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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI KORE DI ENNA DOCENTE: PROF. NICOLA MALIZIA
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI KORE DI ENNA
DOCENTE: PROF. NICOLA MALIZIA
MOBBING E TERRORISMO PSICOLOGICO
Una prima spiegazione:
Il termine Mobbing, inglese, letteralmente indica "l'assalto di un gruppo ad un
individuo"; per gli studiosi del comportamento animale è "l'esclusione di un
individuo dal suo branco"; in medicina del lavoro indica una violenza psicologica,
talvolta anche fisica, perpetrata sul posto di lavoro che a poco a poco diventa
insopportabile: si comincia con un saluto negato, battute che sono insulti, scherzi
troppo pesanti, i colleghi ti ignorano o ti guardano male, i capi sono insoddisfatti, il
lavoro non gira, l'ansia di sbagliare fa sbagliare di più, l'insofferenza rende
improduttivi ed insopportabili.
Insomma, il Mobbing è una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul
posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte dei colleghi o dei datori di lavoro
per eliminare una persona che è o è divenuta scomoda, distruggendola
psicologicamente e socialmente, in modo da provocarne il licenziamento o da indurla
alle dimissioni senza che ci sia un caso sindacale: esistono vere e proprie strategie
aziendali messe in atto a questo scopo.
Altre forme che il Mobbing può assumere vanno dalla semplice emarginazione alla
diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione,
dall'assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell'immagine
sociale nei confronti dei clienti e superiori; nei casi più gravi si può arrivare anche al
sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali.
Il Mobbing ha conseguenze di portata enorme: causa problemi psicologici alla vittima
che accusa disturbi psicosomatici e depressione, ma anche danneggia sensibilmente la
struttura lavorativa stessa che nota un calo significativo della produttività negli ambiti
in cui qualcuno è "mobbizzato" dai colleghi.
La statistica
Secondo le prime ricerche in Italia oggi soffrono di Mobbing oltre 1 milione di
lavoratori.
L’atteggiamento vessatorio, il terrorismo psicologico esercitato sistematicamente dai
colleghi per svuotare di valore il lavoro della vittima fino al vero e proprio
maltrattamento, caratterizzato da continui atteggiamenti manifesti di aggressività,
insolenza, offesa, ostilità ha lo scopo della distruzione psicologica e sociale di una
persona, fino al punto di costringerla a licenziarsi.
La derivazione del termine
Il termine deriva dal verbo inglese to mob, ledere, più propriamente accerchiare.
L’assalto delle orde. Infatti rimanda all’atteggiamento di prepotenza del branco verso
la vittima, per costringerla alla fuga.
Chi lo subisce
La vittima ha generalmente fra i 40 e i 50 anni di età (e questo aiuta a capire la
differenza fra mobbing e precarietà del lavoro, fenomeno del tutto diverso, che
attanaglia ventenni e trentenni). «Sono persone arrivate ad un accettabile livello
professionale, che vivono un isolamento che sentono ancor più ingiustificato. Lo
stress si moltiplica.
I primi studi sul mobbing
Il primo a parlare di mobbing quale condizione di persecuzione psicologica
nell'ambiente di lavoro è stato alla fine degli anni '80 lo psicologo svedese Heinz
Leymann che lo definiva come una comunicazione ostile e non etica diretta in
maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo
che è progressivamente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa
e lì relegato per mezzo di ripetute e protratte attività mobbizzanti.
Altre definizioni
a) "Il mobbing è una situazione di comunicazione non etica caratterizzata dalla
ripetizione, nei lunghi periodo, da parte di una o più persone, di comportamenti ostili
diretti sistematicamente contro un individuo che sviluppa, come reazione, gravi
problemi fisici o psicologici. esso costituisce un processo di distruzione che può
comportare l’invalidità permanente, ovvero la morte della vittima."
b) "Il terrore psicologico o mobbing lavorativo consiste in una comunicazione ostile e
non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente
contro un singolo che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di
appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste
azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (definizione statistica: almeno
una alla settimana) e su un lungo periodo di tempo (definizione statistica: una durata
di almeno sei mesi)."
c) "Il mobbing è un sistema di organizzazione produttiva dell'attività umana,
consistente in una successione di episodi traumatici correlati l'uno con l'altro e aventi
come scopo l'indebolimento delle resistenze psicologiche e la manipolazione della
volontà del soggetto mobbizzato."
d) "Una pratica persistente di danni, offese, intimidazioni o insulti, abusi di potere o
ingiuste sanzioni disciplinari che induce in colui contro il quale è indirizzata
sentimenti di rabbia, minaccia, umiliazione, vulnerabilità, che mina la fiducia in sé
stesso e può causare malattie da stress."
Inquadrare il mobbing
- e’ una violenza psicologica;
- e’ intenzionale nella maggior parte dei casi;
- avviene sul luogo di lavoro;
- di solito sono più persone coalizzate contro un singolo;
- non è necessariamente circoscritto all’ambito di lavoro (anche a scuola, in casa o in
caserma);
- non è sempre intenzionale (a volte è provocato da conflitti di personalità e da
emotività incontrollabile);
- può tradursi anche una violenza "materiale" (danni fisici, aggressioni, vandalismo);
- di solito, si tratta di un evento singolo (e non un insieme di comportamenti);
- puo’ caratterizzarsi per altre condotte come molestia sessuale, discriminazione
razziale, minaccia;
- si concentra su un soggetto"debole" o a rischio.
Rientra a volte tra le strategie aziendali
Spesso, si configura come una vera e propria strategia aziendale di riduzione,
ringiovanimento, razionalizzazione del personale.
Il mobbing in Italia
In Italia si inizia a parlare di mobbing solo negli anni '90 e viene comunemente
definita"una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso
comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori" attuati
in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno sei mesi. In seguito
a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di
estremo disagio che cronicizzandosi si ripercuote negativamente sul suo equilibrio
psico-fisico.
La vittimologia
La più ampia categoria di persone sottoposte a mobbing risulta composta da
impiegati con poco potere e con situazioni economiche incerte - quelli che non
possono permettersi di perdere il lavoro e perciò non possono sottrarsi alla
persecuzione - rari - i casi di dirigenti mobbizzati, perché di solito le vittime
occupano posizioni inferiori nell'organigramma aziendale.
Le fasi del mobbing
1) Segnali premonitori: fase breve e sfumata nella quale si appalesano le "anomalie"
dinamico-relazionali tra la vittima e i colleghi o il superiore. Tali screzi si
scatenerebbero in seguito a cambiamenti nel normale ritmo lavorativo quali ad
esempio per una nuova assunzione oppure in seguito ad una promozione. Iniziano le
prime critiche e i primi rimproveri.
2) Mobbing e stigmatizzazione: si rende manifesto il comportamento mobbizzante
attraverso incalzanti e reiterati attacchi nei confronti della vittima al fine di
screditarne la reputazione, isolarla dal contesto lavorativo, dequalificarla
professionalmente e, attraverso continue critiche e richiami, demotivarla
psicologicamente.
3) Ufficializzazione del caso: la vittima denuncia le vessazioni, ma viene
colpevolizzata dai suoi "persecutori" che la considerano responsabile, a causa del suo
modo di essere, della situazione che si è venuta a creare. Allontanamento: è la fase
conclusiva dell'azione mobbizzante che culmina con il completo isolamento della
vittima che inizia a manifestare depressione del tono dell'umore e somatizzazioni. Il
lavoratore è stremato e, non riuscendo a trovare una soluzione al problema, sceglie la
strada delle dimissioni volontarie quale estremo tentativo di salvezza.
Le manifestazioni del mobbing
- impedire al lavoratore di esprimersi;
- isolare il lavoratore (privandolo dei mezzi di comunicazione: telefono, computer,
posta, etc);
- bloccare il flusso d'informazioni necessarie al lavoro;
- estrometterlo dalle decisioni;
- impedire che gli altri lavoratori gli rivolgano la parola;
- negare la sua presenza;
- comportarsi come se il mobbizzato non ci fosse;
- trasferirlo in luoghi isolati o distanti (che lo obblighino a tragitti faticosi, etc.);
- screditare il lavoratore attraverso attacchi contro la sua reputazione (ridicolizzarlo,
umiliarlo, attaccare le sue convinzioni religiose, sessuali, morali, calunniare membri
della sua famiglia);
- ridurre la considerazione di sé del lavoratore (privarlo degli status symbol;
- attribuirgli incarichi inferiori o superiori alle sue competenze;
- simulare errori professionali;
- avanzare continue critiche alle prestazioni o alle sue capacità professionali, anche di
fronte a soggetti esterni, ma anche critiche soggettive;
- applicare sanzioni amministrative senza motivo apparente e senza motivazioni;
- affidare compiti volutamente confusi, contraddittori e/o lacunosi;
- mettere in atto azioni di sabotaggio, etc;
- compromettere il suo stato di salute (diniego di periodi di ferie o di congedo,
attribuzione di mansioni a rischio o con turni massacranti etc);
- imporre cambio di mansioni;
- operare violenza o minacce di violenza.
Molte delle azioni, sopra elencate, se isolate e non ripetute, possono avere luogo
anche in condizioni normali, ed essere dettate da cause contingenti. Si parla, però, di
mobbing quando una o più di queste azioni diviene sistematica e ripetuta nel tempo.
Spesso, le pressioni e violenze operate hanno lo scopo di indurre nelle vittime del
mobbing reazioni "irragionevoli" che possono essere utilizzate al fine di promuovere
contro di loro azioni disciplinari (fino al licenziamento).
Tipologie di mobbing
Bossing: viene messo in atto dal diretto superiore o dai vertici dell'ente; si tratta di
un’azione compiuta dall'azienda o dalla direzione del personale nei confronti di
dipendenti divenuti scomodi. Si tratta dunque di una strategia aziendale di riduzione,
ringiovanimento o razionalizzazione degli organici (detto anche mobbing
pianificato);
Mobbing orizzontale: viene messo in atto da colleghi pari grado;
Mobbing verticale: viene messo in atto da colleghi di grado superiore ma anche
inferiore;
Doppio Mobbing: si realizza quando il mobbizzato carica la famiglia di tutte le sue
problematiche. Ad una prima fase di comprensione dei familiari segue una
condizione di distacco che, quando la situazione si aggrava, porta ad un ulteriore
isolamento dell'individuo;
Mobbing individuale: quando oggetto è un singolo lavoratore;
Mobbing collettivo: quando colpiti da atti discriminatori sono gruppi di lavoratori (si
pensi alle ristrutturazioni aziendali, prepensionamenti, cassa integrazione etc.);
Co-mobber: coloro che affiancano il Mobber o partecipano senza intervenire
personalmente ma solo acconsentendo;
Mobbing trasversale: messo in atto da persone al di fuori dell'ambito lavorativo che,
in accordo con il Mobber, creano ulteriore emarginazione e discriminazione nei
confronti della vittima quando questi cerca appoggio o cerca di farsi apprezzare;
Mobbing di tipo verticale: quando la violenza psicologica viene posta in essere nei
confronti della vittima da un superiore (nella terminologia anglosassone questa forma
viene anche definita bossing o bullying);
Bullyng: indica forme di terrorismo psicologico esercitate non esclusivamente sul
posto di lavoro ma che possono avvenire a scuola, a casa, nelle carceri e in caserma;
significa "comandare facendo prepotenze e tiranneggiando nei confronti dei
sottoposti"; non è necessariamente intenzionale può essere provocato da conflitti di
personalità e da emotività incontrollabile, la violenza può essere anche di tipo
materiale sulla vittima comprendendo danni fisici, aggressioni e vandalismo.
Mobbing dal basso sia individuale che collettivo: quando viene messa in
discussione l'autorità di un superiore;
Mobbing esterno: la vittima è il datore di lavoro che subisce pressioni attuate sotto
forma di minacce di denuncia per comportamenti mobbizzanti, sia da parte di
organizzazioni sindacali che da dipendenti con velleità carrieristiche.
La sintomatologia nelle vittime
Si manifesta in genere con sintomatologie ansioso-depressive e disturbi
dell'adattamento o psicosomatici, ( insonnia, colite, debolezza, disturbi fisici,
ecc.),ecc. Nelle situazioni più gravi, può assumere la sindrome del disturbo post-
traumatico da stress; Questo disagio ha anche gravi conseguenze sociali ed
economiche sulla collettività(costi per assenza dal lavoro, malattia, ecc.) oltre che
sulla persona che lo subisce e sulla famiglia (perdita economica, spese legali ecc.).
Tra le cause vi sono fattori sociali ed economici generali, che determinano un clima
di timore a perdere il posto di lavoro e a non trovarlo facilmente e predisposizioni
individuali da accertare o traumi precedentemente subiti.
Le possibili cure per le vittime e l’informazione necessaria
La persona ha necessità, bisogno di parlarne con un esperto per orientarsi sul
percorso da seguire, avere sostegno psicologico e riabilitazione al lavoro. In casi
gravi oltre all'intervento psicologico, necessita l'intervento medico, con supporto
psicoterapeutico. Non deve prendere decisioni impulsive, affrettate (es. licenziarsi,
ecc) sotto la pressione o il dubbio o la paura.
Occorre che acquisisca prima adeguate informazioni presso esperti sia di carattere
sindacale e legale che di carattere medico e psicologico. non autocolpevolizzarsi
- non restare passivo, anzi reagire agli atti mobbizzanti in maniera adeguata ma
ovviamente nei “dovuti modi”:
1) prendere nota e acquisire le prove di ciascun atto o comportamento mobbizzante;
2) curare l’eventuale stato patologico insorto e conservare la relativa documentazione
medica; b) valutare bene la propria condizione di mobbizzato “effettivo”;
3)cercare di discutere della situazione per trovare una soluzione- non abbandonare il
posto di lavoro.
L’inizio delle azioni mobbizzanti
1) La condizione “ zero”:
si tratta di una pre-fase normalmente presente in Italia ma sconosciuta nella
cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una tipica
azienda italiana è conflittuale. Si tratta di conflitto generalizzato, che vede tutti
contro tutti e non ha una vittima definita: diverbi d'opinione, discussioni e piccole
accuse reciproche.
2) Il conflitto mirato:
si individua una vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il
conflitto fisiologico prende una direzione, l'obiettivo è quello di distruggere
l'avversario, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro ma si sposta verso
argomenti privati.
3) L'inizio del mobbing:
la vittima inizia ad avere un senso di disagio e fastidio, percepisce un
inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata ad interrogarsi su tale
mutamento.
4) Primi sintomi psico-somatici:
la vittima manifesta i primi problemi di salute e questa situazione può protrarsi per
lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza,
l'insorgere dell'insonnia e problemi digestivi.
5) La fase “ pubblica”:
il caso Mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di
valutazione da parte dell'ufficio del Personale. Diventano più frequenti le assenze
per malattia, l'Amministrazione del Personale si insospettisce, inizia ad indagare
invia richiami disciplinari alla vittima.
6) Serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima:
Il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione, di solito soffre di forme
depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo
un effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad
aggravarsi. Gli errori da parte dell'amministrazione sono di solito dovuti alla
mancanza di conoscenza del fenomeno Mobbing e delle sue caratteristiche; infatti,
i provvedimenti adottati sono pericolosi per la vittima, poiché si convincerà di
essere essa stessa la causa di tutto e di vivere in un mondo di ingiustizie dove non
può far nulla precipitando ancora di più nella depressione.
7) Esclusione dal mondo del lavoro:
Questa fase implica l'uscita della vittima dal mondo del lavoro tramite dimissioni
volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento e anche ad esiti traumatici
quali il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l'omicidio o la vendetta sul
mobber.
Particolarità del doppio mobbing – il ruolo della famiglia del mobbizzato
Questo fenomeno è legato al ruolo particolare che la famiglia ricopre nella società
italiana. In Italia il legame tra individuo e famiglia è molto forte: la famiglia partecipa
attivamente alla definizione sociale e personale dei suoi membri, si interessa del loro
lavoro, della loro realizzazione e dei loro problemi. La vittima di una situazione di
Mobbing tende a cercare aiuto e consiglio a casa. Qui sfogherà la rabbia,
l'insoddisfazione o la depressione che ha accumulato durante la giornata lavorativa. E
la famiglia assorbirà inevitabilmente tutta questa negatività, cercando di dispensare al
suo componente in crisi, aiuto, comprensione, rifugio dai problemi: la crisi porterà
necessariamente a uno squilibrio dei rapporti, ma la famiglia ha più risorse del
singolo e riuscirà a tamponare la falla. Il Mobbing è uno stillicidio di persecuzioni,
attacchi e umiliazioni che perdura nel tempo, e alla lunga è devastante. La vittima
trasmette la propria sofferenza al coniuge, ai figli, ai genitori il più delle volte per
anni. illogorìo attacca la famiglia che resisteràper un certo tempo finchè le risorse
saranno esaurite ed anch'essa entra in crisi: la famiglia è satura. Se questo avviene la
situazione della vittima di Mobbing crolla. La famiglia protettrice cambia
atteggiamento, cessando di sostenere la vittima e cominciando a proteggersi dalla
forza distruttiva del Mobbing. La vittima diventa una minaccia per l'integrità e la
salute del nucleo familiare, che ora pensa a proteggersi prima, ed a contrattaccare poi.
Naturalmente si tratta di un processo inconscio: nessun membro sarà consapevole di
non aiutare più il familiare. Il doppio Mobbing è la situazione in cui la vittima è
bersagliata sul posto di lavoro e per di più privata della comprensione e dell'aiuto
della famiglia.
La psicologia del Mobber
Nella psicologia del mobber emerge uno spiccato egocentrismo con ammirazione
incondizionata per sé e scarsa capacità empatica, oltre alla tendenza a scaricare sui
colleghi qualunque errore o negligenza
Si riscontrano in tali soggetti, soventemente, le seguenti patologie:
DISTURBO DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE: mancata accettazione delle
norme sociali, disonestà, impulsività, mancanza di empatia per gli altri,
irresponsabilità, mancanza di rimorso. Spesso il disturbo antisociale è la conseguenza
di un disturbo della condotta iniziato prima dei quindici anni.
PERSONALITA’ PARANOICA: sospetto infondato che gli altri vogliano
procurare danni o sfruttare, riluttanza a confidarsi, diffidenza verso la lealtà delle
persone vicine, travisamento della realtà, mancanza di perdono per dubbie offese
ricevute.
DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’: sentimento di superiorità
rispetto agli altri, desiderio costante di ammirazione, scarsa empatia, fantasie
sconfinate di successo, esagerazione delle proprie qualità.
DISTURBO BORDERLINE: relazioni instabili, sensazione di vuoto, senso di
abbandono, incapacità di controllare la collera, comportamenti autolesionisti,
mutamenti ricorrenti di umore, spese impulsive di denaro, comportamenti rischiosi.i i
è necessario sottolineare che allo stato attuale delle conoscenze si tratta solo di
ipotesi.
Le malattie del mobbizzato
«Dall'ansia, all'insonnia, a disturbi dell'apparato digestivo, a dolori ai muscoli e alle
ossa, sino alla disistima che può portare a tentativi di suicidio. Nessun apparato si
salva».
Ci sono persone che diventano rabbiose o iperattive, molto irritabili e litigiose, poi
tutto questo sfocia in una depressione.
È importante operare una differenziazione tra il Mobbing psicosociale ed i conflitti
interpersonali. Occorre tener presente che negli uffici una certa dose di conflitto
interpersonale può essere funzionale alle relazioni tra colleghi.
Nel Mobbing, come in guerra, se per mantenere la pace è necessaria la cooperazione
di entrambe le parti, per fare la guerra basta l'intenzione di una sola delle due. Può
succedere che uno dei due contendenti non si accorga di essere "in guerra". La
vittima è spesso all'oscuro delle macchinazioni ai suoi danni perché le strategie
mobbizzanti sono indirette e subdole. La persona che le subisce ha un'enorme
difficoltà nel comprendere ciò che le sta accadendo. Le azioni possono essere palesi e
violente, quando ci sono aggressioni verbali e fisiche, urla, commenti palesi alla sfera
sessuale o privata. Come in guerra così anche nel Mobbing un ruolo fondamentale è
ricoperto dalle terze persone che assistono al fenomeno: i cosiddetti spettatori. Nessuna situazione di Mobbing può restare inavvertita da questi cosiddetti spettatori:
la sua portata è troppo pregnante perché non venga in qualche modo percepita. Di
conseguenza, anche gli spettatori del Mobbing ne sono coinvolti: possono fare da
semplice sfondo oppure parteggiare apertamente per una delle due parti. Questi
personaggi vengono identificati rispettivamente con gli appellativi di co-mobber
(coloro i quali sostengono e rafforzano le azioni dei mobber) e di side-mobber che
sono persone più creative e non si limitano ad appoggiare le azioni mobbizzanti, ma
ne attuano a loro volta di nuove. I motivi per cui un mobber decide di iniziare una
guerra sul lavoro sono praticamente infiniti: per ambizione, per sete di carriera, per
invidia, per incompatibilità di carattere, per divertimento; e molti altri ancora.
Proseguendo nell'analogia con la guerra, si può individuare un denominatore comune
tra tutte le possibili motivazioni del Mobbing: rendere l'altro inoffensivo, ossia
costringerlo in una posizione di debolezza e inoffensività.
Di fronte ad una persona privata di ogni possibilità di difesa l'aggressore può
permettersi di agire e di comportarsi come preferisce. Nella guerra sul lavoro la
posizione peggiore è la completa incapacità di difendersi e reagire. Raggiunto questo
stadio il mobbizzato è preda della più profonda disperazione e normalmente è già
soggetto a malattie psicosomatiche e crisi depressive. Il mobber ottiene la sua
vittoria: la vittima si dimette dal posto di lavoro.
Psicodiagnostica del Mobbing
• La maggior parte dei casi di mobbing vengono invece diagnosticati come:
• disturbo da stress post-traumatico
• disturbo d’ansia generalizzato
• disturbo da stress prolungato;
• sindrome di affaticamento cronico
• burn-out;
• disturbo dell’adattamento
Distinzione tra paranoia ed ipervigilanza
Innanzitutto è bene descrivere le differenze tra la persona paranoica e la persona
mobbizzata. Tim Field è stato il primo a fare questa distinzione e a distinguere tra
danno psichico e instabilità mentale nell’ambito del mobbing. Per Field la paranoia è
duratura, l’ipervigilanza tende a diminuire gradualmente o addirittura a scomparire in
mancanza delle cause che l’hanno prodotta. Il paranoico non ammette di essere
paranoico, mentre invece la persona mobbizzata molto spesso esprime il timore di
essere paranoica. La persona paranoica ha deliri di grandezza e le frustrazioni
possono indurre ad un aggravamento della situazione, mentre la persona mobbizzata
ha uno scarso livello di autostima. Il mobbizzato soffre di continui sensi di colpa e di
vulnerabilità, prova sensazioni di vergogna e di inadeguatezza, invece il paranoico
non ha questi sintomi. Infine la persona paranoica spesso sostiene che il persecutore è
sconosciuto, il mobbizzato invece spesso non è consapevole di essere stato
perseguitato.
Disturbo post-traumatico da stress La persona rivive l’evento tramite ricordi angosciosi, incubi, flashback dissociativi.
Secondo il DSM IV il disturbo post-traumatico da stress può essere acuto (con
sintomi che durano meno di tre mesi), cronico (con una durata superiore ai tre mesi),
oppure può essere ad esordio ritardato (se i sintomi si manifestano almeno 6 mesi
dopo l’evento stressante).
Kindling
Tornando alla diagnosi di mobbing viene da pensare come mai un mobbizzato
presenti sintomi simili ad una persona che è sopravvissuta ad un trauma come per
esempio ed incidente automobilistico, evento con una intensità enorme, ma di breve
durata, nei casi di mobbing invece abbiamo quel che gli psichiatri americani
chiamano KINDLING ( bruciare lento, prendere fuoco a poco a poco), ovvero un
ripetersi continuo di microtraumi che possono portare alla citata patologia.
Si distingue dal PTSD principalmente per il fatto che il disturbo da stress prolungato
causato da mobbing prevede la perdita del lavoro e la comparsa di problemi di coppia
o coniugali o familiari.
Inoltre, il PDSD prevede la comparsa di attacchi di panico e palpitazioni. Il PDSD
quindi sarebbe diagnosticabile a lavoratori che sono stati sottoposti al mobbing per un
periodo di tempo maggiore.
Disturbo d’ansia generalizzato
Il disturbo d’ansia generalizzata presuppone una preoccupazione eccessiva e costante.
I soggetti vivono in uno stato continuo di ipervi gilanza e di inquietudine. Tra i
sintomi inoltre uno stato elevato di tensione fisica, caratterizzato da vari dolori
muscolari. Il GAD, in altre parole, provoca sia sintomi fisici che psicologici, i
soggetti possono soffrire di secchezza delle fauci, cefalea, vertigini, formicolii. La
caratteristica principale di questa sindrome è che l’intensità, la durata, la frequenza
dell’ansia e dell’apprensione sono eccessive rispetto al reale impatto degli eventi.
Sindrome da affaticamento cronico Si tratta di un affaticamento cronico legato ad una caduta provvisoria delle difese
immunitarie. Su questa sindrome si sta ancora ricercando: alcuni ricercatori stanno
cercando di analizzare gli aspetti depressivi di questo disturbo, alcuni ritengono
perfino che sia “una depressione mascherata”, perché esistono delle analogie tra la
sindrome da affaticamento cronico e la depressione grave.
Burn-out
E’ un esaurimento caratterizzato in particolar modo da apatia, stanchezza,
indifferenza nei confronti degli altri, mancanza di motivazione e perdita di
coinvolgimento nel proprio lavoro. Possiamo considerare questa sindrome uno stato
psicologico di un professionista che prima riversava le sue forze interamente nel
proprio lavoro, e a seguito di stress e di difficoltà organizzative poi si disimpegna. Il
burn-out si distingue dal disturbo post-traumatico per il contesto in cui è maturato il
disturbo, per i fattori scatenanti.
Criminologie del mobbing
Caratteristiche dell’associazione a delinquere
• Il gruppo dei mobbizzanti è delineato e stabile;
• Sono frequenti e reiterate le azioni illegali;
• c’è piena coscienza e condivisione ideologica da parte dei componenti del
gruppo delle azioni illegali commesse;
• c’è una chiara intenzione di danneggiare;
I crimini sul posto di lavoro
I crimini maturati nell’ambiente di lavoro, tranne che nei casi particolarmente
eclatanti (es. gli omicidi), sono spesso caratterizzati da ridotta evidenza e da elevato
numero oscuro poiché, sovente, sulla loro denuncia interferisce la logica aziendale,
sia da parte del datore di lavoro (o del superiore gerarchico) che da parte del
dipendente/sottoposto.
Numero oscuro
Un datore di lavoro può ad esempio trovare convenienza nel non denunciare il furto
subito (commesso da un dipendente) per non evidenziare la fragilità della sua azienda
nell’ambito della sicurezza (e quindi dell’affidabilità), mentre un dipendente può
tacere sull’inadempienza alla legge 626 o su molestie sessuali subite per non perdere
il posto di lavoro o semplicemente per non subire “rallentamenti” nella carriera. Si
tratta quindi di un ambito criminologico particolarmente complesso e connotato
spesso da “toni di grigio” e situazioni sfumate.
Gli autori di tali crimini tendono a distaccarsi dallo stereotipo del criminale di strada
appartenendo a volte anche alle classi sociali più agiate.
La letteratura criminologica sottolinea come le caratteristiche sociali e psicologiche
di molti autori di crimine nell’ambito dei luoghi di lavoro siano molto distanti dai
modelli che si configurano normalmente nello street-crime e nelle forme
delinquenziali classiche.
Mobbing e mass-murderer
Attraverso l’analisi del fenomeno del mass murder - e in particolare degli eventi di
omicidi di massa avvenuti nei luoghi di lavoro a danni di colleghi, capi-ufficio e
semplici utenti, per opera di disgruntled workers, ovvero di “lavoratori scontenti” a
seguito di licenziamento o insoddisfatti a causa di frustrazioni legate, del tutto o in
parte, all’ambito del lavoro - e del fenomeno del mobbing è stato possibile rilevare
rapporti di consequenzialità tra i due fenomeni: il mass murder si configurerebbe
come l’estrema conseguenza del mobbing. Il “terrorismo psicologico” sarebbe, cioè,
dietro al “terrorista sociale”. Dopo aver subito gli effetti devastanti di una “guerra sul
posto di lavoro”, che si è conclusa con la sua estromissione dal contesto lavorativo, il
soggetto mobbizzato può arrivare a provare sentimenti di fallimento, di rifiuto e un
senso di esclusione dalla società da cui si sente tagliato fuori, fino a portarlo a
provare un irrefrenabile desiderio di vendetta contro gli oppressori e a manifestare
reazioni aggressive distruttive, trasformandolo in un mass murderer.
Patologie sociali
Il mobbing e il mass murder sono patologie sociali, figlie della nostra epoca, delle
società del Primo Mondo e del “capitalismo del caos” e rientrano nelle cosiddette
“patologie della normalità”, causate da reazioni individuali (spesso abnormi) al
disagio, allo stress e alla frustrazione, in una dimensione sociale caratterizzata
dall’indebolimento e dalla perdita di ruolo di alcuni tradizionali attori della
mediazione sociale, quali la famiglia, le istituzioni, i sindacati. La motivazione più
comune dietro al loro agire sembra essere un senso di rabbia e un desiderio di
vendetta, sia contro la società che contro l’autorità costituita, vissuta da questi
soggetti come imposizione, come dispotica. L’atto di distruggere gli altri e sè stessi
potrebbe, quindi, rappresentare un modo irragionevole di asserire, seppur per pochi
attimi, la propria autonomia decisionale, realizzando un “sacrificio” di natura
catartica, in ragione del quale l’atto di togliere la vita ad un proprio simile verrebbe a
configurarsi come un gesto supremo e non come un atto estremo. Il mass murder
agisce in seguito ad una spinta interiore incontrollabile che lo rende esecutore di una
“missione”. Il concetto di "missione", spesso presente nella psicologia del mass
murderer, trova riscontro soprattutto nel fatto che, una volta innescatasi l’ideazione di
morte, l’assassino non si ferma fino a quando non ha portato a termine la strage di
quelli che considera propri nemici e sono portati, quindi, a continuare la loro opera
distruttiva fino a quando non vengono fermati. Essi non cercano di nascondere la loro
identità e mostrano un comportamento fortemente disorganizzato che li porta a
commettere molti errori e ad essere individuati con facilità. Questo tipo di assassino
può essere definito come un “terrorista sociale”, ovvero: un uomo che non riesce, per
vari motivi, a sopportare le rigide regole di comportamento che la società impone ai
propri consociati. Egli percependo tale impossibilità non come malattia che la società
è pronta a guarire attraverso sentimenti di solidarietà e coesione, bensì come
elemento determinante che contribuisce ad una fuoriuscita dal circuito sociale, che si
traduce con una rabbia sorda e che afferma un solo unico obiettivo: "lavorare" per
l’abbattimento della società attraverso l’eliminazione di più soggetti che a quella
stessa società appartengono, “scegliendo di cancellare il mondo dal soggetto piuttosto
che il soggetto dal mondo”. Molto spesso il mass murder attraverso la strage vuole
inviare un “messaggio” alla società e per farlo è disposto anche a sacrificare la sua
vita, a suicidarsi, ritenendo di aver portato a termine la propria missione e di non aver
comunque nulla da perdere. Spesso il mass murderer è risultato essere un lavoratore
scontento, un disgruntled worker, termine usato generalmente per indicare un ex
dipendente che ha perso da poco il posto di lavoro a seguito di licenziamento. “Non a
caso…il mass murder è considerato una sorta di suicidio allargato: l’omicida decide
di uscire dal mondo e per farlo opta per l’azione eclatante sterminando i suoi
avversari”. Si può trattare di individui a lui sconosciuti (la società), conosciuti (i
colleghi di lavoro artefici del suo insuccesso, o i vicini invidiosi) o addirittura la sua
famiglia”. La psicodinamica del mass killer evidenzia spesso la presenza in lui del
complesso del Superuomo descritto da Nietzsche con impulsi narcisistici e desiderio
di notorietà.
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