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Alberto Fagni
Storia economica e sociale del Medioevo
ESEMPIO DI POTERE DINASTICO
NELL’ITALIA MERIDIONALE,
IL DUCATO DI GAETA E I SUOI VICINI,
850-1113
Anno accademico 2012/2013
Indice
INTRODUZIONE.
DAGLI ALBORI ALL’UNDICESIMO SECOLO.
UN’EPOCA DI CAMBIAMENTI.
L’ECONOMIA DEL POTERE.
CONCLUSIONI.
1) INTRODUZIONE
La storia del sud Italia almeno fino alla comparsa dei cavalieri
Normanni, a lungo è stata priva di un serio studio volto ad approfondire
le dinamiche sociali ed economiche che hanno caratterizzato la peculiare
evoluzione del meridione nel corso dell’alto medioevo. A fronte di un
forte deficit di questo tipo di indagine, riscontriamo una grande
abbondanza di approfondimenti sulla situazione politico-dinastica delle
numerose entità sovrane che nel corso dei secoli, si sono succedute
all’interno di questo contesto regionale. Per questo motivo (ma solo
recentemente) alcuni gli storici hanno sentito la necessità di colmare
questa lacuna riallacciando il meridione italiano alla storia dello
sviluppo medioevale europeo. Principale direttrice d’attacco, della
critica di questo gruppo di studiosi, quella nozione propinata agli
studenti, che dipinge il mezzogiorno come un’area arretrata e
costantemente in ritardo nei processi di crescita economica, a causa
proprio dell’instabilità politica, che invece hanno contraddistinto nel
corso dei secoli le altre aree della penisola e dell’Europa.
In questo filone di studi accademici si colloca il contributo della
professoressa Patricia Skinner, “Family Power in Southern Italy, the duchy of Gaeta &
its neighbours, 850-1139”. Il saggio, pubblicato a Londra nel 1995, risulta
essere un’indagine sul potere dinastico nei piccoli ducati del litorale
tirrenico durante l’alto medioevo, il cui focus è situato nella
comprensione delle dinamiche economiche-sociali che hanno governato i
rapporti tra i clan, più che non la storia politica e prettamente
événementiel. Il lavoro dell’autrice si basa principalmente sulle fonti
disponibili per la città laziale di Gaeta. Skinner fonda la sua
argomentazione sul Codex diplomaticus Cajetanus, ovvero una raccolta di
documenti storici risalenti al periodo preso in analisi, che interessano
il territorio sottoposto all’egemonia del Ducato di Gaeta e i territori
limitrofi, in particolare Napoli ed Amalfi. Il Codice nasce all'interno
delle mura dell'abbazia di Montecassino, mentre le chartae contenute al
suo interno interessano il periodo compreso tra l’830, antecedente dunque
alla formazione del Ducato (840), e il 1399, cioè ben oltre la fine del
ducato stesso (1139). Si tratta di documenti di varia origine, per la
maggior parte apografi, e trascrizioni di documenti precedenti alla
redazione del Codex stesso.
Quanto stabile era la vita politica di queste entità statali? Quanto
forti erano le famiglie dominanti e quali legami avevano con la nobiltà?
Quali sono stati gli sviluppi nella nobiltà delle città prese in analisi
tra X e XI secolo? Qual era l'importanza data alla ricchezza, al ceto o
al luogo di nascita da questi personaggi per determinare la loro
posizione nella corte? Sono queste alcune delle domande a cui la storica
inglese tenta di rispondere, cercando soprattutto un confronto con un
altro testo, “Gaeta im frühen Mittelalter”, pubblicato dalla studiosa
tedesca Margarethe Merores nel 1911, che traccia le origini della città
laziale dalla sua fondazione nel 1200 a.c., fino ad oggi. Tuttavia la
fatica di Merores non include un esame socio-economico della struttura
del ducato, ed è a tale lacuna che Skinner tenta di rimediare provando ad
osservare da vicino il fenomeno dell’acquisto, della vendita, della
cessione e della donazione della proprietà terriera, a cui la storica
inglese attribuisce un ruolo centrale nel suo ragionamento.
Il lavoro dell’autrice è diviso in tre parti: la prima riguarda le
vicende politiche di Gaeta, della sua trasformazione in un ducato
autonomo dopo la rescissione dei legami con Napoli e dell’ascesa al
potere nella città di una famiglia, la cui provenienza non risulta essere
tra le fila dell’aristocrazia cittadina. La prima sezione, infatti,
conclude con un rapido, quanto necessario, approfondimento sulle origini
delle famiglie nobili di Gaeta presenti sul territorio prima dell’arrivo
della nuova dinastia al potere e dei legami che vanno a formarsi con la
nuova dinastia al potere. Se il primo capitolo cronologicamente affonda
le sue radici nel IX e nel X secolo, il secondo partendo dall’XI secolo
ripercorre le vicende del ducato fino alla sua scomparsa, ed è proprio
nella seconda parte che emerge con forza il leitmotiv dell’opera. Già nel
primo capitolo l’autrice tenta di spiegare le dinamiche socio-economiche
che governano la storia del ducato, ma solo quando all’interno delle
fonti iniziano ad emergere quel nuovo gruppo di famiglie aristocratiche
l’analisi della storia commerciale e produttiva si fa più cristallina.
L’XI secolo fu caratterizzato dalla fine del potere ducale causato
dall’invasione longobarda prima e normanna poi, dalla rottura dell’unità
della famiglia ducale, e dal tentativo di questi nuovi clan di ottenere
il favore e l’apprezzamento dei signori che nel corso dei decenni si
susseguono al vertice della gerarchia cittadina. Nelle fonti il numero
delle convocazioni del tribunale cittadino cresce enormemente nel corso
del XI-XII secolo, così come le donazioni di terre o l’acquisto di tenute
da parte dei clan più ricchi, a testimonianza della dinamicità dei
processi sociali in atto. Il testo si chiude con un indagine geo-
economica dei ducati di Gaeta, Napoli ed Amalfi volta ad offrire al
lettore un quadro chiaro delle potenzialità agricole della regione. Tale
approfondimento è necessario per introdurre l’analisi dei commerci delle
tre entità politiche sia a breve che a lunga distanza. L’attività
mercantile sebbene rappresenti una voce secondaria nel reddito delle
grande famiglie, per l’autrice rappresenta il principale humus da cui
sorsero le famiglie aristocratiche che nel XI-XII secolo resero così
vivace il panorama socio-economico di Gaeta, costituite sia da mercanti,
ma anche da notai, giudici ed amministratori di vario genere.
2) DAGLI ALBORI ALL’UNDICESIMO SECOLO
Sappiamo per certo dalla principale fonte in nostro possesso per la città
laziale, il Codex Cajetanus, che un uomo di nome Docibile assunse il
controllo della cittadina nel 867 e che la sua famiglia dominò il
castello e il territorio circostante per circa 150 anni. Il tentativo di
Skinner, inizialmente sarà quello di ricostruire più dettagliatamente il
periodo della dominazione della famiglia Docibiliana (chiamata così dagli
storici per l’importanza di questo illustre antenato) sul territorio
Gaetano.
Nell’839 Costantino figlio di Anatolio ricevette da sua sorella
Elisabetta e dal suo figliastro Teodosio, prefetto di Napoli due terreni
in affitto la cui rendita, in natura, sarebbe stata spedita nella città
partenopea. Il contratto venne firmato oltre che da Costantino, anche da
suo figlio Marino. Padre e figlio divennero così hypatoi (consoli) del
castello di Gaeta. Questo documento condusse gli storici a concludere che
fino all’866 Gaeta fosse un territorio sottoposto all’autorità dei duchi
di Napoli, l’utilizzo della titolatura greca per indicare i signori della
città era infatti un valido indizio in tal senso1.
Dall’867 si viene a conoscenza, tramite un documento presente nel Codex
Cajetanus, della comparsa di un nuovo signore del castello laziale,
Docibile. Nel documento, egli si trovava a dover risolvere una disputa
tra il vescovo della città e due abitanti della rocca. Chi era dunque
questo personaggio e come raggiunse il potere?
1 V. von Falkenhausen, “Il ducato di Gaeta”, in Storia d’Italia, vol. III, pag. 348.
Merores era dell’opinione che i Docibili furono aiutati nella loro ascesa
al potere dalle ingenti donazioni di terre e denaro ricevute dal papato,
argomentando tale convinzione su alcune cronache di un abate di
Montecassino che nell’880 scriveva “i Gaetani sono fedeli servitori del
papato”2.
In cosa consistevano questi doni? Papa Giovanni VIII concesse i patrimoni
di Traetto e Fondi ai Docibiliani in cambio della rottura di ogni accordo
che quest’ultimi avevano stretto con i Saraceni. I nuovi signori di Gaeta
infatti avevano raggiunto dei validi accordi con i pirati islamici, che
tra 870 e 880 stavano saccheggiando il litorale tirrenico controllato da
Amalfi, proteggendosi così da eventuali incursioni. Essi arrivarono
perfino ad aiutare gli arabi ad organizzare vere e proprie spedizioni
militari contro gli amalfitani e i napoletani. Il papa cedendo Fondi e
Traetto, comprò così l’appoggio di Gaeta, togliendo un valido alleato ai
predoni Saraceni nelle incursioni nella regione.
Il titolo con cui i Docibiliani presero possesso dei patrimoni di Traetto
e Fondi fu quello di rettori. Tuttavia per circa venti anni essi furono
designati nei documenti, unicamente come signori di Gaeta. La titolatura
dell’autorità politica dominante, è molto importante se si vuole
riconoscere le principali influenze subite da delle così piccole entità.
Molto probabilmente il momento della concessione papale rappresentò il
culmine del legame che stringeva Gaeta a Roma.
2 Ibidem, pag. 16.
Secondo Skinner la differenza tra i Docibiliani e i loro predecessori
risiede nelle origini aristocratiche di quest’ultimi (il padre di
Costantino era un conte), mentre sui primi nelle fonti non appaiono
informazioni riguardo antenati di sangue nobile. L’ipotesi delle origini
non aristocratiche di Docibile e della sua famiglia è avvalorata dal
fatto che il suo casato possedeva pochissimi latifondi, mentre disponeva
di grande quantità di denaro frutto evidentemente di attività
mercantali3. Tale situazione si modificò nel 924 quando i Docibiliani
nelle fonti iniziarono ad essere dipinti come grandi proprietari
terrieri, sebbene l’immagine di nuova famiglia emersa nel panorama
politico locale persistette. Se Docibile non era un aristocratico, come
ha fatto a farsi accettare come signore di Gaeta? E soprattutto, come ha
fatto ad impedire ai Napoletani di organizzare un colpo di stato per
deporlo?
La risposta a queste domande potrebbe risiedere in alcuni documenti, che
hanno permesso a Patricia Skinner di stabilire, che il suocero di
Docibile I fu un certo Bonus, lo stesso nome con cui viene identificato
nelle cronache il fratello dell’hypatos Constantino4. Secondo la
ricostruzione della studiosa, Costantino morì nel’867, lasciando il
figlio Marino in una condizione di estrema vulnerabilità. Forte del suo
potere economico Docibile comprò Bonus e il suo appoggio, e tale accordo
3 P. Skinner, “Family Power in Southern Italy, the duchy of Gaeta & its neighbours, 850-1139”, pag. 30-31.4 Codex Diplomaticus Cajetanus, Tabularium Cesinensis, I-II 31.
venne sancito dall’unione matrimoniale del primo con la figlia del
secondo, ottenendo di riflesso anche l’appoggio dell’aristocrazia locale.
Se accettiamo come esatte tali supposizioni, si spiega il motivo per cui
Napoli non intervenne a difesa del vecchio regime. Il fratello di
Constantino inizialmente occupò una posizione di garante nel governo
cittadino, salvo poi essere escluso progressivamente dalle sedi del
potere politico di Gaeta.
Nonostante l’unione matrimoniale con un’esponente della vecchia famiglia
che governava la città il potere dei Docibiliani in questa prima fase era
molto instabile, e la preoccupazione principale dei primi signori di
questa famiglia era quella di consolidare il proprio dominio. Per
ottenere il riconoscimento del proprio valore agli occhi degli altri
aristocratici, Docibile cercò innanzitutto di elevare il proprio
prestigio sociale acquisendo maggiori proprietà terriere.
I Docibiliani avevano bisogno di stringere forti legami con alcune
famiglie del vecchio regime, e ciò è evidente nel loro rapporto con una
famiglia della vecchia aristocrazia cittadina, i Kampuli (così appaiano
sulle fonti). Kampulo era il prefetto della città. Alcuni documenti
evidenziano dei legami tra personaggio esponente dell’aristocrazia locale
e i vecchi signori della città, in particolare con Marino. Secondo
Skinner è addirittura plausibile supporre che fosse proprio suo figlio5.
Giovanni (figlio di Docibile) favorendo il matrimonio tra il nipote di
Costantino e sua figlia Matrona, riuscì a conquistarsi per sé stesso una5 P. Skinner, “Family Power in Southern Italy, the duchy of Gaeta & its neighbours, 850-1139”, pag. 35.
posizione di prestigio all’interno dell’ambiente cittadino e il possesso
di molti terreni nei dintorni di Gaeta. I Kampuli al contempo, divennero
così i più fedeli sostenitori del dominio dei Docibiliani.
Giovane si trovò ad esercitare la propria autorità su un territorio che
andava dalla piana di Fondi fino alla foce del Garigliano, controllando
oltre che la città di Gaeta, anche quella di Traetto e il castello di
Suio. Perché egli decise di insediarsi a Gaeta? Secondo le fonti, Traetto
nel IX secolo era molto più importante politicamente, prevalse tuttavia
l’aspetto militare e la rocca Gaetana venne scelta per la migliore
difendibilità. Sebbene tale calcolo scaturisse dal timore di un’invasione
partenopea, i contatti tra le famiglie dei duchi di Napoli e dei nuovi
signori di Gaeta furono piuttosto amichevoli nel corso dei decenni.
L’esistenza di medesimi nomi negli alberi genealogici delle due dinastie
testimonia queste strette e proficue relazioni. Senza contare che il
matrimonio tra Kampulo e Matrona ripristinò quel legame di sangue tra le
due città che si interruppe al momento del rovesciamento di Costantino e
Marino.
La principale preoccupazione per i Docibiliani in questo primo periodo fu
il consolidamento del controllo sulle terre di Gaeta, principale perno
per fondare un forte controllo politico sul ducato. Il possesso della
terra era l’unica fonte di guadagno in grado di assicurare infatti le
risorse necessarie a pagare il supporto militare.
Nel 1907 August Lizier, lavorando su dei documenti della città, definì
publicum o terre pubbliche, quei fondi non riconducibili direttamente ad
una persona o ad una famiglia e il cui controllo variava nel corso del
tempo6. E’ molto difficile secondo Skinner, identificare con precisione e
nella maggior parte dei casi tali proprietà terriere, tuttavia la
studiosa tenta di formulare un’ipotesi nel caso da lei studiato.
Osservando la distribuzione del publicum nel ducato di Gaeta, riconosce
questa tipologia di terreni nell’area sotto controllo dei predoni arabi,
dunque ella assume che dopo la riconquista questi territori non furono
concessi a nessuna famiglia in particolare. Prima dell’867 la distinzione
tra pubblico e privato nelle proprietà era molto labile. Probabilmente il
castello sotto controllo napoletano era considerato pubblico. Il fatto
che i duchi della famiglia Docibiliana non facessero affidamento sul
demanio pubblico per costruire la propria autorità, ma anzi tentassero di
acquisire il controllo diretto sui terreni ed in forma privata,
sfruttando anche alle unioni matrimoniali, dimostra l’importanza della
proprietà della terra, sia per come mezzo di sostentamento economico sia
come elemento di prestigio e di preminenza sociale.
Dopo una prima fase di consolidamento e di espansione del potere,
attraverso l’acquisto di nuove terre, il declino per la dinastia
Docibiliana, iniziò a partire dalla fine del X secolo. L’ultima
acquisizione di un certo rilievo per la famiglia ducali fu il dono del
castello di Pontecorvo da parte dell’imperatore Ottone III a Giovanni III
nel 999. Una volta terminato questo processo di ampiamento delle
6 A. Lizier, L'Economia Rurale Dell'età Pre-normanna Nell' Italia Meridionale: Studi Su Documenti Editi Dei Secoli IX-XI, pag. 25.
proprietà fondiare la situazione nel ducato divenne instabile,
soprattutto all’interno dei vari clan Docibiliani.
I motivi di tale crollo secondo Skinner sono da ricercare nell’eccessiva
frammentazione della proprietà terriera che nel corso del X secolo, tale
politica di concessioni adottata dalla famiglia Docibiliana serviva ad
acquisire il consenso dell’aristocrazia cittadina ma alla fine minò le
fondamenta della struttura familiare. In molte altre zone del litorale
tirrenico le famiglie ducali furono molto più attente nella gestione del
proprio patrimonio terriero. Ad Amalfi per esempio, le terre pubbliche
venivano concesse in dono, ma i duchi della città richiedevano il
pagamento di una rendita annuale ben precisa.
Un tipo di proprietà pubblica che nelle fonti appare gelosamente
custodita dai Docibiliani nel corso del X secolo fu quella dei mulini ad
acqua. Una parte del publicum che tra l’altro costituiva buona parte della
rendita ducale. La dieta medievale si basava essenzialmente sul consumo
dei derivati del pane, quindi la farina prodotta dai mulini era una merce
molto richiesta. Sotto i Docibiliani venne costruito il primo mulino ad
acqua a Gaeta nella zona attorno a Formia nel 909, ed in seguito molti
altri.
Con solo due eccezioni, le donazioni o le vendite di mulini da parte dei
Docibiliani avvenivano esclusivamente nell’ambito familiare. I due casi
menzionati riguardarono speciali circostanze. Nel 954 venne concesso lo
sfruttamento del mulino “San Giorgio” da Docibile II, per due mesi e
mezzo ad uno schiavo come incentivo per reperire i fondi necessari per
costruire la sua casa da uomo libero. L’altro esempio risale al 1042
quando Leone II concesse lo sfruttamento del mulino “Maiore” a Marino
figlio di Kampulo e a Gregorio figlio di Giovanni “in virtù dei loro
servizi”.
Mentre il suolo pubblico cominciava a scarseggiare, i Docibiliani
mantenevano un saldo controllo sulla propria proprietà privata. Le
proprietà venivano scambiate essenzialmente all’interno del circolo
familiare. Nessun membro della famiglia veniva escluso da questa rete di
scambi e transizioni. Perfino i figli illegittimi talvolta venivano
inclusi nelle eredità sebbene non potessero ambire a ricevere i latifondi
più grandi o più prosperi.
Nessuna autorità politica medievale poteva sperare di ottenere consenso e
la legittimità a governare senza il supporto della Chiesa, le famiglie
ducali infatti investirono grandi somme di denaro per costruire chiese o
per dotare le stesse di terre o mulini.
Il supporto delle istituzioni religiose era necessario per i Docibiliani
per legittimare e mantenere il potere agli occhi di chi di avrebbe voluto
e potuto sostituirli alla guida del governo di Gaeta. La dinastia
regnante nella città laziale dotò il vescovato di numerosi terreni che
avrebbe dovuto gestire. In virtù di tali concessioni, essi ottennero non
solo l’appoggio spirituale ma anche quello politico. L’ influenza
esercitata sul vescovato culminò con la designazione di Bernardo figlio
di Marino, come vescovo della città verso la fine del X secolo. Come
titolare di due reti distinte di proprietà terriere, quelle della chiesa
e quelle ereditate dal padre, Bernardo divenne estremamente potente ed
occupò la sua carica fino alla sua morte nel 1047, quando già la sua
famiglia aveva perso il controllo della città. Come ci riuscì? Parte del
successo di Bernardo è dovuto alla sua longevità. Egli ebbe 50 anni per
potersi conquistare prestigio politico, e cosa più importante, una solida
base economica per adempiere ai suoi obblighi episcopali.
Merores studiò il ruolo dei primi hipatoi di Gaeta come giudici di corte,
un ufficio che rappresentava la più importante manifestazione del potere
Docibiliano nella città7. Il fatto che il primo documento che abbiamo su
Docibile I, lo dipinga impegnato nel ruolo di giudice è assolutamente
significante. I duchi Docibiliani presiederanno questi tribunali per
tutto il X secolo. Nel 945 per esempio, il vescovo Marino e Pietro,
figlio naturale di Giovanni I, non riuscirono a risolvere una disputa
riguardante il territorio di Traetto. L’esercizio dell’autorità
giudiziaria da parte del duca non venne mai messa in discussione, ma
Skinner ipotizza che tale prerogativa in un contesto così limitato e
politicamente poco stabile come Gaeta potesse risultare più onere per i
Docibiliani. Le fonti dimostrano come dal XI attorno al duca, nel corso
delle sentenze del tribunale di corte siederanno sempre più spesso
giudici e uomini di legge, proprio per diminuire la sua propria
responsabilità sul giudizio finale.
Quel che emerge in questa prima fase è la mancanza di una struttura
amministrativa precisa e funzionante, che aiutasse il duca ad esercitare
7 M. Merores, Gaeta im frühen Mittelalter, cap. 2
un forte controllo sul territorio. Le varie spinte separatiste che
stavano nascendo sul finire del X secolo nelle contee interne di Traetto
e Fondi da parte dei rami cadetti della stirpe Docibiliana, sono figlie
anche delle lacune nella gestione amministrativa delle proprietà
fondiarie. Le figure come i giudici o i notai iniziarono ad apparire solo
a metà del X secolo e non prima dell’XI riuscirono ad ottenere una
qualche forma di riconoscimento e ad incunearsi nella politica cittadina.
Le fonti su cui la Skinner basa la propria esposizione, spesso riguardano
transazioni di proprietà terriere o di intere tenute tra le famiglie
nobili e la stirpe Docibiliana. Questi documenti oltre che a descrivere
l’oggetto della transizione, identificare l’acquirente e il venditore,
esporre le modalità e i tempi di pagamenti sono correlate anche da una
serie di firme di testimoni presenti alla firma dell’accordo. Nel corso
della storia della supremazia dei Docibiliana su Gaeta non è possibile
riconoscere una corte ben precisa, ma è tuttavia riscontrabile la
presenza di alcuni collaboratori, i quali si distinsero proprio per
questa attività di certificazione delle transizioni dei vari duchi. Non è
insolito trovare, studiando le firme dei testimoni dei documenti dei
duchi di Gaeta, anche personaggi provenienti da altri contesti cittadini.
L’indagine di questi personaggi porta la Skinner ad rimarcare la presenza
di personaggi esterni a Gaeta, in virtù del loro nome insolito nella
cittadina laziale. Che i Docibiliani stessi avessero origini amalfitane?
La suggestione dell’autrice è comprovata dall’enorme disponibilità
economica dei duchi di Gaeta la cui origine, oltre che dalle attività
imprenditoriali sarebbe potuta provenire dalle stesse casse di Amalfi.
Forse stavano tentando di inserire loro compatrioti all’interno
dell’aristocrazia di Gaeta8.
Leopold Genicot, definì la nobiltà come uno stato di preminenza de iure,
mentre l’aristocrazia come una posizione de facto e molto più potente9. La
distinzione se applicata per la Gaeta Docibiliana, vede le famiglie dei
Kampuli, degli Agnelli e dei Cristofori, che non avevano alcuno status
legale per essere identificati come nobili ancorate alla loro discendenza
da un illustre personaggio. Il loro legame con la città, in virtù delle
proprietà terriere determinava l’appartenenza di queste famiglie
all’aristocrazia cittadina.
3) UN’EPOCA DI CAMBIAMENTI
Il potere dei Docibiliani venne messo in pericolo quando dopo la morte
del duca Giovanni IV nel 1011, quando il potere passò al figlio Giovanni
V che all’epoca era solo un bambino. Almeno inizialmente questa debolezza
della figura del duca non sembrò intaccare il potere Docibiliano, ma dal
1014 l’azione dei conti Traetto verso una maggiore autonomia iniziò a
farsi più incisiva, sfruttando proprio la debolezza insita nella reggenza
dalla vedova di Giovanni III, Emilia (nonna di Giovanni V). La debolezza
del duca di Gaeta è testimoniata, secondo Skinner, dal fatto che durante
il processo giudiziario per una disputa territoriale tra l’abbazia di
Montecassino e il conte Dauferio di Fondi, in cui fu richiesto8 P. Skinner, “Family Power in Southern Italy, the duchy of Gaeta & its neighbours, 850-1139”, pag. 125.9 L. Genicot, “Recent research on the medieval nobility”, in Medieval Nobility, pag. 18
l’intervento dei maggiori signori della regione (il duca di Napoli, il
vecovo e principe di Capua, il figlio del duca di Fondi e il vescovo di
Gaeta), mancasse proprio un esponente della famiglia Docibiliana. Venne
invitato il vescovo della città Bernardo a rappresentare la cittadina
laziale.
All’interno della famiglia dei Docibiliani stava esplodendo un conflitto
per il controllo della reggenza del ducato, tra Emilia e il figlio Leone.
Leone tentò di comprare l’appoggio del potente clan dei Kampuli, cedendo
loro alcune terre. Emilia poteva contare esclusivamente sull’appoggio del
vescovo di Gaeta, Bernardo, fratello del suo defunto marito. Nel
conflitto tra le due fazioni, fu Emilia ad avere la meglio, Leone morì
nel 1025, ma la vittoria ebbe delle notevoli ripercussioni. I conti di
Traetto da quella data non riconobbero più l’autorità ducale, seguiti
presto da quelli di Sperlonga10.
Gli anni 30 dell’XI secolo furono segnati prima dall’espansione del
potere del principe Pandolfo di Capua, che nel 1032 occupò Gaeta
ottenendo l’appoggio dei conti di Traetto, poi dall’arrivo di Guaimario
di Salerno che ottenne il controllo della città laziale grazie
all’appoggio dei cavalieri normanni nel 1038. Inizialmente egli concesse
il controllo della città al capo delle truppe normanne Rainulfo Drengot
che morì poco dopo, venne così chiamato Atenolfo d’Aquino un conte
longobardo ad amministrare il territorio laziale in vece dei principi di
Salerno. Secondo Skinner il rovesciamento del regime capuano fu
10 Codex Diplomaticus Cajetanus, Tabularium Cesinensis, I-II 154.
sostentuto dalla famiglia dei Kampuli, che aveva stretti rapporti con la
Salerno. La studiosa inglese infatti individua nella presenza di elementi
provenienti da questa famiglia all’interno della corte di Atenolfo come
prove della sua supposizione11.
La morte di Atenolfo nel 1061, segnò la scomparsa definitiva dei
Docibiliani dal contesto cittadino di Gaeta, perdendo anche il loro
predominio sul vescovato. Il nuovo duca Atenolfo II era ancora troppo
piccolo per prendere le redini del ducato, si aprì dunque un nuovo
periodo di reggenza. Maria, la vedova di Atenolfo, tentò di sganciarsi
dall’influenza Normanna, unendo in una coalizione i conti Traetto,
Maranola e Suio, e coinvolgendoli nella spedizione papale contro i
cavalieri francesi insediatisi in Italia del 1052, dall’esito disastroso.
Nel 1064 Maria e suo figlio Atenolfo II furono allontanati dalla città
con la forza. Riccardo I e suo figlio Giordano I presero il potere, ed
iniziarono ad essere indicati come duchi di Gaeta. Ma presto il governo
della città passò nelle mani dei vassalli del principato. Nel 1068 quando
Goffredo Ridello ricopriva la carica di duca, si hanno notizie di una
rivolta esplosa nella regione, contro l’occupazione normanna. Maria viene
citata come componente attiva di questa ribellione, che tuttavia non
riuscì a rovesciare il nuovo regime. Il caso volle che nel 1094 il titolo
di duca passò a Landolfo, il quale discendeva direttamente da Leone II
l’ultimo duca Docibiliano della città. Il suo regno rappresentò il
tentativo finale del partito dei Docibiliani per recuperare la supremazia
11 Ibidem, 195-218
cittadina. Giunto al potere come vassallo dei principi di Capua, tentò di
ripristinare l’indipendenza del ducato, ma quando i suoi piani vennero
scoperti nel 1103 egli fu esautorato e rimpiazzato con un nuovo signore
normanno proveniente direttamente dalla Francia, Guglielmo di
Blosseville.
Dopo la conquista normanna, comparve una nuova figura nel contesto
politico della città, quella del console. Il nuovo ufficio venne creato
dai normanni, secondo Skinner, per la necessità dei principi di Capua di
affidare l’amministrazione della città ad individui di fiducia scelti
ciclicamente all’interno del contesto cittadino. Dal 1123, i consoli
furono portati a 4, ma già nel 1129 il loro numero era aumento a 512.
A differenza dei Docibiliani i quali erano costretti sempre a cercare un
dialogo con la vecchia aristocrazia cittadina, ai capuani questo non
importava. Essi si limitavano a riscuotere i tributi e a sedare le
rivolte qualora si presentassero. Le nuove famiglie nobili, specialmente
quelle che costruirono la propria fortuna attorno ai nuovi titoli
cittadini, beneficiarono della debolezza dell’istituzione ducale.
Poche delle vecchie famiglie aristocratiche mantennero il loro precedente
status dopo la prima conquista dei duchi longobardi della città nel 1032.
Anche se la data rappresenta uno spartiacque nella storia del ducato, non
segna la fine del potere Docibiliano, il quale continuò ad essere
supportato dai Kampuli e da un’altra ricca famiglia fondiaria i
Coronelli. Tuttavia è indiscusso il fatto che queste famiglie persero il12 P. Skinner, “Family Power in Southern Italy, the duchy of Gaeta & its neighbours, 850-1139”, fig. 5.2.
ruolo di assoluta preminenza che avevano esercitato nel corso dei decenni
precedenti. I Kampuli addirittura si estinsero nel 1071. Skinner elenca
una dozzina di famiglie che nel corso dell’XI secolo riuscirono ad
emergere all’interno dell’amministrazione longobarda prima e normanna
poi, tra queste ricordiamo alcune delle più importanti:
A) I MANCANELLI
La famiglia Mancanella emerse sotto l’egemonia degli Atenolfi a Gaeta.
Secondo le cronache Giovanni Mancanella era lo scriba di Atenolfo I, e
per i suoi servigi ricevette dal duca la tenuta “Mallianum”. Essi
comunque rimasero all’interno dell’elite gaetana anche dopo la caduta di
Atenolfo II. I Mancanella erano modesti proprietari terrieri, e nel corso
dell’XI secolo allargarono i propri possedimenti con qualche piccola
acquisizione, ma le loro proprietà non raggiunsero mai delle proporzioni
ragguardevoli. Furono invece coinvolti in molte attività commerciali
soprattutto a cavallo tra l’XI e il XII secolo, e come i Coronelli
riuscirono a accumulare una grande quantità di denaro.
Nel 1123 Docibile Mancanella venne eletto consules di Gaeta, a
testimonianza del fatto che il benessere e il prestigio della famiglia
era tale che la relativa posizione all’interno della cerchia
aristocratica del ducato aveva raggiunto il massimo livello.
B) I MALTACIA
A fianco di Docibile Mancanella nel 1123 appare anche un certo Jacopo
Maltacia come consules della città. Questa famiglia risulta presente negli
ambienti della corte ducale fin dal 1006 quando un Maltacia appone la sua
firma in un documento ducale. Essi furono importanti produttori di vino,
e grazie alla loro attività riuscirono ad accumulare denaro sufficiente
per comprare alcune tenute e finanziare la costruzione di una piccola
chiesa vicino Sperlonga. L’apice del prestigio per i Maltacia venne
raggiunto quando Bartolomeo nel 1157 venne scelto come nuovo vescovo dei
Gaeta, riuscendo a stringere un forte legame con il re Carlo I d’Angiò.
C) I SALPA
Le origini della famiglia Salpa sono più antiche di quelle dei Maltacia.
Il primo membro che conosciamo è un certo Gregorio, che appare
all’interno del processo per una disputa territoriale tra Dauferio e
l’abate di Montecassino nel 1014. Il conte di Traetto ripagò Gregorio per
il suo appoggio nel processo facendogli dono di un piccolo appezzamento
di terra. I Salpa nelle fonti emergono soprattutto per la loro forte
inclinazione verso patronato ecclesiastico, attraverso sporadiche
donazioni e con dei lasciti testamentari.
D) I COTINA
I Cotina appaiono in molte fonti in due vesti. Come dei grandi
sostenitori del vescovo di Gaeta al quale nel corso del XI secolo
elargiscono grandi quantità di argento e come diplomatici di alto rango
inviati presso le principali corti del meridione per trattare accordi
commerciali.
Sembra che essi fossero originari di Napoli, alla luce della lettura di
due documenti del 1027 e del 1038 che individuano un certo Leone Cotina
come proprietario di un terreno nei pressi del porto partenopeo e
finanziatore della costruzione di una chiesa a Sorrento.
E) I CARACCI
I Caracci si distinsero soprattutto per la loro funzione amministrativa.
I loro legami con la famiglia dei Kampuli portarono questa famiglia alla
ribalta nell’elite della cittadina laziale già nel X secolo. Sebbene di
origine umile i Caracci furono importanti notai al servizio del ducato.
Per questo ancora nel 1125 la famiglia risulta ancora attiva
nell’amministrazione cittadina, in tale veste.
Abbiamo discusso di molte famiglie, dalle origini diverse e con diversi
interessi economici, ma è sorprendente come le loro storie siano simili.
Molti di questi clan che abbiamo studiato, non disponevano di una grande
quantità di terre, concentrate tra l’altro in alcuni distretti.
Il principale mezzo con cui l’establishment politico poteva ottenere
prestigio e legittimità era il possesso della terra, ma vi era una
sostanziale differenza tra il nuovo gruppo di famiglie aristocratiche e
le precedenti. Questi nuovi clan giocavano già un ruolo attivo nella vita
del ducato, in particolare nelle fila dell’amministrazione cittadina, ma
non furono mai dei grandi proprietari terrieri. La stessa storia
dell’affermazione dei Docibiliani al potere dimostra come una famiglia
che non disponeva di enormi patrimoni fondiari, poteva comunque assorgere
al rango nobile tramite l’accumulazione di ricchezze. Era comunque
necessario tuttavia stabilire dei collegamenti con l’antica aristocrazia,
tramite le unioni matrimoniali, per poter accedere alla possibilità di
ricevere tramite donazioni o vendite a prezzi vantaggioso di tenute o
appezzamenti di terra.
Un elemento di distinzione delle nuove stirpi nobili della città laziale
rispetto alle vecchie, era sicuramente il possesso di un cognome. Mentre
infatti i Docibiliani, i Kampuli, i Cristofori si riconoscevano in
antenato illustre su cui basavano la propria discendenza, le nuove
famiglie erano titolari di un cognome che utilizzavano anche in contesti
giuridici. Secondo Skinner fu l’attività commerciale a favorire la
formazione dei cognomi queste famiglie. I nomi utilizzati a Gaeta erano
molto pochi: Leone, Giovanni, Gregorio, Marino e dall’XI secolo Docibile.
Nella regolamentazione e nella documentazione delle transizioni
mercantili spesso venivano utilizzati dei patronimici per identificare
gli individui ed evitare il caos, ma anche questo espediente presto non
fu più sufficiente. Così i cognomi iniziarono a diffondersi prima
nell’elite mercantile, poi in quelle famiglie che dall’attività
commerciale spostarono i propri interessi verso la proprietà terriera e
la politica ducale. Un’altra ragione per cui queste famiglie si dotarono
di un cognome dipende dall’esterno. Furono infatti i signori normanni e
longobardi, che una volta consolidata la propria autorità sulla città
cercavano l’appoggio di questo gruppo di famiglie bramose di raggiungere
il potere, il che rese necessaria una perfetta identificazione tra i vari
clan, da cui la diffusione dei cognomi agganciati ad una località o a un
mestiere specifico.
Per Skinner è ovvio che durante l’occupazione capuana della città
laziale, le famiglie dell’alta aristocrazia locale beneficiarono dalla
politica di laissez-faire dei nuovi signori, i quali consideravano Gaeta alla
stregua di un piccolo latifondo, lasciando dunque piena libertà alla
nuova elite di spartirsi il potere13.
4) L’ECONOMIA DEL POTERE
La conformazione del territorio di Gaeta ha influenzato enormemente la
vita economica del ducato e condizionato la storia politica. Il
territorio è molto vario, si passa infatti dalle montagne di oltre 1500
metri di quota alle pianure di qualche metro sotto il livello del mare,
nel raggio di pochi chilometri. La maggior parte del terreno non si
presta all’attività agricola, e solo nel XIX secolo vennero realizzati
dei canali per potenziare la produzione agricola della regione.
La dicotomia tra montagne e pianure è una chiave per capire le ambizioni
del ducato di Gaeta, e i suoi successivi fallimenti e successi politici.
E’ possibile suddividere il territorio di Gaeta in 3 zone: la piana di
Fondi e Terracina, le colline centrali attorno Gaeta e la piana del
Garigliano ad est.
13 P. Skinner, “Family Power in Southern Italy, the duchy of Gaeta & its neighbours, 850-1139”, pag. 238
La piana di Fondi all’epoca risultava ricca d’acqua all’epoca, molto più
di quanto non lo sia adesso. Ciò la rendeva perfetta per la produzione
cerealicola sebbene la superficie coltivabile non fosse molto estesa. La
zona di Terracina era invece caratterizza da profonde paludi che dopo
un’attenta opera di risanamento svolta dai duchi locali e conclusasi
intorno al 1092 si rese adatta produzione di grano.
La zona est del territorio sotto l’autorità di Gaeta è caratterizza da 2
grandi fiumi, l’Ausente e il Garigliano. Il primo taglia il fianco est
dei monti Aurunci, formando una vallata che giunge fino a Cassino, si
ricongiunge al Garigliano ed insieme sfociano nel Tirreno. La zona, ricca
anche di altri corsi d'acqua venne chiamata “Flumetica”. A differenza
della piana di Fondi, tutta questa regione compresa tra questi due corsi
d'acqua venne coltivata fin dal medioevo. Ancora oggi sono visibili i
segni dei canali di scolo, lungo la costa costruiti dagli agricoltori per
permettere alle viti e al grano di crescere.
Queste aree coltivabili erano sufficienti a sfamare la popolazione del
ducato? Un ostacolo alla risoluzione del problemi è la mancanza di
informazioni sulla produzione agricola. Dei circa 300 documenti
disponibili per il IX e il X secolo solo 15 si riferiscono all’attività
di messa a coltura delle terre, e alcuni di essi trattano esclusivamente
dei contratti d'affitto.
Qualsiasi tentativo di quantificare la popolazione residente in ciascun
distretto risulta essere un azzardo. Siamo molto lontani dall'epoca dei
censimenti, e dalle fonti in nostro possesso possiamo solo ricavare
l'andamento della popolazione nel medio-lungo periodo. Tra IX e X secolo
si verificò un aumento della popolazione di Gaeta, e nel corso dell'XI
anche gli abitanti di Castro Argento, Suio e in particolare Traetto,
aumentarono.
Con i Docibiliani la popolazione del ducato quadruplicò, beneficiando
delle migrazioni delle famiglie di contadini che scappavano dei territori
sotto attacco dei predoni Saraceni. In tal periodo si registra non solo
un aumento della produzione agricola, ma anche la costruzione di nuovi
mulini, elemento che ci fa supporre come la produzione precedente non
fosse sufficiente per sfamare la popolazione. Infatti anche Gaeta iniziò
ad importare grano14.
Gli investimenti dei cittadini di Gaeta a Napoli sono molto facili da
individuare in virtù delle buone relazioni tra i due stati. I Docibiliani
infatti era soliti trascorre molto tempo nella città partenopea, invitati
dai duchi di Napoli. I sudditi dei duchi di Gaeta erano dunque
incoraggiati ad intrattenere rapporti commerciali con i vicini
napoletani.
Tra le famiglie più importanti che avviarono dei proficui commerci con la
città campana emergono i Gattula i quali nel 1172 comprarono alcuni
vigneti nei dintorni della città, ma già dal 1137 alcuni documenti
attestano le loro attività presso il porto di Napoli. Più tardi, nel 1172
Matteo Gattula viene riportato dalle fonti come il compratore di un
castagneto sul confine tra i due ducati. I commerci con Amalfi risultano
14 D. Abulafia, Le due Italie, pag. 41.
invece molto più complicati da studiare. Fondamentalmente perchè le loro
necessità e le loro offerte combaciavano, quindi i loro scambi sono
limitati ad alcune compravendite di territori tra le famiglie
aristocratiche.
Nei documenti esaminati da Skinner per quel che riguarda Amalfi, Gaeta e
Napoli appare una grande di persone interessate all’acquisto di tenute o
terre oltre i confini del proprio ducato di origine, la studiosa ipotizza
che questa evidenza costituisca una prova tangibile di una relativa
semplicità di spostamento ed investimento. Forse tale facilità di
penetrazione fu una conseguenza dell'inadeguatezza delle strutture
statali nel controllare i propri confini. L''assenza di dogane, la
relativa promiscuità sociali di molte zone interne dei ducati rendevano
facile la possibilità per gli immigrati di valicare i confini ed
insediarsi in un territorio.
La presenza dei nobili stimolava la città economicamente, creando un
mercato per la produzione di beni di consumo ed ottime opportunità di
lavoro per i ceti meno abbienti. Il ruolo di Gaeta, come mercato centrale
è molto visibile. Nella città aveva sede un forum nelle cui prossimità
trovava sede anche un mercato, oltre che a numerose botteghe artigiane i
cui prodotti venivano acquistati dai mercanti locali e rivenduti in altri
porti. Oltre che agli indispensabili fabbri e carpentieri, era possibile
imbattersi nelle officine di gioiellieri, tessitori e muratori.
Meno noti dei vicini amalfitani i mercanti di Gaeta furono impegnati in
un gran numero di attività commerciali. Alcuni mercanti della cittadina
laziale giunsero nella città di Pavia nel X secolo insieme ad alcuni
amalfitani, e le cronache della città riportano infatti l’arrivo di
questo nuovo gruppo di commercianti cum magno negotio. Inoltre un gruppo di
mercanti del porto laziale sembra che con il tempo si fosse acquistato la
simpatia della famiglia imperiale bizantina.
A Gaeta molti aristocratici avevano interessi commerciali, ma le nuove
famiglie emergenti dell’XI e del XII secolo facevano dell’attività
mercantile la loro principale, se non unica, fonte di ricchezza, almeno
prima di venire in possesso di una proprietà fondiaria.
Le relazioni tra Gaeta e le città del nord subirono un brusco cambiamento
intorno alla metà del XII secolo, in virtù degli eventi politici che
sconvolsero il meridione. Quando Ruggero divenne re nel 1130 la sua
principale preoccupazione fu quella di stabilire un forte controllo su
tutte le varie entità politiche. A tal proposito l’alleanza costituita
dal principe di Capua e il duca di Napoli venne formata proprio per
opporsi al regime regio, ma l’esercito Normanno riuscì a piegare la
strenua difesa dei napoletani e dei capuani già nel 1137.
Gaeta fu più accondiscendente nei confronti del nuovo re, tale fedeltà fu
premiata dai Normanni. Alcuni aristocratici entrarono a far parte della
corte normanna, ciò nonostante la città subì le incursioni di alcuni
gruppi di cavalieri che costrinsero alcune delle famiglie del ceto
mercantile a lasciare Gaeta per Genova. Bonus Manganella ad esempio si
insediò a Genova nel 1190 divenendo un rispettabile notaio.
E’ difficile giudicare l’importanza degli scambi commerciali in queste
città quando la maggior parte delle fonti utilizzate trattano di
transizioni fondiarie. Il fatto è di per se significante, poiché indica
che molti commerci non avrebbero potuto stabilirsi senza le risorse
incamerate dalla proprietà terriera.
5) CONCLUSIONI
La storia del ducato di Gaeta non è che una contraddizione secondo
Patricia Skinner. I documenti del X secolo presentano l’immagine di uno
stato dal territorio poco esteso, fortemente controllato da alcune
famiglie nobili. La centralità della rocca di Gaeta, dimostra che le
necessità difensive furono anteposte al momento della scelta di una base
politica nel territorio a quelle politiche-economiche. Le acquisizioni da
parte della famiglia Docibiliana e il ruolo svolto dai patrimoni di Fondi
e Traetto nella costruzione del potere politico del ducato dimostrano la
maggiore importanza dei territori orientali rispetto a quelli occidentali
e centrali.
La forte continuità delle istituzioni e dei titoli di origine bizantina,
all’interno dell’amministrazione della città, appare in forte contrasto
con l’assenza di una forte presenza imperiale su tutto il litorale
tirrenico esaminato, dove nonostante l’influenza culturale, non venne mai
esercitato alcun potere politico.
Nessuno dei pubblici ufficiali sembra avere una funzione ben determinata.
I giudici, uno dei pochi gruppi che nelle fonti appare con più frequenza,
sembra che siano più impegnati nel ruolo di esecutori testamentari che
nel presiedere i tribunali cittadini. Occasionalmente essi venivano
deputati dal duca al ruolo di tutori dei minori delle famiglie nobili
della città.
Secondo Patricia Skinner occorre proseguire questo genere di studi al
fine di colmare quelle lacune che emergono nella maggior parte della
storiografia disponibile per il mezzogiorno, concentrata più sulle
evoluzioni dinastiche che sulle dinamiche socio-economiche, altrettanto
importanti per comprendere il peculiare sviluppo della regione. Con tale
ottica, secondo la studiosa, occorrerebbe uno sforzo maggiore da parte
degli storici nell’analizzare la trama assai intricata delle fonti
diplomatiche, avvicinandosi così di più allo studio delle funzioni
amministrative dei poteri sovrani e delle loro attività economiche,
abbandonando l’utilizzo delle cronache, più immediate ma prive di
informazioni su questi temi.