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RIFLESSIONI E RICERCHE SULLA CONOSCENZA E SUL METODO 15

Genere e diseguaglianze sociali

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RIFLESSIONI E RICERCHESULLA CONOSCENZA E SUL METODO

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Direttore: Alberto Marradi (Università di Firenze)

Comitato Scientifico:

Alberto Baldissera (Università di Torino)Rita Bichi (Università di Milano “Cattolica”)Alessandro Bruschi (Università di Firenze)Enzo Campelli (Università di Roma “La Sapienza”)Vittorio Cotesta (Università di Salerno)giovanni Di Franco (Università di Salerno)giancarlo gasperoni (Università di Bologna)Renato grimaldi (Università di Torino)Alberto Marradi (Università di Firenze)Paolo Montesperelli (Università di Salerno)Daniele Nigris (Università di Padova)Rita Pavsic (Università di Catania)Maria Concetta Pitrone (Università di Roma “La Sapienza”)

FIORENZO PARZIALE

GENEREE DISEGUAGLIANZE SOCIALI

BONANNO EDITORE

ISBN 978-88-7796-779-4

Proprietà artistiche e letterarie riservateCopyright © 2012 - Gruppo Editoriale s.r.l.

ACIREALE - ROMA

[email protected]

Dedico questo libro a mia sorella,giovane donna del sud

Lo studio delle diseguaglianze sociali richiede immaginazione e competenza meto-dologica: ho provato, nonostante i miei limiti, a far tesoro degli insegnamenti diPaolo Montesperelli, amico e guida intellettuale di sempre.Ringrazio Mirella Giannini per avermi sapientemente introdotto al tema delle

diseguaglianze di genere e per il programma di ricerca pluriennale sviluppato conla sua cattedra.Questo lavoro sarebbe stato impossibile senza i suggerimenti, le correzioni, l’in-

coraggiamento di Alberto Marradi, maestro il cui insegnamento costituisce patri-monio intellettuale per la nostra comunità. Ho la fortuna di essergli debitore. È solo mia la responsabilità di quanto scritto e gli errori in cui eventualmente

sono incorso.

INDICE

Premessa pag. 9

1.Genere e diseguaglianze socialiProblemi e teoria ,, 13 1.1. Le diseguaglianze sociali tra ascrizione e acquisizione. Il problema di fondo delle diseguaglianze di genere ,, 13 1.2. La relazione di genere: una costruzione sociale asimmetrica ,, 18 1.3. Le diseguaglianze di genere nel lavoro ,, 28 1.4. La riproduzione di tre forme di diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro ,, 35

2.Genere e diseguaglianzenel reddito da lavoro in Toscana ,, 412.1. Introduzione ,, 412.2.Culture del lavoro simili in istituzioni androgene ,, 422.3. Lavoro maschile e lavoro femminile ,, 502.4. Le diseguaglianze reddituali di genere:l’importanza del capitale sociale della famiglia ,, 57

2.5. Perché le donne guadagnano di meno? ,, 702.6. La segmentazione di genere del mercatodel lavoro: due fattori di sintesi ,, 77

2.7.Tipi di occupati ,, 852.8.Conclusioni: genere, lavoro e famiglia ,, 93

3.La difficile carriera delle donnein una pubblica amministrazionee in una multinazionale ,, 973.1. Introduzione ,, 973.2. Il contesto organizzativo di un’amministrazionepubblica ,, 983.2.1. Vincoli e risorse per fare carriera ,, 106

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3.2.2. Un’organizzazione che blocca le carriere:genere ed habitus lavorativi pag. 110

3.3. Il contesto organizzativo di una multinazionale ,, 1173.3.1. Vincoli e risorse per fare carriera ,, 1233.3.2. Habitus e pratiche sessuate: il diseguale modo

di partecipare alla comunità aziendale ,, 1303.4. Biografia e carriera lavorativa ,, 1333.5.Conclusioni: diseguaglianze retributive e di carriera,uno sguardo di insieme ,, 143

4.La diseguaglianza di capacità professionale.Il caso delle urbaniste a Napoli ,, 1474.1. Introduzione ,, 1474.2.Trasformazione del lavoro, stratificazioneprofessionale e genere ,, 151

4.3. Innovazione tecnico-organizzativa e contenutidel lavoro ,, 155

4.4.Controllo organizzativo e riproduzionedel dominio maschile ,, 160

4.5.Conclusioni: diseguaglianze di generee cambiamento sociale ,, 168

Bibliografia ,, 173

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Premessa

In Italia, come d’altra parte negli altri Paesi economicamente avan-zati, le donne continuano a risultare svantaggiate in molteplici am-biti della vita sociale, a partire da quello lavorativo.Nonostante l’eguaglianza giuridica e i progressi in direzione della

parità di genere, il dominio maschile persiste, pur cambiando talvoltaforma.Il messaggio dei mass media è come sempre volto alla semplifica-

zione. In Italia, ad esempio, si denuncia l’assenza di politiche pubblichein tema o la loro scarsa efficacia nel contrastare la cultura maschilista. Non che questo sia falso: le politiche pubbliche italiane rispec-

chiano un assetto istituzionale decisamente favorevole agli uominidi età matura e appartenenti alle classi superiori. I sociologi, dal canto loro, hanno messo in risalto le dinamiche,

magari poco visibili, del potere maschile e i vincoli sociali che svan-taggiano le donne in termini di potere, status, reddito. La domandadi fondo è come mai il genere costituisca un criterio di stratificazionesociale così importante anche in società che mal tollerano le discri-minazioni fondate su caratteristiche ascrittive.Il volume prova ad affrontare questo interrogativo, concentran-

dosi sull’analisi dei meccanismi che riproducono le disegueglianzedi genere e analizzando la relazione tra i vincoli istituzionali e le pra-tiche degli agenti sociali.L’ambito spazio-temporale è circoscritto all’Italia degli ultimi anni.La prospettiva teorica adottata è in larga parte quella di Bourdieu,

ma il pensiero del sociologo francese è coniugato con quello di altristudiosi che si sono occupati di stratificazione sociale in generale e didiseguaglianze di genere in particolare. Si è cercato il nesso tra l’orga-nizzazione androgena della famiglia, la socializzazione primaria e se-condaria distinta per genere e le ragioni pratiche dei soggetti a secondadella situazione nella quale si trovano ad agire.Questo è il filo rosso delle tre ricerche illustrate nel libro, ognuna

delle quali studia una particolare forma di diseguaglianza di genere:di reddito, di carriera e di capacità professionale.

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Le ricerche sono presentate con l’intento di tracciare un percorsoche, secondo il classico circuito teoria-ricerca-teoria, approda a unanuova ipotesi sul cambiamento sociale.Mi preme sottolineare il fatto che le diseguaglianze di genere si

riproducano con una forza tale da rendere talvolta poco consapevolechi le subisce. Ciò dipende dallo stretto legame che il genere ha conaltri fattori della stratificazione sociale, rendendo meno efficace un’ana-lisi che lo isoli da altre variabili indipendenti. Il genere può essere con-siderato variabile indipendente della distribuzione di ricompensemateriali o immateriali; ma un’analisi più attenta porta in molti casiad attribuirgli il ruolo di variabile moderatrice. Questo ruolo richiedeuna teoria capace di rendere conto delle interazioni tra il genere e altrifattori di stratificazione sociale, talvolta latenti, che producono un esitodiseguale nella distribuzione delle risorse tra uomini e donne.Il linguaggio delle variabili è importante, ma non va reificato: è

solo uno dei possibili strumenti di interpretazione del mondo.Nel nostro caso il ruolo del genere come variabile moderatrice

chiama in causa le possibilità euristiche offerte dalla ricerca non stan-dard1 nel comprendere i processi e i contesti nei quali i fenomeni so-ciali prendono forma.Il ricorso congiunto a tecniche di ricerca quantitative e qualitative

può, se ben calibrato, aiutare nell’esplorazione di questo legame e

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1 Esistono diverse forme di ricerca non standard a seconda del tipo di tec-niche impiegate e della loro combinazione: interviste ermeneutiche, raccontidi vita e storie di vita (Bichi 2007), osservazione partecipante o non parteci-pante, focus group, etc. La caratteristica comune delle ricerche non standardè il rifiuto degli assunti della ricerca standard che punta alla produzione di as-serti impersonali e alla netta separazione tra conoscenza scientifica e non scien-tifica (Marradi 1996, 2007): la prospettiva non standard considera il saperetacito e personale del ricercatore come una preziosa risorsa ermeneutica chepermette di comprendere i fenomeni sociali (Montesperelli 1998).Nel campo della ricerca sociale il metodo standard dominante è quello del-

l’associazione, basato sulla standardizzazione degli stimoli al fine di costruire unamatrice dei dati da analizzare statisticamente, grazie all’impiego del linguaggiodelle variabili. La ricerca non standard privilegia, invece, la narrazione (sia del ri-cercatore sia delle persone intervistate) ricostruita tramite la non standardizza-zione delle tecniche di rilevazione delle informazioni. L’analisi del materialeempirico è condotta secondo una prospettiva che considera i casi olisticamente.Per ulteriori chiarimenti rinvio in particolare a Marradi (1996).

creare le condizioni per dare un contributo utile a cittadini e decisoripolitici: nuove possibilità di emancipazione delle donne si possonoscorgere se si considerano l’interazione tra il genere e altri criteri distratificazione sociale.

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1. Genere e diseguaglianze socialiProblemi e teoria

1.1. Le diseguaglianze sociali tra ascrizione e acquisizione.Il problema di fondo delle diseguaglianze di genere

Le diseguaglianze di genere costituiscono un oggetto di studio stret-tamente connesso a un tema classico della sociologia: le diseguaglianzesociali. Le diseguaglianze sono considerate sociali quando fanno riferi-

mento alla diversa distribuzione tra gli individui di risorse social-mente rilevanti in un dato contesto storico-sociale (ad esempio, ilreddito, l’istruzione, il prestigio, etc.). La natura sociale delle diseguaglianze è data anche dal fatto che

esse derivano dalle relazioni che gli individui intrattengono tra loro.Di qui l’esigenza dei sociologi di analizzare la struttura di queste re-lazioni e definire raggruppamenti di individui, i gruppi sociali, co-stituenti “strati” in cui suddividere la società.A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, i sociologi si sono

interrogati sui meccanismi di produzione delle diseguaglianze nellasocietà moderna, attribuendo un diverso giudizio di valore alle stessea seconda della prospettiva teorica scelta e alle preferenze politiche. La letteratura sul tema è molto vasta; è possibile classificarla in tre

grandi filoni di studio, a seconda del problema affrontato. Un primofilone è formato da quei sociologi che, adottando una prospettiva di-stributiva, si interrogano sulla suddivisione delle ricompense materialie immateriali in una società, prendendo come unità di analisi preva-lentemente gli individui piuttosto che le classi sociali o specifici gruppi.In questo caso l’analisi concerne il grado di integrazione sociale degliindividui a seconda del livello delle loro ricompense, piuttosto che iconflitti tra le classi sociali (Pizzorno 1959). Questo filone comprendeanche gli studi sulla valutazione soggettiva degli status (Runciman1972; Tumin 1972; Goldthorpe e Hope 1974; Paci 1973) tramite laquale ricostruire scale di prestigio (Duncan 1961; Treiman 1977; deLillo e Schizzerotto 1985; de Lillo 2006), considerando anche il ruolo

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esercitato da fattori quali la classe sociale o il genere (Gambardella2006; Giannini 2010).Un secondo filone è costituiti dagli studi di mobilità sociale,

orientato a comprendere le dinamiche di transizione degli individuida un gruppo con minori vantaggi sociali a uno più avvantaggiato,e viceversa. In tal caso viene problematizzata la relazione tra l’azioneindividuale e l’appartenenza a un dato gruppo sociale (in particolarela classe sociale di origine); esemplari sono gli studi di Goldthorpe(1980), successivi a quelli di Blau e Duncan (1967). Infine, c’è il filone di studi dell’approccio relazionale, il cui og-

getto di analisi è il sistema delle relazioni di potere che generano lediseguaglianze sociali; l’attenzione è posta sui gruppi sociali consi-derati come attori differenti da semplici aggregazioni di individuiaccomunati dalla stessa condizione sociale o comunque dal possessodi un insieme di caratteristiche socialmente rilevanti. In merito al terzo filone, partendo dalle critiche alla prospettiva

stratificazionista degli struttural-funzionalisti (in particolare Davis eMoore 1945) molti sociologi hanno affrontato il tema delle classisociali, concependo in vari modi le dinamiche conflittuali: diverseprospettive neo-marxiane, da quella di Poulantzas (1975) a quelladi Wright (1985, 2005), senza dimenticare il primo Giddens (1975)e la teoria della distinzione sociale di Bourdieu (1983) inquadrabileall’interno di una più ampia teoria della pratica; la teoria di deriva-zione weberiana di Parkin (1976) e la teoria conflittualista multidi-mensionale di Collins (1992), che prova a coniugare l’impostazionemarxiana e quella weberiana.Non è mio intento passare in rassegna questa letteratura2; mi limito

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2 Un’altra classificazione degli studi sulla stratificazione consiste nella co-struzione di una tipologia, ottenuta dall’impiego congiunto di due fundamentadivisionis (Marradi 1984), l’uno relativo alla prospettiva epistemologica e on-tologica (considerate strettamente connesse), l’altro attinente alla dimensionetemporale presa in considerazione. Nel primo caso la distinzione è tra chiadotta una prospettiva olistico-realista e chi adotta una prospettiva individua-listico-nominalista; nel secondo caso si tratta della distinzione tra studi sincro-nici e studi diacronici. Dalla loro combinazione risultano 4 tipi di studi. Inpiù di un caso l’analisi risente di un’impostazione prescrittiva su un tema po-liticamente rilevante; spesso la comprensione dei meccanismi sociali relativialle diseguaglianze rischia di esserne offuscata.

a notare come le tre problematiche siano strettamente legate, in quantol’analisi delle diseguaglianze distributive spinge spesso i sociologi adaffrontare il tema dei conflitti di classe: la distinzione che pone Ceri(1996) tra diseguaglianze di partecipazione e diseguaglianze di frui-zione non esclude, ma anzi apre, la possibilità di costruire un quadroteorico sulla loro interazione (Amaturo e de Lillo, 2008)3.Gli studi sulla stratificazione possono in via più generale suddi-

vidersi in due grandi raggruppamenti a seconda del loro oggetto: ilprimo orientato alla comprensione delle diseguaglianze di ordine ac-quisitivo, il secondo attento alle diseguaglianze di ordine ascrittivo.La peculiarità degli studi sulle diseguaglianze di genere, a mio av-

viso, consiste proprio nella necessità di considerare la relazione dina-mica tra i due tipi di diseguaglianze, oltre che nell’utilità di connetterele diseguaglianze di fruizione (distributive) all’analisi delle relazioni dipotere tra i due generi. Si tratta, infatti, di comprendere come una ca-ratteristica ascrittiva, il genere (socialmente costruito, come vedremonel prossimo paragrafo), possa essere fonte di diseguaglianze che infi-ciano la natura acquisitiva delle società moderne.Il fine di questo lavoro è proporre un quadro teorico adeguato a

rendere conto di un insieme di ricerche empiriche condotte in Italiasulla persistenza di diseguaglianze a danno delle donne, soprattuttonel mondo del lavoro, e che risultano inspiegabili a prima vista,non esistendo alcuna discriminazione formale né accordo tacito sultrattamento diseguale a seconda del genere in diversi campi dellavita sociale. L’interrogativo di fondo è: attraverso quali meccanismi a un ca-

rattere ascrittivo come l’essere donna si associano diseguaglianze chenon sarebbero giustificabili secondo una logica acquisitiva?Di qui si dipanano una serie di altre domande connesse all’in-

terrogativo principale. Essendo l’universalismo un principio caratterizzante la moder-

nizzazione (Germani 1971; Martinelli 2002) e perciò presente comenorma prevalente nelle società moderne, in che termini è possibilestudiare le diseguaglianze di genere attraverso le chiavi interpretativeimpiegate negli studi sulle diseguaglianze di classe?E ancora, il genere va analizzato secondo il “linguaggio delle va-

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3 Su questo punto rinvio a Parziale e Scotti (2008) e a Parziale (2010).

riabili”, distinguendolo da altre variabili considerate “fattori di stra-tificazione” come il livello di istruzione, l’area territoriale, il gruppoprofessionale e la classe sociale, per poi magari studiare gli effetti diinterazione (Lockwood 1964)? o la relazione di genere va indagatasecondo una prospettiva più orientata ai “casi”, ai soggetti sociali,considerando in maniera più stringente i processi di strutturazioneattraverso i quali il genere si combina con gli altri fattori di stratifica-zione (Crompton 1999)?Per rispondere a queste domande, si può usare proprio la dico-

tomia ascrizione-acquisizione come criterio analitico. Questa dicotomia è stata proposta da Parsons (1951) e chiama

in causa altre dicotomie della sociologia classica: solidarietà mecca-nica e solidarietà organica di Durkheim (1893); comunità e societàdi Tönnies (1887); comunità e associazione di Weber (1922).Parsons mette in evidenza come nelle società moderne l’otteni-

mento di ricompense avvenga sulla base di caratteristiche acquisitedagli individui e non in funzione di caratteristiche ascritte, come ap-punto il genere.Tönnies ha evidenziato la centralità nelle società moderne delle

relazioni impersonali, che aprono le possibilità per l’individuo diemanciparsi da ogni gruppo di appartenenza ascrittiva, sia questo lafamiglia o la comunità locale. Su questo punto hanno insistito Durkheim e soprattutto Weber. L’espansione dell’acquisitività è considerata un prodotto del gra-

duale processo di individuazione, di distinzione dell’individuo dalsistema sociale. La differenziazione sociale apre la strada per il sog-getto a molteplici possibilità di formarsi un’identità che lo contrap-pone alla società, piuttosto che integrarlo in essa. Rispetto alle società pre-industriali, la relazione individuo-società

assume una maggiore connotazione dialettica che apre gli steccati del-l’angusto perimetro nel quale era costretta l’identità dei singoli membridella comunità. Al fine di comprendere la combinazione di ascrizione e acquisi-

zione per quanto concerne la divisione del lavoro sociale (Durkheim1893) tra uomini e donne, è necessario concepire il tessuto sociale nonsolo come insieme di reti in cui gli individui sviluppano appartenenzemultiple, ma anche come prodotto storico delle relazioni tra gruppientro i quali gli individui costruiscono la propria soggettività. Il sociologo deve chiedersi in che misura il micro cosmo conside-

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rato sia connesso alla più ampia organizzazione storico-sociale dellerelazioni di genere. La (ri-)produzione delle diseguaglianze può essere compresa tra-

mite il concetto bourdeusiano di incorporazione che chiarisce la naturamateriale e allo stesso tempo simbolica delle diseguaglianze sociali. L’incorporazione è un processo duplice, in quanto si manifesta sia

sul versante delle categorie attraverso le quali gli individui definisconola realtà, sia sul versante delle pratiche, essendo queste frutto di dispo-sizioni, gli habitus, acquisite nel tempo dal soggetto (Bourdieu 2009).Questo duplice processo è presente sia in coloro che ne traggono

vantaggio sia in coloro che lo subiscono (Bourdieu 1998).È proprio l’intreccio tra aspetti simbolici e materiali a fornire una

prima generale spiegazione alla persistenza delle diseguaglianze digenere anche nei paesi economicamente più sviluppati: nonostantele profonde trasformazioni degli ultimi decenni, con l’incrementosignificativo della forza lavoro femminile, le diseguaglianze di generepersistono, espandendosi in alcuni campi, contraendosi in altri, cam-biando natura in altri ancora. Le diseguaglianze possono, dunque, essere apprese per via di so-

cializzazione, ma anche rimodulate e reinventate dalle pratiche messein atto dai soggetti sulla base della loro esperienza passata e della si-tuazione specifica che vivono. È possibile attribuire la persistenza di diseguaglianze di genere

alla sola variabile culturale, e cioè alla persistenza di una cultura ses-sista? Non si rischia un determinismo che non tiene conto della na-tura “plastica” (Bagnasco 2003) degli esseri umani?La teoria della pratica di Bourdieu può essere utile a evitare que-

sto rischio, ma restano da individuare i processi attraverso i qualiuna data diseguaglianza sociale prende forma, gli attori (individualie collettivi)4 che la producono e coloro che la modificano. Il socio-logo deve comprendere come alcune condizioni generali determi-nano situazioni particolari, e come gli attori implicati definisconotali situazioni e sviluppano strategie per affrontarle5.

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4 Seguendo la prospettiva di Bourdieu, si parla di “individui sociali”, perchégli individui sono socializzati e inseriti in reti di relazioni sociali. Quando si con-sidera la loro azione gli individui sono definiti “agenti”. Questa concettualizzazionerisulta comoda anche per distinguere l’azione individuale da quella collettiva.

5 I termini della questione sono già ben definiti da Merton in Teoria e Strut-

A questo proposito bisogna considerare che l’azione umana è in-fluenzata non solo da vincoli culturali in senso stretto, ma anche davincoli tecnologici, geografici, politici ed economici. Questi vincolipossono aprire nuove possibilità divenendo risorse che l’attore puòimpiegare per tentare di trasformare lo stato delle cose.Nel nostro caso, determinati gruppi sociali – non necessariamente

le donne nel loro complesso – possono sfruttare le nuove situazioniche si presentano loro, attingendo da queste risorse, e spingere per ilcambiamento sociale. Enunciato il quadro teorico generale del lavoro, è il caso di chia-

rire il concetto di genere. A questo è dedicato il prossimo paragrafo.

1.2. La relazione di genere: una costruzione sociale asimmetrica

Le diseguaglianze di genere sono spesso tollerate, sottovalutate, o nonriconosciute perché considerate erroneamente dal senso comunecome equivalenti delle differenze sessuali. Ciò dipende dal fatto chela divisione del lavoro sociale si basa su un insieme di attività e compitiche vengono differenziati tra gli individui in funzione del loro statusbiologico-sessuale: un processo che trasforma la sessualità biologicain genere (Rubin 1975). Questo processo, riscontrabile con modalitàe contenuti differenti in diversi luoghi ed epoche, favorisce nel tempoil consolidamento di stereotipi, come questo: “si presume che gli uo-mini si concentrino sui simboli esteriori del successo, come il danaro,lo status, la carriera, mentre si suppone che le donne si sentano gra-tificate dalla consapevolezza di aver fatto un buon lavoro”6.Stereotipi ovviamente legati alle aspettative culturali.Sesso biologico, ideali e ruoli di genere sono aspetti diversi delle

differenze tra uomini e donne. Non solo, a questi tre aspetti si deveaggiungere un quarto, l’identità di genere.

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tura sociale, opera pubblicata nel 1949 e poi ampliata nel 1957 e nel 1968. Inparticolare nel primo dei 3 volumi, il sociologo statunitense nota come la strut-tura sociale si trasformi per effetto dell’interazione tra l’aggregazione delleazioni individuali e quelle che sono le caratteristiche consolidate della strutturasociale stessa (Merton 1957).

6Whittington H.G. The frenzied life of a Type A woman, in “San FranciscoChronicle”, 8 luglio 1982.

La supposizione che questi quattro aspetti siano in armonia traloro è errata; tra l’altro identità, aspettative e ruoli di genere sono incontinua trasformazione (Smelser 2007).Pertanto poco convincenti appaiono sia la prospettiva teorica “es-

senzialista-culturalista”, una delle quattro teorie femministe sulla dif-ferenza sessuale illustrate da Piccone Stella e Saraceno (1996), sial’analisi sociologica di stampo funzionalista. La prima schiaccia i ruoli di genere sulla dimensione biologica,

ipostatizzando come qualità femminili quelle che sono caratteristichedei ruoli socialmente costruiti e connettendo questi alla capacità bio-logica della donna di procreare. La seconda (Parsons e Bales 1955), per diversi aspetti assimilabile

alla prima, porta a considerare come funzionale alla riproduzione so-ciale la divisione tra lavoro domestico, femminile, e lavoro remune-rato, maschile, in nome della necessità per la famiglia di tenere bendistinti ruoli strumentali (maschili) e ruoli espressivi (femminili). Cisarebbe da chiedersi, ammesso che questi ruoli debbano (possano?)essere funzionalmente separati, perché mai la strumentalità debba es-sere maschile e l’espressività femminile. La tesi della naturalità dei ruoli maschili e femminili era stata

sconfessata da Margaret Mead (1935), che nel suo studio su tre tribùdella Nuova Guinea aveva svelato la natura di costrutto sociale delledifferenze di genere: queste assumono connotati specifici in ogni so-cietà; la distinzione biologica tra i sessi si può collegare a ruoli chevariano nel tempo e nello spazio.La teoria femminista delle differenze situate è in linea con questa

posizione, ma forse la complica ulteriormente: la distinzione tra bio-logico e sociale sfuma, in quanto il genere non è considerato unaforma culturale che accoglie le differenze sessuali preesistenti, ma è“il modo in cui storicamente e socialmente, in un determinato con-testo, si attribuiscono significati (variabili) a queste differenze fisichee rilevanza ai fini della differenziazione sociale” (Piccone Stella e Sa-raceno, ivi, 19).Le aporie teoriche dell’essenzialismo e del funzionalismo costitui-

scono, dunque, la cartina di tornasole di un fenomeno ben preciso:le differenze tra i sessi hanno costituito il pretesto per la costruzionedi una disparità storicamente determinata che vede la divisione dellavoro, l’attribuzione dei compiti quotidiani, l’accesso alla sfera in-tellettuale e politica regolate a favore del genere maschile (Scott 1988).

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Più problematica e interessante è la teoria di Chodorow (1978),considerabile come una variante della prospettiva essenzialista (Pic-cone Stella e Saraceno 1996, ivi). L’attenzione è posta sulla socializzazione primaria, in particolare

sul rapporto tra madre e figlio: l’esperienza di accudimento sarebbevissuta diversamente da maschi e femmine in funzione della diversarelazione di genere con la madre; specificatamente ciò che conta sa-rebbe il distacco dalla madre, aspetto che inciderebbe sull’identitàdi genere. Questa teoria, di stampo psicoanalitico, non rende, però,conto delle successive fasi della socializzazione, compresa l’auto-so-cializzazione dei bambini nell’interazione con i pari.Essa inoltre non considera il fatto che la separazione tra madre e

figlio avviene all’interno di “riti di passaggio” che scandiscono l’or-ganizzazione sociale dello spazio e del tempo. Chodorow ha peraltro il merito di sottolineare l’influenza eser-

citata dalla socializzazione primaria e, aggiungo, secondaria, nel de-finire le identità di genere. Ad esempio, si può anticipare che laricerca qui presentata sulle carriere delle dipendenti in due organiz-zazioni diverse, un’amministrazione pubblica e una multinazionale(cap. 3), giunge a dei risultati inquadrabili in una cornice teoricache ritiene centrali, nell’analisi delle diseguaglianze di genere, il saper“fare squadra” e il saper partecipare a reti informali, leOld Boys Net-works7 (Palomba 2000; Giannini e De Feo 2008). Nell’ottica diChodorow si tratterebbe di due competenze sviluppate in manieradiseguale da maschi e femmine, essendo diversa la loro esperienzaludica infantile e adolescenziale. Tali competenze sono oggi richieste dalle organizzazioni del ter-

ziario avanzato, bacino occupazionale in cui il tasso di femminiliz-zazione è relativamente alto, anche in Italia (Farinella e Parziale2008); questo aspetto può svantaggiare la componente più qualifi-cata della forza lavoro femminile in termini di carriera.La scarsa presenza di queste due competenze tra le donne viene

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7 Negli studi di genere questa espressione è molto diffusa; essa sta letteral-mente per “reti di vecchi ragazzi”, con riferimento a uomini che hanno fre-quentato stesse scuole, stesse università, ed hanno altre esperienze in comunetali da consolidare il reciproco aiuto per il perseguimento dell’interesse perso-nale di ognuno e del gruppo nel suo insieme.

spiegata diversamente da altre prospettive teoriche: si tratterebbe dicompetenze tendenzialmente non “praticabili” dalle donne, la cuiposizione sociale non permette loro a priori di fare squadra e di par-tecipare alle reti informali consolidate nel tempo dagli uomini. A questo proposito, Collins (1992, ivi) comprende il genere tra

i principali fattori di stratificazione produttori di diseguaglianze so-ciali. Per il sociologo statunitense l’ordine sociale è fondato sul do-minio maschile; esso trae origine dalla superiorità fisica degli uomini,aspetto che in passato ha reso possibile la presa del potere tramite lasottomissione della donna come proprietà sessuale. Con la formazione delle società moderne questo meccanismo si

è decisamente indebolito, non solo per il minore ricorso alla forzafisica, ma soprattutto per la crescente disponibilità di risorse econo-miche da parte delle donne: le trasformazioni del capitalismo piùmaturo hanno contribuito alla ridefinizione delle relazioni socialitra i generi, avendo aperto alle donne opportunità economiche im-pensabili in passato. Il discorso si potrebbe completare affermandoche l’indipendenza economica rende più agibile anche l’azione po-litica. Anche se è proprio la dimensione del potere politico ad essereancora declinata al maschile.Si potrebbe aggiungere che i metodi contraccettivi hanno liberato

le donne dalla sottomissione come proprietà sessuale. La prospettiva di Collins consiste, dunque, nel considerare le di-

seguaglianze di genere sulla base del contributo di diversi fattoristrutturali nel determinare le relazioni di potere tra uomini e donne;per alcuni aspetti questa prospettiva appare richiamarsi agli studi suiconflitti etnici, considerando uomini e donne come due gruppi so-ciali separati e in conflitto per l’accaparramento di risorse scarse.La prospettiva marxista condivide l’idea del dominio maschile

espressa da Collins, ponendo l’accento sulla stretta connessione trail modo di produzione capitalistico e la divisione di genere.Una posizione di rilievo è stata assunta inizialmente da Engels

(1884) che ha affrontato la questione di genere, collegandola alla di-visione di classe: vanno distinte le borghesi dalle proletarie, perché leprime sono dedite alla riproduzione della borghesia piuttosto che alleattività economiche, svolte tanto dagli operai quanto dalle operaie. Engels sottolinea la natura istituzionale, e pertanto mutabile,

della famiglia e la relazione esistente tra tipo di struttura familiare econdizione della donna.

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La sua analisi ha il merito di mettere in guardia i sociologi dalconsiderare la donna in maniera astratta.Su questo punto, sociologhe come Crompton (1999) si sono

spinte oltre, proponendo una teoria delle diseguaglianze sociali checonsideri nei processi di stratificazione sociale una combinazione tragenere, situazione di lavoro, livello di istruzione, età ed etnia. Tuttavia è stato proprio il riconoscimento dell’attività domestica

come lavoro non remunerato ad aprire la strada a una teoria dellaproduzione sociale allargata. Sociologi di derivazione marxiana come Touraine hanno chiarito

il nesso tra femminilizzazione del lavoro e mercificazione delle atti-vità riproduttive, compresi i servizi domestici (Touraine 2000).Negli ultimi due decenni si sono studiate le diseguaglianze di ge-

nere attraverso il modo in cui lavoro retribuito e lavoro domesticosono combinati. Emerge con forza la divisione diseguale dei compitie delle attività tra gli uomini e le donne: il confinamento totale o par-ziale delle donne nelle attività domestiche riduce la loro possibilitàdi accesso alle risorse economiche e a quelle di potere e prestigio.Le teorie che si concentrano sulla “doppia presenza” (Balbo 1978;

Giannini 1994; Gambardella 1998) individuano nel carico di lavorodomestico diseguale tra i due generi uno dei principali ostacoli al-l’eguaglianza di opportunità nel campo professionale. Stesso discorsovale per l’analisi della diseguale allocazione nel mercato del lavoro,con la distinzione tra un settore centrale e uno marginale e svantag-giato (non solo dal punto di vista remunerativo) in cui la maggiorparte delle donne occupate si trova (Barron e Norris 1976).La diseguale allocazione di uomini e donne nel mercato del la-

voro è stata attribuita alla riproduzione dell’organizzazione socialepatriarcale, la cui logica d’azione non va confusa con quella squisi-tamente capitalistica.Sulla relazione tra patriarcato e capitalismo femministe e marxisti

si sono scontrati, giungendo poi a una sintesi con Hartmann (1976,1981): il capitalismo definisce la struttura occupazionale, ma è il pa-triarcato, inteso come dominio degli uomini sulle donne elevato a si-stema sociale, a stabilire l’allocazione nelle varie occupazioni.A questo proposito Cacouault-Bitaud (2009) afferma che i cam-

biamenti tecnologici e culturali hanno modificato diversi aspetti dellavoro, mettendo in crisi alcuni valori socialmente definiti “maschili”,valorizzando caratteristiche alle quali le donne sono socializzate.

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Questo cambiamento culturale ha messo in discussione “l’orga-nizzazione dello spazio sociale delle professioni”, rendendo menodifficile per le donne accedere al settore economico centrale e alleprofessioni più qualificate. Tuttavia, l’accesso resta diseguale e non èraro l’abbassamento dello status delle professioni esercitate da unnumero sempre più alto di donne: gli uomini, detentori del poteresimbolico, riescono a far perdere prestigio, e quindi potere politicoed economico, alle professioni che si femminilizzano. L’impostazione di Cacouault-Bitaud può essere chiarita tramite

la comparazione con la teoria femminista di stampo de-costruzionistache riconduce il dominio maschile nella stessa struttura del linguag-gio. Il genere stesso sarebbe un costrutto derivante dalla definizionelogocentrica occidentale basata sul primato del soggetto, pensato ta-citamente al maschile. Per le femministe de-costruzioniste la strada dell’emancipazione

consisterebbe nella liberazione stessa dalle categorie linguistiche chedanno vita a un discorso funzionale alla distinzione tra uomo e donna. Cacouault-Bitaud, al contrario delle de-costruzioniste, crede che

proprio le trasformazioni culturali possano aprire la strada alla ride-finizione dell’universo simbolico e a un maggiore equilibrio tra i va-lori maschili e quelli femminili.L’accento sulla dimensione culturale può far correre il pericolo,

però, di offuscare le relazioni di potere che portano a stabilire cosasia maschile e cosa femminile, associando alla prima categoria unvalore superiore a quello attributo alla seconda. Questo sembra esserel’avvertimento di Bourdieu (1998, op. cit).Le trasformazioni del lavoro, in quest’ottica, avvengono sia sul

versante culturale sia su quello economico, aprendo spazi di azioneper le donne, che possono accedere a occupazioni che perdono sta-tus, perché si riducono i vantaggi di mercato ad esse connesse. Bourdieu ha il merito di offrire un quadro teorico di più ampio

respiro che rende conto dei meccanismi di costruzione sociale delladifferente visione del mondo dei due generi. Le categorie mentaliderivano “dall’esposizione esistenziale del soggetto a un determinatoinsieme di condizioni e condizionamenti sociali” (2009, XI). Le categorie mentali sono differenziate a seconda della posizione

che il soggetto occupa nello spazio sociale. Peraltro, tale posizionenon è fissa: la sua natura è socialmente determinata dalla relazioneche il soggetto intesse con gli altri (Bourdieu 1983, ivi).

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Per il sociologo francese il dominio si fonda sulla violenza sim-bolica, invisibile, che trasforma l’arbitrio culturale in principio na-turale. Nel caso del dominio di genere si tratta di un processo che“biologizza il sociale” e “socializza il biologico” (Bourdieu 1998, ivi).Il meccanismo alla base di questo processo consiste nella scelta

arbitraria di alcune (e solo alcune) caratteristiche distintive dei duesessi utili a dare una giustificazione naturale alla diseguale riparti-zione dei compiti, degli spazi, della classificazione tra uomini edonne, stabilendo attraverso riti e pratiche istituzionalizzanti comei giochi d’infanzia ciò che è maschile e ciò che è femminile:

“la definizione sociale degli organi sessuali, lungi dall’essere una sem-plice registrazione delle proprietà naturali, direttamente offerte alla per-cezione, è il prodotto di una costruzione operata a costo di una seriedi scelte orientate, o meglio, attraverso l’occultazione di certe differenzeo la scotomizzazione di talune similitudini” (ivi, 23).

In tal modo la forza dell’ordine maschile non deve giustificarsi,non ha bisogno di discorsi legittimanti, ma tacitamente viene praticatodalle istituzioni pubbliche (scuola compresa) oltre che nella famiglia.Le categorie mentali sono dunque “agite”, perché fuse nella prassi.

Attraverso le pratiche le disposizioni sociali sono messe in atto. Ilcomportamento del soggetto va ben oltre l’interpretazione di regolee norme socio-culturali, ma si basa su un “ragionamento pratico”,frutto di disposizioni socialmente acquisite, gli habitus. Nel caso dellarelazione di genere si può, dunque, parlare di habitus sessuati. Di qui l’ordine sociale androcentrico appare neutro perché in-

terpretato tramite specifiche categorie mentali; queste categorie sonoincorporate a tal punto dai soggetti che viene occultata la stessa co-struzione sociale dei corpi, del maschile e del femminile. Quando non accettano lo status di dominate le donne adottano

spesso strategie simboliche deboli, perché le armi che impiegano sonocostruite col materiale di cui è fatta un’organizzazione sociale andro-gena. Questo, come vedremo, è uno dei principali risultati della ri-cerca sulle urbaniste a Napoli (cap. 4). In questo modo pare che le donne siano destinate a subire un trat-

tamento diseguale rispetto agli uomini. In realtà c’è una via di uscita,secondo Bourdieu. Gli individui sono esseri plastici che possono compiere una serie

di traiettorie, ma solo quelle che di volta in volta si rendono possibili

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sulla base delle loro disposizioni, trasformando l’esperienza passatain anticipazione del futuro. I soggetti non sono attori razionali toutcourt, ma sono comunque agenti (Bourdieu 2009 ivi).Il percorso di ogni agente costituisce una traiettoria sicuramente

sociale – perché attivata da habitus frutto di socializzazione – ma co-munque unica, essendo prodotta dal modo in cui il soggetto riela-bora nel tempo la posizione sociale nella quale si trova.Tale rielaborazione dipende anche dalle possibilità aperte da

norme esterne all’agente e costituenti le “regole del gioco” del campo(quest’ultimo è inteso come insieme organizzato di relazioni istitu-zionalizzate nel tempo e orientate alla competizione su una data postain gioco) al quale il soggetto partecipa perché interessato (nel sensoche prende parte per ottenere risorse simboliche e/o materiali)8. L’analisi delle diseguaglianze di genere richiede, dunque, un la-

voro analitico teso a specificare il tipo di donne considerate, sullabase della loro storia sociale e del campo indagato, per poi compren-dere le “ragioni pratiche” che portano alla ri-produzione o al muta-mento delle diseguaglianze stesse. Non solo: la vicinanza nello spazio sociale, in termini di omofilia

(somiglianza di habitus e caratteristiche sociali) tra gli agenti, rendepossibile l’azione collettiva; essa nasce grazie al riconoscimento reci-proco di agenti socialmente simili, che decidono, riuscendovi, difondere le loro traiettorie individuali.Riconoscimento dei simili vuol dire anche esclusione dei diversi:

Bourdieu parla di principio di omofilia, concetto che richiama quellodi omogamia di Moss Kanter (1988). Quest’ultima considera i comportamenti femminili sulla base di

un fattore strutturale come la differente presenza numerica, in undato ambito, dei membri dei diversi gruppi sociali. Nel caso delle

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8 L’interesse non è considerato in senso economico come a priori dell’azione,secondo l’impostazione tipica dell’economia neo-classica o di prospettive so-ciologiche come la teoria della scelta razionale. Esso è considerato come prodottonon del tutto chiaro al soggetto, frutto della sua traiettoria sociale: l’agente sullabase di una certa traiettoria entra in un campo e finisce per seguirne le regole,a patto che esse siano compatibili almeno in una certa misura con i suoi habituspersonali, pena l’uscita dal campo stesso. Solo quando esiste un minimo dicompatibilità è possibile l’azione anche conflittuale da parte dei gruppi più svan-taggiati per sovvertire le regole stesse e assumere il controllo del campo.

relazioni di genere, Moss Kanter sostiene che nei ruoli apicali all’in-terno delle organizzazioni l’elevata presenza di uomini incide sullepratiche delle poche donne dirigenti. Infatti, l’esigua presenza femminile tra i dirigenti viene conside-

rata prova della scarsa adeguatezza del genere femminile per ruoli dipotere. Moss Kanter parla di effetto token.La pressione del gruppo dominante, in questo caso gli uomini,

affinché le donne cambino il loro modo di essere, annulla l’anomaliadella loro presenza di genere. Di qui si svilupperebbe la strategia con-formistica delle dirigenti, funzionale a riprodurre lo stereotipo del-l’incapacità delle donne di dare ordini agli uomini. In alternativa, ledirigenti possono scegliere di defilarsi e, rendendosi invisibili, di nonesercitare il ruolo che la loro posizione professionale comporterebbe. Moss Kanter nota come la scelta dei dirigenti di selezionare come

collaboratori, e loro eredi, persone con le loro stesse caratteristicheproduce un meccanismo di assimilazione del diverso che non rendepraticabile un’effettiva pari opportunità tra i gruppi.Questa teoria può essere complementare a quella di Bourdieu se-

condo la quale si può sostenere che il saper fare squadra e il prendereparte a reti informali che distribuiscono vantaggi sociali, le Old BoysNetworks, non sono frutto della scarsa dotazione di queste due com-petenze da parte delle donne; queste ultime, infatti, sono abituata apratiche differenti perché vivono una situazione di diseguale accessoalle carriere. Ed è proprio questo a impedire loro la possibilità di faresquadra e partecipare a reti informali vantaggiose.Una prospettiva che consideri aspetti strutturali come la diversa

dimensione numerica dei gruppi in un ambito, il principio di omo-filia (o omogamia), funzionante anche in maniera tacita e le formedi istituzionalizzazione del potere simbolico, porta non solo a capo-volgere l’analisi tradizionale delle diseguaglianze di genere, ma for-nisce strumenti per la ricerca empirica, aprendo le possibilità alsociologo di individuare meccanismi sociali ancora più specifici, ade-guati a classificare le situazioni concrete in diversi tipi/forme di di-seguaglianze di genere e a comprenderne la riproduzione.Questa prospettiva appare convincente, soprattutto se si insiste

su due aspetti, tra loro complementari:

a) se la razionalità umana è processuale e strettamente legata allapratica, come indica Bourdieu, allora le preferenze non sono con-

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cepibili come date una volta per tutte, ma sono mutevoli e fruttodi una traiettoria che porta all’inter-esse9 in un dato campo (adesempio far parte di un dato mercato professionale). Tale interessecomporta l’accettazione, almeno in parte, delle regole del gioco,comprese le competenze richieste;

b) l’esercizio di queste competenze dipende a sua volta dalle risorsepossedute e dalla concrete possibilità di usarle. Queste possibilitàsono strettamente connesse al sistema di stratificazione sociale,ossia alla condizione sociale specifica vissuta dal soggetto.

Sen (2010) propone la distinzione tra funzionamenti, capacità erisorse. I primi sono insiemi di elementi dello star bene delle persone,del loro “funzionamento” appunto. Le capacità (capabilities) costi-tuiscono un concetto che per l’economista indiano fa riferimentoalla libertà di perseguire un dato funzionamento. Le risorse, infine,sono uno strumento dello star bene.La teoria dell’uguaglianza delle capacità concepisce le pari op-

portunità come un problema di libertà di scegliere tra diversi modidi essere e di avere. Sen supera pertanto la distinzione tra uguaglianzadi opportunità e uguaglianza di risultati: l’approccio fondato sullecapacità riconosce che la libertà è collegata a entrambi, ma non coin-cide con alcuno dei due.In altri termini, porre in alternativa libertà ed eguaglianza è un

errore categoriale:

“la libertà è uno dei possibili campi d’applicazione dell’eguaglianza, el’eguaglianza è una delle possibili configurazioni della distribuzionedelle libertà” (2010, 42).

Le diseguaglianze di genere vanno dunque analizzate considerandol’interazione tra genere, classe sociale di origine, traiettoria professio-nale, e altri fattori di stratificazione. Tirando le fila, la prospettiva teorica di Bourdieu, integrata dal-

l’analisi strutturalista di Moss Kanter e arricchita dalla visione piùampia delle diseguaglianze sociali promossa da Sen, può costituire

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9 Il lettore torni alla nota precedente.

un quadro teorico utile a guidarci nell’analisi delle diseguaglianze digenere.Le ricerche presentate in questo libro sono state orientate proprio

in tal senso, concentrando l’attenzione sul mondo del lavoro in di-versi ambiti territoriali e professionali del nostro Paese. Sono state prese in considerazione sia l’organizzazione sociale (in

termini di norme diffuse, regole vigenti, relazioni politico-economi-che consolidate, etc.), su scala nazionale e locale, sia le pratiche deisoggetti studiati, a seconda della loro posizione nel sistema di strati-ficazione sociale e della specifica situazione di lavoro.Emergono tre diverse forme di diseguaglianza di genere nel

mondo del lavoro: la diseguaglianza di reddito da lavoro, di poterepolitico, di capacità professionale. Esse sono compresenti, tuttaviaognuna delle ricerche qui presentate affronta prevalentemente unadelle tre forme, analiticamente distinte. La conoscenza dei meccanismi riproduttivi di queste tre forme di

diseguaglianza apre la strada a nuove opportunità di emancipazione.Prima di illustrare le ricerche fornirò un quadro di insieme degli

studi sulle diseguaglianze di genere nel lavoro, in maniera da chiarirele diverse dimensioni analitiche considerate in letteratura e ripreseanche nella presentazione delle ricerche.

1.3. Le diseguaglianze di genere nel lavoro

Dagli anni Ottanta del XX secolo in tutti i Paesi più industrializzatil’espansione del terziario ha favorito un aumento progressivo della com-ponente femminile nel mercato del lavoro. Tasso di attività e tasso dioccupazione femminili sono aumentati sensibilmente (Semenza 2004).Questo fenomeno non è dipeso solo dalla crescente scolarizza-

zione delle donne e dai più ampi progressi in campo politico-cultu-rale, ma anche da dinamiche economiche che hanno dato vita a unavera e propria innovazione sociale, come indica Gershuny (1993).Il sociologo britannico si è concentrato sul contributo che l’au-

mento del tempo libero, dovuto all’innovazione tecnologica, ha avutosulla rimodulazione della divisione del lavoro tra uomini e donne. Tutto ciò ha favorito un innalzamento del livello medio dei con-

sumi legati al tempo libero. Questo cambiamento, combinato all’espansione della scolariz-

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zazione, ha messo in crisi il modello del male breadwinner, sia per lanascita di una nuova identità femminile più orientata alla realizza-zione professionale e personale, sia per la necessità di ottenere unreddito familiare più alto, adeguato ai nuovi livelli di consumo. La femminilizzazione del mercato del lavoro non è stata, però,

uguale in tutti i Paesi industrializzati, nonostante la presenza di carat-teristiche comuni. Molto dipende dal tipo di regime di welfare (Esping-Andersen 2000). Nei regimi più orientati all’universalismo e incentratisui bisogni delle classi lavoratrici il numero delle occupate è più alto ele loro condizioni di lavoro e di vita sono meno svantaggiate. Anche altri aspetti della regolazione sociale risultano importanti

per l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro. Tra questi vannoricordati il tipo di politica fiscale (Saraceno 2003) e l’investimentonei servizi socio-assistenziali (Naldini 2006). Gli economisti riscontrano una maggiore elasticità dell’offerta

femminile rispetto a quella maschile: le donne sarebbero più sensibilialle politiche sia macro-economiche sia micro-aziendali e avrebberocomportamenti più eterogenei degli uomini in termini di parteci-pazione al mercato del lavoro. La probabilità che lavorino cresce inmaniera significativa quando il salario offerto supera i costi ripro-duttivi legati alla cura di bambini e anziani. La sociologia della famiglia, opponendosi all’analisi semplificata

degli economisti, ha messo bene in luce, in Italia come negli altriPaesi industrializzati, il nesso tra incremento delle occupate, dimi-nuzione dei carichi domestici e disponibilità di servizi alla famiglia(Saraceno 2003, ivi).Se è vero che gli indicatori di modernizzazione e di partecipa-

zione delle donne al mercato del lavoro sono molto associati; è al-trettanto vero che persistono vecchie diseguaglianze e ne nascono dinuove, nonostante una più equa distribuzione dei vantaggi (e deglisvantaggi) sociali tra i generi nelle coorti più giovani.In particolare è nei Paesi del Sud Europa, Italia compresa, che

queste diseguaglianze appaiono più accentuate (Semenza 2004, ivi).Innanzitutto, persistono le cosiddette diseguaglianze allocativa e

valutativa: la prima consiste nel fatto che le donne trovano più fa-cilmente lavoro nel settore marginale del mercato del lavoro, otte-nendo così salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori; la secondaè data da una valutazione tendenzialmente peggiore delle donne ri-spetto agli uomini. A parità di organizzazione e livello professionale,

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le donne ricevono una retribuzione inferiore e incontrano più osta-coli nella carriera, nonostante la presenta di norme anti-discrimina-torie e favorevoli alle pari opportunità (Giannini 2009).Questi due tipi di diseguaglianze si intrecciano con una più ge-

nerale segregazione, orizzontale e verticale. La prima consiste nellaconcentrazione delle occupate in pochi comparti: educazione e in-segnamento, servizi sociali e medicina; basti pensare che nel 2001in Europa il 59% delle occupate lavorava in solo 6 dei 60 comparticensiti dalle statistiche dell’Unione (Semenza 2004, ivi). Molte di queste attività sono concepibili come il prolungamento

nel mercato delle attività di cura prestate in famiglia: l’espansione delwelfare state ha nel tempo dato vita a un mercato del lavoro femminilesegregato, che non ha messo in discussione la divisione tra lavoro pro-duttivo maschile e lavoro improduttivo femminile (Giannini 2000). Diverse sociologhe del lavoro in Italia hanno sottolineato il fatto

che le capacità relazionali e gestionali, tipiche del lavoro domesticoe di cura, sono servite a giustificare la segregazione orizzontale,quando potrebbero essere considerate un valore aggiunto per i lavoriche le richiedono, se valutate in maniera neutra (ivi; Beccalli 2005):le stesse organizzazioni del terziario avanzato fanno di queste duecapacità il perno dello sviluppo aziendale. Se è vero che la segregazione orizzontale non presuppone necessa-

riamente la diseguaglianza, ma è per lo più indicatore delle differenzesessuali (Blackburn, Jarman e Brooks 2000), è altrettanto vero che laconcentrazione in determinate attività può facilitare una distinzionetra lavoro maschile e lavoro femminile sfavorevole, almeno allo statoattuale, alle rivendicazioni di una reale eguaglianza tra i generi. Infatti,se riprendiamo quanto detto nel paragrafo precedente in merito allaquestione della relazione tra femminilizzazione di un’occupazione esua perdita di status, è ragionevole pensare che la concentrazione inpoche occupazioni possa facilitare l’inaccettabile riproduzione di di-scriminazioni anche nelle relazioni sociali extra-lavorative. Gli studi di sociologia delle professioni mostrano la combina-

zione di segregazione orizzontale e verticale che vede le donne svol-gere solo a livello nominale professioni ad alta qualificazione, mentrenella sostanza finiscono per dedicarsi ad attività in cui il principiodel professionalismo è chiaramente messo in discussione (Giannini1998, 2003, 2008). Si tratta di una diseguaglianza che mette in discussione la libertà

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di realizzazione professionale delle persone. Essa riguarda quei sog-getti ad alta qualificazione impossibilitati sia a svolgere appieno icontenuti della loro professione, sia a lavorare secondo quel gradodi autonomia che, lungo il loro percorso formativo, le istituzionipubbliche e le organizzazione economiche hanno loro promesso(Parziale 2008a). Alla diseguaglianza di capacità professionale si sommano due di-

seguaglianze più tradizionali: la diseguaglianza di reddito da lavoroe la diseguale mobilità professionale, intesa come possibilità di farecarriera, per lo più all’interno della stessa organizzazione. La primadiseguaglianza è di tipo economico, la seconda di tipo politico. In Italia si registra una diseguaglianza retributiva superiore agli

altri Paesi (Giannini 2009, ivi). Infatti, anche quando si considerano lavoratori con eguale capitale

umano in termini di livello di istruzione, anni di anzianità, livello diprofessionalità, risulta per le donne sia una diseguale opportunità diaccesso all’occupazione e del suo mantenimento (Bison, Pisati eSchizzerotto 1996; Bianco 1997; Saraceno 2003, ivi), aspetto che negliultimi anni si affianca alla maggiore diffusione tra le donne del lavoronon standard (Semenza 2004, ivi), sia un differenziale retributivosensibile. Al Nord le diseguaglianze di genere sono relativamente più ri-

dotte nell’accesso al lavoro e nella durata delle carriere lavorative; alSud il titolo di studio il titolo di studio fa aumentare la partecipa-zione al mercato del lavoro (Giannini 2004). Nel Sud, come in tuttal’Europa meridionale, il mercato del lavoro funziona secondo unmeccanismo di selezione gerontocratico e sessista: è molto più facileche a lavorare siano persone delle coorti di età più anziane (tra quellein età lavorativa) e di sesso maschile. Per quanto concerne i lavoratori dipendenti, comprese le figure

professionali più qualificate, la diseguaglianza retributiva si producein quella parte della retribuzione dipendente dalla “mano visibile”dell’organizzazione con le sue regole e norme (la cosiddetta contrat-tazione di secondo livello); mentre le diseguaglianze reddituali nelleprofessioni indipendenti, e in particolare in quelle caratterizzate daalto reddito, dipendono dal modo in cui gli ostacoli alla mobilitàsociale si articolano in maniera differente a seconda della combina-zione tra classe sociale di origine e genere (Giannini e Parziale 2010). La diseguale mobilità professionale produce la segregazione ver-

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ticale, consistente nella difficoltà di accesso a posizioni apicali daparte delle donne: queste ultime devono superare molti più ostacolidegli uomini per fare carriera.Il tipo di società locale (Bagnasco e Negri 1994), con la sua strut-

tura familiare, cultura e mercato del lavoro, e con le sue norme tacitee radicate sulla divisione sessuale dei compiti, gioca un ruolo fonda-mentale in entrambi i tipi di diseguaglianza. È la relazione tra regolazione sociale nazionale e locale, modello

organizzativo analizzato e funzionamento di uno specifico mercatoprofessionale a contribuire a quella dinamica esemplificata con lametafora del glass ceiling, soffitto di vetro o di cristallo10. Con essa si indica una barriera invisibile che separa i piani alti da

quelli bassi dell’organizzazione; oltre una certa soglia molte donne,pur qualificate e competenti, non riescono ad andare, battendo la testa:di qui lo spreco di tante professionalità femminili inespresse (Palomba2000, ivi). Continuando con la metafora, la rigidità organizzativa, ba-sata su norme legate ancora alla logica del male breadwinner, apparecome un pavimento “appiccicoso” (Isfol 2010) che rende difficoltosala progressione di carriera.È questa una delle più importanti diseguaglianze che le donne

pagano sul lavoro, dato il crescente numero di aspiranti a posizioniapicali.Quando le donne riescono ad acquisire potere, l’asimmetria della

relazione di genere si mostra con maggiore violenza. Ad esempio, ledonne sono costrette a fare scelte obbligate come quella tra carrierae vita privata, cosa che non avviene per gli uomini.La scelta non è fatta una volta e per tutte, come in maniera sem-

plicistica crede Hakim (2000), ma si rimodula secondo una costru-zione identitaria più flessibile, in linea con le opportunità e i rischidel contesto economico attuale. In ogni caso, anche quando vengono costruite strategie adattive

da parte dei giovani, in funzione di una messa in discussione del-l’organizzazione familiare e di relazioni di genere più eque, il rischioè che il successo professionale di una donna venga pagato da un’altradonna, attraverso il ricorso all’esternalizzazione di parte (o tutto) illavoro domestico.

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10 Questa espressione fu coniata dal settimanale Adweek nel 1984.

Questo fenomeno riguarda non più solo le famiglie borghesi, maanche quelle del ceto medio e addirittura le classi lavoratrici, comeattesta l’enorme espansione del lavoro di cura, caratterizzato dal pro-tagonismo delle donne del Sud del mondo nell’attivazione delle ca-tene migratorie (Ehrenreich e Hochschild 2004).Dietro l’etnicizzazione del lavoro di cura si cela una grave dise-

guaglianza sociale, spesso declinata al femminile, in quanto l’ester-nalizzazione del lavoro domestico (sia esso distribuito in manieradiseguale o meno), dovuta alla difficile conciliazione tra vita privatae un lavoro sempre più poroso (Borghi e Rizza 2006) e pervasivo(in termini materiali, simbolici, sociali), contribuisce all’espansionedei lavoratori marginali addetti ai servizi alle famiglie.La scarsa produttività di questo tipo di servizi (Paci 2005), con

l’acquisto anche da parte dei lavoratori a medio o basso reddito, dàinevitabilmente vita a condizioni di lavoro intrinsecamente prive dipotere.Il lavoro domestico, spesso configurandosi secondo una relazione

“simil-servile”, fa scontare alle migranti una grave diseguaglianza dalpunto di vista del potere economico, politico, simbolico, per non par-lare della diseguaglianza in termini di capacità professionale. La reclusione tante ore in casa, come avviene con il lavoro di ba-

dantato, rende marcatamente materiale quella che è l’organizzazionesociale degli spazi a seconda del genere.Questo meccanismo perverso, che vede l’esternalizzazione della

diseguaglianza di genere dalle lavoratrici autoctone alle straniere,chiama in causa la necessità di ristrutturare profondamente il sistemadi welfare, puntando alle politiche per l’infanzia e a nuove forme diorganizzazione del lavoro. Ferrera (2008) parla di fattore “D” a proposito delle ricadute po-

sitive sul sistema economico da parte di una riorganizzazione istitu-zionale che riequilibri i rapporti di genere nel mondo del lavoro.A mio avviso, una tale riorganizzazione potrebbe avere effetti po-

sitivi sulla stessa riorganizzazione sociale del lavoro, divenuto precarioe talmente poroso da richiedere non solo famiglie a doppio reddito,ma anche, soprattutto, istituzioni capaci di facilitare la gestione dellerelazioni di genere all’interno dei nuovi nuclei familiari: le più paritarierelazioni di genere tra le giovani coppie necessitano di una regolazionesociale appropriata alle nuove forme di lavoro e alle aspirazioni pro-fessionali emergenti.

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Questa esigenza si riscontra nella ricerca presentata nel terzo ca-pitolo e relativa alle carriere delle dipendenti di medio e medio-altolivello in due organizzazioni della Toscana. Non solo, le diseguali opportunità di carriera di impiegati e im-

piegate chiama in causa il ruolo della famiglia come agenzia che for-nisce risorse cognitive, prima ancora che capitale economico ecapitale culturale. È nelle famiglie di origine, diversificate per classe sociale e con-

seguente cultura del lavoro (Carboni 1991), che le donne in manieraprocessuale costruiscono identità ed habitus che influenzano la lorotraiettoria professionale. Una riorganizzazione istituzionale che vada nel senso sopra in-

dicato è utile a mettere in discussione anche il ruolo eccessivo dellafamiglia in Italia nel segnare il destino sociale dei soggetti e, nel no-stro caso, le differenti capacità delle donne di lavorare in azienda. Il legame tra famiglia di origine e famiglia di formazione costituisce

uno dei fili rossi delle ricerche illustrate in questo libro. Nel secondoe nel terzo capitolo emerge l’importanza del capitale sociale fornitodal partner per fare carriera e colmare il divario retributivo e di potere. L’occupazione femminile è favorita da quei welfare regionali che

coniugano i servizi per la prima infanzia con le politiche di forma-zione continua e di sostegno al reddito attraverso vari tipi di ammor-tizzatori sociali (Bergamante 2011). Ma anche nei sistemi di welfare locale orientati a questo tipo di

politiche, le donne continuano in parte a dipendere sia dal punto divista economico, sia professionale, dalle decisioni familiari.E ciò vale sia per le fasce sociali marginali (Morlicchio e Gambar-

della 2005), sia per le precarie qualificate (Arlotti e Barberis 2009).Infatti, la loro carriera risulta vincente, se hanno la possibilità di fruiredi uno stock di tempo aggiuntivo, da investire nella professione enelle reti del potere organizzativo. La famiglia (sia di origine, sia di formazione) grazie al capitale so-

ciale e culturale disponibile può fornire questa risorsa ai suoi membri. I margini di autonomia delle donne si restringono, però, ulterior-

mente quando il tempo richiesto si fonda su un percorso di formazionecontinua e complessa, aspetto tipico delle professioni intellettuali, chechiama in causa dinamiche sociali complesse come la stratificazioneinterna alle stesse professioni intellettuali (Freidson 1986). In tal caso la famiglia deve saper garantire altre risorse: non solo

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informazioni, denaro e potere, ma anche risorse cognitive, ossia de-terminate disposizioni (habitus) e categorie di classificazioni, adeguatealle situazioni che il soggetto deve affrontare. Nel quarto capitolo il caso delle urbaniste a Napoli fa emergere con

forza, però, come lo stesso capitale sociale della famiglia, distribuito inmaniera diseguale per classe sociale, anche quando è specializzato(Bianco ed Eve 1999), non basti alle donne più giovani per affermarsiprofessionalmente, dati i loro habitus sessuati che le portano a servirsidi strategie legate alla definizione della realtà imposta dagli uomini.La teoria del dominio maschile (Bourdieu 1998, ivi) trova così

la maggiore applicazione nell’analisi della diseguaglianza di capacitàprofessionale. La strategia vincente per le donne consiste, dunque, nell’immagi-

nare pratiche che permettano loro l’accesso alla sfera intellettuale e po-litica in maniera tale da rompere il circuito della riproduzione sociale.L’introduzione di tali pratiche, però, dipende da un processo bi-

direzionale di trasformazione delle istituzioni dal basso e di riorga-nizzazione del quadro istituzionale dall’alto. La natura bi-direzionale del rapporto emerge dalla triangolazione

dei risultati delle tre ricerche: non servono solo politiche pubblicheefficaci, ma anche pratiche innovative capaci di trasformare le isti-tuzioni presenti.

1.4. La riproduzione di tre forme di diseguaglianze di generenel mondo del lavoro

Le tre forme di diseguaglianze di genere qui considerate sono distintesolo in via analitica, perché spesso convivono e si alimentano.I differenziali di reddito da lavoro tra uomini e donne generano

diseguaglianze di status, ma anche di potere, e viceversa. Le minoririsorse economiche riducono le possibilità di investimento nella car-riera, così come retribuzioni più basse rafforzano l’asimmetria dellerelazioni sociali tra i generi, dentro e fuori la famiglia.Gli studi di caso qui riportati mettono in evidenza come la scarsa

mobilità sociale italiana interagisca con le diseguaglianze di genere. Nel secondo capitolo è illustrata una ricerca sulla diseguaglianza

retributiva vissuta dalle occupate in Toscana, una delle regioni ita-liane col più alto tasso di occupazione femminile.

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La Toscana, nonostante abbia un mercato del lavoro relativa-mente più universalista di tante altre regioni italiane, si caratterizzaper un tipo di economia diffusa tipica della Terza Italia, dove con-suetudini e norme provenienti dalla famiglia e dalla comunità localesono assorbite dal modo di produzione della piccola impresa (Ba-gnasco 2003, ivi). Le diseguaglianze di genere sono dovute in questaregione anche alla lentezza del processo di trasformazione della strut-tura familiare da multipla o estesa (e di natura patrilocale) a nucleare.Infatti, centrale risulta il ruolo della famiglia come agenzia for-

nitrice del capitale sociale utile a ottenere un lavoro ben retribuito.Tuttavia, questo ruolo è svolto in maniera diversa non solo sulla basedella classe sociale, ma anche del genere di appartenenza.Lo studio di caso ha messo in evidenza la persistenza della tradi-

zionale divisione del lavoro tra uomini e donne. Anzi si può ancoraparlare di lavoro maschile, concepito come fatica, contrapposto allavoro femminile, concepito in maniera ancillare come attività dicura che integra il reddito familiare (Giannini 1994, ivi). Questa divisione si manifesta in diversi modi: la percentuale di oc-

cupate part-time è 5 volte superiore all’analoga percentuale maschile.E anche quando si tiene conto di occupazioni dello stesso status e ca-ratterizzate dalla stessa condizione contrattuale, le diseguaglianze re-tributive non scompaiono.L’impiego di tecniche di analisi multivariata ha fatto emergere

come in Toscana per le donne sia molto più difficile ottenere un red-dito netto da lavoro superiore ai 1.400 euro mensili.La promozione economica e sociale delle donne risulta dipen-

dente, in misura maggiore che per gli uomini, sia dalle risorse pro-venienti dalle interazioni informali di prossimità, sia dai meccanismidi acquisizione delle credenziali educative.Per aumentare la loro probabilità di ottenere redditi medio-alti

le donne devono superare più prove degli uomini e sono più dipen-denti dalla condizione socio-professionale del partner.Allo stesso tempo le relazioni di genere asimmetriche rendono

più difficile per le donne trovare un partner dalle forti reti sociali edalle buone credenziali educative.La diseguale retribuzione delle donne vale per tutte le classi so-

ciali, anche se assume forma diversa proprio a seconda della classesociale di appartenenza.Avendo un carico di lavoro domestico superiore, le donne hanno

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anche meno tempo per le attività sociali. Ciò finisce per incideresulle loro carriere, più discontinue e meno prestigiose, data l’impor-tanza di saper partecipare a reti informali di gestione del potere. Ilconfinamento delle donne in alcuni spazi sociali rende loro più dif-ficile acquisire habitus adeguati alle regole del gioco aziendali. È ovvioche simili carriere portino a una minore redditività; ciò vale ancheper le donne che lavorano nei comparti economici centrali e meglioremunerati.L’analisi dei dati sul percorso lavorativo delle occupate toscane

mostra come il lavoro a tempo pieno e continuativo resti una pre-rogativa maschile, dovuta in larga misura alla suddivisione socialetra tempo della produzione e tempo della riproduzione. Solo perfare un esempio: tra i casi studiati, coloro che hanno cambiato lavoroper soddisfazione professionale hanno più degli altri una retribuzionemedio-alta, ma ciò vale più per gli uomini che per le donne; invece,coloro che hanno cambiato lavoro per diversificare l’attività profes-sionale hanno più degli altri un reddito medio-alto se uomini, hannopiù degli altri un reddito medio-basso se donne. L’effetto stratificazione col cosiddetto paradosso di Simpson nel-

l’analisi trivariata dei dati (Rosenberg 2003) è evidente quando il genereè impiegato come “variabile di controllo” nello studio dell’associazionetra due variabili relative ai meccanismi di promozione economica eprofessionale: ciò che vale per le donne, non vale per gli uomini. La divisione di genere dei tempi di vita e di lavoro stabiliti nella

famiglia come dalla comunità locale, con la regolazione degli oraridi lavoro della città, sono confermati come fattori esplicativi delladiseguaglianza retributiva anche nel secondo studio di caso, illustratonel terzo capitolo.La ricerca sui dipendenti di due organizzazioni, un’amministra-

zione provinciale e una multinazionale, concentra l’analisi su questifattori, specificandoli e rapportandoli anche alla diseguaglianza dipotere in termini di diseguale possibilità di carriera per le donne.Nonostante le importanti differenze – ad esempio in termini di

radicamento nell’organizzazione sociale locale, molto più tenue nel-l’impresa multinazionale – le dinamiche di cui sopra riemergono inentrambi i contesti organizzativi. Le pratiche vincenti per fare carriera consistono nella piena de-

dizione all’organizzazione e nella visibilità. Quando queste pratichenon sono messe in atto, il rallentamento della progressione econo-

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mica incide sulle stesse possibilità di carriera: diseguaglianza retri-butiva e diseguaglianza di potere si intrecciano.Le donne sono ostacolate nel praticare la piena dedizione al-

l’azienda, e quindi nella carriera, dal radicamento sul territorio, for-zato dalla maternità, aspetto che le rende meno disposte alla mobilitàgeografica e/o alla polivalenza professionale richieste dall’azienda. Siregistra anche un ritardo rispetto agli uomini nella capacità di par-tecipare alla negoziazione politica delle risorse sulla base di una vi-sione comune, per l’orientamento individualista delle donne, chepreferiscono l’esecuzione di un compito, e tendono a non concepireil lavoro anche secondo una dimensione politica. La capacità e la forza di negoziare deriva dal sapere essere “visi-

bili”. Questa competenza consiste in un vero e proprio habitus chevaria a seconda della classe sociale di provenienza. Le donne di estrazione operaia o contadina hanno avuto un per-

corso professionale più incerto delle donne di estrazione borghese odella classe media. Hanno dovuto anticipare la loro entrata nelmondo del lavoro in qualità di diplomate, perché hanno voluto odovuto affrancarsi dalla condizione di dipendenza economica dallafamiglia. Il progetto professionale è risultato secondario e subordi-nato alla formazione di una famiglia. Probabilmente è presente anche una concezione relazionale del la-

voro, che può tradursi ora in una strategia più improntata alla famiglia,ora in una visione più emancipata del lavoro come strumento di rea-lizzazione, che non deve fagocitare le altre sfere della vita sociale.Diversa è la traiettoria delle donne di origine borghese o prove-

nienti dalla classe media: sono in possesso di un capitale culturale esociale elevato, di cui la famiglia di origine dispone, oppure proven-gono da famiglie dove entrambi i genitori lavorano come commer-cianti o impiegati. Sono state socializzate in un milieu dove dominauna cultura acquisitiva, tipica di un certo ethos calvinista fondato sulsacrificio. In questo contesto la madre è un soggetto impegnato nellavoro in modo analogo al padre. Pertanto la traiettoria sociale si caratterizza per un grande impe-

gno prima nella carriera scolastica, con il conseguimento brillantedella laurea, e poi con un progetto professionale preciso, che portaanche a rinunciare alla costituzione di una famiglia o a non riversareverso questa tutte le energie a disposizione.Il capitale culturale della famiglia è importante anche nello svi-

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luppo di quelle competenze negoziali che favoriscono gli uomini neiconfronti delle colleghe. Nel caso della multinazionale è risultata im-portante non solo la determinazione verso il lavoro, ma anche il sen-tirsi sicure nel presentarsi al pubblico: è una risorsa distribuita inmodo diseguale tra le classi.La prima e la seconda ricerca mettono in evidenza l’emergere di

una nuova cultura del lavoro, definibile come “emancipativa” (LaRosa 2005). Essa riguarda prevalentemente un tipo di donna gio-vane, istruita e qualificata, per lo più di estrazione operaia o piccoloborghese, che ha rifiutato una cultura del lavoro più conservatrice,in nome della qualità della vita e di un equilibrio tra identificazioneforte nel lavoro e realizzazione extra-lavorativa. Come indica lo stessoLa Rosa si tratta di una cultura che riguarda anche gli uomini conle stesse caratteristiche sociali. Ciò rende di particolare interesse indagare i segmenti più qualifi-

cati del mercato del lavoro, peraltro sempre più femminilizzati (Gian-nini 1998, ivi; 2008). L’indagine Isfol-GPG 2007 sui differenziali reddituali e di carriera

nelle professioni ad alto reddito tra i due generi fa emergere come lacondizione di professionista, dirigente o imprenditore si configuri inmaniera profondamente differente a seconda del genere (Giannini eParziale 2010, ivi).A parità di condizione sociale, le diseguaglianze di reddito e di

potere attribuibili al genere appaiono spiegabili solo in parte sullabase dei meccanismi prima illustrati, richiedendo un approfondi-mento dell’analisi sui segmenti di mercato del lavoro qualificato.In tale direzione va la terza ricerca illustrata nel quarto capitolo

e relativa alla professione di urbanista pubblico a Napoli. Nelle professioni intellettuali alle diseguaglianze di genere tradi-

zionali si sovrappone quella che abbiamo chiamato diseguaglianzadi capacità professionale.Questa ricerca indica che l’interazione tra tre fattori, la stratifi-

cazione delle professioni intellettuali, la trasformazione del lavoro ele tecniche di controllo da parte delle organizzazioni post-fordisteincide sulle stesse pratiche professionali.Le giovani urbaniste, pur avendo traiettorie professionali di alto

profilo, adottano pratiche appropriate a organizzazioni burocratichetradizionali, contribuendo alla riedizione, sebbene sotto nuova forma,della diseguale attribuzione dei compiti tra i generi.

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Le giovani professioniste, piuttosto che adottare comportamentiinnovativi e de-istituzionalizzanti, si adeguano a un tipo di organiz-zazione legata al dominio maschile (Bourdieu 1998, ivi).Probabilmente il cambiamento è possibile in campi diversi da

quelli della tradizionale pubblica amministrazione, come può essere ilterziario innovativo privato, area che assorbe lavoro qualificato e gio-vanile di entrambi i generi. Le tre ricerche suggeriscono di volgere lo sguardo a questo com-

parto e ai soggetti caratterizzati dal profilo “emancipativo” qui emerso. È ipotizzabile che le giovani coppie che condividono questo pro-

filo, con i relativi habitus, vivano una condizione sociale che apre lepossibilità di pratiche di lavoro che scardinano l’organizzazione pro-gettata al maschile (Beccalli 1991; Gherardi 1998; Rella 2000; Ghe-rardi e Poggio 2003), perché preferiscono e allo stesso tempo sonocostrette (il confine tra volontà e costrizione diventa in tal caso dav-vero labile) a mettere in discussione la divisione di genere dei compitia casa, essendo incompatibili con la più totalizzante organizzazionedel lavoro, da una parte, e il loro percorso professionale, dall’altra.Tirando le fila, l’alto numero di ore di lavoro e l’abbassamento

reale delle retribuzioni riducono le possibilità di dedicarsi al lavorodomestico così come alla vita sociale; ciò richiede una ridefinizionedella relazione di genere, che passa per la messa in discussione dellostatuto “neoliberale” del lavoro. Resta il problema di quale soggetto collettivo possa dar vita al

nuovo processo di istituzionalizzazione del lavoro, tuttavia – e sulpunto si tornerà nelle conclusioni – l’avvicinamento delle traiettoriemaschili e femminili può favorire in ogni caso relazioni di genere pa-ritarie nella vita privata capaci di innescare il cambiamento sociale.

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2. Genere e diseguaglianzenel reddito da lavoro in Toscana11

2.1. Introduzione

In Italia le donne in media hanno una retribuzione oraria di 5 puntipercentuali inferiore a quella degli uomini, un valore più basso diquello europeo derivante probabilmente dalla maggiore concentra-zione delle occupate nel settore pubblico. Tuttavia, se si considera ilreddito da lavoro annuo, il gap in Italia supera i 25 punti percentuali(Giannini 2009), in quanto molte donne sono dipendenti part-timeoppure lavoratrici autonome in attività marginali. Lungo il capitolo provo a ragionare sui meccanismi che portano

le occupate a guadagnare meno degli occupati, avvalendomi di unaricerca condotta nel 2007 in Toscana12, una delle regioni in cui l’in-clusione nel mercato del lavoro è meno svantaggiosa per le donne:la diseguaglianza reddituale di genere persiste anche quando l’inclu-sione è alta, anzi la prima potrebbe costituire il prezzo da pagare perottenere la seconda. In ogni caso, il focus del capitolo è un altro e consiste nell’elabo-

rare spiegazioni sul perché le donne guadagnino meno degli uomini,a parità di ore di lavoro e di tipo di occupazione. Mi limito ad anticipare che il diseguale trattamento economico ri-

sulta collegato al modello organizzativo familiare. La famiglia è orga-

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11 I contenuti di questo capitolo riprendono in parte quanto presentato inParziale F. (2009), La produzione sociale dei differenziali reddituali di genere inToscana. I risultati dell’indagine Cati, in M. Giannini (a cura di), Uguale salarioper uguale lavoro?, Franco Angeli, Milano, pp. 109-154.

12 Si tratta di un’indagine Cati inserita in una ricerca più ampia e realizzatada un gruppo di lavoro interdisciplinare guidato da Mirella Giannini, sociologadell’Università Federico II di Napoli. Al gruppo di lavoro ho partecipato ancheio; per maggiori dettagli rinvio a Giannini (2009).

nizzata in maniera tale che incide sulle condizioni di lavoro delle donnein misura maggiore di quanto faccia nei confronti degli uomini. La tesi qui sostenuta si poggia sui risultati ottenuti con l’impiego

di differenti tecniche di analisi dei dati rilevati su un campione di 1021occupati13, di età compresa tra i 15 e i 64 anni e residenti in Toscana.Il campione è a scelta ragionata e riproduce la distribuzione per-

centuale degli occupati toscani per provincia, genere e posizione oc-cupazionale (dipendente/indipendente).

2.2. Culture del lavoro simili in istituzioni androgene

Le donne si distinguono dagli uomini per tipo di traiettoria occu-pazionale, ma non per cultura del lavoro. Dall’indagine risulta che i canali principali di inserimento lavo-

rativo sono le conoscenze familiari (24,7%) e tutto ciò che è definito“altro” (31,6%) dai concorsi pubblici (canale impiegato dal 19,8%del campione), le selezioni private (11,9%), la chiamata diretta del-l’azienda (7,2%) e gli uffici per l’impiego (4,8%).Gli intervistati hanno dunque dichiarato di aver trovato lavoro

prevalentemente attraverso reti informali, spesso attivate dal capitalesociale della famiglia di origine; oppure altri canali prevalentementeconsistenti nell’apprendistato o, quando possibile, nell’inserimentonell’azienda familiare. Le donne hanno impiegato in misura maggiore degli uomini i

canali di natura universalista come il concorso pubblico (24,4% vs15,1%), gli uffici per l’impiego (5,6% vs 3,6%), e la selezione privata(13,3% vs 10,4%); mentre gli uomini hanno trovato lavoro soprat-tutto tramite gli altri canali (41% vs 22%): evidentemente le attivitàindipendenti sono considerate prevalentemente maschili. Anche nella chiamata diretta delle aziende gli uomini risultano

avvantaggiati, sebbene di poco: l’8,2% ha trovato lavoro in questomodo, un valore superiore al 6,2% delle occupate. Allo stesso tempo, in un contesto in cui solo il 36% degli intervi-

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13 I casi studiati sono 502 (49,8%) uomini e 519 (50,2%) donne; 692(67,8%) sono lavoratori dipendenti e 329 (32,2%) lavoratori indipendenti.Rinvio alla nota precedente.

stati ha trovato lavoro tramite i canali più moderni (concorso pubblico,uffici per l’impiego e selezioni private), le conoscenze familiari sonostate sfruttate più dalle donne che dagli uomini (28,1% vs 21,3%). Questo ultimo dato costituisce un primo indizio della loro dif-

ficoltà nel muoversi nel mercato del lavoro, aspetto che le rende di-pendenti maggiormente dalle risorse familiari. Tale difficoltà consistenon solo nel trovare un impiego, ma anche nel mantenerlo. Bastipensare che delle 85 operaie che hanno cambiato lavoro ben il 42%lo ha fatto per più di 3 volte; mentre l’analoga percentuale maschilesi ferma al 31% (su 66 operai che hanno cambiato lavoro). Tra gli occupati con basso titolo di studio le donne scontano in

misura maggiore degli uomini percorsi lavorativi instabili; mentretra i diplomati le differenze di genere scompaiono. Il diploma è untitolo di studio svalutato, e pertanto il segmento formato dai diplo-mati è quello dove è più alto lo iato tra le aspettative dell’offerta e lerichieste della domanda di lavoro. Ciò vale in modo indiscriminatosia per gli uomini, sia per le donne. Le differenze di genere riappaiono, ma in maniera decisamente

attenuata, tra i laureati, dove la percentuale di donne con un per-corso lavorativo più volte interrotto è superiore di quattro punti al-l’analoga percentuale di uomini (figura 1).

Fig. 1 - Suddivisione di coloro che hanno cambiato lavoro almeno tre volte per ti-tolo di studio (%)

Le persone che hanno risposto a questa domanda sono così distribuite: laureati97, laureate 121, diplomati 270, diplomate 275, in possesso di licenza media52 uomini, 33 donne, licenza elementare/nessun titolo 83 uomini, 90 donne.

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Tra gli intervistati di età inferiore ai 35 anni, le donne che hannocambiato lavoro almeno 3 volte sono il 31,9%, un valore vicino al30,3% registrato per gli uomini. Si tratta della forza lavoro più gio-vane e precaria, dove le diseguaglianze di genere sono più deboli. Nella forza lavoro più stabile e tutelata rientra quel 31% degli

occupati che ha fruito di una o più misure di sostegno al reddito perassenza dal lavoro.Di questo gruppo fa parte il 41% delle occupate, pari a 213 donne,

e il 21% degli occupati, ossia 107 uomini. Tuttavia, quando si trattadi misure protettive dalle oscillazioni del mercato del lavoro o di pre-stazioni orientate alla promozione del soggetto (formazione/studio) lapercentuale di fruitori tra gli uomini è superiore a quella registrata trale donne; mentre vale l’esatto contrario quando le misure riguardanola maternità o i congedi familiari (figura 2).

Fig. 2 - Intervistati che hanno fruito di misure di sostegno al reddito per sesso (%)

Le persone che hanno risposto a questa domanda sono 213 donne e 107 uomini.

Questi dati mostrano come il mercato del lavoro sia un’istituzioneancora progettata al maschile. Si pensi agli strumenti di conciliazionetra tempi di lavoro e di vita. Se la flessibilità oraria è possibile per il22% degli occupati di entrambi i sessi, la riduzione dell’orario diventaper molte donne (il 15%) uno dei pochi strumenti a disposizione, oltreall’aspettativa dal lavoro o il congedo di maternità (di cui dichiara diessersi servito il 39% delle occupate). Al contrario solo il 5% degli uo-mini ha affermato di essere ricorso alla riduzione dell’orario di lavoro.

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Di conseguenza la percentuale di occupati part-time è tra ledonne cinque volte superiore alla rispettiva percentuale tra gli uo-mini: un’occupata su 4 è impiegata part-time (il 24,5%), mentre loè solo il 5,6% delle persone dell’altro sesso.Se per le donne nella maggior parte dei casi si è trattata di una

scelta condizionata dagli impegni familiari (56%), o dall’assenza diopportunità lavorative a tempo pieno (20%); per ben il 58% deipochi uomini occupati part-time si è trattata di una libera scelta. Il part-time è, dunque, per oltre 3/4 delle donne una costrizione

derivante dalle scarse opportunità di lavoro o dal tipo di organizza-zione familiare: i due aspetti sono presumibilmente in relazione direciproca influenza.I dati finora commentati portano a ritenere anche la famiglia

un’istituzione organizzata secondo il punto di vista androgeno, es-sendo tendenzialmente svantaggiosa per le donne; infatti nonostantele intervistate siano tutte occupate, risulta che esse dedicano al lavorodomestico due ore al giorno in più degli occupati, con questi ultimiimpegnati nel lavoro più delle prime (9,5 ore al giorno vs 7,914).Non vi sono differenze sul numero di ore dedicate alla cura di

sé, mentre è leggermente più alta tra gli uomini la media delle orededicate alle attività sociali o di svago (tabella 1).

Tab. 1 - Suddivisione delle ore giornaliere per tipo di attività svolta a seconda delgenere (valori medi)

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sesso valori

lavoro(compresostraordinarioe trasporticasa/lavoro)

lavorodomestico

cura di sè(comprese leore di sonno)

attivitàsociale/svago(sport,

volontariato,politica)

uominimedia 9,5 3,5 8,9 2,1

scarto tipo 2,0 2,3 2,3 2,1

donnemedia 7,9 5,5 8,8 1,8

scarto tipo 2,1 3,0 2,1 2,1

totale(v.a. 1021)

media 8,7 4,5 8,9 1,9

scarto tipo 2,2 2,9 2,2 2,1

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14 Se si tenesse conto solo dei full-time, in modo da neutralizzare l’incidenzadei part-time (che sono per lo più donne), la differenza di genere si attenue-

Il tempo libero da dedicare ad attività sociali, culturali e politicheè minore per le occupate. Come si vedrà nel prossimo capitolo que-sto aspetto è centrale nella spiegazione delle diseguaglianze di generenel lavoro: il tempo libero può essere investito in formazione e so-prattutto nella costruzione di relazioni politiche vincenti che influen-zano positivamente la carriera professionale. La divisione del tempo di lavoro tra i generi sembra essersi rimo-

dulata rispetto al passato, senza eliminare differenze tradizionali. Illavoro serale e notturno è più diffuso tra gli uomini, mentre sonoleggermente più alte le percentuali di donne che lavorano spesso ilsabato e la domenica (tabella 2).

Tab. 2 - Frequenza con la quale si svolge il lavori fuori dagli orari standard pergenere (%)

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uomini donne

lavoro serale

spesso 17,1 11,2

qualche volta 17,5 15,2

mai 65,3 73,6

totale 100 (v.a. 502) 100 (v.a. 519)

lavoro notturno

spesso 6,2 2,3

qualche volta 12,2 6,4

mai 81,7 91,3

totale 100 (v.a. 502) 100 (v.a. 519)

lavoro il sabato

spesso 32,9 36,8

qualche volta 31,9 21,4

mai 35,3 41,8

totale 100 (v.a. 502) 100 (v.a. 519)

lavoro la domenica

spesso 5,0 6,9

qualche volta 23,1 18,9

mai 71,9 74,2

totale 100 (v.a. 502) 100 (v.a. 519)

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rebbe, ma rimarrebbe significativa: gli uomini dedicano al lavoro 9,6 ore algiorno, le donne 8,5 ore. Tra i part-time la media ore di lavoro al giorno è 7,2per gli uomini e 5,7 per le donne.

Se è corretto sottolineare che lavorare la notte non è necessaria-mente indicatore di scarsa qualificazione e basso status, ma semprepiù di prestigio professionale (Accornero 1994, 1997), va però dettoche dall’analisi trivariata emerge che esso è più legato ad attività ope-raie o comunque caratterizzate da status medio-basso. Al contrario, ilfatto che siano le donne a lavorare di più il fine settimana è indicatoredi come la de-standardizzazione del tempo di lavoro nelle societàpost-fordiste venga pagata maggiormente da costoro: le donne sonospesso impiegate nelle attività di front office dei servizi al consumatore,aperti al pubblico anche il fine settimana. In sintesi, agli uomini restamaggiormente riservato il lavoro pesante e scomodo come quello not-turno, mentre è più facile trovare donne impiegate in attività apertein orari o giorni in cui la maggior parte degli occupati non lavora,dedicandosi alla cura del sé, agli acquisti e al divertimento. Lavoro e famiglia restano istituzioni progettate al maschile. La

peggiore condizione dentro e fuori casa si traduce per le donne nel-l’esigenza di lavorare meno tempo: gli uomini in media ritengonoche sarebbero ideali poco più di 7 ore di lavoro al giorno e meno di38 ore alla settimana; le donne in media vorrebbero lavorare pocopiù di 6 ore al giorno e di 32 ore alla settimana (tabella 3).

Tab. 3 -Numero di ore di lavoro ritenuto ideale per genere (valori medi)

Il giudizio delle donne è dettato evidentemente dalla condizionedi maggiore dipendenza dall’organizzazione familiare.Illuminante a questo proposito è che il 54,5% dei soggetti intervi-

stati si avvale dell’aiuto del partner per lo svolgimento del lavoro do-

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sesso valorinumero di ore idealeda dedicare al lavoroin un giorno

numero di ore idealeda dedicare al lavoroin una settimana

uominimedia 7,3 37,8

scarto tipo 1,4 6,7

donnemedia 6,2 32,3

scarto tipo 1,4 6,9

totale (v.a. 1021)media 6,7 35,0

scarto tipo 1,5 7,3

mestico, ma ciò vale molto più per gli uomini (63,1% vs 46,1%); men-tre le donne sono più portate a chiedere l’aiuto dei genitori (31,2% vs27,9%), oppure a ricorrere ai servizi di cura (24,6% vs 16,6%).

Fig. 3 - Soggetti ai quali ci si rivolge per aiuto nel lavoro domestico (%)

Le persone che hanno risposto a questa domanda sono 502 uomini e 519 donne.

Tra l’altro, sono le lavoratrici a usufruire maggiormente di servizidi conciliazione tra tempo di lavoro e vita familiare, offerti dalle isti-tuzioni pubbliche e dalle aziende. Le lavoratrici che usufruiscono diservizi come gli asili nido o l’assistenza domiciliare agli anziani sonopari al 7,7%, un valore di gran lunga superiore al 3,2% dei lavoratoriche usufruisce degli stessi servizi. La divisione sociale tra tempo di lavoro e tempo di cura risente

dunque di meccanismi istituzionali ancora improntati a una visioneandrocentrica della società, dalla quale cominciano, tuttavia, a pren-dere le distanze i singoli individui. Non c’è infatti differenza di ge-nere nella valutazione dei diversi aspetti della vita privata eprofessionale15: emerge una cultura emancipativa del lavoro, fondatasulla ricerca attiva di autonomia e qualità. Si tratta di una culturache prende le distanze sia dalla concezione lavorista della società for-

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15Tra gli operai si registrano le differenze valutative più alte tra i due generi,con le operaie che danno punteggi più alti dei loro colleghi su tutte le dimen-sioni, sia della vita professionale sia della vita privata.

dista, sia dalla concezione consumista e strumentale dei primi anniOttanta (La Rosa 2005): i soggetti danno meno importanza alla re-tribuzione e più all’autonomia professionale e alle possibilità di car-riera. Allo stesso tempo la stabilità occupazionale è ritenuta moltoimportante (punteggio medio pari ad 8,7 su 10), perché gli aspettirelazionali della vita affettiva non sono considerati secondari (tabelle4.a. e 4.b.).

Tab. 4.a - Punteggi (Scala Cantril 0-10) attribuiti alle diverse dimensioni dellavita privata e lavorativa, prima parte (valori medi)

Tab. 4.b. - Punteggi (Scala Cantril 01-0) attribuiti alle diverse dimensioni dellavita privata e lavorativa, seconda parte

È evidente la frattura tra la cultura del lavoro delle occupate, cor-rispondente in larga misura a quello degli occupati, e la disegualecondizione tra le prime e i secondi.

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Valori retribuzione possibilitàdi carriera stabilità occ. autonomia

professionale

uominimedia 7,1 8,6 8,4 8,6

scarto tipo 2,1 1,8 1,6 1,8

donnemedia 6,8 9,1 8,5 8,8

scarto tipo 2,1 1,3 1,7 1,8

totale(v.a. 1021)

media 6,9 8,9 8,4 8,7

scarto tipo 2,1 1,6 1,6 1,8

Valorirelazionisentimentali

relazioniaffettive

decisione diavere figli

coltivareinteressie passioni

uominimedia 8,8 8,4 8,3 8,2

scarto tipo 1,4 2,0 1,4 1,6

donnemedia 8,7 8,8 8,2 8,4

scarto tipo 1,7 1,9 1,6 1,5

totale(v.a. 1021)

media 8,8 8,6 8,2 8,3

scarto tipo 1,5 2,0 1,5 1,5

2.3. Lavoro maschile e lavoro femminile

Il modo di concepire il lavoro è lo stesso, ma le condizioni sono dif-ferenti per i due generi: la percentuale di occupati che sostiene diriuscire a far fronte alle spese familiari e personali è pari al 59,2%tra gli uomini e solo al 31,1% tra le donne. Oltre il 54% delle oc-cupate deve ricorrere all’aiuto del partner (figura 4).

Fig. 4 - Condizione economica degli intervistati per genere (%)

Le persone che hanno risposto a questa domanda sono 483 uomini e 492 donne.

Quindi, le occupate sono molto meno indipendenti economi-camente degli occupati. Questa scarsa indipendenza alimenta il cir-cuito vizioso che vede mercato del lavoro e organizzazione familiareinteragire secondo regole e norme androgene. Il minore potere eco-nomico delle occupate si rispecchia nell’incidenza sul reddito dellediverse voci di spesa: l’incidenza delle spese per i trasporti e il tempolibero sono un po’ più alte per gli uomini, mentre vale il contrarioper le spese di abbigliamento e le cure mediche16.

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16 Gli uomini che spendono oltre il 25% del reddito per i trasporti sono il26,3%, le donne il 17%; gli uomini che spendono oltre il 25% per il tempolibero sono il 23,7%, le donne solo il 12,3%. A parità di reddito gli uominispendono mediamente di più per trasporto e tempo libero. Le donne che spen-dono oltre il 25% per l’abbigliamento e oltre il 25% per le cure mediche sono

La spesa per l’abitazione incide più sul reddito delle donne che suquello degli uomini per quanto concerne i soggetti con reddito medio-basso, mentre vale il contrario per i soggetti con reddito medio-alto.Questi dati confermano come il ruolo attribuito agli uomini sia an-

cora quello del capofamiglia o comunque del procacciatore di reddito,anche a costo di spostarsi di più da casa (tra i giovani di età inferiore ai35 anni, e a parità di reddito, gli uomini che spendono oltre il 25%per i trasporti sono tra il 36 e il 42%, le donne tra il 18 e il 21%). Incambio, come detto, la gestione tra tempo di lavoro (compreso quellodomestico) e tempo libero è più vantaggiosa per gli uomini.L’organizzazione del lavoro post-fordista (Borghi 2002) non eli-

mina la tradizionale divisione tra lavoro dipendente, e per lo più part-time, femminile e lavoro indipendente maschile, ma vi sovrapponel’estensione del lavoro non standard (Semenza 2004), caratteristicatipica del capitalismo ad accumulazione flessibile (Harvey 2002). Così, in posizione indipendente lavora ben il 44% degli uomini

intervistati, ma solo il 20,8% delle donne; tra le dipendenti benl’11% delle donne ha un contratto di lavoro atipico, un valore pariquasi al doppio di quello registrato tra gli uomini (6%).Non emerge un’associazione tra genere degli occupati e dimen-

sione d’impresa17, ciò che cambia è il tipo di rapporto di lavoro, conla riproduzione in una nuova chiave del dualismo tra lavoratori mag-giormente protetti e lavoratrici meno protette. In altre parole, la sud-divisione del periodo fordista tra donne occupate nella piccola impresae uomini occupati nella grande impresa non è così marcata, data laframmentazione dei cicli produttivi post-fordisti, semmai la disegua-glianza allocativa tra i genere è in funzione del grado di centralità eco-nomica delle attività produttive.La de-standardizzazione del lavoro, invece, con l’aumento della

vulnerabilità sociale anche degli occupati, assume una connotazione

51

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rispettivamente il 12,3% e il 7,3%, gli uomini sono il 9,6% e il 2,8%. Ledonne spendono più degli uomini per queste due voci di spesa, e ciò vale pertutte le fasce di età.

17 Nelle aziende con massimo 15 dipendenti risultano impiegati il 46,1%degli intervistati e il 47% delle intervistate; nelle aziende con un numero didipendenti compreso tra i 16 e i 49 dipendenti, risultano impiegati il 17,7%degli intervistati e il 19,5% delle intervistate; infine, nelle aziende con 50 opiù dipendenti, gli uomini sono il 36,2%, le donne il 33,6%.

sia di genere sia di generazione. Queste due dimensioni si intrec-ciano, con gli occupati di età inferiore ai 35 anni che sono moltopiù precari dei loro colleghi di maggiore età. Allo stesso tempo, trai giovani le donne precarie sono il 28%, mentre gli uomini precarisono il 12,5%.Le donne svolgono in proporzione maggiore degli uomini un la-

voro “povero” in termini sia di sicurezza sociale, sia economici. Ri-guardo a questo secondo aspetto, le donne sono sovra rappresentatenella fascia di coloro che dichiarano di guadagnare meno di 1000euro al mese, mentre gli uomini sono presenti maggiormente tra co-loro che dichiarano di guadagnarne di più. Al crescere della dimensione aziendale i differenziali retributivi

di genere si attenuano, tranne nella fascia retributiva superiore ai1800 euro al mese, dove la relazione si inverte: i differenziali di ge-nere in questa fascia retributiva crescono all’aumentare della dimen-sione aziendale.I differenziali retributivi di genere tra gli occupati delle aziende

medio-grandi si annullano nella fascia retributiva 1000-1400 euro,ma persistono sia nelle fasce retributive superiori, sia in quella inferiore.Come si evince dalla tabella 5, al ridursi della dimensione aziendale siabbassa il livello retributivo, tuttavia per le donne la diminuzione èmolto più significativa: la percentuale di donne con retribuzione su-periore ai 1400 euro scende dal 35 al 9,9%, mentre l’analoga percen-tuale di uomini scende dal 66 al 33%. Differenziali retributivi a seconda del genere si registrano un po’

in tutti comparti, tuttavia le differenze più alte si registrano sia nelcomparto tradizionalmente “maschile e fordista” dell’industria edelle costruzioni, sia nei comparti che più si sono espansi col processodi terziarizzazione degli ultimi decenni (Esping-Andersen 2000), ecioè i servizi innovativi (servizi alle imprese, servizi immobiliari, cre-dito, etc.) e il comparto dei servizi alla persona (altri servizi). In altritermini, le donne guadagnano meno degli uomini non solo dovesono meno presenti (industria), ma anche in quei comparti del ter-ziario dove i tassi di femminilizzazione sono alti (figura 5).Più interessante è la relazione tra reddito da lavoro e genere a se-

conda del tipo di occupazione svolta. Il risultato inaspettato è che idifferenziali reddituali di genere sono più alti tra gli operai e gli im-piegati, mentre sono più contenuti nelle categorie occupazionali piùqualificate e meglio remunerate.

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Tab. 5 - Livello di retribuzione/reddito da lavoro mensile netto per dimensioneaziendale e genere (%)

Fig. 5 - Reddito da lavoro per genere e comparto (%)

Rispondenti: industria e costruzioni: 119 uomini, 59 donne; commercio e tra-sporti: 139 uomini, 119 donne; servizi innovativi: 61 uomini, 72 donne; p.a.e istruzioni: 71 uomini, 170 donne; altri servizi: 47 uomini, 55 donne.

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dimensioneaziendale

sesso

retribuzione netta (reddito netto da lavoro) al mese

inf. 1000euro

1000-1400euro

1401-1800euro

sup. 1800euro

1-15 dip.

uomini(v.a. 123)

18,7 48 22 11,4

donne(v.a. 181)

61,3 29,3 6,1 3,3

totale(v.a. 204)

44,1 36,8 12,5 6,6

16-49 dip.

uomini(v.a. 47)

2,1 55,3 27,7 14,9

donne(v.a. 74)

31,1 48,6 14,9 5,4

totale(v.a. 121)

19,8 51,2 19,8 9,1

50 e più dip.

uomini(v.a. 100)

2,0 32 32 34

donne(v.a. 133)

32,3 32,3 20,3 15

totale(v.a. 233)

19,3 32,2 25,3 23,2

Tra gli operai, oltre il 69% delle donne guadagna meno di 1000euro al mese, mentre gli uomini con una retribuzione così bassa sonosolo il 15%. Ancora, oltre l’85% delle operaie guadagna massimo1400 euro al mese, mentre vi è ben il 10% di operai uomini che gua-dagna oltre 1800 euro al mese (e ciò vale solo per il 2% delle operaie!).Dietro queste differenze retributive si celano probabilmente carriere

professionali molto diverse tra i due generi. Le donne sono “segregate”nelle fasce retributive più basse (max. 800 euro e tra gli 801 e i 1000euro), a prescindere dalla dimensione dell’azienda in cui lavorano. A questo proposito, tra i dipendenti della piccola impresa (con

massimo 15 dipendenti) sembra registrarsi un dualismo di generemolto marcato: i 2/3 degli operai hanno retribuzioni superiori ai 1400euro, mentre i 2/3 delle operaie percepiscono un salario inferiore ai1000 euro. Tra gli impiegati la situazione è simile a quella degli operai, se non

ancora più favorevole agli uomini. Ben 3 impiegati uomini su 4 gua-dagnano tra i 1000 e i 1800 euro, e quasi la metà tra i 1000 e i 1400euro; mentre tra le impiegate l’86% non supera i 1400 euro, e quasila metà non supera i 1000 euro (mentre solo il 7% degli uomini gua-dagna meno di 1000 euro!). Al crescere della dimensione aziendale leimpiegate vedono migliorare la loro situazione, ma sono sempre inuna condizione retributiva peggiore degli uomini, che non guada-gnano mai meno di 1000 euro al mese, se non nella piccola impresa. Nelle categorie occupazionali più qualificate del lavoro dipen-

dente le diseguaglianze di genere si attenuano, anche se restano ele-vate. Tra gli uomini, il 77% dei professionisti dipendenti, quadri einsegnanti guadagna più di 1400 euro, mentre ciò vale solo per il49% delle loro colleghe. Inoltre, il 17% delle donne rientranti inquesta categoria guadagna meno di 1000 euro, una retribuzionebassa che riguarda i colleghi uomini solo nel 3% dei casi. La dimensione aziendale in questo caso ha una certa rilevanza,

infatti nelle piccole imprese sia uomini che donne hanno retribu-zioni simili, per lo più rientranti nella fascia 1000-1400 euro. Per quanto riguarda, invece, liberi professionisti, imprenditori e

dirigenti, nonostante ben il 25% delle donne guadagni oltre 1800euro al mese, le differenze con gli uomini non svaniscono, anche sesono più ridotte rispetto a quanto risulta tra gli impiegati e gli operai.In questa categoria occupazionale, che accorpa i gruppi economica-mente e politicamente più forti, le differenze economiche di genere

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sono molto ridotte nella fascia più bassa (dove la differenza è solo di5 punti percentuali a svantaggio delle donne), ma sono le più alte ditutte nella fascia centrale, che comprende guadagni netti tra i 1000 ei 1400 euro al mese: è un guadagno basso per chi è titolare di un’im-presa, esercita la libera professione, o è dirigente, tuttavia ben il 44%delle donne appartenenti a questa categoria occupazionale dichiaradi guadagnare così poco; gli uomini in questa condizione redditualesono solo il 13% (tabella 6).

Tab. 6 - Livelli di reddito per genere e gruppo occupazionale (%)

Dalla lettura della tabella qui illustrata si può notare come i lavo-ratori autonomi costituiscano la categoria occupazionale dove, almenoper gli uomini, si registra una distribuzione più equilibrata dei casi perfascia reddituale. Nella fascia più bassa, la differenza tra uomini edonne per quanto elevata è relativamente contenuta. Infatti, tra i la-voratori autonomi, nel passare dagli uomini alle donne, la probabilitàdi guadagnare meno di 1000 euro sale di 3,6 volte; mentre nelle altrecategorie occupazionali questa probabilità è decisamente più alta, conl’eccezione del gruppo comprendente imprenditori, dirigenti e liberiprofessionisti18. In quest’ultimo gruppo, se tra coloro che guadagnano

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posizione occupazionaleinf. 1000euro

1000-1400euro

1401-1800euro

sup. 1800euro

operai (v.a. 80) 15 49 26 10

operaie (v.a. 62) 69 26 3 2

lavoratori autonomi (v.a. 134) 19 31 23 27

lavoratrici autonome (v.a. 71) 46 30 10 14

impiegati/tecnici (v.a. 144) 7 49 26 17

impiegate/tecniche (v.a. 241) 49 37 8 6

quadri/ins./prof. dip (m) (v.a. 32) 3 19 38 41

quadri/ins./prof. dip (f) (v.a. 78) 17 35 35 14

lib.prof./imp./dir. (m) (v.a. 63) 17 13 22 48

lib.prof./imp./dir. (f ) (v.a. 27) 22 44 7 26

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18 Tale rapporto è detto odds ratio, ed è pari al rapporto fra i rapporti di

oltre 1800 euro al mese gli uomini sono il 27%, comunque le donnecon lo stesso guadagno sono il 14%; beninteso, il differenziale restaelevato, ma in termini di opportunità/rischio le donne sono menosvantaggiate19 rispetto a quanto avviene per gli altri tipi di occupazione. La relazione tra lavoro indipendente e genere va però approfondita:

spesso si tratta di imprese a conduzione familiare, dove l’organizzazionee la divisione del lavoro risentono, in maniera più significativa delleorganizzazioni burocratiche, del contesto istituzionale locale; la stessasuddivisione tra tempo della produzione economica e tempo della ri-produzione sociale è meno netta, essendo regolata da consuetudini enorme provenienti dalla famiglia e dalla comunità locale.A questo proposito, si rileva una differenza di genere tra i lavo-

ratori indipendenti tale da far pensare che vi siano due figure socialidistinte.Gli uomini più delle donne lavorano senza alcun coadiuvante fa-

miliare, mentre la proporzione di donne con almeno 1 coadiuvanteè più alta di quella degli uomini. Se si volge lo sguardo al numero di dipendenti extra-familiari, il

discorso cambia. In questo caso, al crescere del numero di dipendentiaumentano gli imprenditori rispetto alle imprenditrici. La maggiorepresenza di coadiuvanti familiari nelle imprese gestite da donne fapensare che si è in presenza di attività a conduzione familiare, piut-tosto che di imprese con modelli organizzativi burocratici. In pocheparole, si tratta in molti casi di imprese familiari, oppure di attivitàautonome dove le gerarchie familiari possono più facilmente essereriprodotte. Non è da escludere, ma è solo un’ipotesi, che nella ge-stione delle attività spesso vi sia l’aiuto del marito che eventualmente

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probabilità condizionati. In questo caso è calcolato con questa formula: [(lavo-ratrici autonome con redd. inf. 1000 euro/lavoratrici autonome con redd. sup.1000 euro)/(lavoratori autonomi con redd. inf. 1000 euro/lavoratori autonomicon redd. sup. 1000 euro)]. La probabilità di trovare soggetti con un reddito dalavoro inferiore ai 1000 euro al mese passando dagli uomini alle donne sale di11,6 volte tra gli operai e di 13,7 tra gli impiegati; tra i professionisti dipendentiquesta probabilità condizionata resta alta ed è pari a 6,6; infine, tra i liberi pro-fessionisti, imprenditori e dirigenti, tale probabilità è pari solo a 1,3.

19 Il grado di opportunità/rischio, altrimenti definibile come grado di van-taggio/svantaggio, è calcolato sulla base degli odds ratio. Rinvio alla nota pre-cedente.

svolge anche un altro lavoro. Al contrario, tra le imprenditrici soloil 13% conduce un’impresa con più di 1 dipendente, mentre l’ana-loga percentuale di uomini è del 25% (figura 6).

Fig. 6 - Distribuzione degli occupati indipendenti per numero di coadiuvanti fa-miliari, numero di dipendenti extra-familiari e genere (valori assoluti)

Rispondenti: 221 uomini e 108 donne.

A parità di dimensione della loro azienda, le occupate indipen-denti guadagnano meno dei colleghi uomini. I differenziali reddi-tuali di genere sono più alti nelle due classi estreme: tra i lavoratoriautonomi senza dipendenti a guadagnare più di 1400 euro netti almese è il 40% degli uomini, ma solo il 21% delle donne; tra coloroche dirigono imprese con più di 3 dipendenti ben l’86% degli uo-mini appartiene alla fascia di reddito più alta, mentre l’analoga per-centuale femminile scende al 20%.

2.4. Le diseguaglianze reddituali di genere: l’importanzadel capitale sociale della famiglia

Le occupate toscane guadagnano meno dei loro colleghi. Le diffe-renze emergono in modo nitido, distinguendo tra i redditi da lavoroche non superano i 1400 euro netti al mese e i redditi superiori. In-fatti, mentre gli uomini sono equamente distribuiti nelle due fascedi reddito, le donne sono concentrate nel 79% dei casi nella fasciache non supera la soglia dei 1400 euro (tabella 7).

57

Dall’analisi trivariata emergono condizioni economiche peggioriper gli occupati più giovani.

Tab. 7 - Reddito da lavoro per genere

Il titolo di studio gioca un ruolo secondario; infatti l’effetto causale(stimato tramite il coefficiente di correlazione di Pearson) della classedi età sul reddito, al netto dell’influenza esercitata dal titolo di studio,persiste aumentando leggermente: l’effetto bivariato tra classe di etàe reddito è pari a 0,169, mentre l’effetto causale sale a 0,180 tenendosotto controllo l’influenza esercitata dal titolo di studio. Ciò è da attribuire in parte all’anzianità lavorativa (o all’espe-

rienza20) che fa aumentare il reddito, in parte alla de-regolamentazionedel mercato del lavoro che colpisce in misura maggiore i giovani. In ogni caso, risulta che il reddito degli occupati dipendenti e in-

dipendenti aumenti con l’innalzarsi degli anni di anzianità lavora-tiva, anche tenendo sotto controllo la variabile età. La fidelizzazione e l’esperienza contano dunque nella remunera-

zione dell’occupato. I differenziali reddituali di genere diminuisconoall’aumentare degli anni di esperienza lavorativa. Le donne che svol-gono il lavoro attuale da più di 10 anni hanno una probabilità diguadagnare più di1400 euro al mese che è quasi 3 volte superioreall’analoga probabilità delle loro colleghe con minore esperienza. Sel’esperienza conta più dell’età nell’influenzare il reddito, un effettosuperiore è però esercitato dal tipo di contratto di lavoro. Come detto i giovani sono inquadrati con rapporti di lavoro a

tempo determinato o secondo contratti atipici in misura maggioredegli altri.

58

genere retribuzione max. 1400 retribuzione sup. 1400

uomini (v.a. 457) 49,7 50,3

donne (v.a. 483) 78,9 21,1

totale (v.a. 940) 64,7 35,3

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20 Si pensi agli occupati indipendenti. In questo caso si può ipotizzare chela maggiore esperienza porti gli indipendenti a migliorare la loro posizione sulmercato di riferimento.

Esiste, dunque, un effetto di interazione tra genere e generazione,per cui le maggiori differenze di reddito per classe di età si registranotra le donne giovani. Infatti, mentre l’effetto della classe di età sulreddito, a parità di titolo di studio, è 0,107 per gli uomini, per ledonne esso sale a 0,157 (cioè di 5 punti percentuali). In particolare, mentre tra le occupate con titolo di studio medio-

basso (cioè non in possesso del diploma) non esistono differenzereddituali dovute alla classe di età, tra le occupate con titolo di studiomedio-alto (cioè in possesso del diploma o della laurea) le occupatepiù giovani hanno un reddito (in media) di ben 23 punti percentualiinferiore a quello delle colleghe più anziane21. Per capire quanto le differenze di reddito dipendano dal genere e

quanto invece dall’influenza giocata da altre variabili, sono stati co-struiti 3 diversi modelli di regressione multivariata, impiegando latecnica della regressione logistica binomiale (Corbetta, Gasperoni ePisati 2001)22. Inizialmente sono state considerate contemporaneamente l’in-

fluenza esercitata sul reddito da lavoro da parte di variabili sia relativealle caratteristiche acquisitive dell’intervistato, sia relative alle carat-teristiche degli individui che compongono il suo contesto familiare,oltre che al numero dei figli.In tal modo è possibile comprendere quanto delle differenze red-

dituali sia da attribuire al capitale sociale “derivato”, cioè “prestato” al

59

––––––––––––––––––––

21 Nell’analisi trivariata tra classe di età, reddito, e titolo di studio, ho resodicotomiche le variabili. La variabile reddito da lavoro è stata ricodificata in “red-dito max. di 1400 euro” e “reddito sup. ai 1400 euro”; la variabile titolo di studioin “titolo di studio medio-basso” (soggetti con al massimo la licenza media), “ti-tolo di studio medio-alto” (diplomati e laureati); la variabile classe di età in “sog-getti di età inf. ai 45 anni”, “soggetti di età pari o sup. ai 45 anni”.

22 La regressione logistica è una tecnica di analisi multivariata adatta alle va-riabili categoriali e ordinali. Questa tecnica è stata qui adottata perché la variabiledipendente relativa al reddito da lavoro degli occupati in Toscana non è stata co-struita come cardinale, pertanto la regressione multipla lineare non è applicabile:quando la variabile dipendente è di natura ordinale o categoriale, l’analisi multi-variata può essere condotta rendendo lineari equazioni non lineari attraverso tra-sformazioni matematiche sulle variabili. Con la regressione logistica, dunque, sianalizza la relazione multivariata tra una variabile dipendente, di natura catego-riale/ordinale, con le altre variabili selezionate dal ricercatore. In tal caso le relazionitra la variabile dipendente e le altre variabili indipendenti vengono analizzate intermini di rapporti di probabilità “condizionati” tra singole categorie.

soggetto da altri individui che sono legati a lui da interazioni di pros-simità forti (partner e padre), e quanto ai meccanismi universalisticifondati sulla razionalità legale-formale: il tipo di credenziali educativepossedute e la posizione occupazionale raggiunta costituiscono criterimeno particolaristici23, sulla base dei quali un modello di regolazionesociale moderno distribuisce le risorse economiche tra gli individui. Questa valutazione è stata poi approfondita, modificando parzial-

mente il modello inizialmente specificato e applicandolo separata-mente prima ai casi di genere maschile, poi ai casi di genere femminile.Infine, lo studio dei differenziali reddituali di genere è stato con-

dotto attraverso l’analisi degli effetti causali totali esercitati dal ge-nere, dalla classe sociale, e dall’area geografica. Col primo modello è stata valutata l’influenza netta esercitata sul

reddito da lavoro da parte di variabili quali il genere, l’occupazionedell’intervistato, l’occupazione del padre, il titolo di studio del par-tner, il numero di figli (tabella 8).L’influenza netta esercitata dalla categoria “donne” sui livelli retri-

butivi è quasi sempre superiore all’influenza esercitata dalle altre va-riabili trasformate in regressori dummy24: le donne hanno menoprobabilità degli uomini di guadagnare più di 1400 euro netti al mese.

60

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23 Tali criteri sono sempre costruiti socialmente e mai realmente “neutri”.Dietro la scelta di questi criteri si nasconde sempre il potere politico di alcuniceti e le barriere esistenti tra classi dominanti e classi subalterne; quello che quipreme sottolineare è semplicemente che i meccanismi di attribuzione di risorseeconomiche sulla base delle credenziali educative e del lavoro svolto sono legatia una regolazione razionale e formale almeno potenzialmente “contestabile”,dove il principio della validità erga omnes è in una certa misura rispettato. Altracosa è l’ottenimento di risorse economiche sulla base del potere esercitato, per-sonalmente o da altri, al fine di non rispettare il principio della validità ergaomnes tipico della razionalità legale-formale. In tal caso viene meno la traspa-renza degli stessi criteri di selezione, con la prevaricazione ulteriore di quei sog-getti che possono impiegare forme di potere diverse da quello legale-razionalee perciò peggiori, data la sua ineffabilità che lo rende meno trasparente e piùdifficilmente contestabile.

24 Nel caso della regressione lineare multipla (così come per la regressione li-neare semplice) ogni variabile categoriale considerata indipendente viene trasfor-mata in tante variabili-modalità quante sono le sue categorie; ogni categoria èdetta regressore indicatore o, secondo la terminologia anglosassone, dummy (va-riabile di comodo) proprio perché ha la funzione di indicare se una determinatamodalità di una data variabile categoriale è presente in un caso oppure non lo è.

Tab. 8 - Regressione logistica. Primo modello: variabili nell’equazione e coefficienti

I casi analizzati con questo modello sono 634.

L’effetto bivariato tra genere e livelli retributivi (variabile dicoto-mica) è pari a -1,3. La probabilità di guadagnare più di 1400 euronetti al mese è per le donne inferiore al 75% dell’analoga probabilitàdegli uomini. L’effetto del genere sui livelli reddituali aumenta, te-nendo sotto controllo l’influenza esercitata dalle variabili concomitanti(occupazione del padre; numero di figli) e intervenienti (occupazionedel soggetto e titolo di studio del partner25) immesse nel modello.

61

Variabili b exp (b)

uomini cat. riferimento

donne -1,639 0,194

0 figli cat. riferimento

1 figlio 0,572 1,772

2 o più figli 0,712 2,037

tit. studio partner – laurea cat. riferimento

diploma -0,703 0,495

lic. Media -0,643 0,526

lic.elem./ness.tit. -0,931 0,394

occupazione intervistato – operaio cat. riferimento

lav.aut. 0,974 2,648

imp.tecn. 0,712 2,038

prof. dip/ins./quadro 2,692 14,767

lib.prof./imp./dir. 1,805 6,079

occupazione padre – operaio cat. riferimento

lav.aut. 0,614 1,848

imp.tecn. 0,507 1,660

prof.dip/ins./quadro 1,514 4,545

lib.prof./imp./dir. 0,788 2,198

costante -1,127 0,324

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25 Anche questa variabile è ritenuta interveniente, data l’associazione regi-

L’aumento rispetto all’effetto bivariato non è elevato ed è pari a-0,3, portando il coefficiente di regressione a -1,6, col coefficienteexp(b) pari a 0,194: nel passare dagli uomini alle donne, le secondehanno una propensione/probabilità di guadagnare più di 1400 euroche è inferiore dell’80% all’analoga propensione degli occupati disesso maschile.Se si passa a stimare l’effetto causale netto anche delle altre varia-

bili concomitanti26, si nota che all’aumentare del numero dei figlicresce la possibilità per i soggetti (sia uomini che donne) di accederea livelli di reddito più alti: ciò è spiegabile solo in parte con l’età del-l’occupato e l’anzianità di lavoro; infatti il livello di reddito aumentaanche in funzione di misure sociali di natura “familista” che carat-terizzano il modello di welfare italiano (Ferrera 2006).Inoltre, con l’innalzarsi dello status professionale del soggetto, ma

anche della sua estrazione sociale, aumentano le probabilità di gua-dagnare più di 1400 euro. In particolare, chi proviene da famiglie in cui il padre lavora o

ha lavorato come quadro, insegnante, professionista dipendente hauna maggiore propensione a raggiungere livelli reddituali superiorialla soglia dei 1400 euro. Un altro dato interessante è che al diminuire del titolo di studio

del partner diminuisce la probabilità del soggetto di guadagnare oltre1400 euro: rispetto a chi ha un partner laureato, chi ha un partnercon licenza elementare o nessun titolo ha il 61% in meno di proba-bilità di rientrare nel livello retributivo più alto. La regressione logistica conferma quanto emerso dall’analisi bi-

variata e trivariata: il mercato del lavoro toscano sembra fondarsi suquelle stesse relazioni gerarchiche tra gli uomini e le donne che sonopresenti negli altri ambiti sociali. Le minori opportunità per le donne di ottenere un lavoro ben re-

tribuito, cioè capace almeno dal punto di vista economico di renderle

62

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strata tra genere e titolo di studio del partner: le donne scelgono come partnerpersone dal titolo di studio basso del loro e ciò avviene in misura maggiore diquanto si registri per gli uomini. Su questo punto ritorno più avanti.

26 Non sono stati calcolati gli effetti di interazione. Si pensi all’interazioneesistente tra il genere e il tipo di occupazione nell’influenzare il reddito. Lostesso potrebbe valere per quanto riguarda l’influenza sul reddito esercitata dal-l’interazione tra genere dell’intervistato e occupazione del padre.

autonome, sono dovute alle relazioni di potere tra i sessi, fondate an-cora su una logica patriarcale che fa dipendere la donna dall’uomo.Questo è quanto emerge dalla regressione logistica binomiale con-

dotta in modo separato prima solo sui casi di sesso maschile, e poisolo sui casi di sesso femminile27.In questo caso è stato analizzato l’effetto tra titolo di studio del

soggetto e reddito, tenendo sotto controllo l’effetto di variabili comel’età, il numero di figli, l’occupazione del padre, il titolo di studio el’occupazione del partner (tabella 9).È possibile stimare gli effetti causali diretti delle diverse variabili

specificate nel modello, comparando la situazione degli uomini conquella delle donne. Va detto che i parametri non sono statisticamentesignificativi e pertanto questo modello va interpretato sotto l’aspettomeramente descrittivo, senza attribuire alcuna valenza esplicativa. Se si comparano i due valori “Costante” (l’intercetta della retta

di regressione), risulta evidente quanto sia forte tra gli occupati to-scani la diseguaglianza di genere. Se un uomo è un operaio, figlio dioperaio, in possesso di un basso livello di istruzione, senza figli, gio-vane e con un partner con un livello di istruzione bassa, allora la suaprobabilità di avere una retribuzione superiore a 1400 euro al meseè inferiore del 92% rispetto all’analoga probabilità che hanno gli oc-cupati in condizioni sociali diverse. Tra le donne questa probabilitàè inferiore di ben 944 punti percentuali: le donne di condizione so-ciale inferiore, senza figli, e di giovane età hanno il 944% di proba-bilità in meno di guadagnare oltre 1400 euro rispetto alla probabilitàregistrata tra le donne non giovani (nel nostro caso, di età superioreai 44 anni), con figli e di condizione sociale superiore (donne conlivello di istruzione medio-alto, con partner istruito e non operaie).Il valore registrato per le donne è di oltre dieci volte inferiore a quelloregistrato per gli uomini28!

63

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27 Il numero di casi sottoposto all’analisi si riduce in modo significativo:223 uomini e 279 donne.

28 In altri termini, tra gli occupati con reddito superiore a 1400 euro troviamo8 giovani, senza figli, a bassa istruzione, di estrazione operaia e con partner aventeuna bassa istruzione ogni 100 uomini in condizione socio-grafica diversa; mentretra le occupate con reddito superiore a 1400 euro troviamo a stento una (0,9)donna giovane, senza figli, a bassa istruzione, di estrazione operaia e con un par-tner a bassa istruzione ogni 100 donne in condizione socio-grafica diversa.

Tab. 9 -Regressione logistica. Secondo modello: variabili nell’equazione e coefficienti

64

donne (279 casi) uomini (223 casi)

b exp (b) b exp (b)

titolo_studio_intervistatomedio-basso

cat. riferimento

medio-alto 0,994 2,703 0,344 1,411

occupazione_intervistato operaio

cat. riferimento

lavoratore autonomo 0,729 2,073 0,740 2,096

impiegato/tecnico 0,109 1,115 1,027 2,793

prof.dipendente/quadro/insegnante

1,770 5,870 2,142 8,519

imp./dir./lib.prof. 1,232 3,428 1,619 5,046

occupazione_padre operaio cat. riferimento

lavoratore autonomo 0,549 1,732 1,520 4,574

impiegato/tecnico 0,565 1,759 0,855 2,351

prof.dipendente/quadro/insegnante

1,051 2,861 2,845 17,201

imp./dir./lib.prof. 0,946 2,575 0,747 2,111

occupazione_partner operaio cat. riferimento

lavoratore autonomo 0,949 2,583 0,454 1,575

impiegato/tecnico 0,336 1,399 -0,419 0,657

prof.dipendente/quadro/insegnante

1,019 2,770 0,882 2,415

imp./dir./lib.prof. 1,703 5,493 0,328 1,388

Classe_età_intervistato inf.45 anni

cat. riferimento

45-64 anni 1,102 3,010 0,618 1,855

titolo_studio_partner basso cat. riferimento

medio -0,135 0,874 0,203 1,226

alto 0,331 1,392 0,091 1,095

0 figli cat. riferimento

1 figlio 0,964 2,622 -0,248 0,780

2 figli 0,848 2,336 0,529 1,697

costante -5,078 0,006 -2,506 0,082

Le probabilità che hanno le donne di ottenere più di 1400 eurodipendono, in misura superiore agli uomini, non solo da variabili comeil titolo di studio posseduto, l’età, il numero di figli, ma anche dallostatus socio-economico (occupazione e titolo di studio) del partner.L’estrazione sociale influenza sia il reddito da lavoro degli uomini

sia delle donne, ma ciò avviene in modo diverso: per le donne all’au-mentare dello status professionale del padre aumentano le possibilitàdi reddito; per gli uomini conta di più se il padre svolge (o svolgeva)un’attività indipendente: per gli uomini pesa di più il capitale eco-nomico ereditato, per le donne il capitale culturale trasmesso. Dall’analisi bivariata risulta evidente come nelle relazioni senti-

mentali gli uomini traggano un capitale sociale più alto delle donne:il 53% degli occupati con licenza elementare (o nessun titolo) hauna partner diplomata o laureata; per le donne con un titolo di stu-dio così basso questo valore scende al 23% circa. Gli uomini più facilmente si uniscono a persone con titolo di

studio pari o superiore, invece i partner delle occupate hanno ten-denzialmente un titolo di studio più basso di queste ultime.Se è vero che le laureate sono portate ad avere partner con pari

titolo di studio; è altrettanto vero che le occupate che hanno partnercon titoli di studio superiore al loro sono presenti in proporzioneminore degli uomini29. In sintesi, all’aumentare del titolo di studio si riducono le diffe-

renze reddituali tra i due sessi; le persone con titolo di studio elevatotendono a unirsi con persone di pari titolo. Il titolo di studio delpartner influenza la probabilità di accedere a certi livelli retributivipiuttosto che ad altri, e ciò vale soprattutto per le donne, che peròhanno maggiori difficoltà nell’unirsi con persone di titolo di studiosuperiore al loro.Il reddito da lavoro dipende da diverse variabili relative al capitale

sociale del soggetto, anche se il genere da solo ha un’influenza digran lunga superiore: le donne per migliorare la loro condizione de-vono far riferimento come gli uomini alle risorse messe a disposi-zione dalla famiglia di origine; tuttavia, per loro il raggiungimento

65

––––––––––––––––––––

29 Lo stesso discorso vale per il tipo di occupazione. La proporzione di uo-mini che ha il partner che svolge un’occupazione di status pari o superiore allapropria occupazione è più alta dell’analoga proporzione registrata per le donne.

di un reddito medio-alto dipende, in misura maggiore degli uomini,dal titolo di studio superiore (laurea) posseduto dal partner. Come mostra il secondo modello, le donne, in misura superiore

agli uomini, per vedere accrescere il proprio reddito devono farsispazio facendo leva sulle credenziali educative acquisite (titolo di stu-dio) e sull’esperienza maturata (legata all’età). Le donne devono cioè“superare più prove” degli uomini se vogliono guadagnare oltre 1400euro al mese; per gli uomini, invece, ciò che conta è l’estrazione so-ciale e lo status occupazionale raggiunto. Allo stesso tempo, come mostra il primo modello, essere donna

è svantaggioso nella competizione economica, al netto delle influenzeesercitate da altre variabili importanti. Di qui la maggior dipendenza delle donne non solo da meccanismi

“universalistici” legati alla carriera, ma anche da meccanismi partico-laristici, legati alle relazioni informali che esse intrattengono con per-sone a loro vicine, a partire dal partner: il successo economico delledonne dipende dal capitale sociale derivato dalla famiglia, di origineo di formazione.Infine, è stato costruito un terzo modello che considera il ruolo

del genere, tenendo sotto controllo variabili relative alla stratificazionesociale, territoriale e generazionale (tabella 10). Dalla tabella qui sotto si evince chiaramente come l’effetto causale

totale del regressore “donne” sia superiore a quello esercitato dall’età,dall’area provinciale e dalla classe sociale.L’effetto causale totale del genere (più precisamente dell’essere

donna) è dato sia da una componente diretta che è negativa, sia dauna componente indiretta che è positiva30; infatti, come visto, al cre-scere del titolo di studio o dell’estrazione sociale le donne miglioranola loro condizione reddituale. Per questo l’effetto causale totale è sìsuperiore all’effetto bivariato, ma è inferiore all’effetto causale eser-citato al netto di variabili intervenienti e concomitanti come quelleimmesse nel primo modello.Le probabilità delle donne di guadagnare oltre i 1400 euro al

mese è del 77% inferiore a quella degli uomini, a parità di età, estra-zione sociale e provincia di residenza.

66

––––––––––––––––––––

30 L’effetto indiretto è pari alla differenza tra l’effetto bivariato e l’effettodiretto.

Tab. 10 - Regressione logistica. Terzo modello: variabili nell’equazione e coefficienti

I casi analizzati con questo modello sono 931.

Il ruolo importante della classe sociale di origine nello spiegarele differenze di reddito è confermato, anche tenendo sotto controllol’età, il genere e il territorio: rispetto a chi proviene da famiglie ope-raie i soggetti di diversa estrazione vedono migliorare sensibilmentela loro probabilità di appartenere alla fascia di reddito superiore.La tabella 11 riporta i risultati del terzo modello integrato dalle

variabili intervenienti in modo da valutare gli effetti solo diretti delgenere al netto dell’influenza sia di variabili concomitanti che inter-venienti.

67

Variabili b exp (b)

uomini cat. riferimento

donne -1,435 0,238

occupazione padre – operaio cat. riferimento

lavoratore autonomo 0,684 1,982

impiegato/tecnico 0,785 2,192

prof.dip./ins./quadro 1,400 4,054

imprenditore/lib.prof./dir. 0,735 2,086

classe di età inf. 45 anni cat. riferimento

45 e più anni 0,870 2,388

area provinciale – Pistoia cat. riferimento

Firenze 0,149 1,161

Arezzo -0,678 0,508

Grosseto -0,367 0,693

Livorno -0,326 0,722

Lucca -0,383 0,682

Massa Carrara 0,148 1,159

Pisa -0,056 0,945

Siena 0,181 1,199

Prato 1,002 2,723

Costante -0,868 0,420

Tab. 11 - Regressione logistica. Terzo modello integrato: variabili nell’equazione ecoefficienti

I casi analizzati con questo modello sono 923.

68

Variabili b Exp (b)

uomini cat. riferimento

donne -1,798 0,166

titolo di studio – laurea

diploma -0,169 0,845

lic. Media -1,165 0,312

lic.elem./ness.tit. -0,561 0,571

0 figli cat. riferimento

1 figlio 0,667 1,948

2 o più figli 0,901 2,462

occupazione padre – operaio cat. riferimento

lav.aut. 0,543 1,722

imp.tec. 0,444 1,559

prof.dip./ins./quadro 1,542 4,676

imp./lib.prof./dir. 0,961 2,615

occupazione intervistato – operaio cat. riferimento

lav.aut. 1,135 3,111

imp.tec. 0,659 1,932

prof.dip./ins./quadro 2,668 14,408

imp./dir./lib.prof. 1,774 5,896

tit.studio partner – laurea cat. riferimento

diploma -0,655 0,519

lic. Media -0,394 0,674

lic.elem./ness.tit. -0,728 0,483

area provinciale – Pistoia cat. riferimento

Firenze -0,229 0,795

Arezzo -1,397 0,247

Grosseto -0,385 0,680

Livorno -0,501 0,606

Lucca -1,293 0,274

Massa Carrara 0,023 1,023

Pisa -0,630 0,533

Siena -0,292 0,747

Prato 0,456 1,578

Costante -0,544 0,580

Nel nuovo modello sono state inserite le cinque variabili delprimo modello, aggiungendovi il titolo di studio del soggetto e laprovincia di residenza.La relazione tra genere e livelli reddituali presenta un coefficiente

di regressione b pari a -1,798, col coefficiente exp(b) pari a 0,166:l’effetto causale diretto del genere sul reddito cresce di 0,5 rispettoall’effetto bivariato. L’effetto causale diretto del genere sul reddito è di gran lunga su-

periore all’effetto causale indiretto, ed è di segno negativo: il generefemminile si associa negativamente ai livelli di reddito medio-alti,tuttavia le donne in funzione di credenziali educative elevate, diestrazione sociale medio-alta, e in alcune aree provinciali, possonovedere migliorate le loro condizioni di reddito, con le differenze digenere che si attenuano, anche se di poco. La probabilità delle donne di raggiungere un guadagno superiore

a 1400 euro netti al mese è di ben l’83,5% inferiore all’analoga pro-babilità degli uomini.Il titolo di studio del soggetto e quello del partner giocano ancora

un’influenza importante, ma la relazione non è più lineare: non èdetto che indiscriminatamente all’aumentare del titolo di studio mi-gliorino le possibilità per i soggetti di guadagnare di più; la vera dif-ferenza è nel possedere la laurea e/o nell’avere un partner laureato. Importante resta l’estrazione sociale e soprattutto l’occupazione

svolta: chi è figlio di professionista dipendente/insegnante/quadro, osvolge una di queste professioni, ha maggiore accesso a guadagni alti. Dunque, l’effetto di genere cresce tenendo sotto controllo l’in-

fluenza esercitata dalla provincia di residenza, oltre che l’effetto dellealtre variabili. Infine, va detto che tra i residenti a Pistoia si registra la percen-

tuale più alta di donne che guadagnano oltre 1400 euro al mese: sitratta del 27% delle occupate. A parità di numero di figli, estrazione sociale e condizione occu-

pazionale, insieme ai residenti di Pistoia, i residenti nelle provincedi Massa Carrara e soprattutto Prato si caratterizzano per la più altapropensione a guadagnare oltre 1400 euro31; mentre i residenti di

69

––––––––––––––––––––

31 Si tenga conto che se poco più di un terzo (35,3%) dei casi intervistatiha dichiarato di guadagnare oltre 1400 euro al mese, oltre la metà (53,6%)dei casi residenti a Prato ha dichiarato un reddito di tale livello.

Arezzo e Lucca risultano quelli con la più bassa propensione. Perquanto concerne la condizione delle sole occupate, le percentualipiù basse di soggetti con redditi medio-alti si registrano tra le inter-vistate di Arezzo, Livorno e Lucca: ad Arezzo le donne che guada-gnano più di 1400 euro sono solo il 5%, a Livorno sono il 17,6%,a Lucca il 19%.Tra i casi residenti nella provincia di Lucca, però, si registra la

più bassa differenza tra la percentuale di uomini che guadagnanopiù di 1400 euro e l’analoga percentuale di donne: la differenza è di18,9 punti percentuali, un valore elevato ma comunque inferiore aquello registrato tra i casi residenti nelle altre province. Ovunque inToscana le donne hanno meno probabilità degli uomini di guada-gnare oltre 1400 euro al mese, tuttavia tra gli occupati residenti nelleprovince di Massa-Carrara, Arezzo e Prato si registrano le più altediseguaglianze reddituali di genere32. Al contrario, minori disegua-glianze di genere si registrano tra i residenti della provincia di Pistoiae Lucca, seguiti dai residenti di Grosseto e Pisa. In particolare, nelleprovince di Pistoia e Lucca la probabilità delle donne di raggiungereun livello reddituale superiore a 1400 euro mensili è inferiore del60% all’analoga probabilità degli uomini; si tratta di un valore cer-tamente non entusiasmante, ma sicuramente meno negativo diquelli registrati tra i casi residenti altrove.

2.5. Perché le donne guadagnano di meno?

Il genere costituisce dunque una delle principali variabili che ripro-ducono maggiormente le differenze reddituali tra gli occupati. Al netto delle altre variabili relative alla stratificazione sociale e

territoriale, il genere esercita un’influenza sul reddito elevata: il fattodi essere donna implica un reddito più basso degli uomini.Il differente trattamento economico tra i due sessi rinvia alla più

70

––––––––––––––––––––

32 Questo dato va letto insieme a quello precedente che indicava che propriotra i residenti di Prato si registrano le più alte probabilità di guadagnare oltre1400 euro, se non teniamo conto del genere. Ergo, tra i residenti di questa pro-vincia le opportunità di guadagno sono più alte, ma ciò vale solo per gli uominie non per le donne.

generale organizzazione sociale che vede una relazione asimmetricaa vantaggio degli uomini.È possibile provare a individuare alcuni meccanismi che caratte-

rizzano questa relazione asimmetrica. Come detto, un primo meccanismo consiste nella relegazione delle

donne nei comparti più marginali: ciò potrebbe spiegare come mai solo il5% delle operaie intervistate guadagni più di 1400 euro al mese, mentrequesta percentuale sale per gli operai al 36%33 (tabella 12).

Tab. 12 - Retribuzione per tipo di occupazione e genere

Rispondenti: 940 casi.

71

occupazione sesso max. 1400 euro sup. 1400 euro totale

operaio

uomini 51 29 80

% 64 36 100

donne 59 3 62

% 95 5 100

non operaio

uomini 176 201 377

% 47 53 100

donne 322 99 421

% 76 24 100

––––––––––––––––––––

33 La distribuzione dei dati secondo la dicotomia operaio/non operaio èmolto squilibrata, con gli operai che sono sottorappresentati rispetto alla po-polazione di riferimento: dai dati del censimento della popolazione del 2001infatti risulta che tra gli uomini gli operai sono pari al 43% degli occupati, trale donne al 27%. Inoltre, circa il 45% degli occupati toscani svolge un lavorodipendente di tipo manuale o non manuale ma a elevata esecutività. Invece, idati ottenuti con la nostra survey sono lontani dai suddetti valori: appena il16,9% degli occupati uomini si è dichiarato operaio; tra le donne questa per-centuale scende al 12,9%; parimenti gli impiegati risultano sovra-rappresentati.Questa discrasia potrebbe essere dovuta alla scarsa autopercezione degli operai.Tuttavia, dal momento che anche il censimento Istat si basa sulle dichiarazionidei soggetti, è più facile pensare che le cause siano da ricercare nello strumentoCati e nella relazione sociale ad esso sottesa, oltre che nel tipo di campiona-mento adottato: la minore impersonalità dell’intervista telefonica, rispetto alquestionario autosomministrato, potrebbe aver inibito gli operai contattati a

Lo stesso discorso può valere per le lavoratrici autonome che ope-rano nei segmenti di mercato più instabili (Giannini e Parziale 2010).Esistono, però, almeno altri due meccanismi che rendono conto

dell’asimmetrica relazione di genere. Essi riguardano la disegualepossibilità di far lievitare la parte variabile della retribuzione per chilavora alle dipendenze.Se si analizza la distribuzione tra i generi delle misure di integrazione

al reddito, si scopre che le intervistate con la tredicesima sono in per-centuale leggermente superiore agli uomini; mentre per quanto ri-guarda l’indennità di missione, la partecipazione agli utili e le polizzeassicurative la percentuale di donne supera quella degli uomini solo trai soggetti con retribuzione pari o inferiore ai 1400 euro (tabella 13).Il fatto che queste misure siano diffuse molto di più tra le donne

quando la retribuzione non è alta sta a dimostrare il loro utilizzo comefattori sostitutivi piuttosto che integrativi della retribuzione. Si trattadi una parte variabile della retribuzione che serve o ad accollare al la-voratore (soprattutto alla lavoratrice) quel rischio di mercato che do-vrebbe essere a carico dell’impresa (si pensi alla partecipazione agliutili o alle polizze assicurative); oppure, semplicemente, a rendere piùaccettabile lo stipendio percepito (si pensi ai buoni pasto). Le vere misure di integrazione al reddito sono invece costituite

dai premi di produzione individuali e collettivi, dalle indennità dilavoro notturno, dagli assegni familiari. Con l’eccezione della fasciaretributiva medio-alta, gli uomini usufruiscono di queste misure in-tegrative in proporzione maggiore delle donne.Sulla base degli odds ratio34 è possibile calcolare il vantaggio com-

petitivo degli uomini sulle donne nell’ottenere le diverse misure diintegrazione della retribuzione.Il vantaggio dei dipendenti uomini è nullo, o quasi, per quanto ri-

guarda l’ottenimento di misure come la tredicesima e la quattordice-sima: queste misure sono adottate anche nel comparto pubblico, bacinooccupazionale femminile dove le retribuzioni spesso sono contenute.

72

––––––––––––––––––––

non dichiararsi tali, o a non accettare di essere intervistati. Altra causa potrebbeessere l’orario di conduzione delle interviste che potrebbe aver abbassato le pro-babilità di reperire operai. Un discorso in parte simile vale per la distribuzione deltitolo di studio: nel campione i soggetti con titolo di studio medio-alto (diplomatie laureati) sono sovra-rappresentati rispetto a quanto risulta dai dati censuari.

34 Rinvio alla nota 18.

Tab. 13 - Tipo di misura di cui si usufruisce per livello di reddito e genere (%)

Il totale dei casi che hanno risposto affermativamente alle domande sulla frui-zione di misure di integrazione e allo stesso tempo hanno dichiarato il lororeddito sono 640.

Al contrario, per ogni donna che usufruisce di premi di produtti-vità collettivi, indennità di lavoro notturno e indennità di responsa-bilità ci sono rispettivamente 1,6, 3 ed 1,7 uomini (tabella 14). Questesono misure che generalmente fanno aumentare sensibilmente la re-tribuzione.

73

uomini donne

max. 1400 euro

quattordicesima 42,4 47

tredicesima 81,3 84,7

premi prod. individuali 29,5 22,7

premi. prod. collettivi 18,7 14,3

premi presenza 5,8 8,7

buoni pasto 26,6 12,7

indennità lavoro notturno 8,6 3,3

indennità di responsabilità 7,9 5,7

indennità di missione 5 8,3

partecipazione utili aziendali 1,4 2,7

assegni familiari 23 14,7

polizze assicurative 18,7 21,3

sup. 1400 euro

quattordicesima 48 28,8

tredicesima 94,3 96,3

premi prod. individuali 45,5 37,5

premi prod. collettivi 35,8 28,8

premi presenza 12,2 7,5

buoni pasto 37,4 27,5

indennità lavoro notturno 13,8 7,5

indennità di responsabilità 21,1 16,3

indennità di missione 29,3 25

partecipazione utili aziendali 8,1 3,8

assegni familiari 26,8 33,8

polizze assicurative 48,8 26,3

Tab. 14 - Misure di integrazione al reddito e vantaggio competitivo degli uomini

I casi che hanno risposto affermativamente alle domande sulla fruizione di mi-sure di integrazione al reddito sono 642.

Se per misure come l’indennità notturna il vantaggio competitivodegli uomini dipende per lo più dalle diseguali opportunità di generenell’accedere a carriere maggiormente remunerative; per le misurecome i premi di produttività individuali, il vantaggio competitivodegli uomini va forse attribuito a quella diseguaglianza valutativache vede nei luoghi di lavoro definire il merito sulla base di criteriche potrebbero sfavorire le donne.Quanto detto è confermato dalla regressione logistica condotta

sulla base di un modello specificato da tre tipi di variabili che in-fluenzano il livello di reddito dei dipendenti: variabili legate a misureintegrative derivanti da regole stabilite a livello politico-istituzionale(ad esempio la de-tassazione per il numero di figli, gli assegni fami-liari, etc.), variabili che influenzano il reddito dal punto di vista delfunzionamento tipico del mercato del lavoro italiano (compartopubblico vs comparto privato; dimensione aziendale), variabili chefanno riferimento alle altre misure di integrazione stabilite a livelloaziendale (premi di produzione individuale, partecipazione agli utili,

74

Misura di integrazione al redditovantaggio competitivodegli uomini (odds ratio)

% di vantaggio competi-tivo

quattordicesima 1,1 10%

tredicesima 1 Nullo

premi prod. Individuali 1,72 72%

premi. prod. collettivi 1,6 60%

premi presenza 1 Nullo

buoni pasto 2,3 130%

indennità lavoro notturno 3 200%

indennità di responsabilità 1,7 70%

indennità di missione 1,46 46%

partecipazione utili aziendali 1,3 30%

assegni familiari 1,35 35%

polizze assicurative 1,63 63%

etc.). Inoltre, sono stati presi in considerazione anche il titolo di stu-dio e il tipo di occupazione (tabella 15).Come indicano i coefficienti b ed exp (b), non solo viene con-

fermato il fatto che le probabilità delle donne di guadagnare più di1400 euro dipendono in misura superiore agli uomini dal titolo distudio e dal numero di figli, ma è evidente anche come le donne delcomparto privato rispetto a quelle del comparto pubblico abbianominori probabilità di raggiungere redditi medio-alti, mentre per gliuomini vale l’esatto contrario. Inoltre, se è vero che la relazione diretta tra reddito e dimensione

aziendale vale sia per gli uomini sia per le donne, è altrettanto veroche per le donne ciò vale di più (la relazione è più intensa), essendopagate meno degli uomini nella piccola impresa. Questi dati richia-mano il fenomeno della diseguaglianza allocativa di genere, che vede,tra gli occupati del settore privato, le donne lavorare tendenzialmentedi più degli uomini nei comparti marginali a bassa retribuzione. Perciò, per le donne è in genere più conveniente lavorare nel settore

pubblico che offre maggiori garanzie in cambio di retribuzioni conte-nute, ma comunque superiori a quelle della piccola impresa privata. Le stesse misure integrative al reddito sono impiegate in modo

diverso a seconda del genere: indennità di missione, partecipazioneagli utili, indennità di responsabilità, assegni familiari, polizze assi-curative sono tutte misure che fanno aumentare le probabilità diraggiungere retribuzioni medio-alte tra i dipendenti di sesso ma-schile, mentre non avviene lo stesso per i soggetti di sesso femminile. Anzi, in alcuni casi, queste misure fanno abbassare le probabilità

delle donne di raggiungere retribuzioni medio-alte rispetto alle oc-cupate che non ne usufruiscono. Ciò avviene, come accennato piùsopra, in quei contesti aziendali dove vi è l’impiego distorto di questemisure che le rende sostitutive e non integrative del reddito. Infine, i premi di produttività individuali pesano sul reddito nella

stessa misura per gli uomini e per le donne, ma queste ultime, comedetto, sono svantaggiate nel raggiungerli: per ogni donna che usu-fruisce di premi di produttività ci sono quasi 2 uomini (1,72).L’asimmetrica relazione di genere, a parità di altri fattori produt-

tori di diseguaglianza sociale, si manifesta non solo nella svantaggiosaallocazione delle donne nelle professioni e nei comparti meno re-munerativi, ma anche nella diseguale configurazione della retribu-zione aziendale e nella costruzione delle politiche di welfare che

75

fanno lievitare la retribuzione delle donne solo quando esse eserci-tano il ruolo di madri.Questi 3 meccanismi molto probabilmente si rafforzano per ef-

fetto della loro interazione.

Tab. 15 -Regressione logistica. Quarto modello: variabili nell’equazione e coefficienti

I casi analizzati con questo modello sono 642.

76

uomini (265 casi) donne (384 casi)

b exp (b) b exp (b)

titolo di studio medio-alto 0,005 1,005 1,661 5,264

occupazione intervistato operaio

impiegato/tecnico 0,084 1,088 0,521 1,684

professionisti intellettuali e dirigenti 2,193 8,960 2,194 8,968

comparto privato 0,347 1,414 -0,451 0,637

azienda max. 15 dip.

16-49 dip. 0,345 1,412 0,150 1,162

sup. 49 dip. 1,063 2,894 0,710 2,035

quattordicesima 0,481 1,617 0,353 1,423

tredicesima 0,405 1,499 2,043 7,713

incentivi di produttività/premi di risultatoindividuali

0,506 1,659 0,555 1,741

incentivi di produttività/premi di risultatocollettivi

-0,059 0,943 0,079 1,082

premi di presenza 0,307 1,359 -0,766 0,465

buoni pasto 0,064 1,066 0,613 1,846

indennità di lavoro notturno, indennitàdi carico, rischio

-0,317 0,728 1,028 2,797

responsabilità 0,047 1,048 0,683 1,980

indennità di missione 1,815 6,140 0,449 1,567

partecipazione agli utili aziendali 2,280 9,773 -0,424 0,655

assegni familiari 0,203 1,225 0,022 1,022

polizze assicurative 1,272 3,569 -0,122 0,886

0 figli

1 figlio -0,703 0,495 1,501 4,485

2 figli 0,035 1,036 1,277 3,587

costante -2,663 0,070 -7,449 0,001

2.6. La segmentazione di genere del mercato del lavoro:due fattori di sintesi

Una delle principali caratteristiche del passaggio dalla regolazione tay-lor-fordista a quella post-fordista è la polarizzazione tra percorsi pro-fessionali ricchi e qualificati, per quanto instabili, e percorsi caratterizzatida povertà dei contenuti ed elevato rischio di esclusione sociale. Laframmentazione e complessificazione del lavoro sta ridefinendo la di-stinzione tra il lavoro delle donne e il lavoro degli uomini, con la so-vrapposizione di nuovi dualismi di genere alla tradizionale dicotomiatra lavoro di cura e lavoro produttivo.Per comprendere le fratture di genere nel mercato del lavoro to-

scano i dati sono stati sottoposti, con l’ausilio del software SPAD,all’Analisi delle Corrispondenze Multiple (ACM)35.Le variabili indagate sono 18 e sono state ricodificate in 49 va-

riabili-modalità “attive”36. Queste variabili riguardano la condizione sociale associata all’oc-

cupazione svolta; questo concetto può essere scomposto in 4 diversedimensioni: condizioni di impiego (orario di lavoro, tipo di contratto,etc.); carriera lavorativa (canale attraverso il quale si è trovato l’attualeimpiego, numero di volte che si è cambiato lavoro, etc.); condizioneeconomica (livello di reddito, capacità di soddisfare i bisogni indivi-duali e familiari, misure di integrazione al reddito, etc.); tempi di la-voro e di cura (ore dedicate al lavoro, alle attività domestiche, etc.).

77

––––––––––––––––––––

35 L’ACM è una tecnica di analisi adeguata a esplorare e a sintetizzare i datisulla base delle relazioni esistenti tra molteplici variabili di natura non cardinale.Per condurre l’analisi è necessario sottoporre le variabili alla codifica disgiuntivacompleta, attraverso la quale esse vengono trasformate in un insieme di varia-bili-modalità che possono assumere valore 0/1 (assenza/presenza). L’ACM in-daga dunque la relazione, non lineare, tra le singole modalità delle variabiliche non hanno natura cardinale. Il fine dell’ACM è quello di sintetizzare i datisulla base dell’individuazione di fattori, concepibili come dimensioni latentirispetto alle opinioni e agli atteggiamenti manifestati dai soggetti.

36 L’ACM prevede la distinzione tra variabili-modalità “attive”, che con-corrono alla formazione dei fattori, e variabili-modalità “illustrative”, che noncontribuiscono alla formazione dei fattori, ma sono utili, attraverso la loro col-locazione sugli assi fattoriali, a interpretare i fattori e a studiare eventuali legamidi interdipendenza tra questi.

La scelta della quarta dimensione è dovuta all’ipotesi che la con-dizione lavorativa del soggetto sia in relazione di influenza reciprocacon la condizione di lavoro domestico, in particolare per le donne:una donna part-time può dedicare più tempo alla famiglia, ma ciòincide sulle sue possibilità di carriera; allo stesso tempo una donnain carriera può, attraverso il reddito percepito, delegare parte del la-voro domestico ad altri (colf, baby sitter, partner, etc.), e pertanto lasua carriera, a parità di condizioni, risulta facilitata. L’analisi multivariata dei dati si è fermata ai primi due fattori

estratti, che riproducono in tutto il 19,4% (il 9,2% il primo, il 6,2%il secondo) dell’inerzia37 totale. Tale scelta è dovuta sia alla volontàdi semplificare l’analisi, sia al fatto che le differenze di inerzia ripro-dotte tra gli altri fattori sono inferiori allo scarto esistente tra i primidue fattori, che dunque risultano i più informativi. L’interpretazione dei fattori dipende in particolar modo dai valori

che le variabili-modalità attive assumono rispetto a quattro coeffi-cienti: il contributo assoluto, il contributo relativo, la coordinata fat-toriale, il valore test38. L’interpretazione è poi facilitata dai valori assunti dalle variabili-

modalità “illustrative”39 scelte. In tal caso, non partecipando questealla formazione dei fattori, si tiene conto solo dei valori test e dellecoordinate fattoriali (Di Franco, 2011).

78

––––––––––––––––––––

37 L’inerzia è una misura della dispersione dell’insieme delle distanze cal-colate tra le variabili-modalità attive. L’inerzia corrisponde alla varianza ripro-dotta nell’Analisi in Componenti Principali (ACP) dalla relazione tra variabilicardinali (Di Franco e Marradi 2003; Di Franco 2006).

38 Il primo coefficiente rappresenta la parte di inerzia di un dato fattoredovuta a una data variabile-modalità. In altre parole, esso esprime il contributo(in termini di proporzione di inerzia) di ciascuna variabile-modalità a ciascunfattore. Il secondo coefficiente esprime, invece, la proporzione di inerzia diciascuna variabile-modalità espressa da ciascun fattore. Il terzo rappresenta laposizione della variabile-modalità su ciascun fattore; il segno della coordinataindica il verso dell’associazione presente fra la variabile-modalità e il fattore: ilsegno è positivo se la relazione è diretta, è negativo se la relazione è inversa.Per accertare se la relazione tra la variabile-modalità e il fattore sia significativao solo dovuta al caso, si ricorre al valore test. Si ritiene significativa un’associa-zione quando il valore test è maggiore di 2 in valore assoluto.

39 Rinvio alla nota 36.

Nella tabella 16 sono riportati i valori assunti dalle variabili-mo-dalità attive che più contribuiscono alla formazione del primo fattore.Questo fattore è stato definito “Produzione vs Riproduzione”, in

quanto fa riferimento alla divisione del lavoro classica tra i generi: allaripartizione tra soggetti che si fanno carico della dimensione econo-mica e soggetti che si fanno carico della riproduzione sociale. Infattisono associate positivamente col primo fattore variabili-modalitàcome “lavoro autonomo”, “canale lavorativo: altro” (per lo più, manon esclusivamente, l’autoimpiego), “lavoro oltre 10 ore al giorno”,“non ho flessibilità oraria”, “lavoro domestico max. 2 ore al giorno”,“economicamente ce la faccio da solo”. Al contrario, sono associatenegativamente variabili-modalità come “lavoro max. 7 ore”, “lavorodomestico oltre 6 ore al giorno”, “ho assegni familiari”, “economica-mente mi aiuta il partner”, “usufruisco di congedo familiare”.Al primo fattore sono associate positivamente variabili-modalità

illustrative come “età figlio minore: non risponde” (per lo più perchénon si hanno figli), “lavoratore autonomo”, “imprenditore, diri-gente, libero professionista”, “occupazione padre: lavoratore auto-nomo”, “età inferiore ai 35 anni”, “reddito superiore a 2500 euronetti al mese”, “non usufruisco di congedo familiare”. Al contrario, sono associate negativamente a questo fattore categorie

come “genere femminile”, “reddito di massimo 800 euro al mese”,quell’insieme di categorie che fanno riferimento al fatto che si hannodei figli (“età figlio minore 0-4 anni”, “11-15 anni”, etc.), quell’insiemedi categorie che fanno riferimento al lavoro dipendente (“rapporto dilavoro standard indeterminato”; “impiegato”, “operaio”), “occupazionepadre: operaio” (tabella 17). Il primo fattore richiama, dunque, la dicotomia “indipendenza-

dipendenza”, o se si preferisce “attività-passività”. Da una parte visono i soggetti che attivamente si sono fatti carico della ricerca e dellosvolgimento del lavoro; si tratta del lavoro autonomo (la categoria“lavoratore autonomo” assume un valore test molto più alto di cate-gorie che fanno riferimento a occupazioni indipendenti di status altoborghese), spesso molto remunerativo ma poco protetto e caratteriz-zato dal trascorrere buona parte della giornata a lavorare; dall’altra visono soggetti che lavorano part-time, dedicano meno tempo a un la-voro che hanno trovato o per concorso pubblico, o per “conoscenzadiretta”; le garanzie e le protezioni sono spesso accompagnate a unimpiego che è però poco remunerativo e spesso rende i soggetti di-pendenti dagli altri “portatori di reddito” in famiglia.

79

Tab. 16 - Variabili-modalità attive che formano principalmente il primo fattore

80

FATTORE 1 – Produzione/Riproduzione (attività/passività nel lavoro)

Variabili modalità attive – semiasse positivo

contrib.assoluto

contrib.relativo

coordinatafattoriale

V Test

canale lavorativo: altro 7,4 0,31 0,82 17,6

non usufruisco di congedo maternità 5,6 0,43 0,37 20,9

lavoro oltre 10 ore al giorno 4,2 0,14 0,89 12

lavoro domestico max. 2 ore al giorno 3,3 0,13 0,57 11,6

economicamente ce la faccio da solo 2,8 0,14 0,43 11,9

lavoro 9-10 ore al giorno 2,1 0,1 0,4 9,86

full Time 1,3 0,24 0,21 15,7

lavoro spesso la sera 1,2 0,04 0,48 6,3

periodo di non lavoro non retribuito 1,1 0,1 0,21 10,06

non ho flessibilità oraria 1 0,13 0,2 11,6

non ho assegni familiari 0,9 0,18 0,17 13,5

non ho riduzione oraria 0,8 0,22 0,16 15,05

non ho premi di produttività individuali 0,4 0,06 0,12 7,65

Variabili modalità attive – semiasse negativo

contrib.assoluto

contrib.relativo

coordinataFattoriale

V Test

usufruisco di congedo maternità 11,4 0,43 -1,17 -20,9

lavoro max. 7 ore al giorno 10 0,39 -1,01 -20,02

part Time 7,2 0,24 -1,16 -15,7

ho la riduzione oraria 7 0,22 -1,4 -15,5

lavoro domestico oltre 6 al giorno 7 0,26 -0,93 -16,3

ho assegni familiari 5,4 0,18 -1,05 -13,5

ho flessibilità oraria 3,6 0,13 -0,68 -11,6

economicamente mi aiuta(prevalente mente) il partner

2,8 0,14 -0,44 -11,8

canale lavorativo: concorso pubblico 2,7 0,1 -0,62 -10,2

periodo di non lavoro retribuito 2,4 0,1 -0,47 -10,06

canale lavorativo: conoscenza diretta 1,8 0,07 -0,45 -8,3

ho premi di produttività individuali 1,6 0,06 -0,48 -7,65

ho premi di produttività collettivi 1,3 0,04 -0,52 -6,6

Tab. 17 - Variabili-modalità illustrative maggiormente associate al primo fattore

81

FATTORE 1 – Produzione/Riproduzione (attività/passività nel lavoro)

variabili illustrativesemi-asse positivo

V Testcoordinatafattoriale

variabili illustrativesemi-asse negativo

V Testcoordinatafattoriale

dimensioneaziendale –non risponde

18,4 0,84rapporto di lavoro:

standardindeterminato

-15,1 -0,45

rapporto di lavoro:autonomo

17,5 0,85 genere femminile -13,9 -0,43

occupazione intervistato:

lavoratore autonomo14,5 0,82

occupazioneintervistato:

impiegato/tecnico-10,9 -0,42

genere maschile 13,8 0,44comparto: P.A.e istruzione

-10,3 -0,56

età figliominore – nr

11,7 0,47dimensione aziendale:50 e più dip.

-9,2 -0,51

occupazioneintervistato:

imprenditore, liberoprofessionista,dirigente

8,1 0,75dimensioneaziendale:

1-15 dipendenti-7,2 -0,33

età: inf. 35 anni 5,2 0,3reddito:

max. 800 euro-6,6 -0,54

reddito:1800-2500 euro

4,9 0,47

occupazioneintervistato: prof.dip./insegnante/

quadro

-5,8 -0,51

reddito: nr 3,9 0,42età figlio minore:5-10 anni

-5,1 -0,46

comparto:servizi innovativi

3,3 0,25dimensioneaziendale:16-49 dip.

-4,2 -0,35

occupazione padre:lavoratore autonomo

3,2 0,17età figlio minore:0-4 anni

prov. Residenza:Firenze

3,1 0,17età figlio minore:15 anni e più

-4,2 -0,34

reddito:sup. 2500 euro

2,4 0,29rapporto di lavoro:standard determinato

-4,1 -0,19

comparto:commercio e traporti

2,8 0,14occupazione

intervistato: operaio-3,5 -0,39

occupazione padre:operaio

-3,3 -0,25

età figlio minore:11-14 anni

-2,9 -0,13

Si tratta della dicotomia classica tra lavoro part-time delle donne,alle quali non raramente qualcun altro “trova il lavoro”, e lavoro in-dipendente maschile, pieno di rischi ma anche remunerativo in ter-mini economici e talvolta anche in termini di potere e di status (sipensi ai liberi professionisti e agli imprenditori). Ciò che colpisce diquesto primo fattore è la chiara evidenza della relazione di poteretra i sessi: c’è chi è chiamato a dedicare più tempo alla vita domesticae chi al lavoro. In posizione intermedia si collocano i lavoratori di-pendenti, per lo più full-time, che possono trovare un maggioreequilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro. A questo dualismo socio-occupazionale tipicamente fordista se

ne sovrappone un altro che sembra essere stato accentuato dal nuovocontesto economico.Il secondo fattore è stato etichettato “Marginalità vs Centralità”

(tabella 18).Questa seconda dimensione contrappone il lavoro “cattivo” o

“precario” a quello “buono” o “stabile”. Si associano positivamentecon questo fattore variabili-modalità attive come “non ho premi diproduzione individuali”, “non ho premi di produzione collettivi”,“canale lavorativo: conoscenza diretta”, “canale lavorativo: altro”,“non ho polizze assicurative”, “non mi avvalgo della colf”.Tra le variabili-modalità che si associano negativamente risultano

“canale lavorativo: concorso pubblico”, “canale lavorativo: chiamatadiretta dell’azienda”, “lavoro 8 ore al giorno”, “economicamente cela faccio da solo”.Sul semi-asse positivo si posizionano variabili-modalità illustra-

tive che fanno riferimento a un lavoro professionalmente più mar-ginale, perché più soggetto alle oscillazioni di mercato. Si tratta delavoro atipico (non standard) e del lavoro autonomo. Sul semi-assenegativo si posizionano modalità che si ricollegano al lavoro centrale,cioè quel lavoro più forte sul mercato del lavoro perché professio-nalmente più qualificato e/o più protetto. Si tratta sia del lavoro nelcomparto pubblico, sia del lavoro più qualificato nel settore privato(tabella 19).Sul semi-asse negativo è più facile trovare soggetti che hanno se-

guito percorsi formativi ricchi e professionalmente qualificati, conla chiamata diretta dell’azienda, oppure soggetti che sono riusciti aentrare in quel segmento del mercato del lavoro più protetto, in par-ticolare la pubblica amministrazione.

82

Tab. 18 - Variabili-modalità attive che formano principalmente il secondo fattore

83

FATTORE 2 – Marginalità (precarietà) vs Centralità (stabilità).Lavoro cattivo/Lavoro buono

Variabili modalità attive – semiasse positivo

contrib.assoluto

contrib.relativo

coordinatafattoriale

V Test

non ho premi di produzione collettivi 16,8 0,38 0,25 19,6

non ho premidi produzione individuali

13,4 0,33 0,28 18,3

part time 10,7 0,24 1,17 15,7

canale lavorativo: conoscenza diretta 3,1 0,08 0,5 9,1

canale lavorativo: altro 2,6 0,07 0,4 8,6

ho riduzione orario di lavoro 2 0,04 0,62 6,7

lavoro spesso la sera 1,8 0,04 0,49 6,3

periodo di non lavoro retribuito 1,6 0,04 0,31 6,7

lavoro max. 7 ore al giorno 1,6 0,04 0,33 6,6

non ho polizze assicurative 1,2 0,08 0,18 9,3

non ho assegni familiari 0,4 0,06 0,1 8

non mi avvalgo della colf 0,3 0,05 0,08 7,4

Variabili modalità attive – semiasse negativo

contrib.assoluto

contrib.relativo

coordinatafattoriale

V Test

ho premi di produzione collettivi 16,8 0,38 -1,53 -19,6

ho premi di produzione individuali 13,6 0,33 -1,15 -18,3

canale lavorativo: concorso pubblico 12,1 0,29 -1,08 -17,3

ho polizze assicurative 3,1 0,08 -0,46 -9,3

ho assegni familiari 2,8 0,06 -0,62 8

Mi avvalgo della colf 2,5 0,05 -0,69 7,4

full time 1,9 0,24 -0,21 -15,7

lavoro 8 ore al giorno 1,5 0,04 -0,38 -6,2

economicamente ce la faccio da solo 1,4 0,05 -0,25 6,9

canale lavorativo:chiamata diretta dell’azienda

1,4 0,03 -0,61 -5,4

periodo di non lavoro non retribuito 0,7 0,04 -0,14 -6,7

non ho riduzione orario di lavoro 0,2 0,04 -0,07 -6,7

Tab. 19 - Variabili-modalità illustrative maggiormente associate al secondo fattore

Il secondo fattore non rappresenta, dunque, come avviene colprimo fattore, la contrapposizione tra tempo di lavoro e tempo do-mestico, bensì la contrapposizione tra chi è marginale e non protettoe chi è protetto e più forte sul mercato del lavoro. Lungo questa di-

84

FATTORE 2 – Marginalità (precarietà) vs Centralità (stabilità).Lavoro cattivo/Lavoro buono

Variabiliillustrative

semi-asse positivoV Test

Coordinatafattoriale

Variabiliillustrative

semi-asse negativoV Test

Coordinatafattoriale

reddito:max. 800 euro

12 0,98

dimensioneaziendale:50 e più dipendenti

-12,8 -0,72

dimensioneaziendale: nr

8,9 0,4rapporto di

lavoro: standardindeterminato

-11,7 -0,35

rapporto di lavoro:autonomo

7,9 0,39comparto: p.a. eIstruzione

-10,2 -0,56

occupazioneintervistato:lavoratoreautonomo

7,4 0,42

occupazioneintervistato: prof.dip./insegnante/

quadri

-7,3 -0,63

comparto: com-mercio e trasporti

5,9 0,3reddito:

1401-1800 euro-6,5 -0,45

dimensioneaziendale:

1-15 dipendenti5,4 0,25

occupazioneintervistato:

impiegato/tecnico-4,8 -0,18

genere femminile 4,6 0,14 genere maschile -4,6 -0,15

reddito:801-1000 euro

4,2 0,32reddito:

1800-2500 euro-4,3 -0,32

comparto:altri servizi

3,7 0,32dimensioneaziendale:

16-49 dipendenti-3,6 -0,3

età: 35 -44 anni 3,2 0,14reddito:

1000-1400 euro-3,6 -0,16

rapporto di lavoro:atipico

3,1 0,39 età: 55 e più anni -3,4 -0,24

rapporto di lavoro:nr

3,1 0,42rapporto di lavoro:

standarddeterminato

3 0,34

cotomia, come mostrano le variabili-modalità illustrative, si anni-dano diseguaglianze di genere e di generazione: le donne e i giovanisono tendenzialmente più legati al lavoro precario, rischioso e piùpovero in termini economici e spesso professionali.

2.7. Tipi di occupati

È possibile ora classificare gli intervistati sulla base dei punteggi cheassumono sui due fattori individuati e costruire una tipologia deglioccupati residenti in Toscana. Per fare questo è stata realizzata unaCluster Analysis condotta col metodo misto (Di Franco, 2011).Nella figura 7 è rappresentato un grafico a dispersione, dove si pon-

gono sull’asse delle ascisse il fattore “Produzione vs Riproduzione” esull’asse delle ordinate il fattore “Marginalità vs Centralità”. I puntirappresentano i casi e la loro collocazione rispetto ai due fattori. Dopodiverse iterazioni, sono stato individuati ben otto gruppi che riprodu-cono l’85% dell’inerzia totale.

Fig. 7 - Raggruppamento dei casi in otto tipi di occupati

85

Per l’interpretazione dei gruppi sono state considerate le varia-bili-modalità che risultano significativamente associate con ciascungruppo.Quindi delle modalità caratteristiche di ciascun gruppo sono stati

considerati 3 diversi valori percentuali: la percentuale Mod/Cla; lapercentuale Global; la percentuale Cla/Mod. La prima percentuale indica la distribuzione dei casi rispetto a una

data modalità e serve a valutare il grado di omogeneità del gruppo. Laseconda percentuale esprime la presenza di una data modalità sul cam-pione totale. Infine, la terza percentuale indica quanti fra coloro chepossiedono quella data modalità sono presenti nel gruppo, in mododa comprendere quanto esso sia selettivo (o esclusivo).Gli otto gruppi individuati sono di dimensioni differenti. I casi

del primo gruppo, definiti “Occupate part-time tradizionali”, costi-tuiscono il 5,3% del campione (54 casi). Al secondo gruppo appar-tengono le “Occupate tradizionali”, pari al 10,6% del campione(108 casi). Al terzo gruppo appartengono le “Occupate part-timemarginali”, pari al 7,7% del campione (79 casi). Il quarto gruppocomprende il 17% dei casi (173) ed è composto dagli “Occupatisemi-autonomi”, il quinto è formato dalle “Occupate qualificate delpubblico”, pari all’8,3% dei casi(85), il sesto gruppo è stato etichet-tato “Occupati stabili tradizionali” ed è costituito dal 15,2% dei casi(155). Infine, al settimo e all’ottavo gruppo appartengono rispetti-vamente gli “Occupati qualificati” (7,9%, 81 casi) e gli “Occupatiautonomi” (28%, 286 casi).Il primo gruppo è formato per il 96% da donne; il 10% delle

donne del campione rientra in questo gruppo. Il profilo dei casi diquesto gruppo è quello della lavoratrice che dedica molto tempo allafamiglia (oltre 6 ore al giorno) e relativamente poco al lavoro (mas-simo 7 ore al giorno), anche perché si tratta nel 93% di occupati part-time. Si tratta del lavoro femminile part-time tradizionale, giàpresente nel periodo fordista: il profilo professionale è debole e la pro-tezione dal mercato non è elevata. Sono associate positivamente conquesto gruppo la modalità “età 35-44 anni” (51,9%) e la modalità“età del figlio minore 0-4 anni” (35,2%). Se il 12,7% del campioneguadagna massimo 800 euro al mese, in questo gruppo i soggetti conun reddito da lavoro simile sono ben il 46,3%. Nessuno lavora oltrele 10 ore al giorno e il 70% ha un contratto a tempo indeterminato.Il secondo gruppo è costituito per il 77,8% da donne, il 56,5%

86

lavora come impiegato/a, e quasi l’80% ha un contratto a tempo in-determinato. Circa un quinto dei soggetti ha il figlio più piccolo dietà compresa tra i 5 e i 10 anni (una percentuale poco più alta si re-gistra nel primo gruppo). Oltre un terzo dei soggetti lavora in aziendecon più di 50 dipendenti, il 44% in aziende con massimo 15 dipen-denti (nel primo gruppo il 42% dei casi lavora in aziende di tale di-mensione). Il 35% lavora nel settore pubblico. Il 51% non lavora piùdi 7 ore al giorno, mentre il 43% dedica oltre 6 ore al lavoro dome-stico, una percentuale alta ma inferiore al 79,6% registrato per ilprimo gruppo. Si tratta del lavoro che tradizionalmente viene affidatoalle donne; costoro sono dipendenti economicamente da altri porta-tori di reddito: il 53% dichiara di farsi aiutare economicamente perlo più dal partner, un valore più alto della media totale, ma più bassodel 74% registrato nel primo gruppo. La distribuzione dei soggettiper fascia di reddito è meno svantaggiosa dell’analoga distribuzioneregistrata nel primo gruppo. Dunque, il profilo è simile a quello delprimo gruppo, però il grado di protezione, di de-familizzazione (in-dipendenza dalla famiglia) e di qualifica sembra più alto. Il 12,3% delle donne rientra nel terzo gruppo, composto per ben

l’81% dal gentil sesso. Il 49% dei soggetti di questo gruppo guadagnamassimo 800 euro, il 73% lavora massimo 7 ore al giorno, il 64% sifa aiutare economicamente dal partner. Questo gruppo si differenziadal primo perché è formato per il 18% da persone con contratti ati-pici e per il 17% da soggetti con contratto a tempo determinato. Il26% lavora anche la sera, il 45% è operaio, il 43% lavora nel com-parto del commercio, il 54% lavora nella piccola impresa. Ergo, i casidi questo gruppo hanno una condizione di lavoro precaria (contrattoatipico, comparti di impiego marginali, basso reddito), dedicano piùtempo alle attività di “riproduzione” e meno a quelle di “produzione”:si tratta di donne (nella maggior parte dei casi) che oltre ad essere oc-cupate part-time lavorano nei settori economici più marginali. Questo gruppo si contraddistingue per l’estrazione sociale operaia

(il 45% ha il padre operaio, valore superiore al 32,6% registrato sututto il campione) e ben il 31% si dichiara apertamente operaio(mentre nel campione solo il 14,8% si dichiara tale). Casi con questoprofilo sono difficilmente reperibili nella provincia di Lucca: a questoprofilo appartiene meno del 2% dei Lucchesi intervistati (e solo il2,5% dei casi di questo gruppo è di Lucca).Il 17% dei casi del campione rientra invece nel quarto gruppo,

87

quello degli “Occupati semi-autonomi”, altrimenti definibili comelavoratori full-time (94%) ma poco protetti. L’80% non ha polizzeassicurative, il 96% non ha assegni familiari. Nessun lavoratore diquesto gruppo riceve premi di produttività collettivi, solo il 4% ri-ceve premi di produttività individuali. Il 39% ha cambiato lavoropiù di tre volte. Il 47% lavora 9-10 ore al giorno. L’impiego è statotrovato attraverso conoscenza diretta nel 39% dei casi (mentre ciòavviene solo per il 25% dell’intero campione), solo nell’1% attra-verso concorso pubblico, nel 9% attraverso gli uffici per l’impiego. Quest’ultimo dato è molto interessante, la percentuale è infatti

quasi il doppio di quella registrata a livello globale: solo il 4,8% delcampione ha trovato l’attuale lavoro in questo modo. Il 96,5% nonha assegni familiari. Il 42% lavora nella piccola impresa con non piùdi 15 dipendenti (ciò avviene solo per il 31% del campione). Il profiloprofessionale è dunque orientato alla produzione, anche se non si èmolto protetti: si lavora tanto, si dedicano 3-4 ore al lavoro domestico(lo fa il 36,4% dei casi del gruppo, mentre ciò avviene per il 27% delcampione), si tratta per lo più di lavoratori della medio-piccola im-presa: solo l’8,7% lavora in aziende con più di 49 dipendenti. Uominie donne sono presenti in egual misura, la proporzione di dipendentie quella di indipendenti sono in linea con quanto registrato nel cam-pione totale; i casi di questo gruppo non si contraddistinguono perun determinato livello di reddito. Si tratta di lavoratori che dedicanomolto tempo al lavoro, facendosi “intra-imprenditori”, anche quandodipendenti; gli occupati di questo gruppo sono in una certa misuramarginali perché occupati nei comparti a maggiore concorrenzialitàe più rischiosi. Il 17% deve chiedere l’aiuto economico della famiglia.Le possibilità di aumentare il reddito possono anche essere superioria quelle dei primi 3 gruppi, ma spesso si tratta di guadagnare poco dipiù, lavorando molto e senza garanzie. Il grado di “mercificazione”può divenire elevato a fronte di un deciso orientamento alla “produ-zione”. Il 35% dei Pistoiesi intervistati ha questo profilo e in questogruppo il 17% dei casi è pistoiese. Nel quinto gruppo ben 3 casi su 4 hanno ottenuto l’attuale la-

voro attraverso concorso pubblico. Il 43% ha tra i 45 e i 54 anni.Le donne sono il 72% dei casi del gruppo e il 12% del totale. Il 92%dei casi ha un contratto a tempo indeterminato, il 65% lavora inaziende medio-grandi, il 37% è insegnante, quadro o professionistadipendente, il 68% lavora massimo 7 ore al giorno. La fascia di red-

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dito compresa tra i 1400 e i 1800 euro netti al mese riguarda il 29%dei casi, un valore di 12 punti percentuali superiore al valore regi-strato nell’intero campione. Va detto che ben il 50% dedica oltre 6ore al giorno alle attività domestiche. Si tratta di occupate qualificatedel pubblico. Il 20% dei casi risiede a Lucca; il 16% dei Lucchesiintervistati rientra in questo gruppo. Non vi sono atipici. In questogruppo è presente in larga misura il lavoro qualificato femminile delperiodo fordista: si guadagna bene, il lavoro è protetto e qualificato,rende possibile alle donne un buon livello di indipendenza; va dettoche però il tempo di lavoro è organizzato in modo tale da non osta-colare il perpetuarsi del fenomeno della “doppia presenza”. Infatti,le persone di questo gruppo usufruiscono nell’84% di congedi dimaternità, aspettative e permessi vari, tutte misure orientate alla con-ciliazione tra famiglia e lavoro. Il sesto gruppo è posto nel semi-asse positivo del primo fattore e

nel semi-asse negativo del secondo fattore; tuttavia il baricentro delgruppo è poco lontano dall’origine degli assi. Si tratta degli “Occupatistabili”, i quali possono essere identificati come i tipici (male) bread-winner fordisti. Il 98% lavora full-time, il 76% ha un contratto dilavoro a tempo indeterminato, il 61% dichiara che col proprio red-dito riesce da solo a provvedere alle spese individuali e familiari. Unterzo dei casi ha ottenuto il lavoro attraverso concorso pubblico, benil 14,9% su chiamata diretta dell’azienda (la media totale è pari al7,2%), il 18% (la media campionaria è dell’11%) attraverso selezioneprivata. Sono associate positivamente modalità come “uomini”, “età55 e più anni”, “reddito: 1401-1800 euro”, “lavoro 8 ore al giorno”,“lavoro domestico max. 2 ore al giorno”, mentre sono associate ne-gativamente modalità come “mi aiuta economicamente il partner”,“rapporto di lavoro autonomo”, “donne”. Il percorso professionaledi questi soggetti è stabile, così come stabile e ben remunerato è il la-voro. Nel 52,9% dei casi si tratta di impiegati e nel 18% di quadri,insegnanti, professionisti dipendenti. Gli operai sono solo il 12%,ma comunque sono presenti in misura maggiore degli occupati in-dipendenti. Quasi il 39% è formato da donne. Solo l’11% delledonne totali rientra in questo gruppo. Il settimo gruppo è simile al sesto. Ciò che lo contraddistingue è

l’elevata stabilità (indicata dal punteggio sul secondo fattore; al con-trario il punteggio medio sul primo fattore è pressoché nelle vicinanzedello zero): il 98% ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato,

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tutti lavorano full-time, nessuno è indipendente. Il 69% è formatoda impiegati, il 54% ha superato un concorso pubblico per svolgerel’attuale lavoro, il 50% dedica massimo 2 ore alle attività domestiche.In questo gruppo rientra la figura tipica del dipendente pubblicouomo, ma non solo: il 18,5% ha trovato lavoro su chiamata direttadell’azienda, il 59% lavora in una azienda medio-grande. In molticasi la condizione socio-professionale è elevata: l’83% dei casi usu-fruisce di premi di produttività individuali e il 21% (valore superioreal doppio della media campionaria) guadagna tra i 1800 e i 2500euro, solo meno del 5% non arriva a 1000 euro al mese. Al contrariodel terzo gruppo i soggetti provengono dalla classe media impiegati-zia. Si tratta degli occupati più qualificati: due su tre sono uomini. Il10% degli uomini del campione rientra in questo gruppo, per ledonne questo valore scende al 5,6%. L’ottavo gruppo ha il baricentro più spostato sull’asse positivo del

primo fattore, mentre la sua posizione sul secondo fattore è legger-mente spostata sul semi-asse negativo. Si tratta degli occupati che ri-schiano di più, hanno meno stabilità e non sono sempre a elevataqualificazione. In cambio sono gli occupati che lavorano di più, conopportunità di reddito elevate, così come elevata è l’indipendenzadall’aiuto del partner o della famiglia. Si dedicano poco alle attivitàdomestiche: sono gli occupati indipendenti, e in particolare i lavora-tori autonomi; rientra in questo gruppo la figura tipica del “capitanod’azienda”, spesso piccolo capitano. In altre parole, è il lavoro untempo declinato solo al maschile, oggi diffuso anche tra le donne: il31% dei casi è formato da donne. Il 17% del totale delle donne rien-tra in questo gruppo. Nessun caso ha premi di produzione individualio collettivi, tutti lavorano full-time. Il 44% lavora 9-10 ore al giorno,il 26% supera le 10 ore! Se solo il 6,2% del campione afferma di gua-dagnare più di 2500 euro al mese, in questo gruppo coloro che di-chiarano un reddito tale sono pari a quasi il 10%. Il 13,6% guadagnacomunque tra i 1800 e i 2500 euro al mese, una percentuale che è di4 punti superiore alla media campionaria. Il 44% non dedica in ungiorno più di 2 ore al lavoro domestico, il 36% vi dedica 3-4 ore. Ilavoratori autonomi sono il 58%; il 22% dei casi rientra nel gruppoformato da imprenditori, liberi professionisti e dirigenti; gli operaisono solo il 5%. Un terzo dei fiorentini intervistati rientra in questogruppo; tra l’altro il 30% dei casi di questo gruppo sono di Firenze.Al contrario sono pochi i Livornesi: solo il 5% dei casi del gruppo

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sono residenti in questa provincia. L’estrazione sociale più associatacon questo gruppo è quella piccolo borghese: un terzo dei soggetti èfiglio di lavoratore autonomo. Le tabelle 20.a e 20.b descrivono i gruppi per omogeneità e se-

lettività.

Tab. 20.a - Il profilo degli otto gruppi (prima parte)

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Occupatepart-time

Occupatetradizionali

Occupatepart-timemarginali

Occupatisemi-autonomi

Omogeneità(Mod/Cla)

96% donne,93% part time,92% lavoramax. 7 ore,79,6% oltre 6ore lavoro

domestico, 74%impiegati, 46%max. 800 euro,51,9% età35-44 anni

87% spendemax. 25%reddito per iltempo libero,77% donne,79% tempoindeterminato,67,6% congedomaternità,51,8% lavoramax. 7 ore

82,3% parttime, 73,4%lavora max. 7ore, 49,3% max.800 euro, 81%donne, 100%non premi diproduzionecollettivi

né individuali,31% operaio,45,6% padreoperaio

100% non hapremi collettivi,96% non hapremi

individuali,96% non ha lacolf, 94% fulltime, 96% non

haassegni familiari,47% lavora9-10 ore

Selettività(Cla/Mod)

32% deipart-time, il

36,5% di coloroche hanno

riduzione oraria,non vi sonoimpr./dir./lib.prof.

Non selettivo

42% dei parttime, 30% dicoloro con max.800 euronon di Lucca

34% deiPistoiesi, 32%di coloro chehanno trovatolavoro con gliuffici perl’impiego,Pistoia

Tasso difemminilizzazione(omogeneità)

96% 77,8% 81% 50%

% donnedel campione(selettività)

17,7% 16,2% 12,3% 7,6%

% uominidel campione(selettività)

0,4% 4,8% 3% 19.4%

Tab. 20.b - Il profilo degli otto gruppi (seconda parte)

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Occupatequalificatedel pubblico

Occupatistabili

Occupatiqualificati

Occupatiautonomi

Omogeneità(Mod/Cla)

84% con congedi,aspettative, il 76%ha vinto concorsopubblico, 68%lavora max. 7 ore,50,5% oltre 6 orelavoro domestico,55% ha assegnifamiliari, 67%l’aiuta il partner,43,5% età45-54 anni

76% standardindeterminato,98% full time,61,9%

economicamenteindipendente,52% impiegati,61% uomini, 40%max. 2 ore lavorodomestico, 24%1401-1800 euro,14% chiamatadiretta, 33%

concorso pubblico,24% 55 e più anni

83% ha premiindividuali,

72,8% ha premicollettivi,98% tempoindeterminato,54% ha superatoun concorsopubblico, 44%impiegati, 61%economicamenteindipendente,20% 1801-2500euro, 100% fulltime, 64,2%uomini, 59%lavora in aziendecon più di 49 dip.

58% lavoratoriautonomi, 22,4%imprenditori,

liberi professionisti,dirigenti, 68,9%uomini, 49%lavora 9-10 ore,36,7% lavora oltre10 ore, 30% inf.35 anni, 100% fulltime, 100% nonha assegni

familiari, 100%non ha congedi,né premi diproduzione

Selettività(Cla/Mod)

il 32% di coloroche hanno vintoun concorso

pubblico, il 33%di coloro conassegni familiari

Non selettivo

33,6% di coloroche hanno premidi produzione

individuali, 41,8%di coloro chehanno premi diproduzionecollettivi

71% di coloro cheha un rapporto dilavoro autonomo,61% di coloro chece la fanno

economicamente,36% dei giovanifino a 35 anni,47% di coloro chelavorano la sera,61% di

imprenditori, lib.prof., dir., 70% dei

lavoratoriautonomi, 37%dei figli dilavoratoreautonomo

Lucca Firenze

Tasso difemminilizzazione(omogeneità)

72% 38% 36% 31%

% donnedel campione(selettività)

12% 11,4% 5,6% 17,2%

% uominidel campione(selettività)

4,6% 19,2% 10,4% 39,2%

I più giovani si associano col lavoro ancillare (part-time) e col la-voro autonomo, non trovando spazio nei segmenti centrali del mer-cato del lavoro. In questi ultimi segmenti è più facile trovare personedi età superiore ai 45 anni e persone che sono a fine carriera. È l’an-zianità a premiare maggiormente gli occupati, e ciò vale anche perle donne. Un altro fenomeno che emerge è l’immobilismo sociale: i figli di

operai hanno una probabilità più alta degli altri di svolgere un’attivitàoperaia, e oggi lavorano nel segmento occupazionale meno protettoformato dal lavoro marginale (terzo gruppo), mentre i figli dei lavo-ratori autonomi continuano a lavorare come autonomi (e ciò valepiù per gli uomini); infine, chi proviene dalla classe media riesce piùfacilmente a divenire un colletto bianco qualificato, ossia a ricoprireuna posizione occupazionale vantaggiosa: il tempo da dedicare al la-voro è sufficiente a tener lontano i soggetti dall’attività riproduttivadelegata a partner, familiari, colf (primo fattore), mentre il lavoro èsicuro, ben pagato e professionalmente ricco (secondo fattore).La divisione di genere è evidente: gli uomini che rientrano nei

gruppi del lavoro part-time, marginale, o tradizionalmente pubblicosono relativamente pochi, mentre è più facile trovarli nel lavoro qua-lificato o in quello autonomo.Le donne sono al loro interno equidistribuite per tipo di condi-

zione socio-lavorativa, tuttavia sono relativamente poche quelle cheappartengono al lavoro “semi-autonomo” e soprattutto a quello piùqualificato del settimo gruppo.

2.8. Conclusioni: genere, lavoro e famiglia

L’indagine sembra suggerire che allo stato attuale le pari opportunitàdelle donne in campo lavorativo dipendono dall’ampliamento dimisure orientate a liberarle da un meccanismo sociale che vede laloro autodeterminazione professionale dipendere troppo, sic stantibusrebus, dalle risorse familiari. Le dimensioni d’analisi hanno fatto riferimento al nesso esistente

tra lavoro e famiglia: dalla famiglia dipende la quantità di lavoro nonretribuito utile alla riproduzione del sistema economico; all’aumen-tare di questa quantità diminuisce il costo del lavoro sul mercato,nonché la domanda aggregata di beni/servizi, e dunque le opportu-

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nità e il tipo di lavoro che le donne svolgono fuori dalla famiglia. Lerelazioni presenti all’interno della famiglia influenzano le disegua-glianze di genere nel mercato del lavoro. Il genere risulta una variabile cardine delle differenze reddituali,

agendo sia direttamente, sia indirettamente attraverso altre variabilicome la classe sociale, il titolo di studio, l’età. Il dualismo del mercato del lavoro è presente in maniera marcata

anche in una regione come la Toscana, dove sono più alti i tassi dioccupazione femminile.Si registra un vuoto tra una cultura del lavoro che indica aspet-

tative simili tra i due generi e la diseguale condizione materiale.L’orientamento e la cultura lavorativa di occupate e occupati sono

simili, e ciò vale per tutte le fasce di età. Tuttavia, le loro azioni hannoesiti differenti per via di un’organizzazione sociale che resta sessuata. Solo per fare un esempio: tra i casi studiati, coloro che hanno

cambiato lavoro per soddisfazione professionale hanno più degli altriuna retribuzione medio-alta, ma ciò vale più per gli uomini che perle donne; invece, coloro che hanno cambiato lavoro per diversificarel’attività professionale hanno più degli altri un reddito medio-altose uomini, hanno più degli altri un reddito medio-basso, se donne.Le donne motivate a migliorare i contenuti del lavoro hanno esiti

occupazionali peggiori degli uomini: vogliono diversificare un lavoropovero nei contenuti quanto nella retribuzione. Di qui la riprodu-zione di circoli viziosi, con una precarietà che diventa cronica per isoggetti più deboli, spesso donne.Da una parte vi è la mobilità professionale delle fasce più quali-

ficate degli occupati maschi, dall’altra l’immobilismo, per mancanzadi chances, delle donne meno qualificate; da una parte l’immobilismomaschile di quegli occupati stabili che non hanno mai cambiato la-voro, dall’altra le carriere non regolari delle donne impiegate nelleattività marginali. Queste carriere vanno ulteriormente indagate attraverso metodi

non standard (Marradi 2007) capaci di rendere conto dell’intera-zione tra l’azione dotata di senso dell’attore e l’organizzazione socialepiù ampia. In quest’ottica vanno ricostruite reti informali e risorsedi cui dispongono gli attori per muoversi nelle situazioni sociali nellequali sono immersi: ad esempio la famiglia è uno degli agenti prin-cipali di socializzazione del soggetto e dunque le decisioni di que-st’ultimo in termini di strategie lavorative (ad esempio se entrare o

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meno nel mercato del lavoro) sono fortemente influenzate da questa,che tra l’altro gli fornisce risorse simboliche, cognitive, economichee relazionali. Le relazioni sociali tra i membri della famiglia e il loro grado di

asimmetria producono effetti non di poco conto nei contesti lavora-tivi, dove agiscono “misteriosi” meccanismi di valutazione differentedella performance degli occupati a seconda del genere di appartenenza. A questo tema è dedicato lo studio di caso presentato nel pros-

simo capitolo.

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3. La difficile carriera delle donnein una pubblica amministrazionee in una multinazionale40

3.1. Introduzione

Le donne hanno tendenzialmente un reddito da lavoro inferiore aquello degli uomini e ciò dipende, come analizzato nel capitoloprecedente, non solo dalla loro maggiore presenza nei comparti eco-nomici marginali o nelle occupazioni meno remunerative. Alle di-seguaglianze allocative si sommano quelle valutative (Giannini 2004).Queste ultime emergono con forza tra le occupate più giovani: es-sendo oggi più alta l’inclusione nelle occupazioni più qualificate èanche più diffusa la condizione della donna occupata ma svantag-giata nella progressione di carriera.La diseguaglianza reddituale si somma alla diseguale possibilità

di carriera.Altri due sono gli aspetti da considerare. Da una parte alla minore segregazione per comparti economici

ha corrisposto un maggiore impiego delle donne con contratti nonstandard, oltre che col tradizionale part-time (Semenza 2004); dal-l’altra spesso le occupazioni qualificate che vanno femminilizzandosisono caratterizzate da un abbassamento del loro status socio-econo-mico. Su quest’ultimo aspetto va detto che in alcuni casi è l’abbas-samento di status di un’occupazione a favorire il maggiore accessodelle donne; mentre in altri casi è il secondo fenomeno a incideresul primo (rinvio al capitolo primo). L’istruzione gioca un ruolo importante nell’influenzare non solo

il grado di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma

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40 Questo capitolo è una rielaborazione di quanto pubblicato in Parziale F.(2009), I meccanismi latenti delle differenze retributive di genere: un’ammi-nistrazione provinciale e una grande impresa multinazionale, in M. Giannini(a cura di), Uguale salario per uguale lavoro?, Franco Angeli, Milano 2009,pp. 201-226.

anche la loro condizione retributiva e professionale. Tuttavia anchetra le occupate più istruite le difficoltà persistono, dando vita a unanuova stratificazione di genere delle occupazioni (Parziale 2007). Partendo da queste considerazioni, in questo capitolo l’analisi si

sposta dalla prospettiva sincronica dei differenziali retributivi tra uo-mini e donne alla prospettiva diacronica delle diseguali carriere fem-minili e di come esse incidano sulla retribuzione. In particolare vengono illustrati i risultati di una ricerca realizzata

sempre in Toscana sulle dipendenti di un’amministrazione pubblicae di una multinazionale41.

3.2. Il contesto organizzativo di un’amministrazione pubblica

Uno dei contesti organizzativi studiati è una delle amministrazioniprovinciali toscane. Gli uffici indagati sono ubicati nel centro urbanodi un capoluogo di piccole dimensioni. La città è caratterizzata daun’economia abbastanza tradizionale, in cui il mercato del lavorolocale funziona in maniera dualistica, grazie al connubio tra microimpresa agricola e artigianale e pubblico impiego. I titolari di questeaziende sono per lo più uomini, mentre il settore pubblico ha assor-bito progressivamente forza lavoro femminile. La distribuzione dei profili nell’amministrazione provinciale sem-

bra rispecchiare le caratteristiche del contesto socio-economico ap-pena delineato. Dalla tabella 1 emerge che quasi il 50% dei dipendenti uomini

è impiegato nell’area B1 e B3, mentre le donne sono maggiormentedistribuite nelle aree C1 e D142.

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41 Si è utilizzata quale tecnica di rilevazione l’intervista ermeneutica (Mon-tesperelli 1998; Diana e Montesperelli 2003), anche se è ripreso il modello deiracconti di vita (Bertaux 2003; Bichi 2007). Sono stati intervistati 25 dipen-denti della pubblica amministrazione e 20 dipendenti della multinazionale.

42 Il personale non dirigente nella pubblica amministrazione si suddividein 4 aree professionali gerarchicamente ordinate in termini economici, di pre-stigio e potere. A sua volta ogni area si suddivide in più posizioni economiche:passando dalla posizione 1 a quelle successive la retribuzione aumenta all’in-terno del range previsto da ogni specifica area.

Tab. 1 - Distribuzione degli uomini e delle donne per area/categoria professionale (%)

Fonte: ns elaborazione sui dati forniti dall’amministrazione indagata

Il tasso di femminilizzazione è più alto nelle aree C1, D1 e diri-genziale: le donne costituiscono solo il 30% dei dipendenti, ma nellecategorie medio-alte risultano essere il 40% (tabella 2).

Tab. 2 - Ripartizione di genere per area/categoria professionale (%)

Fonte: ns elaborazione sui dati forniti dall’amministrazione indagata

Nella stessa categoria B, ad alto tasso di mascolinizzazione, le donnesono addette a un lavoro di coadiuvazione che le vede subordinate aidipendenti di livello superiore; mentre agli uomini sono attribuite man-sioni manuali e il lavoro è svolto all’esterno degli uffici amministrativi.

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Uomini Donne Totale

A1 3,2 3,4 3,2

B1 19,7 17,9 19,1

B3 27,4 15,6 23,6

C1 20,8 31,3 24,2

D1 16,6 19,6 17,5

D3 9,7 8,4 9,3

DIR. 2,6 3,9 3,0

Totale 100 100 100

Uomini Donne

A1 70 30

B1 70 30

B3 80 20

C1 60 40

D1 60 40

D3 70 30

DIR. 60 40

Totale 70 30

I settori della viabilità e dell’edilizia vedono una scarsissima pre-senza femminile (pari al 5%), al contrario delle risorse umane, dovepochi sono i dipendenti uomini (circa il 5%). Questa distribuzionedei generi per settore può spiegare in parte le differenze retributivedi genere riscontrate complessivamente: gli uomini sono impiegatiin quegli uffici legati al campo dell’ingegneria e dell’architettura, ca-ratterizzati dalla possibilità di elevare la retribuzione base grazie allaprogettazione interna e alle trasferte. Tuttavia, le ragioni delle differenze retributive vanno individuate

altrove. Il principale meccanismo emerso consiste nella relazione trala situazione di lavoro dei soggetti e le strategie che essi provano amettere in atto nei confronti dell’organizzazione (Rella 2000; Par-ziale 2008b). Beninteso, la pubblica amministrazione indagata si ca-ratterizza per una politica di reclutamento che è poco discriminante,se confrontata con altri contesti organizzativi. Infatti la flessibilitàoraria è elevata, in quanto i dipendenti possono scegliere tra 2 tipidi orario di lavoro settimanale: 7 ore e 12 minuti al giorno per 5giorni; oppure 6 ore al giorno per 3 giorni, e le altre18 ore sono ri-partite nei 2 giorni restanti grazie ai rientri pomeridiani. L’orario settimanale è breve rispetto al settore privato: l’impiego

a tempo pieno è pari a 36 ore. Non solo, flessibile è anche l’orario dientrata e di uscita dall’ufficio: il dipendente è libero di iniziare a la-vorare quando vuole, purché lo faccia tra le 7 e le 9 e può uscire dalle13 alle 15; l’importante è che mediamente lavori 6 ore al giorno. Seuna persona lavora, per esempio, solo 4 ore un giorno, può recuperarele 2 ore un altro giorno.Quindi, l’organizzazione del tempo di lavoro rende possibile una

buona conciliazione tra sfera professionale e sfera privata, andandoincontro alle esigenze familiari dei dipendenti. Il punto è che nellasocietà locale è indiscusso il fatto che siano le donne a dover badareprevalentemente alle attività domestiche. Infatti, nonostante l’elevata flessibilità dell’orario, la maggior

parte delle intervistate ha scelto l’impiego part-time di 30 ore, magaridopo la seconda gravidanza. In questo modo le donne possono de-dicare il pomeriggio alla famiglia, sopperendo alla scarsa collabora-zione nelle attività domestiche da parte del partner, che è spessoimpegnato nel settore privato, dove è più difficile ottenere un orariodi lavoro che si concili con la vita familiare. Quindi, molte donne organizzano il lavoro in funzione degli im-

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pegni familiari: ci sono giorni in cui lavorano meno di 5 ore e giorniin cui entrano in ufficio alle 8 (dopo aver accompagnato i figli a scuola)ed escono alle 15. Questa scelta dipende sia da una costrizione, dovutaal diseguale carico di lavoro domestico tra uomini e donne, sia da unacultura femminile tradizionale secondo la quale la donna preferisceavere uno stipendio mensile inferiore di 150-200 euro in cambio dipiù tempo per la famiglia e per la propria sfera privata. Ciò è possibilequando in famiglia non si incontrano problemi economici:

Si, ehm,[il part-time, ndr] mi permette… anche se diciamo io ho qui imiei suoceri che mi aiutano un po’, però mi permette di avere tutti i po-meriggi liberi; quindi di riprendere i bimbi a scuola, per accompagnarlinei loro impegni, qualche impegno sportivo, insomma so comunque diesserci sempre io. // si, insomma, quest’orario flessibile mi permette, ma-gari, due giorni entro alle 8 e rimango fino alle 15, perché noi possiamofare fino a 7 ore continuate. Cioè l’orario tipo è di 6 ore, però posso farnefino a 7… // Senti, io avrei potuto… si avremmo potuto anche farcela// ehm, uhm, solo che, diciamo, lui // …allora, premesso che abbiamovalutato che economicamente ce la potevamo fare… perché non ave-vamo un mutuo da pagare [sorride]… per esempio… il quale incide no-tevolmente… valutato questo… poi diciamo che lui ha tempo liberoperò, ehm, siccome ha una malattia cronica come terapia deve fare gin-nastica. Quindi, siamo molto… ci può essere e non ci può essere i po-meriggi, nel senso che molto tempo lo deve dedicare anche a quello.(Elisa, impiegata di area C, intervista n. 1)

Eh, per l’impegno dei bambini! Lavorando tutti e due, marito e moglie,i pomeriggi, due volte alla settimana, io ho le bambine impegnate…è una questione di cultura, di valori. Se io devo stare a lavoro e prendere200 euro in più per pagare la baby sitter a casa che me le porta in pa-lestra o ai corsi, o al ricevimento a scuola, sto a casa io e me li cresco!// lui non può, è più vincolato di me: è dipendente privato. // entroverso le 8 e un quarto, le 8,20, porto i bimbi a scuola e poi vengo.Vado via verso le 14,20 // guarda, a me è stato detto… io ho una figliadi 9 ed una di 7 e mezzo… a me è stato detto “eh, ma lo prendi ora ilpart-time? Lo dovevi prendere quando le bimbe erano più piccole!”…io le ho avute a distanza di 15 mesi, l’una dall’altra… ed invece lì la-voravo a tempo pieno, perché è diverso, è diverso! Quando i bambinisono piccoli li dai ai nonni, dalla mattina alla sera, comunque stannoall’asilo e li vanno a prendere i nonni. Stanno lì fino alle sette di serache torno io. Quando i bambini crescono, hanno altre esigenze: c’è daportarli di qua, di là, hanno bisogno di te perché magari ora…(Federica, impiegata di livello D, intervista n. 10)

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In realtà dietro queste scelte si celano due culture lavorative agliantipodi: una di tipo emancipativo (La Rosa 2005), che va alla ricercadi una realizzazione nel lavoro senza mettere in discussione le altresfere della vita quotidiana; l’altra di tipo strumentale, che considerail lavoro male necessario per portare a casa un reddito. Sul punto tor-nerò oltre, per il momento vale la pena sottolineare come resiste iltradizionale ruolo attribuito alla donna di care giver, che mette daparte la carriera in nome delle attività di cura e di responsabilità neiconfronti degli altri membri della famiglia (Giannini 2000).Sin dall’inizio del loro racconto quasi tutte le donne intervistate

sottolineano il problema della conciliazione tra lavoro e famiglia. Itempi di lavoro sono strettamente dipendenti dalle attività dei figli:

E naturalmente i loro ritardi [dei miei bimbi, ndr], le loro attività, con-dizionano il mio ingresso e di conseguenza la mia uscita dall’orario dilavoro. La mia attività consiste in una serie di contatti e di coordinamentorispetto a quelle che sono le deleghe che sono assegnate all’assessoratoper cui lavoro. Poi, insomma, a volte mi viene chiesto… ecco io ho fattocome scelta, tre anni fa, un part-time, io ho scelto il part-time proprioper poter seguire più da vicino la famiglia, i figli. // I figli ormai sono di-ventati più grandi, si cerca di conciliare tutto, si cerca di fare la maggiorparte delle cose attraverso telefonate, e-mail, contatti di questo tipo, cer-cando di non far mancare… ad esempio avrei dovuto avere… mio figliodue ore di preparazione atletica, perché gioca a calcio, ecco avrei sfruttatoqueste due ore [per fare sindacato, ndr]. Certo ci sono altre cose che ri-mangono indietro: la casa, la cura della casa, la cura anche di se stessi avolte. Certo è che ti porta via del tempo, si // ora in modo particolare,perché assumendo questo ruolo di coordinatore si diventa il punto di ri-ferimento dell’ente per quello che riguarda le trattative in corso, per glialtri colleghi di RSU per quanto riguarda l’accordo, diciamo, tra di noi,trovare un punto sintesi tra di noi [dipendenti, ndr].(Licia, impiegata di area C, intervista n. 8)

L’intervistata di cui si riporta qui sopra lo stralcio ha provato aspiegare ai suoi dirigenti quanto sia importante per lei separare i tempidi lavoro da quelli della vita privata, opponendosi con decisione allaproposta di svolgere dopo cena una riunione delle delegate sindacali. Diversa è la gestione del tempo libero da parte degli uomini, che

credono sia semplice conciliare lavoro e famiglia, senza però entrarenel merito della divisione dei compiti domestici, ritenuta più unaquestione “culturale” che un problema sociale:

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Perfettamente! No, no, è stato il motivo per cui ho scelto un lavorocome questo, capito? Perché torno a casa presto, posso dedicarmi allemie [cose, ndr] // Beh, sai, ora mia moglie è a casa quindi non è cheabbia bisogno [sorride]. No, sto con i miei figli, leggo molto, me nevado in giro, insomma sto bene.(Antonio, impiegato di area D, intervista n. 2)

Ma di solito finisce intorno alle due, quando non ho la giornata piena.Noi abbiamo due rientri settimanali che ci permettono di far festa ilsabato, in quei giorni finisco intorno alle sei: mi lascio una mezzora-quaranta minuti di tempo per mangiare [è la pausa pranzo, ndr] e poitiro. // Ho una vita regolata da una madre piuttosto anziana, che miprende un sacco di tempo perché non vuole nessuno… un sacco? miprende un po’ di tempo. Ehm… che io faccio a volte… che faccio vo-lentieri, in senso generale, ma che a volte mi limita un po’: sarebbe iltempo di godersela la vita, ora a 52 anni… cioè diciamo è regolata dafattori esterni che a volte ti fa… poi sto con la famiglia, ho qualchehobby: un po’ la bici, ho il mio acquario, mi piace pescare, mi piace…(Massimiliano, impiegato di area D, intervista n. 3)

Gli uomini mettono in evidenza come 36 ore di lavoro alla set-timana siano facilmente gestibili. In quelle ore ci si può dedicare toutcourt al lavoro senza pensare ad altro. Secondo un funzionario è que-sto il vero problema delle sue colleghe: non riescono a far carriera ea ottenere il riconoscimento professionale che vorrebbero, perchéadeguano l’orario di lavoro alle esigenze esterne. Emerge, dunque, una visione delle relazioni di genere sul posto

di lavoro che rivela una sorta di reazione, talvolta quasi misogina,alla femminilizzazione del settore. Questo atteggiamento è diffusoin diversi dipendenti uomini:

Il problema nei luoghi di lavoro, riferito alle donne, è che spesso e vo-lentieri le donne che scelgono, cioè che lavorano per necessità… perchéci sono diverse categorie, no?… gli uomini lavorano perché è da unavita che devono lavorare e così è scritto, no? [ride]… dice “te che fai?l’uomo? e quindi lavori” [ride], “te che fai? la donna? e quindi ti occupidella casa e della famiglia”. Poi arrivi ad un punto in cui questo non èassolutamente più vero, perché la qualità della vita dipende dalle risorseeconomiche che hai e quindi quando la qualità della vita si abbassasotto livelli che non vengono accettati da questi… dai soggetti, chepossono essere uomini o donne… si decide che comunque i ruoli deb-bano essere paritetici da questo punto di vista. Quindi, ci sono moltedonne che lavorano perché vogliono avere un reddito o perché la fa-

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miglia ha deciso che sia necessario avere un reddito [un altro reddito,ndr] e che il lavoro è subordinato alla loro attività di donna di casa equindi fanno delle scelte, il part-time ad esempio, oppure delle sceltedi dire “eh all’una precisa io stacco oppure il mio lavorino deve esserequesto!”. Mia moglie, per esempio, che è laureata […] bene è quintolivello, non gliene frega niente di progredire: “questo è il mio lavoro,questo faccio, lo faccio benissimo, perché mi pagano per fare questo,ma non mi interessa di…”(Massimiliano, impiegato area D, intervista n. 3)

L’uomo è stato socializzato al lavoro, mentre la donna è stata re-legata alle faccende domestiche; secondo l’intervistato, la soluzionedel problema consisterebbe non tanto nello scegliere tra famiglia elavoro, ma nel “sapersi organizzare” e delegare parte dei compiti fa-miliari al marito; questo non avviene, continua l’intervistato, ancheper colpa di una certa cultura tradizionalista di cui le donne sonocomunque le migliori interpreti: per fare carriera ci vuole impegnoe non quell’aggressività che le donne mostrano a lavoro; questo al-meno per quanto concerne la pubblica amministrazione dove ledonne non sono discriminate, ma ciò che le danneggia è lo scarsoimpegno nella vita pubblica e lavorativa, continuando queste a pri-vilegiare la sfera privata della famiglia. Da questa visione, in larga misura criticabile, emerge qualcosa di

effettivamente reale e cioè una non piena dedizione ai tempi di lavoroda parte di un buon numero di donne: sono inserite in un modelloistituzionale di organizzazione del lavoro che resta legato alla logicapatriarcale. La discriminazione non è sul luogo di lavoro, ma è intutte quelle sfere esterne che poi incidono sulla carriera professionale. Oggi, con l’espansione del modello familiare a doppio reddito,

questa divisione dei compiti influenza l’orientamento al lavoro deidue generi (Gershuny 1993): l’uomo è portato a dedicarsi a pienoal suo lavoro, mentre la donna cerca di adeguare i tempi lavorativi aquelli della famiglia, a meno che non rinunci a questa come hannofatto alcune giovani dirigenti.Questa tesi è corroborata dai racconti delle stesse donne, che met-

tono in evidenza la costrizione che subiscono nello scegliere tra lavita familiare e la carriera, aspetto più volte sottolineato da studiosecome Moss Kanter (1988). È una costrizione vissuta, sebbene da angolature differenti, anche

dalle dirigenti:

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Mah! E // io penso che… cioè l’essere donna sicuramente c’ha… nelcaso mio, uhm, non ho avuto grossi problemi di impegno lavorativoperché non ho, e non avevo, famiglia. Vedo che però per alcune colle-ghe comunque comincia ad essere un problema, perché sono posti cheti richiedono un impegno al di fuori dell’orario normale // dove diffi-cilmente puoi programmare gli impegni, soprattutto quando arrivi acerti livelli, soprattutto alla dirigenza, per cui o hai già figli grandi odifficilmente se hai figli piccoli riesci a… o hai una famiglia alle spalleche ti copre in tutto e per tutto, e comunque nel rapporto con i figliqualcosa ci perdi comunque. Sicuramente non sono scelte facili… cioèla mia non è stata una scelta, mi sono trovata in questa situazione percui sono andata avanti… però, comunque, per una donna non è facileconciliare questo tipo di lavoro con le esigenze familiari. (Katia, dirigente, intervista n. 4)

Cioè io vado a casa e penso al lavoro, la mattina mi sveglio e mentrefaccio colazione mi vengono in mente delle cose e mi metto a scrivere,ma anche a volte di notte mi metto a scrivere quello che mi viene inmente, soprattutto in questo periodo, per cui… è proprio un tempodi vita che è diverso! Per cui… io poi trovo che sia assolutamente ungrosso problema che per fare carriera bisogna scegliere, parlo delledonne, se andare di qua o di là. E di qua c’è la vita personale, neanchei figli, la vita personale, e di là il lavoro. La trovo assolutamente unacosa non giusta, non bella, però fondamentalmente un po’ è così, unpo’… molto anche. // io non ho figli e non sono sposata. E non è cheun bel giorno ho detto “io non faccio figli, io non mi sposo e lavoro”;è stato… tra l’altro un giudizio di questo tipo l’ho già fatto… ognivolta elaboro e trovo nuove cose… ogni volta che c’erano dei salti [pro-gressioni di carriera, ndr] che io potevo fare… tu tieni conto che hosempre fatto un lavoro che mi piace molto, che mi soddisfa molto, chemi dà un grande ritorno a livello personale, umano… però quando cisono stati questi salti ho pensato “in questo momento non ho la fami-glia di là, non ho delle opportunità di farmi una famiglia, e vabbè vadoavanti di qua [nel campo professionale, ndr]”. E tutte le volte è così. (Manuela, dirigente, intervista n. 9)

Le relazioni concrete di potere nel luogo di lavoro si poggianosugli schemi culturali cui vengono socializzati i soggetti nel contestolocale in cui vivono. Allo stesso tempo, la riproduzione di questo si-stema di relazioni di potere è favorita da un modello di organizza-zione sociale del lavoro che coniuga aspetti tradizionali, tipici di uncontesto locale familista, con aspetti più moderni. Ad esempio, il la-voro nel settore privato è caratterizzato da una pausa pranzo lunga

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che permette alle donne di rientrare a casa per badare alla famiglia.Tale modulazione della giornata lavorativa rende possibile la “doppiapresenza”, casa-lavoro, delle donne, a costo di una soppressione deltempo libero di queste ultime, che così garantiscono una riprodu-zione sociale funzionale ai tempi della produzione economica. Ledonne possono evitare questo percorso penalizzante, impegnandosinel lavoro sin da giovani; ma ciò comporta la rinuncia alla forma-zione di una famiglia, essendo questa declinata secondo la tradizio-nale e diseguale divisione di genere del lavoro domestico.

3.2.1. Vincoli e risorse per fare carriera

Un dipendente per avere successo deve riorganizzare in termini diquantità e qualità il suo tempo di lavoro. Deve non solo fare bene ilsuo lavoro, ma anche formarsi continuamente, essere intraprendentee curare le relazioni con colleghi e superiori fuori dall’orario di lavoro.Questo è il modus operandi dei dirigenti, anche donne, e parte dei

dipendenti uomini; al contrario, le dipendenti si dedicano alla famiglia.Di qui, la scelta del part-time di impiegate come Federica, che purestava ottenendo una promozione per l’impegno e i risultati ottenuti:

Ho scelto il part-time per questo motivo, perché essendo il pomeriggioimpegnata stavo sempre con la fretta di dire “oddio, devo uscire primaperché le [le figlie, ndr] devo portare di qua, quella esce a quell’altra ora…” …quindi, invece, avendo il part-time, so che io il pomeriggio sto a casae sono molto più tranquilla. Quindi mi organizzo le cose il pomeriggio.(Federica, impiegata di area D, intervista n. 10)

Ciò che viene richiesto per fare carriera è la “disponibilità”, intesacome affidabilità e piena dedizione non tanto al lavoro svolto quantoalle esigenze globali dell’organizzazione. Il lavoro pubblico è fatto di un insieme di relazioni con diversi

soggetti: gli assessori, i dirigenti, le imprese private coinvolte da unadeterminata politica. La disponibilità all’azienda costituisce la pre-condizione per met-

tere in atto una strategia efficace per la progressione di carriera e l’au-mento della retribuzione. Infatti, la retribuzione è uguale per idipendenti della stessa area professionale, in quanto la parte variabile,detta premio di produttività, è irrisoria (in media si tratta di circa

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800 euro lordi all’anno) ed è distribuita in eguale misura a tutti.L’eguale distribuzione dei premi di produttività è dovuta, oltre cheda ragioni sindacali, dal fatto che questa risulta difficilmente misu-rabile per un lavoro fatto di mansioni per lo più ripetitive e standar-dizzate: il raggiungimento degli obiettivi consiste semplicemente nelrispettare le scadenze dell’istruttoria delle pratiche e nell’adempiereai compiti previsti dalle norme relative al pubblico impiego. La retribuzione cambia significativamente solo per chi è funzio-

nario di area D e può candidarsi alle posizioni organizzative. Questeultime consistono nell’attribuzione di nuove responsabilità in cam-bio di uno stipendio più alto. Il numero delle posizioni organizzativesono stabilite dalla giunta provinciale insieme al comitato direttivoformato dai dirigenti d’area. In sintesi, vi è un “fondo di produzione”dal quale si attingono sia i premi di produttività, sia le posizioni or-ganizzative. Pertanto al crescere delle seconde diminuisce l’ammon-tare di risorse destinate a tutti i dipendenti:

Se noi andiamo a vedere tutte le persone che ricoprono il ruolo di po-sizione organizzativa sono tutte di una generazione che va tra i cin-quanta ed i sessanta anni // soprattutto uomini. // Tanto! Perché unaposizione organizzativa costa oggi all’ente 45000 euro, io costo all’ente22000. Quindi quasi il doppio. // si, mediamente si guadagna 500-600euro in più al mese.(Licia, impiegata di area C, intervista n. 8)

Eh!… perché funziona così: i premi di produzione [ride], gli stipendi deldirettore generale, del segretario, delle posizioni organizzative, attingonotutte dal fondo produttività. Allora più si fanno posizioni e meno c’è pre-mio di produzione per i dipendenti. Fatto sta che oggi abbiamo le posi-zioni che non prendono molto più… che si aggirano intorno ai 2000euro ed hanno delle responsabilità di servizio quasi quanto i dirigenti,anzi i dirigenti delegano molto alle posizioni… e prendono solo 2000euro… mentre un direttore generale… sono 300000 euro l’anno, lordi.Ecco, il premio di produzione di un dirigente generale, di 25000 euro…(Federica, impiegata di area D, intervista n. 10)

Questo meccanismo di distribuzione delle risorse rafforza le ge-rarchie intere, in quanto chi è più vicino al livello dirigenziale e allasfera politica ha maggiori probabilità di elevare il suo stipendio; inol-tre, un impiegato, in funzione della posizione organizzativa raggiuntain precedenza, matura delle credenziali spendibili nel candidarsi alla

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carriera dirigenziale. È a questo livello che le differenze retributivesono elevate e la relazione di genere si fa più diseguale. Le donne risultano svantaggiate nella carriera dirigenziale per al-

meno tre motivi:

• un ritardo rispetto agli uomini nella partecipazione alla sfera po-litica, che di fatto controlla la spesa pubblica e la nomina dei di-rigenti, i quali a loro volta decidono a chi attribuire le posizioniorganizzative;

• un ritardo nell’accesso paritario all’ente: quasi i 2/3 dei dipen-denti sono uomini con un’anzianità di lavoro che li favoriscenella costruzione di network informali in quelle aree che fannoda “cerniera” tra la sfera politica e quella tecnico-amministrativa;

• il diseguale carico di lavoro domestico e la diffusione di una cul-tura tradizionale alla quale sono state socializzate, sin da piccole,porta le donne ad avere una minore disponibilità di tempo e dun-que una minore conoscenza del contesto istituzionale e delle pra-tiche di attribuzione reale delle risorse.

Teoricamente alle donne converrebbe una diminuzione delle ri-sorse destinate alle posizioni organizzative, in cambio di un sistemadi incentivazione che tenga conto della qualità del lavoro che il di-pendente svolge nel normale orario di lavoro. Tuttavia, è la stessa divisione del lavoro di ufficio a produrre si-

tuazioni lavorative differenti tra i due generi, con le donne che sonomeno legate alle attività di interazione con l’ambiente esterno allamacchina organizzativa; chi svolge questo tipo di attività acquisiscemargini d’azione che possono aumentare il potere di negoziazionecon i superiori (Crozier 1989). Ad esempio, un dipendente che si oc-cupa di formazione professionale è impegnato al tavolo delle trattativecon le agenzie di formazione e i docenti delle scuole superiori. Ciògli permette di occupare una posizione strategica nella rete degli attoriimpegnati nella realizzazione di questo tipo di policy e di fungere dacentro di un network informativo prezioso per i dirigenti, così comeper l’assessore competente in materia. Nel tempo questo dipendente acquisisce autonomia e forza con-

trattuale per eventuali progressioni di carriera. Fermo restando la

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preparazione professionale del soggetto, non si potrà negare che lasua situazione di lavoro sarà differente da quella di una dipendenteaddetta alla produzione di “algoritmi” standardizzati, tipici del lavorodi istruttoria svolto in ufficio. A questo proposito, una differenza importante è emersa nei con-

tenuti del lavoro a seconda dell’area e del genere. Tendenzialmente idipendenti di area C sono addetti all’amministrazione interna, voltaall’efficienza dell’organizzazione burocratica; mentre i dipendenti diarea D sono addetti all’amministrazione esterna, cioè a quelle attivitàdi coordinamento tra gli obiettivi della Provincia e gli stakeholder (por-tatori di interesse) presenti sul territorio; in tal caso il lavoro è orientatoall’efficacia dell’agire amministrativo nei confronti della società. Le attività tipiche dei dipendenti di area C sono l’istruttoria, la

contabilità, la correzione di documenti. Tra costoro sembra però chementre gli uomini sono maggiormente addetti al lavoro di istruttoriatradizionale, le donne sono addette di più alla contabilità. Nonostante la presenza di alcuni elementi di innovazione che

spingono per un’organizzazione del lavoro meno parcellizzata delpassata e più legata agli obiettivi (D’Albergo e Vaselli 1997; Gherardie Lippi 2000), l’agire amministrativo risulta indirettamente standar-dizzato sulla base di quanto stabilito da dispositivi normativi comeil PEG (il Piano Esecutivo di Gestione di cui gli enti pubblici si de-vono dotare, ai sensi del dlgs. 77/95). Il lavoro è dunque caratterizzato da un’autonomia esecutiva degli

impiegati di area C, con quelli di area B che svolgono funzioni solodi appendice e coadiuvazione, quando non sono addetti al lavoromanuale. Il lavoro degli impiegati di area D è invece di coordina-mento e ricomposizione delle diverse operazioni, secondo le direttivedel livello dirigenziale. Gli impiegati di area A, infine, risultanoesterni alla macchina amministrativa, essendo costituiti da uscieri,portieri e figure simili. La principale differenza di genere è data però dall’orientamento

al lavoro. È sulla relazione tra orientamento dei soggetti e organiz-zazione che bisogna soffermarsi per capire come la logica d’azionedegli attori contribuisce alla ri-produzione dell’organizzazione e deimeccanismi di attribuzione delle ricompense simboliche e materiali.

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3.2.2.Un’organizzazione che blocca le carriere:genere ed habitus lavorativi

L’organizzazione del lavoro è rigida e poco legata alle progressionidi carriera: queste sono innanzitutto fittizie, si tratta di migliora-menti irrisori dal punto di vista professionale e, in parte, economico;miglioramenti si possono ottenere attraverso un rapporto fiduciariocon i superiori fondato sul non mettere in discussione il loro operato.Un comportamento appropriato per questo tipo di organizzazioneconsiste nel creare un gruppo di persone teso a fare squadra non infunzione di obiettivi da raggiungere, ma di un semplice riconosci-mento emotivo. Tra l’altro i dirigenti danno maggiore importanza alle relazioni

politiche piuttosto che alla gestione e formazione delle risorse umane.Più di un dipendente lamenta lo scarso investimento nella formazioneda parte dell’organizzazione. Risulta che molto è lasciato all’iniziativa dei singoli attori, come

è il caso di una giovane dirigente a contratto che tenta di traslarenella pubblica amministrazione il modello organizzativo per obiettivitipico del settore privato. La traslazione è difficile, però, a causa degli script cognitivi delle di-

pendenti: per il loro forte orientamento al compito, al lavoro ben fatto,esse richiedono ai dirigenti direttive precise sulle singole operazioni. Questo atteggiamento rivela da una parte l’identità di esecutrici

da parte della maggior parte delle intervistate, dall’altra una valuta-zione positiva del lavoro nel settore pubblico:

Io ho un collega, per esempio, che mi ha sempre detto… // “ma tu ritieniutile il tuo lavoro? E perché lavorare allo sport lo ritieni utile?”… no?…perché utile nel pubblico sono gli ospedali, non il sociale… ma io dico…finché esiste delega alla Cassa affinché la materia Cassa è disciplinata dacerte norme che risalgono alle legge nazionale, io non mi devo porre ilproblema se sia giusto o sbagliato che ci sia l’ufficio Cassa, io devo lavo-rare bene nell’ambito di quella materia, punto!… no?… basta!(Licia, impiegata di area C, intervista n. 8)

Vorrei… sembra un controsenso… una maggiore ingerenza da partedel dirigente nel lavoro, una certa autorevolezza, mi rassicurerebbe que-sta cosa, perché nelle decisioni… mettiamo un requisito in una garadi appalto, un requisito tecnico, di un soggetto: 5 anni di esperienza…si mette o non si mette questo requisito? Rimetterla a te, funzionario,

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questa decisione… che poi io me l’assumo la responsabilità formale,legale, perché il potere di firma è della dirigente… però questa cosainconscia su cui sento il peso dell’attività che faccio avrei più il piacereche ci fosse più autorità della dirigente.(Federica, impiegata di area D, intervista n. 10)

“Ci dovrebbero essere dei parametri… nel senso che ci sono degli obiet-tivi da raggiungere e per come li raggiungi… dovresti avere un risvoltoeconomico”. Invece secondo me da noi… cioè non secondo me… nonci sono… nel senso che noi abbiamo dei programmi e degli obiettivida raggiungere, poi ci sono delle tabelle con dei parametri e rispetto aquesto [i dirigenti, ndr] danno dei punteggi […] sono votazioni stan-dardizzate che rispecchiano un lavoro standard, che pero non lo è”.(Emi, impiegata di area C, intervista n. 11)

Si, nel concreto, nel nostro ufficio viene lasciato molto, diciamo, al-l’esperienza del singolo e all’iniziativa del singolo, cioè l’ufficio va avantiun po’ per inerzia, perché un po’ tutte le persone sono competenti,consapevoli, del proprio lavoro; quindi… invece la parte del dirigentee del responsabile dovrebbe essere un po’ più presente nell’organizza-zione del lavoro, nel darti degli stimoli, ehm, anche il discorso di va-lutare il tuo operato è… ehm… è un po’ lasciato così, al caso!(Elisa, impiegata di area C, intervista n. 1)

La parola responsabilità compare più volte nei racconti delledonne, per lo più di età inferiore ai 50 anni, che sentono molto ilpeso per gli effetti che il loro lavoro può avere sugli utenti, cosa chegli uomini avvertono di meno, essendo più orientati alla soluzionedi problemi pratici, che di volta in volta possono emergere in un’at-tività da loro ritenuta di mera routine. Gli uomini sono più disincantati, cogliendo forse meglio la rela-

zione tra gestione della spesa pubblica, ruolo dell’amministrazionee sfera politica. Vi è perciò una visione del lavoro che è più strumen-tale e meno espressiva. Ciò potrebbe dipendere o dall’anzianità di lavoro, all’aumentare

della quale si abbassa l’entusiasmo nel lavoro – data l’inesistenza di unreale sistema premiante – oppure dalla diversa valutazione del lavoro. In realtà la divergenza dei due generi in termini di orientamento

al lavoro e sua valutazione è da attribuire ad habitus differenti (Bour-dieu 1983) la cui origine è da rinvenire nella diseguale divisione dellavoro sociale tra uomini e donne:

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Da questo punto di vista qui si. Gli uomini hanno altri… gli uomini…adesso questa è la mia idea, eh?… siccome gli uomini sanno… hannoun po’ culturalmente, antropologicamente, la cultura… cioè la con-sapevolezza di poter far carriera… le donne, invece, se la sono conqui-stata [ride], dopo una dura lotta. Allora è come se le donne dovesserocontinuare a sgomitare… no?… per dimostrare quanto sono brave,quanto sono efficienti, gli uomini non hanno necessità di fare questo.È un po’ scritto nel dna di ciascuno di noi… // E poi c’era questo…forse questo, boh? Forse questo lo dico anche contro le donne… era-vamo un ambiente a maggioranza femminile; e questo tra le donnesuccede spesso: questo voler comunque un pochino di più emergere.(Licia, impiegata di area C, intervista n. 8)

È una cosa che mi chiedo da sempre, cioè nel senso se fingono [ride] olo pensano davvero [ride]. Forse entrambe le cose. // Ci sono, ecco, so-prattutto donne che fanno lo stesso, cioè un lavoro simile al mio quindilavori molto semplici, che però magari hanno un atteggiamento, sonopiù prese in quello che fanno, loro stesse sono più prese, sembra, ecco avederle, sembra che in effetti abbiano più cose da svolgere un lavoro pe-sante? E questo non te lo so dire. Ecco, c’è sicuramente nelle donne //anche dal punto di vista esteriore, non so, non te lo saprei definire, pensoche rientri un pochino più nella differenza più profonda tra uomo edonna, cioè che l’uomo è generalmente meno… non voglio dire menoipocrita, ma ehm… ecco però le donne un pochino più di coinvolgi-mento nelle cose che fanno però ecco credo che sia un finto coinvolgi-mento, credo che serva più che altro per darsi un tono, un atteggiamento,in questo negli uomini c’è di meno. Ecco, si danno più un tono, negliuomini c’è un po’ meno questa cosa, anche se, ripeto, la comprensionedi svolgere un lavoro inutile, e la comprensione che questo ente sia unente inutile, e questo io lo ribadisco, sfido chiunque a dimostrarmi ilcontrario, non è comune, non è comune. Cioè si tende sempre a darsiuna giustificazione, insomma una ragion d’essere.(Antonio, impiegato di area D, intervista n. 2)

Sia gli uomini che le donne mettono in evidenza la maggiorecompetitività delle seconde, che poi spesso non riescono a fare squa-dra e preferiscono collaborare con gli uomini. Questi ultimi si fanno coinvolgere meno dallo spirito competi-

tivo, perché sono maggiormente frustrati da un ambiente in cui lepromozioni sono fittizie e le risorse economiche e di potere sononelle mani dei dirigenti. Le donne, anche quando sono frustrate dalmodello organizzativo, sentono la necessità di ottenere da parte didirigenti e colleghi il riconoscimento della loro professionalità.

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A parere degli uomini, le donne adotterebbero una strategia disimulazione, finalizzata sia a trarre dal proprio lavoro una soddisfa-zione che altrimenti non ci sarebbe, sia a giustificare la loro posizioneoccupazionale. Tutti sono d’accordo nel definire le donne secondolo stereotipo di persone “più passionali”, poco portate a scenderealla mediazione tra punti di vista discordanti:

Gli uomini sono un po’ più disponibili al compromesso, le donne unpo’ meno. // gli uomini sono molto più ehm, come dire, accondiscen-denti… questo non vuol dire che io sia disposto a rinunciare alle mieidee: sono disposto a rinunciare alle mie idee, se non posso realizzarle;o se le posso realizzare all’85%, concedendo un 15%. Cioè è un… èun… poi magari arrivano lo stesso le donne ad una cosa del genere, maadottano meccanismi di tipo diverso. A volte sono un po’ più dispersive,chiacchierano di più, interagiscono tra loro in maniera diversa…(Massimiliano, impiegato di area D, intervista n. 3)

Tuttavia, mentre gli uomini si fermano a questa interpretazione, in-trisa anche di pregiudizi tipici di una visione androcentrica (Bourdieu1998), le donne ritengono questo loro atteggiamento dovuto a un mag-giore coinvolgimento nel lavoro. È ciò che pensano le dirigenti quandodevono descrivere il diverso orientamento al lavoro di uomini e donne.Esse sottolineano lo stile di lavoro tipicamente femminile, che richiamalo schema culturale secondo cui le donne preferiscono prendersi curadegli altri piuttosto che ricercare una maggiore autonomia:

Io ho delle dipendenti donne di età media sui 35-38 anni, diciamo tra i35 ed i 40. Sono tutte donne con figli alle quali fa piacere parlare deifigli, eccetera, e che di fatto molte sono part-time, però sicuramentehanno un approccio al lavoro con un senso di responsabilità che è // …cioè che a me apre il cuore. Io condivido con loro la costruzione delleresponsabilità che sento anche io. Cioè io so dove appoggiarlo. // non loso, probabilmente è anche un fatto mio, perché forse è un senso diversodal loro approccio, il loro mettere a disposizione le risorse personali. Poiil fatto che ci siano degli uomini è anche fondamentale, nel senso chenegli uomini trovo altre cose. Trovo il fatto di // sdrammatizzare le si-tuazioni, semplificarle, ehm, trovo ovviamente altre… nel lavoro nonc’è solo quello che si deve fare… altri limiti. // Allora, l’interazione tra gliuomini e le donne? Insomma, cioè c’è un po’ la squadra delle donne cheè quella responsabile, che si carica il sacco, no? E gli altri che sono inveceun po’ “ma dai, sei la solita…”. E quindi le donne si fidano poco degliuomini, si fidano poco. // cioè il gruppetto delle donne è un gruppetto

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che in realtà oggi comincia a cooperare, faceva gruppo perché fonda-mentalmente avevano dei buoni rapporti, parlavano dei figli, ed eranosolidali [sulle questioni relative al ruolo materno, ndr], però anche lì c’erauna grande concorrenza. È un po’ apparente questa collaborazione, fon-damentalmente la collaborazione è difficile da creare.(Manuela, dirigente, intervista n. 9)

Se, diciamo… dal punto di vista relazionale, soprattutto quando sonodonne della stessa età e magari scattano piccole gelosie o invidie, è chiaroche a quel punto ti va un po’ a discapito. Cosa che per esempio un uomonon farebbe mai… il pettegolezzo [ride]… c’è pro e contro però vabbè…// No, è un problema ed è una risorsa, perché io devo dire la veritàcome… sia di qua che di là [nei due settori che dirigo, ndr] ho moltedonne e come veramente… quello che riescono a darti le donne in am-biente lavorativo secondo me è una cosa… c’hanno un valore aggiunto.(Katia, dirigente, intervista n. 4)

Le donne… siamo un po’ più pettegole, siamo un po’ più maligne, gliuomini sono di solito superiori a queste bassezze [ride] delle femmine.Capito? Si, io gradirei che ci fosse una maggiore presenza maschile. //Si, che si parli più di lavoro, ma non perché… cioè, a me fa piacere ildiscorso degli scambi personali, però a volte le donne si sta attente unpo’ troppo alle sottigliezze, ad un comportamento che è stato in unmodo, invece doveva essere un altro.(Elisa, impiegata di area C, intervista n.1)

Se è possibile pensare che le donne diano maggiore peso allo sta-tus di impiegata, tentando di accrescere la loro posizione sociale den-tro e fuori il luogo di lavoro, è altrettanto probabile che si stiaassistendo a una frattura generazionale, che vede le donne più gio-vani e istruite legate più al contenuto professionale del lavoro cheallo status occupazionale. Si tratta di una cultura lavorativa di tipo emancipativo, che è pre-

sente tra i giovani di entrambi i sessi e che forse nel contesto studiatoviene declinata secondo quel coinvolgimento emotivo attribuito perstereotipo alle donne. In realtà, va sottolineata come la femminilizzazione del mercato

del lavoro sia un fenomeno relativamente recente e ciò potrebbe in-fluenzare le donne a vivere come nuovo e più interessante un lavoroche nel mondo maschile è stato sempre considerato come comodo,ma inferiore alle attività “produttive” del settore privato. Le donnedevono cioè conquistare lo spazio di lavoratrici nel loro stesso im-

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maginario; quindi vanno alla ricerca di un riconoscimento sociale,sulla base anche di una cultura lavorativa nuova e più relazionale.Il funzionamento del mercato del lavoro secondo una dinamica

di genere è alla base del diverso grado di coinvolgimento e di moti-vazione delle impiegate: le donne motivate al lavoro trovano impiegonel settore pubblico, che strutturalmente per gli uomini costituisceun ripiego, oppure una scelta dettata dal voler svolgere un “lavorocomodo”. Per questo gli uomini incentrati più sulla carriera sono portati, non-

ché facilitati, a trovare lavoro nei comparti centrali del settore privato.Per lo stesso motivo, sono le donne a lamentarsi di più del sistema

di valutazione vigente, ritenendo che questo possa essere cambiatoe maggiormente orientato a un’analisi nel merito della performancedei dipendenti. L’orientamento al lavoro è legato pertanto a una razionalità

“meccanica” (Borghi 2002) consistente nel credere che eseguire almeglio i compiti affidati dall’organizzazione possa costituire il di-scrimine per premiare i dipendenti più meritevoli. Al contrario, gli uomini si muovono nell’organizzazione secondo

una logica strumentale e disincantata: la maggior parte non puntaal successo professionale, ritenendo di lavorare in un’organizzazioneche blocca a monte i percorsi di carriera. Allo stile femminile im-prontato alla responsabilità e alla richiesta di riconoscimento socialesi contrappone lo stile maschile basato sul concepire il lavoro comeun puro strumento per portare a casa il reddito:

si, ma se vai a vedere nella sostanza sono un passacarte perché… cioèti viene la domanda da un privato, da un Comune… “voglio fare que-sta cosa”… e tu gli dai [documenti, ndr]… la maggior parte [la mag-gior parte delle volte è così, ndr]… poi se organizzi la mostra del 900non sei più un passacarte, però non è che viene organizzato tanto que-sto! Al di fuori dei circuiti più che altro il resto del lavoro si svolge con// questi… vengono fatti… si certo, qualcosa… però sono domandeche arrivano, te fai l’istruttoria, tu dici “si, va bene!”, gli dai i soldi e lifanno loro [organizzano altri gli eventi, ndr], non è una cosa proprioche si crea noi [che organizziamo noi, ndr].(Mirko, impiegato di area D, intervista n. 25)

E quindi alla fine la scelta di finire in una pubblica amministrazionecome questa uhm, pur essendo in un’amministrazione che non ti per-mette di // cioè voglio dire che se intendi, magari, che ne so, se ti reputi

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particolarmente intelligente, brillante, se hai delle velleità di ambizione,quest’amministrazione qui te le stronca, cioè che fai? Cioè… io faccioil passacarte. Ti dico, faccio il passacarte, ma ehm… sono un funziona-rio e magari sono anche considerato come uno che insomma che “si faun mazzo così”… tutte le scuole… ma, alla fine, voglio dire… //Quindi, per questo il lavoro lo considero solo come uno strumento chemi dà… arriva lo stipendio a fine mese… ma non ho altre, cioè nonho alcuna aspettativa da questo lavoro, proprio non mi interessa… cioèquello che succede qui dentro a me sinceramente non… non riesco[ride] a coinvolgermi. Ma non è che questo mi faccia stare male, anzi!(Antonio, impiegato di area D, intervista n. 2)

Diversi uomini si definiscono dei “passacarte” e pertanto provanoa esprimere la propria creatività in altre attività; per Mirko la veracreatività la si può trovare nel lavoro dei campi, dove può metterein pratica la sua vera professione: quella di perito agrario. Antonio,invece, trae soddisfazione dallo studio e dallo scrivere romanzi, atti-vità che gli riesce con discreto successo. Una minoranza di uomini, invece, punta alla carriera ma in

modo diverso dalle donne: prova a costruire margini di autonomiae di negoziazione diretta con la sfera politica, piuttosto che orientarsialla mera esecuzione dei compiti. Di fatto, la valutazione dei dipendenti avviene sulla base di criteri

stabiliti dal PEG e negoziati dal dipendente: ognuno seleziona 6 dei10 criteri proposti dal dirigente. Tuttavia la valutazione avviene sullabase di una prassi consolidata orientata a premiare tutti allo stessomodo; i dirigenti tra l’altro non sono a contatto quotidiano con idipendenti, per cui la loro valutazione è approssimativa. La logica manageriale è dunque in buona parte una mera reto-

rica, uno schema cognitivo per far accettare il nuovo sistema di in-terazione tra politica e amministrazione. Si tratta di una retorica che prova a trasporre la calcolabilità del-

l’agire economico di mercato in un’organizzazione burocratica com-posta da attività di routine e compiti semplici. La nuova logicamanageriale ha ridefinito i compiti in obiettivi ed ha introdotto unsistema premiante che vuole imitare quello dell’impresa privata dimercato. In realtà non c’è niente da valutare e i passaggi di carrierasono pure formalità in quanto cambiano di poco sia le mansioni siala retribuzione. Anche il passaggio da una categoria all’altra si fa sullabase di un “concorsino”, quando si libera un posto e la politica trova

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nuove risorse. I dirigenti fanno un lavoro che dal punto di vista del-l’efficacia dell’agire amministrativo conta poco: il lavoro è standar-dizzato, c’è poco da migliorare e le stesse riunioni di lavoro sonomeri rituali per incentivare soggetti che possono sentirsi ripagati,anche se si vedono affidare responsabilità aggiuntive di scarso valore. Si tratta perciò di un ambiente lavorativo che premia poco in-

novazione e saper fare, ma dove a contare è la relazionalità; essa èimportante anche per provare a lavorare meglio. Se si ha un’idea in-novativa bisogna non dirla subito, ma coinvolgere i colleghi e farlaapparire come un’idea di tutti, in quanto l’estrema dedizione al la-voro non è ben vista; molti credono che ci sia sempre un secondofine dietro a un eccessivo zelo professionale. Chi si impegna al mas-simo potrebbe passare inosservato ai dirigenti e malvisto dai colleghi. Tale sapere relazionale è posseduto, ad avviso delle stesse intervi-

state, maggiormente dagli uomini, essendo le donne più competitivepur di vedere riconosciuto il loro impegno da parte dei superiori. Intal modo, però, le donne finiscono per non sviluppare un lavoro disquadra efficace e fanno riferimento direttamente ai dirigenti o al ca-poufficio, quasi mai avendo un rapporto diretto con la sfera politica. Le pratiche lavorative della maggior parte delle dipendenti sono

orientate al supporto dei superiori e alla scarsa cooperazione oriz-zontale con le colleghe. In questo modo molte dipendenti mettonoin atto una strategia professionale sganciata dal reale meccanismodi distribuzione delle risorse simboliche ed economiche vigentenell’ente.

3.3. Il contesto organizzativo di una multinazionale

L’altra azienda presa in considerazione è uno stabilimento metal-meccanico, situato in un contesto a forte urbanizzazione e afferentea una multinazionale statunitense con circa 300.000 dipendenti. Nonostante la struttura organizzativa assai differente, i principali

meccanismi produttori dei differenziali retributivi di genere sonoanaloghi a quelli rilevati nella pubblica amministrazione indagata. L’organizzazione studiata plasma l’ambiente in cui agisce più di

quanto il contesto istituzionale riesca a influenzare le dinamiche or-ganizzative interne. Il contesto lavorativo è multietnico e i dipendenti parlano almeno

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l’inglese, oltre all’italiano, essendo in contatto quotidiano con i col-leghi delle sedi negli altri Paesi. L’azienda è, dunque, parzialmentesradicata dai meccanismi di regolazione della società locale.L’unità di analisi è formata da impiegati, quadri e dirigenti di

due aree centrali dell’azienda: Ingegneria e Risorse Umane. Si tratta,dunque, di profili professionali a qualificazione medio-alta, caratte-rizzati dall’acquisizione di un sapere esperto sviluppato prevalente-mente all’interno della multinazionale.I dipendenti considerano l’azienda come il luogo di formazione

della propria identità piuttosto che un contesto in cui si è costrettia trovare una mediazione tra i propri obiettivi professionali e quellieconomici della multinazionale. L’area ingegneristica si fonda sull’impiego di conoscenze diret-

tamente connesse ai processi produttivi del comparto metalmecca-nico; mentre l’altra area richiede competenze legate ad attivitàindirette come la gestione delle relazioni industriali, la selezione emotivazione dei dipendenti, l’analisi della struttura organizzativa. Ingegneria resta un settore maschile, anche se stanno aumen-

tando le ingegnere: negli ultimi dieci anni l’azienda ha promossouna politica di assunzione che favorisce l’impiego di donne in pro-porzione maggiore a quella che è la ripartizione per genere nei corsidi laurea ingegneristici. Al contrario, le Risorse Umane costituiscono un’area ad alto tasso

di femminilizzazione in cui sono impiegate prevalentemente personelaureate in giurisprudenza, economia, scienze politiche, sociologia esoprattutto psicologia. Il lavoro di entrambe le aree consiste comunque nella manipola-

zione di simboli al fine di amministrare e organizzare i processi pro-duttivi (Reich 1993).Se nel settore ingegneristico la manipolazione di simboli è diretta

al funzionamento dei macchinari, nel settore delle Risorse Umanequesta manipolazione riguarda direttamente le persone e la loro so-cializzazione a una comunità chiusa, affinché questa si istituzionalizzicon pratiche e valori propri, separati dalle dinamiche esogene dellasocietà locale. In generale, ogni ufficio è una piccola struttura in cui le posizioni

dirigenziali si configurano come dispositivi “locali” per l’implemen-tazione delle politiche aziendali di gestione del personale.I diversi livelli gerarchici sono in comunicazione diretta e traspa-

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rente con i dipendenti, che agiscono secondo la logica tipicamenteindividualista della classe media, e in particolare di quelle frazionepiù qualificata e caratterizzata da percorsi di carriera “vincenti”.I soggetti studiati si caratterizzano per una cultura del lavoro di

tipo manageriale che ricorda i valori yuppie dei primi anni Ottanta.Ciò che conta non è tanto il contenuto del lavoro in sé ma la continuasfida che il dipendente pone innanzitutto a se stesso nel raggiungi-mento degli obiettivi, in vista di una continua progressione di carrierache punta ai vertici aziendali.Di qui la soddisfazione per un lavoro vario che si vorrebbe sempre

nuovo, evitando la routine. È un lavoro dove si uniscono compe-tenze tecniche e competenze relazionali, perché si tratta di diagno-sticare problemi, controllare procedure, scrivere progetti (Negrelli2005; Parziale 2008a), ma anche partecipare a riunioni, comunicare,mettere in relazione i diversi nodi di un’impresa multinazionale cheagisce secondo il modello organizzativo a rete (Rullani1994):

Per esempio alcuni dati mi vengono da tutta Italia per cui qui cerco diriunire quelli che sono i colloqui di più persone in una stessa giornataper venire incontro a quelle che sono le esigenze del manager, perchéio faccio i colloqui e valuto le persone dal punto di vista delle risorseumane, poi occupandomi di profili di stampo tecnico ho bisogno diun manager che faccia un colloquio, interviste tecniche, che valuti lapersona dal punto di vista tecnico. Quindi è una duplice valutazione…la mia valutazione da sola non è sufficiente. Parte della giornata è dedicata all’analisi delle mail che si ricevono per-ché è lo strumento con cui lavoriamo noi, se c’è da fare dei colloqui alivello telefonico, per chi lavora in tutto il mondo, quindi devo aspet-tare che ne so che in Messico si alzino, quindi un pochino devo tenereconto anche di questo. Parte del tempo è dedicato anche ai meeting,perché ribadisco, lavorando con tutto il mondo, io seguo un profilotecnico che viene assunto in tutto il mondo, quindi devo fare riunionisettimanali per aggiornare il manager su come sono i profili di quelliche mandano i curriculum vitae.(Ornella, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 10)

Tutto ciò comporta una totale dedizione al lavoro: si lavora pertante ore al giorno e la distinzione tra orario ordinario e straordinarioè labile; anzi è possibile che alcune attività vengano completate a casa,il fine settimana. Non a caso, l’azienda ha deciso di promuovere di-versi impiegati di medio livello nella posizione di quadro:si tratta di

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un rapporto di lavoro non configurabile come subordinato quantocome prestazione professionale.Il quadro può entrare a lavoro quando vuole, in cambio non esi-

ste lo straordinario né un orario di lavoro precisamente definito:

Sono un quadro, diciamo… è stata equiparata a quadro per non pagaregli straordinari [ride]… è la cosiddetta fascia A1, che corrisponde nonso a quale livello metalmeccanico… perché non sono più aggiornata…fino a pochi anni pagavano gli straordinari che però bisognava dichia-rare, perché non si timbrava il cartellino. Quindi, alla fine del meseuno diceva “ho fatto 20 ore di straordinario”, il capo approvava… poisi sono accorti che questa cosa non funzionava, non c’era controllo.Quindi, a fronte di un minimo incremento del salario base hanno toltoil pagamento degli straordinari. (Filomena, quadro, Ingegneria, intervista n. 1)

Il lavoro è in questo contesto “poroso”, nel senso che fagocita ilmondo della vita quotidiana dei soggetti (Borghi e Rizza 2006).Questo studio di caso conferma la tesi che mentre in epoca fordistala grande impresa tendeva a separare la sfera produttiva da quella ri-produttiva della vita priva privata, ora in epoca post-fordista il tempodi lavoro invade la sfera privata, portando i dipendenti della grandeimpresa a organizzare la loro vita in funzione del lavoro:

Una persona che in un periodo della sua vita non può dare… non chelavora male… non può dedicare 18 ore, 16 ore al giorno, deve esseremolto efficiente… e fino a un certo punto riesci perché hai tanti mee-ting, cioè devi andare al meeting là per capire che devi fare… e poi staiin una stanza con tante altre persone per cui ti puoi distrarre, quindinon essere focalizzato, poi le ore migliori o sono la mattina presto o lasera tardi quando sono andati tutti via, i meeting non ci sono più, leconference call sono finite… quindi la cosa migliore è lavorare in modoefficiente, ti isoli dal mondo, ti gestisci in maniera ottima. L’alternativaè lavorare più ore, in modo da raggiungere…(Tina, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 18)

Esco prima. I lunedì e mercoledì esco alle 19:00, la palestra è qui vicinoe vado dalle 19:30 alle 21:30. È un modo per isolarmi un poco dal-l’ambiente lavorativo. Altre sere esco, oppure se sono stanca me nevado a letto e mi fermo un pochino… dipende. Io comunque abitoqui vicino, quindi mi riesco ad organizzare bene. È ovvio che ci sonodelle giornate in cui sei stanca perché il lavoro è impegnativo. // È ovvioche si tratta di rivedere un pochino le priorità, nel senso che per ora

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posso farlo, lo posso fare, però se volessi potrei uscire anche alle 18:00,nessuno mi impone, io non ho un capo che mi impone di fare le 20:00la sera, anzi… se volessi potrei riuscirci… ovviamente ne va della moledi lavoro che riesco a portare avanti, mi rimarrebbe un pochino in piùda fare, ovviamente, ma penso che riuscirei ad organizzarmi. (Ornella, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 10)

Le attività domestiche le faccio la sera. Ho una casa abbastanza pic-cola… se c’è un po’ di polvere faccio finta di non vederla… un pavi-mento non splendente… tanto so che è polvere mia [ride], però i lavoridi casa grossi li faccio il sabato. La spesa… torno a casa che è tardi, ilfrigo è vuoto e quindi si esce a cena con gli amici. Non è male alla fine.// con i figli penso che sarebbe molto più difficile. A quel punto nes-suno ti obbliga a restare fino alle sette e mezza. Sono io che tante volteper aggiornamento personale mi metto a studiare delle cose perché senon imparo è la fine, ecco. // questa cosa non mi… sin dai tempi del-l’università impazzivo prima di ogni orale. Allo scritto pazienza, maall’orale se qualcuno mi avesse fatto una domanda ed io avrei risposto“non lo so”… mi spaventava questa cosa!(Filomena, quadro, Ingegneria, intervista n. 1)

Gli stralci qui riportati riguardano giovani donne in carriera che vi-vono da sole, non hanno famiglia e spesso provengono da altre regioni.Costoro costruiscono il loro tessuto sociale all’interno dell’azienda,provvedendo alla loro cura personale e alle attività domestiche negli“interstizi di tempo”, la sera o il fine settimana. L’azienda così diventa per il dipendente la sua famiglia, il vero

agente di socializzazione che indica come comportarsi e quali valoriseguire:

L’azienda è la tua famiglia, sono i tuoi amici, ci passi tempo fuori…cioè lo reputo fondamentale nel lavoro. Se te stai 8-10 ore al giorno inun posto, quel posto, quelle persone devono in qualche modo essereuna parte della tua famiglia. Per cui se non riesci a stare in rapportibuoni diventa difficile lavorare. Qui ho cambiato molti lavori, ho co-minciato come progettista, sono stato responsabile tecnico di com-messa per 4 anni, e ora faccio… diciamo da una posizione un po’ piùin cima alla collinetta… implemento i processi che queste persone poidevono gestire, ma in ognuno di questi lavori c’è sempre stato un rap-porto con tutti i gruppi, un rapporto familiare. È una cosa diffusa inquesta azienda. Le persone si vedono fuori, si vedono dentro, organiz-zano spesso all’interno dell’azienda…(Enrico, quadro, Ingegneria, intervista n. 2)

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Impiegati, quadri e dirigenti risultano perciò “autodisciplinati”alla logica manageriale (Thompson 2002); si accollano i rischi d’im-presa e accettano la filosofia aziendale consistente nell’ideologia dellameritocrazia (Gallino 2006). Il merito si misura soprattutto nella piena dedizione all’azienda,

ai suoi tempi e ciò comporta un effetto da loro non voluto, consi-stente nel fatto che se i singoli dipendenti “gareggiano” nello starequanto più tempo possibile in azienda, per mostrare la loro fedeltà,alla fine la giornata lavorativa si amplia oltremodo:

Entro di solito verso le 8:30-9 di mattina, dipende perché io vado inpiscina alle 7-7,30, quindi dipende un po’ dal traffico che c’è nelle cor-sie della piscina. Comunque in generale alle 8:30 entro, anche se sipuò anche entrare più tardi // cerco di andar via, se ci riesco, verso le19:00, però non sempre mi riesce e quindi può capitare che si fannole 20:00, anche perché comunque ci può stare che si facciano delleconference call piuttosto che delle semplici telefonate per chi sta dal-l’altra parte dell’Oceano e quindi è chiaro che questa cosa può portarea una dilatazione di tutti i tempi. // Con la pulizia ovviamente ci ri-volgiamo a una donna delle pulizie… Una volta a settimana viene adarci una mano e poi nei week-end cerchiamo di fare la lavatrice, poiarriva questa signora di martedì. // Se io volessi continuare a salire, cioènon volessi fermarmi [a fare progressioni di carriera, ndr], arrivi a certilivelli anche di intensità del lavoro, dal punto di vista quantitativo, nonso davvero come si possa conciliare…(Luca, dirigente, Risorse Umane, intervista n. 11)

Da una parte il carico di lavoro è tale che l’azienda richiede unagiornata di lavoro molto lunga, evitando di impiegare altre risorse;dall’altra sono gli stessi dipendenti che per fare carriera si dedicanototalmente al lavoro. In questo modo l’impresa riesce a ridurre ilpersonale da impiegare e a mantenere un sistema retributivo incen-tivante che rende molto produttivi i lavoratori:

No, perché poi ci sono le persone che hanno raggiunto un proprioequilibrio e prendere e crescere chissà fino a quando… non sono in-teressate e quindi si dedicano alla propria attività e fanno le 8 ore enessuno gli dice o le obbliga… anzi se effettivamente tu fai 12 ore dilavoro e vai dal tuo capo e dici “Io ho fatto 4 ore in più”, non sei ob-bligato a farlo, ti dicono. Se tu non ce la fai a fare una cosa, la danno a qualcun altro che la puòfare, però poi alla fine tutto… // Paghiamo una persona però per una

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volta a settimana. Io penso nel weekend a cucinarmi per tutta la setti-mana, congelo, a pranzo si mangia. Se resto a casa non devo cucinare perché ho cucinato già. // Sono statiassunti tutti ragazzi magari anche di fuori, con voglia di uscire perchépersone che sono radicate qui magari i weekend se ne vogliono starecon le loro famiglie, con le loro amicizie, non hanno neanche interessead allargare il proprio giro, anche perché dicono “Questo è il lavoro,questa è la vita”; per noi che siamo un po’ di fuori le due cose insiemevengono a coincidere.(Tina, impiegata di settimo livello, Risorse umane, intervista n. 18)

Una persona che fonda la propria identità lavorativa su una cul-tura più emancipativa, consistente nel mediare le esigenze profes-sionali con quelle della propria vita personale, è costretta a sceglieretra il riconvertire il proprio modus vivendi a quello dei propri colle-ghi, o nel rallentare significativamente la propria carriera. A questo proposito una giovane dirigente sottolinea come il bi-

lanciamento tra professione e vita privata venga pagata dalle donnesposate:

Lavorare qui non è un lavoro di otto ore… trovare la bilancia… dellafamiglia… noi siamo qui in questa bellissima città, però io non ricordoquando ho visto l’ultima volta il Duomo, perché noi siamo sempre, sem-pre, sempre qui. // Ora si. Mi sono sposata pochi mesi fa. Il lavoro è im-portante, per me è sempre stato importante crescere e avere un livello diresponsabilità, non particolarmente di persone, ma di progetti… certoperò discriminazione a un altro livello: si c’è un dipartimento che sta la-vorando più di noi, che sono donne, e in questo dipartimento non puoitrovare nessuna che è sposata, perché in questo ufficio di lavoro devi la-vorare 12 ore al giorno.(Serena, dirigente, Risorse Umane, intervista n. 15)

Per considerare questo ultimo aspetto è utile approfondire l’ana-lisi sui vincoli e le risorse previste dal modello organizzativo e dalsuo sistema di promozione dei dipendenti.

3.3.1. Vincoli e risorse per fare carriera

La politica aziendale rispecchia la trasformazione del lavoro post-fordista caratterizzata dalla centralità del lavoratore della conoscenza

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(Butera, Donati e Cesaria 1997), una figura ad alta qualificazione,addetta a un lavoro creativo, interessante ma molto stressante.Rispetto al passato è cambiata la regolazione di fatto del lavoro

dipendente. Questa dinamica è ben spiegata da Federico, 48 anni,sposato, con un figlio e laureato in ingegneria. Federico è dirigentecon contratto full-time a tempo indeterminato. È entrato in aziendaquando essa era a partecipazione statale (ENI) ed ha vissuto diretta-mente gli effetti dell’acquisizione da parte di una multinazionale sta-tunitense. Fino alla fine degli anni ’90, nonostante l’azienda fosse già stata

rilevata nel 1995, l’organizzazione era quella burocratica meccanica,tipica dell’epoca fordista (Bonazzi, La Rosa e Pulignano 2002; Bo-nazzi 2005). Ogni 15 dipendenti vi era un capoufficio, le comunica-zioni erano di tipo verticale, le progressioni di carriera dipendevanodall’anzianità lavorativa oppure da motivazioni politiche. In cambio,vi era un orario di lavoro stabile che permetteva di dedicarsi sia allafamiglia che alla vita privata: gli uffici alle 17,30 chiudevano. L’intervistato prima aveva uno stile di vita comune alla persone

della classe media: per lui era importante fare un lavoro di qualitàin termini di contenuti professionali e condizioni contrattuali; suc-cessivamente, col nuovo modello organizzativo ha cominciato adadattarsi alla cultura manageriale improntata alla piena dedizionedel dipendente; così è iniziato un percorso che ha sacrificato la sferaprivata, in modo da sfruttare le opportunità di carriera che la nuovadirigenza rendeva possibile.Il sistema premiante è definito meritocratico, perché fornisce in

modo trasparente a tutti le informazioni relative alle posizioni pro-fessionali che “si aprono” nell’organigramma, ossia alle posizioni va-canti che vanno riempite con le promozioni o con nuove assunzioni.Quindi, tutti possono partecipare alle selezioni sulla base del lorocurriculum aziendale, che è aggiornato ogni anno dal sistema di va-lutazione interno. Tale sistema richiede un ruolo attivo dei dirigenti: essi non danno

semplici ordini, come avveniva con la precedente gestione, bensì de-vono addestrare e motivare i dipendenti a lavorare di più e meglio, af-finché non cambino ufficio, spinti dalle nuove opportunità di carriera:

Il mio lavoro… eh, a volte me lo chiedo anche io [ride]… consiste so-stanzialmente nel gestire il personale di questi due gruppi, cercare le

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persone, cercare di mantenere le persone, cercare di addestrarle, di in-teressarle al lavoro, di interessarle al prodotto, perché il problema è chenel nostro mondo ci sono moltissime sollecitazioni, cioè è difficile tenereuna persona, soprattutto se è una persona capace, brillante, in una po-sizione molto a lungo; d’altra parte la nostra attività richiede un certotempo: un progettista non si forma in due anni, ci vogliono tanti anni!Una persona diventa produttiva dopo 5-6 anni, che sono dei tempi,per un’azienda come questa, biblici. È difficile tenere una persona inuna posizione per tempi così lunghi. Il mio compito è di fare innamo-rare le persone, di fare in modo che queste persone possano lavorare almeglio. Non è facile! Comunque, nonostante tutto, c’è molta burocra-zia. Molta parte del lavoro è ripetitivo, noioso, ed è difficile convincereun giovane ingegnere brillante, pieno di speranze. Per 2-3 anni è faciletenerli, perché li interessi con la novità. I problemi nascono dopo,quando raggiungono un discreto livello di competenze, per lo menocosì pensano: si guardano attorno e vedono se c’è mobilità. L’aziendaspesso spinge a questa mobilità: i dipendenti vedono dove girano i soldie l’ufficio tecnico non dà certo soddisfazione alle ambizioni, soprattuttosalariali. // che in virtù di prendere le persone migliori, comunque, allafine si prendono i migliori anche per fare attività che non richiedonocerti requisiti di specializzazione, per fare alcune cose non ci vuole unnobel, no? L’azienda dice “intanto prendo i migliori, i più bravi, quellicon phd, con master”, creando problemi gestionali non indifferenti.Questa è un po’ la mia attività, poi, ovviamente, per stare in un’aziendacome questa è importante quello che io chiamo controlship, il controllodella situazione che si traduce nella necessità di avere il controllo di certemetriche, di certe attività, indicatori, per cui quanto consegni in tempo,quanto consegni in ritardo, quanti errori fai nella documentazione. (Federico, dirigente, ingegneria, intervista n. 20)

I dirigenti sono perciò sia strumentali, sia espressivi – per ripren-dere la classificazione di Kurt Lewin sulla leadership nelle organiz-zazioni – dovendo sia addestrare, sia motivare. La gestione del personale può comportare anche problemi nel-

l’organizzazione del lavoro, dando vita a situazioni di de-skilling, disotto-impiego di quadri e impiegati, oltre che aumentando le aspet-tative di promozione; tuttavia, come detto, tale politica fa aumentarela produttività e la fedeltà dei dipendenti. Per quanto riguarda i compiti vi è un’elevata rotazione delle man-

sioni, con i dipendenti che cambiano spesso attività e ufficio; ciò èfortemente interconnesso ai percorsi di carriera, organizzati in modopreciso secondo piani pluriennali e personalizzati sulla base di quantoemerge dal sistema di valutazione dei dipendenti.

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Si potrebbe parlare di piani “di sviluppo professionale” del di-pendente, in cui l’azienda indica i ruoli che il soggetto deve coprirein un dato arco di anni, quali obiettivi dovrà raggiungere e qualipromozioni otterrà. Questo sistema comporta una discriminazione di genere impal-

pabile, silenziosa. Le donne che adottano stili lavorativi maschili ri-sultano vincenti nel campo professionale, esternalizzando la loromaternità alla famiglia di origine e a figure come la baby sitter, op-pure rinunciandovi; le altre, invece, risultano sconfitte da una com-petizione impari: durante la maternità non possono raggiungere gliobiettivi e dunque il piano di sviluppo professionale predispostodall’azienda viene rivisto. In altri termini, alle persone che chiedono congedi di maternità

o parentali la direzione rimodula gli obiettivi affidati e ciò finisceper incidere sulle possibilità di carriera e i relativi livelli retributivi.Si assiste a una bipartizione dei percorsi di carriera interni.

L’azienda ricalibra per le donne in maternità il piano di sviluppoprofessionale, investendo poco su di loro, in termini di formazionee di opportunità di carriera. I profili che sono emersi sono sostanzialmente tre: quello del-

l’uomo in carriera che delega quasi tutto ciò che concerne la vita fa-miliare alla moglie, di status professionale inferiore; la giovane donnain carriera che vive nella comunità chiusa e totale dell’azienda, se-guendo in questo i colleghi, e posticipando la costituzione di unafamiglia a una data indefinita; la professionista madre che esterna-lizza la sua maternità ad altri soggetti – famiglia di origine, babysitter a tempo pieno, etc. – onde evitare di essere risucchiata nel per-corso di carriera inferiore, pensato per le “madri”, o per coloro, ancheuomini, che preferiscono lavorare per sempre nello stesso ufficio eallo stesso livello retributivo. E tuttavia, le discriminazioni di genere non si fermano alla scelta

forzata tra l’essere madre o l’essere professionista, ma riguardano ilmodo in cui si raggiungono le posizioni più remunerative. Per chiarire questo punto è opportuno soffermarsi sul sistema

premiante presente in azienda. Gli intervistati sono tutti accomunati da un percorso professio-

nale qualificato, consistente spesso nel passaggio dalla laurea al ma-ster, con l’approdo giovanissimi in azienda dove hanno in pochi mesiottenuto significativi aumenti retributivi.

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Gli stipendi sono buoni, ma il gruppo di riferimento di impiegatie quadri non è quello dei professionisti dipendenti, bensì quello deidirigenti. Per la maggior parte degli intervistati lo stipendio non èsoddisfacente, in quanto le aspettative economiche sono molto ele-vate, in linea con la mentalità manageriale che ragiona per remune-razione annuale e non per stipendio mensile secondo la visione tipicadel mondo del lavoro subordinato. Tuttavia la dimensione economica è secondaria rispetto al rico-

noscimento professionale derivante dall’acquisizione di una posizionedi rilievo nell’azienda: l’obiettivo è gestire parte dell’organizzazione ecoordinare le altre risorse umane. Status e potere sono importanti,ma, come accennato nel paragrafo precedente, ciò che più conta è la“sfida” verso se stessi: per questo si è parlato di dipendente autodisci-plinato al managerialismo.La gestione del personale è organizzata nei minimi dettagli sin

dalla fase di selezione dei curricula dei candidati e del successivo mo-mento dell’assunzione. L’azienda non assume semplici neolaureati,bensì persone con elevate credenziali:

Sai, da una parte arrivi qui… ora non si possono prendere neolau-reati… si possono prendere solo attraverso un percorso che si chiamaEDP, engineering development program, un nome, un acronimo chefaccio fatica a… vengono questi ragazzi e si fanno rotare per due anniper diverse funzioni di ingegneria, per far di loro i futuri manager…si dice sin dall’inizio “tu farai questo, ti vogliamo formare per fare que-sto”… in questo modo inevitabilmente il giovane si pone degli obiet-tivi, delle ambizioni carrieristiche, forse anche di tipo tecnico, poi cisono quelli che magari vogliono fare gli ingegneri e conoscere le cose;poi c’è anche quello che […] punta ad una carriera, allo sviluppo, adiventare un responsabile, eccetera, eccetera. È un atteggiamento moltopiù diffuso rispetto a quando sono arrivato io.(Federico, dirigente, intervista n. 20)

Nel settore ingegneristico esiste questo percorso EDP: il neoas-sunto fa esperienza in più uffici, viaggiando anche all’estero. È il mo-mento della formazione interna, nonché della socializzazione aglistandard performativi dell’azienda. In questo percorso il dipendenterafforza le sue aspettative professionali, anche perché la comunica-zione interna a lui rivolta diffonde il messaggio che la promozioneè basata sui criteri di pari opportunità e trasparenza:

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Sono stata scelta per fare l’EDP… ci vogliono due anni… è un corsodi leadership tecnica, diciamo, all’interno di ingegneria. Fai turnazionidi 8 mesi in varie sezioni dell’ingegneria. // quindi, hai due valutazioniogni quattro mesi, per due anni. E in quella fase lì ho fatto un sacco dicorsi, perché sei un po’ il cocco delle Risorse Umane; vieni portato avarie riunioni di alto livello, vieni invitato a super meeting, vieni man-dato a fare corsi negli Stati Uniti.(Filomena, quadro, intervista n. 1)

La gestione delle risorse umane è imperniata sulla cosiddetta Ses-sion C, periodo di “auto-riflessione” dell’azienda: nel Novembre diogni anno viene attivato un periodo di valutazione del personale,che dura alcuni mesi. Ogni dipendente compila una scheda di autovalutazione in cui

indica quali sono i suoi punti di forza e di debolezza, le sue aspira-zioni, gli obiettivi che ha raggiunto. Quindi, è il suo dirigente diretto,e dopo di lui i livelli gerarchici superiori, a dare una valutazione dellasua performance, finquando si giunge alla valutazione finale del di-pendente e alla pianificazione della sua carriera.In questa fase, quindi, viene rivista la posizione retributiva del

dipendente, suddivisa in più parti: la parte fissa, stabilita dal con-tratto collettivo nazionale, i benefits e il premio di produttività, sta-biliti a seconda della posizione di appartenenza, e l’ad personam.La parte più interessante della retribuzione è quest’ultima: essa pesa

su circa il 25% dello stipendio e tale peso cresce in modo esponenzialesalendo nella scala gerarchica. L’ad personam è cumulativa e dipendedal percorso di carriera: se un dipendente riesce in pochi anni ad averepiù promozioni, il suo ad personam aumenta in modo sensibile; di quil’aumento delle differenze retributive tra i dipendenti.Di queste ultime nessuno parla: è un tabù della comunità azien-

dale; la competizione esiste ma non va dichiarata. Dalla Session C per ogni profilo professionale viene prodotto un

ranking, ossia un ordinamento dei dipendenti in tre livelli: circa il20% dei dipendenti è considerato dotato di “talento” e perciò sivede riconosciuto un significativo aumento della retribuzione (adesempio il 7-8% della parte variabile dello stipendio); al 70% vienericonosciuto un aumento minore, perché considerato meritevole macon una performance di livello medio; al restante 10%, la cui per-formance non è ritenuta adeguata al livello medio, non è ricono-sciuto alcun aumento retributivo.

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L’ad personam è uno strumento del top management per evitareuna possibile azione collettiva dei subordinati: all’impresa convieneun atteggiamento individualistico del dipendente; atteggiamento in-dividualistico che è già in parte introiettato dal soggetto che è socia-lizzato lungo tutto il percorso formativo, fuori e dentro l’azienda, aquell’etica acquisitiva rilevata in precedenza nelle dirigenti della pub-blica amministrazione.La definizione dell’ad personam dipenda da due fattori quali la

disponibilità e la visibilità.La disponibilità di tempo facilita le richieste di promozione del

dipendente durante il periodo della Session C, consentendo ai diri-genti di redigere piani di sviluppo professionale di ampio respiro. Seil dipendente dichiara la propria disponibilità a viaggiare all’estero,a lavorare nelle altre sedi della multinazionale, a seguire corsi forma-tivi impegnativi, e allo stesso tempo negli ultimi mesi ha dedicatoun numero elevate di ore al lavoro, allora è premiato dalla direzioneche incentiva questo comportamento produttivo:

Certo… però se io lavoro 8 ore e ho uno stipendio di 2000 euro e nonmi va di crescere perché sto bene… cioè io mi posso pure accontentare[…] mi danno, non lo so quanto è, mettiamo il 3% di aumento al-l’anno e sono contenta. Se io sono fuori casa no, vedo il mio lavorocome un investimento personale perché voglio arrivare ad un certo li-vello, voglio arrivare a 3000, 4000 euro al mese allora dico: che faccio?Mi accontento del 2%? No, voglio arrivare all’8%, allora faccio il mas-simo che mi è concesso. // Generalmente ho visto che se uno è del sesto-settimo livello ed ha 45 anni vuol dire che il lavoro che fa gli piace, faquello che deve fare e che gli chiedono di fare, magari ha famigliaquindi va a prendere i figli a scuola e altro, quindi lo vedi in quest’ot-tica. Persone che come me sono fuori sede, si sono trasferite e chehanno visto l’azienda un posto dove… si esce tardi tutti insieme, si vaa prendere la pizza quando finisci tardi di lavorare… ovviamente è di-verso l’approccio.(Tina, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 18)

“Crescere” è una parola più volte pronunciata dagli intervistati.Questo termine assume quasi un valore normativo, morale, cheporta anche a una scarsa considerazione per i “devianti” della co-munità che non vogliono “viaggiare”, ossia percorrere una stradafatta di continue mete, di flessibilità mentale e fisica. Risulta evidenteche chi vuole radicarsi in città, formare una famiglia e dedicarsi ad

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attività extralavorative si colloca immediatamente fuori dal piano disviluppo professionale vincente.Dallo stralcio riportato qui sopra è chiaro come l’ad personam sia

cumulativo, pertanto chi ha fatto l’esperienza dell’EDP, o chi co-munque ha avuto molte progressioni di carriera in breve tempo, rie-sce a raggiungere posizioni remunerative elevate, distaccando intermini retributivi i dipendenti che per qualche anno non hannopotuto viaggiare per dedicarsi alle attività di cura.Come visto, è più difficile per le donne, a causa della maternità,

impiegare la disponibilità come risorsa di promozione professionale. Oltre la disponibilità, altro fattore di successo, come detto, è la

visibilità: è qui che le donne, anche coloro che non intendono averefigli, possono risultare svantaggiate. Sul punto vale la pena soffer-marsi più a lungo.

3.3.2.Habitus e pratiche sessuate: il diseguale modo di parteciparealla comunità aziendale

Il dipendente ottiene visibilità grazie alla capacità di comunicareapertamente la sua adesione alla comunità aziendale; per raggiungerequesto obiettivo deve entrare in contatto con i superiori.Egli deve saper tessere le relazioni giuste per accedere ai network

professionali informali presenti in azienda: partecipare a queste retirende possibile ottenere le informazioni corrette per candidarsi effi-cacemente alle posizioni vacanti. Il sistema premiante è potenzialmente trasparente e neutro, ma

nella valutazione la dimensione emotiva è centrale: il dipendentedeve assumere atteggiamenti, competenze relazionali e stili comu-nicativi in linea con gli schemi cognitivi dei dirigenti. Non potrebbe essere altrimenti in un’istituzione che fonda la ge-

stione del personale sulla manipolazione di simboli e, si può aggiun-gere, emozioni.La comunità aziendale prevede dei riti di gruppo: le riunioni di

lavoro si configurano come attività prestigiose nelle quali i più altidirigenti fungono da “sacerdoti” che indicano la strada al successo.Così la meritocrazia non può fondarsi solo sul lavoro ben fatto, maanche su una fedeltà alla visione aziendale e ai valori della comunità:

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Meritocrazia che si fonda sulla performance e sui risultati che si sonoottenuti ma anche sui valori. Non è sufficiente portare dei risultati sepoi non si possiedono certi valori. Il principio del fine giustifica i mezzinon abita in questa azienda, perché l’integrità, il rispetto delle regoledel gioco stanno sopra tutto e sopra tutti. Quindi chi non possiedecerti valori etici e di, come dire, condotta, se non si adatta a questiprincipi può avere la performance più alta del mondo, stai tranquilloche qui non muove più un passo in avanti, anzi in dietro, anzi versol’uscita. Certi valori, certi principi rappresentano la base.(Luca, dirigente, intervista n. 11)

L’adesione ai valori va, però, comunicata apertamente prendendola parola al momento giusto durante una riunione importante. Ciòpermette di rafforzare o avviare relazioni con le persone che occu-pano una posizione strategica nell’azienda. In questo modo è possibile per il dipendente ottenere la “spon-

sorizzazione” e uscire dalla “trincea” dell’anonimato:

Certamente è necessaria la competenza tecnica, assolutamente, ma puònon essere sufficiente, nel senso che vedo molto forte quella che sichiama sponsorizzazione, comunque. Anche questa è una cosa rico-nosciuta, accettata e codificata, insomma, nei corsi che ti fanno ti di-cono “mettiti in mostra con le persone che possono contare per il tuofuturo, che possono decidere”. La cosa necessaria è la competenza, poiovviamente la tua capacità di metterti in mostra, di lanciare messaggi,di far vedere che sei una persona che non solo conosce l’aspetto tecnico,ma che ha anche la capacità di svilupparsi, integrarsi… quindi 15 annidi trincea mi aveva visto, poi una presentazione al posto giusto, al mo-mento giusto, e sboccia l’amore. Quest’amore non so a cosa può por-tare, però in quest’ambiente c’è questo. Cioè, i manager di alto livellonon hanno tutto questo tempo alla fine per giudicare le persone, perconoscere chi hanno di fronte; quello che conta è quella zampata chequel personaggio può dare, quel messaggio che in 3 minuti… […] co-munque è fondamentale che tu in 3-4 parole riesci a comunicare inquei pochi secondi, quando ti trovi in ascensore col general manager…da lì dipende il tuo destino, perché i manager sono talmente presi datante cose che non hanno tempo da dedicarti. Il momento in cui…sembra di essere in un film, ma è così… riesci a mandare quel messag-gio positivo, in cui fai particolare attenzione… se lo fai bene, questo tiaiuta parecchio, però, attenzione, il nostro mondo, quello di ingegne-ria, tutto questo non serve a niente se non hai la competenza tecnica.(Federico, dirigente, intervista n. 20)

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Il mettersi in mostra è un comportamento accettato, anzi incen-tivato. Si tratta di riconoscere i valori della comunità e di esprimereil pieno accordo a una visione che fa del successo professionale edella performance aziendale il senso delle vita: l’istituzione divienetotale perché non si separa dalla persona; la socializzazione aziendaletende a ridurre i margini d’azione di quella dimensione identitariaconsistente nella negazione di una data determinazione simbolica enella scelta di un’altra visione della realtà (Crespi 1994).Dalle interviste emerge con forza la relazione asimmetrica tra i

generi, in quanto le donne incontrano maggiori difficoltà degli uo-mini nel fare gruppo e nel rendersi visibili:

La cosa che non mi piace, non è del mio diretto superiore, ma di quellosuperiore a lui, è che non tende a far partecipare molto, non dà possi-bilità di visibilità. Se non ti invita alla riunione e poi vieni a sapere chesuoi omologhi, allo stesso livello, hanno invitato i riporti dei riporti…quindi a questa riunione c’erano tutti ad ascoltare le cose che tu avevifatto, ma tu non c’eri. // si, a livello informale è un po’ difficile, perchése non ti viene data l’opportunità, perché per due anni ho sempre fattolo stesso lavoro, il che mi ha portato a conoscere sempre le stesse per-sone, quelli con i quali lavoro…(Filomena, quadro, intervista n. 1)

Per entrare nella rete giusta l’impiegato deve allargare le relazioniai colleghi degli altri uffici, trascorrendo anche momenti di socialitànegli spazi “interstiziali” che si presentano durante la giornata di lavoro. Gli uomini sottolineano in più di un caso l’importanza dell’ade-

sione a valori comuni; al contrario le donne preferiscono parlare didedizione al lavoro, rivelando un atteggiamento di mera subordina-zione ai dirigenti. Tale atteggiamento porta involontariamente leprime a mostrarsi non assimilabili ai secondi:

Il General Manager dell’ingegneria l’ho incontrato all’Annual Meetinge mi ha chiesto come è andato il lavoro negli Stati Uniti. E io ho fatto“Bene”, poi lui: “Senti mi potresti scrivere una mail con le cose positivee le cose negative che dobbiamo migliorare? perché ho intenzione dimandare altre persone e magari se possiamo fare meglio facciamo me-glio”. E io ho scritto questa mail a lui, che sta quattro livelli sopra ame. Lui è il dirigente!(Tina, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 18)

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L’orientamento al lavoro delle donne è legato a una razionalitàmeccanica, consistente nella dedizione ai compiti e agli obiettivi loroaffidati e non alla visione di insieme dell’organizzazione.Al contrario, e in misura maggiore di quanto rilevato nella pub-

blica amministrazione, gli uomini sono orientati a impiegare simbolie valori dell’azienda per progredire di carriera: col tempo assumonohabitus simili a quelli dei loro superiori.Alla razionalità meccanica delle donne si contrappone la ricerca

degli uomini di una solidarietà meccanica (Durkheim 1893), basatasulla continua affermazione di valori e norme condivise, utili a di-stinguere i colleghi in ingroup e outgroup. Beninteso, le discriminazioni di genere in questo contesto sono

molto limitate; la maggiore discriminazione è tra chi adotta la logicamanageriale e chi si rifà a una cultura emancipativa del lavoro. Tirando le fila, un’azienda che fagocita i tempi di vita dei dipen-

denti finisce, non tanto paradossalmente, per rendere la dimensioneeconomica anche sociale al punto che la distinzione tra le due sfereviene meno.Il potenziale emancipativo del segmento più qualificato dell’of-

ferta femminile (par. 4, capitolo primo) viene indebolito perché ledonne scontano, anche quando abbandonano i ruoli tradizional-mente loro attribuiti, un orientamento al lavoro poco premiante: ladedizione al lavoro ben fatto è insufficiente per il successo in contestiprofessionali ad alta qualificazione quando si è poco socializzate allepratiche di negoziazione politica che favoriscono l’accesso alle risorse. In conclusione, gli svantaggi delle donne nel fare carriera dipen-

dono da 2 meccanismi. Il primo agisce dall’alto verso il basso, tra-mite un’organizzazione androgena del lavoro e dell’impresa, comemostra la diseguale carriera delle donne che scelgono la maternità. Il secondo agisce dal basso verso l’alto, essendo relativo al modo

in cui le donne interagiscono con l’azienda.

3.4. Biografia e carriera lavorativa

La ricerca in entrambe le organizzazioni considerate è stata realizzatacon l’impiego delle interviste non direttive (Bichi 2002, 2007). L’ap-proccio ermeneutico (Montesperelli 1998) nella conduzione delle in-terviste e nell’analisi del materiale ottenuto si è rivelato molto adeguato

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per il suo orientamento ai casi, piuttosto che alle variabili: la ricercanon standard è molto utile per risalire, come invita a fare Mills (1995),dalle biografie private all’analisi delle istituzioni sociali. Le differenze retributive e di carriera tra uomini e donne possono

così essere spiegate non solo in funzione di meccanismi sincronici,relativi a organizzazioni progettate al maschile (Beccalli 1991; Ghe-rardi 1998; Gherardi e Poggio 2003), ma anche in funzione di pro-cessi diacronici che mettono in risalto come le stesse carriererisentano di una maggiore dipendenza delle donne dalla famiglia.Questo secondo aspetto è emerso anche nel capitolo precedente. Secondo la teoria della preferenza di economiste come Hakim

(2000), essendo aumentate per le donne le possibilità di scelta, si as-siste oggi a una differenziazione dell’offerta di lavoro femminile conla tripartizione tra soggetti home centred, soggetti work centred e sog-getti adaptive. Dalle interviste non direttive questa tripartizione èstata confermata, anche se emerge un dato importante che qualificameglio tale classificazione. La classificazione regge, ma non è così rigida, in quanto nel per-

corso biografico una donna può cambiare la propria preferenza, aseconda delle risorse, dei vincoli del contesto sociale e delle oppor-tunità che si presentano lungo la carriera lavorativa. Questo risultato mette in discussione la teoria della preferenza, e

più in generale la sociologia legata alla prospettiva dell’individualismometodologico, rilevandone le aporie, che si possono così sintetizzare:

1) le preferenze non sono esogene, non sono cioè indipendenti dalcontesto istituzionale nel quale il soggetto agisce. L’attore si basasu preferenze che non sono né atomistiche, né uguali nel tempo.Come detto, la famiglia gioca un ruolo importante di agenzia disocializzazione che fornisce al soggetto risorse non solo econo-miche e culturali, ma anche simboliche, informative e cognitive;

2) un paradigma basato sulle preferenze conclude l’analisi propriodal punto da cui dovrebbe iniziare, descrivendo ciò che dovrebbespiegare;

3) dal punto di vista empirico una tale teoria non tiene conto dellasegregazione verticale e orizzontale delle donne e del fatto che visono vincoli strutturali che vanno oltre la volontà dei singoli sog-getti, forgiandone tra l’altro l’identità sociale.

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Se si tiene conto delle interazioni negoziali tra attori posti in si-tuazioni differenti e con diversa collocazione nello spazio sociale(Bourdieu 2009), allora si evita l’errore di ritenere il soggetto iper-socializzato a una cultura oppure, al contrario, legato a preferenzelibere e avulse dai meccanismi di regolazione sociale.Dalle interviste le preferenze risultano fortemente dipendenti dal

ruolo fondamentale che la famiglia gioca nella costruzione del pro-getto professionale del soggetto:

Io sono stata responsabilizzata sin da piccola, mostrandomi più maturadella mia età […] c’è sempre stato un aiuto economico ma non c’èstato bisogno dal punto di vista psicologico perché lo studio l’ho sem-pre trovato stimolante.(Gioia, impiegata di livello D, intervista n. 12)

I miei genitori mi hanno inculcato, a parte il senso del dovere che èfortissimo, soprattutto nei confronti del lavoro, un dovere che è dovutoal fatto che uno ha un ruolo nella società, e poi perché sono comunquedi stimolo continuo ad aggiornarsi.(Cassandra, impiegata di livello D, intervista n. 19)

Non volevo finire a fare la precaria. Quindi, pensai che in ogni modoavrei potuto continuare a seguire gli studi umanistici per conto mio edinvece il lavoro che mi desse uno stipendio decente ingegneria me lopoteva sempre procacciare. Quindi, è stata una scelta molto utilitaristica,molto razionale. Non ho fatto la cosa che mi piaceva fare. A me l’inge-gneria non ha affatto interessato… se devo dire che mi affascina… //si, sono stata sempre competitiva, non studiavo perché mi piaceva…(Filomena, quadro, Ingegneria, intervista n. 1)

Gli stralci qui sopra riportati riguardano una donna che provienedalla classe media e due di famiglia borghese. La responsabilità el’impegno verso il lavoro costituiscono valori comuni alle intervistatecon queste origini sociali.L’orientamento alla carriera è infatti influenzato dagli habitus che

i genitori trasmettono ai figli. Nella famiglia di origine il soggettocostruisce nel tempo il progetto professionale: esso prende formaanche per via delle negoziazioni, spesso tacite, con i genitori. Dai racconti delle dipendenti pubbliche risulta che le donne delle

classi medio-alte hanno percorso traiettorie professionali vincenti,conseguendo la laurea prima e il livello di funzionarie poi.

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Al contrario le donne di estrazione operaia o contadina hannoavuto un percorso professionale più incerto, caratterizzato dall’inse-rimento precoce nel mondo del lavoro. In questo caso si tratta didonne che volendo affrancarsi da una condizione di dipendenza eco-nomica si sono accontentate anche di occupazioni di basso statuscome quello di commessa, per poi far valere il titolo di diploma eottenere un impiego da contabile o istruttrice di livello C nella pub-blica amministrazione:

Senti, diciamo, io magari avrei voluto fare l’università, perché magari mipiaceva studiare, però a 20 anni avevo troppa voglia di essere indipendente[sorride], quindi volevo assolutamente lavorare, andare a vivere da sola,poi avevo questo ragazzo, ci siamo uniti, però ecco avevo una forte spinta,ecco, di indipendenza, e quindi, magari mi sarebbe piaciuta l’università,però poi ho fatto altre scelte, e poi… // Si, [i miei genitori, ndr] eranosoddisfatti, c’erano prospettive di lavoro… quindi… poi ho perso miamadre che avevo 15 anni, mio padre anziano, anche se… tutt’ora in vitae c’ha una bella testa… però, insomma una serie di cose, e quindi…(Elisa, impiegata di livello C, intervista n. 1)

Il progetto professionale è ritenuto secondario alla ricerca del-l’indipendenza economica, e non solo, dalla famiglia di origine. Ledonne di questo tipo hanno reso il loro progetto professionale di-pendente da quello del partner col quale hanno formato una nuovafamiglia. È il caso di Licia, di estrazione operaia, che pur avendoconseguito la laurea ha sempre subordinato la carriera al progetto dicostituzione di un nucleo familiare:

La mia idea era laurearmi e tornare in provincia. Come spendere unalaurea in lettere in provincia? Con l’insegnamento. Quindi all’inizionon ho deciso di insegnare. Ho scoperto poi quanto, io dico, ti facciastare bene la sensazione di avere in qualche modo aiutato qualcun altronella sua riuscita. // io ero comunque intenzionata a tornare qui; quelloche sarebbe diventato mio marito viveva qui. (Licia, impiegata di livello C, intervista n. 8)

Ciò che accomuna queste donne è da una parte la presenza di unmodello femminile di madre di status professionale inferiore al padre;dall’altra una condizione materiale che spinge all’uscita precoce dallafamiglia di origine. Questa traiettoria può essere rafforzata da unevento di rottura come la morte di uno dei due genitori, evento trau-

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matico che blocca la carriera scolastica, e ciò indipendentemente dalgenere. Probabilmente è presente anche una concezione relazionaledel lavoro, che può trasporsi ora in una strategia più improntata allafamiglia, ora in una visione più emancipata del lavoro come strumentodi realizzazione che non deve fagocitare le altre sfere della vita sociale.Diversa è la traiettoria delle donne di famiglia borghese o prove-

nienti dalla classe media. Le prime sono persone in possesso di ca-pitale culturale e sociale elevati; le seconde provengono comunqueda contesti in cui il lavoro assume una posizione elevata nella gerar-chia dei valori: si tratta di donne i cui genitori hanno lavorato en-trambi come commercianti o impiegati. In tal caso i soggetti sono stati socializzati in un milieu dove ha

dominato una cultura acquisitiva tipica di un certo ethos “calvinista”fondato sul sacrificio. In questo contesto il ruolo lavorativo dellamadre è simile a quello del padre. Pertanto la traiettoria sociale di questo tipo di donne si caratte-

rizza per un grande impegno prima nella carriera scolastica, col con-seguimento brillante della laurea, e poi con un progetto professionalepreciso, che porta anche alla rinuncia alla costituzione di una fami-glia o a riversare verso questa non tutte le risorse. Nel caso della pubblica amministrazione l’influenza della classe

sociale sulla carriera cambia a seconda del genere. Tra le donne quasitutte coloro che provengono da famiglie non operaie hanno ottenutola laurea e poi hanno ottenuto l’impiego di funzionarie di livello D;mentre coloro che provengono da famiglie operaie sono quasi tuttediplomate e impiegate nei livelli inferiori. A una parte degli uomini,anche di estrazione sociale medio-bassa, è invece bastato il diplomaper essere impiegati nel livello D, anche se poi l’assenza della laureaha precluso la carriera dirigenziale. L’influenza dell’estrazione socialesulla carriera è mitigata dalla possibilità di accedere a reti che forni-scono le risorse adeguate a elevare status professionale e retribuzione. Importante è la partecipazione, sin da giovani, alla vita pubblica:

la partecipazione a partiti o sindacati ha fornito agli uomini quantomeno quelle risorse informative e sociali capaci di fare ottenere loroposizioni professionali vantaggiose. Gli uomini di età superiore ai 50 anni, ad esempio, hanno sempre

lavorato come coordinatori, capi-ufficio, pur possedendo il solo di-ploma. Al contrario, le donne hanno dovuto superare maggiori osta-coli non solo perché le più giovani sono entrate in un mercato del

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lavoro più svantaggioso del passato. Infatti, una parte delle donne, aprescindere dall’età, per avere maggiori possibilità di successo hannopartecipato al concorso pubblico indetto per livelli inferiori al lorotitolo di studio: le diplomate così sono state impiegate inizialmenteal livello B, le laureate al livello C. Successivamente hanno ottenutopiccole progressioni di carriera. Ciò potrebbe in parte spiegare, nelcaso degli uffici pubblici considerati, la maggiore attenzione delledonne anche per le piccole progressioni orizzontali: miglioramentiprofessionali ritenuti irrisori dagli uomini assumono valore per per-sone che sono prive delle risorse negoziali utili all’ottenimento di van-taggi sociali significativi. Il capitale culturale della famiglia è importante nello sviluppo

delle competenze negoziali utili alla carriera. Come visto, nel caso della multinazionale è importante non solo

la determinazione verso il lavoro, ma anche il sentirsi sicuri nel pre-sentarsi in pubblico: è una risorsa distribuita in modo diseguale trale classi sociali (Sen 2010).Le dipendenti che provengono dalle classi inferiori potrebbero

risultare svantaggiate nel procacciarsi la sponsorizzazione dei diri-genti. A questo proposito, una giovane ingegnera sottolinea la suadifficoltà nel “chiedere favori”, in nome di una compostezza, di una“dignità”, che però svantaggia le persone come lei, di estrazione po-polare: quella che i borghesi definiscono intraprendenza è concepitadai soggetti di estrazione popolare come richiesta di favori. La visi-bilità è frutto di intraprendenza e consapevolezza nei propri mezzi,aspetti ai quali sono educati i soggetti della classe media o di estra-zione borghese.Lo svantaggio delle donne risulta spiegabile in parte da un per-

corso biografico che le pone in una relazione asimmetrica nelle in-terazioni con i livelli di governo delle organizzazioni: le donne nonpraticano i luoghi “interstiziali” tra lavoro e non lavoro, posti al-l’esterno dei loro uffici; si tratta della sfera che unisce amministra-zione e politica, nel caso della pubblica amministrazione, e delle retiprofessionali dei dirigenti, nel caso della multinazionale. Qualcuna tra le impiegate ha avuto successo quando è riuscita

ad accedere a questi “interstizi” e lo ha fatto spesso grazie al capitalesociale del padre o del marito. Esiste, però, un’altra strada per il successo ed è quella “manage-

riale”, cioè fondata sulla piena dedizione e disponibilità alla forma-

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zione prima e all’organizzazione dopo. È questo il caso delle dirigentipubbliche, che hanno dovuto scegliere tra la sfera privata e familiaree quella professionale. Una scelta di campo che si pone in misura minore per gli uomini,

dato il diverso carico di lavoro domestico e l’assenza di un ruolo so-ciale di care giver, che è attribuito culturalmente al fattore biologicodella maternità:

Quando ho avuto un incarico a termine, ho pensato “questa volta èun dramma”… per la parte sinistra, cioè per la famiglia… “perché nonposso fare un figlio mentre ho un incarico”. // Se fossi stato un ma-schio, avevo quarantadue anni quando sono venuta qua… intanto eramolto più semplice fare un figlio a quaranta anni, già a quarantaduepotrebbe essere più difficile… se fossi stato un maschio avrei detto“beh, c’è una donna che trovo ed io continuo a fare quello che facevoprima, quale è il problema?” oppure “mi trasferisco qui, lei resta a YYY[città di origine dell’intervistata, ndr], se ho una donna, ed io torno ilfine settimana, quale è il problema?” Onestamente non è uguale, nonmi pare uguale!(Manuela, dirigente, intervista n. 9)

Lo stesso si può dire per tutti i dipendenti della multinazionale,uomini e donne, che continuano ad attribuire al lavoro, o meglioalla carriera, un valore così grande da fare della sfida economica eprofessionale il principale senso della loro vita. Si tratta per lo più digiovani determinati a fare carriera, caratterizzati da un percorso for-mativo e professionale ricco, qualificato, vincente:

Poi mi è stato proposto di continuare a lavorare in dipartimento di Elet-trotecnica del Politecnico di Bari. Ho iniziato a collaborare un po’ senzaretribuzione, poi mi sono un po’ stancata del volontariato, ho trovatouno studio per far un po’ di pratica presso un ingegnere elettrico; anchela libera professione al meridione non è il massimo, come difficoltà diinserimento, quindi mi sono stancata del lavoro universitario e tutto equindi ho iniziato a cercare lavoro fuori. Ho iniziato al meridione perchécomunque un impiego all’università lo volevo avere. Ho lavorato inun’azienda, in un centro di ricerca però non avevo una mansione chefosse attinente con quanto io avessi studiato, era un piccolo centro diricerca che tra virgolette era finanziato tramite progetti regionali e na-zionali, però non mi piaceva proprio come impostavano il lavoro, ancheperché mi avevano proposto il contratto a tempo indeterminato, poiquesto contratto si era tramutato in un master post- universitario fi-

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nanziato dalla Regione, conseguii questo master e praticamente non se-guivo neanche e lavoravo su altre cose. Dopo mi avevano fatto una let-tera di promessa di assunzione a tempo indeterminato che alla finedell’anno si era tramutato in contratto a progetto e io ovviamente l’horifiutato. // Nel frattempo era uscito il concorso di dottorato al dipar-timento, il mio professore mi disse di farlo comunque. L’ho fatto, l’hopreso con la borsa, però poi… iniziai a fare tutte e due le cose, feci la ri-nuncia alla borsa perché era incompatibile con l’altro reddito, però poimi stressai a tal punto che ebbi un problema dermatologico…(Tina, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 18)

Lo stralcio qui sopra riportato riguarda una giovane donna, dietà inferiore ai 30 anni, che dichiara di puntare ai livelli dirigenzialipiù alti, a costo di mettere in discussione la vita privata. In maniera simile, le sue colleghe considerano la maternità un

ostacolo alla realizzazione personale; se possono, cercano di ridurrela doppia presenza casa-famiglia, affidando ai loro genitori la curadei figli o ricorrendo a una baby sitter a tempo pieno, una spesa chedato il loro stipendio possono permettersi.In altri casi, si tratta di donne che convivono con partner che

svolgono un lavoro simile al loro; anzi spesso sono dipendenti dellastessa azienda; dato che buona parte del tempo si passa in ufficiocon persone simili per habitus e interessi, non è raro che il contestoaziendale favorisca la formazione di coppie:

Chi sposa qualcuno che lavora qui già deve sapere che fa questa vita,perché tanti fanno tardi la sera, vanno via alle 20:00. Nei prossimi 2anni le scelte lavorative me le imporranno, essenzialmente viaggerò, per-ché sono entrata in un programma che dura due anni, uno dei qualisarà qua e l’altro all’estero, però non ti nascondo che ovviamente l’obiet-tivo futuro è quello di avere una famiglia con dei figli. Finché abiteròqui davanti, potrò permettermi di fare così.(Ornella, impiegata di settimo livello, Risorse Umane, intervista n. 10)

Rispetto alla dicotomia famiglia/lavoro, qualche impiegata haprovato a smarcarsi, adottando una strategia di adattamento, fondatasul continuo bilanciamento tra responsabilità di cura e soddisfazioneprofessionale. È il caso di Federica che ha seguito la traiettoria tipica delle donne

provenienti dalla classe media, impegnandosi nello studio e nel la-voro, per poi rinunciare, però, alla libera professione di avvocato e

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provare una carriera più stabile e meno sacrificante nel pubblico im-piego. In tal caso la socializzazione alla cultura acquisitiva piccoloborghese è stata bilanciata dalla reazione identitaria della donna allostile di vita dei genitori, che dedicavano poco tempo alla famiglia.Per questo, ha pensato di fare carriera ma in un contesto lavora-

tivo che le permettesse la conciliazione tra vita familiare e vita pro-fessionale. Dopo aver speso molte energie nel lavoro, ora sente la necessità

di dedicarsi alla famiglia, senza escludere in futuro di investire piùtempo nella carriera:

Io ho scelto il part-time per questo motivo, perché essendo il pomeriggioimpegnata stavo sempre con la fretta di dire “oddio, devo uscire primaperché le devo portare di qua, quella esce a quell’altra ora…” …quindi,invece, avendo il part-time, so che io il pomeriggio sto a casa e sonomolto più tranquilla. Quindi mi organizzo le cose il pomeriggio. // Hofatto la mia università a ZZZ [altra città, ndr] e mi sono laureata con110 e lode. Il mio obiettivo era lavorare con un avvocato nel tribunale.Poi, era qualche anno che ero fidanzata, volevo sposarmi, mettere su fa-miglia e dissi “la professione, no…” // Io son contenta di aver rinunciatoalla professione, perché… non lo so, io ho visto i miei che, lavorandoin proprio, non hanno orari, non hanno… non lo so, forse inconscia-mente… sono stata anche seguita poco, non c’era la loro presenza infamiglia in casa: io non ho mai cenato o pranzato… pranzato mai coni miei genitori, si pranzava a turno con i miei genitori: prima io, poimamma, poi il babbo… la cena, non se ne parla mai… e quindi, nonso… // Sarei stupida a dire… avevo anche fatto una selezione… fu in-detta una selezione per dirigente […] il direttore d’area mi disse “par-tecipa, partecipa, dimostrati, fatti vedere”, e quindi io ho partecipato,comunque sapendo che non avrei vinto il concorso, tra l’altro è entrataun’esterna, una che aveva [i requisiti, ndr] e che comunque non avreiaccettato, proprio perché… questo è successo due anni fa… si, si, si…due anni fa… quindi anche per gli impegni… no, ora va bene così,preferisco dedicarmi alla famiglia. C’è tempo, speriamo [ride]… alprimo posto… se non va tutto all’aria prima…(Federica, impiegata di livello D, intervista n. 10)

Percorso simile, anche se cronologicamente inverso, è quello diIlaria, che prima ha seguito una traiettoria tradizionale come diplo-mata, concentrandosi sulla famiglia; poi per necessità economica,essendo la principale portatrice di reddito in famiglia, una volta chele figlie sono cresciute, si è dedicata alla carriera:

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Attualmente li abbino benissimo [lavoro e famiglia, ndr], perché hocomunque dei figli grandi. // Ho perso il treno e poi mi sono pentitaperché quello poteva essere un sacrificio che veniva premiato negli anni.(Ilaria, impiegata di livello D, intervista n. 23)

Ilaria non è mai passata al part-time, lavorando sempre 36 ore asettimana; ha raggiunto il livello D, pur essendo solo diplomata, fa-cilitata da una buon alleanza con il dirigente che ha creduto in lei.Ora, vorrebbe puntare alla carriera dirigenziale, ma non può perchénon ha un titolo di studio adeguato.Gli ultimi due esempi mostrano come la strategia di adattamento

costi alle donne, anche in termini economici, in quanto il loro per-corso rallenta gli avanzamenti di carriera, contribuendo ad ampliarele differenze retributive con gli uomini che possono impegnarsi inpercorsi più lineari. Alla fine, le donne che fanno carriera sono quelle che adottano

lo stile professionale maschile, come quello di Federico, dirigente alsettore ingegneristico nella multinazionale studiata:

Allora, vengo dal liceo scientifico, ho una maturità scientifica // unistituto scolastico direi molto buono, anche se la maturità fu un po’un insuccesso, per quello che mi ricordo [sorride], col presidente dicommissione […] [litigai, ndr]… nulla di particolarmente dramma-tico. // Mi sono laureato dopo 10 anni: non è stato facile, un’esperienzanon dico traumatica, ma abbastanza dura!. // quindi all’inizio sono ve-nuto con l’idea di dare una svolta alla vita, in senso generale, poi coltempo, insomma, ho cominciato a guardarmi attorno e a cercare lasoddisfazione nel lavoro. Poi certe cose sono venute in un modo o nel-l’altro. Sono cambiato come persona, è cambiato il mondo attorno ame, in qualche modo le due cose si sono allineate. E poi sono diventatodirigente; non è che sono entrato per diventare uno dei capi di questaazienda. // La vita privata… devo dire che per tanto tempo sicuramenteil lavoro mi ha creato problemi nella vita familiare.(Federico, dirigente, Ingegneria, intervista n. 20)

Tuttavia, anche Federico vuole rallentare la sua carriera per dedi-carsi di più alla vita familiare, delegata in buona parte alla moglie chelavora come insegnante della scuola materna. Sia per una questionegenerazionale, sia per estrazione sociale – Federico viene da una fa-miglia di ceto popolare, suo padre era artigiano, sua madre è stata ca-salinga per lungo periodo, per poi lavorare come cameriera in un

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albergo –, non è del tutto socializzato alla cultura manageriale comei suoi colleghi di più giovane età e provenienti dalla classe media.Questa è una scelta che Federico può oggi fare, dopo un percorso

professionale vincente ottenuto anche grazie alle risorse di tempomesse a disposizione da sua moglie.

3.5. Conclusioni: diseguaglianze retributive e di carriera,uno sguardo di insieme

Triangolando i risultati illustrati in questo capitolo con quelli del ca-pitolo precedente, è possibile costruire un modello teorico sui mec-canismi che producono diseguaglianze di genere nella retribuzionecosì come nella carriera (figura 1).Il tipo di regolazione sociale locale e la contrattazione nazionale

incidono sui meccanismi di distribuzione delle risorse all’internodelle aziende. A seconda dello specifico contesto aziendale cambia ilgrado di influenza delle due dimensioni.Il ruolo della famiglia, sia di origine sia di formazione, è centrale,

essendo essa il luogo nel quale l’attore forma la sua identità e dalquale attinge risorse simboliche, cognitive e materiali per costruireil suo percorso formativo e professionale. Tali risorse sono centrali soprattutto per le donne e riguardano

tre dimensioni: la possibilità di delegare parte delle attività domestichead altri soggetti in modo da “essere disponibili” nei confronti del-l’azienda; la socializzazione a un ethos acquisitivo orientato a superarela tradizionale divisione dei ruoli tra uomini e donne; la possibilitàmateriale e la dotazione di uno schema valoriale che le rendano capacidi acquisire competenze relazionali forti una volta entrate in azienda.Tali competenze favoriscono l’accesso alle reti professionali e politichenelle quali si prendono le decisioni sulla distribuzione delle ricom-pense organizzative.La tabella 3 mostra in sintesi la differenza tra i percorsi di successo

e quelli di insuccesso delle donne all’interno delle aziende, conside-randoli in senso sia sincronico sia diacronico.Come si evince dallo schema, la disponibilità e la visibilità costi-

tuiscono fattori di successo che rafforzano il percorso professionaledel soggetto, garantendogli progressivamente l’accumulazione di cre-denziali nei confronti di colleghi e superiori.

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Fig. 1 - Le diseguaglianze di genere in termini di retribuzione e carriere

Tab. 3 - Quadro di sintesi sui percorsi di successo e di insuccesso

Data la maggiore dipendenza dalla divisione tra tempo di lavororetribuito e lavoro domestico, le donne incontrano difficoltà supe-

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Percorsi di successonell’interazionetra i ruoli lavorativi(dirigenti-dipendenti)

Percorsi di insuccessonell’interazionetra i ruoli lavorativi(dirigenti-dipendenti)

Confronto degli esitidei due percorsi

Dimensionesincronica

Disponibilità che portaa Visibilità

Mancata disponibilitàper necessità/sceltavaloriale di ridefinirerelazione tra sferaproduttiva e sferariproduttiva,orientamentoal compito

Aumento vsdiminuzione dellaretribuzione variabilee successo vs insuccesso

professionale

Dimensionediacronica

Dedizione alleinterazioni nei luoghiinterstiziali tra lavoroe non lavoro e

acquisizione di habitussimili a quelli deidirigenti

Radicamento al ruolofemminile tradizionalee/o assenza della

dimensione espressivae politica del lavoro

Effetto moltiplicativodegli aumentiretributivi ed

accelerazione dellacarriera vs aumentiretributivi irrisori erallentamento della

carriera

riori ai loro colleghi nello sviluppare strategie adeguate alle politichedi gestione del personale adottate dalle aziende.Le organizzazione adottano politiche di gestione del personale

che riproducono la tradizionale divisione di genere del lavoro (è ilcaso dell’amministrazione provinciale), oppure rendono incomuni-cabili sfera lavorativa e sfera privata (è il caso della multinazionale).Di conseguenza, le donne sono dinanzi a una scelta: provare a ride-finire i confini tra attività di cura e lavoro economicamente ricono-sciuto, scontando, però, un rallentamento della carriera; oppurededicarsi pienamente alla vita aziendale, rinunciando a quel com-promesso tra carriera e sfera privata/familiare che agli uomini risultapiù facilmente raggiungibile.Se l’organizzazione aziendale rinforza la dipendenza delle donne

dalla famiglia organizzata in maniera androcentrica, allo stessotempo anche le donne con una cultura lavorativa non tradizionale,di tipo manageriale oppure emancipata, adottano comportamentiinappropriati a organizzazioni disegnate a immagine degli uominidelle classi superiori.Le donne anche quando riescono a ottenere un capitale culturale,

sociale ed economico elevato perché emancipate dalla famiglia, oproprio grazie al suo aiuto (par. 8, capitolo secondo), seguono inmisura inferiore agli uomini comportamenti vincenti. È solo unaquestione di socializzazione di genere?Provo a rispondere a questo interrogativo nel prossimo capitolo

in cui tratto della terza forma di diseguaglianza di genere: la disegualecapacità professionale.

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4. La diseguaglianza di capacità professionale.Il caso delle urbaniste a Napoli43

4.1. Introduzione

L’inclusione delle donne nelle professioni intellettuali va letta nelpiù ampio processo di frammentazione e moltiplicazione delle areedi competenza professionale (Freidson 1986, 2002), in seguito al-l’innovazione dei sistemi organizzativi e istituzionali dell’epoca post-fordista (Sennett 2001).I nuovi contesti lavorativi da una parte hanno accentuato la do-

manda di expertise, ma dall’altra hanno messo in crisi il professiona-lismo, ossia quel sistema di controllo e delimitazione del sapereesperto detenuto dalle professioni tradizionali, e quel “patto bor-ghese” che proprio attraverso il professionalismo ha istituzionalizzatoin passato le diseguaglianze di genere nella divisione sociale del lavoro(Giannini e Scotti 2007).Le professioni diventano sempre più dipendenti dalle organizzazioni

(Brint 1994); queste ultime riescono a delimitare e a controllare i saperiesperti di cui hanno bisogno, mettendo in crisi il professionalismo.Il dominio della razionalità tecnica e la sua istituzionalizzazione

come caratteristica dell’uomo moderno hanno contribuito al raffor-zamento delle diseguaglianze di genere nella divisione sociale del la-voro, prima enfatizzando il ruolo delle donne nella sfera privata poi,con l’espansione del welfare state, traslando la divisione dei compitifamiliari tra i generi nel mercato del lavoro. Ciò ha comportato nonsolo la segregazione occupazionale delle donne ma anche la loro su-bordinazione gerarchico-funzionale agli uomini professionisti: si

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43 Questo capitolo rappresenta una parziale rielaborazione di quanto pub-blicato in F. Parziale, 2008, Professionalismo e Genere: le urbaniste pubbliche a Na-poli, in B. Poggio (a cura di), L’isola che non c’è. Pratiche di genere nella pubblicaamministrazione tra carriere, conciliazione e nuove precarietà, Edizioni31, Trento.

pensi al caso italiano delle infermiere rispetto alla più consolidataprofessione dei medici (Tousijn 1998).Il processo di differenziazione delle professioni degli ultimi due

decenni, aprendo nuovi segmenti professionali, ha favorito quellestrategie anti-discriminatorie delle donne, che hanno iniziato a svol-gere anche lavori qualificati, un tempo ad appannaggio degli uomini,rompendo il tetto di cristallo delle professioni intellettuali (Giannini2008). Tuttavia, le donne si sono inserite in quei segmenti professio-nali maggiormente attraversati dall’innovazione e meno consolidati,dove è più difficile l’autocontrollo del proprio “territorio professio-nale” (Abbott 1988).È questo il caso delle donne che sono riuscite a inserirsi nel

campo professionale di architettura e urbanistica. Infatti, il gruppo professionale degli architetti e degli urbanisti si è

andato sempre più espandendo separandosi dal gruppo degli ingegneriafferenti alle aree disciplinari più consolidate come l’ingegneria civilee l’ingegneria industriale (Giannini 1998), nei confronti dei quali ladelimitazione dei campi giurisdizionali ha continuato ad essere peròoggetto di conflitto (Bugarini 1987; Calabi 1996). Gli architetti iscrittiall’albo sono aumentati di 30.000 unità negli ultimi anni e tra le coortipiù giovani è elevata la quota di donne (Parziale 2008b).La femminilizzazione del gruppo professionale degli architetti

urbanisti è facilmente riconducibile ad almeno tre fattori tra loro in-terrelati.Innanzitutto, si tratta di una professione minore, in quanto il con-

trollo del mercato professionale e la codificazione del sapere espertonon dipendono da un’élite professionale consolidata nel mercatobensì dall’accademia (Schön 1993). L’accademia, essendo legata anchea logiche acquisitive, ha assorbito nel tempo personale femminile ri-spettando, sebbene in maniera non compiuta, il principio delle pariopportunità di genere. Quindi, l’architettura urbanistica costituisce uno dei segmenti

in cui la professione fortemente maschile dell’ingegnere si è fram-mentata (Evetts 1993), in seguito alla maggiore importanza riservataalle attività progettuali e relazionali rispetto alle attività più stretta-mente legate al “macchinismo fordista”. Il primo tipo di attività èpiù coerente col capitale sociale delle donne (Giannini 1998, ivi) econ la loro scarsa socializzazione alle scienze hard (Bourdieu 1998).Infine, la professione di urbanista pubblico è caratterizzata dalla

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compresenza tra la dimensione burocratica e quella professionale:questa professione è al suo interno stratificata con lo strato inferioreformato da soggetti impiegati nella pubblica amministrazione, ba-cino occupazionale femminile. Oltre a questi tre fattori bisogna prendere in considerazione il

fatto che più in generale gli architetti e gli ingegneri, insieme ai geo-metri, costituiscono la triade principale delle professioni tecniche,tutte strutturalmente dipendenti dai capitali pubblici e privati (Sar-fatti Larson 1977, 1993), e per questo meno legate alle professioniliberali più tradizionali e ai loro meccanismi di mobilità e prestigiosociale (Speranza 1998). La professione di urbanista si è consolidata con lo sviluppo del wel-

fare state e in particolare con l’affermarsi dei temi di coesione sociale edistribuzione urbana e dei temi dello sviluppo socio-economico dellacittà (Eversley 1982). In Italia questa professione, a differenza dell’Eu-ropa centro-settentrionale, è però stata ostacolata da un’economia ar-retrata che si è legata alla rendita e alla speculazione edilizia anche dopoil regime fascista. Anzi, con i primi governi centristi, l’ondata ediliziafiniva per privilegiare architetti e ingegneri edili che lavoravano al difuori della pianificazione urbanistica. La mancata volontà legislativadi disgiungere il diritto edificatorio dal diritto di proprietà è così alleradici della incompiuta e lenta affermazione del gruppo professionaledegli urbanisti pubblici (Salzano 2004).Più in generale, il tardo sviluppo dell’urbanistica è da rintracciare

nel più lento e frammentato sviluppo del welfare nel nostro paese(Paci 1989).Negli ultimi due decenni poi, in pieno clima neoliberale, gli

obiettivi della pianificazione urbanistica sembrano essere passatidalla progettazione di spazi sociali e dalla soluzione di problemi ine-renti ai bisogni della popolazione, e in particolare delle classi subal-terne, all’organizzazione di spazi funzionali agli interessi commerciali,immobiliari e residenziali della classe media, orientata a un impiegodella spesa pubblica diverso da quello redistributivo dei decennipassati. In realtà, la pianificazione urbanistica da una parte si è ar-ricchita di nuovi contenuti inerenti alle politiche del lavoro e allatutela dell’ambiente, dall’altra è stata minacciata dall’allentamentodell’idea stessa di pianificazione e dalla supremazia degli interessiimmediati della rendita su una gestione razionale del territorio dilungo periodo.

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La condizione professionale degli urbanisti che lavorano comedipendenti pubblici deve essere letta dunque all’interno di questoprocesso di ridefinizione della pianificazione urbanistica. In que-sto processo si inseriscono le donne laureate in architettura: essegiungono a competere con gli uomini a tal punto da contribuireal mutamento di un ambito disciplinare storicamente declinato “almaschile”.In questo capitolo si riportano alcuni tra i principali risultati di

una ricerca sugli urbanisti pubblici (Parziale 2008a), al fine di inda-gare il processo di ridefinizione delle professioni intellettuali in un’ot-tica di genere, prendendo in considerazione l’emergente gruppodegli urbanisti pubblici.La tesi è che la crisi del professionalismo classico, pur avendo

messo in discussione la tradizionale bipartizione tra professioni ma-schili e professioni femminili (Giannini 2004), non ha escluso unanuova forma di diseguaglianza di genere, che va oltre i persistenti dif-ferenziali salariali tra uomini e donne o le loro diseguali opportunitàdi carriera. Questa nuova forma di diseguaglianza sembra infatti riguardare

la diversa possibilità dei soggetti di svolgere un lavoro che abbiaquella base cognitiva e quell’autonomia professionale che ha carat-terizzato storicamente le professioni intellettuali.Si tratta della diseguaglianza della capacità professionale. Essa

contribuisce a comprendere come una società ancora androgena creiostacoli alla piena emancipazione femminile tali da non poter ridurregli svantaggi delle donne a fattori legati alla socializzazione primariae all’assenza di risorse che rafforza la loro dipendenza dalla famiglia,come è emerso nei 2 capitoli precedenti.Lo studio delle urbaniste porta alla luce, infatti, un mondo sociale

in cui le donne sono in possesso delle competenze vincenti legatealla dedizione e visibilità, perché sono riuscite a superare gli ostacoliriscontrati per le operaie e le impiegate. Tuttavia, esistono altre bar-riere che sono il frutto della trasformazione del lavoro degli ultimi30 anni: dopo la diseguaglianza allocativa e quella valutativa operaun meccanismo sociale che può ridurre le possibilità oggettive diazione individuale.

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4.2. Trasformazione del lavoro, stratificazione professionale e genere

Le persone intervistate sono architetti e ingegneri impiegati negliuffici di urbanistica pubblica dell’area partenopea44.Il principale risultato della ricerca è che dall’interazione tra l’in-

novazione tecnologica e organizzativa dei contesti lavorativi e il tipodi percorso formativo seguito dai soggetti si producono diverse figureprofessionali con una specifica situazione di lavoro.La considerazione del genere complica però tale analisi, in quanto

influenza sia il percorso formativo dei soggetti sia l’organizzazionedel lavoro negli uffici indagati.Infatti, accanto alla bipartizione tra i percorsi formativi dei gio-

vani e i percorsi formativi tradizionali dei più anziani, si registra unamaggiore somiglianza tra i percorsi formativi delle donne: queste ul-time hanno seguito un itinerario socio-professionale ricco ma piùeterogeneo dei loro colleghi, per poi vedere solo in parte valorizzatala base cognitiva acquisita lungo questo percorso.

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44 La ricerca empirica si è suddivisa in più fasi, quali: l’analisi di sfondo, laconduzione di interviste (racconti di vita), la somministrazione di questionaristrutturati, la comparazione dei dati ottenuti con le due tecniche del questio-nario e dell’intervista. L’analisi di sfondo è consistita in incontri informali coninformatori diversi dagli intervistati come docenti di urbanistica e architettiche lavorano alla pianificazione urbana. L’unità di analisi è stata chiarita defi-nitivamente in questa fase: si è deciso di studiare soggetti laureati in architetturao in ingegneria e impiegati nell’anno 2006 in quegli uffici addetti alla pianifi-cazione territoriale e urbanistica della Regione Campania, della Provincia e delComune di Napoli. Quindi è stata elaborata la traccia per condurre le intervistedurante le quali i soggetti hanno potuto raccontare del loro lavoro, del loropercorso professionale e delle strategie, visioni, atteggiamenti rispetto al mu-tamento organizzativo e tecnologico. La traccia dell’intervista è stata correttaulteriormente dopo l’analisi delle prime interviste, grazie alle categorie indivi-duate dall’immersione nel mondo sociale degli urbanisti.Le interviste sono state condotte su un campione di 16 soggetti, suddivisi

per settore ed ente di appartenenza: sono stati intervistati 5 urbanisti della Re-gione, 5 della Provincia e 6 del Comune. Dopo la sedicesima intervista, sullabase del principio di saturazione (Bertaux 2003) l’indagine si è conclusa. Grazieall’analisi delle interviste è stato possibile elaborare il questionario strutturato,somministrato a tutta la popolazione considerata, formata da 48 tra architettie ingegneri, dipendenti in uno dei tre enti considerati.

La riorganizzazione degli uffici di urbanistica in seguito alla ri-forma amministrativa di fine anni ’90 ha portato a una divisione dellavoro che vede le donne rinnovare e ad arricchire il lavoro tradizio-nale degli urbanisti addetti alle attività di istruttoria, giungendo peròsolo raramente a svolgere pienamente il più qualificato lavoro di pro-gettista degli spazi urbani.Architetti e ingegneri urbanisti si suddividono in: istruttori ad-

detti al controllo amministrativo tradizionale; progettisti addetti allapianificazione territoriale; mediatori addetti alla gestione dei nuovistrumenti amministrativi della pianificazione negoziata, come gli ac-cordi di programma e le conferenze di servizio (Fedele 2002).Una delle principali dimensioni di differenziazione interna agli

urbanisti studiati è costituita dal rapporto tra sapere posseduto e sa-pere impiegato dai soggetti nell’organizzazione. Il rapporto tra sapereposseduto e sapere impiegato dipende dal tipo di attività svolta (pro-gettazione, mediazione, istruttoria). Tuttavia questa attività costituisceil punto di approdo di differenti percorsi formativi e professionali. Ilpercorso formativo e professionale è risultato essere uno dei mecca-nismi sociali più importanti per spiegare la differente situazione dilavoro degli urbanisti (Parziale 2008a).È dunque possibile individuare due gruppi di urbanisti che si

differenziano per formazione e percorso professionale. Da una parte vi sono gli urbanisti più anziani il cui percorso pro-

fessionale spesso ha subìto un processo di declassamento, consistentenell’abbandono della libera professione una volta assunti nella pub-blica amministrazione, e questo è avvenuto soprattutto dopo l’in-troduzione delle leggi Bassanini, che hanno ridotto il fenomeno deldoppio lavoro da parte dei dipendenti pubblici. Si tratta in molticasi di ingegneri civili o industriali, assunti prima della riforma am-ministrativa degli anni Novanta. La traiettoria formativa e professionale è quella che ha caratteriz-

zato nella società industriale i professionisti dell’Europa meridionale:dalla laurea allo svolgimento della libera professione, accompagnataspesso dall’impiego stabile nel settore pubblico. Dall’altra, vi sono molte donne e diversi urbanisti giovani carat-

terizzati dall’elevato investimento emotivo in un percorso formativoche non sempre ha trovato sbocco in una situazione di lavoro ade-guatamente qualificata. Il passaggio dalla pianificazione centralizzataa quella negoziata e integrata degli ultimi anni, pur mettendo in crisi

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il principio della regolazione pubblica, ha moltiplicato gli spazi dellaprogettazione (Salzano 2004). Quest’ambiguo mutamento si è tra-dotto negli uffici indagati nell’assunzione di nuove figure professio-nali, socializzate alla riforma amministrativa e alle nuove tecnichedella pianificazione integrata.Per i più giovani, la formazione è consistita in corsi post-laurea e

in continui corsi di aggiornamento, mentre il loro percorso profes-sionale si contraddistingue per un itinerario che va dal lavoro precariodi tirocinanti in studi privati all’assunzione nella pubblica ammini-strazione, avvenuta attraverso il “corso/concorso” della cosiddetta reteRipam, progetto di formazione e assunzione di dipendenti pubbliciintrodotto nel 1994 e gestito dal Formez.Le nuove assunzioni col progetto Ripam e l’apertura di nuovi

segmenti professionali all’interno del gruppo ingegneristico hannoreso più accessibile alle donne l’ingresso negli uffici pubblici di ur-banistica. Infatti le donne sono in media più giovani degli uomini e sono

state assunte per lo più negli ultimi quindici anni. Il tipo di percorso formativo dei più giovani si può definire “post-

industriale”, data la sovrapposizione tra momento formativo e mo-mento lavorativo, caratteristica tipica del nuovo contesto economicoe lavorativo. Al contrario, l’altro tipo di percorso può essere definito“industriale”, per via di un percorso più regolare, tipico della societàindustriale in cui era chiara la separazione tra momento formativoe momento lavorativo. Le urbaniste, insieme ai colleghi più giovani, si distinguono netta-

mente dalle figure tradizionali dell’ingegnere industriale e dell’inge-gnere civile. A differenza degli urbanisti uomini di mezza età, donnee giovani hanno sperimentato diversi modi di fare l’architetto. Hannoscelto il pubblico impiego sulla base anche di battute di arresto in altrisettori. In particolare tutte le donne intervistate hanno sperimentatoil lavoro di disegnatrici presso studi professionali privati:

Eh, progettavo, però, insomma… relativamente perché comunque lescelte alla fine progettuali erano dei soci dello studio; insomma alla finesi discuteva, però… era più un carico da disegnatore che da progettistaalla fine. Non era un apporto fondamentale quello che tu potevi dare.Man mano però chi resta ha sempre più autonomia progettuale; adesempio ho dei colleghi che ancora… a questo punto hanno formatouna loro piccola “sotto-società” e quindi iniziano ad avere un po’ più

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di autonomia, però sempre molto poca. Io dopo quell’esperienza hoanche fatto dei lavori per conto mio e quindi mi rendevo conto che eratutto un altro livello perché magari anche la ristrutturazione di un pic-colo bar… però se la fai tu, cioè devi… è tutta un’altra responsabilità.(Letizia, istruttrice, intervista n. 4)

No, ho lavorato in alcuni studi privati. Ehm, poi ho fatto qualcosa dimio così ma piccole cose… sai qualche ristrutturazione e cose così…lezioni private… cioè tutto quello che mi capitava, perché… // Eh, beh,quello sicuramente. È un tipo di lavoro diverso, diciamo, perché poi inrealtà da quando sto qua ho cominciato a lavorare molto di più con isistemi informativi, per cui c’è stato proprio un cambiamento. // Congli studi… vabbè sai… nei primi anni sono proprio quelle cose quasida disegnatore, in effetti.(Iva, progettista, intervista n. 14)

Quindi, buona parte delle urbaniste, insieme agli urbanisti piùgiovani, si caratterizzano per un percorso professionale frammentatoma ricco, che le ha portate a perseguire con ostinazione un progettoprofessionale consistente nel trovare un impiego stabile, dai conte-nuti in una certa misura di natura intellettuale, e coerente col lungopercorso di studi seguito, quest’ultimo simile a quello delle tradizio-nali professioni liberali (laurea più abilitazione alla professione).La dimensione di genere si intreccia con quella generazionale,

moltiplicando gli svantaggi delle donne in termini di possibilità diesercitare una professione intellettuale autonoma e qualificata. Infattisi assiste a un processo di professionalizzazione incompiuto, consi-stente prima nell’apertura di nuovi segmenti e poi nella loro fram-mentazione interna (Giannini e Minardi 1998). Ciò è dovuto alfatto che l’innovazione tecnico-organizzativa richiede figure profes-sionali subordinate al “managerialismo”.Il managerialismo è un principio di organizzazione del lavoro

fondato su criteri stabiliti dal management che controlla il mercatodel lavoro, organizza la divisione dei compiti, stabilisce gli obiettiviche i lavoratori devono raggiungere (Freidson 2002, ivi). L’urbanista si trova nella difficile situazione di dover adeguare il

sapere esperto posseduto agli obiettivi aziendali, cercando di nonperdere le competenze sviluppate nel suo percorso formativo, ondeevitare la crisi definitiva della propria professionalità.Inoltre, i nuovi contesti tecnico-organizzativi, favorendo l’inte-

grazione delle attività, rendono i saperi esperti da “chiusi” ad “aperti”,

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e ciò ostacola quell’acquisizione di autonomia di giudizio tipica delleprofessioni classiche e resa possibile da una base cognitiva strutturatae separata dall’accesso di altri gruppi occupazionali. Ed è qui che la differenza tra i sessi riproduce ancora una volta

quella disparità storica e sociale in virtù della quale la divisione dellavoro, i compiti quotidiani, l’accesso alla sfera intellettuale e sim-bolica risultano asimmetrici a svantaggio del genere femminile (Pic-cone Stella e Saraceno 1996). Infatti, è la ripartizione dei compiticoncreti a divenire la dimensione principale delle differenze e dise-guaglianze di genere negli uffici indagati.In particolare, su 9 donne tra i 40 urbanisti studiati, solo 4 sono

effettivamente progettiste, mentre le altre lavorano all’istruttoriadegli atti amministrativi o al lavoro di mediazione. Allo stesso tempo le 4 donne addette alla progettazione urbani-

stica incontrano maggiori difficoltà degli 8 progettisti uomini nellosvolgere pienamente l’attività alla quale sono preposte.In poche parole, la discriminazione allocativa nel mercato del la-

voro e la discriminazione valutativa si ripropongono in chiave nuovaattraverso la distribuzione asimmetrica dei compiti, che finisce perintaccare la base cognitiva acquisita nel tempo, escludendo le donnedal lavoro più qualificato di progettazione degli spazi urbani.

4.3. Innovazione tecnico-organizzativa e contenuti del lavoro

Per studiare i contenuti del lavoro di un gruppo professionale è stataconsiderata la base cognitiva intesa come insieme delle conoscenzeteoriche possedute e concretamente impiegate dai soggetti nell’atti-vità lavorativa (Wilensky 1964; Tousijn 1994). L’ampiezza della basecognitiva dipende dal contesto tecnologico e organizzativo (Touraine1975) caratterizzato dalla formazione di figure professionali qualifi-cate e allo stesso tempo subordinate alla logica imprenditoriale (Ha-bermas 1988).Il tipo di formazione gioca un ruolo importante non solo in ter-

mini di sapere posseduto, ma anche in termini di capacità del soggettodi interagire col contesto tecnologico e organizzativo, alla costruzionedel quale contribuisce egli stesso con le proprie pratiche di lavoro (Ce-sareo 1989; Crozier 1989; Masino 1997; Bonazzi 2005; Butera 2005).La relazione del soggetto col contesto tecnico-organizzativo di-

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pende sia dal tipo di orientamento al lavoro, sia dalla collocazionenella nuova divisione del lavoro di ufficio.La linea di confine tra gli urbanisti è netta: da una parte vi sono

coloro che svolgono il lavoro di controllo, di istruttoria e di media-zione, dall’altra i progettisti. I primi svolgono il lavoro individual-mente, anche se in modo informale alcuni tendono a collaborarecon uno o più colleghi dello stesso ufficio, scambiandosi pareri eanalizzando assieme la stessa pratica, quando sorgono dei problemiinterpretativi. I secondi invece lavorano in gruppo: i progettisti siscambiano informazioni, cooperano, lavorano assieme alla realizza-zione di piani e progetti.L’innovazione tecnologica e il sapere multidisciplinare richiesto

dalla progettazione comportano una rottura dei monopoli conosci-tivi, con la compresenza di una maggiore cooperazione tra i lavoratori;ma allo stesso tempo si produce un conflitto, non sempre latente,sulla distribuzione del lavoro e sulla esclusività giuridica delle com-petenze tra i diversi gruppi professionali coinvolti nella progettazione.È qui che il professionalismo è più colpito.Coloro che hanno seguito un percorso di formazione post-indu-

striale risultano più orientati all’integrazione dei saperi e dotati diconoscenze multidisciplinari. Lo stesso non si può dire per coloroche hanno seguito un percorso formativo tradizionale e che svolgonoil lavoro di istruttoria. La maggior parte degli istruttori e dei media-tori pensa di non apprendere nel lavoro di tutti i giorni le conoscenzepossedute dagli altri gruppi professionali che si occupano di urba-nistica. Solo una minoranza degli urbanisti crede che si apprendanole conoscenze degli altri gruppi professionali attraverso il lavoro digruppo. A pensarlo di più sono i progettisti, più scettici sono invecegli istruttori e i mediatori.Le donne (in 8 casi su 9) non credono di apprendere altri saperi

attraverso il lavoro quotidiano, e quasi tutte non riconoscono alleprofessioni diverse da quelle di architetto e di ingegnere pari dignitànella pianificazione urbanistica.Se si analizzano i profili professionali a seconda del genere emerge

un fenomeno molto interessante, che dimostra il diverso modo incui il genere interagisce con l’innovazione tecnico-organizzativa. Ledonne svolgono (o ritengono di svolgere) un lavoro più ricco, e dannomaggiore importanza ai saperi informatici, linguistici ed economici.Tuttavia, bisogna fare distinzione tra le differenti figure professionali:

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tra gli istruttori e i mediatori, ossia le figure più burocratiche, le donnesvolgono un lavoro più vario e ricco, dando maggiore importanzaalle discipline socio-economiche. Al contrario la figura professionalepiù qualificata del progettista risulta svolgere un lavoro multidisci-plinare, ma ciò vale molto di più quando si tratta di progettisti piut-tosto che di progettiste.La situazione di lavoro delle urbaniste si caratterizza dunque per

una “conflazione verso livelli medi di qualificazione” (Parziale2008b): il lavoro svolto risulta più ricco nei contenuti rispetto aquello amministrativo tradizionale, tuttavia non porta mai alla realecompartecipazione alla redazione di piani urbanistici. Il motivo diquesta de-valorizzazione delle competenze va fatta risalire da unaparte a un modello organizzativo che resta ancorato alla cultura bu-rocratica, dall’altra a un rapporto asimmetrico tra i generi che vedei dirigenti uomini attribuire competenze tecnico-professionali piùai dipendenti che alle dipendenti (Rella 2000), a conferma di comela selezione delle gerarchie professionali funzioni in azienda sullabase del principio dell’omofilia (Kanter 1988): le diseguaglianze digenere in termini di posizione organizzativa e di retribuzione eco-nomica vengono traslate nella traduzione pratica dell’innovazionetecnologica e organizzativa (Poggio 2000).I contesti organizzativi divengono dunque più complessi e carat-

terizzati dalla compresenza di due differenti modelli di orientamentoal lavoro (Borghi 2002).Riprendendo l’analisi di Schön (1993, ivi) si può distinguere il

modello della razionalità tecnica dal modello della razionalità riflessiva. La razionalità tecnica si fonda sull’applicazione meccanica di tec-

niche preconfezionate, secondo una visione deterministica e linearedel rapporto mezzi-fini. Questa visione funge da principio guidadell’organizzazione burocratica e da schema cognitivo di buona partedei soggetti che lavorano in essa. Il modello della razionalità riflessiva si basa invece sul tradurre

nei procedimenti amministrativi un sapere che si fonda su una ca-pacità riflessiva antitetica alla logica della razionalità tecnica.Questo modello di orientamento viene assunto da un soggetto

quando il suo lavoro si basa sul continuo aggiornamento del sapereposseduto; in tal caso il lavoratore è meno portato a seguire rigideprocedure e avverte l’esigenza di cercare nuovi modi per immetteree tradurre le sue conoscenze nei processi produttivi, al fine di valo-

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rizzare al meglio le competenze acquisite nel lungo periodo di for-mazione ed evitare un processo di declassamento verso un lavoro ri-petitivo, esecutivo e de-qualificato.L’adozione dell’uno o dell’altro modello di orientamento dipende

perciò dalla situazione di lavoro, frutto di una traiettoria sociale in cuigli habitus sociali sono stati rielaborati sulla base della combinazionedegli habitus lavorativi sviluppati nel tempo. Il soggetto tramite ungioco di codici combina, in maniera per lo più inconsapevole, le risorsemateriali e simboliche derivanti dalla sua origine sociale con le risorseprovenienti dalle esperienze lavorative a cui riesce ad approdare.Il punto è che questo gioco di codici risente anche di altre di-

sposizioni derivanti dall’organizzazione sociale androcentrica: mentreil modello della razionalità riflessiva sembra appartenere alla maggiorparte dei progettisti, gli urbanisti (sia uomini che donne) addetti al-l’istruttoria e quelle progettiste che vedono il proprio lavoro stan-dardizzarsi, ossia ridursi in termini di varietà dei compiti e di sapereapplicato, finiscono per agire secondo il modello della razionalitàtecnica delle figure impiegatizie più tradizionali.Questo è il caso, ad esempio, di Tina, architetto comunale il cui

lavoro di progettazione è svolto singolarmente e di fatto si concre-tizza nella gestione di banche dati, e di Letizia, sua collega, che puressendo formata in progettazione e pianificazione architettonica sioccupa di istruttoria.Uno degli indicatori dell’adozione del modello della razionalità

tecnica da parte delle urbaniste è il tipo di valutazione che esse espri-mono sui nuovi software di progettazione. Le urbaniste sottolineanola dimensione economica, considerando software come Auto-Cad meristrumenti per ridurre i costi e aumentare la produttività degli uffici:

Senti, per ragioni pratiche, l’idea che possa esistere non la copia originaleunica del disegno ma la possibilità di farne infinite variazioni, ehm, diconservarlo, di archiviarlo, eccetera… sono tutte, diciamo, sistemi cheassolutamente rendono, secondo me, superiori il disegno tecnico.(Tina, donna, progettista, intervista n. 7)

Dal punto di vista operativo sarebbe proprio antieconomico, impos-sibile, oggi continuare il disegno a mano. Sarebbe fuori da qualsiasitipo di mercato, insomma.(Letizia, istruttrice, intervista n. 4)

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Questa valutazione è poco complessa, meno critica e non con-nessa ai contenuti del lavoro in confronto alla valutazione espressada Michele e Valerio, colleghi di Tina e Letizia, che di fatto impie-gano i software di progettazione quotidianamente:

Adesso invece con la possibilità di poter apportare ulteriori rinnovamentie ulteriori ritocchi, quel guadagno in tempo che si era avuto prima allafine non si ha più, perché si va a migliorare anche solo esteticamente latonalità di colore, la sfumatura, la piccola linea, per cui si hanno ulteriorielaborazioni fino a raggiungere quella che si ritiene ottimale. Per cui, di-ciamo, il vantaggio che si ha nel poter produrre più velocemente ci portapoi ad utilizzare quasi gli stessi tempi: la stessa paginetta scritta, che untempo si batteva a macchina… insomma se c’era un errore la si correg-geva col bianchetto… adesso invece la si rielabora più volte, più volte,più volte, fino ad ottenere… alla fine il risultato è certamente migliore…spesso il guadagno in termini di tempo è limitato.(Michele, progettista, intervista n. 16)

Beh, si, beh si… nel senso che l’aspetto tecnico, fortunatamente, haancora una rilevanza. Io mi sentirei un po’ in crisi // io per esempiomi sono sempre occupato del disegno e dell’attività, dell’elaborazioneal computer, diciamo quello che una volta si chiamava progettazioneassistita, cioè dell’utilizzo di alcuni software delicati che richiedono essistessi una vera e propria specializzazione – ed invece noi siamo comun-que costretti, continuamente, a sovrapporre la conoscenza del software,molto tecnico, con l’aspetto, per esempio, progettuale.(Valerio, progettista, intervista n. 5)

Le donne, in misura maggiore degli uomini, considerano le nuovetecnologie informatiche meri strumenti che semplificano il lavoro.Si può indurre che quanto più un soggetto svolge un lavoro marginalerispetto alla progettazione, non partecipando affatto alle scelte stra-tegiche della pianificazione, tanto più valuta in modo non critico l’in-novazione tecnologica e adotta un modello di orientamento al lavorodi tipo meccanico/tecnico.La relazione tra sapere posseduto e impiego dei nuovi software è

complessa perché da una parte essi rendono più veloce l’esecuzione,liberando tempo per l’analisi creativa dei problemi di progettazione(Masino 1997, ivi), dall’altra però la stessa possibilità di tornare piùvolte sul disegno permette di dedicare molto tempo alle attività gra-fiche, distogliendo l’urbanista dall’attività più intellettuale di rielabo-razione e applicazione del sapere urbanistico nella produzione di un

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dato piano o progetto. Questo rapporto ambiguo e complesso conle nuove tecnologie è spiegabile col fatto che esse da una parte costi-tuiscono lo strumento principale delle pratiche di lavoro degli urba-nisti, soprattutto se progettisti, dall’altra possono essere impiegatecome strumenti di mera rappresentazione e raccolta di dati. Questorischio è però distribuito diversamente tra i due sessi, infatti riguardain modo particolare le progettiste, le quali finiscono per svolgere com-piti precisi e limitati, con la conseguente separazione della funzionetecnica dalla funzione prettamente intellettuale; in tal caso vienemeno quell’autonomia “teoricamente fondata” che contraddistinguele professioni intellettuali (Freidson 2002, ivi):

Ehm, beh si! Anche se noi, ti ripeto… fondamentalmente noi gestiamoi dati del SIT [Sistema Informatico Territoriale, ndr], per cui questa cosaè ormai di fondamentale importanza per la progettazione anche, per lapianificazione. È di supporto alla pianificazione, insomma – cioè io per-sonalmente ho inserito tutti i dati relativi ai parchi, ai parchi regionali…(Iva, progettista, intervista n. 14)

Quella che è la mia sensazione personale è che io non vedo la fine del miolavoro, cioè che io lavoro, faccio studi sul territorio, compio analisi, chene so, interseco dati provenienti da fonti diverse, produco mappe che rap-presentano un determinato sguardo sul territorio, però poi sostanzial-mente non so dove va a finire tutto questo lavoro. Ed infatti poi questa èla cosa centrale, cioè il non vedere il prodotto finito del proprio lavoro…(Alba, progettista, intervista n. 3)

La frammentazione dei saperi esperti avviene dunque in modoselettivo a seconda del genere, con una differenziazione di orienta-menti e pratiche dei professionisti rispetto al contesto tecnico-orga-nizzativo.

4.4. Controllo organizzativo e riproduzione del dominio maschile

Il modello burocratico, incentrato sulla divisione rigida tra decisionee azione, è risultato innovato da una riforma amministrativa che difatto concentra il potere decisionale nelle mani dei dirigenti (D’Amico2001; Fedele 2002, ivi). Tale potere decisionale è esercitato attraversodue forme di controllo che non rendono possibile agli urbanisti su-bordinati l’impiego autonomo di un sapere teoricamente fondato.

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Il modello organizzativo degli uffici indagati sembra rispecchiareil più ampio mutamento delle organizzazioni “post-fordiste”, nelsenso che il decentramento riguarda più le modalità di raggiungi-mento degli obiettivi che la compartecipazione dei lavoratori aglistessi. Sennett (2001, ivi) parla a questo proposito di “concentra-zione (del potere decisionale) senza centralizzazione”.La prima forma di controllo è data dalla frammentazione del-

l’unità professionale, insita nella stessa integrazione dei compiti, edal lavoro di filtro delle decisioni politiche da parte dei dirigenti.Pur esistendo un certo feedback con la dirigenza, alla fine le “possi-bilità di movimento” per gli urbanisti sono molto ridotte. Infatti lescelte sono “confezionate” dai dirigenti, mentre gli urbanisti devonoeseguire. I dirigenti ricorrono, però, solo raramente al controllo di-retto e spesso adottano una strategia che oscura il controllo. Agli ur-banisti si lasciano margini di azione in termini di proposte tecniche,di sviluppo di idee, che poi vengono adattate, vagliate, filtrate e fatteproprie dai dirigenti. L’azione di filtro riduce non solo il “saper essere” degli urbanisti,

ma anche il loro “saper fare”: l’esecutività del lavoro non consiste tantonel seguire rigide istruzioni, quanto nel ridurre modalità e campo diimpiego del sapere esperto posseduto. Ciò provoca frustrazione so-prattutto nei progettisti, ai quali non resta che provare a individuaremargini di autonomia nella traduzione tecnica delle indicazioni gene-rali del livello politico-dirigenziale, mentre gli addetti all’istruttoria ealla mediazione finiscono per svolgere un lavoro di “consulenza nor-mativa” attraverso la supervisione stringente dei dirigenti.Se urbanisti istruttori e mediatori vivono e accettano una condi-

zione lavorativa di forte subordinazione, al contrario i progettisti pro-vano ad aggiornare continuamente la loro base cognitiva e a espanderlacontro i tentativi di riduzione della dirigenza. La competizione vienespostata sulla conoscenza e competenza, essendo gli urbanisti in posi-zione subordinata, e non riuscendo a esercitare un’azione collettivacoesa nei confronti della dirigenza. Dunque la base cognitiva, intesacome insieme delle conoscenze possedute e concretamente applicate,diviene l’arena dello scontro tra il managerialismo dei dirigenti e ilprofessionalismo dei progettisti.Conoscenze e competenza costituiscono, come ha ben messo in

evidenza Crozier (1989, ivi), gli strumenti principali della strategiaprofessionale di coloro che provano a contrapporre il potere come

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controllo dell’incertezza al potere fondato sulla razionalità legale deisuperiori, i quali tra l’altro hanno meno tempo da dedicare all’ag-giornamento professionale.Tuttavia, esiste un secondo strumento di riduzione e controllo

della base cognitiva degli urbanisti, che ostacola questa strategia didifesa dei progettisti: l’esternalizzazione di parte della progettazionea consulenti legati più strettamente al mandato politico. Questa seconda forma di controllo riguarda in modo particolare

le progettiste che sono affiancate da consulenti esterni nei confrontidei quali fanno da “supporto”, come sostengono due giovani urba-niste dell’Ufficio provinciale di pianificazione urbanistica. Costoroaffermano di impiegare buona parte della loro giornata nella gestionedei dati del SIT (Sistema Informatico Territoriale) e pertanto am-mettono, con frustrazione, di fornire dati ad altri architetti che poiprovvedono a redigere piani urbanistici territoriali.Le progettiste risultano così semplici addette all’immissione di

dati a supporto di professionisti esterni che si occupano effettiva-mente di progettazione:

No, progetti proprio non è che ne facciamo. Noi di solito siamo disupporto a consulenti esterni, diciamo. Affianchiamo consulentiesterni. Cioè in questo momento per esempio poiché stiamo rielabo-rando il Piano Territoriale di Coordinamento… cioè in pratica sto fa-cendo… sto lavorando con un consulente esterno e mi sto occupandodella mobilità… del settore mobilità. Quindi sto facendo delle elabo-razioni GIS, diciamo, che riguardano appunto la viabilità, lo sposta-mento su terra, questi studi così… stiamo analizzando… cioè mi stooccupando di questo settore, praticamente.(Iva, progettista, intervista n. 14)

E infatti in realtà è che la vera e propria progettazione, almeno fino adoggi, noi non l’abbiamo fatta… che la vera e propria progettazione…cioè noi siamo di supporto a chi fa la progettazione. Quindi facciamogli studi, l’analisi del territorio.(Alba, progettista, intervista n. 3)

La differente situazione di uomini e donne porta a un diversoorientamento al lavoro, come detto. Mentre il modello della razio-nalità riflessiva sembra appartenere alla maggior parte dei progettistiuomini, gli altri urbanisti insieme alle progettiste che vedono il pro-prio lavoro standardizzarsi, ossia ridursi in termini di varietà dei com-

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piti e di sapere applicato, finiscono per agire secondo il modello dellarazionalità tecnica delle figure impiegatizie più tradizionali addetteall’istruttoria.Questo è il caso, in particolare, delle architette comunali inter-

vistate: pur essendo formate in progettazione e pianificazione archi-tettonica queste giovani professioniste di fatto lavorano alla gestionedi banche dati o al controllo normativo dei progetti.Dal racconto dei pochi progettisti comunali emerge una situazione

di lavoro molto ricca, fatta di proposte progettuali, di produzione didisegni, di problemi tecnici affrontati quotidianamente nella proget-tazione computer assistita dove, come afferma un architetto di mezzaetà che lavora al Comune, bisogna continuamente, sovrapporre la co-noscenza del software, molto tecnico, con l’aspetto progettuale.Le nuove tecnologie da una parte costituiscono lo strumento prin-

cipale delle pratiche di lavoro degli urbanisti, soprattutto se proget-tisti, dall’altra possono essere impiegate come strumenti di meraraccolta di dati, come avviene per le urbaniste. Se le decisioni strate-giche del piano dipendono dai consulenti e dai dirigenti più vicinialla sfera politica, allora il lavoro di ufficio perde la sua utilità sociale.Questa situazione è vissuta con frustrazione dalle donne addette

alla progettazione, le quali dopo un lungo e ricco percorso formativoorientato allo sviluppo di tecniche di progettazione urbanistica fini-scono per sentirsi delle semplici impiegate la cui professionalità è statasacrificata in funzione di parametri non tecnici e di natura politica.Dai racconti delle intervistate emerge una riforma amministrativa

che nel concreto si traduce in un sistema di relazioni tra dirigenti eurbanisti dove al modello burocratico, incentrato sulla divisione ri-gida tra decisione e azione, si unisce il nuovo managerialismo pub-blico, basato su un decentramento delle decisioni che riguarda piùle modalità di raggiungimento degli obiettivi che la compartecipa-zione dei lavoratori agli stessi:

Perché [i dirigenti] parlano di meno delle cose [importanti] e stannoun sacco di tempo a pensare ai loro obiettivi ed al loro rapporto col di-rettore generale. Molto più tempo di prima, sicuramente, e davverovengono meno, come dire, al valore contenutistico, e poiché, altro pe-ricolo, non vogliono dare troppa autonomia al funzionario per realizzareil lavoro, ma lo vogliono seguire personalmente, ecco che tu ottieni unbel collo di bottiglia, perché buona parte del loro tempo viene senz’altroimpiegato, ovviamente, a guardarsi le spalle del proprio stipendio sugli

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obiettivi raggiunti – eccetera. E, ovviamente, diciamo, il tempo residuoè distribuito tra i vari funzionari per seguire direttamente i lavori.(Tina, progettista, intervista n. 7)

La relazione tra dirigenti e urbanisti cambia, quindi, a secondadel tipo di attività svolta; mentre gli urbanisti addetti all’istruttoriasi sentono in molti casi dei meri esecutori, al contrario i progettistiprovano ad aggiornare continuamente la loro base cognitiva e aespanderla contro i tentativi di riduzione della dirigenza.Tuttavia questa strategia di difesa professionale è ostacolata, come

detto, dalla pratica di esternalizzare parte della progettazione a con-sulenti legati più strettamente al mandato politico, di cui i dirigentisono i garanti. Emerge, dunque, la scarsa condivisione degli obiettivi tra diri-

genti e urbanisti, e di conseguenza l’invadenza dei primi nel campogiurisdizionale (Abbott 1988, ivi) dei secondi.La logica d’azione che guida i soggetti nell’interagire con i diri-

genti riflette la connotazione di genere insita nella più generale di-visione e organizzazione del lavoro.Gli uomini svolgono o il tradizionale lavoro di istruttoria, e dun-

que risultano estranei e marginali all’innovazione tecnico-manage-riale, oppure svolgono il lavoro cognitivo di progettisti e per questovivono maggiormente la contraddizione tra la retorica delle compe-tenze del managerialismo e le concrete pratiche dei dirigenti che sta-biliscono parametri e direzione del sapere esperto degli urbanisti.Al contrario, le donne, vivendo una situazione di lavoro che ab-

biamo definito di “conflazione verso livelli medi di qualificazione”,provano ad arricchire il lavoro attraverso la stretta collaborazione coni dirigenti. Questa cooperazione è quindi “indotta” anche da una si-tuazione materiale che vede il loro sapere esperto controllato rigida-mente dai dirigenti.Le urbaniste provano ad arricchire il loro lavoro, che risulta vario

ma non pienamente intellettuale, costruendo un rapporto di fiduciacon la dirigenza e trasformando la relazionalità di cui sono dotate, eche la società riconosce loro come caratteristica ascrittiva, in risorsapragmatica per farsi spazio nella burocrazia. Quando svolgono il tra-dizionale lavoro di istruttoria e mediazione provano ad arricchirlocon quanto appreso in passato, senza contrapporsi ai dirigenti comefanno in molti casi gli uomini:

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Si, esatto, mentre è il dirigente che ha rapporti con l’assessorato, in que-sto caso ce li ho pure io per un problema di lavoro da svolgere, [grazie]alla fiducia che mi ha dato il dirigente di poter parlare direttamente conl’assessore. Ecco o viene lui qua o vado io in assessorato. Se ci sono dellepratiche che stiamo esaminando vado direttamente io a spiegargliele.(Tonia, mediatrice, intervista n. 1)

Mah, io devo dire la verità: anche quando c’è l’incontro con il coordi-natore… a volte il coordinatore può avere anche delle idee diverse…si arriva sempre poi ad un concerto comune di obiettivi… non misono mai ritrovata a pensarla diversamente, cioè potevo anche partirecon un’idea diversa però poi col ragionamento mi sono dovuta rendereconto di alcuni limiti della mia posizione e quindi mi sono ritrovatatranquillamente nella posizione comune.(Simona, istruttrice, intervista n. 8)

Quando sono addette alla progettazione rimarcano la loro fun-zione di supporto alle decisioni, piuttosto che rivendicare la propriaautonomia contro l’invadenza di dirigenti e politici come fanno in-vece i progettisti uomini. La differenza sta nel fatto che le prime vedono già ridotta “a

monte” la propria base cognitiva, mentre per i secondi l’invadenzadei dirigenti è vissuta nel lavoro quotidiano dove il confine tra sapereesperto dei tecnici e sistema valoriale e di interessi della sfera poli-tico-dirigenziale è labile:

No, penso di no. Ben venga una deriva manageriale, diciamo così,dell’amministrazione se la deriva manageriale dell’amministrazione si-gnifica che il mio lavoro specialistico, il mio sapere specialistico, è unsistema di supporto alle decisioni. Quindi, diciamo, è assolutamenteil mio obiettivo di essere di supporto alle decisioni. Se queste decisionisono prese con criteri manageriali, tanto meglio!(Tina, progettista, intervista n. 7)

Può capitare che qualche, qualche obiettivo sia ritenuto secondario ri-spetto ad altri che secondo me dovrebbero prevalere e che sia più invecelegato, quello che prevale, ad esigenze più contingenti, immediate.[pausa] // diciamo che in alcuni casi si vorrebbe avere una maggioreautonomia professionale e poter avere un po’ più di potere decisionalesuperiore, maggiore di quello che abbiamo // le scelte già vengono date,confezionate, penso attraverso i dirigenti. // Anche loro sono tecnici,però – probabilmente i tempi – dell’aggiornamento sono diversi, traun funzionario ed un dirigente – probabilmente noi possiamo dedicare

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più tempo all’aggiornamento. Cioè non è un atto di forza, ma è unatto di competenza, ecco io dico. (Paolo, progettista, intervista n. 6)

È significativo che le donne ritengano in misura maggiore degliuomini che la cooperazione con i dirigenti sia la strategia miglioreper crescere professionalmente.Emerge, dunque, un dato sociologicamente interessante: tale re-

lazionalità, ritenuta “connaturata” alle donne e dunque non ricono-sciuta in termini economici (Giannini 1994, 2000), viene adottatadalle stesse donne come risorsa principale della loro logica d’azionenei confronti del contesto tecnico-organizzativo.In tal modo però esse restano “intrappolate” nella definizione

della realtà organizzativa proposta dal management, dando vita conle loro pratiche a un effetto inatteso: la riproduzione della suddivi-sione tra competenze “tecnico-professionali” maschili e competenze“relazionali” femminili.La maggiore subordinazione ai dirigenti porta le urbaniste ad essere

più critiche con i nuovi strumenti di incentivazione economica previstedalla riforma amministrativa. In particolare, quasi tutte le urbanistesono portate a ritenere le posizioni organizzative, strumento consistentenell’affidare ulteriori compiti e reddito aggiuntivo a seconda degli obiet-tivi raggiunti, come risorse di potere che permettono ai dirigenti di con-trollare i dipendenti, piuttosto che come incentivi a lavorare meglio.Ciò ribadisce la scarsa condivisione degli obiettivi tra dirigenti e

urbaniste, e in particolar modo l’invadenza dei primi nel “territorioprofessionale” delle seconde: le posizioni organizzative si basano sulraggiungimento di obiettivi che in linea di principio dovrebbero tenerconto del sapere esperto delle urbaniste, e a quanto pare le donnegiudicano molto negativamente tale strumento, essendo il loro lavoroin più di un caso di tipo esecutivo.La differente situazione di lavoro delle urbaniste rispetto ai loro

colleghi uomini dà vita così a una logica d’azione specifica che as-sume i connotati di genere.A questo proposito l’analisi multivariata dei dati ottenuti con i

questionari45 ha reso possibile l’individuazione di due dimensionidel professionalismo, con le quali si può comprendere in modo più

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45 Dato lo scarso numero dei casi (40) le variabili sono state rese dicotomiche

approfondito il nesso che intercorre tra situazione di lavoro vissutae logica d’azione dei soggetti.La prima dimensione è relativa alla situazione di lavoro e può es-

sere definita “professionalismo dei contenuti”. Alti valori su questadimensione indicano che il soggetto svolge un lavoro più legato al-l’impiego di software specialistici e caratterizzato dall’impiego di piùsaperi (sociologia, economia, tecnica urbanistica, informatica etc.).Inoltre su questa dimensione presentano alti coefficienti le modalità“identificazione nel lavoro” e “lavoro considerato interessante”.La seconda dimensione è relativa alla logica d’azione e può essere

definita “neoprofessionalismo dell’autonomia”. Alti valori su questadimensione indicano non solo la richiesta di maggiore autonomiadecisionale rispetto alla sfera dirigenziale e politica e l’adozione di pa-rametri autonomi da quelli stabiliti dai dirigenti per lo svolgimentodel proprio lavoro, ma anche l’apertura verso altri gruppi professionalie un atteggiamento aperto all’apprendimento di altri saperi.Questa dimensione indica il grado di apertura verso un nuovo

professionalismo, che si oppone sia alla logica burocratica delle pub-bliche amministrazioni, sia al professionalismo classico basato sullaseparatezza degli ambiti disciplinari (Parziale 2008b).Al di là del punteggio assunto sulla prima dimensione, ben 2/3 delle

donne scelgono di cooperare con la dirigenza (basso punteggio sullaseconda dimensione), mentre 2/3 degli uomini si contrappongono aquesta e vanno alla ricerca di una maggiore autonomia professionale.Se è vero che le donne entrano più facilmente in quei segmenti

maggiormente attraversati dal mutamento del mondo del lavoro, vacomunque preso in considerazione come questi stessi segmenti su-biscano un’ulteriore frammentazione interna che si traduce in unadivisione di genere del lavoro professionale.Questa frammentazione produce una nuova dicotomia tra chi

vive una situazione di lavoro dove l’autonomia professionale è inparte garantita da una base cognitiva elevata e teoricamente fondatae chi vive una situazione di lavoro dove l’autonomia professionaleviene ridotta in funzione di nuove forme di controllo organizzativo,con quest’ultimo che limita la base cognitiva dei professionisti, ren-dendoli più simili a tecnici d’organizzazione (Brint 1994, ivi).

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e analizzate con la tecnica dell’ACP per variabili categoriali, detta CatPCA eproposta dalla scuola di Leida (Di Franco 2006)

Data la loro situazione, la ragione pratica (Bourdieu 2009) delleurbaniste consiste nel farsi spazio attraverso l’alleanza con i dirigenti:mentre i progettisti cercano nello sviluppo di nuove competenze unostrumento per ampliare i propri margini d’azione, buona parte delleurbaniste preferisce cooperare pragmaticamente con i dirigenti.A differenza degli urbanisti più anziani non si rifanno a un sistema

simbolico legato alla difesa del passato, ma nemmeno affrontano di-namicamente, come fanno i giovani progettisti, la contraddizionetra una razionalizzazione che promette la valorizzazione delle com-petenze e un professionalismo che è strettamente dipendente dall’or-ganizzazione.La rottura del tetto di cristallo nelle professioni intellettuali è solo

parziale: infatti, le donne che entrano nei nuovi e costituendi seg-menti professionali vengono relegate negli strati professionali piùmarginali, dove il controllo del “terreno professionale” resta nellemani degli urbanisti/dirigenti.La mancata corrispondenza tra qualificazione dell’offerta di la-

voro femminile e tasso di femminilizzazione nelle professioni piùqualificate costituisce un fenomeno ancora esistente, anche se essosi intreccia col più generale processo di stratificazione delle profes-sioni moderne.L’inclusione delle donne nelle professioni intellettuali sembra av-

venire secondo un “meccanismo a fisarmonica”: prima vengono in-cluse in un gruppo professionale e poi spinte verso il centro, ossiaverso livelli medi di qualificazione e professionalità. L’inclusione nelle professioni più qualificate è pagata da molte

donne con la diseguale capacità di esercitare a pieno il loro lavoro,nonostante il lungo periodo di formazione e il rispetto delle regoledettate da istituzioni formalmente universalistiche come Universitàe mercato del lavoro.

4.5. Conclusioni: diseguaglianze di genere e cambiamento sociale

L’ultima ricerca presentata chiarisce quanto emerso nei capitoli pre-cedenti: dipendendo la situazione di lavoro in parte dal genere dichi esercita la professione, il conseguente modello di orientamentolavorativo (ma non la cultura del lavoro) assunto dalle donne finisceper risultare diverso da quello degli uomini.

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In particolare, questa ricerca mostra delle urbaniste che tentanodi impiegare la base cognitiva acquisita con una formazione di lungoperiodo al fine di soddisfare le aspettative professionali alle qualisono state socializzate. Tuttavia, questo tentativo in buona parte fal-lisce, perché i dirigenti riescono a esercitare nuove forme di controlloche limitano la base cognitiva da loro posseduta, espellendole di fattodall’attività di progettazione degli spazi urbani e relegandole alle at-tività di istruttoria rigidamente supervisionate.L’orientamento al lavoro e le strategie delle donne si fondano su

ragioni pratiche derivanti da un’organizzazione strettamente legataalla sfera politico-amministrativa, dominata dagli uomini; questestrategie rivelano una distanza ancora significativa tra gli habitusfemminili e quelli maschili. Pertanto, le donne di status professionalemedio-alto si trovano costrette a muoversi tra rinuncia e omologa-zione, come ben illustrato da Moss Kanter (1988, ivi.). Bisogna aggiungere che questo dilemma è rivelatore del mancato

riconoscimento non tanto (o non solo) della diversità di generequanto proprio della possibilità di interazioni lavorative fondate sucriteri di classificazione differenti dal genere: il potere nelle organiz-zazioni sociali non prescinde ancora dal genere come criterio di stra-tificazione. E l’organizzazione sociale androgena non si può certo distruggere

chiamando in causa solo una nuova socializzazione di genere: comeemerso dallo studio sulle urbaniste, non appare essere questa la con-dizione sufficiente per il conseguimento della parità di genere.Nelle coorti di età più giovani le traiettorie di donne e uomini

sembrano avvicinarsi.Non pare pertanto da escludere che, almeno in alcune classi e

ceti professionali, questa condizione sociale comune a uomini edonne porti nel tempo al riconoscimento reciproco di habitus nonpiù distinti per genere. Applicando al caso specifico una tesi di Gadamer (1983), si po-

trebbe ipotizzare che l’avvicinamento delle traiettorie degli uominie delle donne porti a una fusione dei loro orizzonti culturali che ri-mette in discussione le regole del gioco, innescando il cambiamentosociale46: in questo caso le interazioni fra i generi nei luoghi di lavoro

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46 Rinvio a quella che è un’ipotesi di spiegazione del cambiamento socialepresentata in Parziale (2012, 130).

potrebbero basarsi su rituali i cui membri partecipano in manieraparitaria47, aprendo la strada a culture e pratiche utili a superare lediseguaglianze di genere dentro e fuori il mondo del lavoro.Ciò vale in particolare per quei segmenti del mercato del lavoro

più strettamente legati all’economia post-fordista e della conoscenza.Lo sguardo non va, dunque, rivolto alle professioni intellettuali

tradizionali – e più in generale ai dipendenti pubblici – perché sitratta di realtà attraversate sì da importanti trasformazioni, ma ancoralegate alle dinamiche di potere consolidate nella formazione delloStato moderno. Allo stesso modo le occupazioni di basso status restano ancorate

a una divisione del lavoro di stampo maschilista.Maggiore interesse andrebbe riservato al terziario avanzato pri-

vato, perché esso sta reclutando fasce della popolazione giovani eistruite, i cui percorsi formativi e professionali sono simili, così comesimili sono condizioni e culture del lavoro, entrambe connesse alletrasformazioni dell’economia post-fordista. Del terziario avanzato privato in particolare andrebbe indagato il

mondo degli impiegati che sono allo stesso tempo subordinati e qua-lificati, e potrebbero avere comportamenti e stili di vita differenti daquelli riscontrati nello studio di caso sulla multinazionale (cap. 3).A culture del lavoro simili tra uomini e donne di questo settore

lavorativo si associa una condizione sociale comune, esemplificativadella regolazione neoliberale del lavoro, alla cui configurazione con-corre la concentrazione in ambienti a elevata urbanizzazione.Almeno per quanto riguarda il caso italiano, il modo in cui la re-

golazione neoliberale del lavoro si sta consolidando crea molti attritirispetto alle relazioni di genere non solo tradizionali, ma anche a quellenon convenzionali o comunque basate su un maggiore orientamentoalla parità tra uomini e donne: la ripartizione tra attività domestichee lavorative, così come tra progetti di vita privata, partecipazione allavita pubblica e obiettivi professionali appare non più gestibile per la

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47 Si sta accennando alla teoria dei rituali di interazione così come formulatada Collins (1992, 237-466), una prospettiva che, ad avviso di chi scrive, po-trebbe essere euristicamente valida nell’analisi delle diseguaglianze di generese innestata nella spiegazione di derivazione bourdeuliana adottata in buonaparte in questo volume.

forza lavoro più giovane dei trentenni e quarantenni, costretti a fare iconti con un mercato che rende il lavoro risorsa scarsa, ma allo stessotempo attività porosa, onnipervasiva.Nel terziario privato più avanzato i soggetti potrebbero esperire

traiettorie propedeutiche alla rottura dell’accordo tra le loro strutturementali e le relazioni sociali oggettivate nel tempo, mettendo in di-scussione l’assetto istituzionale e reinventandolo secondo regole basatesu una nuova classificazione dell’ordine sociale per la quale il criteriodel genere viene giudicato non rilevante: ciò potrebbe portare anchea un cambiamento sostanziale del sistema di stratificazione sociale.In tal caso sarebbe interessante indagare se la rottura avviene per

aggiustamenti incrementali da parte dei soggetti sociali, uomini edonne, che rivestono una posizione subordinata nei processi di rior-ganizzazione del mondo del lavoro; oppure se tali aggiustamenti fal-liscono o vengono ostacolati dal sistema istituzionale vigente, creandolacerazioni e crepe, anticamera di un conflitto più radicale sullo sta-tuto del lavoro nel XXI secolo.

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