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Pagine politecniche

Cultura tecnica, pratica professionale, aperture internazionali: il fondo Elia Lombardini della Biblioteca del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano

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Pagine politecniche

a cura di Giorgio Bigatti e Maria Canella

Pagine politecniche

La biblioteca Leo Finzi del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano

In copertinaGiuseppe Musso, Giuseppe Copperi, Particolari di costruzioni murali e finimenti di fabbricati, parte I, Opere muratorie, Torino 1885; parte II, Opere di finimento ed affini, Torino-Roma-Milano-Firenze 1887

DesignMarcello Francone

Coordinamento redazionaleEva Vanzella

RedazioneMarco Abate

ImpaginazionePaola Oldani

FotografieFoto Saporetti Immagini d’Arte

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore

© Fondazione Collegio Ingegneri ed Architetti di Milano per i testi e per le immagini© 2014 Skira editore, MilanoTutti i diritti riservati

ISBN 978-88-572-2667-5

Finito di stampare nel mese di dicembre 2014a cura di Skira, Ginevra-MilanoPrinted in Italy

www.skira.net

Si ringraziano:Riccardo Pellegatta, Carlo Valtolina e tutti i componenti del Comitato scientifico della Fondazione Collegio Ingegneri ed Architetti di Milano

Si ringraziano inoltre per la preziosa collaborazione:Claudia Zonca (Fondazione Isec) per la ricerca bibliograficaElisa Paladino e Michela Taloni per la ricerca iconografica

La Biblioteca Leo Finziè in consultazione presso Fondazione IsecLargo La Marmora 17 20090 Sesto San Giovanni [email protected]

a Edoardo Bregani

La Fondazione Collegio ingegneri e architetti di Milano, costituita nel 2003, annovera tra i suoi più importanti obiettivi la tutela e la valorizzazione del patrimonio librario e archivistico del Collegio, raccolto in oltre 450 anni di vita. Nelle pagine di questo volume, arricchite da preziose illustrazioni, la biblioteca, che vanta oggi oltre 20.000 volumi ed è depositata presso la Fondazione Isec di Sesto San Giovanni, che ne cura la catalogazione e ne assicura la piena fruibilità a studiosi e ricercatori, viene sottoposta all’ana-lisi incrociata da parte di studiosi di varie discipline, afferenti a quattro diverse università.

Il volume ribadisce, ancora una volta, la forte connessione tra l’alta formazione, da un lato, e la promozione e l’aggiornamento professiona-le, dall’altro; strategie che, insieme, costituiscono una delle caratteristiche peculiari della cultura politecnica milanese e lombarda, in particolare nel periodo cruciale a cavallo tra Otto e Novecento.

La rinascita del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano nel 1868, pochi anni dopo l’avvio del Politecnico, si colloca, non a caso, nel momento in cui la tradizione scientifica milanese ha raggiunto la sua più alta espressione istituzionale e pare essere il frutto dell’esigenza di proce-dere, a fianco del processo di istituzionalizzazione della formazione dell’in-gegnere architetto, al suo rafforzamento sul piano professionale.

È una prerogativa tutta milanese la realizzazione congiunta di un rilan-cio della professione attraverso la creazione di un corso di studi universitari nella città e di un’associazione professionale, vero e proprio relais con la committenza pubblica e privata, sul terreno comune di un’importante bi-blioteca condivisa.

Tuttavia questa prerogativa è qualcosa di più. A Milano si realizza un caso eccezionale: come in Gran Bretagna, la via alla professionalizzazione viene gestita dall’interno, su impulso della professione stessa; ma questo modello di autonomia professionale di stampo britannico si coniuga, nel capoluogo lombardo, con la tradizione dell’ingegneria continentale, la cui formazione è affidata a studi di livello superiore, in cui il ruolo dell’aggior-namento scientifico è di primaria importanza.

La duplice nascita del Politecnico e del Collegio, il cui ambito di osmosi, fisica e metaforica, fu proprio la biblioteca, qualifica così le pro-fessioni dell’ingegnere e architetto a Milano come un misto tra tendenze britanniche e modelli d’oltralpe, in particolare francesi, svizzeri e tedeschi. Questo singolare connubio costituirà una sorta di imprinting, che peserà in modo considerevole nella fase di nazionalizzazione della professione e costituirà un modello virtuoso difficilmente replicabile. In questo senso, la dedica della biblioteca a mio padre Leo Finzi mi rende particolarmente or-goglioso e credo che questo volume possa rappresentare un’introduzione perfetta ai “tesori” contenuti nei suoi volumi e nelle sue riviste.

Bruno FinziPresidente del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano

Questo libro induce la memoria a riannodare molti fili, a ripercorrere sen-tieri non incolpevolmente interrotti o abbandonati nell’attualità.

La biblioteca Leo Finzi del Collegio degli ingegneri e architetti di Mi-lano consente di toccare con mano l’insieme di tutti gli apporti che con-corsero a una straordinaria opera di edificazione: quella di una terra che per nove decimi non è opera della natura, ma delle nostre mani, che è una “patria artificiale” come la definì Carlo Cattaneo; quella terra, ancora, di cui un’intera società di una stessa epoca non è proprietaria, ma solo usufruttuaria, avendo perciò il dovere di tramandarla migliorata alle gene-razioni successive, secondo il concetto espresso da Karl Marx.

Si tratta in sintesi dell’edificazione di città e territori intesi come un sistema compenetrato di condizioni naturali e forme umane.

La cultura politecnica milanese vide uno stretto e prezioso intreccio tra il Collegio degli ingegneri ed architetti (rinato nel 1868 dopo la chiusura napoleonica del 1797) e l’Istituto tecnico superiore, sorto nel 1863 in piaz-za Cavour 4, dove il Collegio venne ospitato fin dai primi mesi.

La collaborazione si configurò fin dall’inizio con una perfetta suddivi-sione di ruoli, dove all’Istituto tecnico (che sarebbe poi divenuto Politecni-co) spettava l’alta formazione, mentre il Collegio proseguiva i suoi compiti legati alla definizione degli ambiti professionali, alla promozione dei con-gressi nazionali e allo stimolo di dibattiti e indagini su temi di scottante at-tualità in una Milano che, nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, si av-viava a divenire capitale morale dell’Italia unita, ma soprattutto ponte verso un modello europeo che ancora poteva essere definito d’avanguardia.

In effetti, uno dei primi obiettivi del rinato Collegio fu quello di am-pliare la propria biblioteca, condivisa con quella dell’Istituto tecnico supe-riore, i cui docenti e studenti avevano accesso illimitato alle sale di con-sultazione; ma fin dall’inizio la commissione delegata alla gestione della biblioteca decise di investire tutti i fondi a disposizione negli abbonamenti a riviste italiane ed estere, che erano il vero volano per un aggiornamento della cultura degli ingegneri e architetti.

Non a caso la commissione per la biblioteca del Collegio era diretta da quel Camillo Boito che ebbe un ruolo da protagonista in entrambe le istituzioni e in molte altre realtà urbane che costruirono la fisionomia mo-derna della cultura milanese.

Va sottolineato che la biblioteca si formò nei decenni in cui venne-ro compiute le scelte decisive per lo sviluppo e l’affermazione di Milano e dell’Italia sullo scenario europeo. Viviamo oggi un nuovo passaggio di secolo che in molti sensi ripropone analoghe sfide; la cultura politecnica complessa e poliedrica di cui beneficiavano studenti, docenti e profes-sionisti milanesi tra Otto e Novecento è chiamata in tal senso a rinnovarsi mantenendo la rotta.

In particolare, la riflessione sui modi e sulle aspettative reciproche dell’architettura e dell’ingegneria non è riducibile al confronto disciplinare. La definizione “seriamente logica e altamente artistica”, data da Gaetano Moretti alla scuola di Boito, allude alla necessità di perfezionare quel luogo di incontro nel quale possano ricongiungersi le intuizioni empiriche con le spiegazioni razionali, le tradizioni e le innovazioni costruttive con le ipotesi teoriche, le norme tecniche con le sintesi proprie delle discipline scientifi-che e di quelle progettuali.

Angelo Torricelli Preside della Scuola di architettura civilePolitecnico di Milano

Sommario

I libri degli ingegneri e architettiMaria Canella

Cultura tecnica, pratica professionale, aperture internazionali: il fondo Elia LombardiniGiorgio Bigatti

Atlante

Catalogo tematico

Matematica e scienze naturaliElena Canadelli

IdraulicaMario Di Fidio

Agricoltura e bonificheMatteo Di Tullio

Ponti e stradeLuca Monica

Ferrovie e trasporti Giorgio Bigatti

Ingegneria industrialeGiorgio Bigatti

Edilizia, architettura e belle arti Enrico Bordogna

Manuali e dizionariMaria Cristina Loi

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Inizialmente avevo pensato di intitolare questo saggio semplicemente Pro-legomeni a una storia della biblioteca del Collegio degli ingegneri ed ar-chitetti di Milano. Queste pagine infatti non raccontano l’intera storia della biblioteca. Sono il tentativo – forse più ambizioso – di rileggere l’evoluzio-ne e le trasformazioni della professione dell’ingegnere (la figura dell’archi-tetto rimane un po’ sullo sfondo), attraverso le vicende di una biblioteca e la figura di Elia Lombardini, che può esserne considerato il fondatore (seppure indirettamente), lasciando al volume nel suo insieme il compito di indagare il patrimonio librario e di mostrare la ricchezza di prospettive e di stimoli che è possibile ritrarne.

In apertura una cosa va detta con forza. La biblioteca Leo Finzi del Collegio degli ingegneri ed architetti di Milano rappresenta un patrimonio librario di eccezionale rilevanza per la storia della cultura tecnico-scientifica in Italia; aggiungerei per la storia della formazione della Milano moderna, e più in generale per la modernizzazione del paese. Basta scorrere le pagine dell’Atlante in cui abbiamo diviso il volume, osservare i frontespizi e le im-magini che completano e arricchiscono il testo, per comprendere il senso di questa affermazione. Bonifiche, ferrovie, porti, industria, reti idriche ed elettriche, edifici e monumenti: non vi è capitolo della modernizzazione italiana che non si ritrovi nei libri della biblioteca. È una storia che si gioca e si consuma tra Otto e Novecento e inevitabilmente la nostra attenzione ha finito per concentrarsi su tale periodo, che costituisce l’epoca aurea della biblioteca.

Il saggio si apre con una breve descrizione dei caratteri della di tale istituzione. Si sofferma poi sul lascito di Elia Lombardini (1794-1878), i cui libri – insieme a quelli del Legato dell’ingegner Carlo Barzanò1 – rappre-sentano ancora oggi il cuore della biblioteca. Sposta infine la sua attenzio-ne sul Collegio, evidenziando i nessi tra il suo ruolo di servizio per la città e lo sviluppo della biblioteca.

La speranza è che alla fine il lettore, posato il volume che ha fra le mani, incuriosito sia indotto a partire per un suo personale viaggio nel cata-logo della biblioteca, consultabile visitando il sito del Collegio degli inge-gneri ed architetti o quello della Fondazione Isec (www.fondazioneisec.it), dove i volumi sono conservati e possono essere richiesti in lettura.

I “caratteri originali” di una grande biblioteca tecnicaNel 1937 usciva a Milano, “sotto il patronato della Federazione fascista degli enti culturali”, un repertorio delle istituzioni culturali cittadine. Si

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Cultura tecnica, pratica professionale, aperture internazionali: il fondo Elia Lombardini

Giorgio BigattiFondazione Isec

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trattava di un corposo volume, oggi prezioso non solo per le informazioni che contiene, ma anche perché una parte rilevante di tale patrimonio è andato disperso a causa della guerra2. Com’è naturale, una sezione del volume era dedicata a biblioteche e archivi, e fra queste il posto d’onore era riservato alle tre più importanti istituzioni pubbliche: l’Archivio di Stato, che conserva un ricchissimo patrimonio di carte e disegni sulla storia degli ingegneri milanesi, l’Ambrosiana, depositaria di una raccolta documentaria di eccezionale valore come le carte dell’ingegnere Bernardino Ferrari3, e la Braidense4.

Lo spettro delle biblioteche milanesi era però assai più vario e artico-lato di quanto non lascino pensare i nomi ricordati. E infatti Mario Casali-ni, autore della pubblicazione, non mancava di segnalare anche diverse biblioteche private o “dipendenti da enti diversi”. Tra queste quella del Sindacato fascista degli ingegneri della provincia di Milano, subentrato nel 1923 al Collegio degli ingegneri ed architetti, con sede nella centralissima piazza degli Affari5. Per la verità Casalini non dedicava molto spazio a que-sta biblioteca, ma ciò che scrive è una buona guida per introdurci in una storia il cui significato travalica quella pur importante di una collezione di libri, per confondersi con quella della professione di ingegnere e di archi-tetto nelle sue varie declinazioni.

Le origini della biblioteca erano fatte risalire da Casalini al 1865, quan-do venne fondato – o meglio rifondato dopo la soppressione napoleonica del 1797 – il Collegio degli ingegneri (erede, più di nome che di fatto, del Venerando Collegio degli ingegneri ed architetti, attivo a Milano dal 1563 al 1797)6. Da allora si era sviluppata “mercé doni, lasciti e acquisti”. Questi ultimi per la verità non molto numerosi, e costituiti principalmente da ab-bonamenti a periodici, diversi dei quali stranieri7.

Non era la prima volta che in una pubblicazioni dedicata alle istituzioni culturali milanesi si parlava della biblioteca del Collegio. Qualche decennio prima, nel 1914, Ugo Monneret de Villard, docente di storia dell’architet-tura al Politecnico di Milano, ne aveva richiamato il valore, pur lamentando il poco spazio riservato nelle collezioni della biblioteca alle “opere inerenti alla storia delle dottrine matematiche, dell’architettura, delle scienze, le grandi opere di matematica pura, le pubblicazioni architettoniche antiche e straniere”8.

Non penso di travisarne il pensiero sostenendo che Monneret de Vil-lard intendeva dire che quella del Collegio era prima di tutto una struttura di servizio. Ossia una biblioteca tagliata sulle esigenze di una professione che nel corso degli ultimi cinquant’anni, in parallelo all’emergere di nuovi campi di applicazione, era venuta modificando il suo profilo.

Si potrebbe aggiungere che tale trasformazione dalla biblioteca era stata passivamente riflessa più che consapevolmente vissuta. L’incremen-to del patrimonio bibliografico era avvenuto infatti soprattutto grazie ai “doni” e ai “lasciti” che arrivavano al Collegio. Erano gli autori, ovvero gli stessi ingegneri del Collegio e i loro colleghi di altre città e paesi, ad alimentare il patrimonio bibliografico con l’invio di copie delle loro pubbli-

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cazioni e di estratti dei loro contributi. In altri termini, ci troviamo di fronte a una biblioteca che si era venuta formando per stratificazioni successive, senza alcun disegno preordinato.

Rimandando al testo di Maria Canella per un approfondimento anali-tico del problema, credo sia giusto dire che ciò che sulle prime può appa-rire un pesante limite, ovvero l’assenza di un progetto, in realtà si è rivelato uno dei punti di forza della biblioteca. Nonostante (o forse proprio per) l’evidente casualità delle sue acquisizioni la biblioteca del Collegio era in-fatti riuscita a tenersi “a giorno” dell’evoluzione della disciplina molto più che se avesse perseguito una politica di acquisti mirati. Gran parte “degli scritti di ingegneria”, infatti, e certamente quelli legati ai progetti e alle

Statuta civitatis Cremonae accuratius quam antea excusa, et cum archetypo collata, Cremona 1578: frontespizio

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realizzazioni più vivacemente discussi, erano ge-neralmente pubblicati “sotto forma di articoli o di monografie entro collezioni periodiche”. Al di fuori della manualistica tecnica, “solo una parte, la minoranza”, di tali scritti prendeva “la forma del libro”9. Opuscoli, estratti e riviste offrivano pertanto un quadro abbastanza completo dello stato dell’arte, ed era quanto serviva ai soci del Collegio per il proprio aggiornamento professio-nale una volta esaurita la fase formativa univer-sitaria.

Accanto ai doni e agli omaggi, un altro ca-nale importante di circolazione del sapere tec-nico era rappresentato da ciò che nel mondo delle biblioteche oggi si chiama “letteratura gri-gia”, opere tanto più preziose in quanto gene-ralmente escluse dal normale circuito commer-ciale10. Rientravano in tale categoria pubblica-zioni ufficiali di ministeri ed enti locali, bollettini, annali, memorie, rendiconti e atti di associazioni tecniche e professionali.

Con riferimento proprio a questo tipo di pubblicazioni in uno dei primi rendiconti sul bi-lancio della biblioteca leggiamo che il “Collegio

possiede già senza spese un nucleo di biblioteca tecnica, la quale conta circa un centinajo di volumi e di opere tanto più preziose, in quanto che per la maggior parte non si trovano in commercio”11.

Su queste fondamenta la biblioteca anno dopo anno avrebbe incre-mentato il proprio patrimonio bibliografico, catalogato e suddiviso per classi onde renderne più facile la consultazione ai soci del Collegio e agli studenti e docenti del Politecnico12, nella cui sede in palazzo Canonica, in prossimità dell’attuale piazza Cavour, fino al 1896 il Collegio era ospitato. Alle soglie della prima guerra mondiale, la biblioteca risultava possedere 2933 opere, mentre gli abbonamenti a giornali e pubblicazioni periodiche erano 76. Un ventennio più tardi il patrimonio era notevolmente aumen-tato, contandosi 14.780 volumi e 6785 opuscoli, per un totale di 21.765 pezzi13.

Si tratta di numeri che attestano la rilevanza della biblioteca del Col-legio, evidenziando peraltro quanto gravi siano state le dispersioni subite dal suo patrimonio bibliografico nel corso del tempo, prima del recente re-cupero, dovuto alla tenacia e alla passione dell’ingegner Edoardo Bregani e di quanti lo hanno sostenuto in tale impresa, a partire dalla famiglia Fin-zi14. Come spiegare altrimenti il fatto che la consistenza attuale sia grosso modo la stessa di un secolo fa?

Dopo aver ricordato che l’intento del Collegio era quello di “favorire gli studi di ingegneria e di architettura con una tendenza prevalente verso

Statuta Mediolani cum appostillis clarissimi viri iureconsulti mediolanensis domini, 1552: frontespizio

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le opere di pratica professionale” e di “carattere rigidamente tecnico”15, Casalini incorreva in un grave errore, scrivendo che la biblioteca non pos-sedeva opere anteriori al 1865. Non aveva considerato infatti che alcu-ni dei lasciti più importanti pervenuti al Collegio comprendevano invece molte opere antiche o comunque precedenti alla costituzione formale della biblioteca. Ciò era vero in particolare per il fondo di Elia Lombardini, “uno dei più splendidi luminari del nostro tempo nelle discipline idrau-liche in Italia e fuori”16, che aveva vincolato al Collegio per disposizione testamentaria “la sua raccolta di libri preziosissima e forse la più completa nella sua specialità, formata con privazioni e sagrificj, e per dono dei ri-spettivi autori”17.

Nel testamento Lombardini aveva disposto che i libri della sua biblio-teca fossero consegnati al Collegio degli ingegneri di Milano, “sotto la condizione”, però, che il Collegio si impegnasse a corrispondere 200 lire annue a suo “fratello Paolo e sorella Cristina vita loro natural durante od al sopravvivente di essi”18.

La presidenza del Collegio, venuta a conoscenza delle clausole del legato, prima di accettarlo, volle accertarne il valore “morale e materiale”. Pertanto decise di “far eseguire un catalogo esatto dei libri onde si potes-se assegnare a ciascuno il rispettivo valore,” affidando il compito a “uno scritturale del Collegio” coadiuvato da un impiegato “dell’editore Saldini19 gentilmente concesso dal suo principale”. Alla fine del lavoro, risultò che

Carlo Sigonio, Caroli Sigonii Mutinensis Opera Omnia, edita et inedita, tomo I, Milano 1732: frontespizio

Giovanni Battista Settala, Relatione del Naviglio Grande di Milano, 1603: frontespizio

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la “la biblioteca legata constava di 1247 opere costituenti un insieme di 3841 volumi”.

Per una perizia del valore del fondo ci si affidò allo stesso Saldini “e per le sue ampie cognizioni in materia e per la fiducia ch’egli già da tanti anni gode presso la nostra Associazione”. Alla fine risultò che il valore del lascito era di 1300 lire (corrispondenti, per il poco che valgono tali raffronti, a 5256,08 euro). Ma si trattava solo del valore commerciale, ben altro es-sendo il valore “dell’eredità che ci fu lasciata”, come si legge nella relazio-ne della commissione a cui era stato demandato l’esame della questione. Tale eredità era

costituita anzitutto dal valore scientifico e dalla rarità di molte opere, che furono trovate nella Biblioteca, opere, che per noi diventano di una preziosità tutta particolare quando si pensi che esse sono quasi tutte annotate e postillate dall’illustre Lombardini. È appunto in base a tale valore particolare che la Commissione crede che il Collegio possa accettare il legato. Naturalmente bisognava tenere conto dell’onere del canone annuo

da versare a Paolo e Cristina. Quest’onere, però, “colle norme del calcolo in uso della vita probabile, può considerarsi duraturo per cinque anni, stan-te l’età avanzata degli eredi designati”20, e dunque di importo inferiore al valore commerciale del lasciato. Il legato Lombardini venne quindi accet-tato all’unanimità.

Discorso del sig. Gabriele Bertazzolo, sopra il nvovo sostegno, che a sva proposta si fà apresso la Chiusa di Gouernolo, per vrgentissima, e molto necessaria prouisione del lago di Mantoua, Mantova 1609: Dissegno del Sostegno, et della Chiusa, come saranno, quando sarà finito ogni cosa, in prospettiva

Giovanni Battista Riccioli, Geographiæ et Hydrographiæ reformatæ, Nuper recognitæ, & Auctæ, Libri XII, Venezia 1672, libro quinto

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In considerazione dell’importanza e della consistenza del fondo, che rappresenta, oggi come allora, uno degli elementi di maggior pregio della biblioteca, è parso opportuno soffermarsi sulla figura del donatore, rappre-sentativo di una nuova generazione di ingegneri.

Elia Lombardini, ingegnere-funzionario Considerato ai suoi tempi il “Nestore degli ingegneri italiani”, Lombardini è oggi una figura sbiadita, scivolata nell’oblio, tanto che neppure il Dizio-nario biografico degli italiani ha ritenuto opportuno dedicargli la voce che avrebbe invece meritato. Un torto a cui si intende qui rimediare, interessa-ti però non tanto agli aspetti biografici del personaggio quanto a mostrare quale fosse il profilo culturale e professionale dell’ingegnere che, con il suo lascito librario, ha impresso un’impronta duratura alla biblioteca del Collegio.

Elia Lombardini era nato l’11 ottobre del 1794 sul suolo di Francia, a La Broque, modesta località alsaziana, dove il padre, che “militava nell’ar-mata del Reno come aiutante del generale Massena”21, si era sposato con una donna francese22. Di lì a poco sarebbe stato richiamato in patria23 e così il piccolo Elia trascorse l’infanzia a Cremona, città di origine del genitore.

Non si hanno notizie su questo periodo della sua vita. Si sa solo che, rimasto “orfano del padre in età acerba”, “dovette la sua educazione alla virtù della madre, donna d’animo virile che seppe affrontare privazioni e povertà pur di educare nobilmente i figli”24. Uno dei quali, Paolo, fu avviato alla carriera ecclesiastica, l’altro, Elia, malgrado le precarie con-dizioni economiche della famiglia, poté invece seguire un regolare corso di studi fino a iscriversi alla facoltà di Matematica a Pavia, trasferendosi in seguito a Bologna. Qui, oltre a frequentare le lezioni del grande agro-nomo Filippo Re25, Lombardini ebbe modo di entrare nella cerchia di

Italia di Gio. Ant. Magini data in luce da Fabio suo figliuolo al serenissimo Ferdinando Gonzaga duca di Mantoua e di Monferrato etc., Bologna 1620: tav. Romagna olim Flaminia

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Giuseppe Venturoli26, “che lo distinse fra i più eletti suoi discepoli”27, avviandolo allo studio dell’idraulica, disciplina che sarebbe rimasta la passione della sua vita.

Bologna vantava una illustre tradizione nel campo dell’idraulica, una scienza che si era venuta definendo in un serrato confronto con spinose e irrisolte questioni legate alla regimazione dei fiumi del bacino padano e alla regolazione delle acque. Un insieme di questioni che avevano trovato un banco di prova nella secolare controversia relativa al corso del Reno e alla sua inalveazione in Po28. Ai contrapposti interessi dei proprietari fon-diari bolognesi e ferraresi facevano riscontro “dispareri” non meno accesi fra i più illustri rappresentanti della scuola idraulica italiana. A proposito della quale, ricordo qui i nomi di Vincenzo Viviani, Domenico Guglielmini, Eustachio Manfredi, Antonio Lecchi, i cui scritti sarebbe confluiti in un volu-me della Raccolta d’autori italiani che trattano del moto dell’acque, di cui anche Lombardini possedeva copia nella sua biblioteca29.

Dopo la laurea, nel 1813-14 Lombardini aveva fatto ritorno a Cremo-

Girolamo Francesco Cristiani, Delle misure d’ogni genere antiche, e moderne con note letterarie, e fisico-matematiche, a giovamento di qualunque architetto. Trattato, Brescia 1760: frontespizio

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na, rinunciando a tentare la carriera accademica alla scuola di Venturoli, nel frattempo chiamato a nuovi incarichi a Roma30.

Spinto dal “bisogno stringente di soccorrere la famiglia”, fu costretto ad accettare l’incarico di “maestro di aritmetica e di algebra” nel locale liceo. Ma non era destinato a fare il professore. Presto avrebbe lasciato la scuola, entrando come aiuto ingegnere nel “Consorzio degli arginisti cremonesi”31, l’ufficio che aveva in carico la manutenzione degli argini di competenza non statale del comprensorio cremonese32. Per Lombardini era l’occasione per mettere alla prova le conoscenze teoriche acquisite alla scuola di Venturoli. Ma era soprattutto l’inizio della sua carriera di ingegne-re idraulico, che si sarebbe giocata tutta all’interno del pubblico impiego.

Nel 1822, ormai prossimo alla trentina, fu ammesso come facente funzione “di ingegnere aspirante” nella sede di Cremona dell’Ufficio del-le pubbliche costruzioni33 (equivalente dell’ufficio provinciale del Genio). Dopo un lungo apprendistato, nel 1828 fu nominato ingegnere “di dele-gazione”. Trascorse così altri dieci anni, un periodo in cui poté maturare

Giovanni Battista Visi, Notizie storiche della Città e dello Stato di Mantova. Dalla fondazione di Mantova sino all’anno di Cristo 989, Mantova 1781: frontespizio

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una conoscenza del Po e della sua idrometria che pochi avevano e che gli sarebbe tornata utile nei suoi studi successivi. Era lo stesso Lombardini a ricordarlo nel 1865:

Applicato ne’ primordi della mia carriera, pel corso di un ventennio, ad un tronco del Po cremonese, d’indole variabilissimo, ove i cangiamenti di un anno superano di lunga mano quelli che in altri tronchi inferiori avvengono nel periodo di due o tre secoli, solo dopo qualche tempo mi accorsi dell’immenso vantaggio ritraibile dall’assistere al lavoro assi-duo della natura compendiato in così breve spazio di tempo34.

Finalmente nel 1839 il gran salto. Trasferito a Milano, Lombardini fece il suo ingresso nella Direzione generale delle pubbliche costruzioni35, di cui avrebbe finito per occupare il seggio più alto, “coll’intento di estendere ivi” i suoi “studi agli altri tronchi di quel fiume, ed a’ suoi affluenti”36.

Da quel lontano 1822 e fino al momento della sua messa a riposo, nel 1856, Lombardini intrecciò instancabilmente l’attività di studio e con-sulenza con l’ordinario disbrigo del lavoro di ufficio. E proprio agli Uffici delle pubbliche costruzioni volgeremo ora lo sguardo, prima di esaminare il contributo di Lombardini allo studio dell’idraulica fluviale.

La creazione di una nuova burocrazia tecnica Fino alla fine del Settecento in Lombardia i ranghi della burocrazia tecnica erano molto ristretti, un pugno di uomini a fronte della schiera molto più

Eustachio Manfredi, Replica de’ Bolognesi ad alcune Considerazioni de’ Signori Ferraresi. Altre volte da essi dedotte, e rigettate da’ Voti de’ Matematici, e de’ Visitatori Apostolici, e nuovamente prodotte, Benché fuori del punto della Quistione, che ora pende fra le città di Bologna e di Ferrara Nella Materia delle Acque, Roma 1717: frontespizio

Giulio Rompiasio, Metodo in pratica di sommario, o sia compilazione delle leggi, terminazioni, ed ordini appartenenti agl’illustrissimi ed eccellentissimi Collegio, e Magistrato alle Acque, Venezia 1771: frontespizio

Trattato fra Sua Maestà l’Imperatrice Regina Apostolica e la Serenissima Repubblica di Venezia, Sopra l’uso delle Acque del Tartaro per li possessori mantovani e veronesi, Verona 1768: frontespizio

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folta degli ingegneri dediti all’esercizio privato della professione. Detto di-versamente, nelle fertili terre di Lombardia a scarseggiare non erano gli in-gegneri, ma le opportunità di carriera diverse da quelle tradizionali, legate al mondo delle campagne.

La visione corrente che vede nella figura dell’ingegnere il portato della moderna “civiltà delle macchine” non trova rispondenza in Lombar-dia. Qui, almeno fino alla metà dell’Ottocento, la professione mantenne il baricentro saldamente ancorato alla terra. La cosa non sorprende se si tiene conto che la fertilità delle campagne della Bassa era il risultato di una secolare opera di costruzione del suolo per metterlo nelle condizioni di sfruttare al meglio la possibilità di copiose irrigazioni. Grazie a un inesausto lavorio (“immenso deposito di fatiche”, secondo la felice definizione di Cattaneo), a rilevanti investimenti in migliorie fondiarie e alla costruzione di una maglia irrigua che non temeva confronti, l’agricoltura della Bassa aveva raggiunto livelli di produttività assai elevati ed era un modello a cui guardavano con ammirazione da ogni parte d’Europa37. Di conseguenza uno dei primi compiti, se non il principale, degli ingegneri del Collegio era quello di sovrintendere alla gestione, alla manutenzione e all’eventuale estensione delle rete di cavi e rogge che solcavano le grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche. Quanto più un ingegnere era versato in materia di acque, tanto più era ricercato. Ma la funzione di consulente tecnico al ser-vizio della grande proprietà fondiaria non si limitava a questo. Ricadevano sugli ingegneri molti altri compiti, tra i quali quello di redigere i cosiddetti “bilanci di consegna e riconsegna”, un inventario dei beni e delle caratteri-stiche di ogni proprietà compilato nel momento in cui veniva data in affitto e allo scadere del contratto, onde poter conteggiare i miglioramenti (e in questo caso risarcire delle spese l’affittuario) o deterioramenti avvenuti durante la locazione38. Un insieme di compiti che avevano dato origine a una vasta manualistica tecnica e giurisprudenziale di cui si hanno significa-tive tracce nella biblioteca di Lombardini. Basti pensare, a conferma di una circolarità di esperienze e saperi comuni a larga parte della pianura irrigua, a trattati che godettero di larga circolazione come quelli di “agrimensura di terre et acque” dell’“architetto” cremonese Alessandro Capra39, di Giu-seppe Antonio Galosio40 o del bolognese Giuseppe Antonio Alberti41, ai volumi di Giandomenico Romagnosi (Della condotta delle acque secondo le vecchie, intermedie e vigenti legislazioni dei diversi paesi d’Italia colle pratiche rispettive loro nella dispensa di dette acque, Milano, dalla Tipo-grafia di Commercio 1823-25, 6 voll.; Della Ragion civile delle acque nella rurale economia o sia dei diritti legali e convenzionali delle acque in quan-to concerne la loro acquisizione, Milano, presso Antonio Fortunato Stella e Figli 1829, 3 voll.) o ancora all’opera di ingegneri della generazione di Lombardini come Francesco Colombani42, Giuseppe Cadolini43 e Antonio Cantalupi, di cui in particolare sono da vedere le Nozioni pratiche intorno alle consegne, riconsegne e bilanci dei beni stabili secondo i diversi meto-di adottati in Lombardia (Milano, Angelo Monti 1847).

Come ha ripetutamente sottolineato la storiografia, sulla scia di quan-

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to ne avevano scritto per primi Carlo Cattaneo44 e Stefano Jacini45, gli ingegneri rivestivano un ruolo essenziale nella gestione azienda-le, concorrendo con la loro azione “alla floridezza del nostro suolo”. Lo conferma l’operare di Francesco Brioschi, zio del suo più celebre omonimo e futuro direttore del Politecnico di Milano, un tipico rap-presentante di questa tipologia di ingegneri agronomi.

Professionista molto stimato, “facile all’intelligenza delle con-trattazioni, pronto al disbrigo degli affari” e profondo conoscitore del mondo agricolo, era ricordato per il suo impegno a favore del “progres-so agrario”:

nulla omise onde guidare i capitali della sua vasta clientela allo stabile miglioramento dei poderi, aumen-tandone gli annui redditi, econo-mizzando le acque di irrigazione, raccogliendo gli avanzi di questa per crearne altre, ed in ispecie im-

piegando la sua autorità a sciogliere le intralciate dispute che i vincoli dei coli da un podere all’altro fece sorgere molteplici46.

Da queste parole di Giorgio Manzi, un professionista della stessa schiatta, appare chiaro che gli ingegneri, molto più che semplici interme-diari tra proprietari e affittuari47, erano davvero, come aveva scritto Catta-neo, “propagatori delle buone pratiche, ispettori e direttori della grande azienda agraria comune di tutto il paese irriguo”.

Da dove traevano tanta autorevolezza gli ingegneri lombardi? In par-te certamente dalle conoscenze dei fondamenti della disciplina maturate negli anni di praticantato presso un altro ingegnere, la cosiddetta “militan-za”, a integrazione di precedenti percorsi di studio. Infatti, anche dopo la riforma degli studi teresiana e poi napoleonica, e il generalizzarsi dell’ob-bligo del titolo universitario per l’esercizio della professione, era l’esperien-za diretta e la partecipazione alla vita delle campagne a fare la differenza. Ascoltiamo ancora Cattaneo:

Non erano addottrinati nell’agricoltura come scienza. Né per anco era scienza che potesse dar conto de’ suoi principi; e che era mai la

Andrea Bina, Ragionamento sopra il quesito qual sia il metodo più sicuro, più facile, e meno dispendioso tanto nell’esecuzione, che nella manutenzione, per impedire, e riparare la corrosione delle ripe de’ fiumi arginati, e soggetti ad escrescenze portate da dodici a dieciotto piedi sopra l’ordinaria altezza, e superiori alla superficie delle campagne laterali, in Componimenti recitati nella solenne apertura del Teatro scientifico della Reale Accademia di Scienze, e Belle-Lettere, Mantova 1769: tav. Pennelli Galleggianti (figg. I, II, III, IV)

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scienza agraria prima che nascesse la chimica? [...] Ma iniziati nelle scienze matematiche e fisiche, e addestrati nell’analisi di complicati problemi, e posti nelle loro perlustrazioni al cospetto di gran nume-ro e grande varietà di fatti, potevano afferrare e intendere quelle risultanze alle quali l’agricoltore più sagace colla solitaria sua prati-ca giungeva tentone. Le buone pratiche e le tristi viaggiavano seco loro di podere in podere; si comunicavano nell’intimità delle sera-te campestri alle famiglie dei fittuarj; si discutevano; si riducevano, col paragone d’altre esperienze. E nel corso degli anni venivano a prender forma imperative nelle stime, nelle sentenze, nelle nuove convenzioni d’affitti48.

Come si vede ci troviamo in un mondo dove lo scambio delle espe-rienze e la circolazione del sapere, come in passato, avvenivano di pre-ferenza in forme orali o attraverso l’esempio nel quotidiano esercizio del lavoro. Lo ribadiva, quasi rabbiosamente, nel 1862 Giulio Sarti per il quale l’eccellenza della tradizione tecnica lombarda, attestata dalla perfezione dei grandi lavori di acque e strade, si fondava su un sistema di apprendi-mento “stabilito a guisa di antichissimo esempio di mutuo insegnamento”. Siamo a un anno dall’apertura di quell’Istituto tecnico, che con il nome di Politecnico sarebbe divenuto uno dei simboli della modernità di Milano, e un ingegnere di grande esperienza, anche internazionale49, come Sarti non esitava a scrivere: “Questa istruzione pratica non può essere supplita né dalla scienza, né dallo studio; essa è composta di tradizioni che si trasmet-tono sul luogo, e che formano un insieme di tali cognizioni essenzialissime all’esercizio della professione” dell’ingegnere civile50.

Ma se quello delle campagne era pur sempre il riferimento principa-le per gli ingegneri lombardi, nella prima meta del secolo tale scenario appariva sottoposto a crescenti tensioni sia per il profilarsi di nuove pro-spettive nel segno del vapore e dell’industria; sia per la serie di riforme di natura istituzionale che, a partire dalla fine del Settecento e con maggiore incisività in età napoleonica, avevano ridefinito le modalità di accesso e di esercizio della professione51. Ne era uscito parzialmente ridisegnato il profilo degli stessi ingegneri.

Anche se non erano mancati precedenti significativi in età austriaca, una prima decisiva innovazione rispetto al passato era stata nel 1802 la sanzione dell’obbligatorietà di un corso di studio universitario per l’eserci-zio delle professioni liberali. Conseguiti i gradi accademici dopo un trien-nio di studi alla facoltà di Matematica, gli aspiranti ingegneri erano tenuti a sostenere un tirocinio di quattro anni presso un professionista abilitato (“patentato”)52 e infine un pubblico esame davanti a una commissione pre-sieduta dal prefetto. Solo a quel punto, e a condizione di godere di una rendita annua che potesse fungere da garanzia contro eventuali danni pro-vocati a terzi nell’esercizio della professione, un ingegnere poteva iniziare la sua carriera lavorativa53.

Ridefinito e reso uniforme in tutti i dipartimenti il percorso di studio,

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nel 1806 il governo aveva varato un provvedimento di grande rilievo per la storia delle burocrazie tecniche nel nostro paese, creando, per volontà di Napoleone, il Corpo degli ingegneri di acque e strade, ordinato “in figura quasi militare” e strutturato in una rete di uffici provinciali (in origine dipar-timentali) dipendenti da una Direzione generale con sede a Milano54. Sotto il profilo istituzionale la creazione del Corpo di acque e strade rappresentò un’innovazione di grande portata, tanto che successivi cambi di regime ne conservarono per l’essenziale struttura e caratteristiche (al ritorno degli austriaci nel 1815 assunse la denominazione di I.R. Corpo delle Pubbliche Costruzioni; dopo l’Unità confluì nel Genio civile).

I provvedimenti assunti nel periodo della dominazione napoleonica erano destinati a traghettare nella modernità la professione dell’ingegnere nel solco del più avanzato modello francese, come confermava il proposito (rimasto sulla carta) di creare a Milano una Scuola di acque e strade desti-

Giovanni Antonio Lecchi, Memorie idrostatico-storiche delle operazioni eseguite nell’inalveazione del Reno di Bologna, vol. I, Modena 1773: frontespizio

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nata a completare la formazione teorica impartita nel triennio universitario con una parte più propriamente applicativa55.

La creazione del Corpo di acque e strade è un capitolo importante del processo di formazione dello Stato moderno, ma riveste un significato che va oltre il dato istituzionale. Sotto il profilo sociale, ed è un fatto di grande rilievo, la creazione del corpo contribuì a rinnovare in maniera significativa le file degli ingegneri. La possibilità di impiego nella pubblica amministra-zione aveva infatti aperto un nuovo campo di lavoro agli ingegneri, specie a quelli meno dotati di fortune personali, come appunto Lombardini, ai quali la strada della libera professione era nei fatti preclusa dalla mancanza di relazioni e di beni patrimoniali. In parallelo al graduale infoltimento del numero dei laureati era cresciuto anche il numero degli ingegneri alla ricer-ca di uno sbocco professionale e il servizio pubblico costituiva per molti di loro una prospettiva allettante.

Va però detto che mentre inizialmente l’ingresso nel corpo di acque e strade era foriero di rapidi avanzamenti di carriera, in seguito, e tanto più inoltrandosi negli anni, la disponibilità di piazze retribuite scoperte si era an-data riducendo e di pari passo la mobilità verso l’alto. Inoltre, in conseguen-za della ridefinizione dei confini dopo il congresso di Vienna, i ranghi della burocrazia si erano ridotti mentre stipendi e carriere apparivano bloccati.

Giovanni Antonio Lecchi, Trattato de’ Canali Navigabili, ed. II, Milano 1824: antiporta, ritratto di Antonio Lecchi; frontespizio

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Nel 1829, a più di vent’anni dall’istituzione del corpo, tutte le posizioni meglio retribuite (ingegneri in capo e ingegneri di prima classe) erano oc-cupate da uomini entrati in servizio in età napoleonica. Tale, per esempio, il caso del direttore generale Agostino Masetti, che aveva iniziato la sua car-riera a Mantova nel 1777 come aiuto del prefetto delle acque, chiamato nel 1820 alla carica di direttore generale (che avrebbe conservato sino al 1833, anno della sua morte), degli ingegneri aggiunti alla direzione Carlo Parea56 e Filippo Ferranti57, dell’anziano Ferrante Giussani e dei più giovani Carlo Gianella58, Pietro Cremonesi, Filippo Menichini, Carlo Donegani59, Prospero Franchini60, Giuseppe Cusi61 e altri. Vale a dire l’élite tecnica del Corpo, i cui nomi, legati alle maggiori realizzazioni del tempo loro (il ponte di Boffalora sul Ticino per Parea, la diga tra i due laghi di Mantova per Masetti, la strada del Sempione per Gianella e quella dello Stelvio per Donegani62), si ritrova-no in diverse pubblicazioni conservate nella biblioteca del Collegio.

Al rallentamento della mobilità verticale faceva da contrappunto il ri-gonfiamento degli organici nelle fasce retributive più basse: la percentuale degli ingegneri di delegazione (come in età austriaca si chiamavano quelli precedentemente detti di seconda classe) sul complesso degli organici tra il 1806 e il 1827 era passata dal 19 al 47%. E peggio andavano le cose per coloro che, dopo aver conseguito la laurea, erano riusciti ad accedere nelle fila degli ingegneri aspiranti, “anche nella vista di compiere ivi il loro corso di pratica” e che finivano per passare molti anni in attesa di una stabilizzazione che non sempren arrivava e senza neppure la sicurezza di uno stipendio.

Una condizione professionale difficile e poco gratificante, ben do-cumentata dalle carte dei fascicoli personali degli ingegneri del Corpo. Malgrado occupassero i piani alti della piramide retributiva dei pubblici funzionari63, gli ingegneri si sentivano penalizzati rispetto ad altre catego-rie, essendo stati equiparati dalla legge del 1817 a “un qualsiasi impiegato di concetto”64. Una equiparazione che aveva negativi riflessi anche su altri aspetti del lavoro: procedure e controlli moltiplicavano gli adempimenti burocratici richiesti al personale d’ufficio, funzionari sì, ma prima ancora in-gegneri, che mal sopportavano questa perdita di autonomia nell’esercizio della professione. Una condizione denunciata con veemenza dall’ingegne-re architetto Luigi Tatti che negli uffici della Direzione di Milano aveva tra-scorso quasi un decennio prima di dimettersi per dedicarsi a una brillante carriera privata65. Del resto lo stesso Lombardini, che pure come detto di quella carriera sarebbe arrivato a occupare i vertici, in una lettera del 1862 ricordava come “infastidito dalle pastoie della burocrazia, per tre volte dal 1849 al 1851” avesse pensato “di ritirar[s]i dal pubblico servizio” trattenuto dal farlo solo dalla considerazione del danno economico che ne avrebbe patito a causa di una anticipata giubilazione dal servizio66.

Bisogna infine tenere conto che se la carriera all’interno degli uffici di acque e strade poteva essere gratificante sotto il profilo progettuale e del prestigio, offriva prospettive di guadagno inferiori rispetto a quelle della libera professione.

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Non è semplice appurare l’ammontare dei guadagni di un ingegne-re nella prima metà dell’Ottocento. In assenza di dati analitici, ci si deve accontentare di stime grezze: sembra però non fosse eccezionale il caso di ingegneri che, come segnalava nel 1854 il “Giornale dell’ingegnere ar-chitetto e agronomo”, “dal semplice esercizio della loro professione [...] in servizio dell’agricoltura” ritraevano un reddito di 12-15 mila lire annue67. Il che significa che gli ingegneri privati potevano arrivare a guadagnare fino a quattro o cinque volte lo stipendio dei più fortunati fra i loro colleghi im-piegati nei pubblici uffici. Un decalage che trova conferma nelle denunce di successione, disponibili a partire dal 1862. Sono dati da prendere con ri-serva, specie nel caso di una categoria come gli ingegneri dal profilo molto sfaccettato e per la quale è difficile estrarre un campione rappresentativo. Tuttavia i riscontri sono abbastanza convergenti.

Da una serie di rapidi sondaggi appare abbastanza evidente che fino agli anni ottanta la presenza di ingegneri ai vertici della struttura patrimo-niale milanese era abbastanza sporadica e i più ricchi fra loro erano, con poche eccezioni68, quelli che si erano tenuti nei limiti delle attività più tra-dizionali. Una caratterizzazione confermata anche dalla composizione del-le “poste attive”: analizzando le denunce si ricava infatti l’impressione di una gestione prudente del proprio patrimonio, fondata sull’investimento in beni stabili (all’interno dei quali hanno un peso significativo le proprietà urbane) e in titoli del debito pubblico. Scelte tutto sommato coerenti con quelli che erano gli orientamenti della professione e gli ambienti con i quali gli ingegneri entravano più facilmente a contatto. Comportamenti

Angelo Querini, Considerazioni ed allegati per la più pronta sicura ed economica regolazione di Brenta. Secondo il Piano esibito ai Pubblici Consigli ed al Giudizio della Nazione da Angelo Querini. Al confronto del piano proposto dal Signor Angelo Artico, Fiscale nel Magistrato Eccellentissimo all’Acque, 1789: frontespizio; tav. sciolta, Disegno Topografico del corso di Brenta dalla sua origine fino al confine del Bassanese, e delle Fonti, Torrenti e Valli che metono capo nel med.mo: come pure delle Rogie che vengono estratte dal detto Fiume (Antonio Gaidon P.co P.to e Arch.to, Bassano 4 ottobre 1788); Aggiunta, Porzione del Fiume stesso dal confine Bassanese sino a Campo S. Martin, tratto dalla Carta del Padovano del Clarici (da Giuseppe Ceroni P.co e Arch.to)

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magari poco innovativi, ma paganti sotto il profilo della redditività, al-meno a giudicare dal confronto tra la solidità patrimoniale di ingegneri come Giovan Battista Mazzeri, che denunciava un attivo di 308.224 lire, in gran parte costituito da crediti nei confronti di esponenti dell’aristocrazia milanese69, o Francesco Brioschi70, vicino al milione, e l’assai più incerta posizione di ingegneri famosi come Elia Lombardini (51.943 lire) e Achille Cavallini71 (83.190 lire) che avevano optato per la carriera pubblica e lo studio, pur senza rinunciare del tutto a ruoli di consulenza e a intrattenere rapporti con la clientela privata. Per non dire di quanti come Giuseppe Bruschetti72 (159.723 lire) o Giuseppe Agudio73, irresistibilmente attratti dal commercio e dallo “spirito di speculazione”, non avevano esitato a investire parte delle loro ricchezze in arrischiate avventure. Forse troppo per i tempi.

Malgrado il carattere rapsodico di tale scandaglio, prendendo in esa-me le denunce di successione sembra che ben poco di nuovo fosse inter-venuto a scuotere il mondo degli ingegneri. O meglio il cambiamento si era limitato alla cornice istituzionale senza investire il lessico e la gramma-tica della professione. I campi di applicazione dell’ingegnere erano rimasti quelli di sempre – agricoltura e acque e strade – e anche lo stile di lavoro non era cambiato. Ma si era sopra una faglia instabile. Di lì a poco, il filo della continuità si sarebbe incrinato e sarebbe venuta meno anche la koine tecnica che aveva continuato ad accomunare gli ingegneri al di là e nono-stante le fratture istituzionali.

Lombardini, funzionario e uomo di studioI primi anni milanesi di Lombardini sono avvolti nell’ombra. Il personaggio del resto preferì sempre la vita appartata dello studioso a quella dell’uomo d’azione. Ciò nondimeno furono certamente anni importanti.

Nell’ufficio di Milano poté allargare le sue conoscenze avendo uno sguardo generale sui problemi dell’amministrazione dei lavori pubblici, an-che se al centro dei suoi interessi rimasero sempre l’idraulica fluviale e in particolare le vicende del bacino del Po e del “grande estuario adriatico”.

Negli uffici della direzione generale delle pubbliche costruzioni in contrada Santa Marta ebbe come colleghi, tra gli altri, Galeazzo Krentzlin74, Giovanni Pirovano75 e Luigi Tatti76. Fu probabilmente tramite loro che entrò in contatto con il milieu gravitante attorno a Carlo Cattaneo, intellettuale di punta sulla scena cittadina, che nello stesso anno in cui Lombardini era approdato a Milano aveva avviato la pubblicazione del “Politecnico”. La conoscenza tra i due uomini si era rapidamente trasformata in amicizia e in una comune militanza intellettuale, seppure di segno diverso. Due decenni più tardi, nel 1859, in una lettera all’amico esiliato a Lugano, riandando a quei giorni lontani Lombardini scriveva:

Non crediate [...] che abbia giammai dimenticato i bei tempi decorsi dal 1839 al 1847, quando veniva la sera a passare qualche ora nella vo-stra casa in eletta società di amici. Ricorderò sempre l’eroica difesa che

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la vostra Signora sosteneva contro di me, di voi e dei poveri Kramer77 e Durelli78, collegati con pari galanteria ad abbattere la perfida Albione.

Questa lettera non è importante solo come testimonianza di una antica consuetudine intellettuale con Cattaneo, nei confronti del quale esprimeva una devozione che andava al di là del ricordo di quelle serate conviviali: “Ai vostri incoraggiamenti dovetti il fervore col quale mi sono dedicato a’ miei studi prediletti, unico conforto ne’ pochi anni di vita che tuttavia mi rimangono”. Come per molti, quello con Cattaneo era stato l’incontro con un maestro.

Lombardini aveva allora 65 anni e sarebbe vissuto per altri 19, ma benché godesse di una solida reputazione, che gli era valsa l’affiliazione a sodalizi scientifici quali l’Istituto lombardo di scienze e lettere e l’Accade-mia nazionale delle scienze detta dei XL, nonché la nomina a senatore del regno (1860), da molti anni conviveva con quella che oggi si direbbe una forma depressiva. Ciò, se lo aveva amareggiato, non gli aveva impedito di continuare a coltivare i suoi studi. È un tratto che emerge con grande net-tezza da un passo della stessa lettera dove senza nessun infingimento con-fidava all’amico la sua personale fatica di vivere, attenuata solo dall’amore per lo studio:

Dopo il 1848 mi sono totalmente separato dal consorzio umano, e solo dopo ottenuta la mia giubilazione vado od alla società del Duri-no, od a quella di Piazza Mercanti per un’ora onde leggere qualche giornale. Ma dopo l’assenza per otto anni da tali società le persone mi riescono generalmente nuove, e raro è il caso che scambi qualche parola. La mia abitazione da sette anni è a S. Giovanni in Conca (N. 4127) nella famosa Ca’ de’ Can; ove qualche volta viene a trovarmi Poli, compagno della fanciullezza e della mia prima gioventù79; e tal volta qualche giovane ingegnere che non si annoi di cose tecniche. Ma non è raro il caso di passare intere settimane senza vedere anima vivente. Con tutto ciò non so cosa sia [la] noia, assorbito come sono da’ miei studi in guisa che mi manca sempre il tempo, occupandome-ne eziandio mentalmente nelle molte ore insonni della notte. Sono in somma ancora il collaboratore del Politecnico e delle Notizie, aggi-randosi sempre il mio spirito nello stesso elemento80. Appare chiaro da questa lettera come l’incontro con Cattaneo fosse

stato determinante per trasformare un tecnico di grande competenza in uno studioso capace di fondere le conoscenze maturate sul campo con una robusta cultura scientifica e storica. Era un punto ben presente ai tanti colleghi, che guardavano a Lombardini come a un modello, il “nestore degli idraulici italiani”, appunto.

Commemorando l’amico da poco scomparso, Tatti ricordava come egli nei suoi “prediletti studi” di idraulica, in questo davvero vicino a Catta-neo, non avesse mai disgiunto gli aspetti naturali da quelli civili, riuscendo

J.R. Delaistre, Atlas de la science de l’Ingénieur, Lyon 1825: tav. XLVII, Construction de pont en fer: Plan Coupe et Elévation du Pont en fer costruit à Coalbrookdale sur la rivière de Severn, en 1779, à 180 milles de Londres et à 44 de Chester, sur la Route d’Irlande; tav. LI, Nivellement

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a fondere in un’originale tessitura, e con un linguaggio piano e rigoroso, gli apporti “delle scienze affini, della geologia, della meteorologia” con quelli degli studi di storia antica e di “rozze cronache municipali del medio evo”81.

Sono tutte caratteristiche che emergono distintamente fin dal suo primo scritto, pubblicato nel 1840 sul “Politecnico”, Cenni intorno al si-stema idraulico del Po, ai principali cangiamenti che ha subito, ed alle più importanti opere eseguite o proposte pel suo regolamento. Il saggio era l’esito di osservazioni protratte nei lunghi anni di servizio a Cremona come ingegnere di delegazione. “Incaricato della sorveglianza delle arginature”, Lombardini aveva potuto ripetutamente osservare “i cambiamenti del fiu-me”, studiarne la natura e indagarne le leggi “con quell’acume di intuito che gli era dato dal suo molto criterio e dalla profondità dei suoi studi, gettando le fondamenta di quelle dottrine sulla natura dei fiumi che ebbe a svolgere con tanto splendore nei posteriori suoi scritti”82.

Il saggio del 1840, primo di una lunga serie di scritti dedicati al mag-gior fiume italiano83, assicurò a Lombardini un’immediata notorietà, anche per la sede in cui era apparso. In esso venivano analizzate le condizioni naturali (meteorologiche e geologiche) della valle del Po, le caratteristiche dei diversi affluenti e di quelli di destra, appenninici, in particolare, senza tralasciare di osservare le alterazioni del fiume e del suo delta, l’alternanza dei regimi di magra e di piena, gli effetti delle arginature e l’innalzamento dei colmi di piena. Su questo punto cruciale e controverso, Lombardini re-spingeva recisamente la tesi di un continuo “rialzo del letto del fiume”, una teoria che aveva trovato autorevolissimi sostenitori in molti dei più “distinti idraulici oltremontani” sulla scia delle affermazioni di Prony e di Cuvier.

François Andreossy, Histoire du Canal du Midi, ou Canal de Languedoc, consideré sous les rapports d’invention, d’art, d’administration, d’irrigation, Paris 1804, vol I: antiporta, frontespizio

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Purtroppo l’epistolario di Lombardini non ci è giunto. Avrebbe offer-to uno squarcio di grande interesse sul network relazionale informale che legava quanti per mestiere o per semplice passione si erano votati allo studio delle scienze naturali e dell’idraulica. Basta anche solo una rapida occhiata alle annate di periodici quali la “Biblioteca italiana”, divenuto a partire dagli anni trenta il giornale dell’Istituto lombardo di scienze e let-tere, gli “Annali universali di statistica” o “Il Politecnico”, per limitarsi alle eccellenze – tra l’altro oggi facilmente consultabili on line –, per rilevare la fame di conoscenza che rimandano. Una conoscenza non sempre di prima mano, spesso limitata alla segnalazione di una pubblicazione recente o a un suo compendio, comunque rivelatrice di un profondo interesse per il dibattito scientifico internazionale e dell’ambizione a farsene tramite in vista delle sue applicazioni a vantaggio della vita pratica. Si ha davvero l’impressione di un’appartenenza a un universo culturale comune, quanto meno come aspirazione e limite a cui tendere, da parte di una realtà come quella lombarda protesa nelle sue componenti più avvertite e consapevoli a ricongiungersi a quella che Cattaneo chiamava l’“Europa vivente”.

A Milano, come la storiografia ha messo in luce da tempo, il decen-nio che precede la rivoluzione del marzo 1848 fu una stagione feconda di iniziative economiche e culturali. Ricordiamo, fra le prime, la fondazione di due imprese destinate a fare la storia dell’industria meccanica milanese, l’Elvetica, embrione di quella che molti anni dopo (1886) sarebbe divenuta la Breda, e la Grondona, che confluendo (a cavaliere tra Otto e Novecento) nella Miani Silvestri avrebbe dato vita alla OM. Segni premonitori di un futuro per ora solo annunciato. Nell’immediato furono forse più importanti le iniziative in campo educativo e culturale. Come ricorda in questo volu-me Elena Canadelli, nel 1838, in coincidenza all’arrivo in visita del nuovo imperatore Ferdinando I d’Austria, vennero poste le basi di alcune impor-tanti istituzioni scientifiche. L’Istituto lombardo di scienze e lettere, da anni impoverito di risorse e uomini84, venne rilanciato divenendo uno snodo centrale di quella città del sapere che in assenza di un’università sarebbe stata il motore della ricerca e dell’incontro tra industria e scienza85. Nello stesso anno nasceva il civico Museo di storia naturale86, sospeso tra ricerca e didattica, ambito, quest’ultimo, in cui agiva anche la Società di incorag-giamento d’arti e mestieri, attiva anch’essa da questi anni87. Sulla loro scia sarebbe sorto dopo l’Unità l’Istituto tecnico superiore, meglio noto come Politecnico, aprendo un capitolo nuovo della secolare storia degli ingegne-ri lombardi, e non solo.

Per quanto strano possa oggi apparire, l’ansia di rinnovamento che percorreva la cultura tecnico scientifica milanese in questi anni guardava prevalentemente al mondo francese e a quello tedesco. Assai meno al Re-gno Unito, il luogo dove la spinta all’innovazione era stata più violenta. La realtà di quel paese, l’unico ad aver portato a compimento una rivoluzio-ne industriale, sarebbe stata scoperta e lentamente metabolizzata dopo lo shock della Grande esposizione del 185188. Possiamo rilevare la distanza dal mondo anglosassone anche scorrendo i titoli dei volumi della biblioteca

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di un tecnico di grande levatura come Lombardini, i cui riferimenti erano la tradizione “civile” dell’École nationale des ponts et chaussées89, e il varie-gato fronte della scienza tedesca che aveva in Humboldt e nelle università di Gottinga e Berlino i suoi maggiori centri di irradiazione internazionale.

È infatti guardando a quei modelli e innestandone gli apporti sulla tradizione idraulica italiana che Lombardini si era costruito una reputazione che andava ben al di la dei confini del Lombardo-Veneto e di cui restano traccia ed eco in molte sue pubblicazioni. Nel 1847 aveva avuto licenza dalla Cancelleria di Stato di Vienna di recarsi a Modena per “dare consigli circa la difesa della sponda del Po a Brescello”; il “successo ottenuto ac-celerò la sua nomina, avvenuta poco dopo, a Direttore generale dei lavori pubblici in Lombardia”90.

Sollecitato da vari colleghi d’Oltralpe, tra cui Baumgarten (che ebbe occasione di incontrare nel 1844 a Milano91), “a dare nuove e più dirette prove” delle sue asserzioni, Lombardini avrebbe affrontato nuovamente la questione del supposto innalzamento del letto del Po in una memoria del 185292. In questa, fondandosi sulla “più scrupolosa” raccolta di dati “storici e altimetrici”, Lombardini aveva mostrato che nel complesso le alterazioni del profilo del fiume non mostravano alcuna sensibile variazione del letto, tranne che “nelle ultime sue tratte in causa del prolungamento delle sue foci in mare”. Una conclusione che apriva nuove controversie, anche se alla fine “la solidità dei principj proclamati dal Lombardini, appoggiati ai canoni fondamentali della scienza ed all’esame diligente dei fatti valsero a far trionfare vittoriosamente le sue dottrine su quelle dei suoi oppositori”93.

Sono temi che ritorneranno in altre sue pubblicazioni, spesso in viva-ce contraddittorio con i suoi critici, discussi sulla base di una conoscenza diretta dell’idrologia fluviale e di un’impressionante cultura storica e tecni-co-scientifica. Li si ritrova esemplarmente dispiegati, per esempio, nei ca-pitoli scritti per il primo volume delle Notizie naturali e civili su la Lombardia compilate da Cattaneo in occasione del sesto Congresso degli scienziati italiani che si tenne a Milano nel settembre del 184494.

Semplicemente intitolati Stato idrografico naturale e Stato idrografi-co artificiale, i due testi riprendevano e sistematizzavano idee e problemi

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discussi nel saggio del 1840, ma con alcuni scarti destinati a costituire una cifra stilistica a cui Lombardini sarebbe rimasto fedele anche in seguito. Da un lato, uno sguardo comparativo con la situazione idrografica di altri grandi fiumi europei (la Senna, il Rodano...); dall’altro, un riferimento co-stante alla trama della storia, o meglio delle storie plurali delle comunità padane. La conoscenza di prima mano di fonti e cronache medievali che trapela da tutti i suoi scritti consentiva a Lombardini di trovare notizie e riferimenti, marginali ma per lui preziosissimi, alle condizioni del fiume e dei suoi affluenti in epoche lontane utili a comprenderne le trasformazioni nel corso del tempo.

A questo proposito è impressionante rilevare con quanto competenza e agilità si muovesse fra i ponderosi tomi delle Antiquitates Italicæ Me-dii Ævi, sive Dissertationes raccolte da Muratori o fra i volumi dell’opera omnia di Carlo Sigonio, uno storico del Cinquecento. O ritrovare puntuali note a margine nei volumi della Storia dell’augusta badia di S. Silvestro di Nonantola di Girolamo Tiraboschi, o in quelli dell’Istoria della città, e duca-to di Guastalla di Ireneo Affò, entrambi pubblicati nel 1785.

Vi è un’evidente corrispondenza tra i riferimenti storici, più o meno espliciti, che si ritrovano in tanti suoi scritti e i volumi della sua bibliote-ca. “Prodigiosa è la lista degli autori in proposito consultati, e notevole l’ampiezza data alle sue osservazioni sui fenomeni idraulici estesa ai più vasti orizzonti”95, aveva detto Tatti nel commemorarne la figura il giorno delle pubbliche esequie. E non era frase di circostanza. Impressionante davvero la trama di riferimenti e citazioni in questo ingegnere formatosi a inizio Ottocento, frutto di una vita di intenso studio, in una circolarità di letture che spaziavano dalla geologia all’astronomia, dalle matematiche alle scienze naturali96.

Era stato proprio Lombardini il primo a sottolineare la pluralità di ap-

François Andreossy, Histoire du Canal du Midi, ou Canal de Languedoc, consideré sous les rapports d’invention, d’art, d’administration, d’irrigation, Paris 1804, vol. II: tav. X, Plan d’une écluse simple; tav. VIII, Plan, profil et elevation des voutes du bassin de St. Ferréol

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porti conoscitivi all’origine del suo modo di intendere la scienza delle acque. Vale la pena di leggere l’incipit di una sua memoria del 1846 sull’importanza della statistica per lo studio dell’“idrologia fluviale” (tra l’altro è una chiave per capire come aveva organizzato la sua biblioteca):

La scienza delle acque, limitando da principio le proprie ricerche a ciò che riguarda l’architettura idraulica propria-mente detta, all’arte cioè di farle servire pei commodi del-la vita, e di frenare le loro irruzioni, ella era scienza del tutto isolata. Ma vennero frattanto a cadere sotto l’occhio dell’osservatore altri fenomeni che per la serie delle cause e degli effetti si collegavano alla meteorologia, e le po-tevano fornire la controprova delle sue induzioni. Altri fe-nomeni parvero ripetere quelli che in una più vasta scala dovevano essere avvenuti in remote età del globo, e ag-

giunsero un nuovo capitolo alla geologia. E finalmente nel paragone de’ fiumi, la geografia fisica trovò un profondo argomento d’osser-vazione ed un nuovo lume per determinare la complessiva natura di ogni regione della terra97.

Più ovvia, ma non per questo meno notevole, la presenza nella biblio-teca dei testi della tradizione idraulica italiana, una sorta di canone che, come ricorda in questo volume Mario Di Fidio, va da Benedetto Castelli a Domenico Guglielmini, da Giovanni Battista Barattieri a Eustachio Manfredi, Giuseppe Venturoli, Giambattista Masetti, Paolo Frisi, Antonio Lecchi, Ber-nardino Zendrini, Antonio Tadini, Teodoro Bonati98.

A conferma della sua apertura internazionale, Lombardini, accanto agli scritti “dei nostri grandi maestri”, aveva nella sua biblioteca un cam-pione significativo delle “ricerche statistiche in questi ultimi tempi pubbli-cate oltremonte sui più importanti corsi d’acqua in Europa ed in America”, opere in genere inviategli in omaggio per averne un giudizio o in segno della considerazione di cui godeva in Italia e all’estero.

Non mancavano, come si è visto, aggiornati riferimenti alla lettera-tura straniera. A tener banco, erano naturalmente i testi dell’École natio-nale des ponts et chaussées, a partire dai fascicoli delle “Annales” della scuola, che facevano bella mostra di sé sugli scaffali di casa Lombardini, e dalle opere del suo direttore de Prony, più volte in Italia in età napoleo-nica come consulente del governo99. Testi e autori con i quali Lombardini non esitava a confrontarsi a viso aperto, e talvolta a polemizzare. Come aveva fatto a proposito del supposto innalzamento del fondo del Po, e come farà in seguito con il Dausse, contrario al sistema degli argini insommergibili, unica difesa possibile, invece, a detta di Lombardini, per la salvaguardia della bassa pianura emiliano-veneta100. O ancora, sempre restando in ambito francese, i trattati di Belidor101, dello Sganzin102, di Navier103, per finire con le opere di Belgrand104 dedicati alla Parigi sot-

Bernardo Bélidor, Architettura idraulica, ovvero Arte di condurre, innalzare e regolare le acque per varj bisogni della vita, vol. I, Mantova 1841: copertina; libro II, cap. I, tav. IV, Disegno di un mulino usato in Provenza e nel Delfinato; libro II, cap. IV, tav. VII, Figure che rappresentano il modo di esaurire a mano le acque di una fondazione

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terranea, destinati ad aprire nuovi campi di studio all’ingegnere chiamato a confrontarsi anche con i problemi posti dall’urbanesimo. Una serie di volumi di cui un altro ingegnere delle pubbliche costruzio-ni, Giuseppe Cadolini, lui pure parte della cerchia dei collaboratori di Cattaneo, aveva promosso a partire dal 1832 traduzione e stampa in una collana intitolata “Biblioteca scelta dell’ingegnere”, che nel 1844 si componeva ormai di 44 volumi105.

La bibliografia di Lombardini è ampia ma non dispersiva, concentrata come è attorno ad alcune questioni centrali. Scorrerne i titoli permette di ave-re immediatamente sott’occhio i topics del dibattito idraulico, non solo sulla scena italiana. In forza del-la sua competenza, Lombardini era infatti continua-mente sollecitato a dire la sua su progetti e opere in corso di realizzazione. Questioni come la regolazio-ne dell’emissario del lago di Como per eliminare il problema delle piene che danneggiavano la città106, lo studio di nuovi canali per estendere l’irrigazione nel Cremonese107, la valorizzazione delle brughiere

dell’alto milanese mediante l’apertura di un nuovo naviglio, quello che sarà poi il Villoresi108, il monitoraggio delle piene del Po e la cronaca delle rotte che si succedevano con incostante regolarità, sono alcuni dei temi discussi negli anni da Lombardini.

Una passione raffrenata dal rigore percorre i suoi scritti, conferendo loro uno stile personalissimo. Uno stile fondato su un metodo di lavoro a cui si mantenne sempre fedele. Lo aveva enunciato nel 1846, dopo averlo testato nei due capitoli scritti per le Notizie naturali e civili su la Lombardia. Quale che fosse l’argomento, il suo approccio era sempre il medesimo. Per Lombardini la scienza idraulica era il portato di osservazioni dirette e di leggi “dedotte dallo studio di numerosi fatti fra loro comparati e colle-gati da principj generali”. E in tale studio un posto centrale era riservato alla ricerca ed esposizione di dati statistici, sulla cui base “i cultori delle scienze e gli ingegneri pratici” potevano fondare le loro deduzioni, dando così un solido presupposto alle loro scelte progettuali. Esposto nella citata memoria Importanza degli studj sulla statistica dei fiumi (1846), tale meto-do veniva applicato da Lombardini sia nell’esame di questioni di idraulica applicata sia nello studio del Nilo, “quel classico fiume il cui regime era avvolto nel mistero, come lo erano pure le sue sorgenti”, da lui analizzato “mettendo a contributo una infinità di notizie staccate”109.

Come è facile intuire dopo quanto si è detto a proposito del fondo Lombardini, la biblioteca del Collegio, malgrado limiti e lacune non tra-scurabili, a saperla interrogare offre una chiara testimonianza della natura composita della cultura degli ingegneri (e in misura minore degli architetti) nel delicato passaggio alla modernità.

Pietro Pancaldi, Della inalveazione de’ torrenti arginati secondo che ne insegnano le vicende del Reno d’Italia. Memoria dell’ispettore Pietro Pancaldi ingegnere in capo della provincia di Bologna, Bologna 1830: copertina con dedica dell’autore

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Pietro Pancaldi, Della inalveazione de’ torrenti arginati secondo che ne insegnano le vicende del Reno d’Italia. Memoria dell’ispettore Pietro Pancaldi ingegnere in capo della provincia di Bologna, Bologna 1830: tav. 2, Spiegazione del presente Profilo del Reno d’Italia inalveato per la linea di Primaro dalla Panfilia all’Adriatico, anno 1830

Il dischiudersi di nuovi orizzontiCi si è soffermati sulla figura di Lombardini sia perché il suo lascito costi-tuisce uno dei pilastri e dei motivi di maggiore pregio della biblioteca, sia perché la sua carriera di ingegnere funzionario mostra come nella prima metà dell’Ottocento si fosse registrato un primo significativo scarto nel-la matrice della professione. Come si è detto, a quella soglia temporale accanto al servizio della grande proprietà fondiaria, ancora prevalente in termini numerici e di prestigio, gli ingegneri avevano un’altra possibilità: l’impiego negli uffici delle pubbliche costruzioni. Erano questi i principali sbocchi occupazionali, ma non i soli.

Intanto, come già in passato, c’erano gli ingegneri-architetti, che dal 1843 erano tenuti a seguire un corso biennale di perfezionamento in “ar-chitettura sublime” presso un’accademia di Belle arti, al termine del quale sostenevano un esame per conseguire l’abilitazione all’esercizio professio-nale110. Si profilavano poi nuovi campi di applicazione nel settore di quel-la che si sarebbe chiamata l’ingegneria industriale. Anche se solo dopo l’approvazione della legge Casati si pose concretamente il problema di come adeguare la formazione tecnica superiore alle nuove esigenze della professione, da tempo si era consapevoli che la tradizione degli ingegneri lombardi, per quanto gloriosa, era inadeguata al confronto con la moder-nità incipiente e necessitava di aggiornamento.

Il tempo aveva preso a scorrere a ritmi accelerati e la realtà imponeva di confrontarsi con nuovi materiali, nuove tecniche costruttive e sempre nuovi congegni meccanici. Le ferrovie mostravano, a chi aveva occhi per vedere, i nuovi orizzonti della professione. Francesco Colombani, che nei

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primi anni trenta, durante il suo esilio a Parigi per ragioni politiche, aveva avuto modo di seguire i corsi dell’École nationale des ponts et chaussées, rientrato a Milano nel 1839, dalle pagine del “Politecnico” di Cattaneo esortava i “giovani ingegneri” a “mettersi al fatto della parte esecutiva dell’industria straniera”111.

Si era chiamati a una sfida ineludibile. Nei decenni a cavallo tra Settecento e Ottocento, come si è visto, a essere investiti dal vento del cambiamento erano state le modalità che avevano fin lì presieduto alla formazione e all’avvio della carriera dei nuovi ingegneri, più che i conte-nuti della loro professione rimasti, almeno in Lombardia, quelli consueti. Gli aspiranti ingegneri erano stati obbligati a seguire un corso pubblico di studi, e immediatamente dopo i Collegi avevano dovuto rinunciare alla prerogativa di unici soggetti autorizzati ad abilitare alla professione, prima di essere addirittura soppressi come vestigia di corporazioni che non ave-vano più ragion d’essere. Inoltrandosi nell’Ottocento, il secolo del vapore, tutto questo non era più sufficiente. Ora ad essere sfidati erano gli orizzonti stessi della professione.

Di fronte all’inerzia della iniziativa pubblica, consapevole della neces-sità di adeguare la formazione ma incapace di concretizzare tale aspirazio-ne in nuovi e più adeguati ordinamenti112, il rinnovamento della professio-ne fu promosso dal confronto con il mondo esterno. Si elaborarono “per via empirica e personale” risposte a interrogativi che non potevano essere risolti da libri e riviste. Una delle strade più battute dai giovani ingegneri curiosi del mondo fu quella dei viaggi di formazione oltre confine. Data a questi anni – a partire cioè dagli anni trenta – quella sorta di grand tour alla rovescia che avrebbe portato generazioni di tecnici e imprenditori a percorrere le contrade europee alla ricerca di modelli ed esperienze in set-tori dei quali in Italia non vi era ancora traccia113. I mesi trascorsi al termine degli studi “tra officine e miniere, tra porti e ferrovie” furono per molti “l’occasione più efficace per definire, o rafforzare un’ancora incerta voca-zione industriale”114. Come avrebbe annotato alcuni decenni più tardi il giovane ingegnere politecnico Giovan Battista Pirelli nel suo diario di viag-gio: “Nelle istituzioni e negli uomini c’è molto da imparare in quei paesi ed io auguro al mio che industrialmente gli possa un giorno assomigliare”115.

In particolare per chi voleva dedicarsi all’industria era necessario di-sporre, oltre che di capitali, di conoscenze. Innovare richiedeva coraggio, immaginazione, capacità di prefigurare una realtà ancora in divenire. Per questo era di fondamentale importanza disporre di informazioni di prima mano, aggiornate e verificabili. Solo entrando all’interno delle fabbriche e girando per i reparti, studiando e disegnando le macchine, osservando gli operai al lavoro e i loro gesti era possibile farsi un’idea della complessità dei processi produttivi, ma anche delle enormi possibilità che si aprivano a chi decideva di battere nuove vie. “Senza porsi in relazione coi produttori”, aveva osservato nel 1862 Giuseppe Colombo, ispiratore e mentore di ge-nerazioni di ingegneri, molti dei quali destinati a scrivere pagine importanti nella storia dell’industria italiana,

Bernard Forest de Bélidor, La Scienza degli Ingegneri nella direzione delle opere di fortificazione e d’architettura civile, Milano 1832: tav. I, Tavola esemplificativa ai capp. I, II: Metodi per la determinazione del centro di gravità di varie figure (cap. I), Dell’equilibrio de’ piedritti, o muri a sezione rettangolare (cap. II); in Libro I: Principi di meccanica applicati alla ricerca delle dimensioni che si convengono ai rivestimenti delle opere di fortificazione, perché siano in equilibrio colla spinta delle terre che devono sopportare; tav. VIII, Veduta di un incominciamento di lavoro sopra un piano di fortificazione

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è impossibile di prendere cognizione di tutto quanto si fa in questo senso all’estero, e molto meno in Inghilterra; perché non vi sono pub-blicazioni che possano tenere al corrente delle infinite applicazioni della meccanica alle fabbricazioni speciali; e d’altronde nella maggior parte dei casi, le macchine si imaginano [sic] e si perfezionano nelle singole officine, che ne hanno bisogno, per cui restano una specialità di quelle officine senza diventare del dominio generale116.

Per i nuovi ingegneri università, studi di carattere applicativo, espe-rienza all’estero erano momenti di uno stesso percorso formativo. Non è ora il caso di ripercorrere le tappe, faticose ed esaltanti, attraverso cui si sarebbe arrivati a ridisegnare la formazione di ingegneri e architetti. Ri-mandando ai lavori fondativi di Carlo G. Lacaita, Andrea Silvestri per più esaurienti ricognizioni117, basti dire che, nei primi anni dopo l’Unità, trovò una nuova, e per molti versi definitiva, definizione l’annosa questione della

Giuseppe Bruschetti, Storia dei progetti e delle opere per la navigazione interna del Milanese, Milano 1830: tav. I, Carta per la navigazione interna del Milanese

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Carlo Mira, Sulla possibilità di trasportare al di fuori delle mura di Milano il canale detto Naviglio, Milano 1858: tav. Disegno del progetto proposto dall’Ing. Carlo Mira per il trasporto del Naviglio interno di Milano al di fuori delle mura

formazione tecnica superiore. Come è noto, nel quadro dei provvedimenti varati nel 1859 dal ministro dell’Istruzione Gabrio Casati era prevista la cre-azione di scuole di applicazioni per gli studi di ingegnere.

Nell’immediato furono istituite scuole per ingegneri a Torino e a Mi-lano (l’Istituto tecnico superiore, poi trasformato in Politecnico). In seguito sorsero scuole di applicazione, in genere sul tronco di preesistenti espe-rienze, a Padova, Bologna, Roma, Napoli, Palermo. Dietro l’apparente uni-formità di tale ordinamento, venne a crearsi una tacita divisione dei com-piti tra le scuole di Torino e Milano, votate alla formazione di tecnici per l’industria, e le altre destinate alla formazione di ingegneri civili, gran parte dei quali avrebbero poi trovato impiego nei corpi tecnici della pubblica amministrazione118.

A Milano il Politecnico agì da acceleratore di una trasformazione in-dustriale in atto, aderendo plasticamente alle sollecitazioni provenienti dal mondo produttivo. Una celebre fotografia del 1870 dei primi laureati del corso di ingegneria industriale è il suggello del legame strettissimo tra uni-versità e industria, un legame che sarà rafforzato dall’apertura dei corsi di ingegneria elettrotecnica e di chimica industriale. Non potendo soffer-marmi su tali vicende, mi limito a considerare la relazione tra i processi di riorganizzazione degli studi e gli sbocchi occupazionali degli ingegneri.

All’inizio degli anni quaranta, l’Università di Pavia era frequentata da

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circa 1500 studenti, due terzi dei quali distribuiti tra la facoltà di Diritto e quella di Medicina. Gli iscritti alla facoltà fisico-matematica, unica via per accedere alla professione dell’ingegnere architetto, erano molti meno, pur mostrando anch’essi la tendenza a crescere: nell’ultimo decennio gli stu-denti erano più che raddoppiati, passati da 138 a circa 300119. Per que-sto taluni erano arrivati a prefigurare una rapida saturazione degli sbocchi professionali sostenendo che presto si sarebbero visti “molti ingegneri e agrimensori senza edifici da costruire e senza terre da misurare”120.

Paure del tutto infondate, considerato che proprio in quegli stessi anni si stavano delineando nuove prospettive occupazionali foriere di stra-ordinari sviluppi in campo industriale.

Ma quanti erano gli ingegneri attivi in Lombardia in quegli anni? È possibile farsene una prima idea da un prospetto elaborato da Karl Czoe-rnig, un funzionario del governo che nutriva un forte interesse per la stati-stica, e riferito al 1835. Da esso risulta che in Lombardia erano attivi “non meno di 1012” ingegneri, di cui “104 governativi, 97 nei servizi pubblici, 40 comunali, 63 in imprese private, 533 esercitanti la libera professione, 53 assenti e 122 non esercitanti”121. A mia conoscenza, si tratta del pri-mo tentativo di analizzare la distribuzione degli ingegneri sulla base della loro occupazione. Da questi dati appare confermato quanto detto, ovvero che in Lombardia solo una frazione relativamente modesta degli ingegne-ri esercitava la professione al servizio della pubblica amministrazione – la maggior parte essendo occupata in “faccende campestri”. Del resto solo a Milano, secondo quanto si legge nell’introduzione alle Nozioni pratiche intorno alle consegne, riconsegne e bilanci dei beni stabili, di Antonio Cantalupi, “cinquecento e più ingegneri […] si occupano annualmente per molti mesi nella compilazione degli atti di consegna […] senza numerare

Giuseppe Cadolini, L’architettura pratica dei mulini trattata con metodi semplici ed elementari desunti dal Neumann e dall’Eytelwein, libro I, Milano 1835: tav. XXXI, Giunture o articolazioni di diversa foggia

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i molti altri ingegneri sparsi nel resto della Lombardia ai quali pure bene spesso pervengono simili lavori”122. Anche se la carriera nel Corpo di acque e strade creato nel 1806 rappresentava una meta ambita, diversamente da altri contesti, era pur sempre la libera professione a costituire lo sbocco privilegiato e meglio retribuito per un ingegnere. Per questo ha ragione chi afferma che a imprimere “un’accelerazione decisiva al processo evo-lutivo della professione” furono le sollecitazioni provenienti dal mercato, piuttosto che quelle derivanti dallo Stato123. Il problema diventa capire in che direzione spingevano le “sollecitazioni” del mercato e come venivano recepite – ammesso che lo fossero – dalle istituzioni a cui era demandata la formazione degli ingegneri.

Possiamo azzardare una risposta sulla base delle parole pronunciate il 24 maggio 1889 da Francesco Brioschi in occasione delle celebrazioni dei primi venticinque anni di vita del Politecnico milanese.

Tracciando un bilancio di un’esperienza formativa a cui aveva contri-buito in maniera determinante, Brioschi rilevò con evidente soddisfazione che dall’analisi delle scelte professionali dei laureati emergeva “chiaramen-te la tendenza” a operare “in aziende private piuttosto che in servizi pub-blici, risultando di poco superiore al centocinquanta il numero di coloro, i quali prescelsero quest’ultima carriera, mentre gli altri raggiunsero il nume-ro di ottocento”124.

Sembrerebbe un dato in continuità con quanto rilevato da Czoernig per gli ingegneri lombardi prima dell’Unità. Ma si tratta di una continuità

Elia Lombardini, Intorno al sistema idraulico del Po, ai principali cangiamenti che ha subito ed alle più importanti opere eseguite o proposte pel suo regolamento, Milano 1840: frontespizio

Giovanni Romani, Dell’antico corso de’ fiumi Po, Oglio ed Adda negli agri cremonese, parmigiano, casalasco e basso mantovano, Milano 1828: frontespizio

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più apparente che reale, perché nel frattempo la na-tura della professione era profondamente cambiata. Sempre di ingegneri, si trattava, ma la cesura con il passato era netta.

“Gli ingegneri, dirò così del vecchio stampo, era-no unicamente ingegneri civili e avevano in Milano e in Lombardia mansioni per solito limitate alla parte ammi-nistrativa, legale ed estimatoria dei beni stabili”, dirà nel 1914 Luigi Mazzocchi, uno dei primi laureati del Politecnico. Si trattava di professionisti “rinomati per la loro probità e per coltura generale”, ma del tutto impreparati a rispondere alle sfide del loro tempo. E pertanto

per le complesse opere metalliche, per le quali manca-vano presso di noi gli esempi e l’occhio più non basta-va, e per le quali si ignoravano i modi di calcolazione, si doveva ricorrere senz’altro ai costruttori stranieri. La meccanica razionale, anzi la parte più astrusa di questa materia, era la sola meccanica che si insegnasse allora nelle università; cosicché pei pochi impianti idraulici in-

dustriali di quei tempi si dipendeva dall’estero, da dove provenivano colle macchine persino i tecnici per montarle e usarle.

In conclusione, “prima del 1870 l’Italia […] era, in fatto di scienze ap-plicate, ad un livello assai basso”125.

L’uscita da questa condizione di minorità molto dovette alla presenza del Politecnico, come fu subito chiamato l’Istituto tecnico superiore di Mi-lano, dal quale, a partire dal 1868, accanto agli ingegneri civili cominciava-no a uscire anche i primi ingegneri industriali.

Il nuovo orientamento teneva certamente conto dell’“importante pro-gresso industriale” in atto a Milano e in altre circoscritte parti del paese, ma discendeva anche dall’impostazione che Francesco Brioschi aveva inteso dare alla scuola, recependo quanto di più avanzato sul piano dell’organiz-zazione degli studi tecnico-scientifici aveva visto nel corso di un viaggio di studio all’estero compiuto nel 1851126. È un punto da tenere in attenta considerazione, perché in questo stava la ragione prima, “il segreto” come avrebbe detto Colombo, di un successo testimoniato dal rapido aumento del numero degli allievi, destinati poi a operare in ogni parte d’Italia, “dalle vallate industriose delle Alpi all’estremo lembo della Sicilia”. A rendere vitale una scuola “uscendo dalla quale gli allievi – è ancora Colombo che parla – si trovano immediatamente alle prese colla pratica”, era l’imposta-zione non accademica dei corsi e la capacità di modulare l’offerta didattica sulle esigenze e il “progresso delle applicazioni”127. Un percorso iniziato nel 1863 e ancora oggi operante.

A completare questa veloce panoramica del contesto entro cui si col-

Carlo Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia, vol. I, Milano 1844: frontespizio (copia con timbro Ing. Luigi Tatti)

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locano le vicende della biblioteca non ci resta che riportare lo sguardo proprio sul Collegio degli ingegneri e architetti. Capire la natura di tale organismo tra il 1868, anno della rinascita, e il 1923, quando, confluiti i Collegi nel nuovo Sindacato fascista degli ingegneri ed architetti, venne istituito l’ordine, ci aiuterà a comprendere il carattere particolare di questa biblioteca, che abbiamo tratteggiato in apertura.

“Una società avente carattere pratico più che scientifico”Preceduto da analoghe iniziative a Genova, Brescia e Pavia, il Collegio di Milano, “promosso nel 1865”, ma “definitivamente” costituito tre anni più tardi, si impose immediatamente come l’esperienza di riferimento per il movimento associativo degli ingegneri italiani128. Un riferimento in qualche modo obbligato non solo per il rango della città, ma anche perché a Mi-lano, più che altrove, le presenze del Collegio e degli ingegneri erano una componente storicamente ben radicata nel tessuto professionale cittadino. Questo spiega perché la proposta di ridare vita al Collegio, a oltre ses-sant’anni dalla soppressione napoleonica, “adattandone l’organismo alle condizioni mutate dei tempi”, avesse trovato l’immediata adesione di un largo stuolo di ingegneri. Ben 141 aderirono alla proposta lanciata dall’al-lora direttore del Politecnico, Francesco Brioschi; ma ancora più numerosi furono i soci effettivi: 158 nel 1868, saliti a 214 nel 1872, quando a Milano si aprì il primo Congresso nazionale degli ingegneri e architetti italiani, per superare i 300 nel 1883. Segno questo della profonda consonanza del nuo-vo organismo con le aspirazioni del vasto mondo degli ingegneri milanesi in rapida crescita in seguito all’avvio dei corsi dell’Istituto tecnico superiore129.

Le finalità della nuova associazione, “avente carattere più pratico che scientifico”130, erano di natura prettamente consultiva, in questo distin-guendosi profondamente dal vecchio Collegio. Il Collegio non era neppu-re un organismo di tipo sindacale volto alla tutela degli interessi dei propri associati, né l’equivalente di un ordine professionale, dato che l’iscrizione

Carlo Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia, vol. I, Milano 1844: tav. A, Carta Idrografica del Po

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non era vincolante per l’esercizio del mestiere. Appariva piuttosto una via di mezzo tra un’accademia scientifica e un club131, dove i soci potevano incontrarsi per conversare e discutere i temi “più importanti e di maggiore interesse attinenti all’esercizio della professione”132. Ma quali fossero i temi “di maggior interesse” non era detto esplicitamente. Su questo punto, an-che per tener conto delle profonde differenze di orientamento fra gli stessi ingegneri e fra questi e gli architetti, lo Statuto approvato il 9 febbraio 1868 era rimasto sul vago: “Il suo intento è di contribuire al progresso scientifico e pratico di tutto ciò che si riferisce alle varie professioni dell’ingegnere e dell’architetto” (art. I). Tuttavia due successivi articoli, il terzo e il quar-to, avevano avuto cura di precisare almeno il senso di queste discussioni, sottolineando le finalità di servizio di un organismo chiamato a esprimere pareri tecnici da una pluralità di soggetti terzi (“dalle Autorità politiche, giudiziarie ed amministrative, dai Corpi morali o da un privato qualun-que”)133. Sono indicazioni che ci aiutano a comprendere lungo quali linee si muovessero gli interessi del Collegio e di riflesso quale fossero i settori di maggiore interesse per la stessa biblioteca, anche se questa, come già detto, tendeva a crescere senza un preordinato orientamento.

Nell’evidente desiderio di riannodare i fili di una tradizione idealmen-te mai del tutto interrotta, l’attività di consulenza tecnica veniva riportata all’uso del “Collegio antico” di rispondere “ai quesiti formulati dai Soci, dai Privati, o dalle Autorità” e di farlo “con ogni garanzia di competenza e di imparzialità”134. In realtà anche in questo caso la continuità con il passato era più apparente che reale. Rispetto al suo antecedente, il nuovo Collegio aveva perso potere e prestigio. I suoi pareri non avevano valore giurispru-

Giuseppe Cadolini, L’architettura pratica dei mulini trattata con metodi semplici ed elementari desunti dal Neumann e dall’Eytelwein, libro I, Milano 1835: copertina

Giuseppe Cadolini, Prontuario per l’ingegnere e pel meccanico o raccolta di tavole numeriche ed esposizione sinottica di dati e risultamenti positivi necessarj alla risoluzione dei principali problemi dell’ingegneria e della meccanica, vol. I, Milano 1843: frontespizio; tav. I, Sistema metrico comparato coll’antico di Milano

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denziale, come un tempo avveniva per gli Stilati. Tuttavia l’autorevolezza del consesso non pareva averne risentito.

Persa la funzione giudiziaria e regolatrice propria di un organismo corporativo, il Collegio aveva trovato una nuova legittimità divenendo un interlocutore prezioso per la vita pubblica. Non vi era questione di rilievo della realtà cittadina sulla quale il Collegio non intervenisse. Spesso solle-citato a farlo dalle “Autorità pubbliche” bisognose di un supporto tecnico che non potevano trovare al proprio interno. Era questa dimensione pub-blica del Collegio, il suo essere al tempo stesso parte e referente della pub-blica opinione, la prova di quanto fosse lontana la tradizione corporativa alla quale, invece, piaceva sempre richiamarsi.

Nel periodo precedente l’Unità, quando a Milano, e in Lombardia, non esisteva una rappresentanza organizzata degli ingegneri e a svolgere un’azione di supporto analoga a quella ora assegnata al Collegio era stato l’Istituto lombardo di scienze e lettere, chiamato del governo a esprimersi su un vario fronte di questioni tecniche. Per molti versi l’azione del Colle-gio richiamava quelle dell’Istituto, assai più che non quelle del “Collegio antico”: adunanze periodiche, pubblicazione degli atti, formazione di com-missioni referenti su singole questioni, ammissione di soci corrispondenti, stretti legami con associazioni similari. Anche l’ispirazione a rispondere alle sollecitazioni della società in cui si operava era la stessa. Al centro delle discussioni e delle prese di posizione del Collegio non erano le questioni interne alla professione né quelle di natura sindacale, e neppure quelle propriamente tecnico-scientifiche. Certo non mancavano né le une né le altre. Tuttavia a dare corpo all’attività del Collegio furono soprattutto gli in-

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terventi su questioni di interesse più generale. Questioni sulle quali il corpo tecnico rivendicava il diritto dovere di intervenire. Scorrendo gli “Atti” del Collegio milanesi, si ha davvero l’impressione di un organismo di “caratte-re più pratico che scientifico”. Che al centro del dibattito e dello scontro politico vi fossero il riassetto dei trasporti e l’apertura di valichi ferroviari, la necessità di regolare lo sviluppo edilizio mediante un piano regolatore, questioni sanitarie o regolamenti di “polizia urbana”, sempre il Collegio di Milano interveniva facendo sentire la sua voce, direttamente o attraverso la presenza capillare di suoi esponenti nelle nervature della vita cittadina.

Fra i temi discussi dal Collegio, dei quali si trova traccia tanto negli “Atti” quanto nei materiali della biblioteca, si segnalano diverse relazioni sulla questione della Fossa interna135, gli interventi e le discussioni attorno al primo piano regolatore cittadino, il cosiddetto piano Beruto136, le mol-te relazioni tecniche sulla questione del rifornimento idrico della città137 e della creazione di una moderna rete fognaria138, temi di punta dell’allora nascente ingegneria sanitaria, chiamata a fronteggiare i problemi posti dal-la crescita urbana, a Milano come in tante altre città italiane139. E ancora, in un sommario elenco di questioni: stazioni e trasporti pubblici, edilizia popolare (la biblioteca possiede rari opuscoli sulle prime case popolari), scuole e servizi pubblici. Sembra quasi di scorrere l’indice di quel volume straordinario per la storia del Collegio e più in generale della cultura po-litecnica che fu e rimane Milano tecnica, pubblicato da Hoepli nel 1884. Vero annuncio di un’età nuova.

Erano i tempi a sollecitare il protagonismo dei tecnici, come hanno convincentemente mostrato numerose ricerche. Non a caso, nonostante l’evidente sproporzione di mezzi e conoscenze tra i collegi delle diverse città, gli argomenti di discussione erano ovunque gli stessi.

A Brescia in una delle prime riunioni della Società degli ingegneri venne discusso il problema della manutenzione delle strade comunali, particolarmente delicato per un territorio in larga parte montuoso140. A Milano la questione della manutenzione delle strade era stata più volte affrontata dall’Istituto di scienze e lettere, che nel 1856 aveva bandito anche un concorso a premi. Il tema sarebbe stato poi ripreso dal Colle-gio degli ingegneri, che nel 1868 ebbe modo di discutere di un nuovo regolamento sulla manutenzione delle strade comunali141. Dalle strade ai trasporti: uno degli argomenti più dibattuti erano naturalmente le que-stioni ferroviarie. A tenere banco a Pavia, nel primo anno di attività del Collegio, furono temi quali la migliore ubicazione della stazione cittadina, il tracciato della Pavia-Milano e soprattutto la questione dei valichi ferro-viari attraverso le Alpi svizzere142, sulla quale si confrontavano posizioni e interessi diversi, come si sarebbe visto anche dalle serrate discussioni sulla stampa cittadina e in seno al consesso milanese. Su questi temi la biblioteca del Collegio offre una campionatura di grande interesse per la quale si rimanda alla voce dell’Atlante. Qui basti dire che, accanto ai più importanti trattati pubblicati Oltralpe e alle discussioni attorno ai grandi temi, vi si possono trovare rari opuscoli dedicati a linee secondarie o

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addirittura mai realizzate, ma non per questo meno interessanti per una storia della ingegneria ferroviaria.

Una lettura sinottica della stampa tecnica, particolarmente vivace e autorevole in Lombardia, degli atti dei consigli comunali e provinciali e dei bollettini delle società e collegi degli ingegneri farebbe certamente emergere una sorprendente circolarità di temi e di protagonisti, una linfa sotterranea che, come aveva intuito per primo Carlo Cattaneo, si sarebbe rivelata preziosa nel sostenere lo sforzo di adeguare le basi materiali della prosperità lombarda alle sfide dei tempi e della tecnica.

Se si scorrono i fascicoli degli atti del Collegio e in parallelo si guar-

Giovanni Donegani, Guida allo Stelvio, ossia Notizie sulla nuova strada da Bormio all’incontro colla postale di Mals: con alcuni cenni sul rilevamento dei progetti di strade montane e sulla esecuzione pratica delle gallerie perforanti, Milano 1842: dedica all’arciduca Ranieri; Corografia. Profilo ed edificj principali della Strada militare e commerciale dello Stelvio

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dano i verbali del consiglio comunale di Milano si rileva la singolare coincidenza delle rispettive agende. Le grandi questioni di politica urbana al centro dei dibattiti all’interno del Municipio e sui giornali erano puntualmente riprese e ana-lizzate. Di più. Il Collegio incalzava, sollecitava, pretendeva di orientare le scelte delle giunte, offrendosi come autorevole referente tecnico. Non mancavano frizioni e contrasti (i progetti di edificazione della vecchia piazza d’armi attorno al Castello e l’adozione di regolamenti edilizi ne sono due esempi), ma sempre con l’intenzione di dare voce e rappresentanza alla cultura tec-nica sul palcoscenico della città. Ristrutturazione dell’antico tessuto edilizio cittadino, approvazio-ne di un piano regolatore in grado di coordinare la crescita dei nuovi quartieri, sistemazione del-la rete idrica e fognaria, riordino delle stazioni e del servizio ferroviario, questione energetica legata alla fondazione dell’Azienda elettrica municipale, edilizia popolare: sono alcuni dei maggiori temi in discussione a Milano tra 1880 e 1910 circa, e su questi il Collegio non manca

di iniziativa, come attesta la ricchezza degli interventi e la intensità dei dibattiti registrati negli “Atti”.

La multiforme attività dei collegi riflette, come si è visto, le novità che investivano una professione alla quale l’unificazione nazionale aveva offerto ampio campo di esercizio nel settore delle opere pubbliche, mentre in parallelo la graduale trasformazione dell’economia sollecitava la forma-zione di nuove competenze tecniche. Una duplice e convergente spinta che non poteva mancare di agire sulla cultura, il modo di operare, le aspi-razioni di una figura professionale, l’ingegnere, considerata attore decisi-vo del processo di modernizzazione in un’area, il Nord Italia, impegnato nell’Ottocento a ridurre il divario con i più avanzati paesi d’Oltralpe. Mi è già capitato di denunciare l’eccessiva linearità di una simile prospettiva rispetto alla ricchezza e alla tortuosità dei processi reali143. Debbo ora ag-giungere che anche osservata attraverso la lente del Collegio degli inge-gneri e della sua biblioteca la visione dell’ingegnere come demiurgo della modernità appare troppo unilaterale. Forse, più semplicemente, richiede qualche puntualizzazione.

Osservando la composizione del Collegio milanese nel secondo Ot-tocento, appare dominante la presenza degli ingegneri civili rispetto a quella dei loro colleghi industriali, quantomeno per assiduità e impegno negli organismi associativi. Maria Malatesta ritiene che a quest’epoca la professione fosse segnata “dal predominio di un’ingegneria civile stretta-mente legata ai problemi agronomici e idraulici”. Una connotazione che

Elia Lombardini, Dell’origine e del progresso della scienza idraulica nel milanese e in altre parti d’Italia. Osservazioni storico-critiche concernenti principalmente i lavori di Leonardo da Vinci, di Benedetto Castelli e di Gian Domenico Guglielmini, Milano 1872: copertina

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non mancava di influenzare l’attività del Collegio. Indicative, in tal senso, le prese di posizione in favore della grande proprietà e il rigetto delle ragioni degli affittuari “improntate a un logica di imprenditorialità pura”144 in ma-teria di contratti agrari.

Più che discutere la validità di un giudizio forse eccessivo nel rela-tivizzare la vocazione modernizzante dell’ingegnere lombardo, interessa sottolineare come le scelte del Collegio rivelassero il persistente legame della professione con le proprie origini rurali. Una continuità apertamente rivendicata, pur nella consapevolezza della necessità di aprirsi a nuovi am-biti, da autorevoli rappresentanti degli stessi ingegneri145.

Alle soglie di quello straordinario avvenimento che per la storia dell’in-gegneria e dell’industria italiana fu, nel 1883, l’attivazione di una piccola centrale elettrica nel centro di Milano, Luigi Tatti, riandando al cammino percorso dalla sua generazione (Tatti si era laureato a Pavia nel 1829), ricor-dava come in Lombardia la professione dell’ingegnere fosse sempre stata

una professione, a così dire, domestica destinata a regolare i rapporti della nostra azienda agronomica tra proprietarj ed affittuarj, la misura e la distribuzione delle acque per l’irrigazione giusta i sistemi locali e le operazioni elementari della geodesia richieste dalla formazione del Catasto Censuario e dalle private transazioni di stime e divisioni.

Gradualmente, su questa matrice si erano venuti innestando nuovi fi-loni, “neppure intraveduti dai nostri avi”. Filoni che si erano sviluppati sen-za particolari frizioni con la matrice tradizionale e senza snaturare una pro-fessione che fondamentalmente era rimasta la stessa. Agli occhi di Tatti la scienza dell’ingegnere, nei suoi sviluppi recenti, era giunta ad abbracciare

nel più lato senso il sistema stradale sì ordinario che ferroviario, la di-fesa dei fiumi e delle spiaggie marine, i porti, la condotta delle acque per la navigazione, la irrigazione e le fontane zampillanti, l’applicazio-ne delle forze naturali e del vapore ai motori dell’industria, la geode-sia nel più lato suo significato [...], le costruzioni tutte richieste dalle svariate e crescenti necessità sociali146.

È singolare come anche da parte di un uomo che aveva speso larga parte della propria attività professionale occupandosi di ferrovie, all’indu-stria e ai nuovi campi dell’ingegneria meccanica fosse riservato solo un fuggevole accenno, del tutto inadeguato a dar conto dei processi in atto. Si ha davvero l’impressione che Tatti non riuscisse a intendere fino in fondo la portata delle novità che gli stavano di fronte.

Si può pensare, come è stato fatto, che queste posizioni riflettessero la volontà di difendere gli attributi tradizionali di una professione che si era mostrata capace di inglobare nel suo impianto le tensioni modernizzanti che le giungevano dall’esterno senza mettere in discussione il suo profilo originario. Io credo però sarebbe fare torto a Tatti, il quale già molti anni

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prima, nel 1849, aveva caldeggiato il superamento di quel modello di inge-gnere, auspicando una radicale riforma dei programmi di studio, senza la quale si correva il rischio di formare “un professionista ibrido e superficiale in ogni parte”147. Parole che mostrano una piena consapevolezza, condivi-sa anche da uomini come Giuseppe Cadolini e dallo stesso “direttore degli studi filosofici e matematici” dell’ateneo pavese, Pietro Configliachi148, che nell’età del vapore e delle ferrovie il vecchio ingegnere civile non era più in grado di coprire tutta la gamma di competenze richieste dal mercato. Da qui le sollecitazioni a ripensare le modalità di una formazione che aveva bisogno di aprirsi a nuovi settori di studio e di intervento. Ciò che come detto era effettivamente avvenuto con la creazione del Politecnico e la dif-ferenziazione dei diplomi di ingegnere civile, industriale, elettrotecnico e dal 1865 di architetto civile.

Rimane tuttavia il fatto che, a differenza di quanto era accaduto in altri paesi, in Italia e a Milano, ancora a fine Ottocento, a fronte della divarica-zione della professione tra gli ingegneri “di vecchio stampo” e i loro col-leghi usciti dalle sezioni industriali del Politecnico, la rappresentanza della categoria era unica, il Collegio, e al suo interno l’egemonia della compo-nente civile era perdurante.

La tenuta di un modello associativo che non dava adeguata rap-presentanza alle nuove frontiere della professione appare una conferma dell’arretratezza di un paese che, al di fuori del triangolo industriale, non era in grado di offrire al mercato delle competenze alternative ai tradizio-nali sbocchi lavorativi nel campo dell’ingegneria civile, e in particolar nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici. Ma questo non valeva certamente per Milano, che del triangolo era il vertice più dinamico. Qui semmai era vero il contrario.

Come rilevavano gli stessi esponenti del Collegio:

Il campo offerto all’Ingegnere fu da noi sempre assai vasto. L’agri-coltura, l’amministrazione, le costruzioni stradali, architettoniche, ed idrauliche, ebbero in Lombardia numerosa falange di cultori. In questi ultimi anni si aggiunsero le industrie in ognuna delle quali per poco che sia importante troviamo un collega, o come direttore o come con-sulente; ed ora altre industrie, le elettriche, si vanno creando per la quali sempre più si richiedono sicure nozioni scientifiche149.

Il fatto che anche gli equilibri all’interno del Collegio milanesi riflettes-sero un’immagine della professione segnata dal predominio della compo-nente civile, dimostra, a mio avviso, che ad essere arretrate probabilmente erano le modalità di rappresentanza della categoria. Il panorama degli in-gegneri milanesi, almeno dall’inizio degli anni ottanta, era infatti assai più ricco, variegato e dinamico di quanto non risulti dalla composizione, e dalle attività del Collegio. Se questo non aveva determinato conflitti con il vertice istituzionale della professione, il Collegio, dipendeva dal fatto che i settori nuovi avevano trovato altri e diversi punti di riferimento. La natura ibrida

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del Collegio, né sindacato né corporazione era in fondo la ragione della sua capacità di dialogo con diverse componenti del variegato mondo degli ingegneri.

Negli anni del primo Novecento Milano fu capace, come in poche altre occasioni le sarebbe riuscito, di coinvolgere un arco ampio di forze e di idealità in un progetto di modernizzazione e di riforme. Aggiungerei che l’operazione ebbe successo anche per la presenza nel Consiglio comunale di rappresentanti della migliore cultura tecnica cittadina, di ingegneri come Giuseppe Ponzio e Cesare Saldini, docenti al Politecnico, Achille Manfre-dini, direttore del “Monitore tecnico”, architetti come Luca Beltrami, im-prenditori come Edoardo Amman, Luigi Vittorio Bertarelli, Ettore Candiani, Ettore Conti, Alberto Riva, economisti come Ulisse Gobbi, medici come Paolo Pini e Angelo Filippetti, futuro sindaco socialista della città. Al di là delle rispettive appartenenze politiche, si trattava di uomini che parlavano uno stesso linguaggio ed erano uniti da una comunanza di intenti e da non comuni capacità realizzative. Un insieme di competenze e di progettualità al servizio della politica che poche città potevano vantare.

Rispetto a questa realtà vibratile, il Collegio appare come un organi-smo autorevole ma un po’ ingessato, espressione effettiva di una compo-nente forse ancora maggioritaria nei numeri, ma certamente meno dinami-ca di quella che aveva il suo mentore in Giuseppe Colombo, straordinaria personalità di ingegnere-imprenditore, nonché entusiasta scopritore di talenti imprenditoriali150.

Bento Fortunato de Moura Coutinho de Almeida d’Eça, Memoria ácerca das irrigações na França, Italia, Belgica e Hespanha, Lisboa 1866: dedica dell’autore e copertina

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Solo nel primo dopoguerra, quando il Collegio lascerà cadere il suo ostinato rifiuto di assumere funzioni di tipo sindacale per la tutela degli in-teressi della categoria, uscirà dall’immobilismo al quale si era progressiva-mente condannato. Ma la sua stagione volgeva ormai al termine. Sarebbe stato travolto dal crollo dello Stato liberale. Il 1923 fu un anno memorabile per le sorti degli ingegneri e architetti italiani: in pochi mesi, a prezzo della rinuncia alla libertà di associazione, gli ingegneri ottennero dal nuovo re-gime due provvedimenti a lungo attesi a protezione dei loro interessi: la riforma Gentile, che rafforzò le prerogative dei laureati e chiuse l’osmosi tra istruzione tecnica e università, e la creazione dell’Ordine e l’introduzione, due anni più tardi in sede di regolamento attuativo, dell’esame di Stato, unica via per essere iscritti all’albo e poter esercitare la professione.

1 Carlo Barzanò, ingegnere industriale, dopo la laurea nel 1871 era stato per breve tempo insegnante di Teoria delle macchine all’Istituto tecnico superiore, per poi dedicarsi alla libera professione (Notizie riguardanti gli allievi del R. Istituto tecnico superiore di Milano laureati dall’anno 1865 all’anno 1888, in R. Istituto tec-nico superiore di Milano. Nel venticinquesimo anniversario della sua fondazione, Milano, Ti-pografia Bernardoni, 1889). Redattore per la parte meccanica del periodico “L’industria” (Bibliografia dei periodici economici lombardi 1815-1914, a cura di F. Della Peruta e E. Can-tarella, vol. I, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 646 sgg.), era stato uno dei fondatori della So-cietà chimica italiana. Alla sua morte nel 1915, la sua ricca biblioteca, composta di 3875 ope-re, era stata donata al Collegio, vedi “Atti del Collegio degli ingegneri ed architetti di Mila-no” (d’ora in poi citati come “Aciam”),1916, pp. 106-112. Per più puntuali notizie sul lasci-to, si rimanda al saggio di Maria Canella.2 M. Casalini, Le istituzioni culturali di Milano, Milano, Arti grafiche Bertarelli, 1937.3 M.L. Gatti Perrer, Francesco Bernardino Fer-rari architetto e ingegnere idraulico, in “Atti del Collegio degli ingegneri di Milano”, n. 5-6, maggio-giugno 1964, pp. 134-139.4 Per un quadro analitico delle fonti per la sto-ria della professione di ingegnere si veda Le carte del Venerando Collegio degli ingegneri e architetti di Milano. Inventari e ricognizioni d’archivio, a cura di G. Albergoni e C. Canesi, in “Storia in Lombardia”, XXVI (2006), n. 1.5 Sulla riforma delle professioni e la creazioni degli ordini vedi F. Tacchi, L’ingegnere, il tec-nico della “nuova” società fascista, in Libere professioni e fascismo, a cura di G. Turi, Mi-lano, Franco Angeli, 1994, pp. 177-196. Vedi

anche M. Soresina, Professioni e liberi pro-fessionisti in Italia dall’Unità alla Repubblica, Firenze, Le Monnier, 2003.6 Sulla storia del Collegio sono da tenere pre-senti i contributi “istituzionali” di P. Mezza-notte, Cronache e vicende del Collegio degli ingegneri di Milano, Milano, “Atti del Collegio degli ingegneri”, 1960 e di E. Bregani, Vita del Collegio degli ingegneri e architetti di Mi-lano dal 1563 al 1926, Milano, Telesma, 2010, oltre a G. Liva, Il Collegio degli ingegneri e agrimensori di Milano, ora in Il Collegio degli ingegneri e architetti di Milano. Gli archivi e la storia, a cura di G. Bigatti e M. Canella, Mila-no, Franco Angeli, 2008, pp. 9-26.7 Nel 1869, la “Relazione annuale del comitato del Collegio” segnalava per esempio che si era dato corso all’abbonamento all’“Engine-ering” di Londra, da cui si potevano ricavare “molte di quelle nozioni sull’arte di costruire, e sui lavori degli ingegneri all’estero, che più ci possono essere utili”, “Aciam”, 1869, p. 19.8 U. Monneret de Villard, Biblioteca del Col-legio degli ingegneri ed architetti di Milano, in Le biblioteche milanesi. Manuale ad uso degli studiosi [...], pubblicato a cura del Cir-colo filologico milanese per commemorare il 40° anno dalla sua fondazione, Milano, Cogliati, 1914, p. 204. Sulla figura dell’inge-gnere Monneret (1881-1954) si rimanda alla voce di S. Armando nel Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2011.9 Ibidem, cit. anche in M. Casalini, Le istituzio-ni culturali milanesi, cit., p. 185.10 La letteratura grigia comprende un “genere di pubblicazioni individuato dal tipo di edizio-ne a distribuzione limitata o particolare; [...] È finalizzata ad attività di studio, istituzionali o

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produttive e contiene documentazione spes-so di rilevante interesse informativo. Com-prende relazioni scientifiche, tecniche, ecc.”, Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Nuo-vo soggettario, Milano, Bibliografica, 2006.11 “Aciam”, 1869, p. 18.12 In Milano tecnica (1884) si fa riferimento all’opera di catalogazione della biblioteca da parte dell’ingegner Andrea Pirovano Vi-sconti (come segnalato da P. Gallo, “Milano tecnica”: un libro per un progetto di città, in Milano 1848-1898. Ascesa e trasformazione della capitale morale, a cura di R. Pavoni e C. Mozzarelli, Venezia, Marsilio-Museo Bagatti-Valsecchi, 2000, I vol., p. 95). Ma per la prima stampa del catalogo della biblioteca bisogne-rà attendere il 1904 (Collegio degli ingegneri ed architetti in Milano, Catalogo dei libri, Milano, Tipografia degli ingegneri, 1904), mentre diversi aggiornamenti compariranno in seguito negli “Atti” del Collegio. Su questi aspetti rimando al saggio di Maria Canella in questo volume.13 Tale numero è relativo alle unità bibliografi-che fisiche e non tiene conto se monografia o periodico; naturalmente il numero dei titoli è inferiore a quello dei volumi.14 Dopo alterne fortune, grazie alla passione e alla tenacia dell’ingegner Edoardo Bregani e alla generosità della famiglia Finzi, dal 1994 i libri del Collegio hanno finalmente trova-to una idonea collocazione nella sede della Fondazione Isec a Sesto San Giovanni. Tutti i volumi sono stati catalogati e sono consul-tabili nell’opac regionale e anche dal portale del Collegio degli ingegneri ed architetti di Milano. 15 La grande prevalenza delle opere di inge-gneria su quelle di architettura era stata da sempre una caratteristica della biblioteca, che rifletteva, com’era inevitabile, la natura e le caratteristiche della professione dell’ingegne-re architetto in Lombardia (sulla separazione delle due professioni vedi infra nota 10). Nel 1914 Monneret de Villard (Biblioteca, cit., p. 204) segnalava che “nell’acquisto dei libri si è sempre data una speciale preferenza a quelli riferentisi ai vari rami dell’ingegneria, a gran-de svantaggio delle opere di architettura, sì che in questa Biblioteca esse sono poche e di poco valore”. 16 In morte del commendatore senatore ing. Elia Lombardini. Parole pronunciate sulla sua tomba il 21 dicembre 1878, Milano, Tipogra-fia degli ingegneri, 1878.17 L. Tatti, Elia Lombardini, commemorazione letta nella solenne adunanza del R. Istituto Lombardo, in “Politecnico - Giornale dell’in-gegnere ed architetto”, XXVII (1879), pp. 655-674.

18 Relazione della Commissione per il le-gato Lombardini (arch. Luigi Broggi rel.), in “Aciam”, XII (1879), pp. 27-28.19 Bartolomeo Saldini (1812-91), che aveva iniziato a lavorare come calcografo, aveva in seguito avviato una tipo-litografia a Milano e dal 1853, quando aveva fondato il “Giornale dell’ingegnere architetto e agronomo”, era stato “il centro fra noi del movimento intel-lettuale tecnico”, E. Bignami Sormani, Com-memorazione. Bartolomeo Saldini, in “Il Po-litecnico – Giornale dell’ingegnere architetto civile e industriale”, XIV (1892), fasc. 2, p. 125.20 Relazione della Commissione per il legato Lombardini, cit., p. 28. 21 Bibliografia del senatore Lombardini ing. Elia, con cenni biografici, Como, Tipografia di A. Vismara, 1893, p. 5.22 Elia Lombardini era figlio di Giuliano e Teodo-ra Viette (a volte indicato come Vietti), Archivio di Stato di Milano, Successioni Milano, c. 184.23 Secondo Tatti, il padre “rimpatriò colle schiere di Massena dopo la battaglia di Ma-rengo”, ma la notizia non è chiara, essendo Massena in Italia impegnato nella difesa di Genova ben prima della decisiva battaglia di Marengo.24 Oltre a Elia, la coppia ebbe un altro figlio, Paolo, avviato alla carriera ecclesiastica (sarà arciprete a Calcio), e una figlia, Cristina.25 Come ricorda lo stesso Lombardini negli Studi idrologici e storici sopra il grande estua-rio adriatico, i fiumi che vi confluiscono e prin-cipalmente gli ultimi tronchi del Po susseguiti da considerazioni intorno ai progetti per la regolazione delle acque alla destra di questi, Milano, Tipografia e litografia degli ingegneri, 1868, p. 102. Filippo Re (1763-1817), uno dei più noti e apprezzati botanici e agronomi del suo tempo, diede un importante contributo alla conoscenza dell’agricoltura nell’Italia na-poleonica promuovendo un’inchiesta di cui pubblicò i risultati nei ventidue volumi degli “Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia” (1809-14) da lui stesso diretti.26 Giuseppe Venturoli (Bologna, 1768-1846) idraulico. Dopo la laurea in filosofia, si diede agli studi scientifici e nel 1795 iniziò l’insegna-mento delle matematiche all’università di Bo-logna. Nel 1806-07 pubblicò i due volumi de-gli Elementi di meccanica e idraulica (presenti nella biblioteca di Lombardini, nell’edizione rivista e aggiornata, Milano, dalla Stamperia di Paolo Emilio Giusti, 1817-18), più volte ri-stampati con aggiunte e schiarimenti e tradot-ti anche in inglese (Cambridge, J. Nicholson & Son, 1822). 27 In morte del commendatore senatore ing. Elia Lombardini. Parole pronunciate [dall’ing. Paolo Gallizia] sulla sua tomba il 21 dicembre

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1878, Milano, Tipografia e litografia degli in-gegneri, 1878, p. IV. 28 Problemi d’acque a Bologna in età moder-na, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1983, e in particolare il saggio di A. Giaco-melli, Le aree chiave della bonifica bolognese, pp. 123-173.29 Più volte ristampata e ampliata, la Raccol-ta, pubblicata in prima edizione a Firenze nel 1722, presentava i testi fondamentali della Scuola idraulica italiana. Si veda in questo volume il contributo di Mario Di Fidio. Lom-bardini possedeva l’edizione in sette volumi pubblicata a Bologna dalla tipografia di Jaco-po Marsigli tra il 1823 e il 1845.30 Nel 1817 Venturoli fu chiamato a Roma a presiedere il Consiglio idraulico e dirigere la Scuola degli ingegneri (V. Di Gioia, Dalla Scuola d’ingegneria alla Facoltà d’ingegneria di Roma, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 13-16).31 L. Tatti, Elia Lombardini, cit., p. 656.32 Il “consorzio degli argini” aveva ereditato le funzioni che erano state anticamente della Camera degli argini e dugali e nel 1786 era-no confluite nell’amministrazione civica “che vi provvide attraverso la Società degli argini o degli arginisti, finché da quest’ultima non scaturì, nel 1856, il Comprensorio dell’argine maestro cremonese al fiume Po” (V. Ferrari, F. Leandri, C.R. Milesi, Gli argini del Po, Cremo-na, Provincia di Cremona, 2008, p. 21). Si ve-dano anche i contributi di E. Lombardini, Dei progetti intesi a provvedere alla deficenza di acque irrigue nel Cremonese, in “Atti dell’Isti-tuto Lombardo di scienze e lettere”, 1858, e La comunità di Cremona., il Naviglio civico, ed i progetti di nuovi canali irrigui di quella provincia, in “Giornale dell’ingegnere-archi-tetto civile e meccanico”, XVI (1868), novem-bre, pp. 712-722.33 L. Tatti, Elia Lombardini, cit., p. 656. 34 E. Lombardini, Della condizione idraulica della pianura subapennina fra l’Enza ed il Panaro, Milano, Tipografia e litografia degli ingegneri, 1865.35 Nel suo dicorso commemorativo Tatti fa cenno a una autobiografia lasciata mano-scritta a cui Lombardini aveva lavorato negli ultimi anni della sua vita, in cui “si diffonde a narrare i primordi della sua carriera e sfoga coll’acrimonia propria dell’età senile certi suoi piccoli rancori personali contro quelli già suoi commilitoni che ne contrastarono il meritato avanzamento”, p. 573. Del documento pur-troppo non resta traccia.36 Ivi, p. 3.37 Si rimanda per questi aspetti a un volume in corso di stampa Quando l’Europa ci invidiava (XVIII-XIX secolo). Viaggiatori, scienziati, agro-

nomi alla scoperta della Bassa Lombardia, a cura di G. Bigatti e F. Cattaneo, che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno tenutosi a Lodi nel 2011.38 A. Cantalupi, Nozioni pratiche intorno alle consegne, riconsegne e bilanci dei beni sta-bili, Milano 1847. Sulla figura dell’ing. Canta-lupi rimando a G. Bigatti, La matrice di una nuova cultura tecnica. Storie di ingegneri, (1750-1848), in Amministrazione, formazione e professione: gli ingegneri in Italia tra Sette e Ottocento, a cura di L. Blanco, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 81-85.39 A. Capra, La nuova architettura civile e mi-litare, tomo I, Cremona, nella Stamperia di Pietro Ricchini, 1717.40 G.A. Galosio, La perizia e l’agrimensura, Cremona, appresso Francesco Gaetano Fer-rari, 1786.41 G.F.A. Alberti, Trattato della misura delle fabbriche [...] nel quale si espone la misura delle superficie di tutti i solidi e di ogni specie di volte. Con un appendice del modo di misu-rare le vasche i legnaj i fienili i granai, Firenze, nella tipografia di Luigi Pezzati, 1822 (la prima edizione era del 1757).42 F. Colombani, Manuale pratico di idrodi-namica, con un’appendice contenente il testo di alcune leggi relative alle acque. Ad uso de-gli ingegneri ed agenti di campagna, Milano, vedova di Antonio Fortunato Stella e Giaco-mo figlio, 1842.43 Vedi infra nota n. 105.44 Di Carlo Cattaneo si vedano i Saggi di eco-nomia rurale pubblicati a cura di L. Einaudi nel 1939 e più volte ristampati.45 S. Jacini, La proprietà fondiaria e le popo-lazioni agricole in Lombardia, Milano-Verona, Civelli Giuseppe e comp., 1856 (la prima edi-zione era uscita due anni prima da Borroni e Scotti); sulla composizione di questo fonda-mentale volume e le sue successive edizioni rimando a M.L. Betri, La giovinezza di Stefano Jacini. La formazione, i viaggi, la proprietà fondiaria 1826-1857, Milano, Franco Angeli, 1998.46 Così l’ingegner Giorgio Manzi nel ricordo dell’ingegner Francesco Brioschi pubblicato nel “Politecnico - Giornale dell’ingegnere architetto”, XIX (1871), p. 432. Sulla figu-ra dell’ing. Manzi si veda ora M.C. Brunati, Giorgio Manzi, ingegnere tra gli anni della restaurazione e l’unità nazionale, in Il paese dell’acqua. I Luoghi Pii Elemosinieri di Milano e le loro terre: un itinerario nel paesaggio dal medioevo ai nostri giorni, a cura di L. Aiello, M. Bascapè. S. Rebora, Como, Nodo libri, 2013, pp. 497-499.47 Su questo aspetto importante dell’attività degli ingegneri lombardi insiste M. Malatesta, I

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signori della terra, Milano, Franco Angeli, 1989.48 C. Cattaneo, Dell’agricultura inglese para-gonata alla nostra (1857), in Id., Saggi di eco-nomia rurale, cit., p. 358.49 Dava conto dei lavori di irrigazione dell’in-gegner Sarti in Portogallo una nota apparsa sugli “Annali universali di statistica” (s. II, V, 1845, fasc. 14, p. 310; Compagnie dei capita-listi per la navigazione da Lisbona alla China, e per un canale d’irrigazione in Portogallo.50 G. Sarti, La professione dell’ingegnere in Lombardia e la necrologia dell’ingegnere Ga-leazzo Krentzlin, in “Giornale dell’ingegnere, architetto ed agronomo”, X, 1862, p. 451.51 Sul processo di professionalizzazione come vettore di modernità si veda di M. Malatesta, Professionisti e gentiluomini. Storia delle pro-fessioni nell’Europa contemporanea, Torino, Einaudi, 2006.52 Il tirocinio pratico, il cui obbligo verrà a ca-dere solo dopo l’Unità con l’istituzione di una scuola di applicazione per ingegneri, a Milano il Politecnico, aveva una durata di quattro anni per gli ingegneri, di due per gli architetti, a cui in un secondo tempo si sostituirà la frequenza di un biennio presso una delle Accademie di Belle Arti, e di un solo anno per i periti agri-mensori. 53 M. Minesso, L’ingegnere dall’età napoleo-nica al fascismo, in Storia d’Italia. Annali, vol. 10: I professionisti, a cura di Maria Malatesta, Torino, Einaudi, 1996.54 A. Castellano, Il Corpo di Acque e Strade del Regno Italico: la formazione di una buro-crazia statale moderna, in La Lombardia delle riforme, Milano, Electa, 1987, pp. 45-64 e G. Bigatti, Il Corpo di acque e strade tra età na-poleonica e restaurazione, 1806-1848. Reclu-tamento, selezione e carriere degli ingegneri, in “Società e storia”, 15 (1992), n. 56, pp. 267-297. Vedi anche il più recente contribu-to di L. Blanco, Amministrazione, ingegneri e territorio nell’Italia napoleonica, in La storia e la memoria. In onore di Arnold Esch, a cura di R. Delle Donne e A. Zorzi, Firenze, Firenze University Press, 2002, pp. 171-193.55 Piano organico della Scuola di Acque e Stra-de, in Raccolta di leggi, regolamenti e disci-pline ad uso de’ magistrati e del corpo degli ingegneri d’acque e strade, Milano 1806, vol. I, pp. 267 sgg.56 Carlo Parea (Milano 1771-1834), conse-guita la laurea di ingegnere e architetto a Pavia nel 1791, venne avviato dal padre, “intraprenditore di opere di pubblica utilità”, alla professione privata, cimentandosi con la progettazione e la costruzione di importanti canali irrigui, tra cui i cavi Belgiojoso, Borro-meo, Marocco. Nel 1805, nominato idraulico del dipartimento dell’Olona, percorre rapi-

damente tutti i gradini della carriera, anche se non riuscì mai a farsi nominare direttore generale delle pubbliche costruzioni a causa di ricorrenti voci di pratiche collusive con gli appaltatori. Ciò non di meno, attesa la sua grande competenza (“la persona più di ogni altra rinomata e celebre per le sue profonde cognizioni nell’arte dell’ingegnere idraulico”, dirà di lui Giuseppe Bruschetti nel ricordo pubblicato nella “Biblioteca italiana”, vol. 75, luglio 1834, p. 156), intervenne in tutti i lavori idraulici di una certa importanza realizzati nei decenni della Restaurazione, partecipando o al progetto o alla direzione e sorveglianza dell’esecuzione delle opere, spesso chiama-to a consulenze anche fuori dalla Lombardia, ma senza mai rompere con le sue private clientele. Incaricato insieme all’ingegnere in capo del dipartimento d’Agogna Stefano Melchioni nel 1809 del progetto del ponte in pietra sul Ticino a Boffalora (Il ponte di Boffalora sul Ticino, in “Biblioteca italiana”, vol. 49, febbraio 1828, pp. 182-188), un anno dopo venne nominato direttore dei lavori del naviglio di Pavia e “i lavori tosto ne risentiro-no nuovo impulso e migliorarono” (D. Sacchi, Carlo Parea, in “Annali universali di statisti-ca”, s. I, vol. 46, fasc. 136-137, novembre 1835, p. 203).57 Filippo Ferranti, ingegnere in capo del di-partimento dell’Adda nel 1806, fu trasferito prima a Cremona nel 1814, per essere nomi-nato poi nel 1820 ingegnere aggiunto presso la Direzione di Milano, dove concluse la sua carriera con la nomina a direttore generale f.f. dal 1833 al 1836. 58 Carlo Gianella (1778-1863), dopo la laurea a Pavia nel 1797, messosi in luce nei lavori di co-struzione della strada del Sempione, nel 1806 fu nominato ingegnere capo del dipartimento del Lario, percorrendo tutti i gradi di una lun-ga e operosa carriera.59 Carlo Donegani (1775-1845), malgrado come molti della sua generazione non avesse la laurea, “si aperse la strada dei pubblici im-pieghi”, legando il suo nome alla realizzazione delle strade dello Spluga e dello Stelvio. Per la sua opera al servizio della monarchia asbur-gica fu insignito dell’Ordine della corona fer-rea nel 1833 e nominato cavaliere dell’Impero austriaco con il titolo di nobile di Stilferberg nel 1839.60 Prospero Franchini (1774-1847), “perito del-la prefettura dell’Olona” nel 1802, nominato nel 1806 ingegnere di prima classe nel dipar-timento del Lario, percorse tutti i gradini della carriera sino alla nomina nel 1839 a direttore generale delle Pubbliche costruzioni; se ne veda la commemorazione di L. Tatti in “Rivista comense. Manuale della provincia di Como

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per l’anno bisestile 1848”, Como, Ostinelli 1848, pp. 30-32.61 Giuseppe Cusi (1780-1864), ingegnere ar-chitetto, esponente della prima generazione del napoleonico Corpo di acque e strade è ricordato, oltre che per i lavori di sistemazione dell’Adda e del lago (P. Bossi, Filippo Ferranti e Giuseppe Cusi. Note sull’operato degli in-gegneri in capo del Corpo di acque e strade attivi a Sondrio negli anni del passaggio dal Regno d’Italia al Lombardo-Veneto, in La cultura architettonica nell’età della Restaura-zione, a cura di G. Ricci e G. D’Amia, Mlano, Mimesis, 2002, pp. 541-550), per la costruzio-ne del Teatro Sociale di Como.62 Le strade dello Spluga e dello Stelvio furono aperte tra il 1818 e il 1822 la prima, fra il 1820 e il 1825 la seconda. Al tempo erano le più alte carreggiabili in Europa (cfr. G. Donegani, Guida allo Stelvio ossia Notizie sulla nuova strada da Bormio all’incontro con la postale di Mals, Milano, Gugliemini e Redaelli, 1842) ed entrambe furono realizzate “con mirabile celerità ed ardimento” dall’ingegnere Carlo Donegani.63 U. Tucci, Stipendi e pensioni dei pubblici im-piegati nel regno Lombardo-Veneto dal 1824 al 1866, Roma, Archivio storico dell’unificazio-ne italiana, 1860, vol. X, fasc. IV, p. 21.64 L’Amministrazione e la direzione dei lavori pubblici in Lombardia, in “Giornale dell’inge-gnere, architetto ed agronomo”, 1858.65 L. Tatti, Proposta di un nuovo modo di siste-mazione dell’azienda d’acque e strade nel Re-gno Lombardo-Veneto, in “Annali universali di statistica”, s. II, XXIV (1850), pp. 9-44.66 Così Lombardini a Cattaneo in una lettera del 5 novembre 1859, pubblicata da G.G. La-caita, Dal “Politecnico” di Cattaneo al “Poli-tecnico” di Brioschi, “Padania”, VII (1993), n. 13, p. 88.67 L’Amministrazione e la direzione dei lavori pubblici in Lombardia, cit., p. 450.68 Si veda S. Licini, Guida ai patrimoni milanesi. Le dichiarazioni di successione ottocentesche, Soveria Mannelli, Rubbettino 1999.69 Giovan Battista Mazzeri (1786-1867), lau-reatosi nel 1805, compì il suo tirocinio pres-so l’ing. Merli; entrato nel Corpo di acque e strade, lo abbandonò nel 1818 per dedicarsi esclusivamente alla numerosa “privata clien-tela”, cfr. la Biografia a firma dell’ing. G. Man-zi in “Giornale dell’ingegnere architetto ed agronomo”, XV (1867), pp. 443-448. Schivo al punto di firmare con le sole iniziali le sue rinomate Tavole pei calcoli d’interesse com-posto discreto ossia di merito doppio e per gli sconti doppj e di lasciare manoscritto “lo stupendo corso preparatorio agli esami di libera pratica”, Mazzeri, a detta di Giovanni

Codazza, “collega ed amico del Bordoni, del Piola, del Belli, precorreva [...] ai suoi tempi, iniziando quella larga ed efficace alleanza fra la teoria e le pratica che rappresenta oggidì il vero carattere della professione, lo spirito a cui si informa l’educazione ad essa”, cfr. “La Perseveranza”, 22 luglio 1867. 70 Da non confondere con il più famoso nipo-te, vedi supra nota 46.71 Su Achille Cavallini (1812-81) cfr. V. Ravizza, Commemorazione dell’ing. Achille Cavallini, in “Aciam”, XIV (1881), gennaio-aprile, pp. 44-47.72 Giuseppe Bruschetti (1793-1871) ingegne-re, noto per i suoi studi di idraulica (Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione in-terna del Milanese, Milano 1821 e Storia dei progetti e delle opere per l’irrigazione del Milanese, Lugano 1834), nei primi anni venti fu uno degli animatori della Società anonima per la navigazione interna dell’Alta Italia, a cui venne assegnata la concessione della prece-dente società fondata da Porro Lambertenghi e Confalonieri, proprietaria dell’Eridano, il pri-mo battello a vapore in esercizio sulle acque lombarde. Malgrado l’interessamento di una della maggiori case bancarie milanesi, la Ga-vazzi Quinterio, la società si rivelò un cattivo affare. Nel 1837, in società con Zanino Volta, figlio di Alessandro, Bruschetti ottenne l’au-torizzazione a realizzare una strada ferrata tra Milano e Como, ma anche in questo caso l’ini-ziativa non ebbe fortuna e i progettisti furono costretti a passare ad altri la concessione. So-spettato di idee liberali, dopo il 1848 si rifugiò in Piemonte, dove gli fu dato il grado di capi-tano del Genio. Commissario straordinario ai lavori marittimi in Sardegna, nel 1855 fu eletto al Parlamento subalpino nel collegio di Sassari (A. Bruschetti, L’Ing. Capitano Giuseppe Bru-schetti, in “Verbania” III, n. 7, 1911).73 Su Giuseppe Agudio rimando alla mia sche-da in Il tesoro dei poveri. Il patrimonio arti-stico delle Istituzioni pubbliche di assistenza (ex ECA) di Milano, a cura di M. Bascapè, P. Galimberti, S. Rebora, Cinisello Balsamo, Sil-vana, 2001.74 Galeazzo Krentzlin (Milano, 1785-1862), di nobile famiglia originaria del cantone di Zug nella Svizzera tedesca, nel 1808 entrò come ingegnere aspirante nel Corpo di acque e strade, all’interno del quale fece una lunga carriera, culminata nel 1840 nella nomina ad “aggiunto alle acque”. Tipico rappresentante di ingegnere funzionario, abbinava alla com-petenza tecnica quella amministrativa, qualità che mise a frutto nella compilazione dei bilan-ci della Direzione delle pubbliche costruzioni. Nel corso degli anni venti fu impegnato nella redazione dei prospetti statistici “di corredo

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della carta corografica stradale della Lombar-dia” (Notizie statistiche o sia tavole suppletto-rie alla carta stradale delle provincie comprese nel governo di Milano, Milano, I.R. Stamperia, 1833) e nell’organizzazione di una statistica generale dei fiumi, laghi e canali (Notizie sta-tistiche intorno ai fiumi, laghi e canali naviga-bili delle provincie comprese nel governo di Milano, Milano, I.R. Stamperia, 1833) (cfr. G. Sarti, La professione dell’ingegnere in Lom-bardia, cit.).75 Giovanni Pirovano (1806-72), nato “da civile ed onesta famiglia”, dopo “gli studi teoretici” all’università di Pavia, nel 1828 fece il suo in-gresso negli uffici della Direzione delle pubbli-che costruzioni come ingegnere allievo. Sotto la guida dell’ingegnere Giacomo Fumagalli “s’avvezzò di buon ora alla soluzione di ogni più intricata questione sia tecnica, sia ammi-nistrativa”, progredendo nella carriera sino a divenire nel 1855 aggiunto generale per le ac-que in Lombardia. “Autore di molteplici sva-riati lavori e di radicali miglioramenti dei nostri fiumi e canali, educato ai sodi principj della idraulica italiana, ne propugnò continuamen-te l’adozione di fronte anche alla prepotente influenza di superiori straniere indiscutibili autorità, continuando nella più modesta sfera di Ispettore dei nostri canali le tradizioni e gli esempj degli antichi Ingegneri camerali, non ultimo dei pregi e delle fortune del nostro pa-ese”; dopo l’Unità come ispettore del Genio civile fu chiamato a collaborare alla definizione della prima legge organica sui lavori pubblici per la parte relativa alle acque e a sovrinten-dere come commissario regio alla costruzione delle ferrovie Milano-Piacenza, Rho-Gallarate e Treviglio-Cremona. Le citazioni sono riprese dalla commemorazione in “Aciam”, V (1872), fasc. IV, dicembre, pp. 119-121.76 Luigi Tatti (1808-81), dopo la laurea “a pieni voti e con lode” a Pavia (1829), fece il tiroci-nio a Milano sotto la guida dell’ingegnere municipale Giuseppe Perego (S. Della Torre, Architetto e ingegnere: Luigi Tatti 1808-1881, Milano, Franco Angeli, 1989, p. 17). Superati gli esami di pratica, volle perfezionare la sua formazione nel campo dell’architettura con un lungo viaggio a Roma e in altre località per studiare gli antichi monumenti sotto l’aspetto artistico e ornamentale non meno che “tecni-co e civile” (C. Clericetti, Luigi Tatti. Comme-morazione, “Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze e lettere”, s. II, vol. 16 [1883], fasc. 3, p. 143). Stabilitosi a Milano, nel 1835, entrò nello studio di Giacomo Tazzini, I.R. ispettore dei fabbricati di corte, iniziando una brillante carriera che ne avrebbe fatto uno dei protago-nisti della cultura politecnica del suo tempo, alternando la cura delle “private clientele” al

lavoro negli uffici della Direzione delle pub-bliche costruzioni. Un’esperienza, quest’ul-tima, che lo avrebbe profondamente deluso (L. Tatti, Proposta di un nuovo modo di siste-mazione dell’azienda di acque e strade nel Regno Lombardo-Veneto, “Annali universali di statistica”, s. II, XXIV [1850], aprile-giugno, pp. 9-44), e che avrebbe infine abbandonato nel 1849. Curatore dell’edizione italiana (usci-ta a Milano nel 1847 da Monti nella collana “Biblioteca scelta dell’ingegnere”) del Manuel du constructeur de chemins de fer dell’inge-gnere francese Eduard Biot era stato chiama-to dall’ingegner Milani a collaborare ai lavori di rilievo e progettazione della tratta Bre-scia-Chiari della strada ferrata Milano-Venezia. Nel nel 1860 Stefano Jacini, ministro dei lavori pubblici del gabinetto Cavour, lo volle nella Commissione incaricata dello “studio del mi-glior passaggio delle Alpi elvetiche”. Contro il parere della maggioranza, Tatti prese po-sizione a favore della linea dello Spluga, un tema di cui avrebbe continuato a interessarsi intervenendo con autorevolezza in sede tecni-co-politica, come attestano i numerosi scritti in argomento (vedine l’elenco in S. Della Tor-re, Architetto e ingegnere, cit., pp. 111-117). All’attività professionale, sin dagli anni trenta, affiancò l’impegno di pubblicista scrivendo per la “Biblioteca italiana”, gli “Annali univer-sali di statistica”, “Il Politecnico” ecc. Primo presidente del ricostituito Collegio degli in-gegneri e architetti di Milano, visse la transi-zione di una professione chiamata a ripensare la propria matrice in funzione dei bisogni di una società e di un’economia in rapida trasfor-mazione. 77 Giovanni Antonio de Kramer (1806-53), discendente di una famiglia originaria di Es-senheim, vicino a Francoforte, a soli nove anni fu mandato a studiare nel “rinomato stabilimento d’educazione” di Elberfeld, nella Prussia renana, “donde passò dopo sei anni a Ginevra, e ciò al doppio oggetto istruirsi nella propria religione, e di compiervi la propria scolastica educazione”. In seguito, “sentendosi una invincibile propensione per la chimica” si recò a Parigi dove ebbe modo di perfezionarsi sotto la guida Louis Jacques Thénard, professore del College de France, di lavorare come “preparatore” in un laboratorio chimico e infine di insegnare come “ripetito-re” nell’istituto di Eduard Laugier. Al rientro a Milano, mise in piedi un attrezzato laboratorio chimico dove continuare le sue esperienze e ricerche in vista di una loro applicazione in-dustriale. Nella duplice veste di scienziato e di tecnologo collaborò con il fratello Carlo, impegnato nello sviluppo dell’impresa di fa-miglia, all’impianto delle nuove caldaie a va-

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pore per la stamperia di tessuti alla Cavalchina (esperienza da cui avrebbe tratto materia per una serie di articoli apparsi sull’applicazione del vapore pubblicati sul “Politecnico”) e so-vrintese all’attivazione delle prime raffinerie di zucchero, sperimentando la coltivazione della barbabietola in una proprietà di famiglia nel Lodigiano. Tecnico di indiscussa competenza, fu chiamato a esprimere il suo parere su tutti i più importanti progetti industriali discussi in quegli anni a Milano, dall’illuminazione a gas, ai progetti per la distribuzione dell’acqua po-tabile, dalle strade ferrate all’introduzione di caloriferi alla Perkins.Forte di un profilo tecnico-scientifico che non aveva molti eguali a Milano, nel 1841 fu chiamato a collaborare alla rifondazione dell’Istituto lombardo, di cui due anni più tardi divenne membro effettivo. Chiamato a far parte delle commissioni giudicatrici dei premi all’industria, mise a frutto la propria rete di conoscenze e i ripetuti viaggi di studio all’estero in favore dello sviluppo del Gabi-netto tecnologico (F. Della Peruta, Cultura e organizzazione del sapere nella Lombardia dell’Ottocento. L’Istituto Lombardo di Scien-ze e Lettere dalla fondazione all’Unità d’Italia, in L’Istituto lombardo Accademia di scienze e lettere, I: Storia istituzionale, a cura di A. Rob-biati Bianchi, Milano, Istituto lombardo Acca-demia di scienze e lettere-Libri Scheiwiller, 2007, passim). Attivissimo anche in seno alla Società di incoraggiamento d’arti e mestieri, promosse la formazione di una scuola di chi-mica, tenendo affollati corsi e corredandola a sue spese di un attrezzato laboratorio. Nel 1851, pochi mesi dopo il rientro da Londra dove si era recato a visitare la Grande espo-sizione, si manifestarono i primi sintomi della malattia che lo avrebbe in breve portato alla morte.78 Francesco Durelli (1792-1851), allievo di Giuseppe Lovati, professore di prospettiva, che a partire dal 1819 affiancò nell’insegna-mento, venendo poi nominato supplente (1826) e in seguito titolare della cattedra (dal 1838). “Versato nelle teoriche dell’arte non meno che nelle pratiche”, nel 1836 fu chia-mato a far parte della Commissione edilizia per il pubblico ornato della città di Milano. In quella veste ebbe modo di approfondire i suoi interessi per l’architettura e lo studio dei monumenti, a cui si era dedicato fin dalla pub-blicazione di alcuni lavori che gli erano valsi una certa notorietà, come La Certosa di Pavia, descritta ed illustrata con tavole incise dai fra-telli G. e F. Durelli, Milano, B. Bettoni, 1823. In rapporto di stretta amicizia con Cattaneo, conosciuto forse grazie alla comune frequen-tazione dell’“immortale Romagnosi” (Cenni

necrologici di Francesco Durelli, “Annali uni-versali di statistica”, XXIX [1852], n. 85, genna-io, p. 111), era presenza assidua alle serate in casa del direttore del “Politecnico”, durante le quali ebbe modo di entrare in relazione an-che con Lombardini. 79 Baldassare Poli (Cremona, 1785-1883) lau-reatosi in legge a Bologna nel 1815, tornato a Cremona si diede all’insegnamento privato fino a che nel 1820, non vinse un posto di professore di filosofia nel liceo di Porta Nuo-va a Milano, dove si fece conoscere con la pubblicazione dei Supplementi all’edizione italiana del Manuale della storia della filoso-fia di Wilhelm Gottlieb Tennemann (Milano, Fontana, 1836). Nel 1837 divenne “publico ordinario professore” di filosofia all’Università di Padova, di cui fu anche rettore (C. Cantoni, Commemorazione di Baldassare Poli, “Rendi-conto dell’Istituto lombardo di scienze e lette-re”, s. II, vol. 18, 1885, fasc. 1, pp. 32-65). No-minato direttore generale dei ginnasi veneti nel 1852, lasciò l’insegnamento trasferendosi a Venezia, prima di fare ritorno a Milano nel 1857, con analogo incarico. Eclettico in filoso-fia, fu politicamente un moderato, astenendo-si dal prendere parte attiva agli avvenimenti del 1848. 80 Lombardini a Cattaneo, lettera del 5 novem-bre 1859, cit.81 L. Tatti, Elia Lombardini, cit., p. 745. 82 L. Tatti, Commemorazione, cit., p. 657.83 Si vedano almeno: Altre osservazioni sul Po, colle quali si rettificano alcune cose esposte dal sig. ing. Stoppani nella “Memoria sul pro-lungamento delle linee fluviali”, vol. VI, 1843, pp. 153-205; Della condizione idraulica della pianura subapennina fra l’Enza ed il Panaro, Milano, Tipografia degli ingegneri, 1865; Stu-di idrologici e storici sopra il grande estuario adriatico, i fiumi che vi confluiscono e princi-palmente gli ultimi tronchi del Po susseguiti da considerazioni intorno ai progetti per la regolazione delle acque alla destra di questi, Milano, Tipografia e litografia degli ingegneri, 1868. Per una bibliografia completa vedi A. Vismara, Bibliografia del senatore Lombardini ing. Elia, cit.84 F. Della Peruta, Cultura e organizzazione del sapere nella Lombardia dell’Ottocento, cit., pp. 3-492.85 Milano scientifica 1875-1924, I: La rete del grande Politecnico, a cura di E. Canadelli, Mi-lano, Sironi, 2008.86 P. Livi, Il Museo civico di storia naturale tra collezioni, didattica e ricerca sperimentale, in Milano scientifica 1875-1924, cit., pp. 119-138.87 C.G. Lacaita, L’intelligenza produttiva. Im-prenditori, tecnici e operai nella Società di

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incoraggiamento d’arti e mestieri di Milano (1838-1988), Milano, Electa, 1990.88 Rimando su questo a G. Bigatti, Tra peda-gogia industriale e vocazione commerciale: echi italiani della Grande esposizione londi-nese, in Arti, tecnologia e progetto. Le espo-sizioni d’industria in Italia prima dell’Unità, a cura di G. Bigatti e S. Onger, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 45-70.89 Il legame con la scuola francese è attestato dalla presenza nella biblioteca di Lombardini della raccolta completa delle “Annales des ponts et chaussées” e di molti dei più diffusi trattati per i quali si rimanda al saggio in que-sto volume di Maria Cristina Loi.90 L. Cremona, Commemorazione del socio Elia Lombardini, 5 gennaio 1879, in “Atti della R. Accademia dei Lincei. Transunti”, s. 3, 276 (1878-79), vol. 3, pp. 59-62.91 Vedi A. Ingold, I “viaggi idraulici” nei paesi d’irrigazione: prime inchieste sociali dell’Ot-tocento. I viaggiatori francesi di fronte al mo-dello italiano, in Quando l’Europa ci invidiava, cit. Nel volume Dell’origine e del progresso della scienza idraulica nel Milanese ed in al-tre parti d’Italia, Milano, Premiata Tipografia e litografia degli Ingegneri, 1872, Lombardini ricorderà “il compianto amico Baumgartner” incontrato a Milano nel 1844 e i loro rapporti di reciproca stima, p. VI.92 Dei cangiamenti cui soggiacque l’idrauli-ca condizione del Po nel territorio di Ferrara e della necessità di rettificare alcuni fatti an-nunciati da Cuvier in argomento, in “Giornale dell’Istituto lombardo”, vol. 3, Milano 1852.93 L. Tatti, Commemorazione, cit., p. 658.94 I due capitoli, annotati a cura di chi scrive, si possono ora leggere nella nuova edizione del-le Notizie naturali e civili su la Lombardia pub-blicata nell’edizionale nazionale degli scritti di Carlo Cattaneo, Casagrande Le Monnier, 2014, vol I, pp.203-234 e 235-325.95 L. Tatti, Commemorazione, cit., p. 660.96 Aspetti per i quali si rimanda, in questo vo-lume, al saggio di Elena Canadelli.97 E. Lombardini, Importanza degli studj sulla statistica dei fiumi, e cenni su intorno a quelli finora intrapresi, in “Giornale dell’I.R. Istituto Lombardo di scienze, lettere e arti”, vol. XIV (1846), fasc. 42.98 Sulla scuola idraulica italiana vedi infra il saggio di Mario Di Fidio. 99 P. Morachiello, Il prefetto Chabrol - Ammi-nistrazione napoleonica e “scienza dell’inge-gnere”, in Le macchine imperfette. Architet-tura, programma, istituzioni del XIX secolo, a cura di P. Morachiello e G. Teyssot, Roma, Officina, 1980, pp. 151 sgg.100 Sul sistema degli argini insommergibili per i fiumi dell’Italia e particolarmente del Po, in

“Rendiconti dell’Istituto lombardo”, 1876, vol. 9, pp. 310-314; Id., Osservazioni sulla risposta del Sig. Dausse relativa alla questione degli argini insommergibili dei fiumi, “Il Politecnico - Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale”, 8 (1876), gennaio, pp. 1-11.101 Di Bernard Forest de Belidor, Lombardini possedeva l’edizione italiana dell’Architettura idraulica, ovvero Arte di condurre, innalzare e regolare le acque pei vari bisogni della vita, Mantova, versione italiana a cura di B. Soresi-na, Mantova, Fratelli Negrelli, 1835-39, 4 voll. e i due volumi di La scienza degli ingegneri nella direzione delle opere di fortificazione e d’architettura civile, versione italiana di Luigi Masieri, Milano, coi torchi di Gaspare Truffi e Comp., 1832.102 Nuovo corso completo di pubbliche co-struzioni dietro il celebre programma di Mattia Giuseppe Sganzin, … prima traduzione italia-na con aggiunte… per cura dell’ingegnere Rinaldo Nicoletti, Venezia, G. Antonelli, 1847-53, 2 voll.103 Di Claude Navier, Lombardini possedeva le Considerations sur les principes de la po-lice du roulage et sur les travaux d’entretien des routes…, Parigi, Carilian-Goeury, 1835 e il Rapporto e memoria sui ponti pensili, ver-sione italiana con note ed aggiunte per cura dell’ingegnere G.C., Milano, presso Angelo Monti, 1840.104 Di Eugène Belgrand troviamo nella biblio-teca alcuni volumi della sua opera più famosa, Les travaux souterrains de Paris, Parigi, Du-nod, 1873 sgg.105 Giuseppe Cadolini (Milano 1805 – Torino 1858) ingegnere. Addottoratosi “nelle mate-matiche” a Pavia nel 1827 alla scuola di Anto-nio Bordoni, “si pose di buon’ora al pubblico servizio” percorrendo “di grado in grado” tutti i gradini della carriera sino al posto di in-gegnere di 1a classe della Direzione di acque e strade di Lombardia (A. Mauri, Necrologia, “Giornale dell’ingegnere architetto ed agro-nomo”, VI [1858], maggio, p. 286). All’attività di ingegnere-funzionario, affiancava quella di studioso e traduttore, operando come tramite tra la più avanzata cultura tecnica d’Oltralpe e la tradizione lombarda. Autore (Architettura pratica dei mulini, Milano 1835-38; Prontua-rio per l’ingegnere e pel meccanico, Milano 1842-47, 12 voll. di testo e tavole) e animato-re di una importante iniziativa editoriale, “La Biblioteca scelta dell’ingegnere civile”, una collana inaugurata nel 1832 con la pubblica-zione, curata dallo stesso Cadolini, del cele-bre corso di “costruzione” di Joseph Mathieu Sganzin all’École polytechnique (Programma o sunti delle lezioni di un corso di costruzione con applicazioni tratte segnatamente dall’ar-

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te dell’ingegnere d’acque e strade, Milano 1832), che con i suoi volumi avrebbe contri-buito allo svecchiamento della cultura degli ingegneri italiani, costituendo una raccolta di opere che nell’insieme “riescono a forma-re una completa enciclopedia dell’ingegnere civile”. Nel 1844 fu nominato membro effet-tivo dell’Istituto lombardo di scienze e lettere. Presente a numerosi congressi degli scienziati (I. Cantù, L’Italia scientifica contemporanea. Notizie sugli italiani ascritti ai primi cinque congressi, Milano, A.F. Stella e Giacomo fi-glio, 1844, pp. 94-95), fu socio fondatore della Società d’incoraggiamento d’arti e di mestie-ri e membro della commissione meccanica. Costretto a lasciare la Lombardia al ritorno degli austriaci – nel marzo 1848 aveva preso parte all’insurrezione di Milano ed era stato nominato ispettore alle barricate dal Comita-to di guerra, collaborando poi con il Governo provvisorio – si recò a Torino, “ove tosto dal ministero della guerra gli furono commessi di-versi incarichi”. Nominato ispettore onorario del corpo del Genio civile, fu alfine designato da Paleocapa ingegnere capo della divisione di Vercelli, ma le precarie condizioni di salute nel 1854 lo costrinsero a ritirarsi dalla profes-sione attiva. 106 Della natura dei laghi e delle opere intese a regolarne l’efflussione, Milano, Tipografia G. Bernardoni, 1846; Sulle ultime piene dei fiumi e dei laghi della lombardia, e in particolare su quella del lago di Como, in “Giornale dell’Isti-tuto lombardo di scienze e lettere”, 1855.107 Dei progetti intesi a provvedere alla de-ficienza di acque irrigue nel Cremonese, in “Atti dell’Istituto lombardo di scienze e let-tere”, 1855,pp. 135-163; La comunità di Cre-mona, il naviglio civico, ed i progetti di nuovi canali irrigui per quella provincia, in “Giornale dell’ingegnere-Architetto civile e meccanico”, XVI, 1868, pp. 712-722.108 Osservazione sulle proposte dell’ing. Pos-senti relative all’uso delle acque da derivarsi dal lago di Lugano, in “Atti dell’Istituto lom-bardo di scienze e lettere”, I, 1858, pp. 69 sgg.; Altre considerazioni sulle irrigazioni della Lombardia e particolarmente su quelle dell’al-ta pianura milanese col nuovo canale del Tici-no, in “Atti dell’Istituto lombardo”, III, 1863, pp. 351-365. Sul progetto Villoresi Meraviglia, i dibattiti e l’esito progettuale rimando al mio Il Villoresi, l’ultimo naviglio, Milano, Est Ticino Villoresi, 2010.109 Guida allo studio dell’idrologia fluviale e del’idraulica pratica, Milano, Tipografia degli Ingegneri, 1870, p. 67.110 A partire dal 1865 la formazione degli ar-chitetti sarebbe stata appannaggio dell’Isti-tuto tecnico superiore. Si veda G. Ricci,

L’ordinamento degli studi per l’architettura civile: la soluzione milanese nella prima età unitaria, in Francesco Brioschi e il suo tempo (1824-1897), I: Saggi, a cura di C.G. Lacaita e A. Silvestri, Milano, Franco Angeli, 2000, pp. 199-212 e Architetti e ingegneri: dalla formazione condivisa ai curricula di studi se-parati, in Ingegneri a Pavia tra formazione e professione. Per una storia della Facoltà di ingegneria nel quarantesimo della rifon-dazione, a cura di V. Cantoni e A. Ferrare-si, Milano, Cisalpino, 2007, pp. 151-165.111 Sul sistema d’istruzione degli ingegneri e degli operai in Francia, in “Il Politecnico”, I, 1839, p. 502.112 Su questo punto rimando al contributo di A. Silvestri, Dalla Facoltà filosofica, poi mate-matica, dell’Università di Pavia al Regio Istitu-to Tecnico Superiore di Milano, in Ingegneri a Pavia tra formazione e professione, cit., pp. 193-219.113 G. Bigatti, Vedere per apprendere. Tra istruzione e affari: imprenditori in viaggio (se-colo XIX), in Viaggi di istruzione ed esperienze innovative tra scienza, tecnica ed economia (XVIII-XX secolo), a cura di C.G. Lacaita, Mila-no, Casagrande, 2009, pp. 277-311.114 D. Bigazzi, Modelli e pratiche organizzative nell’industrializzazione italiana, in F. Amatori, D. Bigazzi, R. Giannetti, L. Segreto (a cura di), Storia d’Italia. Annali 15: L’industria, Torino, Einaudi, 1999, p. 900.115 G.B. Pirelli, Viaggio di istruzione all’estero. Diario 1870-1871, a cura di F. Polese, Venezia, Marsilio, 2003, p. 109.116 G. Colombo, Sulla missione degli industria-li inviati in Inghilterra per voto del Consiglio provinciale di Milano in occasione della mo-stra universale che ebbe luogo a Londra nel 1862, in Scritti e discorsi di Giuseppe Colom-bo, vol. II: Scritti e discorsi scientifici, Milano, Hoepli, 1934, p. 936. Sulla figura di Colombo si vedano anche le belle pagine di C.G. Lacai-ta premesse a G. Colombo, Industria e politi-ca nella storia d’Italia. Scritti scelti 1861-1916, Milano, Cariplo-Laterza, 1985.117 Si veda, a titolo di esempio, il volume Fran-cesco Brioschi e il suo tempo (1824-1897), cit. e l’ampia bibliografia ivi citata.118 M. Minesso, L’ingegnere dall’età napoleo-nica al fascismo, cit., pp. 270 sgg.119 Riprendo i dati da M. Meriggi, Il regno Lombardo-Veneto, Torino, Utet, 1987.120 I. Cantù, Le scuole tecniche, in “Rivista eu-ropea”, III, vol. 1, 1840, p. 130.121 Dati ripresi da M. Romani, Il movimento economico lombardo in un giudizio austriaco del 1859, in Ricerche storiche ed economiche in onore di Corrado Barbagallo, Napoli, Esi 1970, vol. III, p. 73.

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122 A. Cantalupi, Nozioni pratiche intorno alle consegne, cit.. 123 M.L. Betri, Due profili della trasformazione dell’ingegnere nella Lombardia preunitaria: Paolo Jacini e Guido Susani, in Avvocati, me-dici, ingegneri. Alle origini delle professioni moderne (secoli XVI-XIX), a cura di M.L. Betri e A. Pastore, Bologna, Clueb 1997, p. 308.124 In dettaglio: 123 ex allievi avevano trova-to impiego al servizio dello Stato, “e cioè nel Corpo R. del Genio Civile, in quello delle mi-niere, nella Manifattura dei Tabacchi, nelle Sa-line, nel Catasto, nelle Sezione tecniche delle Finanze e nella costruzione delle strade comu-nali obbligatorie”; 10 erano ufficiali dell’eser-cito e 5 del Genio navale; 68 si erano dedicati all’insegnamento pubblico e privato; 67 erano occupati negli Uffici tecnici provinciali, comu-nali e di opere pie; 137 in Società ferroviarie, 154 in Società industriali, 60 in imprese priva-te di lavori pubblici, 21 in Società di assicura-zione e in Aziende rurali; 208 esercitavano la libera professione nel campo dell’ingegneria civile, 56 in quello dell’ingegneria industriale e 18 in architettura; 38 infine amministrava-no il loro patrimonio o si erano dedicati alla politica”, vedi Per il XXV anniversario della fondazione dell’Istituto tecnico superiore di Milano, originariamente in R. Istituto Tecnico Superiore di Milano, Il giubileo del Politecnico milanese, Milano, Tipografia Bernardoni di C. Rebuschini e C., 1889, ora in Francesco Brio-schi e il suo tempo (1824-1897), III: Scritti e discorsi, a cura di C.G. Lacaita, Milano, Franco Angeli, 2003, p. 326.125 Ricordo del cinquantenario del Politecnico milanese e del Collegio degli ingegneri ed ar-chitetti di Milano, Milano 1914, pp. 30-31 (i corsivi sono miei).126 F. Brioschi, Della istruzione tecnica superio-re in alcuni Stati d’Europa, in Francesco Bri-oschi e il suo tempo, cit., vol. III, pp. 23-36.127 Le parole di Colombo sono tratte dal suo intervento, in Il giubileo del Politecnico mila-nese, cit. p. 15.128 Riprendo in queste pagine parte delle con-siderazioni svolte in una serie di precedenti contributi.129 Segno di un profondo legame tra Politec-nico e Collegio, in origine entrambi presieduti da Brioschi, fu la concessione gratuita al Col-legio di alcune sale della scuola e il libero uso di laboratori e biblioteca.130 E. De Capitani, Il Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Milano, in Milano tecnica dal 1859 al 1884, Milano, Hoepli, 1885, p. XLV.131 Secondo De Capitani la sede del Collegio doveva essere aperta e accessibile, in modo da facilitare lo scambio di opinioni dei soci, unen-do al rigore proprio di un accademia scien-

tifica “un po’ del tiepore e degli elementi di vita del club”, E. De Capitani, Il Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Milano, cit., p. XLV.132 Ibidem.133 Lo Statuto, con le relative discussioni , ven-ne pubblicato sul primo fascicolo degli “Atti”.134 Ibidem. 135 Sulla questione, fortemente dibattuta a partire dagli anni settanta dell’Ottocento, della opportunità di arrivare a una copertura del naviglio interno, operazione che sarebbe poi stata realizzata negli anni tra le due guer-re (A. Ingold, Negocier la ville. Projet urbain, societe et fascisme a Milan, Roma-Parigi, Éco-le française de Rome-Editions de l’École des hautes etudes en sciences sociales, 2003) nel-la biblioteca del Collegio sono presenti, citan-do a campione, le memorie di tecnici come Emanuele Bignami Sormani, Le proposte per la fossa interna di Milano. Osservazioni, Milano, Tipografia della Perseveranza, 1875; Luigi Sada, Soppressione della Fossa interna di Milano e piano coordinato della città fuori delle mura. Sunto di progetto, Milano, Civelli, 1875; o ancora la Relazione della Commissio-ne tecnica nominata dal Comitato promotore di studi e di proposte per l’otturamento e la deviazione della fossa interna di Milano (rel. Achille Cavallini), Milano, G. Agnelli, 1878.136 Cfr. La Milano del piano Beruto (1884-1889). Società, urbanistica e architettura nella seconda meta dell’Ottocento, Milano, Gueri-ni, 1992, che nel secondo volume riporta un analitico spoglio del dibattito coevo. Il tema dei piani regolatori e di ampliamento rimase uno dei cardini del dibattito fra gli ingegneri e, ça va sans dire, architetti del Collegio, con riferimeto sia a Milano sia alle altre città.137 G. Bigatti, La conquista dell’acqua. Urba-nizzazione e approvvigionamento idrico, in G. Bigatti, A. Giuntini, A. Mantegazza e C. Rotondi, L’acqua e il gas in Italia. La storia dei servizi a rete, delle aziende pubbliche e della Federgasacqua, Milano, Franco Angeli, 1997.138 Si veda ad esempio F. Poggi, Le fognature di Milano. Studio generale delle canalizzazioni urbane, Milano, Vallardi, 1913.139 Sull’ingegneria sanitaria e l’impegno di in-gegneri per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie delle città, altro tema molto presente nella biblioteca del Collegio, si veda G. Zucconi, La città contesa: dagli ingegneri sanitari agli urbanisti, 1885-1942, Milano, Jaca Book, 1999.140 Sul problema delle strade in Lombardia e della loro manutenzione cfr. A. Cantalupi, Pro-spetto storico-statistico delle strade di Lom-bardia, Milano, Angelo Monti, 1850.141 Sul tema di un regolamento per la manu-tenzione e conservazione delle strade comu-

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nali nella Provincia di Milano, “Aciam”, 1868.142 A. Gabba, Il Collegio degli ingegneri e de-gli architetti di Pavia nel 125° della fondazio-ne, Pavia, Industria grafica pavese, 1986, pp. 59-60.143 G. Bigatti, Gli accidentati sentieri dell’inno-vazione. “Macchinisti”, tecnici, ingegneri nel-la Lombardia della Restaurazione, in “Storia in Lombardia”, 2, 2002, pp. 5-25.144 M. Malatesta, Gli ingegneri milanesi e il loro Collegio professionale, in Milano fin de siècle e il caso Bagatti Valsecchi. Memoria e progetto per la metropoli italiana, a cura di C. Mozzarelli, R. Pavoni, Milano, Guerini e Asso-ciati, 1991, pp. 312-313.145 G. Sarti, La professione dell’ingegneria in Lombardia, cit., pp. 449-453.146 L. Tatti, Il Collegio degli ingegneri, p. 94.147 L. Tatti, Sulla riforma degli studi tecnici nelle provincie lombardo-venete, in “Annali

universali di statistica”, s. II, XXI, 1849, p. 119.148 Si veda il documento riportato da A. Turiel, La formazione di Francesco Brioschi, in Fran-cesco Brioschi e il suo tempo, vol. I, p. 339.149 Relazione della Commissione per il voto di appoggio alla protesta degli studenti della Scuola di Applicazione sull’esercizio professio-nale senza diploma, in “Aciam”, XXII, genna-io-aprile 1889, p. 24.150 Sulla figura di Colombo cfr. le rapide con-siderazioni di A. Quadrio Curzio ora in Eco-nomisti ed economia. Per un’Italia europea: paradigmi tra il XVIII e il XX secolo, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 160-168 e il saggio, di ben più solido impianto, di C.G. Lacaita, Giuseppe Colombo e le origini dell’Italia industriale, in G. Colombo, Industria e politica nella storia d’Italia. Scritti scelti 1861-1916, a cura di C.G. Lacaita, Milano-Roma-Bari, Cariplo, Laterza, 1985, p. 586.