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Sped. in A.P.- 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Varese GIURISPRUDENZA COMMERCIALE GIUFFRÈ EDITORE ANNO XXXI - 2005

A. BARTOLACELLI, Brevi note su forma e modalità di esercizio del diritto di recesso

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Sped. in A.P.- 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Varese

GIURISPRUDENZACOMMERCIALE

GIUFFRÈ EDITORE

ANNO XXXI - 2005

PARTE SECONDA

APPELLO MILANO, 13 maggio 2003 — TROMBETTI Presidente — LAMANNA Estensore— De Angeli Frua s.p.a., in liquidazione (avv. Malcovato, Grandi) c. Cerea (avv.Cattaneo, Lanata).

Società - Società per azioni - Recesso del socio - Forma e modalità della dichiarazionedi recesso - Mero deposito dei titoli - Inammissibilità.(Codice civile, art. 2437 previgente).

Il mero deposito delle azioni presso la sede sociale non configura modalità validadi esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 c.c. (1).

(Omissis). — SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. — Il sig. Rinaldo Cerea convenne ingiudizio avanti al Tribunale di Milano la società D.A.F. - De Angeli Frua s.p.a. (in li-quidazione) con atto di citazione notificato in data 29 luglio 1998.

Egli riferiva di aver rivestito la qualità di socio della società convenuta dal 1989 al1992 possedendo 15.000 azioni; soggiungeva che, in seguito alla intervenuta modificadell’oggetto sociale, deliberata dall’assemblea straordinaria della D.A.F. s.p.a. in data10 luglio 1991, aveva esercitato il diritto di recesso ex art. 2437 c.c. depositando a talfine i suoi certificati azionari presso la sede della società in data 6 febbraio 1992; cheperò nulla gli era stato corrisposto dalla società convenuta a titolo di rimborso delleazioni, che, come era stato riconosciuto dalla stessa assemblea straordinaria dellaD.A.F. in data 3 aprile 1992, avevano un valore — al momento del recesso — pari a L.2506,93 cadauna, fatto salvo un conguaglio nel caso di « futuro recupero della rivalsaverso il Gruppo Baloise », ossia di realizzazione di un credito vantato verso una societàsvizzera e sue collegate; che a seguito della transazione intervenuta nel febbraio 1996,il gruppo Baloise aveva pagato alla D.A.F. L. 100.000.000.000 e, conseguentemente, ilconguaglio dovuto per ciascuna azione ammontava a L. 755,17 (importo ottenuto divi-dendo la somma di L. 100.000.000.000 per le 132.419.940 azioni D.A.F.); che per-tanto egli doveva considerarsi creditore della società convenuta per complessive L.48.931.549 (L. 2.506,93 + L. 755,17 x n. 15000 azioni), oltre interessi.

Chiedeva quindi la condanna della società De Angeli Frua al pagamento del rim-borso spettantegli nella misura sopra indicata. Si costituì in giudizio la convenuta resi-stendo all’avversa domanda, di cui dedusse l’infondatezza sia perché il credito azio-nato, dovendo ricomprendersi tra quelli inerenti ai rapporti sociali, era soggetto al ter-mine breve di prescrizione contemplato nell’art. 2949 c.c. e doveva quindi reputarsiprescritto, essendo decorsi più di cinque anni dai fatti; sia perché in ogni caso nonavrebbe potuto riconoscersi come valore di rimborso la quota parte di quanto pagatodalla società Baloise, in quanto, come aveva già statuito il Tribunale di Milano con sen-tenza 22 febbraio 1996, n. 1527 decidendo su una domanda di insinuazione al passivodel fallimento dichiarato a carico della società De Angeli Frua (nel frattempo ritornatain bonis) la norma di cui all’art. 2437 c.c. disciplinante i diritti del socio recedente incaso di modifica dell’oggetto sociale aveva carattere inderogabile nell’interesse dei terzicreditori sociali, e di conseguenza non consentiva che potesse in via interpretativa ocon una delibera sociale attribuirsi alle azioni da rimborsare un valore maggiore diquello risultante dall’attivo di bilancio, ed addirittura sulla base di un credito futuro edel tutto eventuale come quello nella specie riguardante le azioni di recupero che sa-rebbero state poi promosse verso la società Baloise. All’esito del giudizio così radicato,il Tribunale di Milano, con sentenza n. 9115 del 2001 pronunciata in data 16 giugno2001 e depositata in data 17 settembre 2001, previo rigetto delle istanze istruttorie del-l’attore perché ritenute ininfluenti ai fini del decidere, ne ha accolto solo parzialmente

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la domanda, ritenendo che si fosse prescritto il diritto del sig. Cerea a rimborso dell’im-porto delle sue azioni a seguito del recesso da lui esercitato, limitatamente però allasola quota di L. 2.506,93 per ciascuna azione. Il Tribunale è giunto a tale conclusionedopo aver premesso che la società D.A.F. si era assunta un vero e proprio impegno,suggellato da delibere valide e non impugnate, di pagare sia una quota di rimborsodelle azioni in base all’attivo risultante a bilancia (L. 2.506,93), sia una quota di con-guaglio rapportata all’eventuale incasso dei crediti verso il gruppo Baloise; ne ha de-dotto che tale obbligazione fosse da considerare del tutto valida ed efficace. Tuttavia haanche ritenuto che il credito di rimborso in esame fosse soggetto al termine breve diprescrizione di cinque anni, dovendo essere ricompreso tra i rapporti sociali di cui al-l’art. 2949 c.c., e che al momento della notifica della citazione (luglio 1998) fosse or-mai spirato il suddetto termine perché decorrente dal momento in cui il diritto stessopoteva essere fatto valere (27 agosto 1992), « data in cui la delibera 3 aprile 1992 di ri-duzione di capitale finalizzata al rimborso » dei soci receduti era divenuta esecutiva.

Ha invece ritenuto che la prescrizione non colpisse la quota aggiuntiva di rimborsoriguardante la somma recuperata presso la società Baloise, potendo essere esercitato ilrelativo credito solo a far tempo dalla data in cui la suddetta società aveva pagatoquanto dovuto alla D.A.F. (febbraio 1996) e di conseguenza ha condannato la societàconvenuta al pagamento dell’importo di L. 11.327.550 (L. 755,17 x n. 15.000 azioni),oltre interessi legali dalla data della transazione al saldo, e al pagamento delle spese dilite (nella misura di L. 3.800.000 oltre accessori).

Per la riforma di tale sentenza ha interposto gravame avanti a questa Corte d’Ap-pello la società D.A.F. con atto di citazione notificato in data 12 settembre 2002 pro-spettando due articolati motivi di censura, al cui accoglimento si è opposto, costituen-dosi in giudizio, l’appellato sig. Rinaldo Cerea, che ha proposto a sua volta appello in-cidentale.

Così integrato il contraddittorio e precisate di seguito le conclusioni — conforme-mente agli atti introduttivi — nei termini letteralmente trascritti in epigrafe, questaCorte ha infine trattenuto la causa in decisione all’udienza del 18 febbraio 2003, con-cedendo alle parti i termini ordinari previsti dagli artt. 190 e 352 c.p.c. per il depositodegli atti conclusivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. Con il primo mezzo di gravame la difesa dell’ap-pellante censura la sentenza del Tribunale, per aver questo ritenuto che il sig. Cereaavesse dimostrato di aver esercitato effettivamente il diritto di recesso, mentre invecetale prova non era stata affatto fornita, essendosi limitato il Cerea ad affermare e docu-mentare di aver solo depositato presso la società i suoi certificati azionari, ma non an-che di aver comunicato il suo recesso — atto unilaterale recettizio — con raccoman-data o con altro mezzo equipollente.

In secondo luogo critica il fatto che il Tribunale abbia ritenuto esistente e valida-mente assunta un’obbligazione di rimborso con riferimento al realizzo della c.d. rivalsaBaloise, in contrasto con quanto deciso dal medesimo Tribunale con altre sentenze, alriguardo essendosi limitato ad argomentare che una sentenza invocata dalla appellanteed emessa in sede di insinuazione al passivo presentata da un altro socio receduto perun analogo rimborso di azioni ex art. 2437 c.c., sentenza con cui tale domanda erastata rigettata e la pretesa di conguaglio radicalmente esclusa, non poteva spiegare ef-fetto in casu perché redatta prima del 1996, data in cui la D.A.F. aveva concluso latransazione con il gruppo Baloise, e quindi quando il credito verso tale gruppo era an-cora meramente ipotetico e non suscettibile di ammissione al passivo. Con ciò però ilTribunale avrebbe omesso di considerare che una medesima decisione — di rigetto

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delle analoghe pretese di altro socio receduto — era stata assunta anche con un’altrasentenza pronunciata il 22 febbraio 2001 (poi confermata dalla Corte d’Appello di Mi-lano), ossia dopo che il credito verso il gruppo Baloise era stato realizzato, ivi eviden-ziandosi che il motivo del rigetto non era solo la semplice illiquidità ed incertezza delcredito in data anteriore al 1996, ma l’inderogabilità dei criteri di calcolo del rimborsoprevisti dall’art. 2437 c.c. e la mancata iscrizione di detto credito nell’attivo dell’ultimobilancio approvato prima del momento di esercizio del diritto di recesso.

Dovendo quindi liquidarsi il credito di rimborso soltanto sulla base del bilanciocristallizzato in quel momento, e non sulla base di crediti eventuali e solo sperati, alsig. Cerea non avrebbe potuto riconoscersi alcun diritto di rimborso, stante l’interve-nuta prescrizione della quota di rimborso calcolata ai valori di bilancio.

A maggior sostegno di tale motivo, la difesa dell’appellante soggiunge che, a di-spetto di quanto affermato dal primo Giudice, nessuna delibera poteva interpretarsicome contenente un’obbligazione vera e propria di pagamento della quota di congua-glio per il credito verso il gruppo Baloise, e in particolare che tale obbligazione non po-teva rinvenirsi nella delibera del 3 aprile 1992, la sola in cui fosse stato fatto un espli-cito riferimento ad esso, peraltro senza affatto rendere oggetto di approvazione daparte dei soci intervenuti l’obbligazione di pagare la quota di conguaglio, che era statainvece solo indicata come una eventuale modalità integrativa di pagamento del rim-borso. Se peraltro, contrariamente a tale lettura della delibera, essa fosse stata interpre-tata come contenente davvero una siffatta obbligazione di rimborso, essa sarebbe statacomunque nulla e inefficace, perché in contrasto con la norma imperativa di cui all’art.2437 c.c. e dunque invalida sia per illiceità dell’oggetto, sia per la sua indeterminatezzao indeterminabilità.

Infine, l’appellante evidenzia che sarebbe stato anche impossibile quantificare ma-terialmente la quota di rimborso a conguaglio, mancando nella delibera sopra ricordataun qualunque accenno ad un criterio di commisurazione, ed essendo il criterio quelloutilizzato dal Tribunale — quello della divisione dell’incasso per il numero delle azioni— solo uno dei possibili criteri percorribili, peraltro il più vantaggioso per il socio.

2. L’appellato resiste all’impugnativa principale, reiterando le difese già svolte inprimo grado, ed altresì puntualizzando, quanto alla prova del suo recesso, che le formepreviste dall’art. 2437 c.c. non sono tassative; che il deposito delle azioni presso la sedesociale fu sottoscritto da un dipendente della società, la cui firma non è mai stata disco-nosciuta; che la società non ha più considerato il deducente quale socio, ciò risultandodimostrato dal fatto che mai più gli furono inviate le convocazioni per le assemblee.

Quanto poi alle altre sentenze del Tribunale di Milano evocate dall’appellante, econtrarie al riconoscimento della quota di rimborso a conguaglio, la difesa del sig. Ce-rea osserva che esse sono state condizionate dal tipo di disciplina applicabile in sedeconcorsuale, laddove non sono suscettibili di ammissione al passivo crediti meramenteipotetici, ma al più solo quelli propriamente condizionali, laddove invece verso una so-cietà in bonis non potrebbero disattendersi delibere valide e mai impugnate comequelle nella specie contemplanti il diritto di rimborso integrativo, verso le quali non po-trebbe nemmeno in via meramente incidentale eccepirsi la nullità.

Quanto, peraltro, alla ritenuta estinzione della quota di rimborso di L. 2.506,93per intervenuta prescrizione l’appellato si duole con gravame incidentale della deci-sione del primo Giudice, che non avrebbe tenuto conto del fatto che lui, nel momentoin cui poteva esercitare il diritto al rimborso, non rivestiva più lo status di socio dellaD.A.F., sicché proprio la giurisprudenza citata dal Tribunale (a pag. 8 della sentenzaimpugnata) dimostrerebbe l’errore in cui è caduto il primo Giudice, visto che appunto

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« secondo un consolidato principio giurisprudenziale, i rapporti sociali, cui si applica laprescrizione breve prevista dall’art. 2949 c.c., si riferiscono a quei diritti che derivanodalle relazioni che si istituiscono tra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenzadiretta del contratto di società o delle situazioni determinate dallo svolgimento dellavita sociale, onde essi devono identificarsi con i rapporti interni dell’organizzazione so-ciale, e quindi tra la società e i soci, nonché tra i soci, mentre ne restano esclusi tutti glialtri diritti che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici che unasocietà può contrarre al pari di ogni altro soggetto »: sarebbe infatti di tutta evidenza,alla luce di tale principio, che la mancanza dello status di socio, essendo venuto menodopo il recesso, aveva reso l’appellato un terzo creditore soggetto solo all’ordinario ter-mine di prescrizione decennale.

3. Così sintetizzato l’oggetto del contendere, reputa questa Corte che l’appellosia fondato e meritevole di accoglimento già in ragione del primo assorbente motivo diimpugnativa riguardante la prova del recesso del socio.

Infatti, per effetto del criterio di comunicazione formale del recesso stabilito dal-l’art. 2437 c.c., esso deve avvenire di norma con raccomandata.

È vero, d’altra parte, che una recente sentenza della Suprema Corte ha ricono-sciuto la possibilità di una certa deformalizzazione di tale modalità, attraverso mezziequipollenti.

Ha ritenuto in particolare la Suprema Corte che l’atto con il quale il socio dissen-ziente in relazione a deliberazioni riguardanti il cambiamento dell’oggetto o del tipo disocietà o il trasferimento della sede sociale all’estero esercita il diritto di recesso anorma dell’art. 2437 c.c. ha natura di atto unilaterale recettizio e pertanto produce isuoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società, con la conse-guenza che i termini di cui al citato art. 2437 potranno ritenersi rispettati solo se entrolo scadere di essi la dichiarazione di recesso sia stata portata a conoscenza della societàe non soltanto inviata dal recedente, a nulla rilevando che, per la brevità del termine eper la prescrizione normativa richiedente a trasmissione della dichiarazione con racco-mandata, l’esercizio del diritto di recesso da parte del socio dissenziente verrebbe adessere oltremodo compresso, posto che la norma, pur prevedendo l’invio di raccoman-data, non esclude che la trasmissione della dichiarazione di recesso avvenga attraversoaltre forme (telegrafo, telex, notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) che presen-tino le medesime (o maggiori) caratteristiche di certezza della raccomandata (Cass., 3gennaio 1998, n. 12 [cit. in nota]). Tuttavia, a prescindere dalla opinabilità di questainterpretazione, notevolmente restrittiva quanto al primo aspetto riguardante la rice-zione della comunicazione entro il termine decadenziale previsto ex lege e al tempostesso notevolmente liberale quanto invece ai mezzi utilizzabili per la comunicazione(interpretazione che, a questo secondo riguardo, per la verità, avrebbe potuto risultarepiù convincente se fosse stata prospettata con riferimento alla possibilità che gli statutisocietari riconoscano forme alternative ed equipollenti di comunicazione del recesso),sta comunque di fatto che quelle forme di comunicazione esemplificate dal SupremoCollegio (telegrafo, telex, notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) hanno tutte, al-l’evidenza, una spiccata attitudine a documentare in modo equiparabile ad una racco-mandata (o con garanzie addirittura maggiori) l’invio e la ricezione della dichiarazioneesplicita di voler recedere. Considerandosi il carattere meramente esemplificativo diquesta indicazione della Suprema Corte, non potrebbe certo escludersi l’utilizzo anchedi altre aggiuntive modalità di comunicazione.

Così ad esempio potrebbe ritenersi che la comunicazione possa avvenire anchemediante consegna a mani (presso la società) di una dichiarazione di recesso.

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Nel caso di specie, però, la consegna a mani non ha avuto ad oggetto una formaledichiarazione di recesso, ma solo la consegna di certificati azionari, senza altra specifi-cazione, ossia un atto di per sé neutro ai fini della ricezione della notizia della volontàdi recedere.

Né potrebbe estrapolarsi una sorta di volontà implicita dal fatto stesso del depo-sito delle azioni, ipotizzandosi, come ha fatto non condivisibilmente il Tribunale, cheuna tale volontà fosse stata riconoscibile ab externo: non si vede infatti quali elementicircostanziali potessero dare alla consegna dei certificati azionari, effettuata sic et sim-pliciter senza corredo di alcuna ulteriore chiarificazione, l’univoco significato di un re-cesso, essendo molteplici invece le ragioni che potevano giustificare tale consegna (apartire dalla possibilità di provare la qualità di socio per partecipare ad una assemblea).

Comunque, anche a voler restringere il campo dei possibili significati di tale depo-sito azionario, mai potrebbe considerarsi tout court equipollente alla raccomandata unamera attività materiale di carattere secondario (consegna di titoli), che in ipotesi do-vrebbe riguardarsi come comportamento concludente, non avendo in sé stessa la con-naturata attitudine a veicolare una inequivoca volontà di recesso ed esigendo invece,per poter assolvere a tale funzione, accertamenti di fatto sul suo significato effettuale esulla riconoscibilità ab externo della volontà del depositante.

Di contro, la forma prevista dalla legge (raccomandata) ha proprio lo scopo di eli-minare a monte la necessità di siffatte ultronee indagini sulla effettiva comunicazionedel recesso, stante la stessa estrema brevità dei termini concessi al socio per poter rece-dere e le esigenze di certezza connesse all’esercizio di tale diritto.

Ecco perché a tale stregua finivano per essere — e sono anche ora da considerare— irrilevanti le stanze di esibizione e di prova orale svolte dal sig. Cerea, mirando essea far risultare con indagini ex post l’ipotetica avvenuta conoscenza da parte della so-cietà della sua volontà di recedere azionari, e ciò senza peraltro nemmeno retrodatare ilfactum demonstrandum relativo a tale ipoteticamente avvenuta conoscenza della so-cietà al momento della consegna dei titoli (ma collegandolo a circostanze successive,come quella di non aver più ricevuto in seguito, il sig. Cerea, convocazioni assembleari,o come quella di non risultare più iscritto al libro soci, che sarebbero evidentementedel tutto inefficaci a dimostrare che la società avesse appreso del recesso per effettodella consegna dei titoli e nei termini decadenziali previsti ex lege), in modo da aggirareed eludere, nella sostanza, una norma organizzativa che esige invece l’espletamento diun preciso obbligo formale avente requisiti predeterminati (finalizzati a consentire iltempestivo controllo degli organi sociali in ordine al rispetto dei termini di decadenzaprevisti ex lege), e ciò attraverso il tentativo di attribuire rilevanza a dati effettuali ini-donei a surrogare in maniera equipollente la modalità predeterminata di comunica-zione del recesso prevista dall’art. 2437 c.c.

Mancando dunque la prova dell’avvenuta formale comunicazione del recesso neitermini di legge, la domanda di rimborso del sig. Cerea doveva e deve essere respintaper tale assorbente motivo, che determina conseguentemente de plano la riforma dellasentenza impugnata.

Resta priva di rilievo ogni altra e diversa questione.

4. Quale parte soccombente, l’appellato dovrà rifondere in via meramente conse-quenziale ai sensi dell’art. 91 c.p.c. le spese processuali sostenute dall’appellante in en-trambi i gradi di giudizio.

La relativa misura, per brevità, viene direttamente liquidata in dispositivo, tenutoconto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle que-stioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dai difensori, sulla base dei para-

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metri contemplati dalla vigente tariffa professionale, e tenuto conto della necessità diliquidare comunque, anche ex officio, le spese generali di studio che l’art. 15 della sud-detta tariffa quantifica a forfait nella misura del 10% (Cass. n. 11654 del 2002 [Riv.cancellerie, 2002, 551]). (Omissis).

———————

(1) Brevi note su forma e modalità di esercizio del diritto di recesso.

SOMMARIO: 1. Le modalità della dichiarazione di recesso nella previgente disciplina: pano-rama normativo, dottrinale e giurisprudenziale. — 2. La dichiarazione di recesso nelnuovo art. 2437-bis: articolazione, analogie e differenze con il diritto previgente.

1. Le modalità della dichiarazione di recesso nella previgente disciplina: pano-rama normativo, dottrinale e giurisprudenziale. — La sentenza in epigrafe forniscel’occasione per una breve analisi della disciplina relativa alle modalità di esercizio deldiritto di recesso consentendo un utile parallelo tra le disposizioni del previgente si-stema ed il risultato della novella del 2003.

Merita un cenno la disciplina della materia recata dal codice di commercio del1882. In base all’art. 158, il recesso doveva essere « dichiarato dagli intervenuti all’as-semblea entro ventiquattro ore dalla chiusura di essa, e dagli altri soci entro un mesedalla pubblicazione della deliberazione nel Giornale degli annunzi giudiziari, sottopena di decadenza » (1). Stante ciò, è utile osservare fin d’ora che i termini « sdop-piati » per l’esercizio del diritto di recesso previsti dal codice del 1942 non sono che ilfrutto più diretto della tradizione giuridica maturata nei sessanta anni di vigenza delcodice di commercio.

Nella vigenza del testo originario del codice civile, sotto il cui imperio è maturatoil provvedimento in esame, era l’art. 24372 a fornire ogni indicazione positiva in meritoal quomodo della manifestazione della volontà del socio relativamente alla propriauscita dalla compagine sociale. Tre, in sostanza, i punti fondamentali da esso diretta-mente derivanti: a) la necessità dell’utilizzo della lettera raccomandata per la manife-stazione della dichiarazione di recesso; b) il già citato differente termine di decadenza aseconda che vi sia stato o meno l’intervento del recedente nell’assemblea in cui si siadeliberata la modifica dell’atto costitutivo presupposto dell’esercizio del diritto di re-cesso da parte del socio; c) in conformità con la costante opinione dottrinale e giuri-sprudenziale, il fatto che il rispetto del termine di cui sopra, testualmente riferito dallalegge alla comunicazione, dovesse essere inteso in relazione alla ricezione da parte dellasocietà della dichiarazione di recesso piuttosto che al momento dell’invio alla societàdello stesso atto da parte del socio. Ciascuno di tali punti è stato oggetto di dibattito daparte della dottrina durante la vigenza del testo originario dell’art. 2437.

Per quanto riguarda l’utilizzo della lettera raccomandata, è stato rilevato come sianecessario analizzare la ratio della disposizione che prevede l’uso di tale mezzo al fine

(1) Art. 1584 c. comm. 1882; per una analisi organica della norma si vedano DORE,Sul diritto del socio di recedere dalla società, Firenze, Tipografia Luigi Niccolai, 1894; DO-NADIO, Il recesso del socio, Giuffrè, Milano, 1940 e FRÈ, Sul diritto di recesso, in Riv. dir.comm., 1933, I, 635 ss. e 762 ss., nonché ASCARELLI, Appunti di diritto commerciale. Intro-duzione, Roma, Società editrice del « Foro italiano », 1936; NAVARRINI, Trattato elementaredi diritto commerciale, Roma, Bocchi, 1911; VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, II, Lesocietà commerciali, Milano, Vallardi, 1912; MARGHIERI-BATTISTA, Delle società e delle asso-ciazioni commerciali, in Il codice di commercio commentato, diretto da Bolaffio e Vivante,IV, 5a ed., Torino, UTET, 1929.

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di potere stabilire se la norma dovesse essere interpretata come inderogabile, o piutto-sto come oggetto di disponibilità statutaria.

Rilevante importanza era rivestita dai termini estremamente ristretti per la dichia-razione di recesso di cui si dirà tra breve; in ragione di tale brevità, la dottrina avevaelaborato (2), e la giurisprudenza avallato (3), la possibilità di ricorso a strumenti alter-nativi di trasmissione della dichiarazione che garantissero la maggiore celerità possibile

(2) Sulla « libertà formale di massima » (così SANGIORGI, voce Recesso, in Enc. giur.Treccani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991, 7) per quanto concerne la dichia-razione di recesso in diritto comune, si vedano BIANCA, Diritto civile. 3. Il contratto, 2a ed.,Milano, Giuffrè, 2000, 740 e 300, nt. 37, secondo cui, nel caso di specie, l’incidenza dellamancanza della forma prescritta dalla norma deve essere valutata « in relazione alla funzionedell’atto alla stregua soprattutto del principio di buona fede », cogliendo peraltro l’occasioneper un parallelo con il contratto di assicurazione, richiamato pure da LEO, Privilegiata l’in-terpretazione più rigorosa per evitare una situazione di stallo dell’ente, comm. a Cass., 3gennaio 1998, n. 12, in Guida dir., 6, 1998, 57; GALGANO, Diritto privato, 9a ed., Padova,CEDAM, 2001, 323 (che, al pari di DE NOVA, voce Recesso, in Dig. disc. priv. sez. civ., XVI,Torino, UTET, 1997, 317 e SANGIORGI, op. loc. citt. insiste sulla necessità che l’atto di recessoassuma la forma richiesta dal contratto sottostante; su tale punto, in relazione al caso speci-fico del recesso da società per azioni, GABRIELLI-PADOVINI, voce Recesso (dir. priv.), in Enc.dir., XXXIX, Milano, Giuffrè, 1988, 44 sottolineano la asimmetria nei confronti del dirittocomune). Tutti i contributi citati pongono l’accento sulla circostanza della avvenuta cono-scenza della dichiarazione da parte del destinatario fino a renderla una sorta di sanatoria delvizio formale dell’atto (così, pare, SACCO, La conclusione dell’accordo, in Trattato Rescigno,10**, 2a ed., Torino, UTET, 85, che ipotizza l’efficacia di una dichiarazione per fatti conclu-denti qualora essa giunga a conoscenza del destinatario).

Specificamente per il caso del recesso da società per azioni (in relazione al quale lacontroversia sulla possibilità di forme differenti dalla lettera raccomandata è rilevata da JAE-GER-DENOZZA, Appunti di diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2000, 499), ipotizzano lapossibilità di adozione di metodi di trasmissione alternativi alla raccomandata, sia pure conle differenti sfumature che si vedranno caso per caso, PRESTI, Questioni in tema di recessonelle società di capitali, in questa Rivista, 1982, I, 106, per cui la forma è inderogabile dal-l’atto costitutivo, ma è tuttavia possibile che il socio utilizzi altre modalità di trasmissioneche siano ugualmente o maggiormente forieri di certezza; BRUNETTI, Trattato del diritto dellesocietà, II, Milano, Giuffrè, 1948, 512 e III, Milano, Giuffrè, 1950, 292, che pare affermareanche la possibilità di deroghe statutarie, ma solamente qualora ricorrano, per i sostituti deicriteri legali, le maggiori garanzie di certezza a favore del destinatario. Sulla stessa posizionedi quest’ultimo a., pare SALANDRA, Manuale di diritto commerciale, 1, 3a ed., Bologna, Zuffi,1949, 380, quando si riferisce a forme « più solenni »; BELVISO, Le modificazioni dell’attocostitutivo nelle società per azioni, in Trattato Rescigno, 17, Torino, UTET, 1985, 81; FER-RARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, 12a ed., Milano, Giuffrè, 2001, 565; GRIPPO, Il re-cesso del socio, in Trattato Colombo-Portale, 6*, Torino, UTET, 1993, 177; GALLETTI, Il re-cesso nelle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2000, 458 (che pone l’accento sulla necessitàche tali forme differenti di comunicazione si pongano all’interno dell’atto costitutivo in alter-nativa e non in sostituzione della lettera raccomandata); CARDARELLI, Il diritto di recessonella disciplina societaria, in Studi Senesi, 1983, 333; e, da ultimo, DE ANGELIS, Dichiara-zione di recesso e credito per la liquidazione della quota, commento a Cass., 19 marzo 2004,n. 5548, in Società, 2004, 1372, nt. 24. Di parere contrario, postulando la inderogabilitàdella forma di trasmissione della dichiarazione costituita dalla lettera raccomandata FRÈ, So-cietà per azioni, in Commentario Scialoja, 4a ed., Bologna-Roma, Zanichelli - Società edi-trice del « Foro italiano », 1972, 712 e COTTINO, voce Società (diritto vigente): società perazioni, in Nov.mo Dig. it., XVII, Torino, UTET, 1957, 654.

(3) In materia di diritto comune è stata propensa a considerare necessaria per il re-cesso la stessa forma utilizzata per il contratto da cui si receda solamente qualora ciò sia im-posto esplicitamente dalla legge o statuito dalle parti Cass., 28 gennaio 1976, n. 267, inGiur. it. Mass., 1976, 82 e Cass., 14 agosto 1986, n. 5059, in Giust. civ. Mass., 1986, fasc.8-9.

Anche in giurisprudenza si è assistito al dibattito sulla possibilità o meno di inserire

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di trasmissione (4). Tale aspetto non era tuttavia di per sé sufficiente; doveva esserecoordinato, difatti, con l’esigenza della certezza della ricezione della dichiarazione daparte della società (5). Pare innegabile che la preferenza accordata dal legislatore per lalettera raccomandata — preferenza ribadita, come si vedrà, pure nella riforma del 2003— sia stata dettata da ragioni essenzialmente garantistiche a favore sia della società chedel socio, in vista dei diversi e complementari interessi che li animano: celerità, almenoteorica, del raggiungimento della destinazione per la società, interessata a conoscerenel minore spazio di tempo possibile l’entità dei recessi che graveranno sulle casse so-ciali al momento della liquidazione della quota al socio recedente; ragionevole affida-mento sull’arrivo — e sull’arrivo in tempo utile — della dichiarazione alla società perquanto concerne il socio desideroso di abbandonare la compagine sociale. In relazionea tali strumenti alternativi sono state prospettate differenti ipotesi; esse, tuttavia,avendo ad oggetto la ricerca di una garanzia di ricezione della dichiarazione in tempoutile in termini, se non maggiori, almeno uguali a quelli — quantomeno in linea teo-rica (6) — previsti per la lettera raccomandata, si sono risolti in un catalogo di solu-zioni sostanzialmente comportanti un aggravio delle condizioni per l’esercizio del re-cesso da parte del socio (7), situazione che si poneva in aperto contrasto con l’ultimocomma dell’art. 2437 previgente, a mente del quale era nullo ogni patto che rendessepiù gravoso l’esercizio del diritto di recesso. Stante tale situazione, non pareva certoazzardato ammettere forme alternative all’utilizzo della lettera raccomandata, ma noncerto sostitutive di esso, in modo da garantire, se del caso, un maggiore ventaglio dipossibilità al socio desideroso di recedere, ma senza al contempo privarlo della solu-zione rispondente ai massimi criteri di economicità (8).

Se il tema delle modalità di trasmissione è stato ampiamente sviscerato dalla dot-trina, ben poche parole si sono spese sul contenuto necessario della dichiarazione di re-cesso nella formulazione ante riforma dell’art. 2437. Deve dirsi che il dato testuale, diper sé, non offriva alcun aiuto, perlomeno prima facie. Certamente era necessario for-

nell’atto costitutivo forme di comunicazione alternative alla raccomandata, essendo tuttaviala tendenza predominante a favore della soluzione negativa; si vedano, per questo Cass., 10agosto 1950, n. 2480, in Foro it., 1951, 890; App. Napoli, 2 aprile 1947, in Dir. fall., 1948,II, 34. Negli ultimi anni si sta assistendo ad un ripensamento della questione; cfr. Cass., 3gennaio 1998, n. 3, in Società, 1998, 773, cit. anche nella stessa decisione in epigrafe al § 3della motivazione.

(4) In favore, evidentemente, della posizione del socio che si trovava a dovere eserci-tare il suo recesso entro termini temporali estremamente contenuti. In questo senso GRIPPO,(nt. 2), 179.

(5) Così BRUNETTI, Trattato, III, (nt. 2), 292.(6) Pare evidente la fiducia che il legislatore del 1942 riponeva nell’efficienza del ser-

vizio postale, e forse è questa la ragione che ha portato all’adozione del termine breve di tregiorni previsto per il socio presente e non consenziente alla deliberazione. Così PRESTI, (nt.2), 106. Contra CARDARELLI, (nt. 2), 333.

(7) La questione è toccata da GALLETTI, (nt. 2), 451; per il suo prospettarsi anche inseguito alla riforma, si veda fin d’ora PACIELLO, Commento all’art. 2437-bis, in NICCOLINI-STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali. Commentario, Napoli, Jovene, 2004,1118.

(8) In realtà, forse, la soluzione massimamente economica è rappresentata dalla di-chiarazione di recesso fatta personalmente dal socio presso la società. Su tale possibilità, am-messa anche dalla decisione in epigrafe e che sarà esaminata anche infra in materia di moda-lità riformate di esercizio del diritto di recesso, si veda, ancora nella vigenza del codice dicommercio, VIGHI, I diritti individuali degli azionisti, Parma, Battei, 1902, 76 e, dopo l’en-trata in vigore del Codice civile, pare GALLETTI, (nt. 2), 458, nt. 32; ultimamente si veda DE

ANGELIS, (nt. 2), 1372 (nt. 24).

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nire la propria identificazione, nonché l’indicazione del domicilio, che appaiono impre-scindibili ai fini della corretta liquidazione della quota a seguito del recesso. Ugual-mente necessaria pare la prova di essere effettivamente azionista della società (9), esi-genza particolarmente sentita nel caso delle azioni emesse al portatore. In terzo luogo,il contenuto principale della dichiarazione, ovvero la manifestazione esteriore della vo-lontà di abbandonare la società, in conseguenza al proprio dissenso relativo ad una de-terminata deliberazione assembleare (10). Stanti le perplessità che circondavano il c.d.« voto divergente » (11), la dottrina prevalente riteneva che il socio fosse tenuto al re-cesso totalitario (12), ragione per cui, una volta individuata la persona del socio, eglinon avrebbe comunque dovuto dichiarare per quante delle azioni di cui era titolareavesse avuto intenzione di esercitare il diritto di recesso.

In virtù di quanto sinora esposto, pare del tutto corretta la decisione della Corted’Appello di Milano. Se, infatti, il deposito presso la sede sociale era certamente idoneoa costituire una ragionevole prova del persistere dello status socii in capo al recedente,ciò che pare del tutto mancante è la manifestazione esteriore della volontà di usciredalla società. Meglio ancora, si potrebbe obiettare che il rigetto sia derivante non tantodalla natura non recettizia della comunicazione posta in essere dal socio nei confrontidella società, quanto, piuttosto, nella stessa assenza della dichiarazione, come peraltrogiustamente rilevato dal Giudice (13).

Per quanto riguarda il secondo dei tre temi individuati supra a partire dal dispostodel vecchio art. 24372, — il termine differenziato a seconda che ci si trovasse dinanziad un socio presente all’assemblea, ma dissenziente o astenutosi, piuttosto che ad unazionista assente — si deve rammentare quanto è già stato accennato in riferimentoalle previsioni del codice di commercio del 1882. Già in quella sede era formulata taledistinzione tra presenti ed assenti al fine di determinare il quando entro cui il recessodoveva essere dichiarato, addirittura con la prescrizione che il recesso dell’intervenutodovesse essere dichiarato — mediante modalità non specificate — entro ventiquattroore dalla chiusura dell’assemblea. Il termine, estremamente ridotto, lascia pensare, uni-tamente al concetto sotteso al participio « dichiarato » anziché « comunicato », che sipotesse trattare di un recesso esercitabile anche in forma orale, stante poi, eventual-mente, la necessità di una sua iscrizione (14).

(9) Importante, anche se esula dall’orbita di questa nota, il dibattito relativo a qualesia il momento in cui debba sussistere lo status socii in capo al recedente al fine di attribuir-gli la legittimazione a recedere; cfr., tra gli altri, DE ANGELIS, Esercizio del diritto di recesso ecessazione dello status socii, in Società, 1994, 1226; GRIPPO, (nt. 2), 181 e GALLETTI, (nt. 2),459.

(10) In realtà sembra che tale necessità potesse essere sentita solamente qualora ricor-ressero congiuntamente le seguenti due — improbabili — ipotesi: che vi fosse stata, entro ilbreve lasso di tempo dato per comunicare il recesso, più di una deliberazione (cui il socionon fosse stato consenziente) avente oggetto suscettibile di essere causa di recesso; nonchéche nell’intervallo tra le approvazioni tali deliberazioni fosse stato approvato il bilancio perl’anno precedente. Stante, infatti, la disciplina previgente in tema di valutazione della quotaal socio uscente, tale ultima circostanza sarebbe stata idonea a creare problemi in ordine alquantum da liquidare al socio recedente.

(11) Sulle cui implicazioni in materia di recesso si veda JAEGER, Il voto divergente, Mi-lano, Giuffrè, 1976, 46 ss.

(12) Così JAEGER, ibidem; FRÈ, (nt. 2), 710. Contra VISENTINI, voce Azioni di società,in Enc. dir., IV, Milano, Giuffrè, 1959, 977.

(13) § 3 della motivazione.(14) Per la dichiarazione di recesso in sede assembleare, si veda supra, nt. 8. Per

quanto concerne il recesso orale, esso è ipotizzato, qualora tale forma sia comunque da con-

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Quanto al codice civile del 1942, pur restando il retaggio del termine differenziatoa seconda della partecipazione o meno all’assemblea, si è provveduto, anche sulla sciadi osservazioni della dottrina (15) a ridurre il divario tra le due scadenze: in luogo delleventiquattro ore dalla chiusura dell’assemblea (16) e trenta giorni dalla pubblicazioneprevisti dall’art. 158 c. comm., si è passati a tre giorni dall’assemblea e quindici dallapubblicazione.

Buon gioco si ha, a questo punto, nell’individuare il terzo tema discendente dal-l’art. 2437 in materia di modalità di esercizio del diritto di recesso: la questione, cioè,se si dovessero intendere i termini appena esposti come riferiti all’invio della dichiara-zione del socio, o piuttosto alla ricezione della stessa da parte della società.

Il problema è stato lungamente dibattuto, ed in questa sede vale la pena di dareatto solamente in linea di massima delle posizioni contrapposte. A fronte, infatti, diuna larghissima maggioranza favorevole a considerare il momento della ricezione comerilevante ai fini dell’esercizio nei termini del diritto di recesso (17), alcuni autori hannoinvece ritenuto, sostanzialmente facendo leva sulla altrimenti inesplicabile brevità deltermine per recedere, specie per il socio presente all’assemblea, che il momento in que-stione fosse da rinvenirsi in quello dell’invio della dichiarazione da parte del socio (18).Merita di essere citato anche l’interessante sforzo di sintesi operato da un autore che hacreduto di potere fornire una interpretazione « ortopedica » all’ambiguità della normareputando operante il termine di tre giorni decorrenti dalla conclusione dell’assembleaai fini dell’invio, ma subordinando l’efficacia della dichiarazione alla ricezione da partedella società entro il quindicesimo giorno seguente l’iscrizione della delibera nel regi-stro delle imprese (19).

Interessante era pure il problema se fosse possibile alla società, evidentemente alfine di abbreviare il tempo in cui le era preclusa la conoscenza di quanti fossero i socidesiderosi di recedere, comunicare direttamente al socio, e dunque prima che avvenissel’iscrizione nel registro delle imprese della delibera, il contenuto della decisione assem-bleare. Ci si è chiesti se il termine dovesse in tale caso reputarsi decorrente dalla rice-zione da parte del socio della comunicazione della società. Dottrina prima (20) e giuri-

siderarsi idonea alla conoscenza da parte della società, da MARGHIERI-BATTISTA, (nt. 1),430.

(15) Cfr. DORE, (nt. 1), 22.(16) Pare corretto il rilievo mosso da FERRARA-CORSI, (nt. 2), 565, riguardo al fatto

che si debba intendere non il momento esatto dell’approvazione della delibera, bensì quellodella chiusura dell’assemblea.

(17) Così PRESTI, (nt. 2), 106; BRUNETTI, Trattato, III, (nt. 2), 292; SALANDRA, (nt. 2),380; CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Torino, UTET, 2002, 485(nt. 2); FERRARA-CORSI, (nt. 2), 565; GRIPPO, (nt. 2), 178; e, sia pure in tema di s.r.l., SAN-TINI, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Scialoja-Branca, 4a ed., 326(nt. 7). Sostanzialmente sulla stessa posizione paiono, poi, GABRIELLI-PADOVINI, (nt. 2), 43,reputando la brevità del termine un espediente per « costringere il socio dissenziente a deci-dere senza indugio, e non già per eliminare l’incertezza della società circa la composizionedella compagine sociale; come risulta dalla circostanza che i soci assenti, anziché dissen-zienti, possono recedere entro il più lungo termine di quindici giorni ». Per la giurispru-denza, si veda ancora Cass., 3 gennaio 1998, n. 12, (nt. 2).

(18) BELVISO, (nt. 2), 81 e FRÈ, (nt. 2), 713.(19) GALLETTI, (nt. 2), 454.(20) Già nella vigenza del codice di commercio si parlava di efficacia parziale del re-

cesso qualora esso fosse stato dichiarato prima dell’iscrizione della delibera nel giornale de-gli annunzi giudiziari; il recesso sarebbe poi stato definitivamente efficace nel momento incui diveniva efficace la delibera assembleare che ne forniva il presupposto. Così DONADIO,(nt. 1), 89; NAVARRINI, (nt. 1), 126. VIVANTE, (nt. 1), 333, pure esprimendo parere conforme

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sprudenza poi (21) hanno dato risposta favorevole a tale problema, reputando tale si-stema sufficientemente garantistico sia per la società che per il socio recedente.

2. La dichiarazione di recesso nel nuovo art. 2437-bis: articolazione, analogie edifferenze con il diritto previgente. — Come già è stato ricordato, l’istituto del recesso èuscito notevolmente modificato dall’impianto generale della riforma delle società di ca-pitali. L’avvento delle nuove norme ha significativamente investito anche l’ambito dellemodalità della dichiarazione di recesso, al punto da dedicare ad esse un autonomo arti-colo del novellato disposto codicistico.

Seguendo, per praticità di comparazione, la scansione utilizzata per il diritto previ-gente, si nota immediatamente la conferma della scelta, già accennata supra, della let-tera raccomandata quale idoneo mezzo di comunicazione per la dichiarazione di re-cesso. La problematica relativa alla sua eventuale derogabilità deve tuttavia fare ameno, nelle mutate condizioni derivate dalla riforma, della motivazione connessa allabrevità dei termini di esercizio del diritto di recesso (22). Ciononostante paiono restarevalide le conclusioni maturate dalla dottrina nella vigenza del testo abrogato, che por-tano, come si è visto, ad ammettere la possibilità che il recesso venga dichiarato attra-verso mezzi differenti dalla lettera raccomandata. La strada sembra aperta, quindi, atutti quegli strumenti di comunicazione che siano forieri di garanzie di celerità e cono-scibilità perlomeno eguali a quelle di cui è portatrice la lettera raccomandata. In parti-colare, se la giurisprudenza ha ipotizzato (23) l’utilizzo di telegrafo, telex, notificazionea mezzo di ufficiale giudiziario; ultimamente si è giunti a prendere in considerazioneanche la possibilità che il recesso sia esercitato mediante messaggio di posta elettronicaqualora esso sia corredato di firma elettronica (24). Essendo in tutte queste circostanzegarantiti sia il socio recedente che la società, pare non sussistano ostacoli a ritenere va-lidamente esercitato un recesso la cui dichiarazione, nei termini che si diranno, sia tra-smessa mediante uno dei suddetti mezzi di comunicazione. In questo senso non sem-brano esservi ostacoli, peraltro, neppure alla stessa dichiarazione di recesso in assem-blea, qualora essa venga verbalizzata (25). Decisamente più problematica la questionerispetto alla previsione di tali strumenti all’interno dell’atto costitutivo della società.Se, infatti, la clausola di garanzia ex art. 2437, ult. comma, previgente, che stabiliva lanullità di ogni clausola volta ad escludere ovvero rendere più gravoso l’esercizio del di-ritto di recesso, copriva l’intero novero di ipotesi di recesso contenute dallo stesso arti-colo, a seguito della riforma lo stesso scopo è assolto dall’art. 2437, ult. comma, ma so-lamente per i casi inderogabilmente previsti dal 1o comma. Ciò significa, ai fini di que-ste note, che l’atto costitutivo potrà sì prevedere tutte le forme di trasmissione della di-

a quello appena segnalato, puntualizza che il socio che abbia curato di fare pubblicare la de-libera perde la facoltà di recedere. Nella vigenza del codice civile, le stesse posizioni riguardola possibilità di esercitare il recesso prima della iscrizione della delibera sono state condiviseda BRUNETTI, Trattato, II, (nt. 2), 512; FRÈ, (nt. 2), 712; GALLETTI, (nt. 2), 454 (nt. 26).

(21) Cfr. Cass., 27 maggio 1999, n. 5173, in Società, 1999, 1063.(22) L’osservazione è di GALLETTI, Commento all’art. 2437-bis, in MAFFEI ALBERTI (a

cura di), Commentario al d. lgs. n. 6 del 2003, in corso di pubblicazione su N. leggi civ.,consultato grazie alla cortesia dell’Autore, 1 del dattiloscritto, che rileva il rischio che la giu-risprudenza continui ad affermare tralatiziamente la sostituibilità della raccomandata con al-tre forme di manifestazione.

(23) Cass., 3 gennaio 1998, n. 12 (nt. 2), ripresa anche dalla sentenza in epigrafe,§ 3. Gli stessi mezzi sono stati ipotizzati in dottrina da PRESTI, (nt. 2), 106 e GRIPPO, (nt. 2),177. GALLETTI, (nt. 2), 451, cita en passant anche la possibilità del corriere espresso.

(24) Così DE ANGELIS, (nt. 2), 1372.(25) V. supra, nt. 8.

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chiarazione di recesso alternative alla raccomandata appena elencate, ma che le valuta-zioni relative alla loro ammissibilità, comportando in quasi ogni caso (26) un aggraviodegli oneri richiesti al socio desideroso di abbandonare la società, dovranno avere unadifferente risposta a seconda che siano previste per i casi ex art. 24371 c.c. (27) ovveroper le ipotesi sub 2o e 4o comma dello stesso articolo. Nella prima evenienza, infatti,esse non potranno che essere considerate alternative, e non mai sostitutive della letteraraccomandata (28), e pare dunque doversi desumere che la scelta tra la meno onerosaraccomandata ed uno degli altri mezzi di trasmissione della dichiarazione debba esserenecessariamente demandata alla libera scelta del socio, essendo nulla per le ragioni ap-pena esposte una eventuale preclusione dell’uso della lettera raccomandata statuita dal-l’atto costitutivo (29). Al contrario, sembra tout court possibile ipotizzare la sostituzionedella lettera raccomandata ad opera di uno o più differenti mezzi di trasmissione delladichiarazione nei casi di recesso regolati al di fuori del 1o comma, e ciò anche se ilmezzo dovesse prospettarsi particolarmente oneroso, salvo che esso non costituisca, defacto, una implicita eliminazione della causa di recesso (30).

Sempre riguardo all’aspetto della dichiarazione, è utile vedere come la riforma ab-bia inciso sul contenuto dell’atto di recesso, stabilendo quali siano gli elementi che inesso debbano essere forniti a cura del recedente. In questo senso si è trattato del rece-pimento della prassi in uso nella vigenza delle regole abrogate, con le opportune modi-

(26) In termini monetari per quanto concerne la notifica a mezzo di ufficiale giudizia-rio, il corriere espresso ed il telegramma; in termini di minore tempo per la valutazione per-sonale della scelta se recedere o meno per il recesso dichiarato in assemblea. Dal novero re-stano esclusi telefax ed e-mail; la loro eventuale ammissibilità, tuttavia, deve essere coordi-nata con il precetto che dispone il deposito obbligatorio delle azioni presso la sede sociale; v.infra. È stato affermato dalla giurisprudenza, sia pure con riferimento alle società di persone,che anche la citazione o la comparsa di intervento siano suscettibili di essere validi mezzi didichiarazione di recesso: Trib. S.M. Capua Vetere, 20 luglio 1991, in Dir. fall., 1992, II,1149.

(27) E ad essi assimilati od assimilabili. Si pensa innanzitutto all’art. 34, d. lgs. 17gennaio 2003, n. 5, (sulla cui configurabilità come inderogabile DE ANGELIS, (nt. 2), 1378;RORDORF, Il recesso del socio da società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, inSocietà, 2003, 926), o all’ipotesi di recesso da società contratta a tempo indeterminato, pre-vista dell’art. 24373. Si potrebbe peraltro ipotizzare che il fatto che le due ipotesi appena ri-cordate siano considerate come inderogabili possa costituire una condizione non sufficientead una loro inclusione nel campo applicativo dell’ultimo comma della norma in parola, chevieta esclusione ed aggravio delle condizioni solamente in presenza di quelle ipotesi com-prese nel 1o comma dell’art. 2437. In sostanza, si potrebbe trattare di una sorta di quartumgenus, oltre ad ipotesi inderogabili coperte dalla clausola di garanzia, derogabili e statutarie,per cui sarebbe vietata l’esclusione in ragione sia dell’eccezionalità delle ipotesi che del fattoche si tratterebbe di espressione di principi di ordine pubblico, ma non l’eventuale aggraviodelle condizioni di esercizio.

(28) In questo senso il già più volte citato contributo di GALLETTI, (nt. 2), 458.(29) PACIELLO, (nt. 7), 1118.(30) Non vale, infatti, obiettare che, in quanto cause disponibili, essendo possibile l’e-

liminazione dell’ipotesi sarà per ciò stesso possibile ogni tipo di limitazione dell’esercizio deldiritto di recesso. Se, infatti, tale modifica dovesse costituire, come si ipotizza nel testo, unasostanziale eliminazione dell’ipotesi di recesso, il socio sarebbe meno garantito nei confrontidi tale variazione dell’atto costitutivo. Come, infatti, è prevista una ipotesi inderogabile di re-cesso all’art. 24371, lett. e), che prevede sempre il recesso in caso di « eliminazione di una opiù cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto », così non è dataprevisione qualora, anziché all’eliminazione, si assista ad un aggravio delle modalità per re-cedere. Ragione per cui sembra che l’aggravio comportante una eliminazione de facto dellapossibilità di recedere per una determinata ipotesi sia da equiparare in via di interpretazioneall’eliminazione stessa.

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fiche dettate dalla mutata disciplina dell’istituto. In particolare, se già prima della ri-forma sembrava imprescindibile l’indicazione delle generalità del socio e del suo domi-cilio, oggi tale esigenza è consacrata dalla espressa previsione dell’art. 2437-bis, es-sendo tuttavia questo non sempre decisivo ai fini del controllo se lo status socii perma-nesse in capo al recedente al momento della deliberazione assembleare che abbia for-nito il presupposto per recedere (31). Ulteriori requisiti stabiliti dalla norma sono le in-dicazioni relative a numero e categoria delle azioni per cui si abbia intenzione di eserci-tare il diritto di recesso. È chiaro come tale disposizione sia logica conseguenza dellapossibilità di esercizio del recesso parziale previsto dall’art. 24371. Pare potersi affer-mare con ragionevole certezza che, qualora tale indicazione manchi, il recesso debbaintendersi esercitato per tutto il pacchetto azionario detenuto dal socio. Non sembra,tuttavia, necessaria l’indicazione dei numeri di serie dei titoli per cui si recede, se nonper le azioni al portatore nel caso in cui il socio abbia preso parte all’assemblea (32), es-sendo altrimenti sufficiente la mera indicazione della quantità di esse. Un ulteriore ele-mento da citare nella dichiarazione di recesso, solamente accidentale, è la eventualecontestazione del valore da riconoscere ai soci recedenti determinato dagli amministra-tori a norma dell’art. 2437-ter (33).

Per quanto concerne il secondo punto, relativo ai termini per l’esercizio del dirittodi recesso, la novità più significativa è costituita dalla eliminazione delle disparità trasoci intervenuti o meno all’assemblea; detti termini sono stati portati, per ogni socioche non abbia concorso alla deliberazione, a quindici giorni dalla iscrizione della deli-

(31) Infatti, pure uscendo l’esigenza di indicare generalità e indicazioni sul domiciliodel recedente particolarmente rafforzata dall’impianto generale della riforma — in partico-lare in ragione delle disposizioni di cui all’art. 2370 in tema di deposito delle azioni in occa-sione delle assemblee reso ora facoltativo e di iscrizione nel libro soci —, sembra possanotuttavia sussistere problemi in sede di controversia riguardo la legittimazione a recedere qua-lora il socio non sia intervenuto all’assemblea. De facto, la norma appena citata spiega unafunzione garantistica nei confronti del neo-socio in occasione della sua partecipazione all’as-semblea, ma non fornisce garanzia sulla titolarità di partecipazioni sociali del non interve-nuto. In questo caso, infatti, la necessità di depositare le azioni per cui si recede presso lasede sociale — su cui si veda infra —, è garanzia della permanenza dello status socii in capoal recedente al momento in cui si recede, ma non altrettanto della sua sussistenza al mo-mento della approvazione assembleare della deliberazione presupposto del recesso. Sultema, inerente il profilo della legittimazione a recedere che non è possibile qui trattare, siveda TUCCI, Acquisto a termine di azioni immesse in gestione accentrata ed esercizio del di-ritto di recesso, in Banca, borsa tit. cred., 2002, II, 321 s.; MINERVINI, Sulla legittimazioneall’esercizio del diritto di recesso nelle società per azioni, in Rassegna economica, 1963, 679ss., ora anche in Società, associazioni, gruppi organizzati, Napoli, ESI, 1973, 379 ss. Lostesso problema, si nota incidentalmente, si pone pure per le azioni di risparmio, per le qualiil diritto di recesso è generalmente riconosciuto (cfr. per tutti BIONE, Le azioni, in TrattatoColombo-Portale, 2*, Torino, UTET, 1991, 82 e 97), ed in genere per le azioni emesse al por-tatore; cfr. GALLETTI, (nt. 22), 5.

(32) Così GALLETTI, ibidem.(33) Che, come è noto, deve essere predisposto almeno quindici giorni prima dell’as-

semblea. La ratio di tale norma pare risiedere nella possibilità, data al socio, di valutare laconvenienza del potenziale recesso prima ancora che ne venga a nascere il presupposto,« depurando » tale valore, evidentemente, da eventuali sbalzi di mercato causato dall’ado-zione della delibera. Qualora, dunque, ci si chieda se sia onere degli amministratori il predi-sporre una analoga valutazione anche nel caso di un recesso non determinato da una delibe-razione, la risposta non potrà che risentire di tali finalità. In particolare, pur se resterebbesalvaguardata la possibilità di preventiva valutazione per il recedente, non altrettanto si po-trebbe dire per la funzione di « isolamento » dal mercato, stante l’impossibilità di determi-nare il quando dell’avverarsi dell’eventuale fatto legittimante il recesso diverso dalla delibe-razione, e dunque pure di predisporre una valutazione che non risenta di esso.

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bera nel registro delle imprese. Nonostante l’equiparazione delle situazioni di interve-nuti e non, non si può tuttavia parlare di termine unico per l’esercizio del diritto di re-cesso. Tale affermazione sarebbe infatti contraddetta, da un lato, dallo stesso art.2437-bis, che fissa il termine, per i casi di recesso diversi da deliberazioni, a trentagiorni dalla conoscenza da parte del socio dell’effettivo avverarsi dell’evento; dall’altrodall’art. 34, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, che, per il solo caso delle « modifiche del-l’atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie » prevede che isoci assenti e dissenzienti (34) « possano, entro i successivi novanta giorni, esercitare ildiritto di recesso ». Tre sono i profili di particolare interesse che tali norme susci-tano.

In primis è necessario valutare se la comunicazione del contenuto della delibera-zione che eventualmente la società porti a conoscenza dei soci prima dell’iscrizione nelregistro delle imprese sia, alla stregua di quanto sostenuto sotto l’egida del previgenteart. 2437, suscettibile di fare decorrere il termine a quo computare i quindici giorni perl’esercizio del recesso. Mi parrebbe che al dubbio possa essere data soluzione positiva,essenzialmente in relazione alla importanza che il legislatore connette alla conoscenzada parte del socio (35), di cui è spia evidente anche il termine mensile, nelle ipotesi direcesso che trovino il loro presupposto non in una deliberazione, che decorre dal mo-mento in cui il socio venga a conoscenza dell’evento. Tutto ciò, naturalmente, facendosalvo il precetto relativo alla nullità delle clausole che comportino un aggravio della si-tuazione del socio potenzialmente recedente. Se, come pare possibile, un simile strata-gemma possa essere inteso a comprimere il tempus deliberandi stabilito a favore del so-cio, ecco che la clausola che eventualmente preveda tale disposizione per i casi di re-cesso ex art. 24371 sarà da ritenersi nulla.

In secondo luogo, la norma che stabilisce il termine di trenta giorni ai fini della di-chiarazione di recesso qualora esso sia determinato da fatti diversi da deliberazione su-scita vari problemi. Innanzitutto: qual è la portata del precetto? Ovvero, cosa si deveintendere per fatto diverso da deliberazione? È indubbio che la norma si riferisca adipotesi di recesso di origine statutaria, non essendovene alcuna, nel catalogo dell’art.2437, non costituita da deliberazione assembleare soggetta ad iscrizione. È pure da ri-levare in via incidentale che l’art. 2497-quater, che prevede cause di recesso del sociodi società soggetta ad attività di direzione e coordinamento non costituite da delibera-zioni assembleari, espressamente rimanda, quanto alla disciplina del recesso, a quantoprevisto in materia di s.p.a. e di s.r.l. Al di fuori di questa ipotesi, vi è chi, acutamente,si è posto il problema di casi statutari di recesso costituito da delibere assembleari co-munque non soggette ad iscrizione presso il registro delle imprese (36). Mi pare che tali

(34) E non i soci che non abbiano concorso alla deliberazione, secondo la previsionedell’art. 2437. Bisogna tuttavia rilevare che, stante l’interpretazione generalizzata (le unichevoci contrarie erano di G. FERRI, La fusione delle società commerciali, Roma, Società edi-trice del « Foro italiano », 1936, 131; PESCATORE, L’impresa societaria a base capitalistica.Modificazioni statutarie, in BUONOCORE (a cura di), Manuale di diritto commerciale, Giappi-chelli, Torino, 2001, 386; COTTINO, (nt. 2), 654) del previgente art. 2437, propensa ad acco-gliere nel novero degli assenti o dissenzienti pure gli astenuti, in pratica il significato delledue formulazioni è lo stesso.

(35) Contra GALLETTI, (nt. 22), 3, che sostiene un valore ultrasoggettivo della pubbli-cazione, ed ammette la possibilità di una valida comunicazione ad personam solamente neicasi di quelle ipotesi (statutarie) di recesso derivanti da deliberazioni non soggette ad altraformalità che l’iscrizione nel libro soci, e, pure in questo caso, solamente qualora tale comu-nicazione riporti integralmente il contenuto della deliberazione.

(36) Così GALLETTI, (nt. 22), 2, che risolve assimilando il deposito all’iscrizione e lamera iscrizione nei libri sociali ai fatti diversi da deliberazione.

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ipotesi rientrino, per definizione, nell’alveo delle deliberazioni, e dunque il terminedebba essere costituito dai quindici giorni, lì dall’iscrizione presso il registro delle im-prese, qui dal deposito presso lo stesso Ufficio, ovvero dalla iscrizione nei libri so-ciali (37). Differente sembra, invece, il caso in cui lo statuto preveda il recesso qualereazione a deliberazioni consiliari sgradite all’azionista: in questa ipotesi, salvo che ilsocio sia amministratore (caso in cui varranno le considerazioni in tema di conoscibi-lità dell’oggetto della delibera appena esposte), l’adozione della delibera non gli potrà,di norma, essere nota, ragione per cui essa dovrà essere assimilata alle ipotesi di re-cesso non costituite da deliberazioni.

Determinato, dunque, il concetto di deliberazione, si può intendere in negativoquale sia la nozione di ‘‘fatto da essa distinto’’. Esso potrà dunque essere costituito daun accadimento esterno od interno alla società che tuttavia non abbia natura di condi-zione meramente potestativa da parte del socio; in tale caso, infatti, si tradurrebbe inuna maniera per consentire il recesso ad nutum a favore dell’azionista, ipotesi che il le-gislatore non pare avere voluto consentire (38). Una volta stabilito questo, è necessariointendere quale sia il livello di conoscenza che il legislatore reputa sufficiente a dare

(37) Non mi pare convincente la soluzione data, su questo ultimo punto, da GALLETTI,ibidem: egli sostiene che « quando ... la delibera fosse soltanto soggetta ad iscrizione nel li-bro dei soci, la sua adozione di per sé non farà decorrere il termine, neppure sulla base dellaconsiderazione per cui il socio può prospettarsi la sua adozione sulla base dell’ordine delgiorno contenuto nella lettera di convocazione: ciò equivale infatti solo ad un dubbio, e nongià alla conoscenza ». Mi pare che, invece, qualora si ammetta, correttamente, l’assimila-zione de facto del deposito all’iscrizione, in ragione della equivalente pubblicità data alla no-tizia, non si possa non ammettere la stessa assimilazione per le delibere iscritte nel libro soci.Non è, ci pare, la rilevanza pubblica della notizia che rende le due fattispecie differenti, maquella della conoscibilità in concreto per il socio. Egli ha tale possibilità per il fatto stessodella lettera di convocazione in assemblea, per quanto riguarda le delibere assembleari. Ilfatto che, per tramutare il dubbio in certezza, sia richiesta al socio un’attivazione ulteriore(ovvero la richiesta alla società di notizie sull’esito della votazione) non pare sia elemento ri-levante; in fin dei conti il socio avrebbe dovuto attivarsi ugualmente per la consultazione delregistro delle imprese. Inoltre sembra più corretto seguire tale impostazione per evitare chela società, pure avendo fornito al socio gli strumenti per conoscere quando una eventuale de-cisione avrebbe potuto essere presa (attraverso la convocazione con l’ordine del giorno),debba sottostare al rischio di recessi anche molto procrastinati nel tempo. Questo varrà pertutti i soci qualora la convocazione sia stata data attraverso avviso sulla Gazzetta Ufficialeovvero sulla stampa quotidiana; se tuttavia la società si sia avvalsa della facoltà prevista dal-l’art. 23663, il discorso appena fatto non potrà valere che per i soli soci validamente convo-cati, e quindi, essenzialmente per i titolari dei diritti di voto (e dunque di intervento), es-sendo plausibile che tale facoltà sia data in ragione di ottimizzare le spese della convoca-zione, e dunque verrà utilizzata per convocare i soli aventi diritto.

(38) Il problema è aperto e la dottrina divisa: danno soluzione sostanzialmente favore-vole all’ipotesi di recesso ad nutum anche da società contratte a tempo determinato: CARMI-GNANI, Commento all’art. 2437-bis, in SANDULLI-SANTORO (a cura di), La riforma delle so-cietà, Torino, Giappichelli, 2003, 882; MALTONI, Prime riflessioni in ordine alla nuova disci-plina del recesso nelle s.p.a., reperito in rete all’URL http://www.notarlex.it/news/RE-CESSO—MALTONI.pdf, 3; CROSTI-VITALI, Il recesso, in BELLEZZA-GUBITOSI (a cura di), Lanuova disciplina del diritto societario, Piacenza, La Tribuna, 2003, 241; ASSOCIAZIONE DI-SIANO PREITE, Il diritto delle società, Bologna, Il Mulino, 2004, 236; RORDORF, (nt. 27), 927.Propendono per l’opposto avviso: CAPPIELLO, Commento all’art. 2437, in Codice commen-tato delle nuove società, Milano, Ipsoa, 2004, 846; GALLETTI, Commento all’art. 2437 c.c.,in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario al nuovo diritto societario, in corso di pubblica-zione su N. leggi civ., ancora una volta consultato grazie alla cortesia dell’Autore. In posi-zione scettica, ma alquanto dubbiosa, si annoverano DE NOVA, Il diritto di recesso del sociodi società per azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv., 2004, 333; CALLEGARI, Com-

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inizio al termine a quo (39). In effetti sembra difficile potere applicare, in questo caso,la teoria della conoscibilità, anche per rispetto del tenore letterale dell’art. 2437-bis;certo non è applicabile la norma generale sulla presunzione di conoscenza ex art. 1335,riferendosi essa a conoscenze di dichiarazioni e non di fatti; e tanto meno pare si possaapplicare l’art. 2193, dal momento che difficilmente i fatti legittimanti il recesso do-vranno essere iscritti nel registro delle imprese. In realtà pare plausibile che il legisla-tore abbia inteso, in questo caso particolare, la conoscenza effettiva dell’evento daparte del socio, per quanto, come evidenziato da più commentatori, tale sistema siaparticolarmente difficoltoso da attuare sotto il profilo degli oneri probatori (40). Al finedi ovviare a tale inconveniente, è stato ipotizzato che potrebbe essere lo statuto che,ove preveda quali sono i casi diversi da deliberazione che potranno fornire il presuppo-sto per il recesso, stabilisca pure le modalità per chiarire quale sia il momento in cui laconoscenza del socio sia presunta, ovvero le modalità per portare a conoscenza del so-cio il verificarsi dell’evento (41).

Il terzo problema che ci si è posti è relativo al caso di recesso ex art. 34, d. lgs. 17gennaio 2003, n. 5. Esso è foriero, ai fini che ci riguardano, essenzialmente di un dub-bio: da quando decorrono i novanta giorni per l’esercizio del diritto di recesso? Il datoletterale non aiuta: riferisce di « successivi novanta giorni » senza curarsi di fornire untermine da cui farli decorrere. Come si è visto, l’ipotesi in esame è di per sé problema-tica sotto vari aspetti: indicazione in tema di legittimazione divergente e termine diesercizio sensibilmente più dilatato rispetto alla disciplina generale del recesso da s.p.a.Tali elementi portano a supporre uno scarso coordinamento tra le commissioni chehanno elaborato il decreto sostanziale e quello processuale. A prima vista si potrebbeessere portati per una lettura dell’art. 34 associata agli artt. 2437 ss., e dunque ritenereche il termine trimestrale debba decorrere dall’iscrizione della delibera nel registrodelle imprese (42). Utilizzando, tuttavia, un ragionamento già esplicato supra, mi pare sipossa giungere ad altra soluzione, che potrebbe fornire la ragione del termine esorbi-tante rispetto alle altre ipotesi di recesso. La modifica dell’atto costitutivo riguardanteintroduzione o soppressione delle clausole compromissorie deve essere approvata, aisensi della norma in esame, da un quorum qualificato, facente riferimento al capitalesociale sottoscritto, ma senza fare alcun tipo di menzione alla partecipazione degli azio-nisti dotati di diritto di voto (43). Ciò potrebbe significare che l’inserimento, o la rimo-zione, di siffatta clausola, avendo ad oggetto un argomento di interesse di ogni socio —

mento all’art. 2437, in COTTINO (e al.) (diretto da), Il nuovo diritto societario, 2**, Bologna,Zanichelli, 2004, 1407.

(39) CAPPIELLO, Commento all’art. 2437-bis, in Codice commentato delle nuove so-cietà, Milano, Ipsoa, 2004, 850 è a favore della teoria della conoscibilità, mentre GALLETTI,(nt. 22), 2 si rifà a concetti di « conoscenza ‘‘completa’’ o quantomeno ‘‘apprezzabile’’, sic-ché un mero dubbio, benché non ‘‘risolto’’, non fa decorrere il termine ».

(40) PACIELLO, (nt. 7), 1118; GALLETTI, (nt. 22), 2.(41) Così MORANO, Analisi delle clausole statutarie in tema di recesso alla luce della

riforma della disciplina delle società di capitali, in Riv. not., 2003, 314 s., nt. 43. Contrarioa questa ipotesi nella parte in cui prevede la comunicazione sull’avverarsi dell’evento daparte della società al socio è GALLETTI, (nt. 22), 3, che motiva a partire dalla discrezionalitàcui si presta la comunicazione dell’avvenimento.

(42) RORDORF, (nt. 27), 928; PACIELLO, (nt. 7), 1118.(43) È pur vero che si potrebbe sostenere l’applicabilità delle norme generali in tema

di s.p.a., e che dunque sia scontata la partecipazione dei soli azionisti con diritto di voto. An-che se così fosse, però, ad ogni altra categoria azionaria, essendo la modificazione statutariain parola rilevante per i titolari di ogni differente tipo di azione, spetterà la decisione (e dun-que, a fortiori, pure la convocazione) in sede di assemblea speciale di categoria.

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una sorta di diritto individuale dell’azionista al due process of law — indipendente-mente che ad esso spetti o meno il diritto di voto in assemblea, costituisce un momentoin cui ad ogni socio della società è attribuito il diritto di voto, parrebbe di intendere an-che in deroga a pattuizioni statutarie a norma dell’art. 2348. Se così è, l’avviso di con-vocazione dell’assemblea dovrà essere, anche nel caso ex art. 23663, comunicato adogni socio, e nessuno di essi si troverebbe perciò nella situazione di non sapere dellapossibilità della modifica statutaria, cui, naturalmente, dovrebbe seguire una ulterioreattivazione al fine di avere effettiva conoscenza dell’approvazione o meno della deli-bera. A questo punto, preservando il tenore letterale della norma, si potrebbe leggere iltermine trimestrale come decorrente dall’approvazione della modifica, e dunque: « lemodifiche dell’atto costitutivo ... devono essere approvate dai soci ... I soci assenti odissenzienti (dall’approvazione, n.d.r.) ... possono, entro i successivi (all’approvazione,n.d.r.) novanta giorni, esercitare il diritto di recesso ». Adottando questa lettura, peral-tro, si scoprirebbe la ragione dell’inusitato termine di novanta giorni. Esso sarebbestato previsto al fine di garantire il più possibile i soci, fornendo loro esplicitamente lapossibilità di recedere ancora prima della iscrizione della delibera nel registro delle im-prese e per un tempo, successivo ad essa, comunque più prolungato dei quindici giornidecretati in via generale.

Un’ultima questione inerente ai termini per l’esercizio del diritto di recesso è rela-tiva alla possibilità o meno di derogare, in via statutaria, ai termini dettati dalla legge.Come è ovvio, anche l’analisi di questa ipotesi risente della norma che protegge i casidi recesso stabiliti dal 1o comma dell’art. 2437. Data tale premessa, si intende che,mentre i termini potranno essere statutariamente ridotti per le ipotesi di recesso chenon ricadano nell’alveo dell’art. 24371 (44), il lasso di tempo potrà, al contrario, esseredilatato in tutte le ipotesi di recesso (45).

Per quanto concerne il terzo punto di paragone con la disciplina previgente, la ri-forma ha voluto stabilire chiaramente che il termine ad quem è riferito l’esercizio deldiritto di recesso ha ad oggetto l’invio della comunicazione ad opera del socio, e nonpiù, come si riteneva nel previgente, il suo arrivo a destinazione. L’innovazione è dinon poco momento, specie perché potrebbe indurre a ripensare, prima facie, la qualifi-cazione stessa del diritto di recesso come atto recettizio. In realtà è impossibile vederenel recesso un atto non recettizio, anche se il punto fondamentale del momento rile-vante per la disciplina parrebbe discostarsi dai criteri generali statuiti dall’art.1335 (46). Il discorso ricade, tuttavia, non tanto sul profilo dell’efficacia del recesso,quanto su quello dell’efficacia della dichiarazione. Se, riguardo il primo punto, l’effica-cia è legata alla perdita dello status socii e dunque rinviata, secondo il pensiero della

(44) Resti, tuttavia, salva l’ipotesi di una riduzione che determini una eliminazione defacto della ipotesi in esame; v. supra, nt. 30.

(45) GALLETTI, (nt. 22), 4, acutamente pone vari distinguo. Innanzitutto, non ritienepossibile la dilatazione in maniera abnorme del termine, che equivarrebbe, sostanzialmente,ancora ad una negazione della stessa ipotesi di recesso. Poi indaga l’ammissibilità di clausoleche facciano decorrere il termine sempre (e dunque pure nel caso di recesso determinato dadeliberazione) dalla effettiva conoscenza (e non dalla conoscibilità) che il socio abbia delfatto od atto presupposto del suo possibile recesso. La soluzione proposta dall’autore è diffe-renziata a seconda che si tratti di società chiuse o meno, ammettendo l’ammissibilità di taliclausole nelle prime e non nelle seconde, motivando a partire dalla tutela degli interessi pub-blici coinvolti.

(46) GALGANO, Diritto commerciale. Le società, 13a ed., Bologna, Zanichelli, 2003,382, parla di deroga al principio generale della cognizione.

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dottrina prevalente, al momento di liquidazione della quota al receduto (47), ciò che quiinteressa è il profilo dell’efficacia della dichiarazione. Perché vi sia una dichiarazione direcesso validamente espressa, è necessario il concorso di vari elementi; tra di essi im-portanza non certo secondaria riveste il profilo dell’invio nel rispetto dei termini vistisupra. Ora, come è noto, l’art. 1334 prevede che gli atti unilaterali producono i loro ef-fetti dal momento in cui essi pervengono a conoscenza del destinatario. L’effetto pro-dotto dalla dichiarazione di recesso è non tanto il provocare l’uscita del socio dalla so-cietà, bensì di innestare il complesso procedimento di recesso che ha nell’effettivo exitdel socio, dopo la riforma, solamente una delle soluzioni possibili. Il diritto di recesso,dunque, è da ritenersi validamente esercitato qualora siano soddisfatti i requisiti di cuisi è detto sinora (48). Altro, però, è il valido esercizio del recesso, ed altro l’efficaciadella dichiarazione; quest’ultima verrà raggiunta solamente nel momento in cui essagiunga a conoscenza (rectius: a conoscibilità) della società. Vi potrebbe, pertanto, es-sere la possibilità di un recesso validamente esercitato, ma inefficace a causa della man-cata ricezione da parte della società. Pure in tale circostanza, pare che il legislatore nonabbia voluto addossare al socio il rischio della mancata ricezione da parte della so-cietà (49). In sostanza, lo scenario che ci si prefigura è quello del socio liberato da ogniproblema per il fatto stesso dell’avere inviato attraverso un mezzo idoneo la sua dichia-razione, conforme al disposto normativo, nel rispetto dei termini dettati dalla legge (50).Anche in questo caso, infatti, sarà imprescindibile ritenere necessaria la ricezione delladichiarazione da parte della società. Fuori discussione pare, infatti, la qualificazionedella dichiarazione di recesso come atto recettizio (51), in ragione della necessità della

(47) Si veda supra, nt. 9, ed, inoltre, PESCATORE, (nt. 34), 386, che parla di atto recet-tizio derogato per il fatto stesso del differimento dell’efficacia al momento della liquida-zione.

(48) E spia di questo intendimento potrebbe essere la formulazione per cui, se la so-cietà revoca la delibera, ovvero si scioglie, entro novanta giorni « il recesso ... se già eserci-tato, è privo di efficacia » (art. 2437-bis3).

(49) Così DE ANGELIS, (nt. 2), 1380, e, nella vigenza della precedente disciplina, LEO,(nt. 2), 57.

(50) Problema aggiuntivo, legato ancora una volta alla particolare ipotesi di recessoprevista dall’art. 34, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, è se il termine di novanta giorni ivi ripor-tato debba intendersi riferito all’invio o piuttosto alla ricezione della dichiarazione. Nono-stante la dilatazione del termine, la cui ragion d’essere già è stata supra indagata, pare che laprevisione normativa, che esplicitamente cita l’esercizio del diritto di recesso, rimandi aiprincipi generali in materia di recesso da società per azioni, ragione per cui sembra potersiaffermare che per esercizio del diritto di recesso si deve intendere l’invio della dichiara-zione.

(51) « La recettizietà significa (...) che la conoscenza, o meglio la presunzione di cono-scenza ex art. 1335 c.c., è elemento costitutivo del negozio e che, da tale evento, la dichiara-zione esce dalla sfera meramente individuale dell’emittente per assumere giuridica rilevanzadel mondo esterno » PRESTI, (nt. 2), 107, sulla scorta anche di CARRARO, voce Dichiarazionerecettizia, in Noviss. Dig. it., V, Torino, UTET, 1957, 597 e FERRERO, voce Dichiarazione re-cettizia, in Dig. disc. priv. sez. civ., V, Torino, UTET, 1989, 356. Indubitabile da parte delladottrina la qualificazione del recesso come atto recettizio, in ragione del fatto che « chi re-cede da un rapporto esercita un diritto che incide bensì sulla sfera giuridica altrui, ma deter-mina, al tempo stesso, una modificazione di quella del dichiarante, rappresentando l’atto,per questo secondo aspetto, una chiara esplicazione di autonomia » GABRIELLI-PADOVINI, (nt.2), 42; tra gli altri BIANCA, (nt. 2), 740; SANGIORGI, (nt. 2), 7; DE NOVA, (nt. 2), 317; BRU-NETTI, Trattato, II, (nt. 2), 512; DE ANGELIS, (nt. 2), 1368; PESCATORE, (nt. 34), 386; DI SA-BATO, Istituzioni di diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2001, 152; GRIPPO, (nt. 2), 177;GALLETTI, (nt. 2), 444, che pure rileva, correttamente, la ininfluenza della classificazione

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cooperazione della società alla soddisfazione delle pretese del socio recedente, in baseai disposti degli artt. 2437-ter e quater.

Fin qui i profili comparabili tra vecchia e nuova disciplina. Per concludere l’analisidelle norme risultate dalla riforma, tuttavia, si devono toccare ancora almeno dueaspetti: il deposito delle azioni presso la sede sociale, e la possibilità o meno per il sociodi revocare la propria dichiarazione.

Sia il primo che il secondo profilo sono strettamente collegati alla previsione di in-trasferibilità delle azioni. Per quanto concerne l’obbligo di deposito dei titoli per cui sirecede presso la sede sociale, già prima della riforma era stato proposto di inserire taleonere a carico del socio, recependo le disposizioni statunitensi in tema di appraisal (52),ed il legislatore ha inteso recepire tale orientamento nelle nuove norme. Necessario èsoffermarsi su quale sia la ratio della disposizione. Come anticipato, nel pensiero di al-cuni commentatori l’esigenza del deposito sarebbe ancillare al divieto di trasferimentodei titoli azionari (53) stabilito nello stesso art. 2437-bis. In effetti, come è stato autore-volmente rilevato (54), tale funzione contribuirebbe non poco alla certezza dei trasferi-menti azionari, ma in realtà la sua utilità è notevolmente svilita dal peso sempre mag-giore assunto dal regime di dematerializzazione dei titoli. Per tale ragione è correttochiedersi, dunque: a) quando e con quali modalità debba essere effettuato il deposito; eb) cosa debba essere effettivamente depositato.

Quanto alla prima questione, si sarebbe propensi a ritenere il deposito come con-dizione di efficacia della fattispecie « dichiarazione di recesso », interpretandola, dun-que, come inefficace fino al momento in cui il deposito delle azioni presso la sede so-ciale non sia effettivamente avvenuto. Se, infatti, il deposito è previsto a garanzia dellaserietà dell’intenzione del socio di uscire dalla compagine sociale mediante il rimediodel recesso, non avrebbe senso prevederlo in un momento in cui la dichiarazione ha giàacquistato efficacia giuridica. E così pure se il deposito viene inteso come semplice ga-ranzia di incedibilità dei titoli. In realtà sembra che il deposito possa svolgere anche lafunzione di prova di legittimazione a recedere. Ciò certamente accadrà per le azioni no-minative, per le quali sarà sufficiente un controllo sul titolo o nel libro soci, per verifi-care se il soggetto ora recedente era titolare dello status socii al momento della delibe-razione (55) ovvero sia venuto in loro possesso in un secondo momento. Problematica,invece, la questione relativa alle azioni emesse al portatore: in questo caso, si potrebbeipotizzare, qualora il socio fosse assente dalla deliberazione, alle azioni depositate do-vrà essere allegato un titolo di acquisto comprovante l’anteriorità della titolarità ri-spetto alla deliberazione che abbia determinato il recesso (56). Una simile soluzione si

quale atto recettizio o meno (450). Il medesimo orientamento è condiviso dalla giurispru-denza, sia per quanto riguarda le società di persone che le società di capitali, da ultime:Cass., 10 giugno 1999, n. 5732, in Giust. civ., 1999, I, 2949; Cass., 3 gennaio 1998, n. 12(nt. 2); Cass., 19 marzo 2004, n. 5548, (nt. 2); Cass., 26 agosto 2004, n. 17012, inedita;App. Milano, 18 maggio 1983, in Società, 1984, 878; Trib. Milano, 2 settembre 1996, in So-cietà, 1996, 804; Trib. Orvieto, 18 febbraio 1994, in Società, 1994, 1226; Trib. S.M. CapuaVetere, 20 luglio 1991, (nt. 26).

(52) Perlomeno al momento della liquidazione al socio: GALLETTI, (nt. 2), 496 s.(53) PACIELLO, (nt. 7), 1119.(54) Da GALLETTI, (nt. 22), 5.(55) Lascia dubbiosi — anche se attiene al profilo, qui non trattato, della legittima-

zione —, nel caso di recesso con presupposto in un fatto diverso da una deliberazione, laquestione se spetti il diritto di recedere al socio che abbia acquistato i titoli dopo il verifi-carsi dell’evento.

(56) Così, almeno, qualora si intenda seguire l’orientamento, maturato sotto l’egida

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potrebbe, tuttavia, prestare all’abuso del socio che desideri semplicemente paralizzarel’organizzazione societaria. Se, infatti, egli avesse inviato validamente, nei termini giàpiù volte ricordati, la propria dichiarazione di recesso, non essendo previsto un terminemassimo per l’acquisizione di efficacia della dichiarazione (57), il socio, evitando di de-positare le azioni, potrebbe trovarsi in una situazione di limbo, senza che la società ab-bia la possibilità di conoscere le reali intenzioni dell’azionista. Per ovviare a tale situa-zione, parrebbe essere possibile rinvenire un termine massimo per il deposito, che po-trebbe coincidere con quello della ricezione, da parte della società, della dichiarazionedi recesso (58). In questo senso si potrebbe ipotizzare che non sarebbe essenziale, ma al-meno auspicabile, che il socio depositasse le azioni attraverso lo stesso strumento uti-lizzato per la dichiarazione, identico essendo il destinatario (59). In relazione al casoconcreto della sentenza in epigrafe, dunque, si potrebbe, anche nel sistema risultatodalla riforma, che pure prevede espressamente l’obbligo di deposito dei titoli presso lasede sociale, giungere alle medesime conclusioni adottate dai magistrati nell’applica-zione delle regole previgenti, non essendo sufficiente il mero deposito, qualora non visia la manifestazione esteriore della volontà di recedere.

Per quanto, invece, concerne il secondo punto, i dubbi sussistono in relazione allanecessità o meno, in regime di titoli dematerializzati, di depositare i certificati sostitu-tivi. Pare corretto lo scenario prospettato da chi (60) ravvisa la soluzione nel combinatodisposto degli artt. 85 e 86, d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

Ultimo punto da trattare, sia pure in estrema sintesi, è quello relativo al profilodella eventuale revoca della dichiarazione da parte del socio (61). Essa non pare da rite-nersi inammissibile; essendo tuttavia chiaro il disposto normativo in tema di revocadella deliberazione che abbia dato adito al recesso del socio, è necessario sottolinearecome la maggiore difficoltà insita nel postulare l’ammissibilità della revoca della dichia-razione stia nel trovare un equo termine entro cui essa possa essere esercitata al fine dinon frustrare né le ragioni della società, né tanto meno lo spirito del diritto di recesso.È probabile che esso possa essere, pertanto, rinvenuto nel momento in cui la dichiara-

della previgente disciplina, volto a concedere il recesso solamente se il socio fosse stato taleal momento della deliberazione. Per tutti si veda MINERVINI, (nt. 31), 379: « chi non era so-cio al tempo della deliberazione, ma lo è divenuto successivamente, ha aderito ad una so-cietà di cui erano già stabilite le nuove basi; non vi è ragione quindi di concedergli di scio-gliersi dal rapporto sociale ».

(57) Tale termine poteva essere agevolmente rinvenuto, nella previgente disciplina, neiquindici giorni successivi all’iscrizione della delibera nel registro delle imprese entro cui ladichiarazione doveva giungere a conoscenza della società.

(58) La dottrina stenta a trovare unità nell’individuazione di tale momento: SALVA-TORE, Il « nuovo » diritto di recesso nelle società di capitali, in Contr. imp., 2003, 636 consi-dera l’obbligo di deposito decorrente dal momento dell’invio della dichiarazione da parte delsocio; non così PACIELLO, (nt. 7), 1118, secondo il quale il deposito potrà anche non esserecontestuale alla dichiarazione. GALLETTI, (nt. 22), 15 propone la soluzione per cui il termineper la revoca sarebbe il medesimo previsto per la dichiarazione; secondo MALTONI, (nt. 38),4, il mancato deposito rappresenterebbe solamente un fattore ostativo alla liquidazione delvalore della quota.

(59) È evidente come una tale soluzione comporti notevoli conseguenze anche sulpiano degli strumenti utilizzabili al fine della dichiarazione di recesso. Indubbiamente i titolipotranno essere spediti a mezzo di lettera raccomandata, ma non altrettanto si potrà diredelle altre modalità supra riportate, ad eccezione del corriere espresso.

(60) GALLETTI, (nt. 22), 5 s.; contra CAPPIELLO, (nt. 38), 850.(61) CAPPIELLO, ibidem, sottolinea come la revoca della dichiarazione debba intendersi

possibile solamente qualora il recesso sia inteso come fattispecie a formazione progres-siva.

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zione di recesso pervenga a destinazione, essendo eccessivamente oneroso per la so-cietà richiedere che attenda, al fine della certezza della irrevocabile volontà dell’azioni-sta a favore del recesso, i novanta giorni entro i quali anche essa potrebbe deliberare loscioglimento ovvero la revoca della deliberazione che sia stata il presupposto per il re-cesso (62).

ALESSIO BARTOLACELLI

(62) Si è discusso, nel previgente sistema, se il trasferimento dei titoli azionari fosseda considerarsi alla stregua di una revoca implicita della dichiarazione di recesso (MONTA-GNANI, Recesso e riduzione del capitale sociale: ancora in tema di sopravvalutazione deiconferimenti in natura, in Riv. dir. civ., 1995, II, 318) o meno (GALLETTI, (nt. 2), 494 s.). Setuttavia si considera il deposito delle azioni funzionale alla garanzia di intrasferibilità dei ti-toli per i quali il recesso sia stato esercitato, allora pare più logico escludere la configurabi-lità dell’atto traslativo quale revoca implicita. Due sono le ragioni che spingono a tale solu-zione. La prima è in funzione del fatto che il divieto di trasferimento delle azioni risponde-rebbe al principio electa una via, non datur recursus ad alteram (DE NOVA, Il diritto di re-cesso come opzione di vendita, in Riv. dir. priv., 2004, 337); la seconda è relativa all’inte-resse sotteso alla intrasferibilità dei titoli, ovvero la già citata certezza dell’acquirente di fareproprio un titolo « pieno »: CERRAI, Modificazioni dell’atto costitutivo, in ALLEGRI, CALVOSA,CERRAI, D’ALESSANDRO, FORTUNATO, GRIPPO, MAFFEI ALBERTI, MANGINI, PARTESOTTI, PIRAS,SCOGNAMIGLIO, VOLPE PUTZOLU, ZANARONE, Diritto commerciale, 4a ed., Bologna, Monduzzi,2003, 251. A tale punto sembra scontato che deposito ed incedibilità, per quanto alcunicommentatori abbiano voluto sottolineare solamente il secondo aspetto (GALGANO, Dirittocommerciale. Le società, 13a ed., Bologna, Zanichelli, 2003, 382; I. FERRI, Il recesso nellanuova disciplina delle società di capitali. Brevi considerazioni, in Riv. not., 2004, 935), deb-bano decorrere dallo stesso momento, onde evitare lo svilimento della previsione legale deldeposito ritenendo valido un procedimento di recesso in cui tale onere non sia stato adem-piuto e, nonostante questo, i titoli non siano stati ceduti. Nel caso di violazione del precettonormativo di intrasferibilità, essendo esso, come pure l’obbligo di deposito dei titoli, da in-tendersi come indisponibile dall’atto costitutivo in ragione di un interesse tutelato di carat-tere generale, allora la sanzione dovrebbe probabilmente essere ravvisata nella nullità percontrarietà a norma imperativa di legge (dubbiosi AULETTA-SALANITRO, Diritto commerciale,14a ed., Milano, Giuffrè, 2003, 206).

354/II