inerenti l’essere umano

in quanto tale.

Quanto all’obiettivo di istituire una corte penale internazionale, già

nel 1948, l’AG dell’ONU incaricò la CDI di compiere uno studio sulla

possibilità di rendere effettivamente operativa quella prevista

nell’appena approvata Convenzione contro il genocidio38

;

funzionalmente a tale scopo, alla CDI fu altresì richiesto di valutare la

possibilità di creare una Camera penale nell'ambito della Corte

Internazionale di Giustizia (CIG)39

. La CDI si pronunciò favorevolmente

sul primo punto ma sul secondo espresse l'avviso che la creazione di una

Camera penale all'interno della CIG avrebbe reso necessaria una

modifica dello Statuto di quest'ultima, dato che, in base all’art. 34, solo

gli Stati avrebbero potuto essere parti nei processi dinanzi alla Corte

medesima. Nel 1950 e nel 1952, l'AG istituì due comitati ad hoc, perché

solo il forum deprehensionis (si legga: lo Stato in cui avviene la cattura). A. CASSESE,

International Law, Oxford, 2001, pag. 261 e ss. 34 Art. V. 35 Art. VI. 36 Mutatis mutandis, per queste Convenzioni, l’attivazione della facoltà è condizionata

alla materiale presenza del sospettato nel territorio dello Stato parte. Va precisato che la

Convenzione sul genocidio prevedeva il principio aut dedere aut judicare (art. 7)

unicamente per quegli Stati che non avessero accettato la giurisdizione di una corte

internazionale dedicata. Quest’ultima, come già accennato, non fu mai istituita, per cui il

principio di giurisdizione universale assurse a regola per l’attuazione dell’articolato

convenzionale. 37 L’assenza di un obbligo, sancito dal diritto internazionale generale, ha consentito un

utilizzo strumentale e nazionalistico del principio di giurisdizione universale. L’Italia, ad

esempio, ha avuto interesse a perseguire e punire gli autori dei crimini commessi negli

anni Settanta e Ottanta dalla dittatura argentina solo nella misura in cui questi ultimi

fossero stati perpetrati contro cittadini italiani (criterio della nazionalità passiva).

Analogamente, alla fine degli anni Novanta, la Spagna si è spesa per perseguire l’ex

dittatore cileno Augusto Pinochet per crimini commessi in territorio cileno contro

cittadini spagnoli. 38 Risoluzione n. 260 del 9 dicembre del 1948. 39 Risoluzione n. 260 B del 9 dicembre del 1948.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

25

elaborassero delle proposte per lo Statuto di una Corte internazionale

penale. Uno di tali Comitati si cimentò, in particolare, nella spinosa

questione dei rapporti tra l’istituenda Corte e l’ONU. Una complicazione

di non poco conto derivò dall'intrecciarsi della questione concernente

l’istituzione di una giurisdizione internazionale penale con altri due

controversi temi già da tempo all'esame dell’ONU. Il primo riguardava la

definizione - con implicazioni più politiche che giuridiche nel clima di

montante tensione della guerra fredda- del crimine di “aggressione”. Il

secondo era quello relativo all’elaborazione del già richiamato progetto

di “Codice delle Offese alla Pace e alla Sicurezza dell'Umanità”. Nel

1954, l'AG, non pervenendo ad una definizione condivisa del crimine di

aggressione, decise per l’accantonamento del progetto di Codice -che nel

frattempo le era stato presentato dalla CDI40

- nonché del progetto di

Statuto di un tribunale penale internazionale41

.

La definizione di aggressione venne approvata nel dicembre del

197442

e solo allora fu soddisfatta la principale condizione giuridico-

politica perché potesse essere ripreso l'esame delle questioni rimaste in

quiescenza. In ogni caso, i tempi morti furono notevoli: solo nel 1981,

infatti, la CDI fu invitata a rioccuparsi del progetto di Codice43

. I lavori

della CDI durarono per ben quattordici anni, costellati da alterne

vicende. Sin dall'inizio, fu evidenziato il problema della stretta

connessione esistente tra la questione del Codice e quella dell’istituzione

di una giurisdizione internazionale penale, tanto che, nel 1983, la CDI

chiese all'AG di indicare “whether the Commission’s mandate extends to

the preparation of the statute of a competent international criminal

jurisdiction for individuals”, considerato che “a code unaccompanied by

penalties and by a competent criminal jurisdiction would be

ineffective”44

. Soltanto nel 1989, l'AG invitò la CDI ad approfondire,

nell'ambito dello studio del progetto di Codice, anche il problema

concernente l’istituzione di una giurisdizione internazionale penale45

.

Nel 1992, l’invito si trasformò nella prioritaria richiesta di elaborare un

progetto di Statuto per una Corte Penale Internazionale. Questo fu

presentato all’AG nel 1994, la quale lo sottopose ad un Comitato

40 L’AG motivò questa prima decisione, ritenendo che vi fosse una stretta connessione tra

la definizione di aggressione e la definizione di alcuni dei crimini contenuti nel progetto

di Codice. 41 Risoluzione n. 1187/XII del 14 dicembre del 1954. 42 Risoluzione n. 3314/XXIX del 14 dicembre del 1974. 43 Risoluzione n. 36/106 del 10 dicembre del 1981. 44 Yearbook of the International Law Commission, 1984, vol. II, Part Two, par. 69. 45 Risoluzione n. 44/39 del 4 dicembre del 1989.

CAPITOLO PRIMO

26

intergovernativo ad hoc affinché si potesse addivenire ad un testo

largamente condiviso da sottoporre, in prospettiva, ad una conferenza

internazionale.

Mentre l’intelligenza dei giuristi e la diplomazia delle cancellerie si

cimentavano nell’impresa di progettare norme penali e meccanismi

giurisdizionali capaci di fungere da deterrente alle più violente

manifestazioni della volontà umana, la storia, col suo irruente e

drammatico corso, precipitò gli eventi, dettando una nuova gerarchia di

priorità per la comunità internazionale. La necessità di non lasciare

impuniti i gravi crimini commessi da individui nelle guerre civili della ex

Jugoslavia e del Ruanda -motivata dal timore che le rispettive

popolazioni, in assenza di giustizia, tornassero ad avvitarsi in una faida

etnica di proporzioni regionali- condusse il CS dell’ONU a decidere

l’istituzione, nel 1993 e nel 1994, di due Tribunali Penali Internazionali

ad hoc (TPIh). Ad essi fu dato mandato di perseguire gli individui46

,

indipendentemente dalla loro nazionalità47

, responsabili di crimini di

guerra, genocidio e crimini contro l’umanità48

commessi nei territori

della ex Jugoslavia e del Ruanda49

in periodi di tempo ben definiti50

.

46 Ciò esclude i crimini commessi da Stati e da persone giuridiche ed associazioni; questi

ultimi erano invece perseguibili in base agli artt. 9 e 10 dello Statuto di Norimberga e

all’art. 5 dello Statuto di Tokyo: la qualificazione di una associazione come criminale

avrebbe comportato l’automatica colpevolezza dei suoi componenti. 47 I due TPIh considerano per Statuto irrilevante la nazionalità dell’autore del crimine,

facendo propria una competenza ratione personae teoricamente illimitata ma di fatto

circoscritta agli individui delle sole entità in guerra; sono esclusi, stando alla prassi finora

sviluppata, gli individui facenti capo a Stati terzi ed ad organizzazioni internazionali

intervenuti in teatro. 48 Si tratta, a ben vedere, di una competenza più ristretta rispetto a quella dei TMI, i quali

avevano giudicato anche sui crimini contro la pace. Una tale limitazione fu

probabilmente dovuta, almeno per il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia

(TPIJ), all’esigenza politica di evitare che un organo giurisdizionale si pronunciasse sulle

cause e sulle responsabilità del conflitto interferendo con i lavori della Conferenza di

pace che avrebbe portato agli accordi di Dayton del dicembre del 1995. L’ipotizzata

esigenza sarebbe rivelatrice dell’esistenza di un trade-off tra giustizia e sicurezza

internazionali. Va, inoltre, precisato che, secondo l’art. 5 dello Statuto del TPIJ, i crimini

contro l’umanità risultano perseguibili solo se in connessione temporale con le vicende

belliche. L’analogia con le Carte di Norimberga e Tokyo è solo apparente: il diritto

internazionale generale ha oramai acquisito il principio secondo cui i crimini contro

l’umanità sono punibili a prescindere dalla sussistenza di un conflitto (internazionale o

interno); pertanto, l’incompetenza del TPIJ rispetto a casi non sottesi da vicende

conflittuali sarebbe da ricondurre al fatto che l’istituzione dello stesso è avvenuta in base

ai poteri in tema di ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. G.

CARELLA, “Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia” in P. PICONE (a

cura di), Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, 1995, pag. 501 e ss. Lo

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

27

Concorrenza e primato (primacy) furono posti come principi

regolatori del rapporto tra l’allora nascente giurisdizione internazionale e

le pre-esistenti giurisdizioni nazionali. Avendo i tribunali interni agli

Stati giurisdizione rispetto ai crimini perseguiti dai due TPIh, si optò per

il principio della giurisdizione concorrente; tuttavia, ai TPIh fu data

priorità sui tribunali nazionali, potendo i primi, in ogni fase del

procedimento, richiedere formalmente che il caso trattato da un giudice

di uno Stato fosse deferito alla propria competenza in conformità a certe

norme procedurali. Inoltre, obblighi di cooperazione ed assistenza

giudiziaria nelle indagini e nel perseguimento dei criminali furono posti

in capo agli Stati membri dell’ONU.

Quello che all’opinione pubblica mondiale apparve prima facie un

importante progresso per la giustizia internazionale penale51

, non mancò,

tuttavia, di sollevare dubbi e rivelare limiti.

Anzitutto, l’individuazione della base legale dei Tribunali ad hoc ha

acceso un vivace dibattito, che, lungi dal rappresentare un certamen

accademico-dottrinale, ha ribadito la centralità e la delicatezza del tema

della legittimità giuridica delle giurisdizionali internazionali penali.

Statuto del Tribunale per il Ruanda non prevede la necessità di una connessione tra

crimini contro l’umanità e conflitto armato. 49 Va puntualizzato che la competenza ratione loci dei Tribunali di Norimberga e Tokyo

non era stata soggetta ad alcuna limitazione, dato il carattere mondiale della guerra del

1939-1945. Va, inoltre, precisato che la competenza ratione loci del Tribunale per il

Ruanda è estesa anche a violazioni commesse -da cittadini ruandesi- nel territorio di Stati

limitrofi allo stesso Ruanda. 50 Il TPIJ (con sede a l’Aja) è competente per i crimini commessi a partire dal 1° gennaio

del 1991; il TPIR (con sede ad Arusha, in Tanzania) è, invece, competente per i crimini

commessi dal 1° gennaio del 1994 al 31 dicembre del 1994. Diversamente dai Tribunali

di Norimberga e Tokyo (istituiti alla fine della seconda guerra mondiale dopo la

definitiva sconfitta delle Potenze dell’Asse) e persino dal Tribunale “gemello” per il

Ruanda (istituito quando la guerra civile tra le etnie Tutsi ed Hutu era abbondantemente

terminata), il TPIJ fu istituito quando il conflitto ancora infuriava nella ex Jugoslavia.

Ciò spiega l’assenza di un dies ad quem della competenza ratione temporis del TPIJ. 51 E’ innegabile lo straordinario progresso conseguito dal diritto internazionale

umanitario grazie all’attività ermeneutica dei due TPIh. Sul piano sostanziale, tra i

diversi precedenti stabiliti per via giurisprudenziale sono degni di menzione:

l’introduzione di un metodo -c.d. “overall control test”- per la verifica dell’esistenza di

un conflitto armato internazionale che, superando il più esigente “effective control test”

della CIG, ha esteso l’ambito di applicazione delle gravi violazioni delle Convenzioni di

Ginevra del 1949; la considerazione dell’etnia come fattore sostanziale determinante, nei

moderni conflitti interni, l’appartenenza nazionale ai sensi e per gli effetti delle citate

Convenzioni di Ginevra; l’enucleazione di cruciali elementi definitori del crimine di

genocidio; la qualificazione delle fattispecie di “riduzione in schiavitù” e “persecuzione”

come crimini contro l’umanità; l’ampliamento la dottrina della “command

responsibility”.

CAPITOLO PRIMO

28

All’atto di istituirli con apposite risoluzioni52

, cui erano allegati i

rispettivi Statuti, il CS aveva individuato nel Capitolo VII della Carta

dell’ONU la fonte normativa legittimante la creazione dei due

Tribunali53

. Con evidenza, il Capitolo VII della Carta -fino a quel

momento utilizzato per vincolare gli Stati in azioni collettive implicanti

o meno l’uso della forza- era stato interpretato in senso estensivo ed

innovativo, facendo discendere dai poteri del CS in materia di

mantenimento della pace e della sicurezza internazionale anche la facoltà

di costituire organi giurisdizionali tesi a perseguire gravi crimini

internazionali54

. Più esplicitamente -come in seguito precisato dal TPIJ

in occasione della decisione del 2 ottobre del 1995 della Camera

d’Appello sul caso Dusko Tadic- la punizione dei colpevoli dei crimini

più gravi e la lotta all’impunità sono stati considerati dal CS passi

obbligati per il ristabilimento della pace55

. La scelta del CS è stata ed è

52 Il TPIJ fu istituito con la risoluzione n. 827 del 25 maggio del 1993; quello per il

Ruanda con la risoluzione n. 955 dell’8 novembre del 1994. Essendo gli Statuti

necessariamente scarni in tema di regole processuali, per poter effettivamente operare, i

Tribunali hanno dovuto elaborare dettagliati regolamenti interni sulle regole di procedura

e di prova. Ciò facendo, essi hanno rilanciato il processo -già avviato dai TMI- di

creazione e codificazione di una procedura penale internazionale, un processo non meno

importante di quello avente ad oggetto il diritto internazionale penale materiale. La

procedura dei TPIh ha fatto propri sia elementi del modello inquisitorio, tipico degli

ordinamenti continentali di civil law, sia elementi del modello accusatorio, proprio degli

ordinamenti di common law. 53 Le ragioni per cui i due TPIh non furono istituiti attraverso appositi trattati

internazionali, piuttosto che con atti c.d. “derivati”, sono ricostruibili guardando al caso

jugoslavo. Con la risoluzione n. 808 del 22 febbraio del 1993, il CS aveva richiesto al SG

di preparare una bozza di Statuto per il TPIJ, lasciando a lui la valutazione delle opzioni

disponibili per l’istituzione dello stesso. Il SG sconsigliò la via del trattato internazionale:

tempi relativamente lunghi sarebbero stati necessari per negoziarne il testo nonché per

raggiungere il numero di ratifiche necessario per l’entrata in vigore; inoltre, non vi erano

garanzie circa il fatto che tutti gli Stati sorti dallo smembramento della Repubblica

Socialista Federale di Jugoslavia (RSFJ) lo avrebbero ratificato; infine, non era chiaro

quali fra questi Stati avrebbero dovuto essere parti del trattato, affinché questo fosse

veramente efficace. Per queste ragioni -mutatis mutandis valide per il Ruanda- il SG

suggerì che il Tribunale fosse istituito con una decisione del CS sub capitolo VII della

Carta dell’ONU. Si veda Report of the Secretary-General, pursuant to paragraph 2 of

Security Council Resolution 808 (1993), 3 May 1993, par. 18-30. 54 Il SG dell’ONU aveva addirittura suggerito, nel rapporto citato alla nota precedente, di

porre alla base della decisione del CS, oltre al Capitolo VII, anche l’art. 29 della Carta, il

quale autorizza il CS medesimo ad istituire organi sussidiari necessari per l’esercizio

delle sue funzioni. Tuttavia, in base alla Carta, non è espressamente previsto che il CS

possa esercitare funzioni giurisdizionali per il mantenimento della pace e della sicurezza

internazionale. G. CARELLA, op. cit., pag. 475 e ss. 55 La citata decisione ha, inoltre, precisato che all’interno del Capitolo VII la base

giuridica per l’istituzione del Tribunale sarebbe da individuarsi nell’articolo 41,

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

29

tuttora oggetto di contestazioni da parte di chi, in dottrina, ritiene che

tale organo non abbia, in base alla lettera del Capitolo VII, il potere di

istituire tribunali. Il CS si sarebbe, in un certo senso, arrogato un potere

legislativo che l’atto costitutivo dell’ONU non gli conferisce. D’altra

parte, si è anche sostenuto che una lettura sistematica del Capitolo VII,

in cui vengano considerate anche la prassi e le norme esterne alla Carta,

sarebbe suscettibile di fondare con certezza la legittimità dei due TPIh.

L’iter argomentativo seguito è sintetizzabile nei seguenti passaggi: la

Carta affida la responsabilità principale per il mantenimento della pace al

CS (art. 24 par. 1) che, per assolverla, agisce, secondo l’articolo 51, “in

tutti i momenti nella maniera che giudica necessaria” ma pur sempre in

modo “conforme ai principi dell’ONU” (art. 24), tra i quali sicuramente

rientrano quelli di giustizia. Secondo questa interpretazione il CS,

istituendo i due Tribunali, non avrebbe violato i principi della Carta in

senso stretto; piuttosto, impegnandosi a far rispettare il diritto umanitario

di fronte a violazioni gravi, qualificate come minacce alla pace, esso

avrebbe agito in modo pienamente legittimo alla luce degli odierni

principi di diritto internazionale incorporati nella Carta. Altre

interpretazioni hanno individuato al di fuori dell’articolato della Carta il

fondamento per l’istituzione dei Tribunali. Si è autorevolmente

sostenuto56

che i TPIh, più che misure per il ristabilimento della pace,

costituirebbero una “sanzione” irrorata dall’ONU per conto degli Stati

operanti ai sensi del diritto internazionale generale in reazione ad illeciti

erga omnes57

. Nulla impedisce, infine, di considerare la creazione dei

TPIh come un’ulteriore estrinsecazione del principio di giurisdizione

universale, applicato non più da parte dei soli Stati ma anche da parte di

un altro soggetto internazionale, quale l’ONU.

A quello della base giuridica vanno aggiunti altri limiti, che

condizionano pesantemente il giudizio complessivo sui TPIh.

riguardante “le misure non implicanti l’uso della forza armata”, il cui elenco potrebbe

quindi essere considerato non esaustivo. In dottrina, il nesso tra giustizia e pace era già

stato sottolineato all’epoca dei TMI; nel 1944, Hans Kelsen aveva pubblicato “Peace

through law” (Ed. It.: La pace attraverso il diritto, a cura di L. Ciaurro, Torino, 1990),

saggio che può oggi essere considerato come l’incunabula della strategia istituzionale per

il raggiungimento della pace incentrata sulla centralità della funzione giudiziaria. 56 P. PICONE, “Sul fondamento giuridico del Tribunale penale per la ex Jugoslavia”, in

Comunità Internazionale, I, 1996, pagg. 3-24. 57 Il governo stesso del Ruanda, richiedendo l’attivazione del Tribunale, sostenne che il

genocidio ivi perpetrato era identificabile con la dizione di “crimini contro il genere

umano” e che, quindi, gli autori di questi crimini avrebbero dovuto essere puniti

dall’intera comunità internazionale.

CAPITOLO PRIMO

30

Sebbene la loro competenza ratione materiae sia stata

prudentemente circoscritta a fatti la cui natura di crimini internazionali

risultava sufficientemente certa già prima della creazione delle rispettive

giurisdizioni58

, i TPIh afferiscono pur sempre al paradigma di una

giustizia internazionale penale a posteriori e straordinaria. Infatti, in

punto di principio, affinché un soggetto possa essere considerato

penalmente responsabile non è sufficiente l’esistenza di una norma atta a

sanzionare un certo comportamento, ma è anche necessaria la pre-

costituzione di un giudice incaricato di applicarla59

.

Un altro limite di non secondaria importanza riguarda la materiale

disponibilità dei presunti criminali. I TPIh necessitano della

collaborazione degli Stati per poter effettivamente funzionare. A

differenza dei TMI, che disponevano dei maggiori sospettati -in quanto

prigionieri di guerra- nel caso jugoslavo, ed in misura meno estesa in

quello ruandese, alcuni degli ipotetici criminali non solo non sono stati

sconfitti ma godono dalla connivenza e protezione di entità militari e

para-militari60

.

V’è, poi, da considerare la questione finanziaria. Sostenuto per lo

più da contributi obbligatori e volontari degli Stati membri dell’ONU, il

bilancio di ciascuno dei due Tribunali ha assorbito, e continua ad

assorbire, cospicue risorse61

, tanto che lo stesso organo genitore, il CS,

ha fissato, con le risoluzioni n. 1503/2003 e 1534/2004, una strategia per

58 Con ciò appare superata quantomeno l’impronta punitiva del Tribunale di Norimberga,

la quale ha comportato critiche riguardo alla violazione del principio di legalità. 59 Nel caso dei due TPIh, il principio di legalità sarebbe stato violato anche sotto il già

ricordato profilo della riserva di legge: essi non sono stati creati attraverso trattato

internazionale bensì unilateralmente dal CS. 60 Si pensi ai criminali serbo-bosniaci Radovan Karadzic e Ratko Mladic, principali

sospettati, rispettivamente, per gli eccidi di Vukovar del 1991 e di Srebrenica del luglio

del 1995. Essi ancora oggi sfuggono alla giustizia del TPIJ, beneficiando della

connivenza delle autorità della Repubblica Srpska e della Serbia. 61 Lo stesso SG dell’ONU, in un rapporto dell’agosto del 2004, non ha potuto esimersi

dal rimarcare che: “The two ad hoc tribunals have grown into large institutions, with

more than 2,000 posts between them and a combined annual budget exceeding a quarter

of a billion dollars -equivalent to more than 15% of the Organization’s total regular

budget [in valore assoluto, circa 100 milioni di $ all’anno ciascuno dei due Tribunali].

Although trying complex legal cases of this nature would be expensive for any legal

system and the tribunals’ impact and performance cannot be measured in financial

numbers alone, the stark differential between cost and number of cases processed does

raise important questions”. Si veda The rule of law and transitional justice in conflict and

post-conflict societies, August 23, 2004, par. 42.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

31

il completamento (completion strategy) del loro mandato62

. Tale strategia

contempla tre scadenze: la chiusura di tutte le indagini entro il 2004, di

tutti i processi di primo grado entro il 2008, di tutti gli appelli entro il

201063

.

Ma il limite più grave riguarda la parzialità con la quale la comunità

internazionale, di cui il CS è esponenziale, ha applicato il principio “non

c’è pace senza giustizia” moralmente e giuridicamente posto dal CS a

fondamento dell’istituzione dei due TPIh. Sulla base di quest’ultimo,

ogni qual volta si presentasse una situazione di conflitto accompagnato

dalla commissione di crimini internazionali, l’ONU dovrebbe istituire un

TPIh. Tuttavia, la limitatezza dell’area geografica rispetto alla quale il

CS ha discrezionalmente ravvisato la necessità di istituire i Tribunali a

fronte delle numerose altre aree del mondo in cui si sono manifestate

gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, solleva il problema

di una “giustizia selettiva” che risponderebbe, secondo gran parte della

dottrina, a esigenze più politiche che legali e che indebolisce il

messaggio di giustizia e di eguaglianza di cui ogni corte dovrebbe essere

portatrice.

I.3 La Corte Penale Internazionale: verso una giustizia universale?

I limiti palesati dai Tribunali ad hoc hanno agito da catalizzatore sul

tema di una corte internazionale penale precostituita e permanente,

coagulando il necessario consenso politico per la ripresa e

l’accelerazione dell'iter della sua creazione. Nel 1995, l'AG, sulla scorta

del rapporto del Comitato ad hoc, istituì un Comitato Preparatorio di tipo

intergovernativo per approfondire il progetto di Statuto ed elaborare un

testo consolidato64

. Nel 1996, l’approvazione del progetto di “Codice

62 Il carattere permanente dei TPIh era in patente contrasto con la Carta dell’ONU che

prevede il carattere temporaneo delle misure ex art. 41. G. CARELLA, op. cit., pag. 477

e ss. 63 Connessa a questa decisione è stata l’attuazione di una riforma strutturale di ampio

respiro all’interno dei due Tribunali, finalizzata a renderli più efficaci ed efficienti. Tra le

misure adottate si segnalano: la nomina di giudici ad litem per accrescere la capacità di

tenere udienze, la focalizzazione dell’attività giudiziaria su casi di maggiore gravità ed il

deferimento di quelli meno gravi alle corti locali (rafforzate attraverso iniziative di

capacity-building). Sulla completion strategy si veda D. RAAB, “Evaluating the ICTY

and its Completion Strategy: Efforts to Achieve Accountability for War Crimes and their

Tribunals” in Journal of International Criminal Justice, vol. 3, 2005, pagg. 82-102. Sul

tema del deferimento e sulla relativa procedura si veda infra al par. II.4.3. 64 Risoluzione n. 50/46 dell’11 dicembre del 1995. Con la risoluzione immediatamente

successiva (n. 51/160 del 16 dicembre) l’AG richiamò l’attenzione del Comitato

Preparatorio sul progetto di Codice appena approvato dalla CDI, ritenendolo rilevante per

lo svolgimento dei lavori.

CAPITOLO PRIMO

32

delle Offese alla Pace e alla Sicurezza dell'Umanità”65

da parte della CDI

confermò la progressiva maturazione della volontà politica della

comunità internazionale. Prendendo atto di questi progressi, l'AG

dell’ONU, nel dicembre del 1996, decise che una conferenza diplomatica

di plenipotenziari degli Stati membri dell’ONU avrebbe dovuto tenersi

due anni dopo, per formalizzare e adottare la Convenzione

sull'istituzione di una Corte Penale Internazionale (CPI)66

. La

conferenza, cui parteciparono rappresentanti di 160 Paesi, fu ospitata a

Roma dal 15 giugno al 17 luglio del 1998. Lo Statuto della Corte fu

approvato a conclusione di un lungo e a tratti difficoltoso negoziato, il

cui esito, rimasto incerto fino all'ultimo, presenta luci ed ombre.

Tra le luci va sicuramente annoverato il recepimento di quelli che

possono essere oggi considerati i principi generali del diritto

internazionale penale, di cui i TPIh, per il fatto stesso di essere stati

costituiti dopo la commissione dei crimini, erano formalmente sforniti:

nullum crimen et nulla poena sine praevia lege poenali (e relativi

corollari: tassatività delle fattispecie, irretroattività delle legge penale

tranne che nel caso di favor rei) e pre-costituzione del giudice naturale.

Un altro aspetto positivo è il divieto di apporre riserve allo Statuto, il

quale si configura, pertanto, come un trattato “normativo”, spiegante

effetti in assoluto, cioè per ciascuna parte considerata per se, e non tra le

parti considerate inter se67

.

65 Il titolo del Codice era stato parzialmente modificato nel 1983 su proposta della

Commissione (il sostantivo “offese”, di cui alla versione del 1954, era stato sostituito da

“crimini”, termine la cui connessione semantica alla materia penale risultava più

immediata). Rispetto alla bozza del 1954, quella del 1996 (per la quale si veda in

Yearbook of the International Law Commission, vol. II, Part Two, 1996) esibisce un

articolato più lungo e complesso: la Parte 1 (artt. 1-15) è dedicata alle disposizioni

generali del diritto internazionale penale (ivi incluso, all’art. 9, il principio di

giurisdizione universale formulato accogliendo, tranne che per il crimine di aggressione,

il sistema teorico della punibilità assoluta in personam), la Parte 2 (artt. 16-20) è, invece,

focalizzata sulle fattispecie criminose (aggressione, genocidio, crimini contro l’umanità,

crimini contro l’ONU e il personale associato, crimini di guerra). Il progetto di Codice

adottato in prima lettura nel 1991 includeva tipologie incriminatorie innovative rispetto a

quelle di cui all’art. 2 della bozza del 1954, tra le quali: colonialismo, mercenarismo, uso

di armi atomiche, terrorismo internazionale, narcotraffico, aggressione economica, gravi

ed intenzionali danni all’ambiente umano. L’assenza di tali delitti nella versione

consolidata del 1996 è indice della mancata volontà degli Stati (che tra la prima e la

seconda lettura hanno presentato commenti e osservazioni) di avallare un’estensione

della nozione di “crimine contro la pace e la sicurezza dell’umanità”. 66 Risoluzione n. 51/207 del 17 dicembre del 1996. 67 G.G. FITZMAURICE, “Reservations to multilateral conventions” in International and

Comparative Law Quarterly, vol. 2, January 1953, pag. 15.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

33

Sull’altare dell’integrità dello Statuto si è tuttavia dovuto sacrificare

la più larga adesione allo stesso. L'approvazione non è avvenuta per

consensus, ma a maggioranza, seppure numericamente larghissima.

Costituisce sicuramente un'ombra il fatto che, tra gli Stati contrari, ve ne

siano tre (Cina, India e Stati Uniti) che rappresentano, nel loro insieme,

oltre il 40% della popolazione mondiale. Inoltre due di essi sono membri

permanenti del CS e uno di loro, gli USA, è la prima potenza militare ed

economica del pianeta68

. Proprio la vigorosa opposizione di questo

Stato69

, ennesima manifestazione di un atteggiamento unilaterale70

,

diminuisce la statura della Corte ed inibisce la sua effettiva operatività.

68 Clamoroso è da considerarsi anche il voto contrario di Israele, Paese che in ragione

della sua particolare condizione geopolitica è portato a condurre una politica di ordine

pubblico interno e di difesa continuamente in bilico tra legalità ed illegalità

internazionale. 69 Si precisa che, nonostante il voto contrario espresso in sede di conferenza diplomatica

dall’ambasciatore Scheffer, l’uscente amministrazione democratica aveva deciso, il 31

dicembre del 2000, di firmare lo Statuto di Roma; tuttavia, lo stesso presidente Clinton

non aveva potuto esimersi dall’affermare in quello stesso giorno: “I will not, and do not

recommend that my successor submit the Treaty to the Senate for advice and consent

until our fundamental concerns are satisfied”. Nel maggio del 2002, l’amministrazione

repubblicana Bush aveva poi deciso di non perfezionare la procedura di ratifica, con ciò

accogliendo pienamente le preoccupazioni manifestate dall’ambasciatore Scheffer al

Congresso: “Multinational peacekeeping forces operating in a country that has joined the

treaty can be exposed to the Court’s jurisdiction even if the country of the individual

peacekeeper has not joined the treaty. Thus (…) United States armed forces operating

overseas could be conceivably prosecuted by the international court even if the United

States has not agreed to be bound by the treaty. Not only is this contrary to the

fundamental principles of treaty law [corsivo nostro], it could inhibit the ability of the

United States to use its military to meet alliance obligations and partecipate in

multinational operations, including interventions to save civilian lives”. Le dichiarazioni

sono tratte dal portale internet del Dipartimento di Stato USA. Tuttavia, si è fatto notare

in dottrina (M. SCHARF, cit., pagg. 64, 67 e 98) che nessuna disposizione dello Statuto

della Corte impone a Stati che non sono parti obblighi di facere ovvero di non facere; la

prerogativa della Corte di perseguire un cittadino di uno Stato non Parte, anche in

assenza del suo consenso sullo specifico caso, si fonderebbe sul fatto che la maggior

parte delle fattispecie previste nello Statuto di Roma costituiscono crimini rispetto ai

quali già gli Stati hanno giurisdizione universale allorché il sospettato si trovi sul loro

territorio. 70 La lotta al terrorismo internazionale, dopo l’11 settembre del 2001, ha qualificato la

condotta americana in senso ulteriormente unilaterale, sollevando non pochi profili di

illiceità dal punto di vista del diritto internazionale; una concezione illiberale dello “stato

di necessità” ha consentito la compressione della dignità umana, legittimando pratiche

come: l’istituzione di commissioni militari speciali autorizzate ad operare in deroga ai

diritti fondamentali dei sospettati; la creazione di strutture di detenzione al di fuori del

territorio nazionale (Guantanamo, Abu Ghraib, Bagram), nelle quali sarebbe praticata la

tortura; le azioni di “extraordinary rendition” della CIA sul territorio di altri Paesi -

complici o meno (il caso Abu Omar è esemplare).

CAPITOLO PRIMO

34

La CPI, il cui Statuto è entrato in vigore il 1° luglio del 2002 in seguito

al deposito del sessantesimo strumento di ratifica71

, vede, infatti, il

proprio attuale e futuro ruolo frustrato dalla politica estera statunitense,

la quale ha messo a punto un efficace sistema giuridico-diplomatico per

garantire l’immunità dei propri cittadini da ogni azione penale72

.

Il fatto che la Corte sia finanziata da risorse dell’ONU, oltre che da

contributi degli Stati parti e da contributi volontari, ne rafforza il

carattere normativo ed universale, assicura effettività a lungo termine e

garantisce un grado di indipendenza apprezzabile. L’indipendenza (e

quindi la credibilità) della Corte risulta, tuttavia, pregiudicata almeno su

altri due versanti. Il primo è quello dell’attività ermeneutica: la soluzione

delle controversie tra i contraenti relative all’interpretazione dello Statuto

71 Il quadro giuridico-istituzionale della Corte (inter alia: adozione del regolamento di

procedura e prova, nomina dei magistrati e dei funzionari) è stato definito nel corso del

2003-2004 ed oggi essa è forte della membership di centoquattro Paesi. Tra le diverse

centinaia di casi segnalati, la Corte sta attualmente investigando, attraverso l’Ufficio del

Procuratore, su situazioni riferite, in relazione ai loro rispettivi territori, da tre Stati parti

(Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centro Africana); una quarta

situazione (Darfur-Sudan) è stata sottoposta alla Corte da parte del CS. I primi processi

potrebbero essere celebrati a partire dal 2007. 72 Tale sistema si basa essenzialmente su due strumenti: l’Atto per la Protezione del

Personale Americano in Servizio (APPAS) del 2002 e gli Accordi Bilaterali di Immunità

(ABI). L’APPAS è una legge approvata dal Congresso per proteggere i membri delle

forze armate americane, del Governo e lo stesso Presidente da possibili incriminazioni da

parte delle CPI; la legge vieta inter alia: tutte le forme di cooperazione giudiziaria con la

CPI; la partecipazione a missioni di pace rispetto alle quali il CS dell’ONU non abbia

previamente esentato il personale americano dalla perseguibilità da parte della CPI; la

cooperazione militare con Stati che siano parti dello Statuto della CPI. Proprio da

quest’ultimo divieto originano gli ABI, trattati “estorti” sotto minaccia di sospensione

della collaborazione militare, che farebbero scattare, a vantaggio di entrambe le parti,

l’applicazione del disposto dell’art. 98 par. 2 dello Statuto: “La Corte non può presentare

una richiesta di consegna che costringerebbe lo Stato richiesto ad agire in modo

incompatibile con gli obblighi che incombono in forza di accordi internazionali (…)”.

Una tale interpretazione dell’art. 98, non solo è contraria allo spirito ed allo scopo dello

Statuto ma abusa della vera finalità della norma che è quella di coordinare il trattato

istitutivo della Corte con accordi internazionali sullo status delle forze militari all’estero,

sull’estradizione e sulle immunità dei diplomatici. Legittimo è chiedersi se il sistema

APPAS-ABI debordi il diritto sovrano degli USA di non aderire alla Statuto, dal

momento che esso interferisce con gli obblighi degli Stati parti, frustrando l’effettività

della Corte. Sul punto si vedano: D. ALANKE, “The Jurisdiction of the International

Criminal Court over Nationals of Non-Parties: Legal Basis and Limits” in Journal of

International Criminal Justice, vol. 1, 2003, pagg. 618, 642-646; M. T. JOHNSON, “The

American Servicemember’s Protection Act: Protecting Whom?” in Virginia Journal of

International Law, 2003, pag. 405 e ss; D. SCHEFFER, “Article 98(2) of the Rome

Statute: America's Original Intent” in Journal of International Criminal Justice, vol. 3,

2005, pagg. 333-353.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

35

resta competenza dell’Assemblea degli Stati Parti (ASP). Il secondo è

quello del rapporto con il supremo organo politico della comunità

internazionale: il CS dell’ONU. A questo sono state riservate importanti

prerogative. In primo luogo, una situazione può essere portata

all’attenzione della CPI, oltre che per iniziativa autonoma del suo stesso

Procuratore (c.d. “attivazione motu propriu”) ovvero per iniziativa di

uno Stato parte, anche dal CS. In secondo luogo, il CS dispone del potere

di sospendere sia pure per il periodo di un anno (prorogabile), l'attività

investigativa e giudiziaria della CPI73

. In entrambi i casi è richiesto il

voto unanime dei membri del CS. Va rimarcato, inoltre, che i membri

permanenti del CS che non hanno sottoscritto lo Statuto di Roma (USA e

Cina), in quanto titolari del diritto di veto, godranno, in ogni caso,

dell’immunità dalla giurisdizione della CPI per crimini commessi sul

loro territorio o da loro cittadini.

Un importante risultato raggiunto è, invece, la complementarietà

della giurisdizione della CPI rispetto alle corti nazionali. In tal modo, si è

evitato che la Corte diventasse un giudice esclusivo dei crimini

internazionali: il suo ruolo è stato limitato a quello di ulteriore garante, a

livello sovranazionale, che può attivarsi/essere attivato quando le

giurisdizioni degli Stati parti siano riluttanti a (ovvero incapaci di)

intervenire, e sussista, dunque, il rischio di impunità. Anche su questo

aspetto, tuttavia, su proposta degli USA, è stata inserita una sorta di

“aggravamento” della procedura noto come “sistema della doppia

chiave”, in base al quale la procedibilità da parte della Corte è

condizionata al previo accertamento dell’inesistenza di procedimenti

(conclusi o in corso) presso gli Stati parti. Una tale previsione tutela sì il

principio ne bis in idem ma potrebbe mettere a rischio l'attivazione della

giurisdizione internazionale.

Inoltre, una lunga e complessa elaborazione ha portato al

compromesso secondo cui la giurisdizione della Corte sussiste in forma

automatica soltanto se lo Stato sul cui territorio è stato commesso il

crimine (territorial link), ovvero lo Stato di nazionalità dell'accusato

73 Di tale potere il CS si è avvalso già a pochi giorni dall’entrata in vigore dello Statuto.

La risoluzione n. 1422 del 12 luglio del 2002 ha, infatti, sospeso, per un anno, l’attività

investigativo-giudiziaria della Corte su personale impiegato in operazioni sotto l’egida

dell’ONU. L’efficacia della risoluzione è stata prorogata di un altro anno dalla

risoluzione n. 1487 del 12 giugno del 2003. E’ appena il caso di evidenziare che l’uso di

tale potere sospensivo del CS è stato caldeggiato dagli USA, anche in ragione di quanto

disposto dal già ricordato APPAS del 2002.

CAPITOLO PRIMO

36

(national link), od anche entrambi, siano Stati parti dello Statuto74

. La

qualcosa comporta, specularmente, che la perseguibilità di un crimine da

parte della CPI dipenderà dal consenso dello Stato che non è parte dello

Statuto, nei casi in cui: a) la violazione ipotizzata sia avvenuta nel suo

territorio, b) il sospetto risieda nel suo territorio, c) il sospetto/la vittima

sia suo cittadino. Con evidenza, non è stato riconosciuto il principio della

giurisdizione universale, il quale avrebbe garantito alla CPI l’effettività e

l’indipendenza necessarie per svolgere la funzione giurisdizionale senza

dover passare attraverso il “diaframma” della volontà sovrana di alcuno

Stato. La giurisdizione universale (si legga: giurisdizione su qualsiasi

territorio e nei confronti di cittadini di qualsiasi Stato) della CPI è stata

prevista solo nel caso in cui essa venga adita dal CS, le cui decisioni

scaturiscono da valutazioni per lo più politiche che potrebbero frustrare

l’imparzialità della CPI. Si palesa, rispetto a quest’ultimo punto,

l’esistenza di un trade-off tra l’indipendenza della CPI e l’effettività

della sua azione assicurata dai poteri coercitivi del massimo organo

politico del consesso internazionale.

Benché lo Statuto sancisca la competenza ratione materiae della

CPI sul nucleo dei più gravi crimini di diritto internazionale generale (i

c.d. “core crimes”: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di

guerra), di per sé perseguibili in quanto ormai definitivamente

riconducibili alla categoria di jus cogens75

, sul piano materiale, almeno

tre spinosi problemi rimangono irrisolti.

Il primo riguarda ancora una volta la definizione del crimine di

aggressione. A causa della resistenza opposta da molti Stati (in primo

luogo gli USA) l'aggressione è stata sì inclusa dalla conferenza di Roma

nel novero dei crimini ricadenti sotto la giurisdizione della CPI, ma solo

a condizione che una definizione di tale crimine fosse adottata sette anni

dopo l'entrata in vigore dello Statuto, in occasione dell’introduzione di

eventuali emendamenti da parte di un’apposita conferenza di revisione.

Ne deriva che soltanto allora la CPI potrà esercitare la sua giurisdizione

74 Il fatto di avere previsto, ai fini della giurisdizione automatica, l’alternatività della

sussistenza dei due link, e non la necessità di entrambi, ha allarmato gli USA e la

Francia, preoccupati di vedere processati davanti alla Corte propri militari in missione in

territori stranieri. La parziale sconfitta incassata su tale questione è stata una delle cause

che hanno portato gli USA a non votare a favore dello Statuto. Si veda G. CONSO, “The

Basic Reasons for US Hostility to the ICC in Light of the Negotiating History of the

Rome Statute” in Journal of International Criminal Justice, vol. 3, 2005, pagg. 314-322. 75 La categoria di jus cogens -la cui base giuridica positiva è rintracciabile nell’articolo

53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969- comprende norme

internazionali generali rispetto alle quali non è ammessa alcuna deroga. C. L. ROZAKIS,

The concept of jus cogens in the law of treaties, Amsterdam, 1976.

TRE GENERAZIONI DI TRIBUNALI INTERNAZIONALI PENALI

37

sui crimini di aggressione, verosimilmente non senza esporre la propria

indipendenza giudiziaria all’interferenza politica del CS, che ex art. 39

della Carta dell’ONU è titolato a “determinare” la sussistenza di

un’aggressione.

Il secondo grande problema inerisce i crimini di guerra commessi in

occasione di conflitti non internazionali. Mediante una clausola di

opting-out, inserita su pressione degli USA e della Francia, ogni Stato

parte potrà escludere, per un periodo di sette anni, la giurisdizione della

CPI per i crimini di guerra commessi sul suo territorio o addebitati a suoi

cittadini. Tale clausola ha eroso un’importante porzione di giurisdizione

della CPI.

Il terzo problema è connesso alla limitazione del novero dei crimini

perseguibili: in seno alla conferenza diplomatica è prevalso un approccio

“tradizionalista” -o, se si preferisce, “non evolutivo”- favorevole alla

codificazione delle sole preesistenti regole materiali di diritto

internazionale consuetudinario. Ne è risultata la mancata inclusione fra i

“core crimes” di altre figurae criminis come il terrorismo internazionale,

il traffico internazionale di droga76

. Sebbene costituiscano condotte

criminali di interesse internazionale, queste sono state qualificate nel

corso dei lavori preparatori come “treaty crimes”, cioè crimini codificati

dal diritto internazionale pattizio ma ancora privi del necessario

consenso per assurgere al rango di norme consuetudinarie77

.

Si ricorda, infine, che la CPI, come i due TPIh, è sprovvista di una

propria forza di polizia; pertanto, essa necessita della cooperazione degli

Stati in molti settori, inclusi la raccolta delle prove, l’arresto e la

consegna dei presunti criminali e l’esecuzione delle sue decisioni.

76 Alcuni “treaty crimes”, pur non essendo stati riconosciuti come figure autonome, sono

comunque stati interiorizzati dallo Statuto sotto categorie sottese da più certo e largo

consenso (e.g. l’apartheid è ricompreso sotto i crimini contro l’umanità, gli attacchi al

personale ONU sotto i crimini di guerra). 77 Lo Statuto di Roma ha comunque previsto la possibilità che la giurisdizione materiale

della CPI sia estesa attraverso un’apposita conferenza di revisione. Gli sviluppi storici e

giuridici successivi al 17 luglio 1998 (si pensi agli attentati di Washington e New York

dell’11 settembre del 2001, di Madrid dell’11 marzo del 2004 e di Londra del 7 luglio del

2005), hanno indubbiamente creato le condizioni perché si consideri con diverso spirito

la possibilità di includere il crimine di terrorismo internazionale nella competenza ratione

materiae della CPI.

Capitolo II

Le corti “ibride” in Kosovo: verso una quarta generazione di

tribunali penali? Sommario: II.1 Il contesto generale di riferimento. - II.1.1 Le coordinate storiche: profili

militari e diplomatici. - II.1.2 Le coordinate istituzionali: la missione UNMIK ed il sistema giudiziario kosovaro. - II.2 Il contesto giuridico di riferimento. - II.2.1 Il fondamento giuridico. - II.2.2 Il diritto applicabile. - II.2.3 La competenza ratione materiae. - II.2.4 La competenza ratione temporis. - II.2.5 La competenza ratione loci. - II.2.6 La competenza ratione personae. - II.3 Il rapporto col sistema giudiziario locale ed i profili organizzativi in prospettiva diacronica. - II.4 Il rapporto con le altre giurisdizioni. - II.4.1 Il rapporto con le autorità KFOR. - II.4.2 Il rapporto con le corti nazionali straniere. II.4.3 Il rapporto con il Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia. - II.4.4 Il rapporto con la Corte Penale Internazionale. - II.4.5 Il rapporto con la Corte Internazionale di Giustizia. - II.4.6 Il rapporto con la Corte Europea dei Diritti Umani. II.4.7 Il rapporto con il Comitato dei Diritti Umani istituito nell’ambito del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. II.4.8 Il rapporto con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Ad oltre mezzo secolo dai processi di Norimberga e Tokyo, mentre

lo Statuto della CPI guadagnava il consenso necessario per entrare in

vigore ed i TPIh proseguivano nell’espletamento del loro mandato, il

panorama delle giurisdizioni internazionali penali si è arricchito,

attraverso un “progetto-pilota” della missione ONU in Kosovo, di una

nuova tipologia istituzionale: le corti penali “ibride”.

L’attributo “ibride” tradisce l’impropria catalogazione di tali corti

nell’ambito delle giurisdizioni internazionali penali: rispetto a queste

ultime non si configura, invero, un rapporto di species ad genus, essendo

logicamente più corretto considerare le corti “ibride” come un novum

genus. Esse possono, in prima approssimazione, essere definite come

organi della giurisdizione penale caratterizzati, sia sotto il profilo

istituzionale che giuridico, da una modulazione di elementi nazionali ed

internazionali: giudici stranieri siedono a fianco di omologhi locali per

giudicare -secondo la legge penale domestica integrata da standard

procedurali e sostanziali internazionali- presunti criminali accusati e

difesi, rispettivamente, da procuratori e avvocati, anch’essi di origine

straniera e locale.

In ogni caso, le corti “ibride” si collocano a pieno titolo nella più

estesa e variegata categoria dei meccanismi, giudiziari e non1, di

1 Tra i meccanismi non giudiziari meritano una nota le c.d. “Commissioni di Verità”, ad

oggi costituite in diversi Paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Si avrà modo

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

39

“giustizia di transizione” (transitional justice), attraverso cui una società,

divisa e sconvolta da eventi drammatici (e.g. guerra internazionale e/o

civile, regime totalitario), si confronta con la pesante eredità di abusi

perpetrati su larga scala contro gli individui e i gruppi che la

compongono2.

II.1 Il contesto generale di riferimento

Prima di tratteggiare il background storico ed istituzionale delle

corti penali “ibride” kosovare, opportuna appare una breve digressione

sull’underground ideale del travagliato contesto balcanico-jugoslavo3.

Le guerre che, dal 1991 al 1999, hanno seminato sul territorio della

ex RSFJ orrori e barbarie che l’Europa si era illusa aver definitivamente

superato attraverso la “catarsi collettiva” di Norimberga, sarebbero state,

in base alla chiave di lettura di Huntington, delle manifestazioni locali di

“guerre di faglia” tra mondo latino-cattolico e mondo cirillico-ortodosso

(sloveni e croati vs serbi) e tra mondo cristiano e mondo islamico (serbi

vs bosniaci musulmani e kosovari albanesi)4. Per quanto seducente,

di tornare sull’argomento allorquando si accennerà alla complementarietà tra corti

“ibride” e commissioni di verità a Timor Est (par. IV.1) e in Sierra Leone (par. IV.2). 2 Rendere giustizia e creare riconciliazione sono i due ideali obiettivi di una così delicata

e difficile impresa. Ciascuno di essi, lungi dal restare un concetto astratto, risulta, a sua

volta, declinabile in un insieme di più concrete ed interrelate finalità. Rendere giustizia

significa, anzitutto, opporsi aprioristicamente alla via dell’impunità per crimini che su

vasta scala offendono la dignità umana, affinché la responsabilità dei criminali possa

essere accertata secondo regole eque, conseguendo un triplice effetto di punizione-

delegittimazione dei colpevoli, deterrenza-prevenzione in ordine a casi analoghi,

soddisfazione-riparazione delle vittime o dei loro familiari. D’altra parte creare

riconciliazione significa: spezzare la spirale della vendetta; sublimare l’odio etnico nel

sentimento della civile contrapposizione politica all’interno di istituzioni condivise e

credibili; stabilire una memoria collettiva, certa e condivisa, sulle atrocità commesse

affinché la storia non possa essere revisionata e strumentalizzata riattizzando risentimenti

di parte, forieri di nuovi abusi. Sul tema si veda il rapporto del SG dell’ONU The rule of

law and transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par. 8, pag. 4;

inoltre: Z. D. KAUFMAN, “The Future of Transitional Justice” in Stair 1, n. 1, 2005,

pagg. 58-81,. 3 Sul tema si vedano: S. BIANCHINI La questione jugoslava, Firenze, 1999; A.

PERICH, Origine e fine della Jugoslavia nel contesto della politica internazionale,

Milano, 1998. 4 Apparso per la prima volta nell’estate del 1993 sulla rivista Foreign Affairs ed accolto

con entusiasmo (e sollievo), il saggio “The Clash of Civilisations?” del politologo di

Harvard Samuel Huntington ha fornito agli internazionalisti un nuovo schema per

l’interpretazione del mondo post-bipolare. La fine della guerra fredda, consumatasi tra il

1989 ed il 1991, avrebbe liberato, secondo l’analista, le relazioni internazionali dal

manicheismo ideologico “comunismo vs capitalismo” e da quello geo-politico “Est vs

Ovest”. Forze profonde, rimaste congelate dal 1945, avrebbero ripreso, in seguito allo

sfaldamento del blocco sovietico, il loro corso, generando “guerre di faglia” tra civiltà.

CAPITOLO SECONDO 40

quello descritto resta comunque uno schema riduzionistico, che coglie

solo in minima parte la complessità dello specifico divenire dei popoli

jugoslavi. La causa prima della fragilità geopolitica della regione

balcanica sud-occidentale non sarebbe da ricercarsi nell’esistenza -pur

indubitabile- di faglie tra civiltà diverse5, bensì in una concezione della

nazione che tali faglie ha dapprima divaricato ed approfondito e poi

violentemente fatto scontrare. Presso le genti della ex RSFJ, l’idea di

nazione mai è riuscita a sottrarsi alla tentazione romantico-herderiana di

una interpretazione “naturale” di se stessa: “[gli] anziani (…) si curvano

sulla carta geografica che indica la nuova divisione della penisola

balcanica. Guardano la carta e tra quelle linee tortuose non scorgono

niente, eppure sanno e comprendono ogni cosa, perché hanno la loro

geografia nel sangue e posseggono una percezione biologica della

configurazione del mondo”6. La nazione è rimasta etnia, cioè comunità

che pretende di essere pre-politica, originaria, in cui i diritti umani sono

riconosciuti e garantiti solo su base etnica, in quanto diritti nazionali, e in

cui sono del tutto legittime l’esclusione, la discriminazione e persino

l’eliminazione dell’altro, dell’etnicamente diverso7. Durante la fase di

socialismo reale, la nazione etnica è stata, ma solo in apparenza,

sublimata in un’altra forma di appartenenza -quale la classe sociale-

anch’essa con pretese di naturalità e non meno dannosa per i diritti

5 Proprio nel territorio della ex Jugoslavia sono passate alcune delle linee divisorie più

importanti della storia del continente europeo. Il fiume Drina funse, a partire dal 395

d.C., da confine tra l’Impero Romano d’Occidente e l’Impero Bizantino. Nel 1054, le

secolari lotte di potere tra la Chiesa Romana e le Chiese Bizantine, culminarono nello

scisma tra Cattolicesimo e Ortodossia, che trovò ancora una volta nella Drina la sua linea

di demarcazione. Nel fossato scavato tra Cattolicesimo ed Ortodossia si inserì l’Islam,

portato dall’invasione turca, iniziata intorno alla metà del XIV secolo. Dal 1945 al 1989-

91, la “cortina di ferro” tra Est comunista e Ovest capitalista passò per la ex RSFJ, la

quale, sotto Tito (1945-1980), seppe interpretare la sua posizione “di frontiera” con una

politica di equidistanza dai due blocchi, nota come “non allineamento”. Si vedano: G.

PREVELAKIS, I Balcani, Bologna, 1997; G. SERRA, I tragitti storico-politici della ex

Jugoslavia: la dialettica tra l’uno ed il molteplice. Tentazioni identitarie e tentativi di

ricomposizione, Paper elaborato al termine della Summer School nella ex Jugoslavia

(Bosnia-Erzegovina e Serbia) organizzata nel luglio del 2002 dall’Associazione Europea

di Studi Internazionali (AESI) in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e la

Missione NATO SFOR, disponibile on line sul portale <http://www.tesionline.it>. 6 Così il premio Nobel per la letteratura (1961) Ivo Andric (1892-1975) ne Il ponte sulla

Drina, 1945. 7 Durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, persino le popolazioni

italiane della regione istriano-dalmata sono state letteralmente “inghiottite”, in quanto

vittime, nella voragine carsica dell’idea balcanica di nazione.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

41

umani8. Lo Stato-nazione inclusivo introdotto dalla rivoluzione francese,

inteso come comunità politica volontaria, che raccoglie uomini e gruppi

diversi attorno al principio di cittadinanza, attorno all’universalismo dei

diritti, per cui prima si dà l’uomo, poi lo si declina come “cittadino” e

solo, da ultimo, si aggiungono, ma senza finalità discriminatorie,

apposizioni etniche (“serbi”, “albanesi”…): ecco la vera lacuna della

storia balcanico-jugoslava9.

II.1.1 Le coordinate storiche: profili militari e diplomatici

Il Kosovo non è rimasto immune dai condizionamenti geo-politici e

geo-culturali delle numerose faglie generate dalla storia balcanica10

, delle

8 Dire che Tito tentò di sublimare le irrisolte questioni nazionali nella questione sociale è

inesatto. Liberando la Jugoslavia dalle forze dell’Asse, Tito aveva certamente compreso

quanto cruciale fosse il problema della convivenza fra popoli diversi entro lo stesso Stato

e ciò lo aveva portato a superare l’illusione sovietica di poter disinnescare antichi

risentimenti interetnici e cancellare profonde differenze culturali attraverso l’astratto e

spaesante comunismo che contrapponeva gli uomini solo lungo la linea dei rapporti di

produzione. L’assetto costituzionale da lui conferito alla Jugoslavia nel 1946 lo dimostra:

non erano sovrane le sei Repubbliche Socialiste ma le sei nazioni (serba, montenegrina,

croata, slovena, macedone e musulmana), la cui distribuzione geografica attraversava i

confini amministrativi delle stesse Repubbliche (fatta eccezione per l’omogenea

Slovenia). In base alla “finzione” creata da Tito, un serbo (o un croato) che viveva a

Sarajevo non si sarebbe dovuto considerare come parte di una delle “minoranze” della

Bosnia-Erzegovina ma titolare, al pari di un serbo di Belgrado (o di un croato di

Zagabria), di una quota infinitesima della sovranità nazionale serba (o croata). Gli unici

due gruppi etnici cui la Costituzione riservava un trattamento “in quanto minoranza”

erano gli albanesi del Kosovo e gli ungheresi della Vojvodina, province, queste, per le

quali fu pensato uno statuto di autonomia in seno alla Repubblica di Serbia. 9 Sul tema si veda B. DE GIOVANNI, L’ambigua potenza dell’Europa, Napoli, 2002. 10 Già nel VI secolo d.C., gli Illiri, presunti antenati degli attuali kosovari albanesi,

subirono l’invasione di tribù slave e ripararono più a sud, nell’attuale Albania. Tra il

1180 ed il 1200, i serbi, approfittando dei disordini interni all’Impero Bizantino,

conquistarono il Kosovo e ne fecero per due secoli il centro culturale, religioso ed

amministrativo del loro Stato. Pec, nel Kosovo centro-occidentale, fu scelta per insediare

la sede del Patriarcato della Chiesa Ortodossa Serba (1346); l’epiteto “Metohia”

(letteralmente “dono”, ovverosia terra donata alla Chiesa ed amministrata dai monasteri),

che nei documenti ufficiali accompagna il nome Kosovo, connota ancor oggi la sacralità

della regione per il sentimento nazionale serbo. Nel 1389, in seguito all’epico scontro

della Piana dei merli (Kosovo Polje; in serbo “kos” significa, appunto, merlo), i Turchi

Ottomani riuscirono a sottrarre il Kosovo ai serbi e vi stabilirono il proprio dominio per

quattro secoli. Quella “Roncisvalle balcanica” rappresentò il mito fondante della nazione

serba, confermando l’importanza simbolico-mistica del Kosovo per il popolo serbo. Nel

1878, quasi simultaneamente al Congresso di Berlino col quale il “concerto europeo”

riconobbe il definitivo affrancamento del Regno di Serbia dall’Impero Ottomano, a

Prizren, nel Kosovo meridionale, in risposta alla decisione del Congresso di cedere a

Grecia e Montenegro terre popolate da albanesi, si costituì, il primo movimento

nazionalista albanese (c.d. “Lega di Prizren”). Nel 1912, mentre l’Albania, grazie al

CAPITOLO SECONDO 42

quali la crisi del 1998-99 ha rappresentato l’ennesima drammatica

manifestazione.

Le radici recenti della crisi rimontano al dicembre del 1989, quando

il neo-eletto Presidente serbo Slobodan Milosevic, sull’onda emotiva del

600mo

anniversario della battaglia di Kosovo Polje11

, revocò lo status di

ampia autonomia concesso da Tito al Kosovo (ed alla Vojvodina) nel

197412

ed emanò una serie di provvedimenti fortemente discriminatori

nei confronti della maggioranza albanese13

. Quest’ultima, grazie ai

finanziamenti della c.d. “diaspora kosovara”14

, riuscì a costituire un vero

e proprio “Stato ombra”, sostenuto da un governo in esilio a Stoccarda.

Le secessioni slovena, croata, bosniaca e macedone fecero passare in

subordine la questione kosovara, la quale però non tardò a riemergere in

tutta la sua tragicità con le contraddizioni dell’accordo di Dayton del

dicembre del 1995. Esso, premiando, di fatto, le fazioni responsabili del

conflitto attraverso la costituzione di uno Stato solcato da nette linee di

divisione etnica15

, produsse profonde ripercussioni in Kosovo, dove la

sostegno austro-ungarico, conquistava l’indipendenza, la Serbia, in esito alla prima

guerra balcanica, si riappropriò del suo storico focolaio nazionale ed avviò una politica

discriminatoria contro il maggioritario elemento albanese, i cui capi, nel 1921, invano

presentarono una petizione alla Società delle Nazioni per chiedere l’annessione

all’Albania in ossequio al principio di auto-determinazione dei popoli. Nel 1941, la

Serbia divenne protettorato tedesco ed il Kosovo fu, con l’entusiasmo della sua

componente albanese, ceduto all’Italia per essere amministrato come parte integrante

dell’Albania, già conquistata nel 1939. Nel 1943, il Kosovo tornò sotto la sovranità di

Belgrado e la sua storia confluì nell’alveo della Jugoslavia titina. Si vedano: N.

MALCOM, Storia del Kosovo. Dalle origini ai giorni nostri, Milano, 1999; M.

VICKERS, Between Serb and Albanian: a History of Kosovo, New York, 1998. 11 Il 28 giugno del 1989, Milosevic arringò una folla di 300.000 belgradesi e le sue

parole, lette col senno di poi, suonano come profetiche della tragedia che si sarebbe

consumata nel volgere di un decennio: “Ogni nazione ha un sentimento che eternamente

riscalda il suo cuore. Per la Serbia, esso è il Kosovo” (traduzione nostra da Prosecutor v.

Milosevic et alii, Prosecutor’s Pre-Trial Brief, ICTY caso n. IT-99-37-PT, n. 14) 12 Attraverso imponenti manifestazioni, i kosovari albanesi avevano chiesto, nel 1968, il

distacco dalla Serbia ed il riconoscimento dello status di Repubblica nell’ambito della

RSFJ. Date le tensioni tra Belgrado e Mosca, e soprattutto data l’alleanza tra Tirana e

Mosca, Tito comprese appieno il potenziale destabilizzante delle richieste kosovare. Egli,

temendo che il Kosovo, una volta elevato al rango di Repubblica, potesse rivendicare la

secessione dalla federazione e l’annessione all’Albania, si limitò, sei anni dopo i moti del

‘68, a concedere, attraverso una revisione costituzionale, un’effettiva autonomia a livello

amministrativo e culturale. 13 Stimata intorno al 90% della popolazione. 14 I kosovari residenti all’estero erano, all’epoca, stimati in oltre mezzo milione. 15 All’interno dei vecchi confini titini, la Bosnia-Erzegovina assunse un ambiguo assetto

doppiamente federale; sorsero, infatti, due entità: una repubblica serba (Repubblica

Srpska) ed una federazione croato-musulmana (Bosnia-Erzegovina), ciascuna con

fortissime autonomie e una vera e propria costituzione, nonché la possibilità di stabilire

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

43

politica della “opposizione silenziosa” promossa dall’intellettuale

Ibrahim Rugova finì per essere surclassata dalla violenza. Dopo Dayton,

divenne, infatti, forte presso talune frange estremiste kosovaro-albanesi

il convincimento che solo una guerra contro i serbi avrebbe potuto

preparare il tavolo diplomatico su cui trattare la ridefinizione del

controverso rapporto Pristina-Belgrado. In questo clima, sotto la guida di

Hashim Thaci, un sedicente Esercito di Liberazione del Kosovo, noto

come UCK, iniziò, intorno alla metà del 1996, la sua azione terroristica

ai danni dell’establishment e della minoranza serba in Kosovo,

rivendicando il distacco della provincia da Belgrado e la creazione di una

“Grande Albania”. Ad attacchi episodici condotti dall’UCK contro

obiettivi serbi, Belgrado non esitò a rispondere con rappresaglie su larga

scala ai danni dell’intera popolazione albanese del Kosovo. Dal febbraio

del 1998, gli scontri tra la milizia irregolare albanese e le forze di polizia

serbe -o meglio, della Repubblica Federale di Jugoslavia16

(RFJ)-

subirono un’intensificazione tale da destituire di fondamento la

conveniente lectio facilior serba connotante la crisi come questione di

domestic jurisdiction. Infatti, il 31 marzo il CS dell’ONU per la prima

volta intervenne sul conflitto in Kosovo, definendolo una “minaccia alla

pace e alla sicurezza regionale” e deplorando tanto l’uso eccessivo della

forza contro civili e dimostranti pacifici da parte della polizia serba

quanto gli attacchi dell’UCK. La successiva risoluzione n. 1199 del 23

settembre del 1998 dispose il dispiegamento di osservatori

dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa

(OSCE) e la sorveglianza aerea dell’Organizzazione del Trattato del

Nord Atlantico (NATO), missioni che tuttavia non riuscirono ad

impedire, tra l’autunno e l’inverno del 1998-99, l’escalation delle ostilità

tra le parti. Numerosi kosovari, sia di etnia albanese che di etnia serba,

furono uccisi o feriti, mentre le forze regolari inviate da Belgrado erano

impegnate in una campagna di pulizia etnica, eseguita attraverso il

bombardamento di paesi e villaggi a maggioranza albanese, l’estesa

distruzione delle infrastrutture private e l’espulsione di civili dalle aree

in cui era attivo l’UCK17

. I negoziati tra i contendenti, svoltisi, sotto

rapporti privilegiati, rispettivamente, con i governi di Belgrado e Zagabria (c.d. “etno-

federalismo”). Nel 2000, alle due entità è stato aggiunto il Distretto di Brcko abitato da

serbi (40%), bosgnacchi (quasi 40%) e croati (20%). 16 Dopo le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia (25 giugno del 1991), di

Macedonia (5 settembre del 1991) e di Bosnia-Erzegovina (6 marzo del 1992), il 27

aprile del 1992, le Repubbliche di Serbia e Montenegro avevano congiuntamente

dichiarato di continuare, col nome di RFJ, la personalità giuridica internazionale della ex

RSFJ. 17 Office of the Prosecutor (ICTY), Press Release, 10 March 1998, CC/PIO/302-E.

CAPITOLO SECONDO 44

mediazione internazionale, a Rambouillet nel febbraio e a Parigi nel

marzo del 1999, non approdarono ad un accordo di pace a causa

dell’intransigenza dei rappresentanti belgradesi sul principio di sovranità

serba sul Kosovo, invero oltraggiato dalla promessa di un referendum

sull’indipendenza della provincia, da tenersi entro tre anni, ventilata dal

mediatore statunitense18

alla delegazione albanese composta sia da

Rugova che da Thaci. Il 24 marzo del 1999, la NATO scatenò, per la

prima volta nella sua storia, un’azione militare offensiva contro uno

Stato sovrano19

, la RFJ, in violazione della Carta dell’ONU, mancando la

preventiva autorizzazione del CS20

. Lungi dall’arrestare immediatamente

gli scontri, la campagna di bombardamenti aerei della NATO -

Operazione Allied Force- li catalizzò: mentre l’UCK tornava

all’offensiva (dopo l’arretramento dell’estate del ‘98), i serbi

18 Ci si riferisce al Segretario di Stato Madeleine Albright. Si veda M. WELLER, “The

Rambouillet conference on Kosovo” in International Affairs, vol. 75, n. 2, 1999, pagg.

211-251. 19 L’operazione Allied Force sancì, a quasi un decennio dalla fine della guerra fredda, la

trasformazione della NATO da alleanza difensiva a comunità di sicurezza. Sulla nuova

dottrina di sicurezza della NATO inaugurata dall’intervento in Kosovo si vedano: C.

JEAN, “Il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica” in Affari Esteri, vol. 31,

n. 3, 1999, pagg. 528-542; E. CANNIZZARO, “La nuova dottrina strategica della Nato e

l’evoluzione della disciplina internazionale sull’uso della forza” in Nato, conflitto in

Kosovo e costituzione italiana, Milano, 2000, pagg. 43-66, pagg. 31-41. 20 La NATO ha motivato il suo intervento militare unilaterale contro la RFJ sulla base di

superiori ragioni umanitarie: porre fine alla pulizia etnica patita dalla popolazione

kosovara albanese ad opera delle forze militari serbo-jugoslave e al suo consequenziale

esodo di massa verso i Paesi confinanti. La potenziale destabilizzazione arrecata ai Paesi

membri della NATO appare come l’unico esplicito movente strategico. Analizzando la

prassi di Stati e organizzazioni internazionali dalla fine del bipolarismo, certa dottrina (si

veda V. GRADO, Guerre Civili e Stati Terzi, Padova, 1998) ha concluso nel senso della

legittimità dell’intervento militare unilaterale a finalità umanitaria di Stati terzi in assenza

del consenso dello Stato territoriale interessato, a condizione che siano rispettate le

seguenti condizioni: 1) sussistenza di una grave (si legga: sistematica e su larga scala)

violazione dei diritti umani; 2) imparzialità dell’intervento (si legga: divieto di destituire

il governo responsabile della violazione e di alterare l’esito finale del conflitto interno a

favore della parte soccombente); 3) temporaneità e proporzionalità dell’azione coercitiva.

Legittima rispetto al primo presupposto, l’operazione Allied Force difficilmente potrebbe

dirsi tale con riferimento agli altri due. Sul tema si vedano, inoltre: A. CASSESE, “Ex

iniuria ius oritur: Are we moving towards International Legitimation of Forcible

Humanitarian Countermeasures in the World Community?” in European Journal of

International Law, 1999, pagg. 23-30; IDEM, “A Follow-Up: Forcible Humanitarian

Countermeasures and Opinio Necessitatis” in ibidem, 1999, pagg. 791-799; P. PICONE,

“La ‘guerra del Kosovo’ e il diritto internazionale generale” in Rivista di diritto

internazionale, 2000, pagg. 309-360; N. RONZITTI, “Raids aerei contro la Repubblica

Federale di Jugoslavia e Carta delle Nazioni Unite” in Rivista di diritto internazionale,

1999, pagg. 476-482.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

45

intensificarono la pulizia etnica. L’intera regione balcanica precipitò nel

caos per via dell’inarrestabile flusso di profughi albanesi verso i

confinanti Stati di Albania, Macedonia e Montenegro. L’8 giugno, dopo

ben 78 giorni di bombardamenti contro obiettivi militari e civili serbi in

Kosovo e nella Serbia propriamente detta, il governo di Belgrado accettò

un accordo per porre fine alle ostilità, ritirare le proprie forze di polizia,

militari e paramilitari dalla provincia ed acconsentire al dispiegamento di

truppe NATO (accordi di Kumanovo)21

. Il giorno successivo la fine dei

bombardamenti, il 9 giugno, con la sola astensione della Cina22

, il CS

approvò la risoluzione n. 1244, riportando nell’alveo della legalità

internazionale l’intervento militare della NATO e dando disposizioni

sull’assetto post-bellico a breve e medio termine del Kosovo. Ribadendo

il principio di integrità territoriale (si legga: divieto di secessione) quale

affermato nell’Atto Finale di Helsinki del 197523

, il CS si limitò ad

21 Si è fatto notare in dottrina (E. MILANO, “Security Council Action in the Balkans:

Reviewing the Legality of Kosovo’s Territorial Status” in European Journal of

International Law, Nov. 2003, pagg. 999-1022) che gli accordi di Kumanovo, firmati

mentre i bombardamenti della NATO contro la ex RSFJ erano ancora in corso, sarebbero

nulli in base all’art. 52 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969.

Esso stabilisce che un trattato è nullo se ottenuto attraverso la minaccia o l’uso della

forza in violazione dei principi del diritto internazionale inclusi nella Carta dell’ONU. Da

una tale interpretazione si potrebbe addirittura desumere l’invalidità del consenso dell’ex

RFJ al dispiegamento della presenza internazionale. 22 Va ricordato che l’apparentemente erronea distruzione dell’Ambasciata cinese a

Belgrado da parte di missili NATO aveva aperto una crisi diplomatica tra Pechino e

Washington. 23 Nessun Paese della NATO ha giustificato la sua partecipazione all’Operazione Allied

Force richiamandosi al principio di autodeterminazione dei popoli; né, in precedenza,

l’allora CEE aveva risposto positivamente alla richiesta di riconoscimento del Kosovo

che, il 19 ottobre del 1991, per voce del suo Parlamento-ombra, si era auto-proclamato

Stato indipendente. La Dichiarazione ONU del 1970 sui principi di diritto internazionale

riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati disegna un rapporto tra

il principio di autodeterminazione dei popoli e quello di integrità territoriale, in base al

quale la comunità internazionale avrebbe potuto avallare una soluzione diversa per la

questione kosovara: il divieto di attentare all’integrità territoriale varrebbe solo nel caso

in cui il governo al potere sia rispettoso dell’autodeterminazione, cioè sia rappresentativo

dell’intera popolazione governata senza operare alcuna distinzione fondata sulla razza,

sul credo religioso e sul colore. Per completezza va detto che, a parte il precedente della

secessione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, la clausola contenuta nella

Dichiarazione non ha trovato concreti riscontri nella prassi internazionale: si è, invero,

continuato a considerare illecito il supporto prestato a movimenti secessionisti, pur in

presenza di patenti violazioni del principio di autodeterminazione dei popoli. Sul punto si

veda V. GRADO, Guerre Civili e Stati Terzi, op. cit., pagg. 174-175. Sul piano politico-

ideologico, la crisi kosovara si lascia, invero, interpretare come lo scontro tra due

“ragioni”: da una parte, la ragione di Stato della Serbia nazional-comunista, decisa a

difendere l’integrità territoriale della ridimensionata RFJ dall’offensiva secessionista

CAPITOLO SECONDO 46

affermare il diritto del popolo kosovaro albanese ad una piena autonomia

all’interno dei confini serbo-jugoslavi. La sovranità di Belgrado sul

Kosovo fu, tuttavia, “sospesa” a favore di una doppia presenza

internazionale. Il nucleo centrale della risoluzione n. 1244 è, infatti,

rappresentato dal dispiegamento, col formale consenso di Belgrado, di

una presenza militare -la Forza NATO KFOR24

- e di una presenza

internazionale civile -la Missione ONU in Kosovo (in seguito

“UNMIK”)25

. L’una fu incaricata di garantire il mantenimento della pace

e di condizioni di sicurezza26

; all’altra fu assegnato non solo il compito

di portare aiuto umanitario ma anche di amministrare ad interim il

Kosovo, favorendone la sostanziale autonomia ed il democratico auto-

governo nel rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, nonché la

ricostruzione delle infrastrutture e dell’economia. La risoluzione chiese,

infine, ad UNMIK di facilitare il processo politico finalizzato a

determinare lo status definitivo del Kosovo27

. La gravità e la complessità

dell’UCK; dall’altra parte, la ragione dello Stato più forte, cioè degli USA, interessati ad

un rinnovato ruolo della NATO alla fine della guerra fredda e ad una rinnovata presenza

nel ed influenza sul Vecchio Continente in una fase in cui il processo di integrazione

europea (dopo i Trattati di Maastricht del ’92 e di Amsterdam del ’97) prefigurava un

affrancamento dell’UE dal ruolo di junior partner di Washington. Sul punto si veda G.

SERRA, “Ragione di Stato e Ragione dello Stato più forte” in Sottovoce (Periodico

universitario di opinione), Napoli, Luglio-Agosto 1999, pag. 6. 24 KFOR fu inizialmente composta di 50.000 uomini (incluso un significativo

contingente russo) e divisa in cinque Brigate multinazionali a comando, rispettivamente,

USA, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. 25 La catena di comando c.d. “a doppia chiave” KFOR-UNMIK vanta due precedenti

nella storia delle missioni: il tandem UNOMIL (ONU) – ECOMOG (ECOWAS) in

Liberia e quello UNMIH (ONU) – IFOR/SFOR (NATO) in Bosnia Erzegovina. 26 In concreto, a KFOR fu chiesto di accompagnare il ritiro delle forze militari serbo-

jugoslave e promuovere la smilitarizzazione dell’UCK, condizioni necessarie affinché i

profughi e gli sfollati potessero far ritorno nei luoghi di origine e la presenza civile

potesse operare. 27 Il mandato conferito ad UNMIK è di ampiezza senza precedenti. Siderale è la distanza

misurabile rispetto al modello classico di peace-keeping operation -una forza militare di

interposizione tra le fazioni in lotta, autorizzata all’uso delle armi solo in legittima difesa-

col quale il CS dell’ONU ha fatto fronte alla mancata applicazione dell’art. 43 e ss. della

Carta (si legga: la creazione di un “esercito” ONU). Significativo è anche lo scarto

rispetto ai più complessi modelli sviluppati dopo la fine della guerra fredda: le peace-

keeping operation di seconda generazione (multidimensional post-conflict peace building

operation), caratterizzate da una sensibile riduzione della componente militare a favore

di quella civile, incaricata di svolgere limitati compiti come la preparazione di elezioni,

l’assistenza ai rifugiati etc; le peace-keeping operation di terza generazione (peace

enforcement operation), autorizzate all’uso di tutti i mezzi necessari per ristabilire la

pace. Invero, UNMIK potrebbe essere definita, insieme alla successiva missione

dell’ONU a Timor Est (UNTAET), come un’evoluzione del modello di peace-keeping

operation di seconda generazione, in quanto investita di un mandato di nation and

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

47

della crisi fu tale che la risoluzione n. 1244 espressamente autorizzò il

SG dell’ONU a strutturare la missione civile avvalendosi dell’assistenza

delle rilevanti organizzazioni internazionali28

. Mentre le milizie serbo-

jugoslave si ritiravano e le due presenze internazionali iniziavano, con

tempi e modi diversi, a dispiegarsi sul campo, i rapporti di forza tra le

fazioni etniche si alterarono drasticamente, trasformando la parte

soccombente -quella albanese- da vittima in vendicatrice delle atrocità

subite. Da questa seconda ondata di pulizia etnica alla rovescia derivò un

esodo, sia pure di dimensioni ridotte, di serbi verso la “madrepatria”.

Gli strascichi lasciati dalla crisi kosovara del 1999, e più in generale

dalle guerre che hanno accompagnato lo smembramento della RFJ,

sembrano confermare la validità dell’assioma di Winston Churchill,

secondo cui Balcani sarebbero capaci di produrre più storia di quanta

non riescano a metabolizzarne. La questione serbo-kosovara, come anche

quella bosniaca29

, che la comunità internazionale, lungi dal risolvere, ha

semplicemente “congelato” con formule politico-istituzionali provvisorie

ed ambigue, fanno da pendant agli Stati di Slovenia30

, Croazia31

e

Macedonia32

, stabilizzati e proiettati, a diversa velocità, verso l’UE33

.

“State” building. Si vedano: B. CONFORTI, Le Nazioni Unite, Padova, 2000, pag. 59 e

ss.; P. PICONE, “Il Peace-Keeping nel mondo attuale: tra militarizzazione e

amministrazione fiduciaria” in Rivista di diritto internazionale, 1996, pag. 5 e ss. 28 Risoluzione n. 1244/99, par. 10. 29 Originando da un più complesso mosaico etnico, il capitolo bosniaco delle guerre

jugoslave fu indubbiamente il più cruento:). Le ostilità fra tre opposte fazioni etniche

(serbi, croati e bosgnacchi musulmani) durarono dal marzo del 1992 alla pace di Dayton

del dicembre del 1995. Questa pose le basi per un’artificiosa e costosa costruzione

statuale “a compartimenti etnici stagni” (si veda alla nota 15 di questo stesso capitolo), la

cui tenuta risulta alquanto dubbia in assenza dei “puntelli” messi dalla comunità

internazionale e, in particolare, dell’UE (avvicendatasi alla NATO nel dicembre del

2004). Si veda International Crisis Group, Ensuring Bosnia’s Future: a new international

engagement strategy, Europe Report n. 180 – 15 February 2007; e, inoltre: D. D’URSO,

“L’insostenibile leggerezza della Bosnia-Erzegovina” in Kosovo: lo Stato delle Mafie,

(Quaderni Speciali di Limes, supplemento al n. 6/2006), pagg. 155-166. 30 In ragione della sua omogeneità etnica, la Slovenia fu risparmiata dalla guerra civile; lo

scontro tra le truppe slovene e l’Armata Federale Jugoslava, accorsa nel tentativo di

bloccare la dissoluzione della RSFJ, durò solo una decina di giorni, tra la fine di giugno e

l’inizio di luglio del 1991. 31 La guerra in Croazia fu più lunga e sanguinosa di quella slovena a causa della forte

presenza serba nelle regioni di Krajina e Slavonia; durò dall’inizio di luglio del 1991 agli

accordi di Dayton del dicembre del 1995. 32 Rimasta immune dalle guerre jugoslave, la Macedonia (oggi Repubblica ex Jugoslava

di Macedonia) fu parzialmente coinvolta nella crisi kosovara del 1999, quando circa

360.000 kosovari albanesi vi si rifugiarono, innescando violente rivendicazioni

separatiste nelle aree nord-orientali macedoni, storicamente a maggioranza albanese

CAPITOLO SECONDO 48

L’inquieta Serbia, da poco diminuita anche del suo fedele “compagno di

storia”- il Montenegro (geo-politicamente cruciale per lo sbocco sul

Mediterraneo)34

- tarda a sciogliere il dilemma tra la vocazione europea e

la tentazione nazionalistica35

. La costituzione approvata dal popolo

serbo36

ne è prova, laddove, con riferimento al più spinoso ed attuale dei

problemi balcanici, considera il Kosovo -da quasi sette anni posto sotto

un protettorato internazionale tanto inefficace quanto contraddittorio

nell’atto fondativo della sua legalità37

- come “inalienabile” alla sovranità

territoriale di Belgrado38

. Mentre la comunità internazionale tarda a

trovare un assetto definitivo e sostenibile per il Kosovo, la provincia

arranca in un limbo in cui prospera il crimine organizzato

(paradossalmente indifferente alle linee di divisione etnica), foriero di

temibili emergenze di raggio transnazionale per lo Spazio di libertà,

(Tetovo e Gostivar). Nella primavera del 2001, venne combattuta una guerra civile su

piccola scala, la cui escalation fu scongiurata dal dispiegamento di una missione NATO

(terminata nell’aprile del 2003 col passaggio del testimone ad un contingente dell’UE). Il

riconoscimento, già dall’agosto del 2001 (Accordi di Ohrid), di significative garanzie alla

minoranza albanese (circa il 25% della popolazione nazionale) sembrerebbe aver risolto

la questione sul piano politico interno. 33 Solo la Slovenia è già Stato membro, dal 2004, dell’UE (dal 1° gennaio del 2007 è

anche stata ammessa nella zona euro) e della NATO; la Croazia e la Repubblica ex

Jugoslava di Macedonia sono candidate (rispettivamente, dal giugno 2004 e dal dicembre

2005) all’adesione all’UE. Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro si trovano ancora,

sia pur distanziati, in una fase più arretrata di integrazione con l’UE, come dimostrato

dallo stato dell’arte dei negoziati per la firma di un Accordo di Stabilizzazione e

Associazione (ASA), strumento propedeutico alla candidatura per l’adesione. L’UE ha

avviato tali negoziati, nell’ottobre del 2005, con la Serbia-Montenegro (allora Stato

unico) e, il mese successivo, con la Bosnia-Erzegovina. Alla fine del 2006, la Bosnia-

Erzegovina risulta non aver ancora concluso i negoziati; la Serbia ha subito il

congelamento dei negoziati nel maggio del 2006 per aver disatteso le promesse di piena

collaborazione con il TPIJ; infine, il Montenegro, dopo l’indipendenza dalla Serbia, ha

proseguito i negoziati separatamente, concludendoli alla fine di novembre del 2006. 34 La separazione è stata sancita da un referendum tenutosi in Montenegro nel maggio del

2006. 35 G. ALIBERTI, La Serbia e la prospettiva europea: un cammino accidentato, ISPI

Policy Brief, n. 49, febbraio 2007. 36 L’approvazione è avvenuta con un referendum tenutosi a fine ottobre del 2006. 37 Frutto del compromesso fra i Paesi favorevoli all’indipendenza del Kosovo (gli USA

in primis) e quelli contrari (come la Russia), la già ricordata risoluzione n. 1244 del 1999

prevedeva, a ben vedere, che la creazione di istituzioni politiche di auto-governo e

l’avvio di un processo politico per la definizione dello status definitivo del Kosovo,

avvenissero in un vuoto di sovranità e, ad un tempo, nel rispetto dell’integrità territoriale

dell’allora RFJ. 38 Secondo considerando.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

49

sicurezza e giustizia dell’UE: il traffico di armi, di droga39

, di organi, di

esseri umani, di migranti e, non ultimo, il network terroristico di

ispirazione jihadista. L’aver condizionato, nel dicembre del 2003, l’avvio

dei negoziati per la definizione dello status40

al conseguimento di precisi

obiettivi da parte delle istituzioni di auto-governo locale (“standards

before status” policy) -tra cui la costituzione di un solido stato di diritto,

capace di scongiurare l’impunità per gli autori di crimini di guerra o

motivati da ragioni etniche41

- ha, invero, creato presso la comunità

albanese l’aspettativa di una “sovranità da conquistare” e, al tempo

stesso, ha alimentato un clima di frustrazione ed insofferenza per

l’ennesimo temporeggiamento della comunità internazionale. La

sommossa di metà marzo del 2004 ed il lento stillicidio di attentati

dinamitardi hanno rivelato i rischi della contraddizione in termini di un

mandato internazionale ad interim sine die, convincendo l’ONU,

nell’ottobre del 2005, ad avviare comunque il processo politico per la

definizione dello status del Kosovo, nonostante il mancato

raggiungimento di rilevanti obiettivi, specie nel settore della giustizia42

.

All’inizio di febbraio del 2007, l’Ufficio dell’Inviato Speciale delle

Nazioni Unite (UNOSEK) presieduto dall’ex presidente finlandese

Martti Ahtisaari43

ha presentato, dopo circa un anno di lavoro, un

documento sulla cui base Pristina e Belgrado sono state invitate a

condurre le trattative diplomatiche per superare la quasi decennale

39 L’intenso pattugliamento del Canale d’Otranto da parte del naviglio militare italiano

avrebbe reindirizzato i traffici illeciti sulle direttrici di terra, facendo del Kosovo un nodo

nevralgico soprattutto per lo smistamento dell’eroina che dall’Afghanistan giunge in

Europa via Turchia. 40 La parola “status”, di per sé neutra, si è prestata ad una duplice interpretazione: da una

parte, le autorità kosovare, interessate all’indipendenza, l’hanno intesa come “status

internazionale”, dall’altra, il governo serbo, al massimo disposto a concedere un’ampia

autonomia, l’ha intesa come “status interno”. 41 Concordati tra le autorità della missione ONU in Kosovo e le locali Istituzioni

Provvisorie di Auto-Governo, gli standard (ed il relativo meccanismo di controllo) hanno

ricevuto il formale avallo del CS dell’ONU (Presidential Statement S/PRST/2003/26 in

Press Release SC/7951 del 12 dicembre del 2003). Si veda il rapporto Kosovo Standards

Implementation Plan, 31 March 2004 (accessibile on line dal portale UNMIK). 42 Il 7 ottobre del 2005, il SG dell’ONU ha accolto i suggerimenti contenuti nel rapporto

commissionato, il precedente 13 giugno, al suo inviato speciale Kai Eide,

raccomandando al CS che “while standards implementation in Kosovo has been uneven,

the time has come to move to the next phase of the political process” (A comprehensive

review of the situation in Kosovo, 7 October 2005, S/2005/635). Il successivo 24 ottobre

del 2005, il Presidente del CS si è detto favorevole all’inizio del processo per la

definizione dello status definitivo del Kosovo (S/PRST/2005/51). 43 Ex Presidente finlandese, già emissario diplomatico dell’UE, insieme al russo

Chernomyrdin, durante la guerra in Kosovo nel 1999.

CAPITOLO SECONDO 50

impasse kosovara44

. Benché la parola “indipendenza” non figuri in

alcuna delle sue 58 pagine, la proposta Ahtisaari è stata accolta con

estrema freddezza da parte della Serbia, per la quale i minus alla sua

sovranità sulla provincia45

pesano più delle garanzie offerte alla sua

comunità etnica residente in Kosovo46

. Nell’impossibilità di una

soluzione consensuale, la proposta Ahtisaari potrebbe, dunque, essere

sottoposta direttamente al CS dell’ONU, dove, tuttavia, rischierebbe di

infrangersi contro l’assai probabile veto russo, innescando un contrastato

processo di riconoscimenti unilaterali da parte di singoli Stati. In questo

scenario, l’UE, che sta preparando il suo avvicendamento alla missione

ONU47

, è chiamata, con ben cinque Stati membri nel CS48

e quattro nel

Gruppo di Contatto49

, ad un particolare sforzo di coordinamento per

contribuire ad una soluzione politica di una questione dal non

trascurabile potenziale destabilizzante a livello internazionale50

nonché

44 Special Envoy of the Secretary-General (M. Ahtisaari), Comprehensive Proposal for

the Kosovo Status Settlement, 2 February 2007.

Comprehensive Proposal for the Kosovo Status Settlement, 2 February 2007. 45 Tra le previsioni che palesano la perdita di sovranità di Belgrado sul Kosovo si

segnalano: l’attribuzione agli organi costituzionali kosovari del potere di negoziare e

concludere accordi internazionali e richiedere l’ammissione in organizzazioni

internazionali, il divieto di unirsi a qualsivoglia Stato (quindi anche alla Serbia!), la

perdita del diritto di proprietà su tutti i beni mobili e immobili siti in territorio kosovaro,

l’istituzione di servizi segreti e di un esercito kosovari (di 2.500 effettivi e 800 riservisti,

muniti di sole armi leggere), la perdita del controllo dei confini e dello spazio aereo

kosovaro. 46 Tra le previsioni poste a tutela della minoranza serba in Kosovo (circa 130.000 su un

totale di quasi 2 milioni di abitanti) si segnalano: l’ufficializzazione del bilinguismo,

l’introduzione di simboli nazionali multi-etnici, l’ampio decentramento amministrativo

per sei municipalità a maggioranza serba, autorizzate a stabilire rapporti di cooperazione

orizzontale (tra di loro) e verticale (con lo Stato serbo), speciali garanzie di sicurezza per

il clero, per le proprietà ed i siti di interesse storico-religioso della Chiesa Ortodossa

Serba, il diritto ad un’equa rappresentanza nell’assemblea costituente e nelle istituzioni

costituzionali. 47 Si veda infra, par. III.3.2. 48 La Francia e la Gran Bretagna in quanto membri permanenti; l’Italia, il Belgio e la

Slovacchia in quanto membri non permanenti. 49 Istituito dagli accordi di Dayton del dicembre del 1995 al fine di monitorare la pace e

la stabilità nell’area della ex Jugoslavia, il Gruppo di Contatto include i seguenti Stati:

USA, Russia, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna. 50 Sebbene i leader locali considerino il caso kosovaro come un unicum, in quanto

espressione di un processo a guida internazionale, approvato e regolato dal CS dell’ONU

(A. ÇEKU, “Manifesto del Kosovo Indipendente”, Kosovo: lo Stato delle Mafie,

(Quaderni Speciali di Limes, supplemento al n. 6/2006), pagg. 131; A. KURTI, “Né

Serbia né Unmik”, ibidem, pagg. 111-122), gli analisti ritengono che un eventuale

riconoscimento internazionale dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia potrebbe aprire

il “vaso di Pandora” dei movimenti secessionisti, innescando un “effetto domino” su

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

51

cruciale per misurare il grado di maturità politica della costruzione

continentale di fronte al verosimile rischio geo-politico che uno “Stato

fallito” nasca alle sue porte51

.

II.1.2 Le coordinate istituzionali: la Missione UNMIK ed il sistema

giudiziario kosovaro

Si deve al Dipartimento delle Operazioni di Peace-Keeping

dell’ONU la progettazione della singolare architettura istituzionale

attraverso cui UNMIK si è fatta carico dell’ampio mandato affidatole.

La struttura originaria prevedeva la divisione delle responsabilità tra

quattro componenti di governo -dette “Pilastri”- dell’amministrazione

internazionale civile. Soltanto una di esse -il II Pilastro (amministrazione

civile in senso stretto)- veniva assegnato direttamente ad UNMIK. La

gestione del I Pilastro (assistenza umanitaria), veniva delegata all’Alto

Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del III

(democratizzazione e costruzione delle istituzioni) all’OSCE, e, infine,

del IV (ricostruzione economica) all’UE. Ciascuna delle citate

organizzazioni internazionali, pur afferendo all’unica cornice

istituzionale di UNMIK, rispondeva ad una propria catena di comando. Il

necessario coordinamento sarebbe stato garantito da un’articolata

struttura di vertice composta dal Rappresentante Speciale del Segretario

Generale (RSSG) dell’ONU in quanto autorità suprema52

, da un Vice-

RSSG alla guida di ciascun Pilastro53

, da un Vice Principale posto tra il

scala mondiale. Anzitutto nello stesso Kosovo, le enclaves a maggioranza serba a nord

del fiume Ibar potrebbero dare luogo ad una contro-secessione (o, se si preferisce, ad una

“secessione nella secessione”) ricongiungendosi alla Serbia; l’esempio potrebbe essere

seguito dai serbo-bosniaci della Repubblica Srpska; né si possono escludere disordini

nelle zone serbo-croate. Sempre nei Balcani, pulsioni centrifughe potrebbero manifestarsi

nelle enclaves albanesi della Serbia meridionale, della Macedonia settentrionale, di

talune zone del Montenegro e persino della Grecia (Ciamuria). Né vanno trascurati,

infine, i rischi di secessione nell’area caucasica (Abkhazia, Ossezia del Sud, Transnistria,

Cecenia) dove forti sono gli interessi territoriali russi. Si veda, International Crisis

Group, Kosovo’s Status: Difficult Months Ahed, Europe Briefing n. 45, 20 December

2006; e inoltre: P. QUERCIA, “Il Kosovo in bilico” in Kosovo: lo Stato delle Mafie, op.

cit., pagg. 13-14, 20-21, 26. 51 F. MINI, “Buco nero, Stato mafia e/o Stato canaglia” in Kosovo: lo Stato delle Mafie,

op, cit., pagg. 25-44. 52 Figura espressamente prevista al par. 10 della risoluzione n. 1244. 53 La coordinazione delle strutture di comando di organizzazioni internazionali differenti

è ritenuto uno dei fattori di maggiore problematicità per la gestione interinale del Kosovo

post-bellico. Il medesimo problema si riscontra, mutatis mutandis, anche all’interno della

presenza internazionale militare, KFOR, essendo questa composta da cinque Brigate, con

a capo altrettanti comandanti, a loro volta suddivise in numerose task force che

comprendono contingenti nazionali, ciascuno con una propria catena di comando e

CAPITOLO SECONDO 52

RSSG ed i quattro capi-Pilastro e, infine, da un organo collegiale, il

Comitato Esecutivo, raggruppante tutti i sei alti funzionari. Al RSSG

venivano attribuiti poteri ad esteso raggio: modificare, sospendere,

abrogare le leggi ed i regolamenti vigenti, emanarne nuovi -sotto il

nome, rispettivamente, di “Regulation” e “Administrative Direction”-

nominare e rimuovere qualsiasi funzionario dell’amministrazione civile

provvisoria locale, ivi inclusi i magistrati54

. La concentrazione di poteri

sovrani in capo ad un organo monocratico -necessaria per assicurare

unità e coerenza all’azione amministrativa di una missione complessa e

composita- esponeva UNMIK alla paradossale critica di aver violato il

principio di separazione dei poteri, posto a fondamento del moderno

stato di diritto.

La macchina della presenza civile internazionale -dal costo medio

annuo stimato in 1,3 miliardi di dollari- si è evoluta con il progressivo

sviluppo della missione. Il Pilastro “umanitario” ha cessato di operare

nel giugno del 2000, per essere sostituito, nel maggio del 2001, da un

proprie regole di ingaggio. Le difficoltà di coordinamento interne a ciascuna delle due

presenze internazionali, civile e militare, si riflettono ovviamente sul rapporto tra di esse.

Si veda P. SALZANO, “ONU e Kosovo: un caso sui generis” in S. BALDI e C.

BUCCIANTI Le Nazioni Unite viste da vicino, Padova, 2006, pagg. 103-127. 54 Report of the Secretary-General on the UNMIK, 12 July 1999, par. 39; nonché

UNMIK Regulation n. 1, Section 1 del 25 luglio del 1999.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

53

nuovo I Pilastro dedicato a Giustizia e Polizia, materie fin lì

amministrate nell’ambito del II Pilastro. Nell’autunno del 2005, in esito

al progressivo trasferimento di poteri alle locali Istituzioni Provvisorie di

Auto-Governo (IPAG), il II Pilastro è stato abolito. Il Pilastro Giustizia e

Polizia è stato, a sua volta, soppresso il 1° maggio del 2006 e le relative

funzioni di comando sono state trasferite direttamente al RSSG.

Nell’ambito del I Pilastro, il Dipartimento di Giustizia (DG), già

Dipartimento per gli Affari Giudiziari (DAG)55

, ha svolto, rispetto al

sistema giudiziario kosovaro, compiti propri di un ministero di giustizia.

Dalla primavera del 2006 (marzo-aprile), solo funzioni meramente

amministrative sono state trasferite al Ministero di Giustizia56

e

all’organo di auto-governo della magistratura, il Consiglio Giudiziario

del Kosovo (CGK)57

, residuando al DG importanti poteri “riservati”, tra i

quali si ricorda la preparazione del bilancio dell’intero sistema

giudiziario kosovaro.

Il sistema giudiziario kosovaro, con cui il DG si interfaccia, è

sostanzialmente identico a quello vigente al 1999, a sua volta rimasto

immutato rispetto a quello di cui il Kosovo si era dotato nell’ambito

della sua autonomia58

. A più riprese confermato da UNMIK59

, detto

sistema si struttura su quattro “livelli”:

1) le 25 Corti per i Delitti Minori e l’Alta Corte per i Delitti Minori,

2) le 24 Corti Municipali e le 7 Procure Municipali,

3) le 5 Corti Distrettuali e le altrettante Procure Distrettuali,

4) la Corte Suprema e l’Ufficio del Pubblico Procuratore per il

Kosovo60

.

55 Il DG è stato formalmente istituito nel 2001, in seguito alla riforma del DAG, a sua

volta creato nel luglio del 1999. 56 Il Ministero di Giustizia è stato formalmente istituito con la Regulation n. 53 del 20

dicembre del 2005. Prima della sua effettiva entrata in funzione, il coinvolgimento locale

nella gestione degli affari giudiziari è avvenuto, dapprima, attraverso il Dipartimento

Amministrativo di Giustizia costituito in seno alla Struttura Amministrativa Interinale

Congiunta (Regulation n. 15 del 21 marzo del 2000) e, poi, attraverso il Dipartimento per

l’Amministrazione Giudiziaria costituito presso il Ministero dei Servizi Pubblici

(Regulation n. 19 del 13 settembre del 2001). 57 Il CGK è stato formalmente istituito dalla Regulation n. 52 del 20 dicembre del 2005. 58 Leggi della Provincia Socialista Autonoma del Kosovo n. 32 sull’Ufficio del Pubblico

Procuratore, n. 21 del 1978 sulle Corti Ordinarie, n. 7 del 1981 sull’Attività Interna delle

Corti Ordinarie e n. 23 del 1979 sulle Corti per i Reati Minori. 59 Regulation n. 1 del 1999; Regulation n. 24 del 1999; Constitutional Framework for

Provisional Self-Government in Kosovo varato con Regulation n. 9 del 15 maggio del

2001 (par. 9.4.4); Codice Provvisorio di Procedura Penale, adottato con Regulation

UNMIK n. 26 del 6 luglio del 2003 (artt. 20-26). 60 Unitamente a due Corti Distrettuali commerciali specializzate sulla patologia dei

rapporti mercantili, la Corte Suprema, le Corti Distrettuali e le Corti Municipali

CAPITOLO SECONDO 54

Le Corti per i Reati Minori hanno giurisdizione su reati punibili con

pena massima di due mesi di detenzione. Le loro pronunce sono

impugnabili dinanzi all’Alta Corte per i Reati Minori.

Le Corti Municipali hanno giurisdizione su reati punibili con

sanzioni che vanno da una multa ad un periodo di detenzione fin ad un

massimo di 5 anni e sono organi giurisdizionali di primo grado. Il

collegio giudicante (panel) di una Corte Municipale è composto da 3

giudici (un togato e due laici).

Le Corti Distrettuali hanno giurisdizione di prima istanza su reati

punibili con la detenzione da 5 a 40 anni. Esse hanno, inoltre,

giurisdizione di secondo grado rispetto alle decisioni delle Corti

Municipali. In primo grado, una Corte Distrettuale giudica attraverso

panel composti da 3 giudici (uno togato e due laici). Quando il reato è

punibile con detenzione di almeno 15 anni, la composizione dei panel è

più larga e comprende 5 giudici (due togati e tre laici). In secondo grado,

la Corte Distrettuale giudica attraverso panel di 5 membri (due togati e

tre laici).

Oltre ad avere competenza -attraverso due Camere Speciali- sulle

questioni “costituzionali”61

e su quelle connesse al processo di

privatizzazione della proprietà pubblica62

, la Corte Suprema ha

giurisdizione su decisioni prese in primo grado (e, in certi casi, anche in

appello) da una Corte Distrettuale e sui rimedi straordinari previsti dalla

legge. L’annullamento di una sentenza di primo grado comporta

l’obbligatorio rinvio del caso al primo giudice (i.e. la competente Corte

Distrettuale), il quale celebrerà un nuovo processo (retrial). La Corte

Suprema decide attraverso panel composti di tre giudici togati e, per

reati punibili con almeno 15 anni di detenzione, attraverso panel di

cinque giudici togati. Quando giudica su reati più gravi, la composizione

è di cinque giudici togati.

costituiscono, secondo la legislazione vigente al 1989, le “Regular Courts” (Corti

Ordinarie). 61 La Camera Speciale sulle Questioni della Cornice Costituzionale è stata istituita con la

Regulation n. 9 del 15 maggio del 2001, Section 9.4.11. 62 La Camera Speciale sulle Questioni Connesse alla Agenzia Fiduciaria del Kosovo

(AFK) è stata istituita con la Regulation n. 13 del 13 giugno del 2002.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

55

Il quadro istituzionale di riferimento

II.2 Il contesto giuridico di riferimento

Tre principali coordinate concorrono a definire il contesto giuridico

di riferimento delle corti penali “ibride” in Kosovo: il loro fondamento

giuridico (II.2.1), il diritto penale materiale e procedurale applicabile

(II.2.2) e, infine, i limiti della loro giurisdizione (II.2.3-6).

II.2.1 Il fondamento giuridico

L’atto normativo che pone le basi per l’istituzione delle corti

“ibride” è la Regulation n. 6 del 17 febbraio del 2000, seguita, nello

stesso anno, dalle Regulation n. 34 e n. 6463

, e, nel 2001, dalla n. 2. In

63 Avendo durata annuale, la Regulation n. 64 è stata prorogata di anno in anno

all’approssimarsi della sua scadenza.

I Pilastro UNMIK -

Polizia e Giustizia

Dipartimento di

Polizia

Dipartimento

di Giustizia

Ministero

di Giustizia

Consiglio

Giudiziario

Corte Suprema

(2 Special Chambers)

5 Corti Distrettuali

(Pristina, Mitrovika, Pec, Pizren e Gjilan)

Alta Corte per i Reati Minori

25 Corti per i Reati Minori

24 Corti Municipali

Isti

tuzi

on

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rov

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ori

e d

i A

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del

Ko

sov

o

CAPITOLO SECONDO 56

maniera oltremodo sintetica, esse individuano la propria base giuridica -e

quindi il fondamento ultimo delle corti “ibride” in Kosovo- nella

risoluzione n. 1244 del CS dell’ONU e, subordinatamente, nella

Regulation n. 1 del 25 luglio del 1999 “On the Authority of the Interim

Administration in Kosovo”64

.

Atto di diritto internazionale derivato coperto dal Capitolo VII della

Carta dell’ONU65

e suprema fonte normativa -se si vuole,

“costituzionale”- disciplinante finalità e funzioni della presenza

internazionale in Kosovo, la citata risoluzione esplicitamente incarica

UNMIK di mantenere l’ordine pubblico attraverso la costituzione di una

forza di polizia locale e, allo stesso tempo, attraverso il dispiegamento di

una forza di polizia internazionale66

, ma nulla dispone, sull’altro versante

del I Pilastro, circa l’inserimento di magistrati internazionali all’interno

del sistema giudiziario kosovaro. Né, d’altra parte, la “Regulation-

64 Il riferimento alla base giuridica contenuto nel preambolo delle Regulation n. 6 e n. 34

è del seguente tenore: “The Special Representative of the Secretary-General, [p]ursuant

to the authority given to him under United Nations Security resolution 1244/1999 of 10

June 1999, [t]aking into account United Nations Interim Administration Mission in

Kosovo (UNMIK) Regulation No. 1999/1 of 25 July 1999 (…), [f]or the purpose of

assisting in the judicial process in Mitrovica/in Kosovo (…) [h]ereby promulgates the

following: (…)”. Il preambolo della Regulation n. 64 si arricchisce di una precisazione:

“[r]ecognizing the responsibility of the international civil presence to maintain civil law

and order and protect and promote human rights (…)”, in cui si scorge l’implicito

rimando a due puntuali lettere, (i) e (j), del par. 11 della risoluzione 1244 del 1999. La

Regulation n. 2 del 2001 torna sullo stile delle prime due con la variatio: (…) [f]or the

purpose of enhancing the judicial process and the proper administration of justice (…)”. 65 Il Capitolo VII (artt. 39-51) disciplina le “Azioni rispetto alle minacce alla pace, alle

violazioni della pace ed agli atti di aggressione”. Nulla specifica la risoluzione circa il

puntuale articolo del Cap. VII posto a suo fondamento. E’ ragionevole ritenere che la

risoluzione n. 1244 possa essere ricondotta all’art. 41 (misure non implicanti l’uso della

forza) per quanto riguarda la decisione del CS di dispiegare in Kosovo una presenza

internazionale civile, e all’art. 42 (misure implicanti l’uso della forza) per quanto

concerne la decisione di autorizzare gli Stati membri e la NATO a dispiegare, sotto gli

auspici dell’ONU, una presenza internazionale militare. Non meno convincente appare la

tesi secondo cui alla base del dispiegamento della presenza internazionale militare vi

sarebbe una consuetudine affermatasi nell’ambito del Capitolo VII della Carta

specularmente alla caduta in desuetudine degli artt. 43-45 relativi all’obbligo de

contrahendo posto a carico degli Stati membri di concludere accordi speciali con il CS

per mettere a sua disposizione forze armate e facilitazioni militari necessarie per il

mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Il ricorso del CS al Capitolo

VII per decidere operazioni di peace-keeping potrebbe, ad adiuvandum, essere

legittimato dalla teoria c.d. “dei poteri impliciti”. 66 Il par. 11, lett. (i) della risoluzione, annoverava tra le responsabilità della presenza

civile internazionale: “[m]aintaining civil law and order, including establishing local

police forces and meanwhile through the deployment of international police personnel to

serve in Kosovo”.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

57

madre” della missione UNMIK prevede espressamente la possibilità di

inserire magistrati internazionali nel sistema kosovaro: essa si limita ad

investire il RSSG del potere di amministrare la magistratura e di

nominare “any person [corsivo nostro]” per il concreto esercizio della

funzione giudiziaria nel quadro delle leggi esistenti in Kosovo.

Nel silenzio della risoluzione e della Regulation n. 1, si rende,

pertanto, necessaria un’interpretazione estensiva dei rispettivi testi al fine

di individuare un nucleo di disposizioni logicamente correlabili per

legittimare, sul piano formale, la creazione delle corti “ibride”.

Per quanto riguarda la risoluzione n. 1244, vengono in rilievo

almeno quattro disposizioni del paragrafo 11:

- la lettera (b), che include nel novero delle responsabilità di

UNMIK lo svolgimento delle funzioni amministrative civili di base;

- la lettera (i), che, in tema di mantenimento dell’ordine

pubblico, espressamente -ma non tassativamente- prevede, come già

detto, una forza civile di polizia internazionale;

- la lettera (j) che incarica UNMIK di proteggere e promuovere i

diritti umani in Kosovo;

- la lettera (k) che chiama UNMIK ad assicurare un ritorno

sicuro e senza impedimenti di tutti i rifugiati e gli sfollati del Kosovo.

Il criterio ermeneutico che permetterebbe di evincere dalle citate

disposizioni la facoltà di inserire magistrati internazionali nelle corti

penali locali è, a nostro avviso, quello c.d. “dei poteri impliciti”. Esso

consentirebbe ad UNMIK di disporre di tutti i poteri necessari per

l’esercizio di quelli espressamente previsti dalla risoluzione n. 1244

nonché di quelli direttamente deducibili dalle ampie finalità istituzionali.

CAPITOLO SECONDO 58

L’impiego di tale criterio non ci pare escluso dall’incipit del par. 11,

laddove afferma che “the main responsibilities of the international civil

presence will include: (…)” [corsivo nostro], lasciando intendere che

l’elenco delle responsabilità non è tassativo (né, del resto, potrebbe

esserlo, data la genericità delle previsioni). Pertanto, applicando la teoria

dei poteri impliciti alla risoluzione n. 1244, il potere di creare corti

“ibride” potrebbe ricavarsi dalle responsabilità di UNMIK -intese nella

duplice accezione di “poteri” e “finalità”- di cui alle citate lettere del

paragrafo 11:

b) svolgere le funzioni amministrative di base, tra cui v’è certamente

la giustizia;

i) mantenere l’ordine pubblico, non solo attraverso l’apparato

repressivo della polizia ma anche attraverso l’effetto deterrente prodotto

da una credibile attività giudiziaria;

j) proteggere i diritti dell’uomo, tra cui il diritto ad un equo

processo;

k) incoraggiare il ritorno di rifugiati e sfollati nei loro luoghi di

origine, attraverso la rimozione di impedimenti, anche psicologici,

connessi all’impunità degli autori di atti di violenza interetnica.

Per quanto concerne, invece, la Regulation n. 1, vale a dire la fonte

normativa immediatamente subordinata alla risoluzione n. 1244, il

principale appiglio ermeneutico è offerto dall’aggettivo indefinito “any”

(qualunque) che connota la “person”67

che il RSSG ha il potere di

nominare “to perform functions in the civil administration in Kosovo,

including the judiciary (…)”68

. E’ ragionevole ritenere che se il

legislatore onusiano avesse voluto escludere la possibilità di nominare

dei magistrati internazionali, la citata disposizione avrebbe dovuto

espressamente porre la “nazionalità” kosovara come requisito di

eleggibilità. Dunque, la Regulation n. 1/1999, pur non prevedendo

apertis verbis la nomina di internazionali nell’ambito della magistratura

kosovara, sicuramente non la esclude.

II.2.2 Il diritto applicabile

La decisione del RSSG, circa la legge penale applicabile, non è stata

lineare ed ha rivelato una scarsa sensibilità da parte di UNMIK alle

ripercussioni sociali di scelte su questioni solo in apparenza “tecniche”.

Inizialmente, con la già citata Regulation n. 1 del 25 luglio del 1999,

il RSSG stabilì che “[t]he laws applicable in the territory of Kosovo prior

67 Section 1.1. 68 Section 1.2.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

59

to 24 March 1999”69

avrebbero continuato ad applicarsi in Kosovo a

partire dal 10 giugno del 199970

, nella misura in cui fossero state

conformi agli “internationally recognized human rights standards”71

. La

“reviviscenza” del diritto sospeso de facto durante la campagna militare

della NATO (24 marzo-9 giugno del 1999) risultava coerente con la

nominale riaffermazione della sovranità della RFJ72

.

La conferma delle leggi vigenti fino al giorno dell’intervento aereo

della NATO suscitò la vivida opposizione di magna pars dei magistrati

di etnia albanese, che, vedendo in esse il simbolo di dieci anni di

oppressione e discriminazione ad opera del regime serbo-jugoslavo73

, si

rifiutarono di applicarle, preferendo il diritto vigente negli anni

dell’autonomia (1974-1989). Dopo cinque mesi di allarmante incertezza

giuridica, il 12 dicembre del 1999, il RSSG, preso atto degli effetti

paradossali dell’iniziale decisione74

, assecondò le pretese albanesi,

optando, con la Regulation n. 24, per “[t]he laws in force in Kosovo on

22 March 1989”75

, cioè il giorno precedente l’avocazione dello status di

autonomia da parte di Belgrado76

. L’applicazione del richiamato diritto

venne fatta decorrere ex tunc, dal 10 giugno del 1999, creando, oltre che

un’imbarazzante violazione del principio di irretroattività della legge

69 Section 3. 70 Section 7. Il 10 giugno è la data che, con l’adozione della risoluzione del CS dell’ONU

n. 1244, segnò il formale avvio della missione UNMIK in Kosovo. 71 Section 2. 72 L’attribuzione, ancorché temporanea, di poteri sovrani al RSSG avrebbe violato, dal

punto di vista di Belgrado, il decimo considerando della risoluzione n. 1244 in cui il CS

dell’ONU “[r]eaffirm[s] the commitment of all Member States to the sovereignty (…) of

the Federal Republic of Yugoslavia (…)”. Se si condivide la tesi serba, si deve

ammettere l’esistenza di un conflitto tra fonti di diritto internazionale, in cui, in modo del

tutto anomalo, una fonte di grado inferiore prevale, in via di fatto, su una fonte

formalmente sovraordinata. 73 Si trattava, in effetti, di leggi entrate in vigore dopo la sospensione dell’autonomia del

Kosovo e che, pur non essendo discriminatorie in astratto, avevano trovato

un’applicazione discriminatoria. 74 In una lunga intervista (“Kosovo: le courage de Sysiphe”) pubblicata su Politique

Internationale (n. 86, hiver 1999-2000) il RSSG, Bernard Kouchner, ammetteva che

considerare applicabili le leggi serbo-jugoslave sarebbe stato “comme si l’on avait

demandé à Mandela d’appliquer les lois de l’apartheid”. 75 Section 1.1. 76 Il repentino “aggiustamento di tiro” lasciò, tuttavia, insoddisfatta larga parte di politici,

magistrati ed opinione pubblica: la reiterata dipendenza del Kosovo dal diritto della ex

Jugoslavia fu avvertito come un ostacolo alle aspirazioni indipendentiste. Belgrado,

d’altra parte, non poté che vedere nella Regulation n. 24 la conferma di una sempre più

intensa usurpazione di sovranità sul Kosovo nonché della parzialità di UNMIK.

CAPITOLO SECONDO 60

penale77

, anche la necessità di un regime transitorio per tutte le decisioni

giudiziarie adottate fino al 12 dicembre del 1999 in base al diritto

vigente prima del 24 marzo del 199978

.

Le Regulation promulgate dal RSSG avrebbero costituito

un’ulteriore fonte, prevalendo, in caso di confliggenza, sulle leggi

vigenti. Il diritto “in force in Kosovo after 22 March 1999” avrebbe

potuto, infine, essere applicato, in quanto “gap filler”, solo alle

fattispecie non coperte, a condizione che non fosse stato discriminatorio

e avesse rispettato gli standard internazionalmente riconosciuti79

quali

risultanti da un corposo elenco di strumenti internazionali (non tutti

ratificati dalla RFJ) cui si faceva rimando80

; contestualmente fu abolita la

pena di morte.

Un cenno meritano i tratti caratterizzanti del diritto penale vigente in

Kosovo al 22 marzo del 1989.

Per quanto riguarda i profili processuali, veniva in rilievo il Codice

di Procedura Penale della RFJ (CPPRFJ), il quale collocava il Kosovo a

pieno titolo nella famiglia degli ordinamenti di civil law. Il CPPRFJ

disegnava, infatti, un processo di tipo “inquisitorio”, caratterizzato da

una disparità di poteri tra giudice e parti, essendo il giudice direttamente

coinvolto nel caso, con talune funzioni proprie dell’organo di accusa. La

fase precedente il rinvio a giudizio si caratterizzava, infatti, per

l’esistenza di un giudice inquirente preposto alla ricerca delle prove a

carico e discarico dell’indagato in ossequio all’impostazione ideologica

continentale che pone come prioritaria l’aspirazione ad una ricostruzione

veritiera dei fatti. Si ammetteva il processo in contumacia81

.

77 Il diritto richiamato dalla Regulation n. 1 del 1999 subentrava virtualmente a se stesso

dopo un periodo di fattuale sospensione e contestuale vuoto normativo; lo jus

superveniens richiamato dalla Regulation n. 24 del 1999, ancorché “redivivo”, si

sostituiva, invece, ad un diritto diverso da sé. 78 Tali decisioni vennero considerate “valid” nella misura in cui non fossero state in

conflitto con i diritti umani sanciti negli strumenti internazionali richiamati nella stessa

Regulation (Section 1), per i quali si veda alla successiva nota 80. 79 Section 1.2. 80 La Section 1.3 li elenca secondo questo ordine: Dichiarazione Universale sui Diritti

Umani del 1948, Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle

Libertà Fondamentali, Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 e relativi

Protocolli, Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966,

Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale del 1965,

Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne

del 1979, Convenzione Contro la Tortura ed Altri Trattamenti o Punizioni Crudeli,

Inumani e Degradanti del 1984, Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino del

1989. 81 Art. 300, par. 3, 4 del CPPRFJ.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

61

Quanto al diritto penale materiale, esso risultava dalla non sempre

chiara stratificazione di tre livelli normativi espressi da altrettanti livelli

di governo: il Codice Penale del Kosovo (CPK), il Codice Penale della

Serbia (CPSe) ed il Codice Penale della RFJ (CPRFJ).

L’adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, ivi

incluso quello penale, era mediato da due principali meccanismi: quello

di trasformazione automatica e permanente desumibile dall’art. 210 della

Costituzione federale del 197482

e quello c.d. “ordinario” di materiale

riformulazione delle norme internazionali in norme interne. Con

quest’ultimo meccanismo erano state incorporate nel CPRFJ (Capo XVI)

le norme contenute nella Convenzione sul Genocidio del 194883

e quelle

sullo jus in bello delle Convenzioni di Ginevra del 194984

.

Benché modellato sulla lettera della Convenzione del 194885

, l’art.

141 del CPRFJ includeva nella lista di atti genocidi una fattispecie

assolutamente innovativa, quale il trasferimento forzato di popolazione.

Tale previsione, che in linea di principio copriva il crimine più

diffusamente perpetrato in Kosovo dalle forze serbo-jugoslave durante il

conflitto armato, appariva, tuttavia, difficilmente conciliabile con il

presupposto psicologico per la qualificabilità di un atto come

“genocidio”, vale a dire l’intenzionalità di distruggere, in tutto o in parte,

un gruppo (nazionale, etnico, razziale, religioso)86

.

82 L’articolo in parola sanciva, secondo una logica monista, la diretta applicabilità da

parte dei giudici delle norme dei trattati internazionali sottoscritti dalla RSFJ. La tesi di

chi indica come trasformatore permanente l’art. 16 par. 2 della Costituzione della RFJ del

27 aprile del 1992 è incoerente con la Regulation n. 24 del 1999 che, come già detto,

considera applicabile il diritto vigente al 22 marzo del 1989. (J. CERONE, C.

BALDWIN, “Explaining and Evaluating the UNMIK Court System” in Internationalized

Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia (a

cura di C. ROMANO, A. NOLLKAEMPER, J. KLEFFNER), New York, 2004, pag 44

(nota 14). 83 Art. 141 del CPRFJ. 84 Artt. 142-153 del CPRFJ. Come notato dal TPIJ nella già citata decisione del 2 ottobre

del 1995 sul caso Tadic (par. 132), gli artt. 142, sui crimini di guerra contro la

popolazione civile, e 143, sui crimini di guerra contro i feriti e gli ammalati, traspongono

nel diritto interno le norme sulle c.d. “gravi violazioni” di cui agli artt. 49 e 50 della I

Convenzione di Ginevra, 50 e 51 della II, 146 e 147 della IV. L’art. 144 riguarda i

crimini contro i prigionieri di guerra, il 146 il nemico c.d. “hors de combat”, l’art. 147 il

saccheggio, l’art. 148 i mezzi di conduzione della guerra proibiti, l’art. 149 gli arresi,

l’art. 150 i diritti degli ammalati e dei prigionieri di guerra, l’art. 151 la distruzione di

monumenti culturali e storici, l’art. 152 l’istigazione di un guerra di aggressione, l’art.

153 l’uso abusivo di insegne internazionali. 85 La RSFJ aveva ratificato la Convenzione contro il genocidio del 1948 nel 1950. 86 Con riferimento al caso Goran Jelisic (IT-95-10 Trial Chamber I, Judgement, 14

December 1999), il TPIJ ha fissato criteri estremamente esigenti per l’accertamento di

quello che è considerato il più grave crimine internazionale: è necessario che l’elemento

CAPITOLO SECONDO 62

Per il genocidio e per i crimini di guerra era specificamente prevista

la possibilità di perseguirne non solo la materiale commissione ma anche

l’istigazione o l’organizzazione di un gruppo finalizzato a commetterli87

.

La descritta previsione, in combinato disposto con un'altra norma

contenuta nella parte generale del codice88

, avrebbe consentito di

ricostruire, per via ermeneutica, la dottrina della “joint criminal

enterprise”, largamente utilizzata nella strategia accusatoria del

procuratore del TPIJ e associabile a quella della “conspiracy” del TMI di

Norimberga89

. Sulla base di altre disposizioni contenute nella parte

generale del CPRFJ sarebbe, inoltre, risultato possibile considerare degli

individui responsabili per omissione90

, preparazione91

, tentativo92

,

complicità93

, incitamento94

e aiuto95

. Erano espressamente previsti, in

materia di crimini di guerra, il principio della responsabilità del

subordinato per violazioni commesse su ordine di un superiore96

e,

specularmente, quello di responsabilità del superiore che abbia ordinato

la commissione di una violazione97

. La responsabilità c.d. “di comando”

-cioè del superiore che, pur non avendo impartito ordini ovvero

pianificato i crimini, non si è comunque adoperato per evitare che il

subordinato commettesse violazioni- non era prevista nel CPRFJ ma

avrebbe potuto essere desunta, ex art. 210 della Costituzione federale,

direttamente dal I Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di

materiale (actus reus) sia corredato da quello psicologico (mens rea), vale a dire

l’intenzione di annichilimento, la quale sarebbe segnalata dall’estensione del crimine e

dall’esistenza di un sistema preordinato alla sua commissione. 87 Ibidem, art. 145. 88 Art. 26 del CPRFJ. Secondo l’articolo in parola, gli individui che creano o si

avvalgono di varie forme di gruppo, bande o associazioni per commettere crimini sono

responsabili per tutte le azioni di rilievo penale commesse da tali gruppi, a prescindere

dall’intensità della loro partecipazione. 89 La Camera d’Appello del TPIJ ha precisato la differenza tra le due dottrine: “joint

criminal enterprise and «conspiracy» are two different forms of liability. While mere

agreement is sufficient in the case of conspiracy, the liability of a member of a joint

criminal enterprise will depend on the commission [corsivo nostro] of criminal acts in

furtherance of that enterprise” Decision on Dragoljub Ojdanic’s Motion Challenging

Jurisdiction - Joint Criminal Enterprise” (21 May 2003), The Prosecutor v. Milutinovic

et al. - caso n. IT-99-37-AR72. 90 Art. 11 del CPRFJ. 91 Ibidem, art. 18. 92 Ibidem, art. 19. 93 Ibidem, art. 22. 94 Ibidem, art. 23. 95 Ibidem, art. 24. 96 Ibidem, art. 239. 97 Ibidem, art. 142.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

63

Ginevra del 194998

. Analogamente, nulla disponendo il CPRFJ sui

crimini contro l’umanità, si è ritenuto che le fattispecie potessero

comunque essere applicate sulla base del citato “trasformatore

permanente”99

.

Le Regulation di UNMIK hanno comportato una significativa

evoluzione del diritto penale applicabile.

Sul piano procedurale, si è proibito il processo in contumacia per

gravi violazioni del diritto internazionale umanitario quali definite dal

Capo XVI del CPRFJ nonché dallo Statuto di Roma sulla Corte Penale

Internazionale100

; si è esteso da 6 a 12 mesi il periodo massimo di

custodia pre-processuale101

; si sono introdotte norme sulla protezione

delle vittime e dei testimoni102

; si è disciplinata la materia dei

collaboratori di giustizia103

; i diritti delle persone arrestate sono stati

uniformati agli standard internazionali104

; si è ammesso l’uso delle

trascrizioni di interrogatori condotti dalle autorità di polizia105

; si sono

introdotte misure speciali di sorveglianza ed indagine106

.

Sul piano materiale, in sostituzione della già abolita pena di morte,

si è fissata come sanzione massima la detenzione per un periodo di 40

anni107

; sono stati introdotti i reati di incitamento all’odio, alla discordia

98 L’art. 86, par. 2 del Protocollo in parola (ratificato dalla RSFJ nel 1978) afferma: “the

fact that a breach of the Conventions or of this Protocol was committed by a subordinate

does not absolve his superiors from (…) responsibility (…) if they knew, or had

information which should have enabled them to conclude in the circumstances at the

time, that he was committing or about to commit such a breach and if they did not take

all feasible measures within their power to prevent or repress the breach”. 99 La mancata previsione di una specifica pena da parte dell’ordinamento interno (nulla

poena sine praevia lege poenali) si poneva, tuttavia, come ostacolo alla tesi secondo cui

un individuo avrebbe potuto essere processato per crimini contro l’umanità direttamente

in base al diritto internazionale. 100 Regulation n. 1 del 12 gennaio del 2001, Section 1. Facendo riferimento allo Statuto

di Roma, che include i crimini contro l’umanità, la Regulation n. 1 del 2001 suffragava la

tesi, descritta supra, della perseguibilità dei crimini contro l’umanità direttamente

secondo il diritto internazionale. 101 Regulation n. 26 del 22 dicembre del 1999. Il provvedimento, interpretabile come una

velata dichiarazione di stato d’emergenza da parte di UNMIK, mirava ad evitare che i

sospettati di gravi reati fossero rilasciati allo scadere del sesto mese di custodia cautelare. 102 Regulation n. 20 del 19 settembre del 2001, emendata dalla n. 2 del 24 gennaio del

2002. 103 Regulation n. 21 del 19 settembre del 2001, emendata dalla n. 1 del 24 gennaio del

2002. 104 Regulation n. 28 ottobre del 2001. 105 Regulation n. 7 del 28 marzo del 2002. 106 Regulation n. 6 del 18 marzo del 2002 107 Regulation n. 59 del 27 ottobre del 2000.

CAPITOLO SECONDO 64

e all’intolleranza nazionale, razziale e religiosa108

, di terrorismo109

, di

traffico di esseri umani110

, di possesso illegale di armi111

, di

attraversamento non autorizzato di confini112

; sono state emendate le

figure di reato legate alla violenza sessuale già previste dal CPK113

; è

stata “costituzionalizzata” la diretta applicabilità degli strumenti

internazionali già considerati “applicable law” dalla Regulation n. 24 del

1999114

;

Il 6 aprile del 2004 è iniziata la più importante tappa del processo

evolutivo del diritto applicabile, il quale è stato sistematicamente

modificato dall’entrata in vigore di un Codice di Procedura Penale

Provvisorio (CPPP) e di un Codice Penale Provvisorio (CPP), entrambi

promulgati da UNMIK il 6 luglio del 2003 sotto forma di Regulation115

.

L’esigenza di adeguare l’ordinamento penale kosovaro ai principi del

moderno diritto internazionale -ed in particolare ai diritti umani- si era

manifestata già all’inizio della missione UNMIK, quando, nell’agosto

del 1999, il RSSG aveva istituito il Comitato Consultivo Congiunto sulle

Questioni Legislative composto dai rappresentanti della comunità

giuridica kosovara (accademici, avvocati, ex giudici e procuratori) e

investito del mandato di predisporre, con il supporto del Consiglio

108 Regulation n. 4 dell’1 febbraio del 2000. 109 Regulation n. 12 del 14 giugno del 2001. 110 Regulation n. 4 del 12 gennaio del 2001. 111 Regulation n. 7 del 21 febbraio del 2001. 112 Regulation n. 10 del 24 maggio del 2001. La motivazione contingente per l’adozione

di questa Regulation è da ricercarsi nei disordini esplosi in Macedonia e nella Serbia

meridionale nella primavera del 2001. 113

Regulation n. 1 del 6 gennaio del 2003 emendante gli artt. 74-76 e 78 del CPK.

114 Il Chapter 3.3 della Regulation n. 9 del 15 maggio del 2001 stabilisce che: “[t]he

provisions on rights and freedoms set forth in these instruments [per l’elenco completo si

rimanda alla nota 80 di questo stesso capitolo] shall be directly applicable in Kosovo as

part of this Constitutional Framework” [corsivo nostro]. Sul tema della diretta

applicabilità di taluni di questi strumenti (la Convenzione Europea per la Protezione dei

Diritti e delle Libertà Fondamentali del 1950 ed il Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici del 1966) si tornerà infra ai parr. II.4.6-7.

115 Regulation n. 25 (per il CPP) e n. 26 (per il CPPP) del 6 luglio del 2003. E’ appena il

caso di rimarcare che il CPP ed il CPPP, traendo la loro forza da atti formalmente

ascrivibili ad UNMIK, hanno come fondamento ultimo la Regulation n. 1 del 1999 e la

risoluzione n. 1244 del CS. La comunità albanese ha salutato l’adozione dei due codici

come un definitivo affrancamento del sistema giuridico-giudiziario del Kosovo dalla

Serbia. L’aggettivo “provvisorio”, connotante i due codici, risponde all’esigenza di

rimarcare il carattere temporaneo dei due testi giuridici onusiani in attesa che venga

definito lo status del Kosovo.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

65

d’Europa, dell’OSCE e dell’ABACEELI116

, una revisione dell’esistente

legislazione penale.

Il nuovo CPPP ha spostato il baricentro del sistema giudiziario

penale verso l’idealtipico modello processuale di common law definito

“adversarial” o “accusatorial”. Centrale è diventato, infatti, il ruolo delle

parti, accusa e difesa, chiamate a confrontarsi ad armi pari117

per la

presentazione delle prove durante la fase dibattimentale, in cui il giudice

conserva una funzione passiva di mero arbitro; il tutto in ossequio

all’impostazione liberal anglo-sassone che prepone alla ricerca di una

pretesa verità fattuale “regole del gioco” garanti della naturale selezione

delle forze e di un’equa soluzione della lite118

.

Dal punto di vista del potere pubblico, il vero dominus della

procedura, specie nella fase pre-dibattimentale, è il procuratore, cui sono

trasferite (in forma ampliata) le funzioni in precedenza spettanti al

giudice inquirente: “the (…) basic power and main function of the public

prosecutor shall be (…): [t]o undertake the necessary measures

connected with the detection of criminal offences and the discovery of

perpetrators and to undertake investigative actions while directing or

supervising the investigation in preliminary criminal proceedings”119

.

L’accrescimento dell’efficienza delle procedure e l’innalzamento

della protezione delle persone in esse a vario titolo coinvolte hanno

rappresentato altri due vettori della riforma. La riallocazione dei poteri

nella fase pre-processuale è stata congeniale al perseguimento di

entrambi gli obiettivi. E’ stato introdotto un giudice per la fase pre-

dibattimentale, la cui principale funzione -dapprima propria del giudice

inquirente- è quella di prendere decisioni aventi effetti sui diritti e sulle

libertà individuali. Il potere di esaminare l’imputato120

, i testimoni e i

periti121

è stato riservato esclusivamente al procuratore quando invece,

nel previgente sistema, esso era esercitato, con duplicazione di tempi,

anche dal giudice inquirente.

116 American Bar Association Central and Eastern European Law Iniziative. 117 Art. 10 del CPPP. A ben vedere, il carattere “adversial” della procedura è temperato

dalla previsione secondo cui “[t]he public prosecutor has a duty to consider the

inculpatory as well as exculpatory evidence and facts during the investigation (…)”

(ibidem, art. 46, par. 3). 118 La dichiarazione di colpevolezza (guilty plea) ed il contraddittorio tra le parti (cross-

examination) sono altri due significativi elementi attinti dal modello di common law. 119 Ibidem, art. 47, par. 1-2. Il procuratore può condurre indagini in modo diretto ovvero

attraverso la polizia giudiziaria (ibidem, art. 51, par. 2). La polizia è obbligata a seguire le

richieste (legali) del procuratore (ibidem, art. 209, par. 1) e può intraprendere indagini

solo con la previa autorizzazione dello stesso (ibidem, art. 221, par. 4). 120 Ibidem, art. 231, par. 1. 121 Ibidem, art. 237, par. 1.

CAPITOLO SECONDO 66

Sul piano procedurale va, infine, ricordata l’introduzione di due

Capi122

appositamente dedicati al coordinamento del sistema penale

locale con gli ordinamenti esterni, dai quali sono espressamente esclusi i

tribunali internazionali (e.g. CPI, TPIJ)123

.

Quanto al nuovo CPP, esso contiene un Capo, il XIV, appositamente

dedicato ai crimini di diritto internazionale124

, il quale colma la lacuna

del previgente CPRFJ inserendo, al fianco del genocidio125

e dei crimini

di guerra (commessi in conflitti armati interni ed internazionali)126

, anche

i crimini contro l’umanità127

, per i quali non è richiesta l’esistenza di un

collegamento col conflitto armato. Oltre alla responsabilità per

l’esecuzione di un ordine superiore128

, è espressamente disciplinata la

responsabilità “di comando”129

ma non è codificata la figura di “joint

criminal enterprise”, che potrebbe comunque essere ricavata per via

interpretativa dal combinato disposto delle disposizioni dedicate alla

“co-perpetration”130

, alla “criminal association”131

ed all’organizzazione

di gruppi per la commissione di crimina juris gentium132

. Coperte dal

principio di giurisdizione universale133

, le norme su tali crimini sono

state modellate su fonti internazionali, quali la Convenzione contro il

genocidio del 1948, le Convenzioni di Ginevra del 1949 (ivi inclusi i

Protocolli Aggiuntivi del 1977)134

, la Convenzione del 1984 contro la

122 Ibidem, Capo XLVII - Procedures for International Legal Assistance and the

Execution of International Agreements in Matters of Criminal Law; Capo XLVIII -

Procedures for Transfer of Defendants and Convicted Persons To and From Foreign

Jurisdiction. 123 Ibidem, art. 516, par. 2. 124 Criminal Offences Against International Law. 125 Art. 116 del CPP. Il trasferimento forzato di popolazione, in precedenza contemplato

sotto il crimine di genocidio (art. 141 del CPRFJ) è adesso correttamente incluso

nell’elenco dei crimini contro l’umanità (art. 117, par. 4 del CPP). 126 Artt. 118-127 del CPP. 127 Ibidem art. 117. 128 Ibidem, art. 10. 129 Ibidem, art. 129. 130 Ibidem, art. 23. 131 Ibidem, art. 26. 132 Ibidem, art. 128. 133 Ibidem, art. 100. 134 Il CPP accoglie la differenziazione del regime giuridico applicabile a seconda della

natura del conflitto armato. Al conflitto interno si applicano espressamente gli artt. 120

(War Crimes in Serious Violation of Artiche 3 Common to the Geneva Conventions), 121

(War Crimes in Serious Violation of Laws and Customs Applicable in Armed Conflict

Not of an International Character) e 122 (Attacks in Armed Conflict Not of an

International Character Against Installations Containing Dangerous Forces); mentre a

quello internazionale l’art. 119 (War Crimes in Serious Violation of laws and Customs

Applicable in International Armed Conflict). Si applicano espressamente ad entrambi i

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

67

tortura ed altro trattamento o punizione crudele, inumana e degradante,

lo Statuto di Roma del 1998 della CPI. Nel Capo XIV sono, infine,

integrate norme, per lo più definite in base alle rilevanti convenzioni

internazionali, sull’istigazione di una guerra di aggressione135

, sul

terrorismo136

, sulla pirateria137

, sulla schiavitù e sul lavoro forzato138

, sul

traffico di migranti139

, di esseri umani140

, sulla messa in pericolo di

personale internazionale141

, sulla cattura di ostaggi142

, sul traffico e

sull’uso di materiale nucleare143

.

Il diritto internazionale non ha mancato di influenzare la

formulazione di norme contenute in altri Capi: per la definizione dei reati

contro l’integrità sessuale144

è stata recepita la giurisprudenza della Corte

Europea per i Diritti Umani; per l’espulsione di stranieri dal territorio del

Kosovo (in quanto pena accessoria) si è fatto espresso riferimento, inter

alia, alla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951.

Va, inoltre, fatta menzione del Capo XIII che rende perseguibili le

“criminal offences against Kosovo and its residents”145

: il tentativo di

conflitti l’art. 123 (Conscription or Enlisting of Persons Between the Age of Fifteen and

Eighteen Years in Armed Conflict) e l’art. 124 (Employment of Prohibited Means or

Methods of Warfare). L’art. 118 sui War Crimes in Grave Breach of the Geneva

Conventions dovrebbe, in base al dettato pattizio, applicarsi ai soli conflitti armati

internazionali ma il contesto di riferimento delle violazioni ha una così ampia

formulazione nel Codice (“during war time or armed conflict”, par. 2) da lasciare aperta

all’interprete la possibilità di estendere le previsioni anche ai conflitti interni, magari

anche attraverso il ragionamento seguito nel 1999 dal TPIJ (Prosecutor v. Tadic,

Judgement, caso n. IT-94-1-A, Appeal Chamber, 15 July 1999) ed incentrato su una

meno esigente nozione di “agency control” (“overall control”) e su un’interpretazione

funzionale del concetto di “nationality” (cui è assimilata la “ethnicity”). Per

l’applicazione degli artt. 125-131 -sulla riconsegna dei prigionieri e dei civili (125), sugli

atti di predoneria sul campo di battaglia (126), sulla messa in pericolo dei negoziatori

(127), sull’organizzazione di gruppi (128), sulla responsabilità di comando (129),

sull’istigazione alla guerra (130) e sull’uso abusivo di insegne internazionali (131)- non è

specificata la natura del conflitto armato e sarebbe, pertanto, ammissibile, oltre che

auspicabile, un’interpretazione estensiva. 135 Ibidem, art. 130. 136 Ibidem, artt. 132-135. 137 Ibidem, art. 136. 138 Ibidem, art. 137. 139 Ibidem, art. 138. 140 Ibidem, artt. 139-140. 141 Ibidem, artt. 141-142. 142 Ibidem, art. 143. 143 Ibidem, artt. 144-145. 144

Ibidem, Capo XIX. 145 Nel wording del capo XIII si riflette tutta l’ambiguità della risoluzione n. 1244. Essa,

da un lato, riaffermando la nominale sovranità di Belgrado, obbliga il legislatore

onusiano a definire i kosovari “residents of Kosovo” (e non “citizens of Kosovo”) e a

CAPITOLO SECONDO 68

cambiare, con l’uso di violenza o minaccia, l’ordine legale costituito

ovvero di rovesciare un’istituzione pubblica146

, il terrorismo147

,

l’attraversamento non autorizzato di confini148

e l’incitamento all’odio,

alla discordia e all’intolleranza nazionale, razziale, religiosa ed etnica149

.

Per la definizione delle ultime tre fattispecie si proceduto ad incorporare

quanto previsto dalle Regulation precedentemente adottate da UNMIK.

Infine, che il CPP sia un testo giuridico alquanto avanzato è

dimostrato anche dall’ampio spazio riservato, in coerenza con l’esplicita

finalità riabilitativa della pena150

, alle misure alternative alla

detenzione151

, e dall’attenzione ai reati commessi attraverso i media152

, a

quelli commessi contro i diritti sindacali153

, contro la salute pubblica154

,

contro l’ambiente e i beni culturali155

e contro la proprietà156

.

Per completezza d’analisi, va ricordato che l’entrata in vigore del

CPP e del CPPP, lungi dal mettere i magistrati internazionali in

condizione di perseguire più efficacemente i reati a movente interetnico

commessi durante disordini del marzo precedente, ha creato l’ennesima

aporia sul diritto applicabile: quello vigente al tempus commissi delicti,

in conformità al principio di irretroattività della legge penale, ovvero

quello vigente all’inizio delle indagini e del processo, in deroga al citato

principio? Dopo un’imbarazzante esitazione, l’aporia è stata superata

applicando di volta in volta la legge più favorevole al reo.

sottolineare il distinguo tra “boundary” (confini amministrativi tra Kosovo e Serbia) e

“border” (confini internazionali tra Kosovo, in quanto parte della Serbia, e Macedonia,

Albania e Montenegro); dall’altro lato, sancendo la sostanziale autonomia della

provincia, rende possibile l’utilizzo di una locuzione -“territory of Kosovo”- carica di

significato politico perché connotante la nozione giuridica di Stato sovrano. A ben

vedere, al di là di ogni “ipocrisia nominalistica”, la sostanza è che il Capo XIII è

congegnato come catalogo dei reati contro lo Stato ed i suoi cittadini. 146 Ibidem, art. 108. 147 Ibidem, artt.109-113. E’ evidente che una tale previsione è preposta a deterrere la

riattivazione di forme terroristiche organizzate sul modello dell’UCK. 148 Ibidem, art. 114. 149 Ibidem, art. 115. 150 Ibidem, art. 34, par. 1. 151 Ibidem, artt. 40-53. 152 Ibidem, artt. 28-30. 153 Ibidem, Capo XVII. 154 Ibidem, Capo XXI. 155 Ibidem, Capo XXIV. 156 Ibidem, Capo XXIII. L’importanza storica di tale Capo è comprensibile alla luce non

solo dell’epocale passaggio dal regime di proprietà pubblica del socialismo reale a quello

liberista di proprietà privata ma anche al problema, ancora largamente irrisolto, delle

rivendicazioni di proprietà (soprattutto sull’edilizia residenziale) da parte di kosovari,

albanesi e serbi, rifugiati e sfollati durante la crisi del 1998-1999.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

69

Il discorso sulla legge applicabile porta a considerare più da vicino i

diversi profili -materiale, temporale, territoriale e personale- della

giurisdizione entro cui operano i magistrati internazionali.

II.2.3 La competenza ratione materiae157

Ai profili materiali di maggiore rilievo della legge penale

applicabile, nonché alla sua evoluzione nell’arco della missione

UNMIK, si è già accennato. Ci si limiterà, pertanto, a tratteggiare le

principali fasi del trend seguito da una competenza che, come dimostrato

dal generico wording delle rilevanti Regulation, è potenzialmente estesa

all’intera materia penale: “[i]nternational judges [and prosecutors] shall

take responsibility for (…) criminal cases [and criminal investigations or

proceedings]”158

; “[a]t any stage in the criminal proceedings, (…) a

petition for an assignment of international judges/prosecutors (…) [may

be submitted]”159

.

Nella fase tra il 2000 ed il 2002, caratterizzata da un clima di

sicurezza alquanto incerto, la competenza materiale dei magistrati

internazionali si è focalizzata sui crimina juris gentium (genocidio,

crimini di guerra e contro l’umanità) perpetrati da quei pochi kosovari di

etnia serba ancora presenti nel territorio della provincia. Di fatto, per le

ragioni e con le modalità di cui si dirà ai paragrafi II.3 e III.2.2, i

magistrati internazionali sono subentrati agli omologhi locali nella

trattazione di casi da questi ultimi indagati, perseguiti ed aggiudicati in

violazione dei basilari principi dello stato di diritto. Constatata

l’impossibilità di procedere nei confronti di altri criminali di etnia

serba160

, il focus si è spostato su quelli di etnia albanese, cioè i membri

dell’UCK che hanno commesso crimini sia contro i serbi sia contro

albanesi “collaborazionisti” del regime serbo.

La mutazione dei modelli di comportamento criminale associati al

contesto sociale post-bellico ha fatto diventare prioritaria, dal 2000-

157 Il presente paragrafo (incluse le note ed esclusa la parte virgolettata), è stato curato dal

dott. Jason Uliana, ispettore della Guardia di Finanza presso la Financial Investigation

Unit in Kosovo (si veda infra alla nota 167). Le opinioni ivi contenute sono espresse a

titolo puramente personale e non rispecchiano la posizione ufficiale dell’ONU e

dell’amministrazione di appartenenza. 158 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.2 e 1.3 e Regulation n. 34 del 27

maggio del 2000. Corsivo nostro. 159 Section 1.2 e 1.3, Regulation n. 64 del 15 dicembre del 2000, Section 1.1. Corsivo

nostro. 160 La Regulation n. 1 del 12 gennaio del 2001 (Section 1) avrebbe, come già anticipato al

precedente paragrafo, precluso la possibilità di perseguire i contumaci per violazioni del

diritto internazionale umanitario.

CAPITOLO SECONDO 70

2001, la persecuzione di reati di diritto comune commessi per lo più

nelle zone cuscinetto con le enclaves serbe e motivati da un persistente

odio interetnico.

All’apparente stabilizzazione della provincia non è affatto

corrisposta una diminuzione del livello quanti-qualitativo della

criminalità. La presenza dell’ONU e della NATO sul territorio non ha,

infatti, impedito il radicamento di organizzazioni criminali e

terroristiche. Queste, che fissano le rotte dei traffici, le basi logistiche ed

i centri di riciclaggio sulla base di attente valutazioni, hanno trovato nel

Kosovo un vero e proprio “buco nero geopolitico” in cui prosperare161

.

Dal 2002 i reati di crimine organizzato e di terrorismo hanno, pertanto,

fatto il loro ingresso nella competenza materiale dei magistrati

internazionali, i quali hanno potuto perseguirli sulla base di apposite

Regulation emanate da UNMIK162

. I tumulti dilagati nel marzo del 2004

ai danni della minoranza serba in tutta la provincia hanno peraltro

rivelato l’esistenza di preoccupanti collegamenti tra le “mafie” locali ed i

fenomeni di violenza interetnica.

La consapevolezza che la stabilizzazione del Kosovo passa anche

attraverso la creazione di un sistema economico funzionante nel rispetto

delle regole di mercato ha comportato l’ennesimo ampliamento della

competenza materiale della componente giudiziaria internazionale.

“La proliferazione di condotte di allarme sociale connesse alla

repentina transizione dal sistema di pianificazione socialista al libero

mercato163

ha, infatti, indotto i vertici di UNMIK a reclutare, nel 2004,

un procuratore internazionale specificamente preposto alla conduzione di

indagini su reati economico-finanziari e per istruire processi anche

davanti a panel “ibridi”.

Le numerose gare frettolosamente indette per la collocazione sul

mercato del patrimonio economico-produttivo pubblico si sono rivelate

ghiotte occasioni per la commissione di reati di tipo economico-

finanziario come la turbativa d’asta, la collusione fra i partecipanti,

161 Si vedano R. AITALA e P. SARTORI, “Le strade del crimine non hanno confini” in I

Balcani non sono lontani (Quaderni Speciali di Limes, supplemento al n. 4/2005), pagg.

91-104; R. AITALA, “Pristina nuova capitale delle mafie” in Kosovo: lo Stato delle

Mafie, op. cit., pagg. 59-66. 162 Si veda supra al par. II.2.2. 163 Valutazioni di tipo tecnico tecnico-economico sull’entità da privatizzare sono spesso

state subordinate all’imperante necessità di produrre gettito a favore del bilancio

pubblico.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

71

l’estorsione, il peculato e la corruzione dei commissari preposti alla

valutazione delle offerte”164

.

Oltre che alla privatizzazione, il proliferare di complessi reati di tipo

economico-finanziario165 si connette ad un secondo non meno importante

processo giuridico-istituzionale in atto in Kosovo: l’accelerato

trasferimento di competenze in capo alle IPAG e la conseguente

intensificata attività di gestione finanziaria a livello locale.

Proprio nei gangli del potere locale si è manifestata la pesante

eredità “culturale” lasciata dalla Jugoslavia socialista, dove la corruzione

ed i connessi reati economico-finanziari erano tollerati in quanto

condotte necessarie per integrare magri stipendi e profitti ovvero per

ottenere, sotto forma di favori, servizi che lo Stato stentava ad erogare166

.

La percepita “normalità” dei fenomeni criminali a sfondo economico nel

quadro statuale della ex RSFJ, e più in generale dello Stato “a socialismo

reale”, invita a svolgere una riflessione di più ampio respiro sul deficit di

univocità concettuale che, ad oggi, si registra a carico della categoria dei

reati economico-finanziari. Al di là del minimo comune denominatore

della finalità di lucro e della perpetrazione in un contesto in cui

s’intrecciano potere politico ed economico, la considerazione dei

comportamenti di criminalità economica varia a seconda del sistema

giudiziario: ad una stessa fattispecie si associano sanzioni di natura

penale in alcuni sistemi e rimedi e sanzioni di diritto civile o

amministrativo in altri. La presenza di funzionari internazionali

provenienti da Stati e sistemi giuridici diversi ha fatto sì che in Kosovo

ci si esercitasse, dal 2003, sulla nozione di crimine economico-

finanziario con la finalità -più operativa che teorica- di fissare profili 164 Dall’incontro col dott. Andrea Venegoni, ex procuratore internazionale per i reati

economico-finanziari in Kosovo (2004-2006). Le opinioni contenute nel virgolettato

sono espresse a titolo puramente personale e non rispecchiano la posizione ufficiale

dell’ONU. 165 Per questi reati, le indagini si concentrano solitamente sull’analisi di un ingente

quantitativo di documenti, specialmente registri, documentazione bancaria, contabilità

pubblica e privata e qualsivoglia altro documento, più o meno formale, che possa

contenere informazioni di natura economica nonché finanziaria. 166 Deboli istituzioni locali inclini a pratiche clanico-clientelari e processi di massiccia

dismissione della proprietà pubblica fanno dei Balcani un contesto ideale per la

proliferazione dei reati economico-finanziari. Nella lista degli Stati più corrotti stilata nel

2006 dalla ong Transparency International, su un totale di 163 Paesi, la Serbia è

posizionata al 90° posto, la Bosnia-Erzegovina al 93° e la Macedonia al 105°. Oltre ai

manager delle imprese privatizzande ed ai funzionari pubblici kosovari, indagini e

procedimenti penali hanno riguardato anche individui della “galassia” internazionale: ad

esempio, nel 2004, il direttore di una ong impegnata nel favorire il ritorno degli sfollati;

nel 2005, uno staff member di UNMIK in servizio presso un’IPAG; entrambi sono stati

perseguiti per appropriazione indebita di fondi.

CAPITOLO SECONDO 72

definitori univoci. Presente nelle due unità investigative internazionali

specializzate sui reati economico-finanziari167

, la Guardia di Finanza si è

non di rado trovata ad interloquire con procuratori non italiani restii a

considerare illegali delle condotte che nel nostro ordinamento sono di

sicuro rilievo penale168

. A titolo esemplificativo, per tornare al processo

di privatizzazione, la collusione con la finalità di abbattere il prezzo di

aggiudicazione di una gara non veniva inizialmente considerata reato se

non in stretto collegamento ad un danno patrimoniale derivante da un

ribasso al di sotto del valore economico dell’entità privatizzata.

Numerosi incontri, tra gli investigatori della Guardia di Finanza ed i

procuratori internazionali incaricati delle indagini, si sono resi necessari

al fine di far maturare una communis opinio sulla natura patologica della

collusione. Espressione di profonde divergenze sulla concezione del

mercato e delle funzioni giudiziarie poste a presidio dello stesso, questo

esempio non è che la sineddoche degli ostacoli che si frappongono -

come già dimostrato dalla conferenza diplomatica del 1998 sullo Statuto

della CPI- alla realizzazione di una giurisdizione universale sui reati

economico-finanziario.

Da ultimo, va rimarcato che l’ambito di competenza dei magistrati

internazionali deborda la materia penalistica per sconfinare nel campo

civilistico. Si è già accennato all’esistenza, all’interno della Corte

Suprema, di una Camera Speciale avente giurisdizione esclusiva sulla

trattazione di ricorsi avverso decisioni ed azioni dell’Agenzia Fiduciaria

del Kosovo (AFK), un ente indipendente costituito da UNMIK nel

2002169

al fine di amministrare170

e privatizzare171

le imprese

167 Ci si riferisce alla Financial Investigation Unit (FIU) ed all’Investigation Task Force

(ITF). Composta, ad oggi, da Ufficiali e Sottufficiali della Guardia di Finanza (per un

totale di 13 unità), la FIU è stata istituita dalla Administrative Direction n. 3/2003

nell’ambito del I Pilastro di UNMIK e rappresenta la principale struttura investigativa in

Kosovo per la lotta alla corruzione e ai reati economico-finanziari. La FIU opera in forza

di un protocollo tripartito sottoscritto da UNMIK, l’Agenzia Europea per la

Ricostruzione (AER) ed il Governo italiano; l’intero costo dell’operazione è sostenuto

dall’AER, UNMIK fornisce strutture e mezzi, il governo italiano l’expertise della

Guardia di Finanza. L’ITF è il risultato di un accordo tripartito, concluso nel 2003, tra

l’OLAF (Ufficio Europeo per la lotta Anti Frode), l’ONU - Ufficio di Supervisione dei

Servizi Interni (Office of Internal Oversight Services - OIOS) ed UNMIK. L’ITF è

specializzata sulle indagini amministrative e, in particolare, su quelle riguardanti le

imprese di proprietà pubblica ovvero dei lavoratori. In rappresentanza di UNMIK, la FIU

-e, dunque, la Guardia di Finanza- partecipa all’ITF con due dei suoi membri. 168 Sul tema della privatizzazione in Kosovo (e dei reati connessi) si veda A. DE

RIENZO, “Il programma di privatizzazione in Kosovo” in Y. BATAILLE, La lotta per il

Kosovo -Quaderni di Geopolitica, n. 6, Parma, pagg. 79-104. 169 Regulation n. 12 del 13 giugno del 2002, emendata dalla Regulation n. 18 del 22

aprile del 2005. La Camera Speciale può deferire specifici ricorsi, categorie di ricorsi, o

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

73

pubbliche172

. L’attribuzione della descritta competenza, per quanto

eccentrica rispetto alla materia penale, trova comunque la sua ratio

nell’elevata valenza politica -e negli inevitabili risvolti sulla convivenza

interetnica- di un processo di privatizzazione di asset pubblici che,

nell’incertezza sullo status definitivo del Kosovo, incrocia

inevitabilmente le pretese di proprietà rivendicate dal governo di

Belgrado.

La patologia dei rapporti in materia di diritti proprietari relativi al

patrimonio residenziale173

rientra, solo in parte, nella giurisdizione dei

magistrati internazionali. Un panel di tre giudici -di cui almeno due

internazionali- nominati dal RSSG, su raccomandazione del DG, è

competente a conoscere i ricorsi avverso le decisioni, emesse dalle

competenti autorità municipali, di diniego di registrazione di un contratto

di vendita reale174

. In materia di proprietà residenziale, il restante ambito

di giurisdizione è stato sin dall’inizio della missione riservato, “as an

exception to the jurisdiction of the local courts”175

ad un organo “quasi-

giudiziario”, la Commissione per i Ricorsi in materia di Proprietà

Immobiliare (CRPI), competente a trattare -in regime di esclusiva176

e

con potere decisorio definitivo177

- i casi ad essa deferiti da un’omonima

parti di essi, a qualsiasi corte che abbia la necessaria competenza ratione materiae; in tal

caso, la Camera Speciale avrà giurisdizione sui ricorsi in appello (Section 4.2 e 4.3). Le

persone che reclamino diritti di proprietà, i creditori e altre persone che possano vantare

un interesse finanziario diretto sono soggetti titolati ad introdurre ricorsi contro la AFK

ovvero le imprese e le società poste sotto la sua amministrazione (Section 5). Le decisioni

della Camera Speciale sono definitive (Section 9.7). 170 Regulation n. 12 del 13 giugno del 2002, Section 2.1. 171 Ibidem, Section 6, 8, 10. 172 Occorre distinguere tra “imprese di proprietà pubblica” (publicly-owned enterprises) e

“imprese di proprietà dei lavoratori” (socially-owned enterprises). Le prime sono imprese

statali mentre le seconde possono essere assimilate ai modelli cooperativi. 173 Ci si riferisce alle tre ipotesi contemplate dalla Regulation di cui alla nota successiva

(Section 1.2): a) revoca dei diritti di proprietà, possesso o occupazione del patrimonio

immobiliare residenziale a causa della legislazione discriminatoria, nelle intenzioni

ovvero nella sua applicazione, adottata dopo il 23 marzo del 1989; b) transazioni

informali successive al 23 marzo del 1989 per l’acquisto dei diritti di proprietà su beni

immobili residenziali; c) perdita, non volontaria, dei diritti di proprietà su beni immobili

residenziali dopo il 24 marzo del 1999. Sul significato delle due date si è ampiamente

detto supra. 174 Regulation n. 17 del 22 agosto del 2001, Section 7. 175 Regulation n. 23 del 15 novembre del 1999, Section 1.2. Tale limite sussisterà “until

the [RSSG] determines that local courts are able to carry out the functions entrusted to

the Commission”. 176 Ibidem, Section 2.5. 177 Ibidem Section 2.7

CAPITOLO SECONDO 74

Direzione178

. In quanto a composizione, la CRPI si rifaceva al modello

delle corti “ibride”: “[it] shall (…) be composed of one Panel of two

international and one local members”179

; agli internazionali non si

richiedeva espressamente di possedere la qualifica di magistrati nei Paesi

d’origine: era sufficiente che essi fossero “experts in the field of housing

and property law and competent to hold judicial office”180

. Nel marzo del

2006, un nuovo ente indipendente, l’Agenzia per la Proprietà del Kosovo

(APK), è subentrata al quadro istituzionale sopra descritto per

completarne il mandato anche con riferimento a controversie sui diritti di

proprietà terriera e commerciale181

. Un organo quasi-giudiziario, la

Commissione per i Ricorsi Proprietari (CRP), è istituito all’interno della

APK, conservando la composizione “ibrida” della CRPI182

; di assoluta

novità è il fatto che le sue decisioni possono essere impugnate in appello

dinanzi alla Corte Suprema, che giudicherà attraverso un panel composto

da due giudici internazionali ed un giudice locale183

. Di un’ulteriore

evoluzione relativa alla competenza materiale civilistica si darà

menzione più avanti al par. III.3.1.

II.2.4 La competenza ratione temporis

I magistrati internazionali non operano nell’ambito di una

giurisdizione speciale costituita per trattare solo ed esclusivamente

fattispecie criminose connesse e/o contestuali a vicende belliche, ma

sono inseriti nell’ordinario sistema penalistico locale, potenzialmente

competenti rispetto a “new and pending (…) investigations or

proceedings/cases [corsivo nostro]”184

. Ne deriva che la loro competenza

temporale copre, in potenza, una durata sicuramente più ampia della

parentesi cronologica del conflitto armato kosovaro. Il dies a quo di

questa durata sarebbe “elastico” e si situerebbe tanto indietro nel tempo

178 Si tratta della Direzione per i Ricorsi in materia di Proprietà Immobiliare (DRPI), una

struttura a guida UNMIK, materialmente gestita dal personale di HABITAT, organo

sussidiario dell’AG specializzato nella promozione di modelli urbani socialmente ed

ecologicamente sostenibili al fine di garantire il diritto alla casa di tutti. Per una disamina

critica dell’operato della DRPI, si veda B. VAGLE, F. DE MEDINA - ROSALES, An

evaluation of the Housing and Property Directorate in Kosovo, NORDEM Report

12/2006. 179 Ibidem, Section 2.2. 180 Ibidem. 181 Regulation n. 10 del 4 marzo del 2006, emendata dalla Regulation n. 50 del 16

Ottobre del 2006. 182 Ibidem, Section 7.1-2. 183 Ibidem, Section 12.8. 184 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.2 e 1.3 e Regulation n. 34 del 27

maggio del 2000, Section 1.2 e 1.3.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

75

quanto sono lunghi i termini di prescrizione previsti dalla legge vigente

al momento della commissione del reato185

; mentre il dies ad quem

coinciderebbe con una deadline per la trattazione di nuovi casi, allo stato

non ancora fissata ma necessaria nella prospettiva di una previdente

exit/completion strategy per la presenza giudiziaria internazionale.

Il periodo del conflitto armato kosovaro sine dubio rientra nella

giurisdizione temporale dei magistrati internazionali. Esso, secondo la

più formalistica delle periodizzazioni, avrebbe avuto inizio, in quanto

conflitto armato interno, il 31 marzo del 1998, allorquando il CS

dell’ONU, auspicando nella risoluzione n. 1160 (sull’embargo delle armi

all’allora RFJ), una “peaceful solution to the situation in Kosovo”,

implicitamente riconobbe l’esistenza di una situazione di conflitto

armato tra le forze governative serbo-jugoslave e l’UCK;

successivamente a quella data, il conflitto si sarebbe internazionalizzato

per poi concludersi tra l’8 ed il 20 giugno del 1999, con la firma,

rispettivamente, dell’Accordo Tecnico-Militare di Kumanovo tra NATO

e RFJ e di un’intesa politico-militare tra NATO e UCK186

.

La natura -interna e/o internazionale- del conflitto armato ha cruciali

implicazioni giuridiche. Il conflitto armato interno è sottoposto ad un

regime normativo specifico, risultante dall’art. 3 comune alle quattro

Convenzioni di Ginevra del 12 agosto del 1949 e dall’intero II Protocollo

Aggiuntivo dell’8 giugno del 1977 che tale articolo integra e sviluppa; il

conflitto armato internazionale è, invece, disciplinato dall’intero corpus

convenzionale ginevrino (escluso l’art. 3 comune) quale integrato dal I

Protocollo Aggiuntivo (anch’esso dell’8 giugno del 1977). La

perseguibilità di una particolare categoria di crimini -le c.d. “grave

185 In linea teorica, i magistrati internazionali potrebbero trattare anche reati commessi in

un qualsiasi momento precedente il formale inizio del loro dispiegamento (15 febbraio

del 2000), purché la legge vigente al tempus commissi delicti preveda per quella tipologia

di reato dei termini di prescrizione sufficientemente lunghi da permetterne ancora la

perseguibilità. 186 Va precisato che entrambi gli accordi non riguardano la pace tra le parti del conflitto

armato interno (invero giammai conclusa) bensì, rispettivamente, la fine di quello

internazionale tra la RFJ e NATO, e la smilitarizzazione dell’UCK e la sua

trasformazione in Corpo di Protezione del Kosovo sul modello delle protezioni civili

occidentali. Tuttavia, per i loro contenuti, gli accordi si prestano a demarcare l’estremo

temporale di chiusura della guerra civile kosovara, dal momento che sanciscono, sia pure

con modi e tempi diversi, la desistenza di entrambe le parti. L’accordo di Kumanovo

stabilì la cessazione delle ostilità da parte delle forze serbo-jugoslave “against any person

in Kosovo” ed il loro graduale ritiro dalla provincia entro il termine massimo di 11 giorni

(cioè entro il 20 giugno del 1999); l’intesa NATO-UCK stabilì la smilitarizzazione del

sedicente esercito di liberazione entro 90 giorni (cioè entro il 19 settembre del 1999).

CAPITOLO SECONDO 76

breaches”187

- è ancorata al carattere internazionale del conflitto armato e,

conseguentemente, al possesso, da parte delle “protected persons”, dello

status di “nationals” di uno Stato diverso da quello cui fanno capo gli

autori del crimine188

. Essendo l’ex RFJ parte di tutti i menzionati

strumenti internazionali189

, le norme in essi contenuti risultano

applicabili in quanto diritto interno, laddove siano state trasposte

nell’ordinamento nazionale, ovvero direttamente come diritto

internazionale ex art. 210 della Costituzione Federale del 1974.

Ai fini dell’applicazione delle rilevanti norme di jus in bello, è

plausibile considerare quello kosovaro come un conflitto armato interno,

internazionalizzatosi progressivamente190

: dapprima, sul piano

meramente normativo, in forza della risoluzione del CS dell’ONU n.

1199 del 23 settembre del 1998, accertante, per la prima volta,

l’esistenza di una “minaccia alla pace ed alla sicurezza della regione”

connessa al “rischio di una catastrofe umanitaria”191

; in seguito, anche

sul piano fattuale, con l’intervento della NATO il 24 marzo del 1999192

.

187 Art. 50 della I Convenzione di Ginevra (CG), art. 52 della II CG, art. 130 della III CG,

art. 147 della IV CG, artt. 11, par. 4 e 85, parr. 2-4 del I Protocollo Aggiuntivo, trasposti

negli artt. 142-143 del CPRFJ. 188 N. WAGNER, “The development of the grave breaches regime and of individual

criminal responsibility by the ICTY” in International Review of the Red Cross, June

2003, vol. 85, n. 850, pagg. 351-383. 189 L’ex RSFJ -della cui soggettività giuridica internazionale la RFJ si è dichiarata

continuatrice- aveva ratificato le quattro Convenzioni di Ginevra il 21 aprile del 1950 e i

due Protocolli Aggiuntivi l’11 giugno del 1979. 190 Il conflitto armato tra RFJ e UCK avrebbe potuto essere definito da subito

“internazionale”, se la comunità internazionale avesse avallato l’auto-rappresentazione

dell’UCK come “movimento di liberazione nazionale”, attivando, in tal modo, la norma

di cui all’art. 1.4 del I Protocollo Aggiuntivo del 1977 delle Convenzioni di Ginevra, che,

a prescindere di qualsivoglia requisito materiale dei ribelli, considera di rilievo

intrinsecamente internazionale i conflitti condotti per l’autodeterminazione. Si vedano:

N. RONZITTI, “War of National Liberation – A Legal Definition” in Italian Yearbook of

International Law, 1975, pag. 192 e ss.; S.A. EGOROV, “The Kosovo crisis and the law

of armed conflicts” in International Review of the Red Cross, n. 837, pagg. 183-192. 191 La grave ed estesa violazione dei diritti umani, accertata dal massimo organo politico

della comunità internazionale, è oggi considerata da parte della dottrina (si veda V.

GRADO, Guerre Civili e Stati Terzi, op. cit.) come uno dei moderni fattori di

internazionalizzazione dei conflitti armati interni. La guerra civile accompagnata da una

crisi umanitaria di dimensioni significative si internazionalizzerebbe non già per ragioni

di fatto (e.g. l’intervento di Stati terzi, l’effettivo controllo del territorio da parte delle

fazioni in lotta) bensì per il qualificato interesse della comunità internazionale alla

protezione dei diritti umani. 192 Il conflitto kosovaro non può essere inquadrato come una guerra civile

internazionalizzatasi in esito alla dinamica “classica” dell’effettivo, duraturo ed

indipendente esercizio del potere di governo, da parte del movimento ribelle, su tutta o su

una parte della comunità territoriale; infatti, se si eccettua la fase successiva

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

77

Pur non potendosi provare, sulla base degli elementi ad oggi disponibili,

l’esistenza un “effective193

/overall194

control” della NATO sull’UCK195

,

è ragionevole ritenere che l’intervento di quest’ultima abbia decisamente

alterato i rapporti di forza sul terreno in favore dell’elemento albanese196

.

Va respinta la tesi secondo cui il conflitto armato kosovaro avrebbe

subito, dal 24 marzo del 1999, non già una modificazione qualitativa (da

interno ad internazionale) bensì uno sdoppiamento (al fianco del

conflitto interno tra forze serbo-jugoslave e UCK si sarebbe sviluppato

un autonomo conflitto internazionale tra NATO e RFJ)197

. Un tale

all’intervento della NATO, è arduo provare la tesi secondo cui le milizie UCK abbiano

controllato una parte del Kosovo stabilmente e senza il concorso di soggetti

internazionali terzi. 193 Il test dell’effective control, elaborato dalla CIG, chiederebbe, invece, di verificare

“whether or not the relationship” tra UCK e NATO “was so much one of dependence on

the one side and control on the other that it would be right to equate” l’UCK, “for legal

purposes, with an organ of” NATO “or as acting on behalf of” NATO (Military and

Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicar. v. U.S.), Jurisdiction and

Admissibility, 1984 ICJ REP. 392, June 27, 1986, par. 109). 194 Il test dell’overall control, elaborato dal TPIJ, chiederebbe di provare che la NATO ha

avuto “a role in organising, coordinating or planning the military actions” dell’UCK “in

addition to financing, training and equipping or providing operational support to that

group” e che detto ruolo non si è spinto “so far as to include the issuing of specific

orders” da parte della NATO, “or its direction of each individual operation” (Prosecutor

v. Tadic, T-94-1-A, Judgement, 15 July 1999, para. 137). Il TPIJ non ha, nei casi trattati,

attribuito natura internazionale al conflitto armato kosovaro. Da alcuni atti del TPIJ

risulta, al contrario, un’implicita catalogazione del conflitto armato kosovaro, tra il 1998

ed il 1999, tra le guerre interne. Ai par. 13 e 19 degli atti di accusa contro,

rispettivamente, Limaj et alii (caso n. IT-03-66-I) e Haradinaj et alii (caso n. IT-04-84-

I), il Procuratore ha precisato che, nel periodo di tempo rilevante per l’accusa, gli

imputati erano tenuti a rispettare il vigente jus in bello, ivi incluse le Convenzioni di

Ginevra del 1949 ed il II Protocollo Aggiuntivo, che sappiamo riferirsi ai conflitti armati

interni. 195 Opportuno sarebbe indagare sulla fondatezza di talune asserzioni “giornalistiche” che,

nei giorni dell’operazione aerea Allied Force, descrivevano l’UCK come “fanteria della

NATO” e la sua organizzazione territoriale come “base per il dispiegamento delle truppe

di terra della NATO”. 196 Disattendendo il test dell’overall control elaborato con riferimento al caso Tadic,

alcune successive sentenze del TPIJ (Blaskic, IT-95-14, Judgement, 3 March 2000, e

Kordic and Cerkez, IT-95-14/2-T, Judgement, 26 February 2001) hanno considerato

condizione sufficiente per l’internazionalizzazione l’intervento militare di uno Stato terzo

che solo indirettamente produca effetti su un autonomo conflitto interno. Volendo

modellizzare: dato un conflitto armato tra A e B, se lo Stato C interviene contro A, pur

non supportando B, il conflitto tra A e B dovrà considerarsi internazionalizzato in quanto

la distrazione di forze militari di A sul fronte C, indirettamente favorisce B, che vede

alleggerita la pressione militare su di sé e può eventualmente avvantaggiarsene contro A. 197 Elementi per una tale tesi potrebbero dedursi dalla giurisprudenza del TPIJ

(Prosecutor v. Tadic, cit., par. 84): “an (…) armed conflict breaking out on the territory

CAPITOLO SECONDO 78

approccio è da respingere perché fondato sull’implicita premessa della

neutralità della NATO rispetto alle parti del conflitto interno; esso

sarebbe, inoltre, contrario al fine ed allo spirito del diritto internazionale

umanitario -assicurare la massima protezione possibile alle varie

categorie di persone coinvolte nelle ostilità- in quanto renderebbe

possibile, limitatamente a fatti successivi al 24 marzo, un’applicazione

differenziata dello jus in bello, assicurando maggiore tutela alle persone

coinvolte nel “segmento” internazionale del conflitto198

.

Volendo assumere un approccio più attento alla sostanza e

maggiormente cautelativo dell’interesse pubblico internazionale alla

repressione dei crimina juris gentium (e, specularmente, alla protezione

delle vittime di abusi), l’inizio della fase interna del conflitto andrebbe

retrodatata di alcuni giorni, cioè all’escalation di scontri e violenze

cominciata verso la fine di febbraio del 1998199

; d’altra parte, il termine

finale dovrebbe essere spinto più innanzi nel tempo, almeno fino al

giorno dell’effettivo ritiro delle forze serbo-jugoslave e dell’effettivo

disarmo dell’UCK200

; ancor più cautelativamente si potrebbe far

riferimento, in applicazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949201

, al

giorno in cui entrambe le parti in lotta avrebbero concluso la reciproca

riconsegna di prigionieri di guerra nonché di civili arrestati per ragioni

connesse alle ostilità.

Infine, guardando al nuovo CPP, i principali profili temporali della

competenza dei magistrati internazionali possono essere così sintetizzati:

divieto di retroattività della legge penale202

(fatto salvo il principio del

of a State (…) may (…), depending upon the circumstances, be international in character

alongside an internal armed conflict”. 198 Sul punto si veda J. G. STEWART, “Towards a single definition of armed conflict in

international humanitarian law: a critique of internationalized armed conflict” in

International Review of the Red Cross, June 2003, vol. 85, n. 850, pagg. 313-350. 199 Benché abbia ad oggetto tutt’altra materia (i.e. la risoluzione delle controversie in

materia di diritti proprietari), la Regulation n. 10 del 4 marzo del 2006, alla Section 2.1,

considera come estremi temporali del conflitto armato il 27 febbraio del 1998 ed il 20

giugno del 1999. 200 In tal modo, potrebbero essere perseguiti in quanto crimini di guerra gli abusi

commessi dagli albanesi kosovari contro le etnie minoritarie del Kosovo (serbi, rom,

ashkali, egiziani, gorani) nei mesi successivi alla fine dell’intervento NATO. Il

coinvolgimento di membri del Corpo di Protezione del Kosovo in crimini a sfondo

interetnico inducono a nutrire seri dubbi sulla sua natura di corpo di protezione civile

nonché sull’effettivo completamento del disarmo dell’UCK. 201 In particolare, dell’art. 6 della III Convenzione di Ginevra, dell’art. 6 della IV CG,

dell’art. 3 del I Protocollo Aggiuntivo (PA) e dell’art. 2 del II PA. 202 “The law in effect at the time a criminal offence was committed shall be applied to the

perpetrator” (art. 2, par.1 del CPP).

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

79

favor rei203

); applicabilità dei termini di prescrizione dei reati fissati

secondo un sistema “a scaglioni”204

; inapplicabilità dei citati termini ai

crimini di genocidio, di guerra e contro l’umanità “as well as [to] other

criminal offences to which statutory limitation cannot be applied under

international law”205

(principio di imprescrittibilità dei crimina juris

gentium).

II.2.5 La competenza ratione loci

Quanto alla competenza ratione loci, essa copriva originariamente

solo i crimini commessi in uno dei cinque distretti giudiziari della

provincia: “appointments [of international judges and prosecutors] shall

be made to the District Court of Mitrovica and, other courts within the

territorial jurisdiction of the District Court of Mitrovica and offices of

the prosecutor with corresponding jurisdiction”206

.

Già tre mesi dopo, la giurisdizione territoriale veniva estesa anche

agli altri quattro distretti: “appointments shall be made to any court or

public prosecutor’s office in the territory of Kosovo”207

.

Con l’entrata in vigore del CPP del Kosovo, nell’aprile del 2004, si è

realizzata un’ulteriore espansione, giacché, il Capo XI208

, a complemento

del tradizionale principio della giurisdizione territoriale (art. 99)209

, ha

introdotto nell’ordinamento locale il principio della giurisdizione extra-

territoriale. Essendo i magistrati internazionali tenuti ad applicare il

diritto locale, una tale previsione ha automaticamente inciso sul raggio

spaziale della loro competenza. L’art. 100210

ha declinato

l’extraterritorialità nella forma di principio di giurisdizione penale

universale, riferendolo non solo a fattispecie tradizionali, come i crimina

juris gentium (genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra) e

203 “In the event of a change in the law applicable to a given case prior to a final decision,

the law more favourable to the perpetrator shall apply” (ibidem, art. 2, par. 2). 204 Ibidem, artt. 90 e 92 del CPP. Le due disposizioni stabiliscono termini di prescrizione

per la perseguibilità dei reati e per l’esecuzione di sentenze di condanna, la cui durata è

direttamente proporzionale alle pene associate ai reati stessi. 205 Ibidem, art. 95. 206 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.1. 207 Regulation n. 34 del 27 maggio del 2000, Section 1.1. 208 Applicability of Criminal Laws of Kosovo According to the Place of the Commission

of the Criminal Offence. 209 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Persons Committing Criminal Offences

on the Territory of Kosovo. Nella nozione di “territory of Kosovo” sono inclusi gli

aeromobili civili registrati in Kosovo, a prescindere dal luogo in cui effettivamente si

trovino nel momento in cui il reato è stato commesso (art. 99, par. 2). 210 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Specific Criminal Offences Committed

Outside the Territory of Kosovo.

CAPITOLO SECONDO 80

la pirateria, ma anche ad altre figure di reato: gli atti di terrorismo211

(ivi

inclusi quelli commessi contro il Kosovo ed i suoi residenti212

), la

riduzione in schiavitù213

, il traffico di esseri umani214

, la messa in

pericolo di personale internazionale215

, la cattura di ostaggi216

e la

contraffazione di moneta217

; gli artt. 101218

e 102219

, hanno, inoltre,

connesso il principio di giurisdizione penale universale ai criteri della

“nazionalità” attiva e passiva.

Entrando in vigore contestualmente al CPP, il CPPP ha disciplinato i

profili procedurali della competenza territoriale, prevedendo, come

regola generale, che essa “shall (…) be vested in the court within whose

territory a criminal offence has been committed or attempted or where its

consequence occurred”220

. Tra le eccezioni alla regola è degna di rilievo

l’ipotesi in cui tanto il locus commissi delicti quanto la residenza

dell’autore del crimine sono siti al di fuori del territorio del Kosovo: in

tal caso, la competenza territoriale sarà assegnata al forum

deprehensionis221

.

II.2.6 La competenza ratione personae

Come si dirà meglio più avanti (par. II.4.3), la competenza ratione

personae delle corti “ibride” kosovare in materia di crimina juris

gentium è speculare a quella del TPIJ, essendo la strategia accusatoria di

quest’ultimo focalizzata sui criminali di più elevato livello, mentre

quella delle prime, in via residuale, sui criminali di rango medio-basso.

Quanto all’universo dei reati ordinari, la competenza personale delle

corti “ibride”, quale da ultimo definita dal nuovo CPP, non incontra

limitazioni di rilievo, se non quelle previste dalla legge per la

magistratura locale.

Viene, anzitutto, in rilievo l’art. 99: “[t]he criminal laws of Kosovo

apply to any person” [corsivo nostro] che commetta un reato sul

211 Artt. 132-135 del CPP. 212 Ibidem, art. 110. 213 Ibidem, art. 137. 214 Ibidem, art. 139. 215 Ibidem, artt. 141-142. 216 Ibidem, art. 143. 217 Ibidem, art. 244. 218 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Residents of Kosovo and Other Persons

Committing Criminal Offences Outside the Territory of Kosovo. 219 Applicability of Criminal Laws of Kosovo to Foreign Citizens Committing Criminal

Offences Outside the Territory of Kosovo. 220 Art. 27, par. 1 del CPPP. Lo stesso criterio si applica alla procura (ibidem, art. 49, par.

1). 221 Ibidem, art. 30, par. 3.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

81

territorio del Kosovo. L’indefinito “any” (qualsiasi) sottolinea

l’irrilevanza della nazionalità dell’autore del reato, purché dotato della

capacità di intendere e di volere222

e dell’età di almeno 14 anni223

.

In secondo luogo, va considerato l’art. 100 sulla giurisdizione penale

universale: “[t]he criminal laws of Kosovo apply to any person” [corsivo

nostro] che commetta, al di fuori del territorio del Kosovo, uno dei reati

(in sostanza i crimina juris gentium) elencati. Anche in questo caso,

“any” rimarca l’irrilevanza della nazionalità del trasgressore.

Infine, i principi di “nazionalità” attiva e passiva, accennati trattando

della giurisdizione extra-territoriale, trovano a questo punto del discorso

la sede logicamente più opportuna per essere approfonditi. Va, anzitutto,

chiarito che le virgolette intendono segnalare un uso improprio del

termine: la pendente questione dello status definitivo del Kosovo ha

obbligato il legislatore onusiano a “mimetizzare” la nozione politica di

“citizen of Kosovo” -implicante quella assai imbarazzante di “sovranità

del Kosovo”- nel concetto burocratico-anagrafico -pertanto politicamente

neutro- di “resident of Kosovo”224

. Secondo i già citati artt. 101 e 102 del

CPP, i reati commessi al di fuori del territorio del Kosovo da residenti

kosovari ovvero da cittadini stranieri contro residenti kosovari sono

perseguibili secondo la legge penale kosovara e, come tali,

potenzialmente trattabili anche da panel “ibridi”225

. Affinché i principi in

parola possano essere attivati, si richiede che gli atti dal CPP qualificati

come “criminal offences” siano punibili anche nel luogo in cui sono stati

commessi. Per la perseguibilità dei cittadini stranieri è posta una

condizione aggiuntiva: essi devono trovarsi in Kosovo ovvero devono

esservi stati estradati.

Un approfondimento merita il tema della perseguibilità di individui

facenti capo alla forza militare NATO ed alla missione civile UNMIK

222 Art. 11, par. 1 del CPP. 223 Ibidem, par, 2 e art. 105. Per i reati commessi da minori (individui di età compresa tra

gli 8 ed i 14 anni), si rimanda ad una legge ad hoc (il 20 aprile del 2004, con la

promulgazione della Regulation n. 8, è entrato in vigore il Codice Provvisorio di

Giustizia Minorile). Analogo rimando è fatto per i reati commessi da persone giuridiche

(ibidem, art. 106). 224 L’art. 107, par. 20 del capo XII (Meaning of the Terms in the Present Code) precisa:

“[t]he term «resident of Kosovo» means a person who is registered, or is eligible to be

registered, as a habitual resident of Kosovo with the Central Civil registry, in accordance

with UNMIK Regulation No. 2000/13 of 17 March 2000 on the Central Civil Registry”.

Detta Regulation pone alternativamente tre requisti per il riconoscimento di una persona

come “residente abituale del Kosovo”: la nascita in Kosovo, l’esser nati da almeno un

genitore kosovaro, la dimostrazione di aver risieduto in Kosovo per almeno cinque anni

continuativi. 225 Art. 101, par. 2 e art. 102 par. 2.

CAPITOLO SECONDO 82

intervenute in Kosovo. Il punto 3 dell'Allegato B dell'Accordo di

Kumanovo tra NATO e RFJ specificava che né la missione KFOR né

alcuno degli Stati partecipanti ed il relativo personale avrebbero potuto

essere considerati responsabili per qualsiasi danno a proprietà pubbliche

o private arrecato nell'esercizio dei doveri correlati all'attuazione

dell’Accordo. Era, inoltre, prevista la conclusione di un Accordo sullo

Stato delle Forze Armate (ASFA) “as soon as possible”. Quest’ultimo è

stato surrogato da un semplice Memorandum d’Intesa tra gli Stati

partecipanti a KFOR226

.

La Dichiarazione Congiunta UNMIK-KFOR del 17 agosto del 2000

ha stabilito la totale immunità da ogni forma di procedimento legale da

parte degli individui delle rispettive missioni. Il giorno successivo, la

Regulation UNMIK n. 47 ha fissato, con efficacia retroattiva dal 10

giugno del 1999 (cioè dalla fine dell’operazione Allied Force), “status,

privilegi ed immunità di KFOR ed UNMIK e del loro personale in

Kosovo”.

Per quanto riguarda il personale KFOR, è stata esplicitamente

prevista l’immunità dalla giurisdizione penale (oltre che amministrativa

e civile) delle corti kosovare, e si è affermata l’esclusiva competenza dei

rispettivi “sending States” (art. 2.4); la rinuncia all’immunità dei militari

può essere decisa dal rispettivo comandante del contingente nazionale

d’appartenenza. Una tale formulazione sembrerebbe aver escluso, sia

pure implicitamente, l’esercizio della giurisdizione penale anche da parte

del TPIJ227

, nonché della CPI ovvero di corti straniere che intendessero

avvalersi del principio di giurisdizione universale. Tuttavia,

226 Si veda RONZITTI, Le operazioni multilaterali all’estero a partecipazione italiana -

Profili giuridici, Servizio Studi del Senato della Repubblica (XV Legislatura), n. 44,

maggio 2006, pag. 13. 227 Già il 2 giugno del 2000, il Procuratore Capo del TPIJ aveva informato il CS

dell’ONU della sua decisione di non aprire un’indagine sulle violazioni del diritto

internazionale umanitario presuntivamente commesse da individui (i vertici militari e

politici) della NATO attraverso la campagna di bombardamenti cui fu sottoposta la RFJ

dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet. Nell’aprile del 1999 l’ex RFJ ha citato in

giudizio dinanzi alla CIG i dieci Stati della NATO partecipanti all’operazione aerea

Allied Force per presunto uso illecito della forza. In attesa di una pronuncia sui casi, ci si

è chiesto, in dottrina (M. A. DRUMBL, “Looking up, down and across: the ICTY’s place

in international legal order” in New England Law Review, vol. 37:4, 2003, pag. 1047), se

il Procuratore del TPIJ avrebbe dovuto riconsiderare la sua iniziale decisione di non

indagare sulla responsabilità penale individuale dei vertici NATO alla luce di

un’eventuale sentenza della CIG che avesse dato soddisfazione all’ex RFJ. Le sentenze

emesse il 15 dicembre 2004 hanno fatto venir meno tale ipotesi, in quanto la CIG ha

dichiarato di non avere giurisdizione sui reclami introdotti dall’allora RFJ, in quanto

questa al tempus commissi delicti non era Stato membro dell’ONU né ipso facto Stato

parte dello Statuto della stessa Corte.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

83

interpretando estensivamente e per analogia quanto previsto dall’art. 19

(Rules concerning UN privileges and immunities) dell’Accordo del 4

ottobre del 2004 che disciplina le relazioni tra la CPI e ONU, c’è da

ritenere che la presunta commissione di gravi violazioni di norme di jus

cogens comporterebbe l’automatica perdita delle immunità godute da

militari KFOR e, dunque, la teorica possibilità per le corti kosovare,

come per il TPIJ -in regime di concorrenza e primato con le corti

nazionali competenti (in sostanza quelle dei “sending States”)- di

procedere contro presunti criminali dei contingenti della forza NATO

anche per violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in

vigore della Regulation n. 47, e cioè durante l’intervento militare c.d.

“umanitario”228

.

Meno “spinta” è la previsione riguardante il personale UNMIK (art.

3): la più ampia immunità dalla giurisdizione civile e penale delle corti

kosovare è riconosciuta solo alle maggiori cariche di UNMIK; per il

resto del personale (incluso quello reclutato in loco), si prevede una non

meglio specificata immunità “from legal process in respect of (…) acts

performed (…) in the[ir] official capacity” (art. 3.3). Per entrambe le

categorie di soggetti, l’organo competente a decidere sulla rinuncia

all’immunità è il SG dell’ONU229

.

II.3 Il rapporto col sistema giudiziario locale ed i profili

organizzativi in prospettiva diacronica

E’ bene precisare che i magistrati internazionali non sono stati

introdotti nel sistema giudiziario kosovaro secondo uno schema

organizzativo-funzionale predefinito, bensì secondo un approccio

pragmatico, “per approssimazioni successive” stimolate da situazioni

critiche contingenti.

228 Sul punto si veda il rapporto di Amnesty International The apparent lack of

accountability of international peace-keeping forces in Kosovo and Bosnia-Herzegovina,

April 2004, pag. 8. Sul tema immunità-jus cogens si veda L.M. CAPLAN, “State

Immunity, Human Rights, and Jus Cogens: a Critique of the Normative Hierarchy

Theory” in American Journal of International Law, vol. 97, 2003, pagg. 741-781. 229 Va fatta menzione dell’esistenza in Kosovo di una figura giuridico-istituzionale di

derivazione scandinava, l’Ombudsperson, competente a raccogliere denunce di abusi dei

diritti umani commessi da qualsivoglia persona o ente in Kosovo. Istituito dalla

Regulation UNMIK n. 38/2000 e nominato dal RSSG, l’Ombudsperson aveva,

inizialmente, giurisdizione anche su UNMIK ma non su KFOR. Dal febbraio del 2006, il

nuovo Ombudsperson (Regulation UNMIK n. 6/2006), nominato dall’Assemblea del

Kosovo, non ha più giurisdizione su UNMIK ma unicamente sulle IPAG. Nel marzo del

2006, UNMIK ha istituito un organo, il Consiglio Consultivo per i Diritti Umani, che

potrà ricevere ricorsi contro il personale della missione ONU. Si veda infra al par. II.4.6.

CAPITOLO SECONDO 84

Allarmante era il vuoto di cariche giudiziarie presentatosi ai primi

peace-keeper dell’ONU accorsi in teatro230

:

a) la maggioranza dei giuristi kosovaro-albanesi non esercitava

dal 1989, cioè da quando la magistratura era stata “serbizzata”, e per di

più la loro unica esperienza risaliva al sistema giudiziario comunista,

che, dal 1946 al 1989, aveva visto il partito controllare ogni

procedimento giudiziario;

b) i pochi giuristi di etnia albanese, che avevano continuato ad

esercitare sotto il regime oppressivo di Milosevic231

, erano invisi alla

loro stessa comunità, che li tacciava di “collaborazionismo”;

c) la stragrande maggioranza dei giuristi serbi aveva

abbandonato la provincia sotto le minacce e la violenza della

popolazione albanese ed i pochi rimasti avevano deciso, sotto le

pressioni di Belgrado, di abbandonare la magistratura e boicottare

l’amministrazione transitoria UNMIK.

Volendo tenersi al riparo da accuse di neo-colonialismo, UNMIK

respinse la proposta dell’OSCE di reclutare magistrati internazionali232

e

rispose alla cronica mancanza di giuristi limitandosi a creare un Sistema

Giudiziario di Emergenza (SGE) composto soltanto da kosovari che

potessero provare un’adeguata “familiarità” con la materia giudiziaria233

.

Ciò che risultò dal processo di selezione condotto da un’apposita

commissione fu una magistratura quasi interamente albanese234

.

Il SGE si rivelò da subito inadeguato sia sotto il profilo dei numeri

che della qualità. Poco più di una cinquantina di magistrati, tra giudici e

230 Sulla situazione del sistema giudiziario kosovaro all’indomani della guerra del 1998-

99 si veda M. JUSTMAN KAMAN, “To Live and Work in Kosovo, Justice in the

Aftermath of War” in Criminal Justice, 2004. 231 Una trentina su un totale di oltre 750 alla vigilia della crisi del 1998-99. 232 “In the early stages of establishing a new judicial system in Kosovo, international

judges and prosecutors can assist with disseminating and promoting the application of

international human rights standards. The participation of international judges and

prosecutors may be particularly helpful in national tribunals for violations of

international humanitarian law”. OSCE LSMS, Report 2 - The Development of the

Kosovo Judicial System (10 June through 15 December 1999), 17 December 1999. 233 Invero, la selezione dei primi giudici avvenne sulla base di mezzi di prova di assai

dubbia attendibilità, come ad esempio, la presentazione, da parte di chi si candidava a

ricoprire una carica, di un certo numero di firme attestanti l’esercizio della professione

legale nel periodo antecedente il 1989. Di maggiore attendibilità è da ritenersi, invece, la

lista di giuristi predisposta dalla Missione di Verifica dell’OSCE attraverso apposite

visite nei campi profughi durante la campagna aerea Allied Force. 234 La Commissione fu istituita dal RSSG con l’Emergency Decree n. 1 del 28 giugno del

1999. Sui 55 magistrati da essa selezionati, 11 erano di etnia non albanese, di cui 7 serbi;

questi, tra luglio ed ottobre dello stesso anno, rifiutarono l’incarico, ufficialmente per

motivi di sicurezza, discriminazione ed insufficiente remunerazione.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

85

procuratori, venne investita di un colossale numero di casi, connessi non

solo alle vicende belliche ma anche all’ordine pubblico. Nelle more dei

procedimenti, le carceri si affollarono di sospettati, trattenuti anche per

mesi senza essere condotti davanti al giudice. L’assenza di competenza

ed esperienza si tradusse nell’incapacità di condurre indagini e in

clamorosi errori nella determinazione fattuale dei reati. Ma la faglia più

grande del sistema restò la parzialità -apparente ed effettiva- di una

magistratura monoetnica che trattava gli ex membri dell’UCK come eroi

di guerra e considerava, al contrario, i serbi collettivamente responsabili.

I magistrati albanesi approfittavano della posizione di potere loro

riconosciuta per attuare un sistematico piano di vendetta contro i serbi;

anche in assenza di un movente vendicativo, la discriminazione contro i

serbi era dettata dalle molteplici forme di pressione esercitata dalla

comunità albanese (intimidazioni, ostracizzazione, violenze, corruzione).

All’approssimarsi della scadenza del mandato trimestrale dei

magistrati del SGE, la Regulation UNMIK n. 7 istituì un organo, la

Commissione Giudiziaria Consultiva (CGC), incaricato di selezionare

giuristi locali da raccomandare al RSSG per la nomina a magistrati

nell’ambito del Sistema Giudiziario Ordinario (SGO)235

. La dichiarata

intenzione di stabilire una magistratura multietnica236

continuò, tuttavia,

a scontrarsi con il diniego di collaborazione espresso dalla comunità

giuridica dei serbi kosovari237

e con la generalizzata parzialità dei

magistrati albanesi.

Verso l’inizio del 2000, mentre un progetto di tribunale ad hoc per il

Kosovo aleggiava nei palazzi onusiani238

, i vertici UNMIK acquisirono

maggiore consapevolezza della scottante questione giudiziaria. I

disordini occorsi nel nord del Kosovo all’inizio di febbraio spinsero il

RSSG a mitigare la monoetnicità della Corte Distrettuale di Mitrovica

con l’inserimento, ex Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000239

, di un

procuratore ed un giudice internazionali. Essi avrebbero avuto il potere

di avocare direttamente a sé la trattazione di casi penali nuovi ovvero

pendenti in ambito distrettuale240

.

235 La CGC fu, inoltre, incaricata di svolgere indagini sulla condotta dei magistrati e di

raccomandare al RSSG l’adozione di apposite misure. 236 Regulation n. 6 del 7 settembre del 1999, terzo considerando. 237 Tra i 354 giudici (togati e laici) e procuratori nominati presso le Corti Distrettuali tra

gennaio e marzo del 2000 non figurava un solo serbo. 238 Sul tema si rimanda infra al par. II.4.3. 239 On the Appointment and Removal from Office of International Judges and

International Prosecutors. 240 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 1.2-3.

CAPITOLO SECONDO 86

L’esperimento -noto come “Programma Giudici e Procuratori

Internazionali” (GPI)- rappresentò una straordinaria innovazione nella

storia delle missioni di pace internazionali, le quali al massimo si erano

spinte fino al monitoraggio o alla supervisione sul sistema giudiziario241

.

La situazione kosovara tornò ad arroventarsi nel maggio del 2000: lo

sciopero della fame dei detenuti serbi, che guardavano con speranza

all’esperienza di Mitrovica, convinsero il RSSG ad estendere -mediante

la Regulation n. 34 del 27 maggio del 2000242

- l’esperimento anche agli

altri quattro distretti del SGO: Pristina, Pec, Pizren e Gjilan. L’inglese fu

eletto lingua di lavoro ufficiale dei procedimenti in cui avessero preso

parte magistrati internazionali243

.

Già nel corso del 2000 venne a definizione un trittico di elementi

che tuttora caratterizzano il Programma GPI dal punto di vista

organizzativo-funzionale.

In primo luogo, i magistrati internazionali non furono inseriti nel

sistema giudiziario kosovaro in quanto personale distaccato dagli Stati

membri dell’ONU bensì come staff direttamente selezionato, assunto

(con contratto semestrale prorogabile) e remunerato da UNMIK. Tanto

la loro nomina quanto la loro rimozione furono sottoposte al RSSG,

assistito dal DAG nella compilazione degli annunci, nell’analisi delle

candidature, nella redazione della rosa ristretta di candidati eleggibili e,

infine, nell’intervista telefonica di questi ultimi244

.

In secondo luogo, benché la Regulation n. 34 prevedesse la

possibilità che le nomine fossero fatte “to any court or public

prosecutor’s office in the territory of Kosovo”245

, di fatto, i magistrati

internazionali furono inseriti nei due “livelli” più elevati, vale a dire le

cinque Corti Distrettuali (ed i relativi Uffici dei Pubblici Procuratori) e la

241 Si pensi al Programma di Valutazione del Sistema Giudiziario creato nell’ambito

della UNMIBH in Bosnia-Erzegovina in base alla risoluzione del CS dell’ONU n. 1184

del 16 luglio del 1998. Sull’esercizio della funzione giudiziaria nell’ambito di

amministrazioni internazionali si vedano: S. CHESTERMAN, “Justice under

International Administration: Kosovo, East Timor and Afghanistan” in Finnish Yearbook

of International Law, 2001, pagg. 143-164; H. STROHMEYER, “Collapse and

Reconstruction of a Judicial System: The United Nations Mission in Kosovo and East

Timor” in American Journal of International Law, 2001, pagg. 46-63. 242 Amending UNMIK Regulation No. 2000/6 on the Appointment and Removal from

Office of International Judges and International Prosecutors. 243 Regulation n. 46 del 15 agosto del 2000. 244 L’Ufficio del Personale della missione ha un ruolo meramente strumentale nella

procedura di recruitment. 245 Section 1.1.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

87

Corte Suprema (ed il relativo Ufficio del Pubblico Procuratore Capo)246

,

ivi inclusa la Camera Speciale per le questioni connesse al processo di

privatizzazione247

. Presso i livelli più bassi -le Corti per i Delitti Minori,

l’Alta Corte per i Delitti Minori, le Corti Municipali- la giustizia

continuò ad essere amministrata unicamente da magistrati locali.

In terzo luogo, per quanto riguarda l’inquadramento gerarchico, ai

presidenti delle corti e dei rispettivi uffici dei pubblici procuratori non fu

attribuito il potere di decidere l’assegnazione dei magistrati

internazionali ai casi, prerogativa di esclusivo appannaggio del DAG,

presso cui fu creata una struttura, la Divisione Supporto Giudiziario

Internazionale (DSGI), appositamente preposta al coordinamento ed alla

gestione amministrativa del Programma GPI.

Nonostante tutte le sue buone intenzioni, il Programma GPI non

mancò di palesare problemi di spessore tale da metterne in discussione

l’utilità pratica: a) la presenza minoritaria dei giudici internazionali nei

panel delle corti; b) la parzialità; c) il sovraccarico di lavoro.

Quanto al primo dei tre problemi, va rilevato che la presenza dei

giudici internazionali all’interno dei panel non aveva alterato la

tradizionale composizione che assicurava la maggioranza dei voti ai

giudici locali di etnia albanese. La composizione tipica di un panel

investito di un caso “sensibile” (omicidio, genocidio, crimini di guerra)

prevedeva la presenza di cinque giudici, di cui, nella migliore delle

ipotesi, soltanto uno di estrazione internazionale. Due concomitanti

fattori contribuivano a questa situazione: ad ogni distretto giudiziario, il

RSSG aveva assegnato al massimo due giudici248

e, in base alla

procedura penale vigente, ad un magistrato che aveva rivestito il ruolo di

giudice inquirente era automaticamente vietato presiedere alle successive

fasi del procedimento. In queste condizioni, il peso della decisione del

giudice internazionale risultava praticamente nullo; né, dato l’obbligo di

246 Soppresse nel 1989, la Corte Suprema e la relativa procura furono formalmente

ristabilite il 14 dicembre del 2000. Già la Regulation n. 5 del 4 settembre del 1999 aveva

istituito una Corte di ultima istanza (Court of Final Appeal) che, “pending a more

thorough review” (terzo considerando), avrebbe avuto “the powers of the Supreme

Court” (Section 1). 247 Alla Section 3.1 della Regulation n. 13 del 13 giugno del 2002 si prevede che: “[t]he

Special Chamber shall be composed of a panel of five judges of which three shall be

international judges and two shall be judges who are residents of Kosovo”. La Section

3.2 aggiunge che il RSSG “shall assign one of the international judges as presiding judge

of the Special Chamber”. 248 La ripartizione territoriale dei magistrati internazionali rispondeva ad uno schema

distributivo alquanto rigido: essi avrebbero potuto svolgere le funzioni del loro ufficio

soltanto “within the jurisdiction of the court to which he or she is appointed” (Regulation

UNMIK n. 34 del 27 maggio del 2000, Section 1.2).

CAPITOLO SECONDO 88

segretezza del voto di ogni singolo magistrato, il suo eventuale dissenso

avrebbe potuto accrescere, presso la comunità kosovara, specie nella

componente serba, le chance legittimazione della corte nel suo insieme.

Il secondo problema era un corollario del primo: panel a

maggioranza locale (si legga: albanese) discriminavano gli imputati e le

vittime serbi per il combinato agire di pregiudizi e pressioni esterne249

.

Il terzo problema riguardava il campo di competenza ratione

materiae di giudici e procuratori internazionali, ai quali UNMIK

assegnava la competenza a trattare non solo crimina juris gentium ma

anche reati ordinari.

In risposta ai menzionati problemi, sull’onda della protesta della

comunità serbo-kosovara e delle autorità di Belgrado, esplosa tra il

giugno ed il dicembre del 2000, il RSSG adottò due importanti

provvedimenti: la Regulation n. 64 del 15 dicembre del 2000250

e la

Regulation n. 2 del 12 gennaio del 2001.

Con il primo provvedimento, fu attribuito al RSSG il potere di

assegnare, su raccomandazione del DAG, magistrati internazionali ad un

determinato caso e/o di rimettere quest’ultimo ad altra corte (change of

venue)251

. Il DAG avrebbe potuto attivarsi motu proprio ovvero su

richiesta del procuratore competente o della difesa. Il punto qualificante

della Regulation era la facoltà di designare, a seconda della fase

procedurale, un procuratore internazionale, un giudice inquirente252

internazionale e/o un panel composto da 3 giudici togati, di cui almeno 2

internazionali (ivi incluso il presidente)253

. L’inserimento di

249 Già nell’estate del 2000, l’OSCE aveva ben inquadrato il problema: “the equal

distribution of voting powers to all judges severely reduces any real impact that the

international judges may have upon a potential verdict motivated by ethnic bias”. OSCE

LSMS, First Review of the Criminal Justice System (1 February 2000-31 July 2000),

pag. 70. Al riguardo, aveva raccomandato che: “[c]ases involving allegations of war

crimes, serious ethnically motivated crimes or other politically charged offences must be

prosecuted by international prosecutors and presided over by a single international judge

or a panel with a majority of international judges”. Ibidem, pag. 75. 250 On Assignment of International Judges/Prosecutors and/or Change of Venue. 251 Si invita a notare che, diversamente dalla Regulation n. 6 del 2000, la n. 64 non

prevede la diretta avocabilità dei casi da parte dei magistrati internazionali bensì un

meccanismo in cui l’avocazione è, per così dire, “filtrata” dal potere esecutivo

internazionale. 252 Dall’entrata in vigore del nuovo CPPP, la possibilità di nominare un giudice

inquirente internazionale non è più attuale. La Regulation n. 54 del 15 dicembre del

2004, Section 1.1 ha, pertanto, modificato il wording della n. 64 sostituendo a

“international investigative judge” la locuzione “a pre-trial judge or a judge who will

conduct the proceedings to confirm the indictment”. 253 Da subito, la maggioranza sarebbe stata assicurata agli internazionali anche presso la

Camera Speciale della Corte Suprema, istituita nel 2002 ed avente competenza esclusiva

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

89

internazionali avrebbe potuto aver luogo in qualsiasi momento della

procedura, tranne che nelle ipotesi in cui la sessione di processo di primo

grado, ovvero di processo d’appello, fosse già iniziata. Questa

limitazione intendeva evitare che il meccanismo della Regulation n. 64

ingolfasse il sistema con un eccessivo numero di interruzioni

procedurali.

Per aggirare la norma procedurale vietante al giudice di presiedere a

fasi diverse dello stesso procedimento, ciascun magistrato internazionale

avrebbe potuto operare “throughout Kosovo”254

; in altre parole, la scelta

dei giudici internazionali da assegnare a panel “ibridi” avrebbe potuto

essere fatta non più su base distrettuale, bensì nell’ambito dell’intero

organico GPI. L’Administrative Direction n. 13/2000 -rimasta inattuata

fino al settembre del 2005- assegnò, inoltre, al RSSG il potere di

“appoint any international judges or prosecutor to more than one court

or public prosecutor’s office” (Section 1.1, corsivo nostro).

E’ bene precisare che l’adozione della Regulation n. 64 non

comportò l’abrogazione della Regulation n. 6, per cui i magistrati

internazionali avrebbero potuto continuare ad avocare direttamente a sé i

casi da loro ritenuti “sensibili”.

Quanto alla Regulation n. 2 del 2001, essa assegnò ai procuratori

internazionali il potere di riaprire casi abbandonati dagli omologhi locali

(resurrection power) senza dover rispettare i vincoli procedurali previsti

dal CPPRFJ255

. Potendo essere esercitato solo entro trenta giorni dalla

data di promulgazione della Regulation, tale potere non riuscì, tuttavia, a

porre fine all’atmosfera di impunità che oltraggiava la comunità serba e

delegittimava il Programma GPI. I limiti temporali per l’esercizio del

resurrection power, fecero della Regulation n. 2 un atto, a dispetto del

nomen juris, privo di portata generale ed astratta, concepito per trovare

applicazione rispetto ad un ben preciso caso “sensibile”, quale quello

dell’omicidio di tre serbi ed il ferimento di altri due presuntivamente

commesso dall’albanese Afrim Zeqiri nella municipalità di Cernica256

.

sui ricorsi presentati avverso la AFK: “[d]ecision of the Special Chamber (…) shall

require the supporting vote of at least three (3) judges” nell’ambito di un panel composto

da cinque giudici, di cui tre, come già ricordato, internazionali (Regulation n. 13 del 13

giugno del 2002, Section 9). 254 Regulation n. 64 del 15 dicembre del 2000, Section 2.2. 255 Regulation n. 2 del 12 gennaio del 2001, Section 1.4 c). 256 Ex combattente UCK, Zeqiri era stato arrestato e rilasciato ben quattro volte (anche da

un giudice inquirente internazionale) in esito alla decisione di abbandonare il caso presa

da procuratori locali di etnia albanese. Al quarto rilascio, l’imbarazzo delle autorità

UNMIK per il patente fumus di parzialità della magistratura monoetnica kosovara fu tale

da spingere il RSSG a rendere possibile la “resurrezione” del caso attraverso una deroga,

CAPITOLO SECONDO 90

Diverso è, invece, il giudizio su altre due norme della stessa Regulation,

non soggette a restrizioni temporali e, pertanto, di portata universale257

:

ai procuratori locali fu imposto l’obbligo di notificare, entro 14 giorni, al

competente procuratore internazionale (ovvero al DAG) la decisione di

chiudere un’indagine; ai procuratori internazionali fu attribuito il potere

di impugnare in appello tale decisione. La ratio complessiva della

Regulation n. 2 era quella di correggere un limite dell’allora vigente

procedura penale, la quale poneva in capo al giudice inquirente l’obbligo

di rilasciare il sospettato ed archiviare l’indagine in seguito alla formale

decisione procuratoriale di abbandonare un caso.

Nel maggio del 2001, con il varo della Cornice Costituzionale per

l’Auto-Governo Provvisorio, i due momenti centrali della vita

professionale dei magistrati UNMIK -la nomina e l’eventuale rimozione

dall’incarico- non furono sottoposti al potere delle IPAG ma restarono

soggetti all’autorità del RSSG. Pertanto, l’organo di auto-governo della

magistratura kosovara258

, il Consiglio Giudiziario e Procuratoriale del

Kosovo (CGPK), istituito il mese precedente in sostituzione della CGC,

non avrebbe potuto esercitare i suoi poteri sugli internazionali; anzi, dal

2005, sarebbe stato teoricamente possibile l’esatto contrario, visto che il

CGPK sarebbe stato sostituito da un organo, il Consiglio Giudiziario del

Kosovo (CGK) nella cui composizione sono inclusi due magistrati

internazionali259

.

Tra la primavera e l’estate del 2001, l’istituzione di un nuovo I

Pilastro della missione UNMIK dedicato a Giustizia e Polizia ed il quasi

contestuale trasferimento di funzioni amministrative alle IPAG crearono

le premesse per una ristrutturazione del DAG, che, sotto il nuovo nome

di DG, ereditò la DSGI.

Quanto al problema del sovraccarico, il RSSG prese provvedimenti

solo nel marzo del 2003, creando, in seno al DG, una struttura

centralizzata, la Divisione Penale (DP), incaricata di monitorare lo

praticamente ad personam, alla legge procedurale vigente. Nonostante la profusione di

impegno legislativo e giudiziario, Zeqiri fu assolto e rilasciato (per la quinta volta!) nella

primavera del 2002 per insufficienza di prove a suo carico. Il caso Zeqiri è trattato in M.

E. HARTMANN, “International Judges and Prosecutors in Kosovo. A New Model for

Post-Conflict Peacekeeeping” in United States Institute of Peace Special Report 112,

October 2003. 257 Regulation n. 2 del 12 gennaio del 2001, Section 1.5-6 258 Regulation n. 8 del 6 aprile del 2001. 259 Il CGK, che ha competenza solo rispetto ai giudici locali, si compone di 11 membri

nominati dal RSSG, di cui 7 giudici. Quanto all’auto-governo dei procuratori, fintantoché

non sarà costituito un organo analogo al CGK, uno dei due posti riservati a giudici

internazionali sarà ricoperto da un procuratore internazionale ed uno dei posti riservati ai

giudici locali ad un procuratore locale (UNMIK Press Release n. 1523, 3 April 2006).

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

91

sviluppo di tutti i casi in vista di un dispiegamento strategico dei

procuratori internazionali. La DSGI poté, a sua volta, focalizzarsi sulla

gestione dei giudici internazionali. Un Procuratore Capo Internazionale

ed un Giudice Capo Internazionale furono posti al vertice,

rispettivamente, della DP e della DSGI.

Organigramma semplificato

del Dipartimento di Giustizia UNMIK (I Pilastro)

Dalla fine del 2005, tutti i giudici internazionali, originariamente ripartiti

per distretti giudiziari, sono stati riallocati, insieme al personale

ausiliario e di supporto, presso il DG a Pristina, da dove, sulla base della

Administrative Direction n. 13/2000 (Section 1.1), possono essere

assegnati a qualsiasi corte ordinaria del Kosovo (c.d. “giurisdizione

unica”).

Il costo medio annuo del Programma GPI è stimabile in oltre 15

milioni di dollari USA $, finanziati a valere del bilancio della missione

UNMIK e del bilancio kosovaro.

II.4 Il rapporto con le altre giurisdizioni

Per completezza, l’analisi andrà estesa ai rapporti, effettivi o

potenziali, tra le corti “ibride” operanti in Kosovo e le “giurisdizioni”,

lato sensu intese, di altre autorità: KFOR ed i vertici del potere esecutivo

di UNMIK (par. II.4.1), le corti nazionali straniere (par. II.4.2), il TPIJ

(par. II.4.3) la CPI (par. II.4.4), la CIG (par. II.4.5), la Corte Europea dei

Ufficio del

Direttore

Divisione

Sviluppo

Giudiziario

Divisione

Supporto

Giudiziario

Internazionale

Divisione

Penale

Divisione

Gestione

Penale

Ufficio

Persone

Scomparse

e Medicina

Legale

Procuratori

Internazionali Giudici

Internazionali

CAPITOLO SECONDO 92

Diritti dell’Uomo (par. II.4.6), il Comitato dei Diritti Umani istituito

nell’ambito del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (par.

II.4.7) e la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (par. II.4.8).

II.4.1 Il rapporto con le autorità militari di KFOR e con il potere

esecutivo di UNMIK

Preliminare ad ogni considerazione sui rapporti tra corti “ibride”

kosovare ed altre giurisdizioni, nazionali o internazionali, è il discorso

sull’interazione con le autorità più immediatamente prossime.

Il riferimento è, anzitutto, a KFOR, la forza militare multinazionale

della NATO operante in Kosovo sotto l’egida del CS dell’ONU. Benché

il mandato KFOR non includa funzioni giurisdizionali ma unicamente di

polizia internazionale, non sono mancati attriti con le corti “ibride”

UNMIK. Alla loro origine vi è un’estensiva interpretazione, da parte dei

vertici KFOR, della responsabilità di “ensuring public safety and order

until the international civilian presence can take responsibility for this

task”260

: il Comandante KFOR (COMKFOR) ed i comandanti di

battaglioni multinazionali possono, sulla base di un atto unicamente

ascrivibile alla volontà politica della NATO -la Detention Directive n. 42

del 9 ottobre del 2001- autorizzare il fermo e la detenzione di

individui261

. Sulla carta, l’applicazione della procedura è circoscritta a

casi eccezionali “as a last resort when civil authorities are unable to take

action addressing the threat to KFOR or the safe and secure environment

in Kosovo” (art. 3 d); in concreto, ad essa KFOR avrebbe fatto ricorso in

almeno 3.600 casi262

. Si tratta di una procedura militare priva di

fondamento legale, sottratta alla supervisione giudiziaria (sia sul piano

dell’autorizzazione che della revisione263

), non sottesa dai diritti civili

basilari incorporati nella Regulation UNMIK n. 28 del 2001264

e la cui

reiterazione appariva immotivata già nel 2003265

.

260 Risoluzione n. 1244, par. 9, lett. d. 261 Invero, la pratica dei fermi extra-giudiziari da parte di KFOR si era sviluppata già

dalla seconda metà del 1999, in risposta alla parzialità del SGE. 262 Con l’eccezione di brevi e giustificabili periodi di detenzione decisi durante i

disordini del marzo del 2004, KFOR non avrebbe più fatto ricorso alla pratica in parola.

OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal justice System 1999-2005, Reforms and

Residual Concerns, March 2006, pag. 33. 263 Secondo la stessa direttiva “[d]etainees may submit petitions regarding their

detention” unicamente al COMKFOR (e non ad un indipendente organo giudiziario). 264 Il catalogo dei diritti di un individuo sottoposto ad arresto -ricostruibile attraverso

l’esame comparato dell’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani del 1950 e

dell’art. 9 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966- comprende: il

diritto ad essere informato al più presto ed in una lingua comprensibile delle ragioni

dell’arresto; il diritto ad essere tradotto al più presto dinanzi ad un giudice per essere

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

93

Il punto di maggiore interesse rispetto agli scopi del discorso qui

condotto è da rintracciarsi nel fatto che, anche di fronte a decisioni di

rilascio prese da corti “ibride” (oltre che da corti puramente kosovare),

KFOR ha continuato a detenere individui posti sotto custodia in base alla

Direttiva n. 42. Il 25 luglio del 2000, un giudice internazionale,

ribadendo la decisione infruttuosamente presa il 16 novembre dell’anno

precedente da un omologo locale, ha ordinato il rilascio di due albanesi

(Shaban Beqiri e Xhamal Sejdiu) detenuti da KFOR; in quell’occasione,

il giudice internazionale ha affermato che solo le corti hanno l’autorità

per detenere legalmente delle persone266

. L’immediato rilascio dei due

albanesi, lungi dall’inaugurare dei rapporti di collaborazione improntati

al rispetto della legalità, è rimasto un caso episodico, seguito, nello

stesso mese di luglio, dall’arresto, su ordine di COMKFOR, di un altro

albanese, Afrim Zeqiri267

, rilasciato proprio da un giudice inquirente

internazionale. La richiesta di autorizzazione inoltrata da COMKFOR al

RSSG ha rivelato il maldestro tentativo di sanare a posteriori, attraverso

il consenso retroattivo del massimo organo esecutivo (beninteso: non

giudiziario) di UNMIK, l’illiceità della detenzione. In altri casi,

COMKFOR non ha neppure ricercato un’autorizzazione esecutiva ex

post da parte del vertice di UNMIK, reclamando l’indipendenza della

forza NATO dall’amministrazione civile internazionale. Di più grave vi

è il fatto che COMKFOR giammai ha motivato i propri ordini di arresto

sulla base delle leggi applicabili in Kosovo, emanate o meno da UNMIK.

In rari casi, KFOR ha consegnato dei detenuti al sistema giudiziario.

Infine, KFOR ha sviluppato un proprio meccanismo extra-giudiziario,

parallelo a quello esistente, per la revisione delle detenzioni ordinate da

giudicato entro un termine ragionevole o di essere posto in libertà durante l’istruttoria; il

diritto di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché esso prontamente decida sulla

legalità della detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale; il diritto

ad una riparazione in caso di detenzione illegale. Va segnalato che la Regulation in

parola non annovera KFOR tra le law enforcement authorities soggette al divieto di

privare una persona della libertà al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge.

Analogamente il CPPP non include KFOR nella definizione di “police” di cui all’art.

151, par. 17. 265 Già allora, la presenza civile internazionale aveva fatto significativi progressi, essendo

operative sia una polizia UNMIK (UNCivPol) sia una polizia locale, entrambe sottoposte

ad un adeguato corpus di leggi ed al controllo del sistema giudiziario. Si veda D.

MARSHALL e S. INGLIS, “The Disempowerment of human rights-based justice in the

United Nations Mission in Kosovo”, in Harvard Human Rights Journal, vol. 16, spring

2003. 266 OSCE LSMS, Review of the criminal justice system in Kosovo (February-July 2000). 267 Sul caso Zeqiri si veda supra al par. II.3.

CAPITOLO SECONDO 94

COMKFOR. Si tratta di una procedura alquanto lontana dai canoni

giuridici dell’equo processo.

A ben vedere, la condotta di KFOR non è da considerarsi meno

illegale di quella tenuta dallo stesso RSSG, il quale si è auto-investito, a

partire dall’estate del 2000, proprio in relazione al citato caso Zeqiri, del

potere esecutivo di ordinare l’arresto di persone, nonostante il rilascio

deciso dall’autorità giudiziaria incarnata da un magistrato internazionale.

Nell’estate del 2001, poco tempo dopo l’ordine di arresto di tre kosovari

albanesi, che erano stati rilasciati da una corte “ibrida” per insufficienza

di prove, la Regulation n. 18 del 2001268

ha invano tentato di riportare il

potere del RSSG nell’alveo dello stato di diritto con un’operazione di

facciata consistente nell’istituzione di una commissione ad hoc

(nominata dallo stesso RSSG) incaricata di esaminare i ricorsi contro le

detenzioni esecutive269

.

L’intrusione del potere militare (COMKFOR) da un lato e

l’interferenza del potere esecutivo (SRSG di UNMIK) dall’altro hanno

minato l’autorità e l’indipendenza delle corti kosovare in genere e

“ibride” in particolare270

.

II.4.2 Il rapporto con le corti nazionali straniere

Il principio di giurisdizione universale271

prefigura la possibilità che

corti nazionali straniere radichino la propria giurisdizione in ordine a

violazioni del diritto internazionale umanitario commesse in Kosovo e

268 Adottata il 25 agosto del 2001 col titolo Detention Review Commission for Extra-

Judicial Detentions Based on Executive Orders. 269 Convocata nel dicembre del 2001 per riesaminare il caso dei tre kosovari albanesi, la

commissione ha confermato l’ordine di detenzione del RSSG; da allora non è più stata

convocata, né si sarebbero più verificati casi di detenzione extra-giudiziaria ordinati dal

RSSG. OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal justice System 1999-2005, Reforms

and Residual Concerns, cit., pagg. 31-33. 270 A tal riguardo il Comitato dei Diritti Umani, istituito nell’ambito del Patto

Internazionale dei Diritti Civili e Politici del 1966, ha raccomandato: “UNMIK should

revoke the Regulation conferring power on the SRSG [RSSG] to detain and expel

individuals, seek the cessation of detentions under COMKFOR Detention Directive 42,

and ensure that all persons arrested under the discretionary powers of UNMIK police or

under a court order are informed of the reasons for their arrest and of any charges against

them, brought promptly before a judicial authority, granted access to a lawyer and to

proceedings before a court to determine the lawfulness of their detention, and are tried

without undue delay.” Human Rights Committee, Concluding Observations of the

Human Rights Committee, Kosovo (Republic of Serbia), 14 August 2006, pag. 5, par. 17. 271 Per il quale si rimanda supra al par. I.2.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

95

per le quali le corti kosovare, ivi incluse quelle “ibride”, avrebbero

automatica competenza272

.

L’ipotesi descritta si è verificata, con problematici risvolti politici,

rispetto alle corti nazionali serbe. Il 7 luglio del 2005, l’Ufficio del

Procuratore della Camera per i Crimini di Guerra della Corte Distrettuale

di Belgrado273

ha incriminato Anton Lekaj, kosovaro albanese ex

membro dell’UCK, per crimini di guerra presuntivamente commessi nel

giugno del 1999 nella municipalità di Djakovica, in Kosovo274

. Iniziato

nel novembre del 2005, il processo di primo grado si è concluso il 18

settembre del 2006 con una sentenza di condanna a tredici anni di

carcere. L’iter giudiziario è stato costellato da ripetute frizioni tra la

corte belgradese e le autorità UNMIK, le quali ultime avrebbero invano

richiesto il trasferimento dell’imputato alla loro custodia affinché fosse

processato da una corte “ibrida”275

. Di fronte al diniego serbo, UNMIK

ha osteggiato lo svolgimento del processo, pretendendo che tutti i

testimoni residenti in Kosovo (e contrari a recarsi a Belgrado) fossero

ascoltati in presenza di un giudice del Programma GPI e respingendo,

senza plausibili motivazioni, la lista di quelli proposti dall’organo di

accusa serbo276

.

Nel fondare la propria competenza in ordine al caso Lekaj, la corte

serba ha applicato quanto disposto sulla competenza ratione loci et

personae dalla legge nazionale istitutiva della Camera per i Crimini di

Guerra277

, e cioè la perseguibilità di qualunque crimen juris gentium

272 Estendendo il discorso all’intero territorio della ex Jugoslavia, va ricordato che non

sono mancate sentenze di condanna emesse da corti nazionali straniere per crimina juris

gentium perpetrati durante fasi belliche precedenti quella kosovara. Ad esempio,

l’Oberlandesgericht di Düsseldorf (Repubblica Federale Tedesca), esplicitamente

richiamando la teoria della giurisdizione universale, ha condannato, il 26 settembre del

1997, il serbo bosniaco Nikola Jorgic per il crimine di genocidio commesso in quanto

capo di un’organizzazione paramilitare impegnata in operazioni di pulizia etnica ai danni

dei musulmani di Bosnia-Erzegovina. 273 La citata Camera opera nell’ambito della completion strategy del TPIJ di cui si dirà

infra al par. II.4.3. 274 KTRZ - no.7/04. Lekaj era stato arrestato per un banale furto d’auto in Montenegro

nel 2004. Si ricorda che il distacco del Montenegro dalla Serbia è avvenuto solo il 3

giugno 2006. 275 Così riporta il quotidiano kosovaro Koha Ditore (Venerdì, 3 aprile 2006). 276 Di fatto, soltanto i testimoni della difesa sono stati ascoltati, peraltro unicamente da un

giudice internazionale UNMIK. Le testimonianze scritte trasmesse da UNMIK alla Corte

belgradese sono comunque state lette nel corso del procedimento, facendo salvi i diritti

della difesa. 277 Legge del 2 luglio del 2003 sull’Organizzazione e Giurisdizione delle autorità di

Governo nella Persecuzione degli Autori di Crimini di Guerra. Disponibile in traduzione

inglese su <www.osce.org/documents/fry/2003/07/446_en.pdf>.

CAPITOLO SECONDO 96

“commesso sul territorio della ex RSFJ, a prescindere dalla nazionalità

dell’autore o della vittima”278

. Si tratta, in sostanza, di un principio di

giurisdizione penale universale con portata territoriale limitata ai vecchi

confini della ex RSFJ.

In generale, per quanto la risoluzione n. 1244/99 del CS dell’ONU

abbia nominalmente mantenuto la sovranità della Serbia (già RFJ) sul

Kosovo, c’è da ritenere che la situazione di fatto sia oggi tale per cui le

corti nazionali serbe potrebbero essere considerate “straniere” ai sensi e

per gli effetti del principio di giurisdizione penale universale; esse,

pertanto, avrebbero facoltà di perseguire anche kosovari per crimini

presuntivamente perpetrati nella “ex” provincia. E’, tuttavia, da

escludere che nel caso Lekaj la corte belgradese abbia inteso procedere

in qualità di corte “straniera”, giacché una tale conclusione sarebbe

equivalsa all’implicita ed imbarazzante rinuncia alla sovranità giudiziaria

sul Kosovo. L’approccio “universalista” fatto proprio dalla legge è stato

concepito dal Parlamento di Belgrado per i crimini commessi in Croazia

e Bosnia Erzegovina, entità statali rispetto alle quali le corti serbe non

incontrano problemi ad auto-rappresentarsi come “straniere”, certo non

per fatti occorsi in Kosovo.

Per completezza d’analisi, va fatta menzione dell’opinione di chi, in

dottrina, ha sillogisticamente argomentato che:

a) i poteri del RSSG (ivi inclusi quelli relativi

all’amministrazione del sistema giudiziario) derivano -via Regulation

UNMIK n. 1/1999- dalla risoluzione n. 1244/1999 adottata dal CS

dell’ONU ex capitolo VII della Carta;

b) la risoluzione n. 1244 impone agli Stati membri dell’ONU (ivi

inclusa l’attuale Serbia) una piena cooperazione per la sua stessa

attuazione;

c) l’obbligo di cooperazione giudiziaria della Serbia nei

confronti di UNMIK deriva dalla risoluzione n. 1244279

.

La linearità logica del ragionamento proposto ci pare inficiata da un

vizio insito nella premessa a): i poteri del RSSG in materia giudiziaria

derivano solo indirettamente dalla risoluzione n. 1244/1999, peraltro da

una Regulation posta in essere dallo stesso RSSG. Il punto che andrebbe

rimarcato è piuttosto il seguente: in base ad una norma di diritto

internazionale generale (già formata ovvero in stadio nascendi), la

Serbia avrebbe il dovere di estradare (verso uno Stato che possa esibire

278 Art. 3 della Legge citata alla precedente nota. 279 J. KLEFFNER, A. NOLLKAEMPER, “The Relationship Between Internationalized

Courts and National Courts” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra

Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag. 366.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

97

un qualche link) il presunto autore dei più efferati crimini internazionali,

solo qualora non intenda processarlo direttamente (aut dedere aut

judicare).

Il rapporto tra corti “ibride” kosovare e corti serbe (ivi incluse quelle

c.d. “parallele”, cui si accennerà infra alla nota 335) porta, infine, a

svolgere alcune riflessioni sull’applicabilità del principio di diritto

internazionale penale ne bis in idem. La già ricordata Regulation

UNMIK n. 24/1999, quale emendata, considera sia la Convenzione

Europea per la Protezione dei Diritti dell’Uomo e le Libertà

Fondamentali (ed i suoi Protocolli) che il Patto Internazionale sui Diritti

Civili e Politici come parte integrante della legge applicabile in Kosovo.

Entrambi gli strumenti prevedono il principio ne bis in idem, il quale,

tuttavia, si applica solo alle relazioni tra corti dello stesso Stato. La

questione è, pertanto, se il rapporto tra Kosovo e Serbia può ancora

essere considerato di natura interna. E’ di tutta evidenza che solo in caso

di risposta affermativa, il succitato principio troverebbe applicazione.

II.4.3 Il rapporto con il Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia

Ciò che rende il caso delle corti “ibride” del Kosovo assolutamente

singolare, rispetto a quelli cui si accennerà al capitolo IV è la sua

coesistenza con uno dei due TPIh creati dal CS dell’ONU nella prima

metà degli anni Novanta280

.

E’ utile ricordare che, già dal maggio del 1993, il Kosovo, parte

integrante della Serbia, già Repubblica della RSFJ, risultava

potenzialmente coperto dalla competenza ratione loci del TPIJ. E, infatti,

non appena il baricentro delle ostilità e degli orrori si spostò dalla

Bosnia-Erzegovina al Kosovo, il TPIJ non mancò di far valere le proprie

prerogative anche sulla provincia a maggioranza albanese.

Accadde a poco più di due anni dagli storici accordi di Dayton: dal

febbraio del 1998, gli scontri tra l’UCK e le forze di polizia serbo-

jugoslave subirono un’intensificazione tale da indurre il Procuratore

Capo del TPIJ a dichiarare pubblicamente, il successivo 10 marzo, che il

suo ufficio era titolato a condurre indagini anche rispetto alle gravi

violazioni del diritto internazionale umanitario già occorse, o che

sarebbero occorse, in Kosovo.

Benché difficilmente contestabile sotto il profilo della competenza

ratione materiae, temporis281

personae282

et loci283

, la giurisdizione del

280 Si veda supra al par. I.2. 281 Il metro giuridico per valutare la legalità dell’azione del TPIJ in Kosovo è

chiaramente il suo Statuto, nel quale il CS ha fissato i limiti della competenza ratione

materiae (artt. da 2 a 5), personae (art. 6), temporis et loci (art. 8). Nei casi finora trattati,

CAPITOLO SECONDO 98

TPIJ in ordine a fatti accaduti in Kosovo fu presto confermata dal CS

attraverso la risoluzione n. 1160 del 31 marzo del 1998, adottata sub

Capitolo VII della Carta dell’ONU284

. Condannando l’abuso di forza

della polizia serba contro civili e dimostranti in Kosovo e imponendo

l’embargo delle armi sulla RFJ, il CS richiese al Procuratore di iniziare a

raccogliere informazioni relative a fatti occorsi in Kosovo e suscettibili

di ricadere sotto la giurisdizione del TPIJ. Nel maggio dello stesso anno,

l’AG approvò una richiesta finanziaria abilitante il Procuratore del TPIJ

a reclutare una squadra di esperti per intraprendere delle indagini

preliminari. Le indagini condotte nei successivi dodici mesi ebbero come

sfondo un crescendo di tensioni tra la RFJ ed il CS285

, esacerbato da una

situazione diplomatico-militare in progressivo deterioramento.

il TPIJ ha riconosciuto l’esistenza in Kosovo, tra il 1998 ed il 1999, di un conflitto

armato, esistenza la cui prova è conditio sine qua non per l’attivazione della competenza

rispetto a crimini di guerra (ex art. 3) e contro l’umanità (ex art. 5). Tuttavia, come già

detto supra, il TPIJ non ha accertato l’internazionalità del conflitto, requisito necessario

per attivare la competenza materiale anche rispetto alle “gravi violazioni” delle

Convenzioni di Ginevra (ex art. 2). Sull’attività del TPIJ rispetto al Kosovo si veda S.

BOELAERT-SUOMINEN, “The ICTY and the Kosovo conflict” in International Review

of the Red Cross, n. 837, pagg. 217-252. 282 Essendo la nazionalità dell’autore del crimine irrilevante per lo Statuto del TPIJ,

indubbia è la competenza ratione personae del TPIJ rispetto ai crimini commessi in

Kosovo tanto da individui facenti capo alla RFJ (serbi) quanto da elementi dell’UCK

(kosovari albanesi). Sulla perseguibilità dei militari della missione NATO KFOR ovvero

dei civili UNMIK da parte del TPIJ, ovvero delle corti kosovare, si veda anche supra al

par. II.2.6. 283 Quanto alla competenza ratione loci, va ricordato che nel maggio del 2004, la Camera

d’Appello del TPIJ ha rigettato (con motivazioni emesse l’8 giugno) il ricorso

interlocutorio presentato dall’imputato Ojdanic (caso n. IT-99-37), il quale contestava la

giurisdizione del Tribunale sui crimini perpetrati in Kosovo, asserendo che al tempus

commissi delicti la RFJ non era membro dell’ONU e quindi il CS non avrebbe

legittimamente potuto vestire di competenza il suo organo sussidiario giurisdizionale di

competenza in ordine a fatti occorsi in alcuna parte del territorio della RFJ. In effetti, le

risoluzioni n. 777/1992 del CS e n. 47/1992 dell’AG avevano negato la successione

automatica della RFJ alla RSFJ, stabilendo, di conseguenza, che la RFJ avrebbe dovuto

presentare domanda d’adesione ex novo; la RFJ è stata ufficialmente riammessa all’ONU

il 1° novembre del 2000. All’eccezione sollevata dall’imputato, la Camera d’Appello ha

risposto richiamando la già citata decisione del 2 ottobre del 1995 sul caso Tadic (si veda

supra al par. I.2), e sottolineando che il Kosovo era coperto dalla giurisdizione del TPIJ

in quanto lo Statuto di quest’ultimo si riferisce, fin dal titolo, al territorio della “ex”

(“former”) Jugoslavia, di cui la provincia serba era indiscutibilmente parte. 284 In quella stessa data un comunicato stampa dell’Ufficio del Procuratore ricordava, con

toni minacciosi, a Milosevic e al Governo della RFJ che appena otto mesi prima il

Tribunale “gemello” per il Ruanda aveva condannato l’ex Primo Ministro ruandese per

genocidio. Office of the Prosecutor, Press release n. 391-E, 31 March 1999. 285 Il 7 ottobre del 1998, le autorità belgradesi dichiararono che non avrebbero più

rilasciato i visti agli investigatori del TPIJ, la cui attività era giudicata lesiva della

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

99

Il 23 settembre del 1998, la risoluzione del CS n. 1199 qualificò gli

eventi kosovari come “minaccia alla pace internazionale ed alla

sicurezza della regione”, iniziativa che può essere letta, attraverso il filtro

ermeneutico della già richiamata decisione Tadic, come l’apposizione

del definitivo suggello sulla giurisdizione del TPIJ rispetto all’appendice

kosovara della guerra jugoslava.

Verso la fine di maggio del 1999, mentre la RFJ era sottoposta agli

attacchi aerei della NATO e le truppe serbe reagivano intensificando la

loro sistematica campagna di persecuzioni, deportazioni e omicidi contro

l’etnia albanese del Kosovo, il TPIJ emise nei confronti del Presidente in

carica della RFJ, Slobodan Milosevic, e di altri quattro rappresentanti di

altissimo livello dei governi della RFJ e della Serbia286

un atto di

accusa287

ed un mandato d’arresto288

, per crimini di guerra e contro

l’umanità commessi in Kosovo tra l’inizio di gennaio e la fine di maggio

del 1999. Si trattò di un atto di portata storica, non solo perché il primo

emesso dal TPIJ in relazione alla “fase kosovara” del conflitto ma

soprattutto perché indirizzato ad un capo di Stato mentre le ostilità erano

ancora in corso289

.

All’inizio dell’autunno del 1999, il Procuratore Capo affidò ad un

comunicato stampa290

la descrizione delle modalità attraverso le quali

sovranità della RFJ. Il diniego di collaborazione si basava sulla tesi secondo cui le loro

operazioni condotte dalle forze della RFJ in Kosovo contro l’UCK avrebbero costituito

azioni di polizia tese a reprimere un movimento terroristico interno e come tali non

suscettibili di costituire l’oggetto di indagini internazionali. Con la risoluzione n. 1203

del 24 ottobre del 1998, il CS richiese la piena collaborazione degli Stati membri al TPIJ

per la conduzione delle indagini, con ciò implicitamente ribadendo quanto disposto

dall’art. 2.7 della Carta dell’ONU, e cioè l’inopponibilità dell’eccezione di domestic

jurisdiction ad interventi sub Capitolo VII. Il 4 novembre del 1998, le autorità della RFJ

rinnovarono il loro diniego. Il CS reiterò, con la risoluzione n. 1207 del 17 novembre del

1998, l’obbligo per la RFJ (nonché per i leader kosovari albanesi) di collaborazione.

L’apice della tensione fu raggiunto verso la fine di gennaio del 1999, quando la RFJ negò

l’accesso in territorio kosovaro al Procuratore Capo del TPIJ, il quale intendeva svolgere

indagini nel villaggio di Racak, in cui 45 kosovari albanesi inermi erano da poco stati

assassinati. 286 Milan Milutinovic, Presidente della Serbia, Nikola Sainovic, Vice Primo Ministro

della RFJ, Dragoljub Ojdanic, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito della RFJ, e Vlajko

Stojiljkovic, Ministro degli Interni di Serbia. 287 The Prosecutor against Slobodan Milosevic (et alii), caso n. IT-99-37-I, Indictment of

22 May 1999. 288 Warrants of Arrest and Orders for Surrender against all accused, caso n. IT-37-I, of

24 May 1999. 289 Senza precedenti fu anche la richiesta agli Stati membri dell’ONU di indagare per

scoprire se gli imputati fossero titolari di patrimoni nei rispettivi territori e, in tal caso,

congelarli finché gli stessi non fossero stati arrestati. 290 Office of the Prosecutor, Press Release, 29 September 1999, PR/P.I.S./437-E.

CAPITOLO SECONDO 100

avrebbe espletato il suo mandato in Kosovo. Affermò, anzitutto, che i

crimini commessi nella provincia sarebbero stati indagati e perseguiti se

ed in quanto fossero state soddisfatte le tre seguenti condizioni: 1)

copertura della giurisdizione statutaria del Tribunale; 2) compatibilità

con una strategia accusatoria focalizzata sui leader di più alto livello291

;

3) adeguatezza delle risorse disponibili.

Ne risultò che i cinque già accusati leader serbo-jugoslavi sarebbero

rimasti il “primary focus” dell’attività investigativa dell’Ufficio del

Procuratore292

. Questo non si precluse la possibilità di perseguire, sulla

base di un’analisi caso per caso, anche altri individui di entrambe le

fazioni coinvolte nel conflitto293

. Tuttavia, il Procuratore Capo precisò

291 Nella fase iniziale del suo mandato, coincidente con la guerra di Bosnia (1992-1995),

il TPIJ, non riuscendo a disporre della materiale presenza dei presunti criminali di più

alto livello, si era concentrata su individui ricoprenti cariche meno importanti (e.g. Dusko

Tadic). 292 In esito a forti pressioni internazionali, alla fine di giugno del 2001, la RFJ avrebbe

accettato di trasferire Milosevic alla custodia del TPIJ, di fronte ai cui giudici sarebbe

comparso, per la prima volta, il successivo 3 luglio. Con riferimento alla fase croata

(agosto 1991-giugno 1992) e quella bosniaca (1992-1995) del conflitto jugoslavo, il

Procuratore del TPIJ avrebbe imputato a Milosevic, tra l’ottobre ed il novembre del

2001, ulteriori capi d’accusa, afferenti non solo alle fattispecie dei crimini di guerra e

contro l’umanità ma anche a quelle di genocidio e di gravi violazioni delle Convenzioni

di Ginevra del 1949. Gli atti di accusa a carico di Milosevic sarebbero stati unificati, il 1°

febbraio del 2002, in un unico procedimento (simbolicamente il più importante nella

storia dell’TPIJ). Lo straordinario ambito temporale e geografico dei capi d’accusa

avrebbe reso il processo di una tale complessità tecnica da indurre il TPIJ a stralciare,

con riferimento alla fase kosovara del conflitto, la posizione di Milosevic da quella degli

altri quattro co-imputati (all’epoca ancora in libertà). Il processo avrebbe avuto inizio

solo il 12 febbraio del 2004 e si sarebbe interrotto con la morte dell’ex Presidente

jugoslavo, sopraggiunta per cause naturali l’11 marzo del 2006. Quanto ai quattro iniziali

co-imputati, Sainovic e Ojdanic sarebbero comparsi di fronte al TPIJ tra la fine di aprile e

l’inizio di maggio del 2002, poche settimane dopo il suicidio di Stojlkovic a Belgrado;

per Milutinovic si sarebbe dovuto attendere la fine di gennaio del 2003. Il processo a

Milutinovic, Sainovic e Ojdanic per crimini commessi in Kosovo nel 1999 avrebbe avuto

inizio solo il 10 luglio del 2006. Per lo sviluppo giudiziario dei casi trattati dal TPIJ si

vedano i rapporti annuali dello stesso all’AG e al CS dell’ONU, e, in particolare, il più

recente: Thirteenth annual report of the International Tribunal for the Prosecution of

Persons Responsible for Serious Violations of International Humanitarian Law

Committed in the Territory of the Former Yugoslavia since 1991, 15 August 2006. 293 Nel corso del triennio 2003-2005, il Procuratore avrebbe, infatti, incriminato anche

altri individui per crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati in Kosovo tra il 1998 ed

il 1999: il 24 gennaio del 2003, quattro ex comandanti dell’UCK -Fatmir Limaj, Haradin

Bala, Isak Musliu, Agim Murtezi (caso Limaj et alii, no. IT-03-66); il 22 settembre dello

stesso anno, quattro generali serbi -Vlastimir Djordjevic, Vladimir Lazarevic, Sreten

Lukic e Nebojsa Pavkovic (caso Pavkovic et alii, no. IT-03-70, poi unificato al caso

Milutinovic et alii); il 21 ottobre del 2004, un altro kosovaro albanese per aver interferito

con potenziali testimoni nel processo Limaj et alii; infine, il 4 marzo del 2005, altri tre ex

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

101

che il Tribunale “has neither the mandate, nor the resources, to function,

as the primary investigative and prosecutorial agency for all criminal

acts committed on the territory of Kosovo294

. (…) Therefore, the judicial

authorities in Kosovo [corsivo nostro] have the competence to judge

those accused of crimes of the sort that come within the jurisdiction of

the International Tribunal”295

. Quella che il Procuratore Capo abbozzò -

allorché oltre 2.000 corpi erano già stati riesumati da circa 200 fosse

comuni, restituendo un parziale, ma già drammatico, ordine di grandezza

della tragedia consumatasi296

- era una divisione di competenze di tipo

orizzontale tra TPIJ, da una parte, e sistema giudiziario locale, dall’altra.

Quanto al coordinamento tra i due livelli giurisdizionali, il Procuratore

Capo non poté che rimandare all’art. 9 dello Statuto del TPIJ,

affermando che: “Continuing liaison with ICTY [TPIJ] is important,

because the Security Council provided for concurrent jurisdiction in the

International Tribunal and in national courts to prosecute persons for

crimes within the scope of the ICTY Statute (…). In appropriate cases,

which must be determined on a case by case basis, it is open to the

International Tribunal to request national courts to defer to its

competence (…)”297

. Tuttavia, come già ampiamente discusso nel

paragrafo II.3, le deficienze, in termini di capacità e di imparzialità, della

magistratura kosovara erano di tale portata da vanificare la sola idea di

un tandem tra TPIJ-corti locali. Ben consapevole di tale situazione, il

Procuratore Capo esplicitamente confidava nel fatto che la missione

ONU, avrebbe, grazie al suo ampio mandato, preso a carico anche

l’amministrazione provvisoria del sistema giudiziario locale: “[t]he

investigation and prosecution of offences, which may fall outside the

scope (…) described above is properly the responsibility of UNMIK,

through UNCivPol and newly formed civilian police in Kosovo, assisted

by KFOR”298

.

Il coinvolgimento di UNMIK nel sistema giudiziario kosovaro

diventò, dunque, la conditio sine qua non per l’effettiva concorrenza tra

la giurisdizione del TPIJ e quella delle corti kosovare. I responsabili di

comandanti dell’UCK -Ramush Haradinaj (premier kosovaro al momento

dell’incriminazione), Idriz Balaj e Lahi Brahimaj (caso Haradinaj et alii, no. IT-04-84). 294 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 6. 295 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 7. 296 Seventh Annual Report of the ICTY, 26 July 2000, par. 180. Il programma di

riesumazione di cadaveri condotto dall’Ufficio del Procuratore sarebbe stato ultimato nel

2000, durando oltre due anni e disvelando qualcosa come 4.000 corpi o parti di corpi

umani. Eighth Annual Report of the ICTY, 13 August 2001, par. 191. 297 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 7. 298 Office of the Prosecutor, Press Release, cit., par. 6.

CAPITOLO SECONDO 102

UNMIK non tardarono a prenderne atto e, già il 13 dicembre del 1999, la

Commissione Consultiva Tecnica sulla Magistratura e sul Servizio

Procuratoriale, istituita dal RSSG299

, raccomandò la creazione di un

tribunale ad hoc sul modello del TPIJ: il Tribunale Kosovaro per i

Crimini di Guerra ed i Crimini contro l’Umanità, in seguito ridenominato

Corte Kosovara per i Crimini di Guerra ed Etnici (CKCGE). La CKCGE

avrebbe dovuto essere un tribunale provvisorio, “ibrido” in quanto a

composizione e legge applicabile: magistrati e funzionari internazionali

avrebbero supportato e supervisionato gli omologhi locali (di etnia sia

albanese che serba) nel perseguire, in base al diritto internazionale,

crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio, e, in base alla legge

locale, gravi reati commessi sulla base della razza, dell’etnia, della

religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad una minoranza etnica o

ad un gruppo politico300

. La CKCGE avrebbe, tuttavia, trovato

collocazione al di fuori dell’esistente sistema giudiziario kosovaro, col

quale avrebbe stabilito un rapporto di primacy, analogo a quello che il

TPIJ avrebbe, a sua volta, stabilito con la stessa CKCGE301

. Ma il vero

criterio di coordinamento tra CKCGE e TIPJ sarebbe stato dettato dal

livello gerarchico dei presunti criminali: il TPIJ avrebbe perseguito

quelli di più alto rango mentre la CKCGE i quadri intermedi e bassi, per

processare i quali il Tribunale dell’Aja risultava sprovvisto di sufficienti

risorse.

Sotto il profilo tecnico, il progetto di CKCGE raggiunse uno stato di

avanzamento tale da renderne possibile la realizzazione già nell’estate

del 2000. Tuttavia, sotto il profilo politico, l’iniziativa si arenò nelle

secche di un dibattito trascinatosi fino al settembre del 2000, quando le

autorità UNMIK decisero di accantonare il progetto. Le ragioni del

mancato decollo furono svariate.

In primo luogo, vi era l’opposizione della comunità giuridica

kosovara albanese, la quale, pretestuosamente, si riteneva capace di

perseguire con competenza e imparzialità i crimini commessi e temeva

che la creazione di un organo come la CKCGE avrebbe drenato

importanti risorse umane alle corti locali proprio nel momento in cui

299 La Commissione, composta di esperti kosovari e internazionali, fu istituita dalla

Regulation UNMIK n. 6/1999 On Recommendations for the Structure and

Administration of the Judiciary and Prosecution Service del 7 settembre del 1999. 300 Quanto alla competenza ratione loci e temporis, la CKCGE avrebbe potuto perseguire

crimini commessi sul territorio kosovaro dal 1° gennaio del 1998; come per il TPIJ non

era previsto un dies ad quem. 301 La separatezza tra le due giurisdizioni sarebbe stata temperata dalla previsione di

un’apposita Camera d’Appello della CKCGE competente a ricevere ricorsi anche da corti

locali.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

103

queste, appena ricostituite, ne avevano maggior bisogno; in realtà, dietro

queste argomentazioni si mascherava la preoccupazione politica che un

“eccesso di indipendenza” del costituendo organo giurisdizionale

avrebbe portato all’incriminazione di numerosi albanesi, riattizzando le

mai sopite tensioni interetniche.

In secondo luogo, vi erano le imprescindibili questioni finanziarie

che ponevano UNMIK di fronte all’imbarazzo di chiedere ulteriori

contributi volontari agli Stati membri: i costi di start-up e di gestione per

i soli primi sei mesi erano stimati in quasi 9 milioni di euro302

.

In terzo luogo, vi era il diniego delle autorità USA di garantire

adeguata sicurezza al personale della Corte, ospitando le strutture della

stessa all’interno della base Bondsteel; tale diniego era verosimilmente

sotteso dal timore che una corte “troppo indipendente” indagasse anche

su presunti criminali di guerra americani e, più in generale, dei Paesi

della NATO.

Infine, vi erano le preoccupazioni trasversali, squisitamente tecnico-

giuridiche, legate alla creazione di un’ulteriore organo giurisdizionale

posto tra il sistema giudiziario kosovaro ed il TPIJ.

Nel frattempo, tra il 15 febbraio ed il 27 maggio del 2000, in

risposta ad un’ondata di disordini ed al fine di rilanciare la fiducia di

tutta la popolazione kosovara nella magistratura locale, il RSSG aveva,

con un appositi regolamenti303

, nominato giudici e procuratori

internazionali presso i quattro distretti giudiziari del Kosovo. Dopo il

fallimento del progetto di una CKCGE, il dispiegamento di questi

magistrati internazionali -dapprima concepito come una soluzione

estemporanea e pragmatica in attesa del perfezionamento del progetto di

una corte ad hoc con giurisdizione speciale- rimase per UNMIK la sola

via realisticamente percorribile, e si sviluppò, di conseguenza, in un

programma strutturato, radicato ed articolato all’interno dell’esistente

sistema giudiziario kosovaro.

Le uniche norme che, in linea teorica, si prestano a regolare il

rapporto tra il TPIJ e le corti “ibride” kosovare sono rintracciabili nei più

volte richiamati artt. 9 e 10 dello Statuto del primo, la cui applicazione

incontra, tuttavia, un limite di non poco conto nel fatto che il Kosovo

non sia de jure uno Stato sovrano per cui le sue corti possano stricto

sensu essere qualificate come “corti nazionali”. Detto limite potrebbe

302 Il Comitato Consultivo dell’ONU sulle Questioni Amministrative e di Bilancio non

mancò di esprimere le sue perplessità sulla sostenibilità finanziaria della CKCGE nel

rapporto Financing of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo del

13 novembre del 2000, par. 32. 303 Regulation UNMIK n. 6/2000 e 34/2000. Si veda supra al par. II.3.

CAPITOLO SECONDO 104

superarsi interpretando la risoluzione n. 1244 del 1999 come un atto che,

pur riaffermando la nominale sovranità sul Kosovo dell’allora RFJ, ne ha

sospeso -con finalità sanzionatorio-umanitarie- l’esercizio da parte di

quest’ultima a favore di un “sovrano interinale”, quale UNMIK. Se

l’amministrazione transitoria di UNMIK possiede de facto attributi di

sovranità sul Kosovo304

, allora le corti kosovare, ed a fortiori quelle in

cui siedono magistrati internazionali, potrebbero essere qualificate lato

sensu come “corti nazionali”305

.

Accettando -beninteso: solo in modo provvisorio e funzionale allo

sviluppo del ragionamento- questa premessa, il TPIJ e le corti “ibride”

kosovare avrebbero giurisdizione concorrente per perseguire le persone

che abbiano commesso gravi violazioni del diritto internazionale

umanitario nel territorio del Kosovo dal 1991 in poi (art. 9.1). Il

principio della giurisdizione concorrente andrebbe, anzitutto, letto nel

304 Il combinato disposto della risoluzione n. 1244/99 e della Regulation n. 1 del 1999 ha

conferito ad UNMIK prerogative di ampiezza tale da far parlare, in dottrina, di una

sospensione della sovranità della ex RFJ sul Kosovo. P. SALZANO, “ONU e Kosovo: un

caso sui generis”, cit. pagg. 104-105. Sul tema si vedano, inoltre: J. CHARVET, “The

idea of state sovereignty and the right of humanitarian intervention” in International

Political Science Review, vol. 18, n. 1, 1997, pagg. 39-48; A. YANNIS, “The Concept of

Suspended Sovereignity in International Law and Its Implications in International

Politics” in European Journal of International Law, vol. 13, n. 5, 2002, pagg. 1037-1052.

Oltre a trasferire in capo al RSSG i poteri legislativo ed esecutivo e l’amministrazione

della magistratura, la Regulation n. 1 ha sospeso i diritti di proprietà statale della Serbia e

della RFJ: “UNMIK shall administer movable or immovable property, including moneis,

bank accounts, and other property of, or registered in the name of the Federal Republic of

Yugoslavia or the Republic of Serbia or any of its organs, which is in the territory of

Kosovo” (Section 6). Ulteriori limitazioni della sovranità belgradese sul Kosovo sono

state: la creazione di un’amministrazione doganale separata (Regulation n. 3 del 1999),

l’introduzione, da parte di UNMIK, del marco tedesco (poi sostituito dall’euro) al posto

del dinaro jugoslavo (Regulation n. 4 del 1999), l’emissione di documenti di viaggio

UNMIK in sostituzione dei passaporti jugoslavi. 305 C’è, in dottrina, chi ha indicato nella risoluzione n. 1244/1999 del CS dell’ONU, e

non nello Statuto del TPIJ, il fondamento giuridico dell’obbligo per le corti “ibride” di

sottomettersi alla primacy del TPIJ. Più precisamente l’obbligo sarebbe desumibile dal

par. 14 della citata risoluzione che richiede “full cooperation by all concerned, including

the international security presence, with the ICTY” (G. SLUITER, “Legal Assistance to

Internationalized Criminal Courts and Tribunals” in Internationalized Criminal Courts

and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag. 395). Pur

essendo incontestabile la premessa da cui muove il ragionamento -secondo cui sia le corti

“ibride” che il TPIJ derivano, in ultima analisi, la propria autorità dal CS dell’ONU- per

smontare la tesi, è sufficiente sottolineare che la “international security presence” cui si

fa riferimento è la forza NATO KFOR e non la missione UNMIK (presenza

internazionale civile); si potrebbe, poi, aggiungere che la locuzione “full cooperation” è

troppo generica per poterne dedurre un concetto così ben definito come il regime di

primacy cui è informato lo Statuto del TPIJ.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

105

suo più immediato significato, in base al quale la competenza del TPIJ

non esclude quella delle corti nazionali, e viceversa. Tale definizione,

costruita per adversum, dovrebbe, poi, essere inquadrata alla luce della

divisione orizzontale di competenze affermatasi in via di fatto a seguito

delle pubbliche dichiarazioni dell’Ufficio del Procuratore del TPIJ cui le

autorità di UNMIK si sono conformate. Pertanto, il TPIJ, in funzione

delle risorse disponibili e della strategia giudiziaria adottata, si limita a

perseguire i “most senior perpetrators”, mentre le corti “ibride” kosovare

si concentrano sui “lower profile offenders”.

Il TPIJ sarebbe, inoltre, in posizione di primato rispetto alle corti

“ibride”, in quanto, in un qualsiasi stadio della procedura, potrebbe

formalmente richiedere a queste ultime di deferire un determinato caso

alla sua competenza (art. 9.2)306

; le corti “ibride” non potrebbero

processare una persona che sia già stata processata dal TPIJ (art. 10.1); il

TPIJ potrebbe, d’altra parte, processare una persona che sia già stata

processata da una corte “ibrida” solo se: a) l’atto per il quale questa è

stata processata è stato qualificato come reato comune, oppure b) le

procedure della corte non sono state imparziali ed indipendenti, o sono

state concepite per proteggere l’accusato dalla responsabilità penale

internazionale, o il caso non è stato trattato con diligenza (art. 10.2)307

.

306 L’art. 9.2 dello Statuto rimanda alle Regole di Procedura e Prova (RPP) la disciplina

delle modalità attraverso le quali il TPIJ può chiedere il deferimento di un caso alla sua

competenza. Vengono, a tal proposito, in rilievo le Regole 9-10-11 del RPP. La Regola 9

del RPP individua nel Procuratore l’organo titolato a proporre una formale richiesta di

deferimento (request for deferral) ad una Camera di primo grado designata dal

Presidente; tale richiesta può essere proposta laddove, in un qualsiasi stadio delle

indagini o del procedimento penale istituito presso le corti di un qualsiasi Stato, il

Procuratore riscontri, alternativamente, che (i) l’atto oggetto di indagini ovvero sub

judice è qualificato come reato comune; o (ii) v’è un difetto di imparzialità o

indipendenza, o le indagini ovvero le procedure sono congegnate per far scudo alla

responsabilità penale internazionale dell’accusato, o il caso non è trattato con la dovuta

diligenza; o (iii) una questione risulta strettamente connessa, o altrimenti implica,

significative questioni sostanziali o formali suscettibili di avere conseguenze per le

indagini o i processi dinanzi al Tribunale. La Regola 10 del RPP conferisce alla Camera

di primo grado il potere di valutare la conformità della proposta del Procuratore a quanto

stabilito dalla precedente Regola 9, ed emettere, ove lo reputi appropriato, formale

richiesta di deferimento. Lo Stato interessato, in base alla Regola 11 del RPP, disporrà, al

massimo, di 60 giorni (computati dalla notifica) per soddisfare la richiesta, pena

possibilità di deferimento da parte del Presidente del TPIJ al CS. Una Camera di primo

grado diversa da quella che ha emesso la richiesta condurrà il processo (Regola 10 C del

RPP). 307 La Regola 12 del RPP è un’altra manifestazione del primato del TPIJ; in base ad essa,

le decisioni di corti “ibride” kosovare non sarebbero vincolanti per il Tribunale.

CAPITOLO SECONDO 106

Ad oggi, non risultano casi rispetto ai quali il TPIJ abbia

formalmente rivendicato, attraverso le esistenti modalità procedurali, il

suo primato sulle corti kosovare. Invero, una tale evenienza appare

alquanto improbabile. Al riguardo, è opportuno puntualizzare che tra le

corti operanti sotto l’egida di UNMIK ed il TPIJ intercorre un rapporto

qualitativamente diverso da quello che si stabilisce, ad esempio, tra una

corte serba (o croata o bosniaca o macedone) e lo stesso TPIJ.

Quest’ultimo è un rapporto tra “estranei”: da una parte, uno Stato

sovrano che persegue i propri interessi, dall’altra, un organo

giurisdizionale di tipo sovranazionale teso a perseguire obiettivi di

interesse generale per la comunità internazionale; al contrario,

nonostante l’auto-referenzialità burocratica tipica dell’intero sistema

onusiano, quello tra UNMIK e TPIJ è un rapporto tra “parenti”: essi

restano pur sempre due istituzioni della medesima organizzazione

internazionale. Pertanto, non desti meraviglia che la competenza a

trattare un determinato caso sia stata talvolta stabilita, in fase pre-

processuale, sulla semplice base di informali contatti tra gli investigatori

inviati in Kosovo dal Procuratore del TPIJ e gli inquirenti UNMIK,

specie nei primi tre anni di vita della missione ONU308

. Ciò sarebbe

avvenuto, ad esempio, per il caso Limaj309

, iniziato dinanzi a corti locali

e successivamente preso in carico dal TPIJ310

. In maniera analoga, prima

che un caso pendente dinanzi ad una corte puramente kosovara potesse

sollevare questioni tali da implicare una richiesta di deferimento da parte

del TPIJ, sono state le competenti autorità UNMIK, talvolta su informale

impulso dell’Ufficio distaccato del TPIJ a Pristina, ad attivarsi per

l’assegnazione del caso medesimo a magistrati del Programma GPI. Al

riguardo, si può dire che il meccanismo procedurale di “deferral” ha, in

sostanza, operato a livello decentrato, nel senso che è stato il sistema

UNMIK, e non il TPIJ, a richiedere il deferimento del caso alla sua

competenza.

Ai generali criteri di coordinamento sopra enunciati vanno aggiunte

le regole desumibili dalla Regola 11-bis delle RPP del TPIJ, quale

308 Intervista ad un procuratore del Programma GPI, 23 novembre del 2006. 309 Accusato dal TPIJ all’inizio di gennaio del 2003 per crimini contro l’umanità e di

guerra commessi, tra il maggio ed il luglio del 1998, ai danni di civili serbi nel campo di

prigionia di Lapusnik (presso Glogovac), Fatmir Limaj è stato assolto il 30 novembre del

2005. Limaj, comandante UCK presso il citato campo di prigionia, è stato processato

unitamente ad altre tre guardie UCK, delle quali solo una è stata condannata in primo

grado (a tredici anni di carcere). 310 T. PERRIELLO, M. WIERDA, Lesson from the Deployment of International Judges

and Prosecutors in Kosovo, International Center for Transitional Justice, March 2006,

pag. 29.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

107

emendato dal plenum dello stesso Tribunale sulla scia delle risoluzioni n.

1503/2003 e n. 1534/2004 del CS sulla completion strategy per i due

TPIh311

. Secondo quest’ultima regola312

, il Referral Bench, sezione di

giudici di primo grado istituita dal Presidente del TPIJ dopo il rinvio a

giudizio e prima dell’inizio del processo313

, può, motu proprio ovvero su

richiesta del Procuratore, ordinare314

il trasferimento di un caso (e

dell’imputato, se questo è sotto la custodia del Tribunale315

, e di tutte le

informazioni ed il materiale rilevanti316

) alle autorità di uno Stato317

,

affinché queste immediatamente lo deferiscano alla competente corte

interna per celebrare il processo318

. Lo Stato al quale un determinato caso

può essere trasferito è, alternativamente, (i) quello competente ratione

loci commissi delicti, (ii) il forum deprehensionis, (iii) un altro Stato

avente comunque giurisdizione (ad esempio ratione personae, attiva o

passiva), volontà e adeguata preparazione per accettare il caso319

. Quale

che sia il fondamento della competenza, deve comunque trattarsi di uno

Stato in cui l’imputato possa ricevere un processo equo e la pena di

311 Al fine di razionalizzare il carico di lavoro del TPIJ, in vista di precise scadenze

temporali contestualmente fissate, la risoluzione n. 1503 ha esortato il Tribunale stesso a

formalizzare “a detailed strategy to transfer cases involving intermediate and lower rank

accused to competent national jurisdictions”. La risoluzione n.1534 è tornata sul tema

precisando che le decisioni del Tribunale sul trasferimento di casi alle corti nazionali

dovranno essere basate su due parametri: la gravità del crimine oggetto di accusa ed il

livello di responsabilità dell’imputato. Sul punto si vedano: M. BOHLANDER, “The

Transfer of Cases from International Criminal Tribunals to National Courts”, Paper

presented at the Prosecutors’ Colloquium in Arusha, 25-27 November 2004 (accessibile

attraverso il portale del TPIR); G. DELLA MORTE, “Osservatorio dei Tribunali penali

internazionali” in Diritto Penale e Processo, n. 11/2005, pagg. 1445-1447. Sulla

completion strategy si veda anche supra al par. I.2. 312 La Regola 11-bis ha subito ripetute revisioni sull’abbrivio della richiamata risoluzione

del CS n. 1534/2004: il 10 giugno 2004, l’11 febbraio del 2005 e, da ultimo, il 13 giugno

del 2006. Nella sua originaria formulazione, essa disciplinava le modalità

dell’incriminazione da parte del TPIJ, qualora il caso fosse pendente dinanzi ad una corte

nazionale. 313 I membri del Referral Bench sono scelti tra i giudici delle Camere di primo grado.

Regola 11-bis, lett. (A). 314 Prima di emettere tale ordine, il Referral Bench, è tenuto a concedere al Procuratore e,

dove applicabile, all’accusato l’opportunità di essere sentito. La lett. (I) prevede che la

decisione (positiva o negativa) del Referral Bench sul deferimento di un caso sia

impugnabile in appello da parte del Procuratore e dell’imputato. 315 Regole 11-bis, lett. (D). In base alla lett. (E), ove l’imputato fosse in libertà, il

Referral Bench può emettere un mandato d’arresto nei suoi confronti, specificando lo

Stato nel quale deve essere trasferito per il processo. 316 Ibidem, lett.(D), (iii). 317 Ibidem, lett. (B). 318 Ibidem, lett. (A). 319 Ibidem, lett. (A), (i), (ii), (iii).

CAPITOLO SECONDO 108

morte non sia comminata o eseguita320

. Quanto alla tipologia di casi

trasferibili, la Regola 11-bis espressamente richiama la risoluzione del

CS n. 1534 del 2004, la quale, come già detto, considera determinanti i

criteri di gravità del crimine ed il livello di responsabilità

dell’imputato321

. Un preciso regime di garanzie si erge, inoltre, a tutela

del primato del TPIJ sulle giurisdizioni interne: il Referral Bench può

ordinare che misure di protezione per taluni testimoni o talune vittime

rimangano in vigore322

; il Procuratore può inviare degli osservatori al

fine di monitorare, per suo conto, l’esercizio dell’azione penale dinanzi

alle corti interne323

; e ancora che in ogni momento successivo

all’ordinanza resa in virtù del presente articolo ma antecedente alla

dichiarazione di colpevolezza o di assoluzione emessa dalla corte

interna, il Referral Bench può, su domanda del Procuratore e dopo aver

offerto alle autorità dello Stato interessato la possibilità di essere

ascoltate, annullare l’ordinanza e domandare la dismissione del caso ai

sensi dell’art. 10324

ed il trasferimento dell’imputato325

. La giurisdizione

dello Stato interessato ha, a questo punto, il dovere di procedere senza

ritardo.

A fronte di un crescente numero di casi trasferiti a corti nazionali di

Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia326

, alcun caso risulta, tuttavia,

trasferito alle corti “ibride” kosovare.

Continuando ad assumere come logica premessa che UNMIK, ex

risoluzione n. 1244/99 del CS, è il sovrano de facto del Kosovo, per cui

le corti “ibridate” da magistrati internazionali sono lato sensu

qualificabili come “corti nazionali”, la possibilità di futuri trasferimenti

di casi pendenti dinanzi al TPIJ per crimini commessi in Kosovo può

essere valutata considerando sistematicamente almeno tre criteri: 1) la

gravità dei crimini ed il grado di responsabilità degli imputati, 2) lo stato

d’avanzamento dei procedimenti penali, 3) l’opportunità politica di una

tale evoluzione giudiziaria.

320 Ibidem, lett. (B). 321 Ibidem, lett. (C). 322 Ibidem, lett.(D), (ii). 323 Ibidem, lett. (D), (iv). 324 Ibidem, lett. (F). La Regola 10 del RPP disciplina il potere del TPIJ di richiedere

l’avocazione del procedimento iniziato presso le corti interne. 325 Ibidem, lett. (G). Tale prerogativa è rafforzata dal potere di emettere un mandato di

arresto nei confronti dell’imputato. 326 Al novembre del 2006, sette casi, per un totale di dodici imputati, risultano trasferiti

ex Regola 11-bis del RPP dal TPIJ a corti nazionali: cinque casi alla Camera per i

Crimini di Guerra della Corte di Stato di Bosnia-Erzegovina, uno alla Camera per i

Crimini di Guerra presso la Corte Distrettuale di Belgrado (Serbia) ed uno alle Camera

Speciale per i Crimini di Guerra istituita in Croazia.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

109

Per quanto riguarda gli imputati di etnia serba, il caso Milosevic, il

caso Milutinovic et alii ed il caso Pavkovic et alii (che in quest’ultimo è

confluito) non potrebbero essere trasferiti alle corti “ibride” per tre ordini

di ragioni: in primo luogo, perché trattasi di ex esponenti politici e

militari di primo piano della Repubblica Serba e dell’ex RFJ accusati di

violazioni estremamente gravi del diritto internazionale umanitario; in

secondo luogo, perché, pur volendo prescindere dalle argomentazioni

appena esposte, i procedimenti hanno raggiunto un avanzamento tale da

non permettere più l’istituzione di un Referral Bench, il quale, stando

alla lettera (A) della Regola 11-bis, può essere nominato solo nello iato

procedurale tra il rinvio a giudizio (i.e. confirmation of the indictment) e

l’inizio del processo; in terzo luogo, perché, trattandosi essenzialmente

di casi di fortissima valenza politica327

, la sola idea che possano essere

giudicati da corti kosovare, ancorché “ibridate” da magistrati

internazionali, rischierebbe di esacerbare il perdurante e strisciante clima

di tensione tra Belgrado e Pristina. Per queste stesse ragioni, i citati casi

non potrebbero essere trasferiti a corti serbe, in linea teorica competenti

in base al principio della nazionalità attiva328

.

Per quanto riguarda gli imputati di etnia albanese, il quadro non è

dissimile. Relativamente al caso Limaj et alii, è sufficiente ricordare che

il processo è già arrivato alla sentenza di primo grado (il 30 novembre

del 2005) per escludere la possibilità di un trasferimento ex Regola 11-

bis329

. Anche il caso Haradinaj et alii appare ormai sottratto ad un

potenziale deferimento, essendo il processo iniziato il 5 marzo del 2007.

327 Gli imputati di questi casi non sono processati per la diretta commissione dei crimini

ma per il fatto di aver ricoperto cariche apicali nella catena del commando dello Stato

serbo-jugoslavo all’epoca della crisi umanitaria kosovara. 328 In generale, il trasferimento di casi inizialmente trattati dal TPIJ a corti nazionali

solleva una questione “di psicologia collettiva” non priva di implicazioni politiche nel

delicato contesto post-bellico della ex Jugoslavia: quelli che l’etnia-vittimizzata

considera crimina juris gentium sono spesso guardati come atti di eroismo dall’etnia cui

appartengono gli autori. Pertanto il trasferimento di casi “politicamente caldi” a corti

nazionali può essere percepito: a) come l’occasione per dispensare “giustiza etnica” (una

forma sublimata di vendetta) laddove la corte nazionale di destinazione è quella

dell’etnia-vittima; b) come l’occasione per dispensare una “giustizia edulcorata” (una

forma di revisionismo giudiziario), se la corte nazionale di destinazione è quella

dell’etnia-criminalizzata. Si tratta di una questione tutt’altro che sociologica, visto che le

percezioni della giustizia giocano un ruolo non secondario nei processi di riconciliazione

interetnica. 329 Laddove fossero sussistiti i presupposti procedurali per il trasferimento, il Referral

Bench avrebbe dovuto confrontarsi con una situazione resa complessa dal fatto che i

crimini presunti erano sì di sicura gravità mentre gli imputati, fatta eccezione per Limaj

(comandante UCK), erano collocati ad un livello di responsabilità certamente non elevato

(si trattava di due guardie carcerarie). Anche per questo caso, come per quelli relativi ad

CAPITOLO SECONDO 110

Dal momento che la procedura di “referral” ex Regola 11-bis è stata

estesa anche a casi che si trovino ancora alla fase investigativa330

, in

linea teorica, si potrebbero ipotizzare trasferimenti alle corti “ibride”

kosovare laddove nuovi casi di crimini commessi in Kosovo fossero

iscritti al ruolo dal TPIJ e sempre che la gravità delle violazioni ed il

livello di responsabilità degli indiziati fossero tali da consentirlo.

Tuttavia, a ben vedere, almeno due motivi rendono l’ipotesi alquanto

remota: come già ricordato, il TPIJ è, per volontà del CS, in phasing out

e solo eccezionalmente accetterebbe di trattare nuovi casi oltre a quelli

che deve ancora concludere331

; inoltre, fintantoché lo status definitivo

del Kosovo non sarà definito (nel senso dell’indipendenza da Belgrado),

il trasferimento di casi, ancorché in fase investigativa, a corti “ibride”

creerebbe tra UNMIK e Belgrado più imbarazzo di quanto non abbia già

creato la complessiva ambiguità giuridico-istituzionale discesa dalla

risoluzione n. 1244/99.

Il ragionamento fin qui svolto si basa, come già ricordato,

sull’esplicita, ancorché provvisoria, premessa che le corti “ibride”

kosovare siano sostanzialmente assimilabili a “corti nazionali”, e questo

non già perché il Kosovo sia uno Stato sovrano in pectore ma perché un

sovrano -UNMIK- comunque esiste in Kosovo sul piano fattuale. A ben

vedere, gli elementi che concorrono alla de-costruzione di una tale

protasi logica sono numerosi e di consistenza non trascurabile. UNMIK è

davvero sovrano provvisorio de facto in Kosovo? Una risposta è

possibile esplorando il panorama dei soggetti che contendono ad

UNMIK l’esercizio effettivo ed esclusivo del potere di governo sul

territorio kosovaro.

A tal proposito, va, anzitutto, ricordato che la forza NATO KFOR si

colloca al di fuori dei “Pilastri” di UNMIK332

e, essendo responsabile

imputati serbi, il trasferimento a corti kosovare non sarebbe stato politicamente

opportuno; godendo Limaj della fama di “eroe nazionale” tra la popolazione di etnia

albanese, rimettere il suo giudizio ad una corte kosovara, ancorché “ibridata” da

magistrati UNMIK, avrebbe indubbiamente irritato la componente serba del Kosovo

nonché le autorità di Belgrado. 330 American University Washington College of Law, “Updates from the International

Criminal Courts” in Human Rights Brief, vol. 12, issue 3, spring 2006, pag. 37. 331 Al 9 ottobre del 2006, rimanevano ancora pendenti dinanzi al TPIJ procedimenti

contro 64 imputati (su un totale di 161 complessivamente trattati dall’inizio della sua

attività). Address of Judge Fausto Pocar, President of the ICTY, to the United Nations

General Assembly, The Hague 9 October 2006. 332 La stessa risoluzione n. 1244/99 del CS formula in termini ambigui il rapporto tra

presenza internazionale civile (UNMIK) e presenza internazionale militare (KFOR) in

Kosovo. Benché entrambe siano chiamate ad operare sotto gli auspici dell’ONU (par. 5),

la seconda non è stata posta sotto il controllo della prima; le due presenze sono piuttosto

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

111

della sicurezza in Kosovo, sine dubio detiene in via provvisoria

un’importante quota della sovranità revocata alle autorità belgradesi333

.

Un’ulteriore diminutio alla sovranità di UNMIK discende, poi, dal

progressivo trasferimento di competenze a favore delle IPAG, iniziato

nel marzo del 2002; ancor prima della definizione del suo status, il

Kosovo possiede già ministeri in tutti i settori (dal dicembre del 2005

anche in quello di Giustizia e dell’Interno334

) della vita pubblica, sociale

ed economica, nonché un Parlamento democraticamente eletto sotto

l’osservazione dell’OSCE.

Tuttavia, UNMIK non è riuscita a creare delle IPAG anche nelle

enclaves a maggioranza serba che rimangono sotto l’effettivo controllo

delle autorità di Belgrado, specie per quanto riguarda il settore

giudiziario335

.

Benché ancora titolare di un congruo numero di “domaines

reservées”336

, UNMIK non è, dunque, il sovrano che si era

provvisoriamente ipotizzato. Ne deriva che le corti kosovare non

possono essere latamente qualificate come “corti nazionali” ai sensi e per

gli effetti dello Statuto e del RPP del TPIJ; si tratta piuttosto di corti

“locali”, aggettivo di valenza semantica più politica che giuridica,

emblematico dell’assenza di una piena sovranità da parte di UNMIK

nonché delle IPAG. La realtà è che in Kosovo, dal luglio del 1999, non

esiste una sovranità piena ed in capo ad un unico soggetto. “Nazionali”,

con tutti i loro difetti, erano state fino a quella data solo le corti della

RFJ.

Se UNMIK non è il sovrano interinale del Kosovo e se le corti

kosovare non posono essere considerate, sia pure impropriamente, come

chiamate ad un rapporto orizzontale, cioè di coordinamento e reciproco supporto (par. 6 e

par. 9). 333 L‘accordo di Kumanovo disponeva una limitazione della sovranità di Belgrado

persino al di fuori del territorio kosovaro: la temporanea smilitarizzazione di una zona

aerea e di una zona terrestre estese, rispettivamente, per 25 e 5 km nel territorio serbo. 334 Regulation UNMIK n. 53/2005. 335 Sebbene alcuni giuristi serbi abbiano accettato, dall’inizio del 2003, di far parte della

magistratura kosovara, corti dislocate nel territorio della Serbia vera e propria (Kraljevo,

Niš, Vranje, Leskovac, Kruševac) continuano a dichiararsi competenti in ordine a fatti, di

rilievo penale e civile, accaduti nei cinque distretti del Kosovo (rispettivamente:

Mitrovica, Pristina, Gjilan, Peć, Prizren). Sulle corti parallele serbe in Kosovo si vedano:

OSCE, Report on Parallel Court Activity in Northern Kosovo (November 2001), OSCE-

UNHCR, Tenth Assessment of the Situation of Ethnic Minorities in Kosovo (March

2003), OSCE, Report on Parallel structures in Kosovo (October 2003), pagg. 16-23. 336 Ad esempio, per restare al settore giudiziario, resta prerogativa del RSSG di UNMIK:

la nomina dei magistrati locali ed internazionali, mentre la cooperazione giudiziaria

internazionale è di competenza del DG di UNMIK.

CAPITOLO SECONDO 112

“corti nazionali”, allora prende corpo un’ipotesi fin qui rimasta

adombrata nel non detto del discorso: con riferimento al Kosovo, il TPIJ,

organo sussidiario del CS dell’ONU, giammai ha attivato procedure di

“deferral”, ex Regole 9, 10 e 11 del RPP, ovvero di “referral”, ex Regola

11-bis del RPP, per evitare di incappare nell’imbarazzo, più politico che

giuridico, di un implicito riconoscimento della sovranità del Kosovo,

dato che entrambe le procedure fanno continuo ed espresso riferimento

alle nozioni di “Stato” e di “corti nazionali”.

Alla luce di questa plausibile ipotesi, può leggersi l’informale

coordinamento tra autorità giudiziarie UNMIK e TPIJ in surroga alla

procedura di “deferral”.

Sull’intensità e la qualità dei rapporti tra la missione UNMIK e TPIJ

il Comitato dei Diritti Umani ha, nelle recenti considerazioni sul

rapporto presentato da UNMIK sull’applicazione del Patto

Internazionale sui Diritti Civili e Politici, espresso un giudizio negativo:

“The Committee regrets the failure of UNMIK to fully cooperate with

the International Tribunal for the Former Yugoslavia. (…) UNMIK (…)

should (…) extend full cooperation to ICTY prosecutors”337

.

II.4.4 Il rapporto con la Corte Penale Internazionale

La competenza ratione temporis della CPI decorre, come già detto,

dal 1° luglio del 2002338

. Tutti gli Stati emersi dallo smembramento della

RSFJ hanno aderito allo Statuto della CPI già dalla primavera del

2001339

. Ne consegue che qualora crimini di sua competenza fossero

commessi nel territorio della ex RSFJ e/o da cittadini di ex Repubbliche

jugoslave posteriormente al dies a quo sopra indicato, la CPI potrebbe -

in regime di complementarietà con le corti nazionali- avere giurisdizione

su di essi.

L’ipotesi prefigurata pone, anzitutto, la più generale questione dei

rapporti tra CPI e TPIJ, la cui competenza ratione materiae è largamente

coincidente. E’ chiaro che non ci sarebbe alcuna sovrapposizione

laddove il TPIJ riuscisse ad ultimare la sua completion strategy prima

dell’ipotizzata commissione dei crimini. In caso contrario si porrebbe,

con riferimento alle corti nazionali, il delicato problema del

337 Human Rights Committee, Eighty-seventh session, Geneva, 14 August 2006,

Concluding observations of the Human Rights Committee, Kosovo (Republic of Serbia),

cit., par. 12, pag. 4. 338 Si rimanda supra al par. I.3. 339 La Croazia il 21 maggio del 2001, la Serbia il 6 settembre del 2001, la Slovenia il 31

dicembre del 2001, l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia il 6 marzo del 2002, la

Bosnia-Erzegovina l’11 aprile del 2002 e, da ultimo, il 3 giugno del 2006, il Montenegro

resosi indipendente dalla Serbia.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

113

coordinamento tra il regime di concorrenza-primato del TPIJ con quello

di complementarietà della CPI. C’è da ritenere che, avendo il Procuratore

del TPIJ definitivamente chiuso il ciclo delle incriminazioni alla fine del

2004, difficilmente potrà configurarsi un qualche attrito giurisdizionale

con l’incipiente CPI, e le eventuali tensioni saranno, al massimo, di

natura ermeneutica, legate cioè ai principi giurisprudenziali che il TPIJ

ha elaborato in quasi tre lustri di attività340

.

Tra gli ipotetici scenari, che meritano di essere esplorati, si può

includere quello relativo alle potenziali modalità di interazione tra corti

“ibride” kosovare e CPI. A tal fine, occorre preliminarmente chiedersi se

il rapporto di complementarietà che lo Statuto disegna tra CPI e corti

nazionali possa essere esteso fino a dare copertura anche alle corti

“ibride”.

In dottrina si è sostenuto che la stessa CPI potrebbe, per via

ermeneutica, incuneare negli interstizi lasciati aperti dallo Statuto di

Roma e costruire una teoria per l’assimilazione sostanziale delle corti

“ibride” a quelle nazionali341

. Un approccio interpretativo teleologico

fornirebbe utili spunti per la costruzione di una tale teoria:

a) porre fine all’impunità di chi abbia commesso crimini che

massimamente indignano il comune sentire umano è il principale scopo

cui mira l’istituzione della CPI;

b) lo Statuto di Roma, da un lato, fa ricadere sugli Stati firmatari

la principale responsabilità per la repressione di tali crimini, dall’altro,

individua la causa prima dell’impunità proprio nella mancanza di volontà

o di capacità da parte degli Stati;

c) il fatto che uno Stato richieda/subisca l’inserimento nel

proprio sistema giudiziario penale di elementi internazionali atti a creare

i presupposti di volontà e capacità necessari a spezzare il ciclo

dell’impunità sarebbe, pertanto, conforme all’oggetto e allo scopo dello

340 La CPI li considererà dei precedenti secondo un approccio da common law, oppure,

come, a sua volta, ha fatto il TPIJ rispetto alla CIG (e.g. in tema di “agency control”), si

considererà libera di non osservarli? La domanda, lungi dall’essere meramente

speculativa, ha tante e tali implicazioni da poter essere ricondotta nel più generale alveo

del tema della frammentazione e diversificazione del diritto internazionale, sul quale si

veda il recente Rapporto della Commissione di Diritto Internazionale Fragmentation of

international law: difficulties arising from the diversification and expansion of

international law, 13 April 2006. 341 Si veda M. BENZIG e M. BERGSMO, “Some Tentative Remarks on the Relationship

Between Internationalized Jurisdictions and the International Criminal Court” in

Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and

Cambodia, op. cit., pagg. 409-414.

CAPITOLO SECONDO 114

Statuto e, in ultima analisi, la corte “ibrida” originante da tale

inserimento sarebbe assimilabile ad una corte nazionale.

Se si accetta la suesposta premessa, la prima ipotesi con la quale

occorre confrontarsi è quella che, considerando il Kosovo come parte

integrante della Serbia (a sua volta, parte dello Statuto di Roma)

conclude nel senso della competenza della CPI -in regime di concorrenza

con le corti locali- sui crimini commessi in Kosovo e/o da kosovari dal

1° luglio del 2002. Invero, l’appartenenza del Kosovo allo Stato serbo

sancita dalla risoluzione n. 1244/1999 risulta solo nominale. Fatta

eccezione per alcune piccole enclaves a maggioranza serba, Belgrado

non controlla più la provincia, la quale, retta da un’organizzazione a

metà strada tra il protettorato internazionale e l’auto-governo, possiede

un sistema giuridico-giudiziario penale del tutto separato da quello della

Serbia. Scartata quest’ipotesi, gli scenari possibili restano almeno

quattro:

(i) se al Kosovo fosse riconosciuto uno status definitivo di ampia

autonomia (anche in materia di giustizia penale) all’interno dei confini

internazionali della Serbia, allora il fatto che quest’ultima è già parte

dello Statuto della CPI sarebbe sufficiente per attivare, in regime di

complementarietà con le corti kosovare (“ibridate” o meno da magistrati

internazionali), la potenziale giurisdizione della Corte medesima su

crimini da chiunque commessi in Kosovo ovvero ovunque commessi da

kosovari;

(ii) se al Kosovo fosse riconosciuto uno status di piena sovranità e

aderisse allo Statuto della CPI, le conseguenze, in termini di copertura

giurisdizionale da parte della Corte, sarebbero sostanzialmente identiche

a quelle sub (i);

(iii) laddove un Kosovo indipendente decidesse, invece, di non

aderire allo Statuto della CPI, si ricadrebbe nell’ipotesi sub (iv)342

;

(iv) se le trattative sullo status dovessero protrarsi sine die e la

presenza di UNMIK (o comunque internazionale) fosse prorogata anche

nel settore della giustizia penale, il Kosovo si configurerebbe, di fatto,

come uno “Stato” non parte e la competenza della CPI rispetto a crimini

a vario titolo collegabili ad esso sarebbe, in linea di principio, quella

sinotticamente presentata nella seguente matrice, nella quale “SI” e

“NO” indicano, rispettivamente, la sussistenza o meno della

giurisdizione della Corte sulla base degli articoli 12 e 13 del rispettivo

Statuto:

342 In tale ipotesi ricadono gli USA e tutti quegli Stati che non hanno aderito allo Statuto

della CPI.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

115

(§) Invero, l’insieme delle quattro sotto-ipotesi ottenibili incrociando nazionalità

dell’autore del crimine e locus commissi delicti assume rilevanza solo se il crimine è

perpetrato a danno di kosovari. In tal caso, valgono le regole in base alle quali la CPI può

avere giurisdizione se: il crimine è stato commesso nel territorio di uno Stato parte

(ovvero di uno Stato non parte che abbia accettato la competenza della CPI in relazione

allo specifico caso); il crimine è stato commesso da un cittadino di uno Stato parte

(ovvero di uno Stato non parte che abbia accettato la competenza della CPI in relazione

allo specifico caso); il caso è stato deferito alla Corte dal CS dell’ONU.

* La CPI avrebbe giurisdizione solo in caso di deferimento da parte del CS dell’ONU.

°* La CPI avrebbe giurisdizione in due casi: se lo Stato non parte dello Statuto accetta,

attraverso apposita dichiarazione, la sua competenza rispetto al crimine in questione,

ovvero se il caso è deferito da parte del CS dell’ONU.

II.4.5 Il rapporto con la Corte Internazionale di Giustizia

Alcuni elementi di contesto vanno preliminarmente forniti per

l’inquadramento dei potenziali rapporti tra corti “ibride” kosovare e CIG.

Quest’ultima è competente a dirimere controversie fra gli Stati, che siano

membri dell’ONU343

ed abbiano previamente accettato la sua

giurisdizione344

. Non sono mancate, nel corso degli anni Novanta,

343 Secondo l’art. 93 par. 1 della Carta dell’ONU “[t]utti i Membri delle Nazioni Unite

sono ipso facto aderenti allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia”. 344 Secondo l’art. 36 par. 2 dello Statuto della CIG, gli Stati parti dello stesso Statuto

possono (facoltà) in qualsiasi momento dichiarare che riconoscono come obbligatoria, in

Locus commissi delicti

Crimine non commesso in Kosovo

Crimine

commesso in Kosovo

in uno

Stato

parte dello

Statuto

della CPI

in uno

Stato non

parte dello

Statuto

della CPI

Na

zio

na

lità

att

iva

Crimine

commesso da non

kosovari

Cittadini di

uno Stato

parte dello Statuto

della CPI

IPOTESI

IRRILEVANTE

AI FINI

DELL’INDAGINE

(§)

SI

Cittadini di uno Stato

non parte

dello Statuto

della CPI

NO*

Crimine commesso da kosovari

SI

NO°*

NO*

CAPITOLO SECONDO 116

dispute fra gli Stati sorti dallo smembramento della RSFJ sulla

responsabilità internazionale per presunte violazioni della Convenzione

contro il genocidio del 1948. Nel 1993, la Bosnia-Erzegovina ha

introdotto un ricorso contro l’allora RFJ345

, citata in giudizio, nel 1999,

anche dalla Croazia346

. Ad oggi, la CIG si è pronunciata sul merito del

primo dei due casi347

. Sarebbe sensato interrogarsi sul peso che le

sentenze del TPIJ relative al crimine di genocidio348

imputato ad

esponenti dell’ex RFJ349

hanno avuto sul giudizio nella causa

interstatuale350

; tanto più che: a) la CIG è tenuta, per Statuto, a decidere

relazione a qualsiasi altro Stato che accetti il medesimo obbligo, la giurisdizione della

Corte. 345 Nel 1997, l’allora RFJ ha, a sua volta, presentato un contro-ricorso (poi ritirato nel

settembre del 2001) avverso la stessa Bosnia-Erzegovina. 346 Un ulteriore strascico giudiziario delle guerre nella ex Jugoslavia sono le dieci cause

che hanno opposto, dal 1999 al 2004, l’ex RFJ a ciascuno dei singoli Stati della NATO

(Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna,

USA) intervenuti nell’ambito dell’operazione aerea “Allied Force” (marzo-luglio 1999)

per presunto uso illecito della forza (Legality of Use of Force). 347 Il complesso dispositivo della sentenza rileva che la Serbia non ha fatto nulla per

rispettare i suoi obblighi di prevenire e punire il genocidio di Srebrenica patito dai

bosniaci musulmani nel 1995 ed ha fallito nel cooperare pienamente con il TPIJ, che ha

incriminato i responsabili. Una colpa, tuttavia, non sufficiente per condannare la Serbia,

dal momento che, secondo il verdetto, non può essere considerata direttamente

responsabile di questo genocidio, in quanto le azioni di coloro che hanno commesso il

genocidio a Srebrenica non possono essere direttamente attribuite al governo di Belgrado

(ICJ Press Release 2007/8). Rispetto al ricorso introdotto dalla Croazia, in base al più

recente comunicato stampa (ICJ Press Release 2002/34), la procedura non avrebbe

ancora superato la fase delle obiezioni preliminari sulla giurisdizione della Corte e

sull’ammissibilità del caso. 348 Si pensi, ad esempio, al caso del generale serbo-bosniaco Krstic (caso n. IT-98-33-T),

condannato in secondo grado dal TPIJ per crimine di genocidio in relazione all’eccidio di

Srebrenica (sentenza del 19 aprile del 2004). Se non fosse sopravvenuto il decesso

dell’imputato, anche l’assai probabile sentenza di condanna (per i capi d’accusa di

genocidio riferiti al territorio della Bosnia-Erzegovina) contro Milosevic avrebbe creato

un autorevole “precedente” per la CIG. 349 Ovvero a serbo-croati o a serbo-bosniaci soggetti ad un overall control da parte delle

autorità di Belgrado. 350 Specularmente, ha senso chiedersi se, in caso di accertata responsabilità dell’ex RFJ

per violazione della Convenzione contro il genocidio, il Procuratore del TPIJ sarà tenuto

a riconsiderare il contenuto degli atti di incriminazione emessi contro presunti criminali

serbi che siano stati fin lì processati per capi d’accusa diversi da quelli ricompresi sotto il

crimine di genocidio. Quella che si delinea all’orizzonte è questione di coerenza formale

e sostanziale tra le pronunce di due corti che possono rispondere, su piani diversi ma

interrelati, alla richiesta di rimedi giurisdizionali per gravi violazioni del diritto

internazionale umanitario: il TPIJ infliggendo sanzioni penali per responsabilità

individuale, la CIG imponendo allo Stato trasgressore l’obbligo di risarcire lo Stato

parens patriae dei cittadini che hanno patito le conseguenze l’illecito internazionale.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

117

sulle controversie sottopostele considerando come fonti giuridiche

applicabili anche le “decisioni giudiziarie”351

, categoria in cui

sicuramente possono ricomprendersi, per autorevolezza e prossimità

sostanziale, le sentenze del TPIJ; b) lo Statuto del TPIJ, diversamente da

quello della CPI352

, non contiene una disposizione che espressamente

esclude la possibilità per i giudicati sulla responsabilità penale personale

di avere ripercussioni sul piano della responsabilità statuale per illecito

internazionale.

Sul calco degli elementi illustrati, è ipotizzabile la situazione in cui

la giurisdizione della CIG potrebbe “intersecare” quella delle corti

“ibride” kosovare:

a) il Kosovo assurge al rango di Stato sovrano e diventa membro

dell’ONU ed ipso facto parte dello Statuto della CIG353

;

b) avendo previamente riconosciuta come obbligatoria la

giurisdizione della CIG, il Kosovo cita in giudizio la Serbia, che, a

sua volta, accetta lo stesso obbligo354

;

c) la controversia tra i due Stati ha ad oggetto la violazione di norme

internazionali, sancite dalla Carta dell’ONU ed assurte a

consuetudine355

, che non presuppongono il possesso, al tempus

commissi delicti, del requisito della statualità da parte dello Stato

che ne contesta la violazione;

d) le norme internazionali di cui si contesta la violazione esibiscono,

infine, sul piano logico-giuridico, un sicuro collegamento con la

competenza ratione materiae dei magistrati del Programma GPI.

351 Art. 38 par. 1 lett. d) dello Statuto della CIG. 352 Si veda l’art. 25 (4) dello Statuto di Roma della CPI. 353 Si ricorda che in base all’art. 1 dello Statuto della CIG, solo gli Stati possono essere

parti in casi di fronte alla Corte. Se al Kosovo fosse riconosciuta la più ampia autonomia

nell’ambito dei confini internazionali serbi, verrebbe meno la premessa iniziale

dell’intera ipotesi. 354 Le ipotesi a) e b) sarebbero necessarie per fondare la competenza ratione personae

della CIG. 355 Non potendo vantare un pregresso statuale (e, dunque, la titolarità di diritti sanciti da

trattati di cui sia parte), l’ipotetico Stato del Kosovo potrebbe fondare la competenza

ratione materiae et temporis della CIG unicamente invocando la violazione di puntuali

norme internazionali sancite dalla Carta dell’ONU ed aventi, al tempus commissi delicti,

incontestabile carattere generale. Trattandosi di norme consuetudinarie, la Serbia non

potrebbe addurre l’obiezione secondo cui, difettando dello status di membro dell’ONU

tra il 1999 ed il 2000 (fatto ormai acclarato dalla stessa CIG in relazione ai citati casi

Legality of Use of Force, 1999-2004), essa non sarebbe stata tenuta ad osservarle.

CAPITOLO SECONDO 118

Per quanto riguarda la condizione sub c), il Kosovo potrebbe

ricorrere alla CIG in quanto parens patriae di un popolo che ha patito,

tra il 1989 ed il 1999, la progressiva violazione, da parte degli organi di

governo serbo-jugoslavi, del proprio diritto all’auto-determinazione,

quale sancito dagli artt. 1 par. 2 e 55 della Carta dell’ONU356

(nonché da

numerosi altri strumenti convenzionali357

) ed assurto a norma di diritto

internazionale generale inderogabile (jus cogens). La soppressione de

jure e de facto, nel 1989, dell’autonomia di cui la provincia kosovara

aveva goduto sin dal 1946, la conseguente discriminazione

istituzionalizzata -assimilabile alla dominazione razzista- dell’elemento

etnico albanese, da parte della minoranza serba effettivamente

controllata da Belgrado, e, da ultimo, la pulizia etnica attuata tra la fine

del 1998 e l’inizio del 1999 come minimo integrano prima facie la

fattispecie di violazione del principio di auto-determinazione358

. Il

356 Dal disposto dei citati artt. della Carta dell’ONU risulta, anzitutto, che il principio di

auto-determinazione non rappresenta un fine in sé perseguito dall’Organizzazione bensì

uno strumento, fra gli altri, necessario per lo sviluppo di relazioni pacifiche ed

amichevoli tra le nazioni. Inoltre, la formulazione delle due disposizioni è talmente

generica che il principio può essere considerato come universale, cioè esteso a tutti i

popoli, non solo quelli sottoposti a dominazione coloniale, razzista, straniera (c.d.

autodeterminazione esterna) ma anche quelli metropolitani, la cui volontà non sia in

alcuna misura rispecchiata in quella governativa (c.d. autodeterminazione interna). Il

preciso contenuto materiale del principio in parola può ricavarsi dalla Dichiarazione

ONU del 1970 sui principi di diritto internazionale riguardanti le relazioni amichevoli e

la cooperazione tra gli Stati: “tutti i popoli hanno il diritto di determinare liberamente,

senza interferenza esterna, il proprio status politico e di perseguire il proprio sviluppo

economico, sociale e culturale, ed ogni Stato ha il dovere di rispettare questo diritto

[corsivo nostro] in conformità con le previsioni della Carta”. Ancorché norma di diritto

internazionale, il principio di auto-determinazione dei popoli non esige, in ragione della

sua stessa formulazione, che il soggetto beneficiario (il popolo, appunto) possegga il

requisito della statualità; ciò potrebbe far parlare di una limitata soggettività

internazionale dei popoli. Si vedano: A. RUIZ, “Autodeterminazione dei Popoli e Diritto

internazionale: dalla Carta delle Nazioni Unite all’Atto di Helsinki (CSCE)” in Rivista di

Studi Politici Internazionali, 1983, pag. 523 e ss.; A. CASSESE, Self-Determination of

Peoples, Oxford, 1995; G. PALMISANO, “L’autodeterminazione interna nel sistema dei

Patti sui diritti dell’uomo” in Rivista di diritto internazionale, 1996, pag. 365 e ss. 357 A livello universale si ricordano, anzitutto, i due Patti sui diritti dell’uomo, l’uno sui

diritti civili e politici, l’altro sui diritti economici, sociali e culturali, adottati dall’AG

dell’ONU il 16 dicembre del 1966 (e aperti alla ratifica degli Stati membri). In secondo

luogo, viene in rilievo la già citata Dichiarazione ONU del 1970 sui principi di diritto

internazionale riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati. A

livello regionale europeo, invece, spicca l’Atto finale di Helsinki della Conferenza per la

Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1975. 358 Sull’applicazione del principio di auto-determinazione al caso kosovaro si vedano: J.

P. HARRIS, “Kosovo: An Application of the Principle of Self-Determination” in Human

Rights Brief, vol. 6, issue 3, 1999, pag. 28 e ss.; H. QUANE, “A right to self-

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

119

principio di auto-determinazione dei popoli non esige, in ragione della

sua stessa formulazione, che il soggetto titolare del relativo diritto (il

popolo appunto) possegga il requisito della statualità359

.

La competenza ratione materiae dei magistrati del Programma GPI

si presta, a ben vedere, al collegamento logico-giuridico con il principio

di auto-determinazione360

(condizione sub d). Infatti, le sentenze delle

corti “ibride” su crimini internazionali commessi ai danni di kosovari

albanesi da serbi, sotto il controllo effettivo (ovvero con la

connivenza/protezione) del governo di Belgrado, potrebbero, in quanto

“verità processuale internazionalmente certificata”, essere tenute in

considerazione dalla CIG quale elemento sussidiario per valutare la

sussistenza della responsabilità serba in ordine alla violazione del

principio di auto-determinazione.

In questo senso, è possibile prefigurare una potenziale “interfaccia”

tra CIG e corti “ibride” kosovare.

II.4.6 Il rapporto con la Corte Europea dei Diritti Umani

Il discorso sui potenziali rapporti tra corti kosovare e Corte Europea

dei Diritti Umani (CtEDU) di Strasburgo prende le mosse dalla

previsione contenuta nella Regulation UNMIK n. 24 del 1999, oggi

determination for the Kosovo Albanians” in Leiden Journal of International Law, 2000,

pagg. 219-227. 359 Respingendo la tesi secondo cui i popoli posseggano una limitata soggettività

internazionale (deducibile proprio dal principio di autodeterminazione), autorevole

dottrina (B. CONFORTI, Diritto Internazionale, Napoli, 1999, pagg. 22-27) ha sostenuto

che i popoli non sono titolari di posizioni giuridiche positive soggettive ma

semplicemente concreti beneficiari di un rapporto giuridico intercorrente esclusivamente

tra Stati; secondo questo approccio, dunque, destinatari dell’obbligo di rispettare

l’autodeterminazione dei popoli -e del corrispondente diritto- risulterebbero essere tutti

gli Stati della comunità internazionale. Una variante -altrettanto autorevole- di tale

dottrina è quella che considera il principio di autodeterminazione dei popoli come un

obbligo di ciascuno Stato nei confronti dell’intera comunità internazionale (erga omnes),

la cui violazione abiliterebbe qualsivoglia altro Stato, ancorché non leso in modo diretto

ed individuale, ad intervenire in quanto tutore di un interesse pubblico internazionale (uti

universi) a sostegno (economico, politico e militare, sia pure indiretto) del movimento di

liberazione nazionale. Si veda: P. PICONE, "Nazioni unite e obblighi erga omnes" in La

comunità internazionale, 1993, pag. 709 e ss.; IDEM, “Valori fondamentali della

Comunità internazionale e Nazioni Unite” in Ibidem, 1995, pag. 439 e ss. 360 Invero, l’auto-determinazione di un popolo può intendersi come il fondamento logico-

giuridico per l’effettivo godimento dei diritti fondamentali da parte degli individui che

compongono tale popolo; pertanto, qualsivoglia violazione dei diritti individuali, in

qualche misura, estrinseca la violazione del diritto all’auto-determinazione, se il governo

autore di quest’ultima è anche autore dei primi.

CAPITOLO SECONDO 120

inclusa nella “Costituzione” provvisoria361

, che fa della Convenzione

Europea per la Protezione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà

Fondamentali del 1950 (CEDU) uno strumento giuridico direttamente

applicabile ed al cui rispetto sono obbligate “all persons undertaking

public duties or holding public office in Kosovo [corsivo nostro]”; in tale

categoria rientrano anche i magistrati internazionali, tenuti, per

giuramento, a garantire “the highest level of internationally recogniezed

human rights, including those embodied in the (…) ECHR [CEDU] and

its protocols”362

. Dal momento che l’art. 1 del citato strumento pattizio

pone in capo agli Stati contraenti l’obbligo di “riconoscere ad ogni

persona soggetta alla loro giurisdizione [corsivo nostro] i diritti e le

libertà” garantiti nel successivo articolato, è legittimo chiedersi se la

CtEDU abbia giurisdizione “as court of last resort” per presunte

violazioni (ad esempio dell’obbligo di garantire un equo processo363

)

imputabili a corti kosovare “ibridate” dalla presenza di magistrati

internazionali “inviati” da Stati che siano parti della CEDU. La domanda

è legittima, data la giurisprudenza della CtEDU in tema di esercizio della

giurisdizione extra-territoriale su personale militare di Stati parti della

CEDU364

.

Alcune considerazioni legate alla funzione giudiziaria in quanto tale

portano ad escludere che il ragionamento giurisprudenziale della CtEDU

in tema di giurisdizione extra-territoriale possa essere dilatato fino al

punto da assimilare magistrati a militari e più in generale funzionari

361 Constitutional Framework for the Provisional Institutions of Self-Government,

Regulation UNMIK n. 9/2001, Chapter 3.2 (b). 362 Regulation n. 6 del 15 febbraio del 2000, Section 3. 363 Sulla nozione di equo processo rilevante ai fini dell’applicazione della CEDU si veda

M. DE SALVIA, La convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 2001, pag. 202 e

ss. 364 Si veda la sentenza del 23 marzo del 1995 sul caso Loizidou v. Turkey (preliminary

objections), Series A n. 310, originato dal rifiuto delle forze armate turche, occupanti dal

1974 la parte settentrionale di Cipro, di accogliere la richiesta di una cittadina greco-

cipriota di poter accedere, in quella zona, ad un bene immobile di sua proprietà. La

CtEDU ha stabilito che il diniego, ancorché espresso al di fuori del territorio nazionale,

fosse comunque imputabile alla Turchia, essendo Cipro nord ed i suoi abitanti sottoposti

ad un effettivo controllo (effective control) da parte del governo di Ankara in

conseguenza di un’occupazione militare; ne risultava che la ricorrente ricadeva “sotto la

giurisdizione” della Turchia ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 della CEDU. La CtEDU

ha, inoltre, precisato che: in astratto, il controllo può originare, oltre che dall’occupazione

militare, anche dal consenso, dall’invito o dall’acquiescenza del governo locale; non è

necessario dimostrare che lo Stato convenuto abbia esercitato, all’epoca dei fatti allegati,

capillarmente i poteri pubblici normalmente esercitati dal governo locale, ma è

sufficiente provare che ne abbia esercitato alcuni tali da consentirgli un controllo

generale (overall control).

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

121

civili di organizzazioni internazionali a personale militare di un preciso

Stato.

In primo luogo, si fa osservare che la funzione giudiziaria svolta da

un magistrato UNMIK non è imputabile allo Stato (sia esso parte o meno

della CEDU) di cui questo è cittadino, sebbene tale Stato ne abbia

autorizzato l’esercizio di funzioni “fuori ruolo”, rendendo, così, possibile

la sua volontaria candidatura ad una vacancy UNMIK; interpretando ed

applicando la legge penale procedurale e sostanziale vigente in loco, il

magistrato internazionale non esegue ordini o istruzioni impartite dallo

Stato di appartenenza, essendo la sua indipendenza fatta salva, da parte

degli organi di governo di tale Stato, anche nell’espletamento di funzioni

in missioni internazionali all’estero. In secondo luogo, non si può non

ricordare che il magistrato UNMIK (proveniente da uno Stato parte della

CEDU) opera pur sempre all’interno di una struttura istituzionale

composita, in cui le decisioni suscettibili di violare norme come quella

posta a tutela del diritto ad un equo processo sono prese collegialmente

da organi (ad esempio, in sede giudicante, dai panel) in cui siedono altri

magistrati UNMIK (anche di Stati non parti della CEDU) e kosovari.

Dalla giurisprudenza in tema di giurisdizione extra-territoriale si

potrebbe, al massimo, dedurre la competenza della CtEDU a ricevere

ricorsi di individui per violazioni (ad esempio, del divieto di detenzione

arbitraria365

) da parte di personale di contingenti KFOR facenti capo a

Stati che sono parti della CEDU366

. Tuttavia, anche in questa ipotesi, non

mancherebbero impedimenti -desumibili per analogia dalla sentenza sul

caso Bankovic367

- all’attivazione della giurisdizione della CtEDU368

.

365 Art. 5 della CEDU. Anche questa ipotesi è tutt’altro che “di scuola” in Kosovo, dato il

ricorso di KFOR alla pratica della c.d. “executive detention”, per la quale si rimanda

supra al par. II.4.1. 366 In coerenza coi criteri fissati dalla CtEDU nella ricordata sentenza Loizidou

(preliminary objection), KFOR è presente in Kosovo con il consenso (formalizzato negli

accordi di Kumanovo) del governo dell’ex RFJ ed esercita alcuni dei poteri (difesa ed

ordine pubblico, inclusi arresto e detenzione di presunti criminali) normalmente esercitati

da tale governo. 367 Bankovic and others v. Belgium and 16 Other Contracting States, sentenza del 19

dicembre del 2001. Il caso riguardava il bombardamento della sede belgradese della

Radio Televisione Serba da parte della NATO durante il conflitto armato in Kosovo (23

aprile 1999). I ricorrenti (cittadini della RFJ, Stato all’epoca non parte della CEDU)

avevano adito la CtEDU nell’ottobre del 1999, lamentando violazioni della CEDU

causate da un atto extra-territoriale imputabile alla NATO e quindi a quegli Stati membri

ipso tempore parti della CEDU. La CtEDU ha, sulla base di motivazioni in larga parte

contenute alla nota successiva, dichiarato il ricorso inammissibile. 368 In primo luogo, KFOR non opera sotto il controllo di -ma in coordinamento con-

UNMIK; ne consegue l’impossibilità di estendere in automatico al personale della

NATO l’obbligo sancito dalla Regulation n. 24/1999. Del resto, né i vertici militari di

CAPITOLO SECONDO 122

Si diceva sopra che, in base ai regolamenti UNMIK, “all persons

undertaking public duties or holding public office in Kosovo” sono

obbligate a rispettare la CEDU. Quid juris se la violazione di un diritto

protetto dalla Convenzione (ad esempio, il diritto ad un equo processo369

)

fosse commessa da un’IPAG o addirittura da una corte puramente

kosovara? Dato che la CtEDU non giudica sulla responsabilità di

KFOR né quelli politici della NATO hanno mai avallato una tale estensione, giudicata

pregiudizievole per i compiti di difesa e sicurezza militare collettiva cui l’Organizzazione

è preordinata ed il cui svolgimento, al di fuori dei rispettivi territori nazionali, certamente

non esige la previa attivazione, da parte degli Stati membri, che siano anche firmatari

della CEDU, del meccanismo di deroga/sospensione di cui all’art. 15 della stessa CEDU

(previsto unicamente per le situazioni interne di guerra e di emergenza pubblica). In

secondo luogo, è difficilmente sostenibile la tesi per cui tutti gli Stati che partecipano alla

missione KFOR sarebbero singolarmente responsabili per un’azione condotta

dall’Organizzazione internazionale militare di afferenza (la NATO appunto), la quale non

solo possiede un’autonoma personalità giuridica internazionale ma si compone anche di

Stati (come gli USA ed il Canada) non parti della CEDU; questi ultimi potrebbero

invocare la “Monetary Gold doctrine” elaborata dalla CIG (in relazione al caso Italy v.

France, UK and USA, ICJ Reports 1954, par. 19, ed applicata anche al caso East Timor,

Portugal v. Australia, ICJ Reports 1995, par. 90), in base alla quale la CtEDU non

potrebbe decidere sul merito di un caso laddove ciò implicasse la previa valutazione della

posizione giuridica di soggetti di diritto internazionale che, non avendo sottoscritto la

CEDU, non sono sottoposti alla sua giurisdizione obbligatoria. In terzo luogo, si pone la

questione del previo esaurimento delle vie di ricorso interne ex art. 35, par. 1 della

CEDU. Se un kosovaro ritiene che un diritto garantito dalla CEDU (ad esempio, quello

connesso al divieto di detenzione arbitraria) sia stato violato dal contingente militare di

un ben identificabile Stato parte della stessa Convenzione, prima di poter adire la

CtEDU, dovrà esaurire tutte le vie di ricorso individuale offerte dal sistema dello Stato

cui fa capo il contingente, sempre ammesso che questo ritenga ammissibile il ricorso. La

situazione si complica se la violazione ipotizzata è stata commessa da un contingente

multinazionale: per poter adire la CtEDU, la vittima kosovara dovrebbe previamente

esperire tutte le vie di ricorso giurisdizionale interne a ciascuno Stato parte della CEDU?

Un’ulteriore complicazione deriva, infine, dal fatto che il contingente multinazionale può

comprendere anche militari di Stati non parti della CEDU. Infine, va ricordata la sentenza

del 10 maggio del 2001 relativa al caso Cyprus v. Turkey (N. 25781/94), nella quale la

CtEDU, tornando sulle implicazioni della questione turco-cipriota, ha ben circostanziato

la portata della teoria della giurisdizione extra-territoriale: la CEDU non è uno strumento

concepito per essere applicato in tutto il mondo con riferimento alla condotta degli Stati

parti, bensì in uno spazio giuridico essenzialmente regionale, quale quello dei contraenti;

pertanto, la giurisdizione extra-territoriale sussiste solo con l’obiettivo di evitare un vuoto

nella tutela dei diritti umani per quelle aree normalmente coperte dalla CEDU (tale è il

caso di Cipro nord). 369 Anche questa ipotesi di violazione non è lontana dal vero. Rapporti dell’OSCE e di

Amnesty International hanno concordemente denunciato il fatto che l’organo di auto-

governo della magistratura locale (il CGK, già CGPK) competente con riferimento ai soli

magistrati kosovari non è immune dal controllo delle IPAG. Il Ministro di Giustizia ed il

Presidente della Commissione Parlamentare sulle Questioni Legislative Giudiziarie e

Costituzionali sono membri ex officio del CGK.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

123

individui ma di Stati parti della CEDU (cui può essere ingiunto l’obbligo

di risarcire, anche pecuniariamente, la vittima), l’attuale assenza di

sovranità del Kosovo impedisce che la CtEDU possa condannare le

IPAG e imporre loro la restitutio in integruum370

. Né si potrebbe far leva

sul fatto che l’ex RFJ (oggi Serbia), nominale titolare della sovranità sul

Kosovo, è Stato parte della CEDU371

, perché, con questa premessa

logica, la vittima kosovara potrebbe adire la CtEDU solo dopo aver

infruttuosamente esperito l’ultimo grado di giudizio del sistema serbo

(l’ex Corte Suprema Federale). La qualcosa sarebbe a dir poco assurda

perché il Kosovo ha già oggi una propria Corte Suprema che funge da

ultimo grado di giudizio e che, come tutte le altre corti kosovare, procede

e giudica secondo codici (emanati da UNMIK) che non sono più quelli

della ex RFJ. E per di più, un tale espediente sarebbe oltraggioso nei

confronti di Belgrado che, in caso di condanna da parte della CtEDU,

dovrebbe pure procedere al risarcimento di individui i cui diritti non

sono stati lesi dallo Stato serbo372

! A ben vedere, in attesa che lo status

del Kosovo venga definito, l’unica via plausibilmente percorribile resta

quella di considerare UNMIK come soggetto cui è imputabile la

responsabilità oggettiva per violazioni della CEDU e imponibile

l’obbligo di risarcimento per i danni arrecati alla vittima. Ciò non perché

UNMIK sia da considerarsi l’interinale sovrano de facto (ipotesi già

confutata) ma perché UNMIK resta pur sempre l’organismo supervisore

responsabile per l’attuazione da parte delle IPAG di standard

internazionali in materia di diritti umani. Tuttavia, UNMIK, nel suo

rapporto del 2006 al Comitato dei Diritti Umani373

, ha apertamente

affermato di non considerarsi vincolato al rispetto della CEDU come

automatica conseguenza del fatto che essa è certamente vincolante per lo

Stato che vanta la nominale sovranità sul Kosovo. In quello stesso

rapporto, UNMIK, constatando che “people in Kosovo do not have an

effective means of seeking redress for an alleged violation of human

370 Quand’anche il Kosovo dovesse diventare uno Stato sovrano, le violazioni della

CEDU commesse dalle sue “public persons”, civili e militari, potrebbero essere portate

dinanzi alla CtEDU (previo esaurimento delle vie di ricorso interne) solo dopo la formale

adesione di Pristina alla CEDU. Il rimando alla citata Convenzione fatto da una

Regulation UNMIK non potrebbe automaticamente valere come atto di adesione e

ratifica della stessa. 371 La Serbia ha aderito alla CEDU il 3 aprile del 2003; la procedura di ratifica è stata

perfezionata il 3 marzo del 2004. 372 Report submitted by the UNMIK to the Human Rights Committee on the human rights

situation in Kosovo since June 1999, Kosovo (Serbia and Montenegro), 13 March 2006,

par. 132, pag. 29. 373 Al Comitato in parola è dedicato il successivo sottoparagrafo.

CAPITOLO SECONDO 124

rights by application to the Strasbourg Court”, ha indicato nella

costituzione di un panel ad hoc (Human Rights Advisory Panel) la

possibile soluzione per colmare la lacuna nella protezione dei diritti

umani di fronte a possibili violazioni da parte dell’amministrazione

interinale di UNMIK374

. Istituito nel marzo del 2006375

, in esito ad un

dialogo instaurato con l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

all’inizio dell’anno precedente, il Panel risponderebbe, nelle intenzioni

di UNMIK, alla “effective lack of jurisdiction of the ECtHR over

Kosovo”376

. Nominati per un periodo di due anni (prorogabile) dal RSSG

su proposta del Presidente della CtEDU, tre giuristi internazionali

comporranno l’organo377

, che potrà ricevere, una volta accertato il previo

esaurimento delle vie di ricorso esistenti378

, reclami di individui (e gruppi

di individui) aventi ad oggetto presunte violazioni della CEDU originate

da fatti occorsi non prima del 23 aprile 2005 (ovvero da fatti occorsi

prima di tale data ma che abbiano dato luogo ad una persistente

violazione); in ogni caso, il Panel potrà, ove lo ritenesse necessario,

elaborare delle mere raccomandazioni da indirizzare al RSSG, il quale

ultimo avrà l’esclusiva autorità e discrezione di decidere se seguirle o

meno379

. Trattandosi, a ben vedere, di un organo internazionale

esercitante funzioni consultive a favore della massima autorità di

UNMIK, è legittimo avanzare qualche pregiudiziale dubbio sulla sua

capacità di garantire un’effettiva, oltre che imparziale ed indipendente,

tutela dei diritti sanciti dalla CEDU380

.

II.4.7 Il rapporto con il Comitato dei Diritti Umani istituito

nell’ambito del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Oltre alla CEDU, la Regulation UNMIK n. 24/1999 e la successiva

“Costituzione” provvisoria considerano direttamente applicabile in

Kosovo anche un ampio ventaglio di strumenti internazionali, tra cui il

374 UNMIK, Report to the Human Rights Committee on the human rights situation in

Kosovo since June 1999, Kosovo (Serbia and Montenegro) cit., par. 124, 131-134 pagg.

28, 30. 375 Regulation UNMIK n. 12 del 23 marzo del 2006. 376 UNMIK Press Release n. 1525 del 5 aprile del 2006. 377 Ibidem, Section 4.2, 5.1. 378 Ibidem, Section 3.1. 379 Ibidem, Section 17.1, 17.3. 380 Human Rights Committee, Concluding Observations of the Human Rights Committee,

Kosovo (Republic of Serbia), 14 August 2006, cit., par. 10, pag. 3. Amnesty

International, Kosovo (Serbia and Montenegro), UNMIK, Briefing to the Human Rights

Committee, 87th Session, July 2006, pagg. 7-8.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

125

Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (PIDCP) del 1966381

ed i

relativi Protocolli382

.

La questione dei potenziali rapporti con il sistema giudiziario

kosovaro si pone proprio in relazione al Primo Protocollo Opzionale

(PPO) del PIDCP383

, che ha conferito ad un apposito organo, il Comitato

dei Diritti Umani (CDU), la competenza a esaminare reclami presentati

da individui per presunte violazioni del PIDCP commesse da Stati parti.

Dal momento che l’art. 1 del PIDCP -analogamente all’art. 1 della

CEDU- pone in capo agli Stati contraenti l’obbligo di rispettare i diritti

civili e politici di “tutti gli individui all’interno del loro territorio e

soggetti alla propria giurisdizione [corsivo nostro]”, è legittimo

domandarsi se il CDU abbia titolo a ricevere ed esaminare reclami per

una presunta violazione del PIDCP (ad esempio, dell’obbligo di

garantire un equo processo384

) imputabile a corti kosovare “ibridate” da

magistrati “inviati” da Stati che siano parti del PPO. La domanda è

sensata, data la posizione ufficialmente assunta dal CDU circa l’esercizio

extra-territoriale della propria competenza385

. Le stesse identiche ragioni

esposte con riferimento alla CtEDU, inducono a propendere per una

risposta negativa386

. Non a caso la competenza ratione materiae dello

381 Nelle sue osservazioni conclusive sul rapporto iniziale presentato da Serbia e

Montenegro nel 2004 (cit.), il CDU ha richiesto ad UNMIK un analogo rapporto

sull’applicazione del PIDCP in Kosovo dal 1999. L’imbarazzo di un possibile implicito

riconoscimento della sovranità del Kosovo (l’art. 40 del PIDCP pone agli Stati parti

l’obbligo di presentare rapporti periodici) è stato immediatamente fugato dal CDU, che

ha precisato di essersi rivolto a UNMIK in quanto soggetto incaricato dal CS dell’ONU

di proteggere e promuovere i diritti umani in Kosovo; inoltre, il CDU ha richiamato il

commento generale n. 26 del 1977 sulla continuità degli obblighi secondo cui i diritti

garantiti dal Patto appartengono al popolo che vive nel territorio dello Stato parte e la

loro protezione, una volta accordata, si trasmette al territorio e continua ad appartenere al

popolo, nonostante i cambiamenti nell’amministrazione di quel territorio. 382 Il PIDCP ed il relativo PPO sono trattati internazionali nati nell’ambito e su iniziativa

dell’ONU. 383 Adottato ed aperto alla firma con risoluzione dell’AG dell’ONU n. 2200° (XXI) del

16 dicembre del 1966. 384 Art. 14 del PIDCP. 385 Commentando un rapporto in cui gli USA sostenevano la tesi in base alla quale il

PIDCP sarebbe privo in ogni caso di qualsiasi portata extra-territoriale, il CDU ha

affermato che gli individui possono rientrare nell’ambito della giurisdizione materiale di

uno Stato parte anche quando essi si trovino al di fuori del territorio di quello Stato. UN

Doc. CCPR/C/79/Add50 (1995), par. 19. Sul punto, il CDU era pervenuto alla medesima

conclusione in un caso deciso nel 1981 (Delia Saldìas de Lopez v. Uruguay - decisione

del 29 luglio 1981, Comunicazione n. 52/1979, in Human Rights Committee, Selected

Decisions. Second to Sixteenth Sessions, New York, 1985, pag. 91, parr. 12.2-12.3. 386 Per l’ipotesi di violazioni (ad esempio, del divieto di detenzione arbitraria, ex art. 9

del PIDCP) commesse da personale di contingenti KFOR facenti capo a Stati parti del

CAPITOLO SECONDO 126

Human Rights Advisory Panel istituito da UNMIK nel marzo del 2006

copre anche il PIDCP.

II.4.8 Il rapporto con la Corte di Giustizia delle Comunità Europee

La competenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee

(CGCE) a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione e la

validità del diritto comunitario387

configura un “caso di scuola” in cui la

giurisdizione della citata Corte potrebbe “interagire” con quella delle

corti “ibride” kosovare.

Si supponga che un kosovaro di etnia serba (o di altra minoranza388

)

venga ingiustamente condannato in ultimo grado da una corte “ibrida”

(in cui, oltre agli internazionali, siedono solo magistrati dell’etnia

maggioritaria, cioè albanese) e, riuscendo a fuggire in un Paese membro

dell’UE, chieda asilo in quanto rifugiato ma la sua domanda venga

respinta per ragioni sostanziali legate al motivo posto a fondamento della

richiesta. Si ipotizzi, inoltre, che tale atto, impugnato dinanzi al

competente giudice nazionale dello Stato membro interessato, avverso le

cui decisioni non possa proporsi ricorso389

, provochi un rinvio

pregiudiziale alla CGCE affinché le norme comunitarie in materia di

relativo PPO, valgano, mutatis mutandis, le considerazioni svolte con riferimento alla

CtEDU. Si tenga presente che la posizione degli USA rispetto al CDU è sostanzialmente

identica a quella rispetto alla CtEDU; infatti, gi USA, pur essendo parte del PIDCP (la

ratifica è dell’8 settembre del 1992), non hanno, allo stato, sottoscritto il PPO. 387 Secondo l’art. 234 del Trattato CE, le giurisdizioni degli Stati membri, qualora

debbano statuire nell’ambito di un procedimento destinato a concludersi con una

decisione giudiziaria, possono (e, se di ultima istanza, devono) sottoporre alla CGCE una

questione relativa all’interpretazione ovvero alla validità di una norma di diritto

comunitario ritenuta necessaria ai fini della soluzione del caso. Il ruolo della CGCE non è

quello di applicare il diritto comunitario alla situazione di fatto che è alla base della causa

principale dinanzi al giudice nazionale (prerogativa che spetta solo a quest’ultimo) ma di

fornire una risposta utile per la definizione della controversia. Si veda G. TESAURO,

Diritto Comunitario, Padova, 2001, pag. 250 e ss. 388 In Kosovo vivono anche minoranze gorani, ashkali, rom, egiziani, turchi, bosgnacchi,

croati. 389 Si precisa che nel settore “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la

libera circolazione delle persone” il rinvio ex art. 234 TCE è consentito solo ai giudici

che statuiscono in ultimo grado, conformemente all’art. 68 del TCE. Il settore in parola,

che il Trattato di Maastricht del 1992 aveva inizialmente incluso nel “Pilastro

intergovernativo” (Giustizia e Affari Interni, Titolo VI TUE) del sistema UE, è transitato,

col successivo Trattato di Amsterdam del 1997 nel “Pilastro comunitario” (Titolo IV

TCE). Atti adottati dalle istituzioni UE in materie residuate al “Terzo Pilastro” -

Cooperazione di Polizia e Giudiziaria in materia penale- possono costituire oggetto di un

rinvio pregiudiziale solo da parte dei giudici degli Stati membri che hanno accettato la

competenza della Corte.

LE CORTI “IBRIDE” IN KOSOVO: VERSO UNA QUARTA GENERAZIONE DI TRIBUNALI

INTERNAZIONALI PENALI?

127

diritto d’asilo390

siano interpretate/sottoposte a controllo di validità per

poter consentire la soluzione del caso di specie. Laddove la pronuncia

incidentale della CGCE fornisse elementi a favore del riconoscimento

all’extra-comunitario del diritto a vedere accolta la propria richiesta

d’asilo di fronte al rischio effettivo di subire, in ragione della propria

etnia, una condanna penale ingiusta, allora, la Corte di Lussemburgo, pur

non entrando nel merito del caso pendente dinanzi al giudice a quo, di

fatto interferirebbe con la giurisdizione della corte “ibrida” kosovara cui

il richiedente asilo imputa l’ingiusta condanna.

390 Il diritto comunitario derivato in materia di asilo si basa sull’applicazione integrale

della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio del 1951,

modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio del 1967. L’art. 1 della citata

Convenzione definisce il rifugiato come “colui che, temendo a ragione di essere

perseguitato per motivi (…) di nazionalità, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e

non può e non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo

paese”. La direttiva comunitaria n. 83 del 29 aprile del 2004 include fra gli atti di

persecuzione rilevanti ai fini dell’attribuzione della qualifica di rifugiato anche i

provvedimenti giudiziari (art. 9).

Capitolo III

Un bilancio sull’esperienza delle corti penali “ibride” in

Kosovo

Sommario: III.1 I potenziali punti di forza. - III.1.1 La legittimità. - III.1.2 Il capacity-

building. - III.2 Le criticità. - III.2.1 L’efficacia e l’efficienza a livello organizzativo. - III.2.2 La capacità di perseguire i crimina juris gentium. - III.2.3 La qualità degli atti giudiziari relativi ai crimina juris gentium e crimini a movente etnico. - III.3 Le prospettive. - III.3.1 I progetti esplorati. - III.3.2 Gli sviluppi della presenza internazionale in Kosovo: il futuro ruolo dell’UE nel settore della giustizia. - III.3.3 Il futuro delle corti “ibride” in Kosovo secondo la “proposta Ahtisaari”.

Il presente capitolo si propone, con specifico riferimento al caso

kosovaro, di enucleare i potenziali vantaggi (par. III.1) ed i limiti

effettivi (par. III.2) delle corti “ibride” sperimentate in Kosovo, nonché

di far luce sulle prospettive future delle stesse (par. III.3).

III.1 I potenziali punti di forza

All’interno della copiosa letteratura sulla c.d. “giustizia di

transizione” le corti “ibride” hanno finora ricevuto scarsa attenzione, o,

per lo meno, un’attenzione non comparabile a quella tributata dalla

dottrina alle giurisdizioni internazionali penali. Ciò è in parte dovuto

all’opposizione che il paradigma ibrido ha incontrato a livello politico. Si

è registrata la reticenza di governi, come quello USA, che scorgono

nelle corti “ibride” molte delle insidie alla propria sovranità già presenti

nella CPI. Inoltre, parere negativo è stato espresso persino dagli alti

funzionari che hanno ricoperto ruoli chiave nella creazione di corti

“ibride”1. Eppure, non è mancata dottrina che ha scommesso sulla

formula delle corti “ibride”, ritenendole potenzialmente capaci di

superare i limiti di una giustizia penale puramente internazionale o

nazionale2.

1 David Scheffer, ex ambasciatore di complemento degli USA per le questioni connesse

ai crimini di guerra, e Hansjörg Strohmeyer, consigliere giuridico dell’ONU, si sono detti

contrari all’idea che le corti “ibride” esistenti possano servire da modello per il futuro. Il

primo aveva messo i suoi buoni uffici al servizio del negoziato sulle corti “ibride” di

Sierra Leone e Cambogia; il secondo aveva messo la sua esperienza a disposizione

dell’ONU per lo sviluppo di corti ibridi nell’ambito delle amministrazione interinali in

Kosovo e a Timor Est. Severe critiche non sono mancate in dottrina; inter alia si veda S.

DE BERTODANO, “Current Developments in Internationalized Courts”, Journal of

International Criminal Justice, 2003, pagg. 226-244. 2 L. DICKINSON, “Transitional Justice in Afghanistan: The Promise of Mixed

Tribunals” in Denver Journal of International Law and Policy, symposium issue, 2000;

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

129

Legittimità (par. III.1.1) e capacity-building3 (par. III.1.2) sono i due

parametri rispetto ai quali possono essere apprezzati i teorici “vantaggi

relativi” delle corti “ibride”.

III.1.1 La legittimità

La legittimità, formale e sostanziale, di una corte “ibrida”,

risulterebbe superiore a quella di omologhe giurisdizioni puramente

nazionali (a) o sovranazionali (b).

(a) Una corte nazionale può ritenersi legittima, sul piano formale, se

è costituita ed opera nel pieno rispetto delle norme poste dagli organi

depositari del potere sovrano, e, sul piano sostanziale, se gode del favore,

più ampio possibile, dell’opinione pubblica sulla quale le sue pronunce

spiegano effetti giuridici e psicologici4. La dimensione formale della

definizione proposta si scontra con un dato oggettivo tipico delle realtà

post-crisis: l’assenza di una struttura statuale consolidata e di un quadro

legislativo certo e condiviso; la dimensione sostanziale, d’altra parte,

deve fare i conti con la disomogeneità della popolazione civile sotto il

profilo identitario.

Il caso del Kosovo è esemplare sotto entrambi i profili: l’assenza di

un quadro istituzionale sovrano diverso da quello provvisorio dell’ONU,

unito all’aporia sulla legge applicabile, ha impedito al SGE -a

composizione interamente locale- di godere della formale legittimazione

che solo un processo politico-giuridico auto-centrato avrebbe potuto

conferirgli5; il boicottaggio delle istituzioni interinali da parte dei serbi

rimasti in Kosovo, la creazione di un sistema giudiziario parallelo nelle

aree a maggioranza serba e la conseguente egemonizzazione della

cariche da parte di una risentita maggioranza albanese hanno, d’altra

IDEM, “The Relationship Between Hybrid Courts and International Courts: the Case of

Kosovo” in New England Law Review, vol. 37, n. 4, summer 2003, pagg. 1059-1072;

IDEM, “Accountability for War Crimes: What Roles for National, International, and

Hybrid Tribunals?” in American Society of International Law Proceedings, 2004, pagg.

181-182; F. MEGRET, “Who Should Try or Ousted Leaders: In Defense of Hybridity:

Towards a Representational Theory of International Criminal Justice” in Cornell

International Law Journal, 2005, pagg. 725-751. 3 Per capacity-building si intendono le forme di assistenza tese a rafforzare le capacità di

intervento autonomo delle corti locali. 4 Sul tema della legittimità delle istituzioni giudiziarie si veda S. COSTANTINO, Diritto,

Societù, Legittimazione, Palermo, 2004, pagg. 87-104. 5 Sintomatica di tale deficit è stata la disaffezione dell’opinione pubblica albanese

(segnalata da certa stampa sensazionalistica locale) per la presenza di UNMIK in un

posto chiave della pretesa sovranità kosovara, quale la magistratura.

CAPITOLO TERZO

130

parte, reso impossibile l’informale legittimazione del SGE6.

L’introduzione di magistrati internazionali, per definizione terzi rispetto

alle etnie kosovare, ha -in combinazione con gli sforzi profusi nella

direzione della rappresentatività etnica delle istituzioni7 e con il

progressivo trasferimento di poteri e funzioni alle IPAG- contribuito ad

elevare la quasi nulla legittimità formale e sostanziale del sistema

giudiziario puramente locale sperimentato da UNMIK nella primissima

fase del suo intervento8.

(b) Per una corte sovranazionale, la legittimità si connette,

formalmente, al rispetto della legalità internazionale e, sostanzialmente,

al radicamento della convinzione della sua necessità presso l’opinione

pubblica mondiale ed in particolare presso quella che si forma nel raggio

della sua competenza ratione loci.

I crimina juris gentium commessi in Kosovo sono

giurisdizionalmente coperti sia dalle corti “ibride” che dal TPIJ, secondo

i principi di coordinamento già descritti al par. II.4.3. Questa

straordinaria “concomitanza” rende le due corti direttamente comparabili

sotto il profilo della legittimità. Istituito dal CS dell’ONU a mezzo di una

risoluzione dall’opinata legittimità giuridica, il TPIJ ha incontrato serie

difficoltà ad auto-legittimarsi attraverso il suo operato: la lontananza

delle sue aule dalle scene dei crimini è rappresentativa di una distanza

“psicologica” dalle opinioni pubbliche dei popoli dell’ex RSFJ ed in

6 Di tale carenza è stata sintomo la parzialità dei magistrati albanesi (segnalata da un

eccessivo prolungamento della custodia cautelare, dell’overcharging, del mancato

riconoscimento di garanzie processuali) quale percepita dagli imputati serbi e dalla

rispettiva comunità di appartenenza, e quale comprovata dalla quasi generalizzata

cassazione, da parte di panel “ibridi” della Corte Suprema, delle sentenze di condanna

inflitte dalle Corti Distrettuali ad imputati serbi. L’OSCE ha denunciato la parzialità delle

corti locali a favore di vittime ed imputati albanesi. Si vedano i casi Sekulic, Thaci,

Berisha, Momcilovic, Simic e Nikolic in OSCE LSMS, Kosovo - First Review of the

Criminal Justice System, 1 February-July 2000, cit., pagg. 60-69. 7 Un’apposita sezione del DAG (poi DG) di UNMIK si è specificamente occupata,

dall’inizio del 2002, di creare una magistratura multi-etnica. Nel gennaio del 2003, i

primi 7 giudici serbi sono entrati a far parte della magistratura kosovara (4 presso Corti

Municipali e 3 presso Corti per i Reati Minori). All’ottobre del 2004, il numero dei

giudici serbi risultava essere salito a 16, quello dei procuratori a 3. 8 L’ex SG dell’ONU ha riconosciuto che “[w]here mixed tribunals are envisaged for

divided societies and in the absence of clear guarantees regarding the real and perceived

objectivity, impartiality and fairness of the national judiciary, consider mandating a

majority of international judges, taking account of the views of various national groups,

in order to enhance the credibility and perceived fairness of such tribunals among all

groups in society”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in

conflict and post-conflict societies, cit., par. XIX.64, (i), pagg. 21-22.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

131

particolare di quello serbo. Per quest’ultimo, il TPIJ, lungi dal costituire

un ideale strumento di catarsi e riconciliazione con le altre genti

balcaniche e con l’Europa, ha rappresentato la fonte di un continuo

oltraggio alla sovranità dello Stato ed all’orgoglio nazionale: il processo

“politico” all’ex Presidente Milosevic, il diniego di aprire un’indagine

sulle violazioni dello jus in bello presuntivamente commesse dalla

NATO ai danni della popolazione civile serba durante l’operazione

Allied Force, l’assoluzione di ex membri dell’UCK, i ripetuti richiami

del CS dell’ONU per la mancata consegna di Mladic e Karadzic (peraltro

serbo-bosniaci), strumentalizzata persino dall’UE in sede di negoziato

sull’accordo di associazione e stabilizzazione. Vi è, poi, l’incapacità di

rendere trasparente e comprensibile il proprio lavoro presso l’opinione

pubblica, contrastando le possibili distorsioni informative della stampa

nazionalistica; e ancora: la mancanza di familiarità della comunità

giuridica dell’ex RSFJ -storicamente legata al civil law- con una giustizia

penale con forti attributi di common law.

Istituite nell’ambito di una missione ONU legittimata anche dal

previo consenso dell’ex RFJ, le corti “ibride” kosovare godono di una

più certa legittimità formale. Inoltre, per il solo fatto di aver diluito, fino

a renderla minoritaria, la presenza albanese nei panel investiti di casi di

valenza interetnica, il Programma GPI si è costruito una più forte

legittimazione sostanziale anche presso il segmento più critico

dell’opinione pubblica kosovara, cioè quello serbo. La diffusa presenza

in tutto il territorio kosovaro all’interno dell’esistente sistema

giudiziario, la trattazione di un numero di casi superiore a quello

sostenibile da parte del TPIJ, la prossimità fisica alle scene del delitto ed

ai testimoni, la diretta accessibilità per le vittime ha “avvicinato” i

magistrati del Programma GPI all’intera opinione pubblica kosovara9.

Per le suesposte ragioni, le corti “ibride” kosovare godrebbero di

maggiore legittimità rispetto al TPIJ.

III.1.2 Il capacity-building

Anche sotto il profilo competenziale-esperienziale, il paradigma

delle corti “ibride” offrirebbe la possibilità di superare i limiti intrinseci

ad un sistema giudiziario puramente locale (a) ovvero internazionale (b).

9 “[T]here are a number of important benefits to locating tribunals inside the countries

concerned, including easier interaction with the local population, closer proximity to the

evidence and witnesses and being more accessible to victims. Such accessibility allows

victims and their families to witness the processes in which their former tormentors are

brought to account”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in

conflict and post-conflict societies, cit., par. XII.44, pag. 15.

CAPITOLO TERZO

132

(a) Uno Stato (ovvero una sua parte) che, dopo un lungo periodo di

oppressione ai danni di una o più delle sue componenti identitarie, è

passato attraverso una guerra civile (e/o sistematiche violazioni dei diritti

umani) ed un repentino rovesciamento del regime oppressore,

difficilmente disporrà di una magistratura competente ed esperta.

Il caso del Kosovo è emblematico della situazione in astratto

ipotizzata. Lasciando, anche se per pochi mesi, le redini del potere

giudiziario all’etnia che per un decennio aveva subito, tra le altre

discriminazioni, anche l’esclusione dalle cariche giudiziarie, UNMIK ha

fatto esperienza diretta dei limiti intrinseci ad una magistratura

interamente locale, peraltro privata degli unici funzionari -i serbi, auto-

esclusi- che potevano vantare un qualche pregresso.

(b) D’altra parte, se si decidesse di rispondere alle lacune teorico-

pratiche delle risorse umane nazionali costituendo un organo

giurisdizionale a totale composizione internazionale, ci si precluderebbe

la possibilità di sviluppare un expertise locale capace di subentrare

gradualmente nella trattazione giudiziaria di casi di elevata complessità

tecnica e dalle forti implicazioni politiche per la riconciliazione interna.

Il Kosovo sarebbe ricaduto in questa ipotesi se la comunità

internazionale si fosse affidata unicamente al TPIJ.

In generale, i vantaggi potenziali offerti dal paradigma ibrido sotto il

profilo del rafforzamento delle capacità giudiziarie locali sono ben

sintetizzabili con le parole dell’ex SG dell’ONU: “[n]ational location

(…) enhances the national capacity-building contribution of the ad hoc

tribunals, allowing them to (…) build the skills of national justice

personnel. In the nationally located tribunals, international personnel

work side by side with their national counterparts and on-the-job training

can be provided to national lawyers, officials and staff. Such benefits,

where combined with specially tailored measures for keeping the public

informed and effective techniques for capacity-building, can help ensure

a lasting legacy in the countries concerned”10

.

III.2 Le criticità

I punti di forza sopra delineati vanno contemperati con le criticità

del Programma GPI rispetto ai seguenti parametri: efficacia ed efficienza

organizzativa (par. III.2.1), capacità di perseguire i crimina juris gentium

10 Ibidem.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

133

ed i crimini a movente etnico (par. III.2.2), qualità degli atti giudiziari

emessi in relazione a casi “sensibili” (par. III.2.3).

III.2.1 L’efficacia e l’efficienza a livello organizzativo

Sotto il profilo organizzativo lato sensu inteso, sono almeno quattro

le “aree critiche” del Programma GPI: la procedura di reclutamento, il

numero di magistrati, l’assetto normativo consolidato e, infine,

l’interazione col sistema giudiziario locale.

La procedura di reclutamento

I difetti della procedura di selezione dei magistrati internazionali

hanno minato alle basi l’efficacia e l’efficienza del Programma.

In primo luogo, la durata del contratto dei magistrati internazionali

(sei mesi prorogabili), è talmente breve da impedire la necessaria

continuità nell’adempimento della funzione giudiziaria penale11

, e

risulta, inoltre, ostativa alla familiarizzazione con la complessa struttura

della missione UNMIK. La rinnovabilità del contratto espone, inoltre, il

magistrato internazionale a potenziali condizionamenti da parte della

struttura amministrativa -formalmente il RSSG, di fatto il DG- preposta

ad autorizzare la proroga. Il CDU, come anche l’OSCE12

, si è detto

preoccupato dell’assenza di adeguate garanzie per l’indipendenza dei

giudici e dei procuratori internazionali ed ha raccomandato ad UNMIK

di stabilire, in cooperazione con le IPAG, procedure indipendenti per la

11 La problematicità dell’esigua durata del mandato-base dei magistrati internazionali

emerge soprattutto di fronte all’obbligo giuridico di ricominciare il procedimento

nell’ipotesi in cui si renda necessaria, nel corso del dibattimento, la sostituzione del

giudice che presiede il panel (intervista con un funzionario del DG UNMIK, 14 febbraio

del 2007). Non possono essere ignorate le implicazioni della descritta evenienza sul

diritto dell’imputato ad un rapido processo e della vittima (e dei testimoni a suo favore) a

non subire un ulteriore stress emotivo. Per superare il problema descritto, l’OSCE ha

raccomandato l’inserimento di una clausola nel contratto del magistrato internazionale

che obblighi quest’ultimo a non lasciare la missione finché i procedimenti pendenti non

siano stati completati. OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System

1999-2005, cit., pag. 65. 12 “Any judiciary must enjoy functional independence, namely, freedom from

interference by the executive in the performance of judicial work. The OSCE has been

concerned that, due the nature of the contracts under which the international judges and

prosecutors were hired, they did not enjoy functional independence from the executive”.

OSCE LSMS, Fourth Review of the Criminal Justice System (September 2001-February

2002), pag. 29. “Taking into account the short term of office (…) decisions about

extending these officials’ contracts should be taken outside the authority of DOJ and

SRSG [DG e RSSG], as a guarantee of effective institutional independence. The matter

of extending contracts for international judges and prosecutors should be submitted

regularly to the KJPC [CGPK] for consideration. Ibidem, pag. 43.

CAPITOLO TERZO

134

selezione, la nomina e la disciplina dei magistrati internazionali13

. Se si

esclude l’istituzione del Capo dei Giudici e del Capo dei Procuratori

Internazionali -figure che hanno rilevato parte delle funzioni proprie del

vertice del DG- poco è stato fatto per ridurre l’apparente interferenza

dell’esecutivo sul Programma GPI.

In secondo luogo, la scarsa attenzione prestata al background

giuridico di provenienza dei candidati ha comportato l’immissione in un

sistema giudiziario di tradizione continentale, quale quello kosovaro,

anche di magistrati di estrazione common-law (e.g. USA) e persino

“ibrida” (e.g. Malta, Mauritius). L’appartenenza a modelli giuridici

diversi ha, non di rado, comportato una diversa interpretazione di una

stessa disposizione procedurale14

o, più in generale, un diverso approccio

allo svolgimento della medesima funzione15

; da ultimo, l’adozione di un

codice di procedura penale ibrido, nel 2004, ha formalizzato la

potenziale aporia tra le due tradizioni giuridiche.

In terzo luogo, è plausibile ritenere che i deludenti livelli qualitativi

degli atti giudiziari vergati da internazionali (si veda al par. III.2.3) siano

il risultato di una non sempre adeguata valutazione della conoscenza e

dell’esperienza dei candidati in tema di diritto internazionale umanitario

e di tutela dei diritti umani16

. Il difetto risiede comunque a monte, nella

rilevante normativa UNMIK sulla nomina dei magistrati internazionali,

la quale non indica l’expertise appena ricordata come un requisito

indispensabile17

per l’eleggibilità né come motivo per la revoca del

13 Human Rights Committee, Concluding Observations of the Human Rights Committee,

Kosovo (Republic of Serbia), 14 August, cit., par. 20, pag. 6. 14 Ad esempio, le ambigue disposizioni del CPPP relative all’ammissione di colpevolezza

(guilty plea, art. 316, par. 6, art. 376, par. 1, art. 386, par. 3), in quanto circostanza

attenuante da prendersi in considerazione da parte della corte in sede di fissazione della

pena, sono state interpretate estensivamente da magistrati internazionali di common law,

che ne hanno fatto la base giuridica per introdurre nel sistema -senza fissare adeguati

criteri d’applicazione- l’istituto del patteggiamento (plea bargaining). I magistrati di civil

law hanno tendenzialmente preferito un’interpretazione restrittiva delle citate

disposizioni (intervista ad un giudice UNMIK, 23 novembre del 2006). 15 Ad esempio, gli atti d’accusa redatti da procuratori internazionali provenienti da

sistemi di common law sono risultati più concisi di quelli dei colleghi di tradizione

continentale (intervista ad un procuratore UNMIK, 17 gennaio del 2007). A ciò si

devono alcune delle incongruenze tra incriminazione e sentenza. Si veda infra al par.

III.2.3. 16 Le faglie della procedura di recruitment, sotto il profilo del “controllo di qualità” sui

magistrati, sono analizzate in M. BASKIN, Lessons Learned on UNMIK Judiciary

(Pearson Peacekeeping Centre 2002), 51. 17 Le nomine sono vincolate al possesso dei seguenti requisiti: laurea in legge, almeno

cinque anni di servizio come magistrato nel proprio Paese, integrità morale e della fedina

penale (Regulation n. 34 del 27 maggio del 2000, Section 2).

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

135

mandato18

. Le carenze del personale selezionato non sono state colmate,

d’altra parte, attraverso un sistematico ricorso a seminari intensivi tenuti

da personale esterno qualificato19

. A ciò si aggiunga l’assenza di un

sistematico pre-entry training dei magistrati internazionali sulla legge

penale applicabile, a loro, in ogni caso, ignota.

Il numero di magistrati

Il numero di magistrati del Programma è stato lentamente

incrementato fino a raggiungere, nel 2005, il picco di 28 unità (14

giudici e 14 procuratori), comunque inferiore alle 34 che il RSSG aveva

promesso alla RFJ in un Documento Comune siglato il 5 novembre del

2001. A fine dicembre del 2006, il numero di magistrati internazionali

operanti in Kosovo è sceso a 20 (di cui 11 procuratori e 9 giudici)20

, così

che il rapporto internazionali e locali è risultato di 1 a 8, per quanto

riguarda i procuratori, e di 1 a 34, per quanto riguarda i giudici. La

significatività di questi valori aumenta se li si considera in relazione alla

mole di lavoro (stimabile intorno al 5% dell’universo dei casi di rilievo

penale) di cui il Programma GPI è gravato in ragione della sua

competenza ratione materiae21

. L’illimitatezza di quest’ultima, invero,

sembra rispondere più ad esigenze della comunità internazionale che a

priorità locali: gli USA premono per la persecuzione dei reati di

terrorismo, l’UE per la repressione delle organizzazioni criminali dedite

al traffico di armi, droga ed esseri umani22

.

Legato ai vincoli di bilancio del DG (fattisi sempre più stringenti

con l’incedere della missione UNMIK), all’elevato costo dei magistrati

18 La rimozione dall’incarico è, invece, condizionata alle seguenti cause: incapacità fisica

o mentale permanente o prolungata, grave cattiva condotta, incapacità di eseguire i

compiti assegnati, incompatibilità con l’ufficio di magistrato (Ibidem, Section 4). 19 Ad oggi, soltanto due seminari di questo tipo risultano svolti (nel settembre del 2000,

sul diritto internazionale umanitario e sugli artt. 5 e 6 della CEDU, e, nell’ottobre del

2003, sul terrorismo, sul crimine organizzato e sulla protezione dei testimoni), su

impulso dell’OSCE, in collaborazione con il TPIJ. 20 Nel corso del 2006 si sono raggiunte punte di 13 procuratori e 13 giudici. Allo stato,

risultano aperte (con scadenza 30 giugno 2007) due vacancy per procuratori ed una per

giudice. 21 A metà giugno del 2004, il numero complessivo di casi in trattazione da parte dei

magistrati del Programma è stato di 92, ed è salito a 104 nel settembre del 2005. Stupisce

come, di fronte ad un tale backlog di casi, l’OSCE abbia raccomandato al RSSG di

estendere, via Regulation, l’assegnazione di magistrati internazionali a casi civili. OSCE

LSMS, First Review of the Civil Justice System, June 2006, pagg. 46-47. 22 Intervista con un procuratore UNMIK, 10 novembre del 2006. I crimini di guerra

costituivano, al marzo del 2003, il 10% circa del totale dei casi trattati da procuratori

internazionali. PERRIELLO, M. WIERDA, op. cit., pag. 22.

CAPITOLO TERZO

136

internazionali23

ed alle lungaggini burocratiche della procedura di

reclutamento, il sottodimensionamento del Programma rappresenta un

oggettivo limite all’efficacia (numero di casi conclusi) ed all’efficienza

(durata media di un caso) della presenza giudiziaria internazionale in

Kosovo. A ciò si aggiunga l’esiguità numerica delle risorse umane in

staff ai magistrati internazionali (legal officers, interpreti, segretari),

l’inadeguatezza e la dispersività della logistica24

.

L’assetto normativo consolidato

La strutturazione delle corti “ibride” secondo una logica di tipo

incrementale ha, da un lato, consentito di superare situazioni critiche

contingenti ma, dall’altro, ha rivelato l’assenza, presso i vertice di

UNMIK, di un progetto strategico per la gestione della giustizia penale

di transizione. I continui rimaneggiamenti del Programma GPI sono,

purtroppo, stati il risultato di un approccio reattivo, piuttosto che

proattivo25

.

Le critiche dell’OSCE all’assetto consolidato del Programma

rivelano l’inadeguatezza di tale approccio26

: i) la limitazione del campo

di applicazione della Regulation n. 64/2000 ai processi non ancora

iniziati (in primo grado ed in appello) avrebbe smorzato l’impatto del

meccanismo, atteso che vizi ed errori (sottesi da pregiudizi etnici ovvero

da imperizia tecnica) tenderebbero ad emergere proprio in fase di

processo, ad esempio, in seguito ad ordinanze per la proroga della

custodia cautelare27

ovvero a decisioni sull’ammissibilità delle prove28

; 23 Tutti i magistrati internazionali sono inquadrati nelle categorie contrattuali P-3 (lordo

annuo da 70.222 a 96.224 $), P-4 (lordo annuo da 85.974 a 114.890 $) e P-5 (lordo annuo

da 104.600 a 131.019 $). Le due figure di procuratore e giudice internazionale capo sono

inquadrate nella categoria contrattuale “D-1” (lordo annuo da 126.566 a 147.265 $). Ai

compensi contrattuali di tutte le categorie va aggiunto un per diem lordo di 350 $. 24 I magistrati sono dislocati in più edifici di Pristina ed i loro uffici lasciano spesso a

desiderare in quanto a spazio e confortevolezza. 25 Agli scontri di Mitrovica, all’inizio di febbraio del 2000, UNMIK rispose con la prima

localizzata assegnazione di magistrati internazionali (Regulation n. 6/2000); lo sciopero

della fame dei detenuti serbi, nel maggio del 2000, spianò la strada all’assegnazione di

magistrati internazionali a tutti i distretti del Kosovo (Regulation n. 34/2000); le

rimostranze della comunità serba, tra il giugno e il dicembre del 2000, per le

discriminazioni subite ad opera di panel “ibridi” a maggioranza albanese portarono a

panel maggioritariamente composti da internazionali (Regulation n. 64/2000); il quarto

rilascio consecutivo dell’albanese Afrim Zeqiri, nel gennaio del 2001, a tal punto irritò la

comunità serba ed imbarazzò UNMIK da spingere il RSSG ad introdurre il resurrection

power del procuratore internazionale (Regulation n. 2/2001). 26 OSCE LSMS, Kosovo - A Review of the Criminal Justice System, cit., pagg. 76, 78. 27 Nel caso Gashi, relativo a presunti crimini di guerra commessi da tre fratelli di etnia

rom arrestati il 7 ottobre del 1999, il procuratore locale ha richiesto -dopo quasi un anno

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

137

ii) la mancata fissazione e pubblicizzazione di criteri oggettivi per la

valutazione delle petizioni ex Regulation n. 64/2000, avrebbe reso opaco

il meccanismo di allocazione dei panel a maggioranza internazionale,

comportando un’arbitraria attribuzione di priorità ai casi29

. Un terzo

limite è ravvisabile in relazione al principio internazionalmente

riconosciuto della pre-costituzione del giudice naturale, il quale si erge a

tutela del diritto dell’individuo ad una previa indubbia conoscenza del

giudice competente a decidere o, ancor più nettamente, del diritto alla

certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in

relazione ad un fatto già verificatosi. Se la ratio del principio è eliminare

qualunque forma di discrezionalità nella determinazione di chi si debba

pronunciare su un certo affare, allora c’è da ritenere che esso sia violato

dalla Regulation n. 64, visto che questa, proprio dopo la commissione di

un reato, consente al RSSG di decidere se assegnarne la trattazione a

magistrati internazionali o addirittura rimetterla ad una corte diversa da

quella naturalmente competente30

.

di detenzione cautelare!- alla Corte Distrettuale di Prizren una proroga dei termini di

detenzione pre-processuale, motivandola sulla base di un preteso ritardo del TPIJ a

fornire materiale e fondandola su una norma del CPPRFJ che, in realtà, autorizzava solo

l’estensione dei termini per la presentazione dell’atto di incriminazione. Ibidem, pagg.

79-81. 28 Nel caso Trajkovic, un panel a maggioranza albanese (in esso sedeva, ex Regulation n.

34/2000, un solo giudice internazionale) della Corte Distrettuale di Gjilan ha ritenuto

l’imputato serbo colpevole di crimini di guerra, manipolando opinioni espresse dai

testimoni ed elevandole al rango di prove (sentenza del 6 marzo del 2001). Ibidem, pagg.

78-79. 29 La petizione presentata il 12 gennaio del 2001 dalla difesa di Apostolovic (un serbo-

kosovaro accusato di crimini di guerra) è stata respinta il 23 dello stesso mese dal DAG,

il quale, motu proprio, ha successivamente richiesto al RSSG che un panel a

maggioranza internazionale fosse assegnato al caso. Alla petizione della difesa

dell’imputato serbo-kosovaro Slavic, presentata il 17 gennaio del 2001, il DAG ha

risposto proponendo al RSSG soltanto l’assegnazione di un procuratore locale. Ibidem,

pag. 77. Al fine di superare l’arbitraria assegnazione di magistrati internazionali, l’OSCE

ha suggerito che “[t]here should be an immediate formalisation of the criteria upon which

Regulation 64 petitions are reviewed. These criteria should be disseminated to defence

counsel (…) [and] to all appointed judges and public prosectors”. OSCE, Strategy for

Justice, June 2001, pag. 6. 30 Intervista con un funzionario del DG UNMIK, 14 febbraio del 2007. Al fine di

temperare la violazione del principio della pre-costituzione del giudice naturale l’OSCE

ha raccomandato che “[a] mechanism should be established for randomly selecting which

judge are assigned to a specific case; the assignment of judges to cases should not be left

to the discretion of the Director of the DOJ and the SRSG”. OSCE, Fifth Review of the

Criminal Justice System (March 2002-April 2003), pag. 30.

CAPITOLO TERZO

138

L’interazione col sistema giudiziario kosovaro

Ancorché inserito all’interno del sistema giudiziario kosovaro, il

Programma GPI ha, in concreto, funzionato come un sistema in sé

conchiuso: selezione, nomina (eventuali proroga e revoca del mandato),

controllo disciplinare31

, decisione su quali magistrati internazionali

assegnare a quale caso soggiacciono a meccanismi diversi da quelli

previsti per gli omologhi locali.

Di fatto, la componente internazionale ha operato in sostituzione di

quella locale piuttosto che in supporto della stessa. Sarà certamente vero

che l’esiguo numero di magistrati internazionali, sopraffatto dalla

cospicua mole di lavoro, ha avuto a disposizione poco tempo da dedicare

al mentoring dei colleghi locali; come è certamente vero che la

generalizzata deficienza tecnica (per lo più legata alla decennale assenza

dai ruoli dell’elemento albanese) ed etico-motivazionale (connessa

all’affiliazione clanica, alla suscettibilità a pressioni ed intimidazioni,

alla disponibilità a farsi corrompere per integrare bassi stipendi32

) dei

magistrati locali ha alimentato la diffidenza degli internazionali -e, di

riflesso, dell’opinione pubblica locale- verso la magistratura kosovara.

Sarebbe, tuttavia, miope ridurre la mancata interazione ad un

problema di tempo disponibile e di percezione psicologica. Il

parallelismo tra i due sistemi appare piuttosto il risultato di una pluralità

di scelte istituzionali consapevoli, tese a fare del Programma GPI più

un’articolazione del potere esecutivo di UNMIK che un autonomo corpo

di magistrati prestato al sistema locale. Le velleità di primato del RSSG

sul Programma GPI si sono manifestate in modo eclatante con

l’introduzione dell’istituto della “detenzione esecutiva”, la sua

applicazione in violazione di ordinanze di rilascio emesse anche da

giudici internazionali e la definizione di un meccanismo extra-

giudiziario per la revisione delle decisioni esecutive sulla restrizione

della libertà personale33

.

31 Sul punto l’OSCE ha rimarcato che: “international judges and prosecutors should be

subjected to the same mechanism of disciplinary accountability as any other member of

the judiciary, [that is] the disciplinary procedure of the KJPC [CGPK]”. OSCE, Fourth

Review, cit., pag. 43 32 “The OSCE believes that higher salaries are needed (…) to prevent corruption”. OSCE

LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005 – Reforms and

Residual Concerns, cit., pag. 44. In seguito ad un irrisorio aumento del 5% autorizzato

nel 2002, lo stipendio mensile di un magistrato di Corte Municipale ammonta a 420 euro,

di Corte Distrettuale a circa 480 euro e di Corte Suprema percepisce 538 euro. Ibidem,

pag. 45. 33 Intervista con un procuratore UNMIK, 14 febbraio del 2007. Si veda supra al par.

II.4.1.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

139

La più che apparente dipendenza dei magistrati internazionali

dall’esecutivo sarebbe in contrasto con il diritto di ciascun individuo -

sancito dall’art. 6 della CEDU- ad essere giudicato da una magistratura

libera da qualsivoglia condizionamento politico. I vertici del I Pilastro

UNMIK tendono a rispondere a questa critica facendo leva sul fatto che

il Programma GPI, per quanto organico al sistema giudiziario locale,

costituisce pur sempre una componente speciale di una missione di

peace-keeping, rispondente ad una strategia politica generale (si legga:

garantire una credibile neutralità in casi suscettibili di creare tensioni

interetniche) ed a scelte tattiche ispirate da esigenze di sicurezza

contingenti34

. A ciò si aggiunga che il principio di separazione dei poteri

è proprio dello stato di diritto nazionale e non si attaglia

all’organizzazione internazionale, cui è intrinseca, piuttosto, la

confusione dei poteri35

.

La mancanza di un adeguato livello di integrazione del Programma

GPI col sistema locale si è rivelata d’ostacolo soprattutto al trasferimento

di expertise su temi delicati e cruciali per la costruzione di un credibile

stato di diritto, quali, fra gli altri, la tutela dei diritti umani in sede

processuale e l’interpretazione ed applicazione del diritto internazionale

umanitario36

.

Tardiva e poco promettente è da considerarsi l’istituzione, con fondi

dell’AER37

, dell’Ufficio Speciale della Procura del Kosovo (USPK),

incaricato, nell’ambito della DP del DG, di preparare un corpo di

34 J-C CADY, N. BOOTH, “Internationalized Courts in Kosovo: An Unmik Perspective”

in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo,

and Cambodia, op. cit., pag. 74. 35 C. P. R. ROMANO, “The Judges and Prosecutors of Internationalized Criminal Courts

and Tribunals” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East

Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag. 260. Sul tema della divisione dei poteri

nell’ambito delle organizzazioni internazionali si veda U. DRAETTA, Principi di Diritto

delle Organizzazioni Internazionali, Milano, 1997, pag. 92 e ss. 36 “[T]here was no apparent overall strategy to make the most of the presence of the IJP

to provide hands-on mentoring or to meaningfully include IJP in trainings”. OSCE

LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005, cit., pag. 67. 37 L’AER opera nell’ambito dell’iniziativa comunitaria CARDS (Community Assistance

for Reconstruction, Development and Stabilisation), che copre l’intera area dei Balcani

occidentali (Serbia e Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Croazia e

Albania), in quanto strumento del Programma di Stabilizzazione ed Associazione. Il

finanziamento del progetto USPK da parte dell’AER (si veda supra al par. III.2.1,

Interazione col sistema giudiziario kosovaro) è sintomatico, insieme ad altre iniziative

(e.g. il supporto alla FIU, il Sistema Informativo per la Gestione dei Casi), di un

progressivo spostamento del campo d’intervento dell’UE in Kosovo da compiti di

ricostruzione economica, tipici del IV Pilastro UNMIK, verso compiti più “politici” di

institution/capacity-building, specie nel settore dello stato di diritto.

CAPITOLO TERZO

140

procuratori “speciali” da inserire nell’Ufficio del Pubblico Procuratore

del Kosovo (UPPK), e da assegnare di volta in volta a qualsivoglia Corte

Distrettuale per il perseguimento dei reati più gravi previsti dalla legge

applicabile38

. L’iniziativa è stata formalmente avviata il 30 settembre del

200639

e stenta a decollare per il mancato raggiungimento di un

sufficiente numero di risorse umane locali capaci ed interessate; per di

più, è legittimo chiedersi quale sia il senso di rafforzare la capacità

procuratoriale locale se poi alcuna analoga iniziativa è, almeno allo stato,

prevista a favore del personale degli organi giudicanti. L’unico elemento

promettente del progetto finanziato dall’AER sembrerebbe l’interesse

dell’UE per il tema del capacity-building del sistema giudiziario

kosovaro.

Il giudizio ampiamente negativo sul mancato radicamento della

componente giudiziaria internazionale nel sistema locale e sulle sue

ripercussioni sotto il profilo del capacity-building deve essere mitigato

alla luce di alcune considerazioni.

a) La formazione dei magistrati locali non è una responsabilità

del DG nell’ambito del I Pilastro di UNMIK ma, all’interno del III

Pilastro, dell’Istituto Giudiziario del Kososo (IGK) istituito dall’OSCE

già nell’agosto del 199940

.

b) La finalità istituzionale del Programma GPI è, come

dichiarato nel preambolo della Regulation n. 64, quella di “ensuring the

indipendence and impartiality of the judiciary and the proper

administration of justice (…)”, considerato che “the presence of security

threats may undermine the indipendence and impartiality of the judiciary

and impede the ability of the judiciary to properly prosecute crimes

which gravely undermine the peace process and the full establishment of

the rule of law in Kosovo”.

c) I problemi di sicurezza, il fatto che -con l’eccezione della

Corte Distrettuale di Mitrovica e della Corte Suprema- gli internazionali

siano stati dislocati in strutture diverse da quelle degli omologhi locali41

,

le barriere linguistico-culturali (rimaste invalicabili a causa

38 L’USPK, una volta avviato, dovrebbe, nelle intenzioni di chi ne ha concepito il

progetto, sostituire la DP del DG. 39 Administrative Direction n. 15/2006. 40 Consapevole di tale fatto, l’OSCE ha raccomandato al Programma GPI di “expand its

mandate so that the internationals serve as mentors to their local counterparts; helping

them in more serious cases and training the local judiciary to apply human rights

provisions”. OSCE LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005,

cit., pag. 67. 41 Le possibilità di interazione a livello territoriale si sono ulteriormente ridotte in seguito

al materiale trasferimento di tutti i magistrati internazionali a Pristina.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

141

dell’inadeguato servizio di interpretariato42

), sono tutti fattori di contesto

che certamente non hanno favorito le occasioni di contatto tra le due

componenti, invero ridotte a brevi colloqui -costellati di losses in

translation- prima dell’inizio delle udienze.

d) I magistrati locali hanno ricambiato la diffidenza degli

internazionali con motivazioni che vanno da un’istintiva frustrazione per

l’abissale forbice retributiva ad un più ideale sentimento di repulsione

per una forma di ingerenza avvertita come imperialistico-coloniale.

e) L’assenza di un adeguato programma di protezione ha spinto i

magistrati locali a rifiutarsi di trattare casi “sensibili” (corruzione,

crimine organizzato…) all’interno di panel misti, che non di rado hanno

funzionato a composizione completamente internazionale.

f) Le scollature esistenti all’interno del sistema giudiziario

kosovaro non sono meno gravi di quelle tra quest’ultimo ed il

Programma GPI. Basti ricordare che l’UPPK ha circoscritto il suo ruolo

a quello di organo d’accusa presso la Corte Suprema, rinunciando, di

fatto, alla prerogativa, attribuitagli per legge, di supervisionare il lavoro

delle 12 Procure di livello inferiore, e favorire l’omogeneo radicamento

di buone pratiche. Pertanto, anche ipotizzando un adeguato livello di

interazione tra magistrati internazionali e singoli magistrati locali,

difficilmente, a partire da questi ultimi, si sarebbero potuti produrre

effetti a cascata sull’intero sistema kosovaro.

Alla luce delle “attenuanti” sub a) e b), la critica al Programma GPI

andrebbe rimodulata in un giudizio negativo sulla qualità del

coordinamento tra i Pilastri di UNMIK. Sinergie, in effetti, avrebbero

potuto essere attivate tra i formali seminari dell’IGK e l’informale

training-on-the-job dei magistrati locali all’interno dei panel ibridi. I

punti c) ed f), d’altra parte, inducono a criticare severamente la scarsa

attenzione di UNMIK a fattori di contesto cruciali per l’attecchimento

del Programma GPI, come, ad esempio: una logistica capace di

contemperare le esigenze di sicurezza con quelle dell’interazione coi

locali; l’affiancamento, in pianta stabile, agli internazionali di un corpo

di mediatori linguistico-culturali qualificati; l’insegnamento della lingua

42 La reciproca diffidenza tra le etnie ha obbligato UNMIK a ricorrere, con notevole

aggravio di costi, a interpreti del serbo e dell’albanese provenienti, rispettivamente, dalla

Croazia e dall’Albania. Le inevitabili varianti locali delle due lingue hanno originato non

pochi fraintendimenti nel corso delle udienze. Intervista con un giudice UNMIK, 15

febbraio del 2007.

CAPITOLO TERZO

142

internazionale veicolare ai locali; la retribuzione43

e la protezione dei

magistrati locali; i programmi di informazione e sensibilizzazione volti a

plasmare percezioni ed aspettative dell’opinione pubblica locale

(outreach), troppo spesso condizionate dalle distorsioni dei media locali,

nonché lo sviluppo di meccanismi di coordinamento verticale ed

orizzontale tra le strutture del sistema giudiziario locale.

III.2.2 La capacità di perseguire crimina juris gentium e crimini a

movente etnico

Le più recenti stime delle dimensioni quantitative della crisi

umanitaria kosovara del 1998-99 indicano in 800.000 -su una base

demografica complessiva di 1,7-2,2 milioni di abitanti- il numero dei

profughi riparati in Albania e Macedonia (di cui 150.000 giammai

ritornati), in 500.000 gli sfollati, tra 4.000 e 12.000 le vittime44

. Di fronte

alla tragica eloquenza dei numeri, all’aprile del 2006, solo 23 casi di

crimini di guerra (per lo più patiti da albanesi), su un totale di 53

indagini aperte, sono stati trattati da corti kosovare con il coinvolgimento

di magistrati internazionali. Solo 10 dei 23 processi celebrati sono

approdati a sentenze di condanna in primo grado; 8 di esse sono state

cassate in appello dalla Corte Suprema per inadeguata definizione dei

fatti ovvero per mancata escussione dei testimoni. Nei processi

successivi alla pronuncia d’appello, gli imputati sono stati condannati

per reati meno gravi, se non addirittura assolti45

. La maggior parte dei

processi per crimini di guerra (17) è stata celebrata prima del 2002; solo

6 si sono svolti dal 2002 alla metà del 2006 e sono alquanto improbabili

ulteriori rinvii a giudizio per crimini di guerra, dati il deterioramento

delle prove inesorabilmente prodottosi col trascorrere degli anni46

e la

latitanza di un cospicuo numero di criminali. Il limitato numero di

43 Stipendi più elevati avrebbero potuto attrarre nella magistratura giuristi più preparati,

che hanno, invece, ritenuto più conveniente la professione avvocatizia privata. OSCE

LSMS, Kosovo Review of the Criminal Justice System 1999-2005, cit., pag. 44; inoltre,

intervista con un avvocato kosovaro-albanese, 14 novembre del 2006. 44 UNMIK, Report submitted to the Human Rights Committee on the human rights

situation in Kosovo since June 1999, Kosovo (Serbia and Montenegro), cit. pag. 5, par. 9. 45 A questi si aggiungano i numerosi imputati per crimini di guerra fuggiti dai centri di

detenzione e mai processati per il già ricordato divieto di cui alla Regulation n. 1 del 12

gennaio del 2001, Section 1. L’incapacità, da parte di UNMIK; di perseguire i crimini di

guerra è severamente criticata da Amnesty International nel rapporto del novembre del

2006 Kosovo (Serbia): The UN in Kosovo - a Legacy of Impunity. 46 Amnesty International, Kosovo (Serbia and Montenegro) - UNMIK: Briefing to the

HRC, 87th Session, July 2006, cit., pagg. 10-13. Human Rights Watch, The Continuing

Failure to Address Accountability in Kosovo Post-March 2004, vol. 18, n. 4(D), May

2006, pagg. 18-20.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

143

processi (e soprattutto di condanne) per crimini di guerra è tanto più

preoccupante se letto in combinato disposto con l’ostruzionismo del

RSSG rispetto alla possibilità che taluni casi di crimini di guerra

commessi in Kosovo vengano trattati da corti serbe47

. Dal quadro

affrescato emerge una situazione di generalizzata impunità che

certamente non favorisce la riconciliazione interetnica48

in un contesto

socio-demografico in cui la più bassa età media d’Europa49

già si pone

come un forte ostacolo allo “smaltimento” della memoria generazionale

sulle atrocità subite.

Il reflusso di violenza dell’elemento albanese contro le minoranze

etniche del Kosovo nel marzo del 2004 invita, inoltre, a leggere l’azione

delle corti “ibride” come inefficace rispetto all’obiettivo, desiderabile,

della deterrenza.

Il CDU si è detto preoccupato della perdurante impunità per i

crimini di diritto internazionale commessi prima dell’inizio del mandato

UNMIK nonché per i reati a movente etnico perpetrati sin dal giugno del

1999, ivi inclusa l’ondata di violenza anti-serba che, tra il 17 ed il 18

marzo del 2004, ha causato la morte di 19 persone, il ferimento di quasi

1.000, lo sfollamento di oltre 4.000, l’incendio ed il saccheggio di oltre

700 abitazioni private, di 26 siti della fede ortodossa e di 10 edifici

pubblici50

. Al di là dei solenni impegni della comunità internazionale e

sebbene la punizione dei responsabili delle violenze interetniche del

marzo 2004 sia stata inserita tra le condizioni prioritarie per l’avvio dei

negoziati sullo status definitivo del Kosovo, le cifre fornite dall’OSCE

sono eloquenti circa l’incapacità dei magistrati UNMIK di perseguire i

reati. A fronte di 51.000 persone coinvolte nei disordini, la polizia

internazionale ha avviato quasi 1.400 indagini nell’ambito

dell’operazione “Thor”51

, di cui solo 348 (riguardanti 426 individui52

)

approdate al banco dei procuratori; i magistrati internazionali sono stati

47 Si veda supra al par. II.4.2. 48 E’ intuitivo che l’impunità individuale tende a tradursi in un persistente pregiudizio di

colpevolezza collettiva. 49 Stimata in 22,5 anni. 50 HRC, Concluding observations of the Human Rights Committee, Kosovo (Republic of

Serbia), cit., pag. 4, par. 12. 51 L’operazione, condotta da uno staff di 140 persone (di cui 90 investigatori), ha avuto

inizio solo nel maggio del 2004. 52 Il gap tra il numero di individui arrestati ed il numero stimato di persone partecipanti ai

disordini sarebbe addebitabile alla mancanza di adeguate misure di protezione dei

testimoni e dei magistrati, alla singhiozzante e scoordinata conduzione delle indagini da

parte di investigatori internazionali inviati in missione semestrale. OSCE LSMS, The

Response of the Justice System to the March 2004 Riots, December 2005.

CAPITOLO TERZO

144

assegnati solo a 56 procedimenti -ivi inclusi i 19 casi di omicidio. Di

questi 56, a due anni di distanza, solo 13 risultavano conclusi, per lo più

con sentenze di condanna sospese; i restanti, se non erano stati archiviati,

si attardavano nella fase pre-processuale, prossimi ad essere trasferiti ai

magistrati locali, nel frattempo distintisi, in negativo, per aver applicato -

in virtù di una strumentalizzazione delle circostanze attenuanti- pene

minime a 209 dei 221 individui (per lo più albanesi) processati53

. La

limitata capacità di risposta di questi ultimi può, invero, essere

considerata come la prova contro-fattuale del mancato

perseguimento/conseguimento di obiettivi di capacity-building da parte

degli internazionali.

Prima di essere superata attraverso il principio del favor rei, l’aporia

apertasi con l’entrata in vigore del CPP e del CPPP, giusto qualche

settimana dopo i fatti di marzo 2004, ha fornito un comodo alibi alla

mancata ovvero inadeguata iniziativa dei diversi soggetti del sistema

giudiziario kosovaro: i procuratori hanno potuto far ricadere sulla polizia

il mancato ovvero tardivo coinvolgimento nelle indagini; i giudici, da

parte loro, hanno indicato la disfunzione del sistema nella mancata

iniziativa dei procuratori, che la nuova legge avrebbe voluto driving

force del procedimento; infine, il DG ha dissimulato l’imbarazzo dei

magistrati internazionali, specie dei procuratori, di fronte al repentino

cambiamento della legge applicabile, dietro una pretesa inerzia della

polizia e degli omologhi locali54

.

III.2.3 La qualità degli atti giudiziari relativi ai crimina juris gentium

I magistrati internazionali svolgono pur sempre un lavoro di tipo

intellettuale, di cui gli atti giudiziari costituiscono la materiale

estrinsecazione. Funzione diretta della procedura di reclutamento e del

carico di lavoro gravante sull’esiguo numero di magistrati, la qualità

degli atti si presta come ulteriore parametro per valutare il capacity-

building -inteso come capacità dimostrativa- del Programma. Tanto più

che, rispetto ai crimina juris gentium, gli atti non dovrebbero limitarsi

alla funzione burocratico-giudiziaria di accertamento della verità

processuale su fatti relativi ad individui ma dovrebbero assolvere anche

alla funzione socio-politica della riconciliazione interetnica attraverso

l’imparziale ricostruzione della verità storica. I rapporti periodici redatti

dall’OSCE, in quanto responsabile, nell’ambito del III Pilastro di

53 Human Rights Watch, The Continuing Failure to Address Accountability in Kosovo

Post-March 2004, cit., pagg. 6-8, 22-27. 54 Ibidem, pag. 31, 45-48.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

145

UNMIK, del programma di monitoraggio del sistema giuridico

costituiscono una fonte completa ed affidabile per svolgere tale analisi55

.

La trattazione di casi “sensibili” da parte di procuratori

internazionali ha elevato sensibilmente i livelli qualitativi degli atti di

incriminazione (indictment), la cui chiarezza, strutturazione ed

esaustività sono -specie in presenza di reati plurimi commessi ai danni di

più vittime in periodi di tempo estesi (tali sono per definizione i crimina

juris gentium)- requisiti indispensabili tanto per un’efficace persecuzione

quanto per un’effettiva difesa56

.

Può, inoltre, riconoscersi ai procuratori internazionali il merito di

aver ridimensionato taluni “inflazionati” indictment inizialmente emessi

da procuratori locali nei confronti di kosovari di etnia serba. Viene in

rilievo il caso del minore “Z”57

, kosovaro di etnia serba che, tra la fine di

marzo ed il maggio del 1999, avrebbe provocato, con la complicità di un

non meglio identificato adulto, la fuga di un centinaio di famiglie

albanesi dalle loro case. “Z” fu inizialmente perseguito per genocidio, e

in seguito, non riscontrandosi la sussistenza del dolus specialis del

crimine (si legga: l’intenzione di distruggere in tutto, o in parte, il gruppo

kosovaro albanese), fu accusato di aver provocato una situazione di

pericolo generale58

e commesso gravi atti contro la sicurezza generale59

.

55 Per alcuni casi, possono essere di complemento i rapporti ed i comunicati stampa

dell’ong Humanitarian Law Center, disponibili on line attraverso il portale

<http://www.hlc.org.yu/english/>. Si avverte il lettore che il sistema giudiziario kosovaro

non era provvisto all’epoca dell’attività di reporting cui ci si riferisce, di un sistema per

protocollare in maniera univoca i documenti giudiziari, pertanto, ciascun caso sarà, ove

possibile, contraddistinto dal cognome dell’imputato seguito da una parentesi contenente

la data dell’incriminazione. 56 L’OSCE considera esemplari, al riguardo, i casi Grkovic (indictment dell’11 novembre

del 2001) e Besovic (indictment del 19 febbraio del 2002), kosovari di etnia serba

accusati di crimini di guerra. OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review,

September 2002, pagg. 36-37. I procuratori internazionali dei casi Besovic e Mldenovic

(indictment del 2 febbraio del 2001), sono, inoltre, meritevoli di menzione per aver

qualificato i fatti ascritti ai rispettivi imputati sia dal punto di vista del diritto interno (art.

142 del CPRFJ) che del diritto internazionale umanitario (I Convenzione di Ginevra e I

Protocollo Aggiuntivo). Ibidem, pagg. 36-37. 57 Indictment del 23 dicembre del 1999. 58 Art. 157 CPRFJ. 59 Art. 164 CRFJ. OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pagg. 15-16

e pag. 34. Non sarebbe ascrivibile alla stessa categoria il caso Jokic (indictment del 25

febbraio del 2000), kosovaro di etnia serba che un procuratore locale aveva incriminato,

il 25 febbraio del 2000, di genocidio per fatti presumibilmente commessi, in quanto

paramilitare, tra il 15 aprile e l’8 maggio del 1999. Se, in sede di retrial, il procuratore

internazionale ha emendato l’indictment, incriminando Jokic per crimini di guerra, è stato

solo per sanare un vizio procedurale commesso in primo grado da un panel a

CAPITOLO TERZO

146

Analogo è il caso Vuckovic60

, in cui, sulla scorta della decisione della

Corta Suprema di cassare la sentenza di condanna per genocidio emessa

il 18 gennaio del 2001 da un panel a maggioranza locale, il procuratore

internazionale ha emendato l’indictment, procedendo per crimini di

guerra.

D’altra parte, tuttavia, alcuni emendamenti nel senso

dell’undercharging offrirebbero il fianco a severe critiche circa la

qualificazione del contesto fattuale dei reati allegati61

. Esemplare è, al

riguardo, il caso Apostolovic, kosovaro di etnia serba dapprima62

accusato di crimini di guerra ex art. 142 del CPRFJ e in seguito63

del

solo reato comune di furto aggravato64

, sebbene gli atti a lui ascritti, in

quanto membro di un gruppo paramilitare, fossero certamente collocati

all’interno della fase internazionale del conflitto armato65

. Mutatis

mutandis, analoga critica può essere fatta ai procuratori internazionali

che hanno trattato, presso la Corte Distrettuale di Gjilan, i casi Nikolic66

e Stojanovic67

e, presso la Corte Distrettuale di Pristina, quello

Stanojevic68

. I procuratori locali avevano incriminato ciascuno dei tre

kosovari di etnia serba per l’omicidio69

di individui albanesi. I

procuratori internazionali subentrati agli omologhi locali -in sede di

retrial nei primi due casi e di appello nel terzo- non hanno emendato gli

indictment nel senso dell’overcharging, sebbene tutti i presunti assassini

indossassero uniformi paramilitari ovvero di polizia ed il tempus

commissi delicti suggerisse di collocare i primi due omicidi (perpetrati,

rispettivamente, il 5 ed il 15 aprile del 1999) nel time-frame del conflitto maggioranza locale che aveva condannato l’imputato per un reato diverso (crimini i

guerra, appunto) da quello originariamente contestato dall’organo d’accusa. Si osserva,

incidentalmente, che un panel a maggioranza internazionale della Corte Suprema non

aveva, neppure discusso la questione della condannabilità di un imputato per un reato

diverso da quello allegato dal procuratore. Ibidem, pagg. 17-18 e pag. 34. 60 Indictment del 29 novembre del 1999. 61 Ibidem, pagg. 22-23 e pag. 35. 62 8 settembre del 2000. 63 28 gennaio del 2002. 64 Art. 135 CRFJ. 65 Nel caso del paramilitare serbo-kosovaro Besovic (cit.), il procuratore internazionale

ha, da subito, proceduto per crimini di guerra rispetto a fatti commessi tra il 29 maggio

del 1998 ed il 14 maggio 1999, cioè sia nella fase interna del conflitto armato che in

quella internazionale. Analogamente, nel caso di un altro paramilitare serbo-kosovaro

Grkovic (cit.), il procuratore internazionale ha qualificato come crimini di guerra fatti

occorsi tra il 25 ed il 28 marzo del 1999, in piena fase internazionale del conflitto armato. 66 Indictment del 5 novembre del 1999. 67 Indictment del 28 febbraio del 2000. 68 Indictment del 9 maggio del 2000. 69 Art. 30 del CPK.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

147

armato internazionale ed il terzo (commesso il 15 gennaio del 1999)

nella fase di mero rilievo interno.

Quanto ai giudici internazionali, le sentenze da loro emesse in

relazione a casi di violazioni del diritto internazionale umanitario

sarebbero largamente al di sotto non solo degli standard qualitativi

propri delle pronunce dei due TPIh ma anche di quelli tecnico-

redazionali richiesti dalla legge locale.

Il CPRFJ prevedeva che la sentenza si componesse di tre parti:

l’introduzione, il dispositivo e la motivazione, a sua volta suddivisa in tre

sezioni, dedicate all’accertamento della sussistenza del reato, della

responsabilità penale e, infine, alla qualificazione giuridica dei fatti

ovvero delle omissioni di cui l’imputato sia stato riconosciuto

responsabile70

; in sede di accertamento della responsabilità penale, si

richiedeva alla sentenza di valutare in maniera specifica e completa la

credibilità delle prove, specie di quelle contraddittorie71

. Le sentenze di

pugno internazionale si sono allontanate dallo schema descritto e la loro

strutturazione è dipesa dalla strategia argomentativa discrezionalmente

adottata dal giudice redattore che, non di rado, ha preposto la valutazione

della credibilità delle testimonianze agli altri elementi72

. Inoltre, nelle

sentenze sono stati riscontrati grossolani difetti tecnici: confusione tra

questioni di fatto e questioni di diritto, mancata presentazione degli

elementi costitutivi del reato imputato, mancato riferimento a questi

ultimi in sede di analisi delle prove processuali, condanna per reati

diversi da quelli allegati nell’indictment. Rispetto a quest’ultimo difetto,

vengono in rilievo i casi Matic73

e Kolasinac74

, in cui panel “ibridi” della

Corte Distrettuale di Prizren hanno condannato in primo grado gli

imputati per reati diversi (e di minore gravità) da quelli per cui i

rispettivi procuratori locali avevano deciso di procedere75

.

70 Art. 357 del CPRFJ. 71 OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., par. 7. 72 E’ questo, ad esempio, il caso delle sentenze Nikolic (cit.) e Jokic (cit.). OSCE LSMS,

Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pagg. 12-13, 17-18, 46. 73 Indictment dell’11 settembre del 2000. 74 Indictment del 7 agosto del 2000. 75 A fronte di un’incriminazione per crimini di guerra, l’imputato Matic è stato

condannato per lesioni fisiche leggere (sentenza del 14 giugno del 2001), mentre

l’imputato Kolasinac per aver aiutato un’altra persona (il co-imputato Jovanovic) dopo

che questa aveva commesso crimini di guerra. Nei due casi, panel “ibridi” della Corte

Suprema hanno cassato le sentenze anche in considerazione dell’assenza di un formale

emendamento dell’indictment.

CAPITOLO TERZO

148

Dal punto di vista internazionalistico, sono state evidenziate le

seguenti deficienze: a) mancata trattazione di rilevanti questioni

preliminari; b) approssimativo riferimento alle teorie sulla responsabilità

penale personale per gravi violazioni dello jus in bello; c) mancata o

errata qualificazione dei reati dalla prospettiva del diritto internazionale

umanitario; d) assenza di riferimenti a fonti giurisprudenziali e dottrinali

autorevoli; e) valutazione delle testimonianze effettuata sulla base di

criteri diversi da quelli fissati dalla giurisprudenza internazionale; f)

carenza di riferimenti ai diritti umani quali sanciti dal diritto

internazionale.

a) Sono essenzialmente due le questioni preliminari che avrebbero

dovuto essere trattate sin dall’inizio con le dovute metodicità e

completezza, su sollecitazione delle parti ovvero ex officio.

In primo luogo, risalta la scarsa attenzione tributata dai panel ibridi

al fondamento della loro competenza a giudicare ed alle implicazioni di

tale competenza sulla sovranità territoriale serbo-jugoslava. Mancano di

solidità giuridica le argomentazioni addotte in relazione al già citato caso

del serbo-kosovaro Vuckovic, incriminato di genocidio da un

procuratore locale dinanzi ad un panel a maggioranza locale della Corte

Distrettuale di Mitrovica. La difesa ha eccepito la legalità della Corte

Distrettuale, sostenendo che la sovranità della Serbia, quale sancita

anche dalla risoluzione n. 1244/99 del CS dell’ONU, fosse violata

dall’impossibilità per i giudici nominati dal Parlamento serbo di tenere

udienze in Kosovo. Il panel ha respinto le doglianze della difesa,

indicando nella volontà di UNMIK (ed in ultima analisi del CS

dell’ONU che aveva deciso il dispiegamento di una presenza

internazionale civile in Kosovo) il fondamento di legalità, legittimità e

competenza della Corte Distrettuale di Mitrovica, il cui operato in alcun

modo minaccerebbe l’integrità territoriale della RFJ76

.

In secondo luogo, si evidenziano, limitatamente ai processi per

crimini di guerra: i) il mancato previo accertamento dell’esistenza di un

conflitto armato al tempus delicti, ii) la mancata definizione della sua

76 All’inizio del processo, il 6 giugno del 2000, la difesa aveva invano introdotto dinanzi

alla Corte Suprema istanza di ricusazione di tutti i membri locali del panel, ritenendo che

la loro appartenenza all’etnia delle presunte vittime e l’avere essi stessi subito danni li

avrebbe equiparati alla “parte lesa”, costituendo un insormontabile ostacolo

all’imparzialità del giudizio; l’istanza aveva riguardato anche l’unico membro

internazionale del panel, di cui si era contestato il mancato possesso della cittadinanza

jugoslava. HLC, Press Release, Trial of Kosovo Serbs for Genocide Resumed, November

13, 2000, Pristina.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

149

natura (interna o internazionale) nelle diverse fasi della crisi kosovara,

iii) la considerazione delle implicazioni della natura del conflitto sul

piano dello jus in bello applicabile. Ad esempio, nel caso Jokic77

, un

panel locale partecipato da un solo giudice internazionale, senza

previamente interrogarsi sull’esistenza di un conflitto armato al

momento della commissione del reato, ha riqualificato come crimini di

guerra fatti che il procuratore locale aveva allegato come genocidio; né

la Corte Suprema si è avveduta dell’errore (ovvero ha preferito non

discuterne). Si sottrae a tale quadro la sentenza di primo grado emessa il

7 luglio del 2003 da un panel “ibrido” della Corte Distrettuale di Pristina

investito del caso Gashi et alii. Il caso, meglio noto col nome del locus

delicti (“Llap”, presso Podujevo), è stato il primo ad aver costituito

l’oggetto di un processo internazionalizzato contro esponenti dell’UCK

accusati di crimini di guerra commessi tra l’inizio dell’agosto del 1998

ed il giugno del 1999 ai danni di civili di etnia albanese ritenuti

collaborazionisti del regime di Milosevic. La corte ha ritenuto che per

l’intera parentesi temporale dei fatti allegati sia sussistito un conflitto

armato, la cui natura sarebbe stata interna fino al 24 marzo del 1999, data

dalla quale si sarebbe internazionalizzato per effetto dell’intervento della

NATO, per concludersi il 10 giugno con l’inizio dell’attuazione degli

accordi di Kumanovo. Durante la fase interna, le vittime sarebbero,

pertanto, state protette dall’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di

Ginevra del 1949 e dall’art. 6 del II Protocollo Aggiuntivo; iniziata la

fase internazionale, l’intero corpus convenzionale ginevrino si sarebbe

esteso alle vittime78

.

b) Solo raramente i panel internazionali hanno applicato le

disposizioni del CPRFJ ovvero le norme di diritto internazionale

umanitario pattizio e generale relative ai profili della responsabilità

penale personale che, invece, avrebbero dovuto essere considerate con

maggiore attenzione, atteso che i crimina juris gentium, per loro stessa

natura, quasi mai vedono un individuo agire isolatamente ma quasi

sempre secondo varie forme di collegamento con altri individui

(subordinazione/sovraordinazione gerarchica, gruppo, joint criminal

enterprise, complicità, istigazione etc).

Sebbene in quasi tutti i casi di violazione del diritto internazionale

umanitario siano state addotte prove del fatto che gli imputati avevano

77 Cit. in questo stesso capitolo alla nota 59. 78 HLC, Report Trial of “Lap group” (17 February-16 July 2003), September 9, 2003,

Pristina.

CAPITOLO TERZO

150

agito di concerto con altri individui (peraltro indossanti identiche

uniformi di polizia/militari/paramilitari), a stento ci si è allontanati dalla

nozione di “complicità”79

propria dei reati comuni. Ne è derivato che i

crimini sono stati perseguiti e giudicati al di fuori del loro contesto

speciale (il conflitto armato), quasi fossero dei reati ordinari80

. Nel già

richiamato caso Stanojevic, non ci si è neppure chiesti se all’imputato,

soldato semplice meramente esecutore di ordini superiori, fosse

applicabile o meno l’art. 239 del CPRFJ sulla responsabilità dei

subordinati per azioni commesse su ordine di autorità gerarchiche. Solo

nei casi Kolasinac81

e Trajkovic82

i crimini sono stati considerati in

un’ottica più adeguata alla loro complessità. Nel primo, facendo

riferimento alla giurisprudenza del TPIR, è stata affrontata la questione

della responsabilità di comando dell’imputato, un serbo-kosovaro posto

in posizione di rilievo a livello locale (presidente dell’Assemblea

Municipale e comandante dell’Unità di Protezione Civile Municipale);

tuttavia, il panel non ha precisato la base giuridica per l’applicazione

dell’esposta dottrina (una norma di diritto internazionale generale resa

direttamente applicabile ex art. 210 della Costituzione della RFJ oppure

gli artt. 86 e 87 del I Protocollo Aggiuntive delle Convenzioni di

Ginevra?)83

. Nel secondo caso, la Corte Distrettuale di Gjilan ha

affrontato anche la questione della responsabilità di un comandante di

polizia serbo-kosovaro per azioni commesse da altri su suo ordine ed ha

ritenuto, senza precisare su quale base giuridica (locale ovvero

internazionale), che questa insorgesse solo per “azioni organizzate” e

non per quelle “isolate”84

. Una più rigorosa e sistematica applicazione

delle dottrine sulla responsabilità penale personale, ivi inclusa quella

della joint criminal enterprise (ricondotta all’art. 26 del CPRFJ), risulta

nel solo caso “Llap”. Il wording della sentenza è assai eloquente per le

connessioni stabilite tra i quattro imputati: “Rrustem Mustafa, (…) as

Commander of the Llap zone, (…) failed to prevent the (…) illegal

detention of (…) persons and failed to take any steps to identify and

punish the members of the KLA [UCK ndr] responsible for those

offences”; (…) “in complicity with Latif Gashi, and aided (…) by Nazif

79 Art. 22 del CPRFJ. 80 Ai panel locali è stato addebitato un eccesso in senso opposto: nei casi Ademi

(indictment del 23 novembre del 1999) e Jokic (cit.) i singoli imputati sono stati

assimilati all’intera forza criminale agente nel locus ed al tempus delicti. 81 OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pagg. 20-22. 82 Indictment del 3 aprile del 2000. Ibidem, pagg. 24-25. 83 Ibidem, pag. 43. 84 Ibidem, pag. 43, 50.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

151

Mehmeti (…) and pursuant to a joint criminal plan, he illegally detained

Kosovo Albanian citizens suspected of collaboration with Serbs in a

detention centre organised by and under the control of the KLA (…), the

purpose of the plan being to seek to force those detained to confess to

disloyalty to the KLA (…)”; (…) he ordered Naim Kadriu to torture the

witness “R” (…)”85

.

c) Quasi sempre i fatti ascritti agli imputati sono stati qualificati

secondo la legge locale, sebbene la loro natura ed intrinseca complessità

avrebbero richiesto, ad adiuvandum, il riferimento a norme del diritto

internazionale umanitario, convenzionale e/o generale. Un tale

approccio, in combinazione con l’assegnazione di giudici internazionali,

avrebbe potuto accrescere la legittimazione all’organo giudicante. Le

eccezioni al quadro descritto sono state davvero rare. Nel caso “Llap”, i

crimini di guerra sono stati qualificati associando alle rilevanti

disposizioni del diritto penale locale le corrispondenti norme di diritto

internazionale pattizio. Nel più volte citato caso del serbo-kosovaro

Vuckovic, non riscontrando prove suffraganti la sussistenza del dolus

specialis del crimine di genocidio, un panel a maggioranza

internazionale della Corte Suprema ha suggerito, in dicta ed ultra petita,

che i fatti ascritti ad esponenti del regime di Milosevic “cannot be

qualified as criminal acts of genocide, since their purpose was not the

destruction of the Albanian ethnic group in whole or in part, but its

forcefully departure from Kosovo as a result of systematic campaign of

terror including murders, rapes, arsons and severe maltreatments” e che,

pertanto, “such criminal acts correspond to the definition of crimes

against humanity given by international laws (widespread or systematic

plan of attack against civilian population during the war) or can be

qualified war crimes as per Article 142 of the CLY [CPRFJ].”86

Il citato

passaggio, se da un lato risulta apprezzabile per lo sforzo profuso nella

corretta qualificazione dei fatti sub specie juris gentium, dall’altro ha

rivelato come la Corte Suprema, specie nella sua composizione “ibrida”,

abbia preferito porsi, all’interno del sistema giudiziario kosovaro, come

un’istanza giurisdizionale più incline ad un velato riesame ultra vires dei

fatti (funzione della Corte Distrettuale in sede di retrial) piuttosto che, in

ossequio alla legge, come “cour de cassation”, le cui pronunce, ancorché

non vincolanti erga omnes87

, dovrebbero prefiggersi la funzione di

85 OSCE LSMS, The “”Llapi Case”, Public Prosecutor’s Office vs Latif Gashi, Rrustem

Mustafa, Naim Kadriu and Nazif Mehmeti. 17 December, 2003. 86 Ibidem, pag. 49. 87 Come accade nei sistemi di common law.

CAPITOLO TERZO

152

armonizzare, a vantaggio dei giudici dei gradi inferiori, l'interpretazione

giurisprudenziale delle norme più ambigue (c.d. funzione nomofilattica).

Più numerosi, e talvolta eclatanti, sono stati gli errori. Nel già

menzionato caso Trajkovic, la sentenza di primo grado emessa il 6

marzo del 2001 da un panel a maggioranza locale della Corte

Distrettuale di Gjilan ha qualificato i fatti imputati ad un serbo-kosovaro

come crimini di guerra ex art. 142 del CPRFJ; l’unico giudice

internazionale assegnato al panel col ruolo di presidente ha qualificato

diversamente tali fatti, avendo considerato, a torto, l’art. 142 del CPRFJ

come la codificazione delle vigenti norme di diritto internazionale

generale sui crimini contro l’umanità. Paradossale è stato che la Corte

Suprema non si sia avveduta dell’errore (o non abbia voluto

discuterne)88

.

d) Raramente le sentenze emesse da panel “ibridi” hanno richiamato

fonti giurisprudenziali e dottrinali autorevoli, suscettibili di conferire

maggiore solidità al ragionamento giuridico e più ampia legittimità al

giudizio. Raro è il riferimento alle decisioni di tribunali internazionali

(penali e non). Nel già ricordato caso Kolasinac è stata citata la

giurisprudenza di entrambi i TPIh, ed in particolare, come già ricordato

al punto b), quella del TPIR sulla responsabilità di comando. In alcuni

casi, addirittura, il riferimento alla giurisprudenza internazionale è stato

fuori luogo e fuorviante. Ad esempio, sempre nel caso Trajkovic, la

citazione di un passo di una sentenza del TPIJ relativo alla definizione di

“crimini contro l’umanità” è stata preludio dell’errore di qualificazione

giuridica dei fatti accennata al punto c). Del tutto assente è il riferimento

alle sentenze emesse da corti nazionali che abbiano fondato sul principio

di giurisdizione penale universale la propria competenza a perseguire e

giudicare crimina juris gentium.

Quanto alle fonti dottrinali, qualche volta89

si è fatto riferimento ai

pochi commentari sui rilevanti articoli del CPRFJ90

, giammai al

Commentario della CDI sulla Bozza di Codice dei Crimini contro la

Pace e la Sicurezza dell’Umanità del 199691

.

88 Ibidem, pagg. 24-25, 47. 89 Caso Jovanovic (indictment dell’1 febbraio del 2000), ibidem, pagg. 25-26, 47. 90 Tra tutti si ricordano: F. BACIC et al., Commentary on the Criminal Law of the

Federal Republic of Yugoslavia, 5th edition, Belgrade, 1999; L. LAZAREVIC,

Commentary on FRY CC 26, Savremena Administracija, Belgrade, 1999. 91 OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pag. 33.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

153

e) Per la valutazione dell’attendibilità delle deposizioni dei

testimoni, i panel ibridi avrebbero potuto adottare i criteri fissati dai due

TPIh. In relazione al caso Akayesu, il TPIR ha stabilito che le

incongruenze e le contraddizioni tra le deposizioni processuali dei

testimoni e le loro prime dichiarazioni al procuratore non sono un

sufficiente motivo per ritenere che i testimoni hanno dichiarato il falso,

in quanto è plausibile che: i) le percezioni umane siano fallibili, ii) la

memoria individuale degeneri col trascorrere del tempo, iii) i testimoni

abbiano subito, nell’assistere al crimine, un trauma tale da influenzare la

loro capacità di raccontare in sede giudiziaria la sequenza di eventi visti,

iv) esistano barriere linguistiche e culturali alla comunicazione92

. Inoltre,

già qualche anno prima, il TPIJ aveva dichiarato che un teste non può

essere dichiarato inaffidabile per il semplice fatto di essere stato vittima

di un crimine commesso dalla stessa etnia dell’imputato93

.

Le sentenze emesse da panel “ibridi” hanno, invece, fatto discendere

l’inaffidabilità di un teste in automatico dal deficit di coerenza tra

deposizione processuale e dichiarazioni rese alle autorità KFOR, al

giudice inquirente o in altri processi (ad esempio davanti al TPIJ). Fa

parzialmente eccezione il caso Stanojevic94

, in cui il giudice

internazionale ha considerato un nutrito elenco di criteri per ponderare la

credibilità dei testimoni: stress, paura, tempo trascorso dai fatti, ostilità

etnica, pressioni della comunità etnica locale, rumores locali ed

internazionali, mentalità etnica ed aspettative tra pari95

.

f) Sporadicamente le sentenze emesse da panel “ibridi” si sono

richiamate ai principali strumenti internazionali convenzionali posti a

tutela del cluster di diritti umani connessi alla nozione di fair trial,

sebbene le Regulation UNMIK abbiano ripetutamente sancito la diretta

applicabilità degli stessi. Ancora nel caso Trajkovic, ribadendosi la

diretta applicabilità della CEDU, la Corte Suprema ha dato istruzioni alla

Corte Distrettuale in tema di diritti del detenuto96

. Nel caso Stojanovic97

,

a proposito della mancata convocazione di testimoni a discarico residenti

92 Prosecutor vs. Akayesu, ICTR 96-4-T, Trial Chamber Judgement of 2 September 1998,

par. 140. 93 Prosecutor vs. Tadic, IT-97-1, Trial Chamber Judgement of 7 May 1997, par. 54. 94 Cit., supra. OSCE LSMS, Kosovo’s War Crimes Trial: a Review, cit., pag. 19. 95 Ibidem, pagg. 38-41. 96 Ibidem, pag. 52. 97 Cit., supra.

CAPITOLO TERZO

154

nella Serbia vera e propria, è stato citato l’art. 6, par. 3, lett. d) della

CEDU98

.

III.3 Le prospettive

Il Programma GPI è, ad oggi, un’esperienza ancora in fieri sul cui

futuro è, pertanto, possibile speculare. Saranno dapprima criticamente

presentati i progetti già esplorati, sia pur senza successo (par. III.3.1);

quindi, premesse alcune notazioni sul quadro istituzionale post-UNMIK

disegnato dalla proposta Ahtissari (par. III.3.2), verranno analizzate le

previsioni che la stessa dedica al Programma GPI (par. III.3.3)99

.

III.3.1 I progetti esplorati

La exit strategy del Programma GPI non è stata ancora definita.

Certo è che un continuato ricorso a giudici e procuratori internazionali è

da considerarsi essenziale tanto nel perdurante processo di trasferimento

di poteri e funzioni a favore delle IPAG quanto nella futura fase a

gestione UE, il cui inizio potrebbe aversi entro la fine del 2007.

Tale orientamento è emerso, già nell’ottobre 2005, dal Rapporto

dell’Ambasciatore Kai Eide, allora Inviato Speciale del SG dell’ONU,

secondo il quale “[a] continued presence of international judges and

prosecutors will (…) be required to handle cases related to war crimes,

organized crime and corruption as well as difficult inter-ethnic cases.

The currently ongoing reduction of international judges and prosecutors

is premature and should urgently be reconsidered. The results of such

reductions would be a further loss of credibility of the justice system and

of confidence among the population in general and the minority

communities in particular. There is little reason to believe the local

judges and prosecutors will be able to fill the functions carried out by

international personnel in the near future ”.

Lo scenario affrescato invita a considerare alcune proposte di

progetto provenienti dall’Ufficio del Capo dei Giudici Internazionali,

dott. Carol M. Peralta, e che faticano a concretizzarsi, sebbene siano

state avanzate da tempo, e ad interrogarsi sulla loro adeguatezza e

sostenibilità in vista dell’avvicendamento dell’UE all’ONU.

98 Ibidem, pagg. 18-19, 52. 99 L’intero paragrafo III.3 è stato direttamente curato dal dott. Alessandro De Rienzo,

funzionario di contatto presso l’Ufficio del Capo dei Giudici Internazionali del DG

UNMIK. Le opinioni da lui espresse sono da considerarsi esclusivamente personali e,

pertanto, non rispecchiano la posizione ufficiale dell’ONU.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

155

Il Progetto per una continuata presenza dei giudici internazionali

In risposta ad una richiesta delle autorità locali, già nell’aprile del

2005 è stato presentato un primo progetto dal titolo “Enhancement of the

presence and utilisation of International Judges in Kosovo during the

transition phase 2005-2006 and thereafter”. Esso si inserisce nell’ambito

della proposta di Regulation sulla giurisdizione unica e definita, volta ad

abrogare le due Regulation n. 6/2000 e n. 64/2000100

.

Scopo del progetto è predisporre un insieme di correttivi volti a

rafforzare le garanzie minime proprie dello stato di diritto, eliminando le

principali cause di malfunzionamento del Programma GPI, tra cui si

annoverano: la mancanza di una sede di tribunale unica, con uffici e sale

d’udienza, ove perseguire e aggiudicare i casi sinora riservati agli

internazionali; la mancanza di una giurisdizione unica su tutto il Kosovo

(single jurisdiction) e limitata a specifici reati (defined jurisdiction);

l’insufficiente integrazione tra la componente giudiziaria internazionale e

quella locale; la mancanza di una cancelleria centralizzata per la

gestione dei casi di competenza degli internazionali; e, infine, la

mancanza di condizioni economiche appropriate per la componente

locale e di misure di sicurezza idonee a garantire lo svolgimento delle

attività giudiziarie.

L’identificazione di una già esistente struttura (o la sua costruzione

ex novo) idonea ad ospitare giudici e procuratori internazionali è

certamente il prerequisito materiale per l’attuazione del progetto ma di

per sé insufficiente a porre le basi legali ed istituzionali dello stesso.

A tal fine, la proposta di Regulation, oltre ad istituire in via

legislativa la figura del Capo dei Giudici Internazionali e del Capo dei

Procuratori Internazionali, prevede che la competenza dei magistrati

internazionali sia circoscritta, oltre che alle attività di carattere

internazionale (rogatorie ed estradizioni), ai reati più gravi: crimini di

guerra, corruzione, terrorismo, crimine organizzato, reati inter-etnici e a

movente politico, complessi reati finanziari e reati che coinvolgono

personale dell’UNMIK. Tale limitazione mira a fare chiarezza circa i

metodi di selezione dei casi da parte della componente internazionale101

e ad arginare il problema relativo alla potenziale discrezionalità del DG

nell’assegnazione di giudici e procuratori internazionali ai casi

100 La proposta, la cui versione più aggiornata risale al gennaio del 2006, è nota come

UNMIK Regulation on International Judges and Prosecutors e risulta ancora al vaglio

delle competenti autorità UNMIK. 101

La selezione dei casi sulla base dell’individuazione di reati specifici è stata suggerita

dall’OSCE a più riprese. In tal senso, si veda OSCE LSMS, Kosovo Review of the

Criminal Justice System 1999-2005, cit, pag. 65.

CAPITOLO TERZO

156

“sensibili”102

, assicurando così il rispetto dei principi di indipendenza ed

imparzialità sanciti all’articolo 6 della CEDU.

La proposta introduce poi una giurisdizione unica su tutto il Kosovo,

allo scopo di far fronte al problema connesso ad un qualsivoglia

procedimento interlocutorio, che, coinvolgendo un giudice

internazionale nel merito di un caso, lo inabilita a sedere, in seguito, nel

panel che aggiudicherà quello stesso caso. Il numero di giudici

internazionali disponibili è talmente ridotto che vi è il rischio di ricadere

nella sfera d’applicazione dell’articolo 40 del CPPP, la c.d. “clausola

d’esclusione”, che prevede i casi di incompatibilità e ricusazione del

giudice. Rendendo possibile la composizione di panel con giudici

internazionali dell’intero organico GPI, la Regulation n. 64/2000 aveva

già cercato di ovviare a tale rischio, incappando, tuttavia, nella

violazione del principio di pre-costituzione del giudice naturale103

. La

previsione di una giurisdizione estesa a tutto il Kosovo (Kosovo-wide)

consentirebbe di superare tale inconveniente.

La proposta prevede, inoltre, la cooptazione di una decina di

professionisti locali (e di personale di supporto) rappresentativi di tutte le

etnie e le religioni del Kosovo, da affiancare alla componente

internazionale per la trattazione di casi aventi ad oggetto le figurae

criminis sopra elencate. La selezione di questi ultimi sarebbe vincolata al

previo accertamento dei requisiti di professionalità tecnica oltre che di

non coinvolgimento in pratiche discriminatorie. Obiettivi di capacity

building sarebbero sostenibilmente perseguiti attraverso la formula

dell’in-job training, corredata da seminari proposti e tenuti da vari attori

presenti sul territorio (OSCE, Consiglio d’Europa, IGK, CGPK, oggi

CGK).

Nel contempo, la creazione di un Ufficio del Registro centralizzato e

la predisposizione di una banca-dati elettronica per i casi inerenti ai reati

di competenza, si proporrebbero di ovviare al problema

dell’allungamento dei tempi procedurali104

.

102 Ibidem, pag. 66. 103 Prevedendo che l’assegnazione di uno o più giudici ad un caso avvenga nel distretto

cui essi sono stati precipuamente nominati, la Regulation UNMIK n. 6/2000 sarebbe,

invece, conforme al principio del giudice naturale. 104 Gli atti di parte e della corte continuerebbero ad essere registrati dalla sola cancelleria

della corte territorialmente competente, gestita esclusivamente da personale locale; i

documenti dovrebbero essere tradotti in inglese e passare attraverso diverse mani -col

rischio di perdita materiale- prima di raggiungere il corpo di giudici internazionali e/o le

parti interessate.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

157

Da ultimo, incentivi economici e incremento delle misure di

sicurezza servirebbero ad attrarre l’interesse della comunità giuridica

locale verso il progetto.

Tuttavia, la proposta descritta sembra non riscuotere successo. In

primo luogo, la cornice legislativa di riferimento sulla giurisdizione

unica e definita non è stata approvata, sopraffatta dal susseguirsi di

proposte legislative di diversa natura ed importanza. Inoltre, essa erra

laddove continua a fare riferimento alla persona dei procuratori e giudici

internazionali, e ai panel da questi composti, piuttosto che ad

un’istituzione locale vera e propria con una giurisdizione su tutto il

Kosovo e su specifici reati. Pertanto essa continua ad apparire in

contrasto col principio della pre-costituzione del giudice. In secondo

luogo, non si è ricevuta risposta da taluni governi donatori circa la

richiesta del DG, risalente al dicembre 2005, di riconvertire parte dei

fondi, ammontanti a 400.000 Euro - impegnati su altri progetti- per la

costruzione di un edificio da adibire a corte. Infine, avvicendamenti ai

vertici del DG, occorsi nel febbraio del 2006, hanno contribuito al

congelamento del progetto.

Il Progetto di una Corte Speciale per il Kosovo

Dato il limitato interesse -soprattutto dei vertici internazionali- verso

il progetto illustrato nella sezione precedente, nel settembre del 2006 è

stata proposta una soluzione di più ampio respiro portante sullo Statuto

di una Corte Speciale (denominata “Serious Crimes Court of Kosovo”),

riecheggiante l’antica idea di una CKCGE105

.

Il progetto di Corte Speciale trae spunto dall’esperienza delle

Camere Speciali della Corte di Stato di Bosnia-Erzegovina, in cui giudici

e procuratori internazionali siedono accanto a colleghi nazionali.

L’esperimento istituzionale bosniaco sottende le medesime esigenze oggi

avvertite in Kosovo: la necessità di combattere specifici reati (e.g.

crimini di guerra, corruzione e reati finanziari) ed il contestuale bisogno

di capacity building per giudici e procuratori locali. La presenza di un

organo di amministrazione internazionale in una situazione post-

conflittuale in cui permangono pericolose linee di tensione interetnica è

poi un ulteriore fattore socio-politico comune ai due scenari.

Per garantire maggiore imparzialità, indipendenza e trasparenza, la

proposta fa leva sull’introduzione dello Statuto della Corte via

Regulation e sull’integrazione di quest’ultimo, tramite opportuni

emendamenti, col vigente CPPP. La Corte diverrebbe, così,

105 Si veda supra, al par. II.4.3.

CAPITOLO TERZO

158

un’istituzione giudiziaria locale a tutti gli effetti e, come tale,

maggiormente idonea ad integrarsi nel contesto socio-giuridico

kosovaro.

I tratti salienti di questa proposta legislativa sono:

1) la strutturazione della Corte in un Tribunale di prima istanza,

una Camera d’Appello e una Camera Speciale di Cassazione (integrata

nella già esistente Corte Suprema) e la predeterminazione del numero di

giudici internazionali e locali;

2) la contemplazione di una serie di reati, tali e quali descritti dal

vigente CPP, di esclusiva competenza della Corte in prima istanza e in

appello, e l’introduzione della giurisdizione della Camera Speciale di

Cassazione sui casi di “protection of legality” connessi ai soli

procedimenti avviati davanti alla Corte Speciale106

;

3) l’estensione della giurisdizione della Corte, per le figurae

criminis di competenza, ai procedimenti in cui l’imputato sia un minore

o un giovane adulto;

4) la facoltà del Tribunale di rimettere il procedimento, prima

del rinvio a giudizio, ad un’altra corte ritenuta competente per legge;

5) l’istituzione, quale organo indipendente presso la Corte, di un

USPK con giurisdizione esclusiva sulle indagini e sui procedimenti

inerenti ai reati di competenza della Corte medesima;

6) l’introduzione, per via legislativa, delle funzioni e delle

competenze del Presidente e del Vice Presidente della Corte, del

Procuratore-Capo e del Vice Procuratore-Capo dell’USPK;

7) l’istituzione, sotto l’esclusiva autorità funzionale e

disciplinare del Procuratore-Capo, di un Ufficio di Polizia Giudiziaria

con una giurisdizione esclusiva sulle indagini e sui procedimenti di

competenza dell’USPK;

8) l’istituzione di un Gran Consiglio, composto da tutti i giudici

e procuratori, locali ed internazionali, nominati presso la Corte, con

competenze proprie, incluso il potere di nomina dei membri dei Comitati

di cui al punto successivo;

9) l’istituzione di Comitati ad hoc formati da giudici e

procuratori volti all’accertamento di responsabilità disciplinari dei

giudici o procuratori della Corte;

10) la previsione di organi e personale ausiliario della Corte, tra

cui il Direttore della Corte, con funzioni di supervisione

106 Questi casi sono assimilabili ai ricorsi in Cassazione in quanto producono

l’annullamento della decisione impugnata.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

159

dell’organizzazione e operato degli ulteriori organi quali l’Ufficio del

Registro, l’Ufficio Amministrativo e l’Ufficio Legale;

11) la previsione di un bilancio proprio della Corte, ivi incluso

l’USPK;

12) la previsione di emendamenti miranti ad integrare certe

disposizioni del CPPP con la disciplina della Corte nonché a disciplinare

certi specifici aspetti di natura tecnico-procedurale che sono attualmente

causa di malfunzionamento e/o della lunghezza dei procedimenti;

13) la previsione di una sezione sulla legge applicabile con un

esaustivo richiamo agli strumenti internazionalmente riconosciuti e

applicabili in Kosovo in materia di protezione dei diritti umani;

14) la previsione di una disposizione abrogativa delle Regulation

n. 6/2000 e n. 64/2000;

15) la previsione di disposizioni transitorie e finali, tra cui il

principio di applicabilità delle norme procedurali del CPPP, la

regolamentazione dei casi già avviati e pendenti davanti ad altre corti e

che ricadono sotto la giurisdizione della Corte, la selezione del personale

locale ed internazionale e le successive modifiche del numero iniziale di

personale per ogni funzione nell’ottica del phasing-out di UNMIK.

I benefici di una tale proposta appaiono molteplici e di diversa

natura:

1) per la prima volta competenze giurisdizionali finora attribuite

a singoli giudici e procuratori internazionali sarebbero trasferite ad un

foro unico, con sede a Pristina, preposto al perseguimento di specifici

reati che costituiscono la causa principale dell’instabilità regionale;

2) conseguentemente, i limiti intrinseci alla Regulation n.

64/2000 e mai eliminati in seguito (in primis la creazione di collegi ad

hoc, e la selezione on a case by case basis) verrebbero automaticamente

superati, in quanto la Corte, nei suoi diversi gradi di giudizio, opererebbe

come un giudice naturale pre-costituito per legge;

3) la previsione di una componente locale ed internazionale,

predefinite nel numero, darebbe maggiore coesione ad entrambi gli

organi, inquirente e giudicante, con ricadute positive in termini di

efficacia/efficienza funzionale e di capacity-building a favore dei locali;

4) la costituzione in seno all’USPK di un Ufficio di Polizia

Giudiziaria formato da forze di polizia internazionali e locali sotto la

direzione e responsabilità del Procuratore Capo dell’USPK

rappresenterebbe una novità assoluta in Kosovo e contribuirebbe al

rafforzamento delle capacità investigative locali, rendendo ancora più

efficace la lotta contro i reati più gravi;

CAPITOLO TERZO

160

5) l’introduzione dell’Ufficio del Registro e la creazione di un

data-base elettronico garantirebbero accesso ad informazioni aggiornate

sui casi e sul lavoro della Corte e della Procura tanto a fini statistici che

operativi. Tale ufficio unico eviterebbe, inoltre, la duplicazione delle

attività di registrazione e archiviazione dei documenti e consentirebbe al

personale ausiliario dei giudici di concentrarsi esclusivamente su

questioni di carattere squisitamente tecnico-giuridico;

6) la Corte sarebbe uno strumento flessibile e, in quanto tale, ben

si adatterebbe alle esigenze della transizione. Grazie alla sua integrazione

nel CPPP e al phasing-out della componente internazionale, la Corte

avrebbe in sé le potenzialità per essere gestita dalla subentrante Missione

UE e, in prospettiva, dall’amministrazione locale;

7) gli investimenti richiesti per il funzionamento della Corte

sarebbero minori rispetto a quelli attuali, in quanto la Corte, col

progredire del progetto, potrebbe far ricorso ad un accresciuto numero di

risorse umane locali. Conseguentemente, si renderebbero disponibili

fondi per incentivare la componente locale all’assunzione di incarichi di

maggior responsabilità, garantendo, così, un loro prolungato interesse al

progetto.

Nonostante gli evidenti vantaggi, anche questa proposta sembra non

essere gradita all’ambiente kosovaro. Il 30 settembre del 2006,

l’Administrative Direction n. 15 ha previsto la costituzione dell’USPK in

quanto un’unità organica alla DP del DG. L’USPK è stato investito della

responsabilità di selezionare, formare e assistere un gruppo di

procuratori specializzati nel perseguire, in qualsivoglia competente corte

del Kosovo, i reati più gravi previsti dal CPP, tra cui, a titolo indicativo,

il crimine organizzato, la corruzione, i reati motivati dalla razza, da un

background nazionale o etnico, o dalla religione, il terrorismo e il

traffico di persone. Ad una tale previsione non se ne accompagna,

tuttavia, una analoga per i giudici, nonostante le chiare indicazioni al

riguardo contenute nella proposta di Regulation sulla Corte Speciale. A

ciò si aggiunga che l’UE sembra mostrare alcune reticenze al progetto di

Corte Speciale, preferendogli il sistema del Programma GPI, tanto da

lasciar intendere un possibile incremento del numero dei giudici e

procuratori internazionali ed una concomitante riduzione delle funzioni.

Nell’attuale prospettiva di smobilitazione, appare assai improbabile

che UNMIK si concentri su questioni strategiche cui è intrinseco un

orizzonte di medio-lungo termine. Pertanto, è da escludere che i due

progetti sopra descritti possano integralmente essere realizzati a breve.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

161

Solo il progetto dell’USPK è stato approvato, quasi a sancire

definitivamente il principio che i giudici del Kosovo non necessitano di

alcun aiuto esterno.

Tuttavia, alcuni passi in avanti sono stati fatti. Ad esempio, un

funzionario internazionale è stato reclutato per svolgere funzioni di

cancelleria e per creare un data-base elettronico. Il reclutamento del

personale di supporto da affiancare ai giudici locali è stato effettuato tra

il primo e il secondo semestre del 2006, per interrompersi bruscamente

alla fine dello stesso anno per motivi strategico-budgetari. Dal settembre

del 2005, il RSSG ha sviluppato la prassi di attribuire ai magistrati

internazionali -all’atto della nomina- una competenza Kosovo-wide107

. In

forza di tale giurisdizione, dei magistrati internazionali sono stati talvolta

assegnati a corti ordinarie per trattare anche alcune -invero poche- liti in

materia civilistica diverse da quelle descritte al paragrafo II.2.3.

Non si esclude che, nel futuro prossimo, l’adozione di una

Regulation sulla giurisdizione unica e definita, incorporante la disciplina

dell’USPK di recente approvazione, possa almeno dar luogo ad una corte

speciale almeno de facto.

In assenza di volontà politica, neppure questo second best potrebbe

essere conseguito e allora lo scenario più probabile resterebbe quello di

un continuato utilizzo, fino all’avvicendamento con l’UE, dell’attuale

configurazione giuridico-istituzionale del Programma GPI. La missione

UE erediterebbe, così, tutti i limiti del programma e potrebbe addirittura

fare un passo indietro, decidendo di dislocare giudici e procuratori

internazionali nelle cinque Corti Distrettuali.

In ogni caso, sarebbe quantomeno auspicabile che l’UE ed UNMIK

facessero fronte a certe problematiche di comune interesse nella fase di

transizione, a presidio di quanto sinora realizzato dal DG.

A tal fine, logica impone che l’UE trasferisca presso la propria

missione la componente di magistrati internazionali che sarà in forza al

DG al momento del passaggio di consegne108

. Ciò renderebbe possibile

107 Invero, tale prassi si basa sulla Administrative Direction n. 13 del 2000, per la quale si

veda supra al par. II.3. L’attuazione -tardiva- della Direction si deve ad una richiesta del

DG a sua volta originata su impulso del Capo dei Giudici Internazionali. 108 Siccome un siffatto trasferimento sarebbe possibile a condizione che i giudici ed i

procuratori in forza all’UNMIK siano cittadini dell’UE, il DG dovrebbe provvedere alla

sostituzione, sulla base di prinicipi non discriminatori, di quei magistrati extracomunitari

in scadenza di contratto con altrettanti appartenenti all’UE, ovvero a Paesi terzi con cui

l’UE abbia stabilito un accordo. D’altra parte, solo in questo modo sarebbe possibile

sottrarsi al vincolo giuridico imposto dall’articolo 345, co. 3 del CPPP, che sancisce

l’obbligo di ricominciare il procedimento ogniqualvolta si renda necessaria la

sostituzione del presidente del collegio nel corso del dibattimento; con tali premesse,

CAPITOLO TERZO

162

la continuità strategico-funzionale tra le due organizzazioni

internazionali e sancirebbe, nel contempo, il trasferimento dell’acquis

tecnico-procedurale e della memoria istituzionale proprie dei giudici e

procuratori internazionali attualmente in forza all’UNMIK. Ogni altra

soluzione che escluda il trasferimento di quest’ultimi sotto l’egida

dell’UE è da scoraggiare e rappresenta di sicuro il peggior scenario

immaginabile.

III.3.2 Gli sviluppi della presenza internazionale in Kosovo: il futuro

ruolo dell’UE nel settore della giustizia

Quale che sarà l’esito dei negoziati tra Pristina e Belgrado, è ormai

acquisito che una continuata presenza internazionale, civile e militare,

sarà comunque necessaria per la stabilizzazione del Kosovo: nella

migliore delle ipotesi, servirà per monitorare l’attuazione dell’accordo

che le parti potrebbero raggiungere sulla base della proposta Ahtisaari;

nella peggiore, ad evitare che il mancato raggiungimento di un accordo e

la paralisi decisionale del CS dell’ONU possa degenerare in un nuovo

conflitto regionale. La NATO, come rivela la proposta Ahtisaari109

, ha

già manifestato la sua ferma volontà di continuare a mantenere in

Kosovo la missione KFOR -oltre 16.000 uomini per un costo medio

annuo di almeno 1,5 miliardi di dollari. La proposta ha, inoltre,

incorporato l’intenzione dell’UE di ricoprire un ruolo centrale nella fase

“post-status”, un’intenzione che rappresenta l’ideale punto di arrivo di

un non sempre lineare processo di maturazione politica della stessa UE.

La vicenda kosovara ha rappresentato una pietra miliare nella storia

del processo europeo. La fallimentare mediazione diplomatica delle

cancellerie continentali e l’unilaterale attacco “umanitario” sferrato dalla

NATO contro l’allora RFJ, ritenuta responsabile di una campagna di

pulizia etnica in Kosovo, è stato un potente catalizzatore

dell’integrazione politica europea. Preso atto dell’impotenza europea nei

confronti della crisi kosovara, il Consiglio Europeo di Colonia del 3-4

giugno del 1999 ha dato impulso all’integrazione nel settore della difesa:

“the Union must have the capacity for autonomous action, backed by

credible military forces, the means to decide to use them, and readiness

to do so, in order to respond to international crises without prejudice to

risulta evidente l’impossibilità di assegnare un giudice extracomunitario ad un caso di

lunga durata o, se non ancora iniziato, prevedibilmente lungo, senza correre il rischio di

dover arrestare il procedimento, e ricominciarlo ab initio, prima della sua fine. 109 Annesso XI della proposta Ahtisaari.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

163

actions by NATO”110

. Tuttavia, l’UE, difettando nell’immediato della

necessaria capacità organizzativo-istituzionale per assumere

responsabilità di rilievo politico e militare111

, si è ritagliata, nell’ambito

della missione multi-task disposta dal CS dell’ONU con la risoluzione n.

1244/1999, un ruolo consono alla sua identità consolidata di “unione

mercantile”: la ricostruzione economica (IV Pilastro UNMIK112

).

L’ONU e l’OSCE hanno tenuto per sé le funzioni più “politiche” della

missione (rispettivamente, l’amministrazione interinale della provincia e

l’institution-building). Gli Stati membri dell’UE hanno preferito

accettare un coinvolgimento politico e militare -in alcuni casi anche

intenso ed oneroso- in altri consessi multilaterali: la stessa ONU, la

NATO ed il Gruppo di Contatto.

Solo nel giugno del 2005 il Consiglio Europeo, nella prospettiva del

ritiro della missione ONU, ha espresso la volontà dell’UE di giocare un

ruolo centrale nel continuato perseguimento degli standard da parte delle

autorità kosovare, nella definizione della proposta di status definitivo del

Kosovo e nel monitoraggio sull’attuazione dell’accordo che da tale

proposta potrà derivare. Il successivo 6 dicembre, un rapporto congiunto

del Segretario Generale del Consiglio dell’UE, dell’Alto Rappresentante

per la Politica Estera e di Sicurezza (PESC) e della Commissione

Europea ha indicato nel Processo di Stabilizzazione ed Associazione

(PSA)113

lo strumento per la normalizzazione delle relazioni tra UE e

110 EU Presidency, European Council Declaration on Strengthening the Common

European Policy on Security and Defence, Cologne European Council, 3 and 4 June

1999, par. 1. 111 Il Trattato di Amsterdam del 2 Ottobre del 1997, con le sue previsioni sulla figura

dell’Alto Rappresentante per la PESC, è entrato in vigore proprio durante l’azione aerea

della NATO contro l’ex RFJ (1° maggio del 1999). Sull’evoluzione della politica di

difesa comune si veda B. OLIVI, L'Europa difficile. Storia politica dell'integrazione

europea. 1948-2000, Bologna, 2003. 112 Tra il 1998 ed il 2005, l’impegno finanziario dell’UE nel IV Pilastro di UNMIK è

stato di 102 milioni di euro (fonte: AER, <http://ear.eu.int>). 113 Il processo di progressiva disgregazione della ex Jugoslavia va in controtendenza

rispetto alle dinamiche storiche in atto, tese a creare entità sovranazionali di natura

anzitutto economica, ma anche politica, per superare gli angusti confini nazionali in un

mondo sempre più globalizzato. Per offrire al disarticolato spazio post-jugoslavo una

prospettiva di integrazione capace di disinnescare pericolosi nazionalismi fratricidi, l’UE

ha avviato, già dal novembre del 2000 (vertice di Zagabria), il PSA. Il programma

CARDS (cui, dal 2007, è subentrato l’IPA, Instrument for Pre-Accession Assistance) e

l’AER sono due degli strumenti attraverso cui l’UE accompagna il PSA. Tra il 1998 ed il

2005, l’UE ha impegnato in Kosovo, attraverso l’AER nell’ambito del CARDS, 1,1

miliardi di euro (fonte: AER, cit.). Altre voci dell’impegno finanziario dell’UE in

Kosovo sono: l’assistenza umanitaria ed il contributo finanziario straordinario al Bilancio

del Kosovo, ammontanti, rispettivamente, al 2005, a 375 e 65 milioni di euro. A queste,

CAPITOLO TERZO

164

Kosovo ed ha sottolineato la necessità di una Squadra di Pianificazione

dell’UE (SPUE) per la preparazione di una futura missione di Politica

Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) con importanti compiti nei settori

giudiziario e di polizia. Una missione congiunta Consiglio-Commissione

ha esplorato, nel febbraio del 2006114

, le priorità dell’impegno

comunitario nel settore dello stato di diritto ed ha suggerito, tra l’altro,

una strategia d’intervento basata sul dispiegamento rapido di almeno un

centinaio di magistrati dei 27 Paesi membri115

.

A tal fine, l’UE potrebbe capitalizzare l’esperienza maturata:

a) in ambito PESC, con gli interventi di riconciliazione post-

bellica attuati nel settore dello stato di diritto attraverso il Meccanismo di

Reazione Rapida116

;

b) in ambito PSA, con lo Strumento per l’Assistenza Tecnica e lo

Scambio di Informazioni (TAIEX) impiegato dalla Commissione per

distaccare esperti a breve termine a supporto del recepimento dell’acquis

communautaire nei Paesi di nuova adesione e nei Paesi partner.

Il 10 aprile del 2006, l’azione comune n. 304 adottata dal Consiglio

dell’UE nell’ambito dei poteri previsti dal Trattato UE in materia di

PESC117

ha disposto l’istituzione della SPUE (comprensiva di un gruppo

di lavoro appositamente dedicato alla giustizia), sotto il controllo politico

e la direzione strategica del Comitato Politico e di Sicurezza (CPS) del

infine, andrebbero aggiunti il contributo ad UNMIK al di fuori del IV Pilastro ed i fondi

allocati attraverso iniziative CARDS di tipo regionale. 114 Joint Council-Commission Fact Finding Mission regarding possibile ESDP and

Community engagement in the field of the rule of law, 19-27 February 2006. 115 D. HELLY, N. PIROZZI, “The EU’s changing role in Kosovo: what next?” in

European Security Review, Number 29, June 2006. Il dispiegamento di magistrati

internazionali in contesti di crisi non sarebbe una novità per l’UE, che, già dal Consiglio

Europeo di Santa Maria da Feira del giugno del 2000 ne ha fatto uno degli strumenti non

militari PESC: “Member States could establish national arrangements for selection of

judges, prosecutors, penal experts and other relevant categories within the judicial and

penal system, to deploy at short notice to peace support operations, and consider ways to

train them appropriately”. Study on concrete targets on civilian aspects of crisis

management (Appendix 3 to the Presidency Conclusions), Santa Maria da Feira

European Council, 19 and 20 June, par. 1, B., II lett. (i). Esempi di mobilitazione di

magistrati UE in contesti di crisi, principalmente con funzioni di institution & capacity-

building, sono costiuiti dalle Missioni EuJust Lex Themis - Georgia (Azione Comune del

Consiglio n. 523 del 28 giugno del 2004, Official Journal of the European Union,

29.06.2004, L 228) ed EuJust Lex - Iraq (Azione Comune del Consiglio n. 190 del 7

marzo del 2005, Official Journal of the European Union, 09.03.2005, L 62/37). 116 Regolamento del Consiglio EC 381/2001 del 26 febbraio del 2001. L’efficacia del

regolamento è cessata il 31 dicembre del 2006. 117 Per una disamina dei profili giuridici della PESC si veda C. ZANGHI’, Istituzioni di

diritto dell'Unione Europea, Torino, 2004.

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

165

Consiglio dell’UE, allo scopo di preparare il trasferimento di specifiche

funzioni di UNMIK ad una futura “crisis management operation”

dell’UE118

, che si stima dispiegherà circa 1.500 risorse, tra poliziotti,

funzionari di dogana e magistrati119

. Dapprima prevista fino al 31

dicembre del 2006, la scadenza del mandato della SPUE è stata in

seguito prorogata fino al 31 maggio del 2007120

.

Su questo quadro si innestano le previsioni contenute negli Annessi

IX e X della proposta Ahtisaari. La futura missione PESD dell’UE è

designata erede istituzionale di parte delle funzioni giudiziarie assolte dal

DG di UNMIK: “The ESDP [PESD] Mission (…) shall provide

mentoring, monitoring and advice in the area of the rule of law

generally, while retaining certain powers, in particular, with respect to

the judiciary (…), under modalities and for a duration to be determined

by the EU Council, in accordance with Annexes IX and X of this

Settlement”121

. Un Rappresentante Speciale dell’UE (RSUE) sarà posto

al vertice della missione e ricoprirà, contestualmente, la carica di

Rappresentante Civile Internazionale (RCI)122

; tale figura “double-

hatted” sarà, pertanto, nominata dal Consiglio dell’UE e,

contestualmente, da una Cabina di Regia Internazionale comprendente i

principali stakeholder internazionali e, preferibilmente, dovrà avere

l’appoggio del CS dell’ONU123

.

III.3.3 Il futuro delle corti “ibride” in Kosovo secondo la “proposta

Ahtisaari”

Alcuni puntuali passaggi degli Annessi I (“Previsioni

Costituzionali”), VII (“Proprietà ed Archivi”) e, soprattutto, IX

(“Rappresentante Civile Internazionale”) della proposta Ahtisaari

tracciano il futuro del Programma GPI. Nella proposta si prevede che il

vertice della nuova presenza internazionale civile, disporrà, in qualità di

118 Azione Comune del Consiglio n. 304 del 10 aprile del 2006 (Official Journal of the

European Union, 26.04.2006, L 112/19). 119 European Union Planning Team for Kosovo – EUPT KOSOVO, Fact Sheet EUPT

and the future ESDP mission, accessibile on line <http://www.eupt-kosovo.eu>. Al

settembre del 2006, 461 persone (di cui solo 125 provenienti da Stati membri)

compongono lo staff del IV Pilastro UNMIK a guida UE. UNMIK, Kosovo Fact sheet,

October 2006. 120 Azione Comune del Consiglio n. 918 dell’11 dicembre del 2006 (Official Journal of

the European Union, 12.12.2006, L 349/57). 121 Art. 12.3 della Proposta Ahtisaari, pag. 8. 122 Si noti l’analogia con la Bosnia-Erzegovina dove l’Alto Rappresentante istituito con

gli accordi di Dayton è anche RSUE. 123 Ibidem, art. 11.1 dei Principi Generali, pag. 7.

CAPITOLO TERZO

166

RCI, del potere di nominare giudici e procuratori internazionali124

;

mentre, in quanto RSUE, eserciterà i poteri necessari per garantire che i

reati di maggior rilievo (crimini di guerra, terrorismo, crimine

organizzato, corruzione, reati inter-etnici, reati economico/finanziari

“and other serious crimes”) siano adeguatamente:

a) indagati, nel rispetto della legge, con il supporto, ove opportuno,

di investigatori internazionali operanti congiuntamente alle, ovvero

indipendentemente dalle, autorità locali125

;

b) perseguiti, ove opportuno, da procuratori internazionali operanti

congiuntamente a, ovvero indipendentemente da, procuratori kosovari126

;

c) aggiudicati da giudici internazionali che siedano da soli ovvero in

panel misti “in the court which has jurisdiction over the case”127

;

Benché la figura del RCI ricalchi quella del RSSG, al rischio

d’interferenza dell’esecutivo sul potere giudiziario ovvierebbe la

meritoria previsione secondo cui la selezione dei casi di competenza di

procuratori e giudici internazionali dovrà basarsi su “objective criteria

and procedural safeguards, as determined by the Head of the ESDP

[PESD] Mission”128

.

Con riferimento al punto a), va accolta con favore la previsione di

un corpo di investigatori internazionali, segmento istituzionale che,

anche alla luce delle novità introdotte dal CPPP, andrebbe

opportunamente raccordato con quello dei procuratori, internazionali e

locali, per accrescere d’efficacia ed efficienza le capacità inquisitorie di

questi ultimi.

Purtroppo, con riferimento ai punti da a) a c), si osserva che

l’indefinita formula “and other serious crimes” posta a chiusura

dell’elenco di reati suscettibili di essere indagati, perseguiti e aggiudicati,

rispettivamente, da investigatori, procuratori e giudici internazionali crea

un limite analogo a quello dell’Administrative Direction n. 15/2006

istitutiva dell’USPK, che fornisce solo un elenco indicativo dei reati

perseguibili dai procuratori “speciali”. Più esplicitamente, il rischio è che

la competenza ratione materiae degli internazionali rimanga ancora una

volta “aperta”. 124 Ibidem, art. 2.2 dell’Annesso IX, pag. 50. 125 Ibidem, art. 2.3 lett. a) dell’Annesso IX, pag. 51. 126 Ibidem, lett. b). 127 Ibidem, lett. c). 128 Ibidem, lett. b) e c). Maggiori garanzie di indipendenza si sarebbero potute avere

rendendo tale nomina una prerogativa esclusiva di, ovvero in condominio con, un organo

giurisdizionale sovranazionale composto di individui (ad esempio, la CtEDU, per restare

in ambito continentale; o la CPI, per spostarsi sul campo internazionale-universale, che

meglio si addice alla caratura del RCI).

UN BILANCIO SULL’ESPERIENZA DELLE CORTI PENALI “IBRIDE” IN KOSOVO

167

Con riferimento al punto c), la locuzione “in the court which has

jurisdiction over the case” lascia presumere che i giudici internazionali

saranno nuovamente assegnati alle Corti Distrettuali, sollevando

problemi di sicurezza, in primis per loro stessi e, in secundis, soprattutto

per quei giudici locali che, in qualità di membri di panel “ibridi”,

sarebbero ostracizzati dalla comunità locale, giacché percepiti come

avversari di imputati della loro stessa etnia o clan. Se, da un lato,

l’assegnazione dei giudici internazionali (ed anche dei procuratori) alle

Corti Distrettuali offrirebbe il vantaggio di rispettare del principio di pre-

costituzione del giudice naturale, dall’altro, in caso di penuria di risorse

umane, i procedimenti interlocutori potrebbero impedire un imparziale

ed efficace corso della giustizia a causa delle conseguenti ricusazioni e

dell’impossibilità di spostare giudici da altri Distretti. Si ricadrebbe, in

breve, nel problema cui l’introduzione della Regulation n. 64/2000 ha

cercato di rispondere, seppur con evidenti limiti ed un successo limitato.

Senza spingersi fino alla previsione di una Corte Speciale, un accettabile

second best avrebbe potuto essere l’esplicita previsione della

giurisdizione unica per tutti i magistrati internazionali. Per completezza d’analisi va aggiunto che la proposta Ahtisaari

riconosce l’utilità di una reiterata presenza giudiziaria internazionale

anche al di fuori del campo penale.

Si prevede, in primo luogo, che tre dei nove giudici di una

costituenda Corte Costituzionale siano nominati dal Presidente della

CtEDU, previa consultazione con il RCI. Dal momento che importanti

strumenti internazionali per la protezione dei diritti umani (e.g. CtEDU,

PIDCP) e per la repressione dei crimina juris gentium (Convenzioni

contro il razzismo e contro la tortura) sono considerati “directly

applicable in Kosovo” e provvisti di “priority over all other law”129

, il

ruolo dei tre giudici internazionali in seno alla massima corte kosovara si

prospetta tutt’altro che trascurabile per le possibili ricadute sulla giustizia

penale.

Infine, è confermata la presenza internazionale all’interno degli

organi giudiziari preposti ad aggiudicare cause di natura civilistica nel

settore dei diritti di proprietà sulle imprese pubbliche e sul patrimonio

immobiliare130

: a) ciascuno dei cinque panel della Camera Speciale della

Corte Suprema specializzata sui ricorsi avverso atti e omissioni della

AFK comprenderà tre giudici, di cui due internazionali ed uno locale; il

panel d’appello sarà composto da tre giudici internazionali e due

129 Ibidem, art. 2.1 dell’Annesso I, pag. 11. 130 Ibidem, art. 2.3, lett. c) dell’Annesso IX, pag. 51.

CAPITOLO TERZO

168

omologhi locali131

; b) panel della Corte Suprema composti da due

giudici internazionali ed un solo giudice locale decideranno in appello

sui ricorsi contro decisioni della CRP dell’APA132

.

131 Ibidem, art. 3.2-3 dell’Annesso VII, pag 45. Sulla AFK si veda supra al par. II.2.3. 132 Ibidem, art. 4.2 dell’Annesso VII, pag. 46. Sulla CRP dell’APA si veda supra al par.

II.2.3.

Capitolo IV

Cenni sulle altre corti “ibride”

Sommario: IV.1 I Panel Speciali per Gravi Crimini a Timor Est. - IV.2 La Corte Speciale

di Sierra Leone. - IV.3 Le Camere per i Crimini di Guerra e per il Crimine Organizzato di Bosnia-Erzegovina. - IV.4 Il Tribunale Penale Supremo Iracheno. - IV.5 Le Camere Straordinarie di Cambogia. - IV.6 Il Tribunale Speciale per il Libano. - IV.7 Le analogie e differenze: una possibile tassonomia. - IV.7.1 Il periodo di operatività. - IV.7.2 Il contesto di riferimento. - IV.7.3 La base giuridica. - IV.7.4 Il diritto applicabile. - IV.7.5 La competenza. - IV.7.6 Il rapporto con il sistema giudiziario nazionale. - IV.7.7 I profili organizzativi. - IV.7.8 Le fonti di finanziamento ed il fabbisogno medio annuo. - IV.7.9 Il rapporto con altre giurisdizioni. - IV.8 Alcuni spunti per una possibile ideal-tipizzazione e tassonomia.

Ancorché focalizzata sul caso kosovaro, questa ricerca non può

esimersi dal fornire una panoramica sulle altre esperienze di

“ibridazione” di corti penali. A tal fine, sono di seguito proposte sei

schede sintetiche, riferite ai casi di Timor Est (par. IV.1), Sierra Leone

(par. IV.2), Bosnia-Erzegovina (par. IV.3), Iraq (par. IV.4) Cambogia

(par. IV.5) e, da ultimo, Libano (par. IV.6). Per rendere agevole la

comparazione con il caso del Kosovo e fornire spunti per la costruzione

di un idealtipo valido a fini tassonomici (par. IV.7), ciascuna scheda è

stata strutturata sugli stessi punti che hanno scandito il capitolo II. Il caso

dell’Etiopia non è stato trattato, perché prima facie privo del requisito di

comparabilità; insufficiente è apparsa, ai fini della qualificazione come

“corte ibrida”, l’assistenza tecnica prestata da esperti internazionali

all’Ufficio Speciale del Procuratore istituito, nell’agosto del 1992, dal

Governo Transitorio d’Etiopia per perseguire i crimini di guerra

commessi dal regime militare-comunista del colonnello Mengistu (1974-

1991).

CAPITOLO QUARTO

170

IV.1 I Panel Speciali per Gravi Crimini a Timor Est

Periodo di operatività Dal Luglio del 2000 al 20 maggio del 2005.

Contesto di riferimento

storico

Il 28 novembre del 1975, sull’onda dei disordini esplosi nella madrepatria portoghese, Timor Est (T-E) dichiarò la propria indipendenza ma fu subito occupata dall’esercito indonesiano (7 dicembre del 1975). A seguito dell'accordo fra Portogallo ed Indonesia, sanzionato dal SG dell’ONU (5 maggio del 1999), a T-E fu indetto un referendum, che il 30 agosto del 1999 accertò l’esistenza di un’estesa volontà popolare a favore dell'indipendenza. L’Indonesia impiegò il proprio esercito in supporto di sedicenti milizie autonomiste. L’internazionalizzazione del conflitto fu completata dall’intervento, autorizzato dal CS dell’ONU, di un contingente multinazionale a guida australiana.

istituzionale

UNTAET: Missione di amministrazione interinale a T-E, decisa dal CS dell’ONU, iniziata il 25 ottobre e terminata il 20 maggio del 2002, data dalla quale T-E è uno Stato indipendente che continua ad essere assistito dall’ONU.

Base giuridica

Regulation UNTAET n. 15/2000 istitutiva dei Panel Speciali per Gravi Crimini (PSGC) sulla base della risoluzione n. 1272, par. 16 del 25 ottobre del 1999 adottata dal CS dell’ONU ex cap. VII. Dopo l’indipendenza, l’art. 163 della Costituzione di T-E ha funto da base giuridica per la continuata presenza giudiziaria internazionale.

Diritto applicabile

materiale

Crimini internazionali, tortura e principi generali: sono stati definiti direttamente dalla Regulation UNTAET n. 15/2000. Reati ordinari: si è fatto rinvio al codice penale indonesiano vigente al 25 ottobre del 1999 purché conforme con il mandato e gli atti normativi di UNTAET.

procedurale

Dapprima, il diritto vigente al 25 ottobre del 1999 (Regulation UNTAET n. 1/1999); in seguito, il Codice di Procedura Penale (“ibrido”) adottato con Regulation UNTAET n. 30/2000, emendato dalla Regulation n. 25/2001.

Competenza

ratione materiae

Crimini internazionali: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, definiti sulla base delle disposizioni della Convenzione contro il genocidio del 1948 e dello Statuto della CPI. Reati ordinari: omicidio, reati sessuali e tortura (definito sulla base della Dichiarazione dell’AG dell’ONU del 9 dicembre del 1975 e della Convenzione contro la tortura del 1984). I principi e le norme generali di diritto penale applicabili alle due categorie di crimini sono stati modellati sullo Statuto della CPI e, in parte, sugli Statuti dei TPIh.

ratione temporis

Crimini internazionali e tortura: dal 7 dicembre del 1975. Reati ordinari: dal 1° gennaio al 25 ottobre del 1999.

ratione loci Crimini internazionali e tortura: giurisdizione universale.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

171

ratione

personae

Alcuna limitazione fino all’emanazione della citata Regulation UNTAET n. 25/2001 che ha introdotto il divieto di perseguire minori di 12 anni e circoscritto a reati gravi (stupro e omicidio) la perseguibilità di minori di età compresa tra 12 e 16 anni.

Rapporto con il sistema giudiziario nazionale

Due PSCG sono stati istituiti presso la Corte Distrettuale ed uno presso la Corte d’Appello di Dili. Ai PSGC è stata affiancata una procura speciale: l’Unità Gravi Crimini (UGC), istituita presso l’Ufficio del Procuratore Generale (UPG) di T-E a Dili. Avendo avuto giurisdizione esclusiva sui crimini sopra elencati, i PSGC e l’UGC hanno goduto di una posizione di primacy sulle corti nazionali. L’organo di auto-governo della magistratura nazionale non ha avuto alcuna prerogativa sulla componente giudiziaria internazionale. Alla cessazione del loro mandato, 9 casi trattati dalla UGC sono stati trasferiti all’UPG.

Profili organizzativi

Ciascuno dei tre panel è stato composto da tre giudici, di cui due internazionali. Tutte le decisioni sono state soggette alla regola della maggioranza assoluta. A T-E hanno operato, al massimo, 14 magistrati internazionali nominati dal RSSG con mandato base di 12 mesi (prorogabile): 6 giudici (4 presso la Corte Distrettuale e 2 presso la Corte d’Appello) ed 8 procuratori internazionali (ripartiti tra quattro pool a copertura dei 13 distretti di T-E). L’UGC è presieduta dal Vice Procuratore Generale che è un magistrato internazionale. Non è stata costituita una Cancelleria ad hoc. Le lingue ufficiali sono state quattro: inglese, portoghese, tetum ed indonesiano.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo

(FMA)

Bilancio della Missione UNTAET (poi UNMISET) e bilancio nazionale. FMA: 6 milioni di $.

Rapporto con altre giurisdizioni

I PSGC hanno operato in parallelo alla Commissione di Accoglimento, Verità e Riconciliazione (CAVR) istituita da UNTAET nel luglio del 2001 con competenza circoscritta ai reati “meno gravi” commessi tra il 25 aprile del 1974 ed il 25 ottobre del 1999. La CAVR ha avuto l’obbligo di trasmettere all’UPG tutte le informazioni relative a crimini gravi; un Memorandum d’Intesa del 4 giugno del 2002 tra l’UPG e la CAVR ha disciplinato lo scambio di informazioni tra le parti. Un Memorandum d’Intesa del 6 aprile del 2000 avrebbe dovuto disciplinare, sulla base del principio aut dedere aut judicare, la cooperazione giudiziaria tra Indonesia (di cui sono cittadini ed in cui risiedono i principali responsabili dei crimini sopra elencati) e le autorità giudiziarie UNTAET. L’Indonesia si è sempre rifiutata di cooperare. Dal marzo del 2002, a Jakarta, in Indonesia, opera una Corte ad hoc per i Diritti Umani. Essa è competente a perseguire e giudicare -secondo lo Statuto della CPI (che l’Indonesia non ha, ad oggi, ratificato)- i crimini commessi in soli tre distretti (Dili, Liquida e Suai) di T-E, peraltro nei soli mesi di aprile e settembre del 1999).

CAPITOLO QUARTO

172

IV.2 La Corte Speciale di Sierra Leone

Periodo di operatività Dal luglio del 2002 (in corso). La Corte ha natura temporanea.

Contesto di riferimento

storico

Conflitto armato interno combattuto tra il 23 marzo del 1991 ed il 19 gennaio del 2002. Non può a priori escludersi che il conflitto abbia mutato natura, in ragione del coinvolgimento, in fasi diverse, di soggetti internazionali, tra cui la Liberia.

istituzionale

Stato sovrano che ha ufficialmente richiesto assistenza al CS dell’ONU (12 giugno del 2002). Quest’ultimo ha svolto un ruolo centrale nella direzione politica del negoziato, condotto in sua vece, a partire dall’agosto del 2000, dal SG.

Base giuridica

Accordo internazionale concluso il 16 gennaio del 2002 tra ONU e S-L, che lo ha ratificato nel marzo del 2002.

Diritto applicabile

materiale

Crimini internazionali: Statuto della Corte Speciale allegato al citato Accordo internazionale. Reati ordinari: lo Statuto rimanda alla legge del 1926 sulla prevenzione di atti di crudeltà contro i bambini ed alla legge del 1861 sui danni dolosi. Le decisioni delle Camere d’Appello dei TPIh e della Corte Suprema di S-L guidano l’interpretazione e l’applicazione, rispettivamente, del diritto internazionale e del diritto interno da parte della Camera d’Appello della Corte Speciale.

procedurale

Le RPP del TPIR vigenti al momento dell’istituzione della Corte, emendate il 24 novembre del 2006 dal plenum della Corte Speciale sulla base della procedura penale nazionale del 1965.

Competenza

ratione materiae

Crimini internazionali: crimini contro l’umanità, violazioni dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra, del II Protocollo Aggiuntivo, attacchi contro la popolazione civile, crimini contro i peace-keeper, coscrizione obbligatoria di minori con meno di 15 anni. Gli Statuti del TPIR e della CPI hanno rappresentato le principali fonti per la definizione dei crimini e dei principi generali di diritto penale. Reati ordinari: abusi su ragazze, distruzione massiccia di proprietà.

ratione

temporis

Crimini internazionali: dal 30 novembre del 1996 (data del fallito Accordo di Pace di Abijan); non è previsto un dies ad quem ma è plausibile ipotizzare che esso sia il 19 gennaio del 2002. Reati ordinari: dal 7 luglio del 1999.

ratione loci Territorio di S-L.

ratione personae

Circoscritta alle persone di età superiore a 15 anni maggiormente responsabili per i crimini sopra elencati. Per i peace-keeper, la Corte sarebbe competente solo in caso di incapacità/mancanza di volontà da parte del sending State, e sempre che il CS dell’ONU abbia previamente autorizzato la Corte.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

173

Rapporto con il sistema giudiziario nazionale

Formalmente la Corte, che ha sede a Freetown, non fa parte del sistema giudiziario nazionale né rientra nel sistema dell’ONU: ha autonoma soggettività giuridica internazionale grazie alla quale può concludere accordi necessari all’esercizio delle sue funzioni. La Corte ha competenza esclusiva sui crimini sopra elencati ed è posta in posizione di primacy rispetto alle corti nazionali, cui può indirizzare specifiche richieste di cooperazione by-passando il diaframma del governo di S-L.

Profili organizzativi

La Corte comprende due Camere di primo grado (ciascuna composta da tre giudici) ed una Camera d’Appello (composta da 5). Il rapporto tra internazionali e nazionali è, rispettivamente di 2:1 e 3:2. Le decisioni sono prese a maggioranza assoluta. Il procuratore capo è nominato dal SG, previa consultazione del governo di S-L. I giudici internazionali sono nominati dal SG dell’ONU sulla base di candidature presentate, su invito dello stesso, dagli Stati dell’ECOWAS e del Commonwealth. I magistrati della Corte hanno un mandato triennale rinnovabile. La Corte è supportata da una Cancelleria ad hoc, il cui vertice è nominato dal SG dell’ONU, sentito il Presidente della Corte (a sua volta eletto dal plenum dei giudici). L’inglese è la sola lingua ufficiale della Corte.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo

(FMA)

Esclusivamente contributi volontari raccolti ed amministrati da un apposito Comitato di Gestione, composto da rappresentanti del SG dell’ONU, del governo di S-L e dei Paesi che sponsorizzano la Corte Speciale. Il Comitato risponde al Gruppo degli Stati Interessati. FMA: ca 19 milioni di $.

Rapporto con altre giurisdizioni

La Corte opera complementarmente ad una Commissione di Verità e Riconciliazione (CVR), istituita dal Parlamento di S-L, col supporto dell’ONU, nel 2000. Essa ha operato dalla metà del 2002 all’ottobre del 2004 con competenza sulle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da chiunque (ivi inclusi i bambini) tra il 23 marzo del 1991ed il 7 luglio del 1999 (Accordo di Pace di Lomé) anche al di fuori del territorio nazionale. Le relazioni tra la Corte Speciale e la CVR sono state improntate a criteri non formalizzati. L’amnistia generale concessa con l’Accordo di Lomé non preclude alla Corte la possibilità di perseguire i crimini di sua competenza. La Liberia ha adito il 4 agosto del 2003 la CIG contro S-L, impugnando l’incriminazione ed il mandato d’arresto emessi dalla Corte Speciale contro il proprio presidente Charles Taylor in presunta violazione delle immunità da questi godute in quanto capo di Stato. Non avendo S-L accettato la giurisdizione della CIG, quest’ultima non ha potuto giudicare sul merito.

CAPITOLO QUARTO

174

IV.3 Le Camere di Bosnia-Erzegovina per i Crimini di Guerra e per

il Crimine Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione

Periodo di operatività Dal 9 marzo del 2005 (in corso). Soltanto la presenza internazionale ha natura temporanea.

Contesto di riferimento

storico

Periodo successivo al conflitto armato interno-internazionale di Bosnia-Erzegovina (B-E), combattuto tra il 1992 ed il 1995.

istituzionale

Camera per i Crimini di Guerra (CCG): completion strategy del TPIJ - processo giuridico-istituzionale a guida internazionale, i cui principali stakeholder sono il CS dell’ONU, in quanto organo genitore del TPIJ, l’Ufficio dell’Alto Rappresentante (UAR) per la Bosnia-Erzegovina (B-E), in quanto autorità internazionale responsabile per l’attuazione della componente civile degli accordi di Dayton del 1995, e, infine, lo Stato federale di B-E. Camera per il Crimine Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione (CCOCEC): processo di state-building e di rule of law-building di cui l’UAR è responsabile. La B-E è da considerarsi uno Stato “a sovranità condizionata”.

Base giuridica

Due leggi del dicembre del 2004 2004 (Official Gazette of BiH, No. 61/04) adottate in attuazione delle risoluzioni del CS dell’ONU n. 1503/2003 e 1534/2004 sulla completion strategy, ed un accordo internazionale tra l’UAR e la B-E (1° Dicembre del 2004).

Diritto applicabile

materiale Codice Penale della B-E (Official Gazette of BiH, No. 3/03 e s.m.i.)

.

procedurale

Codice di Procedura Penale della B-E (Official Gazette of BiH, No. 3/03 e s.m.i); Regole di Procedura sul Lavoro della Corte di B-E (Official Gazette of BiH, br. 82/05).

Competenza

ratione materiae

CCG: crimini di competenza del TPIJ, quali definiti dal Capo XVII del Codice Penale della B-E. La CCG può anche emanare, ex officio ovvero su richiesta di altre corti, direttive pratiche su tali figurae criminis. CCOCEC: crimine organizzato (e.g. traffico internazionale di droga, di persone), corruzione di pubblici funzionari della B-E, evasione fiscale, contrabbando internazionale, frode doganale, riciclaggio di denaro.

ratione temporis

CCG: 1992-1995. CCOCEC: dal 1° marzo del 2003 (entrata in vigore del Codice Penale della B-E).

ratione loci

Territorio della B-E (la competenza extra-territoriale è disciplinata dalla Regola 11-bis, lett. A, ii, iii del RPP del TPIJ e dall’art. 12 del Codice Penale di B-E).

ratione

personae

CCG: identica a quella del TPIJ ma circoscritta ai criminali di medio-basso rango. CCOCEC: qualunque persona fisica di età superiore a 14 anni (la responsabilità delle persone giuridiche è disciplinata dal Capo XIV del Codice Penale di B-E).

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

175

Rapporto con il sistema giudiziario nazionale

La CCG e la CCOCEC sono state istituite sotto le Divisioni Penale e d’Appello della già esistente Corte di Stato di B-E in Sarajevo. Alle due Camere fanno da pendant due omonimi Dipartimenti Speciali creati presso il già esistente Ufficio del Procuratore di B-E. Alla CCG sono state trasferite le funzioni ricoperte, fino al 1° ottobre del 2004, dalla Rule of the Road Unit (si veda alla nota 16). Esse riguardano sia lo stock di casi che la citata Unit ha trasferito alla CCG prima della sua chiusura sia nuovi casi “di elevata sensibilità” iniziati autonomamente da qualsivoglia corte delle entità dello Stato federale. I casi di quest’ultima categoria possono essere avocati a sé dalla CCG. Il rapporto tra la Corte di B-E, cui le due Camere afferiscono, è sostanzialmente di primacy.

Profili organizzativi

Ciascuno dei 6 panel della CCG (5 di primo grado ed 1 d’appello) e dei 4 panel della CCOCEC (3 di primo grado ed 1 d’appello) è composto da tre giudici, di cui due internazionali ed uno nazionale come presidente. Le decisioni sono prese a maggioranza assoluta. I magistrati internazionali sono nominati dall’UAR su raccomandazione congiunta del Presidente della Corte/Procuratore Capo (entrambi nazionali) e dell’organo di auto-governo della magistratura nazionale. Il loro mandato è biennale (rinnovabile). Attualmente, su 39 giudici e 26 procuratori, il numero degli internazionali è, rispettivamente, di 16 e 10 (questi ultimi equamente divisi tra i due Dipartimenti Speciali). Il sistema di assegnazione dei casi è automatico. Una Cancelleria indipendente, a composizione “ibrida”, è stata istituita, con l’accordo internazionale sopra citato, a supporto delle due Camere e dei rispettivi procuratori. Le lingue ufficiali sono quattro: inglese, bosniaco, serbo e croato.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo

(FMA)

Bilancio della B-E e contributi internazionali volontari. FMA: 10 milioni di dollari.

Rapporto con altre giurisdizioni

Il rapporto tra CCG e il TPIJ è disciplinato dalla Regola 11 bis del RPP del TPIJ e da un’apposita legge che, inter alia, prevede l’obbligo di adattare l’atto di incriminazione del Procuratore del TPIJ alla procedura nazionale. Alla CCG il Procuratore del TPIJ può anche trasferire casi per i quali le indagini non siano ancora state concluse. Il rapporto tra CCOCEC e corti straniere è disciplinato dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale che la B-E ha ratificato il 15 aprile del 2005.

CAPITOLO QUARTO

176

IV.4 Il Tribunale Penale Supremo Iracheno

Periodo di operatività Dall’agosto del 2005 - in corso. Il Tribunale ha natura temporanea.

Contesto di riferimento

storico

Dittatura del partito Baath, iniziata col colpo di stato del 17 luglio del 1968 e conclusasi nell’aprile del 2003, in esito all’intervento militare -non autorizzato dal CS dell’ONU- di una coalizione a guida anglo-americana. Durante i 35 anni di regime, alcun gruppo etnico o religioso è rimasto immune da campagne di discriminazione e repressione. Crimini efferati sono stati commessi anche durante il conflitto internazionale contro l’Iran (1980-1988) e l’occupazione del Kuwait (1990-1991).

istituzionale

Il Tribunale è stato istituito per volontà dell’Autorità Provvisoria della Coalizione (APC), un organo a guida USA raggruppante i Paesi della forza multinazionale di occupazione che ha rovesciato il regime di Saddam Hussein. Le autorità irachene -organizzate dapprima nel Consiglio di Governo Iracheno (CGI), quindi nel Governo Transitorio Iracheno (GTI)- hanno avuto un ruolo marginale nell’istituzione del Tribunale.

Base giuridica

Lo Statuto del Tribunale Speciale Iracheno è stato emanato dal CGI il 10 dicembre del 2003 su delega dell’APC. Il 18 ottobre del 2005, il GTI, formato il 30 giugno del 2004, ha emendato lo Statuto, integrandolo nella legge nazionale. Il Tribunale è stato rinominato “Tribunale Penale Supremo Iracheno”.

Diritto applicabile

materiale

Crimini internazionali e responsabilità penale personale: specifiche disposizioni dello Statuto riproducono fedelmente il contenuto di rilevanti strumenti internazionali; nell’interpretazione di tali disposizioni, il Tribunale può richiamarsi alle rilevanti decisioni di giurisdizioni internazionali. Reati ordinari: Costituzione provvisoria irachena del 1970, talune disposizioni della legge irachena n. 7 del 1958; per i principi generali: la legge penale dell’Iraq vigente al tempus commissi delicti. La pena di morte, sospesa dall’APC (10 giugno del 2003), è stata reintrodotta dal GTI (8 ottobre del 2004).

procedurale Legge di Procedura Penale Irachena n. 23 del 1971 e RPP adottate dal Tribunale.

Competenza

ratione materiae

Crimini internazionali: crimini di guerra (definiti secondo le Convenzioni di Ginevra del 1949, ratificate nel 1956), crimini contro l’umanità (definiti in base allo Statuto della CPI) e genocidio (definito secondo la Convenzione contro il genocidio del 1948, ratificata nel 1959). Reati ordinari: tentativo di manipolazione della magistratura, distruzione di risorse nazionali e saccheggio di proprietà pubbliche, minaccia di atti bellici contro Stati arabi.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

177

ratione temporis

Dal 17 luglio del 1968 al 1° maggio del 2003 (data in cui il Presidente degli USA ha dichiarato conclusa, e vinta, la guerra contro il regime Baath).

ratione loci

Non è circoscritta al territorio iracheno; l’avverbio “elsewhere”, letto in combinato disposto con la dimensione materiale e temporale, lascia intendere la perseguibilità anche dei crimini commessi sul territorio di Iran e Kuwait.

ratione personae

Circoscritta a cittadini e residenti iracheni. Di fatto, la strategia accusatoria è stata focalizzata sugli individui posti al vertice delle catene di comando politico-militari.

Rapporto con il sistema

giudiziario nazionale

Il Tribunale ha sede a Baghdad ed è posto in posizione di primacy rispetto alle corti nazionali. Alle corti ordinarie irachene è stata, di fatto, demandata la persecuzione dei criminali di livello gerarchico medio-basso.

Profili organizzativi

L’originaria versione dello Statuto conferiva al CGI la facoltà di nominare -ove ritenuto necessario- giudici stranieri; inoltre, al presidente, al procuratore capo e al giudice inquirente capo era fatto obbligo di richiedere l’assistenza della comunità internazionale (ivi inclusa l’ONU) affinché consiglieri e osservatori stranieri fossero assegnati ai loro rispettivi uffici; i consiglieri avrebbero fornito supporto in materia di diritto internazionale umanitario; gli osservatori avrebbero provveduto a monitorare la legalità delle procedure. La versione dello Statuto emendata dal GTI circoscrive la possibilità di nominare giudici internazionali solo per casi in cui uno Stato straniero si sia costituito parte civile. Ad oggi, non risulta la nomina di alcun giudice internazionale; quanto ai consiglieri ed agli osservatori, le previsioni della versione originaria sono state confermate dal GTI. Va rilevato che, ad oggi, i consiglieri provengono quasi esclusivamente dall’Ufficio di Contatto per i Crimini del Regime istituito nel marzo del 2004 presso l’Ambasciata USA a Baghdad. Quest’ultimo, invero, ha svolto funzioni-chiave in materia logistica, di sicurezza e amministrativa, configurandosi come una vera e propria “cabina di regia” del Tribunale. La lingua ufficiale del Tribunale è l’arabo.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo

(FMA)

Bilancio Generale Iracheno e contributi volontari anglo-americani. FMA: oltre 100 milioni di $. Il contributo annuale USA al Tribunale è stato, nel 2004, di 75 milioni di $ (quello britannico di 2,5 milioni di $), e, nel 2005, di 128. Contrari alla pena di morte, né l’ONU, né i Paesi dell’UE (escluso il Regno Unito) hanno sostenuto il Tribunale.

Rapporto con altre giurisdizioni

Alcuna commissione di verità e riconciliazione è stata istituita. Non si pongono problemi di compatibilità con pregresse amnistie. Rimane teorico il rapporto con le giurisdizioni di Paesi terzi (e.g. Iran e Kuwait), nei confronti dei cui eserciti e popolazioni civili siano stati commessi crimini internazionali. Potenziale rimane anche il rapporto con la CIG, che potrebbe fondare la propria giurisdizione in ordine alla responsabilità dell’Iraq nei confronti di Paesi che abbiano subito illeciti.

CAPITOLO QUARTO

178

IV.5 Le Camere Straordinarie di Cambogia

Periodo di operatività Dal luglio 2006 (in corso). Le Camere hanno natura temporanea.

Contesto di riferimento

storico

Sotto il regime totalitario dei Khmer Rossi instaurato da Pol Pot tra il 1975 ed il 1979, almeno 2 milioni di cambogiani furono uccisi. La caduta del regime fu seguita da una guerra civile internazionalizzatasi a causa dell’intervento vietnamita. La guerra è terminata solo nel dicembre del 1998.

istituzionale

Stato sovrano che ha ufficialmente richiesto l’assistenza al SG dell’ONU (21 giugno del 1997). Quest’ultimo, su impulso dell’AG, ha guidato, a partire dal luglio del 1999, un travagliato negoziato. Allo stallo delle trattative la Cambogia ha risposto istituendo unilateralmente le Camere Straordinarie; di fronte al “fait accompli”, l’ONU ha riaperto e concluso i negoziati, apportando alcune modifiche al progetto cambogiano.

Base giuridica

Legge nazionale (n. 801/12 del 10 agosto del 2001) incorporata e, in parte, modificata da un accordo internazionale tra Cambogia e ONU (6 giugno del 2003), cui ha fatto seguito una seconda legge nazionale di emendamento (n. 1004/6 del 27 ottobre del 2004).

Diritto applicabile

materiale

Crimini internazionali: definiti dall’Accordo, il quale per ciascuno di essi rinvia ad uno specifico strumento internazionale; salvo che per il genocidio ed i crimini di guerra, la legge attuativa replica il rinvio. Reati ordinari: Codice Penale di Cambogia del 1956.

procedurale

Specifiche disposizioni della legge attuativa dell’accordo internazionale nonché la procedura penale cambogiana purché conforme agli standard internazionalmente riconosciuti, i quali fungono anche da “gap filler”.

Competenza

ratione materiae

Crimini internazionali: genocidio e crimini contro l’umanità (definiti dalla legge secondo la Convenzione contro il genocidio del 1948 e lo Statuto della CPI), gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 (non vi è alcuna previsione sui crimini di guerra commessi durante un conflitto armato interno), distruzione di beni culturali (esplicito rinvio alla Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato), crimini contro personale che gode di protezione diplomatica (esplicito rinvio alla Convenzione di Vienna del 1961). L’imprescrittibilità (sulla quale l’accordo è silente) è prevista dalla legge solo per il genocidio e per i crimini contro l’umanità. Reati ordinari: omicidio, tortura e persecuzione religiosa (i relativi termini di prescrizione, che per la legge del 1966 sono di 10 anni, sono stati estesi a 40 anni).

ratione temporis

Dal 17 aprile del 1975 al 6 gennaio del 1979.

ratione loci

Non vi è alcuna previsione nell’accordo e nella legge ma la competenza è plausibilmente circoscritta al territorio della Cambogia.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

179

ratione personae

Gli individui al vertice dello Stato cambogiano e quelli su cui ricade la maggiore responsabilità per i crimini sopra elencati.

Rapporto con il sistema giudiziario nazionale

Le due Camere Straordinarie sono state istituite all’interno dell’esistente sistema giudiziario cambogiano, una presso la Corte di primo grado e l’altra (che funziona sia come camera d’appello che come camera di ultima istanza) presso la Corte Suprema. Entrambe hanno sede a Phnom Penh. La loro giurisdizione è, di fatto, esclusiva sia sui crimini internazionali che su quelli ordinari. La legge segue l’accordo nel rimettere alle Camere Straordinarie la valutazione della validità dell’amnistia che il re concesse, nel 1996, a Ieng Sary (condannato a morte in contumacia per genocidio nel 1979 da una corte speciale costituita in seguito all’invasione delle truppe vietnamite).

Profili organizzativi

La Camera della Corte di primo grado si compone di 5 giudici, di cui solo 2 internazionali ed è presieduta da un cambogiano. La Camera della Corte Suprema si compone di 7 giudici, di cui solo 3 internazionali ed è anch’essa presieduta da un cambogiano. Le decisioni delle due Camere sono prese a maggioranza qualificata (4/5 e 5/7 dei voti sono, rispettivamente, necessari); in sostanza gli internazionali dispongono del diritto di veto. L’organo d’accusa è bicefalo: esso si compone di due co-procuratori, di cui uno internazionale. Le indagini sono condotte da due giudici inquirenti, di cui uno internazionale. L’eventuale disaccordo tra i due co-procuratori ovvero tra i due giudici inquirenti è rimesso ad una Camera pre-dibattimentale la cui composizione è identica a quella della Camera di primo grado. La decisione non è impugnabile. I giudici ed il co-procuratore internazionali sono nominati dall’organo di auto-governo della magistratura cambogiana sulla base di due elenchi di candidati presentati dal SG dell’ONU. Il co-procuratore internazionale può nominare uno o più vice-procuratori sulla base di un elenco sottopostogli dal SG. Il mandato dei magistrati internazionali (come di quelli nazionali) si estende per tutta la durata dei procedimenti/delle indagini. Un Ufficio Amministrativo funge da cancelleria: il suo personale è misto e la componente internazionale è reclutata dal vice direttore, nominato direttamente dal SG (il direttore è cambogiano). Le lingue di lavoro ufficiali sono tre: khmer, inglese e francese.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo

(FMA)

Le spese connesse al personale nazionale sono di competenza del governo cambogiano; quelle relative al personale internazionale competono all’ONU. Sono ammessi contributi volontari da parte di governi stranieri, istituzioni internazionali, ong ed individui. FMA: tra 6 e 7 milioni di $.

Rapporto con altre giurisdizioni

La Cambogia si è impegnata a non concedere amnistie a individui che potrebbero essere indagati, perseguiti e condannati dalle Camere Straordinarie.

CAPITOLO QUARTO

180

IV.6 Il Tribunale Speciale per il Libano

Periodo di operatività Il Tribunale non è ancora operativo; in ogni caso, esso avrà natura temporanea.

Contesto di riferimento

storico

Il Libano ha subito per quasi trent’anni l’occupazione siriana, terminata solo nel maggio del 2005. Dall’assassinio dell’ex premier Hariri (14 febbraio del 2005) -seguito da un’ondata di proteste che ha contribuito al ritiro dell’esercito occupante- uno stillicidio di attentati terroristici di sospetta matrice filo-siriana scuote la stabilità interna del Libano.

istituzionale

Il 13 dicembre del 2005, il governo libanese ha ufficialmente richiesto al SG dell’ONU l’istituzione di un tribunale speciale per processare i responsabili degli attentati terroristici susseguitisi dal 1° ottobre del 2004. Il 30 marzo del 2006, il CS ha incaricato il SG di iniziare i negoziati con il Libano per la conclusione dell’accordo istitutivo di tale tribunale. Già nell’aprile del 2005, appurato il coinvolgimento dei vertici del regime siriano nell’attentato contro Hariri, il CS aveva istituito, con risoluzione n. 1595/2005, una Commissione Internazionale Indipendente d’Indagini (CIII), il cui mandato è stato esteso fino al giugno del 2007. Essa costituisce, di fatto, il nucleo del futuro Ufficio del Procuratore del Tribunale Speciale.

Base giuridica

Accordo internazionale concluso il 6 febbraio del 2007 tra ONU e Libano, che non lo ha ancora ratificato a causa della persistente crisi politico-istituzionale dovuta al ritiro dal governo dei ministri dei partiti filo-siriani.

Diritto applicabile

materiale

Disposizioni del Codice Penale Libanese relative agli atti di terrorismo, ai reati contro la vita e l’integrità della persona, alle associazioni illecite, alla mancata denuncia dei reati, alla partecipazione ai reati ed alla cospirazione; inoltre, talune disposizione della legge libanese dell’11 gennaio del 1958 relative all’aumento di pena per gli atti di terrorismo (la pena di morte è, tuttavia, esclusa); infine, i profili della responsabilità penale personale sono definiti dallo Statuto del Tribunale sulla falsariga dello Statuto della CPI e della Convenzione Internazionale per la Repressione del Terrorismo del 1997.

procedurale

Codice di Procedura Penale Libanese purché conforme ai principi internazionalmente riconosciuti. Alcuni di questi sono direttamente previsti dallo Statuto del Tribunale. L’adozione di specifiche RPP è demandata allo stesso Tribunale.

Competenza

ratione materiae

La competenza materiale del tribunale è focalizzata sull’assassinio di Hariri e su altri 14 attentati terroristici -precedenti e successivi- prima facie connessi al primo per natura o gravità. La lista di tali attentati è allegata all’accordo istitutivo del Tribunale.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

181

ratione

temporis

15 ben identificate date comprese tra il 1° ottobre del 2004 ed il 12 dicembre del 2005. Su decisione delle parti dell’accordo (e col consenso del CS), il dies ad quem potrà essere spostato in avanti.

ratione loci I 15 attentati terroristici coperti dalla giurisdizione del Tribunale sono tutti avvenuti nell’area Beirut.

ratione personae

Non è posta alcuna limitazione.

Rapporto con il sistema giudiziario nazionale

Formalmente il Tribunale Speciale non farà parte del sistema giudiziario nazionale né rientrerà nel sistema dell’ONU: avrà autonoma soggettività giuridica internazionale grazie alla quale potrà concludere accordi necessari all’esercizio delle sue funzioni. Esso, inoltre, sarà posto in posizione di primacy rispetto alle corti nazionali, cui potrà indirizzare specifiche richieste di cooperazione by-passando il governo libanese. Per motivi di sicurezza, il Tribunale non avrà sede in Libano.

Profili organizzativi

Il Tribunale consisterà di una camera di primo grado, composta da tre giudici, di cui due internazionali, e di una camera d’appello, composta da cinque giudici, di cui tre internazionali. Le decisioni saranno prese a maggioranza assoluta. Internazionali saranno l’unico giudice per la fase pre-dibattimentale, il procuratore (assistito da un vice libanese) ed il cancelliere. I giudici internazionali saranno nominati dal SG sulla base delle candidature presentate dagli Stati membri dell’ONU. Il procuratore sarà nominato dal SG, previa consultazione con il governo libanese. Anche i giudici libanesi saranno nominati dal SG, tuttavia su proposta dell’organo di autogoverno della magistratura nazionale; il vice-procuratore sarà nominato dal governo libanese di concerto con il SG e il procuratore capo. Il cancelliere sarà un funzionario dell’ONU e verrà nominato dal SG. Il mandato di tutti i magistrati e del cancelliere sarà di tre anni (rinnovabile). Le lingue di lavoro ufficiali saranno tre: inglese, francese e arabo.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo

(FMA)

Il 51% delle spese sarà finanziato con contributi volontari degli Stati membri dell’ONU; il governo del Libano contribuirà per la restante parte. FMA: 25 milioni di $ (stima non ufficiale).

Rapporto con altre giurisdizioni

Damasco, che sin dall’inizio si è detta estranea alla catena di attentati politici, ha dichiarato che nell’ipotesi in cui fosse acclarato il coinvolgimento di suoi cittadini, questi dovrebbero essere giudicati secondo la legge siriana. Ciò prefigura un problematico rapporto con la giurisdizione del Tribunale. D’altra parte, è plausibile che l’obbligo di cooperazione con la CIII imposto dal CS con decisioni ex Capitolo VII (risoluzioni n. 1595, 1636 e 1644 del 2005) venga riferito al futuro Tribunale. Il governo libanese si è impegnato a non concedere alcuna amnistia a individui ricadenti sotto la giurisdizione del Tribunale; né eventuali amnistie pregresse potranno impedire l’attivazione del Tribunale.

CAPITOLO QUARTO

182

IV.7 Le analogie e le differenze

Per punti si procederà ad enucleare le principali analogie e

differenze intercorrenti tra il caso del Kosovo ed i casi descritti nelle

schede soprastanti1.

IV.7.1 Il periodo di operatività

Il Programma GPI di UNMIK è operativo già dal febbraio del 2000

e può, pertanto, vantare un primato storico rispetto alle altre esperienze,

succedutesi col seguente ordine: Timor Est (dal luglio del 2000)2, Sierra

Leone (dal luglio del 2002)3, Bosnia-Erzegovina (dal marzo del 2005)

4,

1 Per la comparazione tra le corti “ibride” si considerino anche: K. AMBOS, M.

OHTMANN, New approaches in international criminal justice: Kosovo, East Timor,

Sierra Leone and Cambodia, Freiburg, 2003; H. ASCENSIO, E. LAMBERT-

ABDELGAWAD, J. M. SOREL, Les juridictions pénales internationalisées (Cambodge,

Kosovo, Sierre Léone, TimorLeste), Société de la Législation comparée, UMR de droit

comparé et CERDIN, Coll. De l’UMR de droit comparé (vol. 11), 2006; S. LINTON,

“Cambodia, East Timor and Sierra Leone: Experiments in International Justice” in

Criminal Law Forum, 2001, pagg. 185-246; IDEM, “New Approaches to International

Justice in Cambodia and East Timor” in International Review of the Red Cross, March

2002, pagg. 93-119; C. ROMANO, A. NOLLKAEMPER, J. KLEFFNER,

Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and

Cambodia, op. cit., 2004. 2 Sui Panel Speciali di Timor Est si vedano: J. BEAUVAIS, “Benevolent Despotism: A

Critique of UN State-building in East Timor”, in New York University Journal of

International Law and Politics, 2001, pagg. 1101-1178; N. BHUTA, Great Expectations-

East Timor and the Vicissitudes of Externalised Justice” in Finnish Yearbook of

International Law, 2001, pagg. 165-189; S. DE BERTODANO, “East Timor: Trials and

Tribulations” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East

Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 79-97; S. KATZENSTEIN, “Hybrid

Tribunals: Searching for Justice in East Timor” in Harvard Human Rights Journal, 2003,

pagg. 245-278; S. LINTON, “Prosecuting Atrocities at the District Court of Dili” in

Melbourne Journal of International Law, 2001, pagg. 414-458; IDEM, “Rising from the

Ashes: The Creation of a Viable Criminal Justice System in East Timor” in Melbourne

University Law Review, 2001, pagg. 122-180; IDEM et alii, “The Evolving Jurisprudence

and Practice of East Timor’s Special Panels for Serious Crimes on Admissions of Guilt,

Duress and Superior Orders” in Yearbook of International Humanitarian Law, 2001,

pagg. 1-48; B. LYONS, “Getting Untrapped, Struggling for Truths: the Commission for

Reception, Truth and Reconciliation (CAVR) in East Timor” in Internationalized

Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op.

cit, pagg. 99-124. Per la documentazione relativa ai casi trattati dai Panel Speciali si

visiti il portale: <http://socrates.berkeley.edu/~warcrime/ET.htm>. 3 Sulla Corte Speciale di Sierra Leone si vedano: S. BERESFORD et alii, “The Special

Court for Sierra Leone: An Initial Comment” in Leiden Journal of International Law,

2001, pagg. 635-651; J. CERONE, “The Special Court for Sierra Leone: Establishing a

New Approach to International Criminal Justice” in ILSA Journal of International and

Comparative Law, 2004; R. CRYER, “A Special Court for Sierra Leone?” in

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

183

Iraq (dall’agosto del 2005)5 e Cambogia (dal luglio del 2006)

6. Va,

tuttavia, osservato che l’idea di una corte “ibrida” risale già al giugno del

International and Comparative Law Quarterly, 2001, pagg. 435-446; N. FRITZ et alii,

“Current Apathy for Coming Anarchy: Building the Special Court for Sierra Leone” in

Fordham International Law Journal, 2001, pagg. 391-430; P. MOCHOCHOKO, G.

TORTORA, “The Management Committee for the Special Court for Sierra Leone” in

Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and

Cambodia, op. cit., pagg. 141-156; W. SCHABAS, “Internationalized Courts and their

Relationship with Alternative Accountability Mechanisms: The Case of Sierra Leone”,

ibidem, pagg. 157-180; C. SCHOCKEN, “The Special Court for Sierra Leone: Overview

and Recommendations” in Berkeley Journal of International Law, 2002, pagg. 436-461;

A. SMITH, “Sierra Leone: The Intersection of Law, Policy, and Practice”, in

Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and

Cambodia, op. cit., pagg. 125-139; A. TEJAN-COLE, “The Special Court for Sierra

Leone: Conceptual Concerns and Alternatives” in African Human Rights Law Journal,

2001, pagg. 107-126; N. UDOMBANA, “Globalization of Justice and the Special Court

for Sierra Leone’s War Crimes” in Emory International Law Review, 2003, pagg. 55-

132; J. WEBSTER, “Sierra Leone – Responding to the Crisis, Planning for the Future:

The Role of International Justice in the Quest for National and Global Security” in

Indiana International and Comparative Law Review, 2001, pagg. 731-777. Per la

giurisprudenza della Corte Speciale si visiti il portale: <http://www.sc-sl.org/>. 4 Sulle due Camere speciali di Bosnia-Erzegovina si vedano: M. FREEMAN

(International Center for Transitional Justice), BiH: Selected Developments in

Transitional Justice, October 2004; A. RODRIGUES, “The War Crimes Chamber of

BiH: a new solution for the impunity gap” in Guest Lecture Series of the Office of the

ICC Prosecutor, The Hague, 23 June 2006. A. SCHRÖEDER (Zentrum für

Friedenseinsätze), Strengthening the Rule of Law in Kosovo and Bosnia and

Herzegovina, Berlin, March 2005; Human Rights Watch, Looking for Justice The War

Crimes Chamber in BiH, vol. 18, n. 1(D), February 2006. Per gli aggiornamenti si

consultino i portali: <http://www.tuzilastvobih.gov.ba/> e <http://www.sudbih.gov.ba/>. 5 Sul Tribunale Penale Supremo Iracheno si vedano: Amnesty International, Iraqi Special

Tribunal-Fair trials not guaranteed, 13 May 2005; M. BOHLANDER, “Can the Iraqi

Special Tribunal Sentence Saddam Hussein to Death?” in Journal of International

Criminal Justice, vol. 3, 2005, pagg. 463-468; O. OLUSANYA, “The Statute of the Iraqi

Special Tribunal for Crimes Against Humanity - Progressive or Regressive?” in German

Law Journal, vol. 5, n. 7, pagg. 858-878; United States Institute of Peace, Building the

Iraqi Special Tribunal, Special Report 122, June 2004; D. ZOLO, “The Iraqi Special

Tribunal: Back to the Nuremberg Paradigm?” in Journal of International Criminal

Justice, vol. 2, 2004, pagg. 313-318; United States Institute of Peace, Building the Iraqi

Special Tribunal, Special Report 122, June 2004. 6 Sulle Camere Straordinarie di Cambogia si vedano: C. ETCHESON, “The Politics of

Genocide Justice in Cambodia” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals:

Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 181-205; E. MEIJER,

“The Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia for Prosecuting Crimes

Committed by Khmer Rouge: Jurisdiction, Organization, and Procedure of an

Internationalized National Tribunal”, ibidem, pagg. 207-232; S. WILLIAMS, “The

Cambodian Extraordinary Chambers - A Dangerous Precedent for International Justice?”

CAPITOLO QUARTO

184

1997, allorquando il governo di Cambogia richiese all’ONU il necessario

sostegno tecnico-finanziario per la realizzazione di quelle che sarebbero

diventate le Camere Straordinarie; i negoziati tra Cambogia e SG

dell’ONU iniziarono nel luglio del 1999, mentre il suolo kosovaro

fumava ancora per i bombardamenti della NATO. Con l’esclusione di

Timor Est (in cui, tuttavia, non si esclude una riapertura dei Panel

Speciali7) e del Libano (in cui il Tribunale Speciale tarda ad essere

istituito8), tutte le corti “ibride” risultano, ad oggi, ancora operative.

Le corti “ibride” considerate hanno natura temporanea anche se una

distinzione va operata tra i casi kosovaro e bosniaco-erzegovino, da una

parte, e quelli di Timor Est, Sierra Leone, Cambogia, Iraq e Libano

dall’altra. Per la prima categoria, temporanea è esclusivamente la

presenza di magistrati internazionali, essendo le procure/corti presso cui

questi ultimi operano delle istituzioni stabili che continueranno ad

esistere anche dopo il disimpegno straniero; per la seconda categoria,

temporanee sono le strutture giudiziarie cui i magistrati internazionali

sono stati assegnati; esse, invero, sono state concepite come corti ad hoc.

Si osserva, infine, che: a) tutte le corti “ibride”, sono state istituite,

sia pure con “tempi di reazione diversi”, solo dopo la conclusione delle

“situazioni di crisi” sottese (Bosnia Erzegovina: dicembre del 1995;

Cambogia: dicembre del 1998; Kosovo: luglio del 1999; Timor Est:

ottobre del 1999; Sierra Leone: gennaio del 2002; Iraq: aprile del 2003);

b) tutte le “situazioni di crisi”, fatta eccezione per lo scorcio di quella

irachena (1° luglio 2002 del - 1° maggio del 2003) sono

cronologicamente collocate nella fase precedente l’entrata in vigore dello in International & Comparative Law Quarterly, 2004, pagg. 227-245. Per gli

aggiornamenti si visiti il portale delle Camere Straordinarie: <http://www.eccc.gov.kh/>. 7 Il SG dell’ONU ha lasciato presagire un “revival” dei Panel Speciali: “[a]s serious

crimes defendants who were previously indicted but arrested after the closure of the

Special Panels for serious crimes proceed to trial, the need for additional international

judges, prosecutors and defence lawyers with appropriate experience will further

increase”. Si veda Secretary-General, Report on Timor-Leste pursuant to Security

Council resolution 1690 (2006), 8 August 2006, par. 87. Accogliendo una proposta

contenuta nel citato Rapporto, il CS ha deciso, con risoluzione n. 1704 del 25 agosto del

2006, la riapertura delle indagini (chiuse il 30 novembre del 2004 su sua stessa richiesta)

sui fatti occorsi nel 1999, ed ha, a tal fine, incaricato la missione UNMIT (l’ultima delle

cinque finora dispiegate a Timor-Est) di provvedere all’inserimento di un pool

specializzato di investigatori all’interno dell’UPG affinché possano essere riprese e

completate le indagini dell’UGC. 8 Sul Tribunale Speciale per il Libano si vedano: Secretary-General, Report on the

establishment of a special tribunal for Lebanon, 15 November 2006; UN News Service,

Hariri murder tribunal awaits approval after UN and Lebanon sign deal, 6 February

2007.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

185

Statuto della CPI e, come tali, ricadono al di fuori della sua competenza

ratione temporis. Una volta operativo, farà eccezione da questo quadro il

Tribunale Speciale per il Libano: a) esso opererà verosimilmente nel

corso della crisi (la catena di attentati terroristici di matrice filo-

siriana/iraniana e/o Hezbollah) che sottende la sua istituzione; b)

tuttavia, i crimini da esso perseguibili, ancorché commessi dopo il 1°

luglio del 2002, non ricadono tra i “core crimes” dello Statuto di Roma.

IV.7.2 Il contesto di riferimento

Tutte le esperienze di corti “ibride” sono accomunate da un contesto

storico la cui principale coordinata è un conflitto armato interno-

internazionalizzato segnato da gravi ed estese violazioni dei diritti

umani. Fa eccezione il costituendo Tribunale “ibrido” libanese, il cui

contesto storico di riferimento è circoscritto agli attentati terroristici

avvenuti nella fase successiva agli eventi bellici del 1975-90 e

precedente alla guerra dell’estate del 20069.

La guerra del Kosovo e quella di Bosnia-Erzegovina costituiscono

due paragrafi dello stesso capitolo storico: il violento smembramento

della RSFJ.

Quanto al contesto istituzionale delle corti “ibride”, il Kosovo

condivide solo con Timor Est l’esistenza di una missione di

amministrazione internazionale interinale disposta dal CS dell’ONU. Va,

tuttavia, rimarcato che la risoluzione relativa a Timor Est prevedeva

esplicitamente l’indipendenza del territorio amministrato (dal 20 maggio

del 2002 i Panel Speciali hanno, infatti, operato nell’ambito della

cornice istituzionale di uno Stato sovrano), mentre quella del Kosovo ha

9 Teatro, tra il 1975 ed il 1990, di quindici anni di conflitto armato interno

(internazionalizzato dall’intervento diretto di Siria, Iran, Israele e della forza di

interposizione dell’ONU UNIFIL) il Libano è rimasto sotto occupazione siriana per quasi

un trentennio, praticamente fino al maggio del 2005, quando, sull’onda delle proteste

suscitate dall’attentato terroristico di matrice filo-siriana all’ex premier Hariri (14

febbraio del 2005), Damasco ha deciso il ritiro del proprio esercito dal Paese dei cedri.

Nell’estate del 2006, Israele ha attaccato il Libano in risposta alle azioni terroristiche

lanciate da Hezbollah (movimento politico-militare sciita finanziato da Siria e Iran) dal

territorio libanese; il massiccio rafforzamento della missione UNIFIL nella zona di

confine tra Libano e Israele ha creato le condizioni per la cessazione delle ostilità. G.

SERRA, Alle origini della questione libanese: la vicenda di un Paese “composito” nella

storia di un contesto “complicato”, Paper elaborato al termine della Summer School in

Libano organizzata nel luglio del 2003 dall’Associazione Europea di Studi Internazionali

(AESI) in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e la Missione ONU-

UNIFIL, disponibile on line sul portale www.tesionline.it.

CAPITOLO QUARTO

186

“congelato” la situazione geo-politica successiva all’intervento della

NATO e rimandato al futuro la definizione dello status della provincia.

L’amministrazione transitoria delle forze della Coalizione è stata

stabilita in Iraq al di fuori dell’ombrello ONU.

Il contesto istituzionale della Camera per i Crimini di Guerra di

Bosnia-Erzegovina è quello della strategia per il completamento del

mandato del TPIJ, quale disposta dal CS dell’ONU ed attuata per mezzo

di leggi poste in essere dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante che vigila

sull’applicazione degli aspetti civili degli accordi di Dayton del 1995. La

Camera per il Crimine Organizzato, il Crimine Economico e la

Corruzzione esula, in quanto a contesto istituzionale, dalla completion

strategy, e può essere ascritta alla costruzione dello stato di diritto, di cui

è supervisore lo stesso Alto Rappresentante10

. La Corte Speciale di

Sierra Leone e le Camere Straordinarie di Cambogia originano, invece,

da esplicite richieste di assistenza che Stati pienamente sovrani hanno

rivolto all’ONU.

IV.7.3 La base giuridica

Le corti “ibride” di Kosovo e Timor Est sono accomunate da

un’analoga base giuridica: le risoluzioni, fondate sul Capitolo VII della

Carta dell’ONU, con le quali il CS ha stabilito le rispettive missioni di

amministrazione interinale. Le Regulation adottate dai RSSG di UNMIK

ed UNTAET si basano entrambe su tali risoluzioni. Si noti, tuttavia, che

diversamente dalla n. 1244/99, che è assai avara di riferimenti alle

funzioni giudiziarie della missione UNMIK, la risoluzione relativa a

Timor Est affida esplicitamente ad UNTAET il mandato di perseguire gli

autori delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario11

.

10 La presenza di magistrati internazionali nel sistema giudiziario della B-E, ancorché in

corti non penali, può essere retrodatata. Nel marzo del 1996, 8 giudici internazionali

furono affiancati ai 6 nazionali della Camera per i Diritti Umani, istituita, nei seguiti

degli accordi di Dayton in attesa che la B-E diventasse membro del Consiglio d’Europa e

ratificasse la CEDU; nel maggio del 1997, 3 giudici internazionali furono affiancati ai 9

nazionali della Corte Costituzionale. 11 Non ci sembra condivisibile l’opinione di chi, in dottrina, ha considerato diritto

nazionale gli atti posti in essere dalle missioni di amministrazione interinale dell’ONU,

muovendo dall’assunto che essi spiegano effetti unicamente sul territorio amministrato

(S. NOUWEN, “Hybrid courts: the hybrid category of a new type of international crimes

courts” in Utrecht Law Review, cit., pag. 200, 203). In primo luogo, si invita ad

osservare che le Regulation di una missione come UNMIK o UNTAET non si limitano

ad impattare il solo ambito territoriale amministrato ma, fondandosi sulla

sospensione/cessazione della sovranità di uno Stato (Serbia ovvero Indonesia), ipso facto

producono effetti su tale Stato e, a catena, sugli Stati coi quali quest’ultimo,

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

187

Il Tribunale iracheno è stato posto in essere da un atto internazionale

sostanzialmente adottato dall’organo politico delle forze occupanti

(l’Autorità Provvisoria della Coalizione).

La formale base giuridica delle Camere di Bosnia-Erzegovina è

sostanzialmente internazionale: esse sono state istituite da due leggi

nazionali che, di fatto, ratificano decisioni prese unilateralmente

dall’Alto Rappresentante12

.

Nel caso della Camera per i Crimini di Guerra il fondamento ultimo

è da rintracciarsi nelle risoluzioni con le quali il CS dell’ONU ha

disposto la completion strategy del TPIJ. La Cancelleria che fornisce

supporto amministrativo ad entrambe le Camere è stata istituita con un

accordo internazionale tra l’Alto Rappresentante e la Bosnia-Erzegovina.

E su accordi internazionali bilaterali stipulati con l’ONU, a partire

dall’ufficiale richiesta di assistenza degli Stati sovrani interessati, si

basano anche la Corte Speciale, le Camere Straordinarie ed il Tribunale

Speciale. Essendo quello di Sierra Leone e quello cambogiano due

ordinamenti giuridici dualisti: gli accordi sono stati attuati attraverso

procedimento di materiale riformulazione, non senza variazioni, delle

norme internazionali in norme interne. Anche quello libanese è un

ordinamento dualista: se il Tribunale non è ancora operativo, la causa è

da ricercarsi proprio nella mancata ratifica dell’accordo da parte del

Parlamento di Beirut. Non è da escludersi che, nell’impossibilità della

ratifica, il Tribunale venga istituito con risoluzione del CS ex capitolo

VII della Carta dell’ONU13

.

eventualmente, avesse contratto obblighi “territorializzati”, cioè connessi al territorio

passato sotto tutela ONU. Piuttosto, le Regulation in parola possono essere considerate

atti internazionali ONU di terzo grado, derivando da una risoluzione del CS (secondo

grado) che, a sua volta, deriva dal Capitolo VII della Carta ONU (primo grado). 12 Trattasi, più precisamente, di decisioni adottate dell’UAR (ex art. V dell’Annesso 10

degli accordi di Dayton) e ratificate dall’Assemblea Parlamentare della Bosnia-

Erzegovina. 13 POST SCRIPTUM: e, infatti, il 30 maggio del 2007, quando la stesura del presente

volume era già ultimata, il CS ha adottato, sub capitolo VII della Carta dell’ONU, una

risoluzione -n. 1757/2007- che “de imperio” ha disposto l’entrata in vigore dell’accordo

istitutivo del Tribunale.

CAPITOLO QUARTO

188

IV.7.4 Il diritto applicabile14

Per quanto riguarda le fonti del diritto materiale applicabile, alcun

discrimine è stato operato in Kosovo tra reati ordinari e crimini

internazionali. Questi ultimi sono stati perseguiti sulla base del CPRFJ,

che, insieme al CPK e al CPSe, ha costituito -fino all’entrata in vigore

del CPP UNMIK- la principale fonte normativa per la persecuzione

anche dei reati ordinari.

Analogamente, in Bosnia-Erzegovina, i crimini di competenza delle

due Camere sono definiti dalla medesima fonte: il Codice Penale

formalmente licenziato dall’organo legislativo nazionale ma di fatto

ascrivibile al potere decisorio dell’Alto Rappresentante.

A Timor Est, in Sierra Leone, in Iraq ed in Cambogia, invece, la

distinzione tra crimini internazionali e reati ordinari è stata sottolineata

anche dalla scelta della legge applicabile. Tendenzialmente, i primi sono

stati definiti (per esteso ovvero per rimando a strumenti internazionali)

direttamente dagli atti istitutivi delle rispettive corti “ibride”, mentre per

i secondi si è operato il rinvio alla legge nazionale.

Ai reati contemplati dallo Statuto del Tribunale libanese si

applicherà unicamente il diritto nazionale, sia pure con significative

“ibridazioni” internazionali in tema di principi generali, come, ad

esempio, la sospensione della pena di morte (che è, invece, applicabile in

Iraq).

Una breve digressione, che non avrebbe potuto trovar spazio nelle

tabelle riassuntive, merita il divieto di applicazione retroattiva della

legge penale, in quanto norma penale internazionalmente riconosciuta. In

tutti i casi considerati, è da ritenersi che il principio nullum crimen, nulla

poena sine praevia lege poenali sia fatto salvo per le seguenti

motivazioni: (i) i reati ordinari sono stati considerati perseguibili solo se

ed in quanto previsti da preesistenti leggi nazionali (al massimo, come

nel caso della Cambogia, ne sono stati estesi i termini di prescrizione);

(ii) laddove i crimina juris gentium non siano stati considerati

perseguibili in base al pre-esistente diritto locale, la loro codificazione ex

post sarebbe comunque sorretta dall’esistenza, al tempus commissi

delicti, di consuetudini internazionali ovvero di norme internazionali

pattizie.

14 H. FRIMAN, “Procedural Law of Internationalized Criminal Courts” in

Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and

Cambodia, op. cit., pagg. 317-358; B. SWART, “Internationalized Courts and

Substantive Criminal Law”, ibidem, pagg. 291-316.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

189

Quanto alla procedura, solo il caso di Timor Est può dirsi analogo a

quello kosovaro: via Regulation il RSSG ha dapprima indicato nelle

leggi vigenti al momento dell’inizio della missione UNTAET il diritto

applicabile, quindi ha introdotto un codice provvisorio “ibrido”.

La Corte Speciale si avvale della procedura del TPIR adattata alla

specificità di Sierra Leone, le Camere Straordinarie ed il Tribunale

libanese delle rispettive procedure nazionali completate e da emendarsi

in base ai principi internazionalmente riconosciuti, le Camere di Bosnia-

Erzegovina della procedura introdotta dall’Alto Rappresentante e

ratificata con legge parlamentare. Il Tribunale iracheno applica la

procedura nazionale ignorando molte delle garanzie proprie del processo

internazionale.

IV.7.5 La competenza

La competenza delle corti “ibride” kosovare non regge confronti in

quanto ad ampiezza:

a) copre potenzialmente l’intera materia penale (di cui i crimina

juris gentium non sono che una parte) più il segmento civilistico di

talune controversie sui diritti di proprietà;

b) è temporalmente “aperta”, nel senso che il dies a quo si

colloca tanto indietro nel tempo quanto sono lunghi i termini di

prescrizione previsti dalla legge vigente al momento della commissione

del reato, ed il dies ad quem resta ancora da definire;

c) in seguito all’introduzione del nuovo codice penale (aprile del

2004), è stata assortita del principio di giurisdizione universale per talune

fattispecie di rilievo internazionale;

d) fatta eccezione per gli autori di crimina juris gentium di più

elevato rango (ricadenti nella giurisdizione del TPIJ), riguarda chiunque

abbia più di 14 anni.

La competenza materiale delle altre corti “ibride” già operative è

circoscritta ad un numero limitato di figurae criminis, sia internazionali

che ordinarie. Tra quelli internazionali, i crimini contro l’umanità e i

crimini di guerra rappresentano, ancorché declinati in modo diverso, il

minimo comune denominatore; solo lo Statuto della Corte Speciale di

Sierra Leone non contempla il genocidio; al di fuori di questo “nocciolo

duro”, l’insieme-intersezione dei crimini internazionali perseguibili da

ciascuna delle quattro corti è un insieme vuoto, tanto diverse sono le

previsioni. completamente disomogeneo è l’ambito dei reati ordinari di

competenza delle corti. Le uniche due significative eccezioni sono date

dai reati economico-finanziari, categoria per la quale sono competenti sia

CAPITOLO QUARTO

190

le corti “ibride” kosovare che una delle due Camere speciali di Bosnia-

Erzegovina, e dal reato di terrorismo, comune alle corti “ibride”

kosovare ed al costituendo Tribunale Speciale per il Libano.

Con l’eccezione delle Camere Straordinarie, tutte le altre corti

“ibride” si caratterizzano per una differenziazione della competenza

temporale a seconda della tipologia di crimini (internazionali ovvero

ordinari). Al Tribunale libanese si associa una competenza temporale

“puntiforme”: saranno perseguibili solo i crimini commessi in 15 ben

identificate date.

La competenza della Corte Speciale e delle Camere Straordinarie

non deborda dai confini del territorio, rispettivamente, di Sierra Leone e

della Cambogia. Il Tribunale libanese avrà giurisdizione sull’area di

Beirut, in cui sono avvenuti i 15 attentati terroristici elencati nell’annesso

dello Statuto. I Panel Speciali di Timor Est, la Camera per i Crimini di

Guerra della Bosnia-Erzegovina ed il Tribunale iracheno sono

competenti anche in ordine a crimini commessi al di fuori dei confini

territoriali nazionali.

La Corte di Sierra Leone, il Tribunale iracheno e le Camere di

Cambogia perseguono esclusivamente i criminali di più elevato rango

e/o quelli su cui ricade la maggiore responsabilità per le atrocità

commesse. La Camera per i Crimini di Guerra di Sarajevo, in base alla

logica della completion strategy, ha competenza personale sui criminali

di medio e basso rango. Alcuna limitazione della competenza ratione

personae è stata prevista per i Panel di Timor Est e per il Tribunale

libanese. La competenza personale della Camera per il Crimine

Organizzato, il Crimine Economico e la Corruzione è soggetta solo al

limite dell’età minima, 14 anni, valore intermedio tra i 12 previsti a

Timor Est ed i 15 previsti a Sierra Leone. Alcun limite di età è

espressamente previsto per le Camere Straordinarie di Cambogia.

IV.7.6 Il rapporto con il sistema giudiziario nazionale15

In Kosovo, giudici e procuratori internazionali non sono assegnati ad

una specifica corte -in questo senso si può affermare che difettano di una

vera e propria istituzionalizzazione- ma permeano potenzialmente

l’intero sistema giudiziario penale, visto che possono “ibridare” qualsiasi

corte/procura penale kosovara sulla base di discrezionali valutazioni

15 J. KLEFFNER, A. NOLLKAEMPER, “The Relationship Between Internationalized

Courts and National Courts” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra

Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., 359-378; G. SLUITER, “Legal

Assistance to Internationalized Criminal Courts and Tribunals”, ibidem, pagg. 379-406.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

191

fatte, caso per caso, da loro stessi ovvero dal RSSG. Rispetto al sistema

locale, i magistrati internazionali godono di una posizione che è, di fatto,

di primacy. Infatti, essi possono direttamente avocare a sé casi che

ritengano “sensibili” (Regulation n. 34/2000) ovvero essere assegnati de

imperio (Regulation n. 64/2000) a casi che il RSSG abbia ritenuto

“sensibili”; inoltre, i procuratori internazionali hanno disposto, sia pure

per una brevissima parentesi, del potere di riaprire -in deroga alle regole

procedurali vigenti- casi che omologhi locali avevano deciso di

abbandonare; ai magistrati locali, d’altra parte, è stato imposto l’obbligo

di notificare al DG UNMIK la decisione di chiudere un’indagine

affinché i procuratori internazionali possano impugnarla in appello

(Regulation n. 2/2001).

Ad eccezione della Corte di Sierra Leone, del Tribunale iracheno e,

in prospettiva, del Tribunale libanese, auto-sussistenti per Statuto, le

altre corti “ibride” sono state istituite presso già esistenti e ben

identificate corti nazionali (Timor Est: Corte Distrettuale e Corte

d’Appello in Dili; Bosnia-Erzegovina: Corte di Stato in Sarajevo;

Cambogia: Corte di primo grado e Corte Suprema in Phnom Penh). Il

rapporto con queste ultime è per tutte, formalmente (Timor Est, Sierra

Leone, Iraq, Libano) o sostanzialmente (Cambogia, Bosnia

Erzegovina16), di primacy, potendo le corti “ibride”: a) avocare a sé casi

su cui vantino competenza; b) derogare al principio ne bis in idem. La

Corte di Sierra Leone e, in prospettiva, il Tribunale libanese sono gli

unici provvisti di soggettività internazionale.

IV.7.7 I profili organizzativi17

La presenza internazionale all’interno di panel kosovari (in cui

siedono, a seconda della gravità del caso, 3 o 5 giudici) è stata

inizialmente minoritaria (1:2 o 1:4) per poi diventare maggioritaria (2:1

16 In tabella si è fatto riferimento alla Rule of the Road Unit, sulla quale è opportuno un

accenno. Introdotta dal par. 5 dell’Accordo di Roma del 1996 tra Bosnia-Erzegovina,

Croazia e RFJ, la procedura c.d. delle “Rules of the Road” (letteralmente “regole della

strada”) ha obbligato, fino al 1° ottobre del 2004, le autorità nazionali delle Parti

contraenti a sottoporre ad un’apposita struttura istituita presso l’Ufficio del Procuratore

del TPIJ, la Rules of the Road Unit, tutti i casi suscettibili di sfociare in incriminazione

per crimini di guerra; detta struttura ha verificato, in base a standard internazionali, la

sussistenza di sufficienti prove affinché le autorità nazionali potessero procedere

all’arresto. 17 C. ROMANO, “The Judges and Prosecutors of Internationalized Criminal Courts and

Tribunals” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East

Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 236-270.

CAPITOLO QUARTO

192

o 3:2) e talvolta totale (3:0 o 5:0); le decisioni sono da sempre soggette

alla regola della maggioranza assoluta (2/3 o 3/5). Normalmente i casi

aggiudicati da panel “ibridi” sono trattati da un procuratore (e, fino alla

riforma della procedura penale dell’aprile del 2004, anche da un giudice

inquirente) internazionale. I magistrati internazionali sono nominati dal

RSSG con mandato base semestrale rinnovabile. A provvedere al loro

supporto amministrativo sono due Divisioni del DG UNMIK (la DP per i

procuratori internazionali e la DSGI per i giudici internazionali). Le

lingue ufficiali sono tre, di cui una internazionale.

Nelle camere del tribunale iracheno non siede alcun giudice

internazionale. Tranne che in Cambogia, dove il rapporto tra giudici

internazionali e nazionali è di 2:3 (Camera di primo grado) ovvero di 3:4

(Camera della Corte Suprema) e le decisioni sono prese a maggioranza

qualificata (4/5 o 5/7), la presenza internazionale è maggioritaria in tutte

le corti “ibride” secondo il medesimo rapporto di proporzione (3:2) e le

decisioni sono adottate a maggioranza assoluta (2/3).

Innovativa è la previsione, circoscritta alle Camere speciali

bosniaco-erzegovine, di un graduale phasing-out della presenza

giudiziaria internazionale, così che si potrà passare, dapprima, ad una

maggioranza nazionale e, infine, ad una composizione interamente

nazionale.

La Cambogia si segnala, d’altra parte, per il fatto che le indagini

sono condotte da una coppia di giudici inquirenti ed i crimini sono

perseguiti da una coppia di procuratori; ciascuna coppia contempla un

magistrato internazionale ed uno nazionale, chiamati a decidere

all’unanimità e, in caso di contrasto, tenuti a rimettere la questione ad

una Camera pre-dibattimentale le cui regole di composizione e voto sono

le medesime della Camera di primo grado.

Nelle altre tre corti “ibride” l’organo d’accusa è internazionale. A

Timor Est, come in Kosovo, i magistrati internazionali sono stati

nominati dal RSSG posto a capo della missione di amministrazione

interinale ma il loro mandato è annuale, rinnovabile. Tranne che in

Cambogia, in cui i giudici ed il co-procuratore internazionali sono

nominati dall’organo di auto-governo della magistratura nazionale sulla

base delle candidature sottoposte dal SG dell’ONU, la nomina dei

magistrati internazionali compete direttamente ad organi internazionali:

al SG dell’ONU in Sierra Leone e in Libano, all’Alto Rappresentante in

Bosnia-Erzegovina. Il mandato dei magistrati nazionali ed internazionali

della Corte Speciale, delle Camere Straordinarie e del Tribunale Speciale

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

193

è identico: triennale (rinnovabile) nei primi due casi e fino al

completamento dei procedimenti nel secondo.

Eccettuato il caso di Timor Est, le altre tre corti “ibride” sono

supportate da una cancelleria ad hoc a composizione mista. Tutte le corti

“ibride” utilizzano gli idiomi ufficiali nazionali come lingue di lavoro e

l’inglese come “lingua franca” internazionale (il francese è utilizzato in

Cambogia e sarà utilizzato anche in Libano); un caso a sé è quello del

Tribunale iracheno, i cui processi si svolgono solo in arabo.

IV.7.8 Le fonti di finanziamento ed il fabbisogno medio annuo18

Come il Programma GPI di UNMIK, così anche i Panel Speciali di

Timor Est sono stati finanziati a valere sul bilancio della missione ONU

di amministrazione interinale (i.e. contributi obbligatori degli Stati

membri) e del bilancio locale. Analogamente, le Camere Straordinarie di

Cambogia sono finanziate, per quanto riguarda la componente

internazionale, dall’ONU (con contributi obbligatori degli Stati membri),

e, per quanto riguarda la componente nazionale dal governo

cambogiano; a queste due fonti si aggiungono i contributi volontari di

soggetti internazionali e non. Le due Camere speciali di Bosnia-

Erzegovina ed il Tribunale iracheno sono finanziate dal bilancio

nazionale e da contributi volontari; allo stesso modo sarà finanziato il

Tribunale libanese. La Corte Speciale di Sierra Leone conta unicamente

su contributi volontari raccolti da un apposito Comitato di Gestione.

Il fabbisogno medio annuo del Programma GPI (16 milioni di $) è

inferiore a quello della Corte Speciale di Sierra Leone (19 milioni di $),

del futuro Tribunale Speciale per il Libano (25 milioni di $) e del

Tribunale Supremo iracheno (oltre 100 milioni di $!); risulta, invece,

superiore a quello della Camera dei Crimini di Guerra di Bosnia-

Erzegovina (10 milioni di $), delle Camere Straordinarie di Cambogia

(6-7 milioni di $) e dei Panel Straordinari di Timor Est (circa 6 milioni

di $).

IV.7.9 Il rapporto con altre giurisdizioni

Partecipi del medesimo contesto storico, la Bosnia-Erzegovina ed il

Kosovo sono entrambi coperti dalla giurisdizione del TPIJ.

Analogamente alle corti “ibride” kosovare, la Camera per i Crimini di

Guerra di Sarajevo ha competenza sui criminali di medio-basso rango,

18 T. INGADOTTIR, “The Financing of Internationalized Criminal Courts and

Tribunals” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East

Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 271-289.

CAPITOLO QUARTO

194

essendosi la strategia accusatoria del TPIJ focalizzata su individui posti

al vertice delle strutture di comando politiche/militari e macchiatisi delle

più gravi atrocità. Tuttavia, se, da un lato la divisione di sfere di

competenza tra corti “ibride” ed il Tribunale dell’Aja si basa su una

statuizione -peraltro priva di valore normativo- del Procuratore Capo del

TPIJ, quella tra la Camera speciale di Bosnia-Erzegovina e lo stesso

Tribunale ha come cornice giuridico-istituzionale la “completion

strategy” decisa dal CS dell’ONU.

Il problema della collaborazione giudiziaria tra Indonesia e

UNTAET/Timor Est19

è, mutatis mutandis, analogo a quello tra UNMIK

e Serbia, con l’importante differenza che tra questi ultimi non è, ad oggi,

stato concluso alcun accordo di cooperazione giudiziaria. I termini della

collaborazione della Siria (e di altri Stati) col Tribunale libanese sarà

verosimilmente decisa dal CS ex capitolo VII della Carta dell’ONU. Con

l’eccezione di Timor Est e della Bosnia-Erzegovina (che è parte di una

convenzione tematica del Consiglio d’Europa), in nessun altro dei casi

considerati si riscontra l’esistenza di un obbligo di cooperazione

giudiziaria da parte degli Stati terzi. Proprio da tale difetto origina il

“corto circuito” tra la giurisdizione -invero, rimasta solo potenziale-

della CIG e quella della Corte Speciale di Sierra Leone, la quale si è

spinta fino all’incriminazione e al mandato d’arresto del Presidente di

uno Stato terzo (la Liberia) rispetto all’accordo internazionale istitutivo

della Corte medesima20

.

Si osserva, inoltre, che i casi di Timor Est e di Sierra Leone si

differenziano da quello kosovaro per l’esistenza, a complemento della

giurisdizione delle corti “ibride”, di una commissione di verità e

riconciliazione. E ancora: il caso kosovaro è immune dalle complicazioni

che in Sierra Leone e in Cambogia sono state causate dalla pregressa

concessione di amnistie (generale nel primo caso, ad personam nel

secondo) affrontata, peraltro, con soluzioni diverse.

* * *

19 Sulla cooperazione del governo indonesiano, ed in particolare, sulla Corte ad hoc di

Jakarta citata al par. IV.2 si veda International Center for Transitional Justice, Intended to

Fail: The Trials before the Ad Hoc Human Rights Court in Jakarta, Occasional Paper

Series, August 2003. 20 Si veda M. FRULLI, “A Turning Point in International Efforts to Apprehend

War Criminals: The UN Mandates Taylor's Arrest in Liberia” in Journal of

International Criminal Justice, vol. 4, 2006, pagg. 351-361.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

195

Le specificità del caso kosovaro, quali segnalate dall’analisi

comparata (soprattutto rispetto ai temi della competenza e del rapporto

col sistema giudiziario nazionale), inducono a considerare il Programma

GPI più come un’azione per la costruzione dello stato di diritto, condotta

nell’ambito di una più ampia missione di amministrazione internazionale

interinale, che ad un vero e proprio esperimento di “ibridazione”

giudiziaria focalizzato sui crimina juris gentium, come negli altri casi.

IV.8 Alcuni spunti per una possibile ideal-tipizzazione e tassonomia

All’inizio del capitolo II, con mere finalità introduttive, è stata

fornita una definizione provvisoria di “corte penale ibrida”; adesso, sulla

base del confronto tra comparatum (il caso kosovaro) e comparanda (gli

altri sei casi), risulta possibile una più compiuta formulazione. Si

dispone, infatti, di sufficienti elementi per procedere, induttivamente,

all’ideal-tipizzazione delle corti “ibride”, cioè all’elaborazione di un

costrutto mentale empiricamente irrintracciabile nella sua purezza

concettuale ma comunque utile, sul piano epistemologico-gnoseologico,

al lavoro dell’internazionalista, cui si offre come tertium paragonis

rispetto al quale misurare la maggiore o minore distanza di un caso reale,

per ciò stesso definendolo21

.

IDEAL-TIPO DI CORTE PENALE “IBRIDA”

Periodo di operatività: natura temporanea; cessa di operare una volta portato a termine il mandato di cui è investita.

Contesto di riferimento

storico: viene istituita successivamente al verificarsi di una crisi di rilievo internazionale accompagnata da gravi ed estese violazioni dei diritti umani.

istituzionale: viene creata nel cono d’ombra giuridico-istituzionale dell’ONU.

Base giuridica: si caratterizza per un fondamento giuridico sotteso sia dalla volontà dello Stato interessato sia della comunità internazionale, ovvero soltanto di quest’ultima in assenza di un sovrano riconosciuto.

Diritto

Materiale

per i crimini internazionali: norme di diritto internazionale penale generale e/o pattizio già vigenti al tempus delicti; ovvero il diritto nazionale, già vigente al tempus commissi delicti, traspositivo del diritto internazionale penale.

21 M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, 1922. Un tentativo di classificazione

(non già di ideal-tipizzazione) delle esistenti corti internazionali ed “ibride è stato fatto da

R. GEIβ, N. BULINCKX, “International and Internationalized Criminal Tribunals. A

Synopsis” in International Review of the Red Cross, vol. 38, n. 861, March. 2006.

Sull’impossibilità di procedere ad una modellizzazione delle corti “ibride” si veda S.

NOUWEN, “Hybrid courts: the hybrid category of a new type of international crimes

courts” in Utrecht Law Review, vol. 2, issue 2, December 2006.

CAPITOLO QUARTO

196

applicabile per i reati ordinari: norme di diritto nazionale già vigenti al tempus delicti.

procedurale: norme nazionali, purché conformi agli standard internazionalmente riconosciuti, i quali fungono anche da “gap filler”.

Competenza

ratione materiae

per i crimini internazionali: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e, in prospettiva, anche terrorismo.

per i reati ordinari: gravi fattispecie non (ancora) coperte dal diritto internazionale (generale) pattizio al tempus delicti.

ratione temporis

per i crimini internazionali: dal giorno di inizio al giorno di chiusura della crisi di rilievo internazionale.

per i reati ordinari: oltre alla fase della crisi di rilievo internazionale, il periodo immediatamente precedente e/o quello immediatamente successivo.

ratione loci

per i crimini internazionali: spazio territoriale interessato dalla crisi di rilievo internazionale (non necessariamente coincidente col territorio di un intero/solo Stato).

per i reati ordinari: territorio nazionale.

ratione personae

per i crimini internazionali: gli individui, di età superiore ad una certa soglia compresa tra 14 e 16 anni, posti al vertice delle strutture di comando dell’apparato politico/militare e su cui ricade la maggiore responsabilità per i crimini commessi.

per i reati ordinari: qualunque individuo, purché di età superiore ad una certa soglia compresa tra 14 e 16 anni.

Rapporto con il sistema giudiziario nazionale: posizione di primacy sulle corti nazionali (si legga: avocabilità di casi e derogabilità, solo in un senso, al principio ne bis in idem).

Profili organizzativi: articolazione in un certo numero di camere/panel di primo grado (ciascuna composta da tre giudici, di cui due internazionali) ed una camera/panel d’appello (composto da 5 giudici, di cui tre internazionali); decisioni prese a maggioranza assoluta. Magistrati internazionali selezionati da istituzioni internazionali e nominati (per un congruo periodo di tempo, comunque rinnovabile) di concerto con le competenti autorità nazionali. Supporto amministrativo di una Cancelleria ad hoc, a composizione mista. Lingue di lavoro: inglese e/o francese, oltre alle lingue maggiormente diffuse a livello nazionale.

Fonti di finanziamento e fabbisogno medio annuo (FMA): contributi volontari/obbligatori della comunità internazionale e, ove possibile, contributi dello Stato interessato. FMA: ca 10 milioni di $.

Rapporto con altre giurisdizioni: a) chiara linea di demarcazione con la giurisdizione di un’eventuale commissione di verità e riconciliazione; b) invalidità di eventuali precedenti amnistie per crimini di competenza della corte; c) obbligo di cooperazione giudiziaria per gli Stati terzi in cui siano eventualmente presenti/di cui siano cittadini i presunti criminali rientranti nella competenza ratione personae della corte; d) complementarietà con la CPI secondo i modi stabiliti dallo Statuto di Roma.

CENNI SULLE ALTRE CORTI “IBRIDE”

197

Le specificità di ciascun contesto di riferimento storico-istituzionale

sono state tali da aver richiesto approcci e soluzioni differenti. Ciascuna

delle sette corti “ibride” costituisce, pertanto, un unicum. Tuttavia,

l’analisi comparata rivela l’esistenza di una caratteristica di fondo

comune a tutti i casi: la natura “ibrida”, intesa come combinazione, a più

livelli (base giuridica, diritto applicabile, composizione,

finanziamento…), tra l’elemento locale/nazionale e l’elemento

internazionale. Invero, è proprio il grado di commistione tra questi due a

differenziare una corte “ibrida” dall’altra22

. L’unica tassonomia generale

(cioè ottenibile dalla ponderazione di tutti gli elementi per i quali è

possibile la gradazione nazionale/internazionale) suscettibile di avere

valore euristico appare, dunque, quella che consente di posizionare le

corti lungo il range che corre dall’estremo della corte puramente

nazionale all’estremo della corte puramente internazionale, passando per

un punto intermedio convenzionale, rappresentato dall’ideal-tipo sopra

proposto.

Diagramma tassonomico

In concreto, la precisa collocazione di una corte all’interno di tale

ambito di definizione, dal quale sono esclusi gli estremi, sarebbe utile

solo comparativamente (e non in assoluto), per misurare la distanza

relativa delle corti da uno stesso estremo di riferimento ovvero dal punto

di ideale equidistanza dagli stessi (cioè l’ideal-tipo). Pertanto, si potrebbe

22 In questo senso anche L. CONDORELLI, T. BOUTRUCHE, “Internationalized

Criminal Courts and Tribunals: Are They Necessary?” in in Internationalized Criminal

Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op. cit., pag.

427.

Corte

nazionale

Corte

internazionale

Cam

bogia

Ko

sovo

Tim

or

Est

Bo

snia

-Erz

ego

vin

a

Sie

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ne

Ambito di esistenza delle corti “ibride”

Ideal-

tip

o d

i

corte

“ib

rid

a” Iraq

Lib

ano

CAPITOLO QUARTO

198

affermare che: la Corte Speciale di Sierra Leone, seguita dal Tribunale

Speciale per il Libano, è la più vicina all’estremo della corte

internazionale; mentre il Tribunale Penale Supremo Iracheno, seguito

dalle Camere Speciali di Cambogia, appare il più vicino all’estremo della

corte nazionale; il Programma GPI di UNMIK e i Panel Speciali di

Timor Est sono collocabili in una posizione intermedia tra l’estremo

nazionale e l’ideal-tipo, mentre le Camere speciali di Bosnia-Erzegovina

tra quest’ultimo e l’estremo internazionale.

Capitolo V

Proposte di ingegneria giuridico-istituzionale

Sommario: V.1 Per una rinnovata complementarietà con la Corte Penale Internazionale. -

V.2 Alcuni spunti per la Conferenza di revisione dello Statuto di Roma

Muovendo dai punti di forza e dalle criticità emersi analizzando la

particolare esperienza kosovara nonché dai risultati della comparazione

con gli altri casi, il presente capitolo, elabora, induttivamente, una bozza

di proposta di ingegneria giuridico-istituzionale per il rafforzamento del

paradigma delle corti “ibride”. L’accento è posto sulle potenzialità del

rapporto tra le corti “ibride” e la principale istituzione del sistema

internazionale penale: la CPI. In particolare, si prospetta una riforma del

regime di complementarietà stabilito dallo Statuto istitutivo della CPI

(par. V.1) e si suggeriscono spunti per un più compiuto ed avanzato

progetto di emendamento dello stesso in vista della prima conferenza di

revisione (par. V.2).

V.1 Per una rinnovata complementarietà con la Corte Penale

Internazionale

UNMIK ha istituito il Programma GPI per due principali ragioni: da

un lato, perché il Procuratore del TPIJ si era prontamente dichiarato

incapace di perseguire tutti i crimini commessi in Kosovo1, e, dall’altro,

perché le deficienze della magistratura locale (sul piano tecnico, etico e

della rappresentatività etnica) si erano rivelate tali da provocare ulteriori

tensioni tra le parti del conflitto appena concluso.

Di fronte ad una crisi umanitaria analoga -per natura, proporzioni e

postumi- a quella kosovara, è improbabile che le corti nazionali siano

materialmente capaci di (ovvero sinceramente disposte a) processare gli

autori di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Proprio in

un’evenienza di questo tipo, la CPI potrebbe, nel rispetto delle norme

dello Statuto, attivare la propria giurisdizione; tuttavia, nella migliore

delle ipotesi, essa, con le risorse a disposizione, non potrebbe che

focalizzarsi sui casi di maggior rilievo. Una tale circostanza rivela i

limiti dell’aut-aut intrinseco al regime di complementarietà tra CPI e

corti nazionali e invita a guardare alle corti “ibride” come ad uno

strumento alternativo all’impunità ovvero a troppo sbrigative amnistie o

1 Si veda supra al par. II.4.3.

CAPITOLO QUINTO

200

a meccanismi extra-giudiziari di espiazione collettiva (e.g. commissioni

di verità e riconciliazione) di opinabile efficacia.

Negoziato in epoca antecedente alla prima concreta esperienza di

corti “ibride” (quella kosovara, dal febbraio del 2000), lo Statuto di

Roma non prevede, comprensibilmente, alcun tipo di relazione tra la CPI

e le prime2.

Per integrare le corti “ibride” all’interno del vigente sistema internazionale penale, si renderebbe, pertanto, necessario il superamento dell’attuale definizione giuridica del regime di complementarietà

3, la

quale implica un sistema binario, regolato da una logica alternativa (diagramma a). Il sistema è binario perché ammette l’esistenza di soli due tipi di giurisdizione: la CPI e le corti nazionali (tertium non datur); la logica è alternativa in quanto le due giurisdizioni sono reciprocamente esclusive: secondo l’art. 17 del suo Statuto, la CPI ha competenza

2 Il linguaggio adoperato nello Statuto della CPI non lascia margini di incertezza circa il

fatto che l’unico rapporto inter-giurisdizionale contemplato sia quello con le corti

nazionali. Si veda, in particolare, l’art. 17, par. 1, lett. (a) e (b), par. 2, lett. (a) e par. 3. 3 Al fine di garantire sufficiente copertura legale alla proposta che verrà di seguito

illustrata non può considerarsi sufficiente l’interpretazione teleologica dello Statuto di

Roma di cui ci si è avvalsi supra al par. II.4.4. Sull’integrazione del paradigma “ibrido”

all’interno dello Statuto della CPI e, più in generale, del vigente sistema internazionale

penale si vedano: M. BENZIG e M. BERGSMO, “Some Tentative Remarks on the

Relationship Between Internationalized Jurisdictions and the International Criminal

Court” in Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor,

Kosovo, and Cambodia, op. cit., pagg. 409-414; W. BURKE-WHITE, “A Community of

Courts: Towards a System of International Criminal Law Enforcement”, in Michigan

Journal of International Law, 2002, pagg. 1-101; IDEM, “Regionalization of

International Criminal Law Enforcement: A Preliminary Exploration” in Texas

International Law Journal, 2003, pagg. 729-761; R. LIPSCOMB, “Restructuring the ICC

Framework to Advance Transitional Justice: A Search for a Permanent Solution in

Sudan” in Columbia Law Review, 2006, pagg. 182-212.

CPI Corti

nazionali

Corti

nazionali (a)

aut-aut

aut-aut VO

LO

NT

A’

CAPACITA’

CPI

(b)

+

Corti

“ibride”

primacy

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

201

laddove le corti nazionali siano incapaci o non vogliano intervenire mentre, in caso contrario, la CPI è tenuta ad astenersi dall’intervento. Una rinnovata nozione di complementarietà -diagramma b- dovrebbe comportare, invece, un sistema ternario sotteso da una logica alternativa, rispetto al parametro della volontà, e cumulativa, rispetto al parametro della capacità

4.

Il sistema sarebbe ternario in quanto fondato sulla permanente esistenza di due tipologie giurisdizionali -la CPI e le corti nazionali- e sulla possibilità, in via provvisoria, di un tertium genus -le corti “ibride”, appunto. Una logica di tipo cumulativo (simboleggiata nel diagramma b dal segno aritmetico “+”) regolerebbe il segmento CPI-corti “ibride”: nell’ipotesi in cui uno Stato voglia ma non sia materialmente capace di perseguire i crimini, esso potrebbe acconsentire al dispiegamento di un pool di magistrati internazionali a supporto del sistema giudiziario nazionale

5; tale evenienza non escluderebbe la possibilità per la CPI di

focalizzare -come ha fatto il TPIJ rispetto al Kosovo ed alla Bosnia-Erzegovina- la sua strategia accusatoria sui maggiori responsabili dei crimini più efferati ed estesi, lasciando alle corti “ibride” il mare magnum dei criminali di piccola e media taglia. Per i crimini commessi prima dell’entrata in vigore dello Statuto di Roma, potrebbe prevedersi -in presenza del consenso dello Stato interessato ovvero di una decisione ex Capitolo VII del CS dell’ONU- l’estensione della competenza ratione temporis della CPI: troppe, e troppo estese, sono le atrocità commesse antecedentemente al 1° luglio del 2002, per poter stendervi sopra un velo di oblio giudiziario (e di impunità). Per garantire l’uniformità ermeneutica del diritto internazionale umanitario, si potrebbe prevedere un meccanismo di rinvio pregiudiziale, sul modello di quello disciplinato dall’art. 234 del Trattato CE, da parte delle corti “ibride” ad una Camera Suprema da istituirsi all’interno della CPI. La logica dell’aut-aut, d’altra parte, continuerebbe a regolare, con

riferimento al parametro della volontà, il rapporto tra CPI e corti

nazionali. La CPI potrebbe assumere giurisdizione -purtroppo su un

4 Va da sé che la logica varrebbe unicamente per i crimini rientranti nella giurisdizione

della CPI e non per i reati ordinari eventualmente inseriti nella sfera ratione materiae

della corte “ibrida”. 5 Pur non operando alcun utile distinguo tra “mancanza di volontà” e “mancanza di

capacità”, l’ex SG dell’ONU ha ben colto le potenzialità delle corti “ibride”: “domestic

justice systems should be the first resort in pursuit of accountability. But where domestic

authorities are unwilling or unable to prosecute violators at home, the role of the

international community becomes crucial. The establishment and operation of the

international and hybrid criminal tribunals of the last decade provide a forceful

illustration of this point”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice

in conflict and post-conflict societies, cit., par. XII.40, pag. 14.

CAPITOLO QUINTO

202

numero limitato di casi suscettibili di provocare il maggiore effetto di

deterrenza- solo nell’ipotesi in cui le corti nazionali non vogliano

intervenire, viceversa dovrebbe astenersi in presenza di una sincera

intenzione statale di perseguire i crimini. Del resto, se uno Stato non

intende perseguire da sé gli autori di crimini coperti dalla giurisdizione

della CPI, risulta arduo ipotizzare che esso possa accettare di buon grado

l’inserimento di magistrati internazionali nel proprio sistema giudiziario

per adempiere a quella stessa funzione6.

Il principio della giurisdizione penale universale, codificato nella

forma dell’obbligo di aut dedere aut judicare da parte del forum

deprehensionis, potrebbe fungere da “norma di chiusura” del sistema

giudiziario penale internazionale sopra abbozzato7.

V.2 Alcuni spunti per la Conferenza di revisione dello Statuto di

Roma

Affinché future corti “ibride” possano efficacemente funzionare in

complementarietà con la CPI ed al riparo da qualsivoglia ingerenza

politica (nazionale o internazionale) sarebbe opportuno incastonare la

struttura preposta alla loro governance all’interno di un’istituzione: a)

permanente, b) a vocazione universale, c) con sicuri attributi di

sovranazionalità e d) specializzata nel settore dei crimina juris gentium.

Il profilo istituzionale delineato è chiaramente quello della CPI, la cui

Cancelleria (Registry), in quanto organo “responsible for the non-judicial

aspects of the administration and servicing of the Court”8, potrebbe

essere messa in condizione di gestire, su richiesta dello Stato interessato

-parte o meno della CPI- ovvero su decisione del CS dell’ONU ex

capitolo VII della Carta, programmi integrati per il dispiegamento

rapido di giudici, procuratori, avvocati ed investigatori internazionali in

Stati disposti a, ma incapaci di, perseguire crimini per i quali la CPI è

competente. A tal fine, sarebbe necessario istituire al suo interno una

6 Non può, tuttavia, escludersi che detto Stato, sotto le pressioni politiche della comunità

internazionale (e finanche sotto le sanzioni, non implicanti l’uso della forza, del CS)

possa accettare il dispiegamento di magistrati internazionali, il quale certamente è meno

“intrusivo” nella sovranità nazionale di un tribunale puramente internazionale. 7 “[U]niversality principle (…) stands as a potentially important reserve tool in the

international community’s struggle against impunity”. UN Secretary General, The rule of

law and transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par. XII.48, pag.

16. Certa dottrina ha considerato le corti “ibride” come l’ultima frontiera del principio di

giurisdizione universale; sul punto si veda C. SRIRAM, “Globalising Justice: From

Universal Jurisdiction to Mixed Tribunals” in Netherlands Quarterly of Human Rights,

2004, pagg. 7-32. 8 Art. 43 dello Statuto di Roma.

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

203

struttura ad hoc -Dipartimento per la Giustizia Penale di Transizione

(DGPT)- la cui possibile struttura è di seguito sinotticamente

rappresentata e descritta.

Nominato dall’ASP e supportato da una Segreteria Tecnica, un Vice

Cancelliere Speciale, sarebbe posto al vertice del DGPT. Un Comitato

Esecutivo coordinerebbe le attività delle 9 Divisioni Generali (DiG) del

DIPARTIMENTO

PER LA GIUSTIZIA DI

TRANSIZIONE

Vice Cancelliere Speciale

Comitato

Esecutivo

(Capi Divisione)

DiG per la Gestione del Roster

DiG Investigativa e Procuratoriale

DiG Giudiziaria

DiG per il Supporto alla Difesa, alle Vittime e

ai Testimioni D

iG p

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DiG

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Segreteria Tecnica

DiG

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Dip

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atica

DIVISIONI DI SUPPORTO

DIV

ISIO

NI O

PE

RA

TIV

E

Ufficio Supporto

Logistico

Ufficio

Finanziario

Ufficio

Amministrativo

CAPITOLO QUINTO

204

DGPT e deciderebbe su tutte le questioni complesse; esso

comprenderebbe i Capi di tutte le DiG e sarebbe presieduto dal Vice

Cancelliere Speciale. Le questioni amministrative, finanziarie (ivi

incluse le necessarie attività di procurement) e logistiche dell’intero

DGPT sarebbero curate da uffici dedicati.

Quattro DiG operative sovrintenderebbero alle attività “core” del

DGPT:

DiG per la Gestione del Roster, preposta alla progettazione,

realizzazione e manutenzione evolutiva di un roster (letteralmente

“elenco”) elettronico di magistrati, avvocati ed investigatori dispiegabili,

con preavviso massimo di 30 giorni9, in contesti post-crisis, non

necessariamente nell’ambito di missioni di peace-keeping10

.

Il roster conferirebbe al versante operativo del DGPT una

struttura organizzativa flessibile e finanziariamente efficiente, in quanto,

solo all’occorrenza, i magistrati sarebbero contrattualizzati per missioni

di durata minima di un anno e con avvicendamenti non repentini. La DiG

avrebbe unicamente funzioni esecutive, in quanto la selezione dei

magistrati e degli investigatori da inserire nel roster dovrebbe essere

rimessa ad un costituendo comitato speciale dell’ASP (CSASP),

destinatario delle short-list di candidati trasmesse dagli Stati parti della

CPI. Il CSASP dovrebbe accertare la preparazione e l’esperienza, per

quanto riguarda i magistrati, nel campo del diritto internazionale

9 Per attenuare gli inconvenienti procedurali del repentino abbandono, da parte dei

magistrati, dei casi in trattazione presso i rispettivi sistemi giudiziari d’afferenza, gli Stati

parti della CPI dovrebbero introdurre nelle rispettive legislazioni delle norme a tutela

della continuità del procedimento penale e, dunque, del diritto dell’imputato ad essere

processato in tempi ragionevoli. 10 “There is (…) a clear need to develop a reliable international roster of individuals (…)

in order to facilitate both efficient identification, screening, recruitment, pre-deployment

training and deployment of high-quality personnel (…); an up-to-date roster/database of

justice and transitional justice experts [should be] based upon explicit criteria, reflecting

geographic, linguistic, gender and technical diversity, and organized according to

particolar areas of expertise”. UN Secretary General, The rule of law and transitional

justice in conflict and post-conflict societies, cit., parr. XVIII.62, pag. 20, XIX.65,(h),

pagg. 22-23. Per inciso, gli “occupational groups” “Jurists”, “Legal affairs”, “Human

Rights” del sistema di recruitment dell’ONU (si veda al sito web <http://jobs.un.org>),

non sottendono dei roster di candidati potenziali; si tratta piuttosto di gruppi di vacancy

predisposte di volta in volta a seconda di esigenze contingenti. L’assenza di un roster

dedicato è lamentata da molti analisti, tra cui C. P. R. ROMANO, “The Judges and

Prosecutors of Internationalized Criminal Courts and Tribunals” in Internationalized

Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and Cambodia, op.

cit., pag. 253 e 256.

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

205

umanitario e della tutela dei diritti umani, e, per quanto concerne gli

investigatori, nelle indagini su reati la cui complessità approssima quella

dei crimina juris gentium11

. Per gli avvocati, potrebbero prevedersi

meccanismi più snelli, come, ad esempio, la selezione, da parte del

CSASP, di auto-candidati per titoli e per colloquio. Per tutte le figure

professionali dovrebbero, ovviamente essere accertati i requisiti di

integrità morale e di conoscenza di una delle lingue veicolari

internazionali (inglese e francese).

Tra le funzioni della DiG rientrerebbe la catalogazione dei profili dei

magistrati e degli avvocati secondo una pluralità di criteri, tra cui quelli

considerati strategici per l’aderenza dei futuri programmi di intervento ai

contesti locali: provenienza geografica, lingua, sesso, sistema giuridico

di afferenza (common law, civil law, misto, islamico…).

DiG Investigativa e Procuratoriale, responsabile della gestione amministrativa degli investigatori e dei procuratori internazionali dal momento della loro contrattualizzazione e per tutto il periodo del dispiegamento.

DiG Giudiziaria, avente, con riferimento ai giudici, le stesse funzioni della DiG Investigativa e Procuratoriale. DiG per il Supporto alla Difesa, alle Vittime ed ai Testimoni con il mandato di gestire il dispiegamento di avvocati internazionali capaci di garantire agli imputati processi equi e contribuire, allo stesso tempo, al rafforzamento delle capacità degli omologhi locali

12. La DiG

coordinerebbe, inoltre, programmi per la protezione delle vittime e dei testimoni.

11 Valgano, al riguardo, le parole dell’ex SG dell’ONU: “The first challenge is the lack of

experts who combine the complementary skills required to do this work on behalf of the

United Nations. Nor are there adequate cadres of civilian police, judges, prosecutors,

lawyers, prison officials and so on. To be sure, there are plenty of persons who are expert

in the workings of their own legal system, their own legislation and their own language.

Such expertise is, however, of limited value to our activities. What is required is a mix of

expertise that includes knowledge of United Nations norms and standards for the

administration of justice, experience in post-conflict settings, an understanding of the

host country’s legal system (inter alia, common law, civil law, Islamic law), familiarity

with the host-country culture, an approach that is inclusive of local counterparts, an

ability to work in the language of the host country and familiarity with a variety of legal

areas”. Ibidem, par. XVIII.61, pag. 20. 12 Magistrati ed investigatori internazionali sono sì il motore del sistema giudiziario

penale ma, senza un corpo avvocatizio preparato, i rischi di violazione del diritto -

internazionalmente riconosciuto- dell’imputato ad un equo processo sarebbero alquanto

probabili.

CAPITOLO QUINTO

206

Nel comporre il pool di investigatori, procuratori, giudici ed avvocati, le rispettive DiG dovrebbero posizionare il criterio dell’equa ripartizione geografica (cui sono tradizionalmente informate le corti internazionali) in un secondo piano rispetto a pragmatiche valutazioni di opportunità, quali, ad esempio: la compatibilità “politica” e “culturale” col contesto di destinazione

13, il diverso contributo finanziario volontario

offerto ad ogni singolo programma d’intervento da parte degli Stati parti della CPI

14.

Altre cinque DiG sarebbero di supporto allo svolgimento delle attività “core”: DiG per il Supporto all’Institution-Building, deputata a progettare ed attuare, di concerto con le autorità locali, l’assetto istituzionale di ogni singolo programma d’intervento, contemperando obiettivi di efficacia-efficienza e di indipendenza funzionale. A seconda della specificità del contesto d’intervento, la DiG potrebbe optare tra più alternative:

a) individuazione di già esistenti strutture giudiziarie (procure e corti) alle quali assegnare i magistrati internazionali secondo un meccanismo analogo a quello previsto dalla Regulation UNMIK n. 64/2000 ma opportunamente corretto con la formale previsione di una giurisdizione unica su un elenco tassativo di figurae criminis (a tutela del principio di pre-costituzione del giudice naturale) e la fissazione di criteri oggettivi e trasparenti sulla cui base selezionare i casi “sensibili”;

b) progettazione e messa in funzione di panel/camere speciali/straordinarie all’interno di una corte già esistente, come nei casi di Timor Est, della Bosnia-Erzegovina e della Cambogia;

c) progettazione e messa in funzione di una nuova corte auto-sussistente sul modello di quella sperimentata in Sierra Leone ovvero di quella progettata per il Libano. In ogni caso, il rapporto tra presenza giudiziaria internazionale e

sistema giudiziario locale andrebbe improntato alla regola della primacy:

avocabilità dei casi coperti da esclusiva competenza e derogabilità, solo

in un senso, del principio ne bis in idem15

.

13 Ad esempio, sarebbe inopportuno inviare esperti di un Paese direttamente coinvolto

nella crisi che ha preceduto il programma di dispiegamento, ovvero esperti afferenti a

sistemi di civil law in Paesi tradizionalmente di common law e viceversa. 14 E’ realistico supporre che uno Stato contribuirà in misura maggiore ad un programma

d’intervento in cambio di significativo coinvolgimento dei suoi esperti, ferma restando la

loro indipendenza. 15 Si spiega così perché nel diagramma (b) le corti “ibride” sono state poste alla sommità

del piano inclinato che le collega alle corti nazionali.

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

207

In concreto, nella fase immediatamente successiva all’attivazione

del DGPT, una task force di funzionari della DiG dovrebbe essere

inviata in missione nel Paese interessato per valutare le opzioni possibili

e predisporre i profili istituzionali di un programma d’intervento “su

misura”. Soluzioni standard andrebbero respinte a priori, perché ciascun

contesto d’intervento ha le sue specificità16

. La rapidità dell’attività

progettuale e della successiva attuazione sarebbe cruciale per dare un

chiaro segnale di deterrenza, oltre che per evitare il materiale

deterioramento delle prove. Il “rapporto Brahimi” raccomanda un

termine massimo di 30 giorni per il dispiegamento di missioni di

peacekeeping tradizionali e di 90 giorni per quelle complesse17

. Dal

momento che un programma di intervento del DGPT è certamente più

complesso di una missione di peacekeeping tradizionale (si legga:

dispiegamento di forze militari di interposizione) ma meno complesso di

una missione tipo UNMIK ed UNTAET, il tempo di reazione può essere

stimato nel valore mediano di 60 giorni, di cui i primi 30 per mobilitare

gli esperti attraverso il roster, ed i secondi 30 per prepararli alla

specificità del contesto d’intervento (pre-deployment training). A programma avviato e rodato, la DiG potrebbe focalizzarsi sul supporto alle autorità locali per un più vasto progetto di riforma del sistema giudiziario penale locale, nell’ottica di adeguarlo agli standard dei Paesi in cui lo stato di diritto è una realtà consolidata

18.

L’individuazione di best practice a livello internazionale, di lesson learned da altri programmi d’intervento sviluppati dal DGPT e la codificazione delle procedure per la loro replicabilità sarebbero certamente utili a questa finalità.

DiG per il Supporto Giuridico, avente, oltre al compito di

predisporre, in tempi strettissimi, la traduzione dei testi giuridici

applicabili in una lingua veicolare internazionale19

, quello di fornire

assistenza alle autorità nazionali per: a) un’immediata revisione, nel

solco della tradizione giuridica locale, delle norme di procedura penale;

16 “Pre-packaged solutions are ill-advised”. UN Secretary General, The rule of law and

transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par. VI.16, pag. 7. 17 Panel on United Nations Peace Operations, Report to the Secretary General, 17

August 2000, par. 91. 18 A tal fine, utili benchmark potrebbero essere i “Basic Principles on the Indipendence of

the Judiciary” adottati dall’AG dell’ONU con risoluzioni n. 40/32 del 29 novembre del

1985 e n. 40/146 del 13 dicembre dello stesso anno, e i “Basic Principles on the Role of

Lawyers” richiamati dall’AG nella risoluzione n. 45/166 del 18 dicembre del 1990. 19 Sarebbe opportuno tradurre anche la giurisprudenza delle corti di più elevato grado

(soprattutto se il sistema in cui si interviene è di common law) ed i testi di dottrina (ove

esistenti).

CAPITOLO QUINTO

208

b) un più graduale e condiviso adeguamento del diritto penale

materiale20

. Gli standard internazionalmente riconosciuti dovrebbero

fungere da “bussola” per entrambe le attività21

. E’ appena il caso di

ricordare che, in attesa dell’adeguamento del codice penale, i crimina

juris gentium andrebbero perseguiti sulla base del diritto internazionale

generale e della giurisprudenza elaborata dalle giurisdizioni

internazionali.

In alcuni casi, l’impegno della DiG potrebbe consistere

semplicemente nell’emendamento di puntuali disposizioni, in altri nella

completa riscrittura dei testi legislativi.

In ogni caso, sarebbe auspicabile che la DiG non accogliesse

l’opinione di chi, in dottrina22

, ha guardato con favore all’impegno di

taluni centri di ricerca per la predisposizione di modelli “ibridi” di codici

giuridici utilizzabili, in via provvisoria, in contesti post-conflittuali23

.

Esperienze come quella kosovara suggeriscono di considerare con

maggiore attenzione il rischio di aporia ermeneutica (nonché di

espropriazione culturale) connesso alla “ibridazione” normativa; codici

“ibridi” complicano l’applicazione del diritto tanto per gli operatori

locali che per quelli internazionali: l’appartenenza di un sistema locale

ad una certa tradizione giuridica andrebbe piuttosto assecondata24

.

20 A monte della sfasatura temporale tra le due attività vi è il condivisibile distinguo che

l’ex SG dell’ONU ha operato nel rispondere alla raccomandazione del “Rapporto

Brahimi” (cit., par. 83, pag. 14) di valutare la fattibilità e l’utilità di un codice penale

provvisorio, comprensivo di eventuali adattamenti regionali, da applicare in missioni tipo

UNMIK o UNTAET nelle more del processo di costruzione del sistema giuridico

nazionale: “rebuilding of a legal system, or a sector thereof, and the promulgation of

substantive rules of criminal law would be a longterm exercise. It requires extensive

participation and training of the local judicial and legal communities concerned, which

will ultimately bear the burden of applying the law. [I doubt] whether it would be

practical, or even desirable given the diversity of country specific legal traditions, for the

Secretariat to try to elaborate a model criminal code, whether worldwide, regional, or

civil or common lawbased, for use by future transitional administration missions. (…)

[P]ractical aspects of criminal procedures, as opposed to the substantive elements of the

law itself, would be of great benefit” Si veda Secretary-General, Report on the

implementation of the report of the Panel on United Nations Peace Operations, 20

October 2000, parr. 31 e 33, pagg. 7-8). 21 Ibidem, par. 32, pag. 8. 22 D. TOLBERT, A. SOLOMON, “United Nations Reform and Supporting the Rule of

Law in Post-Conflict Societies” in U.N. Reform and the Rule of Law, Harvard Human

Rights Journal, vol. 19, 2006, pag. 43. 23 Si pensi al Model Codes for Post Conflict Criminal Justice Project dell’Università

irlandese di Galway e dell’USIP (United States Institute of Peace), consultabile on line:

<http://wwwnuigalway.ie/human_rights/Projects/model_codes.html>. 24 H. FRIMAN, “Procedural Law of Internationalized Criminal Courts” in

Internationalized Criminal Courts and Tribunals: Sierra Leone, East Timor, Kosovo, and

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

209

Inoltre, la DiG dovrebbe resistere alla tentazione “culturalista” di

chi, in dottrina25

, ha sostenuto che i meccanismi di giustizia penale post-

conflittuale dovrebbero, per non risultare estranei ai loro destinatari,

incorporare elementi della cultura locale. Significa forse che i diritti

umani non sono universali e che sono, pertanto, possibili tante dottrine

dei diritti umani quanti sono i contesti locali26

? Significa forse, per

restare al caso del Kosovo, che le autorità UNMIK avrebbero dovuto

incorporare nei codici provvisori del 2004 anche elementi del Kanun27

?

Con maggiore favore andrebbe considerata la posizione dell’ex SG

dell’ONU che auspica solo un ruolo complementare, e comunque nel

rispetto degli standard internazionali, per i meccanismi tradizionali di

amministrazione della giustizia e di risoluzione delle controversie28

. DiG per il capacity-building, incaricata, in primo luogo, di provvedere al pre-deployment training del personale internazionale

29; in

secondo luogo, di selezionare i giuristi locali da affiancare agli internazionali; in terzo luogo, di sviluppare, con il coinvolgimento di questi ultimi, programmi di formazione integrati a favore del sistema

Cambodia, op. cit., pagg. 355-356. W.S. BETTS, S.N. CARLSON, G. GISVOLD, “The

post-conflict transitional administration of Kosovo and the lesson-learned in efforts to

establish a judiciary and rule of law” in Michigan Journal of International Law, vol. 22,

spring 2001, pagg. 371-389. 25 E. HIGONNET, Restructuring Hybrid Courts: Local Empowerment and National

Criminal Justice Reform, Yale Law School Student Scholarship Series, Paper 6, Year

2005, pagg. 10-12. 26 Sul tema si veda M. IGNATIEFF, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Milano

2003. 27 Sotto il termine “Kanun” (dal greco “kanon”, regola) si usa indicare l’insieme delle

norme consuetudinarie applicate da secoli alle relazioni sociali del popolo albanese.

Insidiato dalla sharia turco-ottomana (dalla fine del XIV secolo) e, in seguito, dallo

sforzo modernizzatore impresso dagli Stati albanese e jugoslavo (sia quello monarchico

che quello comunista), il Kanun ha attraversato i secoli giungendo fino ai nostri giorni,

certamente non nella sua forma originaria, cioè come sistema di norme giuridiche, ma

come dimensione meta-legale improntata a valori sentiti come tradizionali dal popolo

albanese: l’onore (besa), la parola data, la vendetta, il coraggio, il carattere sacro

dell’ospitalità, la famiglia in quanto clan (shpi), la fedeltà coniugale, la fratellanza

(vllazni), il clan (fis), la saggezza degli anziani. Si veda S. GJEÇOV, L. FOX, The Code

of Lekë Dukagjini, New York, 1989. 28 UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in conflict and post-

conflict societies, cit., par. XI.36, pag. 12. 29 “Once qualified personnel are identified, the next step is to ensure that they benefit

from serious and systematic pre-deployment training, with core subjects ranging from the

systems and traditions of the host country to the operations of the mission, to the norms

and standards to be applied and to the standard of conduct expected of them”. Ibidem,

par. XVIII.63, pag. 20.

CAPITOLO QUINTO

210

giudiziario locale. L’on-the-job-training, reso possibile dal materiale contatto con gli internazionali, dovrebbe essere integrato da altri mezzi formativi -seminari tematici, focus group, diffusione di case paper, tirocini- affinché il progressivo potenziamento delle capacità professionali dei locali, renda possibile, sin dalle prime fasi del dispiegamento, la programmazione del phasing-out della presenza straniera

30. Logiche, come quella kosovara, di separazione e parallelismo

tra componente internazionale e locale andrebbero respinte perché, oltre ad essere contrarie all’ownership-building, sono d’ostacolo al perseguimento di obiettivi di capacity-building

31. Pre-condizione

formale affinché gli internazionali sentano propria la funzione di formatori dovrebbe essere l’inserimento di un’esplicita previsione in tal senso nel loro contratto. DiG per la Comunicazione Esterna, con la responsabilità di perseguire, attraverso un’opportuna attività di mediazione culturale, veicolata attraverso canali informativi adeguati

32, obiettivi di confidence

building33

verso la presenza internazionale, affinché quest’ultima non venga percepita dalla magistratura e dall’opinione pubblica locali come

30 La necessità di definire tempi e modi del disimpegno della presenza giudiziaria

internazionale è stata rimarcata anche dall’ex SG dell’ONU: “it is essential that, from the

moment any future international or hybrid tribunal is established, consideration be given,

as a priority, to the ultimate exit strategy and intended legacy in the country concerned”.

Ibidem, par. XII.46, pag. 16. 31 “[We] have learned that effective and sustainable approaches begin with a thorough

analysis of national needs and capacities, mobilizing to the extent possible expertise

resident in the country. (…) The role of (…) the international community should be

solidarity, not substitution.” (…) in the long term, no as hoc, temporary or external

measures can ever replace a functioning national justice system”, UN Secretary General,

ibidem, parr. VI.15, pag.6, VII.17, pag. 7, XI.34, pag. 12. 32 Non sempre i mezzi di comunicazione di massa (TV, radio, internet…) sono capaci di

penetrare società arretrate, per cui strumenti diversi dovrebbero essere predisposti, come,

ad esempio, incontri per la sensibilizzazione delle comunità locali e di chi presso di loro

è opinion-leader. 33 Valgano al riguardo le parole dell’ex SG dell’ONU: “[o]ur experience in the past

decade has demonstrated clearly that the consolidation of peace in the immediate post-

conflict period, as well as the maintenance of peace in the long term, cannot be achieved

unless the population is confident that redress for grievances can be obtained through

legitimate structures for the peaceful settlement of disputes and the fair administration of

justice (…) public expectations must be informed through an effective communications

strategy”. UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in conflict and

post-conflict societies, cit., parr. II.2, pag. 3, XII.46, pag. 16.

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

211

un “corpo estraneo”, bensì come una necessaria, utile e provvisoria integrazione

34.

DiG Diplomatica, col mandato di negoziare, per conto dell’ASP,

accordi di cooperazione tesi a rendere più efficaci e finanziariamente

sostenibili le attività del DGPT, evitando duplicazioni ed attivando

sinergie con gli attori della comunità internazionale che esibiscono un

“vantaggio comparato” derivante da una consolidata esperienza35

. Si

noti, per inciso, che l’art. 4, par. 2 dello Statuto di Roma dota la CPI

della capacità giuridica necessaria all’esercizio delle proprie funzioni ed

al perseguimento dei propri fini; da una tale ampia formulazione, se ne

potrebbe dedurre anche il potere di concludere accordi internazionali

ovvero intese con enti non governativi.

Almeno cinque tipologie di accordi possono essere individuate a

priori:

1) accordi con Stati diversi da quello beneficiario del

dispiegamento (specialmente quelli confinanti), la cui cooperazione

giudiziaria sia considerata cruciale per l’arresto ed il trasferimento

presunti criminali, per assicurare la materiale presenza dei testimoni, per

eseguire le sentenza36

;

2) accordi con Stati ed organizzazioni militari regionali, il cui

apparato di sicurezza, investigativo e repressivo sia ritenuto necessario

per rendere effettiva l’attività giudiziaria svolta dai magistrati

internazionali37

;

3) accordi con la missione di amministrazione internazionale

transitoria eventualmente operante in loco su mandato del CS dell’ONU;

34 Un valido esempio è offerto dalla Cancelleria delle Camere per i Crimini di Guerra e

per il Crimine Organizzato presso la Corte di Stato di Bosnia-Erzegovina, presso cui è

stata creata una Public Information and Outreach Section. 35 “[C]oordination within the broader international community, including among bilateral

and multilateral donors, aid agencies, non-governmental organizations, private

foundations and the United Nations is equally vital, yet remains a largely unresolved

challenge. Inadequate coordination in this sector leads to duplication, waste, gaps in

assistance and conflicting aid and programme objectives”. UN Secretary General, The

rule of law and transitional justice in conflict and post-conflict societies, cit., par.

XVII.58, pag. 20. 36 Nell’impossibilità di concludere tali accordi, il responsabile della DiG dovrebbe

sollecitare il Vice Cancelliere Speciale affinché quest’ultimo sottoponga la questione al

CS dell’ONU che potrebbe, a mezzo di una risoluzione ex Capitolo VII della Carta,

obbligare alla collaborazione il Paese (o i Paesi) renitenti. 37 Ad esempio, tali accordi potrebbero avere ad oggetto l’assistenza necessaria per

predisporre programmi di protezione testimoni e vittime, servizi di medicina legale e

perizie tecniche.

CAPITOLO QUINTO

212

4) accordi con organizzazioni internazionali e convenzioni con

soggetti non statuali (università, centri di ricerca, ong) affinché expertise

qualificato, diverso da quello inserito nel roster, venga messo a

disposizione del DGPT38

;

5) accordi con Stati ed organizzazioni finanziarie internazionali

per il reperimento di contributi volontari a fondo perduto, ovvero a titolo

oneroso (purché a condizioni agevolate), per la costituzione di un Trust

Fund dedicato ad ogni singolo programma d’intervento. La fase

progettuale di ciascun programma dovrebbe essere finanziata a valere su

un Fondo di Riserva/Emergenza da pre-costituirsi all’interno del bilancio

della CPI con contributi obbligatori; per accrescere il grado di

ownership, sarebbe auspicabile il diretto impegno finanziario del Paese

beneficiario39

.

La struttura del DGPT dovrebbe essere traslata, su scala ridotta, a

livello locale. Un Responsabile Generale (RG) sarebbe posto al vertice di

ciascun programma d’intervento e risponderebbe al Vice Cancelliere

Speciale per l’attuazione delle decisioni del DGPT. Il RG coordinerebbe

gli uffici di proiezione locale delle nove DiG. All’Ufficio Finanziario

centrale dovrebbe fare da pendant un apposito Comitato di Gestione -

presieduto dal RG e composto da rappresentanti dei Paesi donatori, delle

eventuali organizzazioni internazionali prestatrici e del Paese

beneficiario- responsabile unicamente dell’amministrazione del Trust

Fund. Ciascun programma d’intervento potrebbe essere avviato solo

dopo che la citata DiG abbia raccolto risorse sufficienti per i primi 12

mesi di attività e promesse di finanziamento almeno per i successivi 2440

.

38 Accordi di questo tipo sarebbero necessari, in primo luogo, per sgravare le risorse

dispiegate dagli adempimenti burocratici connessi alle loro specifiche funzioni e fare in

modo che il loro ufficio sia focalizzato sull’attività “core” della repressione dei crimina

juris gentium e su quella complementare di formazione dei locali; in secondo luogo, essi

consentirebbero ad altre DiG, come quella per il Supporto Giuridico e quella per il

Capacity-Building, di attivare utili sinergie con strutture già rodate e di comprovata

capacità, superando il vincolo dei costi c.d. “di apprendimento”. Quanto alle ong, il loro

apporto potrebbe essere cruciale per il contestuale invio nei contesti post-conflict di

avvocati internazionali da parte della DiG per il Supporto alla Difesa. 39 L’Accordo del 1° Dicembre del 2004 tra l’Ufficio dell’Alto Rappresentante e la

Bosnia-Erzegovina per la costituzione della Cancelleria dedicata alle Camere speciali

(per i Crimini di Guerra e per il Crimine Organizzato) della Corte di Stato prevede,

all’art. 3, par. 2.2, la responsabilità del Cancelliere per la conclusione di “grant

agreements and other agreements with the authorities of BiH, international governments,

international and non-governmental organizations”. 40 Uno schema analogo è stato previsto negli accordi istitutivi della Corte Speciale di

Sierra Leone e del Tribunale Speciale del Libano.

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

213

La performance di ogni singolo programma dovrebbe essere

periodicamente valutata da un autonomo Nucleo di Valutazione e

Auditing, nominato dal gruppo degli Stati parti della CPI interessati a

sponsorizzare finanziariamente e politicamente il Programma41

. I

rapporti renderebbero l’attività del DGPT trasparente all’intera ASP oltre

che ai soggetti latori di contributi volontari42

, e sulla loro base il

Comitato Esecutivo potrebbe decidere in itinere aggiustamenti del

programma.

L’idea di corredare la CPI di un Dipartimento per il dispiegamento

rapido di personale specializzato nella giustizia penale di transizione e

provvisto delle funzioni sopra descritte condurrebbe la stessa CPI al di

fuori di una mission meramente giurisdizionale e farebbe del suo côté

non giudiziario, la Cancelleria, l’embrione di un’organizzazione

sovranazionale specializzata anche in compiti di capacity/institution

building nello specifico settore della repressione dei crimina juris

gentium.

L’idea di inserire le corti “ibride” all’interno di più ampi programmi

integrati si sposa con l’autorevole opinione espressa dall’ex SG

dell’ONU Kofi Annan, secondo cui: “[our] main role is not to build

international substitutes for national structures, but to help domestic

capacities43

. (…) [o]ur experience confirms that a piecemeal approach to

the rule of law and transitional justice will not bring satisfactory results

in a war-torn or atrocity-scarred nation. Effective rule of law and justice

strategies must be comprehensive, engaging all institutions of the justice

sector, both official and non-governmental, in the development and

implementation of a single nationally owned and led strategic plan for

the sector. (…) strategies must be olistic”44

.

41 L’esperienza di Sierra Leone è emblematica al riguardo: i contributi volontari che

finanziano il funzionamento della Corte Speciale sono amministrati da un apposito

Comitato di Gestione (a composizione “ibrida”) che risponde al Gruppo degli Stati

Interessati (i.e. gli sponsor della Corte). 42 L’Accordo citato supra alla nota 39 prevede, all’art. 3, par. 2.7 l’istituzione di un

Oversight Committee composto da esperti nazionali ed internazionali preposto alla

valutazione del funzionamento e all’auditing finanziario della Cancelleria. 43 UN Secretary General, The rule of law and transitional justice in conflict and post-

conflict societies, cit., pag. 1. 44 Ibidem, par. IX.23 e 26, pag. 9.

CAPITOLO QUINTO

214

La conferenza di revisione dello Statuto di Roma -in calendario al

più presto, per l’estate del 200945

- incentiva a capitalizzare l’esperienza

giuridico-istituzionale delle corti “ibride” e ad alimentare il dibattito

scientifico con spunti di riflessione suscettibili di ispirare le delegazioni

degli Stati parti dello Statuto di Roma.

La conferenza di revisione che si prospetta è un’occasione che non

dovrebbe essere lasciata sfumare dagli Stati parti -come l’Italia-

sinceramente interessati allo sviluppo di un’efficace sistema di giustizia

internazionale penale.

Il primo documento ufficiale in preparazione a tale evento è stato

presentato il 21 novembre del 2006 dal focal point dell’ASP46

. Esso

esplora gli scenari e le opzioni aperti e pone sul tavolo almeno tre grandi

questioni negoziali: 1) la revisione della clausola sull’accettazione

differita della giurisdizione della CPI sui crimini di guerra47

, 2) la

definizione dei crimini di aggressione, terrorismo e narcotraffico ed il

loro eventuale inserimento nella competenza ratione materiae della CPI,

e, infine, 3) le modifiche di natura istituzionale necessarie ad accrescere

efficacia ed efficienza della CPI.

Gli emendamenti necessari affinché il paradigma “ibrido” possa

essere integrato nel sistema previsto dallo Statuto di Roma sono

principalmente di natura organizzativo-istituzionale e ricadrebbero,

pertanto, nella terza macro-questione. Alcune frasi del documento si

prestano, inoltre, ad essere lette come un implicito invito agli Stati parti a

presentare proposte in tal senso: “[t]he Review Conference will also (…)

be an occasion for a «stock taking» of international criminal justice at a

time where the completion strategies of the International Criminal

Tribunal for Rwanda and the Former Yugoslavia are well under way”48

.

Nulla esclude che l’ibrido giurisdizionale sperimentato in Bosnia-

Erzegovina in attuazione della completion strategy del TPIJ possa essere

considerato parte dello “stock” di esperienze di giustizia penale

internazionale cui la Conferenza potrebbe attingere per trarre utili

insegnamenti. E ancora, cosa esclude che il lascito teorico-pratico delle

altre esperienze di “ibridazione” -in Kosovo, a Timor Est, in Sierra

Leone ed in Cambogia- possa essere assimilato al “progress made in

45 L’art. 123 dello Statuto di Roma del 17 luglio del 1998 pone in capo al SG dell’ONU

l’obbligo di convocare una conferenza di revisione, una volta che siano trascorsi sette

anni dall’entrata in vigore dello stesso, avvenuta il 1° luglio del 2002. 46 ICC-ASP, Review Conference: scenarios and options, 21 November 2006. 47 Art. 124 dello Statuto di Roma. 48 ICC-ASP, Review Conference: scenarios and options, cit., pag. 3, par. B, punto 12.

PROPOSTE DI INGEGNERIA GIURIDICO-ISTITUZIONALE

215

various existing fora which have a bearing on the possibility of

amendments to the Statute” 49

?

Laddove una modifica dello Statuto di Roma volta ad integrarvi il

DGPT risultasse impraticabile (per difficoltà tecniche, finanziarie,

mancanza di sufficiente volontà politica), un onorevole second best

potrebbe essere rappresentato dalla rimodulazione del quadro

istituzionale sopra abbozzato al fine di inserirlo, come Divisione ad

hoc50

, all’interno del Dipartimento delle Operazioni di Peace-Keeping.

Tuttavia, si tratterebbe pur sempre di un ripiego con evidenti limiti: a)

difficoltà di coordinamento tra la giurisdizione delle corti “ibride” e

quella della CPI; b) impossibilità di dispiegare personale giudiziario

internazionale in assenza di missioni di peace-keeping (almeno che il

dispiegamento di tale personale non diventi di per sé una missione di

peace-keeping); c) rischi di interferenza politica della catena di comando

del Segretariato Generale dell’ONU, sotto il quale il Dipartimento è

posto.

49 Ibidem, pag. 4, par. D, punti 22 (prima frase) e 23, lett. (b), sub-lett. (ii). 50 Attualmente il Dipartimento conta quattro Divisioni: le Divisioni Militare e di Polizia,

poste direttamente sotto l’Ufficio del Sotto-Segretario Generale, e le Divisioni di

Supporto Amministrativo e Logistico, subordinate all’Ufficio per il Supporto alle

Missioni. La nuova Divisione Giudiziaria dovrebbe, per coerenza logica, essere posta

sullo stesso piano delle Divisioni Militare e di Polizia.

Lista dei principali acronimi1

ABI (BAI) = Accordi Bilaterali di Immunità

AER (EAR) = Agenzia Europea per la Ricostruzione

AFK (KTA) = Agenzia Fiduciaria del Kosovo

AG (GA) = Assemblea Generale (dell’ONU)

APK (KPA) = Agenzia per la Proprietà del Kosovo

APPAS (ASPA) = Atto per la Protezione del Personale Americano in Servizio

ASA (SAA) = Accordo di Stabilizzazione ed Associazione

ASFA (SOFA) = Accordo sullo Status delle Forze Armate

ASP (ASP) = Assemblea degli Stati Parti (dello Statuto istitutivo della CPI)

CDI (ILC) = Commissione di Diritto Internazionale

CDU (HRC) = Comitato dei Diritti Umani (istituito nell’ambito del PIDCP)

CEDU (ECHR) = Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle

Libertà Fondamentali

CKCGE (KWECC)= Corte Kosovara per i Crimini di Guerra ed Etnici

CGC (AJC) = Commissione Giudiziaria Consultiva

CGCE (ECJ) = Corte di Giustizia delle Comunità Europee

CGK (KJC) = Consiglio Giudiziario del Kosovo

CGPK (KJPC) = Consiglio Giudiziario e Procuratoriale del Kosovo

CIG (ICJ) = Corte Internazionale di Giustizia

COMKFOR = Comandante di KFOR

CPK (CCK) = Codice Penale del Kosovo

CPI (ICC) = Corte Penale Internazionale

CPPP (PCPC) = Codice di Procedura Penale Provvisorio (del Kosovo)

CPP (PCC) = Codice Penale Provvisorio (del Kosovo)

CPRFJ (CLY o CCFRY) = Codice Penale della RFJ

CPPRFJ (CPCFRY) = Codice di Procedura Penale della RFJ

CPS (PSC) = Comitato Politico e di Sicurezza

CPSe = Codice Penale della Serbia

CRP (PCC) = Commissione per i Ricorsi Proprietari

CRPI (HPCC) = Commissione per i Ricorsi in materia di Proprietà Immobiliare

CS (SC) = Consiglio di Sicurezza (dell’ONU)

CSASP = Comitato Speciale dell’Assemblea degli Stati Parti (della CPI)

CtEDU (ECtHR) = Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

DAG (DJA) = Dipartimento per gli Affari Giudiziari (di UNMIK)

DG (DoJ) = Dipartimento di Giustizia (di UNMIK)

DGPT = Dipartimento per la Giustizia Penale di Transizione (presso la Cancelleria della

CPI)

DiG = Divisione Generale (del DGPT)

DP (CD) = Divisione Penale (del DG)

DRPI (HPCD) = Direzione per i Ricorsi in materia di Proprietà Immobiliare

DSGI (IJSD) = Divisione Supporto Giudiziario Internazionale (del DAG/DG)

GPI (IJPs) = Giudici e Procuratori Internazionali

1 In parentesi è indicato il corrispondente acronimo in lingua inglese. Sono esclusi dalla

lista gli acronimi utilizzati unicamente nelle schede di cui al Capitolo IV.

217

KFOR = Forza militare multinazionale della NATO in Kosovo

IGK (KJI) = Istituto Giudiziario del Kososo

IPAG (PISG) = Istituzioni Provvisorie di Auto-Governo (del Kosovo)

NATO = Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico

ONU (UN) = Organizzazione delle Nazioni Unite

OSCE = Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa

PESC (CFSP) = Politica Estera e di Sicurezza Comune

PESD (ESDP) = Politica Europea di Sicurezza e Difesa

PIDCP (ICCPR) = Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966

PSA (ASP) = Processo di Stabilizzazione ed Associazione

RCI (ICR) = Rappresentante Civile Internazionale

RFJ (FRY) = Repubblica Federale di Jugoslavia

RG = Responsabile Generale (del programma integrato per il dispiegamento rapido di

giudici, procuratori, avvocati ed investigatori internazionali)

RPP (RPE) = Regole di Procedura e Prova

RSFJ (SFRY) = Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia

RSSG (SRSG) = Rappresentante Speciale del Segretario Generale (dell’ ONU)

RSUE (EUSR) = Rappresentante Speciale dell’UE

SG (SG) = Segretario Generale (dell’ONU)

SGE (EJS) = Sistema Giudiziario di Emergenza

SGO = Sistema Giudiziario Ordinario

SPUE (EUPT) = Squadra di Pianificazione dell’UE

TCE = Trattato della Comunità Europea

TMI (IMT) = Tribunali Militari Internazionali (di Norimberga e Tokyo)

TPIh = Tribunali Penali Internazionali ad hoc (per la ex Jugoslavia e per il Ruanda)

TPIJ (ICTY) = Tribunale Penale Internazionale ad hoc per la ex Jugoslavia

TPIR (ICTR) = Tribunale Penale Internazionale ad hoc per il Ruanda

TUE = Trattato dell’Unione Europea

UCK (KLA) = Esercito di Liberazione del Kosovo

UE (EU) = Unione Europea

UNCivPol = Polizia Civile UNMIK

UNOSEK = Ufficio dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite in Kosovo

UPPK (OPP) = Ufficio del Pubblico Procuratore del Kosovo

USA (US) = Stati Uniti d’America

USPK (KSPO) = Ufficio Speciale della Procura del Kosovo

218

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