\"Le pietre parleranno\". Distruzione e ricostruzione postbellica della chiesa degli...

Preview:

Citation preview

Edizioni Polistampa

6-7. Costruzioni e ricostruzionidell’identità italiana

Rivista del Dipartimento di Architettura.Disegno Storia ProgettoSezione di Storia dell’Architetturae della CittàUniversità degli Studi di Firenze

Anno IV-V, 2009-2010, numero 6-7Costruzioni e ricostruzioni dell’identitàitalianaA cura di Gianluca Belli e MonicaCentanni

Questo numero è il risultato del Progettodi Ricerca di Interesse Nazionale“L’invenzione del Passato. Archeologie,architetture, ricostruzioni e restauri deimonumenti storici in Italia (XIX-XXIsecolo)” al quale hanno collaboratol’Università IUAV di Venezia e leUniversità degli Studi di Bologna, Firenzee Udine.

Pubblicazione annualeRegistrazione al Tribunale di Firenzen. 5426 del 28.05.2005

Direttore responsabileEzio Godoli

Direttore scientificoAmedeo Belluzzi

Consiglio scientificoAmedeo BelluzziFrancesco Paolo Di TeodoroEzio GodoliFabio MangoneGabriele MorolliSusanna Pasquali

RedazioneEmanuela Ferretti

Coordinamento editorialeMaria Romito

Progetto grafico della copertinaLaboratorium

Caratteri albertiani della testataChiara Vignudini

Logo “Opus”Grazia Sgrilli da Donatello

In copertinaFirenze, le distruzioni belliche in borgoSan Jacopo, 1944

Le immagini provenienti da: Archivifotografici Fratelli Alinari, Archivio delconvento di Sant’Antonio di Bologna,Archivio della Fondazione Ragghianti diLucca, Archivio Storico del Comune diFirenze, Centro di documentazioneGiovanni Michelucci di Pistoia eKunsthistorisches Institut in Florenz sonopubblicate su concessione delle relativeistituzioni. Quelle provenienti da: ArchivioFotografico della Soprintendenza per iBeni Architettonici e Paesaggistici per leprovince di Venezia, Belluno, Padova eTreviso e Gabinetto Fotografico del PoloMuseale di Firenze sono pubblicate suconcessione del Ministero per i Beni e leAttività Culturali. È vietata ogni ulterioreriproduzione con qualsiasi mezzo.Si ringraziano Matteo Angelini, PaoloCova e Grazia Sgrilli per le fotografiemesse a disposizione.L’editore è a disposizione degli eventualidetentori di diritti che non sia statopossibile rintracciare.

Tutti gli articoli pubblicati dalla rivistaOpus Incertum sono preventivamentesottoposti all’esame di un comitatodi lettura anonimo di alta qualificazionescientifica.

ABBREVIAZIONIACapC: Archivio Capitolare di Colle di Vald’Elsa

ACAPGe: Archivio Consorzio Autonomo delPorto di Genova

ACC: Archivio Comunale di Colle di Vald’Elsa

ACR: Archivio Capitolino di RomaACSR: Archivio Centrale dello Stato, RomaAFR: Archivio Fondazione Ragghianti, LuccaAGCPv: Archivio del Genio Civile di PaviaASGF: Archivio Storico delle GallerieFiorentine, Firenze

AMBFF: Archivio Municipale BibliotecaFedericiana, Fano

ASA: Archivio di Stato di AnconaASABo: Archivio del convento diSant’Antonio, Bologna (Frati Minoridell’Emilia Romagna)

ASAR: Archivio Soprintendenza Archeologica,palazzo Altemps, Roma

ASBAPV: Archivio Storico dellaSoprintendenza per i Beni Architettonici ePaesaggistici di Venezia e Laguna, Venezia

ASBAPVOV: Archivio della SoprintendenzaBeni Ambientali e Architettonici per leprovince di Venezia, Belluno, Padova eTreviso, Venezia

ASCFi: Archivio Storico del Comune diFirenze

ASF: Archivio di Stato di FirenzeASP: Archivio di Stato di PesaroASpGe: Archivio Soprintendenza per i BeniArchitettonici e Paesaggistici della Liguria,Genova

ASpMi: Archivio Soprintendenza per i BeniArchitettonici e per il Paesaggio per leprovince di Milano, Bergamo, Como, Pavia,Sondrio, Lecco, Lodi e Varese, Milano

ASpRa: Archivio Soprintendenza per i BeniArchitettonici e Paesaggistici per le provincedi Ravenna, Ferrara, Forlì, Cesena, Rimini,Ravenna

ASR: Archivio di Stato di RomaASRi: Archivio di Stato di RiminiBCG: Biblioteca Civica Gambalunga, RiminiBNCF: Biblioteca Nazionale Centrale diFirenze

CMPt: Centro di documentazione GiovanniMichelucci, Pistoia

FRP: Fondo Roberto Papini, Biblioteca dellaFacoltà di Architettura di Firenze

GDSU: Gabinetto Disegni e Stampe degliUffizi, Firenze© 2011 EDIZIONI POLISTAMPA

Via Livorno, 8/32 - 50142 FirenzeTel. 055 737871 (15 linee)info@polistampa.com - www.polistampa.com

ISBN 978-88-596-1001-4

7IDENTITÀ ITALIANA. UNA COSTRUZIONE STRATIFICATA

Amerigo Restucci

11PER UNA STORIA DELLA RICOSTRUZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI: IL CONFLITTO FRA TECNICI E LE ISTITUZIONI

Cristiano Tessari

19ITALIA ANNO ZERO: LACERAZIONI E PLASTIFICAZIONI DELLA MEMORIA

Monica Centanni

COSTRUZIONI31

RITAGLI DI MEMORIA: CUTTINGS, COLLAGES E MINIATURA IN ITALIA TRA XIX E XX SECOLO

Daniele Guernelli

43CON LE FONDAMENTA NEL MEDIOEVO: SANT’ANTONIO DI PADOVA A BOLOGNA

Fabrizio Lollini

53“MULTA RENASCENTUR”: ARA PACIS AUGUSTAE, LE STORIE DEL MONUMENTO NEL XX SECOLO

Simona Dolari

75L’INVENZIONE DI UN MONUMENTO. I PROGETTI DI VITTORIO BALLIO MORPURGO PER L’ARA PACIS AUGUSTAE

Giacomo Calandra di Roccolino

RICOSTRUZIONI87

IL DIBATTITO SULLA RICOSTRUZIONE DELLA FIRENZE DEMOLITA DALLA GUERRA, 1944-1947Gianluca Belli

101PALAZZO ACCIAIOLI A FIRENZE DALLE ORIGINI ALLA RICOSTRUZIONE

Amedeo Belluzzi

121IL PALAZZO SAN GIORGIO A GENOVA

Tiziana Armillotta

131DISTRUZIONE E RICOSTRUZIONE DEL PONTE COPERTO SUL TICINO A PAVIA

Tiziana Armillotta, Federica Pascolutti

139GLI ATTORI DELLA RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO MALATESTIANO DI RIMINI

Federica Pascolutti

147“MEMORIE DI PIETRA”. LA RICOSTRUZIONE DI SAN CIRIACO DI ANCONA E DEL PALAZZO DELLA RAGIONE DI FANO

Roberto Torcoletti

157“LE PIETRE PARLERANNO”. DISTRUZIONE E RICOSTRUZIONE POSTBELLICA DELLA CHIESA DEGLI EREMITANI A PADOVA TRA STORIA E PROPAGANDA

Giulia Bordignon

177HOSTIUM RABIES DIRUIT. LA SERIE DI FRANCOBOLLI ‘MONUMENTI DISTRUTTI’ (1944-1945)

Alessandra Pedersoli

SOMMARIO

156

153. Padova, chiesa degli Eremitani dopo ledistruzioni belliche (da Lavagnino 1947)

“Il più grande disastro per l’arte italiana”Padova, sabato 11 marzo 1944. “Oggiquarta incursione sulla città. Verso le undi-ci e venti suona la sirena: il solito fuggi fug-gi generale; gente che esce in fretta dalla cit-tà ed i pochi rimasti che si raccolgono neirifugi. Un rumore assordante sul capo ci dàl’impressione di una grossa formazione abassissima quota, si sta cantando raggomi-tolati l’un sull’altro, quando una primaondata di terremoto si abbatte sulla città,seguita subito da altre due, in tutto unaquindicina di minuti di agonia. Attorno anoi sembra che tutto si schianti. […] Que-sta quarta incursione è stata la più terribile:oltre le caserme e la parte ovest della città,è stata nuovamente colpita la stazione fer-roviaria, il Campo di Marte, l’aeroporto”1.Il 28 aprile 1945, poco più di un anno dopoil bombardamento descritto in queste pagi-ne di diario, Padova è libera. Ma il tributoche la città ha pagato alla guerra è altissi-mo, per numero di vittime ed estensionedelle distruzioni: tra il 1943 e il 1945 dodi-ci bombardamenti colpiscono, oltre agliobiettivi militari, quartieri civili ed edificimonumentali del centro storico (fig. 154).Nel quarto bombardamento sulla città l’11marzo 1944 viene pesantemente colpita lachiesa degli Eremitani: l’edificio, risalente alXIV secolo, conserva preziose opere d’arte,la più nota delle quali è il ciclo di affreschicon le Storie di san Cristoforo e di san Gia-como, realizzato da Andrea Mantegna ealtri artisti (Antonio Vivarini, Bono da Fer-rara, Ansuino da Forlì, Nicolò Pizzolo) nel-la cappella Ovetari, alla metà del XV secolo(figg. 156-166, 169). Sulla chiesa vengonosganciate dal cielo due grappoli di bombe2;uno colpisce l’edificio in corrispondenza del-la facciata (fig. 157); l’altro coglie in pienola parte absidale (figg. 153, 158, 159): lacappella Ovetari, la cappella dei Dotto,metà dell’abside maggiore (affrescata dal

Guariento e dal Semitecolo). Scompaionocosì, ridotti a un cumulo di frammenti, gliaffreschi che le decoravano, salvo due scenedel ciclo mantegnesco, già staccate primadella guerra (ilMartirio di San Cristoforo el’Assunta)3. Il tetto ligneo trecentesco dellachiesa, opera di fra’ Giovanni degli Eremi-tani, viene distrutto fino a metà navata;crolla la parte superiore della facciata; imuri laterali risultano aperti e strapiom-banti con una pendenza dai 32 ai 50 centi-metri; gli altari e i monumenti funebrimedievali e rinascimentali conservati all’in-terno della chiesa (tra cui la tomba di Mar-co Mantova Benavides opera di Ammanna-ti, e una pala d’altare di Nicolò Pizzolo)sono gravemente lesionati.Ferdinando Forlati, soprintendente aimonumenti per il Veneto Orientale, due oredopo il disastro si trova sul posto e descri-ve il turbamento di fronte alle rovine: “Lospettacolo che mi si offerse fu tale da ren-dere veramente sgomenti; certo il più pau-roso di quanti la guerra aveva dato finoallora. E il momento era tale che anche ogniiniziativa per il salvataggio del poco ancorain piedi appariva poco men che disperata”4.L’annientamento degli affreschi della cap-pella Ovetari viene da subito riconosciutaanche dagli Alleati come “the greatest indi-vidual disaster to Italian art that resultedfrom the War”5.

“Le pietre parleranno”La distruzione di edifici e chiese del patri-monio monumentale italiano causata daibombardamenti angloamericani è uno deitemi su cui più insiste la propaganda dellaRepubblica Sociale: fin dal 1943 il Ministe-ro della Cultura Popolare aveva avviatouna campagna di stampa diffusa pervasiva-mente su quotidiani, periodici, manifesti,filmati, opuscoli e persino francobolli6 – per“sviluppare i concetti di barbarie, gangste-

rismo, vigliaccheria”7 dei piloti alleati. Sitratta di una iniziativa mediatica che coin-volge direttamente le Soprintendenze aiMonumenti, convocate dal Ministero perassicurare “una più intensa ed efficacedivulgazione sui quotidiani dei danni arre-cati dalla barbarie nemica sui nostri monu-menti. Occorre che i Soprintendenti tra-smettano alla Direzione Generale delle Artia mezzo telegrafico entro le ventiquattroore dall’incursione, tutti gli elementi utili,[e] nei giorni successivi, una relazioneaccompagnata dalle fotografie del monu-mento anteriori e posteriori al bombarda-mento. […] Sono in corso accordi con l’I-stituto Luce per la ripresa dei monumentidevastati dall’aviazione nemica e si invitanoi Soprintendenti ad agevolare il compito didetto Istituto”8.La distruzione del ciclo di affreschi di Man-tegna diviene dunque un perfetto strumen-to per la propaganda, che fa leva sull’icasti-cità delle immagini, corredate da lapidarimotti e didascalie: nel manifesto intitolato“Sono passati i liberatori” (fig. 155), adesempio, il montaggio presenta gli affreschiintegri “come erano”, e poi “come sono”,ridotti in frammenti, sullo sfondo delle rovi-ne della chiesa e di fiamme minacciose9.Anche i quotidiani si affidano all’eloquenzavisiva delle immagini; le prime pagine deigiornali locali – facendo presa sui senti-menti cristiani della popolazione e sulrecente appello alla pace che Pio XII avevalanciato ai belligeranti – pubblicano le foto-grafie delle chiese bombardate in città, cor-redate dalle sentenze: “Risposta anglosasso-ne all’appello del Papa”; “Gli americaniall’attacco della civiltà”; “Gli obiettivi deinuovi pagani”10.Sulla stampa nazionale, gli articoli che illu-strano la distruzione della chiesa degli Ere-mitani e dei suoi affreschi insistono ossessi-vamente sull’equazione che trasforma la

“LE PIETRE PARLERANNO”DISTRUZIONE E RICOSTRUZIONE POSTBELLICA DELLA CHIESA DEGLI EREMITANI A PADOVA

TRA STORIA E PROPAGANDA

Giulia Bordignon

157

τῶν ἱερῶν τῶν ἐµπρησθέντωνκαὶ καταβληθέντων ὑπὸ τῶν βαρβάρων

οὐδὲν ἀνοικοδοµήσω παντάπασιν,ἀλλ᾽ ὑπόµνηµα τοῖς ἐπιγιγνοµένοις ἐάσω

καταλείπεσθαι τῆς τῶν βαρβάρων ἀσεβείαςdal “Giuramento di Platea”, in Licurgo, Contro Leocrate, 81

guerra in un drammatico confronto etico,in cui Italia=civiltà e America=barbarie:“Interamente distrutta, atrocemente frantu-mata, barbaramente polverizzata. […] Èuna sublime pagina di bellezza e di storiastrappata con brutale violenza dal volumedella vita del genere umano e delle conqui-ste del genio universale. […] Sulle desolaterovine della chiesa volonterosi studenti eappassionati studiosi, frugando fra i relittidell’edificio sacro, stanno rintracciando iminuscoli frammenti cromatici dei preziositesori mantegneschi annientati. Disperataimpresa, che tuttavia mostra la venerazioneper l’arte di un popolo civile”11.La stampa locale insiste soprattutto sull’as-senza di obiettivi strategici in città: “Impor-tanza militare non ne ha Padova, né puòessere considerato nodo ferroviario e nep-pure la presenza di forze armate è tale dagiustificare un bombardamento. […] Ilnemico intende eliminare […] tutto ciò chericorda la grandezza storica del popolo ita-liano […]. Gran parte dei tesori che eranopatrimonio della città, dell’Italia e del mon-do, e che erano custoditi agli Eremitani,sono ormai in rovina per opera di questi‘liberatori’ che dicono di combattere per laciviltà”12. Padova era invece uno degli sno-di di comunicazione più importanti verso laGermania, soprattutto era sede del coman-do militare regionale oltre che del Ministe-ro per l’Educazione Nazionale del governodi Salò13.Nello scontro tra civiltà e barbarie su cuiinsiste la propaganda fascista, le figure stes-se degli affreschi patavini di Mantegna sonoarruolate come paladini dei più elevati valo-ri etici e culturali italiani aggrediti dalle for-ze nemiche. Un opuscolo edito a cura dell’i-stituto LUCE, dal titolo “Profanazione!”,presenta le foto delle macerie degli Eremi-tani alternate ai volti severi degli affreschidi Mantegna, quasi le figure stesse deidipinti distrutti levassero la loro voce con-tro i nemici. Il testo di commento alleimmagini recita: “Capolavori, innanzi aiquali il mondo ha sostato spiritualmente, inun attimo di meraviglia e di ammirazione[…] vengono annientati con una sadicaferocia: ribellione di barbari, innanzi aquanto il loro spirito non si può genuflette-re. […] Dopo la distruzione della Chiesadegli Eremitani nessuna radio nemica haparlato. Si è taciuto. Con vergogna. Delresto che avrebbe potuto dire il nemico?Forse qualche zelante propagandista avreb-be potuto scoprire che fra gli affreschi delMantegna i tedeschi avevano nascosto i

loro carri armati e i loro soldati? Oppure gliamericani hanno temuto che i guerrieriaffrescati […] sdegnati per lo scempio fattodella loro città, avrebbero potuto prendere,un giorno, vita umana e schierarsi a fiancodell’alleato germanico?”14.Il nemico viene demonizzato, presentatocome irrispettoso delle più alte espressioniculturali della civiltà, e per di più viene rap-presentato come l’infedele che non conosceil senso del sacro. Coglie nel segno un sin-tetico appunto contenuto nel diario di Giu-seppe Bottai, ex ministro fascista per l’Edu-cazione Nazionale, che il giorno primadell’incursione su Padova dell’11 marzo,scrive: “Il processo rinascimentale s’è rove-sciato: l’Italia civile divide, l’Italia religiosaunisce”15. Sulla stampa, le notizie sulladistruzione degli edifici di culto – simbolodi un cattolicesimo riconosciuto come pro-prium delle radici culturali europee – sonosempre associate a considerazioni sulla gra-tuità dei bombardamenti, sulla mancanza diobiettivi militari: “La distruzione ‘scientifi-ca’ delle chiese, fa parte integrante del pro-gramma di guerra degli anglosassoni […].La Chiesa è scientemente diligentementericercata dagli aviatori anglosassoni; peressi è titolo d’onore aver abbattuto un Tem-pio, quasi fosse un importante obiettivomilitare. E tale è veramente per loro”16.I toni della propaganda si caricano, percontrasto, di accenti biblici. È il caso, adesempio, di una collana di volumetti intito-lata “Le pietre parleranno”, dedicati aibombardamenti di diverse città: il primovolume pubblicato è proprio quello suPadova17. Il titolo stesso della collana ha ilsapore di una citazione evangelica (“Lapi-des clamabunt”, Lc 19, 40), analogamenteal motto di alcuni manifesti contro gliAlleati (ad esempio “Non prevarranno”,che riprende “Non praevalebunt” di Mt 16,18). Anche in queste pubblicazioni, ladenuncia dei “nuovi pagani” è affidata – sindal titolo – all’eloquenza estetica delle rovi-ne: il volumetto, sottotitolato “I ‘liberatori’su Padova”, è una sorta di documentariofotografico dei bombardamenti sulla città,introdotto da un breve testo: “La guerra intutti i tempi fu combattuta da eserciti con-tro eserciti, da soldati contro soldati: e semai vi furono devastazioni, incendi, stragi,erano dovute ad orde di barbari. Le opered’arte, i luoghi sacri, le popolazioni inermi,le istituzioni umanitarie non hanno maicostituito […] obiettivo da colpire. […] i‘liberatori’ hanno adottato un nuovo meto-do. Metodo che trae origine dalla mentalità

giudaico-massonica e dall’ateismo bolscevi-co, che esigono la distruzione integrale deiconcetti e degli istituti familiari e del passa-to storico dei popoli. […] Che ciò corri-sponda a verità ne è data dimostrazione daldocumentario fotografico che segue. […]Padova, malgrado le distruzioni subite, vivee continua a vivere. Gli anni che passano,che passeranno, non riusciranno a cancella-re queste sue tremende cicatrici di oggi.Cicatrici che, se lasciano sulla città il segnodella provata tortura, imprimono anche, afuoco, il marchio di infamia che resteràindelebile nei secoli, sul volto dei distrutto-ri, come le stigmate che Dio impresse sullafronte di Caino”18.Se, come scriverà Piero Sella, la RSI inter-pretava anche “il rifiuto di autoescludersidalla storia”19 da parte di una nazione chenon voleva sentirsi solo un teatro di guerraper eserciti stranieri, proprio al tribunaledella storia i monumenti bombardati sonochiamati come testimoni. Le distruzioni bel-liche interrogano alla radice il senso etimo-logico del termine monumentum: adammonire, a rammemorare, non è più labellezza dell’edificio, ma le sue rovine.“Ipsaruina docet” dunque: ma i mucchi di mace-rie sono istruttivi non solo – o meglio nontanto – della grandezza del genio italico,quanto piuttosto della barbarie del nemico.In termini riegliani, il valore da mettere inevidenza negli edifici bombardati non è tan-to il loro Kunstwert o il loro Alteswert,quanto piuttosto il loro historischer Wert,considerato però in chiave tutta attuale. Ilsenso di perdita irreparabile della chiesadegli Eremitani è inscindibilmente legatoalla perpetua condanna per i colpevoli: “Iltenace lavoro degli italiani riparerà i dannimateriali della furia nemica, il tempo faràdimenticare anche le vittime umane, ma l’e-secrazione per i colpevoli di tanta offesaalla bellezza, con scopi militari del tutto ine-sistenti, crescerà nei secoli, come una con-danna che dovrebbe far tremare fin d’ora iresponsabili”20.Secondo l’auspicio della propaganda dellaRSI dunque, anche quando le vittime fosse-ro state dimenticate, il tribunale della storiasi sarebbe incaricato di giudicare l’opera deibombardieri alleati. Ma perché così fosseera necessario che le rovine assumesserouna inequivocabile eloquenza: per opporsianche simbolicamente a quello che vieneritenuto il tentativo di annichilire la memo-ria e l’identità culturale di un popolo, in ciòche di più significativo ha prodotto e lo rap-presenta, il Ministero della Cultura Popola-

G I U L I A BORD I GNON158

re procede a quella che potremmo definireuna operazione di ‘valorizzazione storica’delle rovine, con l’apposizione di una lapi-de sui monumenti distrutti, a ricordare “neisecoli” la data del bombardamento21.Anche a Padova il commissario prefettiziodel Comune annuncia l’apposizione di unalapide su ciò che resta della chiesa degli Ere-mitani: l’iscrizione “eternerà sul marmo acaratteri indelebili l’infamia degli aviatoriangloamericani che, in dispregio alle leggiumane e divine osarono, con laido cinismo,polverizzare la Capella del Mantegna,monumento insigne di genio e di fede, van-to e gloria di Padova e d’Italia, simbolo diciviltà cristiana”22. Alla cerimonia di sco-primento della lapide, il 4 giugno 1944,partecipa lo stesso ministro dell’EducazioneNazionale, Carlo Alberto Biggini: lo vedia-mo passare tra le rovine della chiesa, in unreportage23 dell’Istituto LUCE realizzato“perportare su tutti gli schermi dell’Italia repub-blicana la indistruttibile rampogna e l’eter-no disonore che l’euforia barbarica ‘alleata’s’è valso per i secoli. […] Ai nostri figli, e aifigli dei nostri figli, il compito di ricordare,meditare e agire”24. Nel filmato, un attentomontaggio dispiega ancora una volta l’ar-mamentario retorico già utilizzato dalla

stampa: una ‘imparziale’ panoramica sullerovine del monumento; le autorità che assi-stono compunte allo scoprimento dellalapide; il parroco che officia la Messa sopraun cumulo di macerie e di inferriate con-torte; alcuni primi piani, colti ad arte tra lafolla, di vigorosi giovani in divisa e di anzia-ne donne dall’aria sbigottita e indifesa. Iltesto della lapide recita: “Questa insigneopera d’arte è stata distrutta da bombarda-mento anglo-americano nel giorno 11 mar-zo 1944 – XXII”.Altre lapidi analoghe ven-gono successivamente scoperte all’angolo divia Carlo Cassan, all’osservatorio astrono-mico della Specola, nel palazzo della Ragio-ne e al Duomo25.Nel 1945, per l’anniversario del bombarda-mento – celebrato a poco più di un mesedalla Liberazione – dalle pagine a stampariverbera ancora il monito che si leva dallerovine e dalla lapide: “Verranno forse anco-ra, un giorno, i cultori dell’arte da tutto ilmondo […] ma vedranno macerie, sullequali ad eterno ricordo dei loro [scil. degliAlleati] crimini, una targa marmorea spic-cherà col breve lapidario racconto d’un ura-gano di ferro e di fuoco. […] Nulla potràcancellare dalla memoria della gente nostra,quello che fu uno dei più brutali bombar-

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 159

154. Foto aerea del bombardamento di Padova,30 dicembre 1943. Sulla destra è riconoscibile

lo spazio ellittico dei giardini dell’Arenacon il complesso degli Eremitani

damenti subiti da Padova, anche perchédavanti ai nostri occhi s’alzano sempreammonitrici le pietre annerite e le macerieanonime”26. Le pietre parleranno, dunque.Ma nelle foto del 1947, successive alla rico-struzione postbellica, della lapide non restaalcuna traccia27.

“Le nostre preoccupazioni più gravi sonodeterminate dagli affreschi padovani”La consapevolezza – e l’uso strategico – delpatrimonio monumentale come segno elo-quente dell’identità della nazione è benviva, d’altra parte, anche prima dell’entratain guerra dell’Italia. Imponente è infatti ildispiegamento di mezzi nell’attuazione del-le misure di protezione antiaerea dei monu-

menti sull’intero territorio nazionale: chie-se, edifici pubblici, musei, siti archeologici.Introducendo un volume riccamente illu-strato relativo alla protezione dei monu-menti, Marino Lazzari, direttore generaledelle Antichità e delle Belle Arti, scrive:“Quando un popolo entra in guerra portacon sé il suo passato, lo rianima nella pas-sione presente: disgiungere il popolo dallasua storia significherebbe sottrargli ogniragione ideale di lotta. […] Tutte le misureumanamente possibili sono state prese perimpedire che le bombe nemiche abbiano amietere vittime innocenti tra i documentistorici della civiltà artistica italiana”28.Fin dall’ottobre del 1936, su richiesta delMinistero dell’Educazione Nazionale, il

soprintendente Ferdinando Forlati redigeuna lista di edifici e opere d’arte posti sottola sua giurisdizione, da sottoporre a prote-zione antiaerea. I monumenti sono suddivi-si in tre categorie, nella prima delle quali,quella degli edifici “di preminente interesseartistico”, per la città di Padova sono elen-cate le seguenti opere: la cappella degliScrovegni, la cappella Ovetari, il Battistero,gli affreschi di Tiziano al Santo, il palazzodella Ragione. Nella lettera che accompa-gna la lista, Forlati precisa che, per quantoriguarda le opere ad affresco: “devesi peròtener presente che la possibilità della lorodifesa è sempre relativa e limitata solo adalcune parti più importanti non potendosi,per esempio, certo pensare – specialmente

G I U L I A BORD I GNON160

oggi – ad una efficace protezione della Cap-pella Scrovegni affrescata da Giotto o diquella del Mantegna agli Eremitani perquanto siano edifici di piccola mole”29.La preoccupazione di Forlati circa la scarsaefficacia delle protezioni nel caso delle ope-re d’arte inamovibili (come è il caso degliaffreschi), è ribadita da due lettere che ilsoprintendente indirizza nel luglio e nel set-tembre del 1939 al Ministero; nella primamissiva, Forlati ipotizza addirittura lo stac-co degli affreschi come unico mezzo sicurodi salvaguardia: “Le nostre preoccupazionipiù gravi […] sono determinate dagli affre-schi padovani, quelli della Cappella Scrove-gni di Giotto, quelli della cappella Ovetaridel Mantegna, quelli della Scuola del Santodi Tiziano, quelli dell’Altichieri e dell’Avan-zo. Una difesa con saccate e con materassi,oggi, non è efficace: quella con opere ester-ne anche in cemento armato presenta diffi-coltà pratiche che rendono assai difficile lasua esecuzione. Se si volesse essere vera-mente sicuri bisognerebbe pensare allo stac-co, opera questa che per delicatezza perresponsabilità e vastità di lavoro, fa trema-re al solo pensiero”30. Il problema della pro-tezione degli affreschi e delle opere d’artenon mobili è per altro rilevato anche daLazzari nel testo già citato. Accanto agliaffreschi fiorentini di Masaccio, Lazzarinomina come esempio eccellente e paradig-matico delle opere a fresco italiane il ciclopatavino di Giotto, che come è noto si tro-va a pochissimi metri di distanza dagli Ere-mitani: “Pensate che cada una bomba sullacappella degli Scrovegni a Padova, sullachiesa del Carmine a Firenze: i documentipiù essenziali della pittura italiana sarebbe-ro, per sempre, irrimediabilmente distrutti”.

Il testo di Lazzari prosegue illustrando ilproblema della protezione degli affreschicome ottimisticamente risolto, grazie ancheall’azione dell’Istituto Centrale del Restau-ro, di recentissima fondazione (1939): laCommissione del Consiglio Tecnico del-l’ICR“si sposta da una città all’altra, muni-ta di termometri e psicrometri di precisioneper accertare che le condizioni ambientalicreate dall’apparato protettivo intorno agliaffreschi più insigni non siano tali da insi-nuare nell’organismo delicato della vecchiapittura sottili germi di malattia, cause didisgregamento o di deterioramento”31.Le preoccupazioni relative agli affreschipatavini sollevate da Forlati ben per tempo,già dal 1936, vengono però disattese finoall’entrata in guerra e oltre, sebbene gliesperti dell’ICR si rechino in effetti anche aPadova un anno prima del bombardamen-to – il 12 marzo 1943 – per compiere l’i-spezione di cui parla il testo di Lazzari, inparticolare per monitorare le condizionidegli affreschi di Giotto agli Scrovegni, maanche degli altri cicli a fresco segnalati dalsoprintendente, tra cui naturalmente quellidi Mantegna nella cappella Ovetari. Lacommissione è composta da nomi di stu-diosi e storici dell’arte tra i più celebri nelpanorama storico-critico italiano: PietroToesca, Roberto Longhi, Giulio CarloArgan, Guglielmo de Angelis d’Ossat, Cesa-re Brandi, Pietro Romanelli, cui si uniscono,nell’ispezione alle opere d’arte di Padova,anche Vittorio Moschini (soprintendentealle Gallerie di Venezia), Sergio Bettini(direttore del Museo Civico di Padova) eFerdinando Forlati. Il gruppo di studiosi sireca prima alla cappella degli Scrovegni,dove ha modo di visionare la protezione

“L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 161

156. Padova, chiesa degli Eremitani. Il prospettoprincipale prima del bombardamento

(Archivio Fotografico Soprintendenza BAP per leprovince di Venezia, Belluno, Padova e Treviso)

157. Padova, chiesa degli Eremitani.Il prospetto principale della chiesa degli Eremitani a

seguito del bombardamento(Archivio Fotografico Soprintendenza BAP di

Venezia, Belluno, Padova e Treviso)

155. Padova, chiesa degli Eremitani. La distruzionedegli affreschi di Mantegna a seguito

del bombardamento dell’11 marzo 1944in un manifesto della RSI

antiaerea “attuata solo all’esterno con con-trafforti di legno pieni di sabbia che lascia-no notevole intercapedine”32, e di misuraretemperatura e umidità all’interno dell’edifi-cio, rilevando che le condizioni ambientalirientrano nella norma. Dalla relazioneredatta dopo l’ispezione, apprendiamo che:“Il Consiglio si recò inoltre, per quanto nonvi fossero da esaminare protezioni antiae-ree, nella Chiesa degli Eremitani, nel Batti-stero e nella Scuola del Santo. Il Consiglioconstatò agli Eremitani, nella CappellaOvetari che […] in diversi punti la superfi-cie degli affreschi presenta rigonfi assaipreoccupanti e ritenne all’unanimità didover segnalare […] la necessità di provve-dere ad una revisione e consolidamento diquei celebri affreschi. Infatti non è da esclu-dere che, ove avvenisse uno scoppio nellevicinanze o un terremoto, gli intonaci solle-vati potessero cadere”33.Già nel 1943, prima ancora dell’inizio degliattacchi aerei, gli affreschi della CappellaOvetari versano dunque in cattive condi-zioni, e prima di provvedere alla protezioneantiaerea del monumento deve essere rea-lizzato il necessario consolidamento. Comescrive Moschini al Ministero nel giugno del-lo stesso anno: “Si tratta di mettere le manisu delle opere di capitale importanza per ilpatrimonio artistico italiano. […] Trattan-dosi di cosa tanto importante, ci permettia-mo di sperare che cotesto Ministero incari-cherà il Pelliccioli34 di provvedere d’urgenzaai lavori suddetti [di consolidamento del-l’intonaco degli affreschi] se si vuole chesiano adottati tutti i provvedimenti di pro-tezione antiaerea ritenuti necessari”35. Lostesso Moschini sollecita l’intervento diconsolidamento ancora all’inizio di luglio

dello stesso anno: “il cui rinvio potrebbeavere conseguenze incalcolabili”36. In queglistessi mesi, e fino alla fine del 1943, ancheFerdinando Forlati insiste presso CesareBrandi per ottenere l’intervento dell’ICR, mail Direttore dell’Istituto replica di nonriuscire ad avere dal Ministero “le autoriz-zazioni e la concessione dei fondi per i lavo-ri a Padova”37. All’inizio del dicembre1943, i ponteggi realizzati per il consolida-mento degli affreschi vengono smontati suindicazione di Forlati, dal momento che,annota laconicamente il soprintendente,“nessuno si faceva vivo”38.Nel gennaio del 1944 – quando Padova hagià subito due bombardamenti nella zonadella stazione ferroviaria – il Militärkom-mandatur della città ordina “che i comandimilitari diano agli uffici italiani prepostialla tutela degli edifici monumentali aiuto eprotezione”39 in particolare per quantoriguarda la protezione antiaerea e lo sgom-bero dalle occupazioni militari.Al comandomilitare germanico, Forlati invia in effetti larichiesta per l’acquisto di materiali (tavole etravi di abete, mattoni, tondini di ferro,chiodi) per la realizzazione delle protezionidella cappella Ovetari, dopo aver inutil-mente sottoposto richieste analoghe neimesi precedenti al Genio Civile, al Ministe-ro per la Produzione Bellica, al ConsiglioProvinciale dell’Economia40. L’ultimarichiesta di legname al Consiglio provincia-le è datata al 9 marzo 194441: due giornidopo, il bombardamento annienta la chiesadegli Eremitani, ancora priva all’internodelle protezioni antiaeree, benché fin dall’e-state del 1940 sul tetto dell’edificio fossestato dipinto l’apposito segno distintivo (unrettangolo bianco e nero in campo giallo)

G I U L I A BORD I GNON162

158., 159. Padova, chiesa degli Eremitani. Vedutedella zona absidale a seguito del bombardamento(Archivio Fotografico Soprintendenza BAP per leprovince di Venezia, Belluno, Padova, e Treviso)

per la difesa degli edifici monumentali oconsacrati42.Nella mappa topografica della città fornitaai bombardieri americani, in cui sono indi-cate le “structures of cultural value”, sonoelencati 37 luoghi d’interesse – suddivisi trachiese, palazzi monumenti, istituzioni cultu-rali – segnalati in ordine di importanzamediante uno, due o tre asterischi: “***highest importance; ** and * intermediate;no asterisks moderate only”43. La chiesadegli Eremitani è uno dei pochi monumentia meritare la qualifica di opera “della piùalta importanza”, accanto agli Scrovegni,alla Basilica del Santo, alla statua del Gatta-melata44. La chiesa però, nonostante sia rite-nuta anche dagli Alleati uno dei monumen-ti più importanti della città, viene colpita inpieno, come abbiamo visto, sia nella zonaabsidale, sia nel prospetto principale. Osser-vando tuttavia la collocazione topograficadel monumento, una spiegazione potrebbeessere cercata nel fatto che la chiesa si trovaa poche centinaia metri dalla stazione ferro-viaria, già oggetto dei primi bombardamen-ti sulla città. Proprio per la vicinanza allosnodo ferroviario, fin dal luglio 1943 Forla-ti aveva indirizzato una lettera al Ministeroper sollecitare la realizzazione di una piùefficace protezione antiaerea degli Eremita-ni, analogamente a quanto era già stato fat-to per gli Scrovegni: “essa servirà pure per lesole schegge di esplosivi che cadono ad unacerta distanza. […] Scriviamo tutto questoper far presente le difficili condizioni in cuitrovansi i due preziosissimi monumenti chedistano in linea d’aria dalla stazione solo m.700 circa”45.L’edificio non è però in pericolo soltanto perla vicinanza alla ferrovia, ma è un bersagliodegli Alleati per un altro, più preciso, moti-vo: nonostante la propaganda fascista mil-lanti una totale assenza di obiettivi militariin città, il chiostro e i locali dell’ex conven-to attigui alla chiesa erano deputati, fin dal-l’inizio del secolo, a ospitare la caserma‘Gattamelata’ (fig. 160). La prossimitàall’acquartieramento militare è cosa in real-tà ben nota all’opinione pubblica46, tantoche Bernard Berenson annota nel suo diario,pochi giorni dopo il bombardamento del-l’11 marzo 1944: “Mi è stato riferito che lacappella degli Eremitani a Padova, con gliaffreschi del Mantegna, è stata colpita per-ché il convento vicino era stato occupatodal Quartier Generale fascista”47. Fin dal1939, per altro, Forlati aveva sottoposto laquestione al Ministero, contestualmente alleindicazioni relative alle protezioni antiaeree

per i monumenti cittadini, e in particolareper le opere non mobili: “Sarebbe urgente[…] pensare […] a trasferire altrove lacaserma che sta fra la Cappella di Giotto equella del Mantegna in quanto essa costi-tuisce ovviamente un obiettivo militare”48.Ma le autorità militari interpellate dallostesso Forlati mediante il Comitato di Pro-tezione Antiaerea della città, rispondonocon indifferenza: “Per quanto tutto lasciprevedere enormemente aumentata l’esten-sione del loro [scil. dei mezzi di offesa aerea]impiego […] l’ubicazione tra due insignimonumenti d’arte della Caserma sede delComando di Distretto di Padova, non siritiene possa aumentare la vulnerabilità deimonumenti stessi, in quanto la Casermanon costituisce un bersaglio particolarmen-te importante per l’offesa aerea”49.Forlati insiste presso il Ministero, e tra otto-bre e novembre 1939 il rimbalzo della cor-rispondenza con il podestà di Padova arri-va infine a coinvolgere il ministro Bottai inpersona50, che interpella direttamente ilMinistero della Guerra sulla questione: “lavicinanza del Distretto Militare e dell’an-nessa Caserma alle due Cappelle non puònon costituire per esse un maggior pericolodi essere esposte ad attacchi aerei. L’espe-rienza dell’ultima guerra ha già detto trop-pe cose che non possono dimenticarsi: bendieci bombe caddero a brevissima distanzadal Distretto, e di queste quattro cadderosulla stessa Caserma. E gli studiosi tuttid’arte debbono, oggi, alla sola Divina Prov-videnza la conservazione de’ due preziosimonumenti.”51. Apprendiamo così che lacaserma ‘Gattamelata’ – ovvero l’ex con-vento annesso alla chiesa degli Eremitani –era stata oggetto di bombardamenti già nelcorso della prima guerra mondiale. Nelnuovo conflitto la minaccia di ulterioribombardamenti può dirsi “enormementeaumentata” per ammissione delle stesseautorità militari: a nulla valgono, però, leinsistenze di Forlati e di Bottai. Il segno diprotezione antiaerea sul tetto della chiesa sirivela inutile, e per altro a fronte di un bom-bardamento diretto sull’edificio inefficaci sisarebbero rivelate, come già aveva previstoForlati, anche le incastellature di difesa.

“Sistemi moderni integrati dalla raccoltapaziente e minuta di ogni più piccolo fram-mento”Un paio di settimane dopo il bombarda-mento, mentre la propaganda diffonde lanotizia della distruzione della chiesa e degliaffreschi come abbiamo visto nei termini di

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 163

160. Pianta con l’ubicazione del distretto militare,della chiesa degli Eremitani e della cappella

degli Scrovegni (Archivio FotograficoSoprintendenza BAP Venezia,Belluno, Padova, e Treviso)

161. L’altare di Nicolò Pizzolo recuperatodalle rovine della cappella Ovetari

(Archivio Fotografico Soprintendenza BAP Venezia,Belluno, Padova, e Treviso)

scontro tra civiltà e barbarie, il soprinten-dente Forlati, impegnato nello sgombero eprotezione delle rovine, scrive nuovamenteal capo della Provincia. In questo momentopiù che mai sono necessari mezzi e uominiper la salvaguardia di quanto resta deimonumenti colpiti: “Questa Soprintenden-za sta recuperando dalle rovine nelle chiesedegli Eremitani, di San Benedetto e delDuomo quanto di oggetti d’arte e fram-menti dell’insigne decorazione affrescatadel Guariento, dell’Altichiero, del Mante-gna, del Pizzolo e del Menabuoi è supersti-te: però si trova di fronte a gravissime diffi-coltà per avere materiali e uomini per losgombro e per la sorveglianza”52. Forlatirichiede legname per la realizzazione dicoperture provvisorie “altrimenti con lepiogge ci troveremo poi in condizioni vera-mente gravi, sia per la conservazione degliframmenti superstiti, sia per l’opera di ricu-pero”53; cotonina leggera “per la fissatura edifesa degli affreschi superstiti”54; carri peril trasporto delle macerie.A un anno dal bombardamento, Forlatiinoltra ancora ulteriori richieste di materia-li per la salvaguardia degli affreschi pado-vani55: la guerra rende infatti estremamentedifficoltoso il reperimento di qualunquemateriale. Ma ancora nell’estate del 1945 iresti della chiesa, come apprendiamo dauna lettera del parroco don Felice Velluti,sono ancora privi di protezione: “Se non siricorre subito ai ripari, i residui affreschi delGuariento andranno irreparabilmente per-duti, esposti come sono di continuo alle

intemperie; la facciata, in buona parte sal-va, va deperendo di giorno in giorno; i murimaestri laterali, cadenti, si ridurranno ad unmucchio di rovine; i resti della cappella‘Mantegna’ e di tutto l’abside […] sono làlacrimanti a domandare un pronto soccor-so”56. Forlati risponde prontamente all’ap-pello del parroco: “Siccome dipendiamodagli Alleati, bisogna – per il momento esecondo le loro direttive – eseguire soloquanto è strettamente necessario perché ilmonumento colpito non abbia a soffriremaggiormente. Con tale programma stooccupandomi affinché si eseguisca sia purquel minimo (che è purtroppo nel grandedisastro avvenuto cosa notevole) che risul-ta necessario per salvare intanto la parteabsidale e la facciata”57.Subito dopo la Liberazione, al controllo delComando tedesco sulle opere d’arte era sub-entrato infatti quello del Governo MilitareAlleato, mediante l’operato della Monu-ments, Fine Arts and Archives Subcommis-sion, guidata dal Maggiore Norman T.Newton58. Da una nota dello stesso Newtonapprendiamo che la Commissione alleata haeffettivamente in programma “in Padova acomplex project for between 4 and 5 mil-lion lire (details being studied) for first aidclosure of famous Church of Eremitani”59.Il conto che Forlati presenta agli Alleati perun primo consolidamento d’urgenza deiresti della chiesa ammonta a “L. 1.800.000per la facciata e L. 2.800.000 per le absidi”,a cui si devono aggiungere però fondi ulte-riori “per saldare la facciata e per ricom-porre l’abside maggiore in modo da averequel minimo di stabilità che eviti dolorosinuovi disastri. La somma necessaria è di L.995.000 per la facciata e di L. 3.500.000 perl’abside, complessivamente L. 4.495.000”60.Oltre a prendere accordi con la Commis-sione alleata per la protezione dei monu-menti, la Soprintendenza veneta, venti gior-ni dopo la Liberazione, riprende anche icontatti con il rinnovato Ministero dell’E-ducazione Nazionale: “Questa Soprinten-denza è assai lieta di riprendere le comuni-cazioni con il suo Ministero, in un clima diliberazione e ricostruzione fisica e moralecui ha la coscienza di aver contribuito conle sue pur modeste forze. […] Padova haavuto per i ripetuti bombardamenti dannimonumentali gravi il maggiore dei quali èquello della distruzione della Chiesa degliEremitani, che, se potrà venire architettoni-camente ricomposta, non potrà più riaverei mirabili affreschi del Guariento, del Semi-tecolo, dell’Altichiero e soprattutto quelli

stupendi del Mantegna. […] Si tratta di undanno che trascende l’importanza localeper divenire di primo piano nella vita arti-stica e culturale della nazione”61. I finanzia-menti per la ricostruzione, tra il 1945 e il1946, ammontano a L. 7.088.000 stanziatedagli Alleati, L. 1.942.793 stanziate dalMinistero, L. 5.348.992 stanziate dal GenioCivile62. Tra il settembre e il novembre del1945, alcune note della Soprintendenza allaCamera di Commercio di Padova elencano imateriali richiesti per la ricostruzione:45000 mattoni, 100 quintali di calce idrau-lica, 15 quintali di calce viva, 5000 tavello-ni forati, 25000 tegole curve63. Nel dicembredel 1945, Forlati scrive alla Commissionealleata lamentando che: “Gli aumenti delcosto dei materiali e della mano d’operasommano dall’agosto (epoca dell’approva-zione della maggior parte dei preventivi) il45%”64; il soprintendente richiede per ilproseguimento dei lavori un’altra erogazio-ne di fondi, per L. 4108000.In effetti il progredire dei lavori di restaurosembra limitarsi, alla fine del 1945, ancoraallo sgombro delle macerie. Nell’invernodel 1946 Stanley Meltzoff, corrispondente eillustratore per il periodico militare “Starsand Stripes” e altre riviste staunitensi, scri-ve una Letter from North Italy, in cuidescrive le condizioni delle opere d’arte nelVeneto: “The Ovetari Chapel is a clean spa-ce about fifty yards from the standing faça-de of the Eremitani. Only the damagedseries of St. Christopher, removed somedays before the bombing, has been saved.

G I U L I A BORD I GNON164

Of Mantegna’s S. Giacomo all that remainsis some bits: a glaring eye, a classical nose,some views of antique buildings, some frac-tured pears; amounting to about twentysquare inches in all. […] The guidebooks’estimate of two days for Padua ‘for themost summary visit’ is now 44 hours toolong”65. La rimozione delle macerie dopo ilbombardamento ha dunque lasciato unvuoto dove sorgevano le absidi della chiesa:al posto della Cappella Ovetari, un deserto“clean space”, e al posto degli affreschi,radi spolia che assommano a mezzo mq.Nei due anni successivi, tuttavia, il lavoro diricostruzione procede invece a ritmo serra-to. Nei primi mesi del 1946 vengono rico-struite le absidi e la copertura. Apprendia-mo dalle relazioni che Forlati indirizza alMinistero: “Sabato nove c. m. [febbraio]venne del tutto involtata la grande crocieradell’abside maggiore degli Eremitani diPadova, dopo avere già in precedenzacoperta anche l’abside destra. […] Ora sista eseguendo la copertura propriamentedetta, e fra breve sarà compiuta. Il lavorovenne condotto in economia diretta, senzaimpresa appaltatrice: così abbiamo ottenu-to già il notevole risparmio di quasi unmilione sui quattro avuti per tale opera”66.I fondi necessari – relativi al solo valoremateriale dell’edificio distrutto – sono tut-tavia molto più consistenti: “37 milioni,escluso naturalmente il valore delle opered’arte esistenti nel tempio. Quanto al valo-re degli affreschi perduti non si sa che cifraindicare, tanto più se si pensa allo stupendociclo dovuto al genio del Mantegna, il cuiprezzo salirebbe a tale altezza che attual-mente sarebbe priva di significato”67.Alla fine dello stesso 1946, si procede alraddrizzamento dei muri sopravvissuti alladistruzione, ma fortemente inclinati e fuoripiombo a causa del bombardamento (figg.162, 163). Il lavoro ha inizio dai pochi restidella Cappella Ovetari, e prosegue poi coni muri della navata. Scrive Forlati: “L’ope-razione viene fatta per gradi e per settori dimuratura che vanno da finestra a finestra,della lunghezza di m. 8 circa. Abbiamoincominciato con il primo tratto a sinistrache presentava difficoltà particolari perchéil piano di rottura e quindi di rotazione nonera orizzontale bensì notevolmente inclina-to. Abbiamo il piacere di annunciare chel’ardita operazione è riuscita perfettamenteriportando verticale la sommità del muroprima strapiombante di cm 32 e del peso dicirca cento tonnellate”68. Il raddrizzamentodelle murature prosegue all’inizio dell’anno

successivo: l’operazione consiste di “unarapida manovra durata poco più di ventiminuti”, che Forlati applica agli Eremitaniper la prima volta69 mediante un sistema dinuova sperimentazione: secondo il soprin-tendente si tratta di un metodo “che potràvenire esteso con profitto in molto altri edi-fici monumentali italiani che si trovano nel-le medesime condizioni”70 e che infatti lostesso Forlati applicherà estensivamentenella ricostruzione dei monumenti bombar-dati a Treviso. È ancora Forlati a fornireuna descrizione della tecnica innovativa: “Sieseguisce dapprima all’esterno e all’internoin aderenza alla superficie muraria unarobustissima orditura di travi a traliccio; aquesta in punti opportuni viene saldato unadatto numero di tiranti in ferro con mani-cotti, ancorati a punti ben solidi; si liberapoi del tutto il muro da quanto lo trattienein corrispondenza alla copertura ed allealtre vicine murature.Messo così ‘in bando’come si dice in gergo, non resta che far gira-re con continuità i manicotti: il muro conpiccole vibrazioni si sposta lentamenteassumendo in breve tempo la posizione ori-ginaria. Tratti di muri di 7 m di larghezza ealti 15 m in circa 30 minuti se ne sono tor-nati docilmente a piombo […]. Natural-mente è seguita subito l’iniezione cementi-zia che ridona alla compagine muraria tuttala sua solidità e compattezza evitando ognipossibile franamento, come anche la for-mazione sotto l’imposta del coperto di soli-di legamenti in cemento armato annegatinella muratura. […] Questo lavoro che hatutto l’aspetto di un empirismo da vecchicostruttori è stato preceduto da attenti eminuti calcoli che hanno precisato gli sfor-zi nelle orditure lignee, negli ancoraggi, neitiranti, nei manicotti e così via”71.Forlati illustra l’acribia con cui è stato svol-to il lavoro: “Questi sistemi moderni sonostati integrati dalla raccolta paziente eminuta di ogni più piccolo frammento fattasubito dopo la rovina da persone apposita-mente incaricate, in modo da ridurre alminimo ogni rifacimento delle parti orna-mentali e di quelle architettoniche”72; que-sto metodo, prosegue il soprintendente,“oltre a consentire una notevole vantaggioeconomico ha soprattutto permesso di con-servare al massimo l’integrità del monu-mento nelle parti comunque superstiti dallatragica devastazione della guerra”73. Larimessa in bando dei muri si configura cosìcome un’operazione filologica, di salva-guardia delle parti originali del monumen-to: “Doveroso era studiare tutti i mezzi,

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 165

164. Disegno preparatorio per il rifacimento dellefinestre e del rosone della chiesa degli Eremitani

(Archivio Fotografico Soprintendenza BAP Venezia,Belluno, Padova, e Treviso)

162. Padova, chiesa degli Eremitani. Inizio dei lavoridi ricostruzione della zona absidale (Archivio

Fotografico Soprintendenza BAP Venezia,Belluno, Padova, e Treviso)

163. Padova, chiesa degli Eremitani. Sistemazionedi un tratto del muro della navata inclinato a seguito

del bombardamento (Archivio FotograficoSoprintendenza BAP Venezia,Belluno, Padova, e Treviso)

anche i più arditi che oggi consente la tec-nica moderna, per ridurre al minimo ognirifacimento. […] Tutto quanto era supersti-te tornò al suo posto, dopo lunghe e pazien-ti prove e riprove sulla base di precisi rilie-vi che prima e durante la guerra avevamodisposto per un grande numero di monu-menti veneti, fra cui il nostro”74.Anche per le parti della chiesa che non sipossono ricostruire con i materiali origina-li, gli elementi ricostruiti vengono rigorosa-mente evidenziati: “Tutte le parti in pietranuove che si dovettero aggiungere furonolavorate differentemente e ognuna porta ladata. Per le murature si usarono mattonivecchi che di per sé stessi si differenziano,pur armonizzandosi con esse, da quellesuperstiti: tra il più antico e il rifatto correun piccolo solco nero”75. Scrive ancora For-lati: “In tal modo a pochi passi l’aspettodeterminato dalle masse rimane intattoanche pittoricamente, evitando altresì il dis-turbo del materiale nuovo, mentre da vici-no, almeno per lo studioso, risulta ben chia-ra la distinzione tra l’originale e il nuovo”76.A guidare l’anastilosi degli Eremitani sem-bra essere dunque la restituzione di quella“unità potenziale dell’opera” che CesareBrandi andava elaborando in quello stessoperiodo per il restauro pittorico; in partico-lare l’integrazione della parti lapidee nellachiesa, lavorate ‘a graffio’ per distinguerledalle parti originali, non possono non ricor-dare l’uso del ‘rigatino’ ideato da Brandi peri dipinti.L’emergenza della ricostruzione mette peròin crisi l’applicazione degli indirizzi codifi-cati e condivisi proprio in quegli anni nellateoria e nella pratica del restauro: Forlati, inuno scritto sulla ricostruzione redatto men-tre ancora fervono i lavori agli Eremitani,riconosce una profonda difformità episte-mologica tra la ricostruzione architettonicae quella indirizzata alle altre arti: “Dopo laguerra ci siamo trovati dinanzi a monu-menti di cui sopravvivevano parti essenzia-li. Chi di noi avrebbe avuto il coraggio diabbandonarli solo perché, almeno in sedeteorica, il problema del restauro apparivaforse insolubile? Non bisogna infattidimenticare che altro è il restauro dell’ope-ra d’arte, pittura e scultura, che è fine a sestessa, e altro è quello di un’architettura cheha quasi sempre una funzione di pratica uti-lità”77. Nello stesso scritto, Forlati sembralasciare intendere che l’approccio filologicopuò arrestarsi ‘in superficie’, fermandosiall’aspetto esteriore dell’opera: gli elementimoderni “resi non visibili e adoperati per

inderogabili da sempre con grande misuracostituiscono testimonianze schiette delnostro tempo, che certo non trarranno ininganno il futuro studioso […]. In tal modoviene anche risolto del tutto uno dei pro-blemi già chiaramente impostati, per esem-pio, dal Boito e dal Giovannoni, […] quellocioè di non alterare le strutture antiche masolo di consolidarle, senza ricorrere perquesto speroni, a tiranti interni, a intelaia-ture di trattenuta in cemento armato; tutti imezzi condannati ad alterare l’aspettoesterno ed interno del monumento”78.Insomma l’urgenza della ricostruzione ren-de lecito e anzi valorizza, anche da un pun-to di vista teorico, l’impiego di tecniche e dimateriali nuovi come elemento di progres-so nelle scelte architettoniche. Ma oggi, asessant’anni di distanza, la fiducia di Forla-ti nella riconoscibilità delle parti murarierestaurate rispetto a quelle originali risultasostanzialmente mal riposta: a chi si accostialla Chiesa degli Eremitani, tutt’altro cheevidente appare il solco nero che segna lasoluzione di continuità con il rifacimento79,così come poco distinguibili, parzialmenteuniformati dalla patina del tempo, sono imattoni utilizzati nelle parti ricostruite.Anche la copertura della chiesa – in man-canza di qualunque segno che ne denunci il,pressoché totale, rifacimento – non è affat-to riconoscibile come opera contempora-nea, risultando invece una fedele riprodu-zione del tetto a carena del XIV secolo. Ledate incise sugli elementi lapidei rifatti e lalavorazione a graffio sono le uniche testi-monianze veramente “schiette”, per usare leparole di Forlati, dell’intervento di restauro:ma esse danno conto delle vicissitudini sto-riche subite dal monumento in manieraimplicita, e resta invece il dato di fatto chegli elementi moderni, come indica lo stessosoprintendente, sono ove possibile “resi nonvisibili”.Per tornare alle vicende della ricostruzione,da una relazione di Forlati al Ministeroapprendiamo che nel giugno del 1947 “tut-ta la grande parete sinistra di chi guarda lafacciata della chiesa degli Eremitani diPadova, che strapiombava all’infuori daitrenta ai cinquanta centimetri, è ritornatacon successive, delicate ed ardite operazio-ni, a piombo. Resta ancora da eseguirsi ilraddrizzamento di quella opposta, che sispera di compiere fra breve pur avendo unostrapiombo ancora maggiore, che in alcunipunti raggiunge i novanta centimetri”80.Nel corso dei secoli lungo il fianco destrodella chiesa, sulle cappelle trecentesche si

erano andate stratificando diverse sovra-strutture – ampliamenti secenteschi e lacostruzione della casa canonica – di cui ogginulla rimane: dopo il bombardamento,infatti, si sceglie di ricostruire solo la faciesche risale alla fase umanistica della fabbri-ca, eliminando tutte le superfetazioni suc-cessive, così come già era avvenuto, peraltro, lungo il fianco sinistro, dove “nonvennero naturalmente ricostruite tutte quel-le parti che furono aggiunte nel periodoottocentesco”81. Lungo il lato destro il bom-bardamento aveva messo a nudo la struttu-ra trecentesca, ‘ripulendo’ l’edificio dallesuperfetazioni: “l’aspetto assai vario” dellecappelle era apparso “si può dire intatto fratanta rovina”82. Viene dunque privilegiatauna ricostruzione che non solo risarcisce ilmonumento “dov’era e com’era”, ma cheaddirittura per così dire lo migliora.“Ovviamente” secondo il soprintendentenon vengono restituite le stratificazioni deltempo e l’obiettivo espresso dallo stessoForlati è riportare l’edificio al suo aspetto‘originario’, che si potrà: “ricomporre consicurezza e con facilità: verrà così a formar-si su quel lato un interessantissimo movi-mento di volumi creato dalle aggiunte tre-centesche”83.Seguendo questa linea di intervento non vie-ne così riedificata la casa canonica al disopra delle cappelle, la scala che vi condu-ceva, il vano di passaggio sopra la porta diaccesso laterale alla cappella Ovetari. In par-ticolare, scrive Forlati: “La Cappella di San-t’Agostino decorata da Giusto Menabuoi,della cui opera si rinvennero altri larghi trat-ti ricoperti delle infelici manomissioni del1602, sta riassumendo l’interessantissimoaspetto originario. Pur conservando il pro-lungamento seicentesco, riavrà nelle mura-ture laterali e del frontone e nella coperturariportata alla sua minore altezza originalel’aspetto antico”84. Quasi a risarcire la per-dita degli affreschi absidali annientati dalbombardamento, la ripulitura del lato meri-dionale da tutte quelle che vengono rubrica-te come “infelici manomissioni” successivefarà dunque in modo che “frammenti diaffreschi originali, ora nella soffitta di dettecappelle, ricompariranno nella loro anticaluce”85.All’inizio del 1948 Forlati segnala al Mini-stero che “il lavoro più urgente è pressochécompiuto, salvando così quanto restava delmonumento da certa rovina”86. Dalla stes-sa relazione, apprendiamo che il lavoro,condotto in economia diretta senza impre-se appaltatrici, è venuto a costare ventisette

G I U L I A BORD I GNON166

milioni di lire: tuttavia i lavori – aggiunge ilsoprintendente – sono tutt’altro che com-pleti e occorreranno ancora notevoli som-me”. Ancora nel settembre del 1949, infat-ti, la Cappella di Sant’Agostino e l’ultimacappella del lato meridionale della chiesasono in fase di restauro; qui “occorre rin-saldare murature pericolanti con rinnova-menti parziali e con iniezioni cementizie;occorre pure ricomporre con alcuni ele-menti antichi la volta a carena e il sopra-stante coperto, rifare le finestre, rimetteregli intonaci e così via”87. La facciata, e quin-di la retrofacciata, è uno di punti più vio-lentemente devastati dal bombardamento:oltre al rifacimento del rosone (fig. 164), ènecessario smontare i due grandi altari rina-scimentali in terracotta addossati alla retro-facciata e ricollocarli lungo la parete setten-trionale: “Solo in tal modo l’ossaturamuraria potrà venir sicuramente consolida-ta e largamente ripresa, naturalmente saran-no lasciate aperte le finestre originali”.L’ammontare di questi lavori raggiunge l’im-porto di quattro milioni di lire, cui vanno asommarsi, nel 1952, altre L. 14.475.00088,necessarie per rifare il pavimento “secondoil disegno preesistente sia per forma, sia perqualità di marmi”89, l’altare maggiore e lasacrestia: fondi che vengono ora richiestinon solo al Ministero della Pubblica Istru-zione, ma anche al Provveditorato alle Ope-re Pubbliche90.A otto anni dalla distruzione,si può dire che l’edificio risulta infine inte-ramente ripristinato91.Già nel 1949 Forlati offre una valutazionepositiva della ricostruzione dei monumentiveneti, nonostante i dubbi e i problemi cri-tici posti dall’immane impresa: “Le perples-sità possono essere tormentose, passandodal principio teorico alla realtà immediata.Certo l’esperienza ha dimostrato, in materiatanto delicata, la necessità di usare mae-stranze specializzate, formatesi nel travagliogiornaliero, operanti in edifici così diversiper materiali e per la tecnica da quelli in cuiè rivolta all’odierna e corrente attività edili-zia. Solo la conoscenza di metodi antichi,oramai del tutto abbandonati, […] possonodare quelle indispensabili direttive che evi-tano risultati troppo stridenti e troppo incontrasto con la parte superstite del monu-mento, pur conservando sempre l’onestàdella ricostruzione. […] Questo sembracil’apporto migliore che la nostra generazio-ne ha dato al problema della restauromonumentale ed è questo che ci permette diconsiderare con serenità il lavoro compiutoper salvare tante opere d’arte rovinate più

che dal tempo dalla cieca furia della guerra:esse sembrano veramente risorte a nuovavita per consolarci di tante sventure”92. I“sistemi moderni” della rimessa in bando edelle iniezioni cementizie sono temperatidunque dalla “conoscenza di metodi anti-chi” da parte delle maestranze. L’“onestàdella ricostruzione” si concreta così in unrisultato compromissorio e consolatorio:“troppo stridenti” erano state le ferite infer-te dai bombardamenti al tessuto monumen-tale, e le pietre parleranno di una loro nuo-va vita e silentio, celando per quantopossibile le loro cicatrici.

“Quella specie di triste tombola sulleimmense cartelle dei grafici”Parallelamente al lavoro di ricostruzionearchitettonica procede l’anastilosi dei dipin-ti della chiesa annientati dal bombarda-mento: come abbiamo visto, i frammentivengono pazientemente raccolti nei giorniimmediatamente seguenti la distruzione,grazie alla collaborazione di docenti e stu-denti dell’Istituto d’arte ‘Pietro Selvatico’ diPadova93. Nell’ottobre 1945, più di un annoe mezzo dopo il bombardamento, Forlatiscrive al maggiore Newton fornendo unadescrizione dello status dei frammenti rac-colti, che vengono conservati in diverse cas-se, in vista di una possibile ricomposizionedegli affreschi: “Le casse contenenti i fram-menti dei dipinti murali […] hanno ledimensioni di circa m. 1.00x0.65x0.30, esono n. 19. Il loro volume è complessiva-mente di mc. 3.01. Le casse sono deposita-te in n. di 15 presso la chiesa del Santo diPadova, e in numero di 4 presso la Chiesadegli Eremitani; esse possono, con partico-lari attenzioni, venire portate, per mezzo diun camion, a Roma. […] I pezzi di affrescoraccolto sono purtroppo assai piccoli, cioèhanno generalmente le dimensioni di circatre centimetri. Di più tali resti che appar-tengono ai dipinti del Guariento, a quellitrecenteschi della Cappella dei Dotto, equelli del Mantegna, si sono, nel crollo, cer-tamente fra di loro confusi. Ci sembra quin-di che l’opera di ricomposizione debbarisultare assai difficile, quantunque si sianouniti in casse i frammenti appartenenti aduna data zona delle rovine, zona che venneindicata in una specie di pianta”94.La ricomposizione dei frammenti apparedunque fin da subito un’operazione desti-nata ad avere poco successo: la dimensionedei pezzi e la loro collocazione confusa trale macerie danno poche speranze di ottene-re risultati apprezzabili (fig. 161). Di più,

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 167

165. A. Mantegna, Giudizio di San Giacomo,particolare ricomposto dall’Istituto Centraleper il Restauro, 1947 (Archivio Fotografico

Soprintendenza BAP Venezia, Belluno,Padova, e Treviso)

apprendiamo da Forlati che “di notte per-sone, certo non ben intenzionate, si aggira-no fra le rovine”95, tanto che il soprinten-dente chiede al capo della Provincia“quattro carabinieri per l’alterna sorve-glianza di giorno e soprattutto di notte agliEremitani, giacché ci risulta che i malinten-zionati già asportano legname ed altro, spe-cialmente approfittando delle tenebre”96.Oggetto dei saccheggi notturni sono anchei lacerti di affresco; è ancora Forlati a scri-vere che “a Milano presso l’antiquario Fer-ruccio Asta venne vista da persona compe-tente e degna di fede una testa che facevaparte degli affreschi”97; i frammenti in que-stione vengono restituiti dall’antiquario98,ma verosimilmente altri brani di intonacodipinto, anche con il favore dell’oscurità edella città deserta per il coprifuoco, furonosottratti dalle rovine.Ad ogni modo, le casse dei frammenti rac-colti dopo il bombardamento arrivano nelgiugno del 1946 a Roma, presso l’IstitutoCentrale del Restauro. Qui Cesare Brandidà immediatamente inizio al vaglio deimateriali: “Subito si è iniziato lo spogliodelle cassette con discreti resultati per gli

affreschi di Bono da Ferrara, di Ansuino daForlì, del Pizzolo e per quelli variamenteattribuiti a Marco Zoppo o ad Ansuino daForlì; molto più ristretti i reperti del Man-tegna che si riducono, per ora, a pochi resi-dui”99. Nonostante la scarsità dei frammen-ti mantegneschi, è proprio su questi che siconcentra il lavoro di ricomposizione deirestauratori dell’ICR, sulla scorta dell’espe-rienza già maturata per il restauro degliaffreschi della cappella Mazzatosta di Viter-bo, frantumati dallo spostamento d’ariacausato da un bombardamento nella pri-mavera del 1944. In uno scritto del 1947Brandi offre il resoconto del lavoro svoltofino ad allora: “La parte destra della deca-pitazione di San Giacomo del Mantegna èstata ricostituita. […] La bomba, che nel 43[sic!] colpì e distrusse in pieno la cappella,non determinò […], come per gli affreschidi Lorenzo da Viterbo, un solo spostamen-to d’aria: più che la metà degli intonacidovevano polverizzarsi, e i frammenti chefurono raccolti allora non rappresentano inrealtà che la terza parte”100. A soli tre annidi distanza dal bombardamento, la presa didistanza nella memoria dagli eventi bellici è

G I U L I A BORD I GNON168

166. Cappella Ovetari, veduta del fianco sinistroprima del bombardamento (Archivio Fotografico

Soprintendenza BAP Venezia, Belluno,Padova, e Treviso)

167. Cappella Ovetari, veduta del fianco sinistrodopo la ricostruzione e la ricollocazione del pannello

con il Martirio di San Giacomo ricompostodall’Istituto Centrale per il Restauro (Archivio

Fotografico Soprintendenza BAP Venezia, Belluno,Padova, e Treviso)

tale, anche per i protagonisti direttamentecoinvolti nella ricostruzione, che lo stessoBrandi assegna la data della distruzione del-la Cappella Ovetari al 1943 anziché al1944.La ricomposizione delle grandi scene adaffresco viene compiuta come un mosaico,a partire dalle piccole ‘tessere’ prodotte dalbombardamento, basandosi sulle riprodu-zioni Alinari-Anderson dei primi decennidel Novecento, e sulla campagna fotografi-ca realizzata da Amilcare Pizzi appena unanno prima della distruzione, nel 1943, perun volume monografico di Giuseppe Fioccodedicato alla cappella Ovetari, poi pubbli-cato nel 1947101. Descrivendo le fasi delrestauro, Brandi illustra “il lavoro di indivi-duazione e di ricerca, lavoro lungo e diffici-le per il disordine inevitabile con cui eranostati raccolti i logori frammenti. Sembrò, inun primo spoglio, che del Mantegna nonfosse rimasto nulla o quasi. Poi, di spoglioin spoglio, i frammenti crebbero. Si fecero idisegni al naturale, e cominciò quella speciedi triste tombola sulle immense cartelle deigrafici: a poco a poco gli ambi infittirono, ei terni e le quaterne”102.Come per la ricomposizione architettonicadella chiesa, anche gli affreschi sono ogget-to di innovative tecniche di restauro: per lareintegrazione dei dipinti della CappellaOvetari, infatti, viene applicato il nuovometodo del ‘rigatino’, per il quale Brandi eil suo Istituto diverranno celebri a livellointernazionale (figg. 166, 167). Nel casodegli affreschi mantegneschi, alla pazienteopera del pennello dei restauratori si affian-ca, per il risarcimento dei dipinti, anchel’ausilio delle più moderne e delicate tecni-che di ingrandimento fotografico: le scenedegli affreschi sono infatti riprodotte in sca-la 1:1 su tela spalmata di gelatina fotosen-sibile, e sui grandi pannelli fotografici ven-gono in seguito applicati i frammenti, poistuccati e integrati a tratteggio. Scrive Bran-di: “Per tre volte l’ingrandimento andò amale: la quarta volta riuscì. E si cominciòad attaccare i frammenti, limati da tergo, inmodo da avere dappertutto uguale spesso-re. Attaccati i frammenti, si presero a fare lestrutture intermedie dove si poteva ricosti-tuire, senza integrazione di fantasia, il pas-saggio figurativo. Venne allora il delicatocompletamento ad acquarello, fatto secon-do l’uso dell’Istituto del Restauro, a piccolitratti verticali e divisi. Con questo sistema[…] si salva tanto l’esigenza filologica diun’assoluta riconoscibilità delle parti inte-grate, quanto l’esigenza estetica di ricosti-

tuire un’unità figurativa all’immagine fran-tumata. […] Si è ottenuto, quasi inavverti-tamente, il passaggio dalla tela impressio-nata con la fotografia alle parti salvate erisarcite dell’affresco: sul primo momento,anche con la visione diretta non si realizzaquasi affatto che larghe zone sono date solocon la fotografia monocroma”103. Ritrovia-mo in questa descrizione di Brandi le mede-sime sollecitudini che erano state poste daForlati nella ricostruzione architettonicadell’edificio: da un lato dichiarare filologi-camente l’“onestà” dell’intervento, dall’al-tro evitarne lo “stridore” (fig. 165).La validità dei principi di restauro applica-ti ai dipinti dall’ICR anche in campo archi-tettonico è sottolineata anche da EmilioLavagnino – uno dei protagonisti, neglianni del conflitto, dell’avventuroso salva-taggio di molte opere d’arte e poi tra i fon-datori della Associazione nazionale per ilrestauro dei monumenti italiani danneggia-ti dalla guerra – che scrive: “Non v’è dub-bio che tra coloro i quali vogliono che leparti rifatte appaiano anche cromaticamen-te con estrema evidente crudezza […] e glialtri che tendono all’estremo opposto, ilquale ineluttabilmente ci farebbe avvicinaredi molto alla pezza invisibile o addiritturaalla falsificazione, può avere ragione chisegua una via intermedia. Credo che […] latecnica praticata dall’Istituto Centrale delRestauro per reintegrare le parti mancantidegli affreschi […] del Mantegna […] rap-presenti una giusta misura che si può tra-sferire e applicare anche al restauro dellearchitetture”104. A proposito degli affreschimantegneschi, continua Lavagnino: “Se unaricostruzione è praticamente impossibile, ilrestauro potrà tuttavia fissare la testimo-nianza o la documentazione autentica di uncapolavoro che sarebbe, altrimenti, definiti-vamente cancellato dalla storia dell’arte.[…] Si è già detto del sistema seguito perl’integrazione delle lacune: esso ha permes-so di restituire un valore o una funzionefigurativa a quelli che, diversamente, sareb-bero stati soltanto i relitti pietosi di uncapolavoro distrutto”105. I frammenti diaffresco acquisiscono dunque un valoretestimoniale di fondamentale importanza:l’intero perduto può essere in qualche modorisarcito, mediante la sottrazione delle lacu-ne. La lacuna infatti, scriverà Brandi, “èessa stessa figura”, e si inserisce “violente-mente […] in un contesto che trenta diespellerla”106: metaforicamente, proprionelle lacune provocate dai bombardamentinel patrimonio monumentale italiano

potremmo leggere una “figura” delle cica-trici causate dalla guerra nel tessuto socialee identitario della nazione, tutte da “espel-lere” nell’Italia ormai pacificata.Il proseguimento del lavoro di reintegrazio-ne dei frammenti delle Storie di San Giaco-mo e degli altri affreschi Ovetari è prean-nunciato da Brandi: “Si sta ora preparandola parte di sinistra del medesimo fresco, ealmeno tre ampi frammenti di altri. Ma tut-to l’enorme lavoro di ricomposizione nonpotrà essere esaurito prima di tre anni”107.Negli anni seguenti, i restauri dell’Istitutoproseguono in effetti con l’intervento sualtre scene della cappella Ovetari – il Com-miato di San Cristoforo di Ansuino da For-lì, e San Cristoforo che traghetta Gesù diBono da Ferrara – in parte tradendo le indi-cazioni di Brandi: nel primo caso ecceden-do nella reintegrazione pittorica, nell’altrocaso mantenendo le lacune più ampie a sot-tosquadro neutro, senza l’immagine foto-grafica di fondo in monocromo108. Sullescene realizzate specificamente da Mante-gna, però, l’Istituto non interviene più: inuna lettera del 1949 indirizzata a Forlati,che aveva interpellato Brandi circa l’oppor-tunità di ricollocare nella cappella i lacertidi affresco ancora contenuti nelle casse, ildirettore dell’ICR risponde che qui essi sitroverebbero “fuori di posto, ridotti comesono a mutili frammenti da Antiqua-rium”109. Fino agli anni Settanta i pannelliricomposti e le casse dei frammenti, nel frat-tempo riordinati e suddivisi in nuovi conte-nitori (dalle 19 casse che partono da Pado-va nel 1946, si ottengono 67 cassette)110,rimangono a Roma: vengono quindi ritra-sferiti nel Veneto, ma solo negli anniNovanta il contenuto delle cassette vienesottoposto a un accurato riesame, e ad annirecentissimi datano le ultime vicissitudinidel restauro111.

“La felice impressione di restitutio inintegrum”Nel 1945, l’anno successivo al bombarda-mento, viene pubblicato per i tipi Electa ilvolume La chiesa degli Eremitani a Padova,parte di una collana intitolata “I monu-menti italiani e la guerra”, di cui fanno par-te altri due soli volumi, dedicati alla chiesadi Sant’Ambrogio a Milano (1945) e all’ab-bazia di Montecassino (1947). Il volumesull’edificio patavino, curato da FerdinandoForlati e dalla storica dell’arte Maria LuisaGengaro, è un contributo critico scientifica-mente rigoroso sulla storia e sulle caratteri-stiche della chiesa e delle opere in essa con-

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 169

tenute. Riecheggiano ancora, seppure inmodo più discreto, i toni della propagandadegli anni della guerra, particolarmente neltesto relativo alla parte architettonica redat-to da Forlati, che parla della chiesa “barba-ramente distrutta l’11 marzo 1944 con dan-no irreparabile dell’arte e della storia” edella sua distruzione come “perdita irrepa-rabile per la bellezza del mondo. […] Nullapotrà più ridarci il complesso pittorico del-la tribuna e dell’abside maggiore e dellacappella Dotto e soprattutto della cappellaOvetari”112.Anche un testo di tipo scientifico come que-sto, ben lontano dalla risonante retoricadella comunicazione fascista, riflette dun-que il linguaggio e il clima politico delrecente passato. Ma nelle parole che chiu-dono il saggio di Forlati, relative alla distru-zione della chiesa, avvertiamo in controlucetutto lo spaesamento determinato da quellache ormai – siamo nel 1945 – in Italia siconfigura come una guerra civile: “Se peròtanto sacrificio valesse rendere gli uominipiù saggi e più cauti nello scatenare quelterribile flagello che è la guerra, potremmoanche sperare che così orrendo scempio nonsia stato fatto invano”113. Le parole di For-lati denunciano tutta l’oscillazione e il dis-orientamento che caratterizzano la culturaistituzionale italiana in questo periodo: nonrestava che appellarsi alla genericità di unaglobale condanna delle distruzioni provo-cate dagli eventi bellici, non più come moni-to contro i nemici, ma come universaleammaestramento etico, dal momento che,nel torno di tempo in cui la monografiaveniva predisposta, affatto incerta si pre-sentava l’identità di ‘nemici’ e di ‘alleati’.Ancora più significative suonano le paroledel saggio di Gengaro sugli affreschi diMantegna, capaci “di proiettare sul pianodella realtà quotidiana quelle visioni dimondi regolati da una perfetta armonia chetalvolta illuminano nei bagliori del sogno lebuie notti della nostra vita mortale”114. L’o-pera di Mantegna veicola l’auspicio per ilrecupero di una dimensione di umanità e diequilibrio razionale in contrasto con laferocia della guerra. Scrive infatti Gengaro:“Oggi di fronte al fatto compiuto delladistruzione degli affreschi di Andrea Man-tegna […] il rileggere le parole pronunciatea Mantova da Ugo Oietti, nel 1931, in tem-po di pace, […] suscita in noi una profondaimpressione: ‘in lui [scil. Mantegna] s’ècombattuto con una fierezza ma il piùveduta il gran dramma dell’arte nostra […]:il contrasto tra l’adorazione per l’antico,

per gli eroi e per i modelli della nostra anti-ca grandezza, e l’amore della vita, dellasemplicità, della bellezza non scolpita nelmarmo ma pulsante e respirante; tra la reli-gione per quel che fummo quando si erapadroni del mondo, e l’insoddisfazione perquel che siamo […]. Da questo drammavenne agli uomini una civiltà nuova, tuttanostra, e fu chiamata ‘umanesimo’”115.Come nelle campagne mediatiche della pro-paganda di Salò, l’arte di Mantegna confer-ma la sua eloquenza simbolica: ma nel sag-gio di Gengaro alla rivendicazione degliaffreschi patavini “quale segnacolo dellanostra civiltà” non può contrapporsi più la“barbarie” angloamericana, dato che ora i‘Liberatori’ sono impegnati sul fronte dellaricostruzione. È il momento in cui tra milleincertezze la stessa nazione italiana sta cer-cando una via per la ricostruzione della suaidentità politica e culturale: gli affreschi diMantegna additano ora a un rinnovato‘umanesimo’ postbellico, che ci si auspicapossa sorgere dal dramma di un paese mar-toriato dai propri stessi ‘alleati’, fossero essii tedeschi o gli angloamericani.Nel giro di pochi mesi, dopo la Liberazio-ne, la stampa restituisce il clima di fiduciaportato dalla fine della guerra e dall’iniziodella ricostruzione, avvertita come una“faticosa opera di rinascita”116. Nel novem-bre del 1945, si è visto, il restauro dellachiesa degli Eremitani è ancora in una faseiniziale, di vaglio e sgombero dalle macerie,come aveva osservato Stanley Meltzoffdescrivendo il “clean space” dell’area su cuisorgeva la cappella Ovetari. Ma già gli arti-coli del dicembre del 1945 elogiano l’operadi ricostruzione ed enfatizzano l’immaginedella chiesa che si sta “risollevando dallemacerie”117. Libera dalla censura, e chiara-mente schierata a favore degli Alleati, lastampa può ora dichiarare che la distruzio-ne degli Eremitani non avvenne per la “bar-barie” del nemico, ma per la colpevole pre-senza del distretto militare: “Questa voltaGiotto si è salvato proprio per miracolo; ibombardieri Alleati si vede che hanno fattoil possibile per rispettarlo; e volendo colpi-re il Distretto militare, si tennero su unatraiettoria di volo più aderente alla chiesadegli Eremitani che alla Cappella giottesca.[…] Ma se gli uffici militari avessero slog-giato da questa sede infelice, tutti i nostrigrandi capolavori sarebbero rimasti incolu-mi. ‘A tale scopo io m’ero anche adoperato– informa Don Velluti – ma inutilmente.Pareva che certe Autorità […] quasi deside-rassero che anche la Cappella di Giotto sal-

tasse in aria, per poter poi gridare contro ilvandalismo degli anglo-americani’”118.La distruzione degli affreschi di Mantegnaquasi si giustifica e si compensa, dunque,con il rispetto degli Alleati per Giotto: laresponsabilità del disastro è tutta delleautorità della RSI. L’articolo prosegue conl’intervista al parroco degli Eremitani, chenon perde occasione di dichiarare come laCommissione americana abbia concesso ifondi, in vista dell’importanza delle opereda conservare: “Del nostro Guariento nonsono molte le opere che si possiedono, equesti suoi affreschi hanno grande impor-tanza perché segnano il passaggio della pit-tura italiana dalla scuola giottesca al Quat-trocento. Si vede che gli americani sannoanche spender bene i loro denari”119. Lepotenze straniere che fino qualche mese pri-ma erano demonizzate come “plutocrazie”sono ora benefattrici: significativamente lamessa a fuoco dell’articolo passa dal Man-tegna distrutto alla rarità del Guarientosuperstite, salvaguardato dalla Commissio-ne Alleata. Mantegna mantiene la suavalenza di simbolo etico, ma letta ora inchiave negativa, legata al passato sistema divalori: “Della ‘maschia virtù’ di AndreaMantegna non è rimasto che polvere. […]Frugando nella montagna di macerie, si rac-colsero molti frammenti, tanto da empirnedelle casse […]. Che cosa si possa ricostrui-re con essi, non so; ad ogni modo anche lastorica Cappella sarà a suo tempo riedifica-ta, a ricordo, se non altro, del capolavoroperduto. E il parroco continua a parlarmidel compenso che all’irrimediabile perditasi darà, ripristinando il tempio monumen-tale in tutto il suo fulgore”120. La perdita delcapolavoro mantegnesco appare dunque inqualche modo risarcibile, mercé i fondi giàstanziati dagli Alleati. Il giornalista siaccommiata infine dal parroco: “Chi bencomincia è a metà dell’opera! […] Lei hacominciato bene trovando… lo zio d’Ame-rica; le auguro di trovare qualche altrobuon zio in Italia, perché, dopo tutto, que-sti nostri monumenti di fede cristiana sonoanche delle glorie italiane. E bisogna rimet-terle in valore”.La “rimessa in valore” del patrimoniomonumentale e artistico nazionale divienein effetti il biglietto da visita della ricostru-zione italiana, in una sorta di rovesciamen-to della propaganda che aveva opposto‘civiltà’ e ‘barbarie’: i nuovi difensori dellacultura, nella letteratura specialistica maanche nei mezzi di comunicazione di massa,sono ora gli stessi ‘barbari’ distruttori. Le

G I U L I A BORD I GNON170

immagini dei monumenti ricostruiti sonopresto allestite in una mostra che si tienepresso il Metropolitan Museum di NewYork tra il settembre e l’ottobre del 1946, eche poi circuita in altre città americane. Lamostra ospita anche uno dei lacerti mante-gneschi appena ricomposti dall’ICR (un per-sonaggio del Giudizio di San Giacomo),appositamente inviato negli USA. L’esposi-zione – apprendiamo da una lettera indiriz-zata al soprintendente Forlati da EmilioLavagnino – è accompagnata da un volu-me, pubblicato “per suggerimento di auto-revoli personalità americane”, la cui com-posizione è così progettata: “Nel librosaranno illustrati 50 monumenti italianidanneggiati dalla guerra e per i quali si chie-de, a mezzo del libro stesso, un aiuto finan-ziario. […] Il libro deve essere illustrato edocumentato, da: a) fotografia del monu-mento prima dei danni b) fotografia delmonumento dopo i danni c) fotografia delmonumento quale appare dopo i primilavori. Quest’ultima documentazione è sta-ta molto raccomandata dagli americani”121.Tra i cinquanta monumenti scelti per rap-presentare la palingenesi nazionale, non

può mancare la chiesa degli Eremitani, eForlati è interpellato da Lavagnino proprioper la richiesta di foto della chiesa patavi-na. Forlati diviene in effetti l’interlocutoreprivilegiato per la diffusione delle immaginidei monumenti veneti danneggiati dai bom-bardamenti: anche Ranuccio Bianchi Ban-dinelli chiede al soprintendente specifica-mente “due fotografie degli Eremitani” perun giro di conferenze sulla ricostruzione cheandrà a svolgere all’estero122.Nell’agosto del 1947 si tiene a Parigi un’im-portante mostra dell’urbanistica e delrestauro: la riedificazione degli Eremitani èprotagonista della sala dedicata alla rico-struzione in Italia, mediante la presenza didiversi pannelli fotografici, di un plasticoche riproduce la chiesa distrutta, e delMar-tirio di San Giacomo restaurato. In unarelazione che Forlati redige a conclusionedella mostra parigina, il soprintendentescrive: “Abbiamo cercato di fare opera didivulgazione e propaganda. […] Per la pri-ma volta ci si è resi conto dei danni gravis-simi e si è potuto apprezzare lo sforzo di unpaese povero ed esausto dalla sconfitta”123.Nonostante l’ammissione, da parte degli

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 171

168. Padova, chiesa degli Eremitani. Vedutadell’interno prima del bombardamento (Archivio

Fotografico Soprintendenza BAP per le province diVenezia, Belluno, Padova, e Treviso)

169. Padova, chiesa degli Eremitani.Veduta attuale dell’interno

addetti ai lavori, di una sostanziale irrecu-perabilità delle pareti affrescate della cap-pella Ovetari, nello scenario internazionalesono proprio e soprattutto gli affreschi diMantegna a diventare, come scriverà MariaBellonci a Forlati, il “simbolo della rico-struzione italiana”124.La stampa di lingua inglese rilancia il lavo-ro di restauro compiuto dall’ICR come unodei maggiori ‘prodigi’ della rinascita post-bellica: il periodico britannico “IllustratedLondon News” nel gennaio del 1947 dedi-ca un servizio ai monumenti ricostruiti nelVeneto, intitolato Miracles of salvage inItaly. Monuments rebuilt from fragments;l’articolo è accompagnato da foto degli Ere-mitani e di dettagli degli affreschi mante-gneschi reintegrati, e una delle didascalierecita: “The Central Institute of Restora-tion at Rome has accomplished the see-mingly impossibile”125. Ma è soprattutto lastampa italiana a vedere nel risarcimentodegli affreschi un evento miracoloso: “Gliaffreschi di Andrea Mantegna, per i quali lachiesa degli Eremitani era famosa nel mon-do, torneranno, se Dio ci risparmia altriguai, al loro posto, e i vecchi frequentatoridella cappella Ovetari […] potranno ritro-vare gli statuari guerrieri del martirio di SanCristoforo, leggermente impalliditi, ma pertutto il resto, tale e quale come prima. Quel

delicato pallore, quella leggera strozzaturadi toni resteranno, per chi guarda da unacerta distanza, l’unica testimonianza dellamiracolosa rinascita di questi personaggidal tritume di intonaci che, una notte deldicembre 1943 [sic!], quando la chiesa degliEremitani fu distrutta […], si accumulò sulpavimento della cappella […] questi affre-schi furono messi, allora, senz’altro tra leopere d’arte di grande fama che la guerraaveva cancellato dal volto d’Italia, senzache ne rimanesse più traccia. Invece essi sta-vano rinascendo dalla loro polvere; anzi, inquesto momento, un pannello è già in giroper il mondo, a far conoscere il portento”.L’articolo prosegue descrivendo la prassi del‘rigatino’ sull’opera di Mantegna che deter-mina “la felice impressione di restitutio inintegrum. […] Pare che l’affresco sia torna-to magicamente quello di una volta, ma chesia anche uscito da un bagno e ne abbiaavuto smorzate le tinte. Certo, se i fedelidegli Eremitani vorranno godersi intatta lagioia del ritrovamento, senza problemi esenza dubbi, dovranno guardare, dicevamo,i loro affreschi un po’ da lontano. Solo così[…] potranno rivedere ancora i santi e iguerrieri della celebre cappella campeggiarea respiro pieno […] dove li ha collocati lafantasia di Andrea Mantegna giovinetto.Rivederli con la commozione di chi ritrova

G I U L I A BORD I GNON172

170. Padova, chiesa degli Eremitani. Veduta attualedel prospetto principale

vecchi amici che credeva irrimediabilmenteperduti”126. Per metafora, la necessità di“guardare da lontano” gli affreschi onderecuperane almeno otticamente l’integrità,pare denotare il cambiamento del punto diprospettiva storico sugli eventi del passatorecente, quell’allontanamento necessarioalla miracolosa abolizione nella memoria –compiuta “senza problemi e senza dubbi” –delle vicende belliche, che fa antidatareall’autore dell’articolo (come già era acca-duto a Brandi) l’anno della distruzione.Nel Triveneto, i prodigi della ricostruzionesono testimoniati da una mostra che si tienenel 1949 nella Basilica palladiana di Vicen-za, altro monumento gravemente colpito daibombardamenti. Nell’esposizione vicentinaogni edificio e opera d’arte restaurata aVenezia, Padova, Vicenza, Bassano, Treviso,Verona, Trento, Bolzano, Trieste, Pola, Gori-zia, Udine, mediante fotografie e plastici ha“la sua avventura di guerra e di dopoguerrada raccontare, la sua “vita pericolosa”127 daillustrare, il suo “romanzo di guerra”128 danarrare, ma è anche, soprattutto “una testi-monianza dei grandi progressi compiuti dal-la tecnica del ripristino e nella conservazio-ne dei tesori d’arte e da quelle avventuresono usciti mutilati”129. Veri e propri ‘reducidi guerra’, i monumenti dunque come vole-va la propaganda fascista, parleranno inquanto testimoni convocati al tribunale del-la storia: ma nel frattempo il ‘nemico dellaciviltà’ è diventato un altro130. I monumentiricostruiti dai Liberatori non testimonianopiù della “barbarie nemica” ma, nel ribalta-mento del processo della storia, vengonochiamati a fare i testimoni d’accusa contro laterribile guerra provocata dai nazifascisti. Aparlare non devono essere più le macerie e lerovine, ma gli edifici ricostruiti e chiamati anuova vita: ben presto la lapide affissa allafacciata della chiesa degli Eremitani perricordare“nei secoli” il bombardamento vie-ne rimossa. Il restauro è soprattutto un inter-vento sulla memoria storica: la distruzione èfatta scivolare nel passato, mediante il risar-cimento e il rifacimento delle lacune. NellaTeoria del restauro Brandi definirà con pre-cisione la valenza del termine “rifacimento”,come operazione che “intende riplasmarel’opera, intervenire nel processo creativo inmaniera analoga a come si svolse il processocreativo originario, rifondere il vecchio e ilnuovo così da non distinguersene e da abo-lire o ridurre al minimo l’intervallo di tempoche distacca i due momenti. […] L’esplicita oimplicita pretesa del rifacimento è sempre diabolire un lasso di tempo”131.Anche nel caso

degli Eremitani, la brandiana ricostituzione“dell’unità potenziale dell’opera d’arte” rea-lizzata nei modi e nei tempi che abbiamovisto, rappresenta l’abolizione di un lasso ditempo, di un passato prossimo difficile daelaborare: quello della guerra appena con-clusa. Nel 1953, a nove anni dalla distruzio-ne, la chiesa degli Eremitani appare ormaidel tutto restituita alle sue condizioni ‘origi-narie’: “il profano ancor oggi non potrebbepensare che il Tempio abbia potuto subire ilfurore della guerra”132 (figg. 169, 170).

1 L. RONDIN, Diario 1931-1948, Vicenza 1994,pp. 362-364.2 Gli ordigni furono sganciati probabilmente dallaFlying Fortress B17 “Lovely Ladies” appartenente al99th Bomb Group dell’aviazione militare statunitense:si veda The Diamondbacks. The History of the 99thBomb Group, edited by R. DRAIN, Paducah 1998,p. 30.3 I due affreschi, fortemente deteriorati dall’umidità,furono staccati per motivi conservativi già nel 1886(Martirio di San Cristoforo) e nel 1889 (Assunta); nel1941 furono rimossi dalla chiesa degli Eremitani ecustoditi presso la basilica del Santo: si veda M. GOT-TARDO, L’intervento di restauro sui pannelli raffiguran-ti L’Assunta e il Martirio di San Cristoforo e il tra-sporto del corpo, in La cappella Ovetari. Artisti,tecniche, materiali, a cura di A. M. Spiazzi, V. Fassina,F. Magani, Milano 2009, pp. 189-198: 189.4 F. FORLATI, Restauro alla Chiesa degli Eremitani diPadova, “Bollettino d’Arte”, I, 1948, 1, pp. 80-85: 82.5 Works of Art in Italy. Losses and Survivals in theWar.Part II - North of Bologna, compiled fromWar OfficeReports by the British Committee on the Preservationand Restitution of Works of Art, Archives, and otherMaterial in Enemy Hands, London 1946, pp. 1-71.6 Si tratta della serie filatelica Hostium rabies diruit, sucui si veda in questo stesso volume il contributo diAlessandra Pedersoli.7 Disposizione del Ministero Educazione Popolare del5 maggio 1943, cit. in C. MATTEINI, Ordini alla stam-pa, Roma 1945, p. 234.8 ASBAPV, B 10 Guerra, Danni di guerra arrecati ad edi-fici monumentali da incursioni aeree nemiche, Circo-lare del Ministero dell’Educazione Nazionale, 3 mag-gio 1944.9 Si veda Padova al muro: la storia contemporanea neimanifesti del Comune di Padova 1901-1945, a cura diM. Isnenghi, G. Lenci, Padova 1997. Nelle foto d’ar-chivio dell’Istituto veneto per storia della Resistenza, siriconosce il manifesto campeggiare ancora, cinquemesi dopo il bombardamento, dietro ai corpi penzo-lanti dei patrioti impiccati per rappresaglia nelle viecentrali della città (Archivio dell’Istituto veneto perstoria della Resistenza e dell’età contempora-nea, RSI.foto.1; visibile on line all’indirizzohttp://manifestirsi.cab.unipd.it/mostra_allegato?-AN=dafne: 1086180799).10 Le immagini sono pubblicate in prima pagina nel“Gazzettino di Padova”, rispettivamente il 16 marzo1944 (foto delle absidi degli Eremitani bombardate); il

17 marzo 1944 (foto di altare semidistrutto); il 26marzo1944 (foto della facciata della Cattedrale colpi-ta).11 F. PERTILE,Gli affreschi del Mantegna annientati dal-le bombe anglo-americane, “L’Illustrazione italiana”,LXXI, 1944, 13.12 Barbarie consuetudinaria; La città del Santo bom-bardata; La rabbia nemica si accanisce su chiese ospe-dali e quartieri popolari, “Il Veneto”, 11-12 marzo1944. Riecheggiano qui le parole del generale Eisen-hower, contenute in una direttiva del 29 dicembre1943 all’esercito americano in Italia: “Shortly we willbe fighting our way across the Continent of Europe inbattles designed to preserve our civilization. Inevitably,in the path of our advance will be found historicalmonuments and cultural centers that symbolize to theworld all that we are fighting to preserve. It is theresponsibility of every commander to protect andrespect these symbols whenever possible” (Report ofAmerican Commission for the Protection and Salvageof Artistic and Historic Monuments in War Areas,Washington DC 1943, p. 48).13 Su questo periodo della storia della città v. in gene-rale Tra liberazione e ricostruzione, a cura di L. Scal-co, Padova 1996, e A. VENTURA, Padova, Roma-Bari1989, pp. 309-365.14 Profanazione! s.n., s.l., s.d. [ma probabilmente:Venezia 1944].15 G. BOTTAI, Diario 1935-1944, a cura di G. B. Guer-ri, Milano 1982.16 G. DE’ ROSSI DELL’ARNO, La casa di Dio, “RassegnaNazionale”, LXV, 1943, pp. 111-114.17 I volumi pubblicati in seguito sono dedicati ai bom-bardamenti di Treviso, Bologna, Parma, Milano.18 s.n., Le pietre parleranno. Documentari delle distru-zioni operate dai bombardamenti anglo-americani nel-le città italiane. I ‘Liberatori’ su Padova, Venezia 1944,pp. 3-6.19 P. SELLA, Cinquant’anni dopo: Repubblica Sociale,Germania, nazionalsocialismo, “Uomo libero”, 36,1993, p. 15.20 Passano i distruttori, “Il Gazzettino di Padova”, 15marzo 1944.21 ASBAPV, B 10 Guerra, Danni di guerra arrecati adedifici monumentali da incursioni aeree nemiche, Cir-colare n. 35 del Ministero dell’Educazione Nazionale,1 giugno 1944: “Il Ministero della Cultura Popolare[…] ha disposto che siano applicati sui resti dei prin-cipali monumenti d’arte demoliti o danneggiati dalnemico, delle lapidi che ricordino il danno arrecatoalla civiltà dalla cieca furia dei bombardieri. […] Comefu fatto dopo la guerra 1915-18, sarà opportuno chele lapidi sieno di piccolo formato e le iscrizioni limita-te alla semplice indicazione del fatto e della data, ele-menti che basteranno nei secoli a condannare la bar-barie delle distruzioni avvenute”.22 Una lapide in piazza Eremitani a ricordo dell’infa-mia nemica,“Il Gazzettino di Padova”, 3 giugno 1944.23 Il filmato, visibile nel sito web dell’Archivio storicodell’Istituto LUCE, fa parte del cinegiornale Cronacheveneziane (C0384); il servizio sull’apposizione dellalapide agli Eremitani comincia a 2’15’’ dall’inizio delvideo. La voce fuori campo scandisce: “A Padova allapresenza di numerose autorità italiane e germaniche ilministro della Cultura Popolare [sic!] visita le rovinedella chiesa degli Eremitani che i criminali dell’ariahanno ferocemente colpito distruggendo, fra le altre

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 173

opere d’arte, i celebri affreschi del Mantegna. Dopouna cerimonia religiosa alla presenza della popolazio-ne ancora dolorante per i nefandi delitti dei cosiddetti‘liberatori’, il ministro inaugura una lapide che ricor-derà, nel tempo, le infamanti azioni terroristichedel nemico” (Archivio storico Istituto LUCE,http://www.archivioluce.com/archivio/, D008101).24 Una lapide in piazza Eremitani a ricordo dell’infa-mia nemica,“Il Gazzettino di Padova”, 3 giugno 1944.25 Ibidem.26 Cieca sarabanda di sadica voluttà, “Il Veneto”, 12marzo 1945.27 Analogamente dopo la guerra vengono rimosse lealtre targhe collocate sui monumenti bombardati del-la città: a conoscenza di chi scrive, l’unica targa rima-sta in loco è quella affissa all’ingresso dell’osservatorioastronomico.28 M. LAZZARI, La protezione delle opere d’arte duran-te la guerra, in La protezione del patrimonio artisticonazionale dalle offese della guerra aerea, a cura dellaDirezione Generale delle Arti, Firenze 1942, pp. V-X.29 ASBAPV, B 10 Guerra, Protezione antiaerea, lettera diF. Forlati al Ministero dell’Educazione Nazionale, 26ottobre 1938.30 Ivi, lettera di F. Forlati al Ministero dell’EducazioneNazionale, 22 luglio 1939.31 LAZZARI, La protezione… cit., pp. V-VI.32 ASBAPV, B 10 Guerra, Protezione antiaerea, Relazio-ne dell’ispezione dei cicli ad affresco di Padova delConsiglio Tecnico dell’Istituto Centrale del Restauro,12 marzo 1943.33 Ibidem. Forse anche a seguito di questa ispezione,proprio nel 1943 viene realizzato un documentarioIncom su Mantegna, per la regia di Carlo Malatesta ela supervisione di Alberto Savinio, in cui l’opera diMantegna, definito “pittore della volontà”, vienedescritta come caratterizzata da “una totalitarietà chevarca i confini dell’arte […] chiusa in una luce di làdall’umano, di là dal bene e dal male […] che ricordacerti surrealisti di oggi” (il filmato è visibile nel sitoweb dell’Archivio storico dell’Istituto LUCE,http://www.archivioluce.com/archivio/, D024903).34 Mauro Pelliccioli, già restauratore di importantiopere mantegnesche (la pala di San Zeno a Verona e laCamera degli Sposi nel palazzo Ducale di Mantova),dopo il bombardamento degli Eremitani interverràsugli affreschi della cappella degli Scrovegni, con unsaggio di rimozione a scopo preventivo dei medaglio-ni affrescati del soffitto. Le prove di strappo e di stac-co effettuate da Pelliccioli, tuttavia, risulteranno trop-po difficili e pericolose per l’integrità delle superficipittoriche, per pensare di poter estendere l’operazioneall’intero ciclo giottesco.35 ASBAPV, B 10 Guerra, Protezione antiaerea, lettera diVittorio Moschini al Ministero dell’Educazione Nazio-nale, 23 giugno 1943.36 Ivi, lettera di Vittorio Moschini al Ministero dell’E-ducazione Nazionale, 3 luglio 1943.37 Ivi, lettera di Cesare Brandi a Ferdinando Forlati, 12luglio 1943.38 Ivi, lettera di Ferdinando Forlati a Guido Angelini,11 dicembre 1943.39 ASBAPV, B 10 Guerra, Protezione Antiaerea, letteradal Militaerkommandatur di Padova alla Soprinten-denza ai Monumenti di Venezia, 5 gennaio1944.40 Ivi, le richieste riguardano diverse tipologie di mate-

riali: tavole di abete (settembre 1943), mattoni (agosto1943), ferro tondo (agosto 1943), chiodi (giugno1943).41 Ivi: richiesta al Consiglio provinciale dell’Economiadi Padova, 9 marzo 1944: “Si prega contesto Spett.Ufficio di voler concedere il nulla osta per l’acquisto[…] del quantitativo di legname sopra elencato neces-sario per la esecuzione della protezione antiaerea del-la cappella del Mantegna nella Chiesa degli Eremitaniin Padova: ponti di larice da m. 4 spess. mm. 4. mc.2000; travi abete da m. 4x13x16 no. 4; travi abete dam. 5 x13 x16 no. 4; morali da m. 4x0,07x0,035 pezzi40; cantinelle 4,00x0,035x0,02 pezzi 100; tavole abe-te 4 spess. mm. 20 mc. 1000; tavole abete 4 spess. mm.25 mc. 1000”.42 Ivi, il 27 giugno 1940 la Soprintendenza inoltra allaCuria vescovile di Padova la disposizione ministerialerelativa all’esecuzione del segno di protezione antiae-rea per le chiese del Duomo, di santa Sofia e degli Ere-mitani.43 La documentazione, redatta a partire dai lavori del-la Roberts Commission (su cui v. S.Mc K. Crosby, TheProtection of Artistic Monuments in Europe, in “Col-lege Art Journal”, vol. 3, n. 3, March 1944, pp. 109-113; I. Dagnini Brey, Salvate Venere! La storia scono-sciuta dei soldati alleati che salvarono le opere d’arteitaliane nella Seconda guerra mondiale, tr. it. Milano2010, e da ultimo C. Coccoli, “First Aid and Repairs”:il ruolo degli Alleati nella salvaguardia dei monumen-ti italiani, in “ANATKH” n. 62/2011, pp. 13-23), è con-sultabile presso l’Archivio storico della British Schoolat Rome (War Damage Documents, Box B, Maps ofArtistic and Historic Monuments).44 Curiosamente il palazzo della Ragione – che nellalista redatta prima della guerra da Forlati rientra tra gliedifici di preminente interesse artistico – è contrasse-gnato invece da un solo asterisco, ed è inserito tra leistituzioni culturali anziché tra i monumenti.45 ASBAPV,B 10 Guerra, Protezione Antiaerea, lettera diFerdinando Forlati al Ministero dell’EducazioneNazionale, 3 Luglio 1943.46 Le cartoline turistiche di inizio Novecento con lafotografia della piazza su cui si affacciano la chiesa el’avancorpo storicistico realizzato sull’ex conventoriportano la didascalia “Padova – Caserma Gattame-lata – Chiesa Eremitani”.47 B. BERENSON, Pagine di diario. Letteratura, storia,politica: 1942-1956, Milano 1959, p. 126 (23 marzo1944).48 ASBAPV,B 10 Guerra, Protezione Antiaerea, lettera diFerdinando Forlati al Ministero dell’EducazioneNazionale, 22 luglio 1939.49 Ivi, lettera del comandante generale di brigata aereaEttore Faccenda alla prefettura di Padova, Comitatoprovinciale P.A.A., 1 agosto 1939.50 Ivi, lettera del ministro dell’Educazione NazionaleGiuseppe Bottai al podestà di Padova del 13 ottobre1939, con richiesta di individuare un altro edificio incui trasferire il comando militare, e risposta negativadel 20 ottobre 1939.51 Ivi, lettera del ministro dell’Educazione NazionaleGiuseppe Bottai al Ministero della Guerra, 7 novem-bre 1939.52 Ivi,Danni di guerra arrecati ad edifici monumentalida incursioni aeree nemiche, richiesta di FerdinandoForlati al capo della Provincia di Padova, 24 marzo1944.

53 Ibidem.54 Ibidem.55 Ivi, richiesta di Ferdinando Forlati al consiglio pro-vinciale dell’Economia corporativa di Padova di100mq di garza per la protezione degli affreschi dellacappella degli Scrovegni, della basilica del Santo, degliEremitani, 25 marzo 1945.56 Archivio della Soprintendenza Beni Ambientali eArchitettonici per le province di Venezia, Belluno,Padova e Treviso, Venezia, [d’ora in poi: ArchivioSBAPVOVenezia],Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19,c. 226, lettera di Don Felice Velluti a Ferdinando For-lati, 26 giugno 1945.57 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.226, risposta di Ferdinando Forlati a Don Felice Vel-luti, Venezia 30 giugno 1945.58 In patria Norman Newton è professore di Architet-tura e Paesaggio alla Harvard University.59 ASBAPV, B 10 Guerra,Governo Militare Alleato, Pre-sentazione di progetti di restauro e finanziamenti,“Projects for first-aid repair, Padova and Treviso”, daHeadquarters Venezie Region a Director MFAA Sub-commission, 5 june 1945.60 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.231 lettera di Ferdinando Forlati al Maj. Norman T.Newton, 6 luglio 1945.61 ASBAPV, B 10 Guerra, Edifici monumentali delle cit-tà di Padova Vicenza e Treviso colpiti dalle incursioniaree anglo-americane, lettera di Ferdinando Forlati alMinistero dell’Educazione Nazionale, 14 maggio1945.62 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19,1951-1952, nota con consuntivo per gli anni 1945-1951, s.d. [ma probabilmente 1951].63 ASBAPV, B 10 Guerra, Edifici monumentali delle cit-tà di Padova Vicenza e Treviso colpiti dalle incursioniaree anglo-americane 13 sett 45; 27 nov 4564 Ivi: lettera di Ferdinando Forlati al Capitano Entho-ven, 14 dicembre 1945.65 S. MELTZOFF, Letter from North Italy, “College ArtJournal”, V, 1945, 1, pp. 34-36.66 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.262, lettera di Ferdinando Forlati al Ministero dellaPubblica Istruzione – Direzione generale delle Antichi-tà e Belle Arti, 21 febbraio 1946.67 Ivi, c. 261 lettera di Ferdinando Forlati all’Intenden-te di Finanza di Padova, 14 febbraio 1946.68 Ivi, c. 306, relazione indirizzata al Ministero dellaPubblica Istruzione – Direzione generale delle Antichi-tà e Belle Arti, 7 dicembre 1946: “Dopo aver messo apiombo alcuni tratti, non grandi, di circa m. 6 di lun-ghezza e di m. 8 di altezza, della Cappella del Mante-gna, si è in questi giorni affrontato il problema del rad-drizzamento dei muri delle grande nave, che haun’altezza di m. 14, 90”.69 FORLATI,Restauro alla Chiesa degli Eremitani… cit.,p. 83.70 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.310, relazione indirizzata al Ministero della PubblicaIstruzione – Direzione generale delle Antichità e BelleArti, 16 gennaio 1947: “Così un secondo tratto dimaggior lunghezza del precedente, cioè di m. 7.65,avente un’eguale altezza di m. 14.90 e strapiombantedi cm 32, venne raddrizzato con una rapida manovradurata poco più di venti minuti. Così vediamo confer-mato un sistema sia pure ardito, ma che ci permette di

G I U L I A BORD I GNON174

conservare al massimo l’integrità del monumento. Essopoi ha interessato assai oltre che i profani anche i tec-nici compresi quelli del Genio Civile; pensiamo quindiche esso potrà – in base ai risultati ottenuti a Padova– venire esteso con profitto in molto altri edifici monu-mentali italiani che si trovano nelle medesime condi-zioni”.71 FORLATI,Restauro alla Chiesa degli Eremitani… cit.,p. 82.72 F. FORLATI, Il restauro dei monumenti, inMostra delrestauro di monumenti e opere d’arte danneggiate dal-la guerra nelle Tre Venezie, catalogo a cura di M.Muraro, Venezia 1949, pp. 9-15: 12.73 FORLATI,Restauro alla Chiesa degli Eremitani… cit.,p. 82.74 Ibidem.75 Ibidem.76 FORLATI, Il restauro dei monumenti… cit., p. 11.77 Ibidem, p. 11.78 Ibidem, p. 12.79 Più evidente appare la soluzione di continuità neirestauri guidati successivamente da Forlati, come adesempio nel Palazzo dei Trecento di Treviso.80 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.326, relazione indirizzata al Ministero della PubblicaIstruzione – Direzione generale delle Antichità e BelleArti, 27 giugno 1947.81 FORLATI,Restauro alla Chiesa degli Eremitani… cit.,p. 82.82 Ibidem.83 ASBAPV, B 10 Guerra, Edifici monumentali delle cit-tà di Padova Vicenza e Treviso colpiti dalle incursioniaree anglo-americane, relazione sui “Lavori di ricom-posizione e restauro del fianco destro della chiesa degliEremitani di Padova” indirizzata al Ministero dellaPubblica Istruzione – Direzione generale delle Antichi-tà e Belle Arti, s.d.84 FORLATI,Restauro alla Chiesa degli Eremitani… cit.,p. 82.85 ASBAPV, B 10 Guerra, Edifici monumentali delle cit-tà di Padova Vicenza e Treviso colpiti dalle incursioniaree anglo-americane, relazione sui “Lavori di ricom-posizione e restauro del fianco destro della chiesa degliEremitani di Padova” indirizzata al Ministero dellaPubblica Istruzione – Direzione generale delle Antichi-tà e Belle Arti, s.d.86 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.356 relazione indirizzata al Ministero della PubblicaIstruzione – Direzione generale delle Antichità e BelleArti, 5 gennaio 194887 Ivi, c. 51, “Preventivo per il restauro delle cappelleannesse alla monumentale Chiesa parrocchiale degliEremitani di Padova”, 15 settembre 1949.88 Ivi, perizia del 27 luglio 1952.89 Ivi, c. 19, relazione indirizzata al Ministero dellaPubblica Istruzione – Direzione generale delle Antichi-tà e Belle Arti, 20 maggio 1952.90 ASBAPV, B 10 Guerra, Edifici monumentali delle cit-tà di Padova Vicenza e Treviso colpiti dalle incursioniaree anglo-americane, relazione, 5 settembre 1951.91 La nuova inaugurazione dell’edificio avverrà peròsolo alla fine del 1956, una volta reintrodotti i banchi,i confessionali, l’impianto elettrico e l’organo (si vedal’articolo Definitiva sistemazione della chiesa degli

Eremitani, “L’Avvenire” 29 settembre 1956).92 FORLATI, Il restauro dei monumenti, cit., p. 14.93 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.277, come apprendiamo da una lettera di FerdinandoForlati al nucleo di Polizia Tributaria Investigativa diMilano.94 Ivi, c. 237, lettera di Ferdinando Forlati al RegionalMFAA Office Padova, 2 ottobre 1945.95 Ivi, c. 177, lettera di Ferdinando Forlati al Dott. G.Biscottini della Scuola Scalcerle di Padova, 21 marzo1944.96 ASBAPV, B 10 Guerra, Ritiro trasporto in luoghi sicu-ri delle opere d’arte appartenenti a Chiese e monu-menti, richiesta al capo della Provincia di Padova, 24marzo 1944.97 ASBAPVOV, Chiesa degli Eremitani, B 264, 18-19, c.277, lettera di Ferdinando Forlati al nucleo di PoliziaTributaria Investigativa di Milano.98 Ivi, c. 280, dichiarazione di Ferdinando Forlati alnucleo di Polizia Tributaria Investigativa di Milano, 22maggio 1946: “Si dichiara di aver ricevuto due fram-menti (una testa e un tratto di capigliatura) degli affre-schi appartenenti alla Cappella Ovetari affrescata dalMantegna della Chiesa degli Eremitani di Padova,sequestrati all’antiquario Ferruccio Asta”.99 Ivi, c. 284, lettera di Cesare Brandi a FerdinandoForlati e p.c. alla Direzione generale Antichità e BelleArti di Roma, 15 giugno 1946.100 C. BRANDI, Il Mantegna ricostituito, “L’immagine”,I, 1947, pp. 179-180.101 Le fotografie scattate prima della guerra, oltre acostituire l’unico mezzo per la concreta restituzionedegli affreschi, salvaguardano in qualche modo l’auradell’opera mantegnesca: Bernard Berenson, il 16 mar-zo 1944, a pochi giorni dal bombardamento, annotacon la consueta noncuranza da conoisseur: “Si fa ungran baccano per una bomba caduta sulla cappelladegli Eremitani a Padova dove c’erano gli affreschi delMantegna. Pochi possono rimpiangere la loro distru-zione più di quel che faccio io e voglio sperare che iprimi resoconti siano esagerati dalla propaganda. Maanche se effettivamente fossero distrutti non mi dispe-rerò oltre misura. Essi non si adattavano completa-mente allo spazio che occupavano, e il loro coloremancava di armonia. Quel che costituiva essenzial-mente il loro valore si potrà continuare ad apprezzarenelle ottime fotografie che se ne hanno con grandeabbondanza di particolari” (BERENSON, Pagine di dia-rio… cit., p. 123).102 BRANDI, Il Mantegna ricostituito, cit.103 Ibidem.104 E. LAVAGNINO, Offese di guerra e restauri al patri-monio artistico dell’Italia, “Ulisse”, I, 1947, pp. 127-228.105 Ibidem.106 C. BRANDI, Teoria del restauro, Torino 1977 (primaed. 1963), p. 75.107 BRANDI, Il Mantegna ricostituito, cit.108 Si veda C. GIANTOMASSI, I lavori di ricomposizionee restauro degli affreschi della parete sud della Cap-pella Ovetari, in La cappella Ovetari… cit., pp. 181-188.109 ASBAPV, B 10 Guerra, Padova – Mostra del Mante-gna, lettera di Cesare Brandi a Ferdinando Forlati, 6agosto 1949.

110 Si veda GOTTARDO, L’intervento di manutenzione...cit., pp. 155-158.111 Nell’ultimo decennio del Novecento i frammentivengono consolidati e catalogati in formato digitale (illavoro viene svolto presso villa Pisani a Stra): nel 2001viene attivato infine il “Laboratorio Mantegna”, unprogetto in collaborazione tra Dipartimento di Fisicadell’Università di Padova e Soprintendenza, che elabo-ra un metodo di mappatura e anastilosi informaticadei frammenti. Un primo saggio della nuova metodo-logia è stato presentato al grande pubblico nel 2006,in occasione della mostra per il cinquecentenario dellamorte di Andrea Mantegna (si veda La cappella Ove-tari… cit.).112 F. FORLATI, La chiesa degli Eremitani a Padova, in F.Forlati, M. L. Gengaro, La chiesa degli Eremitani aPadova, Firenze 1945, pp. 7-28: 26.113 Ibidem.114 M.L. GENGARO, Pitture, inFORLATI, GENGARO, Lachiesa degli Eremitani… cit., pp. 31-44:. 36.115 Ibidem.116 Tappe della ricostruzione in “L’Avvenire d’Italia”,12 dicembre 1945.117 Ibidem.118 Ibidem.119 Ibidem.120 Ibidem.121 ASBAPV, B 10 Guerra, Edifici monumentali delle cit-tà di padova Vicenza Treviso colpiti dalle incursioniaeree anglo-americane, lettera di Emilio Lavagnino aFerdinando Forlati, 7 luglio 1946.122 Ivi: lettera di Ranuccio Bianchi Bandinelli a Ferdi-nando Forlati, 26 agosto 1946.123 Ivi, Mostre d’arte, Relazione sulla “Mostra delrestauro”di Parigi, 2 agosto 1947.124 Ivi, Padova – Mostra del Mantegna, lettera di MariaBellonci a Ferdinando Forlati, 30 luglio 1949.125 Miracles of salvage in Italy. Monuments rebuiltfrom fragments, “Illustrated London News”, 4, 1947,pp. 4-5.126 S. NERI, Soltanto più pallidi. gli affreschi del Man-tegna, che parevano distrutti dalla guerra, tornanoquasi come erano prima agli Eremitani di Padova,“Corriere della Sera”, 26 giugno 1947.127 G. GHIROTTI, Vita pericolosa dei monumenti; Ogniopera d’arte ha la sua avventura di guerra e di dopo-guerra da raccontare, “Giornale di Vicenza”, 1 settem-bre 1949.128 Il romanzo di guerra dei monumenti veneti, “Cor-riere d’informazione”, 3-4 novembre 1949.129 Ibidem.130 Il romanzo di guerra dei monumenti veneti, “Cor-riere d’informazione”, 3-4 novembre 1949: “Nellaloro ottusa bestialità i Tedeschi stavano per bruciareanche la scena lignea del Teatro Olimpico. […] L’inca-ricato di sorvegliare il prezioso tesoro palladiano videcon terrore il fuciliere teutonico avviarsi verso il fuococon una statuetta in mano, e durò fatica a persuader-lo che per quell’uso bastava un pezzo di legno qualun-que”.131 BRANDI, Teoria… cit. p. 36.132 M. F., Lenta e piena di ostacoli la ricostruzione del-la chiesa degli Eremitani,“La Patria”, 12 giugno 1953.

“ L E P I E T R E PA R L E R ANNO” 175

Recommended