Ricerche su dati d'archivio e materiale edito in Aquileia absburgica e italiana. Contesti di...

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RiceRche su dati d’aRchivio e mateRiale edito in aquileia absbuRgica e italiana 1

apertura della biblioteca da parte del numismatico Giulio Bernardi.2 Giovannini 2006a, p. 115.3 Giovannini 2006a, p. 160.4 Brusin 1934; si veda quanto riferito in Brusin 1938.5 Leggi 1881, pp. 54-55, n. 25; Emiliani 1978, pp. 216-217, n. 26 (=Emiliani 1996, pp. 163-164, n. 26).6 Sul testo dell’Ordinanza, Leggi 1881, pp. 22-23, n. 10; Emiliani 1978, p. 177, n. 10 (= Emiliani 1996, pp. 134-135, n. 10); Giovannini 2006a, pp. 137-138, cui si rimanda sugli effetti della sua applicazione ad Aquileia.

1 Si ringrazia sentitamente il Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, dott.ssa Franca Maselli Scotti, per avere permesso ed incoraggiato, con la cortesia che le è abi-tuale, le ricerche all’interno del patrimonio documentaristi-co dell’istituzione, consentendo la riproduzione fotografica di materiale mai prima esaminato e reso pubblico; un ringrazia-mento anche al Direttore dell’Archivio di Stato di Trieste, dott.ssa Maria Grazia Tatò e a tutto il personale per la cortese e fat-tiva assistenza, così come al personale della Biblioteca Statale di Gorizia, e della Biblioteca Civica di Trieste “A. Hortis”. Un grazie ancher alla grafica Katya Fontanini, per avere ottimizzato la resa delle immagini fotografiche. Si ricorda, ancora, l’affabile

Allo stesso tempo, con lo scopo precipuo di collazionare dati, è stata effettuata un’analisi di parte della copiosa letteratura scientifica sui ritrovamenti necropolari, più precisamente quella afferente agli anni Trenta del Novecento, in cui Aquileia, nella sua veste di “seconda Roma” cara all’ideologia naziona- lista prima e fascista poi, conobbe una vivace stagio- ne di scavi e di indagini 4.

Per quanto riguarda Aquileia absburgica, il fat-tore determinante, la base su cui poggiare importanti osservazioni, è stato individuato nel Decreto della Cancelleria Aulica N. 19704-834 del 15 giugno 1846, destinato “a tutti i Governi” 5, che sostituì l’Ordi- nanza N. 2665 del 5 marzo 1812 e le sue severe prescrizioni di inviare a Vienna quanto restituito da indagini sotto la linea del suolo 6. Le disposizioni contenute nei quattro articoli che componevano il Decreto avrebbero, infatti, avuto effetti eclatanti, tali da condizionare in maniera peggiorativa la ricerca archeologica sul campo e le capacità operative degli istituti pubblici preposti alla conservazione dei beni culturali. Tale documento fu, infatti, un atto di chiu-sura dello Stato, che rinunciò alla cosiddetta “parte del terzo”, ossia ad ogni volontà di possesso, e, quindi, di tutela, sui beni archeologici. Chiunque poté da quel momento fare degli scavi e porsi come il legitti- mo proprietario di quanto rinvenuto: i reperti poteva-no essere raccolti nelle case, venduti a terzi, distrutti, senza alcun impedimento legale. In questa temperie, i musei già attivi, come quelli che sarebbero stati

Si presentano in questa sede i primi risultati di un esame propedeutico tuttora in corso su gemme in pietra dura e in pasta vitrea, condotto sia su docu-menti del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia e dell’Archivio di Stato di Trieste, cui si sono affian-cate notizie tratte da testate giornalistiche attive tra il 1882 e il 1914, sia su pubblicazioni datate impiegate come fonti per la rilettura di dati 1.

Lo spunto è stato offerto dalla considerazione che Aquileia rappresenta, come già altre volte detto 2, una situazione atipica nel panorama archeologico e museale per il suo passaggio all’Italia avvenuto il 24 maggio del 1915: una assai ampia parte dei reperti presenti nel Museo Archeologico Nazionale costitui-sce dunque il tangibile risultato dei modelli interpre-tativi dell’antichità propri dell’Impero absburgico, ormai poco noti. A titolo di esempio, sarà sufficiente dire che molte particolarità che sono emerse ed emer- gono tuttora, come i cosiddetti “cavatori”, gruppi di sterratori organizzati, non sono state fenomeno più o meno curioso, bensì realtà legali ampiamente sfruttate 3, previste dalle disposizioni con cui Vienna aveva provveduto, con particolari riferimenti al seco- lo XIX, agli ambiti culturali dei territori sotto la sua egida. Non è possibile prescindere da questi fatti, fatti che è ormai possibile cogliere solamente attra-verso ricerche volte alla ricostruzione di contesti che possono essere definiti come “perduti”, questione ed espressione che meritano senz’altro un approfondi-mento ed una spiegazione motivata.

Annalisa Giovannini

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contesti di Rinvenimenti di gemme tRa la “città dei vivi” e la “città dei moRti”

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11 Su Enrico Maionica si veda Brusin 1929-1930; CaldErini 1930a, pp. LVI e LIX-LXV; BErtaCChi 1993, pp. 194-199; BandElli 1993, pp. 169-173; miloCCo 1993, pp. 152-157.12 Giovannini 2006a, pp. 158-159.13 Giovannini 2006a, pp. 167-186.

7 Per una discussione sui quattro articoli del Decreto, Giovannini 2006a, pp. 156-157.8 Su Eugenio Ritter, miloCCo 1993, pp. 123-139; sui fratelli Prister, maioniCa 1911, p. 14; miloCCo 1993, pp. 128 e 168-172; su Francesco di Toppo, Aquileia 1995; su Carlo Gregorutti, BErtaCChi 1993, pp. 190-194; su Vincenzo Zandonati si ri-manda alla recente sintesi in vidulli torlo 2008, pp. 115-118; per una sintesi del collezionismo ad Aquileia, con peculiari riferimenti alla glittica, nel periodo antecedente al Decreto, Giovannini 2008, pp. 87-92 (Salvatore Zanini, zio dello Zandonati) e pp. 92-98 (Francesco Leopoldo Cassis Farao-ne, alcune gemme del quale sarebbero state acquistate dalla famiglia Ritter, che gli succedette nel possesso della tenuta di Monastero).9 Giovannini 2006a, pp. 160 e 166.10 Giovannini 2006a, pp. 167-175; Giovannini 2009, pp. 189- 190.

Istituito nel 1882 l’Imperial-Regio Museo dello Stato in Aquileia (fig. 1), fu Enrico Maionica, suo primo Direttore 11, a promuovere azioni dal tono di volta in volta energico o conciliante sulla situazione in atto, con il pieno sostegno della K.k. Central-Commission zur Erfoschung und Erhaltung der Bau-denkmale, la Imperial-Regia Commissione centrale per lo studio ed il mantenimento degli edifici stori-ci 12. Muovendosi con cautela nel panorama appena delineato, il Museo si assicurò proprio nel 1884 la possibilità, con contropartite in denaro, di scegliere per primo dai cavatori i reperti da acquistare. Questo primo approccio ebbe seguiti: dal 1887 sono note attività di scavo per lo meno sorvegliate dal Comune o dal Museo, oppure congiuntamente da entrambi; dal 1892 iniziarono ad essere presi fattivi provve-dimenti contro le azioni degli sterratori, promossi direttamente dal Ministero per il culto e l’istruzione con atti trasmessi alla K.k. Central-Commission; al 1895 datano i primi atti giuridici volti a rendere il Museo il solo ente al quale fosse riconosciuta, in quanto statale, una autorevole autonomia nel settore delle indagini archeologiche 13. Conseguenza di ciò fu che i proprietari dei campi cominciarono a rivolger-si al Museo per averne sostegno e indicazioni, con la sempre crescente consegna allo Stato di lotti indi-

fondati in seguito, non avrebbero avuto alcun diritto di prelazione: i direttori sarebbero dovuti entrare in lizza con i privati per acquistare e quindi conservare i manufatti, né avrebbero potuto impedire, o almeno supervisionare o guidare, gli scavi, se tale è il nome da attribuire alle ricerche affrettate condotte da taluni proprietari terrieri, cui premeva la ricerca dei manu- fatti di valore venale, con conseguente spregio, ad esempio, dei reperti lapidei o fittili. Per scavare in maniera autonoma i musei avrebbero dovuto chiede- re il permesso dei proprietari dei campi, che poteva-no negarlo in piena libertà 7.

In ambito aquileiese il Decreto ebbe conseguen-ze tra loro diverse: da un lato determinò il formarsi di collezioni prestigiose da parte di personaggi di spicco animati da un reale amore ed interesse per le antichità, tra i quali primeggiano i nomi di Eugen Ritter von Záhony, Edoardo ed Emanuele Prister, Francesco di Toppo, Vincenzo Zandonati, Carlo Gregorutti 8, dall’altro la nascita di associazioni di operai sterratori, i “cavatori” cui si è fatto cenno, tra le quali spicca nella documentazione e nei giornali la “Compagnia dei Cavatori di Fiumicello”, dal nome di una località posta a Sud-Est di Aquileia, capeggi- ata da un certo Valentino Ferman 9. Tale “Compagnia” avrebbe avuto parte attiva nella maggior parte delle ricerche sul campo, come mostra in maniera eclatan- te quanto avvenuto alla Colombara, località funeraria del quadrante nord-orientale, nel 1884, con la vendita finale ad amatori londinesi dei materiali preziosi da parte del proprietario del fondo 10.

Fu forse proprio tale increscioso evento a deter-minare ad Aquileia un diverso modo di intendere.

Fig. 1. L’Imperial-Regio Museo dello Stato e, in primo piano, il ponte detto “del Cristo” in una cartolina di fine Ottocento (collezione privata)

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20 Archivio di Stato di Trieste, I.R. Luogotenenza del Litora-le (1850-1918), Atti Generali (1906-1918), Busta 2882, ver- bale della seduta 22 aprile 1912, N. 95/M. A. 912: “Verba- le della seduta del Curatorio per l’i.r. Muso archeologico del- lo Stato in Aquileia, convocata con rescritto della Presidenza d.d. Monfalcone 16/4/1912 No. 7408 per lunedì li 22 aprile 1912 alle 2 1/2 pom. nella biblioteca dell’i.r. Museo archeo-logico”.21 Giovannini 2008, pp. 101-103.22 maioniCa 1884, p. 49.

14 Giovannini 2006a, pp. 180 e 186-191.15 BandElli 1993, pp. 174-175.16 In BandElli 1993, pp. 163-164 lo studioso individua in un’operetta edita anonima a Belluno nel 1875 il prototipo di tale modo di intendere, anonimo 1875, p. 68.17 ojEtti 1916, pp. VII-VIII.18 niCodEmi 1930, col. 6.19 Sulle modalità della reinventariazione, iniziata già nel maggio del 195 e conclusa nel successivo novembre, ojEtti 1964, pp. 64 e 150; inquadramento del fatto nella situazione politico-culturale del momento in Buora 1999, pp. 46-47, 49-50.

Passando dopo questo breve elencazione di fatti e concause alla classe oggetto del presente studio, si può iniziare citando un documento, del tutto inedi-to, reperito nell’Archivio di Stato di Trieste: si tratta del verbale della seduta datata 22 aprile 1912 del Comitato del Curatorio del Museo, che mostra in maniera chiara attraverso i numeri i risultati ottenuti per la glittica nel corso di trent’anni attraverso le predette forme di collaborazione 20.

In esso, infatti, si riporta l’ Elenco degli incre-menti del Museo dal 1882 al 1912, trentennale: se nel 1882, al momento della fondazione, il Museo acco- glieva 352 gemme lavorate e 150 gemme lisce, nel 1912 le prime constavano di 2754 esemplari, le seconde di 812; a questo numero vanno aggiunte quelle che, sebbene non specificate, erano certa-mente presenti su talune classi dei 524 oggetti di oreficeria. Non appare perspicuo se si intenda par-lare delle gemme di effettiva proprietà statale o se, piuttosto, nel numero del 1882 non siano compresi anche gli esemplari del dismesso Museo patrio della città, istituzione municipale, affidati dal Consiglio Comunale in comodato d’uso allo Stato. Va ricorda- to,infatti, che la collezione glittica del Museo patrio contava quasi trecento pezzi, di cui è stata di recente pubblicata una parziale elencazione 21. Di certo dal computo del 1882 sono state escluse le gemme della famiglia Ritter, date dapprima al Museo solo in custodia ed acquistate dallo Stato nel 1887 e nel 1904: nella Guida approntata nel 1884 il Maionica dice che le gemme Ritter erano costituite da «circa 600 intagli, circa 20 cammei, 70 plasme di vetro, e 150 pietre liscie, cristalli e perle», esposte in una «lunga bacheca» sopra dieci tavolette in legno, con accanto i calchi in gesso 22.

Appare lecito chiedersi quali furono i modi del succitato incremento: benché i primi registri inven-tariali del Museo, i cosiddetti Accessionsjournale, citino per lo più acquisti fatti da terzi, spesso i depre-

visi di manufatti, per lo più di origine necropolare, essendo i terreni dislocati nella cintura periurbana di Aquileia i più indagati grazie alla loro messa a riposo invernale 14.

Al momento dell’entrata delle truppe italiane Aquileia era da tempo oggetto di una discussione in cui si intrecciavano fermenti intellettuali di diversa matrice, che interpretavano gli argomenti culturali con ottiche profondamente divergenti 15. In partico- lare, l’ideologia irredentistica, che attribuiva alla cit-tadina valori particolari quale simbolo di romanità e quindi di italianità 16, rivolse all’Imperial-Regio Museo la pesante accusa di non avere registrato i reperti perché segni di Roma 17.

Se fu subito chiaro che ci si trovava difronte a una situazione di estrema delicatezza, cui si rivolse lo stesso Luigi Cadorna con il documento emanato il 31 agosto 1915 18, che tra l’altro proibiva gli scavi non autorizzati e imponeva al «fortuito scopritore» e al «detentore di oggetti d’interesse artistico, storico, archeologico o paleontologico» di farne immediata dichiarazione, Ugo Ojetti, incaricato dal Consiglio superiore delle Antichità e Belle Arti di sovrainten- dere alla conservazione del patrimonio artistico delle zone occupate, promosse una radicale nuova opera di registrazione dei manufatti presenti nelle Sale e nei depositi del Museo, non affiancando, ma eliminando i numeri inventariale austriaci 19.

Ciò ha avuto conseguenze che si sentono ancora oggi. I reperti con numeri italiani da 1 a circa 30.000 erano già presenti nell’Imperial-Regio Museo, ma sono ormai privati di ogni indicazione di provenien-za: pochi gli strumenti con cui tentare un recupero, che spesso concerne solamente manufatti con carat-teristiche peculiari, tali da essere distinti con relativa facilità.

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26 Sullo scavo, maioniCa 1893, pp. 28-29 (= Buora 2001, p. 71); tiussi 1999, pp. 50-52.27 sEna ChiEsa 1966, pp. 281-282, n. 750, tav. XXXVIII, n. 750; maGni 1998, p. 527, n. V.61.28 Per l’esegesi critica, sEna ChiEsa 1977, pp. 207-209, fig. 7. Si veda anche maioniCa 1888, p. 257.29 Ipotesi di cui va sempre tenuto conto, Guiraud 1996, pp. 161-163.

23 Giovannini 2006a, p. 169.24 sEna ChiEsa 2005, p. 496.25 La zona era già stata indagata nel 1875, con la scoperta di “verschiedene Zimmer mit Wandmalereien und Mosaikfuβböden” (“svariate stanze con pitture parietali e pavimenti musivi”), maioniCa 1893, p. 14 (= Buora 2001, p. 43, cui si riferisce la traduzione virgolettata); “Corriere di Gorizia”, anno VII, n. 15, 2 febbraio 1889.

campagna di scavo che portò alla scoperta di un imponente porticato che seguiva il ciglio di un asse viario, tradizionalmente collegato, senza però con-creti riscontri, al presunto santuario di Esculapio 26, va messa in risalto una delle più pregevoli gemme presenti nel patrimonio, il grande plasma con inci-so il motivo del supplizio di Dirce 27, comprato dal Maionica per 50 fiorini, databile alla fine del I secolo a.C., con riferimenti ad un momento appena succes- sivo al 30 a.C., qui presentato anche con un disegno dell’epoca (fig. 2).

Grazie a tale precisazione, esso, attribuibile ad un atelier di tradizione ellenistica orientale ed a una committenza di alto livello sociale, usato come pendaglio o elemento da collezione 28, rientra nel novero delle gemme da aree urbane: i riferimenti alla presenza del santuario rendono assai suggestiva l’ipotesi che più di una perdita accidentale da parte di un frequentatore dell’area sacra 29, possa inve-ce trattarsi di una gemma offerta quale ex voto alla divinità salutare. Riscontri per la presenza di gem-

cati “incettatori” 23,, ai quali va ascritta la mancanza di dati contestuali, è possibile vedere, scorrendo le annate, come le azioni condotte dal Maionica e dalla K. k. Central Commission cui si è fatto cenno abbiano portato a concreti risultati attraverso l’immissione di cosiddette Fundgemmen o Gems from dated Finds, esemplari di provenienza accertata, la cui rilettura apre, dopo più di un secolo, nuovi scenari di ricerca e di approfondimento 24.

Un esempio eclatante è quello risultato dalla fattiva collaborazione instaurata tra Comune e Museo nel febbraio del 1888, nata da un gesto evergetico di Edoardo Prister, che donò al Comune 100 fiorini da impiegare come salario per operai disoccupati. La fonte di conoscenza è rappresentata da un articolo di cronaca del Corriere di Gorizia e da una nota del-le Mittheilungen den K.k Central Commission che rilevano come il sindaco avesse con tale denaro fatto rettificare una via interna, oggi intitolata a Lucio Manlio Acidino, che si apre nell’area in antico posta dietro l’Anfiteatro 25. Tra i materiali rinvenuti nella

Fig. 2. A sinistra, il plasma con la scena del Supplizio di Dirce rinvenuto nel 1888 in una zona gravitante sull’attuale via Lucio Manlio Acidino; a destra, il plasma in un disegno d’epoca (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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34 Guiraud 1996, pp. 161-163; BEtti 2003, p. 160.35 Per recenti rinvenimenti di gemme nel quartiere, sede anche di dimore prestigiose, si rimanda alla presentazione fatta da Federica Fontana, Veronica Provenzale e Alessandro Duiz in occasione del convegno.36 Giovannini 2001, p. 290, 292 e 297 per attestazioni ante-riori del culto di Arpocrate e Serapide; Fontana 2004, p. 408; si veda anche maioniCa 1888, p. 257.37 Fontana 2004, p. 408: la chiesetta tuttavia non sarebbe stata intitolata a S. Alessandro, bensì a S. Andrea, si veda GrEGorutti 1877, pp. VIII e 11-12.

30 BEtti 2003; per la questione sull’effettiva offerta di gemme sciolte si veda, oltre a quanto detto dal Betti, anche le osserva-zioni in Guiraud 1996, pp. 161-163.31 BEtti 2003, pp. 158-159.32 Prime ipotesi in tal senso in Itinerario di scoperte 2008, pp. 9-10 e 14; GaGEtti 2008, pp. 182 e 186, n. 6.33 Si vedano, a titolo di esempio, le attestazioni segnalate in BEtti 2003; sui rapporti cronologici tra le gemme e la struttura sacra si rimanda alle osservazioni in GaGEtti 2008, p. 182.

È stato rilevato come i motivi delle gemme da ambito sacro non siano spesso indicativi delle divinità in esso venerate, come mostra in maniera eclatante l’esempio del santuario di Saint Marcel (Indre) dedicato a Mercurio, che non ha restituito gemme con incisioni relative al dio o al suo culto 34. Ad Aquileia una interessante corrispondenza tra le divinità adorate nei templi e quelle incise su alcune gemme rinvenute nell’area in antiquo da essi occupa- ta sta emergendo per Monastero, quartiere gravitante sul Porto fluviale a Nord-Est del centro 35: com’è noto da una serie di rinvenimenti avvenuti tra il 1862 e il 1876, in esso sorse, nel corso del I secolo d.C., il santuario di Iside e Serapide 36, per il quale è stata di recente proposta un’ubicazione a Sud della zona detta “vigna vecchia” (via delle Vigne Vecchie) 37. Da Monastero provengono, erratici, due diaspri neri: il primo reca inciso il motivo di Eros e Anteros in lotta davanti ad un’erma di Serapide (fig. 3), realizzato in

me rinvenute non montate tra le offerte votive sono dati da quanto messo in luce ad Altino, santuario in località Fornace, e a Lova di Campagna Lupia, nel veneziano, “Tempio A” 30: se non sono state evidenziate con gli scavi del 1888 strutture di tipo particolare quali pozzi o favisse, le caratteristiche del plasma, unite agli ambiti culturali della sua rea- lizzazione, farebbero intendere un’offerta da parte di un aquileiese di rango, forse caricata, oltre che di motivazioni devozionali specifiche quale risposta proporzionata alla richiesta e al favore ricevuto, anche di particolari valenze di carattere sociale o politico 31. Se l’ interpretazione di tale esemplare come offerta suntuaria fosse corretta, ulteriori dati sarebbero forniti da una seconda gemma, rinvenuta erratica nel 1933 nella stessa via, una pasta vitrea di II-III secolo d.C., imitante il nicolo con raffigurazio-ne della Vittoria 32 , motivo che potrebbe trovare una motivazione ideologica profonda, qualora si consi-deri il numero delle sue attestazioni tra le gemme offerte agli dei 33.

Fig. 3. Diaspro nero con Eros e Anteros in lotta davanti a un’erma con busto di serapide rinvenuto a Monastero (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

Fig. 4. Diaspro nero con Anubi rinvenuto nel 1969 a Monastero, nei fondi cosiddetti ex Moro, dislocati immediatamente a Sud di via delle Vigne Vecchie (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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44 Ibidem.45 Il monumento funerario di Q. Cerrinius Cordo appartiene per moduli espressivi a un’officina della prima metà del I secolo d.C., con attardamenti nella seconda metà: esso presenta un par- ticolare replicato su altre cinque are aquileiesi, costituito dalla raffigurazione dei coniugi sui fianchi, santa maria sCrinari 1972, p. 128, n. 365; vErzár-Bass 1985, pp. 195-196.46 A titolo di esempio è qui che quale recinto XIII era ubicato il sepolcro di Q. Etuvius Capreolus: il curriculum vitae militaris tratteggia la compiuta carriera del personaggio, morto alla fine del I sec. d.C., lEttiCh 2003, pp. 151-153, n. 191.47 lEttiCh 2003, pp. 128-129, n. 155.

38 sEna ChiEsa 1966, p. 177, n. 346, tav. XVIII, n. 346; sull’Of- ficina degli Amorini, pp. 59-60.39 Giovannini 2005, pp. 201-202, fig. 10.40 Sull’aretta posta dalla donna ad Anubi si veda da ultimo Cromazio 2008, pp 222-223, V.9 (scheda A. Giovannini).41 Itinerari di scoperte 2008, p. 10; GaGEtti 2008, pp. 182 e 187, n. 1042 Sulla vendita di manufatti all’interno dei santuari, con pecu- liari riferimenti all’ambito isiaco, sEna ChiEsa 1997, p. 158.43 Giovannini 2000, pp. 120-123.

1902 il Maionica ottenne di potere scavare nei fondi delle famiglie Rigonat e Prister: a quest’ultima il Museo era unito, come si è visto, da molteplici lega-mi di collaborazione. I due appezzamenti erano con-tigui, posti in prossimità del confine con il comune di Villa Vicentina: particolarmente incoraggianti furono gli esiti delle ricerche nei terreni Rigonat, in cui vennero messi in luce, sul ciglio orientale della strada, diciannove recinti, di cui sedici in successio- ne, per una lunghezza di 120 metri, organizzati su due file, talora con muri di divisione in agro comu-ni, segno di una ripartizione spaziale predefinita 44. Gli accurati rilievi effettuati permettono, correlati alla documentazione epigrafica recuperata in situ, di operare precise attribuzioni ai proprietari delle sin-gole strutture, ricomponendo un quadro occupazio-nale che indica in militari e negotiantes i principali usufruitori, in un periodo che complessivamente pare porsi, in base anche alle indicazioni stilistiche delle are 45, in pieno I secolo d.C., con punte nella seconda metà e nei decenni finali 46.

Se non sempre risulta possibile ricondurre le singole tombe inventariate ai recinti di originaria per- tinenza, dato che in base alle regole museologiche dell’epoca i corredi rinvenuti vennero smembrati per categorie, il quadro complessivo dei ritrovamenti è tuttavia sufficientemente chiaro per fornire interes- santi indicazioni sul materiale glittico contenuto in alcune sepolture.

Si può cominciare con due delle tombe segnate negli inventari di seguito alla descrizione del monu- mento di Fructus, Crispi libertus, negotiator, che approntò il sepolcro per sé, Minicia Potita, sua con-tubernale, la madre Ilara, le sorelle e altre persone della famiglia, come C. Minicius Decembris, natogli in casa come schiavo, e la madre di questi, Minicia

uno stile vicino a quello che caratterizza l’Officina degli Amorini 38. Il secondo mostra Anubi stante, nelle mani due attributi uguali e di forma triangola- re, forse pugnali o spade corte (fig. 4): esso è stato ritrovato nel 1969 nei fondi cosiddetti “ex Moro”, dislocati immediatamente a Sud di via delle Vigne Vecchie 39, in accordo con la presenza nel circuito santuariale di un sacello della divinità, come postula la dedica di Lutatia Tyche 40.

Anche se l’ipotesi, già proposta per un eliotro-pio recante i busti affrontati di Settimio Severo e di Caracalla rinvenuto nella “vigna vecchia” 41, che si tratti di offerte suntuarie alle divinità è suggestiva, non vanno a priori trascurate le possibilità che si tratti di gemme smarrite dai frequentatori dell’area sacra o di gemme vendute all’interno del santuario al pari di altri manufatti quali lucerne o immagini in terracotta, andate qui perse per motivi impreci-sabili 42.

La categoria certo più ampiamente riscontrata ad Aquileia è quella delle gemme rinvenute in con-testi necropolari, dunque deposte con intenzione per motivazioni rituali e di pietas.

Verranno qui presentate alcune gemme in parte già oggetto di considerazioni 43, in parte, invece, to-talmente inedite, rinvenute nel 1902 a S. Egidio, nel suburbio nord-orientale, località in antiquo dislo- cata sull’asse stradale per Emona. Esse vengono qui ricollocate nei contesti originari grazie a quanto riportato nell’Accessionsjurnal relativa a tale anno e in appunti di scavo di Enrico Maionica fortuna-tamente sopravvissuti alla diaspora della documen-tazione absburgica avvenuta nel corso della Prima Guerra.

In base agli accordi che, come si è detto, con crescente frequenza intercorrevano tra i proprietari dei fondi e la Direzione del Museo, tra il 1901 e il

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53 sEna ChiEsa 1966, p. 145, n. 199, tav. X, n. 199.54 Va sottolineata la sopravvivenza dell’ara di C. Vitullius Priscus, databile al II secolo d.C., ripristinata , dopo un episodio di occupazione abusiva del sepolcro, dal liberto C. Vitullius Fe-lix, Inscr. Aq. 1647; santa maria sCrinari 1972, p. 127, n. 362; lEttiCh 2003, pp. 142-143, n. 178; fenomeni di exacisclatio verranno notati anche da G. B. Brusin negli scavi su cui infra, Brusin 1931, coll. 65-66; Brusin 1934, pp. 201 e 231.

48 Riguardo all’associazione tra ossuario vitreo e donne oppure adolescenti, comunque a individui non facenti parte a pieno titolo della società, tirElli 2001, p. 247 ; in quanto ai diversi tipi di olla attestati a S. Egidio, si è detto che la scelta di un tipo di contenitore rispetto ad un altro risponde in gene- re al gusto o alle potenzialità economiche del committente, ortalli 2001, p. 228; un caso interessante in questo senso è offerto dalla necropoli francese di Trion, in cui, a riprova dell’uso contemporaneo o in momenti assai vicini, frutto di scelte personali e motivate, recipienti di piombo e ceramica sono stati rinvenuti affiancati nella stessa sequenza di cellette in laterizi evidenziata dietro il monumento funerario di un Q. Valerius, CoChEt 2000, pp. 77 e 187.49 Giovannini 2000, p. 122; per la lucerna, Calvi 2005, p. 101, n. 291, tav. 72, fig. 1; per la mandorla, p. 160, n. 483, tav. 64, fig. 2b.50 Giovannini 2000, p. 122.51 BianChi 1995, p. 94.52 Giovannini 2000, pp. 122-123.

imprecisato tolta dall’anello. Si tratta di una pietra dai contorni netti e precisi, studiata da Gemma Sena Chiesa: il dio, con petaso e calzari alati, è colto in atto di reggere il caduceo ed un altro oggetto di incer- ta identificazione 53, forse la testa di un ariete (fig. 6). L’iscrizione, retrograda e quindi sigillare, è stata letta MAX dalla studiosa e M’Λ’X’ dal Maionica: è possibile notare che quale sigla onomastica essa non corrisponderebbe ad alcuno dei nomi presenti sull’ara di Fructus, mentre la presenza di Mercurio ben si accorderebbe con gli ambiti economici in cui si muoveva il titolare dell’area.

Per quanto concerne gli scavi nei terreni Prister, posti “in continuazione” dei Rigonat, come annota il Direttore, del tutto inediti, i rilievi effettuati mostra-no che si procedette per una lunghezza di circa 145 metri, mettendo in luce quanto restava dei sepolcreti dislocati: la sequenza era però meno chiara, più deva- stanti erano stati gli interventi post-antichi. Vennero riscontrate solo labili tracce dei recinti: se fu possibile rinvenire alcuni cippi confinari, quasi del tutto assen- ti risultarono i monumenti funerari 54. La registrazio-

Elpide: il documento epigrafico si pone in pieno I secolo d.C. 47.

La prima tomba era data da un’urna lapidea a sua volta contenente un’olla vitrea, insieme che rimanda con immediatezza ad una sepoltura femmi-nile 48: il corredo era costituito principalmente da manufatti ambracei, una rocca, una lucerna minia-turistica, una mandorla 49. Nell’olla venne messa in luce anche una gemma sciolta, di cui, come per le altre rinvenute nello scavo, il Maionica provvide a effettuare un calco in ceralacca, annotando testual-mente che si trattava di “una piccola agata con leone o chimera in corsa a sinistra”, purtroppo non ancora individuata all’interno del patrimonio di gemme del Museo (fig. 5).

Anche la seconda sepoltura, in olla di terracotta, è attribuibile a una donna, in base alla presenza di uno specchio rotondo in bronzo e di un ago crinale in osso con estremità superiore a mano aperta, motivo apotropaico 50, la cui deposizione all’interno del reci- piente usato per la raccolta delle ossa combuste trova ampi riscontri, a riprova dell’importanza che veniva attribuita alla classe per i suoi forti legami emotivi con la sfera muliebre 51. Vi si trovò anche un anello in bronzo, la cui descrizione lascerebbe intendere una buona conservazione, con incastonato un nicolo recante il motivo di Mercurio seduto su di un masso ed una iscrizione 52.

La gemma è bene riconoscibile nella collezione glittica del Museo: essa, però, è stata in un momento

Fig. 5. Calco effettuato nel 1902 da Enrico Maionica della «pic-cola agata con leone o chimera in corsa» rinvenuta a S. Egidio (terreni Rigonat) in urna vitrea (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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68 Inscr.Aq. 166; BrouwEr 1989, pp. 116-117, n. 113A; sulla questione se a Bona Dea fossero stati eretti due luoghi di culto, vErzár-Bass 2000, pp. 160-161; sul culto ad Aquileia, Fontana 2004, pp. 413-414; sulla datazione del luogo di culto, che potrebbe risalire all’inizio dell’età tiberiana, dElplaCE 2000, p. 127.

55 Inscr. Aq. 2421.56 Inscr. Aq. 861; lEttiCh 2003, pp. 258-259, n. 348.57 Inscr. Aq. 2288.58 Inscr. Aq. 1116; lEttiCh 2003, p. 115, n. 136; Inscr. Aq. 1162; lEttiCh 2003, p. 265, n. 362.59 Inscr. Aq. 474; lEttiCh 2003, p. 127, n. 153.60 Inscr. Aq. 2439.61 Inscr. Aq. 2246.62 Inscr. Aq. 2535.63 Inscr. Aq. 2443.64 Inscr. Aq. 2384.65 Inscr. Aq. 2291.66 Inscr. Aq. 2528.67 Cfr. nt. 54.

paiono qui indicare una significativa presenza di donne anche di condizione libertina, che forti di una raggiunta posizione sociale ed economica, appron-tano i loca sepulturae per sé, per liberti e liberte, nonché per persone a loro in qualche modo legate, come nei casi di Clodia Tertia, Octavia Epicharinis e Caesilia Scylace. La formula onomastica di quest’ultima ricorre in un secondo documento epi-grafico, di natura sacrale, ricondotto alla piena età imperiale, che per le caratteristiche paleografiche appare essere sub-coevo del primo: in esso la donna si qualifica come liberta e magistra della Bona Dea Pagana, segnalando assieme ad una collega una qualche opera fatta de pecunia sua nell’ambito del- l’edificio di culto 68.

La prima tomba che merita una menzione, segnalata tra quelle che seguono il ritrovamento delle epigrafi di Octavia Epicharinis e di L. Atilius Satur-ninus, è data da un’urna di forma quadrata: al suo interno si misero in luce un balsamario vitreo forte-mente alterato da calore, dato dunque quale offerta primaria sul rogo, una moneta su cui era possibile leggere Surdinus, dato onomastico che l’attribuisce al tresvir monetalis che conia monete a suo nome nel 15

ne progressiva di quanto rinvenuto lascia solamente intravvedere l’organizzazione dei recinti, la scansio- ne di alcuni dei titolari, i nomi degli individui sepolti: Octavia Epicharinis 55, Clodia Tertia per L. Atilius Saturninus 56, Caesilia Scylace 57, ignoto, le urne di M. Flavius Primus e di M. Herennius Amaranthus 58, Secundus servus dell’imperatore Claudio 59, Peticia Amphinome 60, Q. Aristius 61, M. Vettius Speratus 62, P. Petronius Tertius 63, L. Lemonius 64, C. Calvius 65, L. Valerius Auctius 66, C. Vitullius Priscus e C. Vitullius Felix 67.

Quale conseguenza della pessima conservazione delle strutture, il Maionica, pur trovando in pro- fondità sepolture ancora intatte, sembra non esse-re stato in grado di procedere a attribuzioni precise. Ciò avrebbe potuto avere dei risvolti interessanti nella correlazione con i documenti epigrafici, che

Fig. 6. A sinistra, con due diverse illuminazioni, il nicolo con Mercurio e iscrizione rinvenuto nel 1902 a S. Egidio (terreni Rigonat) in olla di terracotta; a destra il calco effettuato da Enrico Maionica (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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69 RIC I², p. 70, nn. 383-386.70 sEna ChiEsa 1966, p. 186, n. 380, tav. XIX, n. 380.71 Si vedano, ad esempio, le osservazioni in passi pitChEr 1987, p. 138.72 Inscr.Aq. 2577: si tratterebbe del recinto di ignoti forse dislo- cato dopo il sepolcro di Caecilia Scylace.

no frammenti di uno specchio in bronzo e un anello in ferro con incastonato un “nicolo piccolo”, recante inciso quello che viene definito “busto di Mercurio a sinistra con caduceo”.

Il calco mostra un busto virile nell’originale volto a sinistra, i capelli resi a riccioli corti1 e corposi

a.C. 69, e una «corniola grande con Satiro e Menade», sciolta. In base al calco effettuato, perfettamente leg-gibile, la gemma risulta identificabile nel corpus glit-tico del Museo (fig. 7): si tratta della corniola su cui, con freschezza e delicato equilibrio visibile specie nel gioco di linee dei tirsi, è tracciata una scena in cui un satiro con nebride si china verso una menade avvolta in chitone e mantello offrendole una pisside. Il soggetto, studiato da Gemma Sena Chiesa, appare riconducibile al manierismo neoattico, con archetipi individuati negli stucchi di età augustea: l’attenzione posta indica un lavoro non seriale, ma di dettaglio, la datazione si pone alla fine del I secolo a.C. 70. Concorda con tale dato la presenza di un balsamario in vetro: gli unguentari in tale sostanza, infatti, soppiantano quelli in terracotta proprio in età augustea 71.

Di seguito alla registrazione di due cippi con eraso il nome di chi possedeva il recinto misuran- te diciotto piedi in fronte e quaranta in agro 72, il Maionica registra il ritrovamento almeno quattro tombe, tre delle quali verranno qui di seguito citate. La prima, un’olla in terracotta, conservava all’inter-

Fig. 7. A sinistra la corniola con Satiro e Menade rinvenuta nel 1902 a S. Egidio (terreni Prister) in urna lapidea; a destra il calco effet- tuato da Enrico Maionica (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

Fig. 8. Calco effettuato nel 1902 da Enrico Maionica del «nicolo piccolo... con busto di Mercurio a sinistra con caduceo, rinve-nuto a S. Egidio (terreni Proster), in olla di terracotta (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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77 Per Aquileia, sEna ChiEsa 1966, pp. 397-398, nn. 1385-1397, tav. LXX, nn. 1385-1387.78 lanCEllotti 2003, pp. 122-123.79 Ibidem.80 Ibidem.81 mau 1900, p. 374, n. 214.82 sEna ChiEsa 1966, p. 377, n. 1237 (officina delle Linee Grosse).

73 zwiErlEin-diEhl 1973, p. 138, nn. 422-423, tav. 71, nn. 422- 423.74 Sul significato del caduceo, sEna ChiEsa 2002, pp. 400 e 402.75 Si veda, ad esempio, vollEnwEidEr 1972, tav. 127, n. 1.76 CohEn 1880, p. 254, n. 47; RIC I, p. 130, n. 9; per tutte le monete citate verranno riportate le indicazioni originali riprese dall’opera di Henry Cohen fatte sia dal E. Maionica che da G.B. Brusin.

agata con granchio»: il calco mostra il crostaceo visto dall’alto e con le chele aperte (fig. 9). Il motivo, ben attestato in glittica 77, fa rientrare la gemma nel gruppo di tradizione astrologica, la cui iconografia è oggetto di riletture e di interessanti ipotesi di ricodi-fica: le gemme che riproducono animali astrologici non andrebbero, infatti, semplicemente connesse al momento della nascita del possessore, non spiegan-dosi così il netto prevalere di granchi, scorpioni e capricorni, né si può pensare a connessioni con gli organi del corpo ai quali presiedevano determinate costellazioni, restando non plausibile la prevalenza di certe affezioni e la totale mancanza di altre 78. In tale ottica, il granchio, allusivo al segno zodiacale del Cancer, risulta importante, come quello del Leone e del Capricorno, nella concezione neopitagorica del viaggio celeste dell’anima 79. È stato, però, rilevato come una risposta possa essere data anche dalla teoria dei “domicili”, che stabiliscono una stretta relazione tra pianeti e costellazioni zodiacali; nel Cancro ha domicilio la Luna: le gemme con granchio risultereb- bero, dunque, degli amuleti 80.

Si può concludere questa breve e come si è detto, non esaustiva, rassegna delle tombe ritrovate nel 1902 a S. Egidio con la terza urna de recinti di igniti, lapidea contenente un’olla vitrea con coper-chio di piombo. Dentro si rinvenne uno specchio quadrato rotto, un ago di bronzo e due spilloni in osso: uno di questi spiccava per il tipo di decoro assai caratterizzante, tanto da indurre il Maionica ad un immediato confronto con un ago crinale rin-venuto a Pompei 81 (fig. 10). L’insieme corredale era chiuso da un nicolo sciolto, recante un capricorno con tridente, motivo lungamente presente nella glit-tica aquileiese 82, che l’associazione con il suddetto spillone pone in un momento ben circoscrivibile (fig. 11).

Nell’estate del 1930 l’allora neo-fondata Associazione Nazionale per Aquileia iniziò qui delle indagini in ideale collegamento con quelle appena descritte, nei terreni in quel momento proprietà de-

formanti una calotta compatta, senza petaso, indos-sante una clamide chiusa sulla spalla da una borchia circolare (fig. 8): confronti per il tipo iconografico si pongono con due nicoli conservati al Kunsthistori-sches Museum di Vienna, datati tra la fine del I seco- lo a C. e l’inizio del successivo 73.

Le fattezze ben delineate, dai tratti non idea- lizzati, bensì pronunciati, potrebbero però rifarsi a una fisionomia reale, in cui il caduceo, simbolo di lealtà e di armonica condivisione di patti, con sfuma- ture politiche 74, potrebbe avere avuto un reale peso semantico 75.

Proseguendo nell’esame del ritrovato, si ha la descrizione di un’urna lapidea che restituì un asse di Claudio con al R/ Libertas ben leggibile, datato tra il 41 e il 52 d.C. 76. Si mise in luce anche una «piccola

Fig. 9. Calco effettuato nel 1902 da Enrico Maionica della «pic-cola agata con granchio» rinvenuta a S. Egidio (terreni Prister) in urna lapidea (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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83 Sulla fondazione nel 1929 dell’Associazione Nazionale per Aquileia e della correlata rivista “Aquileia Nostra”, lEiCht 1930; CaldErini 1930b.84 Sulla figura del Brusin, si veda ad esempio quanto suggesti- vamente detto da Biagio Marin, per l’occasione estrapolate da L’isola dei gabbiani, all’epoca in uscita, marin 1930, col. 52; inoltre, stuCChi 1977; tavano 1993, pp. 215 e 225-231.85 Brusin 1931, coll. 65-66; Brusin 1932, coll. 74-89; Brusin 1934, pp. 197-231.86 In successione: P. Postumius Hilarus, Brusin 1934, pp. 198-203; Appuleii, Brusin 1934, pp. 203-204 e Inscr. Aq. 2242; Decidii, Brusin 1934, pp. 204-208 e Inscr. Aq. 2318; Decidii e Messia Clara, Brusin 1934, pp. 208-209 e Inscr.Aq. 2410; (---) Rufius Bromius, Brusin 1934, pp. 209-210 e Inscr. Aq. 2464; Apponii, Brusin 1934, pp. 210-213 e Inscr. Aq. 2242; Q( ) F ( ), Brusin 1934, pp. 213-215; ignoti, Brusin 1934, pp. 215-216; Arellii, Brusin 1934, pp. 216-217 e Inscr. Aq. 2245; Cluentii, Brusin 1934, pp. 217-221 e Inscr. Aq. 2303; ignoti, Brusin 1934, pp. 221-225; Sextia Maxuma, Brusin 1934, pp. 225-226 e Inscr. Aq. 2479.87 Brusin 1932, col. 79; Brusin 1934, p. 229.88 Brusin 1934, pp. 207-208: recinto dei Decidii; pp. 210-213: recinto degli Apponii; pp. 213-216: recinto di Q( ) F( ); pp. 217- 220: recinti di Arellius Euthicus e dei Cluentii.89 Brusin 1934, pp. 219-220, nn. 2 e 9.90 Brusin 1934, p. 212.91 Si rimanda a quanto detto a nt. 48.92 Sulla consunzione delle monete rinvenute in ambito sepol-crale, sEraFin 1998, p. 133.

gli Eredi Prister, nella p.c. 859 83: Giovanni Battista Brusin, che ne fu il direttore 84, pubblicò in tempi assai brevi quanto era stato evidenziato in quella che egli chiamò “Necropoli di Levante” 85, cosa che con-sente ora di avere un primo quadro d’insieme. Nei due anni successivi vennero ritrovate almeno quat- tordici aree recintate 86, attribuibili a famiglie di censo medio, fondate agli inizi del I secolo d.C., usate dalle generazioni nel successivo, con segni di frequenta-zione che giungevano fino in epoca tardoantica 87.

Numerose risultarono le unità tombali con gemme, rinvenute sia sciolte che incastonate in anel- li di ferro 88: particolarmente significative appaiono tre unità sepolcrali, a incinerazione, le prime due dal recinto dei Cluentii 89, la terza da quello degli Apponii 90.

La prima tomba dall’area dei Cluentii, data da un’olla lapidea con ossuario in vetro e coper- chio di piombo, riconducibile ad una cremazione femminile 91, aveva mantenuto in posto sul coper- chio un dupondio di Domiziano con al R/ Fortuna Augusti, piuttosto logoro 92, appartenente ad un’emis-

Fig. 10. A sinistra l’ago, crinale in osso rinvenuto nel 1902 a S. Egidio (terreni Prister) in urna lapidea in associazione con un nicolo recante la figura del capricorno (Museo Archeologico Na-zionale di Aquileia); a destra la figura tratta da Mau 1900 che ne ha permesso il riconoscimento

Fig. 11. Calco effettuato nel 1902 da Enrico Maionica del nicolo con capricorno rinvenuto a S. Egidio in associazione con lo spil- lone a fig. 10 (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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96 Per la prima gemma, Brusin 1934, p. 219, fig. 124, 2: lo stu-dioso trovò un immediato riferimento in FurtwänGlEr 1900, tav. XLI, n. 19; per la seconda e la terza, Brusin 1934, pp. 219 e 230; la seconda gemma è riprodotta a tav. 124, 1.97 Sugli scenari adombrati dall’ideale atletico, da Augusto pre- cluso al mondo femminile, Bolla 1993, p. 84.98 CohEn 1880, p. 94, n. 228; le citazioni virgolettate sono tratte da Brusin 1934, p. 220, n. 9.

93 CohEn 1880, p. 481, n. 120; RIC II, p. 187, n. 264; RIC II, 1², p. 285, n. 290.94 CohEn 1880, p. 507, n. 442; RIC II, p. 138, n. 169; RIC II, 1², p. 219, n. 345.95 sEna ChiEsa 1989a, p. 271; sEna ChiEsa 1989b, p. 287.

atto di detergersi con lo strigile 96. Sarebbe possibile constatare la discrepanza cronologica tra gemme e momento dell’interramento: si potrebb pensare a beni di famiglia, forse pertinenti a personaggi maschili, a loro volta legati ad ambiti peculiari che proprio in età augustea trovarono nuova collocazio-ne ideologica, come potrebbe lasciare intendere la gemma con atleta 97.

La seconda sepoltura, in olla fittile con «coper-chio a scodella» conteneva, a detta dello scopritore, «minute ossa di un fanciullino»: il terminus post quem era dato da una moneta emessa da Tiberio in onore di Augusto divinizzato 98. Il corredo compren-

sione dell’85 d.C. 93. Dentro l’olla, a diretto contatto con le ceneri, posizione privilegiata che fa intendere un assai forte legame simbolico, era posto il corre-do: oltre a oggetti per la cura della persona, come cote, specillo e specchio bronzeo, e ornamenti quali vaghi di collana in ambra, l’insieme annoverava una seconda moneta, un asse o un dupondio battuto da Domiziano nell’80-81 d.C. con al R/ Minerva 94, consunta, e ben tre gemme, sciolte. La prima era data da una pasta di vetro significativamente imi- tante il plasma, pietra che conosce grande diffu- sione tra l’età augusteo-tiberiana e quella flavia 95, recante il busto di una menade con nebride e coro-na di corimbi (fig. 12), la seconda da un cammeo in pasta vitrea con ritratto riferito ad Augusto (fig. 13), la terza da una pasta vitrea blu con giovane in

Fig. 12. Pasta vitrea imitante il plasma con testa di menade rin-venuta da Giovanni Brusin nella “Necropoli di Levante”, recinto dei Chienti, in urna lapidea con olla in vetro, in associazione con cammeo ornato con testa di Augusto (da Brusin 1934)

Fig. 13. Cammeo in pasta di vetro con ritratto di Augusto rinve-nuto da Giovanni Brusin nella “Necropoli di Levante”, recinto dei Chienti, in assocviazione con la pasta vitrea ornata da testa di menade a fig. 12 (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia)

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105 CohEn 1883, p. 8, n. 63; RIC III, p. 176, n. 1254.106 SEna ChiEsa 1966, p. 3; sEna ChiEsa 1989b, p. 290; sEna ChiEsa 2001, p. 393.

99 BordEnaChE BattaGlia 1983, p. 95.100 Giovannini 2006b, p. 326.101 Brusin 1934, p. 220, fig. 124, 5; sEna ChiEsa 1966, p. 263, n. 701, tav. XXXVI, n. 701 (la studiosa ricorda a nt. 1 la prove-nienza del reperto); Gemme 1996, p. 92, n. n. 164.102 Brusin 1934, p. 212.103 Sui cofanetti, ad esempio, dEodato 1997, p. 483, fig. 1; per le componenti metalliche quali indicatrici dell’originaria presenza del reperto, BordEnaChE BattaGlia 1983, pp. 75-76, nn. 39-40, fig. 35; Mistero di una fanciulla 1995, p. 39, figg. 5-7; Cavada 1996, pp. 98-99, fig. 35.104 Brusin 1934, fig. 124, 4.

al R/ Concordia, asse o dupondio, emessa nel 145 d.C. 105, con la quale si accorda il tipo di pietra, gran-demente in uso a partire dall’età traianea e per tutto il III secolo 106.

Numerosi sono gli spunti che le gemme da contesto funerario offrono: sebbene non sia possibi-le in questa sede procedere, per esempio, ad appro- fondimenti di natura stilistica, si possono tuttavia formulare alcune osservazioni, utili forse, per quanto basate su esempi circoscritti in una determinata area funeraria, a meglio delineare lo scenario culturale e cultuale degli insiemi in cui le gemme vennero volontariamente immesse.

La prima osservazione è che le gemme pro- vengono da tombe in prevalenza muliebri e di rito incineratorio. La descrizione succinta, ma allo stesso tempo accurata delle unità sepolcrali e degli elemen- ti corredali, consente, infatti, di delineare scenari sepolcrali afferenti alla sfera femminile attraverso l’utilizzazione di olle in vetro per la deposizione e l’associazione con manufatti in ambra o relativi alla toeletta personale quali specchi, aghi crinali e cofa-netti. Dubbi per la mancanza di elementi nettamente discriminanti sussistono per le unità dei fondi Prister che hanno rispettivamente restituito la corniola con satiro e menade e l’agata con granchio degli scavi Maionica, e per la tomba cosiddetta “di fanciullo” degli scavi Brusin.

Se fosse corretta l’ipotesi di vedere nel busto con caduceo l’intento di rappresentare una fisionomia reale, la tomba di pertinenza degli scavi Maionica e quella con tre gemme descritta da Brusin avrebbero elementi che richiamano la sfera maschile forse con allusioni di natura politica: nel delicato equilibrio fra scelte dettate da impulsi razionali e determinate da sentimenti di matrice individuale che presiede alla creazione di un corredo, ciò potrebbe essere stato determinato, ad esempio, da episodi legati alla cop-pia coniugale o alla vita della famiglia.

Per quanto concerne i modi con cui veniva affrontata la frattura rappresentata dalla morte, le gemme risultano deposte in insiemi che affrontano la nuova sfera sia con sentimenti di speranza, sia

deva un coltellino o spatoletta in ferro, uno stilo scrittorio di ferro e un insieme lusorio composto da ottantotto pedine da gioco, in pietra, vetro e osso. Tali manufatti, mancando la possibilità di verifiche dei resti combusti, potrebbero confermare l’ipotesi di un individuo non adulto, in cui lo stilo avrebbe potuto, in base ad una casistica ben accertata, allu-dere a capacità compositive o al fatto che si stava imparando a scrivere 99, mentre le «marche da gioco» sarebbero non tanto indicative di passatempi ludici, quanto simboli dell’azzardo e dell’incertezza propri del destino umano, valendo ad esprimere l’idea di una vita troppo presto finita 100. Chiudeva il corredo una corniola inserita in «resto di anello in ferro», ora conservata sciolta, con incisa una fanciulla seduta a terra e avvolta in un chitone dalle pieghe avvolgenti; davanti alla figura vi è una cesta di pane e una for-mica, dietro una spiga di grano, al di sopra un’aquila con asta tra gli artigli 101. La scena, non ancora del tutto chiarita nei suoi elementi, viene identificata con il sogno di Rea Silvia o con una rappresentazione di Azia, madre di Augusto, quale Rea Silvia: la datazio- ne è posta nell’ultimo quarto del I secolo a.C.

Riguardo alla tomba degli Apponii, si tratta di un’incinerazione in urna, collocata nel punto in cui avrebbe potuto aprirsi l’ingresso del recinto 102. Attorno a essa si raccolsero manufatti che descrivono una sepoltura femminile, quali gangheri, staffette e stan- ghetta in ferro, indizio dell’originale presenza di un cofanetto in materiale deperibile 103, nel quale erano forse custoditi due aghi bronzei e quanto rimaneva di un anello in ferro con inserito un diaspro giallo con motivo di Minerva stante, la mano sinistra poggiata sullo scudo, lancia sul braccio sinistro, nella destra un racemo di olivo, dietro un serpente 104. Chiudeva l’insieme una moneta di Marco Aurelio Cesare con

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107 Sui valori attribuiti alle lucerne, parmEGGiani 1984, p. 213.108 Giovannini 2000, p. 122.109 Galliazzo 1979, p. 167; BEssi travalE 1987, p. 136.110 Sul valore talismanico delle monete, pEra 1993; pErassi 2001, pp. 102-103.

In merito alle discussioni sulla preferenza per monete in metallo non prezioso, le sole ritrovate a S. Egidio, essa per la Regio X si è configurata come vera e propria consuetudine, indipendente dalle stra-tificazioni sociali 111, forse simbolo della “miseria” della morte 112.

Riguardo al periodo intercorso tra emissione del numerario e deposizione 113, si può ricordare quanto desunto dalle necropoli di Altino: qui, le cronologie delle monete concordano con quelle degli oggetti di corredo e per il I secolo d.C. si può ritenere che l’interramento sia avvenuto al massimo entro venti/trenta anni dalla battitura 114.

Un’ultima osservazione, legata ai tipi dei rove-sci: le monete di ambito funerario, infatti, possono essere state scelte anche in base alla presenza di sog-getti e scritte di accompagnamento di valore augurale o escatologico 115.

Vanno così rilevate le presenze di Fortuna sulla moneta domizianea trovata sul coperchio dell’urna Brusin con tre gemme, leggibile come ingannatrice delle aspettative o, piuttosto, come propiziatrice della buona sorte, in quanto accostata a Minerva, presente sulla seconda moneta 116, e quella di Libertas sul- l’emissione di Claudio che accompagnava la corniola con granchio delle indagini Maionica. Il nesso morte- libertà, presente in epigrafia e in letteratura, potrebbe avere avuto un peso rilevante, specie se rapportato a una gemma alludente all’anima “liberata” dal peso del corpo 117.

con sensazioni di desolato pessimismo. Dal punto di vista rituale, parla di aspettative di vita ultraterrena la tomba dei fondi Rigonat con materiale ambra- ceo attraverso la lucerna, in cui i valori attribuiti all’oggetto ricevono una significativa carica positiva proprio dal sucinum, materiale dalle forti proprietà apotropaiche 107; in quest’ottica anche la mandor-la deposta parlerebbe di valori simbolici, per il suo essere un seme, ossia speranza di rinascita 108. Indizi in tal senso vengono dati anche dalle sepolture con fornitura di specchi interi, simbolo del disco solare, mentre, a meno di non pensare a eventi casuali sus-seguenti all’interramento, ad esempio per la fragilità della lega ternaria, darebbero una visione contraria gli esemplari rinvenuti allo stato frammentario, indi- zio di una volontaria e rituale rottura 109.

Allusioni ad aspettative di vita ultraterrena sarebbero leggibili nel motivo del granchio e in soggetti di ambito dionisiaco, come la menade sulla pasta vitrea della più volte citata tomba Brusin, che potrebbe però essere stata posta anche quale bene di famiglia. In questa sepoltura un rito di natura apotropaica risulterebbe adombrato dalla deposi-zione proprio sul coperchio dell’urna di una delle due monete rinvenute, alla quale sarebbe stati così conferiti valori magico-talismanici legati alla forma rotonda, impenetrabile dalle forze maligne, che la rendeva sicura guardiana nel tempo delle spoglie mortali 110.

Le gemme di S. Egidio sono state rinvenute sia libere che incastonate in anelli, con nette preferenze per il ferro: in almeno due casi, esemplari ritrova-ti entro castone ne sono stati poi scorporati, parti- colare che induce a riflettere sulla preponderante quantità di gemme che oggi si vedono sciolte. La loro datazione sembra prevalentemente concordare con gli elementi cronologici forniti dagli apparati corredali: in un caso, però, dato dalla tomba Brusin con tre gemme, vi è una netta discrepanza tra i dati post quem delle monete e l’inquadramento del materiale glittico.

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Abstract

The article tries to reassemble some of the finding context of gems brought to light at Aquileia, partly dug up during the Habsburg management between the end of the 19th and the first years of the 20th century; partly by Giovanni Battista Brusin in the 30s, on behalf of the Associazione Nazionale per Aquileia. The data at disposal suggest that one of the most remarkable gems in the Museo Archeologico Nazionale at Aquileia, the plasma with Dirce’s torture, may have been offered to god Aesculapius as ex voto. Some data point out interesting links between the deities worshipped in certain shrines and the ones engraved on the gems found out in the places where they stood in ancient times. This particularly concerns the site of Monastero, where, in the 1st century BC the sanctuary sacred to Isis and Serapis was built: here, according to the current practice, there were shrines sacred to the Theoi Synnaoi.As to burial contexts have been taken into consideration the data of Sant’Egidio, a site on the road to Emona. In this sampling, the gems seem to come mostly from women’s incineration tombs. Most of them are contemporary to the graves in which they were found; some, on the contrary, seem to have been family goods, maybe connected with particular events of political character.

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