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ininterrotta corona di torri costiere che ancora oggi caratterizza il paesaggio marittimo della Sardegna rappresenta la testimonianza materiale più evidente della lunga guerra combattuta dall’isola, per secoli, contro le flotte corsare islamiche. Realizzate in massima parte nell’ultimo ventennio del Cinquecento, ad esse fu affidato il compito di spezzare la soffocante catena di assalti che aveva costretto al totale abbandono di tutti i litorali isolani (1) . L’apice della crisi si ebbe dopo che nel 1492, con la presa di Grenada, Mori ed Ebrei furono cacciati dalla Spagna. Questi profughi, rifugiatisi in Africa settentrionale, rafforzarono numericamente ma soprattutto tecnologicamente le reggenze di Algeri, Tunisi e Tripoli,dipendenti dall’impero ottomano di Solimano il Magnifico. Immediata conseguenza dell’improvviso potenziamento della flotta militare islamica fu l’inizio della guerra di corsa maomettana, che strinse in un tragico assedio specialmente la Sardegna, posta ad appena cento miglia marine dalla costa nord africana (2) . Lo scontro, inizialmente navale, si spostò ben presto anche sulla terraferma mietendo tra le sue prime vittime Cabras, invasa e completamente devastata nel 1509 (3) . Nel 1514 fu la volta di Siniscola e Posada e l’anno successivo di Longonsardo (oggi Santa Teresa di Gallura). Nel 1540 fu distrutta Olmedo, nel 1549 Orosei, nel 1555 Terranova (l’attuale Olbia) (4) . Il governo spagnolo corse ai ripari e nel 1572, su ordine del viceré don Juan de Coloma, fu effettuato un primo periplo della Sardegna per stabilire dove e come erigere un sistema di difesa statico basato sulla fortificazione dell’intero perimetro costiero (5) . Intanto, però, i litorali sardi rimasti completamente sguarniti di difese avevano reso i pirati musulmani particolarmente audaci, spingendoli a compiere incursioni anche in pieno entroterra (6) . Fu questo il caso, ad esempio, dell’assalto compiuto contro la villa di Uras, venticinque chilometri a sud di Oristano, isfatta (rasa al suolo) nel 1515 ad opera di una ciurma di Turcus e Morus capitanati, nientemeno, che dal 50 ... DE TURCUS E MORUS La distruzione di Uras in un’epigrafe del villaggio scomparso di Serzela L’

Mauro Dadea, ...de Turcus e Morus. La distruzione di Uras in un'epigrafe del villaggio scomparso di Serzela, in Giorgio Pellegrini cur., Vele, tonni e scimitarre. Avventure salgariane

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ininterrotta corona di torri costiereche ancora oggi caratterizza ilpaesaggio marittimo della Sardegnarappresenta la testimonianza materialepiù evidente della lunga guerracombattuta dall’isola, per secoli, controle flotte corsare islamiche. Realizzate inmassima parte nell’ultimo ventenniodel Cinquecento, ad esse fu affidato ilcompito di spezzare la soffocantecatena di assalti che aveva costretto altotale abbandono di tutti i litoraliisolani (1).L’apice della crisi si ebbe dopo che nel1492, con la presa di Grenada, Mori edEbrei furono cacciati dalla Spagna.Questi profughi, rifugiatisi in Africasettentrionale, rafforzarononumericamente ma soprattuttotecnologicamente le reggenze di Algeri,Tunisi e Tripoli, dipendenti dall’imperoottomano di Solimano il Magnifico.Immediata conseguenza dell’improvvisopotenziamento della flotta militareislamica fu l’inizio della guerra di corsamaomettana, che strinse in un tragico

assedio specialmente la Sardegna, postaad appena cento miglia marine dallacosta nord africana (2).Lo scontro, inizialmente navale, sispostò ben presto anche sullaterraferma mietendo tra le sue primevittime Cabras, invasa ecompletamente devastata nel 1509 (3).Nel 1514 fu la volta di Siniscola ePosada e l’anno successivo diLongonsardo (oggi Santa Teresa diGallura). Nel 1540 fu distruttaOlmedo, nel 1549 Orosei, nel 1555Terranova (l’attuale Olbia) (4).Il governo spagnolo corse ai ripari enel 1572, su ordine del viceré don Juande Coloma, fu effettuato un primoperiplo della Sardegna per stabiliredove e come erigere un sistema didifesa statico basato sulla fortificazionedell’intero perimetro costiero (5).Intanto, però, i litorali sardi rimasticompletamente sguarniti di difeseavevano reso i pirati musulmaniparticolarmente audaci, spingendoli acompiere incursioni anche in pienoentroterra (6).Fu questo il caso, ad esempio,dell’assalto compiuto contro la villa diUras, venticinque chilometri a sud diOristano, isfatta (rasa al suolo) nel1515 ad opera di una ciurma di Turcuse Morus capitanati, nientemeno, che dal

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... DE TURCUS E MORUSLa distruzione di Uras

in un’epigrafe del villaggio scomparso di Serzela

L’

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Baba Arudj Barbarossa (litografia di David Borrani del 1846), fratello maggiore di Kheir ed-Din e di Isaak, soprannominato anche “Braccio d’argento” per la vistosa mutilazione del braccio sinistro, strappatogli da una cannonata all’assedio di Bougie nel 1512. È sua la barba rossa da cui verrà il famigerato soprannome esteso anche ai due fratelli corsari

famigerato corsaro Barbarossa.Sbarcati verosimilmente a Marceddì,sicuro porto dell’antica Neapolis, icorsari barbareschi si inoltrarono aben dodici chilometri dalla costa perdepredare questo piccolo agglomeratodi agricoltori che, nel 1485, secondoJohn Day contava circa duecentoindividui (7).Gli scampati dovettero sciamare versoi centri vicini, rifugiandosi

probabilmente presso amici o parenti.Alcuni di essi, dieci chilometri piùall’interno, giunsero fino a Serzela,villaggio oggi scomparso dell’anticacuratoria di Partemontis, a brevedistanza da Gonnostramatza (8).Qui, a testimonianza tangibile deltragico avvenimento, in fondo alpresbiterio della chiesa parrocchiale diSan Paolo fu murata una curiosaiscrizione commemorativa in lingua

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Il terribileKheir ed-Din,soprannominato “Barbarossa II”in una stampa del XVI secolo

sarda, di tipologia abbastanza insolita. Iltesto, infatti, corre su una lapiderettangolare a sviluppo orizzontale,non inciso ma dipinto in colore nero.Si tratta perciò di un monumento ametà tra l’iscrizione estemporanea equella monumentale.Il primo a darne notizia fu l’abateVittorio Angius, nel 1841, che appunto“nel piccolo coro” della chiesa di SanPaolo a Serzela vide «un marmoincastrato nel muro colla seguenteleggenda in lingua nazionale: A.VI. DE

ARBILI MDLXXXVI / EST ISTA DA ISFATTA SA

BIDDA DE VRAS / DE MANVS DE TVRCVS E

MORVS, / E FÌADA SV CAPITANV DEIS MORVS

BARBAROSSA» (9).Vent’anni più tardi, probabilmente, ful’incongruenza tra la datazioneassegnata all’epigrafe dall’Angius e labiografia del condottiero barbarescoKhair ad-Din detto il Barbarossa, natoa Mitilene nel 1466 e deceduto aCostantinopoli nel 1546 (10), chesuggerì a Pietro Martini di farneeffettuare una revisione paleografica daIgnazio Pillito, il quale a sua volta lesse:«A 5 de Arbili 1546 / Esti istada isfatta/ Sa vila de Uras de / Manus de Turcuse / Morus effudi capitanu / De MorusBarbarossa» (11).Le diverse letture della data,sicuramente, devono riferirsi al fattoche i due autori abbiano ipotizzato,nella cifra indicante l’anno, la presenzapromiscua di numeri romani e arabi,secondo un uso in effetti tutt’altro chesconosciuto all’epigrafia moderna dellaSardegna, riconoscendo nel penultimodi essi l’Angius un 8 e il Pillito un 4 (12).Di diverso parere l’altro grandestudioso ottocentesco sardo, ilcanonico Giovanni Spano, che pensòinvece a una cifra scritta interamentein numeri romani: «A V de Arbili

MDXV est istada isfatta sa villa de Urasde manus de Turcus et Morus et fudicapitanu de Morus Barbarossa» (13).Altri storici, che più di recente abbianoaffrontato il problema della pirateriaaraba in Sardegna, si sono limitati ariprendere l’una o l’altra di questetrascrizioni ottocentesche. FrancescoCorridore rifacendosi dichiaratamenteal Pillito in Martini (14), Joaquin Arce alloSpano (15) e John Day all’Angius (16).Dubbio invece il caso di FrancescoLoddo Canepa, che pur riportando untesto identico a quello del Pillito inMartini conosce «l’iscrizione delladistrutta Serzela ora esistente nellachiesa di Gonnostramatza» (17).Effettivamente, infatti, a causa delprecario stato di conservazione in cuiversava la chiesa di San Paolo aSerzela, sia un retablo pittorico ad essaappartenente sia l’epigrafe inargomento furono prelevati e collocatinella parrocchiale della vicinaGonnostramatza (18). Soltanto a seguito

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Ufficiale, sottoufficialee marinaio della flottaottomana nel XVI secolo

di recenti restauri dell’edificio (1980-1988), quindi, la lastrina «grazie allapassione e all’interesse del parroco diGonnostramatza “ex vice di Uras”, donPiergiorgio Mudadu, è stata fedelmentedi nuovo incastonata dietro l’altare» (19).È molto probabile, quindi, che il LoddoCanepa abbia ritenuto di poterconfermare la lettura del Pillito sullabase di una propria ricognizioneautoptica dell’epigrafe.Dalla visione diretta del monumentoderiva senza dubbio la trascrizioneeffettuatane da Gino Camboni nel1989: «El 6 de arbili MDXV estiistada isfata sa villa de Uras de manude turcus e morus e fudi capitanu de

morus Barbarossa», il cui maggiorelemento di novità, rispetto alleversioni precedenti, è rappresentatodall’aver voluto individuare nel segnoin apertura di testo non più lapreposizione semplice A ma l’articolodeterminativo EL della linguaspagnola (20).L’epigrafe, nel 1992, viene quindiriportata alla lezione tradizionale daFrancesco Manconi, che ne pubblicaanche una fotografia: «A 5 DE ARBILI

[sic] 1515 / EST ISTADA ISFATTA SA VILA DE

/ URAS DE MANUS DE TURCUS E / MORUS

EFFUDI CAPITANU DE / MORUS

BARBAROSSA» (21).In parte diversa, per quanto anch’essacorredata di immagine fotografica, laversione del testo fornita l’annosuccessivo da Barbara Fois: «El V dearbili MDXV / ESTI ISTADA ISFATA / SA VILA

DE URAS DE / MANUS DE TURCUS E /MORUS E FUDI CAPITANU / DE MORUS

BARBARROSSA» (22).Nel 1995 infine Giovanni Boassa, nellasua opera Uras “crocevia delCampidano”, pur fornendone anch’egliuna fotografia riporta due distinteletture dell’epigrafe, verosimilmenteper non sapersi decidere su qualeadottare.Nella prima fa propria l’ipotesi di untesto linguisticamente ibrido, sardo-ispanico, già sostenuta da Camboni eFois, accogliendo tuttavia la datazioneche ne era stata indicata dal Pillito inMartini: «El 6 de Arbili 1546 / estiistada isfatta / Sa vila de Uras de /Manus de Turcus e / Morus effudicapitanu / de Morus Barbarossa» (23).Più avanti invece, dopo aver in partedisquisito sulle varie possibilità dilettura della data (a suo giudizio 5aprile 1515; 6 aprile 1516; 5 aprile1516; 6 aprile 1546; 5 aprile 1546;

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Epigrafe nella chiesa di San Paolo a Gonnostramatza

Nella pagina accanto:armi turche delXVI secolo

6 aprile 1586; 5 aprile 1586),sembrerebbe propenderedefinitivamente per quella più antica:«EL 6 DE ARBILI MDXV / ESTI ISTADA ISFATTA

/ SA VILA DE URAS DE / DE (!) MANUS DE

TURCUS E / MORUS EFFUDI CAPITANU / DE

MORUS BARBAROSSA» (24).A fronte di così varie proposte dilettura, quindi, è parso opportunoriandare all’epigrafe originale esottoporla a un nuovo esame il piùpossibile accurato, così da eliminaresperabilmente ogni residuo margine diincertezza interpretativa.Il supporto è costituito da una lastrinarettangolare non di marmo, comefinora sostenuto, ma di pietra calcarealocale che misura cm. 42,8x28,4,Dello spessore risulta verificabile solola parte sporgente dal muro, alta cm. 4.In origine comunque la lastra, comerilevabile dalle tracce di calcina antica,era incastrata nella parete a maggioreprofondità.Lo specchio epigrafico risultadelimitato da una cornice lineare,anch’essa dipinta in colore nero,ancora ben visibile sul marginesuperiore e su quello destro, mentresugli altri due lati, fortemente abrasi, diessa si conservano solo labili tracce.Il testo, non inciso, come anche inquesto caso erroneamente riportatoda vari autori, ma dipinto a vernicenera con tratto uniforme e sottile, èsuddiviso in sei righe impaginateabbastanza regolarmente, se sieccettua l’ultima che, per evidentimotivi di spazio, appare di moduloinferiore alle altre. In generale, tuttavia,si osserva una certa oscillazionenell’altezza delle lettere, le cuidimensioni variano quindi da cm. 4,6 acm. 2,4.Anche l’interlinea è diampiezza variabile, da cm. 0,4 a cm. 2,4.

L’iscrizione recita:à v de arbili (!) Mdxvesti istada isfattasa vila (!) de uras demanus de turcus emorus, e ffvdi (!) capitan (!)de morus barbarossa

La scrittura è una minuscola umanisticalibraria o rotonda, che pur ricordandoassai da vicino i caratteri a stampa nonparrebbe derivarne, come indicatodalla d di forma onciale anziché dirittae dal numero romano V (r. 1)svolazzante, di chiara reminiscenzagotica.Dovrebbero intendersi di ascendenzagotica, anziché capitali rustiche direcupero umanistico, anche la Miniziale della data (r. 1), la V acuta di vila(r. 3) e di ffvdi (r. 5), con solitaoscillazione grafica per u e v.La rotata r invece è sempre quellaeretta, di tipo carolino, come anche labilabiale p.La s, regolarmente, è alta in principio ein interno di parola, rotonda in fine diparola.La preposizione de risulta sempre innesso, tranne che nell’ultima riga,

analogamente al sintagma -st- in esti ein istada (r. 2).Le vocali i sono sempre puntate.L’utilizzo di segni diacritici si estendeall’accento grave sulla preposizione a inapertura di testo, chiaramente visibile asinistra della corrispettiva minuscola ditradizione onciale ingigantita ad uso dicapolettera.Alla consuetudine grafica spagnolesca –salvo il caso della semplice mancanzadi spazio o della banale dimenticanza –parrebbe riferibile anche la parolacapitan in chiusura della riga 5, chenonostante l’abrasione marginale dellospecchio epigrafico appare comunqueessere stata priva, già in origine, delladesinenza -u caratterizzante talesostantivo in lingua sarda.Sono presenti tracce di punteggiatura,seppure limitate a un’isolata virgola

dopo la parola morus, alla riga r. 5 (25).L’impressione generale, in definitiva, èche ci si trovi alla presenza della grafiapersonale di un ignoto personaggio lacui formazione scolastica sia avvenutaattorno allo scorcio del XV secolo: inun’epoca di transizione, cioè, tral’ultimo utilizzo in campo scrittoriodella minuscola gotica e l’adozione diquella di derivazione classica, oumanistica, tuttora correntemente inuso (26).Questo elemento di carattere tecnicoconsente ora di affrontare su unterreno meno insicuro il problema piùspinoso da sempre oppostodall’epigrafe di Serzela ai suoi esegeti:come interpretare, cioè, il segnografico che occupa la penultimaposizione della riga 1, o la terza nelsintagma numerico indicante l’anno

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Sciabeccobarbaresco

Archibugio con acciarino “alla micheletta”,XVII secolo

della distruzione di Uras.Si tratta di una crocetta in decusse icui apici destri appaiono collegati daun trattino verticale.L’Angius vi riconobbe un 8 in numeroarabo, rovesciato su un fianco, conprofilo spigoloso “a clessidra”. Il Pillito,invece un 4, sempre di tipo arabo,tracciato specularmente rispetto aquella che sarebbe dovuta essere lasua forma grafica regolare.La prima ipotesi, come già accennato, èda escludere storicamente, perché inquell’anno Khair ad-Dhin Barbarossaera già morto; e analoghe difficoltàpresenta pure la seconda, dato chel’ultima spedizione del sinistramentecelebre corsaro, all’epoca peraltroquasi ottantenne, si ebbe nel biennio1543-1544 (27).La lettura corretta, dunque, parrebbedoversi considerare quella dello Spano,che nell’abbastanza morbido profilo delsegno in questione preferì individuareuna x della gotica corsiva e, nellafattispecie, un numero dieci romano.L’incursione dei Turcus e Morus diBarbarosa contro Uras, pertanto,sarebbe avvenuta il 5 aprile 1515, el’iscrizione dipinta di Serzela, da unpunto di vista paleografico, risulterebbeperfettamente coeva all’avvenimento,forse direttamente attribuibile a unadelle sue vittime. O al massimo dipoco successiva, ammettendo chel’identità precisa di chi si era resoresponsabile della loro sventura siastata conosciuta, dagli abitanti di Urasscampati alla schiavitù, con ilsopraggiungere delle richieste diriscatto per quelli che, invece, eranostati catturati.A ulteriore conferma della data, comegià evidenziato, per il biennio 1514-1515 sono registrati anche altri assalti

pirateschi a centri abitati sardi posti inprossimità delle coste, condottisecondo modalità consimili (28).In una simile ottica, tuttavia, sorge ildubbio circa l’esatta identità del“Barbarossa” cui attribuire ladevastazione di Uras. In questi anni,infatti, con l’appellativo di Barbarossa siindicava preferibilmente il fratello diKhair ad-Din,Aroudj, pirata altrettantotemibile e crudele. Fu infatti lui, nel1516, che approfittando della vacanzadel trono d’Algeri si impadronì dellacittà, mantenendone il governo fino aquando, due anni più tardi, trovò lamorte in battaglia per mano di donGarcía de Tineo (29).Quanto alla sorte di Uras, sopravvissealla razzia e poté risollevarsidemograficamente, anche se con moltalentezza. Il paese, infatti, ancoraspopolato nel 1589, contavasessantotto fuochi nel 1627, che nel1655, nonostante l’epidemia di pesteappena cessata, erano già cresciuti asettantotto fuochi fiscali (circaduecentocinquanta abitanti) (30).

Mauro Dadea

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1. EVANDRO PILLOSU, Le torri litoranee in Sardegna,Cagliari 1957; FOISO FOIS, Torri spagnole e fortipiemontesi in Sardegna, Cagliari 1981; GIANNI

MONTALDO, Le torri costiere in Sardegna, Sassari1992; MASSIMO RASSU, Sentinelle del mare. Le torridella difesa costiera della Sardegna, Cagliari 2005.

2. GIUSEPPE MELE, Torri e cannoni: la difesa costierain Sardegna nell’età moderna, Sassari 2000; GIO-VANNI MURGIA, Presenza corsara nel Mediterraneooccidentale e problemi di difesa nel Regno di Sarde-gna (secoli XVI-XVII), in B.ANATRA - M.G. MELE -G. MURGIA - G. SERRELI curr., «Contra Moros yTurcos». Politiche e sistemi di difesa degli stati dellaCorona di Spagna in Età moderna,Atti del Conve-gno internazionale di studi (Villasimius-Baunei,20-24 settembre 2005), I, Cagliari 2008, pp. 155-195.

3. Riassuntivamente cfr. MARIA GRAZIA MELE,«...En gran perill de moros i de enemichs»:intenti e operatività nella difesa costiera del Cinque-cento, in B.ANATRA - M.G. MELE - G. MURGIA - G.SERRELI curr., «Contra Moros y Turcos». Politichee sistemi di difesa degli stati della Corona di Spagnain Età moderna, Atti del Convegno internazio-nale di studi (Villasimius-Baunei, 20-24 settem-bre 2005), I, Cagliari 2008, pp. 139-153, in parti-colare pp. 141-142.

4. Un elenco delle scorrerie barbaresche controla Sardegna è in PIETRO MARTINI, Storia delle inva-sioni degli Arabi e delle piraterie dei Barbareschi inSardegna, Cagliari 1861, pp. 212-265. Cfr. ancheFRANCESCO CORRIDORE, Storia documentata dellaMarina Sarda dal dominio spagnolo al savoino(1479-1720), Bologna 1900, pp. 35-52; SALVATORE

BONO, I corsari barbareschi,Torino 1964, pp. 167-171; ANTONELLO MATTONE, La Sardegna nelmondo mediterraneo, in MASSIMO GUIDETTI cur.,Storia dei Sardi e della Sardegna, 3, L’età modernadagli aragonesi alla fine del dominio spagnolo,Milano 1989, pp. 13-64, in particolare pp. 36-45.

5. EVANDRO PILLOSU,Un inedito rapporto cinquecen-tesco sulla difesa costiera della Sardegna di MarcoAntonio Camos, «Nuovo Bollettino BibliograficoSardo», IV, 21-24, 1959;V, 25, 1960, pp. 3-32.

6.GIOVANNI SERRELI, «...Fabricar en su continentetorres y bastiones...». I problemi dell’organizza-zione difensiva nel Regno di Sardegna nella primametà del XVI secolo, in B.ANATRA - M.G. MELE - G.MURGIA - G. SERRELI curr., «Contra Moros y Tur-cos». Politiche e sistemi di difesa degli stati dellaCorona di Spagna in Età moderna, Atti del Con-vegno internazionale di studi (Villasimius-Bau-nei, 20-24 settembre 2005), I, Cagliari 2008, pp.209-218.

Note

Archibugi a micciadel XV-XVII secolo

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7. JOHN DAY, Villaggi abbandonati in Sardegna:inventario, Paris 1973, pp. 65-66.

8. CLAUDIO RONZITTI, Sérzela. La scomparsa di unvillaggio sardo del Settecento, Cagliari 2003.

9. VITTORIO ANGIUS, Gonnos-Tramatza, in GOF-FREDO CASALIS, Dizionario geografico, storico-stati-stico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sarde-gna,VIII,Torino 1841, pp. 196-199, p. 199.

10. MIGUEL ÁNGEL DE BUNES IBARRA, Los hermanosBarbarroja, los corsarios osmanlíes del Mediterrá-neo, Madrid 2004.

11. PIETRO MARTINI, Storia delle invasioni degli Arabicit., p. 221, parla di un «marmo incastrato nellemura del piccolo coro della chiesa rurale del vil-laggio di Gonnostramatza, dedicata a San Paoloapostolo, parrocchia un tempo dell’oradistrutto villaggio di Serzela», recante una “iscri-zione in idioma sardo” la cui lettura viene espli-citamente attribuita al “paleografo Pillito”.

12. CECILIA TASCA, Retabli tardo-gotici della Sarde-gna: esempi di scritture epigrafiche e nuovi docu-menti, in LUISA D’ARIENZO cur., Sardegna Mediter-raneo e Atlantico tra medioevo ed età moderna.Studi storici in memoria di Alberto Boscolo, I, Roma1993, pp. 393-427. Sorge il dubbio che la letturadell’Angius, paleograficamente comunque abba-stanza forzosa, possa farsi derivare dalla suaconoscenza – peraltro non dichiarata – del datodemografico relativo al censimento del 1589,allorquando Uras risultò del tutto spopolata.Cfr. BRUNO ANATRA - GIUSEPPE PUGGIONI - GIU-SEPPE SERRI, Storia della popolazione in Sardegnanell’epoca moderna, Cagliari 1997, pag. 105. Inquesto caso, tuttavia, il riferimento dell’epigrafedi Serzela al Barbarossa risulterebbe falso e ana-cronistico, costringendo a riconsiderare l’auten-ticità stessa del documento, che dal punto divista dei suoi caratteri estrinseci parrebbecomunque fuori discussione. Il problema dell’ap-parente completo abbandono di Uras nel 1589,dunque, andrà meglio indagato nelle sue effet-tive cause in altra specifica sede.

13. GIOVANNI SPANO, in ALBERTO DELLA MARMORA,Itinerario dell’isola di Sardegna tradotto e compen-diato dal can. Spano, II, Cagliari 1868, n. 3, p. 525,che vide l’epigrafe «in una chiesa rurale neipressi di Sardara».

14. FRANCESO CORRIDORE, Storia documentatadella Marina Sarda cit., nota 3, p. 35, riportandoesattamente la trascrizione del Martini scriveva:«L’anno seguente il re dei pirati con Turchi eMori approdò nell’Isola, e il 5 aprile distrusse ilvillaggio di Uras, come si rileva da un’iscrizionein idioma sardo incisa in un marmo che si trova

incastrato nelle mura della chiesa rurale di Gon-nostramatza». Sembrerebbe rifarsi al Martini,anche se non esplicitamente citato, anche MAT-TONE, La Sardegna nel mondo mediterraneo cit., p.41: «A 5 de arbili 1546 esti istada isfatta sa villade Uras de manus de turcus e morus effudicapitanu de morus Barbarossa».

15. JOAQUIN ARCE, España en Cerdeña. Aportacioncultural y testimonio de su influjo, Madrid 1960, p.437; La Spagna in Sardegna, introduzione, tradu-zione e note di Luigi Spanu, Cagliari 1982, p. 537,riporta la lettura dell’epigrafe data dallo Spanonella sua traduzione dell’Itinéraire del Lamar-mora, parlando della parrocchiale del villaggiodistrutto di Serzala,vicino a Sardara: A V DEARBILI MDXV EST ISTADA ISFATTA SA VILLA/ DE VRAS DE MANVS DE TVRCVS ET MORVSET FVDI / CAPITANV DE MORVS BARBA-ROSSA.

16. JOHN DAY, Villaggi abbandonati cit., pp. 65-66,parlando del villaggio di Uras cita testualmentel’iscrizione nella chiesa di San Paolo a Sersela(Partimontis) riportata da Angius: A VI DEARBILI MDLXXXVI EST ISTA DA ISFATTA SABIDDA DE URAS DE MANUS DE TURCUS EMORUS E FIADA SU CAPITANU DEISMORUS BARBAROSSA.

17. FRANCESCO LODDO CANEPA, La Sardegna dal1478 al 1793, I, Gli anni 1478-1720, edizionepostuma a cura di G.Todde, Sassari 1974, p. 87:«A 5 de Arbili 1546 esti istada isfatta sa villa deUras de manus de turcus e morus effudi capi-tanu de morus Barbarossa».

Panoplia araba

18. RENATA SERRA, Storia dell’arte in Sardegna. Pit-tura e scultura dall’Età romanica alla fine del ’500,Nuoro 1990, pp. 175-177, sch. 82 a p. 175 a curadi Roberto Coroneo.

19. GIOVANNI BOASSA, Huras, Ores, Nora. Uras“crocevia del Campidano”, Mogoro 1995, p. 195;l’opera, con il titolo Terra di memorie. Uras croce-via del Campidano, è consultabile anche all’indi-rizzo internet www.athenanoctua.com/libro/c3par5pro.htm.

20. GINO CAMBONI, Il Monte Arci, Cagliari 1989, p.138.

21. FRANCESCO MANCONI, Un mondo piccolo di ungrande impero, in IDEM cur., La società sarda in etàspagnola, I, Cagliari 1992, pp. 10-17, fig. 5, p. 15.

22. BARBARA FOIS, L’iscrizione di Uras, in Turcus eMorus. Museo delle incursioni barbaresche in Sar-degna, Cagliari 1993, p. 11, foto dell’epigrafe a p.5. A p. 17 dello stesso catalogo, tuttavia, lo«scempio della villa di Uras» da parte del Barba-rossa viene collocato nel 1514.

23. GIOVANNI BOASSA, Uras cit., p. 179; paginareperibile anche all’indirizzo internet http://www.athenanoctua.com/libro/c3par4pro.htm.

24. Ibidem, pag. 196 e pagina internet www.athe-nanoctua.com/libro/c3par5pro.htm.

25. Il particolare, fedelmente riportato dal solo

VITTORIO ANGIUS, Gonnos-Tramatza cit., p. 199,parrebbe indicare come anch’egli avesse esami-nato l’epigrafe di persona.

26. EDWARD MAUNDE THOMPSON, Paleografiagreca e latina, Milano 1940, pp. 250-255; GIULIO

BATTELLI, Lezioni di paleografia, Città del Vaticano1949, pp. 245-249; GIORGIO CENCETTI, Paleografialatina, Roma 1978, pp. 138-155.

27. JUAN FRANCISCO PARDO MOLERO, De comoBarbarroja puso en pie de guerra a los Valencianosen 1543, in El Mediterráneo: hechos de relevanciahistórico-militar y sus repercusiones en España,VJornades Nacionales de Historia Militar (Sevilla,9-12 de mayo de 1995), Sevilla 1998, pp. 477-494; MIRELLA VERA MAFRICI, Carlo V e i Turchi nelMediterraneo. L’ultima spedizione di Khair ed-DinBarbarossa (1543-1544), in F.CANTÙ - M.A.VISCE-GLIA curr., L’Italia di Carlo V. Guerra, religione e poli-tica nel primo Cinquecento, Atti del Convegnointernazionale di studi (Roma, 5-7 aprile 2001),Roma 2003, pp. 639-657.

28. Cfr. supra, nota 4.

29. Cfr. supra, nota 10.

30. BRUNO ANATRA - GIUSEPPE PUGGIONI - GIU-SEPPE SERRI, Storia della popolazione cit., pp. 105,137. Per la metà del Seicento parrebbe addirit-tura che le famiglie effettivamente dimoranti aUras fossero centoquarantotto (Ibidem, p. 137).

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