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FULVIO CORTESE * Governo della crisi, spesa pubblica e diritti sociali tra diritto globale e ordinamento statale. Un quadro di contesto SOMMARIO: 1. Premessa: news from the real world. – 2. Diritti sociali tra Plunder, lin- guaggio economico e tecnica giuridica. – 3. Tecnica e politica tra crisi e spesa pubblica. – 4. La membrana europea, ossia della funzione dei mitocondri. – 5. Conclusione: le libere scelte del sovrano e la tecnica del sindacato costituzionale. 1. Premessa: news from the real world Quasi quotidianamente, la semplice cronaca ci porta a conoscenza di fatti che non è sempre facile decifrare. Da comuni cittadini, infatti, siamo coinvolti, e travolti, da una enorme quantità di informazioni e di dati su ciò che è stata – ed è tut- tora – la grande crisi economico-finanziaria che ha preso avvio nel 2008, a decorrere dalle vicende statunitensi dei mutui sub-prime, e che, in una successiva ed inarrestabile escalation, tanto sembra deter- minare, anche in Europa, delle scelte, talvolta dolorosissime, degli Stati e, in particolare, dei Governi che li guidano 1 . * Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Trento. 1 Per un’analisi del modo e delle difficoltà con cui l’Unione europea ha cercato di affron- tare la crisi in questione, facendo emergere altre e non meno importanti criticità dello stesso assetto istituzionale del processo di integrazione e di alcune delle politiche a tal fine più im- portanti v. i contributi raccolti in The European Rescue of the European Union? The Existen- tial Crisis of the European Political Project, a cura di E. Chiti - A.J. Menéndez - P.G. Teixei- ra, RECON Report No 19, ARENA Report 3/12, Oslo, February 2012 (http:// www.reconproject.eu/ projectweb/ portalproject/ Report19_EuropeanRescue EuropeanUn- ion.html). Un’analisi articolata delle mutazioni giuridico-istituzionali che la crisi ha indotto 799 Spazio della tecnica e spazio del potere nella tutela dei diritti sociali ISBN 978-88-548-7294-3 DOI 10.4399/978885487294328 pag. 799–820 (novembre 2014)

Governo della crisi, spesa pubblica e diritti sociali tra diritto globale e ordinamento statale. Un quadro di contesto

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FULVIO CORTESE*

Governo della crisi, spesa pubblica e diritti sociali tra diritto globale e ordinamento statale.

Un quadro di contesto

SOMMARIO: 1. Premessa: news from the real world. – 2. Diritti sociali tra Plunder, lin-guaggio economico e tecnica giuridica. – 3. Tecnica e politica tra crisi e spesa pubblica. – 4. La membrana europea, ossia della funzione dei mitocondri. – 5. Conclusione: le libere scelte del sovrano e la tecnica del sindacato costituzionale. 1. Premessa: news from the real world

Quasi quotidianamente, la semplice cronaca ci porta a conoscenza

di fatti che non è sempre facile decifrare. Da comuni cittadini, infatti, siamo coinvolti, e travolti, da una

enorme quantità di informazioni e di dati su ciò che è stata – ed è tut-tora – la grande crisi economico-finanziaria che ha preso avvio nel 2008, a decorrere dalle vicende statunitensi dei mutui sub-prime, e che, in una successiva ed inarrestabile escalation, tanto sembra deter-minare, anche in Europa, delle scelte, talvolta dolorosissime, degli Stati e, in particolare, dei Governi che li guidano1.

* Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Trento. 1 Per un’analisi del modo e delle difficoltà con cui l’Unione europea ha cercato di affron-

tare la crisi in questione, facendo emergere altre e non meno importanti criticità dello stesso assetto istituzionale del processo di integrazione e di alcune delle politiche a tal fine più im-portanti v. i contributi raccolti in The European Rescue of the European Union? The Existen-tial Crisis of the European Political Project, a cura di E. Chiti - A.J. Menéndez - P.G. Teixei-ra, RECON Report No 19, ARENA Report 3/12, Oslo, February 2012 (http:// www.reconproject.eu/ projectweb/ portalproject/ Report19_EuropeanRescue EuropeanUn-ion.html). Un’analisi articolata delle mutazioni giuridico-istituzionali che la crisi ha indotto

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Spazio della tecnica e spazio del potere nella tutela dei diritti socialiISBN 978-88-548-7294-3DOI 10.4399/978885487294328pag. 799–820 (novembre 2014)

Fulvio Cortese 2

Alcune di queste scelte ci sorprendono; ci lasciano, anzi, sbigottiti e quasi impotenti. La notizia sulla sospensione delle iscrizioni all’Università di Atene, a decorrere dall’autunno del 2013, non può non colpire2. Dalla Grecia, peraltro, le notizie preoccupanti non sono nuove, specialmente per quanto riguarda il progressivo stato di degra-do del sistema sanitario nazionale e l’impatto che ciò ha comportato sul piano dell’effettiva accessibilità di intere categorie di pazienti ai trattamenti terapeutici di cui hanno bisogno3.

Diritti sociali che anche la nostra Costituzione definisce come fon-damentali vengono messi radicalmente in discussione. E la politica, intesa nel senso più banale che il termine richiama, risulta esposta alle più terribili defaillances. Di più: la politica sembra impotente, irretita dalla tentazione di promesse e proclami più o meno palingenetici, ma anche da un’incredulità, e da un correlato senso di disarmo, che sol-

negli Stati e nelle organizzazioni internazionali è offerta dai saggi raccolti da G. NAPOLITANO in in AA.VV., Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Il Mulino, Bologna 2012.

2 «Internationally mandated austerity measures have pushed universities in Greece to the point of collapse with many of the debt-stricken country’s pre-eminent higher education insti-tutions being forced to suspend operations. After the University of Athens announced it could no longer function because of lay-offs demanded by the European Union, International Mone-tary Fund and European Central Bank, universities in Thessaloniki, Patras, Ioannina and Crete have followed suit. All say that cuts in administrative staff, including guards and archi-vists, have made it impossible to keep their doors open. Greece is under pressure to stream-line its bloated public sector by relocating 25,000 civil servants into a strategic reserve or mobility scheme on reduced pay by the end of the year. Those who cannot find jobs in other government departments will be culled. In a letter to the prime minister, Antonis Samaras, the president of the Federation of University Teachers, Stathis Efstathopoulos, wrote: “With great angst we have ascertained that with the government’s decision to place specialist and much valued administrative staff into the mobility scheme our universities are at risk of collapse. Even if we accept that we have a surplus of personnel we cannot, from one day to the next, operate with 40% less staff.”» (da H. SMITH, Austerity measures push Greek universities to point of collapse, theguardian.com, Wednesday 25 September 2013: http:// www.theguardian.com/ world/ 2013/ sep/ 25/ austerity-measures-push-greek-universities-collapse).

3 V. A. KENTIKELENIS - M. KARANIKOLOS - I. PAPANICOLAS - S. BASU - M. MCKEE - D. STUCKLER, Health effect of financial crisis: omens of a Greek tragedy, in The Lancet, Volume 378, Issue 9801, 1457-1458, 22 October 2011 (http:// www.thelancet.com/ journals/ lancet/ article/ PIIS0140-6736%2811%2961556-0/ fulltext).

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Alcune di queste scelte ci sorprendono; ci lasciano, anzi, sbigottiti e quasi impotenti. La notizia sulla sospensione delle iscrizioni all’Università di Atene, a decorrere dall’autunno del 2013, non può non colpire2. Dalla Grecia, peraltro, le notizie preoccupanti non sono nuove, specialmente per quanto riguarda il progressivo stato di degra-do del sistema sanitario nazionale e l’impatto che ciò ha comportato sul piano dell’effettiva accessibilità di intere categorie di pazienti ai trattamenti terapeutici di cui hanno bisogno3.

Diritti sociali che anche la nostra Costituzione definisce come fon-damentali vengono messi radicalmente in discussione. E la politica, intesa nel senso più banale che il termine richiama, risulta esposta alle più terribili defaillances. Di più: la politica sembra impotente, irretita dalla tentazione di promesse e proclami più o meno palingenetici, ma anche da un’incredulità, e da un correlato senso di disarmo, che sol-

negli Stati e nelle organizzazioni internazionali è offerta dai saggi raccolti da G. NAPOLITANO in in AA.VV., Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Il Mulino, Bologna 2012.

2 «Internationally mandated austerity measures have pushed universities in Greece to the point of collapse with many of the debt-stricken country’s pre-eminent higher education insti-tutions being forced to suspend operations. After the University of Athens announced it could no longer function because of lay-offs demanded by the European Union, International Mone-tary Fund and European Central Bank, universities in Thessaloniki, Patras, Ioannina and Crete have followed suit. All say that cuts in administrative staff, including guards and archi-vists, have made it impossible to keep their doors open. Greece is under pressure to stream-line its bloated public sector by relocating 25,000 civil servants into a strategic reserve or mobility scheme on reduced pay by the end of the year. Those who cannot find jobs in other government departments will be culled. In a letter to the prime minister, Antonis Samaras, the president of the Federation of University Teachers, Stathis Efstathopoulos, wrote: “With great angst we have ascertained that with the government’s decision to place specialist and much valued administrative staff into the mobility scheme our universities are at risk of collapse. Even if we accept that we have a surplus of personnel we cannot, from one day to the next, operate with 40% less staff.”» (da H. SMITH, Austerity measures push Greek universities to point of collapse, theguardian.com, Wednesday 25 September 2013: http:// www.theguardian.com/ world/ 2013/ sep/ 25/ austerity-measures-push-greek-universities-collapse).

3 V. A. KENTIKELENIS - M. KARANIKOLOS - I. PAPANICOLAS - S. BASU - M. MCKEE - D. STUCKLER, Health effect of financial crisis: omens of a Greek tragedy, in The Lancet, Volume 378, Issue 9801, 1457-1458, 22 October 2011 (http:// www.thelancet.com/ journals/ lancet/ article/ PIIS0140-6736%2811%2961556-0/ fulltext).

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tanto chi è stato preso decisamente in contropiede riesce ad esprime-re4.

Il disorientamento, però, non è soltanto quello delle improvvise e sopravvenute privazioni. La sensazione – avvalorata anche dal più di-retto “senso comune” – è che, davvero, “la forbice si stia allargando sempre di più”. Non solo sono a rischio le conquiste sociali che inner-vano la legittimazione sostanziale di molti Stati democratici. È in cor-so un processo di fortissima riallocazione di risorse, da pochi a pochi, per verità, ma in una combinazione per la quale il numero dei molti che vi restano esclusi è destinato a crescere. Perché, come rivelato da studi altrettanto attuali, nonostante la crisi e le “scelte tragiche” di molti Governi, impegnati a farvi fronte, la ricchezza mondiale è cre-sciuta. Sicché è del tutto conclamata l’osservazione – forse scontata – per cui la crisi non è di ricchezza; e ciò non è certo più tranquillizzan-te5.

4 Cfr. le dichiarazioni del presidente della federazione greca dei docenti universitari, ri-prese alla nt. 1.

5 «“Populista” è diventata oggi l’accusa più infamante, ma come la mettiamo se a essere “populista” è il Credit Swiss con un rapporto, il World Wealth Report, fatto oltretutto di poco contestabili numeri? Eh sì, perché la banca svizzera dice in sostanza che, alla faccia della cri-si, la ricchezza nel mondo è in costante aumento, soltanto che se la spartiscono sempre meno persone. A noi tagliano la Sanità in nome dell’Austerity, loro tagliano il nastro di inaugura-zione dell’ultimo super yacht. Suono di sirena: attenzione, rilevato populismo. Lasciamo par-lare i numeri: negli ultimi dieci anni la ricchezza planetaria è aumentata del 68 per cento arri-vando a un tetto di 241 mila miliardi di dollari: vi stanno negli occhi tutti quegli zero? Ov-viamente tre quarti di questo incremento sono finiti negli Stati Uniti, che pure sembra siano sull’orlo della bancarotta. La media della ricchezza globale è arrivata al picco di 51.600 dolla-ri, con il dieci per cento che possiede l’80 per cento. Il celebre 1 per cento che sta sopra le no-stre teste, a siderale distanza, possiede il 46 per cento. Ma le notizie buone (per loro) non fini-scono mai: per il 2018 la ricchezza globale farà ancora un balzo del 40 per cento, fino al ver-tice di 334 mila miliardi. Refrein di Guccini con i Nomadi: ma noi non ci saremo. Sarebbe bello un grafico parallelo di quanto saliranno invece le spese e le tasse per la gente comune. Sull’altro fronte, quello delle vaste praterie della sofferenza sociale, dove abita la gente co-mune, le cose vanno infatti sempre peggio. Un rapporto sulla crisi in Europa della Croce Ros-sa, anticipato dal Guardian, dice: “Le conseguenze a lungo termine della crisi devono ancora manifestarsi. I problemi causati si faranno sentire ancora per decenni, anche se nel prossimo futuro l’economia dovesse migliorare... Ci chiediamo se come continente ci rendiamo conto di che cosa si è abbattuto su di noi”» (da C. GALLO, Aumenta la ricchezza nel mondo. Sorpre-sa Polonia: mai così tanti ricchi, LaStampa.it, 10/10/2013: http:// lastampa.it/ 2013/ 10/ 10/ societa/ aumenta-la-ricchezza-nel-mondo-sorpresa-polonia-mai-cos-tanti-ricchi-GJO04diXFW6hCiIjKkwILJ/ pagina.html). Il rapporto citato nell’estratto è, precisamente, il Global Wealth Report 2013, reperibile al seguente indirizzo: https:// publications.credit-suisse.com/ tasks/ render/ file/ ?fileID=BCDB1364-A105-0560-1332EC9100FF5C83.

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Non vi dovrebbe essere tranquillità neppure per coloro che imma-ginano di poter realizzare (o sostenere o veicolare…) scelte politiche nuovamente radicali, per riaffermare la sovranità degli Stati e per ri-stabilire una linea, un limite oltre il quale il fallimento di determinati congegni istituzionali e di specifiche politiche pubbliche non potrebbe essere più decretato.

Un esempio può valere per tutti. Forse sono ancora in tanti a ricordarsi della crisi argentina6, tra la

fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni “Zero”: scelte difficili, pesanti; si dichiara il default; cittadini assaltano gli sportelli delle ban-che, nelle quali i loro risparmi vengono, nel frattempo, “congelati”; si moltiplicano i disordini sociali; cresce la disoccupazione e il numero dei “senza casa”; la decozione di molte imprese pubbliche e private porta al collasso settori interi dell’economia nazionale… Alla fine del 2002, gli argentini sotto la soglia della povertà sono quasi il 58%7. Poi, però, gradualmente, grazie alla vendita delle risorse auree, il peso argentino si riprende e cominciano le nuove politiche di ristrutturazio-ne del debito.

Ebbene, la vicenda è notevole: da subito vi furono critiche assai in-tense, infatti, nei confronti di queste operazioni8. Ora si viene a sapere che, negli Stati Uniti, alcuni creditori, che erano rimasti “travolti” dal default argentino, oltre che dalle successive, svantaggiose, politiche di rifinanziamento, hanno trovato giudici disposti ad accogliere le loro rimostranze9. Ed ecco, così, che anche il gesto più sovrano per eccel-

6 Una mappa cronologica della crisi è reperibile al seguente indirizzo (a cura della Thom-son Reuters Foundation): http://www.trust.org/item/20140124203247-npz5c/.

7 Sul punto v. i dati forniti dalla WORLD BANK, Argentina: Crisis and Poverty 2003 - A Poverty Assessment (http:// go.worldbank.org/ WX8NAAC7P0).

8 Il “cuore” di queste critiche aveva trovato risonanza anche nella grande stampa interna-zionale: cfr. il report fornito dall’Economist (Argentina’s debt restructuring. A victory by de-fault?, Mar 3rd 2005): http:// www.economist.com/ node/ 3715779.

9 «The U.S. Supreme Court on Monday declined to hear an appeal by the government of Argentina that sought to fend off holdout creditors trying to collect on the country’s defaulted debt. The court’s action is a setback for the Argentine government in its battle with hedge funds and other holdouts that refused to accept the country’s debt-restricting offers after a his-toric default in 2001. Argentina, however, likely will have another opportunity to petition the Supreme Court in the case. Argentina had asked the justices to review lower court rulings that said the country can’t make payments on its restructured debt unless it also pays the holdouts, which are led by hedge funds including Aurelius Capital Management and Elliott Manage-ment Corp. affiliate NML Capital Ltd. Those rulings amount to an “unprecedented intrusion

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Non vi dovrebbe essere tranquillità neppure per coloro che imma-ginano di poter realizzare (o sostenere o veicolare…) scelte politiche nuovamente radicali, per riaffermare la sovranità degli Stati e per ri-stabilire una linea, un limite oltre il quale il fallimento di determinati congegni istituzionali e di specifiche politiche pubbliche non potrebbe essere più decretato.

Un esempio può valere per tutti. Forse sono ancora in tanti a ricordarsi della crisi argentina6, tra la

fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni “Zero”: scelte difficili, pesanti; si dichiara il default; cittadini assaltano gli sportelli delle ban-che, nelle quali i loro risparmi vengono, nel frattempo, “congelati”; si moltiplicano i disordini sociali; cresce la disoccupazione e il numero dei “senza casa”; la decozione di molte imprese pubbliche e private porta al collasso settori interi dell’economia nazionale… Alla fine del 2002, gli argentini sotto la soglia della povertà sono quasi il 58%7. Poi, però, gradualmente, grazie alla vendita delle risorse auree, il peso argentino si riprende e cominciano le nuove politiche di ristrutturazio-ne del debito.

Ebbene, la vicenda è notevole: da subito vi furono critiche assai in-tense, infatti, nei confronti di queste operazioni8. Ora si viene a sapere che, negli Stati Uniti, alcuni creditori, che erano rimasti “travolti” dal default argentino, oltre che dalle successive, svantaggiose, politiche di rifinanziamento, hanno trovato giudici disposti ad accogliere le loro rimostranze9. Ed ecco, così, che anche il gesto più sovrano per eccel-

6 Una mappa cronologica della crisi è reperibile al seguente indirizzo (a cura della Thom-son Reuters Foundation): http://www.trust.org/item/20140124203247-npz5c/.

7 Sul punto v. i dati forniti dalla WORLD BANK, Argentina: Crisis and Poverty 2003 - A Poverty Assessment (http:// go.worldbank.org/ WX8NAAC7P0).

8 Il “cuore” di queste critiche aveva trovato risonanza anche nella grande stampa interna-zionale: cfr. il report fornito dall’Economist (Argentina’s debt restructuring. A victory by de-fault?, Mar 3rd 2005): http:// www.economist.com/ node/ 3715779.

9 «The U.S. Supreme Court on Monday declined to hear an appeal by the government of Argentina that sought to fend off holdout creditors trying to collect on the country’s defaulted debt. The court’s action is a setback for the Argentine government in its battle with hedge funds and other holdouts that refused to accept the country’s debt-restricting offers after a his-toric default in 2001. Argentina, however, likely will have another opportunity to petition the Supreme Court in the case. Argentina had asked the justices to review lower court rulings that said the country can’t make payments on its restructured debt unless it also pays the holdouts, which are led by hedge funds including Aurelius Capital Management and Elliott Manage-ment Corp. affiliate NML Capital Ltd. Those rulings amount to an “unprecedented intrusion

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lenza rischia, nell’intreccio magico delle “giurisdizioni universali”, di conoscere un’inquietante battuta d’arresto. Pure la Corte Suprema de-gli Stati Uniti è stata costretta ad un gesto sovrano per eccellenza, os-sia a ritardare l’esame dell’appello interposto contro dette decisioni dallo Stato argentino, in attesa, verosimilmente, di una soluzione ne-goziata10.

Che cosa sta succedendo, dunque? Il caso argentino, che è comin-ciato ben prima della crisi del 2008, ci presenta l’immagine di uno Stato che, pur essendo sovrano, sperimenta – nell’età del governo glo-bale della finanza e degli itinerari sovrapposti ed incrociati dei debiti nazionali – il mito di Sisifo, che viene costantemente ricacciato nella profondità dalla sua condizione di strutturale debitore insolvente dal macigno di linguaggi e tecniche, in parte economici e in parte giuridi-ci, che non ne consentono l’emancipazione11.

2. Diritti sociali tra Plunder, linguaggio economico e tecnica giu-ridica

Per tutto ciò che, come si diceva, sta accadendo sotto i nostri occhi

(vieppiù stupefatti), le spiegazioni teoriche (ed economiche) non man-cano. Soprattutto, tuttavia, non difettano quelle critiche e, per così di-re, militanti. Ed è il diritto, in questo caso, a scendere simbolicamente in campo, nella teoria generale o nella filosofia giuridica.

into the activities of a foreign state” that could imperil the debt-restructuring process support-ed by the international financial community, Argentina said in its Supreme Court appeal. Ar-gentina has criticized the holdouts as "vulture funds" that bought the debt at discount prices and then sought to impede the country’s restructuring efforts. The hedge funds said Argentina had ample resources to pay its obligations to the holdouts. They also said Argentina didn’t deserve Supreme Court review because its government has indicated repeatedly that it will at-tempt to evade any U.S. court ruling it doesn’t like» (da B. KENDALL, U.S. Supreme Court Rejects Argentina Appeal in Sovereign Debt Case, The Wall Street Journal, Monday, Octo-ber, 7: http:// online.wsj.com/ article/ BT-CO-20131007-705056.html).

10 Ibid. 11 L’immagine del mito di Sisifo, peraltro, è stata ripresa anche con riguardo alla crisi

greca: «Likewise Greece is living the myth of Sisyphus, sentenced for eternity to pushing a stone up a hill only for it to roll back down as the peak nears» (v. P.L. YOUNG, Debt of Sisy-phus: Greek economy’s coma is a misguided political experiment, in Russia Today, August 27, 2013: http:// rt.com/ op-edge/ greece-bailout-coma-political-experiment-046/).

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Giacché, se è vero che le istituzioni della globalizzazione giuridica ed economica12 vengono ben prima della crisi del 2008 – e che, come si è visto, esse hanno condizionato e continuano a condizionare in modo determinante anche vicende del tutto anteriori, come quella ar-gentina – allora sono tali istituzioni a trovarsi in contestazione13.

È d’obbligo, però, una precisazione, dal momento che le istituzioni che vengono in considerazione non sono soltanto quelle “entificate”14, che come tali si contrappongono agli Stati e alle loro organizzazioni regionali più o meno articolate. Non si prendono di mira, in altri ter-mini, solo il FMI o la Banca Mondiale. L’oggetto dell’attacco è la contaminazione sistematica del linguaggio e della tecnica giuridica da parte di nozioni, criteri e principi del dibattito economico o, meglio, segnatamente, di alcune delle concezioni che si contendono il campo in quell’arena così eterogenea e, per definizione, flessibile.

E così, sia pur muovendo da prospettive differenti, si evidenziano i processi con cui:

a) le policies delle istituzioni del governo internazionale / mondiale / globale della finanza veicolano l’assunzione di specifiche convinzio-ni economiche in strumenti giuridici a quelle immediatamente o me-diatamente funzionali, creando così le condizioni per una fitta rete di interdipendenze regolate formalmente, e quindi garantite, da comunis-simi ma incontestabili principi (quasi di jus gentium);

b) così operando, quegli strumenti esternalizzano la gestione dei debiti sovrani al di fuori dei confini delle sovranità statali, frustrando-ne le decisioni autonome più significative, specialmente laddove si

12 La letteratura in materia è amplissima. Tra i lavori in lingua italiana cfr., per tutti, M.R.

FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Il Mulino, Bologna 2000, S. CASSESE, Lo spazio giuridico globale, Laterza, Roma-Bari 2003, ID., Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino 2009, ID., Chi governa il mondo?, Il Mulino, Bologna 2013, M.R. FERRARESE, Prima lezione di diritto glo-bale, Laterza, Roma-Bari 2012.

13 È opportuno ricordare che, con riguardo al caso argentino, è stato lo stesso Fondo Mo-netario Internazionale a compiere un’operazione autocritica: v. P. BLUSTEIN, IMF Says Its Po-litics Cripped Argentina. Internal Audit Finds Werw Ignored, in The Washington Post, Fri-day, July 30, 2004: http:// www.washingtonpost.com/ wp-dyn/ articles/ A25824-2004Jul29.html.

14 Sullo stato dell’arte circa l’assetto di queste istituzioni v. L. CASINI - F.G. ALBISINNI - E. CAVALIERI, Le istituzioni della globalizzazione, in AA.VV., Uscire dalla crisi, cit., pp. 425 ss.

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Fulvio Cortese 6

Giacché, se è vero che le istituzioni della globalizzazione giuridica ed economica12 vengono ben prima della crisi del 2008 – e che, come si è visto, esse hanno condizionato e continuano a condizionare in modo determinante anche vicende del tutto anteriori, come quella ar-gentina – allora sono tali istituzioni a trovarsi in contestazione13.

È d’obbligo, però, una precisazione, dal momento che le istituzioni che vengono in considerazione non sono soltanto quelle “entificate”14, che come tali si contrappongono agli Stati e alle loro organizzazioni regionali più o meno articolate. Non si prendono di mira, in altri ter-mini, solo il FMI o la Banca Mondiale. L’oggetto dell’attacco è la contaminazione sistematica del linguaggio e della tecnica giuridica da parte di nozioni, criteri e principi del dibattito economico o, meglio, segnatamente, di alcune delle concezioni che si contendono il campo in quell’arena così eterogenea e, per definizione, flessibile.

E così, sia pur muovendo da prospettive differenti, si evidenziano i processi con cui:

a) le policies delle istituzioni del governo internazionale / mondiale / globale della finanza veicolano l’assunzione di specifiche convinzio-ni economiche in strumenti giuridici a quelle immediatamente o me-diatamente funzionali, creando così le condizioni per una fitta rete di interdipendenze regolate formalmente, e quindi garantite, da comunis-simi ma incontestabili principi (quasi di jus gentium);

b) così operando, quegli strumenti esternalizzano la gestione dei debiti sovrani al di fuori dei confini delle sovranità statali, frustrando-ne le decisioni autonome più significative, specialmente laddove si

12 La letteratura in materia è amplissima. Tra i lavori in lingua italiana cfr., per tutti, M.R.

FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Il Mulino, Bologna 2000, S. CASSESE, Lo spazio giuridico globale, Laterza, Roma-Bari 2003, ID., Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino 2009, ID., Chi governa il mondo?, Il Mulino, Bologna 2013, M.R. FERRARESE, Prima lezione di diritto glo-bale, Laterza, Roma-Bari 2012.

13 È opportuno ricordare che, con riguardo al caso argentino, è stato lo stesso Fondo Mo-netario Internazionale a compiere un’operazione autocritica: v. P. BLUSTEIN, IMF Says Its Po-litics Cripped Argentina. Internal Audit Finds Werw Ignored, in The Washington Post, Fri-day, July 30, 2004: http:// www.washingtonpost.com/ wp-dyn/ articles/ A25824-2004Jul29.html.

14 Sullo stato dell’arte circa l’assetto di queste istituzioni v. L. CASINI - F.G. ALBISINNI - E. CAVALIERI, Le istituzioni della globalizzazione, in AA.VV., Uscire dalla crisi, cit., pp. 425 ss.

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tratti di decisioni concernenti politiche pubbliche capaci di “costare” più di altre;

c) le politiche stesse possono essere “misurate” in termini di “co-sto” delle relative prestazioni e di corrispondenza delle stesse al com-plesso e variegato paniere di incentivi che la rete di interdipendenze creata sul piano internazionale rende disponibile per tutti coloro che dimostrino di volersi adeguare15 e che rispettino, con ciò, come accade anche sul piano dell’Unione europea, determinati indicatori macroe-conomici16.

Di fronte a questa chiave di lettura – che si auspica una maggiore consapevolezza di tali meccanismi, in primo luogo da parte dei citta-dini degli Stati – si potrebbe spiegare anche il motivo per il quale, come si è detto (v. supra, par. 1), la crisi delle politiche pubbliche sta-tali e delle possibilità sovrane di spesa è parallela alla crescita della ricchezza mondiale: tale ricchezza altro non sarebbe che il frutto di un sistematico, ma “legale”, saccheggio (o Plunder17).

I paradossi non sono finiti.

15 «The powerful many times mentioned institutions of international governance have al-

ways been acutely aware of the political nature of the law, but only after the fall of the Berlin wall did they dare violate their own charters against intervening politically by constructing law as a mere component of an economic system of capitalism. Depoliticizing the law, trans-forming it into a neutral component of the economic system, was made necessary because the internal bylaws of the Bretton Woods institutions preclude political intervention. In contrast to these preclusions we have seen a whole series of World Bank ad International Monetary Fund (IMF) initiatives wrapped in rule of law rhetoric that, pressing for “market-friendly” le-gal development, continue to preside over unrestricted corpored plunder» (da U. MATTEI - L. NADER, Plunder. When the Rule of Law is Illegal, Malden MA 2008, p. 201). Ma cfr. anche questo passo: «La globalizzazione dei problemi di governance del mondo non può essere scissa dalla prospettiva della loro soluzione, che sta nel convertire tutto in linguaggio econo-mico. Tutto è in tutto, e tutto può regolamentarsi attraverso la finanza: ecco il postulato della politica globale. Una tal forza omogeneizzatrice tende a trasformare qualsiasi bene nell’equivalente finanziario, in denaro» (da A. GARAPON, Lo Stato minimo. Il neoliberalismo e la giustizia, Cortina Raffaello, Milano 2012, p. 146).

16 In generale, sui problemi concernenti la cd. «retrocessione della cultura dei diritti fon-damentali» mediante l’uso diffuso degli indicatori macroeconomici quali motori di riforme necessarie da parte degli Stati nel quadro europeo della crisi economico-finanziaria v., da ul-timo, le chiare pagine di M. DANI, Il diritto pubblico europeo nella prospettiva dei conflitti, Cedam, Padova 2013, pp. 350 ss.

17 Tale è il titolo, del resto, del lavoro di U. MATTEI - L. NADER, Plunder. When the Rule of Law is Illegal, cit.

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Fulvio Cortese 8

Se si guarda a tutti questi fenomeni con uno sguardo più laico, si può notare che, anche in tutta la sua ambiguità, la cennata rete di in-terdipendenze corrisponde alla diffusione di un approccio niente affat-to distorsivo o dirompente. Meglio: se si può individuare un paradig-ma giuridico che viene invocato, ormai, in modo pressoché generaliz-zato – e che finisce per funzionare come momento essenziale del de-scritto trascorrere di concezioni economiche in decisioni politiche – esso è quello della solidarietà. Della solidarietà – attenzione – in sen-so rigorosamente tecnico, tradizionalissimo, e certo giuridico, ma, oseremmo dire, civile e non costituzionale.

Poiché il tema, a ben vedere, è quello del dispositivo capace di dare cogenza alla solidarietà, all’aiuto, al supporto… Ed è evidente che in tanto esiste un legame giuridico in quanto vi sia uno stimolo a far sì che il destinatario delle misure di sostegno sia incentivato a prendere una certa direzione, pena il venir meno dell’incentivo ricevuto quale sanzione dell’inadempimento18.

È una versione commutativa della solidarietà, non redistributiva; e non c’è da stupirsi, perché il premio che la prima finisce per avere sul-la seconda consente, per l’appunto, di rendere fondamentali le presup-poste opzioni economiche, che sono naturalmente diverse.

Quali sono, però, tali opzioni? Sono veramente autosufficienti? Qual è il loro impatto sulla spesa pubblica e sul soddisfacimento di di-ritti sociali fondamentali?

18 «Financial leverage is therefore an effective instrument for channelling solidarity into a

legal framework based on mutual obligations aimed at achieving a common goal. From this perspective, the UNDP Global Water Solidarity platform, the World Solidarity Fund, and the UN World Democracy Fund (UNDEF) are other examples. The European Stability Mecha-nism (ESM) is one of the most significant cases of how the principle of solidarity can operate through mutual obligations and conditions “imposed” ti States that seek for assistance. We may ask, therefore, wheter solidarity can acquire the status of legal principle only when it looses its “atruistic” character: if the answer is yes, then States may use this principle in order to estabilish mutual obligations aimed at reducing risks and uncercainty» (L. CASINI, Solidari-ty Between States in the Global Legal Space, relazione tenuta alla Reunion annuale dello Eu-ropean Public Law Group, Spetses, Grecia, 13-14 settembre 2013, inedita).

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Se si guarda a tutti questi fenomeni con uno sguardo più laico, si può notare che, anche in tutta la sua ambiguità, la cennata rete di in-terdipendenze corrisponde alla diffusione di un approccio niente affat-to distorsivo o dirompente. Meglio: se si può individuare un paradig-ma giuridico che viene invocato, ormai, in modo pressoché generaliz-zato – e che finisce per funzionare come momento essenziale del de-scritto trascorrere di concezioni economiche in decisioni politiche – esso è quello della solidarietà. Della solidarietà – attenzione – in sen-so rigorosamente tecnico, tradizionalissimo, e certo giuridico, ma, oseremmo dire, civile e non costituzionale.

Poiché il tema, a ben vedere, è quello del dispositivo capace di dare cogenza alla solidarietà, all’aiuto, al supporto… Ed è evidente che in tanto esiste un legame giuridico in quanto vi sia uno stimolo a far sì che il destinatario delle misure di sostegno sia incentivato a prendere una certa direzione, pena il venir meno dell’incentivo ricevuto quale sanzione dell’inadempimento18.

È una versione commutativa della solidarietà, non redistributiva; e non c’è da stupirsi, perché il premio che la prima finisce per avere sul-la seconda consente, per l’appunto, di rendere fondamentali le presup-poste opzioni economiche, che sono naturalmente diverse.

Quali sono, però, tali opzioni? Sono veramente autosufficienti? Qual è il loro impatto sulla spesa pubblica e sul soddisfacimento di di-ritti sociali fondamentali?

18 «Financial leverage is therefore an effective instrument for channelling solidarity into a

legal framework based on mutual obligations aimed at achieving a common goal. From this perspective, the UNDP Global Water Solidarity platform, the World Solidarity Fund, and the UN World Democracy Fund (UNDEF) are other examples. The European Stability Mecha-nism (ESM) is one of the most significant cases of how the principle of solidarity can operate through mutual obligations and conditions “imposed” ti States that seek for assistance. We may ask, therefore, wheter solidarity can acquire the status of legal principle only when it looses its “atruistic” character: if the answer is yes, then States may use this principle in order to estabilish mutual obligations aimed at reducing risks and uncercainty» (L. CASINI, Solidari-ty Between States in the Global Legal Space, relazione tenuta alla Reunion annuale dello Eu-ropean Public Law Group, Spetses, Grecia, 13-14 settembre 2013, inedita).

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3. Tecnica e politica tra crisi e spesa pubblica

L’interrogativo posto da ultimo consente di richiamare velocemen-te – e con grandissima approssimazione – due delle più significative lezioni che, in campo economico e finanziario, potrebbero / dovrebbe-ro reggere i comportamenti degli Stati sovrani: quella keynesiana e quella monetarista19.

L’attualità e la pertinenza di questo richiamo, in primo luogo, è in-teressante per il fatto che, come è noto, si tratta delle due grandi pro-

19 V., rispettivamente, i passi seguenti, che peraltro hanno un valore solo evocativo, per

nulla rappresentativo del cuore e delle declinazioni – molteplici – di tali impostazioni (e neanche dei lavori più significativi degli esponenti più ragguardevoli delle due diverse lezio-ni): «Il secolo XIX aveva esagerato sino alla stravaganza quel criterio che si può chiamare brevemente dei risultati finanziari, quale segno della opportunità di una azione qualsiasi, di iniziativa privata o collettiva. Tutta la condotta della vita era stata ridotta a una specie di pa-rodia dell’incubo di un contabile. Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecni-che per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell’ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d’opinione che fosse giusto ed opportuno di costruire delle catapec-chie perché le catapecchie, alla prova dell’iniziativa privata, “rendevano”, mentre la città del-le meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell’idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe “ipotecato il futuro”, sebbene non si riesca a vede-re, a meno che non si abbia la mente obnubilata da false analogie tratte da una inapplicabile contabilità, come la costruzione oggi di opere grandiose e magnifiche possa impoverire il fu-turo. Ancor oggi io spendo il mio tempo, - in parte vanamente, ma in parte anche, lo devo ammettere, con qualche successo, a convincere i miei compatrioti che la nazione nel suo in-sieme sarebbe senza dubbio più ricca se gli uomini e le macchine disoccupate fossero adope-rate per costruire le case di cui si ha tanto bisogno, che non se essi sono mantenuti nell’ozio. Ma le menti di questa generazione sono così offuscate da calcoli sofisticati, che esse diffidano di conclusioni che dovrebbero essere ovvie, e questo ancora per la cieca fiducia che hanno in un sistema di contabilità finanziaria che mette in dubbio se un’operazione del genere “rende-rebbe”. Noi dobbiamo restare poveri perché essere ricchi non “rende”. Noi dobbiamo vivere in tuguri, non perché non possiamo costruire dei palazzi, ma perché non ce li possiamo “per-mettere”» (da J.M. KEYNES, National Self-Sufficiency, in The Yale Review, Vol. 22, N. 4 (June 1933), pp. 755-769). Cfr. quindi: «There are four ways in which you can spend money. You can spend your own money on yourself. When you do that, why then you really watch out what you’re doing, and you try to get the most for your money. Then you can spend your own money on somebody else. For example, I buy a birthday present for someone. Well, then I’m not so careful about the content of the present, but I’m very careful about the cost. Then, I can spend somebody else’s money on myself. And if I spend somebody else’s money on my-self, then I’m sure going to have a good lunch! Finally, I can spend somebody else’s money on somebody else. And if I spend somebody else’s money on somebody else, I’m not con-cerned about how much it is, and I’m not concerned about what I get. And that’s government. And that’s close to 40 percent of our national income (M. FRIEDMAN, Trascrizione dall’intervista rilasciata a Fox News, maggio 2004).

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spettive che specialmente oggi, i tempo di crisi, si contendono il cam-po anche all’interno della situazione continentale europea e delle di-scussioni che animano la vita delle istituzioni dell’Unione, in primis della Commissione20.

Ma l’interesse per queste due grandi letture deriva, soprattutto, per il fatto che esse stesse, se ben comprese, misurano la loro relativa in-sufficienza. Vale a dire, cioè, che esse vivono sempre di importanti esigenze di cornice, di condizioni che devono essere presenti vuoi nel mercato, vuoi negli attori che sono chiamati ad interpretarle. E così anche negli Stati e nel diritto, nazionale, sopranazionale o globale, con cui essi hanno a che fare.

In proposito, la visione del giurista non può essere esaustiva, né può entrare negli arcana della storia economica. Eppure, è proprio la storia, in generale, a darci delle importanti indicazioni.

Il contesto in cui Keynes elabora buona parte delle sue intuizioni è quello di un’economia di guerra, vista, peraltro, in un periodo nel qua-le le dinamiche interne ai processi decisionali degli Stati nazionali so-no ancora assai importanti, se non decisive. Possiamo dire che questo contesto sia presente anche oggi? La sola constatazione di quella che qui si è definita come rete di interdipendenze (v. par. 2) impedisce di per sé di formulare una risposta positiva.

È anche vero, peraltro, che la presenza della rete delle interdipen-denze aiuta a falsificare anche i limiti della visione monetarista, che, per l’appunto, attraverso il governo della moneta, vorrebbe compensa-re i risultati “depressivi” (in senso atecnico) cui si potrebbe giungere seguendo i criteri contabilistici tanto criticati dal famoso economista inglese. Questa volta la condizione sine qua non sarebbe la disponibi-lità reale, in capo agli Stati sovrani, di elaborare ed attuare politiche monetarie ben precise. E non è così. Non è così, tanto più, nell’Unione europea, dove il ruolo della Banca centrale, a tal proposito, è sì rile-vante (la Banca centrale, infatti, controlla l’effettiva offerta di denaro, perseguendo l’obiettivo finale della stabilità dei prezzi e della lotta

20 Cfr., per un’analisi esemplificativa di quanto l’opposizione tra diversi approcci econo-mici sia al centro dell’attenzione, S. TILFORD, What explains Europe’s rejection of macroeco-nomic orthodoxy?, contributo del Direttore del Centre For European Reform di Londra, repe-ribile a questo indirizzo: http:// www.cer.org.uk/ insights/ what-explains-europes-rejection-macroeconomic-orthodoxy.

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spettive che specialmente oggi, i tempo di crisi, si contendono il cam-po anche all’interno della situazione continentale europea e delle di-scussioni che animano la vita delle istituzioni dell’Unione, in primis della Commissione20.

Ma l’interesse per queste due grandi letture deriva, soprattutto, per il fatto che esse stesse, se ben comprese, misurano la loro relativa in-sufficienza. Vale a dire, cioè, che esse vivono sempre di importanti esigenze di cornice, di condizioni che devono essere presenti vuoi nel mercato, vuoi negli attori che sono chiamati ad interpretarle. E così anche negli Stati e nel diritto, nazionale, sopranazionale o globale, con cui essi hanno a che fare.

In proposito, la visione del giurista non può essere esaustiva, né può entrare negli arcana della storia economica. Eppure, è proprio la storia, in generale, a darci delle importanti indicazioni.

Il contesto in cui Keynes elabora buona parte delle sue intuizioni è quello di un’economia di guerra, vista, peraltro, in un periodo nel qua-le le dinamiche interne ai processi decisionali degli Stati nazionali so-no ancora assai importanti, se non decisive. Possiamo dire che questo contesto sia presente anche oggi? La sola constatazione di quella che qui si è definita come rete di interdipendenze (v. par. 2) impedisce di per sé di formulare una risposta positiva.

È anche vero, peraltro, che la presenza della rete delle interdipen-denze aiuta a falsificare anche i limiti della visione monetarista, che, per l’appunto, attraverso il governo della moneta, vorrebbe compensa-re i risultati “depressivi” (in senso atecnico) cui si potrebbe giungere seguendo i criteri contabilistici tanto criticati dal famoso economista inglese. Questa volta la condizione sine qua non sarebbe la disponibi-lità reale, in capo agli Stati sovrani, di elaborare ed attuare politiche monetarie ben precise. E non è così. Non è così, tanto più, nell’Unione europea, dove il ruolo della Banca centrale, a tal proposito, è sì rile-vante (la Banca centrale, infatti, controlla l’effettiva offerta di denaro, perseguendo l’obiettivo finale della stabilità dei prezzi e della lotta

20 Cfr., per un’analisi esemplificativa di quanto l’opposizione tra diversi approcci econo-mici sia al centro dell’attenzione, S. TILFORD, What explains Europe’s rejection of macroeco-nomic orthodoxy?, contributo del Direttore del Centre For European Reform di Londra, repe-ribile a questo indirizzo: http:// www.cer.org.uk/ insights/ what-explains-europes-rejection-macroeconomic-orthodoxy.

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all’inflazione), ma è “sganciato” dal circuito politico interno ad ogni ordinamento, che si trova in costante ed esiziale ritardo sulle reazioni del mercato e dei suoi protagonisti (e senza che, a compensazione di ciò, vi sia un reale circuito politico di livello europeo).

Il tema del governo della moneta, poi, si scontra con la lucidissima critica degli approcci libertari, per i quali, come è risaputo, la soprav-valutazione del ruolo del sistema bancario a nulla conduce se non alla produzione di valori che non hanno riscontro in quella che oggi defi-niremmo come economia reale21.

A monte, tuttavia, di questo dibattito, anche assai generico ed im-preciso (se si vuole), sulle grandi teorie economiche del Novecento, occorre sottolineare che il sistema istituzionale della rete di interdi-pendenze di cui si è detto impedisce agli Stati molte delle scelte teori-camente disponibili.

Ciò è spiegato efficacemente dal cd. Trilemma di Rodrik (v. lo schema riprodotto subito infra). Perché, in base a questo irresolubile rompicapo di opzioni di volta in volta inconciliabili, anche in una real-tà ideale, nella quale tali opzioni fossero realmente e materialmente praticabili dagli Stati, non ogni combinazione sarebbe possibile, e i prezzi da pagare potrebbero risultare davvero alti.

21 «Onde chiarire le ragioni per cui un incremento nella quantità di monete non provochi

alcun beneficio sociale si immagini ciò che io ho chiamato modello dell’angelo Gabriele. L’angelo Gabriele è uno spirito benevolo che per l’umanità desidera solo il meglio, sfortuna-tamente però non sa nulla di economia. Egli ha ascoltato il costante lamento circa la carenza di moneta nella società e ha deciso di intervenire per risolvere il problema: nell’arco di una notte, mentre tutti dormono, discende sulla terra e magicamente raddoppia lo stock monetario di ciascuna persona. (…) Quale reazione si avrebbe? Saremmo di sicuro tutti eccitati e in pre-da ad un gioioso smarrimento, convinti di aver quantomeno duplicato la nostra ricchezza mo-netaria dalla sera alla mattina. (…) La ricchezza di cui gode la società non è (…) aumentata, in quanto non sono mutati i fattori fondamentali quali forza lavoro, capitale, merci, risorse na-turali e produttività; piuttosto, nel tempo si avrebbe all’incirca un raddoppio del livello gene-rale dei prezzi e le persone scoprirebbero di non stare affatto meglio di prima (…)» (da M. ROTHBARD, Il Mistero dell’Attività Bancaria (1983), ed. it. Usemlab, Livorno 2013, pp. 43-44).

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Fulvio Cortese 12

Per Rodrik, in particolare, democrazia, sovranità nazionale e glo-

balizzazione economica non si possono mai dare simultaneamente. Sarebbe possibile, cioè, connettere reciprocamente due di questi poli; ma non sarebbe possibile fare in modo che i tre rimangano combinati insieme simultaneamente22.

22 Questa è la sintetica spiegazione del Trilemma, così come fornita dal suo stesso Autore: «Sometimes simple and bold ideas help us see more clearly a complex reality that requires nuanced approaches. I have an “impossibility theorem” for the global economy that is like that. It says that democracy, national sovereignty and global economic integration are mutual-ly incompatible: we can combine any two of the three, but never have all three simultaneous-ly and in full. To see why this makes sense, note that deep economic integration requires that we eliminate all transaction costs traders and financiers face in their cross-border dealings. Nation-states are a fundamental source of such transaction costs. They generate sovereign risk, create regulatory discontinuities at the border, prevent global regulation and supervision of financial intermediaries, and render a global lender of last resort a hopeless dream. The malfunctioning of the global financial system is intimately linked with these specific transac-tion costs. So what do we do? One option is to go for global federalism, where we align the scope of (democratic) politics with the scope of global markets. Realistically, though, this is something that cannot be done at a global scale. It is pretty difficult to achieve even among a relatively like-minded and similar countries, as the experience of the EU demonstrates. An-other option is maintain the nation state, but to make it responsive only to the needs of the in-ternational economy. This would be a state that would pursue global economic integration at the expense of other domestic objectives. The nineteenth century gold standard provides a historical example of this kind of a state. The collapse of the Argentine convertibility experi-ment of the 1990s provides a contemporary illustration of its inherent incompatibility with democracy. Finally, we can downgrade our ambitions with respect to how much international economic integration we can (or should) achieve. So we go for a limited version of globaliza-tion, which is what the post-war Bretton Woods regime was about (with its capital controls

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Per Rodrik, in particolare, democrazia, sovranità nazionale e glo-

balizzazione economica non si possono mai dare simultaneamente. Sarebbe possibile, cioè, connettere reciprocamente due di questi poli; ma non sarebbe possibile fare in modo che i tre rimangano combinati insieme simultaneamente22.

22 Questa è la sintetica spiegazione del Trilemma, così come fornita dal suo stesso Autore: «Sometimes simple and bold ideas help us see more clearly a complex reality that requires nuanced approaches. I have an “impossibility theorem” for the global economy that is like that. It says that democracy, national sovereignty and global economic integration are mutual-ly incompatible: we can combine any two of the three, but never have all three simultaneous-ly and in full. To see why this makes sense, note that deep economic integration requires that we eliminate all transaction costs traders and financiers face in their cross-border dealings. Nation-states are a fundamental source of such transaction costs. They generate sovereign risk, create regulatory discontinuities at the border, prevent global regulation and supervision of financial intermediaries, and render a global lender of last resort a hopeless dream. The malfunctioning of the global financial system is intimately linked with these specific transac-tion costs. So what do we do? One option is to go for global federalism, where we align the scope of (democratic) politics with the scope of global markets. Realistically, though, this is something that cannot be done at a global scale. It is pretty difficult to achieve even among a relatively like-minded and similar countries, as the experience of the EU demonstrates. An-other option is maintain the nation state, but to make it responsive only to the needs of the in-ternational economy. This would be a state that would pursue global economic integration at the expense of other domestic objectives. The nineteenth century gold standard provides a historical example of this kind of a state. The collapse of the Argentine convertibility experi-ment of the 1990s provides a contemporary illustration of its inherent incompatibility with democracy. Finally, we can downgrade our ambitions with respect to how much international economic integration we can (or should) achieve. So we go for a limited version of globaliza-tion, which is what the post-war Bretton Woods regime was about (with its capital controls

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Per intendersi: la sovranità nazionale può essere naturalmente con-nessa con il sistema democratico, ma gli obiettivi delle politiche eco-nomico-sociali che legittimano e preservano il carattere materialmente democratico dello Stato sono esposte ai rischi delle reti di interdipen-denza che la globalizzazione pare imporre in modo irriducibile.

La democrazia, peraltro, potrebbe ben conciliarsi con la globaliz-zazione economica, ma ciò a patto che la seconda condivida gli stessi goals della prima. E si tratta di obiettivo così ambizioso e lontano da far pensare ad una soluzione del tutto utopistica.

Resta la terza combinazione: combinare sovranità e globalizzazio-ne economica, a rischio, tuttavia, di avvalorare decisioni politiche to-talmente autoreferenziali, “coperte” dalla pura aderenza “tecnica” ai criteri delle istituzioni sopranazionali e apertamente “sviate” dagli obiettivi di garanzia accolti dalle costituzioni nazionali23 (specialmen-te nelle costituzioni, per così dire, di nuova – i.e. seconda – genera-zione, quelle, cioè, approvate, come la Costituzione italiana del 194824, immediatamente dopo il secondo conflitto mondiale e in una temperie culturale nella quale, anzi, la missione di liberare ogni indi- and limited trade liberalization). It has unfortunately become a victim of its own success. We have forgotten the compromise embedded in that system, and which was the source of its success. So I maintain that any reform of the international economic system must face up to this trilemma. If we want more globalization, we must either give up some democracy or some national sovereignty. Pretending that we can have all three simultaneously leaves us in an unstable no-man’s land» (da D. RODRIK, The inescapable trilemma of the world economy, Dani Rodrik’s weblog, June 27, 2007: http:// rodrik.typepad.com/ dani_rodriks_weblog/ 2007/ 06/ the-inescapable.html).

23 Con conseguente dequotazione del livello effettivo di tutela garantito fino ad un certo momento per determinati diritti sociali: il tema è bene analizzato, quanto al caso spagnolo, da J. PONCE SOLÉ, El derecho y la (ir)reversibilidad limitada de los derechos sociales de los ciu-dadanos. Las lineas rojas constitucionales a lor recortes y la sostenibilidad social, Madrid 2013.

24 Autorevole lettura giuspubblicistica, peraltro, ha ipotizzato da tempo che, soprattutto in Italia, proprio i menzionati obiettivi di garanzia sarebbero stati storicamente realizzati in mo-do improprio, immaginando e categorizzando nel contesto dei diritti sociali (sul piano dottri-nale ed anche giurisprudenziale) l’esistenza di situazioni giuridiche soggettive così forti da obbligare lo Stato a moltiplicare in maniera insostenibile i fattori della spesa pubblica e da porlo, così, strutturalmente esposto (in quanto titolare di un’ingentissima quota di debito pub-blico) ai rischi ciclici delle crisi economiche: v., da ultimo, F. MERUSI, Italia e Spagna di fronte alla crisi, in ID., Il sogno di Diocleziano. Il diritto nelle crisi economiche, Giappichelli, Torino 2013, in part. pp. 35-36. Si veda, in ogni caso, per la definizione dei diritti sociali, da parte del medesimo Autore, quali «diritti finanziariamente condizionati», anche ID., I servizi pubblici negli anni Ottanta, in Quad. reg., n. 1/1985, pp. 39 ss.

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viduo dal bisogno sembrava essersi impadronita di una nuova voca-zione universale all’interno di tutta la tradizione occidentale25).

4. La membrana europea, ossia della funzione dei mitocondri

Giova, innanzitutto, ammettere che se ci fermassimo alle evidenze fattuali già riferite (v. par. 1) e alla legittimazione “costituzionale” (in-terna all’Unione) che il sistema di “governo europeo” della crisi ha ri-cevuto dopo la sentenza della Corte di giustizia sul caso Pringle (e re-lativo all’Irlanda26), sarebbe davvero difficile (anche per l’Unione eu-ropea) pensare di uscire dal Trilemma di Rodrik.

Infatti, il metodo utilizzato dall’Unione – che si esprime mediante il ricorso privilegiato alla tecnica delle relazioni intergovernative, e che sancisce con ciò lo “stallo” dei meccanismi propriamente istitu-zionali di fronte alle esigenze di rapido adeguamento imposte dalla crisi sul piano globale – può anche leggersi come indice dello sposta-

25 Cfr. quanto preannunciato nel celebre discorso del Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, tenuto il 6 gennaio 1941, che, tra le quattro fonda-mentali libertà di cui gli USA avrebbero dovuto prendersi carico «in the future days», pone anche la «freedom from want» (cfr. il testo integrale del discorso al seguente indirizzo: http:// www.presidency.ucsb.edu/ ws/ ?pid=16092). Sull’importanza, per così dire, “sistematica”, di quello storico speech v. V. ONIDA, La Costituzione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionale (Relazione al Convegno della Accademia Nazionale dei Lincei, Ro-ma, 9-10 gennaio 2008): http:// www.astrid-online.it/ dossier--r/ studi--ric/ 60-anni-de/ oni-da.pdf. Ma tale, d’altra parte, è anche il famoso obiettivo che, in Gran Bretagna, aveva ispira-to il non meno noto Rapporto Beveridge (1942), capace di indicare alle istituzioni britanniche un irrinunciabile e non reversibile obiettivo di benessere collettivo come condizione essenzia-le per un ripensamento (materialmente costituzionale) del rapporto tra Stato e individuo: v., sul punto, la sintesi puntuale di C. MARTINELLI, Diritto e diritti oltre la Manica. Perché gli inglesi amano tanto il loro sistema giuridico, Il Mulino, Bologna 2014, pp. 248 ss.

26 «Gli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 13 TUE, 2, paragrafo 3, TFUE, 3, paragrafi 1, lettera c), e 2, TFUE, 119 TFUE - 123 TFUE e 125 TFUE - 127 TFUE nonché il principio generale di tutela giurisdizionale effettiva non ostano alla conclusione tra gli Stati membri la cui mone-ta è l’euro di un accordo come il Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, il Granducato di Lussemburgo, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Re-pubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slo-vacca e la Repubblica di Finlandia, concluso a Bruxelles il 2 febbraio 2012, né alla sua ratifi-ca da parte di tali Stati membri» (Corte di Giustizia, Seduta Plenaria, 27 novembre 2012, in causa C-370/12, Thomas Pringle).

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viduo dal bisogno sembrava essersi impadronita di una nuova voca-zione universale all’interno di tutta la tradizione occidentale25).

4. La membrana europea, ossia della funzione dei mitocondri

Giova, innanzitutto, ammettere che se ci fermassimo alle evidenze fattuali già riferite (v. par. 1) e alla legittimazione “costituzionale” (in-terna all’Unione) che il sistema di “governo europeo” della crisi ha ri-cevuto dopo la sentenza della Corte di giustizia sul caso Pringle (e re-lativo all’Irlanda26), sarebbe davvero difficile (anche per l’Unione eu-ropea) pensare di uscire dal Trilemma di Rodrik.

Infatti, il metodo utilizzato dall’Unione – che si esprime mediante il ricorso privilegiato alla tecnica delle relazioni intergovernative, e che sancisce con ciò lo “stallo” dei meccanismi propriamente istitu-zionali di fronte alle esigenze di rapido adeguamento imposte dalla crisi sul piano globale – può anche leggersi come indice dello sposta-

25 Cfr. quanto preannunciato nel celebre discorso del Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, tenuto il 6 gennaio 1941, che, tra le quattro fonda-mentali libertà di cui gli USA avrebbero dovuto prendersi carico «in the future days», pone anche la «freedom from want» (cfr. il testo integrale del discorso al seguente indirizzo: http:// www.presidency.ucsb.edu/ ws/ ?pid=16092). Sull’importanza, per così dire, “sistematica”, di quello storico speech v. V. ONIDA, La Costituzione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionale (Relazione al Convegno della Accademia Nazionale dei Lincei, Ro-ma, 9-10 gennaio 2008): http:// www.astrid-online.it/ dossier--r/ studi--ric/ 60-anni-de/ oni-da.pdf. Ma tale, d’altra parte, è anche il famoso obiettivo che, in Gran Bretagna, aveva ispira-to il non meno noto Rapporto Beveridge (1942), capace di indicare alle istituzioni britanniche un irrinunciabile e non reversibile obiettivo di benessere collettivo come condizione essenzia-le per un ripensamento (materialmente costituzionale) del rapporto tra Stato e individuo: v., sul punto, la sintesi puntuale di C. MARTINELLI, Diritto e diritti oltre la Manica. Perché gli inglesi amano tanto il loro sistema giuridico, Il Mulino, Bologna 2014, pp. 248 ss.

26 «Gli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 13 TUE, 2, paragrafo 3, TFUE, 3, paragrafi 1, lettera c), e 2, TFUE, 119 TFUE - 123 TFUE e 125 TFUE - 127 TFUE nonché il principio generale di tutela giurisdizionale effettiva non ostano alla conclusione tra gli Stati membri la cui mone-ta è l’euro di un accordo come il Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, il Granducato di Lussemburgo, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Re-pubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slo-vacca e la Repubblica di Finlandia, concluso a Bruxelles il 2 febbraio 2012, né alla sua ratifi-ca da parte di tali Stati membri» (Corte di Giustizia, Seduta Plenaria, 27 novembre 2012, in causa C-370/12, Thomas Pringle).

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mento, all’interno dei tre poli del Trilemma, da una combinazione che contempla la coesistenza di sovranità e democrazia ad una combina-zione che, viceversa, si riconosce nel futuribile nesso tra sovranità e globalizzazione economica. E la stessa Unione europea funzionereb-be, così, da catalizzatore di questa nuova reazione complessiva.

Quale altro significato, del resto, si potrebbe dare all’affermazione – rilevante proprio sul piano della tutela dei diritti – per cui «gli Stati membri non attuano il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, pa-ragrafo 1, della Carta [dei diritti fondamentali dell’Unione europea, n.d.r.], allorché instaurano un meccanismo di stabilità come il MES per l’istituzione del quale, come risulta dal punto 105 della presente sentenza, i Trattati UE e FUE non attribuiscono alcuna competenza specifica all’Unione»27?

Le cose, però, non si possono traguardare soltanto in questo unico orizzonte.

Anche al di fuori di un ambito in cui gli Stati possono far valere la nota teoria dei controlimiti – le misure che gli Stati in difficoltà con-cordano con l’Unione o, meglio, con la “Troika” (i.e. con il nucleo di controllo informale costituito da rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale e europea e del FMI) non sono diritto dell’Unione, né si pongono in attuazione di diritto dell’Unione, bensì in esecuzione di un accordo di natura internazionale tout court28 – le reazioni degli ordinamenti nazionali non sono mancate.

Il caso portoghese, su tutti, è esemplare, visto che, in quell’ordinamento, il giudice costituzionale – per evitare la transizio-ne all’interno del Trilemma, ossia, in altre parole, per far sì che la so-luzione vigente e qualificante del conflitto socio-economico resti an-corata alle scelte costituzionali dello Stato democratico – ha ripetuta-mente sindacato la proporzionalità / adeguatezza delle azioni che il legislatore interno ha adottato per ottemperare alle indicazioni nego-ziate dall’Esecutivo sul piano sopranazionale29.

27 Così la Corte di giustizia proprio nel citato caso Pringle, cit., punto 180 della motiva-

zione. 28 Cfr. sempre il caso Pringle, cit. 29 Per una sintesi di questa vicenda: «For the third time since the country’s bail-out by the

Troika, Portugal’s Constitutional Court has rejected proposed austerity measures. The court rejected a number of articles of the bill enacting austerity measures, saying that it violates a

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Fulvio Cortese 16

Tali evenienze non rientrano nella patologia di sistemi che non ri-conoscono più le finalità dell’integrazione europea. Si tratta, all’opposto, di rivendicazioni concernenti la natura ancora e irrime-diabilmente funzionale di quell’integrazione.

L’Unione europea, cioè, non ambisce alla cristallizzazione di mo-delli fissi di integrazione – in un ideale continuum che la vuole stabi-lizzarsi nel ruolo di “sovrano” a tutti gli effetti, paragonabile, anche negli assetti dell’economia globale, ad uno Stato vero e proprio – ben-sì, anche per il tramite dell’ammissione di un controllo trasversale e delocalizzato da parte dei giudici statali (in primis di quelli costituzio-nali), ad una tecnica di sistematica sperimentazione puntuale, suscetti-bile, semmai, di circolazione istituzionale e di affermazione pragmati-ca, anche ex post ed anche sul piano delle politiche nazionali e del dia-logo tra le corti.

Ciò, pertanto, dovrebbe ricordarci – valorizzando in questa dire-zione anche gli stimoli provenienti da alcuni studi, tanto fortunati quanto discussi da tutta la comunità scientifica30 – che non è così paci-fico che il meccanismo dell’integrazione sovranazionale (prima co-munitaria, poi europea) abbia quale fine prevalente la realizzazione di scopi radicalmente diversi da quelli che avevano storicamente imma-ginato gli Stati nazionali che l’hanno avviata. Il fine (era e) rimane, semmai, la scelta, degli Stati, di un modus operandi diverso, di una strategia che non fa del “mercato” una meta a prescindere, e che indi-vidua nella posizione di basilari “libertà fondamentali”, a quella co-munque strumentali, un differente dispositivo di sviluppo e di imple-mentazione / interpretazione dei compiti pubblici e del benessere so-ciale. principle prohibiting dismissal ‘without just cause’, and also restricts a worker’s fundamental right to employment security. It said there were also issues about the principles of trust and legal confidence enshrined in the Constitution» (M. DA PAZ CAMPOS LIMA, Constitutional court rejects latest austerity measures, eironline, 16 October, 2013: http://www.eurofound.europa.eu/eiro/ 2013/09/articles/pt1309019i.htm). Cfr. anche P. WISE, Portugal’s constitutional courts threatens country’s bailout, in The Financial Times, October 24, 2013: http:// www.ft.com/ cms/ s/ 0/ 884f61d2-3bfb-11e3-b85f-00144feab7de.html #axzz325VMFlS, e T. ABBIATE, Le corti costituzionali dinnanzi alla crisi finanziaria: una so-luzione di compromesso del tribunale costituzionale portoghese, in Quad. cost., 2013, pp. 146 ss.

30 Si allude all’opera di P.L. LINDSETH, Power and Legitimacy. Reconciling Europe and The Nation-State, Oxford 2010.

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Tali evenienze non rientrano nella patologia di sistemi che non ri-conoscono più le finalità dell’integrazione europea. Si tratta, all’opposto, di rivendicazioni concernenti la natura ancora e irrime-diabilmente funzionale di quell’integrazione.

L’Unione europea, cioè, non ambisce alla cristallizzazione di mo-delli fissi di integrazione – in un ideale continuum che la vuole stabi-lizzarsi nel ruolo di “sovrano” a tutti gli effetti, paragonabile, anche negli assetti dell’economia globale, ad uno Stato vero e proprio – ben-sì, anche per il tramite dell’ammissione di un controllo trasversale e delocalizzato da parte dei giudici statali (in primis di quelli costituzio-nali), ad una tecnica di sistematica sperimentazione puntuale, suscetti-bile, semmai, di circolazione istituzionale e di affermazione pragmati-ca, anche ex post ed anche sul piano delle politiche nazionali e del dia-logo tra le corti.

Ciò, pertanto, dovrebbe ricordarci – valorizzando in questa dire-zione anche gli stimoli provenienti da alcuni studi, tanto fortunati quanto discussi da tutta la comunità scientifica30 – che non è così paci-fico che il meccanismo dell’integrazione sovranazionale (prima co-munitaria, poi europea) abbia quale fine prevalente la realizzazione di scopi radicalmente diversi da quelli che avevano storicamente imma-ginato gli Stati nazionali che l’hanno avviata. Il fine (era e) rimane, semmai, la scelta, degli Stati, di un modus operandi diverso, di una strategia che non fa del “mercato” una meta a prescindere, e che indi-vidua nella posizione di basilari “libertà fondamentali”, a quella co-munque strumentali, un differente dispositivo di sviluppo e di imple-mentazione / interpretazione dei compiti pubblici e del benessere so-ciale. principle prohibiting dismissal ‘without just cause’, and also restricts a worker’s fundamental right to employment security. It said there were also issues about the principles of trust and legal confidence enshrined in the Constitution» (M. DA PAZ CAMPOS LIMA, Constitutional court rejects latest austerity measures, eironline, 16 October, 2013: http://www.eurofound.europa.eu/eiro/ 2013/09/articles/pt1309019i.htm). Cfr. anche P. WISE, Portugal’s constitutional courts threatens country’s bailout, in The Financial Times, October 24, 2013: http:// www.ft.com/ cms/ s/ 0/ 884f61d2-3bfb-11e3-b85f-00144feab7de.html #axzz325VMFlS, e T. ABBIATE, Le corti costituzionali dinnanzi alla crisi finanziaria: una so-luzione di compromesso del tribunale costituzionale portoghese, in Quad. cost., 2013, pp. 146 ss.

30 Si allude all’opera di P.L. LINDSETH, Power and Legitimacy. Reconciling Europe and The Nation-State, Oxford 2010.

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Ecco che – con quella che può apparire una provocazione – l’Unione europea può pacificamente porsi nel ruolo protettivo di una membrana o, ancora più efficacemente, di un mitocondrio, di un or-ganismo, cioè, necessario (agli Stati), e solo formalmente isolato (ri-spetto alla loro struttura), perché votato a predisporre forme continua-tive di coordinamento delle politiche che più risultano esposte alle fluttuazioni della globalizzazione economica.

Vero è, al contempo, che, come si è scoperto, i mitocondri possono funzionare male31. Sicché – restando fedeli alla metafora – la vigilan-za degli ordinamenti interni sulla coerenza complessiva degli scopi e dei metodi dell’integrazione non può mai essere dismessa, e ciò anche quando l’Unione si avvalga di strumenti più flessibili, di natura nego-ziale, a garanzia di un modello solidale che, a questo punto, non può che presentare sia profili commutativi, sia profili redistributivi (v. su-pra, par. 2).

5. Conclusione: le libere scelte del sovrano e la tecnica del sinda-cato costituzionale

Al termine di questa schematica presentazione, possono ipotizzarsi

due veloci e sommarie conclusioni.

31 «A tutt’oggi la ricerca sulla struttura e funzione dei mitocondri non è conclusa; va as-

sumendo sempre crescente importanza lo studio sul loro ruolo in molti ambiti della biologia e della medicina. Negli ultimi dieci anni, due grandi rivoluzioni hanno modificato drasticamen-te la visione che i biologi hanno dei mitocondri. Accanto al paradigma ampiamente descritto nei libri di biochimica, che definisce questi organuli come ‘centrali energetiche’ della cellula, è emersa un’immagine nuova e suggestiva dei mitocondri come ‘vaso di Pandora’, un ‘conte-nitore’ intracellulare determinante non solo per la vita ma anche per la morte della cellula. Se un tempo il coinvolgimento mitocondriale in alcune patologie umane era considerato limitato a danni della bioenergetica cellulare, in alcune malattie genetiche, o come conseguenza di in-sulti ossidativi e tossici, attualmente un grande rilievo è assunto dai livelli dei sottoprodotti dell’attività respiratoria mitocondriale come le specie reattive dell’ossigeno (ROS) o l’ossido nitrico (NO). Inoltre, l’intensa ricerca degli ultimi anni ha messo in luce il ruolo critico svol-to, negli eventi che portano la cellula a morte, da alcune proteine rilasciate dai mitocondri nel citoplasma. I mitocondri hanno un ruolo fondamentale nella morte programmata (apoptosi), con la quale l’organismo si libera di cellule inutili. Essendo l’apoptosi determinante nella cancerogenesi e nell’instaurarsi delle malattie degenerative, ne deriva che la corretta funzio-nalità dei mitocondri è fondamentale per garantire la salute dell’organismo» (da E. MARRA, Mitocondri, in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, Treccani, Roma 2007).

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A) La più rilevante, da un punto di vista teorico, è quella che emerge dagli ultimissimi rilievi, vale a dire dalle osservazioni svolte in chiusura al precedente paragrafo.

L’Unione europea non è un sistema autosufficiente e finalizzato a conoscere future e prossime “chiusure”. Il suo DNA è funzionale al raggiungimento di scopi di stabilizzazione e di neutralizzazione di re-lazioni economiche ben precise, al fine ultimo di garantire un diffuso stato di benessere, in primo luogo sociale. E ciò era e resta l’obiettivo che gli Stati membri avevano allorché avevano immaginato l’integrazione comunitaria e allorché ne accettano anche oggi le pecu-liarità istituzionali.

Si può anche affermare, inoltre, che oggi, ancor più che nell’immediato secondo dopoguerra, gli Stati non possono riconoscer-si davvero sovrani (i.e., costituzionalmente e democraticamente so-vrani al contempo) se lasciati soli al cospetto dei goals imposti dalle dinamiche mutevoli della globalizzazione economica. Il Trilemma esprime con efficacia i pericoli della solitudine e la necessità di istitu-zioni di mediazione, come può essere l’Unione europea; a patto che essa non agevoli cortocircuiti costituzionali e che gli Stati siano in grado di opporre validi anticorpi alla formazione di prassi e di mecca-nismi istituzionali potenzialmente capaci di “importare” all’interno dell’Unione le degenerazioni tanto criticate delle istituzioni globali32.

Questi profili hanno importanti declinazioni anche sul piano schiet-tamente definitorio, poiché invitano a meditare sulla perdurante per-suasività delle rappresentazioni più risalenti dell’ordinamento interno e del suo rapporto con l’ordinamento internazionale33.

32 Come ha bene evidenziato M. DANI, Il diritto pubblico europeo, cit., p. 404, i conflitti

sociali che l’Unione europea tende a marginalizzare «possono riemergere nella forma di con-testazioni alla sua autorità motivate dalla difesa dell’identità costituzionale nazionale»

33 «L’attualizzazione del diritto interno non può quindi realizzarsi che nella e con la inte-razione giuridica tra Stati sovrani, che abbia per scopo l’unificazione dei loro rispettivi diritti interni. Se quindi il diritto internazionale sembra che non si possa attualizzare, se non cessan-do di essere “internazionale” e divenendo una sorta di diritto “interno”, il diritto interno sem-bra che non possa conseguire la sua attualità se non divenendo “internazionale”, cessando, cioè, di essere “interno” nel senso proprio del termine. (…) Non esiste quindi un’autonoma genesi del diritto internazionale pubblico. Questo diritto (…) è l’applicazione a Stati in inte-razione di un diritto proprio di una società non politica qualsiasi, di cui fan parte questi Stati. È applicato da un rappresentante qualificato di questa società in quanto tale. Si tratta quindi di

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A) La più rilevante, da un punto di vista teorico, è quella che emerge dagli ultimissimi rilievi, vale a dire dalle osservazioni svolte in chiusura al precedente paragrafo.

L’Unione europea non è un sistema autosufficiente e finalizzato a conoscere future e prossime “chiusure”. Il suo DNA è funzionale al raggiungimento di scopi di stabilizzazione e di neutralizzazione di re-lazioni economiche ben precise, al fine ultimo di garantire un diffuso stato di benessere, in primo luogo sociale. E ciò era e resta l’obiettivo che gli Stati membri avevano allorché avevano immaginato l’integrazione comunitaria e allorché ne accettano anche oggi le pecu-liarità istituzionali.

Si può anche affermare, inoltre, che oggi, ancor più che nell’immediato secondo dopoguerra, gli Stati non possono riconoscer-si davvero sovrani (i.e., costituzionalmente e democraticamente so-vrani al contempo) se lasciati soli al cospetto dei goals imposti dalle dinamiche mutevoli della globalizzazione economica. Il Trilemma esprime con efficacia i pericoli della solitudine e la necessità di istitu-zioni di mediazione, come può essere l’Unione europea; a patto che essa non agevoli cortocircuiti costituzionali e che gli Stati siano in grado di opporre validi anticorpi alla formazione di prassi e di mecca-nismi istituzionali potenzialmente capaci di “importare” all’interno dell’Unione le degenerazioni tanto criticate delle istituzioni globali32.

Questi profili hanno importanti declinazioni anche sul piano schiet-tamente definitorio, poiché invitano a meditare sulla perdurante per-suasività delle rappresentazioni più risalenti dell’ordinamento interno e del suo rapporto con l’ordinamento internazionale33.

32 Come ha bene evidenziato M. DANI, Il diritto pubblico europeo, cit., p. 404, i conflitti

sociali che l’Unione europea tende a marginalizzare «possono riemergere nella forma di con-testazioni alla sua autorità motivate dalla difesa dell’identità costituzionale nazionale»

33 «L’attualizzazione del diritto interno non può quindi realizzarsi che nella e con la inte-razione giuridica tra Stati sovrani, che abbia per scopo l’unificazione dei loro rispettivi diritti interni. Se quindi il diritto internazionale sembra che non si possa attualizzare, se non cessan-do di essere “internazionale” e divenendo una sorta di diritto “interno”, il diritto interno sem-bra che non possa conseguire la sua attualità se non divenendo “internazionale”, cessando, cioè, di essere “interno” nel senso proprio del termine. (…) Non esiste quindi un’autonoma genesi del diritto internazionale pubblico. Questo diritto (…) è l’applicazione a Stati in inte-razione di un diritto proprio di una società non politica qualsiasi, di cui fan parte questi Stati. È applicato da un rappresentante qualificato di questa società in quanto tale. Si tratta quindi di

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B) La seconda conclusione si risolve nella constatazione che il mo-do con cui Stati ed Unione cominciano a “governare” i reciproci rap-porti di flessibilità nella definizione delle tecniche economiche e delle corrispondenti soluzioni politiche e giuridiche è soggetto ad un sinda-cato costituzionale di legittimità, in particolare sotto il profilo della ragionevolezza.

La tecnica (anche questa lo è) che viene in gioco ha una palese di-mensione amministrativa, e ciò specialmente quando si tratti di valu-tare l’adeguatezza e la proporzionalità di scelte anche altamente di-screzionali dello stesso legislatore sul modo e sulla profondità con cui garantire e finanziare la soddisfazione dei diritti sociali34. Senza che ciò comporti, peraltro, l’adesione all’idea che altro legislatore, quello costituzionale, possa predeterminare – come è viceversa avvenuto nel-le costituzioni di cc.dd. “terza generazione” – l’esatta quantità

un diritto “interno” di una società» (da A. KOJÈVE, Linee di una fenomenologia del diritto (1943), ed. it. Jaca Book, Milano 1989, pp. 346, 351).

34 «Così anche i diritti sociali, parte viva ed essenziale della Costituzione, entrano con forza nel giudizio di ragionevolezza. Il fatto che la loro attuazione si compia in particolare at-traverso la legislazione non significa che siano senza tutela, rimessi alla ‘libertà’ assoluta del legislatore. Una norma costituzionale che introduce un diritto sociale limita la libertà dei fini del legislatore che, da un lato non può porre norme difformi che contraddicono il fine, dall’altro deve porre norme adeguate al conseguimento del fine medesimo e renderlo operan-te: il giudizio di costituzionalità “trasforma le disposizioni di principio da direttive al legisla-tore in norme di applicazione giudiziale”. La necessità di una visione di sistema trova, di re-cente, una decisa conferma (sent. n. 1/ 2013): “La Costituzione è fatta soprattutto di principi e questi ultimi sono in stretto collegamento tra loro, bilanciandosi vicendevolmente, di modo che la valutazione di conformità alla Costituzione stessa deve essere operata con riferimento al sistema, e non a singole norme, isolatamente considerate. Un’interpretazione frammentaria delle disposizioni normative, sia costituzionali che ordinarie, rischia di condurre, in molti ca-si, ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalità di tutela”. Su queste premesse si può impostare il difficile discorso del controllo sulle scelte in ordine alla destinazione delle risorse, denunciandone la non coerenza rispetto alle priorità costituzionali in aperta violazione delle disposizioni che le stabiliscono. Non si tratta, va ripetuto, di chiede-re alla Corte una decisione che comporti “uno ‘sforamento’ delle disponibilità finanziarie previste in bilancio, ma solo il rispetto di una diversa logica nell’allocazione delle risorse fi-nanziarie. Una logica che è insita nei principi”. Le Corti, del resto, in questi tempi di risorse scarse tendono a sindacare le decisioni con le quali i governi vi fanno fronte, ad esempio il modo e i criteri in cui vengono imposti i sacrifici, come di recente in Portogallo» (da L. CAR-LASSARE, Priorità costituzionali e controllo sulla destinazione delle risorse, in Costituzionali-smo.it, 4 giugno 2013: http://www.costituzionalismo.it/articoli/441/). Il caso portoghese, per l’appunto, è stato citato anche supra, par. 4.

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dell’obbligo di destinazione di una porzione necessaria dei bilanci sta-tali alla garanzia di alcuni diritti sociali35.

In sostanza, si tratta della scoperta di un “nuovo” bilanciamento, che il giudice costituzionale può graduare sulla base della situazione istituzionale, economica e sociale di un determinato momento storico, e che non è per nulla sconosciuto alla comparazione giuridica e alla ri-flessione che sulla stessa è stata generata in contesti anche molto di-versi da quello europeo36.

35 Cfr., ad esempio, la costituzione brasiliana, il cui art. 212, in materia di istruzione, di-

spone che lo Stato federale brasiliano sarà sempre tenuto a non scendere sotto la quota del 18%. Sul punto v. L. FERRAJOLI, La democrazia attraverso i diritti, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 220-221, che, però, saluta con favore questo meccanismo di costituzionalizzazione preci-sa del vincolo di bilancio.

36 «Per via della loro stessa natura, i diritti socioeconomici sono differenti (…), soprattut-to alla luce della clausola della “realizzazione progressiva”. Nessuno pensa che ogni indivi-duo abbia un diritto azionabile alla piena protezione degli interessi in questione. In certe cir-costanze è veramente difficile trovare un approccio che eviti la conclusione che i diritti in questione non sono azionabili. La sola alternativa a questi estremi è costituita da un approccio al diritto pubblico che è generalmente inusuale nel diritto costituzionale, ma che è materia or-dinaria del diritto amministrativo, poiché regola il controllo giudiziario delle agenzie ammini-strative: il requisito del giudizio ragionevole, che comprende le decisioni ragionevoli sulle priorità da adottare» (da C.R. SUNSTEIN, A cosa servono le Costituzioni. Dissenso politico e democrazia deliberativa (2001), ed. it. Il Mulino, Bologna 2009, p. 327).

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Fulvio Cortese 20

dell’obbligo di destinazione di una porzione necessaria dei bilanci sta-tali alla garanzia di alcuni diritti sociali35.

In sostanza, si tratta della scoperta di un “nuovo” bilanciamento, che il giudice costituzionale può graduare sulla base della situazione istituzionale, economica e sociale di un determinato momento storico, e che non è per nulla sconosciuto alla comparazione giuridica e alla ri-flessione che sulla stessa è stata generata in contesti anche molto di-versi da quello europeo36.

35 Cfr., ad esempio, la costituzione brasiliana, il cui art. 212, in materia di istruzione, di-

spone che lo Stato federale brasiliano sarà sempre tenuto a non scendere sotto la quota del 18%. Sul punto v. L. FERRAJOLI, La democrazia attraverso i diritti, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 220-221, che, però, saluta con favore questo meccanismo di costituzionalizzazione preci-sa del vincolo di bilancio.

36 «Per via della loro stessa natura, i diritti socioeconomici sono differenti (…), soprattut-to alla luce della clausola della “realizzazione progressiva”. Nessuno pensa che ogni indivi-duo abbia un diritto azionabile alla piena protezione degli interessi in questione. In certe cir-costanze è veramente difficile trovare un approccio che eviti la conclusione che i diritti in questione non sono azionabili. La sola alternativa a questi estremi è costituita da un approccio al diritto pubblico che è generalmente inusuale nel diritto costituzionale, ma che è materia or-dinaria del diritto amministrativo, poiché regola il controllo giudiziario delle agenzie ammini-strative: il requisito del giudizio ragionevole, che comprende le decisioni ragionevoli sulle priorità da adottare» (da C.R. SUNSTEIN, A cosa servono le Costituzioni. Dissenso politico e democrazia deliberativa (2001), ed. it. Il Mulino, Bologna 2009, p. 327).

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Linee di una fenomenologia del diritto

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