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Corso di laurea in Scienze dell’Educazione A. A. 2012 / 2013 Istituzioni di Linguistica (M-Z) Dr. Giorgio Francesco Arcodia ([email protected] ) 1. La variazione diastratica Variazione in rapporto alla posizione che il parlante occupa nella stratificazione sociale. variabili: grado di istruzione, modelli culturali e comportamentali di riferimento, età / appartenenza generazionale, appartenenza di gruppo (marginalmente, anche il genere) distinzione di massima tra varietà ‘alte’ (di prestigio) e ‘basse’ (devianti dallo standard, valutate negativamente dalla comunità parlante)

Corso di laurea in Scienze dell’Educazione

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Corso di laurea in Scienze dell’Educazione

A. A. 2012 / 2013

Istituzioni di Linguistica (M-Z)

Dr. Giorgio Francesco Arcodia

([email protected])

1. La variazione diastratica

Variazione in rapporto alla posizione che il parlante occupa nella stratificazione sociale.

→ variabili: grado di istruzione, modelli culturali e comportamentali di riferimento, età /

appartenenza generazionale, appartenenza di gruppo (marginalmente, anche il genere)

→ distinzione di massima tra varietà ‘alte’ (di prestigio) e ‘basse’ (devianti dallo standard,

valutate negativamente dalla comunità parlante)

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Variazioni fonetiche: lasiare, pasiensa vs. lasciare, pazienza (Piemonte), bira, penzare

in luogo di birra, pensare (Roma), pisicologia, spicologia, piscologia in luogo di

psicologia

→ pronunce italiane influenzate dal dialetto, tipiche dei parlanti con scarso livello di

istruzione

Variazioni morfologiche: generalizzazioni di forme, regolarizzazioni analogiche (i amici,

dei svizzeri, un sbaglio; dissimo < dicemmo, venghino < vengano, bevavamo < bevevamo);

accordo ‘a senso’ (tutto il paese lo sapevano, qualche esperienze)

Variazioni sintattiche: costrutti a ‘tema libero / sospeso’ (io la mia città è Napoli),

doppio condizionale (se potrei, farei), doppio congiuntivo imperfetto (se potessi, facessi)

Variazioni lessicali: ‘malapropismi’, deformazione di parole per renderle simili a termini

noti (autobilancia < autoambulanza, febbrite < flebite, sgominare < sgomberare, scoliosi

multipla < sclerosi multipla)

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Italiano popolare: “Con l’etichetta (discutibile secondo alcuni) di italiano popolare si

intende, secondo una nozione anch’essa molteplicemente discussa, la varietà sociale per

eccellenza dell’italiano, vale a dire quell’insieme di usi frequentemente ricorrenti nel

parlare e (quando sia il caso) nello scrivere di persone non istruite e che per lo più nella

vita quotidiana usano il dialetto, caratterizzati da numerose devianze rispetto a

quanto previsto dall’italiano standard normativo”

(adattato da: Berruto, G., 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di),

Introduzione all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza)

“(...) varietà sociale dell’italiano, caratterizzata in diastratia, usata da/tipica di strati

sociali bassi, incolti e semincolti”

(Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

→ i tratti dell’italiano popolare possono comparire a seconda del contesto comunicativo,

anche presso parlanti “colti”

→ i tratti popolari non sono tutti necessariamente compresenti, nello stesso

testo/produzione linguistica si trovano spesso varianti più o meno popolari

→ cfr. italiano parlato colloquiale: registro informale anche dei parlanti colti.

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Alcuni tratti caratteristici dell’italiano popolare:

(1) presenza di tratti del parlato spontaneo anche nella produzione scritta

(2) alta frequenza di strutture a tema libero, topicalizzazioni “incongrue”

“Voialtri nuovi arrivati non ci sarebbe nessuno che faccia il barbiere?”

“La nostra compagnia non hanno mai portato il rancio”

“Arriva una bomba, uno c’entra in testa”

(adattato da: Berruto, G., 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di),

Introduzione all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza e Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano

contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

(3) periodo ipotetico sub-standard, con doppio condizionale o doppio congiuntivo

“se io potrei avere tanti soldi aiuterei tanta gente”

“se mangiassimo tutti i giorni così, morissimo”

(4) utilizzo del “che” polivalente (più spesso che nel parlato)

“ci do l’attenti che c’era il mio capitano”

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(5) “ci” come pronome clitico “tuttofare”

“ci dico [ai nipoti] che è brutto emigrare”

“(…) c’era la sentinella, io ci detti uno spintone”

“ci piace, a Lei?”

(adattato da: Berruto, Gaetano, 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di),

Introduzione all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza)

(6) grafie devianti: “ha” per “a”, “in cinta” per “incinta”, “all’avoro” per “al lavoro”,

“correzzione” per “correzione”, “subbito” per “subito”, “gniente” per “niente”, etc.

(7) usi lessicali specifici: “carte” per “documenti”, “tribolare” (‘avere guai’), “prolungo”

per “prolungamento”

(8) scambi di ausiliari

“i Russi sono passati il Don”

“io per questa volta ho venuta”

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Esempio di italiano popolare parlato:

“Mettemmo le nostre maglie a una cascata d’acqua, che c’era una temperatura, dai 20 ai

25 gradi sotto zero; i pidocchi sembrava che fossero morti, quando mettermmo le maglie

al sole cominciarono a camminare che sembravano tutti bersaglieri. E stammo lì fino in

maggio. In maggio cominciò l’azione del Monte Santo, Monte Cucco e Monte Vodice,

che il Vodice ricordo di aver letto nel Radio Corriere che ho tenuto in disparte questo

trafiletto, poi non ricordo più dove l’ho messo, che fu conquistato dai fanti con la fanfara

che la dirigeva Toscanini. Io ero un bersagliere, ma c’era i fanti che andavano su e

Toscanini dirigeva la fanfara. (...) arrivammo in una stazione, credo che fosse Udine, di

notte, buio, e fu che si fermò il treno-ospedale, e noi bersaglieri tutti lì che si guardava, se

si vedeva qualcheduno; fa un soldato con il braccio destro al collo: − Dove andate voi

altri?”

(Foresti, F., Morisi, P. & Resca, M. (a cura di), 1983, Era come a mietere, San Giovanni in Persiceto, in Berruto,

G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

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→ Ruolo importantissimo della diatopia nell’italiano popolare: oltre ai tratti diagnostici

‘nazionali’, presente notevole variazione regionale (italiani popolari regionali),

soprattutto nella fonologia

Es.: accusativo preposizionale (il padrone picchia al contadino), meridionale

→ italiano popolare sempre più ristretto a “soggetti dialettofoni anziani di basso livello di

istruzione”; tendenza all’indebolimento dei tratti dell’italiano popolare; (aumento del

livello di istruzione, età avanzata degli utenti esclusivi)

→ cfr. l’italiano del web:

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Italiano neo-standard (≈ italiano regionale colto medio): usi linguistici dei parlanti colti

(mediamente e molto colti) → coincide approssimativamente con la “buona lingua

media” / “italiano dell’uso medio” (F. Sabatini), soggetto a variazione diatopica

→ standard normativo vs. standard ‘normale’ / effettivo (statisticamente prevalente)

(Trifone, Pietro, 2007, Malalingua: l’italiano scorretto da Dante a oggi, Bologna, Il Mulino)

“Se accettiamo che nella ristandardizzazione che sta avvenendo siano assorbiti man mano

dallo standard i tratti che qui abbiamo riunito sotto l’etichetta di neo-standard, è indubbio

che la base sociale dello standard stia allargandosi (...), il che coincide anche con un

abbassamento e un consolidamento della nuova norma, leggermente variata in diatopia,

più vicina al parlato (...), e più prossima agli stili non aulico-burocratici in diafasia”

(Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

→ ruolo di ‘mediazione’ tra lo standard normativo (/conservatore) e gli usi colloquiali e

popolari, sub-standard (connotati come ‘basssi’)

→ crescita dell’italiano come lingua della socializzazione primaria e di uso quotidiano

(soprattutto, a partire degli anni ’60 del Novecento); accettazione di forme ‘vietate’ dalla

grammatica normativa (popolari, familiari, regionali)

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Alcuni tratti caratteristici dell’italiano neo-standard:

(1) estensione ‘modale’ degli impieghi dell’imperfetto

“se venivi prima, trovavi ancora posto”

“volevo un chilo di pere”

(2) espansione del passato prossimo anche nel centro-Sud

(3) riduzione dell’uso del congiuntivo

“Sembrava che era morta”

“Immaginiamo che c’è ancora spazio”

(4) semplificazione del sistema dei pronomi soggetto

egli, ella, esso, essa, essi, esse, lui, lei, loro > lui, lei, loro

(5) accordo ‘a senso’

“un gruppo di ragazzi si sono affacciati”

“quel pubblico di professori (...) volevano innanzitutto sentire”

(Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

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2. La variazione diafasica

Variazione in rapporto alla situazione comunicativa in cui si usa la lingua.

→ elementi in comune con la dimensione diastratica: polarità orientata da un estremo

‘alto’ ad un estremo ‘basso’

→ presenza di due sottodimensioni parallele: asse dei registri e asse dei sottocodici

(detti anche ‘linguaggi settoriali’)

Registri: “varietà diafasiche dipendenti primariamente dal carattere dell’interazione e dal

ruolo reciproco assunto da parlante (o scrivente) e destinatario” → stili / livelli di lingua

(Berruto, Gaetano, 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di), Introduzione

all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza)

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→ Variabili:

(a) grado di formalità / informalità della situazione comunicativa

(b) rapporto con l’interlocutore e con gli altri ascoltatori (adeguamento / accomodamento)

(c) grado di attenzione e controllo che il parlante pone nell’attuare la produzione

linguistica

→ Assi della variazione di registro:

(a) formale – informale

(b) eufemistico – disfemistico

(c) solenne - volgare

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Punti di riferimento (approssimativi) nello spazio di variazione: poetico, pomposo, solenne, aulico, elevato, ricercato, accurato, sorvegliato; colloquiale; disimpegnato, disinvolto, trasandato, volgare, etc.

→ necessità di coerenza nella scelta delle varianti rispetto al livello:

“è con grande rammarico che annunciamo che questa mattina il presidente è schiattato”

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Alcune caratteristiche dei registri “bassi”, molto informali: (1) articolazione sintattica poco esplicitata, utilizzo di connettivi “semanticamente

poveri” (poi, e, allora, dunque, così…)

(2) variazione lessicale ridotta, utilizzo di un parole a bassa intensione (dal significato

generico: è stata promulgata una legge vs. è stata fatta una legge, tasse vs. imposte, etc.)

(3) parlata rapida e trascurata, pronuncia (molto) marcata diatopicamente

(4) uso di forme abbreviate (bici, tele, moto…)

(5) uso di termini di origine gergale o dialettale (rimorchiare, sacchi, macello…)

(6) espressioni volgari (…)

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Alcune caratteristiche dei registri “alti”, molto formali:

(1) articolazione sintattica molto esplicita, impiego di un grande numero di connettivi

(2) tendenza alla verbosità (perifrasi, precisazioni, incisi, periodi complessi e lunghi…)

(3) ampia gamma di variazione lessicale, scelta di parole strutturalmente complesse

(4) uso di forestierismi (latino, lingue moderne)

(5) utilizzo di vocaboli e varianti arcaicizzanti (ove, onde, cagione, recenziore, sovente…)

(6) uso del si impersonale (si coglie una vena ironica…)

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Sottocodici / lingue speciali: “varietà diafasiche dipendenti primariamente dall’argomento

del discorso e dall’ambito esperienziale di riferimento”

→ varietà caratterizzate da tecnicismi (termini tecnici o scientifici): morfema, presidio,

short (selling), etc.

→ usi linguistici legati a particolari professioni o ambiti del sapere

Es.: matematica, biologia, musica, sport...

→ linguaggi settoriali tipici di certi argomenti o ambienti

Es.: lingua delle cronache sportive, lingua della critica letteraria

→ usi connessi con generi e tipi testuali

Es.: lingua dei notiziari televisivi, “lingua scritta per essere detta”: registro formale,

preferenza per il linguaggio burocratico, aggettivazioni enfatiche…

→ usi propri di un gruppo di parlanti, accomunati da un’ideologia o da determinate

esperienze culturali (varietà come segno dell’appartenenza)

→ tendenza a mescolare registri e sottocodici “incompatibili” nel parlato

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3. La variazione diamesica

Variazione in rapporto al canale attraverso cui la lingua viene usata.

“Punti cardinali” della variazione: scritto e parlato

→ “la distinzione tra parlato e scritto ha una posizione particolare nella variazione

linguistica, in quanto non si tratta propriamente di una dimensione accanto alle altre,

bensì di un’opposizione che percorre le altre dimensioni di variazione e allo stesso tempo

ne è attraversata (…) La differenziazione tra parlato e scritto è preliminare e

indipendente rispetto all’utente”

(Berruto, Gaetano, 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di), Introduzione

all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza)

→ distinzione legata alla natura del mezzo, alla situazione di produzione e all’architettura

del sistema (che assegna determinate funzioni ai due canali)

→ sovrapposizione parziale con la dimensione diafasica; c’è una correlazione tipica

parlato-registro informale e scritto-registro formale

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Distinzione tra:

modo fonico e modo grafico → distinzione di supporto fisico

modo parlato vs. modo scritto → distinzione di caratteristiche strutturali del messaggio

Concezione

Medium

Parlato Scritto

Fonico

Parlato spontaneo

Lettura di testi scritti, recitazione

Grafico

Trascrizione di testi orali

Comunicazione mediata dal

computer

Comunicazione scritta

(adattato da: Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

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‘Parlato grafico’: chat e SMS

“6uscito? Io vado a dormire x’ sveglia alle 7.45”

“K ne so..gli ho inviato 1 mex cn scritto se poteva mex e lui ha dt dno e io gli ho rx ok a

dom (...)”

(adattato da: Berruto, G. & Cerruti, M., 2011, La linguistica: un corso introduttivo, Torino, UTET)

→ esempi tipici di scritto informale

Variabili proprie del parlato: prosodia, fenomeni intonativi, paralinguistica, voce...

Variabili proprie dello scritto: interpunzione, sottolineature, maiuscole…

→ grado di pianificazione minimo (parlato) vs. massimo (scritto)

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Alcuni tratti caratteristici del parlato (spontaneo / informale):

(1) uso massiccio di segnali discorsivi (diciamo, insomma, no, ecco, vero?)

(2) frammentarietà sintattica, alta frequenza di strutture sintattiche interrotte

“(…) anche perché…mh, le informazioni che danno sono-… va be’, a parte la segreteria

è aperta tre volte la settimana proprio- quando… va bene, eh, se uno deve saperne

qualcosa sugli studi che vuole fare… deve… credo, chiedere a qualche amico è la cosa

migliore, perché- le informazioni che danno nelle segreterie sono proprio cose- così”

(adattato da: Berruto, Gaetano, 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di),

Introduzione all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza)

(3) dislocazioni (le lezioni, le incomincio mercoledì, la linguistica, per capirci qualcosa

bisogna studiare)

(4) “c'è” presentativo (c’è un signore che vuole parlare con te)

(5) pause, esitazioni ed autocorrezioni

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“(…) voglio dire di facile portata nell’acquisto, insommma, quindi… curate, ma, eh,

sufficientemente… abbordabili… in quanto appunto alle tasche dei compratori, mentre

prima ecco… c’erano bellissime edizioni di classici… ma molto… molto costosi,

insomma, ecco (…)”

(adattato da: Berruto, Gaetano, 1993, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Sobrero, A. A., (a cura di),

Introduzione all'italiano contemporaneo, Bari, Laterza)

(6) prevalenza della coordinazione sulla subordinazione

(7) semplificazione dei paradigmi

→ utilizzo dell’indicativo presente, passato prossimo e imperfetto; impiego ridotto di

condizionale e congiuntivo (se volevo, venivo vs. se avessi voluto, sarei venuto)

→ utilizzo del “che” polivalente (sono fortunato / perché non c’è niente che ho bisogno)

(8) limitata variazione lessicale, frequenti ripetizioni della stessa parola

→ cosa, roba, affare, storia, tipo, tizio…

(9) uso di forme attenuative ed intensificative (attimino, ben, un filo, un sacco…)

(10) Pronuncia a ritmo “allegro”: troncamento (son tornato, so’ tornato), aferesi (‘sto,

‘sera, ‘bastanza), fusioni e legamenti (i-ffazzoletto, non nascondo)

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Italiano parlato colloquiale: “l’italiano della conversazione ordinaria, del normale parlare

quotidiano, degli usi comunicativi correnti”

→ ≠ registri più informali e trascurati

→ naturalmente marcato in diatopia (italiano regionale parlato colloquiale)

→ connotato in diamesia (caratteri del parlato) e in diafasia (tipico degli usi informali)

→ molti tratti in comune con l’italiano popolare; tuttavia, “l’italiano colloquiale può

essere adoperato in maniera indipendente dalla classe sociale di appartenenza, da parlanti

di ogni ceto e di ogni grado di istruzione (...) i tratti che lo caratterizzano non correlano

con fattori diastratici”

(Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2° edizione), Roma, Carocci)

Ess.: “far benzina”, “far fuori”, “fare senza”

“avercela su”

“camminare veloce”

“non stare a muoverti”, “non sto a dirti”

“un attimino”, “un momentino”, “un bel posticino”

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4. Rapporto tra le dimensioni di variazione

“Nelle reali varietà d'uso della lingua spesso le varie dimensioni si intersecano, e le

relative varietà possono determinarsi [...] contemporaneamente secondo più assi di

variazione [...]. Un italiano fortemente marcato in diatopia sarà per lo più anche una

varietà socialmente bassa; l'italiano popolare, varietà diastratica tipica di fasce sociali non

istruite, sarà per i suoi parlanti anche una varietà diafasica, il registro delle occasioni più

formali. Difficili da collocare con precisione, anche se appartengono fondamentalmente

alla dimensione diafasica, sono poi le varietà di lingua legate a movimenti culturali, a

mode, a costumi più o meno passeggeri (…) come sinistrese, politichese, giornalese e

così via”

(G. Berruto, 1993, Varietà del repertorio, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo.

Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza)

→ in riferimento alla situazione italiana, variazione diatopica e diastratica sono

sostanzialmente inseparabili; le varietà di lingua apprese nell’infanzia hanno comunque

una connotazione diatopica (o, meno spesso, corrispondono ad un dialetto)

→ ad ogni produzione linguistica può essere assegnato un valore per le quattro

dimensioni della variazione

Ess.: riprovevole è neutrale in diamesia (può essere usato sia nel parlato che nello scritto),

medio-alto in diafasia, alto in diastratia, neutrale in diatopia (ma la pronuncia conta!!)

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Nove varietà di riferimento nel continuum pluridimensionale

‘Dire a qualcuno che non si può andare da lui’ nelle nove varietà:

(1) Italiano formale aulico

“Mi pregio informarLa che la nostra venuta non rientra nell’ambito del fattibile”

(2) Italiano tecnico-scientifico

“Trasmettiamo a Lei destinatario l’informazione che la venuta di chi sta parlando non

avrà luogo”

(3) Italiano burocratico

“Vogliate prendere atto dell’impossibilità della venuta dei sottoscritti”

(4) Italiano standard letterario

“La informo che non potremo venire

(5) Italiano neo-standard

“Le dico che non possiamo venire”

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(6) Italiano parlato colloquiale

“Sa, non possiamo venire”

(7) Italiano popolare

“Ci dico che non possiamo venire”

(8) Italiano informale trascurato

“Mica possiam venire, eh”

(9) Italiano gergale

“...”

(Berruto, G., 1993, Varietà del repertorio, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo.

Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza)