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presenze “foreste” a verona La peculiarità di Verona nel contesto della Serenissima, la sua indipendenza culturale e le sue relazioni con realtà fi- gurative diverse da quella veneziana sono un argomento ri- corrente negli studi storico-artistici, e possono trovare più di un motivo di riflessione anche considerando il panora- ma collezionistico 1 . In realtà, nel Quattrocento e nel primo Cinquecento, il le- game artistico con Venezia, e con il resto dell’entroterra veneto, appare forte: nella prima metà del secolo xv, in pieno clima gotico-fiorito, sono fondamentali le presenze, anche fisiche, di Jacopo Bellini, Giacomo Moranzone e Michele Giambono; di seguito acquista importanza il rap- porto prima con Padova, e quindi con Squarcione e il gio- vane Mantegna, poi con Venezia e con la cultura antonel- lesca, anche attraverso i contatti con Alvise Vivarini e Vit- tore Carpaccio; infine il rapporto si rinforza grazie ai sog- giorni veronesi di Bartolomeo Montagna e di Mocetto. Poi però tale legame si allenta. Secondo complicati mec- canismi che non sarebbe qui opportuno analizzare, l’e- sclusione della nobiltà locale dalla vita politica, i pesanti oneri fiscali e il conseguente nascere dei malumori che sfo- ceranno in diffuse simpatie per l’Impero 2 sono sicuramen- te tra i motivi, già nel Quattrocento, dello spostarsi del- l’attenzione anche culturale verso altri centri. La partico- lare posizione geografica della città e gli interessi di un ceto allora dedito soprattutto ai commerci rinforzano i tra- dizionali legami innanzi tutto con la Lombardia 3 (e la prima alternativa alla Venezia di Giovanni Bellini e di Ti- ziano viene cercata nella Mantova gonzaghesca di Mante- gna e di Giulio Romano), e poi con l’area nordica 4 , non- ché con Bologna e con Roma. Non a caso, a partire dal Cinquecento, gli interventi degli artisti lagunari restano sporadici, e motivati da circoscritti ambiti di committenza: si pensi all’Assunta di Tiziano nella Cattedrale (tuttora sull’altare di Jacopo Sansovino), opera dipinta tra il 1530 e il 1533 per gli eredi di Galesio Niche- sola, vescovo di Belluno; alle tele di Jacopo e Domenico Tintoretto in S. Giorgio in Braida, chiesa dipendente da S. Giorgio Maggiore di Venezia; a quelle infine del 1601 di Palma il Giovane per i benedettini di S. Nazaro, legati, fin dal primo Quattrocento, alla congregazione di S. Giustina di Padova. Nel Seicento, in un momento di crisi della scuola locale dopo le falcidie della peste, sarà il momento dei vicentini, con i numerosi dipinti lasciati nelle chiese e nelle raccolte private da Giulio Carpioni e Bartolomeo Cit- tadella, ma non si dimentichi la presenza a fine secolo anche di alcuni artisti veneziani, attivi per le chiese scali- gere (Lazzarini, Bellucci e Ricci), o che lavorarono per le collezioni più aperte all’arte lagunare del tempo, come la Turco e la Giusti del ramo dei Santi Apostoli. Dobbiamo poi passare al Settecento, e a Tiepolo, per trovare un nuovo significativo punto di vicinanza con i committenti veneziani. Le presenze “foreste” invece sembrano infittirsi già negli anni trenta del Cinquecento, sia per quanto riguarda le chiese veronesi (anche se per quell’epoca non disponiamo di un quadro completo, per il quasi totale rifacimento degli altari e dei relativi arredi, avvenuto in epoca baroc- ca), sia per quanto riguarda il versante collezionistico e, in generale, le richieste di pittura per uso privato. Non possiamo a quest’ultimo proposito dimenticare la precoce presenza in casa Canossa, nell’edificio sanmiche- liano di corso Cavour 5 , della celebre Madonna della Perla del Prado di Madrid, oggi dalla maggior parte degli stu- diosi attribuita a Giulio Romano, ma riferita a Raffaello dalle fonti. Proprio la presenza di tale dipinto dovette in- nescare l’interesse degli artisti locali, come dei committen- ti, verso la cultura raffaellesca e giuliesca 6 , motivando l’e- norme fortuna (e mitizzazione) di Raffaello, e quanto ne derivò, come l’abuso, nelle fonti collezionistiche tra Cin- que e Ottocento, di un nome tirato in ballo, per originali, opere di scuola o copie, almeno una ottantina di volte: si tratta di un numero di certo considerevole anche alla luce degli assai scarsi rapporti che costui, in vita, dovette avere con Verona; e notevole anche contro i 50 Bellini, i 50 Gior- gione, i 150 presunti Tiziano, gli oltre 120 dipinti bassane- schi, i 90 Tintoretto, i 60 Palma (spesso senza possibilità di poter distinguere tra il vecchio e il giovane), i quasi 300 di- pinti veronesiani. E a questo punto, per chi apprezza i dati statistici, si possono ricordare, a confronto con i 150 di- pinti di un artista locale di grande fortuna collezionistica quale fu Alessandro Turchi, gli oltre 40 Giulio Romano, i 60 Correggio, i 50 Parmigianino, i 50 Fetti, i 40 Guercino, gli oltre 50 Reni, i 18 Caravaggio, i circa 50 Carracci. In quanto a Giulio Romano, le sue idee trovarono facile diffusione non solo attraverso le opere, quale poteva esse- re la dispersa Sacra Famiglia della chiesa di S. Maria della Misericordia, che Saverio Dalla Rosa gli attribuiva 7 : si pensi ad episodi quali il furto a Mantova, nel 1530, di un gruppo di suoi disegni da parte del pittore veronese Dio- nisio Brevio 8 , agli affreschi pure verso il 1530 sulle faccia- te delle case Mazzanti, opera di un suo allievo mantovano, Alberto Cavalli 9 , alla commissione infine, da parte del ve- scovo Gian Matteo Giberti, dei famosi cartoni per gli af- freschi in Cattedrale, eseguiti nel 1534 dal veronese Fran- cesco Torbido 10 . In realtà Raffaello e Giulio Romano non esauriscono un quadro che appare molto più articolato. Ritornando in- fatti alle presenze nelle chiese, vanno a questo punto ri- cordati i bresciani: Savoldo lascia nel 1533 un dipinto a LA FORTUNA DELLA PITTURA ITALIANA, NON VENETA, NELLE COLLEZIONI VERONESI Enrico Maria Guzzo

396.\tLa fortuna della pittura italiana, non veneta, nelle collezioni veronesi, in Il collezionismo a Venezia e nel Veneto ai tempi della Serenissima, atti del convegno a cura di B

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presenze “foreste” a verona

La peculiarità di Verona nel contesto della Serenissima, lasua indipendenza culturale e le sue relazioni con realtà fi-gurative diverse da quella veneziana sono un argomento ri-corrente negli studi storico-artistici, e possono trovare piùdi un motivo di riflessione anche considerando il panora-ma collezionistico1.In realtà, nel Quattrocento e nel primo Cinquecento, il le-game artistico con Venezia, e con il resto dell’entroterraveneto, appare forte: nella prima metà del secolo xv, inpieno clima gotico-fiorito, sono fondamentali le presenze,anche fisiche, di Jacopo Bellini, Giacomo Moranzone eMichele Giambono; di seguito acquista importanza il rap-porto prima con Padova, e quindi con Squarcione e il gio-vane Mantegna, poi con Venezia e con la cultura antonel-lesca, anche attraverso i contatti con Alvise Vivarini e Vit-tore Carpaccio; infine il rapporto si rinforza grazie ai sog-giorni veronesi di Bartolomeo Montagna e di Mocetto.Poi però tale legame si allenta. Secondo complicati mec-canismi che non sarebbe qui opportuno analizzare, l’e-sclusione della nobiltà locale dalla vita politica, i pesantioneri fiscali e il conseguente nascere dei malumori che sfo-ceranno in diffuse simpatie per l’Impero2 sono sicuramen-te tra i motivi, già nel Quattrocento, dello spostarsi del-l’attenzione anche culturale verso altri centri. La partico-lare posizione geografica della città e gli interessi di unceto allora dedito soprattutto ai commerci rinforzano i tra-dizionali legami innanzi tutto con la Lombardia3 (e laprima alternativa alla Venezia di Giovanni Bellini e di Ti-ziano viene cercata nella Mantova gonzaghesca di Mante-gna e di Giulio Romano), e poi con l’area nordica4, non-ché con Bologna e con Roma.Non a caso, a partire dal Cinquecento, gli interventi degliartisti lagunari restano sporadici, e motivati da circoscrittiambiti di committenza: si pensi all’Assunta di Tiziano nellaCattedrale (tuttora sull’altare di Jacopo Sansovino), operadipinta tra il 1530 e il 1533 per gli eredi di Galesio Niche-sola, vescovo di Belluno; alle tele di Jacopo e DomenicoTintoretto in S. Giorgio in Braida, chiesa dipendente da S.Giorgio Maggiore di Venezia; a quelle infine del 1601 diPalma il Giovane per i benedettini di S. Nazaro, legati, findal primo Quattrocento, alla congregazione di S. Giustinadi Padova. Nel Seicento, in un momento di crisi dellascuola locale dopo le falcidie della peste, sarà il momentodei vicentini, con i numerosi dipinti lasciati nelle chiese enelle raccolte private da Giulio Carpioni e Bartolomeo Cit-tadella, ma non si dimentichi la presenza a fine secoloanche di alcuni artisti veneziani, attivi per le chiese scali-gere (Lazzarini, Bellucci e Ricci), o che lavorarono per lecollezioni più aperte all’arte lagunare del tempo, come la

Turco e la Giusti del ramo dei Santi Apostoli. Dobbiamopoi passare al Settecento, e a Tiepolo, per trovare unnuovo significativo punto di vicinanza con i committentiveneziani.Le presenze “foreste” invece sembrano infittirsi già neglianni trenta del Cinquecento, sia per quanto riguarda lechiese veronesi (anche se per quell’epoca non disponiamodi un quadro completo, per il quasi totale rifacimentodegli altari e dei relativi arredi, avvenuto in epoca baroc-ca), sia per quanto riguarda il versante collezionistico e, ingenerale, le richieste di pittura per uso privato.Non possiamo a quest’ultimo proposito dimenticare laprecoce presenza in casa Canossa, nell’edificio sanmiche-liano di corso Cavour5, della celebre Madonna della Perladel Prado di Madrid, oggi dalla maggior parte degli stu-diosi attribuita a Giulio Romano, ma riferita a Raffaellodalle fonti. Proprio la presenza di tale dipinto dovette in-nescare l’interesse degli artisti locali, come dei committen-ti, verso la cultura raffaellesca e giuliesca6, motivando l’e-norme fortuna (e mitizzazione) di Raffaello, e quanto nederivò, come l’abuso, nelle fonti collezionistiche tra Cin-que e Ottocento, di un nome tirato in ballo, per originali,opere di scuola o copie, almeno una ottantina di volte: sitratta di un numero di certo considerevole anche alla lucedegli assai scarsi rapporti che costui, in vita, dovette averecon Verona; e notevole anche contro i 50 Bellini, i 50 Gior-gione, i 150 presunti Tiziano, gli oltre 120 dipinti bassane-schi, i 90 Tintoretto, i 60 Palma (spesso senza possibilità dipoter distinguere tra il vecchio e il giovane), i quasi 300 di-pinti veronesiani. E a questo punto, per chi apprezza i datistatistici, si possono ricordare, a confronto con i 150 di-pinti di un artista locale di grande fortuna collezionisticaquale fu Alessandro Turchi, gli oltre 40 Giulio Romano, i60 Correggio, i 50 Parmigianino, i 50 Fetti, i 40 Guercino,gli oltre 50 Reni, i 18 Caravaggio, i circa 50 Carracci.In quanto a Giulio Romano, le sue idee trovarono facilediffusione non solo attraverso le opere, quale poteva esse-re la dispersa Sacra Famiglia della chiesa di S. Maria dellaMisericordia, che Saverio Dalla Rosa gli attribuiva7: sipensi ad episodi quali il furto a Mantova, nel 1530, di ungruppo di suoi disegni da parte del pittore veronese Dio-nisio Brevio8, agli affreschi pure verso il 1530 sulle faccia-te delle case Mazzanti, opera di un suo allievo mantovano,Alberto Cavalli9, alla commissione infine, da parte del ve-scovo Gian Matteo Giberti, dei famosi cartoni per gli af-freschi in Cattedrale, eseguiti nel 1534 dal veronese Fran-cesco Torbido10.In realtà Raffaello e Giulio Romano non esauriscono unquadro che appare molto più articolato. Ritornando in-fatti alle presenze nelle chiese, vanno a questo punto ri-cordati i bresciani: Savoldo lascia nel 1533 un dipinto a

LA FORTUNA DELLA PITTURA ITALIANA, NON VENETA, NELLE COLLEZIONI VERONESI

Enrico Maria Guzzo

S. Maria in Organo; Moretto alcune pale a S. Eufemia, aS. Giorgio in Braida e a S. Maria della Ghiara; Romani-no le ante d’organo a S. Giorgio. Per quanto riguarda glistessi anni, una presenza sintomatica è quella di Giacomoe Giulio Francia, che dipingono per la chiesa di S. PietroIncarnario una Madonna Immacolata con i santi France-sco, Antonio e Gerolamo e una committente, ora conser-vata nel Museo Canonicale, che si pone tra le più anticheattestazioni dei rapporti con Bologna11.Di poco successivi sono invece i contatti con l’ambiente ro-mano post-raffaellesco. Sappiamo che verso il 1552, al se-guito di Guidobaldo ii della Rovere, Taddeo Zuccari sog-giorna a Verona, dove copia la Madonna della Perla di casaCanossa12: è sicuramente a lui che si riferisce nel 1718 l’i-gnaro Bartolomeo Dal Pozzo, là dove menziona alcuni per-duti affreschi di un certo «Tadeo Zuccaro», creduto allievodi Felice Brusasorci, a S. Spirito e sulla facciata di una casa13.Le notizie relative al secolo xvii sono piuttosto abbondan-ti. Innanzi tutto è interessante la presenza a Verona del-l’Annunciazione che nel 1834, tramite la famiglia Orti,venne depositata nella parrocchiale di Marcellise, in pro-vincia, ma che un tempo era collocata nella chiesa sop-pressa di S. Maria della Neve, o della Disciplina della Giu-stizia (fig. 1): si tratta di un dipinto probabilmente già dellaprima metà del secolo xvii (la Disciplina venne restauratatra il 1630 e il 1641) che la letteratura locale considera«tratta dall’Originale di Raffaello d’Urbino dal Caravaggiomentre era studente in Roma» (Dal Pozzo), copia da Raf-faello (Lanceni), copia da Raffaello fatta dal veronese Tur-chi (Dalla Rosa), opera di Raffaello stesso (Zancon), infineopera di Polidoro da Caravaggio (Simeoni)14, ma che ri-sulta replicare il dipinto di Marcello Venusti, da disegni diMichelangelo, conservato nella chiesa di S. Giovanni inLaterano a Roma.La presenza di questo dipinto sembra intrecciarsi anchecon le vicende del collezionismo: innanzi tutto è possibileche alla commissione di questa copia, in origine inserita inun ambiente dominato da cinque opere di Turchi spediteverso il 1641 da Roma e commissionate dal marchese Ga-spare Gherardini15, non fosse estraneo lo stesso marchese,noto collezionista sul quale avremo spesso modo di ritor-nare; inoltre due suoi presunti bozzetti sembrano ricono-scibili in altrettanti quadri delle raccolte settecentescheBonduri («un [sic] Annunziata picola [invention di MichelAngelo Benerotto e dipinta nella Scola] di Rafaele d’Urbi-no») e Fattori («un’Annonciata creduta di Michel AngeloBuonaroti»), costituendo così un esempio, tra i tanti, di undipinto da chiesa che diventa prototipo per alcune deriva-zioni da quadreria.Al contrario, per quanto riguarda i dipinti da collezionecopiati in un’opera collocata in una chiesa veronese, siconsideri la Madonna con il Bambino e san Giovannino tut-tora sull’altare della sacrestia di S. Tommaso Cantuariense(fig. 2): tale dipinto, anch’esso databile agli inizi del Sei-cento, è palesemente derivato dalla Madonna del Prato odel Belvedere di Raffaello a Vienna, e pare sia stato ogget-to delle requisizioni francesi anche se poi scartato perpaura che si trattasse di una copia16, come del resto è. Essoveniva attribuito al veronese Francesco Caroto da Dal

enrico maria guzzo

Pozzo, nel 1718; Lanceni nel 1720 lo considerava copia daRaffaello; Charles-Nicolas Cochin nel 1758 e poi, nei primianni dell’Ottocento, Saverio Dalla Rosa e GiovambattistaDa Persico riprendevano l’attribuzione a Caroto, gli ultimidue ricordando però anche quella, secondo alcuni, a Ga-rofolo17. Lo menziono in questo contesto perché potrebbeeffettivamente essere stato derivato da uno dei tanti dipin-ti raffaelleschi conservati nelle quadrerie locali (ad esem-pio da quelli, con lo stesso soggetto, delle collezioni Ca-nossa e Muselli).Il maturo Seicento conferma l’orientamento di gusto versole culture centro-italiane. Tra gli episodi più importanti esignificativi18 possiamo ricordare, tra quanto non è perdu-to, la Pala della Carità (1628) dipinta da Carlo Bononi perla chiesa di S. Tomio, ora nei Musei Civici; le pale nellachiesa olivetana di S. Maria in Organo, rispettivamente diGuercino (Santa Francesca Romana, 1636-1639), di Gia-

1. Anonimo (da Marcello Venusti), Annunciazione, secolo XVIII,Marcellise (Verona), parrocchiale (già Verona, S. Maria dellaNeve, o della Disciplina)

cinto Brandi (Assunta, 1672) e di Luca Giordano (Tenta-zioni del beato Bernardo Tolomei, 1676); quella infine delnapoletano Mattia Preti nella chiesa di S. Nicolò, anch’es-sa commissionata da Gaspare Gherardini19.Purtroppo, di fronte a questi episodi e alla loro importan-za per la storia artistica veronese, dobbiamo constatare cheè ancora troppo poco quel che conosciamo sui rapporticoncreti tra artista “foresto” e committente e, soprattutto,sul sottobosco di personaggi e di mercanti che funsero datramite. Senza contare quanto è implicito nelle presenze direligiosi non veneti nell’ambito dei conventi e dei mona-steri, nelle parentele acquisite attraverso i matrimoni, neglispostamenti delle opere d’arte, anche da città a città, in se-guito a divisioni e vicende ereditarie.Possiamo esemplificare questi problemi valutando le pre-senze a Verona, reali o presunte, di alcuni dei principalipittori italiani del Seicento.Sorvoliamo pure sul soggiorno veronese di Simone Canta-rini, che, come raccontano le testimonianze, morì improv-visamente nel 1648, subito dopo essere arrivato nella cittàveneta20, e senza lasciare conseguenze apparenti: in realtà,anche se le fonti dicono che il pesarese si trasferì già am-malato da Mantova a Verona, in quanto qui risiedeva unfratello agostiniano (effettivamente Simone muore nellaparrocchia di S. Eufemia, chiesa agostiniana, e in questoedificio viene sepolto)21, resta da chiedersi il perché deltrasferimento, se esso fu provocato solo da motivi perso-nali, o anche da richieste di lavoro da parte di una com-mittenza particolarmente interessata alle opere di scuolabolognese, come dimostrano i due dipinti dello stessoCantarini, i quali, nel 1672, erano nella collezione di Lu-dovico Moscardo22.Passiamo invece alle presenze di opere di Caravaggio e diGuercino, che meglio evidenziano i problemi che presen-ta la documentazione veronese, avara di carteggi soprat-tutto per quanto riguarda il Cinque e il Seicento.Ad esempio non riusciamo a meglio inquadrare la letteradel 23 novembre 1612 in cui il nobile romano Giulio Man-

la fortuna della pittura italiana, non veneta

2. Anonimo (da Raffaello), Madonna con il Bambino e sanGiovannino, secolo XVII, Verona, S. Tommaso Cantuariense

3. Jan Sadeler (da Parmigianino), Sacra Famiglia con una santacon colomba, bulino, ultimo decennio del secolo XVI(da un dipinto già in collezione Giusti del Giardino: «Madonna,con l’altre figure»)

4. Jan Sadeler (da Gerolamo Bedoli), Madonna con il Bambino,bulino, ultimo decennio del secolo XVI (da un dipinto già in collezione Giusti del Giardino)

enrico maria guzzo

5. Guido Reni, Davide e Golia, ca. 1606-1607, Marsiglia, Fondazione Rau (già collezione Giusti del Giardino)

cini raccomanda al fratello Deifebo «i Caracci e Caravag-gio, che adesso certi gentiluomini veronesi han offertod’un Caravaggio 200 scudi, che il nostro a proporzione lostimo 100 e il Cristo d’Aniballe 400»23. Il Mancini non no-mina questi nobiluomini, tuttavia il fatto che l’epistola sisitui alla vigilia del periodo in cui a Verona ha luogo labreve, ma intensa, parentesi di naturalismo24 fa pensareche l’offerta sia legata alle frange avanguardiste della com-mittenza locale (ad esempio, perché no, ai Giusti del Giar-dino), alle prese con una rete di relazioni romane e con unmercato di intermediari, impliciti nel testo della lettera,che piacerebbe conoscere con quegli elementi che gli ar-chivi veronesi non vogliono restituire: vero è che questa

notizia, sia pur piccola, suggerisce un precoce interesseverso il naturalismo romano, e apre anche qualche spira-glio sui moventi che qualche anno dopo, verso il 1616,spinsero i più sensibili artisti del tempo, da Turchi a Bas-setti, a Giarola, alla trasferta romana, e sui patrocinatori diquesta25.Oltre però non riusciamo ad andare: tale interesse avrà si-curamente portato a Verona qualche esemplare caravagge-sco, magari di scuola, tuttavia di questo non troviamo unriscontro significativo nelle fonti locali sul collezionismo,per le segnalazioni che non sembrano particolarmente af-fidabili, e per gli stessi soggetti, piuttosto generici: verso il1662 in casa Curtoni sono registrate una «Vergine colBambino, e S. Giuseppe» e una «Natività con Pastori fintain notte» di Caravaggio; nel 1687 i Canossa vantano una«testa d’un frate di Carravacci», e a noi resta il dubbio sesi trattasse veramente di Caravaggio, o piuttosto di Car-racci; nel 1695 i Barbieri possiedono una «S. Agata con unmanigoldo che li taglia le mammelle, maniera romana chesarà del Caravaggio»; una «Istoria di S. Tomaso quandomette il dito nel Costato di Giesù Cristo, di mano di Mi-chel Angelo Da Caravagio Mezze figure al Naturale» infi-ne è registrata nel 1728 nella raccolta di Gerolamo Giusti,ma essa tuttavia ricorda, per soggetto, un prototipo delmaestro che sappiamo copiato anche dal veronese Basset-ti, in una tela oggi a Castelvecchio, la quale potrebbe benessere il dipinto un tempo della collezione Giusti26.Il dubbio su queste opere, segnalate ormai nella secondametà del secolo, viene spontaneo anche e soprattutto allaluce della scarsa comprensione che, in una città dalla vo-cazione eminentemente classicista quale è sempre stata Ve-rona, si ebbe, al di fuori del periodo tra il 1616 e il 1630,del fenomeno caravaggesco. Sintomatico è il fatto che Ca-ravaggio e Raffaello abbiano finito per essere singolar-mente associati: già nel 1620 Francesco Pona, illustrandola collezione Giusti, ricorda la pala di Turchi in S. France-sco di Cittadella, «le cui figure ad una per una considera-te, s’avvicinano molto all’eccellenza del Caravaggio, e diRaffaello»27; nel 1718 Bartolomeo Dal Pozzo considera,come abbiamo visto, la copia da Venusti oggi a Marcelliseniente meno che opera «tratta dall’Originale di Raffaellod’Urbino dal Caravaggio mentre era studente in Roma»; lostesso Dal Pozzo28 infine non manca di paragonare a Ca-ravaggio Orlando Flacco, un pittore veronese del Cinque-cento il cui gusto eminentemente manierista, e quindi anti-naturalista, non viene mai meno, anche quando egli si mi-sura con un impianto notturno (Crocefissione in S. Naza-ro), o quando dipinge ritratti intensamente “lombardi”.In quanto a Guercino, pittore che, a giudicare dalle se-gnalazioni, sembra essere stato molto amato dai collezio-nisti locali del Seicento, in questo caso disponiamo di unafonte fondamentale qual è il famoso Libro dei conti29, il cuicontrollo tuttavia, per quanto riguarda i rapporti con Ve-rona, sortisce esiti, almeno di primo acchito, deludenti, perl’apparente modestia di alcuni personaggi, per la scarsitàdi informazioni sulle committenze scaligere e per il fattoche, paradossalmente, i veronesi citati da quella fonte sonoinvece coinvolti in commissioni non veronesi, per la preci-sione trentine. In realtà è evidente che questa fonte va letta

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6. Domenico Fetti, Annunciazione, ca. 1621-1623, Londra,collezione privata (già collezione Canossa)

fra le righe, perché gli incarichi ci sono, anche se restanotalora nascosti sotto il nome degli intermediari30: e, pro-prio fra le righe, possiamo ora identificare due nuovi, in-sospettati, committenti.La prima è una donna, che in questo caso agisce gestendodirettamente i suoi rapporti con il pittore emiliano: nel1648-1650 il Guercino dipinge infatti una Santa Cecilia,identificata con quella ora alla Dulwich College PictureGallery, per una certa «Marchesa Virginia Turcha Bevila-qua», che Carlo Cesare Malvasia sostiene fosse una ferra-rese31. Credo che nessuno abbia tentato di identificare talepersonaggio, tuttavia i due cognomi rinviano con sicurez-za ad altrettante casate veronesi, sebbene la ricerca fattaabbia rivelato che si tratta non dei Bevilacqua, noti colle-zionisti, bensì dei Bevilacqua Lazise, di una famiglia ad essiestranea. Ho infatti trovato notizie della contessa (e nonmarchesa, come invece riporta il Libro dei conti) Virginiafiglia di Francesco Turco, a sua volta padre e nonno diLeonardo e Pio Turco, pure collezionisti, sui quali avremomodo di ritornare: ella viene ricordata nel testamento pa-terno dell’11 febbraio 1647 come ancora nubile; in segui-to, come moglie del conte Ludovico Bevilacqua Lazise, inquello della madre Ottavia Guarienti del 9 maggio 1650;quindi in quello del marito del 25 settembre 1655; infinein quello del padre Francesco dell’8 giugno 165832. Pur-troppo qui spariscono le tracce della nobildonna, come

enrico maria guzzopure del dipinto che, come era da aspettarsi, non compa-re anni dopo nella quadreria dei Turco, cioè della famigliadi origine di Virginia, mentre di una collezione BevilacquaLazise parleranno soltanto le fonti dell’Ottocento.Il secondo invece è niente meno che Gaspare Gherardini,patrono a Verona non solo di Alessandro Turchi e di Mat-tia Preti, ma pure di Guercino, non tanto perché proprie-tario, come ci informa un suo codicillo testamentario del30 agosto 168033, di «quadri di Pittura di mano del S.Franc.o Barbieri» conservati nel palazzo di Montorio(opere che in realtà potevano essere non del Guercino, madel quasi omonimo veronese Francesco Barbieri detto loSfrisato)34, quanto perché committente di una pala d’alta-re un tempo nella chiesa dei Cappuccini di Verona.A proposito di quest’ultima, tutto ruota intorno alSant’Antonio cui appare la Madonna con il Bambino, salda-to al Guercino, nel 1657-1658, dal veronese Pier LuigiPeccana, e al Sant’Antonio, pagato invece nel 1663 daEmanuele Emanueli pure di Verona35.Per l’identificazione dei due dipinti, complicata dal fattoche Malvasia cita, come cose differenti, nel 1658 una «Ta-vola d’altare per l’Eccellentissimo Pecana Veronese con laB.V., il Puttino, e S. Antonio da Padova», e nel 1662 (ap-parentemente a ridosso del pagamento da parte di Ema-nueli) un «Quadro d’altare per li Cappuccini di Veronacon S. Antonio da Padova, il quale fa gran miracoli, ed ètenuto con gran venerazione»36, si tengano presenti sia ilframmentario Sant’Antonio di Greenville37 che, mancandodella parte superiore, potrebbe essere quello Peccana inorigine con la Madonna e il Bambino, sia il Sant’Antoniocon il solo Bambino di Avio, in Trentino ma sotto la dio-cesi di Verona, che recentemente Elvio Mich ha ipotizzatoessere la pala Emanueli38. Se quest’ultimo punto è ora con-fermabile grazie alle notizie che riguardano un certo Ma-nuel Manuelli, mercante veronese di legname originario diAvio e implicato nel cantiere di quella chiesa39, è da con-cludere notando che la pala pagata nel 1657-1658 da Pec-cana, e che è ormai giocoforza identificare, nonostante lalieve divergenza di data, con quella ricordata da Malvasiaai Cappuccini, va sicuramente collegata alla committenzadi Gherardini, il quale, nel testamento del 22 novembre167840, ricorda la «mia Capelletta di S. Antonio» (dedica-ta a uno dei suoi santi protettori) contigua al coro dellachiesa dei Cappuccini, dove ordina di essere sepolto, e l’al-tare da lui edificato41.I rapporti con le realtà figurative “foreste” finirono, com’ènoto, per condizionare l’iter formativo e la cultura degli ar-tisti veronesi: già a partire dal primo Cinquecento Caroto simuove tra la Lombardia dei leonardeschi e l’Emilia di Ga-rofolo; di seguito, Battista Del Moro, Domenico Brusasorcie il giovane Paolo Veronese, fra Giulio Romano e Primatic-cio; Felice Brusasorci tra eleganze fiorentine e nordicismi;Turchi, Bassetti, Giarola e gli altri pittori “riformati” diprimo Seicento tra la Roma di Caravaggio e Saraceni e laBologna di Reni e Carracci. Per poi giungere alla rinascitadella scuola locale, dopo la crisi conseguita alla peste del1630, con l’adesione totale alla lingua bolognese e romanada parte di Sante Prunati e di Antonio Balestra, mentorel’alfiere del classicismo locale, l’erudito Scipione Maffei.

7. Innocenzo da Imola (?), San Giovanni Evangelista conl’aquila, secolo XVI (?), Berlino, Staatliche Museen,Gemäldegalerie (già Roma, collezione Giustiniani)

Naturalmente a monte non vanno considerati solo gli spo-stamenti degli artisti: Falconetto a Roma per studiare l’an-tico, Caroto a Milano e nel Monferrato, Felice Brusasorcia Firenze, Turchi e compagni a Roma, Balestra in viaggiodi studio per l’Italia, eccetera. Anche a prescindere da que-sti viaggi, che pure con il primo Seicento e soprattutto nelSettecento diventano routine nella formazione dei pittori42,dobbiamo infatti immaginare che cosa nella stessa Veronaera conservato di pittura “foresta”, non veneta, non solosugli altari delle chiese, ma anche nelle ricche quadrerie lo-cali, nel contesto della Serenissima quantitativamente equalitativamente seconde, come è noto, soltanto a quelleveneziane.A questo punto sembra necessaria un’osservazione, inevi-tabilmente breve, a proposito del confronto tra il caso ve-ronese e le altre situazioni regionali, soprattutto quella la-gunare, la cui ricettività verso le realtà culturali diversedalla propria (anche a prescindere dagli episodi più noti ecitati, come la presenza fra le Lagune di Luca Giordano edi altri “foresti”, l’esistenza di un nutrito gruppo di operedi Solimena in casa Baglioni, eccetera) ha trovato eviden-za nei più recenti studi sul collezionismo43: l’importanza daattribuire, innanzi tutto da un punto di vista quantitativo,

alle presenze “foreste” a Verona, con tutto quanto le col-lega allo svolgersi stesso della cultura figurativa locale, po-trebbe a qualcuno sembrare eccessiva, ma in realtà, va sot-tolineato, appare enfatizzata se si estrapolano le informa-zioni su di esse dal contesto, che sul versante collezionisti-co era altrettanto ricco di presenze veneziane.Tuttavia, anche nel caso di quest’ultime (per lo più limita-te agli esemplari cinquecenteschi, circostanza anch’essanon trascurabile), sembra incontestabile il fatto che il mo-dello di riferimento per i collezionisti veronesi, e per tuttoil mercato che gravitava attorno ad essi, non va ricercatoin Venezia, quanto piuttosto nelle realtà di Mantova, diModena, o di Roma, alle quali il patriziato scaligero erastretto, fin dai tempi della formazione scolastica e univer-sitaria44, da molteplici legami, economici e di prestigio45, inuna gara di emulazione che poi trapassa nelle scelte deicollezionisti di ceto più basso, nelle cui case spesso trovia-mo segnalata la copia dei quadri presenti nelle case dei no-bili, a loro volta replica o copia di quadri allora conserva-ti nelle collezioni degli Estensi o dei Gonzaga, come si notase si tenta di identificare alcune opere segnalate a Verona,o almeno i loro prototipi.In merito una preziosa testimonianza viene dalla relazionedel 1628 di Leonardo Donato, podestà uscente di Verona,in cui si annota che «la vicinanza che [i veronesi] hannoalla città di Mantova, l’interesse di qualche bene che alcu-no possiede in quel Stato, le carezze ed i favori che ordi-nariamente ricevono da quell’Altezza hanno allettati moltiagli interessi di quella Corte; alcuno è Cavaliere dell’Ordi-ne, altri hanno i figliuoli a quel servicio»46.Si pensi allora ai Canossa e ai loro multiformi contatti conRoma (già ai tempi del cardinale Ludovico, figura di spic-co alla corte di Leone x) e soprattutto con Mantova47,anche a motivo del marchesato ottenuto quando essi, nel1604, cedettero a Vincenzo i Gonzaga la Perla raffaelle-sca48; al conte Mario Bevilacqua, uno dei protagonisti del-l’ambiente culturale veronese del maturo Cinquecento, eai suoi rapporti con Vincenzo i, che lo interpellava perstime e compravendite d’arte antica49, e con il duca di Ba-viera Guglielmo v50, ma anche, fatto ovvio per un colle-zionista soprattutto di antichità, con gli ambienti romani51;alle relazioni di Agostino Giusti con la corte medicea52; aquelle del canonico Giorgio Mazzanti con il principe ve-scovo Carlo Madruzzo in Trentino53; ai Carlotti, nel 1635diventati marchesi grazie al granduca di Toscana54; a Mo-scardo, che, già in prima edizione, dedica le sue Note overoMemorie del Museo del Conte Lodovico Moscardo55 al ducadi Modena Francesco i, che poi, tra il 1659 e il 1663, lo in-signì del titolo comitale56 (del resto, nel 1762, un pronipo-te di Moscardo sposerà la principessa Alfonsa d’Este); aiGherardini che devono anch’essi il titolo nobiliare, otte-nuto tra il 1627 e il 1633, al duca di Modena, e che in-staurano un rapporto duraturo con la corte estense57 chebene spiega, in occasione delle trattative per l’acquistodelle collezioni Muselli e Curtoni, il ruolo di intermediariosvolto da Gaspare, attivo nella stessa veste anche per Cri-stina di Svezia. Per non parlare infine di alcuni personag-gi minori come, a fine Seicento, Angelo Barbieri (collezio-nista di opere del Baldini Mantovano e di Fetti) il quale,

la fortuna della pittura italiana, non veneta

8. Innocenzo da Imola, San Giovanni Evangelista con l’aquila,secolo XVI, ubicazione ignota (già collezione Canossa?)

grazie al matrimonio con la contessa Eleonora Tomasini, siimparentò con una famiglia veronese, appunto i Tomasini,che nel 1642 aveva ottenuto il titolo comitale dalla cortegonzaghesca58.La dedizione verso quei principi trova conferma anchenella moda di collezionarne i ritratti, spesso compresi invere e proprie iconoteche59. Ecco qualche esempio: tra ibeni ereditati nel 1595 da Isabella Giusti, vedova di MarioBevilacqua, troviamo oltre venti effigi di reali e di perso-naggi illustri, tra i quali spiccano l’imperatore Carlo v, Fi-lippo di Spagna, Carlo viii di Francia, il cardinale Ippoli-to ed Ercole d’Este60; nel palazzo Giusti del Giardino(dove nell’Ottocento verrà segnalato un Ritratto di Vin-cenzo Gonzaga attribuito a Rubens)61 quasi duecento im-magini dei «principali Potentati di tutto il Mondo […] ecosì de’ maggior Duci, e Campioni dell’Universo, com’an-co de’ Letterati, e de’ gl’inventori de’ nuovi Mondi; tutti dibuoni maestri»62, e, a questo proposito, non va dimentica-to che nel 1597, per conto di Agostino Giusti, Felice Bru-sasorzi e Sante Creara erano a Firenze proprio per farcopia dei ritratti della galleria granducale63; in collezioneMoscardo un «ritratto di una Prencipessa di Mantova ve-stita di veluto cremese, et ornata di molte gioie, mano delCosti Mantovano», nonché settantasei («et molt’altri») «ri-tratti di molti prencipi, et huomini Illustri, in arme, et inlettere», tra cui i reali di Francia, Austria e Inghilterra e iprincipi della case Gonzaga, Della Rovere e Medici64; nellacollezione mantovana di Orazio Canossa, nel 1673 eredi-tata dai parenti veronesi, dodici ritratti dei duchi di Man-tova, quattordici di quelli di Modena, più ventiquattro «diprincipesse, regine, imperatrici di diverse nationi epaesi»65; infine, nella quadreria di un certo Nicola Guada-

enrico maria guzzo

gni (ed è interessante constatare il fenomeno anche nellacasa di un borghese del Settecento), il ritratto di una du-chessa di Mantova, riferito a Giulio Romano, nonché la co-spicua raccolta di «ritratti al numero di mille, dov’entranole serie delle Case d’Austria, de’ Medici, de’ Visconti, Sca-ligeri, ed Ottomani, Capitani illustri, Huomini, e Donneletterati, e quantità di Pittori, e di Scultori, parte fatti daGio: Battista Canciani, parte di mano propria de gli Auto-ri, e parte di mano aliena»66.

le collezioni di formazione cinquecentesca

Purtroppo non conosciamo nulla delle collezioni quattro-centesche di pittura67, e gli scarsi indizi sulle raccolte gra-fiche, che pur ci sono, si confondono con quanto sappia-mo, o presumiamo, dell’abitudine da parte degli artisti diraccogliere e conservare repertori visivi ad uso delle ne-cessità di bottega: si pensi alla raccolta di disegni possedutida Felice Feliciano, nella quale dovevano essere anchefogli dei suoi amici artisti, tra i quali ricordiamo, con Man-tegna e Giovanni Bellini, anche Marco Zoppo e Francescodel Cossa68, o ai disegni che si vuole siano stati colleziona-ti dal pittore Antonio (secondo) Badile, ora dispersi invarie raccolte, ma un tempo rilegati in un album già ap-partenuto alla collezione Moscardo69 e nel quale, con i ma-teriali della bottega dei Badile, si conservavano anche foglidi scuole non veronesi70. Per quanto riguarda invece le col-lezioni cinquecentesche, i materiali noti si fanno piuttostointeressanti, pur restando molto lacunosi71.L’excursus non può che partire dalla collezione Canossa,conosciuta in dettaglio, come poi vedremo, da inventari

9. Antonio Giarola detto il cavalier Coppa (da Guido Reni), Davide con la testa di Golia, metà del secolo XVII, Verona, Museo Canonicale (già collezione Trentossi)

del Sei e Settecento, ma che nel Cinquecento conservavala già ricordata Madonna della Perla, opera acquistata a Ve-rona nel 1604 da Vincenzo i Gonzaga, che l’ottenne incambio di un marchesato nel Monferrato, e poi ceduta nel1627 a Carlo i d’Inghilterra72.Il celebre dipinto viene menzionato, tra gli altri, da Vasari(«a Verona [Raffaello] mandò della medesima bontà ungran quadro ai conti da Canossa, nel quale è una Nativitàdi Nostro Signore bellissima con una aurora molto lodata,sì come è ancora Santa Anna; anzi tutta l’opera, la qualenon si può meglio lodare che dicendo che è di mano diRaffaello da Urbino. Onde que’ conti meritamente l’han-no in somma venerazione; né l’hanno mai, per grandissi-mo prezzo che sia stato loro offerto da molti prìncipi, aniuno voluto concederla») e da Ridolfi73, e diventò, comesopra si anticipava, uno dei testi fondamentali per i pitto-ri locali della “maniera moderna”, copiato come fu, stan-do alle fonti, da Battista Del Moro, Bernardino India, Or-lando Flacco e il giovane Paolo Veronese74, in opere che, aloro volta, furono alla base di derivazioni più recenti, comequella, malamente attribuita a Sante Prunati, che si trovanella chiesa di S. Lorenzo75.Passando all’altra grande raccolta veronese del tempo, lagalleria Bevilacqua formata già negli anni trenta da Anto-nio e Gregorio Bevilacqua, e poi incrementata da Mario fi-glio del secondo, essa fu celebre in passato soprattutto peri marmi antichi e per i dipinti di Veronese e di Tintoretto,

tutti oggetto nel 1797 delle mire dei Francesi, le cui sceltefurono sicuramente orientate da quanto aveva segnalatonel 1758 Charles-Nicolas Cochin, nel suo Voyage d’Italie76.La collezione viene documentata da Bartolomeo DalPozzo, nel 1718, nonché da alcuni inventari, degli anni1800-180577, qui però interessano i documenti più antichipubblicati da Lanfranco Franzoni, innanzi tutto l’elencodel 1593 dei beni del conte Mario, tra cui erano oltre quat-trocento opere tra dipinti, stampe e disegni78: solo in quat-tro casi purtroppo esso indica il nome degli autori, tutta-via non manca di ricordare, con opere di Civetta e di Gior-gione, anche «un ritratto cornisato piccolo dell’Immaginedi S.ta Maria» attribuito al Parmigianino, altro artista fon-damentale per la pittura locale del tempo che il conte ve-ronese doveva conoscere bene, come dimostra una letteradel 1593 in cui egli fornisce al segretario del duca di Man-tova, come richiesto dal duca, un giudizio su alcuni dise-gni creduti del maestro emiliano79.Merita ricordare che l’interesse nei confronti di Parmigia-nino viene confermato, sempre per quanto riguarda questianni, anche dalla notizia di una raccolta di suoi disegni ap-partenuti, prima di passare ad Alessandro Vittoria, all’in-cisore vicentino Battista Pittoni, un amico di Del Moro, edi certo conosciuti dagli artisti veronesi, come provano idisegni di Parmigianino con la Tomba di un vescovo alLouvre e con la Tomba di un letterato al Metropolitan diNew York, e le fedeli derivazioni incisorie che da questi

la fortuna della pittura italiana, non veneta

10. Francesco Paglia, Abramo e gli angeli, ultimo quarto del secolo XVII, Verona, Museo di Castelvecchio (già collezione Turco)

vennero tratte, rispettivamente, da Battista Del Moro e daAngelo Falconetto80.Grazie all’inventario dei beni ereditati nel 1595 da Isabel-la Giusti, vedova di Mario Bevilacqua81, conosciamo poialtri indizi, purtroppo sempre frammentari, sulle presenzein questa raccolta. Con i dipinti di Del Moro, Caroto, Ve-ronese, Brusasorci, Tiziano e Bellini, vi troviamo una «As-sensione del Signore cavata da quella di Raffaello inRoma», a quanto pare un’opera dipinta, e poi disegni edincisioni che confermano questo interesse nei confrontidella cultura centro-italiana: «sei dissegni a mano di va-lenthuomini, cioè di Raffaello, del Ligozza, del Carotto etd’altri», «quindeci carte grandi stampate, che vengono daRaffaello, tagliate da Marc’Antonio [Raimondi]», «il Giu-dicio di Michel Angelo stampato in picciolo», infine «unLibro grande coperto di corame rosso adorato, con la Pas-sion del Nostro Signore del Straddano».Tra parentesi, va ricordato che tale apprezzamento dellagrafica, e la fortuna, dimostrata in quegli anni anche dallaproduzione di Paolo Farinati, del disegno da collezione,trovano conferma pure nel piccolo inventario datato 1607,e pubblicato anni fa da Anna Maria Conforti Calcagni, deifogli appartenuti a Federico Morando82, un elenco da con-siderare molto veritiero, in quanto ad attribuzioni, nel casodegli artisti della fine del Cinquecento: con i veronesi Ca-liari, Del Moro, Brusasorci, India e Farinati, e con i vene-ti Corona, Mantegna, Tintoretto e Zelotti, vi troviamo ci-tati anche Lattanzio Gambara, Taddeo Zuccari, «Zorzo daRezo», cioè Vasari, Filippo Bellini da Urbino, il cremasco

enrico maria guzzoCarlo Urbino, i Carracci, Parmigianino, Malosso, Giam-bologna, Belisario Cambi detto il Bombarda83, Luini,Perin del Vaga, Passerotti, il Cavalier d’Arpino, AntonioMaria Viani, Federico Zuccari.Dopo i Canossa e i Bevilacqua ecco infine, per quanto ri-guarda le grandi collezioni nate nel Cinquecento, la rac-colta formata dal conte Agostino Giusti del ramo cosìdetto del Giardino, e da suo figlio Gian Giacomo, resa ce-lebre dal volumetto celebrativo scritto in forma di dialogoda Francesco Pona nel 1620, il Sileno84. Su questa raccol-ta, famosa per quanto riguarda i veronesi soprattutto perla cospicua presenza a quel tempo di opere del giovaneTurchi (ma vanno pure ricordate le numerose opere deiBassano, di Veronese, di Giorgione, di Tintoretto e di Ti-ziano), si conoscono altre fonti: la prima, che ancora ri-flette la situazione illustrata da Pona, è un inventario data-to 1697, in realtà copia di uno più antico risalente al 1641circa85, cioè quando i fratelli Francesco e Marc’Antonio,figli di Gian Giacomo, giunsero a quella divisione arbitra-le che comportò l’uscita della collezione dal palazzo e lasua successiva dispersione86; la seconda è costituita dallepagine che, nel 1718, le dedica Bartolomeo Dal Pozzo, re-gistrando una situazione completamente mutata, grazie alconte Gomberto Giusti che ebbe «modo di risarcire le pa-tite iatture nelle pretiose pitture, che prima vantava questaCasa»87.Ritornando a Pona, il suo scritto documenta l’aperturaculturale dei Giusti che nella loro casa raccolsero, con leopere dei veneti, e con quelle nordiche, ad esempio di Ci-vetta, anche interessanti esemplari delle altre scuole italia-ne: né appare casuale il fatto che il dialogo si svolga tra un“cittadino” e un “forastiero”, a quanto pare di Bologna88.Per quanto qui interessa troviamo Annibale Carracci, au-tore di due figure mitologiche, «l’una delle quali con l’A-quila si sollazza, l’altra col Cigno»; seguono il Cavalierd’Arpino, con un piccolo «Adone, che languendo nelgrembo dell’amante Ciprigna giace ferito», il Giambolo-gna, autore di un Ratto di Deianira, Giulio Romano, auto-re di una Flagellazione di Cristo, e Raffaello ricordato peruna copia della «Madonna di Raffaello così famosa», quasisicuramente della Perla di casa Canossa. Stupisce peraltronon trovare nel Sileno traccia di quel ritratto di Raffaelloche nel 1595 Jacopo Ligozzi, soprintendente alle galleriemedicee, aveva mandato da Firenze al conte AgostinoGiusti89.Particolarmente interessanti risultano, su tutti, i seguentidipinti. Il primo spetta al Moretto da Brescia, ed è identi-ficabile con l’Allegoria della Fede dell’Ermitage, nel 1755in collezione Crozat e dal 1772 in Russia90: si tratta, stan-do a Pona, del «quadro, che sotto sembianza di bellissima,et honestissima Matrona ci rappresenta la Fede, col Calicenella destra, e la Croce abbracciata dal manco lato, conquel velo sino su gli occhi, non so se per haver il pittorevoluto dinotare maggior honestà, ò se per haver egli pre-teso in questo modo darci à conoscere, che gli occhi ma-teriali devono nel credente esser chiusi». Il dipinto vieneregistrato in casa Giusti anche più tardi, nel 1641 circa(nell’inventario datato 1697), e potrebbe essere lo stessoquadro di Moretto che, verso il 1662, sarà nella collezione

11. Pietro Bellotti, Autoritratto, 1658, Milano, Pinacoteca diBrera (già collezione Gazzola)

Muselli, pure raffigurante «la Fede, che con una mano so-stiene un calice, con l’altra una croce, è ritratto d’una bel-lissima giovane riccamente vestita».A questo punto è interessante constatare come, a compli-care i nostri studi e le nostre identificazioni, molti dei piùcelebri quadri documentati in passato in case private sonostati copiati, prima di essere dispersi sul mercato interna-zionale, dagli artisti locali, e le copie rimaste a Veronahanno spesso finito per essere confuse con gli originali:questo evidentemente avviene con un’altra Allegoria dellaFede nel 1881 segnalata a Verona presso la famiglia Alber-tini, pure attribuita a Moretto91, ma anche, come vedremopoi, con la copia ancora a Verona, nei depositi di Castel-vecchio, della Dorotea creduta di Raffaello o di Giulio Ro-mano, in realtà di Sebastiano del Piombo, ora a Berlino, eil cui originale troveremo tra poco in casa Curtoni.Nel caso del dipinto di Moretto all’Ermitage, la sua iden-tificazione con quello della collezione Giusti sembra co-munque sicura, per un dettaglio che ritengo rivelatoreanche se nessuno lo ha mai notato, la scritta sulla tela, iu-stus ex fide vivit, che allude, in quel iustus, alla famigliaveronese e che ha lo stesso valore araldico della testa di“giusto” che compare sullo stemma di questa casata. E aquesto punto il ricordo va anche alla scritta iustus utpalma florebit che compare in un’altra opera veronese diMoretto, nel Ritratto di religioso del Museo di Castelvec-chio, già appartenuto alla collezione ottocentesca di Giu-lio Pompei92 ma che possiamo ora credere anch’esso diprovenienza Giusti, pur se non sembra lì citato dalle fonti,

e raffigurante un rappresentante di questa famiglia piutto-sto che, come ventilato finora, il Savonarola, o personaggibresciani, quali il canonico lateranense Innocenzo Casari opadre Francesco Lechi93.Altro dipinto su cui, grazie alle ricerche di GianvittorioDillon, possiamo dire qualcosa è quello del Parmigianino,che sarebbe impossibile identificare sulla sola base delladescrizione di Pona, una «Madonna, con l’altre figure»,ma che è documentato da un’incisione di Jan Sadeler raf-figurante, in un ovale, una Sacra Famiglia con una santacon colomba (fig. 3) e che riporta in basso il nome del pro-prietario, Agostino Giusti94: il dipinto, conosciuto ancheattraverso il disegno di Parmigianino ad Haarlem, è per-duto, sappiamo però che esso fu conosciuto e stimato puredai pittori locali, come provano le derivazioni di BattistaDel Moro, di Paolo Veronese e di Felice Brusasorci95, non-ché, forse, la perduta Sacra Famiglia copiata da Parmigia-nino che un tempo era nel confessorio presso la chiesa diS. Domenico96.Conosciamo altre incisioni dei Sadeler che tramandano ilricordo dei quadri della collezione veronese97: oltre a quel-le che raffigurano i dipinti dei Bassano, merita una men-zione la Madonna con il Bambino intagliata da Egidiuspure con il nome di Parmigianino, in realtà collegata ad undipinto di Gerolamo Bedoli ora a Monaco98 (fig. 4). Essanon viene elencata né da Pona, né tantomeno dalle fontisuccessive, e conferma così la parzialità della descrizionedella quadreria offerta in uno scritto di circostanza qual èil Sileno, pubblicato in occasione delle nozze di FrancescoGiusti, figlio di Gian Giacomo, con Antonia Lazise.Infine ecco Reni alle prese con un soggetto, Davide eGolia, che sarà vantato da altre collezioni locali dei secolixvii e xviii (Curtoni, Canossa, Bonduri), un «belissimo Da-vidde, c’hà lo spaventoso gigante atterrato, e morto», de-scritto nell’inventario del 1641 circa come «un David fi-gura al natural», e indentificabile, per quel che oggi si co-nosce del catalogo di Reni, con la versione della Fonda-zione Rau di Marsiglia (fig. 5)99, pure con «lo spaventosogigante atterrato, e morto», e di dimensioni al «naturale».Per concludere anticipiamo due parole sulla ricostruzioneda parte di Gomberto Giusti della galleria, che nel 1718,ormai profondamente mutata, presenta opere di Calvaert,un paesaggio con animali del Castiglione (pittore tra i piùapprezzati nelle collezioni del Sei e primo Settecento), unpresunto Ritratto di Leonardo100, una «meza figura di N.D. piangente» di Giulio Romano, infine due opere del fer-rarese Dosso Dossi. Conclude l’elenco un artista tra i piùsignificativi non solo per il collezionismo locale tra Sei eSettecento, ma anche per i pittori veronesi contemporaneiormai del tutto orientati verso la pittura bolognese, Giu-seppe Dal Sole, contemporaneamente attivo, come vedre-mo, anche per i Giusti del ramo dei Santi Apostoli (pres-so i quali, verso il 1697, visse per qualche tempo), ma pre-sente pure nelle collezioni di Francesco Bonduri e dellostesso Bartolomeo Dal Pozzo. Entrambi i dipinti registra-ti in palazzo Giusti del Giardino da Dal Pozzo sono oggiriconoscibili101: si tratta di una «Giuditte davanti ad Olo-ferne con l’Angelo in aria che le suggerisce all’orecchio ciòche deve fare, con la Vecchia appresso», passata nelle col-

la fortuna della pittura italiana, non veneta

12. Pietro Antonio Rotari, Ritratto del napoletano FrancescoSolimena, 1733, ubicazione ignota (già collezione Gazzola)

lezioni di Castelvecchio, e di «una Maddalena penitente»ora conservata in altra collezione privata102.

le grandi collezioni del seicento

Restiamo in tema di grande collezionismo con la raccoltaMuselli, da ricordare non solo per alcuni celebri esempla-ri di scuola veneta, come il Noli me tangere di Tiziano dellaNational Gallery di Londra.Stando alle ricerche di Campori e, più recentemente, diMontanari103, questa collezione di dipinti e disegni, tra lepiù significative nella Verona del Seicento, appartenne aCristoforo e Francesco Muselli che l’avevano ereditata dalpadre Giacomo, un semplice ma evidentemente riccocommerciante. A partire dal 1649 (dietro le quinte com-pare, come intermediario, il marchese Gaspare Gherardi-ni) i quadri attirarono le attenzioni dell’arciduca Ferdi-nando Carlo d’Asburgo, del re di Francia Luigi xiv e diCristina regina di Svezia, nonché dei duchi di Modena,cioè Francesco i nel 1649, Alfonso iv nel 1662 (epoca allaquale sembra risalire l’inventario non datato pubblicato daCampori)104, infine Cesare d’Este nel 1663, tutti interessa-ti all’acquisto che però non ebbe luogo, per l’alta doman-da. Oltretutto le trattative con la corte di Modena sfuma-rono quando il principale oggetto dell’interesse del ducaAlfonso, una Venere di Paolo Veronese, venne recuperato,in quanto opera legata a fidecommisso inalienabile, dal le-gittimo proprietario, il conte Francesco Bevilacqua, ilquale l’aveva dato in pegno ai Muselli a garanzia di un pre-stito che essi gli avevano concesso. Le notizie sicure sullapresenza della raccolta a Verona arrivano al 1671105: nel1718 Bartolomeo Dal Pozzo ricorderà che i figli di Cri-stoforo Muselli, Giacomo e Paolo, vendettero 122 quadriad un certo Monsieur Alvarese negoziante di quadri, ilquale, appunto verso il 1671, li trasportò in Francia106. Quisaranno in gran parte comperati dal reggente duca d’Or-leans, finendo poi per passare con la vendita della sua gal-leria, nel 1792, in Inghilterra. In quanto ai disegni, pure ri-cordati in casa Muselli da Dal Pozzo, ma di cui non ab-biamo l’inventario, essi vennero ceduti dai Muselli circa ametà Settecento a Pierre Crozat.Tra gli artisti presenti nelle sette camere in cui era allestitala raccolta107 notiamo, con i veneti, le Anguissola, Becca-fumi, Annibale Carracci, Correggio, Del Sarto, Fetti (cioèuno degli artisti che d’ora in poi troveremo tra i preferitidai collezionisti veronesi), Garofolo, Moretto (con una Al-legoria della Fede che, come si diceva, può ben essere ilquadro documentato pochi anni prima in casa Giusti), Pe-rugino, Raffaello, Reni, Giulio Romano, Sammachini, Sa-raceni, infine Parmigianino. A quest’ultimo erano riferitenumerose opere108, tra le quali meritano una menzionespeciale «una Pallade armata, nell’armatura v’ha una figu-rina che rappresenta la Vittoria, mostra una mano ignu-da», che corrisponde molto puntualmente al dipinto dellecollezioni reali inglesi documentato però ad Amsterdamgià nel 1660, quando venne ceduto a Carlo ii d’Inghilter-ra109, e una «santa Barbara in profilo con una torre in manoben finita e conservata» che ha buone possibilità di essere

enrico maria guzzoidentificata con il dipinto del Prado di Madrid, qui docu-mentato a partire dal 1686, e quindi non confondibile conuna seconda Santa Barbara di Parmigianino menzionatanegli inventari estensi tra il 1618 e il 1797110.Altra faraonica collezione del tempo, già citata in fonti del1637 e ricordata in particolare da Francesco Scannelli, daCarlo Ridolfi e da Bartolomeo Dal Pozzo111, è quella, divi-sa in sette stanze e una sala, dell’avvocato Giovanni PietroCurtoni, meno stimata di quella Muselli, ma pur semprericca, stando all’inventario, di opere venete (tra gli altri, diBassano, di Veronese e di Tiziano) e fiamminghe (Brill, Ci-vetta, Rothenhamer, eccetera). Anche in questo caso il ri-ferimento è alle ricerche di Giuseppe Campori112, che hapubblicato un inventario del 1662 circa, nonché, più re-centemente, di Montanari113, il quale ha reso noto un se-condo inventario della collezione conservato a Jesi.Analogamente alla raccolta dei dipinti Muselli, pure que-sta collezione attirò, già prima della morte di Curtoni av-venuta nel 1656, e soprattutto negli anni sessanta, gli inte-ressi di molti pretendenti, e anche in questo caso i contat-ti vennero tenuti da Gherardini: tra gli aspiranti ritrovia-mo Alfonso iv di Modena e il suo successore Cesare, l’ar-ciduca Ferdinando Carlo d’Asburgo con la moglie Annade’ Medici, il re di Francia Luigi xiv, infine la regina Cri-stina di Svezia. Nel 1668 venne alienata dagli eredi di Gio-van Pietro Curtoni, i figli Giovanni Battista e GiovanniPietro, al duca Alessandro ii della Mirandola, i cui discen-denti pare l’abbiano dispersa a Bologna agli inizi del Set-tecento114.Tra i pittori “foresti” collezionati da Curtoni troviamo Al-bani, Anguissola, Arcimboldi, Bononi, Caravaggio, Car-racci, Correggio, Del Sarto, Fetti, Filippo Napoletano,Francia, Battista Franco, Guercino, Leonardo, Michelan-gelo, Parmigianino, Perugino, Polidoro da Caravaggio,Pomarancio, Reni (con l’ennesima redazione veronese diDavid con la testa di Golia, in questo caso raffigurato intrionfo «con altre donne»), Romanino, Giulio Romano,Rosso Fiorentino, Salviati, Scarsellino, Sementi.Una menzione speciale spetta a Raffaello, presente conquattro opere una delle quali identificabile, «la Cingarina,ovvero S. Dorotea», ricordata anche da Scannelli115 e rico-noscibile nel Ritratto femminile, già attribuito a Raffaelloma di Sebastiano del Piombo, a Berlino, documentato inInghilterra nel 1765 e nella sede attuale dal 1885116. Se,come sembra, il dipinto Curtoni è proprio quello di Berli-no, la copia conservata a Castelvecchio, e che nell’Otto-cento fu delle famiglie Lanfranchini, Cavallini Brenzoni eDa Persico come «la Fornaretta famosa di Raffaello, co-piata – da Giulio Romano»117, potrebbe invece essere iden-tificata con la «s. Dorotea copia di Raffael» inventariatanel 1695 in casa del medico Angelo Barbieri118.A questo punto non possiamo dimenticare la collezionedel più volte nominato marchese Gaspare Gherardini diSan Fermo, formatasi nella prima metà del Seicento, bendocumentata nelle pagine di Bartolomeo Dal Pozzo e diCharles-Nicolas Cochin, e rimasta unita fino ai primi annidell’Ottocento, quando venne dispersa: mercanti di origi-ne fiorentina, i Gherardini ottennero, come anticipato, iltitolo nobiliare grazie al duca di Modena Francesco i, e lo

stretto rapporto con la corte estense bene motiva il ruolodi intermediario svolto da Gaspare in occasione delle trat-tative per l’acquisto delle collezioni Muselli e Curtoni119.In casa Gherardini troviamo presenti dipinti di FrancescoBassi detto il Cremonese, di Calvaert, di Cittadini, diGuercino, del battaglista Francesco Monti detto il Bre-scianino, e di Tempesta, fatto confermato da quanto è de-scritto in un inventario del 1755120 dei beni di GiovanniCarlo figlio di Maurizio e nipote di Gaspare, dove sono se-gnalate altresì opere di Borgognone e di Reni.Gaspare Gherardini è noto anche per aver posseduto uncospicuo nucleo di dipinti, poi finiti nella collezione bre-sciana di Teodoro Lechi, di Alessandro Turchi, da lui pro-tetto e mantenuto a Roma, e, per quanto qui interessa, peressere stato il committente sia della pala di Mattia Pretituttora conservata nella cappella di famiglia in S. Nicolò, eraffigurante i Santi Andrea da Avellino e Gaetano Thiene,sia, come s’è visto, di una pala di Guercino ai Cappuccini.Spetta allo stesso conte Ludovico Moscardo aver elencatonel 1672, in appendice alla seconda edizione del volumesulla propria collezione di antichità e naturalia suddivisa innove stanze nel palazzo di via San Vitale, i dipinti e i dise-gni che possedeva121, dispersi con il resto delle raccolte daidiscendenti a partire dalla fine del Settecento, e solo in pic-cola parte confluiti, grazie al matrimonio nel 1785 di Te-resa Moscardo con Marcantonio Miniscalchi, nelle colle-zioni dell’attuale Museo Miniscalchi-Erizzo di Verona122.Si trattava di oltre 200 dipinti, di circa 50 disegni descritticon la cornice, di 2.000 fogli tra stampe e disegni, e di og-gettistica varia, tra cui risaltavano le preziose maioliche chesi volevano dipinte nientemeno da Raffaello, gli abbozzi diSansovino, i bronzetti e gli oggetti in avorio: rispetto alleraccolte dei Curtoni e dei Muselli, questa collezione si ca-ratterizzava per essere maggiormente orientata verso la pit-tura locale, vantando presenze non solo di Alessandro Tur-chi, ma anche dei due Brusasorci, e poi di Caroto, di DelMoro, di Farinati e d’India.Tra gli autori non locali citati, in parte ricordati più avan-ti dallo stesso Bartolomeo Dal Pozzo123, troviamo non soloi veneti Bassano, Caliari, Tintoretto e Tiziano, ma ancheBarocci, Cantarini, i Carracci, Francia, Peruzzi, Raffaello,Reni, Ricchi, Giulio Romano, Scarsellino, il Sordo (quasisicuramente identificabile con l’allievo di Barocci AntonioViviani da Urbino)124, il Costa mantovano, Andrea DelSarto, Dossi, Fetti, infine Correggio.Interessante anche il nucleo, famosissimo, dei disegni Mo-scardo, con esemplari, per quanto qui interessa, di DelSarto, Giambologna, Giulio Romano, Michelangelo, Par-migianino, Polidoro da Caravaggio, Raffaello, Reni, Vasa-ri125.Ritorniamo ora a trattare della collezione della famigliaCanossa, l’antica proprietaria della Madonna della Perla:negli anni settanta la Tisato Premi126 ha pubblicato un’in-ventario del 1687 relativo a Luigi, da integrare con quan-to relazionano nel 1718 le Vite di Bartolomeo Dal Pozzo127,nonché con gli inventari del 1755128 e del 1781129.Da tener presente è anche l’elenco dei quadri di OrazioCanossa del ramo mantovano della famiglia, nel 1673 ere-ditati dai parenti veronesi e importante tramite per la pre-

senza a Verona di opere di artisti quali Andreasi, Casti-glione, Fetti e Motta130.L’inventario del 1687 configura un gusto collezionistico inparte diverso da quello fin qui incontrato: se nelle colle-zioni Muselli, Curtoni e Moscardo risalta, con le dovuteeccezioni, soprattutto la pittura cinquecentesca, in casaCanossa, a questa data, domina l’arte del secolo xvii, conuna spiccata preferenza per la pittura di genere e per i ri-tratti.Si tratta del resto non di una “galleria”, cioè di un vero eproprio museo da esibire a riprova del proprio status cul-turale oltre che sociale, ma di una raccolta privata di di-pinti, sparsi anche solo con funzioni decorative e d’arredonei vari ambienti del palazzo, e che costituiscono solo unaparte, naturalmente la più importante, di quanto si con-servava nelle varie residenze di famiglia, ad esempio nellavilla del Grezzano, pure documentata nell’inventario del1755.Tra le presenze si segnalano i lombardi e i piemontesi: in-nanzi tutto un certo Mazzo da Milano, penso Lomazzo,Moroni, suor Orsola Maddalena Caccia, identificabile conla monaca di Casale o di Moncalvo cui era riferita unaSant’Elena131, Cairo, presente con ben tre dipinti di sog-getto mitologico, infine Panfilo. Significativa è anche lapresenza del bresciano Pietro Bellotti (merita ricordareche Luigi Canossa si era sposato nel 1658 con la brescianaBeatrice Martinengo) cui l’inventario attribuisce un Socra-te filosofo: studi recenti hanno confermato con nuova do-cumentazione il rapporto tra questo pittore e la famiglia

la fortuna della pittura italiana, non veneta

13. Anonimo, Ritratto di Rubens, secolo XVIII, Brescia, collezioneprivata (già collezione Gazzola)

veronese132, e forse, un giorno, si potrà ampliare il quadrodei suoi committenti scaligeri, alla luce anche di un inven-tario del 1874 (ma derivato da uno del 1768) della colle-zione Gazzola conservato a Castelvecchio, dove è chiara-mente descritto, come poi vedremo, l’Autoritratto della Pi-nacoteca di Brera.In casa Canossa, in buona parte grazie all’eredità prove-niente dal ramo mantovano, troviamo poi i pittori legatialla corte di Mantova: otto dipinti con animali sono riferi-ti ai Castiglione, al giovane e al vecchio; al Fetti e alla suascuola quattro opere, tra cui «un [sic] Anonciata» (fig. 6)identificabile con quella di collezione privata londinese sulretro della quale Safarik ha segnalato esistere ancora lostemma Canossa, su un bollo di ceralacca133; dodici dipin-ti ad uno specialista di nature morte con fiori, Michelan-gelo da Mantova.L’ambiente romano è ricordato nelle attribuzioni a Mar-zello (credo Marcello Venusti), Caravaggio, Ghisolfi,Poussin, Raffaello, quello napoletano a Ribera, ci sono poigli onnipresenti emiliani: Bononi, Carracci, Correggio,Dossi, Garofolo, Guercino, Mastelletta, Parmigianino,Schedoni (presente con ben venti opere di soggetto sacroe profano, quasi tutte indicate come di piccolo formato),infine Reni.Tra i dipinti attribuiti a quest’ultimo incuriosisce un «Ga-nimede rapito da Giove», acquisito pochi anni prima dalramo mantovano nel cui inventario del 1673 è registratocome opera di scuola di Reni134, e che Bartolomeo DalPozzo ricorderà nel 1718 come «un Ganimede a cavallod’un [sic] aquila, tenuto da alcuni di Guido, e da altri ve-nire da Raffaello, o dal Correggio»135. È singolare che un’a-naloga vicenda attributiva spetti al San Giovanni Evangeli-sta con l’aquila della Gemäldegalerie di Berlino, prove-niente dalla collezione romana di Vincenzo Giustiniani,dove era inventariato nel 1638 come «copia de Raffaeled’Urbino di mano di Guido Reni»136 (fig. 7). Non conoscodal vivo il dipinto di Berlino, la cui composizione è evi-dentemente ispirata alla Visione di Ezechiele di casa Erco-lani (come pure agli Evangelisti incisi da Agostino Vene-ziano su disegno di Giulio), e pertanto non so dire se sitratti di un originale cinquecentesco o di una copia del Sei-cento, vero è che esso replica una composizione attribuitaad Innocenzo da Imola nota per l’esemplare di Versail-les137, nonché per una tela comparsa qualche anno fa da Fi-narte138 (fig. 8).L’ipotesi di un collegamento tra il dipinto Canossa (chepotrebbe essere proprio quello Finarte) e quello Giusti-niani mi offre il destro per due piccolissime osservazioni,entrambe meritorie di approfondimenti: la prima riguardala validità relativa della documentazione di cui disponia-mo, e la possibilità che non solo venissero confusi gli au-tori, ma anche i soggetti (e in questo caso la confusione trasan Giovanni e Ganimede, entrambi con l’aquila, resta fa-cilmente spiegabile; senza contare l’eventualità che, a queltempo, qualche piccola ridipintura, ad esempio qualchedettaglio rifatto, contribuisse a trasformare un soggettosacro in uno profano); la seconda è che, tra le righe, ritro-viamo traccia di quel rimando alle grandi collezioni deltempo, in questo caso della nobiltà romana, cui si accen-

enrico maria guzzo

nava in apertura, e che tanta importanza ha nelle vicendedel collezionismo veronese, costituendo una delle preoc-cupazioni principali da parte dei collezionisti locali.La pagina che Bartolomeo Dal Pozzo dedica nel 1718 allacollezione Canossa conferma alcune di queste presenze (viritroviamo Carracci, Castiglione, Fetti, Schedoni, nonchéReni), così pure l’inventario del 1755, dove sono comun-que registrate due novità: una «testa di S. Gerolamo delPrete Genovese», cioè di Strozzi, e un «quadro di M. V. etaltri Santi» di Domenichino. In parte diverso è invecequanto ricaviamo dall’inventario del 1781 pubblicato daAntonio Avena, che ci informa di opere (soprattutto ri-tratti) attribuite anche a Mariotto Albertinelli, Bagnaca-vallo, Cambiaso, Giovanni Carloni, Crespi, de Mattei, DelSarto, Di Credi, Furini, Ercole Gennari, Giordano, Leo-nardo, e poi ancora Marchetti, Mola, Piaggi, Piola, Poli-doro, Primaticco, Procaccini, Romanino, Giulio Romano,Sassoferrato e Zuccari.

collezioni seicentesche minori

Continuando il nostro excursus, sembra importante dedi-care un cenno anche alle collezioni minori, borghesi, nellequali è interessante constatare un interesse per l’arte “fo-resta” analogo a quello dimostrato dal collezionismo deinobili. Nel primo caso, studiato nel 1912 da Vittorio Ca-vazzocca Mazzanti, la cosa è motivata dalle vicende perso-

14. Pietro Antonio Rotari, Autoritratto, quinto decennio delsecolo XVIII, Brescia, collezione privata (già collezione Gazzola)

nali del collezionista, monsignor Giorgio Mazzanti (1565-1638), proprietario di una piccola raccolta di diciassettedipinti inventariati nel 1637139. Dal 1596 canonico regola-re di S. Giorgio in Alga presso la chiesa veronese di S.Giorgio in Braida, a partire dal 1610 Mazzanti risulta inTrentino al servizio del principe vescovo Carlo Madruzzo,che lo insignì tra le altre cose del titolo di protonotaio apo-stolico: la sua collezione comprendeva così non solo operedi Felice Brusasorci, di Tintoretto, di Alessandro Magan-za e di Rovedata, ma anche, di certo acquisiti nel corso delsoggiorno trentino, una copia da Dürer del trentino Anto-nio Zeni e un dipinto di un pittore bresciano attivo anchea Riva del Garda, Antonio Gandino, una «Musica con 5 fi-gure» identificabile con un dipinto dello stesso soggetto,firmato, che nei primi anni dell’Ottocento era documenta-to ancora a Verona, in casa Bevilacqua, e che è recente-mente ricomparso a Londra ad un’asta di Christie’s del1998140.È poi da ricordare la collezione del medico e letteratoFrancesco Pona (1595-1655), oggi noto soprattutto per Ilgran contagio, l’opera in cui è descritta la peste che scon-volse Verona nel 1630141, ma che è menzionato pure tra iconoscitori d’arte, per essere stato nel 1620 autore del Si-leno che abbiamo considerato a proposito della collezioneGiusti. Nel testamento del 1632, come pure in quelli suc-cessivi del 1637 e del 1654142, è lo stesso Pona a ricordareuna propria collezione di dipinti e di disegni valutata al-l’incirca 1.500 ducati, nonché quella di «argenti, sculture,rologgi, pietre lavorate et altre cose naturali» valutata in-vece 1.000 ducati, raccolte che dovette ereditare in partedal padre Giovanni, «Semplicista e Antiquario famoso, sti-mato da Cardinali e altri gran Principi»143. Le fonti vero-nesi ignorano l’esistenza di tale collezione, essa tuttaviaviene inaspettatamente ricordata, con quelle ben più fa-mose dei Curtoni e dei Muselli, in due passi del Microco-smo della Pittura di Francesco Scannelli del 1657, riguar-danti le opere di Tiziano e di Veronese conservate nellequadrerie private venete144. Se la conoscenza delle colle-zioni Curtoni e Muselli veniva dai rapporti tra Scannelli eil duca di Modena Francesco i, cui le due importanti rac-colte vennero proposte, nel caso di Pona si può pensare adun rapporto personale tra i due, motivato innanzi tuttodalla comune professione di medico fisico145.Non è noto un inventario della collezione di Pona, tutta-via è interessante il suo testamento del 20 agosto 1654,dove è fatto esplicito riferimento a «un quadro grandecopia da Guido Reni con la Maddalena et Angelo al Se-polcro», forse lo stesso che anni dopo comparirà, come «letre Marie al Sepolcro con l’Angelo di mano di Guido Renoquando sortì dalla Scola del Calvart», nella collezione Bon-duri. Dovrebbe spettare a Carlo Pona146, subito dopo lamorte del padre avvenuta nel 1655, la dispersione dellacollezione: non a caso, è sicuramente Carlo147 il «CavalierPoma» di Verona che, nel 1658, propone un libro di cin-quanta o sessanta disegni (in realtà «tutte cosacce») aPaolo del Sera, come quest’ultimo riferisce in una letteraal cardinale Leopoldo de’ Medici148.Trattandosi dell’unica collezione antica ancora esistente aVerona, se pur ridotta a metà, un paio di piccole osserva-

zioni spettano anche alla raccolta di circa sessanta dipintidel canonico Stefano Trentossi, studiata nel 1914 da Atti-lio Mazzi149. Essa venne lasciata nel 1673 al Capitolo dellaCattedrale, perché fosse esposta sulle pareti della sacrestiacanonicale in Cattedrale, è nota per gli inventari abba-stanza dettagliati allegati al testamento e al codicillo deldonatore, e oggi costituisce il nucleo più antico delle col-lezioni del Museo Canonicale.La ricordo non perché gli inventari seicenteschi indichinopresenze “foreste” particolarmente interessanti, quantoperché il riscontro concreto con quanto oggi rimane sug-gerisce il valore che dobbiamo concedere alle attribuzionidel tempo, soprattutto quando gli inventari non sono fir-mati dai pittori, all’epoca tra i pochi esperti, o non risulta-no supportati da loro perizie. In merito fa testo una SacraFamiglia attribuita negli inventari niente meno che a Raf-faello, ma che è un’opera riconoscibilissima del veroneseMichelangelo Aliprandi, anche se effettivamente derivatada prototipi di Raffaello e di Giulio150.Se i dipinti dei pittori contemporanei a Trentossi sonoquasi sempre citati correttamente (dai veronesi Giarola eAmigazzi, ai vicentini Cittadella e Carpioni), troviamo poialcuni quadri interessanti ai fini del nostro discorso la cuivera connotazione culturale non veniva riconosciuta a queltempo, e che anzi passavano per opere di produzione lo-cale. Mi limito a ricordare «un quadro della B.V. che lattail figlio N.S. con baldacchino e due angeli che lo sostenta-no» allora attribuito al veronese Francesco Caroto, mentresi tratta di un’opera chiaramente riferibile alla bottega delravennate Luca Longhi, al pari di una Santa Caterina, puredi provenienza Trentossi e senza un’attribuzione antica, vi-cina invece ai modi di sua figlia Barbara; oppure un «Gesùfanciullo portante la Croce in spalla, ed in mano li Simbo-li di sua passione» che gli inventari Trentossi davano al ve-ronese Claudio Ridolfi, mentre sembra opera riferibile allamonaca-pittrice Orsola Maddalena Caccia da Moncalvo,per altro segnalata a Verona, come abbiamo visto, ancheper un dipinto presente negli inventari della famiglia Ca-nossa.Un’ultima nota sulla collezione Trentossi è per ricordare lafortuna veronese di Guido Reni e dei suoi David, e riguar-da una copia parziale, pure nel museo veronese, del Davi-de con la testa di Golia (fig. 9) noto per il frammento diVienna e per alcune copie antiche, come quella di Saraso-ta151: essa spetta ad Antonio Giarola, un veronese forma-tosi a Roma presso Saraceni e poi convertitosi, a contattocon Reni e Albani, alla cultura emiliana152.Ritornando agli inventari delle collezioni dei borghesi,quella di Angelo Barbieri, un medico di origini vicentineimparentato con Francesco Pona, e forse in parte erede diqualche pezzo della collezione di quest’ultimo, è nota pergli inventari del 1695 e del 1729 pubblicati nel 1913 daAntonio Avena153.Nel documento del 1695, più interessante e ricco, trovia-mo confermata la moda della pittura di genere nei pae-saggi del Baldini Mantovano, in un caso in collaborazioneper le figure con Carpioni; e poi una «S. Agata con un ma-nigoldo che li taglia le mammelle, maniera romana chesarà del Caravaggio», nonché derivazioni dai Carracci, un

la fortuna della pittura italiana, non veneta

presunto Correggio, quattro opere di Fetti (due dellequali con un soggetto ricorrente nel suo catalogo, un«Adamo che arra con Eva, Cain et Abele», e un «Giacobche dorme con la Scala con li Angeli»), due opere di Ga-rofolo, quattro di Guercino, l’onnipresente Parmigianino(con una «Madonna con il Puttino e S. Giovanni»), opereriferite a Reni e al napoletano Ribera, infine la già citata«S. Dorotea copia di Raffael», che potrebbe essere iden-tificata con la copia antica del dipinto di Sebastiano delPiombo a Berlino ancora conservata a Verona, nei depo-siti di Castelvecchio.

le collezioni settecentesche

Il panorama collezionistico descritto da Bartolomeo DalPozzo e da Scipione Maffei nei primi decenni del Settecen-to154 registra una situazione molto variegata, anche se informa sommaria essendo l’attenzione limitata alle opere piùimportanti delle singole raccolte, peraltro anch’esse di for-mazione sostanzialmente seicentesca155. Stranamente invececonosciamo molto meno il Settecento avanzato, nonostantela vivacità artistica di quegli anni, che sono poi quelli delmaturo Balestra, di Rotari e di Cignaroli, e di una grande efortunata stagione della pittura veronese: ma, a questo pro-posito, la scarsità di informazioni da parte delle fonti vaforse legata alla nuova tendenza a vedere i quadri da caval-letto per lo più come oggetti decorativi destinati a sale mi-nori e a petites chambres (mentre in quelle di rappresentan-za prende il sopravvento il quadraturismo illusionistico), eal fatto che le “gallerie” e i musei di opere d’arte antica nonsono più di moda. Torneranno ad esserlo dopo la bufera na-poleonica, quando, ormai in clima di aperta polemica con-tro il barocco e il barocchetto, un nuovo ceto di arricchitipotrà approfittare dell’enorme quantità di opere del Cin-quecento e del primo Seicento disponibili sul mercato gra-zie alle soppressioni ecclesiastiche156.Tralasciando le collezioni apparentemente meno impor-tanti, sopra si è anticipato quanto Dal Pozzo ricorda nellecase Canossa, Giusti e Gherardini. La quarta grossa colle-zione da lui considerata è quella di un mercante di originibergamasche, Francesco Bonduri157, su cui è annunciatouno studio da parte di Mario Carrara, che pubblicherà uninventario del 1715, ricco di circa quattrocento pezzi.Gli artisti “foresti” ricordati nell’inventario158 sono: Bononi,il battaglista Borgognone, i due Castiglione (ricordati ancheda Dal Pozzo), Cignani, Cittadini, Correggio, Luca Ferrari,Giordano, Giulio Romano, il Mecarino, cioè il Rosso Fio-rentino, Parmigianino, Ricchi, Rosa, Strozzi, Tempesta, infi-ne Raffaello (tra l’altro con «una Madona col Bambino» chesarebbe stata firmata, e con una «Annunziata picola [inven-tion di Michel Angelo Benerotto e dipinta nella Scola] diRafaele d’Urbino», forse anch’essa collegabile al dipinto diMarcellise), nonché Guido Reni (con l’ennesimo Davide, ri-cordato anche nelle Vite di Dal Pozzo, e «le tre Marie al Se-polcro con l’Angelo di mano di Guido Reno quando sortìdalla Scola del Calvart» che potrebbe essere il quadro anniprima posseduto da Francesco Pona, «copia da Guido Renicon la Maddalena et Angelo al Sepolcro»).

enrico maria guzzoUna particolare menzione spetta comunque a due pittori.Il primo, che come anticipato conobbe una grande fortu-na presso i collezionisti veronesi, è il bolognese GiuseppeDal Sole, presente con «una Madona con nostro Sig.rebambino San Giovanino e S. Gioseppe e Teste de Serafiniin Ovato picolo […] à chiaro Scuro» e «un Ovato chiaroScuro Transito di S. Gioseppe». Il secondo è Fetti (ma ri-cordo anche un suo scolaro mantovano, il Motta, citatoper una «testa d’un Filosopho»), con due opere entrambelegate a dipinti noti: «un Redentor sedente Sopra nube conTeste di Serafini», sicuramente una replica del SalvatorMundi di collezione privata americana proveniente dallacollezione Coccapani di Modena159, e che è probabilmen-te identificabile con la redazione dell’Accademia Tadini diLovere, acquistata nei primi anni dell’Ottocento a Verona,presso «l’indorador sul Corso», come opera di Ottino econ una asserita provenienza da casa Bevilacqua160; e un«Martirio de S.S. Fermo, e Rustico con molte figure in pi-colo et due Angeli» segnalato anche da Dal Pozzo e iden-tificabile con il dipinto di Hartford, o con la copia di Mi-lano, per l’evidente richiamo in questi ultimi a Verona,nella raffigurazione in alto a sinistra, sul colle che sovrastala città, della fortezza di San Pietro161.Sempre a Dal Pozzo, cavaliere di Malta e balio di Napoli,dobbiamo una succinta descrizione (limitata a poco più dicentoquindici opere) della propria collezione162, forse piùeclettica di quelle appena citate (vi comparivano anche pit-tori “antichi”, come Pisanello e Bartolomeo Vivarini), co-munque interessantissima soprattutto per la presenza diopere di Albani, Francesco Bassi detto il Cremonese, Bo-noni, Brizio, Burrini, Cagnacci, Ludovico Carracci, Casti-glione, Cavedoni, ancora Dal Sole, Ercole da San Giovan-ni, Gessi, il fiorentino Alessandro Gherardini, Mola, Mo-retto, Giulio Romano, Torri e Preti, quest’ultimo frequen-tato a lungo nell’isola di Malta, e di cui il veronese posse-deva un «S. Paolo primo Eremita al naturale» identificatocon quello che, dalla chiesa di S. Fermo, è passato a Ca-stelvecchio163. Oltre a loro ricordo anche Guido Reni, alquale lo scrittore attribuiva un’opera che invece, essendooggi riconoscibile, ci insegna con quanta prudenza, in de-finitiva, dobbiamo trattare i dati presenti in queste fonti: sitratta del «Ritratto d’un Monaco Benedettino di GuidoReni» che oggi è conservato a Castelvecchio, descritto an-cora come opera del pittore bolognese nell’inventario astampa della collezione Bernasconi, da cui proviene, del1851 («un giovine monaco dell’Ordine di s. Benedetto conun libro in mano, di sembianze piacevoli, e dipinto collamaggiore diligenza e verità. È citato dal Pozzo [Vite ecc.pag. 307]»), ma che vent’anni dopo giunse in quel museo(inv. n. 142) con una più accettabile attribuzione, registra-ta nel manoscritto di Carlo Ferrari, al veronese FrancescoCaroto164.Nel panorama collezionistico dell’epoca, fatto di raccoltenate per stratificazioni, di generazione in generazione, o inseguito ad acquisti dettati dal caso, sembrano invece diffe-renziarsi le altre due grosse raccolte registrate da Bartolo-meo Dal Pozzo, la collezione Turco e quella Giusti del ramodei Santi Apostoli, i cui nuclei principali, più significativi,sembrano nascere secondo precise logiche, già intuite da

Scipione Maffei che accomunava le due quadrerie in quan-to «piene di fatiche de’ più stimati tra i recenti valentuomi-ni», e secondo preordinate campagne di commissioni.La quadreria del conte Leonardo Turco e di suo figlio Pioviene citata già verso il 1690 dal bresciano Francesco Pa-glia, in alcuni suoi appunti su Verona, per i suoi «Musei diopere pellegrine, dove si vedono stanze diverse coperte dèQuadri di Pittura di tutti li primi pennelli dell’Italia»165; èpoi oggetto di parziali descrizioni nelle Vite di BartolomeoDal Pozzo e, qualche anno dopo, appunto nella Verona il-lustrata di Maffei166; oggi è ben documentata grazie al det-tagliato inventario che ho pubblicato qualche anno fa, fir-mato dal pittore Saverio Dalla Rosa e steso nel 1808, quan-do la raccolta appariva ancora sostanzialmente integra, inoccasione delle divisioni tra i due eredi, i Bevilacqua delramo di Santa Anastasia e i Carlotti167.Anche qui troviamo ben rappresentati i due filoni princi-pali del collezionismo barocco: la pittura di figura, soprat-tutto storica e mitologica, e quella di “genere”, particolar-mente apprezzata per quanto riguarda le battaglie, i pae-saggi e le nature morte, con attribuzioni riguardanti anchealcuni dei maggiori specialisti attivi in area padana, come,per restare ai “foresti” che qui interessano, il pittore difiori di origini parmigiane anche se naturalizzato veroneseFelice Bigi, citato anche per opere in collaborazione con idue Carpioni (per gli inserti di figura) e con il non identi-ficato Agostin Piere milanese (per la frutta), e il battaglistaFrancesco Monti detto il Brescianino.Per quanto riguarda invece la pittura di figura, qui non

troviamo, come avviene nella casa di Ercole Giusti, la pre-dominanza di alcune fonti narrative (i soggetti sembranorestare generici e senza che ci sia un legame tra i dipinti, aparte, forse, quello esteriore costituito dalle cornici, che sidiversificavano stanza per stanza)168, tuttavia appare chia-ro quale fu lo scopo del committente, stupire con unmuseo «di tutti li primi pennelli dell’Italia», che coinvolsein una gara di bravura i più svariati artisti, a questo scopocontattati, mettendo a confronto le diverse scuole e le di-verse tendenze. A rendere interessante, e per Verona anomala, questa col-lezione sono, a dire il vero, soprattutto le cospicue pre-senze di artisti tardo-seicenteschi veneziani, veneti dell’en-troterra o “foresti” anagraficamente diventati veneti, eanche in questo la si può paragonare alla raccolta dei Giu-sti dei Santi Apostoli, ricca di opere, pure elencate da Bar-tolomeo Dal Pozzo, di Molinari, Fumiani, Bellucci, Sega-la, Trevisani, Lazzarini e Loth. E in effetti in casa Turcospiccavano le opere di Liberi, Lazzarini, Bellucci, Negri,Zanchi, Langetti, Fumiani, Pagani, Trevisani, oltre che diCittadella, Matteo dei Pittocchi, Loth, Beverense, Lefebre,Mazzoni e Cassana.Anche qui tuttavia non mancavano le presenze “foreste”,e tutte di un certo rilievo nel panorama della pittura ba-rocca italiana: l’anconetano Antonio Francesco Peruzzini(«Fucina di Vulcano» e «Catone che si ferisce»), il tedescoDaniel Saiter («Iride con il Sogno con due donne che losvegliano»), il bolognese Carlo Cignani (una Carità arriva-ta a Castelvecchio con la collezione ottocentesca di Cesa-

la fortuna della pittura italiana, non veneta

15. Giuseppe Bottani, Autoritratto, 1763, Brescia, collezioneprivata (già collezione Gazzola) (vedi tav. XIII)

16. Gaetano Piattoli, Autoritratto, settimo decennio del secoloXVIII, Brescia, collezione privata (già collezione Gazzola)

re Bernasconi), infine Guercino, cui l’inventario del 1808riferisce un «Abramo visitato dagli Angeli mez. fig.» che ètuttavia opera inconfondibile, anch’essa passata da casaBernasconi ai depositi di Castelvecchio, di un tardo allie-vo del maestro centese, quel pittore-scrittore brescianosopra ricordato, Francesco Paglia, che la menziona comeopera propria, pur senza indicarne il soggetto, negli ap-punti su Verona (fig. 10).Conclude il panorama offerto alla nostra attenzione da DalPozzo la collezione di Ercole Giusti dei Santi Apostoli, re-centemente studiata, con qualche proposta di identifica-zione dei pezzi, da George Knox e da Sergio Marinelli169 ecaratteristica, ancor più che quella Turco, per essere statain gran parte frutto di una preordinata campagna di com-missioni, in questo caso addirittura “a tema” per la preva-lenza dei soggetti tratti dalle storie romane di Plutarco,Tito Livio, Svetonio e Tacito, o derivati dalle Metamorfosidi Ovidio e dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.La stessa distribuzione all’interno del palazzo, come sem-bra di intuire dalla descrizione di Dal Pozzo, doveva enfa-tizzare questa peculiarità: nel salone principale si affronta-vano diciassette storie degli antichi romani, con un effettodavvero imponente se si pensa che il Ratto delle Sabine diDorigny misurava da solo sessanta piedi di larghezza; nella«camera delle boscareccie» dominavano le storie della Ge-rusalemme liberata (riprese anche in un altro ambiente, de-corato con una serie di tele a chiaroscuro di Dal Sole); inalcune delle «stanze dell’opposto appartamento» spicca-vano le grandi tele di formato ovale, «in figure parimential naturale».Pure ricca di presenze veneziane, tale collezione conserva-va però anche paesaggi del Baldini Mantovano, di SalvatorRosa e di Antonio Tempesta, nonché dipinti del Castiglio-ne, del napoletano Paolo De Mattei, dei bolognesi Giaco-mo Bolognini, Annibale Carracci, Lorenzo Pasinelli, e, so-prattutto, di Giuseppe Crespi e di Giuseppe Dal Sole,quest’ultimo noto anche per aver risieduto presso questicommittenti veronesi, a partire dal 1697: Crespi con dueopere, tra cui era uno «P. Scipione, che restituisce a Lucil-lo la Sposa cattivata nell’espugnatione di Cartagine inIspagna ordinando che gli ori, e le gemme offertegli per losuo riscato restino in accrescimento della dote della Fan-ciulla. Historia tratta da Tito Livio», identificato con laContinenza di Scipione ora a Norfolk170; Dal Sole con benquaranta dipinti, tra cui possiamo ricordare almeno il«Sesto Tarquinio, che sforza la pudicitia di Lucretia» e«Venere, che sollecita Arianna a prender Bacco per isposocon Amorini, uno de’ quali pone in capo ad Arianna la co-rona di stelle», oggi noti per i disegni preparatori e per lacopia a Copenaghen del primo171.Ci sarebbero a questo punto altre collezioni da menziona-re, successive all’epoca in cui Dal Pozzo scrisse le sue Vite,ad esempio quella Cavalli, documentata nel 1740172, e incui era una «Carità copia del Cignani», evidentemente de-rivata da quella della collezione Turco, o quella Lorgna173

che nel 1781, quando passò in mano alla famiglia Emilei,vantava opere di Albani, Barocci, Cantarini, Annibale Car-racci, Dolci, Francia, Giordano, Giotto, Guercino, Poli-doro da Caravaggio, Reni, Giulio Romano e Tempesta.

enrico maria guzzoCon quest’ultime era anche un dipinto la cui, più che pro-babile, identificazione con una celebre opera del veroneseFrancesco Caroto a Castelvecchio (inv. n. 130) ci mette an-cora una volta sull’avviso di come valutare i dati di questiinventari, un «quadretto d’un giovane ridente con bam-boccio in mano della scuola precisa del Correggio».

quadri ritrovati da una collezione del secolo xviii

L’ultima grande collezione che possiamo ricordare è quel-la Mosconi, poi Gazzola. Nel 1718 Bartolomeo DalPozzo174 accenna ad una «serie di Ritratti al numero di 262in ovato tutti d’una misura de’ Pitori del miglior grido Ita-liani, ed Oltramontani, fatti di loro mano così del corren-te, come del passato secolo» e conservati, con una qua-dreria di pittura “moderna”, in casa di Raffaello Mosconi;anche Giovanni Battista Lanceni175 ricorda, nel 1720, unaserie di «Ritratti de’ Pittori antichi, e moderni» conserva-ta in casa Mosconi.Nel 1730 però la raccolta passa per eredità alla famigliaGazzola (la sorella di Raffaello Mosconi, Lucrezia, avevasposato Giovanni Donato Gazzola), ed è nota grazie ai dueelenchi compilati, nei primi anni dell’Ottocento, dal pitto-re Saverio Dalla Rosa, il primo riguardante 203 ritratti dipittori «dipinti la maggior parte da se stessi di grandezzaal naturale ed in ovati eguali uniformi», il secondo 50 pic-coli ritratti su tavola attribuiti al pittore Bernardino India.Esiste inoltre un terzo elenco, sempre di Dalla Rosa, con i«Nomi de Pittori Veronesi dei quali si conservano Quadrinella Galleria della Famiglia Gazzola in Verona», che ri-guarda il resto della collezione176: quest’ultimo è limitatoad una descrizione dei soli esemplari di pittura veronese,ma interessa ugualmente perché, ad un certo punto, DallaRosa non manca di menzionare anche «pur molti [quadri]di altri celebri Autori, tra i quali il pregiatissimo di LucaGiordano in figure grandi al naturale che rappresenta S.Pietro sull’acqua sostenuto dal Salvatore», nonché unacopia della Notte di Correggio attribuita al bolognese Giu-seppe Dal Sole177.È da ricordare che Saverio Dalla Rosa menziona la colle-zione Gazzola anche nel suo Catastico, come «altra copio-sa raccolta di ritratti originali di Pittori»178, mentre le altrefonti ottocentesche aggiungono poco o tacciono, forse per-ché maggiormente attratte dalle, altrettanto celebri, colle-zioni naturalistiche conservate in questa famiglia179: fa ec-cezione Diego Zannandreis il quale, trattando del pittoreOdoardo Perini, ricorda un autoritratto di quest’ultimofatto per conto di Raffaello Mosconi, e parte della serie deiritratti «di pittori italiani, e oltremontani, fatti da sé stessi,che in numero di 262 […], raccolse Raffaello di quella fa-miglia, ed ora sono in casa Gazola»180.Si conosce inoltre un inventario della collezione in copiadattiloscritta, da un originale risalente al 1874 e basato,come lo stesso dichiara, su un precedente catalogo del1768, che si conserva nell’archivio del Museo di Castel-vecchio di Verona, dove è giunto con la piccola donazioneGazzola nel 1960181: nella sua introduzione viene citata,

senza un vero elenco, «una collezione di 271 ritratti di variartisti dei secoli xvi-xvii-xviii […] molto copiosa delle im-magini degli artisti veronesi, la qual cosa gli dà un interes-se locale singolarissimo»; e ancora, nel catalogo, al nume-ro 249, troviamo «N. 218 ritratti di pittori, teste dipinte sutela ridotta di forma ottagonale [sic] portanti il rispettivonome su di una carta posta fuori dal dipinto, opere di variomerito, molte però rimarchevoli perché presentano i ca-ratteri di opere compiute dalle persone medesime chesono rappresentate [misura dei quadri] 0,42½× 0,35½»;segue un elenco con i nomi di alcuni dei pittori ritratti.Sappiamo che nel 1894 il gruppo di ritratti era presso ilconte Giacomo Verità, che lo stava svendendo, ed era co-stituito, per quanto riguarda i ritratti dei pittori, da alme-no tre nuclei, i 262 [sic] autoritratti, allora diventati però,a quanto pare, rettangolari, una serie di minor numero diritrattini, sicuramente quelli che le fonti attribuivano aIndia, e «qualche altro ritratto in più grande formato, peresempio quello da sé dipinto dal pittore conte Pietro Ro-tari»182.Come si può notare, tali pur preziose informazioni con-tengono indicazioni spesso discordanti, sia per quanto ri-guarda il numero dei pezzi (resta chiaro che la raccoltavenne integrata da nuovi numeri, riguardanti pittori piùrecenti, anche dopo il 1730, quando passò di proprietà deiGazzola), sia per quanto riguarda il formato e le dimen-sioni delle tele: a quest’ultimo proposito, si tenga presenteche la forma ovale vista dalle fonti più antiche poteva di-pendere da una cornice rettangolare con una finestra in-terna ovale, più che dalla forma del telaio, e forse è perquesto che l’inventario ottocentesco parla di «tela ridottadi forma ottagonale». Anche per quanto riguarda le misu-re, le indicazioni dell’inventario del 1874 sono solo indica-tive (se non addirittura mal copiate nella trascrizione dat-tiloscritta nota), e potrebbero non riguardare l’intera rac-colta; in ogni caso i dipinti, o una parte di loro, possonoaver subito, per vari motivi, delle modifiche di dimensio-ne.In attesa di nuovi elementi, è possibile chiudere il presen-te intervento segnalando sei pezzi della collezione, casual-mente ritrovati di recente.Innanzi tutto l’inventario dattiloscritto conservato a Ca-stelvecchio descrive, al numero 237, un «ritratto ridentecon bicchiere in mano e catena d’oro appesa ad esso concartellino con la scritta Ex utroque laetitia Petrus Bellotti:qui hic se ipsum effigebat majus 1658» (55 × 48 cm). No-nostante le lievi differenze di misure e di iscrizione, essocorrisponde perfettamente all’Autoritratto di Pietro Bel-lotti che si conserva nella Pinacoteca di Brera con la scrit-ta «Ex utroque letitia / Petrus Bellotti Pic: / hic se ipsumeffi-/gebat. Maius / 1658»183 (54 × 48 cm; fig. 11): il dipin-to è stato acquisito dallo Stato a Milano nel 1910, pressoun tal Isacco Segrè, e sembra da collegare ai rapporti, ri-cordati sopra, del pittore bresciano con Verona, in parti-colare con la famiglia Canossa.Ricordo poi un Ritratto del napoletano Francesco Solimena(olio su tela, 50 × 40 cm; fig. 12) che nel 1997 era a Mila-no presso Sotheby’s184. Si tratta di un dipinto datato 1733(in quanto tale commissionato dai Gazzola ad integrazio-

ne della serie) ed eseguito dal veronese Pietro Antonio Ro-tari, come recita l’iscrizione, così come è stata riportata incatalogo, sul retro della tela, in cui si precisa l’appartenen-za del dipinto alla raccolta Gazzola: «Magistris Sui / Fran-cesci Solimene / Exemis Pittore Imaginem / Petrus Rota-rius / Pinxit El. Andrene / Com. Gazolae / Anno 1733[sic]». Il dipinto è una copia, in versione ridotta (ma latela, in più punti rovinata, potrebbe essere stata tagliata eridimensionata), dell’Autoritratto di Solimena conservatoagli Uffizi185, a sua volta replica di quello del Museo Na-zionale di San Martino a Napoli, databile 1729-1730186.Altri quattro ritratti, recentemente restaurati, sono per fi-nire in una collezione privata bresciana, e vennero acqui-stati a Verona, dal padre dell’attuale proprietario, circanegli anni sessanta187: colpisce constatare che anch’essisono in rapporto con opere conservate agli Uffizi, e non inquanto loro copie, come si evince dalla data sul dipinto diBottani.Il primo, che resta necessariamente nell’anonimato, è unRitratto di Rubens spettante verosimilmente alla primametà del Settecento (olio su tela, 63,5 × 51 cm; fig. 13)188:esso riproduce l’Autoritratto di Rubens noto nelle versionidi Monaco, Alte Pinakothek (del 1623), e di Camberra,Australian National Gallery189, nonché nella copia che, dal1682, si conserva a Firenze (85 × 61 cm)190.Il secondo Autoritratto è pure opera del veronese Rotari(olio su tela, 73 × 56 cm)191, e anch’esso replica un dipintoconservato, dal 1753, agli Uffizi di Firenze (73,7 × 59cm)192: per completezza lo si propone in questa sede, no-nostante il fatto che esso non sia un’opera di scuola “fore-sta” (fig. 14). L’Autoritratto fiorentino è solitamente data-to intorno al 1750, quando l’artista abbandonò l’Italia epartì per Vienna; in realtà sia questo, sia la bella tela cheho esaminato, potrebbero essere anticipati agli anni qua-ranta, considerata l’età ancora relativamente giovanile delpittore. Comunque, la versione bresciana venne commis-sionata dai Gazzola, dopo il 1730: l’elenco delle opere diRotari steso, alla sua morte, dal fratello don Antonio193 ri-corda, ai numeri 123 e 124, due dipinti non specificati ese-guiti per la famiglia Gazzola, e che ci piacerebbe identifi-care proprio con il nostro Autoritratto e con il Ritratto diSolimena, anche se è da notare che l’inventario dei quadridi scuola veronese presenti in casa Gazzola194 riporta il ri-cordo di numerose altre opere attribuite al pittore.Il terzo Autoritratto è quello del cremonese Giuseppe Bot-tani (olio su tela, 72 × 58 cm; fig. 15, tav. xiii) ed è firmatoe datato sulla sfera armillare, con grafia autografa, «iosephbottani pictor f. 1763»195: il dipinto replica, precedendolodi due anni, l’Autoritratto di Bottani che, verso il 1765, eranella collezione dell’abate Antonio Pazzi a Firenze e che,nel 1768, passò agli Uffizi, firmato, pure sulla sfera armil-lare, «joseph bottani pictor 1765» (75 × 61 cm)196.Il quarto Autoritratto infine è quello del raro pittore fio-rentino Gaetano Piattoli (olio su tela, 73 × 58 cm; fig. 16)197:il dipinto replica l’Autoritratto conservato, dal 1768, agliUffizi di Firenze, e pure proveniente dalla collezione del-l’abate Pazzi (72,5 × 58 cm)198. A conferma di un dubbioespresso sopra, si tratta di un dipinto rettangolare inscrittoentro un ovale, con i quattro pennacchi dipinti in neutro,

la fortuna della pittura italiana, non veneta

enrico maria guzzo

repertorio

collezione barbieri, 1695199:Baldini Mantovano, Un Paese del Baldino con le figure delCarpioni cioè Baccanali; Un Paese; Un Paesin del Baldino configure; Caravaggio, modi, S. Agata con un manigoldo che li ta-glia le mammelle, maniera romana che sarà del Caravaggio;Carracci, i, da, Una Madonnina che viene dalli Carazzi; Car-racci, i, scuola, Una Maria con il bambino, et Giosef della scoladelli Carazzi; Correggio, Una Madonna che adora il Puttino;Correggio, scuola, Una Maria che adora il Bambino della scoladel Coreggio; Fetti, Un Cedro grande con un puttin; Un Adamoche arra con Eva, Cain et Abele; Un Giacob che dorme con laScala con li Angeli; Sofonisba che beve le ceneri del marito; UnPuttin con un Cedro; Garofolo, Una Madonna con il Bambi-no, S. Giosef e S. Zuane; Una Madonna con il Puttino, S. Gio-vanni e S. Iseppo; Guercino, Un S. Giosef, et una Maria con ilBambino; Una Madonna col Puttino in brazzo a S. Iseppo; UnPuttin con un Alloro, un Specchio e un Libro; Un S. Iseppo colbastone fiorito200; Guercino, scuola, Un S. Gioseffo con il Ba-ston fiorito della scola del Sguerzin; Moretto, scuola, Un S.Iseppo in piedi con un baston della scola del Moretto di Brescia;Parmigianino, Una Madonna con il Puttino e S. Giovanni;Parmigianino, scuola, Un Christo alla Collonna in piccolodella scola del Parmesanin; Raffaello, da, S. Dorotea copia diRaffael; Reni, Una Maddalena tonda sopra il rame di Guido inMacchia; Reni, da, Un Amorino che vien da Guido; Reni, scuo-la, Una Sosana con vecchi della Scuola di Guido; Ribera, UnaS. Agata con il Carnefice che gli taglia la mammella del Spa-gnoletto.

collezione betterle, 1718201:Moretto, Una Madonna con Giesù in seno.

collezione bevilacqua, 1593-1595202:Michelangelo, da, Il Giudicio di Michel Angelo stampato inpicciolo; Parmigianino, Un ritratto cornisato piccolo dell’Im-magine di S.ta Maria del Parmesano; Raffaello, da, L’Assensio-ne del Signore cavata da quella di Raffaello in Roma; Raffael-lo (e altri), Sei dissegni a mano di valenthuomini, cioè di Raf-faello, del Ligozza, del Carotto et d’altri; Raimondi (da Raf-faello), Quindeci carte grandi stampate, che vengono da Raf-faello, tagliate da Marc’Antonio, delle più famose, et benissimoconservate, cioè il San Lorenzo, gli Innocenti, la Galatea, laSanta Cecilia, il Monte Parnasso, il Giudicio, il Trionfo, et altri;Stradano, Un Libro grande coperto di corame rosso adorato,con la Passion del Nostro Signore del Straddano.

collezione bevilacqua, 1805203:Borgognone, Due Battaglie fig. piccole e numerose; GandinoAntonio, Una Tavola da gioco con mezze fig. al natural vestitealla Spagnola che giocano e suonano204; Giulio Romano, IlTrionfo della Fortuna nello sparger dall’una parte richezze, edall’altra miserie fig. simboliche piccole e numerose; PagliaFrancesco, S. Paolo con spada in mano mezz. fig.; Raffaello, da,Una Sacra Famiglia con S. Anna e S. Giovanni fig. intere.

collezione bonduri, 1715205:Bononi, Un d.to Sopra Porta che rappresenta la Giustizia; UnRedentor meza figura al naturale; Borgognone, Due Battalie;Borgognone, scuola, Una battaglia in figure picole sopra ilRame d’un Alievo di Borgognone; Castiglione Giovanni Fran-cesco, Tre Sopra Porte con Animali; Un Quadro Animali vola-tili vivi; Castiglione Giovanni Benedetto, Un Quadro Animaliparte vivi e parte Uccelli morti con rami e Vasi et un Moro; Un

come se il pittore avesse previsto che una cornice ne avreb-be coperto gli angoli: esso, come quello di Bottani, non èricordato negli elenchi noti, ma questo non dimostra unadiversa provenienza, bensì la frammentarietà dei dati cheoggi disponiamo sulla collezione Mosconi-Gazzola.

Il quadro delineato ribadisce dunque un avvio contrasse-gnato nel Quattrocento e nel primo Cinquecento verone-se da forti legami artistici e culturali intrecciati con Vene-zia e la Terraferma, a mano a mano sostituiti però da in-terrelazioni, sempre più incisive, con la Lombardia, l’areanordica, oltre che Bologna e Roma.Trova inoltre conferma, per la situazione figurativa vero-nese e in particolare per le realtà collezionistiche locali,l’affermarsi della consapevolezza di una continuità, che siesplica sin dall’affermazione antiquaria e umanistica di rie-vocazione dell’origine romana della città e delle sue anti-chità; accanto ad un ricercato rinnovamento. Questo puòdeclinarsi anche nella richiesta e nella fortuna di opere “fo-reste” nelle raccolte private, come pure nelle chiese ed al-tresì nella storiografia locale, aprendo ad una serie preco-ce ed articolata, ma soprattutto fertile, di derivazioni e ri-flessi culturali e figurativi, ad ulteriore testimonianza delruolo di Verona quale centro attivo e di raccordo, apertosempre a molteplici iniziative e nuovi confronti.

Museo Canonicale, Verona

Quadro di Animali cioè pecore, Dindioti et un Bue con un Gio-vine Pastore; Un Quadro grande Istorie dell’Esodo con figure diAnimali al naturale; Cignani, da Cagnacci, Una Madalena inestasi con un Angelo fatta dal Sig. Carlo Cignani, tolta da GuidoCagnazzi; Cignani, scuola, Una Madona con Bambino che tieneuna Croce; Cittadini, Una Cleopatra figura al naturale di manodel Vechio milanese; Una Cleopatra al naturale con PutinoAmore che piange del Vechio milanese; Correggio, Una testa digiovine con Pelizzo al Colo con la mano e l’habito non finito;Correggio, da, Un Christo morto in bracio alla madre; Dal Sole,Un Ovato chiaro Scuro Transito di S. Gioseppe; Una Madonacon nostro Sig.re bambino San Giovanino e S. Gioseppe e Testede Serafini in Ovato picolo di mano di Gio. Gioseppe dal Sole àchiaro Scuro; Ferrari Luca, Una Madalena che abbracia la Crocemeza figura; Fetti, Un Giacobe che dorme con la Scalla d’Ange-li assendenti e dessidenti dal Cielo; Un Redentor in tolla; UnRedentor sedente Sopra nube con Teste di Serafini206; Un Mar-tirio de S. S. Fermo, e Rustico con molte figure in picolo et dueAngeli207; Una S.ta M.a Madalena meza figura; Un Ritrattohuomo meza figura con Barba; Fetti, da Tiziano, Un Ritratod’Un Imperator Romano208; Giordano, Uno Sposalicio di S.Catta grande; Giulio Romano, modi, Un disegno chiaro e scurodi due figure homo e Dona, cioè Adamo et Eva; Una Madonacol Bambino in piedi; Guercino, scuola, Un’altra Sopra portacon un putino che rapresenta la Vita Umana; Motta, Una Testad’un Filosopho di mano del Motta mantovano Scolare del Fetis;Parmigianino, Una Dea Vestale in piedi209; Raffaello, Una Ma-dona col Bambino […] col nome di Rafaele d’Urbino; Una Copacon Brocha di Porcelana dipinta à focho dà Rafaele d’Urbino àchiaro Scuro; Raffaello, scuola, da Michelangelo, Un Annun-ziata picola [invention di Michel Angelo Benerotto e dipintanella Scola] di Rafaele d’Urbino210; Reni, Un dissegno di Chri-sto nel Orto con molti Putini che portano l’Istromenti della pas-sione à lapis rosso lumesato di Biacha211; Le tre Marie al Sepol-cro con l’Angelo di mano di Guido Reno quando sortì dallaScola del Calvart212; Un David figura intiera al naturale confionda in mano con la Testa di Golia; Ricchi, Una Madona conNostro Sig.re, e S. Gioseppe di mano del Luchese; Rosa Salva-tore (?), Due Quadri Animali vivi con due Pastori di Mano delRosa di Roma; Rosso Fiorentino, Un Sopra Camino grandeIstoria Romana di mano del Mecarino fiorentino; Strozzi, UnaMadona nostro Sig.re e S. Giovannino di mano del Prete Geno-vese; Tempesta, Tempesta di mare.

collezione bonduri, 1718213:Carracci Ludovico, attribuito, Una meza figura del Salvatorecol Mondo in mano al naturale; Castiglione Giovanni Bene-detto, Un Bifolco con beretta rossa in capo, che guida diversianimali, frà quali molti galli d’India; Il viaggio di Giacob conmolte figure d’huomini, e d’animali, et un Moro, che tiene permano un cane bianco; Gli Hebrei che portano l’Arca con moltefigure, et animali; Dossi, Un Davidde vestito di ferro; et un Sol-dato al naturale; Fetti, Il martirio de’ S.S. Fermo, e Rustico co-pioso di figure, con gloria d’Angeli; La visione di Giacob conAngeli sù la scala; Raffaello, attribuito, Un’Annonciata in pic-colo tenuta per di Raffaello d’Urbino; Reni, attribuito, Un Da-vidde al naturale, nudo, sedente con la testa del Gigante Goliain una mano, e la frombola nell’altra; Le trè Marie avvisate dal-l’Angelo della risurrettione di Christo, figure piccole; Un dise-gno a lapis rosso con Christo nell’horto, e molti Angeli in aria.

collezione canossa, secolo xvi214:Raffaello, Una Natività di Nostro Signore bellissima con unaaurora molto lodata, sì come è ancora Santa Anna (Madonnadella Perla)215.

collezione canossa, 1687216:Argnese, modi, Una Madona sopra il parangone con in bracioCristo morto maniera di Argnese; Una Carità sopra il Ramemaniera di B. Argnese; Bellotti, Un Socrate filosofo del Bellot-ti maniera fornita217; Bononi, Un Cristo con la moneta d’unHebreo con altre figure; Un Cristo con San Tomaso che li mettail detto nella piaga; Bronzino (?), Un deposto di Croce sul ramein picolo del Bonzono; Caccia Orsola Maddalena, Un dettoSant’Elena mano d’una monaca di Casalle; Cairo, Un Venere,Marte et Piacere di mano del Cavalier Cairo con un cagnoli-no218; Una Dianna con canni al naturale et altre sue ninfe; Unquadro grande del Cavalier Cairo di Millano con un Amore,donna cani et due soldati; Caravaggio, Una testa d’un frate diCarravacci; Carracci Ludovico, Un San Francesco in picolo diLodevico Cavraza; Carracci, i, Un sotto su figura sul grande alnaturale dei Carazzi; Un Cristo in Croce delli Carrazzi in pico-lo sull’asse; Carracci, scuola, Un deposto da Croce sull’assedella scola de Carazi; Un San Francesco della scolla de Carazi;Una Resuretion di Cristo con soldati in picolo della scolla deCarazzi; Castiglione Giovanni Battista, attribuito, Un quadrod’Animali dicessi di Giovanni Battista Castiglione; Castiglioneil giovane, Una Visitatione dei Pastori del Castilione Giovine;Un quadro del Castiglione Giovine con tre figure et due putinicon paese; Un detto del Castiglione Giovinne che è un Diogineet molti animali; Una Croce del med.mo Castiglioni Giovinnecon animali et vasi; Un quadro con Galine et oche; Castiglioneil vecchio, Un quadro d’Animali del Castiglione Vechio al na-turale con un paggio et molte figure lontane; Sopra la porta unquadro con molti animali del Castiglione Vechio; Correggio,maestro di, Un Labore con molte figure fu detto esser del mae-stro del Correggio; Un altro del medesimo Autore cioè le setteArti liberali; Un altro del sudetto cioè Argo Pastore con altrafigura; Un altro più picolo con un putino sovra un gobo conaltre figure una delle quali tiene una pianta limoni in mano; Unaltro del medesimo cioè una Battaglia con cavalli; Correggio,scuola, Una Madona con uno putino con due figure della scol-la del Correggio; Una testa sul Asse della scolla del Correggio;Una Vergine con il Bambino et altro ritratto della scolla delCorreggio; Un quadro con quatro putini che suonano di musi-che della scolla del Corregio; Una testa d’una puttina della scoladel Coreggio; Una Madona con il Putino San Gioseppe et unAngiolino sull’asse; Una Madona con il Bambino san Giusep-pe, et con altra figura de Santi con un vechio; Una Madona conun Cristo morto in Croce; Dossi, Un David colla testa del gi-gante Golia ed altre meze figure del Dossi di Ferrara; Un paesedel Dossi con molte figure picole; Un ovato; Fetti, Un Adamo,et Eva con due figlioli; Fetti, scuola, Una testa d’un filosoffo;Una Semiramide; Un Anonciata219; Garofolo, Una Vergine colBambino con tella incolata sull’asse; Una Vergine col Bambino,Sant’Anna e San Giuseppe in picolo; Ghisolfi, Una Archititu-ra; Un’altra compagna del medesimo con un porto di mare;Guercino, Un disegno a penna mezza figura; Lomazzo (?),Una testa di una donna del Mazzo da Milano; Mastelletta, UnaNatività sul rame; Un modeletto Beata Vergine con Angioli ab-bozzo; Michelangelo da Mantova, Un quadro di fiori; Settepezzi di quadri di fiori; Tre vasi di fiori; Un altro quadro dafiori; Moroni, Una testa d’un ritrato del Moron di Bergamo;Un ritrato di donna con la scufia in testa del Moron di Berga-mo; Un testa ritrato del Moron di Bergamo cioè una todescha;Una mezza figura Moise di Morun; Un Cristo del Moron di Ber-gamo; Panfilo, Un Armida et Renaldo in Braccio con li dueamici soldati che lo libera dalle lasivie del Panfino di Milano;Parmigianino, Una figurina disegno sulla carta à lapis rosso;Parmigianino, scuola, Una Madonna con un putino Santa Cat-tarina et altra figura della scolla del Parmegianino; Una Mado-

la fortuna della pittura italiana, non veneta

na in picolo; Un ritrato da Huomo con un libro da musicha inmano; Un detto Natività del Signore con Pastori della scolla delParma; Poussin, Un paese con l’Angielo Rafaello et Tobia diMonsù Possin; Raffaello, Un quadro tondino con il ritrato diRafaelle di sua mano et una testa di rilievo; Una Beata Vergi-ne di Rafaello con il Bambino; Raffaello, da, Una stampa inrame che viene da Rafaello che rapresenta Orfeo sul monted’Arnaso con le muse et altre figure; Raffaello, scuola, Una Ma-dona della scolla di Rafael con un puttino et San Giovanni220;Reni, Una mezza figura d’un putto con due Colombine; Un Cri-sto alla Collona lapis rosso su la carta; Un Ganimede rapito daGiove221; Reni, modi, Una testa disegno lapis rosso sulla carta;Reni, scuola, Una testa di San Giovanni della scolla di Guido;Un David figura al naturale con la testa del Gigante Golia; Ri-bera, scuola, Un Bacco con due Baccorini della scuola del Spa-gnoletto; Schedoni, Un Amore che dorme222; Un Giudicio diParide; Un putino soprano del foro; Un altro puttino; Un fan-ciulo del Schedon in figura di cervo; Una Natività del Schedonin picolo con pastori; Un Bambino; Una Giudet sul rame delmodenese; Un quadretto picolo Ercole et Anteo; Un quadro inpicolo del Schedon con tre figure; Una Madona Asunta con treputini; Una Madonina in su la tella et putino, et San Giosep-pe; Un Cristo nell’orto su la tela; Una Madona sul asse con Pu-tino San Gioseppe e San Giovannin picolo; Un putino mezza fi-gura del Schedon sù la tella; Un San Giovanni nel deserto sul-l’asse; Una Madona in picolo in asse con San Gioseppe, etmolte altre figure; Due retratini in asse uno di Federico Bidel-mo, l’altro d’una donna; Un Cainno et Abelle figura picola sulasse; Un detto Sacreficio d’Abram; Schedoni, modi, Un dettotesta anticha maniera del Schedon; Strozzi, Una testa di SanGiovanni del Prete Zenuese; Venusti Marcello (?), Un’altraMadona con il Bambino et San Gerolamo di Martello.

collezione canossa, 1718223:Carracci Agostino, Un sotto in sù con Donna sedente; Casti-glione Francesco, Una nascita del Salvatore con l’adorationede’ Pastori; Due quadri grandi d’Animali, in uno de’ quali v’èDiogine e nell’altro Circe; Fetti, Una meza figura d’un Profet-ta; Raffaello, o Correggio, da, copia di Reni, Un Ganimede acavallo d’un aquila, tenuto da alcuni di Guido, e da altri veni-re da Raffaello, o dal Correggio224; Schedoni, Diverse historiet-te di Santi.

collezione canossa, 1755225:Bellotti, Un Socrate filosofo; Bononi, Un Christo con S. Toma-so del Bonon, che li mette il dito nella piaga; Castiglione il gio-vane, Una visitation de pastori; Correggio, Una Madona conPutino; Domenichino, Un quadro di M. V. et altri Santi; Fetti,scuola, Una testa d’un filosofo; Garofolo, Una Madona conPutino in tella incollata sul asse; Parmigianino, scuola, UnaMadona con un Putino, S. Cattarina, et altra figura; Raffaello,scuola, Una Madona della Scuola di Raffael con un Putin e S.Giovanni; Una Madona con il Putino e S. Giovannino; Reni,scuola, Un Davide figura al naturale con la testa del giganteGollia; Strozzi, Una testa di S. Gerolamo del Prete Genovese.

collezione canossa, 1781226:Albertini Mariotto (?), Un Ritratto di Manoto Albertini; Ba-gnacavallo, Ritratto; Bellotti Giovanni Battista (ma Pietro),Filosofo; Dissegno con cristallo di Madonna; Bezzoni Giovan-ni Battista, Un Ritratto; Bison Francia (?), Una istoria delFrancia Bison; Un’Istoria del Francia del Bisso; Borghese Ven-tura, Ritratto; Cambiaso, La fuga in Egitto di Luca Cangiaccio;Un S. Francesco di Luca Cangiaccio; Canini Angelo, Ritratto;Carloni Giovanni, Ritratto; Carracci, scuola, Un Mosè; Una

enrico maria guzzo

Madonna col Bambino; Castiglione, Un Quadretto Animali;Castiglione Benedetto, Quadro con animali; Cattani Alessan-dro, Il fiume Nilo; Il fiume Tevere; Chiari Fabiano, Ritratto diFabian Chiari; Correggio, scuola, Madonna con due Santi;Crespi, Un Bertoldino di Giuseppe Grespi; De Mattei, UnaDiana; Del Sarto, Un Redentor; Di Credi Lorenzo, Ritratto diLorenzo Delcredi; Ritratto di Lorenzo Delcredi; Ritratto dellostesso; Domenici Francesco, Un Ritratto; Dossi Giovanni, Fi-losofo con libro in mano; Una Parca; Fetti, Un S. Francesco;Una testa; Un Ritratto d’una femina; Furini Filippo, Ritratto;Gennari Ercole, Ritratto; Giambologna (?), scuola, Madonnacon Bambino; scuola del Bologna; Giordano, Un S. GiovanniBattista; Giulio Romano, Femina; Un Guerrier; Un Guerriero;Una Venere con Marte; Marte e Venere; Giulio Romano, scuo-la, Un quadro Enea in asse; La lotta di Ercole ed Anteo; Unafavola; Graziani Giovanni, Ritratto; Guercino, Dissegno incarta con cristallo; Cristo alla colonna, in carta; Innocenzo daImola, Un Ritratto; Ritratto; Leonardo, Una Madonna conBambino e S. Gius.; Lippi Filippo, Ritratto; Magi Battista, Ri-tratto d’un Doge; Marchetti, Ritratto; Un Ritratto; MartiniEvangelista, Ritratto; Mazzoni Giulio, Un Ritratto; Mola Bat-tista, Ritratto; Moretto, Una testa di S. Gio. Battista; PaggiGiovanni, Ritratto; Pancia, S. Tomaso del Pancia; Parmigiani-no, scuola, Madonna con diversi Santi; Madonna con diversefigure; Ritratto; Passarini Giuseppe, Un Ritratto; Piola Fran-cesco, Prospettiva; Prospettiva; Polidoro da Caravaggio, Ri-tratto; Primaticcio, Una Trasfigurazione; Procaccini Antonio,Un Ritratto; Raffaello, Dissegno antico con cristallo; Raffaello,scuola, Un Bambino; Reni, scuola, Un David figura al natura-le con la testa del Gigante Golia; Romanino, Un Ritratto; Ri-tratto; Sangeminiano Vincenzo, Un Ritratto; Sassoferrato,Una Madonna; Schedoni, Ritratto; Setti Antonio, Ritratto; Ri-tratto; Soliano Antonio, Un Ritratto; Sperai Bernardino, Ri-tratto; Tarmieri, Ritratto; Tullio da Perugia, Un S. Francesco;Udine Sebastiano, Ritratto; Vasaro dal Marco, Ritratto diMarco dal Vasaro; Viti, Un Ritratto di Timoteo d’Urbino; Zuc-cari, scuola, Una adorazione dei Re Magi.

collezione carlotti, 1718227:Fetti, Un Adone con cani al naturale228.

collezione cavalli, 1740229:Cignani, da, La Carità copia del Cignani; Canecchi, Due detti[…] espressi in essi robba di viveri del Capecchi.

collezione chiodi, 1718230:Mazzoni Sebastiano, La cena di Baldassarre in vasta tela.

collezione curtoni, 1662 circa231:Albani, La Vergine col Bambino, e S. Gio.; Anguissola Sofoni-sba, Il Salvatore che predica; Arcimboldi, Le quattro Stagioniche formano una Festa; Bononi, Tobia il vecchio, et il giovinecon Angelo; Giacob dormiente col segno della scala; Caravag-gio, La Vergine col Bambino, e S. Giuseppe; La Natività con Pa-stori finta in notte; Carracci, Lucrezia Romana ferita; Tenta-zione di S.o Benedetto con altre figure; Venere ignuda; Villanoche scrive; Correggio, Il Presepio con un pastore mezzo nudo;La Vergine col Bambino, et una cestella a’ piedi232; La Vergine,S. Catterina, et altre figure; Il Salvatore morto in braccio allaVergine; Un ritratto con le mani nella maniccia; Un ritratto se-dente in carrozza; Del Sarto, Un ritratto di un Prelato; Fetti,David con l’arpa; Sant’Andrea; La parabola del trave, et lacruna; Filippo Napoletano, degli Angeli, Il lito del mare condiversi navigli; Francia, La Vergine col Bambino et altre figu-re; Franco Battista, Il Salvatore che va al monte Calvario; Giu-

lio Romano, Ulisse ignudo con donne; Guercino, Eliseo che re-suscita il figlio morto; Armida tramortita in braccio a Rinaldo;Leonardo, Testa del Salvatore; Testina di Francesco I re diFrancia; Michelangelo, Marsia ignudo con un Anfiteatro; Par-migianino, Il Salvatore deposto, la Madalena et altre figure; IlPresepio con il Signore, la Vergine, e Pastori; L’Annonciata233;La Vergine con altre figure; La Vergine col Bambino; La Vergi-ne, Gesù e S. Giovanni; Perugino, La Vergine con il BambinoGesù; Polidoro da Caravaggio, La Vergine col Bambino chescerza [sic] con un uccello; Pomarancio, Historia sacra inpaese; Raffaello, La Cingarina, ovvero S. Dorotea234; La Vergi-ne con il velo; La Dea della gratitudine; Giove che fa forza aCalisto; Psiche e la vecchia in una grotta; Reni, David colla testadi Golia con altre donne; S. Andrea; S. Girolamo; RinaldoCorso, Un paese con due figure; Romanino, Herodiade amensa; Due Tedeschi; Rosso Fiorentino, Testa di San Giacomo;Salviati, La Giustizia con due figure; Saraceni, Testa di S. Gi-rolamo; Scarsellino, L’Effigie del Salvatore adorata da’ Magi;Santa Cecilia in rame; Sementi, Clorinda con li Pastori; S. Gio.Battista.

collezione dal pozzo, 1718235:Albani, N. D. col Bambino in seno; S. Girolamo orante nel De-serto dello stesso Albano alla maniera carazzesca; Algardi, UnCrocifisso di bronzo; Bassi Francesco detto il Cremonese, Due[paesi] del Cremonese; Bononi, S. Agostino co’ paramenti Ve-scovali; Brizio, Una N. D. col suo Bambino lattante; Burrini,Un Filosofo con una sfera, e carte in mano; Cagnacci, Medea,che ringiovinisce Esone di Guido Cagnacci sù la maniera diGuido Reni; Carracci Ludovico, Una Testa di Pontefice; Ca-stiglione Giovanni Francesco, Uno [ritratto] d’un Cane, ed’un Vitello; Cavedoni, Una Madonna con libro in mano; DalSole, Due modelli; Ercole da San Giovanni, Santa Maria Mad-dalena; Gessi, Un Salvatore col Mondo in mano di FrancescoGessi il Vecchio Bolognese; Gherardini Alessandro, Una testad’un Vecchio di Alessandro Fiorentino; Giulio Romano,Adamo, et Eva in bellissimo paese; Mola, Venere con Adoneestinto; La Luna appresso Endimione236; Moretto, N. D. col suoBambino scherzante con S. Gioannino; Tobia accompagnatodall’Angelo, e S. Vito tutto in piedi con spada alato; Uno [ri-tratto] di Fanciulla; Preti, S. Paolo primo Eremita al natura-le237; Reni, Un Ritratto d’un Monaco Benedettino238; Torri Fla-minio, Una Madonna.

collezione emilei: vedi Lorgna.

collezione fattori, 1718239:Correggio, attribuito, Marte sedente, ch’insegna a leggere adAmore, figure quasi al naturale240; Una meza figura di Venere;Michelangelo, attribuito, Un’Annonciata241; Reni, attribuito,La Vergine col Bambino, e tre Angeli in rame; Salviati, Un’An-nonciata.

collezione gazzola: vedi Mosconi.

collezione gazzola, inizi del secolo xix242:Dal Sole, da Correggio, La Verg. S. Girolamo e S. Maria Ma-dalena tratta dal famoso originale del Correggio - da Gio. Giu-seppe dal Sole. (N. B. Il Lanzi a c. 269 Scuola Lombarda notache eravi una copia della Notte del Correggio fatta da Lelio Orsida Novellara).

collezione gherardini, 1718243:Bassi Francesco detto il Cremonese, Alcuni Paesi con figure,et animali; Calvaert, e Cittadini, […] cosa rara un quadro di-

pinto sopra l’argento dorato, adorno di coralli figurati, ov’è ilBambino Giesù in piedi con tre testine di cherubini di sotto. DiDionisio Galvard detto il Fiamingo, et il Bambino è attorniatoda una corona di fiori del Vecchio Milanese. Regalo dell’Arci-duchessa d’Ispruch fatto al Marchese Gasparo Gherardini;Guercino, Abramo, che benedice il Figlio Isacco, et un’Ange-lo244; Monti Francesco detto il Brescianino, Due quadri gran-di, e due mezani con battaglie; Prete Giovanni Paolo bolo-gnese, Un quadro grande d’animali di varia specie; Tempesta,Tre paesi, nel primo il viaggio di Giacob con molte figure, etanimali; Nel secondo la levata del Sole; Nel terzo una notte.D’Antonio Tempesta, et altri pezzi piccoli del medesimo.

collezione gherardini, 1755245:Bassi Francesco detto il Cremonese, Un detto Paese del Cre-monese; Un detto piccolo; Quattro Paesetti; Tre Paesi; Due dtipiccoli Paesi; Un quadro grande Viaggio di Giacobbe; Borgo-gnone, Due Quadri grandi Battaglie; (Calvaert, e Cittadini),Un quadretto sopra il letto d’argento dorato con effiggie nelmezo del Bambino Gesù contornato da una corona di Fiori di-pinta; con soaze pure d’argento dorato tutte ornate di corallo, esmalti; Guercino, Un quadro grande Tobia; Guercino, scuola,Due soprausci una copia di Sansone e Dalila, l’altro il FiglioMorto della Vedova, e questo della scuola del Guarcino; Reni,Altro di Susanna fra Vecchioni Quadro Grande246; Reni, da, Unquadro copia di Guido Reno, Susana; Tempesta, Una Notte delCavalier Tempesta, et uno Aurora del med.mo; Un d.o soaza do-ratta con Animali; Un detto del Tempesta con Mosè nel Rove-to; Un detto paese piccolo; Altro più grande paese.

collezione giusti, 1595247:Raffaello, Ritrato dipinto in tavola.

collezione giusti, 1620248:Carracci Annibale, Le due, l’una delle quali con l’Aquila si sol-lazza, l’altra col Cigno, furono (benche distinte) opera d’un solMaestro, che fù Anibale Caraccio; Cesari Giuseppe detto il Ca-valier d’Arpino, L’Adone, che languendo nel grembo dell’a-mante Ciprigna giace ferito249; Giambologna, […] Centauro,che ne’ bronzi di tutto rilievo spirando, con vivo corso alla fugaintento, per godere della rapita Deianira, alla furia dell’offesoAlcide s’invola […]. Leggete, se vi piace intenderne il nome, inqueste due faccie della basi, à lettere d’oro nella pietra Lidiascolpito, che dice IOANNIS BOLONIAE MAGNI HETRURIAE DUCISSCULPTORIS da questa parte; e dall’opposta AUGUST. IUSTO CO-MITI GRATISS. MUNUS. FOR.; Giulio Romano, Flagellatione del-l’Humanato Redentor nostro; Moretto, Quadro, che sotto sem-bianza di bellissima, et honestissima Matrona ci rappresenta laFede, col Calice nella destra, e la Croce abbracciata dal mancolato, con quel velo sino su gli occhi, non so se per haver il pit-tore voluto dinotare maggior honestà, ò se per haver egli prete-so in questo modo darci à conoscere, che gli occhi materiali de-vono nel credente esser chiusi250; Parmigianino, Madonna, conl’altre figure251; Raffaello, da, La Madonna di Raffaello così fa-mosa252; Reni, Belissimo Davidde, c’hà lo spaventoso gigante at-terrato, e morto253.

collezione giusti, 1697 (ma 1641 circa)254:(Cesari Giuseppe detto il Cavalier d’Arpino), Un Paesino conAdone di mano d’un Cavaglier Romano; (Moretto), Una Fedemezo retrato al natural con un vello che li copre mezo il viso,di mano antica; Reni, Un David figura al natural.

collezione giusti, 1718255:Calvaert, Altro [ritratto] di Dionisio Fiamingo; Castiglione

la fortuna della pittura italiana, non veneta

Giovanni Benedetto, Una mandra d’armenti co’ Custodi; DalSole, Una Giuditte ornatissima davanti ad Oloferne con l’An-gelo in aria che le suggerisce all’orecchio ciò che deve fare, e direper allacciarlo, con la Vecchia appresso; Una Maddalena peni-tente in meza figura256; Dossi, attribuito, Due ovati. Uno conBacco coronato e l’altro con tre femine257; Giulio Romano, at-tribuito, Meza figura di N. D. piangente; Leonardo, Un Ri-tratto.

collezione giusti, 1728258:Caravaggio, Istoria di S. Tomaso quando mette il dito nel Co-stato di Giesù Christo259; Raffaello, da, Un S. Gio. che predicanel deserto; Ricchi, scuola, Un Loth con le figlie pare dellascola del Luchese; Carracci Agostino, da, Venere con AdoneCopia trata dal originale d’Agostino Carazzi; Venere con un sa-tiro Copia d’Agostino Carazzi.

collezione giusti ai santi apostoli, 1718260:Baldini Mantovano, Quattro Paesi con branchi di pecore, bifol-chi, e capanne; Bolognini Giacomo, I Ministri di Tolomeo red’Egitto, che presentano a Cesare la testa di Pompeo Magno;Uno [chiaroscuro]; Carracci Annibale, Uno [chiaroscuro]; Ca-stiglione, Pastori che vanno in montagna; polli, uccelli, e duegatti; Crespi, P. Scipione, che restituisce a Lucillo la Sposa cat-tivata nell’espugnatione di Cartagine in Ispagna ordinando chegli ori, e le gemme offertegli per lo suo riscato restino in accre-scimento della dote della Fanciulla. Historia tratta da TitoLivio; P. Scipione Africano, che presa Cartagine, assicura a quel-le matrone la loro pudicitia261; Dal Sole, Sesto Tarquinio, chesforza la pudicitia di Lucretia262; Lucretia, ch’in presenza delMarito, e de’ Parenti si trafige col pugnale; Venere, che solleci-ta Arianna a prender Bacco per isposo con Amorini, uno de’quali pone in capo ad Arianna la corona di stelle263; Endimio-ne dormiente, e la Luna scendente dal carro tirato da Cervi, eguidato da Amorini; Hercole con la clava, e fanciulli, che gli so-stengono la pelle del leone; Giove co’fulmini alla mano, e Put-tini, che gli sollevano il manto; Giunone, che comanda a i Ventisoffianti, e puttini, che scherzano sotto al suo manto; Un S.Francesco; Un Riposo d’Egitto con S. Giuseppe, et Angeli inrame; La Vergine col Bambino, e S. Gio:; Un mezo busto, e seiOvati historiati; Nove pezzi [chiaroscuri] in tela con favole, etinventioni del Tasso, studij di Giovanni Giuseppe dal Sole.Altri 12 minori dello stesso; De Mattei, Una Galatea in marecon Glauchi, e Tritroni [sic]; Il ratto di Proserpina con Pluto-ne, che seco la trasporta sopra d’un carro e d’altra parte Dami-gelle, et Amorini piangenti; Pasinelli, Uno [ritratto] in ovato,et una Sultana; Rosa Salvatore, Quattro paesi con cadute d’ac-qua, figure di passeggeri, e gente, che tagliano boschi; Tempe-sta, Due Paesi con una notte, pastori, et animali

collezione guadagni, 1718264:Giulio Romano, Un Ritratto d’una Duchessa di Mantova.

collezione lorgna, poi emilei, 1781265:Albani, Una Venere con Amore e la Colomba in tavola; Vene-re e Marte ignudi in un letto con Amorini, e Paese in tavola;Barocci, Deposizion di Croce; Cantarini, S. Cecilia; CarracciAnnibale, Il Modello del famoso quadro dell’Ercole fra il vizioe la virtù conservatissimo e finito; Correggio, scuola, Quadret-to d’un giovane ridente con bamboccio in mano della scuolaprecisa del Correggio266; Dolci, Madalena; Vergine in ovato;Francia, La Vergine con santi intorno in tavola; Giordano, L’a-dorazione del Bambino Gesù datta da Pastori; Visitatione altempio; Giotto, Gli apostoli nel tempio in un pezzo di legno;Giulio Romano, da Raffaello, Copia d’un quadro di Rafaello

enrico maria guzzo

fatta da Giulio Romano; Guercino, L’uccisione di Amman perordine di Absalonne della prima maniera; Tre angeli piangentidella seconda maniera; Polidoro da Caravaggio, La spiegazio-ne del sogno per Giuseppe; Reni, Una Maddalena; Una Vergi-ne, che adora il Bambino; Tempesta, Paese.

collezione mazzanti, 1637267:Gandino Antonio, Musica con 5 figure del Sig.r Antonio Gan-dino, alto circa brazza 2, largo circa 3268; Zeni Antonio, Adora-tione delli 3 Magi, inventione dell’Alberto Dürer, largo circabrazza 3, alto 2. Copiato dalla Cappella del quondam Eminen-tissimo Sig.r Cardinale Carlo Madruzzo, esistente nel Castellodi Trento, dal quondam Sig.r Antonio Zeni.

collezione morando, disegni, 1607269:Bellini Filippo, Cristo in croce “coi batudi”; Madonna coi santiMichele e Francesco; Cambi Belisario detto il Bombarda, Bat-taglia; Carracci, i, Due Madonnine; Cesari Giuseppe detto ilCavalier d’Arpino, Tre Magi “di lapis roso di Jusepin daRoma”; Gambara, Deposto di croce; Giambologna, Nudo;Luini Bernardino (?), Madonna con san Giuseppe “di mano dilLovino”; Malosso, Natività; Parmigianino, Puttini “in primasua maniera”; Passarotti Bartolomeo, Quattro teste; Perin delVaga, Due nude; Urbino Carlo, Ultima cena; San Sebastiano;Vasari, San Giovanni con figurine; Viani Antonio Maria, SanMichele; Zuccari Federico, Nudo; Zuccari Taddeo, EcceHomo.

collezione moscardo, 1672270:Barocci, Christo con il Mondo in mano271; Cantarini, La Ver-gine Madre con il Bambino, et S. Gioseffo con S. Gio: Battista,mano di Simon Cantarin da Pesaro, detto il Pesarino con unadornamento assai grande, rimesso tutto di pietre, cioè Diaspri,Agate, Lapis Lazuli, et altre simile, con due colonne di Diaspro,alte sedeci oncie, et grosse proportionatamente; La VergineMadre con il Bambino S. Gioseffo, et molti Angeli; CarracciAgostino, Salmace, et Ermafrodito; Carracci Annibale, Ritrat-to di un Monaco Bianco; Correggio, Un testa di Venere, et diCupido; Una Vergine Madre con il Bambino S. Gio. Battista, eS. Gioseppe272; Costa, Ritratto di una Prencipessa di Mantovavestita di veluto cremese, et ornata di molte gioie, mano delCosti Mantovano; Del Sarto, La Vergine Madre con il bambi-no Giesù, e S. Gioseppe; Dossi, Lucretia violentata da Tarqui-nio; Fetti, Donna inginocchiata fatta per Geroglifico della ma-lenconia273; La Vergine madre con il Bambino, che scherza conS. Giovanni; Francia, La Vergine Madre con il Bambino, chetien in mano un augeletto; Peruzzi Baldassare (?), La VergineMadre, e S. Catterina, mano di Baldesar da Siena; Raffaello,Due piccioli ritratti di Donne; Reni, Una picciola testa di MariaVergine; Ricchi, Decolation di S. Gio: Battista; Giulio Roma-no, S. Giorgio con la Dongella, che smontato da cavallo ha uc-ciso il Dragone; Scarsellino, La Vergine Madre nel presepio coni pastori; Sordo274, Sacco dato ad una Città di notte; La Cir-concision di Giesù con molte figure, et Angeli.

collezione moscardo, disegni, 1672275:Del Sarto, Un Huomo giacente in letto con altre figure, checontiene parte della vita di S. Gio: Battista; Giambologna, Dueputtini, et altre figure, mano del Gio: Bologna; Giulio Roma-no, Alcuni pescatori, che pescano con le retti e Alcuni pescato-ri, che pescano con le retti276; Alcuni Pastori con diverse figure;Mercurio con diverse figure; Michelangelo, Una madonna conil Bambino, et altre figure; Christo morto sostenuto da un Vec-chio; Parmigianino, Europa sedente sopra il Bue, con le sorel-le, et altre figure, mano di Francesco Parmigiano277; Polidoro

da Caravaggio, Salomone che sententia la discordia delle dueDonne del figlio morto; Alcuni inginocchiati che adorano altrefigure, opera in Roma; Raffaello, Una Madonna con il Bambi-no, e San Gio: Battista, S. Anna, S. Gioseffo, et altre figure;Assontion della Vergine, sostenuta, et circondata dalli Angeli;Christo in Cielo con la Vergine, San Giovanni, li Apostoli; Con-version di San Paolo; Reni, Una Madonna con il Bambino, etSan Giovanni; Vasari, Christo Rissuscitato, con molti Angeli,che tengono gl’Istomenti della passione sotto alli quali si vedo-no molte figure. “In oltre vi sono più di 2000 fogli in libri tràDissegni, et Carte stampate de maggiori Pittori virtuosi delMondo. Piatti di Magiolica, dipinti da Rafaello da Urbino. Mo-delli de Cavalli, Bovi, un San Sebastiano, l’Appostolo SanSimon, tutto di mano del Scultor Sansovino, et molti di altri vir-tuosissimi Autori”.

collezione moscardo, 1718278:Cantarini, Una Vergine col Bambino, e S. Giuseppe, e gloriad’Angeli; Carracci, i, Una piccola Galeria fornita di disegni diPaolo Farinato, delli due Brusasorzi, di Raffaello d’Urbino, de’-Caracci, del Palma il giovine, e d’altri celebri Autori. Ma spe-cialmente molti di Paolo Caliari; Raffaello, Una piccola Gale-ria fornita di disegni […] di Raffaello d’Urbino […].

collezione mosconi, 1718279:Autori vari, […] una serie di Ritratti al numero di 262 in ovatotutti d’una misura de’ Pitori del miglior grido Italiani, ed Ol-tramontani, fatti di loro mano cosi del corrente, come del pas-sato secolo […].

collezione mosconi: vedi Gazzola.

collezione muselli, 1662 circa280:Anguissola Sofonisba ‘vecchia’, Una testa della Sofonisba vec-chia Anguissola di mezzo naturale dalla medesima dipinta; An-guissola ‘figlia’, La figliola pur pittrice che in atto di dipingereco’ penelli e tavolozza in mano, mostra di dipingere una Ma-donna con il bambino in braccio, opera della figliuola [di] Sofo-nisba Anguissola pittrice di Filippo secondo Re delle Spagne281;Beccafumi, La Samaritana con un vaso al pozzo; N. S. sedenteche l’ammaestra, figure d’un braccio intiere di Michel’Angeloda Siena altrimenti detto il Mecarino; Carracci Annibale, Undeposto di croce con diverse figure; Correggio, Una Madonnacon un Puttino in braccio che dorme, due Angeli l’osservano, econ il dito alla bocca additano silentio; Un satiro ridente in attodi alzar una tenda per osservar Siringa282; Una Madonna con ilputtino, un Angeletto nell’aria; Un S. Girolamo inginocchiatoche abbraccia e bacia un Cristo in Croce; Del Sarto, Una Ma-donna che siede, con la poppa destra scoperta; il puttino li siedein grembo in atto di rimirare li spettatori; v’è San Gioseffo chesiede, e posa il capo sopra una mano, Santa Elisabetta, e SanGiovanni con l’Angelo, figure poco meno del naturale d’An-drea del Sarto con architettura e paese, opera bellissima; Fetti,Un’Assunta più di mezza figura maggiore del naturale; S. Pie-tro piangente con le mani incrociate; posano le Chiavi del Cielosopra un tavolino, mezza figura, e cresce del naturale; Il vecchioTobia che siede sopra una sedia, l’Angelo accompagnato daTobia il giovane gli unge gli occhi; dietro al vecchio vi sta la mo-glie, quasi lo voglia sostenere; è finto in una loggia sostenuta dacolonne, nella quale vi sono due altre figure e fuori d’essa log-gia ve ne sono due altre della grandezza del superiore; FrancoSebastiano, Una battaglia tra Pirro Re delli Epiroti e FabritioConsole Romano dove si vedono i cavalli romani alla vista dellielefanti porsi in fuga, et in varie forme combattersi e atterrarsi,huomini, e cavalli; Due battaglie, una tra una compagnia di co-

razze e una di cavalli legieri, e l’altra tra pedoni con ordinanzamoderna; Garofolo, Cristo morto disteso sopra un lenzuolo so-stenuto da Nicodemo e con altra figura in atto di metterlo nelsepolcro; la Vergine afflitta lo tiene per una mano, Maddalenaa braccia aperte piange, fa il medesimo San Giovanni con duealtre figure nelle quali si legge vivamente il dolore in fronte, digrandezza come il di sopra, del Benvenuto; Giulio Romano,Una Madonna che tiene in modo bizzarro un puttino in brac-cio; Moretto, La Fede, che con una mano sostiene un calice,con l’altra una croce, è ritratto d’una bellissima giovane ricca-mente vestita283; Parmigianino, Una Madonna con un Puttinoe S. Gioseffo mezze figure di mezzo naturale; Una Pallade ar-mata, nell’armatura v’ha una figurina che rappresenta la Vitto-ria, mostra una mano ignuda284; Una testa della Madalena, calapoco del naturale; Un modelletto della tavola del Parmigianinodi Bologna di grandezza di mezzo foglio; Santa Barbara in pro-filo con una torre in mano ben finita e conservata, al gusto miodelle più ben dipinte cose del Parmigiano285; In un camerino ilritratto […] del Parmigiano, diversi ritratti e figurini del Par-migiano et altri disegni del medesimo; Perugino, S. Gio: Batti-sta in piedi, in un paese con varii animali; Raffaello, Una Ma-donna con un Puttino e S. Gio. Battista di 3/4, delle primeopere di Raffaele; Una Madonna delle prime cose di Rafaeld’Urbino; Raffaello, attribuito, Una Madonna genuflessa conun puttino che ha un velo stretto che lo trascina tenuto dallaMadonna acciò non cada. S. Giovanni vi sta dirimpetto ingi-nocchiato con un ginocchio, d’altezza di cinque quarti, stimatodi Rafaele d’Urbino; Reni, Un S. Sebastiano mezza figura delnaturale; Una testa d’una donnina; Un Ecce Homo con le manidavanti legate con una fune, tiene in capo una corona di spine,in mano una canna, mezza figura del naturale286; Sammachini,La nascita di N. S., v’è la Madre Santissima, altre serventi la-vano il Bambino, altre scaldano panni; Saraceni, Giuditta conla servente che mettono in un sacchetto la testa d’Oloferne; laservente tiene una candela nelle mani, che dà lume alle figu-re287.

collezione muselli, secolo xviii, ma copia di un pro-totipo del secolo precedente288:Anguissola, Un ritratto di Sofonisba di sua propria mano inpiccolo; Carracci, La deposizione di Cristo N. S. con otto figu-re del Caracci alto due terzi e largo mezo braccio; Correggio,Un Ritratto del Coreggio in piccolo di sua mano propria; UnSatiro mez’a sedere del Coreggio in tavola, alto due terzi, emezo, e largo mezo braccio; Una Madonna con il Bambino inbraccio, che dorme, e due Angeli che accennano il silentio delCoreggio alta due terzi, e larga mezzo braccio; Una Madonnacon il Bambino in braccio alta tre quarti, e larga più di mezobraccio del Coreggio; Del Sarto, Una Madonna con in braccioil Bambino, S. Giuseppe à man dritta S. Anna a mano manca,e vicino S. Gio: Battista che accarezza un agnellino d’AndreaDel Sarto, alto un braccio e tre quarti e larga 2 braccia, e 3quarti; Fetti, Un S. Pietro piangente grande al naturale di Do-menico Feti alto due braccia, e largo cinque quarti; Una Ma-dona assunta grande al naturale del Feti alta 2 braccia, e largaun e mezo; Tobia illuminato dall’Angelo con paese et architet-tura, et altre 7 figure del Feti alto un braccio, e largo cinquequarti; Franco Sebastiano, Un Adoratione delli Magi con settefigure di Sebastian Franco alto un braccio, e un quarto e largobraccia due; Giulio Romano, Una Madonna, che tiene il Bam-bino in braccio in atto di bacciarlo di Giulio Romano alta unbraccio, e larga tre quarti; Guercino, Una Madonnina con ilBambino in braccio alta mezo braccio e larga più d’un terzo delGuercino da Cento; Moretto, Una Fede sola figurata al natu-rale del Moretto da Brescia, alta un braccio, e mezzo e larga

la fortuna della pittura italiana, non veneta

cinque quarti; Parmigianino, Una testa, e busto di Donna delParmigianino, alto mezzo braccio, e largo un terzo; Una Ma-donna che baccia il Bambino che tiene in braccio, e S. Gio. poiadietro in tavola tonda di sopra del Parmigianino alta tre quar-ti, e larga due; Una Figura al naturale del Parmigianino; Unritratto d’una donna del Parmigianino alto, e largo un terzo;Un Ritratto d’una Donna alto mezzo braccio e largo un quar-to del Parmigianino; Una Madonna con il puttino in braccioalta mezo braccio e larga un terzo del Parmigianino; Perino,Un Ritratto d’un Uomo al naturale di Gio. Perino dalli Ri-tratti; Raffaello, Una Madonna in tavola con il puttino in brac-cio, e S. Gio: alta mezo braccio, e larga un terzo di Rafaeled’Urbino; Una Madonnina di Rafaele con il puttino, e S.Gioanni alta mezzo braccio, e larga poco meno; Una Madonnacon il Bambino, e S. Gio. di Rafaele alta un braccio e mezo, elarga tre quarti; Reni, Una testa e busto di S. Sebastiano al na-turale di Guido Reni alta un braccio, e larga cinque quarti; UnEcce Homo alto cinque quarti e largo un braccio di GuidoReni; Saraceni, Giuditta con la testa d’Oloferne, e la Vecchiafinto di notte alto un braccio e mezzo e largo cinque quarti diCarlo Veneziano.

collezione di jacopo muselli, secolo xviii289:Amidani (?), Famiglia sacra di mano ignota, pare della ScuolaRomana Lamidani290; Mazzola, Altra col Bambino S. Giorgio eS. Francesco del Brusasorzi del Mazzola Alessandro; Parmigia-nino, Sposalizio di S. Catterina dalla ruotta col Bambino Gesù;Reni, modi, S. Sebastiano mezzo busto sul gusto di Guido Renidel Pordenone.

collezione odoli, 1718291:Borgognone, Una battaglia; Parmigianino, attribuito, La Ver-gine col Bambino riposanti nel viaggio d’Egitto con due Ange-li, che prendono frutti da un’albero di Palma.

collezione pona, 1654 circa292:Reni, da, Un quadro grande copia da Guido Reni con la Mad-dalena et Angelo al Sepolcro293.

collezione ridolfi, 1718294:Raffaello, scuola, Una Madonna col Bambino, S. Giuseppe, eS. Gio:; Reni, da, Davidde con la testa del Gigante Golia inmano al naturale. Di Giacomo Locatelli tratto dall’Originale diGuido295.

collezione serego di san sebastiano, 1718296:Raffaello, attribuito, Un quadro grande con la Vergine, il Bam-bino Giesù, S. Gio:, S. Giuseppe, e S. Anna tenuto di Raffael-lo d’Urbino.

collezione trentossi, 1671297:Spagnolo, La B. V. che latta N. S. con una Cittadella di lonta-nanza antico del Spagnolo.

collezione trentossi, 1673298:Raffaello, Un quadro grande, la SS. Vergine, S. Anna, N. S. conS. Giovanni, et il glorioso S. Giuseppe lontano in una monta-gna299; Spagnolo, Un quadro della B. V. che allatta il figlio N.S. con una Città lontana dello Spagnolo; Venturelli Domenico,Un quadro con Diogene, et Alessandro, et altri personaggi diDomenico Venturelli300.

collezione turco, 1718301:Cignani, Una Carità di Carlo Cignani con molte figure302;Monti Francesco detto il Brescianino, Due battaglie grandi.

enrico maria guzzocollezione turco, 1808303:Cassana, Giovanni Battista, Un cadavere con una maga guer-riero ed altre figure, ossia la Pittonessa che a Saul fa comparirl’ombra di Samuele di Gio. Batta Cassissa [Cassana] Genove-se; Cignani, La Carità304; Cignani, scuola, La Carità ed altroLot con le figlie; Guercino, Abramo visitato dagli Angeli mez.fig.305; Mazzoni, Le tre Parche, la Virtù legata e depressa, laFortuna, e le Belle Arti, quattro quadri alegorici di SebastianoManzoni Fiorentino306; Monti Francesco detto il Brescianino,Due battaglie grandi; L’incendio di Troia ed una battaglia; Pe-ruzzini, La Fucina di Vulcano; Catone che si ferisce; Piere Ago-stino e Bigi Felice, Quattro quadri di fiori bislunghi per l’im-piedi di Felice Bigi Parmeggiano con li frutti di Agostin PiereMilanese; Ribera, da Reni, S. Pietro che prega [che piange]mez. fig. dello Spagnoletto notato di Guido copia [mez. fig. co-piata da Guido]; Seiter, L’Iride con il Sogno con due donne chelo svegliano di Daniel Saiter Tedesco.

collezione zucco, 1718307:Costa, Un Ritratto d’huomo vestito alla Spagnuola. Del Costapittor mantovano; D’Ariodante Marco, Sei pezzi di fiori. DiMarco d’Ariodante Bolognese308; Parmigianino, Una testa di S.Gio: Battista.

1 Questa comunicazione non ha la pretesa di apportare nuove cono-scenze archivistiche, ma solo di riassumere le fonti e gli studi riesa-minando a tema i materiali inventariali noti, di pittura, come di gra-fica. Per potermi concentrare su un materiale risultato molto vasto,eviterò di inquadrare le vicende delle singole collezioni e le perso-nalità dei loro proprietari, limitandomi a pochi cenni essenziali e allabibliografia di rimando. Con Bernard Aikema e Max Seidel, deside-ro ringraziare, per la collaborazione nelle mie ricerche, RobertoContini, Hans-Joachim Eberhardt, Anna Malavolta, Paola Marini,Fabrizio Pietropoli, Marina Repetto Contaldo, Francesca Rossi,Romeo Seccamani, Gian Maria Varanini, infine Paolo Rigoli (†), allacui memoria dedico questo contributo.2 Sui rapporti del patriziato veronese con l’Impero da un lato, con Ve-nezia dall’altro, cfr. da ultimo P. Lanaro Sartori, Un’oligarchia urba-na nel Cinquecento veneto. Istituzioni, economia, società, Torino 1992,pp. 37-43, 200-207. Per quanto interessa in questa sede, molti sareb-bero gli spunti di ricerca: mi limito a ricordare l’episodio della com-missione, a partire dal 1595, di un ciclo di tele per le sale del Consi-glio, che in buona parte esaltano le imprese gloriose del libero Co-mune (invece che la dedizione alla Serenissima, trattata solo in duepezzi della serie), e insieme la pretesa autonomia della classe domi-nante cittadina, «che affonda le radici in una mitica aristocrazia pre-comunale, risalente addirittura all’epoca ottoniana» (P. Marini, «Vit-toria dei Veronesi sui Gardesani», in: Viaggiare nell’Arte. Interventidi restauro, i, a cura di M. Gregori, P. Marini, M.E. Avagnina & P.L.Fantelli, Vicenza 1995, pp. 82-84). Un aspetto da non dimenticare èinoltre il vantato legame, anch’esso dalle implicazioni anti-veneziane,con le origini romane della città, una relazione che, serve ribadirlo, èall’origine delle manifestazioni più antiche del collezionismo, delleraccolte numismatiche, documentate già nel Trecento, come di quel-le epigrafiche (L. Franzoni, «Il collezionismo dal Cinquecento al-l’Ottocento», in: Cultura e vita civile a Verona, a cura di G.P. Marchi,Verona 1979, p. 600; si veda anche L. Franzoni, «Antiquari e colle-zionisti nel Cinquecento», in: Storia della cultura veneta, a cura di G.Arnaldi & M. Pastore Stocchi, vol. iii/3: Dal primo Quattrocento alConcilio di Trento, Vicenza 1981, pp. 207-266, specialmente pp. 244-248).3 Regione dalla quale provenivano le principali dinastie artistiche ve-ronesi, soprattutto di lapicidi: R. Brenzoni, «Architetti e scultori deilaghi lombardi a Verona», in: Arte e artisti dei laghi lombardi, I. Ar-chitetti e scultori del Quattrocento, a cura di E. Arslan, Como 1959,pp. 89-130.4 In merito si vedano: F. Rossi, «“Il porto e la scala di Alemagna”:artisti del Nord a Verona», in: La pittura fiamminga nel Veneto e nel-l’Emilia, a cura di C. Limentani Virdis, Verona 1997, pp. 167-201;Ead., Mill’altre maraviglie ristrette in angustissimo spacio. Un reper-torio dell’arte fiamminga e olandese a Verona tra Cinque e Seicento,Venezia 2001 (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Memorie.Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, vol. xcviii).5 Per l’ipotesi che la facciata del palazzo risalga ad un’invenzione diGiulio Romano si veda H. Burns, «La facciata di palazzo Canossa aVerona: un’invenzione di Giulio Romano?», in: Giulio Romano, ca-talogo della mostra (Mantova, Palazzo Te, 1989), Milano 1989, pp.510-511.6 Si vedano, tra gli altri, S. Marinelli, «Figure e sfondi: aspetti dellapittura veronese alla metà del Cinquecento», in: Palladio e Verona,catalogo della mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 1980),a cura di P. Marini, Verona 1980, in particolare p. 188; A. ConfortiCalcagni, «L’influenza di Giulio Romano nell’arte veronese del xvisecolo», in: Bollettino C.I.S.A., xxiv, 1982-1987, pp. 35-52; E.M.Guzzo, «Nota sugli apparati decorativi», in: Villa Della Torre a Fu-mane, a cura di A. Sandrini, Verona 1993, pp. 188-193. 7 S. Dalla Rosa, Catastico delle pitture e delle scolture esistenti nellechiese e luoghi pubblici situati in Verona [1803-1804], ed. a cura diS. Marinelli & P. Rigoli, Verona 1996, p. 56; E.M. Guzzo, «“Notadelle Pitture degli Autori Veronesi per farne l’incisione ed altri ane-doti” di Saverio Dalla Rosa sul patrimonio artistico veronese», in:Studi Storici Luigi Simeoni, lii, 2002, p. 400.8 F. Hartt, Giulio Romano, New York 1981, pp. 76-77.9 G. Schweikhart, «Il messaggio delle immagini», in: Il recupero degliaffreschi delle Case Mazzanti in piazza delle Erbe a Verona, a cura di

P. Brugnoli, Verona 1985, pp. 99-110.10 M. Repetto Contaldo, «Francesco Torbido detto ‘il Moro’», in:Saggi e Memorie di Storia dell’arte, 14, 1984, p. 58.11 E.M. Guzzo, «Il Museo Canonicale», in: Veronensis CapitularisThesaurus, catalogo della mostra, Verona 1990, pp. 192-193. Il di-pinto era verosimilmente collocato sull’altare dei nobili Ridolfi, de-dicato appunto alla Immacolata, e tale committenza ci riporta a rap-porti con la città emiliana ancora da ricostruire, ma suggeriti ancheda un secondo episodio. Il più importante rappresentante della fa-miglia nel Cinquecento, Pellegrino Ridolfi, fece infatti affrescare daDomenico Brusasorci, in un ciclo tuttora conservato nel palazzo an-tistante la chiesa di S. Pietro Incarnario, lo storico incontro tra Carlov e Clemente vii avvenuto a Bologna nel 1530. Il legame, di Pelle-grino e della famiglia (la committente raffigurata nel dipinto forse èsua madre), potrebbe risalire proprio a quello storico evento, cui ilnobile potrebbe aver presenziato al seguito della delegazione vero-nese.12 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettorinelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, com-mento secolare a cura di P. Barocchi, vol. v: Testo, Firenze 1984, p.556; J.A. Gere, Taddeo Zuccaro. His Development Studied in HisDrawings, London 1969, pp. 19, 30-31. Circa dieci anni prima erastato a Verona, per studiarne i monumenti antichi, anche GiorgioVasari, come lo stesso racconta nell’autobiografia in calce alle Vite.In quest’opera troviamo altri accenni, non del tutto approfonditi, aisuoi rapporti con gli ambienti scaligeri, non solo con fra Marco de’Medici, solitamente citato insieme al Cattaneo per essere stato suoinformatore di cose veronesi, ma anche, strettissimi, con il Sanmi-cheli. Del resto non si dimentichi che persino le opere a Venezia delpittore aretino, e di Salviati, rispettivamente nei palazzi Cornaro eGrimani entrambi edificati dall’architetto veronese, sembrano inse-rirsi nel quadro di questi contatti.13 B. Dal Pozzo, Le vite de’ pittori degli scultori et architetti verone-si…, In Verona, per Giovanni Berno, 1718, p. 158.14 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 249; G.B. Lanceni, Ricreazionepittorica…, In Verona: per Pierantonio Berno libr. nella via de’Leoni, 1720, p. 240; Dalla Rosa, [1803-1804], ed. 1996 (vedi n. 7),p. 164; G. Zancon, Raccolta di N. 60 Stampe delle più celebri Pitturedi Verona, Verona 1806, tav. 5; L. Simeoni, Verona. Guida storico-ar-tistica della città e provincia, Verona 1909, p. 451. Si veda inoltre ladocumentata scheda OA, a firma di Claudia Petrucci, presso la So-printendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologi-co delle Province di Verona, Vicenza e Rovigo.15 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 166, 249; M. Repetto Contaldo,«Alessandro Turchi e la committenza veronese», in: Alessandro Tur-chi detto l’Orbetto 1578-1649, catalogo della mostra (Verona, Museodi Castelvecchio, 1999), a cura di D. Scaglietti Kelescian, Milano1999, p. 42; D. Scaglietti Kelescian, ibid., pp. 170-172.16 A. Avena, «L’istituzione del Museo Civico di Verona», in: Madon-na Verona, i, 1907, p. 78.17 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 266; Lanceni, 1720 (vedi n. 14),p. 235; C.N. Cochin, Le voyage d’Italie de Charles-Nicolas Cochin(1758), intr. e note di C. Michel, Roma 1991, p. 195; Dalla Rosa[1803-1804], ed. 1996 (vedi n. 7), p. 229; G.B. Da Persico, Descri-zione di Verona e della sua provincia, Verona 1820-1821, 2 voll.: vol.ii (1821), p. 14.18 In merito si veda La pittura a Verona tra Sei e Settecento, catalogodella mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 1978), a cura diL. Magagnato, Verona 1978, passim; cfr. inoltre, per quanto riguar-da le presenze emiliane, S. Marinelli, «La pittura emiliana nell’en-troterra veneto: l’età barocca», in: La pittura emiliana nel Veneto, acura di S. Marinelli & A. Mazza, Modena 1999, pp. 117-140. Sonoda menzionare anche, sulla scorta delle indicazioni di Dal Pozzo eLanceni, ad indicem, le opere, in parte perdute, lasciate nelle chiesedi Verona dal genovese Clemente Bocciardo, dal cremasco Giovan-ni Angelo Ferrario, dal trentino Francesco Marchetti, dal toscanoPietro Ricchi, dal lombardo Stefano Maria Legnani, dai brescianiFrancesco Paglia e Giacomo Zanetti, dagli emiliani Carlo Bononi,Felice Cignani e Marc’Antonio Franceschini. E ancora, per il matu-ro Settecento, gli interventi di alcuni decoratori, ricordati nel Cata-stico di Saverio Dalla Rosa e attivi negli allestimenti decorativi non

la fortuna della pittura italiana, non veneta

solo di chiese, palazzi e ville, ma anche del teatro Filarmonico, comegli emiliani Bibiena, Bigari, Maccari, Montanari, Orsoni e Parolini,e come il napoletano Pasquale Cioffo (cfr. anche P. Rigoli, «Sceno-grafi e ‘apparatori’ a Verona in epoca veneziana», in: Verona Illu-strata, 6, 1993, pp. 141-165; P. Marini, «È dolce folleggiare a tempoe a luogo. Scenografia e decorazione in due sale veronesi del 1780»,in: Verona Illustrata, 1, 1988, pp. 73-83; E.M. Guzzo, «Apporti emi-liani alla decorazione del Settecento: il salone di villa Fattori Mo-sconi», in: Annuario Storico della Valpolicella, 1995-1996, pp. 161-170). Senza scordare infine, passando alla documentazione della lo-cale Accademia di Pittura e Scultura istituita nel 1764 (G.P. Mar-chini, «L’Accademia di Pittura e Scultura di Verona», in: La pitturaa Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di P. Bru-gnoli, Verona 1986, in particolare p. 592), i contatti con Verona, inquanto Accademici d’onore, dei più svariati artisti, italiani e nonsolo, del tardo Settecento.19 Il dipinto risale a prima del 1668, quando viene ricordato da L.Moscardo, Historia di Verona, In Verona, Rossi Andrea, 1668, p.499.20 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ pittori bolognesi (In Bolo-gna, per l’erede di Domenico Barbieri, ad instanza di Gio. France-sco Davico detto il Turrino, 1678), ed. a cura di G. Zanotti, vol. ii,Bologna 1841, p. 381.21 M. Cellini, «La biografia di Simone Cantarini nei documenti e nellefonti», in: Simone Cantarini detto il Pesarese 1612-1648, catalogodella mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale/Accademia di BelleArti, 1997-1998), a cura di A. Emiliani, Milano 1997, pp. 397, 418.L’atto di morte, datato 11 ottobre 1648, è in Archivio di Stato di Ve-rona (ASVr), Ufficio Sanità del Comune di Verona, Morti Città, reg.50, c. 186v: «S. Euffemia - Sr Simon Catarini [sic] da Pesaro di feb-bre d’ani 36». Il documento non lascia adito ai sospetti di una morteper avvelenamento, come invece favoleggia Malvasia, e neppure,nelle pagine precedenti come in quelle relative ai mesi successivi, siriscontra alcuna traccia di quell’allievo che lo avrebbe seguito a Ve-rona, trovandovi pochi giorni dopo una sorte analoga. Comunque, aquest’ultimo proposito colpisce la notizia, riportata dalla Cellini, che,tra gli allievi che seguirono il Pesarese negli ultimi mesi di vita, fosseun certo Spadarino: resta da verificare se si tratta del pittore AntonioSpadarino ricordato, con opere tutte perdute, dalle fonti veronesi (inprimo luogo Lanceni), e del quale sono noti documenti relativi ormaiagli ultimi decenni del Seicento, ad esempio quelli sui dipinti dellacantoria della chiesa dei SS. Giuseppe e Fidenzio, 1689-1691 (ASVr,SS. Giuseppe e Fidenzio, proc. 562), oppure quelli sugli interventinella chiesa dei SS. Apostoli, 1697-1698 (E.M. Guzzo, «Vicende ar-tistiche tra xii e xx secolo», in: La venerabile pieve dei Santi Apostoliin Verona, a cura di P. Brugnoli, Verona 1994, p. 204).22 Una «Vergine Madre con il Bambino S. Gioseffo, et molti Ange-li», e una «Vergine Madre con il Bambino, et S. Gioseffo con S. Gio:Battista, mano di Simon Cantarin da Pesaro, detto il Pesarino conun adornamento assai grande, rimesso tutto di pietre»: L. Moscar-do, Note overo Memorie del Museo del Conte Lodovico Moscardo, InVerona, per Andrea Rossi, 1672, p. 471.23 M. Maccheroni, «Caravaggio nel carteggio familiare di GiulioMancini», in: Prospettiva, 1997, 86, pp. 80, 84.24 Cfr. in merito Cinquant’anni di pittura veronese 1580-1630, cata-logo della mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 1974), acura di L. Magagnato, Verona 1974, passim.25 Altro fatto meritorio di considerazione è che, negli anni 1591-1621, commendatario di S. Maria della Ghiara a Verona fosse il car-dinale Pietro Aldobrandini, il personaggio cui è dedicato il Paradisodi Bassetti ora a Capodimonte: L. Magagnato, «Due generazioni»,in: Cinquant’anni di pittura veronese, 1974 (vedi n. 24), p. 30; cfr.anche A. Ottani Cavina, «Il tema sacro nel Caravaggio e nella cer-chia caravaggesca. Indicazioni per il Bassetti», in Paragone, xxv,1974, n. 293, p. 51.26 Ottani Cavina, 1974 (vedi n. 25), pp. 149-150.27 F. Pona, Sileno overo delle Bellezze del Luogo dell’Ill.mo Sig. Co.Gio. Giacomo Giusti, Verona, presso A. Tamo, 1620, p. 25.28 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 4.29 Il libro dei conti del Guercino 1629-1666, a cura di B. Ghelfi, Bo-logna 1997.

enrico maria guzzo30 Come nota anche O. Bonfait, «Il pubblico del Guercino. Ricerchesul mercato dell’arte nel xvii secolo a Bologna», in: Storia dell’Arte,68, 1990, pp. 78, 83.31 Malvasia, 1678, ed. 1841 (vedi n. 20), vol. ii, p. 267. Cfr. anche Illibro dei conti, 1997 (vedi n. 29), pp. 140, 145, 223; L. Salerno, I di-pinti del Guercino, Roma 1988, p. 336.32 ASVr, Notarile, Testamenti, rispettivamente mazzo 247, n. 175;mazzo 250, n. 159; mazzo 255, n. 70; e mazzo 258, n. 168.33 ASVr, Notaio Vincenzo Ferro, b. 5281, fasc. 38. Cfr. anche Repet-to Contaldo, 1999 (vedi n. 15), p. 42.34 Su quest’ultimo cfr. E.M. Guzzo, «Considerazioni (e tracce archi-vistiche) per il pittore veronese Francesco Barbieri a Brescia», in:Arte Cristiana, lxxiv, 1986, pp. 49-53; Id., «Barbieri, Francesco, gen.Francesco Sfrisà, lo Sfrisato», in: Allgemeines Künstlerlexikon. DieBildenden Künstler aller Zeiten und Völker, begr. und mithrsg. vonG. Meißner, vol. vi, München/Leipzig 1992, pp. 677-678.35 Il libro dei conti, 1997 (vedi n. 29), pp. 177, 181, 195.36 Malvasia, 1678, ed. 1841 (vedi n. 20), vol. ii, pp. 270, 271.37 Salerno, 1988 (vedi n. 31), p. 391.38 E. Mich, «La pala del Guercino per la “Fradaglia di Sant’Antonioda Padova”», in: La chiesa di Santa Maria Assunta ad Avio e i dipin-ti di Stefano Catani, a cura di M. Peghini, Trento 1994, p. 58.39 R. Adami, «Cronache da un cantiere del Seicento. Gli architettiVisetti e Pellesina e la “fabbrica” della chiesa di Santa Maria Assun-ta», in: I paesaggi dell’arte. Contributi per lo studio del patrimonio ar-tistico del territorio aviense, a cura di M. Peghini, Rovereto 2002, p.158. Il settantaseienne Emanuele Emanueli radarolo (appunto mer-cante di legname) è documentato nella contrada di Ferraboi nel1694: ASVr, Antichi Estimi Provvisori, reg. 79, cc. 719r-721r. A pro-posito di quest’ultimo va precisato che egli non era il genero delmarchese Gaspare Gherardini, come invece è stato scritto di recen-te (Marinelli, 1999 [vedi n. 18], p. 126), anche se, in queste faccen-de, il nobiluomo dovette svolgere un ruolo di primo piano. Il mar-chese infatti non solo morì senza figli, ma era imparentato, grazie almatrimonio di sua sorella Isabetta, 1620 circa, con Cesare di Fran-cesco Manueli, appartenente ad una famiglia della nobiltà veroneseestranea a quella del mercante (sul cinquantatreenne Cesare e suamoglie si veda la polizza d’estimo del 1653, contrada del MercàNovo, in ASVr, Antichi Estimi Provvisori, reg. 29, cc. 464v-467r; Isa-betta Gherardini è ricordata anche nel testamento del 1678 di suofratello). Mi piace qui ricordare un’ulteriore traccia dei rapporti fraGuercino e i veronesi che pure ci riporta in Trentino: mi riferiscoalla pala dei Domenicani di Bolzano del 1654-1655, voluta dal Ma-gistrato Mercantile e per conto di tale istituzione commissionata dalconsole Bernardino Borno di Verona, che la trattò personalmentecon il tramite di un suo amico bolognese, Girolamo Vaccari (F. Pie-tropoli, in: Bolzano nel Seicento. Itinerario di pittura, catalogo dellamostra [Bolzano, 1994], a cura di S. Spada Pintarelli, Milano 1994,pp. 152-153). Anche Bernardino Borno è noto per i suoi rapporticon il Gherardini, esecutore testamentario di Lombardo Lombardi,che nel 1645 lo paga per aver trattato a Roma con Turchi la com-missione della pala destinata alla cappella Lombardi in S. Nicolò (F.De Marco, M. Repetto Contaldo & D. Scaglietti Kelescian, «Rege-sto documentario», in: Alessandro Turchi, 1999 [vedi n. 15], p. 259).40 ASVr, Notaio Vincenzo Ferro, b. 5281, fasc. 38; pure citato da Re-petto Contaldo, 1999 (vedi n. 15), p. 42.41 Unico a citare questo ambiente è Dalla Rosa [1803-1804], ed.1996 (vedi n. 7), p. 40, il quale ricorda, nella «cappellina» contiguaalla chiesa, «la Tavola di S. Antonio di Scuola Veneziana – d’Incer-to», che nulla esclude possa essere la stessa pala di Guercino.42 Basti qui, sulla falsariga delle Vite di Dal Pozzo e di Zannandreis(vedi infra, n. 180), ricordare l’importanza, tra gli altri, di Barocciper Ridolfi, di Reni e Albani per Giarola e Locatelli, di Cignani perCalza e Marchesini, di Maratta per Balestra, di Dal Sole per Torelli,Spada e Salis, di Canuti per Murari, di Viani per Perini, di France-schini per Baroni, di Trevisani e Solimena per Rotari.43 A questo proposito risultano particolarmente utili, come base peruna discussione, le osservazioni di S. Mason, «Per il collezionismo aVenezia nel Seicento: conservatorismo nostalgico e aperture al con-temporaneo», in: Geografia del collezionismo. Italia e Francia tra ilXVI e il XVIII secolo, Atti delle Giornate di studio dedicate a Giulia-

no Briganti (Roma, Villa Medici e Accademia di San Luca, 19-21 set-tembre 1996), a cura di O. Bonfait, M. Hochmann, L. Spezzaferro& B. Toscano, Roma 2001, in particolare pp. 229-235; cfr. anche C.Ceschi, «Collezionismo di opere emiliane nel Veneto», in: La pittu-ra emiliana, 1999 (vedi n. 18), pp. 209-230. Passando agli episodi piùspecifici trattati recentemente, possiamo inoltre citare l’emblemati-co caso dei Lumaga (L. Borean & I. Cecchini, «Microstorie d’affarie di quadri. I Lumaga tra Venezia e Napoli», in: Figure di collezio-nisti a Venezia tra Cinque e Seicento, a cura di L. Borean & S. Mason,Udine 2002, pp. 159-231), la cui collezione di esemplari di pitturadi matrice naturalista, soprattutto napoletana (Saraceni, Ribera,Stanzione, Artemisia Gentileschi, Caracciolo, van Honthorst, vanBaburen, Spadarino, Falcone, Codazzi, Gargiulo, Baglione, Fiasella,Recco, Giordano, Preti, Vaccaro, Cavallino) bene si spiega con i rap-porti commerciali di questa famiglia con Napoli; oppure la raccoltadi Lorenzo Dolfin (L. Borean, «Appunti per una storia del collezio-nismo a Venezia nel Seicento: la pinacoteca di Lorenzo Dolfin», in:Studi Veneziani, xxxviii, 1999, pp. 266, 270-273, 274), ricca di pre-senze emiliane (Reni, Albani, Guercino, Lanfranco e Tiarini), lom-barde (Cairo e Panfilo), toscane (Fidani, Curradi e Paolini) e napo-letane (Ribera); infine la collezione Correggio (Ead., La quadreria diAgostino e Giovan Donato Correggio nel collezionismo veneziano delSeicento, Udine 2000), pure notevole per le presenze di opere, tra glialtri, di Cantarini, Ribera, Preti, Cagnacci, Guercino, Sacchi, Cairo,Castiglione, Passeri, Dolci, Sassoferrato, Ghisolfi, Rosa, Mola. Perquanto riguarda altre città sottoposte alla Serenissima si veda, sem-pre a titolo d’esempio, C. Boselli, Nuove fonti per la storia dell’arte.L’archivio dei conti Gambara presso la Civica Biblioteca Queriniana diBrescia: I, Il carteggio, Venezia 1971 (Istituto Veneto di Scienze, Let-tere ed Arti. Memorie, Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti”, vol.xxxv, fasc. 1), passim, con interessanti notizie sulle commissioni delbresciano Francesco Gambara, per opere da chiesa ma anche da col-lezione, a Barocci, Mastelletta, Baldini, Calvaert, Lavinia Fontana,Salimbeni, Carracci, Reni, Vitali e Gessi (sulle presenze “foreste” aBrescia cfr. anche E.M. Guzzo, «Apporti “foresti” al tardo manieri-smo bresciano: Bartolomeo Passerotti e Giovanni Laurentini dettol’Arrigoni a S. Afra», in: Arte Cristiana, lxxvi, 1988, pp. 153-158).44 Formazione che, almeno nelle epoche più recenti, avveniva pre-valentemente nei collegi gesuitici di Parma, Modena, Bologna eSiena: G.P. Brizzi, La formazione della classe dirigente nel Sei-Sette-cento. I seminaria nobilium nell’Italia centro-settentrionale, Bologna1976, pp. 181-182. Nel Quattrocento invece il riferimento resta an-cora Padova (si veda, per quanto riguarda i docenti veronesi nellacittà patavina, il recente G.M. Varanini & D. Zumiani, «Ricerche suGerardo Boldieri di Verona [1405 c.-1485], docente di medicina aPadova. La famiglia, l’inventario dei libri e dei beni, la cappella», in:Quaderni per la Storia dell’Università di Padova, 26-27, 1993-1994,in particolare p. 50, con bibliogr.). 45 Interessante, a questo proposito, è anche confrontare quanto si vaesponendo con la documentazione sulle feste organizzate dai nobiliveronesi in occasione del passaggio di personaggi illustri: si veda inmerito P. Rigoli, «L’architettura effimera: feste, teatri, apparati de-corativi», in: L’architettura a Verona nell’età della Serenissima (sec.XV-sec. XVIII), a cura di P. Brugnoli & A. Sandrini, vol. ii, Verona1988, in particolare pp. 6-8, 10-15, 19-24, 35-42.46 A. Magnano, «Documenti per una storia delle leggi suntuarie ve-ronesi», in: Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura Scienze eLettere di Verona, cxlvii, 1970-1971, p. 334; il documento è ristam-pato in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma. IX. Podestaria e Ca-pitanato di Verona, Milano 1977, p. 297. Sui rapporti tra i Gonzagae le principali famiglie veronesi, che «tra la fine del Cinquecento e ilprimo Seicento […] andarono intensificandosi probabilmente a se-guito della spinta oligarchica in atto nella città», cfr. Lanaro Sartori,1992 (vedi n. 2), pp. 208-210.47 Città in cui è documentato un ramo della famiglia estintosi nel1673: Lettere e altri documenti intorno alla storia della pittura. Rac-colte di quadri a Mantova nel Sei-Settecento, Monzambano 1976, pp.86-100.48 A. Luzio, La Galleria dei Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 1627-28, Milano 1913, pp. 90-91. Si pensi anche al fatto che Galeazzo Ca-nossa, morto nel 1541, aveva sposato Isabella della nobile famiglia

mantovana dei Guerrieri Gonzaga: S. Marinelli, in: Veronese e Vero-na, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio, 1988), acura di S. Marinelli, Verona 1988, pp. 192-196.49 Luzio, 1913 (vedi n. 48), p. 90; L. Franzoni, Per una storia del col-lezionismo. Verona: la galleria Bevilacqua, Milano 1970, pp. 15, 29,92-93, 106.50 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), p. 30. Sulla presenza di ritratti di no-bili veronesi, compreso quello di Mario Bevilacqua, nell’iconotecavoluta dall’arciduca Ferdinando del Tirolo per il castello di Ambras,si vedano: F. Kenner, «Die Porträtsammlung des Erzherzogs Ferdi-nand von Tirol. Die italienischen Bildnisse (Fortsetzung)», in: Jahr-buch der Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kai-serhauses, xviii, 1897, pp. 135-261; L. Franzoni, Nobiltà e collezio-nismo nel ’500 veronese. I marmi già Bevilacqua restaurati ed oraesposti nella Gliptoteca di Monaco con un saggio di iconografia vero-nese del XVI secolo, Verona 1978.51 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), pp. 29-30 (anche per i rapporti conBologna), 124-125.52 Franzoni, 1979 (vedi n. 2), p. 612. Interessante è pure l’esibito rap-portarsi dei Giusti del ramo collaterale di San Quirico con la cortegonzaghesca: E.M. Guzzo, «L’importanza degli apparati tessili nelladecorazione degli interni cinquecenteschi (l’esempio di villa Giustia S. Maria in Stelle)», in: Studi Storici Luigi Simeoni, xlvi, 1996, pp.202-203.53 V. Cavazzocca Mazzanti, «La raccolta Mazzanti», in: Madonna Ve-rona, vi, 1912, pp. 148-153.54 B. Chiappa, «La famiglia Carlotti dalla borghesia al marchesato»,in: Villa Carlotti a Caprino, a cura di P. Brugnoli, Verona 1990, p. 24.55 Moscardo, 1672 (vedi n. 22); e Id., Note overo Memorie del museodi Lodouico Moscardo nobile veronese, In Padoa, per Paolo Fram-botto, 1656.56 M.F. Coppari, Ludovico Moscardo e la sua collezione: note e docu-menti, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1982-1983, relatore I. Favaretto, pp. 36-37, 51.57 Franzoni, 1979 (vedi n. 2), p. 621; T. Montanari, «Cristina di Sve-zia, il cardinale Azzolino e il mercato veronese», in: Ricerche di Sto-ria dell’Arte, 54, 1994, pp. 25-52, passim.58 L. Messedaglia, Arbizzano e Novare. Storia di una terra della Val-policella, Verona 1944, p. 60.59 Sull’iconoteca di casa Lisca, già India e Cetti, cfr. E.M. Guzzo,«Per la storia del collezionismo a Verona: nuovi documenti sullequadrerie India, Giusti, Muselli, Canossa e Gherardini», in: StudiStorici Luigi Simeoni, liv, 2004, pp. 393-401.60 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), pp. 170-171.61 Da Persico, 1820-1821 (vedi n. 17), vol. ii (1821), p. 51.62 Pona, 1620 (vedi n. 27), pp. 39-40: sulle fonti sette-ottocentescheche riguardano questa iconoteca cfr. Guzzo, 2004 (vedi n. 59), p.398.63 M. Bacci, «Jacopo Ligozzi e la sua posizione nella pittura fioren-tina», in: Proporzioni, iv, 1963, p. 76.64 Moscardo, 1672 (vedi n. 22), pp. 470, 474.65 Lettere e altri documenti, 1976 (vedi n. 47), p. 100.66 B. Dal Pozzo, Aggiunta alle vite de’ pittori, degli scultori et archi-tetti veronesi…, In Verona, nella nuova stamp. di Pierantonio Berno,librajo in contra de’ leoni, 1718, p. 42.67 A Verona il tema è stato affrontato, e con profitto, solo per quan-to riguarda le raccolte librarie (sugli aspetti culturali nella Verona deltempo il rinvio d’obbligo è a R. Avesani, «Verona nel Quattrocento.La civiltà delle lettere», in: Verona e il suo territorio, tomo iv, parteii, Verona 1984, pp. 3-284). Conosciamo, è vero, alcuni inventari deibeni mobili di case private, ma nessuno di essi, pur riferendosi adoggetti artistici quali ancone e cassoni decorati, fornisce indicazionisul collezionismo: si vedano C. Cipolla, «Libri e mobilie di casaAleardi al principio del sec. xv», in: Archivio Veneto, tomo xxiv,parte i, 1882, pp. 28-53, per un inventario del 1405, e Varanini &Zumiani, 1993-1994 (vedi n. 44), pp. 134-144, per uno del 1485. 68 Cfr. J. Anderson, «Collezioni e collezionisti della pittura veneta delQuattrocento: storia, sfortuna e fortuna», in: La pittura nel Veneto.Il Quattrocento, a cura di M. Lucco, vol. i, Milano 1989, p. 271; E.Karet, «Stefano da Verona, Felice Feliciano and the first Renaissan-ce Collection of Drawings», in: Arte Lombarda, cxxiv, 1998, n. 3, in

la fortuna della pittura italiana, non veneta

particolare pp. 33-34; Ead., The drawings of Stefano da Verona andhis circle and the origins of collecting in Italy: a catalogue raisonné,Philadelphia 2002 (ed. it. Verona, Accademia di Agricoltura, Scien-ze e Lettere, 2003).69 J. Byam Shaw, The Italian Drawings of the Frits Lugt Collection,Paris 1983, p. 214, con la trascrizione della scritta sulla legatura ori-ginale, che recita: «desegni de varie p[ersone] / raccolti per ant.o[badile] / ii pictore d lann / [o del si]gnore m ccccc».70 Ringrazio Hans-Joachim Eberhardt per quest’ultima precisazione.71 Per la mancanza di dati precisi si tralascia qui di indagare sui per-sonaggi ricordati nelle Vite di Vasari, con riferimento ad opere d’ar-te da loro possedute (senza però che risulti chiara, nel caso dei di-pinti, la loro appartenenza ad una collezione vera e propria): suiDella Torre si veda comunque L. Franzoni, «I Della Torre di S. Egi-dio e Fumane nel quadro del collezionismo veronese», in: Villa DellaTorre, 1993 (vedi n. 6), pp. 85-107; su don Vincenzo Cicogna e lasua collezione, invece, E.M. Guzzo, «Il palazzo Del Bene di SanZeno in Oratorio in Verona (e le relazioni di Giovanni Battista DelBene con alcuni artisti veronesi)», in: La famiglia Del Bene di Vero-na e Rovereto e la villa Del Bene di Volargne, Atti della Giornata distudio (Rovereto e Volargne, 30 settembre 1995), a cura di G.M. Va-ranini, Rovereto 1996, p. 97.72 Luzio, 1913 (vedi n. 48), pp. 90-91; Hartt, 1981 (vedi n. 8), pp.53-54; S. Ferino Pagden, Giulio Romano pittore e disegnatore aRoma, in Giulio Romano, 1989 (vedi n. 5), p. 71.73 Vasari, Le vite... (vedi n. 12), vol. iv, Testo, Firenze 1976, p. 187; C.Ridolfi, Le Maraviglie dell’arte… [In Venetia, Presso Gio: BattistaSgava, 1648], a cura di D. von Hadeln, Berlin 1914-1924, 2 voll.: vol.i (1914), p. 299; cfr. anche Franzoni, 1979 (vedi n. 2), pp. 602-604.74 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), p. 136. Una copia di Felice Brusasor-ci era in collezione Moscardo: Moscardo, 1672 (vedi n. 22), p. 468.75 Guzzo, 1994 (vedi n. 21), pp. 202, 216. Le fonti veronesi, a co-minciare da Saverio Dalla Rosa (Guzzo, 2002 [vedi n. 7], p. 400), ri-cordavano «belle copie» del dipinto di Raffaello anche ai Cappucci-ni, ai SS. Apostoli e a S. Gregorio.76 Cochin, ed. 1991 (vedi n. 17), pp. 396-397, 404.77 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 281-282; S. Maffei, Verona illu-strata, Parte terza, contiene la notizia delle cose in questa citta piu os-servabili, In Verona, per Jacopo Vallarsi, Pierantonio Berno, 1732:coll. 211-229; Inventarj di una Galleria Statuaria e Libreria, s.l. e s.d.(ma Verona 1805); T. Lenotti, Passeggiate per Verona del Settecento,Verona 1937, pp. 72-73; Franzoni, 1970 (vedi n. 49), pp. 63-67, 171-178; Id., 1978 (vedi n. 50); Id., 1979 (vedi n. 2), pp. 604-612; E.M.Guzzo, «Paolo Veronese e la “Venere” Bevilacqua», in: Atti e Me-morie dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, clxx,1993-1994, pp. 227-239; Rossi, 2001 (vedi n. 4), pp. 129-132.78 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), pp. 168-169.79 Ibid., p. 106.80 G. Dillon, «Stampe e libri a Verona negli anni di Palladio», in: Pal-ladio e Verona, 1980 (vedi n. 6), pp. 257-258, 263-264, 274-275; S.Marinelli, «I modelli emiliani nella cultura figurativa veneta: Parmi-gianino, Reni, Guercino», in: La pittura emiliana, 1999 (vedi n. 18),pp. 272-273; S. Marinelli, «Parmigianino nel Veneto», in: Parmigia-nino e il manierismo europeo, Atti del Convegno Internazionale diStudi (Parma, 13-15 giugno 2002), a cura di L. Fornari Schianchi,Milano 2002, pp. 370, 372.81 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), pp. 169-171. Gli interessi collezioni-stici delle famiglie che sto trattando vanno letti anche nel contestodei loro rapporti di parentela: ad esempio Mario Bevilacqua è figliodi Giulia Canossa; sua moglie Isabella del conte Agostino Giusti (cuiMario, morendo, lascerà tre dipinti, rispettivamente di Civetta, Ca-roto e Giorgione); dopo la morte di Mario, Isabella si risposerà conCiro Canossa.82 A.M. Conforti Calcagni, «La collezione di disegni di Federico Mo-rando», in: Verona Illustrata, 1, 1988, pp. 37-43; cfr. anche Rossi,2001 (vedi n. 4), pp. 136-137.83 Interessante è il legame di parentela di quest’ultimo col collega ve-ronese Bernardino India, del quale aveva sposato la nipote Angela:V. Fainelli, «Gli India pittori», in: Madonna Verona, iii, 1909, pp.181, 185.84 Pona, 1620 (vedi n. 27), passim; cfr. anche Franzoni, 1979 (vedi n.

enrico maria guzzo2), pp. 612-614; Rossi, 2001 (vedi n. 4), pp. 139-143.85 Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 401-404.86 Franzoni, 1981 (vedi n. 2), pp. 252-253.87 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 304-305; Maffei, 1732 (vedi n.77), coll. 231-237; Franzoni, 1979 (vedi n. 2), p. 627.88 Pona, 1620 (vedi n. 27), in particolare p. 21.89 Luzio, 1913 (vedi n. 48), p. 255.90 P.V. Begni Redona, Alessandro Bonvicino il Moretto da Brescia,Brescia 1988, pp. 457-459.91 Catalogo degli oggetti presentati all’esposizione d’arte antica e mo-derna nella occasione della Fiera di beneficienza in Verona. 19 a 23Febbraio 1881, Verona 1881, p. 14.92 Begni Redona, 1988 (vedi n. 90), pp. 182-184.93 Cfr. da ultimo E. Sandal, «Il ritratto di religioso del Moretto nelMuseo di Castelvecchio a Verona: ipotesi per una identificazione»,in: Scritti in onore di Gaetano Panazza, Brescia 1994, pp. 185-190.94 G. Dillon, «Il Parmigianino di Agostino Giusti», in: Verona Illu-strata, 4, 1991, pp. 51-54.95 S. Marinelli, in: Veronese e Verona, 1988 (vedi n. 48), pp. 368-370.96 Dalla Rosa [1803-1804], ed. 1996 (vedi n. 7), p. 55: come fonte al-ternativa si può però pensare alla «Madonna con un Puttino e S.Gioseffo mezze figure di mezzo naturale» segnalata tra i Parmigia-nino di casa Muselli (G. Campori, Raccolta di cataloghi ed inventariinediti, Modena 1870, p. 183).97 Cfr. anche F. Pellegrini, «I Sadeler a Venezia», in: Una dinastia diincisori: i Sadeler. 120 stampe dei Musei Civici di Padova, catalogodella mostra (Padova, Musei Civici, 1992), a cura di C. LimentaniVirdis, F. Pellegrini & G. Piccin, Padova 1992, p. 7.98 Dillon, 1991 (vedi n. 94), p. 52; G. Piccin, in: Una dinastia di in-cisori, 1992 (vedi n. 97), pp. 90-92.99 Una prima identificazione con il quadro Giusti spetta, sulla basedi un appunto di Marcello Oretti, a S. Pepper, Guido Reni. L’operacompleta, Novara 1988, p. 226. Cfr. anche F. Valli, in: Guido Reni1575-1642, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Naziona-le/Museo Civico Archeologico, 1988/Los Angeles, Los AngelesCounty Museum of Art/Fort Worth, Tex., Kimbell Art Museum,1989), Bologna 1988, pp. 48-49.100 Ricordato anche da Maffei, 1732 (vedi n. 77), col. 231.101 S. Marinelli, in: La pittura a Verona, 1978 (vedi n. 18), pp. 150-151.102 Per chiudere le notizie sulla famiglia Giusti, è da ricordare anchel’elenco dei dipinti del conte Gerolamo Giusti, fratello di Gomber-to, risalente al 1728: vi troviamo una Incredulità di san Tommaso diCaravaggio, un San Giovanni che predica nel deserto copiato da Raf-faello, un Loth e le figlie di Pietro Ricchi, e due Veneri copiate daAgostino Carracci (S. Marinelli, «Ritorno al Seicento», in: Verona Il-lustrata, 4, 1991, pp. 67-68).103 Campori, 1870 (vedi n. 96), pp. 175-192; Montanari, 1994 (vedin. 57), pp. 25-52, passim; Franzoni, 1979 (vedi n. 2), pp. 618-620;Rossi, 2001 (vedi n. 4), pp. 156-165. La collezione viene ricordatanon solo, in sede locale, da Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 93-94,ma anche da Ridolfi [1648], ed. 1914-1924 (vedi n. 73), ad indicem,e da F. Scannelli, Il Microcosmo della Pittura [In Cesena, per il Neri,1657], ed. a cura di R. Lepore, Bologna 1989, pp. 206, 212, 222, 237,239, 247, 256, 316, 318, 323, 344. Quest’ultimo la menziona a pro-posito di opere, tra gli altri, di Garofolo, Primaticcio e Girolamo daCarpi, nonché, con allusione alle «mentovate» gallerie veronesi(Curtoni, oltre che Muselli), i Carracci e Dosso Dossi: qualche rife-rimento, ad esempio a Primaticcio e a Girolamo da Carpi, non trovariscontro nell’inventario pubblicato da Campori e sottintende unaconoscenza diretta da parte di Scannelli, risalente all’epoca in cuiquesti era consulente artistico del duca di Modena (nel caso di Pri-maticcio, e del suo «ritratto d’intera figura al naturale, che già viddiin Verona nello Studio de’ Muselli, opera molto compita», p. 323, sipotrebbe trattare del «ritratto […] del Parmigiano»).104 Si conosce un secondo dettagliato, e in parte diverso, inventariodella collezione, a giudicare dalla grafia una copia settecentesca cheha tutta l’aria però di essere una trascrizione in bella copia, fatta perscopi eruditi, di un prototipo del secolo precedente: Guzzo, 2004(vedi n. 59), pp. 404-412.105 In tale anno abbiamo notizia anche del tentativo di vendita sepa-

rata di due ritratti di Giovanni Bellini e di Correggio, proposti peril tramite di Marc’Antonio Sagramoso a Leopoldo de’ Medici: Mon-tanari, 1994 (vedi n. 57), p. 29.106 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 93-94: su Luigi Alvarese si ve-dano A. Bertolotti, Artisti belgi e olandesi a Roma nel secoli XVI eXVII. Notizie e documenti raccolti negli archivi romani, Firenze 1880,p. 36; Montanari, 1994 (vedi n. 57), pp. 29, 40.107 La disposizione della quadreria in sette “camere” è ben chiaranell’inventario, stanza per stanza, pubblicato in Guzzo, 2004 (vedin. 59), pp. 404-412; altre fonti parlano invece di sei camere (Cam-pori, 1870 [vedi n. 96] p. 177).108 Tra cui va ricordato anche un libretto di disegni, ceduto da Fer-dinando Gonzaga in cambio di un dipinto di Rottenhammer conpaesaggio di Brill: Ridolfi [1648], ed. 1914-1924 (vedi n. 73), vol. ii(1924), p. 85.109 M.C. Chiusa, Parmigianino, Milano 2001, pp. 61-64, 214; D. Ek-serdjian, in Parmigianino e il manierismo europeo, catalogo della mo-stra (Parma, Galleria Nazionale/Wien, Kunsthistorisches Museum,2003), a cura di L. Fornari Schianchi & S. Ferino-Pagden, Milano2003, pp. 228-229: uno dei due sarà da identificare con quello diidentico soggetto che nel 1561 era nella collezione del parmigianoFrancesco Bajardi.110 Chiusa, 2001 (vedi n. 109), pp. 120-121, 215; S. Ferino-Pagden,in: Parmigianino, 2003 (vedi n. 109), pp. 182-183.111 Scannelli [1657], ed. 1989 (vedi n. 103), pp. 169, 222, 237, 239,247, 256, 266, 311, 316, 318, 344; Ridolfi [1648], ed. 1914-1924(vedi n. 73), vol. ii (1924), pp. 111-113; Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13),pp. 63-65. Cfr. anche Franzoni, 1979 (vedi n. 2), pp. 615-617; Rossi,2001 (vedi n. 4), pp. 145-153.112 Campori, 1870 (vedi n. 96), pp. 192-203.113 Montanari, 1994 (vedi n. 57), pp. 25-52, passim.114 E.A. Safarik, Fetti, Milano 1990, pp. 75, 207, 324, documenta lapresenza di opere di Fetti provenienti da casa Curtoni nella colle-zione Grassi venduta a Londra nel 1764. Ho comunque il sospettoche non tutto sia partito da Verona: ad esempio tra i quadri Curto-ni attribuiti ad Alessandro Turchi erano tre dipinti, cioè «il Diluviocon figure», «Dalila con Sansone» e «David con Abigail et altre fi-gure» (Campori, 1870 [vedi n. 96], p. 196), che corrispondonomolto puntualmente ad altrettanti pezzi della collezione Gherardini,lasciando aperta l’ipotesi che Gaspare sia stato ripagato, per il suoruolo di tramite, con il dono di qualche dipinto: cfr. Dal Pozzo, 1718(vedi n. 13), p. 285; Cochin, ed. 1991 (vedi n. 17), p. 205; Guzzo,2004 (vedi n. 59), pp. 421-422.115 Scannelli [1657], ed. 1989 (vedi n. 103), p. 169: «pure in Veronanello studio del Cortoni vi è un Quadro con meza figura al natura-le, che rappresenta santa Dorotea, stimata dalla maggior parte di Ra-faello, veramente di suprema bellezza, ed in ordine alla più delicataverità pare forsi all’altre del Maestro superiore, e per ciò furono al-cuni indotti a credere, che sia stata dipinta da Paolo da Verona pergusto d’imitare opera particolare di Rafaello, ma sia come si voglia,vero è, che l’opera si conosce di così rara bellezza, che si può stima-re al pari dell’altre, e forsi di vantaggio».116 M. Lucco, L’opera completa di Sebastiano del Piombo, Milano1980, pp. 103-104.117 Dalla Rosa [1803-1804], ed. 1996 (vedi n. 7), p. 272; Da Persico,1820-1821 (vedi n. 17), vol. i (1820), p. 68, e vol. ii (1821), p. 317;G. Bennassuti, Verona colla sua provincia descritta al Forestiere eGuida dell’amenissimo lago di Garda, Verona 1842, p. 29; L. Giro,Sunto della storia di Verona politica, letteraria ed artistica, vol. ii, Ve-rona 1869, p. 29; Catalogo degli oggetti, 1881 (vedi n. 91), p. 11.118 A. Avena, «La Galleria Barbieri negli anni 1695 e 1730», in: Ma-donna Verona, vii, 1913, p. 195.119 Si vedano, in particolare, Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 285-287, e Maffei, 1732 (vedi n. 77), col. 188; cfr. anche quanto scrissenel 1758 il Cochin, attratto non solo dai dipinti di Turchi, ma anchedi Guercino e Reni (Cochin, ed. 1991 [vedi n. 17], pp. 204-208). Piùdi recente si sono occupati dell’argomento: R. Brenzoni, «“L’Adora-zione dei Magi” dell’Orbetto ammirata da W. Goethe e oggi disper-sa», in: Nova Historia, 15, 1952, pp. 611-614; Franzoni, 1979 (vedin. 2), pp. 620-621; Montanari, 1994 (vedi n. 57), pp. 25-52, passim;Repetto Contaldo, 1999 (vedi n. 15), pp. 41-42; Rossi, 2001 (vedi n.

4), pp. 202-203; Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 419-425.120 Pure segnalatomi dal compianto Paolo Rigoli: lo si veda pubbli-cato integralmente in Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 420-425.121 Moscardo, 1672 (vedi n. 22), pp. 468-473.122 Maffei, 1732 (vedi n. 77), coll. 230-231; Franzoni, 1979 (vedi n.2), pp. 621-625; Coppari, 1982-1983 (vedi n. 56), (alle pp. 62, 64,92-98, 103-104, per le notizie sui viaggiatori stranieri che visitaronoil museo, attratti soprattutto dalle antichità; in merito cfr. anche G.P.Marchi, «Cronache veronesi 1680-1730. Letteratura e vita cittadi-na», in: La pittura a Verona, 1978 [vedi n. 18], pp. 266, 270); Rossi,2001 (vedi n. 4), pp. 169-171.123 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 287-289.124 La riprova sembra venire da un Incendio di Troia attribuito adAntonio Viviani che, nel 1822, era nella collezione Caldana, dove neveniva vantata la provenienza Moscardo, e che sembra pertantoidentificabile con il «Sacco dato ad una Città di notte» dell’inventa-rio della collezione seicentesca: E.M. Guzzo, «Il patrimonio artisti-co veronese nell’Ottocento tra collezionismo e dispersioni (primaparte)», in: Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura Scienze eLettere di Verona, clxix, 1992-1993, p. 500. Meno probabile inveceche si tratti del Sordo, alias Maestro della Pietà di Stoccolma, bennoto agli studiosi di storia del collezionismo milanese (M. Bona Ca-stellotti, Collezionisti a Milano nel ’700. Giovanni Battista Visconti,Gian Matteo Pertusati, Giuseppe Pozzobonelli, Firenze 1991, pp. 20,52; F. Frangi, in: Le stanze del Cardinale Monti 1635-1650. La colle-zione ricomposta, catalogo della mostra [Milano, Civico Museo d’Ar-te Contemporanea, 1994], a cura di M. Bona Castellotti, Milano1994, pp. 142-143).125 Moscardo, 1672 (vedi n. 22), pp. 472-473.126 M.S. Tisato Premi, «I Canossa collezionisti di quadri secondo uninedito inventario del secolo xvii», in: Studi Storici Veronesi Luigi Si-meoni, xxviii-xxix, 1978-1979, pp. 144-160; cfr. anche Rossi, 2001(vedi n. 4), pp. 177-180.127 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 282-283.128 Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 413-419.129 A. Avena, «La galleria Canossa nel 1781», in: Madonna Verona,vii, 1913, pp. 99-108130 Lettere e altri documenti, 1976 (vedi n. 47), pp. 86-100.131 E.M. Guzzo, «Una proposta per Orsola Maddalena Caccia», in:Arte Cristiana, lxxxiv, 1996, p. 116.132 L. Anelli, Pietro Bellotti 1625-1700, Brescia 1996, pp. 94-95, 176,294, 320, 360.133 E.A. Safarik, in: Domenico Fetti 1588/89-1623, catalogo della mo-stra (Mantova, Palazzo Te/Palazzo Ducale, 1996), a cura di E.A. Sa-farik, Milano 1996, pp. 219-221.134 Lettere e altri documenti, 1976 (vedi n. 47), p. 90: «un quadrogrande in tella bislongo figurato un Ganimede rapito dal aquila diGiove senza cornice, viene dalla scuola di Guido».135 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 283.136 L. Salerno, «The Picture Gallery of Vincenzo Giustiniani», in:The Burlington Magazine, cii, 1960, pp. 27, 103; Pepper, 1988 (vedin. 99), p. 352; C. Vogtherr, «Die Erwerbungen Friedrich Wilhelmsiii. für die Berliner Museen und die königlichen Sammlungen», in:Caravaggio in Preussen. Die Sammlung Giustiniani und die BerlinerGemäldegalerie, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Giustinia-ni/Berlin, Altes Museum, 2001), a cura di S. Danesi Squarzina, Mi-lano 2001, ill. a p. 141.137 A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’ar-te, Venezia s. d. (ma 1973), pp. 136-137, 234; S. Béguin, in: Raphaeldans les collections françaises, catalogo della mostra (Paris, GrandPalais/Musée du Louvre, 1983-1984), Paris 1983, p. 132; Musée Na-tional du Château de Versailles. Les peintures, i, a cura di C. Con-stans, Paris 1995, p. 483: il dipinto, un olio su tavola trasportato sutela, misura 245 × 170 cm ed è documentato in Francia già nel Sei-cento.138 Asta di dipinti dal XV al XVIII secolo, Finarte, Milano, asta 356, 4dicembre 1980, p. 130: il dipinto misura 290 × 176 cm.139 Cavazzocca Mazzanti, 1912 (vedi n. 53), pp. 148-153.140 Old Master Pictures, Christie’s, London, 24 aprile 1998, p. 131.141 F. Pona, Il gran contagio di Verona nel Milleseicento e trenta [InVerona, per Bartolomio Merlo. Stampator camerale, 1631], cit. nel-

la fortuna della pittura italiana, non veneta

l’ed.: F. Pona, Il gran contagio di Verona nel Milleseicento e trenta...,a cura di G.P. Marchi, Verona 1972.142 M. Repetto Contaldo, «Facciate affrescate in piazza delle Erbe:casa Montanari e la spezieria del Pomo d’Oro», in: Atti e Memoriedell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, clxviii,1991-1992, pp. 707-708.143 Pona, 1631, ed. 1972 (vedi n. 141), p. 81.144 Scannelli [1657], ed. 1989 (vedi n. 103), pp. 222, 247.145 E sicuramente anche da interessi culturali e letterari comuni: unapista per approfondire questo aspetto potrebbe venire dal confron-to tra La Maschera iatropolitica, overo Cervello e Cuore Prencipi ri-vali aspiranti alla Monarchia del Microcosmo, opera di FrancescoPona del 1627 [In Venetia, appresso Marco Ginammi], e l’operastessa di Scannelli, in cui il forlivese si ingegna, in analogia con il mi-crocosmo umano, ad organizzare un microcosmo della pittura sullabase dei primi quattro elementi, cioè fegato-Raffaello, cuore-Tizia-no, cervello-Correggio e facoltà generatrice-Veronese.146 Notizie in Repetto Contaldo, 1991-1992 (vedi n. 142), pp. 707-709.147 E non il padre, come opina invece H. Sueur, «I disegni venezia-ni della collezione dei duchi d’Este», in: La pittura veneta negli statiestensi, a cura di J. Bentini, S. Marinelli & A. Mazza, Modena 1996,p. 331.148 G. Chiarini De Anna, «Leopoldo de’ Medici e la sua raccolta didisegni nel ‘Carteggio d’artisti’ dell’Archivio di Stato di Firenze», in:Paragone, xxvi, 1975, n. 307, p. 56.149 A. Mazzi, «La galleria di quadri del canonico Stefano Trentossi»,in: Madonna Verona, viii, 1914, pp. 69-77; Guzzo, 1996 (vedi n.131), pp. 113-116; E.M. Guzzo, «La sacrestia dei canonici nella cat-tedrale di Verona», in: Per Alberto Piazzi. Scritti offerti nel 50° di sa-cerdozio, a cura di C. Albarello & G. Zivelonghi, Verona 1998, pp.193-197.150 M. Repetto Contaldo, «Aggiunte al catalogo di Michelangelo Ali-prandi», in: Arte Veneta, xxxi, 1977, pp. 193-194.151 Pepper, 1988 (vedi n. 99), pp. 245-246.152 Cfr. da ultimo: A. Mazza, «La conversione emiliana di AntonioGiarola», in: La pittura veneta, 1996 (vedi n. 147), pp. 235-258; siveda anche F. Pietropoli, in: Museo Canonicale: restauri, acquisizio-ni, studi, catalogo della mostra a cura di E.M. Guzzo, Verona 2004,p. 61.153 Avena, 1913 (vedi n. 118), pp. 189-206; cfr. anche Rossi, 2001(vedi n. 4), pp. 186-188.154 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 281-309, e Id., 1718 (vedi n. 66),pp. 40-42; Maffei, 1732 (vedi n. 77), coll. 188, 202-275. Cfr. ancheLanceni, 1720 (vedi n. 14), pp. 267-270.155 Cfr. anche Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 66), pp. 40-42, per le colle-zioni Zucco e Guadagni.156 Avena, 1907 (vedi n. 16), pp. 73-86, 109-119, 177-226; Guzzo,1992-1993 (vedi n. 124), pp. 471-528; E.M. Guzzo, «Il patrimonioartistico veronese nell’Ottocento tra collezionismo e dispersioni (se-conda parte)», in: Atti e Memorie dell’Accademia di AgricolturaScienze e Lettere di Verona, clxxii, 1995-1996, pp. 391-478; E.M.Guzzo, «Il patrimonio artistico veronese tra requisizioni napoleoni-che e vicende demaniali», in: A Parigi e ritorno. Codici e incunabolidella Biblioteca Capitolare requisiti dai Francesi nel 1797, catalogodella mostra, Verona 1997, pp. 73-82; Guzzo, 2002 (vedi n. 7), pp.367-418.157 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 289-291; Franzoni, 1979 (vedin. 2), p. 626. Notizie sui maneggi del Bonduri per incrementare lapropria raccolta sono in L. Rognini, «Regesti dei pittori operanti aVerona tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento», in: La pit-tura a Verona, 1978 (vedi n. 18), p. 291 (acquisti di dipinti di DelMoro e Amigazzi nella chiesa dei SS. Giuseppe e Fidenzio, 1689) eM. Lupo, «I Madruzzo e il collezionismo: spunti di studio attraver-so la lettura dei documenti antichi», in: I Madruzzo e l’Europa 1539-1658. I principi vescovi di Trento tra Papato e Impero, catalogo dellamostra (Trento, Museo Castello del Buonconsiglio/Riva del Garda,Chiesa dell’Inviolata, 1993), a cura di L. Dal Prà, Milano/Firenze1993, p. 362 (tentativo fallito di comperare quarantacinque pezzidella collezione Piccolomini allora a Trento, 1709 circa).158 Della cui conoscenza sono grato a Paolo Rigoli, purtroppo re-

enrico maria guzzo

centemente scomparso, che anni fa lo scoperse trasmettendolo alCarrara e agli amici veronesi: i dati sui dipinti fiamminghi sono an-ticipati da Rossi, 2001 (vedi n. 4), pp. 189-193.159 Safarik, 1990 (vedi n. 114), pp. 177-180; Id., in: Domenico Fetti,1996 (vedi n. 133), pp. 222-223.160 G.A. Scalzi, Galleria Tadini. Visita alla Galleria, Lovere 1992, p.50.161 S. Marinelli, «La pittura tra Verona e Mantova», in: Il Seicentonell’arte e nella cultura con riferimenti a Mantova, Atti del Convegnointernazionale di Studi (Mantova, 6-9 ottobre 1983), Milano 1985,p. 75; Safarik, 1990 (vedi n. 114), pp. 207-212.162 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 305-309; Franzoni, 1979 (vedin. 2), pp. 628-630; Rossi, 2001 (vedi n. 4), pp. 197-199. 163 S. Marinelli, in: La pittura a Verona, 1978 (vedi n. 18), pp. 115-117.164 A. Aleardi, Descrizione dei dipinti raccolti dal D.r Cesare Berna-sconi nella sua casa di Verona, Verona 1851, p. 27; C. Ferrari-(L. Ca-petti), Catalogo con stima dei quadri componenti la Pinacoteca di ra-gione del benemerito Cavaliere fu D.r Cesare Bernasconi, 1871, Vero-na, Biblioteca di Castelvecchio, ms. n. 102.165 E.M. Guzzo, «Il patrimonio artistico veronese alla fine del Sei-cento negli appunti del bresciano Francesco Paglia (dal manoscrittoqueriniano A. iv. 9)», in: Civiltà Veronese, n. s., iii, 1990, n. 6, p. 42.166 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 302; Maffei, 1732 (vedi n. 77),col. 188.167 E.M. Guzzo, «Quadrerie barocche a Verona: le collezioni Turcoe Gazzola», in: Studi Storici Luigi Simeoni, xlviii, 1998, pp. 144-152,158-163; sulle presenze fiamminghe cfr. anche Rossi, 2001 (vedi n.4), pp. 208-210.168 Nell’elenco dei dipinti passati ai Bevilacqua infatti si citano la «ca-mera delle cornici nere su la strada», la «camera delle cornici inta-gliate» e la «camera sopra la strada delle cornici dorate»; come si ap-prende da un appunto finale poi, «l’intagliatore delle cornici e dellitavolini a grandi foglie e di grande rilievo con puttini, e aquile inta-gliate con gran gusto secondo lo stile di que’ tempi fu Paolo Peroninel 1611 come in una di quelle stà registrato»: Guzzo, 1998 (vedi n.167), p. 152.169 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 295-299; G. Knox, «The Col-lection of Ercole Giusti at Verona», in: Verona Illustrata, 10, 1997,pp. 23-39; Marinelli, 1999 (vedi n. 18), pp. 135-137. Cfr. anche Fran-zoni, 1979 (vedi n. 2), p. 628, e Rossi, 2001 (vedi n. 4), pp. 204-205.170 Knox, 1997 (vedi n. 169), p. 37.171 C. Thiem, Giovan Gioseffo Dal Sole. Dipinti, affreschi, disegni, Bo-logna 1990, pp. 103, 166-169; Knox, 1997 (vedi n. 169), pp. 36-37;Marinelli, 1999 (vedi n. 18), pp. 135, 140.172 G. Borelli, «Nobili ‘antiquari’ in Terraferma veneta a metà del se-colo xviii», in: Economia e Storia, n.s., v, 1984, n. 3, pp. 335-362.173 A. Avena, «La quadreria di A.M. Lorgna», in: Anton Maria Lor-gna. Memorie pubblicate nel secondo centenario dalla nascita, Verona1937, pp. 177-187.174 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 292-293. Sui rapporti di Mo-sconi con Roma, impliciti nelle lettere scritte al pittore veroneseMatteo Brida, «in tempo che lo stesso S.r Brida s’attrovava como-rante in Roma», si veda E.M. Guzzo, «Francesco Lorenzi a Veronatra Tiepolo e Maffei», in: Francesco Lorenzi (1723-1787). Un allievodi Tiepolo tra Verona, Vicenza e Casale Monferrato, Atti della Gior-nata di Studi (Mozzecane [Verona], Villa Vecelli Cavriani, 16 no-vembre 2002), a cura di I. Chignola, E.M. Guzzo & A. Tomezzoli,2005, pp. 31-32.175 Lanceni, 1720 (vedi n. 14), p. 268.176 Sui primi due si veda G.P. Marchini, «Il collezionismo d’arte aVerona nel Settecento: la pinacoteca Mosconi», in: Studi Storici Ve-ronesi Luigi Simeoni, xxx-xxxi, 1980-1981, pp. 222-249; sul terzo,Guzzo, 1998 (vedi n. 167), pp. 143-167.177 Ibid., p. 154.178 Dalla Rosa [1803-1804], ed. 1996 (vedi n. 7), pp. 268-269.179 Ad esempio Da Persico, 1820-1821 (vedi n. 17), vol. i (1820), p.242, e vol. ii (1821), p. 330, ricorda, oltre al quadro di Luca Gior-dano e alla copia della Notte di Correggio attribuita però a LelioOrsi, opere di Reni, Parmigianino e Giulio Romano; Giro, 1869(vedi n. 117), p. 178, aggiunge alla lista alcuni ceselli attribuiti a Cel-

lini ed un dipinto di Sassoferrato, «ultimamente aggiunto»; di dueopere riferite a Ribera, cioè una «Madonna con Bambino in gloria,abbasso l’artista stesso in atto di ammirazione» ed una «Pesca pro-digiosa» (che sembra però identificabile con il quadro di Giordano),abbiamo notizia dal catalogo dell’esposizione d’arte antica e moder-na tenutasi a Verona nel 1881 (Catalogo degli oggetti, 1881 [vedi n.91], pp. 14, 32).180 D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e architetti veronesi,1831-1834, ed. a cura di G. Biadego, Verona 1891, p. 331.181 A.C. Mariani, Descrizione della Galleria di quadri antichi spettan-te all’ill.mo sig. conte Carlo Gazzola…, 1874, Verona, Biblioteca diCastelvecchio, ms. n., 237.182 Marchini, 1980-1981 (vedi n. 176), p. 235.183 M. Lucco, in: Pinacoteca di Brera. Scuola veneta, a cura di F. Zeri,Milano 1990, pp. 61-63; Anelli, 1996 (vedi n. 132), p. 135.184 Mobili, Dipinti, Arti Decorative, Ceramiche e Argenti, Sotheby’s,Milano, asta MI131, 11-12 giugno 1997, pp. 144-145.185 S. Meloni Trkulja, in: Gli Uffizi. Catalogo generale, a cura di L.Berti, Firenze 1980, p. 1008.186 N. Spinosa, in: Civiltà del ‘700 a Napoli 1734-1799, catalogo dellamostra (Napoli e Caserta, 1979-1980), vol. i, Firenze 1979, p. 178.187 Ringrazio il restauratore Romeo Seccamani per avermeli fatti co-noscere.188 Scritta antica sul retro: «Petro Pao. Rubens Inventor […]»; suldavanti, con grafia moderna, «Piet. Paolo Rubens». È citato nell’in-ventario manoscritto di Mariani (vedi n. 181).189 M. Jaffè, Rubens. Catalogo completo, Milano 1989, p. 281, nn.764-765.190 M. Chiarini, in: Gli Uffizi, 1980 (vedi n. 185), p. 982.191 Anch’esso è citato nel manoscritto di Mariani (vedi n. 181), al nu-mero 253, come «Ritratto di Pietro Rotari, veronese di mez. Fig. di-pinto da lui med. 0,93 × 0,79» (in questo caso la discordanza di mi-sura potrebbe spiegarsi con il fatto che Mariani ha compreso anchequella della cornice). Scritta antica sul retro: «Con.te Pietro Rotari»;sul davanti, con grafia moderna: «Conte Pie. Rotari»; sulla legaturadel quaderno di fogli da disegno tenuto in mano lo stemma della no-bile famiglia veronese dei conti Rotari (E. Morando di Custoza, Ar-moriale veronese, Verona 1976, n. 2316).192 Meloni Trkulja, in: Gli Uffizi, 1980 (vedi n. 185), p. 982; cfr.anche E. Barbarani, Pietro Rotari, Verona 1941, p. 112, e M. Polaz-zo, Pietro Rotari pittore veronese del Settecento (1707-1762), Verona1990, p. 60.193 Barbarani, 1941 (vedi n. 192), p. 108.194 Guzzo, 1998 (vedi n. 167), passim.195 Scritta antica sul retro: «Giuseppe Bottani / Cremonese»; sul da-vanti, oltre alla firma autografa: «Giuseppe Bottani Cremonese»,con grafia moderna.196 Meloni Trkulja, in: Gli Uffizi, 1980 (vedi n. 185), p. 818.197 Scritta antica sul retro: «Gaetano Piattoli / Fiorenti[…]».198 Meloni Trkulja, in: Gli Uffizi, 1980 (vedi n. 185), p. 957. Sul raropittore-ritrattista, allievo di Rivière e di Conti, e marito di Anna Be-cherini Piattoli pure pittrice specializzata nel ritratto, nonché padredel più noto Giuseppe, si veda, in margine al profilo biografico delfiglio, S. Meloni Trkulja, «Piattoli Giuseppe», in: La pittura in Italia.Il Settecento, ried. accresciuta e aggiornata, vol. ii, Milano 1990, p.832.199 Avena, 1913 (vedi n. 118), pp. 189-206.200 Forse si trattava di una replica dell’ovale attualmente presso la Pi-nacoteca Nazionale di Bologna: D. Mahon, in: Il Guercino. Giovan-ni Francesco Barbieri 1591-1666, catalogo della mostra (Bologna eCento, 1991/Frankfurt a. Main, Schirn Kunsthalle, 1991-1992), acura di D. Mahon, Bologna 1991, pp. 314-315.201 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 284: cfr. anche G.P. Marchini,«La pinacoteca Betterle a S. Elena», in: Vita Veronese, xxx, 1977, pp.252-255.202 Franzoni, 1970 (vedi n. 49), pp. 168-171.203 Inventarj di una Galleria Statuaria e Libreria, s.l. e s.d. (ma 1805):per brevità si omettono gli anonimi di scuola bolognese. Sempre perbrevità, non prendo in considerazione in questa sede gli inventarimanoscritti del 1800 e 1805, sostanzialmente identici a parte qual-che discordanza di attribuzione, pubblicati da Franzoni, 1970 (vedi

n. 49), pp. 171-178.204 Si veda supra.205 Si omettono gli anonimi di scuola bolognese: per la pubblicazio-ne integrale del documento, ancora inedito, rinvio allo studio an-nunciato di Mario Carrara.206 Si veda supra.207 Si veda supra.208 Safarik, 1990 (vedi n. 114), pp. 264-266.209 Probabilmente legata alle Vergini della Steccata.210 Per il suo rapporto con la pala di Marcellise si veda supra neltesto.211 Sulla derivazione dipinta dal veronese Sante Prunati per la chie-sa di S. Fermo Maggiore si veda Marinelli, 1999 (vedi n. 80), p. 284.212 Si veda supra.213 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 289-291.214 Vasari, Le Vite..., ed. 1976 (vedi n. 73), p. 187.215 Si veda supra.216 Tisato Premi, 1978-1979 (vedi n. 126), pp. 144-160. Il documen-to, trascritto dalla Tisato Premi con qualche imperfezione, è statocontrollato sull’originale: in questa sede si omettono i numerosi ano-nimi delle scuole di Bologna, Mantova, Modena e Roma.217 Si veda supra.218 Un dipinto raffigurante Marte, Venere e Cupido, pendant di un Er-cole con Onfale, è al castello di Nelahozeves, nella Repubblica Ceca,ma questo tuttavia non presenta l’inserto del cane: F. Frangi, Fran-cesco Cairo, Torino 1998, pp. 287-288.219 Si veda supra.220 Per il suo rapporto col dipinto nella sacrestia di S. Tommaso siveda supra nel testo.221 Si veda supra.222 Forse si trattava di una delle tante redazioni del Gesù Bambinodormiente, su cui cfr. E. Negro & N. Roio, Bartolomeo Schedoni1578-1615, Modena 2000, pp. 91-92.223 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 282-283.224 Si veda supra.225 Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 413-419.226 Avena, 1913 (vedi n. 129), pp. 99-108: si omettono gli anonimidelle scuole di Bologna, Mantova e Roma.227 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 301.228 In realtà, negli inventari del 1723 e 1772 della collezione conser-vata nel palazzo di città, il quadro di Fetti non sembra riconoscibi-le: E.M. Guzzo, «Pitture, sculture e stucchi del Sei e Settecento», in:Villa Carlotti, 1990 (vedi n. 54), pp. 101-106.229 Borelli, 1984 (vedi n. 172), pp. 342-351.230 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 293.231 Campori, 1870 (vedi n. 96), pp. 196-202. Per non appesantire ul-teriormente il presente lavoro, ometto i dati relativi all’inventarioCurtoni conservato a Jesi e pubblicato da Montanari, 1994 (vedi n.57), pp. 44-48.232 Ricorda il dipinto della National Gallery di Londra, di cui non siconoscono notizie anteriori al 1770.233 Forse da mettere in relazione con il dipinto attribuito a Parmi-gianino, o a Gerolamo Bedoli, del Metropolitan Museum di NewYork, a sua volta collegato con la pala di Bedoli già a Viadana e oraa Capodimonte: K. Christiansen, in: Nell’età di Correggio e dei Car-racci. Pittura in Emilia dei secoli XVI e XVII, catalogo della mostra (Bo-logna, 1986/Washington, National Gallery of Art, 1986-1987/NewYork, Metropolitan Museum, 1987), Bologna 1986, pp. 174-176;Chiusa, 2001 (vedi n. 109), p. 212.234 Si veda supra.235 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 305-309.236 Pare trattarsi di una replica del dipinto, già nelle collezioni ro-mane Argenti e Pio, della Pinacoteca Capitolina: L. Laureati, in PierFrancesco Mola 1612-1666, catalogo della mostra (Lugano, MuseoCantonale d’Arte, 1989/Roma, Musei Capitolini, 1989-1990), Mila-no 1989, p. 187.237 Si veda supra.238 Si veda supra.239 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 291-292.240 Da collegare all’Educazione di Amore della National Gallery diLondra: questo, e il seguente, sono ricordati nel 1758 anche da Co-

la fortuna della pittura italiana, non veneta

chin, nel suo Voyage d’Italie (Cochin, ed. 1991 [vedi n. 17], p. 209).241 Per il suo rapporto con la pala di Marcellise si veda supra neltesto.242 Guzzo, 1998 (vedi n. 167), pp. 163-167.243 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 285-287.244 Cfr. anche Cochin, ed. 1991 (vedi n. 17), p. 207.245 Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 419-425.246 Descritto anche da Cochin (Cochin, ed. 1991 [vedi n. 17], p.207), il dipinto sembra collegabile al quadro della National Gallerydi Londra e alle numerose sue repliche oggi note: Pepper, 1988 (vedin. 99), pp. 250-251.247 Luzio, 1913 (vedi n. 48), p. 255.248 Pona, 1620 (vedi n. 27).249 Il dipinto è disperso, tuttavia esiste una tela attribuita a MuzioCesari, figlio maggiore di Giuseppe, che lo potrebbe ricordare (H.Röttgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Un grande pittorenello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Roma 2002,p. 547).250 Si veda supra.251 Si veda supra.252 Come accennato supra, dovrebbe trattarsi di una copia della Ma-donna della Perla.253 Si veda supra.254 Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 401-404.255 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 304-305.256 Si veda supra.257 Così descritti, fanno pensare a repliche, o copie, dei due dipintiora romboidali, ma in origine anch’essi ovali, della Galleria Estensedi Modena.258 Marinelli, 1991 (vedi n. 102), pp. 67-68.259 Forse il prototipo della tela di Bassetti a Castelvecchio, o forsequest’ultima stessa tela; si veda supra.260 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 295-299.261 Si veda supra.262 Si veda supra.263 Si veda supra.264 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 66), pp. 41-42; si veda anche supra.265 Avena, 1937 (vedi n. 173), pp. 185-187.266 Si veda supra.267 Cavazzocca Mazzanti, 1912 (vedi n. 53), pp. 148-153.268 Si veda supra.269 Conforti Calcagni, 1988 (vedi n. 82), pp. 40-43.270 Moscardo, 1672 (vedi n. 22), pp. 468-471.271 Il dipinto ricorda il Cristo Bambino Salvatur Mundi donato dalduca di Urbino a papa Clemente viii e perduto, noto per la copiadell’Art Gallery di Glasgow: H. Olsen, Federico Barocci, Copenha-gen 1962, p. 53.272 Forse identificabile con il piccolo dipinto ora conservato nel LosAngeles County Museum of Art di Los Angeles: C. Gould, in: Nel-l’età di Correggio e dei Carracci, 1986 (vedi n. 233), p. 100.273 Evidentemente si tratta dell’ennesima replica del dipinto delleGallerie dell’Accademia di Venezia.274 Si veda supra.275 Moscardo, 1672 (vedi n. 22), pp. 472-473.276 Forse identificabile con il foglio del Louvre di Parigi, a sua voltapreparatorio per un riquadro della Camera dei Venti di Palazzo Te:K. Oberhuber, Giulio Romano pittore e disegnatore a Mantova, in:Giulio Romano, 1989 (vedi n. 5), p. 157.277 La sua descrizione rimanda, in modo molto puntuale, al disegnodi Parmigianino del Louvre (D. Degrazia, Correggio e il suo lascito.Disegni del Cinquecento emiliano, catalogo della mostra [Washing-ton, National Gallery of Art/Parma, Palazzo della Pilotta, 1984],Parma 1984, pp. 156-158) che però, essendo documentato in Fran-cia già nel 1671, non può essere identificato con quello presente nel-l’inventario Moscardo del 1672, che sarà stato una sua variante.278 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 287-289.279 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 292-293. Per il suo carattere par-ziale, e la data inoltrata, si sorvola sull’elenco dei primi anni dell’Otto-cento pubblicato da Marchini, 1980-1981 (vedi n. 176), pp. 222-249.280 Campori, 1870 (vedi n. 96), pp. 178-192.281 Identificabile non tanto con l’Autoritratto di Sofonisba di Lancut,

enrico maria guzzoquanto con la replica di bottega, da attribuire ad una delle sorelleAnguissola, della collezione Zeri, anche a motivo in quest’ultimadella citazione nella scritta in alto di «sophonisba puelle»: R. Sac-chi, in: Sofonisba Anguissola e le sue sorelle, catalogo della mostra(Cremona, 1994/Wien e Washington 1995), Milano 1994, pp. 198-201.282 Replica o copia del Giove e Antiope della National Gallery diLondra.283 Si veda supra.284 Si veda supra.285 Si veda supra.286 Identificabile, per come viene descritto, con una delle due com-posizioni reniane documentate dalle redazioni autografe di Dresda:Pepper, 1988 (vedi n. 99), p. 284.287 Identificabile con una delle tante repliche del dipinto oggi a Vien-na.288 Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 404-412.289 Anche in questo caso, relativo al breve elenco dei «Quadri che siritrovano nello Studio delle Medaglie stimati dal sig.r Pietro Perotti»in calce al ms. 924, non datato ma del secolo xviii (il pittore PietroAntonio Perotti visse tra il 1712 e il 1793), della Biblioteca Civica diVerona, contenente l’Index generalis numismatum di casa Muselli,rinvio a Guzzo, 2004 (vedi n. 59), pp. 405-406, 412.290 Presumo che questo «Lamidani» sia identificabile con il pittoredi Parma noto per la produzione derivata dai modelli del modeneseSchedoni.291 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 299-300: su Antonio Odoli cfr.anche Repetto Contaldo, 1999 (vedi n. 15), p. 37.292 Repetto Contaldo, 1991-1992 (vedi n. 142), p. 708.293 Si veda supra.294 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), pp. 294-295.295 Sul veronese Giacomo Locatelli si veda R. Brenzoni, «GiacomoLocatelli pittore veronese della prima metà del xvii secolo allievo diGuido Reni», in: Scritti di Storia dell’Arte in onore di Mario Salmi,vol. iii, Roma 1963, pp. 343-349.296 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 283.297 Mazzi, 1914 (vedi n. 149), pp. 70-71.298 Ibid., pp. 75-77.299 In realtà opera del veronese Michelangelo Aliprandi: si vedasupra.300 Si dovrebbe trattare di un pittore di Brescia, e comunque cono-sciuto per notizie relative a quella città: una pala firmata e datata1662 è nella parrocchiale di Azzano Mella (P. Guerrini, «Elencodelle opere d’arte della diocesi e della provincia di Brescia», in:Brixia Sacra, xi, 1920, p. 15); una Messa di san Gregorio Magno, purefirmata, è invece in una collezione privata (P.V. Begni Redona, in: Lapittura del ’600 in Valtrompia. Restauri e proposte di restauro, cata-logo della mostra [Brescia, Villa Glisenti e Villa Carcina, 1994], acura di C. Sabatti, Brescia 1994, pp. 216-217); il suo nome è inoltrericordato in un inventario della collezione Lechi, per un disegno raf-figurante il Serpente di bronzo (F. Lechi, I quadri delle collezioniLechi in Brescia. Storia e documenti, Firenze 1968, p. 81). Se la cita-ta Messa di san Gregorio rinvia all’ambito tardo-palmesco dello Za-niberti, un Alessandro e Diogene del Museo Canonicale, identifica-bile con il dipinto già Trentossi, rivela un deciso aggiornamento cro-matico in direzione di Carpioni.301 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 13), p. 302.302 Si veda supra.303 Guzzo, 1998 (vedi n. 167), pp. 158-163.304 Si veda supra.305 Si veda supra.306 Gli ultimi due ricordano i dipinti pubblicati in R. Pallucchini, Lapittura veneziana del Seicento, Milano 1981, figg. 730, 746.307 Dal Pozzo, 1718 (vedi n. 66), pp. 40-41.308 Sull’artista cfr. anche A. Colombi Ferretti, «La natura morta a Bo-logna e in Romagna», in: La natura morta in Italia, a cura di F. Por-zio, Milano 1989, p. 510.