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INTRODUZIONE
Usciti dalla seconda guerra mondiale il crollo dell'URSS, l'avanzata della globalizzazione capitalista
centrata sul ribasso dei costi per massimizzare i profitti, la nuova concorrenza dei paesi emergenti e
il controllo delle materie prime, rappresentano le principali cause degli interventi e delle guerre
contemporanee. Secondo il sociologo Thierry Brugvin "La fine della guerra fredda ha fatto
precipitare la fine di una regolazione dei conflitti a livello mondiale. Fra 1990 e 2001 il numero dei
conflitti interstatali è esploso: 57 conflitti maggiori su 45 territori distinti. Le guerre permettono di
controllare economicamente un paese, ma anche di fare in modo che le imprese private di una
nazione possano accaparrarsi le materie prime (petrolio, uranio, minerali ecc...) o le risorse umane
di un dato paese".
Dopo l'11 settembre 2001 la retorica delle guerre si è fondata sul pericolo islamista, contribuendo a
sviluppare un' islamofobia e producendo dall'altro lato un solido odio per l'Occidente.
Attraverso i media il mondo intero ha visto le immagini agghiaccianti degli attentati parigini, scene
che assomigliano ad un thriller ma di finzione qui non c'è proprio nulla.
L'abilità dello Stato Islamico di manipolare i social media nella sua guerra di conquista in Medio
Oriente ci viene riproposta nell'attentato di Parigi contro la rivista satirica Charlie Hebdo. E'
evidente che gli attentatori puntavano a questo tipo di pubblicità. Ma chi erano gli attentatori? A
quale gruppo terroristico appartenevano? Perchè hanno agito in questo modo? Per rispondere a
queste domande, riporto brevemente l'evoluzione del gruppo terroristico di Al Qaeda fino alla
nascita dell'Isis, spiegandone la sua evoluzione.
Cos'è l'Isis?
L'Isis, Stato Islamico dell'Iraq e della Siria, spesso abbreviato in Is, è un gruppo terroristico nato da
Al Qaeda, di natura jihadista, guidato da Abu Bakr Al Baghdadi che successe Abu Musab al
Zarqawi, capo di Al Qaeda dopo la morte di Osama Bin Laden. La creazione di un Califfato nei
territori conquistati dai militari dello Stato Islamico in Siria e Iraq, è l'obiettivo dell'Isis che impone
a questi territori la Sharia ovvero la legge islamica. All'inizio si cerca un approccio leggero con la
popolazione locale, reclutando combattenti del luogo e non solo stranieri come faceva Al Qaeda. A
quel punto viene fondato l'Isis che arriverà a sostituire Al Qaeda e al Baghdadi decide che Jabat al
Nusra diventi una branca del movimento. Ma all'interno di questa branca si crea un conflitto, infatti
al Joulani (uno dei capi del gruppo) si stacca dall‟Isis e dichiara di essere fedele ad Al Zawahiri, il
nuovo capo di Al Qaeda. La rete dell'Isis si espande al di fuori dei confini del Califfato, essendo
l'organizzazione terroristica più ricca di sempre grazie anche al pagamento dei riscatti e a un forte
finanziamento che deriva dal Qatar dove ci sarebbero le casse dello Stato islamico.
Oggi l‟ISIS è diventata l‟organizzazione terroristica più potente, così influente da potersi sostituire
ad Al Qaeda in diverse aree della regione. Questo perché l‟ISIS non è una copia di Al Qaeda e i
miliziani dello Stato Islamico operano in maniera differente da quelli della rete del terrore messa in
piedi da Osama Bin Laden. È sufficiente guardare la strategia di comunicazione dei due gruppi: Bin
Laden nascosto in una grotta a Bora Bora; video con inquadrature fisse e sgranate. L‟ISIS fin da
subito invece ha mostrato di avere una discreta competenza comunicativa, filmati in alta
definizione, inquadrature dinamiche e scelta dei colori molto precisa. Oltre naturalmente al fatto di
usare le esecuzioni degli ostaggi per spettacolarizzare ulteriormente il messaggio che i soldati del
califfato mandano all‟Occidente.
Naturalmente tutto questo non sarebbe possibile senza un esercito ben addestrato (e molti
combattenti dell‟Isis sono ex militari dell‟esercito di Saddam Hussein). L‟Isis può contare in Iraq e
in Siria su circa 20.000-30.000 effettivi, quindicimila dei quali sono rappresentati dai cosiddetti
“foreign fighters” i combattenti provenienti dalle altre parti del mondo che arrivano in Siria per
unirsi alla causa dello Stato Islamico.
I soldati dello Stato Islamico vogliono ripercorrere le gesta dell‟Islam, conquistare la penisola
arabica e lanciarsi in una guerra santa. Per noi europei, che le guerre di religione e le crociate
abbiamo smesso di farle da qualche secolo la cosa sembra incredibile, ciò non significa che non sia
un‟ipotesi realistica da tenere in considerazione. La narrativa sviluppata dal Califfato mira proprio a
questo: ad accreditarsi come i veri difensori dei valori dell‟Islam, gli unici in grado di interpretare la
dottrina musulmana e di metterla concretamente in atto senza sporcarla con le pratiche degli
occidentali.
Il contenuto e la struttura del mio lavoro vogliono mettere in evidenza, come l'attentato, avvenuto
presso e a discapito della rivista satirica Charlie Hebdo, è stato narrato attraverso i media
tradizionali e quelli di nuova generazione; come il potere dei social media ha agito sull'opinione
pubblica e come gli stessi appartenenti al gruppo terroristico hanno usato e continuano ad usare,
come assoluti professionisti del settore, tutta la strumentazione, tutte le modalità e tutte le strategie
di comunicazione 2.0.
CHARLIE HEBDO
Charlie Hebdo nasce nel 1970 come versione francese della rivista di fumetti italiana Linus, con la
quale condivide molti autori d'importazione, tra cui le strisce di Peanuts di Charles M. Shultz.
Dieci anni dopo la fondazione il mensile di fumetti e satira viene
concepito come un periodico settimanale.
Quando nel 1970 muore De Gaulle, il settimanale, che porta ancora il
nome "Hara Kiri", esce con una copertina vuota e lo strillo: "Ballo tragico
a Colombery: un morto", dove Colombey-Les-Deux Eglises è il luogo
della morte dell'ex presidente francese. Il giornale viene sottoposto
immediatamente a censura e diffidato dal riprendere le pubblicazioni.
I fondatori, Cavanna e Bernier, utilizzano lo stratagemma del cambio nome, la rivista prende il
nome di Charlie Hebdo, dal personaggio dei Peanuts le cui vicende sono pubblicate all'interno del
settimanale.
Il giornale continua a pubblicare ininterrottamente fino al 1981, quando è costretto a chiudere a
causa di difficoltà economiche legate all'assenza di pubblicità e insufficienza di vendite.
Il primo numero dopo la rinascita nel 1992 vede ben 120.000 copie vendute. La linea editoriale è di
estrema sinistra, nonostante un avvio rigido dal punto di vista della satira, indirizzata a senso unico
verso obiettivi conservatori, molte divergenze verranno alla luce negli anni, come il caso nel 2002
della difesa della linea di Oriana Fallaci sull'aggressione dell'Islam alla vecchia Europa, la "crociata
al contrario". Nel 2005 il giornale si schiera per il "No" al referendum sulla costituzione europea.
L'anno successivo è di svolta. Il numero del' 8 febbraio 2006 arriva a vendere quasi 400.000 copie
in successive ristampe a causa della pubblicazione di vignette satiriche su Maometto acquistate dal
giornale danese per condannare l'autocensura sull'Islam dei paesi europei. Il Consiglio Islamico di
Francia chiede il ritiro, anche il presidente Chirac è critico nei confronti di Charlie Hebdo.
Nonostante l'Unione delle Organizzazione Islamiche di Francia abbia trascinato i responsabili del
settimanale in tribunale, la sentenza sarà a favore
di quest'ultimi.
Nel 2011 arriva il primo attentato alla sede del
giornale. Una molotov incendia la redazione
mentre il sito del giornale viene oscurato con
un'immagine della Mecca. In tutta risposta, il
giorno seguente il nome della testata è modificato
in "Charìa Hebdo" e Maometto diviene "direttore
responsabile". L'ultima querela con l'Islam, prima
della strage del 7 gennaio 2015, è di tre anni
prima, nel 2012. Il 19 novembre escono altre vignette satiriche su Maometto, in questa occasione i
leader di destra Marine Le Pen e Francois Fillon difendono la libertà di Charlie Hebdo. La mattina
del 7 gennaio 2015 accade un tragico massacro presso la sede del settimanale ad opera di terroristi
islamici.
L'ATTENTATO
Quindici minuti prima dell'assalto, la rivista aveva pubblicato sul
profilo Twitter una vignetta su Abu Bakr al Baghdadi, leader dello
Stato islamico. Il tweet mostrava una vignetta del leader con una
didascalia enigmatica: "Auguri. Anche a te, al Baghdadi", alla quale
in personaggio replica: "la salute innanzitutto".
L'attacco, durato 5 minuti, ad opera di due killer jihadisti franco-
algerini ed di un terzo uomo, autista delle auto utilizzate per la fuga,
ha provocato 12 vittime e 11 feriti tra i quali il direttore del settimanale, Stephan Charbonnier, detto
Charb, e i più importanti vignettisti: Cabu, Tignous, Philippe Honore' e Georges Wolinski, molto
famoso anche in Italia. Nell'attentato è rimasto ucciso anche l'economista Bernard Maris, azionista
della testata parigina e collaboratore di France Inter. E una donna Elsa Cayat psicologa e
psicoterapeuta che teneva una rubrica ogni due settimane sul magazine. Due poliziotti sono stati
freddati durante la fuga, uno di questi finito con una vera e propria esecuzione.
L'attentato è stato studiato nei minimi dettagli, avvenuto di mercoledì, giorno della riunione
settimanale della redazione. Gli attentatori erano informati sulla presenza delle persone poi uccise,
hanno operato per conto di Al Qaeda, rivendicando il Profeta ed uccidendo Charlie Hebdo.
In molti considerano l'attentato a Charlie Hebdo l'11 settembre d'Europa, un attacco al sacro diritto
alla libertà di espressione, caposaldo della nostra democrazia. Ma fino a che punto è giusto
spingersi nella critica e nella provocazione di culture di culture differenti? Già nel 2006 il
settimanale satirico decise di ripubblicare le vignette del giornale danese Jjlland Posten che avevano
provocato un'ondata di violenza a causa della raffigurazione, ritenuta blasfema, del profeta
Maometto.
LIMITI ALLA LIBERTA' DI ESPRESSIONE
I fatti di Parigi hanno riaperto il dibattito sulla libertà di stampa, l'opinione
pubblica è infatti divisa, da un lato ci sono quanti pensano che la libertà di
espressione debba essere tutelata; dall'altro, si collocano colore che, pur
difendendone il principio, ritengono che esse debba avere limiti precisi,
legati al senso del rispetto per gli altri e per le loro idee. Per esser precisi,
alcune limitazioni già esistono, si pensi, ad esempio, al reato di
diffamazione. Le vignette di Charlie Hebdo hanno posto al centro
dell'attenzione l'atteggiamento da mantenere di fronte alla religione. Se per
alcuni è naturale che la libertà di espressione coinvolga anche questa sfera,
per altri sarebbe meglio evitarlo. E' una posizione rintracciabile in un'ampia
ed eterogenea parte dell'opinione pubblica, laica e non, cristiana e musulmana, dal Finacial Times al
capo della Chiesa cattolica romana, secondo cui, come dichiarato dal Papa Francesco "se qualcuno
mi dice una parolaccia contro la mia mamma, gli arriva un pugno! E' normale! Non si può
provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede".
Come tutti i diritti, anche quello della libertà di espressione non dovrebbe essere inteso privo di
limiti etici. La libertà di deridere una religione si scontra con il diritto al rispetto e all'onorabilità
culturale e religiosa. La rivista sembra mandare il messaggio, che per appartenere alla società della
Rèpublique non bisogna solo abbandonare il dogma fondamentalista ma anche religione e cultura.
Una sorte di omologazione, ricalcando così l'ipocrisia del pluralismo dello stato liberale.
Il rispetto delle idee e dei valori altrui è una questione da non trascurare, ma sarebbe pericoloso per
le democrazie europee reagire agli avvenimenti parigini con la limitazione della libertà di
espressione. In un eventuale riduzione della libertà di espressione si scorge il rischio della messa in
discussione del principio di laicità. A chi invita a evitare l'ironia verso le religioni bisogna ricordare
che fu proprio l'ironia una delle armi adoperate per mettere in discussione il potere assoluto, politico
e religioso, un'arma che non ha mai ucciso e che invece ha contribuito a rendere possibile ai vari
Stati europei di procedere sui tortuosi cammini della tolleranza, della democrazia e della libertà.
#JE SUIS CHARLIE?
Le immagini di ciò che è accaduto, vengono trasmesse dai telegiornali
nazionali con un lieve taglio, quasi impercettibile. Si vede uno dei due
attentatori avvicinarsi all'agente Merabet, per poi camminare già sul
marciapiede ed il poliziotto esanime alle sue spalle. Un'accortezza per
non urtare la sensibilità dello spettatore come se il fatto in sè non
l'avesse già turbata. Nei due giorni successivi i media tentano di
raccontare il blitz delle forze speciali, gli inviati e gli esperti si
alternano in una narrazione differita non potendo mostrare quel che
avviene. Non ci sono immagini all'altezza della tensione, l'evento è diluito ma si sblocca, due
pomeriggi dopo, e non si tratta di un finale ne positivo ne negativo.
I social media microeventificano gli accadimenti, modulandoli sui nostri profili e personalizzandoli.
Poco meno di un'ora dopo l'attentato, Joachim Roncin, giornalista di musica francese per la
rivista Stylist, è stato il primo a pubblicare un‟immagine con la scritta “Je Suis Charlie” su
Twitter. La frase è stata usata come messaggio di solidarietà e di difesa della libertà d‟espressione,
dopo gli attentati alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. L‟hashtag #JeSuisCharlie è
diventato uno dei più popolari di sempre su Twitter, le immagini che riproducono lo slogan sono
state viste in decine e decine raduni e manifestazioni in tutto il mondo, sono arrivate sulle prime
pagine della stampa internazionale e negli avatar di milioni di persone sui social network.
Mentre i media tradizionali non mostrano il gesto brutale dell'esecuzione del poliziotto disarmato, i
nuovi media non applicano queste censure.
La virtualità delle comunità online e l'insieme di questa comunicazione trova il suo corpo esemplare
nell'enormità della marcia di place de la Rèpublique, l'11 gennaio, il giorno in cui la Francia cerca
di ricomporre la sensibilità violata. Ancora una volta è un'immagine a catturare l'attenzione, ad
essere trasformata in uno specchio in cui guardarsi ed offrire al coro di voci e di tweet il copione di
un'identità. Si può essere o non essere Charlie.
Ovviamente nei momenti immediatamente successivi al tragico evento, i sentimenti più diffusi
erano di dolore e condanna. Ma l'emotività non poteva rendere credibile nei media una lettura
unilaterale e parziale dell'evento e neanche l'uso scorretto e fuorviante delle parole. I mass media
hanno insistito sulla rivendicazione di matrice religiosa dell'attentato esaltandone la valenza
esplicativa fino ad innescare una completa identificazione pericolosa tra rivendicazione jihadista,
religione musulmana e sovrapposizione con l'immigrazione. Non a caso ci sono state letture diverse
degli stessi eventi.
In Francia c'è stata una contrapposizione tra Occidente moderno (laico, libero e democratico) e un
Islam oscurantista che riflette la parte negativa delle antinomi della modernità. L'immigrazione non
viene usata per l'esternalizzazione degli eventi, visto che persone di altri paesi, sono presenti tra i
carnefici e le vittime, basta ricordare il poliziotto Ahmed. Il giorno successivo all'attentato, la stessa
rivista, pubblica una nuova vignetta rappresentata con un Maometto con il viso bagnato da una
lacrima e in mano il cartello 'Je suis Charlie'. Se per la redazione di Charlie Hebdo quella di tornare
su Maometto era forse l'unica reazione possibile per mostrare che potevano andare avanti, le
reazioni che ha provocato in Francia e nel mondo non sono pacifiche. Mentre i giornali francesi
mostrano tutta la loro solidarietà ai colleghi della rivista con numerosi speciali, le reazioni nel
mondo sono varie.
Diversi media americani, così come quelli anglosassoni, hanno scelto di censurare le vignette con
Maometto che possono essere ritenute offensive, limitandosi a descrivere le vignette satiriche
disegnate negli anni e che spesso hanno provocato la reazione violenta dei musulmani.
In Turchia, il giornale fondato da Atakurk nel 1924 ha avuto un accordo per pubblicare due terzi del
contenuto del nuovo Charlie, mentre in paesi arabi di lingua francese il settimanale non è stato
distribuito.
L'organizzazione jiahista dello Stato Islamico attraverso la sua radio ha definito "estremamente
stupida" da parte del "giornale ateo" la pubblicazione del Maometto piangente, spiegando come il
settimanale abbia scelto di sfruttare gli eventi per ricavarne un beneficio materiale. Anche per il
portavoce della diplomazia iraniana il disegno è lesivo dei sentimenti dei musulmani e per la
principale autorità dell'Islam in Egitto questa immagine potrebbe riattivare l'odio.
In Italia è prevalsa una lettura che identifica il terrorismo, la religione islamica e l'immigrazione
senza neanche operare una distinzione tra musulmani e i non musulmani. Per i media italiani gli
eventi di Charlie Hebdo sono usati per riportare alla ribalta e rinforzare il fantasma
dell'islamizzazione della società e attraverso l'identificazione tra islam e migrazioni, rivendicare la
retorica dell'immigrazione come una minaccia e imporre nell'opinione pubblica l'idea della
necessità di porre un freno.
COS'E' LA NARRATIVA? Teorie ed applicazione
Molti studiosi, esperti in studi letterari e linguistici trattano la narrativa come un modo di
comunicare, spesso, però, contrastanti con le argomentazioni e le esposizioni. La narrativa è un
mezzo cruciale per generare, mantenere, mediare e rappresentare il conflitto in tutti i livelli
dell'organizzazione sociale.
Secondo Labov la narrativa è un metodo di ricapitolazione delle esperienze passate attraverso la
combinazione di sequenze verbali di frasi, e sequenze di eventi realmente verificatisi. Elabora una
divisione della narrativa orale in sei componenti: abstract, orientation, complicating action,
evaluation, result or resolution e coda.
Secondo Baker la narrativa è una storia pubblica e personale che si sottoscrive e che guida il
comportamento. Ewick e Silbey definiscono la narrativa come una sequenza di affermazioni
connesse attraverso un ordine temporale e morale.
Per Somers e Gibson, invece, la narrativa non è concepita solo come una modalità di
comunicazione, ma come principale e inevitabile modo con cui vivere il mondo. Tutto quello che
sappiamo è il risultato di numerose storie trasversali in cui gli attori sociali si collocano.
Distinguono la narrativa in ontologica, pubblica, concettuale e meta-narrativa.
La narrativa ontologica si riferisce ad una storia personale che racconta il posto nel
mondo dei singoli individui. Ma anche il più personale dei racconti si basa
sull'invocazione dei racconti collettivi, simboli, formulazioni linguistiche e strutture,
senza i quali le narrative personali resterebbero incomprensibili e interpretabili. E'
usata per definire chi siamo, precondizione per sapere cosa fare. La stessa narrativa
ontologia si compone di tre tipologie diverse: la narrativa stabile ritrae gli individui
in situazioni stabili con piccoli o assenti cambiamenti, favorita dal desiderio della
società mondiale di apparire ordinata e prevedibile; la narrativa progressiva descrive
un modello volto al miglioramento, offre l'opportunità per le persone di guardare se
stessi e il loro contesto come possibilità di migliorarsi e la narrativa regressiva pone
l'accento su un modello di declino o cambiamento verso il peggio.
La narrativa pubblica è definita come una storia elaborata attraverso il contributo di
formazioni istituzionali e sociali superiori all'individuo, come la famiglia, la
religione o le istituzioni educative, i media e la nazione. Essa può diventare un
simbolo per un popolo, per un movimento o un' ideologia che può portare a
cambiamenti drastici nel tempo. Può essere adattata alle stesse culture in risposta a
cambiamenti dello spazio politico e sociale. La traduzione e l'interpretazione giocano
un ruolo cruciale per la divulgazione della narrativa pubblica all'interno delle
comunità e assicurano che tutti i membri della società, compresi i recenti immigrati,
condividano l'idea del mondo promossa da queste storie condivise. La narrativa
pubblica potrebbe, quindi, inizialmente essere elaborata all'interno di un piccolo
contesto domestico ma la sua sopravvivenza e la sua promozione dipende
dall'articolazione in altri dialetti, linguaggi e contesti non domestici.
La narrativa concettuale viene considerata come un concetto o una spiegazione che
sostiene la sfida concettuale che la narrazione pone, cioè sviluppare un vocabolario
sociale analitico che sostiene l'affermazione che la vita sociale, le organizzazioni
sociali, le azioni sociali e le identità sociali siano narrabili e costruite attraverso le
narrazioni ontologiche e pubbliche. Somers e Gibson si focalizzano sulla disciplina
della sociologia, distinguendo tre categorie: sociologia della narrazione; sociologia
attraverso la narrazione e sociologia come narrazione. La narrativa viene vista come
il risultato di un'indagine e la rappresentazione è elaborata da ricercatori. Alcune di
queste narrative possono avere un impatto considerevole sul mondo, altre
rimangono limitate allo stretto ambito della comunità di studiosi. Come con le
narrative pubbliche, traduttori e interpreti possono scegliere se accettare e
promuovere o contestare e cambiare un determinato concetto narrativo.
La meta narrativa è definita come una narrativa nella quale gli individui vengono
considerati come attori contemporanei della storia. Il progresso, la decadenza,
l'industrializzazione possono essere ritenuti fautori dei drammi del nostro tempo,
come gli scontri tra: Capitalismo vs. Comunismo; Individui vs. Società;
Barbarismo/Natura vs. Civiltà. Un potenziale candidato per la meta narrativa, oggi, è
la narrativa pubblica della "Guerra del Terrore", la quale è promossa e
aggressivamente sostenuta da una miriade di canali in tutto il mondo, ottenendo
rapidamente lo stato di super-narrativa che attraversa confini geografici e nazionali
ed influenza rapidamente la vita di ognuno in tutti i settori della società. La scelta del
"terrore" piuttosto che del "terrorismo" è significante e offre un buon esempio del
lavoro deduttivo richiesto per il successo della circolazione e l'adozione di narrative
in generale e delle meta narrative in particolare. "Terrorismo" si riferisce a uno o più
incidenti che implicano violenza, con locali o contenibili impatti. "Terrore" è uno
stato della mente che può rapidamente espandersi attraverso confini e abbracciare
tutto nella sua presa. Con i fatti di Parigi si assiste all'avanzamento del conflitto,
iniziato nel 2001 con l'attacco alle Torri Gemelle. Il termine attacco definisce un atto
di guerra che usa il terrorismo come strumento, quest'ultimo viene usato, infatti, per
eventi considerati per loro natura occasionali, anche se numerosi e devastanti. Una
guerra è invece innanzitutto un atto politico: richiede una piattaforma ideologica che
aggrega i suoi soldati, un obiettivo che li motivi, una pianificazione di forze,
strumenti, armi e progetti. Questo sforzo
bellico conta oggi assi orizzontali e verticali
di collaborazione nel mondo tra le
organizzazioni, unisce Isis e al Qaeda, va dal
cuore dell'Africa all'Europa, al Medioriente,
può spingersi a mobilitare risorse in tutti i
paesi, dai più avanzati ai più lontani
dell'estremo oriente. E l'Europa che ne è solo
il nemico, ne è anche pieno titolo una delle
madri, senza la ricchezza, la scienza, la libertà dell'Europa questa guerra avrebbe
avuto un corso completamente diverso (Annunziata, 2015).
Oggi, negli studi sulla traduzione si parla di metanarrativa, nella quale il traduttore è
concepito come un onesto intermediario e la traduzione un mezzo di autorizzazione
al dialogo tra differenti culture che migliora le abilità dei membri di esse a conoscere
e capire le altre. Perciò, la comunicazione, il dialogo, la comprensione e la
conoscenza sono elementi positivi che conducono alla giustizia, alla tolleranza, alla
pace e al progresso. Una narrativa deve avere un impatto mentale e temporale, un
senso di inevitabilità e di non possibilità di fuga, e questi sono proprio gli elementi
che qualificano la metanarrativa. Il terrore rappresenta queste figure molto meglio
del terrorismo. Somers e Gibson affermano che la „War on Terror‟, creata da parte
dell‟elite politica statunitense, è stata seguita immediatamente da altre politiche. La
sua ampia circolazione di portata globale richiede un tipo di economia e cultura che
solo una super potenza può ottenere. Ma i paesi musulmani, pur avendo un potere
politico limitato, possono vantare della metanarrativa dell‟Islam, la quale,
probabilmente ha una diffusione più vasta che ogni altra narrativa religiosa con
centinaia di milioni di credenti nel mondo. Draper usa la traduzione come una
metafora nel suo studio sulle strategie retoriche, influenzate dal frame della violenza
politica dal settembre 2001. Gli Stati Uniti, infatti, hanno giustificato le azioni
intraprese dopo l‟11 settembre tramite la traduzione di qualsiasi atto violento con il
termine di „terrorismo‟. Questa modalità di traduzione implica un passaggio che
conduce da un atto, puro esempio di violenza, ad un discorso di terrorismo.
Descrivendo un qualsiasi atto violento come „terrorismo‟, esso si riqualifica come un
prodotto di pura negatività, un prodotto che può, quindi, essere inscritto con qualsiasi
connotazione morale o politica che il narratore ritenga più conveniente. Nella
traduzione di notizie la strategia dominante è l‟assoluta domestication, cioè il
materiale è plasmato con l‟obiettivo di essere consumato da un target di pubblico,
così, da essere adattato alle esigenze e alle aspettative di questo pubblico. La
possibilità di cambiare le angolazioni della notizia, con lo scopo di soddisfare meglio
le aspettative ed i bisogni di un pubblico differente, spinge la nozione di equivalenza
al suo limite rivelando come differenti versioni di notizie di eventi globali possano
funzionare in contesti locali molto diversi.
NARRATIVA DI GUERRA. Il potere mediatico dell'ISIS
"In futuro nessun brand potrà fare a meno di una strategia social". Questo che per anni è stato il
mantra di qualsiasi ufficio marketing del mondo, oggi è stato adottato anche dalla più efferata
organizzazione terroristica in Medio Oriente, diventata maestra nell'utilizzo delle tecniche di
comunicazione digitali.
Capostipite della comunicazione del terrore 2.0 fu il terrorista Osama Bin-Laden che terrorizzava
l'occidente da una caverna minacciando il mondo occidentalizzato. A differenza di quel periodo,
oggi ogni combattete ha l'opportunità di far girare il proprio messaggio e di documentare la proprio
vita grazie a smartphone ed account twitter. L'Isis si è dimostrato particolarmente abile nell'utilizzo
delle tecniche digitali per diffondere il suo messaggio. La loro controversa politica di decapitazione
non ha giovato alle loro pubbliche relazioni e non gli ha garantito larga popolarità all'interno
dell'opinione pubblica, proprio per questo i mezzi di comunicazione digitali diventato il mezzo
ideale per comunicare la propria versione, il proprio messaggio ed ovviamente reclutare nuovi
partecipanti. La strategica comunicativa dell'Isis è stata progettata dal mago dei computer Ahmad
Abousamra, essa ruota attorno a twitter e segue due obiettivi precisi: terrorizzare i propri nemici e
ottenere nuovi alleati.
Secondo J.M Berger, osservatore delle tecniche di comunicazione dei gruppi terroristici, le grandi
corporations vorrebbero essere bravi almeno quanto lo sono quelli dell'Isis. I jiadisti 2.0 dispongono
di strumentazioni sofisticate non trascurando nessun dettaglio. Basti pensare, che fino a poco tempo
fà era possibile scaricare dal Play Store di Google un app chiamata "The Dawn of Glad Tidings"
tramite la quale i gestori degli account ufficiali dell'Isis potevano utilizzare gli account dei seguaci
per poter mandare i loro messaggi unificati. Conquistando un paese dopo l'altro, l'Isis ha dimostrato
che la guerra viene combattuta sia per la conquista del territorio che della narrativa del messaggio. I
due hashtag più usati sono stati: #Baghdad_is_liberated e #Iraq_is_liberated. Esiste anche una
miniserie pubblicata su Youtube chiamata Mujatweets con lo scopo di promuovere la vita politica
all'interno della società civile giordana.
La maggioranza dei media si è focalizzato sull'aspetto più cruento della comunicazione dell'Isis,
contribuendo ad alimentare il messaggio di terrore tra l'opinione pubblica e spingendo i
simpatizzanti a cercare canali di comunicazione unilaterali.
La nuova guerra non viene più combattuta esclusivamente militarmente e per il controllo del
territorio, ci troviamo di fronte alla formazione di una nuova generazione di terroristi che utilizza
magistralmente una corporate communication.
CONCLUSIONE
Con questo mio lavoro spero di aver mostrato una chiara panoramica di ciò che è successo alla
rivista Charlie Hebdo, spiegandone il potenziale motivo e le modalità impiegate sia dai media che
dai terroristi stessi per narrare l'accaduto.
Mostrando in senso lato le varie teorie proposte dagli studiosi letterari e linguistici, le caratteristiche
della narrativa e le sue applicazioni, ho voluto ricollegare ed inserire l'attentato in una determinata
tipologia di narrativa introducendo anche il concetto di "War on Terror" che ha modificato
sostanzialmente le percezioni di ciò che accade globalmente, creando uno stato di allerta e
allarmismo riconducibile a tutti gli avvenimenti, terroristici e non, che colpiscono inaspettatamente
le varie parti del mondo.
La crescita del potere dei media è una delle principali realtà del nostro tempo. I giornalisti si sono
tradizionalmente attribuiti un ruolo di vigilanza nei confronti del potere, fosse esso politico, militare
o economico.
In tutto il mondo i governi, i terroristi, le grandi imprese assegnano la massima priorità alla
diffusione del proprio messaggio attraverso i media. L' 11 settembre 2001, i terroristi di Al Qaeda
sfruttarono il potere dei media per moltiplicare milioni di volte l' impatto della loro terribile azione.
L' 11 settembre è diventato l' 11 settembre perché mezza umanità ha potuto guardare in diretta il
crollo delle torri gemelle in tv e molti hanno potuto rivederlo sugli schermi del computer, replicato
24 ore su 24, 7 giorni su 7 dai media globali su piattaforme multiple. Lo stesso vale per la guerra in
Iraq. Il convincimento comune a molti che Saddam Hussein disponesse di armi di distruzione di
massa era solo frutto dell' inganno messo in atto dai governi di Washington e di Londra, che
diffondendo informazioni distorte per il tramite del New York Times e di altri media di consolidata
reputazione, normalmente credibili, fecero passare il falso per vero. Lo stesso vale per l'attentato
alla rivista Charlie Hebdo. Per i media come per gli armamenti l' accresciuta potenza è frutto dell'
innovazione tecnologica. Nel giornalismo come in guerra le nuove tecnologie danno luogo a
opportunità senza precedenti, e a rischi altrettanto imponenti. Esistono possibilità di manipolazione,
distorsione e istigazione che prima non c' erano. Pensiamo al ruolo dei siti web jihadisti radicali nel
reclutamento dei terroristi locali in Europa. Più che mai conta sapere come queste armi
straordinariamente potenti vengono utilizzate, per illuminare le masse, per ingannarle o per
stimolarle, e questo dipende dai valori che guidano chi le maneggia.
L‟Unione europea si attrezza per combattere il terrorismo del fondamentalismo islamico sul campo
in cui si è dimostrando più forte: quello della propaganda e del reclutamento online. Non sarà una
vera “contro-propaganda”, quanto piuttosto una “contro-narrativa” comunitaria per contrastare
quella estremista. A metterla in atto sarà il cosiddetto Syria strategic communications advisory team
(Sscat), una cellula di esperti di comunicazione che si occuperà di aiutare gli Stati a scambiare
buone pratiche e a capire come combattere la propaganda fondamentalista che tanto utile si sta
dimostrando nel reclutamento dei cosiddetti foreigh fighters. L‟idea non è nuova ma, dopo gli
attentati di Parigi, ha ricevuto nuovo slancio ed è sostenuta anche dai ministri dell‟Interno dei Paesi
Ue nel corso della riunione tenuta a Parigi sul terrorismo all‟indomani degli attentati. Una gran
parte della lotta dell‟Unione europea contro il terrore passa attraverso internet. Dopo gli attentati di
Parigi, i ministri degli Interni Ue hanno anche sottolineato la necessità di creare una partnership con
i maggiori provider Internet per creare un sistema per individuare e rimuovere rapidamente tutto il
materiale online che punta a incitare all‟odio e al terrore. Un meccanismo di questo genere sarebbe
“essenziale", sempre più spesso, infatti, chi si radicalizza non ha bisogno di andare lontano perchè il
fondamentalismo attecchisce in prigione o, appunto, su internet.
Insomma non si è più di fronte al tipico fenomeno dei combattenti di ritorno dai campi di battaglia
del Medio Oriente. Soltanto uno dei tre terroristi degli attentati di Parigi, infatti, si era addestrato in
Yemen, mentre gli altri non avevano mai ricevuto formazione all‟estero. Quello a cui siamo di
fronte è dunque in molti casi un terrorismo “domestico” ancora più difficile da individuare e dunque
da combattere e contro cui sono tanto più importanti politiche preventive anti-radicalizzazione.
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