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“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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“ …… nell’incendio di Milano….”

Appunti per un dibattito

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Sul nostro sito1 abbiamo pubblicato una serie di interventi a

riguardo quello che è accaduto a Milano il 1 maggio nel corso

della manifestazione NoExpo, MayDay.

La molteplicità degli interventi ci ha spinto a fare questo

opuscolo al fine di stimolare un dibattito quando mai

necessario

Contributi di:

Rete Attitudine NoExpo, Redazione di Milano in Movimento,

Redazione InfoAut, Centro Sociale Cantiere – Spazio Mutuo

Soccorso – Coordinamento dei collettivi Studenteschi –

Collettivo Universitario THE TAKE – Comitato Abitanti San Siro,

Centro Occupato Autogestito Transiti 28, C Zona Autonoma

Milano, Csoa Lambretta, Rete Studenti Milano, Casc Lambrate,

Dillinger Project, Collettivo Bicocca, Collettivo Militant (Noi

saremo tutto), per l’autonomia diffusa, Indicom – Indipendenti

per il comune: Laboratorio Acrobax, Alexis Occupato,

DinamoPress, Spazio Politico Comune, Blocchi Precari

Metropolitani, Redazione Senza Soste, Redazione Contropiano,

blog Abbatto i Muri, blog errecinque, Zero81 Napoli,

∫connessioni precarie, Ri-make/Communia Net, Collettivo Exit,

BiosLab, FuXia Block, Di.S.C, Per l’autonomia diffusa mondiale,

Marxpedia.org, Rete Evasioni, Federazione Anarchica

Milanese, Casa Rossa Occupata, Progetto Prendocasa Pisa, L.o.

SKA - c.s.o.a OFFICINA99 Napoli, Cortocircuito, Territori

Solidali in Lotta – CSA Oltrefrontiera (Pesaro) – Collettivo per

l’autogestione (Urbino), PrecariACT, Hobo Bologna, Salvatore

Palidda, Luca Fazio, Franco Berardi “Bifo”, Marco Bascetta,

Sandro Mezzadra, Lanfranco Caminiti, Carlo Formenti,

Cristiano Armati, Valeria Pinto, Francesco Erspamer, Cinzia

Arruzza, Felice Mometti, Cristina Morini, Cock Sparrer,

Degage, Francesco Della Croce, Sergio Bellavita, Giorgio

Cremaschi

1 Dopo il corteo del 1 Maggio, riflettiamo per non cadere nella dicotomia

tra “buoni o cattivi” - http://www.osservatoriorepressione.info/dopo-il-corteo-del-1-maggio-riflettiamo-per-non-cadere-nella-dicotomia-tra-buoni-o-cattivi/

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Dopo la NoExpo MayDay, verso #alterExpo.

Rete Attitudine No Expo

Dopo la NoExpo MayDay, verso #alterExpo. Nella giornata del

primo maggio, nella Milano di Expo 2015, mentre la politica e

le multinazionali celebravano l’apertura dell’esposizione, un

corteo di oltre 50mila persone ha sfilato per le vie di Milano.

La MayDay parade 2015, il tradizionale I maggio dei precari, è

stata declinata quest’anno in una prospettiva di opposizione

ad Expo: acceleratore di dinamiche di precarizzazione,

rasponsabile di devastazione e saccheggio del territorio,

matrice di debito pubblico. Un corteo composito quello che ha

attraversato le vie di Milano: l’internazionale delle bande

musicali, i comitati che si oppongono alla predazione del

territorio, i lavoratori e le lavoratrici della Rimaflow, la rete di

produttori di Genuino Clandestini, i movimenti di lotta per la

casa, gli studenti e le studentesse, i precari e le precarie che

non hanno rappresentanza, uno spezzone ampio del mondo

del lavoro, gli antispecisti, la rete NoExpo Pride, i sindacati di

base, le opposizioni all’ interno delle organizzazioni confederali

e le sigle della sinistra radicale.

Tutte queste componenti hanno portato a termine il corteo in

forma organizzata, attraverso pratiche comunicative per

segnalare le nocività di Expo.

I sette anni che hanno caratterizzato la storia della Rete non

possono essere ridotti alla strumentalizzazione mediatica e

politica di alcuni momenti del corteo, che ne hanno

sovradeterminato l’impostazione collettiva e che poco hanno a

che vedere sia con un’espressione di rabbia spontanea, sia con

lo stesso percorso No Expo.Come abbiamo sempre fatto,

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ripartiremo dai nostri contenuti: lo abbiamo dimostrato con la

pedalata di ieri, 2 maggio, che ha portato gli attivisti a girare

attorno al sito Expo, nella penuria dei suoi visitatori, e con il

pranzo popolare davanti a Eataly, che ha riempito Piazza XXV

Aprile con il cibo di piccoli produttori agricoli, il suono delle

bande musicali e la clown army.

Non siamo né opinionisti né giudici: di fronte alle dichiarazioni

che evocano inasprimenti repressivi fino all’ introduzione di

daspo per future manifestazioni, noi possiamo dire con

fermezza che nessuno sarà lasciato solo.

Abbiamo aperto una stagione di sei mesi contro ed oltre il

grande evento, che passerà dal No Expo Pride del 20 giugno,

rivendicando il diritto ad una città femminista, frocia e queer,

e dall’ assemblea nazionale prevista per la giornata del 3

maggio che sarà riconvocata a breve.

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Redazione di Milano in Movimento

Abbiamo iniziato la giornata raccontando una piazza che si

riempiva di 50mila persone, di spezzoni pieni di gente e colori

che hanno portato per le strade della città capitale della crisi le

ragioni del proprio no a Expo e al modello di sviluppo che Expo

mette in vetrina.

Il modello della deroga ai diritti di tutti per tutelare gli affari di

pochi, il modello dei soldi pubblici finiti nelle tasche delle

banche, degli speculatori, delle mafie che si aggiudicano gli

appalti e finanziano il sistema, che sono parte integrante di un

sistema al quale da tempo opponiamo le ragioni di un no che è

fatto di contenuti, di costruzione di reti e percorsi di lotta.

Expo è stato, è e sarà per i prossimi 6 mesi la sperimentazione

avanzata di quanto di peggio questo modello si sviluppo

produce: nasconde dietro a un logo colorato e a un claim

accattivante il finanziamento delle peggiori speculazioni, la

cementificazione di ampie aree un tempo agricole a ridosso

della metropoli, l’utilizzo di lavoratori sottopagati, stagisti,

volontari (!), che devono lavorare in fretta perché la grande

macchina è in ritardo e lo spettacolo deve andare avanti,

sacrificando i diritti, la sicurezza, le vite di fasce di popolazione

che già stanno pagando duramente la crisi e la disoccupazione,

la mancanza case, di lavoro e di un welfare davvero universale.

Expo finge di parlare di alimentazione sana e cibo per tutti e

poi costruisce partnership con i peggiori divoratori del pianeta,

con le multinazionali dell’agroindustria, le catene di cibo

spazzatura, i peggiori responsabili delle disuguaglianze del

Pianeta. Parla di aiutare i Paesi poveri e fortifica chi sfrutta le

materie prime e i territori delle aree povere del mondo,

depredando popoli e natura, salvo poi cercare di respingerli

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quando bussano ai nostri confini affrontando viaggi nei quali

forse moriranno, perché quel forse è tutta la speranza che gli

abbiamo lasciato.

I media mainstream alimentano da mesi un immaginario di

scontri e devastazioni a tutela della passerella di vip e politici

piazzati nella vetrina dell’inaugurazione a chiacchierare di

solidarietà abbuffandosi a spese dei soldi pubblici e dei beni

comuni che diventano affari di pochi.

Noi crediamo nella contestazione, nel conflitto, nella radicalità

dei contenuti e delle pratiche associati all’intelligenza, alla

costruzione di consenso intorno ai contenuti. Crediamo nel

conflitto agito da tanti e tante, nella costruzione quotidiana di

pratiche alternative nel modo di vivere, intessere relazioni,

fare politica nel territorio e nel mondo globale, costruire

economie alternative e sostenibili.

Ci siamo trovati costretti, nostro malgrado, a raccontare un

corteo che, bisogna che siamo sinceri, non avremmo voluto

così. E ci vedremo costretti a raccontare di spazi di agibilità che

si chiudono, di fermi, arresti e repressione, e questo frenerà la

riflessione fra gli attori del movimento e farà sì che non ci

esprimeremo, perchè di fronte alla repressione poi smettiamo

anche di ragionare in nome della giusta solidarietà a chi viene

colpito.

Noi crediamo però che qualche ragionamento dobbiamo pure

farcelo. Perché anni di lavoro sui contenuti, di condivisione e

di lotte oggi sono stati letteralmente spazzati via dalla scena

pubblica, e se la stampa e la comunicazione mainstream

hanno gioco facile a far vedere colonne di fumo nero che si

alzano nel cielo della città e roghi di auto e negozi, e vetrine

tirate giù, beh, qualcuno ‘sto lavoro di demonizzazione glielo

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ha reso davvero facile, e non abbiamo davvero niente da

guadagnare dal totale isolamento nel quale ci ritroveremo, da

domani, a fare politica nella nostra città.

E non ci interessano i commenti dei politici di turno o delle

personalità dello stato, ci interessa la distanza che con questo

immaginario scaviamo fra il corpo militante e la gente

comune, fra chi ogni giorno mette il suo tempo e la sua fatica

al servizio della costruzione di percorsi condivisi che

ambiscono a diventare maggioritari e quel pezzo di

cittadinanza che continuerà a pagare il prezzo della crisi,

abbandonata dalla politica istituzionale e che tuttavia non

capisce il senso di certe pratiche ed è sempre più lontana dal

nostro mondo.

Abbiamo ripetuto all’infinito che la politica delle alte sfere non

ha niente a che fare con la vita vera delle persone in carne e

ossa e continuiamo a non essere capaci di costruire la

connessione sentimentale con quei pezzi del Paese e della

società che dobbiamo invece imparare a capire e coinvolgere

nelle battaglie che o sono di massa o sono condannate

all’irrilevanza.

Non c’è riflessione a caldo che possa affrontare questi temi in

modo approfondito e ampio, ma non possiamo chiudere

questa diretta in un modo che sia diverso dall’esprimere la

necessità di una riflessione sulle ambizioni, sulle pratiche e

sugli immaginari, che già qualche tempo fa abbiamo provato a

stimolare con un editoriale che aveva dato l’avvio a qualche

ragionamento, e che dentro la redazione è tema di dibattito

molto sentito.

Torneremo presto su questo tema con una riflessione più

articolata, per oggi siamo davvero esausti, e chiudiamo qui.

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Non a tutti piace Expo

Redazione InfoAut

Il primo maggio milanese ci consegna una giornata dalle

molteplici sfaccettature. Il primo dato fondamentale da

cogliere è che quelle decine di migliaia di persone scese in

piazza rappresentano uno spettro della società non

recuperabile oggi dalla rappresentanza politico-partitica.

Nell’insieme, queste presenze hanno saputo esprimere con

forza il rifiuto di una città modellata intorno a Expo, ribaltando

in maniera forte quella “valorizzazione del territorio” di cui si

riempiono la bocca i padroni del cibo. Arrivando a incrinare

quell’expoizzazione della città che pretendeva di delimitare lo

spazio di agibilità politica di chi si oppone al modello di

sviluppo incarnato nel mega-evento di cemento e lavoro

gratuito.

C’era solo una risposta da dare alla sfacciataggine della

questura che ha deciso a qualche giorno dalla contro-

manifestazione di porre una zona rossa e vietare un percorso

autorizzato da mesi. La città non è di Expo: dalle periferie al

centro è stato importante provare a violare la zona rossa per

significarlo. E’ stato un corteo composito, con pratiche

eterogenee in cui tutte le realtà che hanno partecipato al

percorso di opposizione al mega-evento hanno avuto spazio

per esprimersi. Pratiche di conflitto radicali hanno coabitato

con momenti di incontro tra giovani precari, occupanti di case

di diverse città, sanzionamenti e musica si sono alternati

tutelando le diverse sensibilità e componenti.

Un primo maggio importante nella misura in cui ha saputo

porre con chiarezza un’incompatabilità tra il modello-Expo e la

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parte del paese che non accetta l’impoverimento generale

come orizzonte inevitabile di una “ripresa” che è solo artificio

retorico per forzarci a stringere ancora la cinghia. Lo scarto

politico, per la composizione giovanile che ha animato,

numerosissima, il corteo è stato nell’individuare Expo come

punto di arrivo e di rilancio di quei meccanismi di precarietà

che subiamo da decenni smontando la retorica di chi voleva

camuffarlo da “nuovo inizio”. È uno scarto che ci parla di uno

spazio di opposizione possibile e concreta al bulldozer

renziano e al partito della nazione, di un’irriducibilità delle

tensioni sociali che attraversano i territori. Il premier voleva

una vetrina per mostrare il meglio dell’Italia. L’ha avuta in

questo primo maggio di lotta: l’eccellenza italiana è riprendersi

le strade, tutti insieme. Con tutti i suoi limiti il corteo di ieri è la

prima grande e decisa protesta contro Renzi e il suo modello di

sviluppo, e cosi verrà ricordata.

Ma è stata anche una giornata di protesta contro l’Europa

della crisi, in continuità con quel 18M a Francoforte che ci

aveva mostrato una ricomposizione possibile sul piano del

conflitto fuori e contro la governance dell’unione. A Expo

c’erano capi di stato da tutta Europa e da tutta Europa è

giunta gente a contestarli. Sicuramente si tratta di una

dinamica ancora balbuziente e le reciproche incomprensioni

sono moltiplicate da culture politiche diverse e livelli di

radicalità discordi tra i nostri territori. È un vero lavoro di

traduzione, nel senso più ampio del termine, sul quale

dobbiamo ancora lavorare molto. Ma è comunque una

ricchezza vedere che quell’orizzonte minimo delle lotte che è

l’Europa si concretizzi finalmente nella contaminazione del

conflitto e non negli scambi tra ceto politico.

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Queste le considerazioni positive che ci sentiamo di fare

rispetto a questa giornata di lotta.

Permangono comunque molte criticità su cui dovremo

lavorare insieme… tra chi ha voglia di mettersi sinceramente in

gioco.

La questione, come al solito, non è nelle identità ma nel

metodo. Ragionare su quali pratiche ci rendono più forti e

evidenziano le linee di frattura sempre più larghe in una

società caratterizzata da una rabbia latente quanto diffusa.

Spaccare utilitarie o vetrine a caso è un gesto idiota che ha

senso soltanto per chi assume come referente del suo agire

“politico” il proprio micro-milieu ombelicale. Per quanto ci

riguarda il nostro soggetto sociale di riferimento resta sempre

quello degli impoveriti, dei senza casa, dei giovani, dei migranti

e di tutta quell’eccedenza umana da cui dipende ogni

orizzonte di cambiamento radicale dell’esistente.

Ai commentatori indignati che oggi spopolano sui social e più

in generale in rete vorremmo però sottoporre alcune piccole

osservazioni:

1) quello spezzone di corteo che oggi viene sintetizzato e

banalizzato nella formula del “blocco nero” – e che raccoglieva

invece composizioni politiche e sociali anche molto differenti e

stratificate -, piaccia o meno, era il più numeroso dell’intero

corteo. A chi oggi pretenderebbe di negare questa evidenza,

chiediamo di tornare con lo sguardo all’imbocco di via De

Amicis dove si poteva osservare l’ingrossarsi delle file e lo

sciamare di moltissimi giovani da altri punti del corteo in

quello spezzone lì.

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2) si trovavano lì riunite soggettività collettive e individuali che

intendevano praticare una qualche forma di conflitto: esercizio

della forza, pratica dell’obiettivo, rottura della compatibilità di

sfilate sempre uguali a sé stesse e totalmente ininfluenti.

3) il resto del corteo non è stato intaccato o messo a rischio

fisico dagli scontri e dalle azioni che vi si sono prodotte. Si dirà

che questo è stato merito della oculata gestione delle forze

dell’ordine che hanno lasciato sfogare quella piazza evitando

un allargamento dei disordini e la loro ingestibilità. Vero, ma la

verità sta nella relazione tra quello che la questura ha optato

di fronte a una presenza massiccia e di difficile gestione. Una

forza effettiva era in campo e poco disponibile a forme di

dialogo.

In un articolo, peraltro orrendo, Luca Fazio coglie almeno un

dato politico: con quel modo di stare in piazza bisogna fare i

conti e nessuna struttura organizzata, in queste occasioni, è in

grado di esercitare una forza di controllo e direzione compiuta.

E’ un bel nodo da sciogliere e su cui lavorare. A partire da una

premessa: quella rabbia, quella composizione, quei soggetti

sono affare nostro e vogliamo averci a che fare, con tutte le

difficoltà del caso. Chi se ne tira fuori – per calcolo, paura o

presunta superiorità politico-morale – sta tracciando un solco

tra gli alfabetizzati della politica e gli impoveriti ed arrabiati

che in alcune occasioni si presentano sulla scena. Istituisce una

gerarchia di apartheid politico tra rappresentabili e non. E’ un

gioco a cui non ci prestiamo. Preoccuparsi del solco che si

rischia di scavare tra militanti e resto della popolazione è cosa

lodevole e necessaria (nodo del consenso). Non porsi il

problema di come inglobare e dare senso a una rabbia latente

e neccessaria (nodo del conflitto) è una scelta ponzio-pilatesca

e dallo sguardo corto, tanto più per chi si rappresenta come

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opzione conflittuale e antagonistica mentre nei fatti pensa

ogni volta solo ed esclusivamente a portare a casa la pelle e

garantirsi la riproduzione del proprio piccolo aggregato,

tenendosi aperti canali di mediazione e dialogo che non

portano piu da nessuna parte.

C’è tanto da dire, ragionare e commentare sui fatti di ieri. C’è

però innanzi tutto da prendere una posizione chiara sul dove e

con chi stare. Sul fatto che è mille volte preferibile trovarsi il

giorno dopo a fare i conti con conseguenze ed esiti imprevisti

piuttosto che darsi le pacche sulle spalle tra le infinite

gradazioni di un ceto politico costantemente impaurito

dall’emergere di una qualunque forma di eccedenza non

prevista. Atene, Baltimora, Istanbul sono dietro l’angolo.

Prendiamone atto e attrezziamoci di conseguenza. C’è invece

chi ancora pensa di trovarsi nella stagione dei social forum o

peggio, nei trenta gloriosi. Non è (più) così.

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Il fumo e la sostanza.

Centro Sociale Cantiere – Spazio Mutuo Soccorso –

Coordinamento dei collettivi Studenteschi – Collettivo

Universitario THE TAKE – Comitato Abitanti San Siro

Il fumo di un modello Expò convocato in nome del “Nutrire il

Pianeta” e nelle mani delle multinazionali che il Pianeta lo

affamano.

Il fumo del maquillage last minute utile a coprire i cantieri

dagli appalti miliardari non ancora finiti, e tra 6 mesi gia’ in

disuso.

Il fumo dell’indignazione di una giunta che dopo avere

mandato a casa la partecipazione oggi chiama la cittadinanza a

pulire la città, come perfetta occasione per ripulirsi la faccia.

Il fumo delle colonne di fumo dei “leoni” in azione per una

oretta di “gloria” concessa da potere e polizie, ed ovviamente

altrettanto strumentalmente esaltata da media e

commentatori.

La sostanza di un mondo in balìa di interessi multinazionali e di

un neo-liberismo feroce e selvaggio in guerra con l’umanità e

con l’ecosistema.

La sostanza dei miliardi di euro gettati al vento nella ennesima

grande opera solo utile a produrre un po’ di precarietà per

tanti, grossi affari per pochi.

La sostanza di una Milano tradita da un laboratorio sociale

promesso, fallito un secondo dopo la fine della grande festa

arancione di piazza Duomo con la giunta così solerte nel

prodigarsi nella chiamata a “ripulire” Milano quanto nel

prodigarsi nell’impresa expo, una mafia di interessi opachi per

cui erano semplicemente necessari timonieri presentabili.

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La sostanza di costruire reti, laboratori di condivisione di

analisi e pratiche è un percorso costituente, sicuramente cosa

molto meno facile ed esaltante che una pratica di spuria e

mediatica “estetica del gesto”.

Sentiamo parlare di “violenza” indicibile, quella che avrebbe

subito Milano il 1 Maggio 2015. Ma pochissima indignazione

per Klodian, ragazzo, caduto da un ponteggio mentre lavorava

a une delle infrastrutture di expo l’ 11 aprile.

Perché morire nel silenzio e a 21 anni non fa notizia nelle

deroghe dei cantieri miliardari, come giustamente ricorda

indignato il noto rapper nel mentre tutti cercano di metterlo

alla gogna e semplificare ragionamenti irriducibili ai titoli ad

uso e consumo del circo mediatico, già in funzione della

prossima campagna elettorale meneghina.

E altrettanto meno capacità di indignazione verso un debito

che non abbiamo scelto di contrarre, una casta di fatto

inamovibile dalle poltrone e sempre intenta a garantirsi e

riconoscersi. O nei confronti di una guerra oggi davvero

globale e permanente, che indigna oramai pochissimi essendo

diventata “normalità”.

Ci permettiamo quindi di affermare serenamente che in una

epoca così feroce la “violenza” ci risulta essere ben altra cosa.

Delle vetrine del centro non ci interessa molto, se non in

relazione al fatto che non ci voleva particolare sagacia a

comprendere le immediate conseguenze, nel contesto del

primomaggio. Non possiamo che “plaudire” gli “eroi” che

hanno imposto le loro pratiche su un percorso condiviso da

anni, spezzando l’imponente serpentone della MayDay e

mettendo migliaia di persone e la tutela di un intero corteo a

rischio in un gioco di “guardie e ladri” e ripetute provocazioni

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cui non sono seguite reazioni. Utile pratiche di idiozia ed utili

idioti, l’elogio alla “intelligente e responsabile” gestione delle

forze di polizia ne è la dimostrazione.

Quanto costano quelle vetrine? Quanto 1 minuto di

mantenimento della casta delle poltrone della politica

italiana? Quanto 1 ora di interessi della voragine del debito

pubblico? Il costo delle vetrine è poca cosa, ma vale molto in

funzione elettorale, tanto quanto il green washing dell’Expo.

Le tantissime persone in piazza, data la fase e dato il contesto

e il clima nei giorni e mesi precedenti la mobilitazione,

dimostra che un altro mondo oltre che necessario è ancora

possibile. Per questo vale la pena provare, anzichè restare in

casa, giudicare, commentare. La relazione possibile in una

grande data di mobilitazione è un fattore insostituibile della

capacità di cooperare e cospirare assieme. Per questo è

necessario scendere in piazza. Ma i percorsi di alternativa,

sono prima ed oltre una mera “data chiamata”. E ora che

questa data è superata possiamo finalmente tornare a

lavorare per produrre relazioni e territori resistenti, piccole o

grandi laboratori di alternativa tra i tanti che ogni giorno

vedono impegnati fuor di notizia persone ed attivisti intenti a

difendersi dalla crisi, dal basso.

Una sostanza di pratiche…altro che fumo!

Note tra “addetti ai lavori” :

Getta fumo chi va affermando o addirittura scrivendo

affermazioni del tipo “il blocco nero era innegabilmente lo

spezzone piu’ numeroso, dell’intero corteo”. Per noi è e

sempre sarà centrale la scommessa della partecipazione, e in

tal senso il primo maggio 2015 a Milano è stato un grande

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esempio di partecipazione con tantissimi giovani in particolare

in piazza, a dimostrare che nonostante la depressione qui un

movimento ancora c’è. Partecipazione ampia e determinata

che nulla ha a che vedere con la residualità di numeri ed

irrivendicabilità di pratiche di chi si è voluto “rappresentare”

ed è quindi ora rappresentato come “blocco nero”. Lasciamo

perdere i numeri al massimo utili a confermare il distintivo di

“avanguardie” dei pochi che han deciso di imporre pratiche, e

giocare a mettere in gioco la tutela dei molti.

In relazione a quanto scritto da penne amiche. Non pensiamo

il primo maggio sia nè la fine, e tanto meno l’inizio.

Non pensiamo il “blocco nero” abbia “asfaltato i movimenti”,

la desertificazione sociale della “società civile”,

“americanizzazione” delle forme della partecipazione ma

anche della politica, lavoro, scuola, relazioni, culture è

questione già nota, e vera ben oltre le soggettività delle reti

“di movimento”.

Ancor prima questione più vera per i soggetti classici della

“politica” della rappresentanza, partiti e sindacati in primis.

E ci spiace molto vedere come fraterni amici da bravi indiani

(metropolitani), cercando giustamente “segnali” nel fumo,

finiscano con il fumo negli occhi giudicando il “primo maggio di

milano come un inizio”. Con affetto diciamo che in quella

giornata non vediamo alcun inizio, se non di Maggio.

Milano come Ferguson, Baltimora? Nello “spettacolo” del

primomaggio vediamo il limite di una scelta di pochi molto più

vicini all’essere ceto politico più che alle rivolte sociali. E in

generale nel “riot per il riot” laddove legittimo in quanto frutto

di spontanea e disperata rivolta, vediamo in ogni caso il limite

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di una società depressa, dove ogni dissenso e sfumatura sono

controllati e nientificati. Nulla quindi che ci renda felici. I

“sociologi del riot” che citano Baltimora, Ferguson non

colgono nulla del contesto, alcuna sfumatura della sottile ma

vitale differenza con una societa’ il cui dissenso e’ ridotto al

diritto ad attraversare le strisce pedonali con il semaforo verde

ed un cartello di carta in mano.

E allora Kobane?!? Ecco ci sembrano assurdi i tentativi di

lettura pro o contro il primomaggio di Milano (e i piccoli

avvenimenti avvenuti) quale lente da cui leggere le rivolte del

mondo. E vergognoso anche solo il paragone. Non è sufficiente

l’eco di due botti per portare qui quell’esperienza di resistenza

(questa sì suo malgrado eroica) e di autorganizzazione che è il

Rojava.

I territori sono di chi li vive. Lo abbiamo detto tante volte, così

come lo abbiamo imparato dalla ValSusa. E quindi lo stesso

vale per ogni territorio.

Il conflitto e il consenso sono nodo centrale, da indagare ogni

giorno, per quanto ci riguarda. La degna rabbia, come dicono

in Chiapas, si organizza, si riunisce, si parla, si rispetta: la

rabbia degna costruisce le fondamenta di un mondo nuovo.

Infine, non siamo per nulla stupiti. Che il limite della fase lo

conoscevamo gia’. Cercando di superarlo ogni giorno,

occupando, resistendo, producendo. Dal basso provando a

darci futuro seminando alternative, a questo mondo di merda.

Oltre l’ipocrisia, per noi il primomaggio è stato una data

“dovuta”, in un processo che purtroppo abbiamo constatato

direttamente da tempo come poco interessante. Anche

evidentemente nella noia e tedio delle assemblee “verso”,

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chiuse su piccole logiche e prive di quella energia, forza e

potenza capace di dirompere verso qualcosa di “oltre”, utile e

nuovo. Come invece accade nelle migliori occasioni, quando

l’onda sale e travolge…

Una proposta “oltre”, “alter” più che contro ci pareva già da

anni una strada più interessante. Ma tant’è le cose sono

andate diversamente. E nulla è definitivo.

To be continued…

Siamo una comunità ampia e il dibattito è in divenire.

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Centro Occupato Autogestito Transiti 28

Come Centro Occupato Autogestito di via dei Transiti 28,

intendiamo esprimere il nostro parere sulla giornata del 1

maggio milanese, alla quale abbiamo partecipato, nello

spezzone che ci sembrava più rappresentativo del nostro

portato: quello delle lotte sociali e del diritto all’abitare.

Il corteo del primo maggio ha visto sfilare moltissime persone,

percorsi e discorsi differenti, legati dalla contrapposizione ad

EXPO e più in generale al modello capitalista, che i grandi

eventi e le grandi opere rappresentano degnamente. È quello

che tutti i media hanno fatto finta di non vedere: le migliaia di

persone in piazza, che combattono quotidianamente un’opera

inutile, rappresentazione diretta delle riforme con cui il

capitalismo prova a superare la sua più forte crisi dagli anni

Trenta.

Crediamo altresì, che quando persone diverse si incontrano sia

molto difficile se non impossibile, e concettualmente

sbagliato, pensare di poter avere tutto sotto controllo, e che

quindi ogni forma di rabbia e di protesta abbia una sua

legittimità.

Pur non condividendo alcune delle pratiche che si sono

espresse in quella giornata ritenevamo e riteniamo tutt’ora

che fosse fondamentale che la piazza esprimesse la sua

volontà di non sottostare a nessun divieto e limite imposto

dall’alto.

Un movimento eterogeneo come quello NO EXPO dovrebbe

essere in grado di identificare i suoi limiti collettivi ed

innescare (di conseguenza) un processo di crescita piuttosto

che cercare di identificare responsabilità in alcune sue

componenti.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Detto questo, pensiamo che il corteo del primo maggio sia

stato bello, colorato e festante, un’ottima occasione di

incontro e confronto tra lotte e realtà differenti, che in quella

piazza hanno saputo parlarsi, incontrarsi e crescere assieme,

mettendo da parte, almeno in parte, le proprie divergenze

ideologiche e pratiche.

Per concludere, non riteniamo di dover fare della socio-

politica. Noi siamo convinti che l il modo giusto per affrontare

un momento di demonizzazione mediatica per un movimento

come quello NOEXPO sia rimanere uniti e rafforzare la propria

proposta pratica e teorica.

In questo contesto vogliamo esprimere la nostra piu’ ferma

solidarietà a tutti gli arrestati ed a tutti coloro che hanno

subito repressione per via di quella giornata.

A pugno chiuso, ci vediamo nelle piazze, non su internet.

LIBERI TUTTI LIBERI SUBITO!

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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L’attitudine No Expo, nel tempo e nel freddo. Dentro

e Oltre le Cinque Giornate di Milano

Zona Autonoma Milano, Csoa Lambretta, Rete Studenti

Milano, Casc Lambrate, Dillinger Project, Collettivo Bicocca

Si sono appena concluse “le 5 Giornate di Milano”: dal 29

Aprile al 3 Maggio, giorni intensi di lotta, scambio e

autogestione, protesta, sconfitte e successi.

A distanza di alcuni giorni dalle mobilitazioni lanciate dalla

Rete Attitudine No Expo, fra i comunicati che si susseguono,

vogliamo prendere parola anche noi su alcune questioni che

hanno segnato le piazze, cercando di uscire dallo steccato dei

messaggi del movimento per il movimento, che non è stato e

non sarà l’unica parte coinvolta nella lotta contro Expo.

Abbiamo atteso questo tempo, perché ritenevamo importante

affrontare prima un momento approfondito di restituzione e

dibattito interno ai nostri spazi e collettivi, oltre che con la rete

con cui abbiamo costruito, nel bene e nel male, tutto questo

percorso.

Le valutazioni da fare non posso prescindere dal considerare

già il 29 Aprile come apertura delle giornate di mobilitazione.

L’iniziativa antifascista nel settantesimo anniversario della

Resistenza ha portato in piazza migliaia di persone. La

determinazione e la chiarezza messi in campo dalla rete

cittadina di “Fascisti e Razzisti no grazie” nel rifiutare

chiaramente la parata fascista in ricordo di Ramelli, hanno

creato una mobilitazione quanto più allargata e comprensibile

possibile.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Il 30 Aprile abbiamo visto una piazza studentesca animata a

fine anno scolastico da duemila persone sulla tematica del

rifiuto del lavoro gratuito. Per noi è necessario restituire alla

giornata di mobilitazione studentesca l’importanza e il valore

che ha avuto come prima data delle mobilitazioni cittadine

contro Expo. E’ stata una mobilitazione interamente costruita

da studenti, medi ed universitari, che ha saputo avere un

respiro nazionale e anche internazionale, eterogeneo e

trasversale. All’interno del corteo molte sono state le azioni

dispiegate, tra cui ricordiamo il sanzionamento del Consolato

turco per segnalare le vergognose politiche di Ankara nei

confronti del popolo curdo, oltre ai comportamenti tenuti

durante l’assedio dell’Isis di Kobane e un colorato intervento

sulla facciata di Manpower, l’agenzia interinale che gestisce i

“lavoratori gratuiti” per conto di Expo Spa. Queste e altre

azioni nascevano e vivevano in un processo collettivo di

ragionamento e condivisione.

Altro dato interessante che ci consegna la giornata del 30 è la

presenza attiva, e segnalata da continui interventi dal camion,

degli studenti di Berlino, Lipsia e Francoforte, segno che dopo

Blockupy c’è una volontà comune fra molti in Europa di avere

una maggiore convergenza e intreccio sul piano delle lotte. La

giornata del 30 ha segnato un passaggio importante all’interno

dell’opposizione ad Expo: in una Milano dove il marcio dietro

al grande evento è stato occultato da una campagna

propagandistica che ha tentato di sbandierare slogan senza

sostanza, l’ampia componente studentesca rappresenta la

possibilità di coinvolgere la cittadinanza attraverso la

partecipazione dal basso e la costruzione di un agire politico

comune.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 23

Il mondo della scuola, sceso poi in piazza il 5 Maggio per una

mobilitazione interna alla lotta contro la riforma della Buona

Scuola, è ancora un terreno fertile per la creazione di

mobilitazioni contro modelli di governo imposti dall’alto. Dalla

mobilitazione nelle scuole, dal rifiuto del lavoro volontario e

gratuito per gli studenti e le studentesse ripartiremo nei

prossimi mesi di Expo

Il Primo Maggio Milano è il palcoscenico della ormai

tradizionale della Mayday Parade, un corteo musicale e

festoso che si è caratterizzato per la capacità di portare in

piazza la voce dei lavoratori precari e non solo, in forme

sempre nuove, conflittuali e inclusive. Negli ultimi due anni la

natura di questa manifestazione è radicalmente cambiata. Con

l’avvento di Expo2015 si è deciso di declinare questa

manifestazione come momento di conflitto e contestazione al

grande evento, oltre che alla precarietà delle vite di tutti/e.

Abbiamo deciso di opporci ad Expo perché rappresenta la fiera

della cementificazione e predazione del territorio, della

divulgazione di una tipologia di cibo che fa l’occhiolino agli

OGM e alle multinazionali, del lavoro gratuito mascherato da

grande occasione, della privatizzazione e del debito pubblico,

della discriminazione dei generi, delle organizzazioni mafiose,

delle tangenti e degli arresti dei suoi dirigenti.

Il Primo Maggio la nostra partecipazione si collocava

all’interno di “Expo in ogni città” con lo spezzone

“ScioperiamoExpo” con cui si intendeva mettere in questione

specificatamente alcune dimensioni.

In primo luogo la vertenza sul lavoro ai tempi di Expo e quindi

l’esposizione concepita non come un grande evento, bensì

come paradigma che si impone confermando la precarietà

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 24

come dato strutturale. Expo è promotore di quell’economia

della promessa in cui i lavoratori accettano qualsiasi

condizione nella speranza di un’esistenza più stabile.

Questo nei cantieri Expo si è tradotto in un aumento

incessante dei ritmi di lavoro e nell’annullamento dei diritti,

anche in relazione alla tutela.

Per questo abbiamo voluto ricordare Klodian Elezi, il giovane

lavoratore morto a causa delle inesistenti condizioni di

sicurezza sul lavoro nei cantieri della Teem.

Il percepire Expo come paradigma di un modello di governo

del territorio non può non considerare la dimensione europea

in cui si colloca. Expo rappresenta un modello di falsa crescita

e sviluppo: mentre un comparto pseudo-industriale si

arricchisce sulla devastazione della città e della sue dimensioni

sociali e popolari, dall’altra parte aumenta il debito a causa

dell’ingente investimento di soldi pubblici. Questo modello è

pensato per abbattere la possibilità di uno stato sociale in

grado di sostenere la popolazione: in un periodo di recessione

come questo l’imperativo è tutelare la finanza a discapito

dell’economia reale e del benessere collettivo, l’ordine è

tenere in vita un sistema già fallito.

Ci siamo diretti quindi al Palazzo delle Stelline sede di

rappresentanza del Parlamento e della Commissione europea,

obiettivo che si caratterizzava anche per un’urgenza di ordine

morale: la messa in discussione delle politiche omicide dei

governi europei che, in nome del consenso elettorale e

dell’idea dell’Europa come una fortezza da difendere,

abbandonano al proprio destino in mare migliaia di profughi e

migranti. Si è collettivamente deciso di provare a raggiungere

quella sede perché pensiamo che si debba costruire uno spazio

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 25

europeo dei conflitti, che sappia mettere in crisi le politiche di

austerity che stanno spazzando via un gran numero di diritti e

conquiste sociali.

Abbiamo deciso di indossare le pettorine dei volontari Expo

per raccontare il disastroso accordo fra confederali, Comune e

Expo che sancisce la possibilità per una grande impresa privata

di abusare di lavoro gratuito spacciandolo come volontariato.

Quest’azione è stata messa in campo in una cornice di

condivisione e tutela del resto del corteo da parte di una

pluralità di soggetti e collettività da tutta Italia e dalla

Germania. Questo siamo noi e non smetteremo di portare con

i nostri corpi il nostro dissenso, quando riteniamo calpestati i

diritti.

Noi decidiamo con coscienza di colpire punti sensibili della

città sede e simbolo di chi calpesta il bene comune per il

profitto di pochi.

Lo facciamo con una presenza comunicativa che sappia

coinvolgere e far immedesimare chi sfila in corteo per far

sentire la propria voce.

Se era doveroso dare conto di quanto le nostre collettività

hanno messo in atto, non si può però omettere una

valutazione più complessiva anche in merito a quella che è

stata la dimensione più enfatizzata dai media. Innanzitutto,

come già altri hanno scritto prima di noi, non riteniamo che

quanto avvenuto nella piazza milanese sia ascrivibile allo

stesso ordine di eventi di Baltimora, Ferguson o di una novella

piazza Statuto. Non abbiamo visto una composizione sociale

esclusa dalle dinamiche classiche organizzative prendere

parola passando ai fatti.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 26

Qualcuno parla di rabbia e rivolta, per noi non c’erano né l’una

né l’altra.

Pochi mesi fa, come se non bastassero 7 anni di austerità,

l’articolo 18 è stato abbattuto e il Jobs Act ha fatto ulteriore

carne da macello dei lavoratori. Le reazioni, a livello di

conflitto sociale agito quotidianamente, non sono state

all’altezza del momento e purtroppo ci sembra che la

situazione, in questi mesi, non sia cambiata in meglio.

Quella che si è dispiegata in tutta chiarezza nel corteo

milanese è un’opzione politica che da tempo si affaccia sulle

piazze italiane. Chi ha deciso di praticare questa scelta politica

ha deciso anche di sorvolare completamente il livello della

costruzione condivisa e di agire, consapevolmente, al di là

delle modalità che si era deciso collettivamente di tenere,

usando come paravento e artificio retorico una presunta

rabbia sociale che stranamente si palesa solo nelle piazze

strutturate.

Questa “rabbia” è andata a sovradeterminare le impostazioni

politiche e di metodo di una rete eterogenea e includente

quale è la Rete Attitudine No Expo, snaturando così il

significato di un corteo con l’attuazione di pratiche che hanno

ipotecato in maniera identitaria il corteo.

Il problema per noi non sono le vetrine o le macchine

distrutte, non sono le pratiche in sé, ma i ragionamenti e le

elaborazioni: difficilmente possiamo immaginare un

immediato futuro in cui si possa trovare un elemento che

garantisca la mutua esistenza nostra e di chi si fa portatore di

queste tesi, perché questa opzione si pone in maniera di forte

incompatibilità con la nostra idea di movimento. Noi crediamo

nella partecipazione, nell’allargamento, nella contaminazione,

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 27

nella divulgazione, nel conflitto radicale, che non si può

tradurre sempre e soltanto con il riot di piazza.

La nostra idea di conflitto vive nella costruzione di legami che

sappiano rendere la complessità e tengano insieme differenze.

Pensiamo che la tutela delle persone che decidono di

compiere dei pezzi di strada assieme sia un elemento cardine e

non possa essere subordinato alla pratica di obiettivi.

Chi ci conosce sa bene che non siamo allergici alla

conflittualità di piazza, ma questa dovrebbe sempre cercare di

aprire spazi, mutare i rapporti di forza, rilanciare. Gli ultimi

anni di movimento hanno visto alcune giornate in cui questa

potenza si è dispiegata a pieno, anche in una città difficile

come Milano.

Quando si torna sui posti di lavoro, nelle scuole e nei quartieri

dove si vive quotidianamente e la reazione maggioritaria

(tranne poche sacche solidali “a prescindere”) è l’aperta

ostilità, un’ostilità che altre volte non si era manifestata, è

evidente che qualcosa non ha funzionato.

La giornata del 2 Maggio, passata in sordina, ha in realtà

regalato differenti momenti di soddisfazione e, nel suo piccolo,

di ripartenza per quanto riguarda la lotta contro Expo. La

pedalata verso il sito e il pranzo sociale davanti a Eataly, messo

in campo dalla rete di Genuino Clandestino, sono due esempi

della risposta tematica e di contenuto a Expo. Mobilità

sostenibile, contro mega-costruzioni e svincoli autostradali

immensi quanto vuoti, al secondo giorno dell’esposizione. In

piazza 25 Aprile, invece, cibo a chilometro zero, rispetto dei

produttori e della terra, dalla produzione al consumo finale.

Spettacoli musicali e la presenza dissacrante della Clown Army,

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 28

che ha saputo ridicolizzare l’apparato poliziesco disposto a

difesa di Eataly.

Non crediamo con questo di aver espresso meno “rabbia” con

queste iniziative, non crediamo che la rabbia sia un’emozione

a completo appannaggio di alcun*, di chi la esprime in un solo

modo e soprattutto non ci interessa tanto la rabbia in sé, ci

interessa tradurla in azione politica, in proposta intelligente e

collettiva di alternative reali.

Il 3 Maggio avremmo dovuto chiudere le giornate di

mobilitazione con una grande assemblea di rilancio del

percorso No Expo e dei sei mesi che ci aspettano. L’assemblea

non si è tenuta. In quel momento, infatti, mancava il clima

necessario; e tanto ci basta,

Ma domenica 3 Maggio alcune vie di Milano sono state

percorse da un corteo silenzioso, se non per i proclami

legalitari e perbenisti, che ha espresso la propria indignazione

per quanto avvenuto in piazza il Primo Maggio ripulendo i muri

dalle scritte e ha voluto così rappresentare il suo orgoglio di

appartenenza alla città.

Nessuno tocchi Milano? E’ particolarmente fastidioso se detto

da chi non ha mosso un dito per ridiscutere le nocività che il

modello Expo porta. Vedere la propria città devastata da

opere pubbliche inutili, da cantieri con conclamate infiltrazioni

mafiose, la sottrazione di denaro pubblico dovuta a spese

esagerate, corruzioni e tangenti, la distruzione del sistema di

tutele contrattuali e dei diritti dei lavoratori, l’attacco

generalizzato al diritto alla città di giovani, famiglie, anziani,

non scalfisce il muro di indifferenza della popolazione

meneghina. Sicuramente anche la Rete Attitudine ha le sue

colpe, noi stessi abbiamo certamente perso tante occasioni di

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 29

aumentare la diffusione e la comprensibilità dei nostri

messaggi, ma esiste una condizione oggettiva di distacco dei

soggetti dall’interesse comune, dall’interesse per “il comune”.

L’atomizzazione delle relazioni sociali, l’individualismo

capitalista si è radicato così profondamente nello spirito e

nelle abitudini delle persone, nel dibattito pubblico, da

generare un triste cortocircuito.

In quella piazza domenica c’erano anche tante persone che

hanno affrontato le mobilitazioni migliori di questi anni, o che

sono più volte passate nei nostri spazi, o che si spendono

talvolta in iniziative di “sinistra” oltre e fuori dai partiti.

Comprendere e ricomporre lo scollamento di queste persone

dalle motivazioni più profonde del No Expo; ricreare e

rafforzare la comunicazione; eliminare la possibilità che un

silenzioso corteo del genere si verifichi dopo una qualunque

altra manifestazione, saranno i punti principali da aggiungere

alla nostra lotta contro Expo da ora in avanti. In virtù della

condivisione dei contenuti

Per noi le alternative a questo paradosso sono l’affermazione,

la ri-affermazione dell’autogestione, la creazione di una vita

comune e di un’alternativa fatta di discorso collettivo,

reciproco aiuto e cura.

Con orgoglio ben diverso diciamo che noi “tocchiamo” Milano

quotidianamente, nei nostri spazi, nei luoghi dei conflitti.

Perché toccare e intervenire è la nostra modalità di amare e

rispettare la metropoli. Noi mettiamo tutti i giorni le mani su e

dentro Milano, nei nostri spazi occupati e autogestiti, nei

nostri progetti dal basso, aperti e attraversabili da tutti.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 30

Inoltre si torna a parlare di restrizioni al sacrosanto diritto di

manifestare, anche attraverso il reato di devastazione e

saccheggio, rispolverato ad hoc per questo tipo di occasioni e

la cui applicazione è usata come deterrente.

Rigettiamo questa strategia general preventiva inserita in una

dimensione liberticida; esprimiamo solidarietà e chiediamo

l’immediata liberazione degli arrestati, prime vittime del clima

creato ad arte dalla stampa e dai tanti esponenti delle

istituzioni cittadine e nazionali.

Insieme alla Rete Attitudine No Expo, ripartiamo dal due

Maggio, per proseguire la lotta nei sei mesi di Esposizione ed

oltre, nella proposta di iniziative, eventi, manifestazioni che

portino alla condivisione vera e reale di una sempre più larga

fetta di cittadinanza. Per riconquistare quel consenso che,

anche grazie al lavoro dei media e alla loro visione parziale, è

stato messo a dura prova. Facendo in modo che i nostri

contenuti possano arrivare sempre chiari e non travisati da chi

ha il potere di manipolarli.

Ripartiamo dal 20 Giugno giorno della No Expo Pride che avrà

luogo a Milano.

Nel tentativo di appropriazione al diritto ad una città frocia e

queer, libera da identità releganti e vetrine costruite ad hoc da

Expo,dove la differenza non sia rinchiusa ognuna nel proprio

ghetto ma sappia vivere e confliggere.

Ripartiamo dal festival degli studenti che animerà il Parco

Lambro e ridarà la parola agli studenti per riannodare il filo

della discussione.

…E nonostante tutto saremo ancora No Expo, nel tempo e nel

freddo

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 31

Contro l’Expo e gli sciacalli del giorno dopo

Collettivo Militant (Noi saremo tutto)

Trentamila persone per una manifestazione addirittura

internazionale, lanciata da mesi e contro la *grande opera*

per eccellenza, segnano la cornice entro cui ogni

ragionamento andrebbe riportato: oggi, se non in rare

occasioni, non abbiamo la forza di costruire consenso,

veicolare processi di opposizione reale, sedimentare forme di

resistenza. Oggi a muoversi sono sempre e solo militanti

politici, numericamente sempre meno e sempre più isolati dal

corpo sociale che in qualche modo si vuole rappresentare

(quello del lavoro: salariato, disoccupato, precario, non

pagato, eccetera). I motivi di questo progressivo scollamento

sono da ricercarsi dentro di noi, non all’esterno. Non c’è un

complotto contro processi di partecipazione, se non la tipica

dinamica volta a disincentivarli sempre però presente, in ogni

fase della storia, quando questi assumono forma

antagonistica. Questo il primo dato da cui partire, che però

spiega i motivi per cui, a seconda del contesto, si dovrebbe

avere l’intelligenza e la capacità di scegliere lo strumento più

adatto per esprimere un messaggio politico.

Per quanto ci riguarda, siamo saliti a Milano con la

consapevolezza di partecipare in forma minore, senza velleità

protagonistiche, consapevoli che da tempo la città stava

investendo tutta l’energia politica di cui è attualmente capace

per l’occasione, fidandoci dunque dei compagni che in qualche

modo ci si stavano sbattendo. Abbiamo partecipato nello

spezzone che consideravamo centrale nel discorso “no-Expo”,

quello del lavoro. E’ la questione lavorativa il cuore del

significato dell’Expo; sono le forme che il lavoro assume nei

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 32

progetti pilota quali Expo che minano alla radice le nostre

condizioni di vita; sono tali sperimentazioni sociali che poi il

capitale generalizza trovando sbocco alla sua necessità di

profitto. E’ dunque nella questione lavorativa che si trovano le

ragioni della nostra opposizione alla grande opera Expo.

Tutelando noi e la metà del corteo dietro agli scontri, abbiamo

– insieme agli altri compagni presenti: dai sindacati conflittuali

ai collettivi che fondano il proprio agire nella contraddizione

capitale-lavoro – garantito che metà corteo giungesse infine

alla sua naturale conclusione, evitando la dispersione del

corteo stesso.

Non eravamo materialmente presenti nel fuoco degli scontri,

evitiamo dunque di parlare di dinamiche che ci vengono

raccontate ma che sono frutto di legittime decisioni altrui.

Soprattutto, non ci accodiamo al pensiero mainstream che da

subito ha iniziato la consueta opera denigratoria. Non c’è un

corteo buono e uno cattivo; non ci sono infiltrati; non c’è una

parte sana e una malata. Questa cosa va detta con fermezza,

in ogni dove. C’è solo tanta rabbia, che va articolata ed

espressa nel migliore dei modi (e dubitiamo che questo

“migliore dei modi” sia quello visto ieri), ma che in ogni caso

non condanniamo perché non è certo il comportamento dei

subalterni che oggi può essere messo sul banco degli imputati.

Ci sono delle scelte politiche precise e una “narrazione

conflittuale” che da tempo ha preso il sopravvento sulla

strategia politica. Non è lo scontro e la devastazione il

problema oggi. E’ come creare consenso attorno a pratiche

conflittuali. E’ questo ciò che manca, ed è da qui che si deve

ripartire, e da subito. Non reiterando discorsi e immaginari che

vengono poi raccolti da altri, che con più sapienza e coerenza li

portano alle estreme conseguenze. E’ tornando a fare politica,

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 33

cioè costruendo un discorso conflittuale che vada di pari passo

al sentire comune della classe. Senza accelerazioni inutili o

altrettanto inutili attendismi.

Quelli che oggi inorridiscono e che magari favoleggiano degli

anni Settanta dovrebbero tenere in mente che esteticamente

non c’è molta differenza tra la Milano di ieri e una qualsiasi

manifestazione del ’77: è il contesto che è radicalmente

diverso, la cornice politica radicalmente mutata, i numeri, il

consenso diffuso, una dialettica politica differente, differenti

organizzazioni capace di reggere pratiche di piazza oggi

completamente “anarchiche”. Un modello che oggi non può

essere riproposto in sedicesimi sperando di azzeccare la

combinazione giusta per caso, scontro dopo scontro, quasi che

attraverso una sommatoria di pratiche esteticamente simili si

possano riattivare magicamente cicli di lotte ormai trapassati.

Tra una sfilata pacifica e una Mercedes in fiamme, ci sembra

mancare la politica, quella mediazione capace di spostare in

avanti il nostro rapporto di forze con i nemici di classe. Che

utilizza il conflitto come mezzo e non come fine,

trasformandolo in obiettivo politico strategico e sacrificando

ad esso ogni discorso di opportunità politica. Ma questo è un

discorso che va affrontato tutti insieme. Da oggi va ricostruita

un’opposizione all’Expo, vanno continuati i percorsi e vanno

liberati i compagni. Soprattutto quelli arrestati ieri negli

scontri. E dopo anni di corruzione, scandali, miliardi sottratti

alla cittadinanza, nepotismi vari, disastri economici, sociali e

culturali, non ci venissero a parlare di danni d’immagine alla

città. Non sarà la collera male organizzata dei subalterni a

rendere le nostre ragioni meno decisive.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 34

15 tesi partigiane sul Primo Maggio Milanese

per l’autonomia diffusa

1.“I Black Bloc devastano Milano”. Ecco in sostanza la lettura

dei media 1 della giornata del Primo Maggio 2015. Noi

abbiamo visto molte cose in quella giornata ma la

devastazione, la vera devastazione, la vediamo tutti gli altri

giorni: ogni giorno in cui non accade nulla, ogni giorno in cui si

muore annegati nel Mediterraneo, sui posti di lavoro, nelle

guerre dell’Occidente o da soli, per disperazione.

2. La settimana è cominciata con una grande operazione

preventiva da parte della polizia. I quartieri Giambellino, Porta

Genova e Prealpi sono stati messi sotto assedio. Tredici

perquisizioni, otto case sgomberate, la Base di solidarietà

popolare in Giambellino sgomberata e distrutta, decine di

compagni portati in questura, due arresti e interi quartieri

militarizzati. Questo è il bilancio della strategia della questura

che voleva tenere impegnati tanti compagni, logorarli per

distrarli dalla giornata del primo maggio. Molti dei fermati

durante le perquisizioni erano di origine straniera e per questo

sono stati trattenuti per ore in questura all’ufficio

immigrazione. Questi compagni sono venuti per partecipare

alle cinque giornate di Milano, per conoscere le lotte italiane e

condividere le esperienze di lotta che attraversano in giro per

l’Europa. La stampa ha approfittato di questi fermi, per la

maggior parte conclusasi in liberazioni senza procedimenti

penali, per costruire il mostro che poteva terrorizzare

preventivamente i partecipanti al corteo e il capro espiatorio

da servire in pasto all’opinione pubblica.

3. Questo Primo Maggio milanese è stato una giornata

scomoda. È scomoda per i rivoluzionari perché il dato centrale

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 35

– quello della partecipazione, della determinazione,

dell’organizzazione, dell’esistenza di una forza rivoluzionaria

capace di mettere in atto il proprio rifiuto del divieto di

prendersi il centro –viene messo in secondo piano dalla

narrazione maggioritaria. È scomoda anche per quelli che

alimentano un immaginario conflittuale, purché rimanga su un

piano puramente virtuale, per riproporre sempre la stessa

formula scadente: un governo un po’ più a sinistra, uno

sfruttamento garantito, un capitalismo sostenibile. Almeno ci

vediamo più chiaro: voler essere i buoni rappresentanti di tutti

quelli che non hanno e non vogliono rappresentanza o stare in

maniera partigiana dalla parte dei rivoltosi non sono due

posizioni compatibili.

4. La sfida che hanno davanti tutte le lotte, a cominciare da

quella per l’abitare, è quella di coniugare due aspetti:

partecipazione e conflitto. Man mano che le lotte crescono si

prova a mettere insieme, anche in piazza, quelle due

dimensioni. Se uno dei due elementi viene a mancare, si

rischia di cadere nell’auto rappresentazione di una minoranza

attiva incapace di determinare alcun cambiamento di rotta. La

partecipazione è stata numerosa ed eterogenea, nonostante il

clima di terrore creato nei giorni precedenti. Lo spezzone delle

lotte sociali è stato tra i più nutriti del corteo. C’erano i

comitati e gli occupanti di quartiere, che portano avanti ogni

giorno una lotta reale lontano dai riflettori e dal centro della

metropoli. Una lotta per l’abitare, che parte dall’avere un tetto

sopra la testa per arrivare alla costruzione di quartieri più

vivibili. C’erano anche tanti giovani precari e disoccupati che

nel modello Expo non si riconoscono e non vogliono regalare il

proprio tempo agli schiavisti del grande evento e hanno

preferito scendere in piazza a manifestare la propria

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 36

opposizione, la propria rabbia. Tante lotte diverse e tanti gesti

hanno convissuto rendendo la giornata intensa: c’è chi ha fatto

cori e chi ha resistito alle cariche, chi ha ballato il tango e chi la

techno, chi ha raccontato la propria lotta a tutta la città e chi

ha scritto sui muri con il volto coperto. Un obiettivo è stato

sicuramente raggiunto ed era forse quello più importante: da

un anno a questa parte la parola d’ordine che ha più risuonato

nelle assemblee No Expo era “facciamo male a Expo”. Gli è

stato fatto male.

5. Certi gesti sono stati inutili o addirittura sfavorevoli in quel

contesto, in quel momento preciso? Crediamo che un gesto sia

rivoluzionario non per il suo contenuto, ma per il

concatenamento di effetti che genera. I moralisti che elogiano

o condannano delle “pratiche” a prescindere, senza mai

tenere conto del contesto in cui vengono messe in atto

condividono una stessa cecità. Una macchina messa in mezzo

alla strada per impedire alla polizia di avanzare e massacrare il

corteo non sarà mai la stessa cosa di una macchina sfasciata in

mezzo ai manifestanti quando l’urgenza è quella di difendersi

tutti insieme. Certi gesti, indirizzati verso obiettivi scelti a caso,

rischiano di dimostrare per lo più frustrazione e mancanza di

prospettiva, non mettono un granché sul tavolo

dell’avanzamento rivoluzionario. Le migliori azioni sono quelle

che non hanno bisogno di troppe spiegazioni per essere

comprese da tutti, amici come nemici. L’assedio al cantiere di

Chiomonte parlava chiaro, come sarebbe stato chiaro se

qualcuno il Primo Maggio se la fosse presa con la sede di Expo

o, perché no, con la Borsa.

6. Finché non comprendiamo che il potere va minato nella sua

materialità come nel suo discorso, il nostro agire rimarrà

parziale, e quindi debole. Sabotare il capitalismo significa sì

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 37

praticare degli obiettivi ma anche saper neutralizzare gli effetti

negativi della narrazione mediatica del giorno dopo. Pensare

questa neutralizzazione d’anticipo deve essere parte

dell’azione stessa. E questa, diciamolo con umiltà, è stata la

mancanza più grande della giornata del Primo Maggio. Da

questo punto di vista la strada da percorrere è ancora tanta.

Quando il conflitto si manifesta, pensare di gestirlo

integralmente, governarlo, pascolarlo è contemporaneamente

ingenuo e sintomo di delirio di onnipotenza. D’altronde è

compito di tutti sviluppare un’intelligenza strategica collettiva

rispetto al sentimento generale con cui una determinata

azione viene accolta. Il discorso non è, come si potrebbe

erroneamente pensare, pretendere di indicare cosa è giusto e

cosa è sbagliato in assoluto. Il discorso verte piuttosto su una

questione di immaginario. Occorre quindi alimentare giorno

per giorno un immaginario “altro” che sia desiderabile e reale,

capace quindi di avere qualcosa di meglio da proporre rispetto

al sogno di un’automobile di lusso. Su questo, purtroppo, il

movimento rivoluzionario è ancora troppo carente.

7. Centrare l’analisi della giornata su alcuni gesti tutto

sommato secondari rischia di far perdere di vista il fatto che

l’obiettivo che si sono dati tanti manifestanti è stato in parte

raggiunto: la zona rossa è stata rifiutata con chiarezza. Per chi

c’è stato, per chi ha un minimo di onestà intellettuale, la

situazione era chiara: non c’è mai stato unicamente un blocco

nero che spaccava tutto a caso ma un concatenamento

eterogeneo di persone che ha voluto dirigersi verso l’obiettivo

iniziale della manifestazione, il centro di Milano. Erano molti di

più di qualche centinaio di cui parla la stampa. Sarà mai che

dietro quelle sciarpe nere c’era qualche occupante di casa,

qualche precaria, o qualche studente incazzato?

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 38

8. Degli errori sono stati commessi, come ne commettono

sempre i rivoluzionari mentre tentano di aprire o di cogliere

delle possibilità di conflitto. Chi non ci prova mai, chi auto-

riproduce sempre sé stesso e non si rimette mai in questione,

chi, anche in buona fede, aspetta da sempre che arrivino le

giuste “condizioni oggettive” di certo non rischia di sbagliare.

Rischiare però non significa mettere in pericolo anche chi non

è disposto a mettersi in gioco in prima persona e crediamo che

i manifestanti organizzati per l’autodifesa del corteo l’abbiano

dimostrato. Forse anche questo aspetto non è stato notato da

chi aveva già deciso di accettare di fatto al divieto della

questura e di stare il più lontano possibile da ogni forma di

conflitto. E’ d’altronde ingenuo credere che dopo sette anni di

silenzio mediatico nonostante gli innumerevoli scandali di

Expo, bastasse sfilare pacificamente per convincere i media

che i No Expo hanno ragione.

9. Riprendere la strada della lotta quotidiana, contro l’Expo,

nei quartieri, per l’abitare, non sarà di certo facile e la

repressione proverà ad ostacolarci ancora di più. Ma

facciamoci una domanda, senza polemica, una domanda

onesta: se non ci fosse stata quella prova di conflitto, con che

faccia si poteva tornare in quelle lotte, dopo aver proclamato

in mille modi che l’inaugurazione di Expo andava ostacolata,

scioperata, sgomberata? Allora parliamoci chiaro: vogliamo la

rivolta ma senza i rivoltosi, con i loro pregi e i loro difetti?

Vogliamo manifestare ma solo quando e dove ce lo dice la

polizia? Vogliamo la MayDay internazionale ma solo con

ordinate delegazioni di rappresentanza? Vogliamo i Greci ma

solo di Syriza? Vogliamo la rivoluzione gentile, senza problemi,

senza repressione? Vogliamo il conflitto ma solo a parole?

Ricoprire le pareti dei nostri posti, i nostri manifesti, i nostri

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 39

vestiti di bandiere rosse, nere, curde, di immagini di rivolta e di

barricate, riempirci la bocca di slogan altisonanti e mai dare un

contributo, anche rischiando di sbagliare, per fare in modo che

quell’immaginario si riversi nelle strade?

10. E se non fosse successo nulla? E se fosse stata una

manifestazione come le decine a cui giustamente

partecipiamo il resto dell’anno? È da questa domanda che

dovremo partire per riuscire ad affrontare con sincerità la

complessità della giornata del Primo Maggio. Non era una

semplice Mayday e chi lo pensa è lontano dalla realtà.

L’inaugurazione di Expo segnava un momento importante per

chi lotta ogni giorno, per chi non è più disposto a subire. Non

era una data come le altre perché il capitalismo italiano si

metteva in mostra e festeggiava l’inizio di una nuova fase di

devastazione e speculazione. Il consenso non si guadagna solo

con l’enunciazione di buoni propositi, ma anche con il coraggio

e con la capacità di forzare anche i nostri meccanismi di

autoconservazione. Più che il consenso virtuale ci dovrebbe

interessare la possibilità di sviluppare degli incontri che

possano creare dei legami veri. In questo osare si può anche

sbagliare, e ne siamo consapevoli, le cose non sono andate

perfettamente come avremmo voluto, ma meglio trovarsi a

discutere su cosa non è andato, su come possiamo migliorare

la prossima volta, che dover vivere col rimorso o peggio ancora

autocelebrare la propria “integrità politica”. A chi invece sputa

sulla costruzione politica che componeva uno degli spezzoni

variegati del corteo, diciamo che le situazioni non sono solo da

godere a proprio piacimento, ma anche da costruire.

11. Mentre c’era in corso la MayDay a Milano i rivoltosi di

Baltimora spaccavano vetrine di banche tra le urla festanti

della gente e i compagni di Istanbul attaccavano la zona rossa

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 40

e resistevano alla polizia. Ma si sa, il Black Bloc a distanza è

sempre più bello e la zona rossa del vicino è sempre più rossa.

Siamo consapevoli della differenza del contesto sociale e della

composizione delle piazze in cui questi riot avvengono. Ma

non c’è bisogno di andare lontano ed evocare questi esempi, o

Kobane o Ferguson, per evidenziare il conservatorismo di

alcuni politicanti di movimento: basta tornare a novembre

2014 e ricordare che mentre i quartieri popolari di Milano

erano in rivolta qualcuno preferiva tenersi stretto le proprie

“conquiste”, senza cercare di contaminarsi o di incuriosirsi. Le

rivolte si parlano, si rispondono più velocemente che sui social

network, hanno la capacità di cogliere il momento e hanno

qualcosa da dire sul mondo, molto di più dei grigi comunicati

che escono da assemblee di addetti ai lavori senza passione,

senza amore, senza gioia. Le tristi beghe egemoniche e

gestionali, la contabilità tra le parrocchie di movimento fa

dimenticare a molti che fuori c’è un mondo a cui non frega

niente di queste piccolezze.

12. Ancora una volta il gioco della divisione tra pacifico e

violento è opera sia di chi governa sia di quella parte di sinistra

che crede che per farsi sentire basti ridurre la questione del

conflitto a un discorso morale. Non si tratta di fare l’elogio

dello scontro minimizzando le infinite altre pratiche che

creano avanzamento, anzi crediamo che stia proprio qui la

chiave per uscire dalla falsa opposizione tra pacifico e violento.

Le pratiche di lotta, siano queste una marcia popolare, delle

azioni fuori dalla legalità o dei sabotaggi devono essere

valutate da un punto vista strategico e non da un principio

ideologico. Gli obiettivi politici non si misurano con eventuali

arresti o attacchi da parte del nemico, ma con ciò che la

pratica di questi obiettivi possa creare a livello di avanzamento

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 41

a medio e a lungo termine. E sappiamo bene che saremo sotto

attacco anche da chi crede di avere in tasca l’abc della politica,

ma sarebbe meglio che costoro guardassero fuori della

finestra del proprio centro sociale perché c’è un mondo al di là

della propria pratica militante formato famiglia. Per noi ciò che

conta è l’avanzare delle lotte e per questo rischiamo e ci

organizziamo.

13. Quello che sta accadendo in questi ultimi giorni a Milano è

l’emblema dell’ipocrisia della borghesia milanese che si

indigna e prende posizione contro i danni del corteo, perché

difende la propria città e crede ingiusto che sia “devastata”,

ma tace davanti a decenni di sventramento della città, alla

distruzione di parchi e alberi per fare spazio al cemento, alla

gentrification di intere zone. Così come non dice mai niente

della violenza con cui nei quartieri popolari delle famiglie

vengono buttate in mezzo a una strada, della speculazione

edilizia che arricchisce sempre di più la mafia del mattone, del

lavoro gratuito per i giovani precari che vogliono costruirsi un

futuro. L’operazione #NessunoTocchiMilano ci sembra un

automatismo del cittadino che per lavarsi la coscienza scende

in piazza, così come adotta un figlio a distanza per sentirsi

solidale. I riflettori a un certo punto si spegneranno e i muri

torneranno ad essere imbrattati non solo dai No Expo ma

anche dai tantissimi ragazzi e ragazze che scrivono la propria

storia, lasciando il segno del proprio passaggio sui muri.

14. Saranno tempi difficili, su questo non ci sono dubbi, ma

crediamo che questa scommessa andava fatta e che i risultati

politici li vedremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Non

accettiamo il ricatto per cui si dice che da ora gli spazi di

agibilità saranno ristretti e quindi era meglio non fare niente.

Forse la gestione dell’ordine pubblico a Milano cambierà e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 42

lascerà meno margini, ma la pacificazione a cui ci avevano

abituato e su cui faceva leva la questura andava superata. Non

è con la convivenza pacifica ma è solo con la lotta che

riusciremo a strappare l’agibilità politica che la controparte ci

vorrà togliere nei prossimi tempi. Sui territori raccoglieremo la

forza o la debolezza delle nostre scelte, la sfida ora è quella di

allargare, di conoscere nuovi amici, di tessere nuove relazioni,

di scoprire nuove lotte. Ci sono vari compagni e compagne

arrestati: a loro va la nostra intera e sincera solidarietà. Strano

e assurdo pensare che i devastatori dei nostri territori vogliano

riutilizzare l’accusa di devastazione e saccheggio come

vendetta contro chi individueranno come colpevoli di aver

rovinato la festa ad Expo. Si parla di un reato che prevede una

pena che arriva a 15 anni. E su questo c’è da riflettere

sopratutto quando ci si abbandona facilmente a condanne:

non possiamo lasciare soli i compagni arrestati o che lo

saranno in futuro, che facciano parte della nostra collettività o

meno. Crediamo sia giusto lanciare da subito un appello a

sostenere questi compagni e ad attivarsi ognuno nelle proprie

città per rompere l’isolamento che cercheranno di creare loro

intorno.

15. Le giornate come questa forse hanno tanti difetti però

sicuramente un pregio ce l’hanno: quello di segnare uno

spartiacque tra chi lotta misurandosi con la realtà per tentare

di cambiarla e chi condanna, si indigna o pretende di dare

lezioni. In questi giorni abbiamo visto un’istantanea di due

mondi inevitabilmente inconciliabili: la società per bene, che

abita le vie ricche del centro e insieme a Lega e PD cancella la

scritta “Carlo vive” da una parte, e le migliaia di “Carlo” senza

nome e col cappuccio che hanno resistito nelle strade.

Lasciamo ad altri la posizione altezzosa di chi si permette di

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 43

giudicare da lontano quale riot sia giusto e quale è sbagliato e

scegliamo di stare ancora una volta in mezzo alla mischia, in

mezzo alle contraddizioni, dove sta il movimento reale che

abolisce lo stato di cose presenti.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 44

Expo: torna il partito della paura e ci affoga di

debito, cemento e precarietà

Indicom – Indipendenti per il comune:

Laboratorio Acrobax, Alexis Occupato

Dopo qualche giorno dal 1° maggio, prendiamo parola e lo

facciamo a seguito di una condivisione collettiva della piazza

milanese a cui, con determinazione, abbiamo partecipato. Una

mobilitazione ricca e condivisa da migliaia di persone, frutto di

un lavoro lungo e approfondito che i compagni di attitudine no

expo – alcuni peraltro di vecchia data e di cui non abbiamo mai

dubitato della generosità nell’incentivare percorsi di lotta

virtuosi – hanno svolto nei propri territori e in lungo e in largo

per tutta Italia. Nei loro occhi in questi mesi abbiamo visto la

generosità, umana e politica, di chi prova a mettere a

disposizione una data in un percorso più ampio e nell’ottica

della collettività di tutti e per tutti.

Il grande e cospicuo lavoro della rete Attitudine No Expo ha

fatto si che sfilassero più di 30.000 mila persone. Un lavoro a

partire dall’apertura dei territori, dove la sinergia tra i veri

agricoltori a km zero si è fusa con le vertenze antispeciste e

dove i ragionamenti sul lavoro gratuito e sull’economia della

promessa – a cui i 18.500 volontari di expo stanno, purtroppo,

credendo – si sono fusi con le tante esperienze che i

movimenti per il diritto all’abitare stanno producendo a livello

nazionale. Partiamo, quindi, dall’assunto che per noi questa

pluralità di convergenze e istanze di lotta è una ricchezza che

va coltivata, va preservata, va nutrita con intelligenza e

responsabilità collettiva.

E’ inutile fare una ricostruzione in cui molti, sia nel movimento

che dai pulpiti dei media mainstream, si sono già cimentati; ci

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 45

interessa, invece, riflettere su quelle che sono i risultati politici

prodotti da quella giornata.

Due giorni dopo il primo maggio una manifestazione

capeggiata da Pisapia, ha sfilato per Milano, non facendo altro

che far regredire e diluire i contenuti della Mayday Noexpo,

dando sponda a quell’attivazione di piazza che Renzi non

avrebbe potuto immaginare o sperare. L’Expo2015 ha, così,

trovato i suoi attivisti che si sono assunti la responsabilità di

dare corpo a quello che fino ad oggi era rimasto solo nel

virtuale dei social network, peraltro sfiancati dalle ragioni del

No. E alla 20.000 persone che hanno partecipato alla

manifestazione di Pisapia, la cui chiave elettoralistica è

chiaramente intellegibile, verrebbe da chiedere dove eravate

quando Klodian, a soli 21 anni, è morto cadendo da un

ponteggio dell’Expo? Dove eravate quando il 23 Luglio 2013

CGIL CISL e UIL hanno firmato l’infame accordo con Expo2015

SpA accettando di “ratificare, per la prima volta nel diritto del

lavoro, il ricorso al lavoro gratuito” affossando definitivamente

il futuro di migliaia di giovani? Dove eravate quando la Rete No

Expo denunciava la gestione mafiosa ed affaristica dei

finanziamenti pubblici?

Ma una cosa la dobbiamo dire con chiarezza, quando c’è

spazio per la protesta della “maggioranza silenziosa”, significa

che ci sono ancora molti vuoti da colmare da parte delle forze

anticapitaliste, e quei vuoti vengono riempiti da opzioni

conservatrici, quando non apertamente reazionarie.

Parlando di risultati, quindi, quello che rimane è un partito

della paura, che sventola lo spauracchio dei “black bloc” e di

“duri scontri” per celare l’ipocrisia di una città saccheggiata,

nella terra, nei diritti, nella dignità e nelle casse. Pensi anche a

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 46

questo Pisapia quando sceglierà se ricandidarsi o meno,

perché le bolle mediatiche sugli scontri si sgonfieranno,

mentre la gestione mafiosa, il cemento, i debiti e la precarietà

generata da Expo2015 rimarranno come fondamenta dell’area

metropolitana di Milano e come caposaldo del nuovo reparto

di geriatria che il ducetto Renzi sta costruendo.

E proprio a questo punto siamo fermi da almeno 7 anni, inizio

della crisi, in cui una larghissima parte del tessuto sociale

italiano rimane assuefatto a galleggiare (pronto a rincorrere la

schiavitù di Expo con la promessa di conquistare un lavoro

qualsiasi) e a guardare Renzi che riscrive l’inno (e la

costituzione) italiana dichiarando la fine del capitalismo di

relazione e inneggiando a quello ugualmente spietato e freddo

delle meritocrazie multinazionali e della precarietà senza diritti

e reti di salvataggio. Neanche quelle famigliari.

Conflitto senza o contro il consenso?

In questo contesto, da mesi una larga rete si è mobilitata,

riuscendo ad organizzarsi, a prendere parola e costruire

visibilità su queste tematiche, provando a costruire una

complessa analisi di un altrettanto complesso e paradigmatico

passaggio rappresentato da Expo.

E qui viene il bello, a che serve discutere e confrontarsi,

trovare un terreno comune e provare a connettersi? A che

serve, se tanto l’orizzonte è rappresentato dalla morte del

capitalismo o dalla vita specchiata in cui comunque vale la

regola del più spregiudicato? Addirittura dove un gesto, a

discapito delle parole e dei pensieri, diviene l’asticella sotto la

quale si diventa inutili, riformisti se non addirittura pericolosi

nemici?

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 47

In una gara costante a chi “ce l’ha più lungo”; noi

tranquillamente rifiutiamo l’ansia da prestazione né abbiamo

voglia di dimostrare le nostre capacità. Chi ci ha conosciuto lo

sa, chi sarà curioso lo scoprirà; tutto il resto è la parte peggiore

di quello che qualcuno ha definito porno-riot ovvero pura

estetica della distruzione.

Nel nostro agire politico, sia chiaro, le rotture sono

considerate più che lecite, a patto però, che esse producano

un reale grado di avanzamento nella lotta di classe,

incanalando rabbia e conflitto in termini affermativi, creando

consenso e processualità nei movimenti. La strategia di

contenimento attuata dalla governance a Milano il 1° maggio è

stata utile, peraltro, a riabilitare le forze dell’ordine elogiate

per la “gestione oculata della situazione” dopo la condanna

della Corte europea per le torture realizzate a Genova 2001.

La giornata milanese, quindi, pone o ri-propone una vecchia

questione sull’egemonia e sul consenso, oltre che,

chiaramente, sulle pratiche. E ci sembra che la lezione, di

gramsciana memoria, sia interpretata nel peggiore dei modi,

per cui si fraintende la propria visibilità e la propria sovra-

determinazione come un’opzione che convince. Se addirittura

“la visibilità si conquista a spinta” a scapito di chi è al nostro

fianco nelle lotte, anche radicali, a fianco, per mesi, nei

processi decisionali, si produce un paradossale rovesciamento

in cui l’alleato diventa lo sciacallo giornalistico. E in questo

paradosso, il processo decisionale collettivo diviene un

ostacolo sulla via della rivoluzione.

Il risultato finale, che prima o poi consigliamo di valutare con

occhio distaccato e critico, è che il movimento è spaccato e il

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 48

resto della prateria a cui si vuole parlare rimane ancora una

volta in secondo piano.

Quindi la questione di consenso posta a Milano, non è tanto

riscontrabile in quello mancante della società civile che i media

mainstream prontamente strombazzano, ma quello contro cui

ci si è attivati.

E’, infatti, con quel consenso minimo costruito in mesi di

assemblee di movimento con cui si deve far i conti. In questo

paradosso (o miseria?) quella dicotomia tra morte e vita, posta

ad esempio da Berardi Bifo, diviene inutile e novecentesca

quanto sfilare per diritti e costituzione, perché è un gioco a

somma zero.

La pentola a pressione (pratiche e conflitto)

E lungi da noi aver trovato una qualche risposta, continuiamo

a trovare, invece, molte domande.

Una delle prime riguarda le pratiche e il loro senso politico

nella volontà di costruire movimento per il conflitto e la

trasformazione. A tal proposito ci interroghiamo, da diverso

tempo ormai, sul perché continuare a costruire pentole a

pressione in cui nessuno è comodo per scegliere le pratiche

che preferisce.

Perché non pensare, come avviene sempre più

frequentemente nelle esperienze più virtuose in Italia e in

Europa, a lavorare per costruire un piano politico condiviso sui

contenuti, che possa rappresentare ed essere condiviso come

piano politico e sociale, riconoscendo cittadinanza a tutte le

pratiche conflittuali? Perché non superare noi stessi in primis

la divisione in “buoni” e “cattivi” scegliendo di costruire

momenti differenziati in cui tutti, in un verso o nell’altro, siano

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 49

costretti a confrontarci per non sfuggire alle proprie

responsabilità politiche?

E’ per noi necessario sprovincializzare l’Italia per connettersi ai

movimenti e alle reti internazionali, costruendo spazi

transnazionali di opposizione all’austerity, così come avvenuto

a Francoforte nella giornata di mobilitazione di Blockupy

durante i blocchi e la manifestazione contro l’inaugurazione

della nuova sede della BCE. Per questo come Scioperiamo

Expo ci siamo diretti verso la sede dell’Unione europea, con

l’obiettivo di denunciare la violenza delle politiche di austerity

imposte dalla Troika.

Probabilmente se riuscissimo ad evitare alibi del “troppo

violento o troppo poco”, riusciremmo anche a costruire un

processo politico centrato sui contenuti da animare con

differente attitudini, senza agitare schermaglie retoriche.

Avere il coraggio di intraprendere scelte in una chiara

composizione politica di classe, a partire anche da questo.

Scioperiamo Expo

Dunque torniamo dall’esperienza milanese con la convinzione

che un difficile lavoro ci attende e, ammettiamolo, con un

discreto amaro in bocca. Abbiamo imparato sulla nostra pelle

che la rabbia sociale è solo uno dei parametri e spesso,

purtroppo, è anche inesatto.

Sappiamo che molto si sarebbe dovuto fare, innanzitutto sul

piano del lavoro precario e volontario, ma che, noi per primi,

non abbiamo avuto la capacità di portare avanti fino in fondo.

Eppure sappiamo che il paradigma di Expo è il paradigma

(anche quello del controllo) con cui ci confronteremo da oggi

in poi. A noi la possibilità di intraprendere un percorso

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 50

ambizioso, che non solo punti ad incendiare quella prateria ma

che sia capace di costruire quella vita che vorremo

contrapposta alla morte del capitalismo. Una vita che non

vogliamo riempire di feticci, ma riempita di capacità attiva

all’insubordinazione, così, come di riappropriazione di spazi

decisionali diretti, oltre che alla costruzione di cooperazione

sociale.

Non è più il momento di dare lezioni ma di imparare a

costruire una sfera orizzontale che sappia produrre, a partire

da quello e senza scorciatoie (tanto meno di tipo elettorale),

eventuali verticalizzazioni.

Noi, nel nostro piccolo e per quel che valiamo in questa fase di

movimento difficile, complicata e pesante, abbiamo deciso di

aderire e portare il nostro contributo allo spezzone

Scioperiamo Expo, insieme agli attivisti dei laboratori dello

Sciopero Sociale. E lo abbiamo fatto perché da mesi, insieme a

tante altre realtà nel territorio nazionale e reti internazionali

stiamo cercando di ri-significare la pratica dello sciopero che in

questa fase storica vediamo praticabile solo nelle forme di uno

“sciopero sociale”. Ovvero un assioma linguistico in cui “la

parola sciopero sottintende il fatto che è di forza di

produzione di lavoro (precario se non addirittura gratuito) di

cui stiamo parlando mentre sociale implica che sono tutti gli

aspetti ed ambiti della vita ad esserne coinvolti rendendo la

condizione precaria l’elemento dirimente dello stesso

sciopero”.

Uno “scioperiamo Expo” che allude ad uno sciopero dentro e

contro la precarietà, contro lo sfruttamento intensivo, il

business della disoccupazione giovanile (Garanzia Giovani) e la

codificazione del lavoro gratuito imposta dai sindacati

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 51

concertativi. Uno sciopero transnazionale, che blocchi

realmente i flussi produttivi, contro tutte quelle forme plurali

di lavoro gratuito che nell’era del capitalismo cognitivo siamo

costretti a subire. Uno sciopero contro quel dovere imposto di

mostrarsi sempre disponibili, flessibili e occupabili a costo zero

come se fosse meglio essere schiavi a termine piuttosto che

poveri senza un futuro e prospettive.

Noi scegliamo questo processo per costruire quei terreni

comuni, di sperimentazione e confronto, uno spazio collettivo

e sociale che sappia essere spazio politico, senza dover

azzerare le differenze in un supposto soggetto politico.

Il nostro modo per continuare la nostra attitudine NoExpo.

Il nostro modo per affrontare un modello provando a costruire

un tempo da battere, che sappiamo né veloce né immediato,

ma che sia nostro.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli attivisti arrestati,

nessuno deve rimanere da solo, soprattutto in un momento in

cui vengono richieste “condanne esemplari”, insistendo

sull’infame reato di “devastazione e saccheggio”.

Tutti Liberi/e.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Lo spazio dei movimenti e la guerra simulata

DinamoPress

Alfano chiede di vietare le trasferte per i cortei, a Milano e in

tutta Italia è caccia ai black bloc, meglio ancora se stranieri, la

procura milanese ha aperto un fascicolo per devastazione e

saccheggio, i telegiornali mandano in loop le immagini degli

incidenti. Arriva il coro unanime di condanna e indignazione.

Qualche immancabile sociologo d’accatto non riesce a

trattenersi dal dire la sua, Saviano tesse le lodi delle forze

dell’ordine. Un film già visto, ma con l’ossessione per il decoro

che diventa soggetto politico della Reazione. Con quella sorta

di riedizione della “Marcia dei 40mila” guidata da Pisapia, con

leghisti e “democratici” che “ripuliscono” insieme la città.

Del fallimento di Expo, dei lavori in deroga e in scarsissime

condizioni di sicurezza, dello sfruttamento intensivo,

dell’ipocrisia delle corporation che affamano il pianeta si

preferisce non parlare. Non ora, adesso è il tempo di costruire

il nemico interno per nascondere lo scempio che sta andando

in onda nella realtà: corruzione, infiltrazioni mafiose, il

pubblico piegato agli interessi di pochi, i ricchi che diventano

sempre più ricchi.

Venerdì 1 maggio abbiamo partecipato assieme ad altre

30mila persone alla May Day No Expo di Milano. Assieme a

molte altre realtà nazionali, europee e milanesi abbiamo

costruito lo spezzone “Scioperiamo Expo”. Perché l’Expo

milanese è soprattutto, per quanto ci riguarda, il paradigma

dello sfruttamento del lavoro contemporaneo. Lo scellerato

accordo sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil, istituzionalizza di fatto il

lavoro gratuito, legalizzando forme di neo-schiavismo salariale.

Expo come paradigma dell’economia della promessa, quella

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 53

che ripaga in “esperienza”, utile per allungare il curriculum e

arricchire il capitale umano, lasciando intatta la miseria

quotidiana con il miraggio di un domani migliore. Ma che resta

sempre un domani. Abbiamo portato in piazza i percorsi di

autorganizzazione sociale dei precari costruiti dall’autunno ad

oggi all’interno dei laboratori per lo sciopero sociale, nella

mobilitazione contro il piano Garanzia giovani, contro il lavoro

gratuito e sfruttato dentro scuole e università.

Dal corteo abbiamo deciso di staccarci per andare verso la

sede dell’Unione europea, con l’obiettivo di denunciare le

politiche neoliberiste e di austerità garantite dalla Bce e della

governance della Ue, come già avevamo fatto lo scorso marzo

a Francoforte nei giorni della mobilitazione di Blockupy. Qui ci

siamo scontrati con determinazione contro l’incredibile

apparato di sicurezza che ha militarizzato la città, portando

gommoni e salvagenti per denunciare le responsabilità della

Fortezza Europa nell’aver trasformato il Mediterraneo in un

cimitero. Abbiamo costruito uno spezzone europeo perché

siamo convinti che ogni rottura del presente possa ormai darsi

solo a livello transnazionale, misurando a questa altezza

ambiziosa la sfida dei movimenti sociali.

Crediamo, però, di dover affrontare i nodi politici che la

giornata ci consegna. Perché di nodi politici si tratta. Proprio

perché non crediamo che quanto accaduto possa essere letto

con la categoria del “teppismo”, riteniamo che questo sia

espressione di una strategia politica e come tale vada trattata.

Per farlo è necessario prima di tutto sgomberare il campo da

equivoci: chi ha praticato l’assalto ai negozi, a filiali bancarie e

dato fuoco alle macchine in sosta, lo ha fatto in maniera

organizzata, praticando un’opzione politica assolutamente

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 54

legittima ma che non condividiamo e che crediamo non debba

essere confusa con altre forme di espressione. È francamente

ridicolo chi intravede, ogni volta, la ripetizione di una nuova

“Piazza Statuto”, l’irruzione plebea di nuovi soggetti sociali che

farebbero saltare le vecchie logiche organizzative del

movimento. Questo è accaduto e accadrà, ma non questa

volta. Il primo maggio a Milano non ha visto nessun riot o

tumulto, non era Baltimora e neanche piazza del Popolo a

Roma il 14 dicembre 2010. Noi, che al corteo c’eravamo, non

abbiamo visto alcun “evento”, alcuna “eccedenza” né,

tantomeno, alcuna “destituzione”. Forse, per la precisione,

tutto l’opposto: nessuno spazio politico è stato aperto,

nessuna faglia nel consenso all’evento si è prodotta, nessuna

identità, sociale o politica, è stata messa in discussione.

Ognuno può rimanere comodamente ai posti di partenza.

Un corteo partecipato e plurale è stato cannibalizzato da parte

di un’opzione politica significativa ma di certo non

maggioritaria. Non ci dissociamo, non condanniamo quanto

avvenuto, rispediamo al mittente le criminalizzazioni

mediatiche, chiediamo la liberazione di tutti gli attivisti fermati

e che andranno a processo nei prossimi giorni rischiando di

pagare per tutte e tutti. Tuttavia, tutto questo non può far

dimenticare che la potenziale politicizzazione di un campo

sociale è rimasta chiusa nell’ambito della «pura

amministrazione» di un fatto di piazza, uguale nei codici e nei

simboli, nel dibattito stesso che ha prodotto, ad altri che

abbiamo già conosciuto e che continuano a ripetersi uguali a

se stessi a prescindere dal contesto e dagli obiettivi contro cui

si lotta. Proprio come il neoliberalismo, toglie di mezzo

qualsiasi spazio di organizzazione collettiva dei precari e dei

poveri, così l’opzione politica emersa a Milano assume la “folla

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 55

solitaria” come unico agente della trasformazione. Nessuno

dubita che questa sia, propriamente, un’opzione politica.

Abbiamo invece più di qualche dubbio che essa possa dirsi

rivoluzionaria.

È sotto gli occhi di tutti quanto le élite capitalistiche siano oggi

disposte a congelare le contraddizioni e le spinte alla

trasformazione in una logica di guerra, per conservare i

rapporti sociali di potere che si stanno consolidando nella crisi.

Solo una cosa è per il capitale è preferibile alla guerra: la sua

versione simulata.

Conviene però non chiudere qui la questione. Se è utile partire

da una considerazione critica della giornata di Milano,

pensiamo che questa debba riguardare tutti i soggetti che, in

un modo o nell’altro, hanno dato vita alla manifestazione.

Tempo fa, su questo stesso sito, avevamo provato ad

alimentare una discussione pubblica sui limiti stessi del

movimento italiano e delle culture politiche che lo

compongono. L’abbandono di qualsiasi prospettiva strategica

e programmatica ci era sembrata l’altra faccia da un lato, della

riduzione della forma-movimento ad un confronto asettico e

auto-referenziale tra famiglie e aree politiche e, dall’altro,

dell’iniziativa politica ad una serie di contro-eventi. La

definizione di nuove sperimentazioni organizzative, la

coalizione fra differenti esperienze di “sindacalismo sociale”,

l’articolazione fra radicamento e conflittualità molecolare e

scadenze centrali, l’individuazione di ciò che è “fuori” dal

movimento organizzato come il terreno su cui intervenire, ci

erano sembrate l’unico modo per superare questo stallo. Una

parte consistente del movimento ha intrapreso questa

sperimentazione negli ultimi mesi, nella consapevolezza che

essa comporta, necessariamente, l’abbandono di qualsiasi

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 56

logica delle “identità”: il rovesciamento dei rapporti sociali si

può agire solo “dentro” la società. Suscitare empatia ed essere

intellegibili per aprire delle contraddizioni.

Non è certo il primo maggio a Milano ad averci fatto scoprire

l’esistenza di queste differenti opzioni in campo. Il corteo

milanese ci ha solo reso maggiormente consapevoli della loro

crescente incomponibilità. Su tutti gli altri, per un motivo

fondamentale: chi agisce la “guerra simulata” ritiene che, oltre

sé stesso e i suoi simboli, vi sia uno spazio sociale già

completamente colonizzato dal capitale. Che fra se stesso e il

bancomat non ci sia nulla, tranne la magra possibilità di

esprimere simpatia per l’uno o per l’altro. Per questo se ne

frega del consenso. Per noi, invece, quello spazio di mezzo è

uno spazio aperto, l’unico che conta perché oggetto di una

contesa continua fra poteri contrapposti. È sulla possibilità di

spostare i termini di questa contesa, di espanderla e di

radicalizzarla, che si misura l’efficacia di un’azione collettiva.

Quello stesso spazio che per noi deve essere attraversato da

processi di politicizzazione e organizzazione, è lo stesso che

rischia ogni volta di essere prosciugato e consegnato ad un

gioco delle parti senza alcun residuo. Quando non apre a

dinamiche di politicizzazione a noi avverse, come quella

capitanata in questi giorni da Pisapia.

La giornata milanese, dunque, lascia sul tappeto, e rilancia con

maggiore forza, la sfida per una trasformazione di ciò che

comunemente intendiamo per movimento. Superati i

commenti e le prese di posizione, è attorno a questa sfida che

conviene riprendere la discussione.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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ExPost

Spazio Politico Comune

Partiamo dai numeri, non per mero calcolo statistico, ma

perché rappresentano un elemento preziosissimo sul piano

politico. Trentamila persone hanno manifestato contro il

dispositivo Expo, contro i nuovi paradigmi di sfruttamento e

finanziarizzazione della vita e dei territori, contro il modello di

metropoli gentrificata ad uso e consumo del capitale, contro

l’idea che a nutrire il Pianeta siano le multinazionali

dell’agricoltura industriale.

Trentamila persone che esprimevano una composizione

transnazionale ed eterogenea, che non si è fatta intimidire dal

clima di terrore imposto sul “movimento No Expo” da

governanti e stampa mainstream e dall’ondata repressiva

scatenatasi nei giorni che hanno preceduto la manifestazione.

Trentamila persone non sono piovute dal cielo, che al massimo

ci ha regalato oltre quattrocento lacrimogeni. Sono il frutto di

un intenso lavoro che da anni è stato messo in piedi dalle

realtà milanesi e che negli ultimi mesi è cresciuto di intensità,

ha coinvolto tante realtà organizzate di movimento sia a livello

nazionale che a livello europeo, costruendo un contesto

all’interno del quale l’evento non è mai fine a sé stesso, ma

parte di un processo che cresce nella pratica della democrazia

dal basso.

Un lavoro che aumenta di valore, se lo collochiamo dentro

l’oggettiva difficoltà che negli ultimi anni c’è stata in questo

Paese, salvo rarissime eccezioni, di attivare un’opposizione

sociale credibile, continuativa e di massa.

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Come Spazio Politico Comune siamo stati parte attiva della

mobilitazione milanese, articolata in diverse giornate e partita

il 30 aprile con il corteo studentesco, costruendo lo spezzone

“Scioperiamo Expo”. Lo abbiamo fatto insieme ad altre realtà

organizzate di movimento italiane ed europee e soprattutto

insieme a tanti precari, studenti, migranti e working poors che

hanno animato il percorso di avvicinamento alle giornate No

Expo nelle varie città. Uno spezzone composto da circa 5.000

persone, all’interno del quale vi era una presenza

internazionale, a dimostrazione del fatto che la dimensione

europea dei movimenti e delle mobilitazioni sociali è un

processo già in atto e che si sta sempre più consolidando.

Proprio per questo lo spezzone “Scioperiamo Expo” ha deviato

verso la sede italiana della Commissione Europea, perché la UE

ci affama, ci toglie diritti, umilia il lavoro e ha ridotto il

Mediterraneo ad un cimitero.

L’obiettivo della Commissione Europea crea una continuità

simbolica e materiale con la grande mobilitazione del 18

marzo a Francoforte, proseguendo quel percorso di

destituzione dal basso della troika e di resistenza alle politiche

di austerità. L’azione inoltre, nel modo in cui è stata costruita,

attuata e gestita, dimostra che è possibile praticare forme di

conflitto che sappiano parlare a tanti e tante, che siano

leggibili, comprensibili, riproducibili e che agiscano per il

comune e non contro di esso.

Il problema delle pratiche, infatti, non è semplicisticamente

riducibile al nodo “del conflitto e del consenso”. Il consenso è

un concetto limitativo perché descrive un’adesione esterna e

rischia di ridursi ad una condivisione passiva. Il problema reale

è quello del rapporto tra conflitto e legame sociale: una

pratica degli obiettivi che non riesce a tradursi in una dinamica

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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costituente di legame sociale non esprime alcun conflitto. Una

pratica degli obiettivi che sacrifica a se stessa, alla propria

visibilità ed alle proprie gratificazioni i legami sociali, il senso di

reciproca appartenenza tra chi ha già maturato la scelta di

scendere in piazza e chi ancora, per le mille variabili della

propria esistenza, rimane chiuso nel suo appartamento

gravato dallo sfratto o dal pignoramento, non solo non

esprime alcun conflitto, ma si traduce in un ulteriore fattore di

frammentazione sociale e marginalizzazione.

Nei luoghi fisici e politici che conquistiamo con le nostre

pratiche di lotta, come è stato lo spezzone “Scioperiamo Expo”

nel contesto della manifestazione milanese, la salvaguardia del

legame sociale, la sua ricostruzione, la sua ricomposizione

intorno al conflitto in atto costituisce non solo una priorità, ma

la ragione stessa del nostro agire collettivo. Tutto ciò che

dissocia consapevolmente le pratiche degli obiettivi dal

legame sociale non ci appartiene perché non appartiene ad

alcun processo rivoluzionario. La consunta retorica sulla rabbia

sociale è oramai solo un argomento utile al grande circo

mediatico che si alimenterà sempre di più delle “aree di sfogo”

predeterminate ad hoc dalla polizia: d’altra parte l’utilizzo dei

“circenses” in funzione del controllo sociale non è certo una

delle novità renziane.

La differenza che intercorre tra chi vuole ricostruire legame

sociale e chi, invece, individua nella sua rottura il proprio

strumento di espressione, non è la differenza che intercorre

tra buoni e cattivi, ma semplicemente la differenza tra ciò che

cambia e ciò che conserva: una differenza incolmabile. Tutto il

resto, sia che si parli di streghe o che si parli di fate, che si

racconti di gnomi buoni o di folletti cattivi, non conta niente

perchè si tratta solo di favole: possono essere raccontate per

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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avere il ruolo del più duro tutore dell’ordine oppure quello del

più fedele interprete di fantomatiche istanze insurrezionali,

ma restano sempre favole che non hanno niente a che vedere

con le drammatiche condizioni di vita di milioni di persone. Ed

è su queste vite e con queste vite che vogliamo e dobbiamo

agire, ricomponendo quelle lotte sociali che ci vedono

protagonisti ogni giorno, dai nostri territori al cuore

dell’Europa politica e finanziaria.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Essere parte del problema

Blocchi Precari Metropolitani

Ancora fiumi d’inchiostro dopo una manifestazione di piazza

che potremmo definire “diversamente conflittuale”. Chi ha

deciso di stare dentro questa mobilitazione sa che molte delle

cose scritte rappresentano solo un’elaborazione parziale di ciò

che è avvenuto, spesso dettata dalla necessità di far prevalere

un punto di vista piuttosto che un altro. Riteniamo che per le

migliaia di uomini e donne che hanno attraversato le strade di

Milano il primo maggio i pensieri e le riflessioni siano molto

differenti, anche se qualcosa la cogliamo dai vari comunicati

che circolano in rete.

Non abbiamo mai avuto la pretesa di poter raccogliere, in

questo momento storico, una moltitudine omogenea,

organizzata e dalle idee chiare. Una generazione, o più

generazioni pronte a mobilitarsi senza riversare

pubblicamente la propria rabbia e la propria ostilità contro un

devastante modello di sviluppo basato sullo sfruttamento

delle risorse pubbliche e sull’accettazione del lavoro

volontario, che Expo 2015 tenta di rappresentare come

impegnato verso una nuova etica sostenibile.

Proprio per questo non riusciamo a comprendere come si

possa pensare di utilizzare la vetrina mediatica di un evento

come quello milanese senza poi andarci a sbattere contro.

L’irriducibilità al modello delle grandi opere e delle grandi

kermesse, la necessità di dirottare le risorse verso bisogni

primari oggi mortificati, la rottura definitiva con i modelli della

mediazione classicamente intesa, non può che produrre la

messa in movimento dell’energia immagazzinata in una

quotidianità sempre più precaria. Il terremoto si sa è

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 62

imprevedibile e quando si manifesta produce danni. Perché

meravigliarsi?

La scelta quindi sta dentro questi spazi di manovra. Il green

washing di Renzi e Mattarella è chiaro, così come il furto di

linguaggio tra rigenerazioni urbane ed orti verticali. Chiare

però anche le contraddizioni, laddove si afferma il diritto

all’acqua e si vara un provvedimento che la nega a chi occupa

uno stabile o un alloggio per necessità. Di fronte a ciò cosa

siamo andati a fare il primo maggio a Milano? Provare ad

essere parte della soluzione o essere parte del problema?

Intendiamo ragionare sulla seconda ipotesi. Rappresentare la

minaccia necessaria contro un governo autoritario e classista,

che non prevede ammortizzatori sociali di sorta e che vuole

ridefinire i rapporti di forza senza fare prigionieri. Che ha

gestito la piazza di Milano consapevole di un problema, ma

invece di affrontarlo direttamente lo sta lasciando nelle mani

di chi ne è spaventato più dello stesso governo.

L’esercizio del riot non ci preoccupa così come non ci interessa

la sua estetica. Continueremo ad avanzare, consapevoli di una

spinta sociale destinata ad allargarsi e che può prendere forme

non sempre politicamente intellegibili. Dentro questi spazi e

lungo queste strade troveremo le complicità necessarie per

resistere e contrattaccare. Lo spezzone meticcio dei

movimenti per l’abitare e le lotte sociali ha fatto la sua parte, il

primo maggio, come sempre.

Ci vediamo in città e nei boschi!

# tutteliberi

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Expo: Renzi si accorge che c’è vita oltre twitter

Redazione Senza Soste

È stata una settimana decisamente dura per l’uomo immagine

del Pd, segretario di un partito senza spina dorsale e

presidente del Consiglio. Il primo colpo, grosso, glielo ha dato

la Corte Costituzionale. La sentenza che liquida il

congelamento degli aumenti delle pensioni (voluto da Monti-

Fornero) come incostituzionale, pone problemi serissimi al

governo. Problemi tipici di chi è assoggettato a Bruxelles e

Francoforte e a qualche fondo d’investimento (persino

Brunetta ha avuto gioco facile alla Camera a svergognare il

governo sui prodotti finanziari tossici). In poche parole,

mentre il governo è in difficoltà per trovare 4-5 miliardi di

tagli, per arrivare a quota 10 a fine anno, almeno altri 5-6 sono

da recuperare dopo la sentenza della Corte. Certo basterebbe

questa situazione per fare capire, anche ad un governo

pallidamente socialdemocratico, che è il caso di allearsi con la

Grecia e mettere seriamente in discussione le politiche di

austerità. Ma Renzi esiste per garantire, in Italia, i sacerdoti

della moneta, quelli che guadagnano con l’austerità. Ma, con

le difficoltà oggettive nelle politiche di bilancio, non sarà

affatto facile tagliare e, allo stesso tempo, trovare il consenso

per nuovi tagli. Oltre al fatto che, come si capisce dalla

sentenza della Corte, nessun potere reale dello Stato ci sta a

farsi disarticolare dalla crisi, e dal conseguente

smantellamento dei poteri istituzionali, come se fosse una

provincia o una comunità montana qualsiasi.

A Renzi, che dovrà penare non poco per farsi approvare la

legge elettorale al Senato (e più penerà più dipenderà dagli

alleati) non è quindi restato che inaugurare Expo facendo un

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 64

po’ di marketing per il governo. Stiamo parlando

dell’Esposizione universale che è il vero tempio del disastro

economico e sociale della seconda Repubblica. Expo voluta da

Prodi e dall’allora sindaco Moratti nel 2007 doveva essere la

solita bolla immobiliare-finanziaria più o meno adattata a

volano dell’economia lombarda. Come prevedibile, tangenti,

addirittura stabilite da patti tra vecchi ras inquisiti per la

tangentopoli del ’92 (un ex DC e un ex PCI ad esempio),

project-financing, costi gonfiati, contenziosi giudiziari, appalti

al massimo ribasso, crisi del credito, tagli, consigli di

amministrazione surreali, affidamenti di opere in modo

discrezionale hanno trasformato Expo nel consueto buco nero

dell’economia italiana. Per non parlare dei salari, livello zero

tanto per contribuire alle trimestrali di cassa delle imprese,

negati ai volontari che si massacreranno per “un’esperienza”.

Ma la cosa più grave di Expo, che ha fatto solo sorridere il

solito nucleo di ditte e di cooperative che la fa da padrone

dagli anni ‘90 (tutto lottizzato tra centrodestra, centrosinistra

e Lega Nord) è che, di fatto, non lascerà traccia. O meglio,

rischia solo di lasciare traccia nelle opere mai finite. Non è

chiaro infatti non solo quale sarà il destino delle aree

inaugurate ma se esista un futuro, un traino economico,

tecnologico e sociale rappresentato da Expo.

L’Italia, del resto, già con i mondiali ’90 ha dimostrato, a

differenza della Germania con i mondiali 2006, come si possa

arrivare alla costruzione di grandi opere in modo così

disastroso da lasciare terra bruciata a evento finito. Questo

per capirsi sul fatto che al miraggio delle grandi opere ci

possono giusto ormai credere quelli che votano “per Matteo”

sul pulsante del telecomando di Sky al referendum del giorno.

L’inaugurazione di Renzi a Expo è stata poi, dal punto di vista

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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dell’immagine globale, una vera e propria Waterloo. Ora non ci

vuole molto a intendersi sul fatto che per un’esposizione che si

chiama “universale” si ha tanto più successo tanto più si sa

parlare all’audience globale. Renzi, che oltre le polemiche da

pollaio proprio non riesce ad uscire, ha invece usato il suo

discorso come ennesima riedizione della polemica contro

quelli che gufano contro il suo governo. Persino noi, che

vediamo la finanza globale come la peste, sappiamo che più

sai toccare i temi che piacciono all’audience globale più fai

marketing territoriale. Bene, Renzi ha plasticamente

dimostrato di non essere in grado di farlo non avendo il respiro

retorico, e nemmeno i ghost-writer, per questo genere di

occasioni. Ha usato la diretta mondiale per battibeccare con i

compagni di cortile che, secondo lui, gli dicevano che non

avrebbe mai finito Expo. Non ci vuole molto a capire che il

prodotto Italia si vende in un altro modo. Siccome le tv italiane

per Expo sono state, come prevedibile, militarizzate il

problema non è uscito fuori. Ma si tratta di atteggiamenti che,

alla lunga, pesano. Aspettare per credere: l’immagine globale

pesa per gli investitori internazionali, perché catalizza

investimenti, Renzi non può vivere a lungo sul simbolico del

“giovane leader dinamico”. Deve dire qualcosa al mondo,

magari di sensato ed incisivo. E qui ci si rende conto di

chiedere troppo a qualcuno che campa di rendita, dal punto di

vista comunicativo, solo sul riciclo delle parole d’ordine degli

ultimi 20 anni di liberismo.

Nel pomeriggio l’inaugurazione di Expo si è scatenato un riot di

protesta, nel centro di Milano, come non se ne vedevano nella

città lombarda dal settembre del ’94(all’epoca della

rioccupazione del Leoncavallo). Un riot, a nostro avviso, non

delle dimensioni dello storico 10 settembre ma sicuramente

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 66

espressione di un corteo consistente ad alto impatto

spettacolare (perché c’è un piano di audience che paga molto

di più della fedeltà a “Matteo”: gli incidenti almeno 3 giorni di

prime pagine offline e online, e quindi di pubblicità, li fanno

mentre Expo con il resti di Napolitano fa mezza giornata). Ora

lasciamo, come è naturale che sia, la valutazione più

propriamente politica della giornata a chi l’ha organizzata, e

vissuta. Inoltre, qualcuno farebbe meglio a rendersi conto, e a

volte capire come funziona la vita non è male, che i riot

accadono non per delirio ideologico ma perché c’è un qualcosa

che è ritenuto veramente insopportabile. In questo caso tutta

la vicenda Expo, col suo corollario di corruzione, di esproprio

beni pubblici, di sgomberi e di sfruttamento, e il Jobs Act che

non ha prodotto posti di lavoro ma solo liquefazione dei diritti

e sgravi alle imprese. Del resto la tv, ormai a reti unificate, non

si è nemmeno presa lo sforzo di informare, anche

superficialmente, sulle ragioni della protesta. Come ormai

accade da lustri, e a noi pare un problema di democrazia molto

più grosso di una vetrina in frantumi, la rappresentazione delle

idee, quelle non concordate tra ceto politico e redazioni di tg,

semplicemente non c’è.

Il punto è però che con gli scontri del sabato pomeriggio, il

simbolico della giornata, quello da vendere a milioni di

persone in prime time, si è rovesciato di significato.

L’inaugurazione di Expo, con la trovatina di cambiare le strofe

dell’Inno di Mameli, è finita in secondo piano rispetto ad una

metropoli straniata dagli incendi e dalla circolazione delle tute

nere. In effetti la vera notizia, vera irruzione di novità nella

rappresentazione del panico metropolitano in una città che il

panico lo percepisce ma lo nega, rispetto al rituale renziano

ormai consolidato e metabolizzato dagli stessi media schierati.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Qualcosa di diverso rispetto all’inaugurazione della torre della

Bce, dove comunque la partecipazione alla protesta è apparsa

meno legata all’immaginario del centro città sottratto al

governo come nel pomeriggio milanese. Certo, si parla di

spettacolo, ma così funziona l’emersione dei contenuti nel 21

secolo. Forse un po’ più di costruzionismo, nel capire come si

sedimentano i contenuti, e meno moralismo aiuterebbero a

capire come funzionano le nostre società.

Così con i riot Renzi si accorge così che c’è vita oltre Twitter.

Che fenomeni indistinti, per lui, e oscuri gli sfuggono. E si

inquieta perché non li controlla come se fossero un D’Attorre

o un Fassina. Inquietudine che filtra nel comunicato dedicato

agli incidenti dove, scompostamente, ha dato dei “vigliacchi”

ai manifestanti cercando di ribadire una cosa. L’unica che gli

interessa: che la vera immagine della giornata era il coro di

bambini che cantavano l’inno di Mameli. Tentativo di

ristabilire una gerarchia della percezione delle immagini che,

una volta tanto, non andrà a segno. La rottura dei media ritual,

come sappiamo, favorisce sempre il protagonismo simbolico di

chi la esercita. E ad Expo il media ritual è stato interrotto. Altre

volte non è così, per miriadi di motivi, stavolta lo è stato.

Questo ovviamente sul piano comunicativo. Poi la politica,

come sappiamo, è qualcosa di più articolato fino

all’estremamente complesso. E non ce lo viene certamente a

raccontare un Pisapia. Del resto Pisapia, nel corso degli anni,

ha soccorso Deutsche Bank, ritirando la costituzione di parte

civile del comune di Milano sullo scandalo derivati finanziari

(fatto gravissimo), ha supportato sgomberi di case e centri

sociali. Questo senza soffermarsi al ruolo del comune in Expo.

Diciamola in due parole: se la sua elezione doveva

rappresentare un compromesso accettabile tra sinistre ha

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 68

completamente fallito. La sinistra istituzionale in Italia,

sapendo che più sinistre sono qualcosa di naturale e persino

inevitabile, ha bisogno di economisti critici e innovativi sui

territori non dei Pisapia, avvocatesco ceto politico colluso che

finisce per accodarsi, in ultima istanza, alle esigenze PD. In

modo politicamente corretto s’intende.

Comunque visto che c’è vita oltre Twitter è meglio che questa

si organizzi. Il presidente del consiglio, oltre a voler durare,

non ha idee precise sul da farsi. Con una situazione economica,

nel migliore dei casi, paralizzata questo rappresenta una

cattiva notizia come uno stimolo a far, presto, qualcosa di

sensato contro l’ultimo, si spera in senso definitivo, degli

improbabili al governo del paese.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 69

Milano. Quello che va detto

Redazione Contropiano

E’ tempo di valutazioni su quanto accaduto a Milano con la

manifestazione nazionale No Expo, ma il primo errore da

evitare è quello di una valutazione circoscritta ai “fatti”

avvenuti durante una manifestazione.

Questa è l’operazione sistematica che il sistema dei media

adotta e dunque non può essere il nostro. Una manifestazione

nazionale, tra l’altro, non è che un momento di passaggio e di

sintesi di un percorso iniziato da tempo e che dovrebbe –

anche in questo caso – indicare i passi del percorso successivo.

Il secondo errore è quello di concentrare l’attenzione e

dividersi nelle valutazioni sugli e degli scontri avvenuti. Non è

la prima e non sarà l’ultima volta che una manifestazione

convive con una dualità al proprio interno. Se non possiamo

che riaffermare una distanza stellare da azioni che colpiscono

allo stesso modo la vetrina di una banca e quella di un normale

esercizio commerciale, di un costosissimo Suv e una utilitaria,

dobbiamo anche sottolineare come non siano gli incidenti in

piazza – più o meno gravi – a “nascondere” le ragioni dei

manifestanti quanto, piuttosto, il sistema dei media e dei loro

azionisti di riferimento.

Spesso, troppo spesso, proprio l’assenza di incidenti fa sì che

manifestazioni pacifiche di migliaia di persone vengano

vergognosamente silenziate. Ignorate come se non fossero

mai avvenute. Come ebbe a dire un veterano del sindacalismo

proprio all’indomani di una manifestazione sindacale a Milano,

anche quella ignorata dai media: “la prossima volta rompo una

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 70

vetrina, così dovranno accorgersi del perché migliaia di

lavoratori che sono scesi in piazza”.

Non solo. Da mesi ormai, da quando al potere si è insediato

Renzi- quello che Marchionne e soci “hanno messo lì” – nel

paese e nelle sue relazioni si è imposta una governance

autoritaria che nega ogni possibilità di dialogo o modifica delle

decisioni imposte dal governo: dalle leggi contro-costituzionali

al jobs act, dalla scuola alla legge elettorale. E allora? Se le

manifestazioni pacifiche o le opposizioni parlamentari non

hanno la possibilità di incidere sulle scelte, che cosa si

pretende?

Milano ha visto scendere in piazza quasi quarantamila

persone, in larghissima parte giovani e lavoratori dei settori a

rischio, contro l’Expo, ossia contro una costosissima (per noi)

vetrina per le multinazionali che ha devastato un intero

territorio e le casse pubbliche. Ma soprattutto contro

l’”esperimento” politico del lavoro gratuito e del divieto di

sciopero per la durata dell’”evento”.

Contro tale progetto sono otto anni che comitati, reti sociali,

collettivi si stanno battendo punto su punto. Dunque la

mobilitazione No Expo non è nata il 1 maggio a Milano, ma è il

risultato di un lungo lavoro. Il governo e i poteri forti hanno

spinto il piede sull’acceleratore volendone fare un simbolo, un

“pennacchio”, dell’attuale esecutivo. Hanno creato loro stessi

l’evento catalizzatore. Il sistema dei mass media ha fatto il

resto alimentando per settimane la tensione. Un processo

questo che, da un lato vorrebbe allontanare la gente dalle

manifestazioni e dall’altro produce l’effetto opposto. Un

paradosso? No, proprio perché una manifestazione che possa

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 71

prevedere scontri di piazza produce l’idea che possa essere

una manifestazione più efficace di altre.

Infine, su quanto accaduto in piazza. La partecipazione è stata

ampia e con migliaia di persone. Si era capito che l’aria si

sarebbe saturata di lacrimogeni e quant’altro, ma nessuno se

ne è andato via per questo. Solo alcuni – vedi i soggetti della

Coalizione sociale di Landini – se ne sono tenuti alla larga.

La polizia ha adottato una strategia completamente diversa da

Genova. Le immagini della macelleria messicana del 2001,

anche alla luce della sentenza della Corte Europea, non erano

ripetibili. Dunque ha giocato d’anticipo con alcuni blitz, ha

chiuso il centro di Milano, ha tenuto a distanza il corteo ed ha

ridotto al minimo i danni. Cariche pesanti, lunghe e

indiscriminate, avrebbero esteso a macchia d’olio quello che

invece è rimasto circoscritto a due punti del percorso. Volendo

avrebbe potuto effettuare centinaia di fermi o arresti nel

momento in cui la manifestazione si è sciolta perché l’area era

completamente circondata. Con molta probabilità agirà nei

giorni successivi utilizzando le tecnologie di identificazione e la

deterrenza dei capi di accusa (devastazione e saccheggio)

come strumento di repressione e ritorsione.

Volendo tirare alcune prime conclusioni, con ancora la

stanchezza della manifestazione e del viaggio addosso, ci

sembra che la manifestazione di Milano confermi come oggi il

conflitto sociale non possa agire dentro contesti che si stano

rivelando inefficaci a tutti i livelli – da quello sindacale a quello

parlamentare, da quello sociale a quello politico – e che

nessuno possa più permettersi di usare i cosiddetti black block

come capro espiatorio delle proprie difficoltà. Dall’altra parte

occorre intervenire su alcuni pezzi delle nuove generazioni del

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 72

conflitto per liberarle “dall’edonismo sfasciatutto” che

prescinde dal contesto, dalla reazione dei soggetti sociali, dalla

possibilità di creare relazioni, amplificare coalizioni e conflitti.

Uno spot che dura il tempo di un telegiornale rimane pur

sempre uno spot, che si tratti di un innocuo flash mob o di un

assalto alla vetrina di una banca.

Il fatto che i mass media parlino di loro, solo di loro e solo in

questo modo, non è la soluzione, è parte del problema. Prima

lo si capisce meglio è.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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#NoExpo #Milano: l’analisi del giorno dopo

blog Abbatto i Muri

I media hanno pescato l’aspirante black bloc pronto a dire

tutto quel che serve ai media per continuare a fare cassa per

un altro po’ di giorni. C’è poi la fascia complottista che

inserisce le parole di Cossiga a spiegazione di tutto. Quelli di

ieri, dunque, sarebbero stati facilitati utilmente dalla polizia

che poi avrebbe così avuto ragione di caricare con tanto di

legittimazione della gente. La fascia complottista include chi

sostiene che tra i “facinorosi” vi siano infiltrati. Ok. Fin qui

nulla di nuovo.

Continua la protesta da parte di chi pensa che i neri abbiano

danneggiato una manifestazione pacifica e altre parti di

movimento. C’è poi chi sostiene l’operato della polizia che

sarebbe stato ineccepibile. Subito pronti, eventualmente, a

difendere anche l’uso di lacrimogeni al Cs, vietati dalla

convenzione di Ginevra, e anche il lancio di lacrimogeni ad

altezza uomo. Dopo Genova ricordo che qualcuno disse che

anche i mezzi blindati della polizia lanciati fino ai marciapiedi

per inseguire le folle erano una fantastica trovata. Come non

pensarci prima.

Ma il punto è che c’è chi vuole la testa dei “ribelli” a

qualunque costo, e non per ragionare del senso politico di

tutto ma solo per metterli alla gogna, per un implacabile gusto

di vendetta che – storicamente – arriva sempre da destra, per

processarli pubblicamente e condannarli di fronte a tutta

l’opinione pubblica. Così si obbliga chiunque a parteggiare per

gli uni e gli altri, in uno schema binario che invisibilizza

qualunque complessità, e questo già lo scrivevo ieri, ma ne

sono ancora più convinta oggi. Perché quel che si vuole fare è

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 74

concentrare l’attenzione su quel che è successo dimenticando

perché la gente ieri è scesa in piazza.

Faccio presente che quando gente dei forconi è stata accusata

o beccata, non so dove, a esprimere un dissenso esasperato, il

centro destra è corso in sua difesa, così i legalitaristi che

solitamente manderebbero alla forca chiunque. Perciò da qui

abbiamo capito che esiste un bisogno di serie A e uno di serie

B.

Esiste la fame di chi vota a destra e quella di chi vota a sinistra

o non vota proprio per niente. Se ti presenti in piazza con il

simbolo di una organizzazione di estrema destra perciò è

comprensibile che tu racconti la tua fame di diritti. Se invece ti

presenti con i centri sociali, gli anarchici, gli autonomi, le

sinistre varie, dall’altro lato ti chiamano “radical chic”, dicono

che sei un figlio di papà, perché si sa che a sinistra, ‘sti cazzi,

siamo tutti ricchi, la precarietà a noi non si tocca affatto, e

mentre da sinistra c’è perfino qualcuno, e ricordo alcune

analisi di Infoaut su questo, che tenta di capire le ragioni di chi

scende in piazza col rischio di farsi cavalcare dalle destre,

dall’altro lato c’è una rigidità identitaria da far spavento.

Un blocco monolitico che difende l’operato della polizia,

sempre, anche quando ammazza un manifestante o colpisce

con il manganello gente inerme, anche quando ci scappa il

morto durante un fermo, ed è lo stesso blocco che ammette la

lotta per fame solo se a cavalcarla, per l’appunto è la destra.

Così mentre insiste nel raccontare che la fame sta da una parte

sola, mentre di qua ci sarebbero soltanto “caste”, la gente

come noi continua ad essere chiamata con il nomignolo gentile

di zecche o altri epiteti vari ed eventuali.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Fino a ieri tutti ce l’avevano con il governo. Tutti odiano il jobs

act. Tutti rivendicano la possibilità di mettere fine all’assenza

di reddito, casa, futuro. Però la destra, quando lo fa, nel

frattempo ha così tanta energia e tempo a disposizione che

stabilisce che reddito e casa prima di tutto devono andare agli

“italiani”. Quindi lottano forse per il bene dei poveri ma poi

sputano su altri poveri per via della differente cultura ed etnia.

Già che ci sono hanno il tempo di mortificare qui e la gay,

lesbiche e trans, e non si capisce questo come e perché

dovrebbe compensare la fame dei poveri che votano a destra,

sono anche antiabortisti, giusto per piazzare bandierine sugli

uteri delle donne, e poi perseguono strenuamente la linea che

li porta alla difesa della famiglia “naturale”.

Per dire: a me che sono precaria non verrebbe mai in mente di

dire “prima io”, perché se siamo precari in tanti il solo fatto

che solo io possa scippare un pezzo di pane o un tetto mi

farebbe sentire una vera merda. E qui si parla di umanità. Ma

tornando a ieri il fatto è che le critiche arrivano anche da chi fa

apologia della violenza contro gli immigrati, contro altre fasce

deboli, contro quelli e quelle che ritengono responsabili per la

propria sorte. C’è chi dichiara di capire l’esasperazione di chi

scrive cose orribili, messaggi d’odio, sul web, prendendo di

mira ora un ministro, poi una deputata, e l’odio arriva chiaro e

forte con un messaggio che fa da cornice a tutto: sono

appartenenti alla casta.

Dunque, se il potere, il governo, la gente che chiamate casta vi

è così antipatica, com’è che non capite perché un ragazzo

abbia voglia di scendere in piazza e spaccare tutto? E tutto non

vuol dire proprio tutto, considerando che sfasciare le

automobili di qualcuno mi pare una cazzata enorme, ma

significa comunque sfasciare gli oggetti, non le teste delle

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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persone. E possiamo essere d’accordo o meno su questo ma

davvero non capite qual è il punto in cui ci troviamo? La

situazione economica che tutti ci troviamo ad affrontare? Se

un gruppo di uomini e donne decide di puntare alle banche,

alle agenzia interinali, alle immobiliari, secondo voi il

messaggio qual è?

E siccome siamo tutti d’accordo sul fatto che queste cose

fanno più danno al movimento che altro, dunque cosa diciamo

ai ragazzi e alle ragazze che si sono visti fottere il diritto

all’istruzione, con l’università che diventa sempre più meta di

privilegiati, e poi il diritto al reddito, alla casa, a qualche

opportunità che li faccia muovere dalla condizione nella quale

sono incastrati ora. Perché tra la gente che ieri è scesa in

piazza sono certa che ci sia chi fa tre lavori, chi dorme in uno

sgabuzzino, chi non ha niente e chi ha smesso di sperare in un

ascolto realmente democratico.

Vedete quello che succede nel parlamento. Il governo decide

una riforma elettorale che consente ai grossi partiti, che poi

sono anche più o meno alleati o ammiccano l’un l’altro, di

governare in eterno. Il governo decide tutto quello che vuole.

Il jobs act che metterà in mezzo alla strada altra gente, perché

col cavolo che la precarizzazione del lavoro significa più lavoro

per tutti. E di riforma in riforma, incluso il piano casa che

comprende quel punto in cui si dice che chi occupa per

bisogno, perché non sa dove fare dormire i figli, si vedrà

tagliare gas, luce e acqua, tra una decisione e l’altra siamo

arrivati al punto che abbiamo consumato anche i risparmi dei

padri, le madri, i nonni, e non ci resta più niente. Siamo soli,

spaventati, tanta gente massacrata da debiti a combattere

quando ricevono le cartelle esattoriali, tante persone che si

suicidano per questioni economiche, lo sfruttamento che

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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questa particolare situazione consente, e c’è la privatizzazione

dei servizi, il costo dei bisogni che cresce e tra un po’ avremo

anche le polizie private e le carceri private, perché anche

l’industria della “sicurezza” è diventato un business.

Di fronte a tutto questo, voi, noi, cosa abbiamo da dire di

nuovo? Che tipo di battaglia possiamo suggerire? Oltre a stare

a lamentarci per la censura dei media, per le mistificazioni, per

le cattive decisioni del governo, per il fatto che le elezioni sono

solo la legittimazione di un asse di potere che non potremo

spodestare, per le cattive azioni di ragazzi e ragazze di nero

vestiti. E dunque: che si fa?

Chi sono io per dire a questi ragazzi che sbagliano? Come

faccio a dire loro che ci sono altri modi di farsi sentire? Chi può

fornirglieli? Se per ogni manifestazione i giornalisti, e già

chiamarli così è fargli un complimento, cercano perfino lo

scoppio di un pedardo per fare audience, sapendo che una

manifestazione pacifica non finisce sui giornali mai, come

diciamo loro che si può e si deve comunicare diversamente?

Perché se non ragioniamo su questo è pressocché inutile che

tutti pretendano di deresponsabilizzarsi e dichiararsi migliori di

altri. Parlo degli indignati di bassa lega o delle persone,

compagne e compagni, che per un attimo si lasciano

convincere che il nemico è quaggiù, all’inferno, invece che

lassù, in quello spazio che si vede attraverso la grata con gente

che ci lancia in basso pezzi di pane rancido mentre noi ci

scanniamo per prenderne un morso.

Concludo con un aneddoto, che non vuol dire nulla perché non

si può generalizzare, ma forse vale la pena dirlo: ricordo che

tempo fa si fece una manifestazione, pacifica, per decisione di

chi aveva organizzato. Attorno a noi c’erano sparuti gruppi di

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 78

poliziotti. Col casco e il manganello. Faceva caldo, sbuffavano,

ci guardavano male perché perfino in quella giornata afosa li

obbligavamo a “lavorare”. Non credo proprio avessero voglia

di beccarsi fumo di lacrimogeni, correre, sudare. Se non ché ci

fu il cazzone di turno, perché ogni tanto lo spaccone c’è e io

non saprei chiamarlo diversamente, e parlo di un singolo che

non ha alcun obiettivo politico se non quello di urlare un paio

di slogan con la bocca impastata d’alcool, dunque a questo

ragazzo, appena vide una divisa, gli si accese l’interruttore

dello scontro. Normalmente chi fa azioni in piazza non cerca lo

scontro fisico. Sta a distanza. Questo invece voleva proprio

fare a gara a chi aveva più testosterone. Così punta il dito,

lancia la bottiglia vuota contro un cassonetto, e nel frattempo

un po’ di file dietro scoppia un pedardo, e noi lì a temere,

impreparati, che sarebbe arrivata la carica. In quel caso quelli

che organizzavano la manifestazione presero sotto braccio il

tizio e lo accompagnarono non so dove. I poliziotti restarono lì

a sbadigliare e a sudare, guardando l’orologio. Che voglio dire?

Niente più di quello che ho detto. L’alternativa non è tra

lasciar fare e la delazione. Forse l’alternativa sta

nell’autogestione.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 79

Expo, buonismo e indignazione un tanto al chilo

blog errecinque

Premessa: se fai attivismo politico, in qualunque forma, hai

una tua idea del mondo e di come debba andare e, giusta o

sbagliata che sia, ritieni sia giusta.

Esiste un livello minimo di consapevolezze quando fai politica

che non puoi negare mai, che devi tenere sempre presente.

Punto 1: se qualcuno non è con te, è colpa tua perché non sei

stato abbastanza bravo a fargli capire perché dovrebbe essere

con te.

Punto 2: chi non è d’accordo con te e non è in malafede

potrebbe diventare d’accordo con te, per cui devi fare il

possibile per fargli capire perché pensi certe cose.

Punto 3: visti i punti 1 e 2, è assolutamente fuori discussione

pensare di poter liquidare chi non ti capisce, chi non ti ha

capito o chi non ti viene dietro dicendogli che ten’ o

tunn’ncap.

Fatte le dovute premesse, quando succedono certe cose, uno

ogni tanto deve pure esorcizzare questa necessità impellente

di scagliare il cranio ripetutamente contro la parete più vicina,

e a questo punto, vada come vada, io certe cose provo a dirle.

Ma veramente non vi rendete conto che non ci sia nulla che vi

appartiene?

Le vostre case possono esservi ipotecate, le vostre auto

sequestrate, i vostri figli sbattuti in mezzo alla strada. Le vostre

vite sono sotto scacco.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 80

Ma non per dire: basta che un giorno uno si svegli e schiocchi

le dita e la vostra vita è a puttane, e questo può succedere

perché stiamo navigando nella forma più becera di

capitalismo. Gli equilibri economici mondiali sono dettati da

una struttura talmente evanescente che, se dopodomani la

figlia di Douglas Peterson (il presidente di Standard and Poor’s,

l’agenzia di rating che valuta le economie dei paesi nei quali

vivete) esce incinta e il padre si sceta storto, può buttare nel

cesso la vostra economia nazionale e la vostra misera vita.

Ma veramente non vi rendete conto che nulla vi appartiene,

nemmeno quello che tenete in testa? Non vi rendete conto

che hanno costruito un mondo bomboniera e che siamo

vittime del più grande Truman show di tutti i tempi?

Vi dicono che l’esposizione universale è una cosa bella e di

altissimo valore e tutti a dire sì, che è una cosa bellissima; e

non vi fanno vedere che un operaio è morto in uno dei

padiglioni per costruirla; che c’è stato un giro di tangenti e un

livello di corruzione tale che è stato indagato pure uno dei

commissari che doveva indagare sul giro tangenti e sulla

corruzione. Non vi fanno vedere che la grande esposizione

universale che doveva parlare di nutrire il pianeta e di energia

sostenibile è stata sponsorizzata dalla più grande

multinazionale del cibo merda (Mc Donald), responsabile della

deforestazione del più grande polmone verde del pianeta

(l’Amazzonia), per tenere le coltivazioni intensive dei cereali

che utilizza per le produrre le sue salse di merda a buon

mercato. Poi c’è la multinazionale per eccellenza, la Coca Cola,

quella che in Colombia ha fatto rapire, seviziare e massacrare i

sindacalisti che si opponevano a condizioni di lavoro pari a

quelle di schiavitù.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 81

Vi dicono che l’esposizione universale è una vetrina

internazionale e che dobbiamo fare bella figura e voi ci

credete, ma nel frattempo nello stesso paese c’è un pezzo di

terra morta per sempre, che non darà mai più frutti, e c’è un

altro pezzo di terra che dà frutti avvelenati perché ci hanno

seppellito rifiuti tossici. Per vent’anni questa informazione da

niente è stata secretata, e nonostante sia venuta fuori con

tutta l’irruenza che si è stati in grado di produrre ancora nulla

è cambiato.

Di questo non dite niente.

Vi dicono che l’esposizione universale è di tutti, è dell’Italia, e

quindi bisogna lavorare tutti per farla funzionare, però non si è

capito perché Farinetti deve collaborare aprendo una catena

di ristoranti e i giovani devono farlo lavorando a livelli di

schiavismo per quattro spiccioli, o addirittura in cambio di un

tablet.

Voi non dite niente.

Vi dicono che può essere un volano di sviluppo per il paese,

così hanno cementificato mezza periferia di Milano ma anche

questo sarà volano solo per chi di quel cemento saprà

approfittarsi. Nel frattempo l’edilizia popolare è in condizioni

degradate, nel frattempo la gente non sa come avere un tetto

sulla testa e occupa le case o resta per strada.

Però il vostro problema è l’accoglienza ai migranti.

E a proposito di migranti: vi dicono che è buonismo essere

disgustati dal fatto che novecento persone muoiano in mare,

perché non dobbiamo accogliere nessuno, perché teniamo i

problemi nostri a cui badare; però poi vi dicono di indignarvi e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 82

storcere il naso per due vetrine rotte rispetto alla sagra del

capitalismo che si sta tenendo sul vostro pianerottolo di casa.

Il buonismo, in questo caso, vi piace.

I problemi nostri, e lo sponsor a Mc Donald.

I problemi nostri, e lo sponsor a Coca Cola.

I problemi nostri, e vieni a fare volontariato all’Expo.

I problemi nostri, e la ‘ndrangheta.

I problemi nostri, e gli appalti truccati.

Stiamo pieni di problemi, però ci hanno fatto l’Expo e pure se è

una cacata, perché l’hanno fatto una cacata, noi dobbiamo

essere entusiasti e sorridenti, e magari con la tessera del PD

nella tasca.

Questo è l’Expo e l’Italia può essere un grande paese se tutti ci

crediamo, se tutti ci lavoriamo.

Chissà perché quelli che da questo lavoro non ci guadagnano

niente siamo sempre noi.

A proposito di lavoro: l’hanno inaugurato il 1 maggio. La posso

dire una cosa populista? Ma che cazzo si merita un paese che

nella festa dei lavoratori inaugura una roba del genere

chiedendo alla gente di lavorarci a gratis?

Io più ci penso e più veramente non riesco a spiegarmi come si

possa non capire che l’esposizione universale, che tanto ci

stanno propinando come l’occasione più importante e la cosa

più bella che il nostro paese possa vivere, è l’esatta

riproduzione del sistema economico di merda nel quale siamo

inseriti. Un sistema in cui le grandi multinazionali diventano

sempre più grandi e mangiano e ingrassano alla faccia nostra e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 83

del pianeta. Ai giovani è chiesto di collaborare, di aiutare e di

farlo col sorriso sulle labbra e con tanto entusiasmo, in cambio

di curriculum ed esperienza (e un tablet). I media raccontano

la storia di una dimensione di perfetto equilibrio e armonia

dove nessuno è scontento se non poche frange di violenti, e

l’opinione pubblica è silenziata e consenziente, senza un

guizzo, senza un momento di amor proprio o anche solo di

dubbio che forse non è tutto laminato e scintillante, che forse

dietro alla vetrina c’è il pantano.

Tutti contenti, tutti assuefatti, tutti rassegnati.

Poi arrivano i cortei, arrivano le contestazioni, arrivano le

guerriglie pure quelle regolate ad arte – apro una parentesi su

questo punto: o ammettiamo insieme che c’è qualcuno che

vuole esattamente che succeda quello che è successo oggi a

Milano, oppure ammettiamo insieme che c’è un evidente

problema di reclutamento delle Forze dell’Ordine e della

Magistratura e stann’ sul sciem’ che sequestrano le bottiglie di

vodka a pesca ma non riescono a intercettare materiale da

guerriglia – quando arrivano le guerriglie, regolate ad arte,

come dicevo, sono tutti indignati.

Tutti quanti a criminalizzare, a dire che non si fa così; che

vanno bene le ragioni ma quelli sono imbecilli, e tutt’ o riest.

Io una cosa ve la devo dire.

Io forse non sarei stata in quella piazza violenta, forse non

sarei stata a fare gli scontri, a dare fuoco alle macchine, ai

negozi, alle vetrine e tutto il resto, per il semplice fatto che

difficilmente mi metterei a compiere atti, il cui valore politico

non sarei in grado di spiegare, banalmente, ai miei familiari.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 84

Però resta un dato.

È intollerabile il livello di buonismo (questo sì, non quello dei

cristiani morti affogati) che siete in grado di farvi propinare dai

media di regime.

È veramente vergognoso il modo in cui siano in grado di

manipolarvi, strumentalizzarvi, farvi pensare esattamente

quello che vogliono, farvi indignare per le puttanate e farvi

passare sopra le catastrofi abissali.

È veramente plateale il modo in cui siano in grado di farvi stare

sempre dalla parte dei più forti.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Una riflessione di un compagna

Zero81 Napoli

Dopo il corteo di ieri a #Milano mi aspettavo la cascata di

merda di oggi… e mi sono più volte detta che questa volta

avrei scelto il silenzio come risposta… purtroppo non ci

riesco… perché ogni parola che leggo è una ferita sul mio

corpo, un’altra ferita da aggiungere alle tante collezionate in

anni di lotte…

Mi colpisce profondamente l’aggressività con cui oggi ci si

scaglia contro studenti e manifestanti.

Mi colpisce profondamente la rabbia che si è manifestata ieri

in piazza a Milano.

Mi colpisce profondamente la violenza che tutti i giorni subisco

tentando di arrivare a fine mese

Mi colpisce profondamente l’incapacità umana di guardare

oltre il proprio naso e l’irrefrenabile desiderio di esprimersi

solo quando si devono attaccare le nuove generazioni

Mi colpisce profondamente l’uso di termini individualistici da

parte di quelle che oggi vengono definiti “i semplici cittadini”…

come se io non lo fossi… l’utilizzo di “la mia macchina” “la mia

vetrina” “la mia casa” “il mio lavoro” “i miei soldi” e pure i libri

di scuola dicono che noi siamo una cultura che mira alla

collettività non all’individualismo

Mi colpisce l’isolamento in cui oggi ci costringono a vivere, o

che noi stessi creiamo per vivere, un isolamento che è

lacerante, demoralizzante, violento…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Non ho mai visto un’anziana avere così tanta voglia di

aggredire verbalmente e fisicamente i politici, che ci opprimo e

che fanno leggi per il loro tornaconto, come quella che ho

visto oggi scagliarsi contro dei ragazzi che potrebbero essere

suoi figli e augurarsene la morte…

Oggi ho visto un paese palesarsi in tutta la sua difficoltà…

Partendo da un corteo che è stato incapace di incanalare la

propria rabbia verso obiettivi legittimi e leggibili. Perché

sappiamo che questo è il gioco, cercare di essere leggibili agli

occhi di un mondo che non vuole leggerci…

Una piazza incapace di mantenere il controllo, direi anzi una

piazza che non ha voluto mantenere il controllo, non si può

controllare la rabbia. È difficile, forse impossibile. E non si può

pretendere che qualcuno lo faccia. Perché chi lotta per non

essere controllato dovrebbe poi controllare chi come te decide

di sfogare la propria rabbia?

Ho visto il classico gioco dei media mainstrem deviare

l’opinione pubblica verso argomenti più futili per non pensare

al potenziale politico che era in piazza ieri, li ho visti incanalare

l’attenzione su un ragazzetto che in questo mondo non trova

identità e la va cercando da chi questa identità ce l’ha già ben

formata… lo ha fatto diventare emblema di una protesta per

poterla ridicolizzare e il paese è riuscito solo a vedere il

ridicolo che c’era in quelle dichiarazioni.

Ma mattia forse non è diverso dagli altri, cerca se stesso in un

scenario devastante e distruttivo che viviamo tutti i giorni e

non riesce poi a staccarsi dalla dinamica del controllo

parentale…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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Ho visto i politici di turno parlare dei figli di papà, rimembrane

il g8 di Genova ma è troppo semplice citare quelle 4 parole che

fanno presa su tutti, che sono i fantasmi più brutti del nostro

passato.

Ho visto poi una diffusa opinione pubblica scaldarsi e scagliarsi

contro una generazione che, nel giusto o nel torto, è il nostro

futuro. Ho visto l’incapacità o anzi la non volontà di capire che

su un piatto della bilancia pesano di più i danni fatti dall’expo

che quelli fatti dai no expo. Ho visto l’incapacità e la non

volontà di provare a capire chi oggi mette in gioco la propria

vita. Perché qui non parliamo di cosa è giusto o sbagliato, ma

di persone che ogni giorno rischiano la vita per affermare i

proprio ideali, e lo fanno da anni, nei modi più diversi, ma

nessuno si è mai preoccupato di ascoltarli.

E in mezzo ci sono i movimenti, i black block, gli incappucciati…

ci sono persone…

Stanche, incazzate, depresse, frustrate che oggi agiscono nei

modi più disparati.

Cosa credete, che a noi piace farci spaccare la testa, andare in

galera o farci intossicare con i lacrimogeni? Credete sia un

divertimento per noi?

Non ci piace piangere, vomitare, svenire quando ci abboffate

di lacrimogeni.

Non ci piace avere i punti di sutura a causa di una

manganellata.

Non ci piace perdere i denti o un occhio per un lacrimogeno

lanciato ad altezza uomo.

Non ci piace morire nelle piazze…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 88

Non vi chiedete quanto sia preoccupante che una intera

generazione metta a rischio la propria vita per i propri ideali?

Non vi chiedete quanto sia preoccupante questo fenomeno

sociale? Farsi picchiare per farsi sentire?

Siamo la generazione che non può scegliere…

Non può scegliere quale università fare, che lavoro avere, quali

sogni coltivare, che sentimenti provare.

Non può scegliere come protestare, come incazzarsi, come

dissentire.

Non può scegliere come agire per colpire tutti quelli che fino a

oggi hanno pensato a innaffiare solo il proprio orticello.

PER QUELLO CHE E’ SUCCESSO IERI A MILANO SIAMO TUTTI

RESPOSANBILI. NESSUNO SI SENTA ASSOLTO.

Sono responsabili quelli che rimangono a casa dicendo che

scenderanno solo quando ci sarà la vera rivoluzione, ma

secondo voi chi la fa sta vera rivoluzione? Secondo voi non si

costruisce con il tempo, nei collettivi, nei luoghi

dell’orizzontalità e non della verticalità? Chi dovrebbe

costruire questa rivoluzione per voi? Per permettere anche a

voi di raccontare un giorno ai vostri figli che voi c’eravate?

Siete tutti responsabili, voi che pontificate da dietro una

tastiera senza toccare il disagio, che dite cosa è giusto e cosa

sbagliato, su come noi giovani dovremmo vivere, proprio come

fanno i politici dalle loro case sorvegliate.

Siete tutti responsabili, voi che adesso vi svegliate e attaccate

una generazione che, nel torto o nel giusto, tutti i giorni si

fracassa i coglioni con discussioni, assemblee e ragionamenti

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 89

su quale potrebbe essere il modo migliore per far rispettare le

proprie idee. Perché noi sappiamo di avere ragione, la storia

ce lo insegna, le ragioni di una minoranza si scoprono essere

giuste solo 50 anni dopo, quando ormai è troppo tardi.

Siete tutti responsabili, voi che guardate la vetrina e non cosa

c’è dietro la vetrina, siete quelli dei selfie e della chirurgia

plastica, delle città vetrina.

Siete quelli che non leggono il conflitto ma solo l’estetica della

piazza.

Sono responsabili i movimenti che non sono riusciti a

organizzare una piazza degna della portata politica di quel

giorno e di tutte le persone che erano lì…

Ma scusateci se da soli non riusciamo a gestire la rabbia del

paese, scusateci se dopo giornate in cui lottiamo per arrivare a

fine mese, ci svegliamo all’alba e mangiamo il cibo

dell’eurospin, corriamo a lavoro prendendo mezzi che non ci

faranno mai arrivare puntuali, e meccanicamente svolgiamo il

nostro lavoro sottopagato, poi corriamo a lezione perché ci

avete cresciuti inculcandoci che un pezzo di carta ti aiuterà a

lavorare, poi corriamo alle assemblee quelle in cui dopo

giornate infernali proviamo a ragionare guardando oltre,

raccogliendo le forze che ti rimangono, spremendo le meningi

e cercando di capire cosa succede in questo mondo alienante

e alienato, non pensando alle violenze subite, mettendo da

parte la rabbia per trovare il modo mediaticamente migliore

per farci ascoltare e far capire al mondo che in realtà abbiamo

ragione.

Poi torni a casa, che chiamarla casa è un parolone, una stanza

in affitto fredda e mal curata con un boiler da 10 litri per 5

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 90

persone e da sola poggi la testa sul cuscino, ed è lì che la tua

rabbia cresce quando ti rendi conto della solitudine in cui vivi e

del futuro che non vedi di fronte a te…

Solitudine, isolamento, frustrazione che voi tutti contribuite ad

accrescere…

Scusateci se a fine giornata ci sentiamo violentati, lacerati,

feriti, aggrediti.

Scusateci se la nostra violenza vi balza all’occhio più di quella

che subiamo tutti i giorni.

Scusateci se abbiamo ancora la voglia e la forza di lottare.

Scusateci se per noi esiste ancora un noi…

Scusateci se noi cerchiamo un futuro…

Scusateci se a volte non ci riusciamo, se non riusciamo a capire

come voi la pensate e come vorreste che scendessimo in

piazza.

Scusateci se non abbiamo la palla di vetro, se non capiamo in

anticipo che Milano era una trappola per costringerci ancora di

più nell’isolamento.

Scusateci se non riusciamo a essere così lungimiranti, così

pronti nel prevedere il futuro, così capaci di dare voce anche ai

pensieri di chi sta davanti la tv o dietro un pc, di chi non ho mai

visto nelle assemblee, scusateci ma ci state dando un po’

troppe responsabilità.

Scusateci se a fine giornata siamo stanchi, fisicamente ed

emotivamente…

Scusateci se sappiamo ancora provare sentimenti, se

sappiamo ancora essere umani e non automi o supereroi

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 91

purtroppo batman non esite neanche catwoman, o robin

hood.

Siamo noi e siamo quello che siamo, e preferisco di gran lunga

essere noi che voi…

Siete così indottrinati, così schiacciati dal potere, che non vi

rendete conto che fate lo stesso gioco di chi ci governa, di chi

ci cancella il futuro e ci chiude in un isolamento dal quale a

fatica, con le unghie e con i denti, ogni giorno si cerca di uscire.

Il nostro è odio mosso d’amore… e se vedete solo odio è

perché non ci date la possibilità di esprimere amore…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 92

Questioni di prospettiva.

Un giudizio politico su Expo, Mayday e dintorni

∫connessioni precarie

Il primo maggio è passato, lasciando dietro di sé qualcosa di

più delle macchine bruciate, delle vetrine rotte, degli abiti neri

abbandonati per strada. Oltre all’Expo trionfalmente aperta, il

primo maggio lascia dietro di sé l’immagine plastica di un

movimento che, nonostante sia riuscito a mobilitare 30.000

persone per la Mayday, si scopre politicamente impotente.

Alla fine è successo quello che tutti prevedevano, anche se

molti avevano detto di volerlo evitare: la logica dell’evento si è

imposta su quella del processo, della costruzione,

dell’accumulazione e della condivisione di forza. Ora scoprire

che i media mainstream si comportano da media mainstream

è quanto meno fuori luogo. Ora il botta e risposta contabile sui

costi di Expo paragonati ai costi dei danneggiamenti lascia

francamente il tempo che trova. Ora risolvere tutto facendo

appello alle ragioni della spontaneità arrabbiata è quanto

meno insufficiente. Ciò che è successo non può essere risolto

grazie a un’estetica del riot che non riesce a coprire i limiti

collettivi di progettualità politica, anche perché la definizione

corrente di riot si avvicina sempre più pericolosamente a

quella di una rivolta magari intensa, ma istantanea e destinata

a essere riassorbita senza particolari problemi dall’oggettiva e

dispotica supremazia militare e simbolica dello Stato. Se il riot

esiste solo nel giorno in cui avviene, a cosa serve il riot?

Sarebbe però limitativo ricondurre i limiti di azione politica che

si sono mostrati in piazza solo a ciò che è successo in piazza.

Forse vale la pena ripensare l’intero discorso prodotto per

l’occasione dell’Expo negli ultimi mesi. A noi pare evidente che

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 93

se, di fronte allo slogan «Nutrire il pianeta», la risposta è il

veganesimo coatto di certi centri sociali, difficilmente si riesce

a opporre un discorso globalmente efficace alle chiacchiere

edificanti che scorrono e scorreranno attorno all’Expo.

Evidente è invece la difficoltà di produrre un discorso politico

all’altezza dell’occasione. Il movimento italiano sembra pagare

un suo specifico e presuntuoso provincialismo rispetto al quale

non è riuscita a stabilire un contrappeso significativo

nemmeno la presenza attiva all’interno di reti internazionali,

come è stata per molti di noi l’esperienza di Blockupy per la

contestazione della Bce a Francoforte. Sarebbe necessario,

infatti, cogliere l’occasione dell’Expo, in modo da sollevare e

far agire argomenti in grado di opporsi pubblicamente alla

celebrazione del cibo come merce globale. Invece non siamo

riusciti finora nemmeno a lasciar intravedere un punto di vista

precario, migrante e operaio oltre che sullo sfruttamento del

lavoro dentro all’Expo, anche su un tema che non riguarda

solamente come si mangia in Italia o in Europa, ma anche e

soprattutto chi mangia, quanto e quando in molte altre zone

del mondo. Sarebbe letale prendere sul serio i proclami

altisonanti di Renzi, che vogliono a tutti i costi fare dell’Expo

una questione italiana. Abbiamo invece assistito a proposte e

dibattiti su come dovrebbe essere Milano in questi sei mesi, su

come ci si dovrebbe comportare nel cortile di casa, sulla dieta

politicamente più appropriata. Il tema della città è oggi

certamente centrale, ma lo è nella sua scala globale, non nel

qui ed ora delle singole identità cittadine. Il grande capitale

multinazionale costruisce una vetrina mondiale, coloratissima

e frequentatissima, per dire che sì, c’è magari qualche

problema, ma che a breve darà da mangiare a tutti. Noi, che

non abbiamo nemmeno approssimato un discorso realistico

sulla questione globale della riproduzione materiale

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 94

dell’esistenza di alcuni miliardi di poveri, precari, migranti e

operai, scambiamo quattro vetrine del centro di Milano per le

vetrine «simbolicamente» più rilevanti. Che poi le vetrine

prescelte e le azioni compiute siano sempre le stesse da anni,

la dice lunga sull’indifferenza per un’occasione che dovrebbe

invece essere colta, proprio per la sua complessità e per il suo

carattere immediatamente globale.

Non stupisce dunque che ora, dopo la Mayday, ci troviamo a

cercare il giusto equilibrio tra conflitto e consenso, in un modo

che però rischia implicitamente di separarli. Ci sono alcuni che

praticano il conflitto, per una rabbia più profonda o per una

maggiore intensità politica, e altri che non lo fanno. Non si

capisce bene se questi ultimi si trovino in una sorta di

anticamera della lotta, dalla quale possono imparare come ci si

dovrebbe comportare, o se invece sono ridotti semplicemente

alla platea che dovrebbe approvare i comportamenti altrui.

Parlare di consenso e conflitto ha senso nella misura in cui si

sovrappongono quotidianamente e non vengono evocati

solamente quando riguardano i comportamenti di piazza.

Riservare il conflitto allo scontro con la polizia, con le vetrine e

con le macchine non restituisce nemmeno lontanamente il

livello di violenza e i sordi livelli di conflitto che si dispiegano

quotidianamente nei luoghi di lavoro, sulle vie delle migrazioni

e nei quartieri. Una violenza e un conflitto che non sono solo

subiti passivamente, ma anche praticati con intelligenza e

continuità. L’idea che un po’ di violenza di piazza possa servire

da innesco a chissà quale presa di coscienza collettiva, così

come quella che l’insorgenza di piazza sia l’unica forma

possibile di espressione collettiva per le esperienze esistenti,

sono semplicemente infantili. Il conflitto nelle piazze non può

essere la rappresentazione esemplare di una conflittualità che

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 95

si considera altrimenti assente o insufficiente. In questo caso

saremmo di fronte all’espropriazione della possibilità di azione

di massa e anche all’impossibilità pratica di costruire forme di

conflittualità condivise.

D’altra parte anche sostenere che chi rompe tutto lo fa per

una spontanea e incontrollabile rabbia, senza la pretesa di

rappresentare nessuno, non si accorge che una simile

individualizzazione dei comportamenti finisce per essere il

rovescio, l’opposto simmetrico, dei comportamenti

assolutamente individuali che il neoliberalismo pretende da

ognuno di noi. Non è forse il caso di rompere con la condizione

quotidiana di isolamento, invece di rappresentarla fedelmente

anche durante le manifestazioni collettive? Ma già ragionare a

partire da questa spontanea individualizzazione non coglie

tutta la portata del problema. Qualche mese fa, prima

dell’assedio e dei blocchi di Francoforte, è uscito un

documento che annunciava il fallimento del movimento no-

global e l’inutilità di ogni tentativo di costruire reti

organizzative transnazionali, declassate direttamente a «reti

solidali», così come chiunque provava a organizzarle era

bollato come burocrate e con il marchio d’infamia di voler

essere «ceto politico di movimento».

Ecco, secondo noi la differenza sta esattamente qui. Ed è a

partire da questa differenza che ognuno deve assumersi le

proprie responsabilità politiche. Qui non si tratta di dividere i

buoni dai cattivi e nemmeno gli arrabbiati dai pavidi. Qui si

tratta di evidenziare, e in caso discutere, una specifica

differenza di prospettiva politica. Qui si tratta di dire

chiaramente che c’è chi pensa che sia necessario costruire

quotidianamente connessioni dentro le lotte e le molteplici

figure che in esse si esprimono, anziché replicare attivamente

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 96

l’individualizzazione altrimenti imposta. Qui si tratta di

stabilire collegamenti non tra la propria singolare quotidianità

e il riot di un giorno, ma tra le molteplici e disomogenee

singolarità che ogni giorno sono costrette dentro e contro il

lavoro precario operaio e migrante. Qui si tratta di ribadire che

tutto questo non è possibile su un piano locale e che la

dimensione europea è il suo minimo piano di sviluppo. Qui

non si tratta dell’espressione immediata di un’identità

sovversiva, ma dell’assenza di ogni identità consolidata e della

difficoltà quotidiana per trovare forme collettive di

espressione. Qui non si tratta di far esprimere qualcosa che già

c’è, ma di costruire lo spazio per qualcosa che ancora non c’è,

proprio perché ancora non riesce a trovare una forma

collettiva di espressione. Noi pensiamo che questo sforzo

verso il collettivo sia il primo punto all’ordine del giorno. Altri

non lo pensano e si comportano di conseguenza. Sarebbe

perciò il caso di smetterla con la facile critica dei giornali, con

gli opinionisti occasionali che sono bravi quando ti danno

ragione e canaglie quando ti danno torto, con il gioco

incrociato delle citazioni. Sarebbe il caso di parlare seriamente

delle prospettive politiche che si vogliono perseguire. Tutto il

resto rischia di essere poco interessante e persino indifferente

per i moltissimi che condividono la nostra condizione.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 97

Alla ricerca di un (reale) conflitto sociale

Ri-make/Communia Net

Alla Mayday milanese si è mostrata in piazza una parte

importante, determinata e determinante delle soggettività

politiche e sociali che si oppongono alle politiche del governo

Renzi e alle narrazioni sulle “magnifiche sorti e progressive”

che si aprirebbero davanti al nostro paese grazie alla “politica

del fare”.

Trentamila persone, dipinte dal Presidente del Consiglio e da

media compiacenti come “gufi” fuori e contro la storia, come

un pittoresco residuo che non riesce a intendere il

cambiamento in atto.

Al contrario i trentamila in piazza hanno compreso bene la

direzione del “cambiamento” imposta da questo Governo. E

hanno compreso bene come l’evento Expo – per certi versi

episodio “marginale” di fronte a quanto succede nel mondo –

sia al tempo stesso simbolo e acceleratore (sul piano politico,

economico e ideologico) di tali politiche.

La rete milanese NoExpo da sette anni lavora, con tenacia e

intelligenza, per demistificare l’evento, rendere chiaro quale

sia il suo significato e quali conseguenze sta producendo. Un

lavoro che ha prodotto riflessioni, analisi, denunce e che ha

provato anche a far circolare proposte alternative, non

all’evento in sé, quanto alla narrazione e alle politiche che

accelera.

Non si può non vedere però che questo lavoro non è bastato a

produrre un allargamento significativo della superficie di

contatto con i soggetti colpiti da quelle politiche e che in

diversi modi avremmo dovuto coinvolgere in maniera diretta e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 98

comprensibile: promuovendo pratiche di opposizione e

strumenti per l’autorganizzazione e la partecipazione su

obiettivi specifici. Un po’ sul modello di quello che abbiamo

visto in Brasile per le mobilitazioni contro le politiche prodotte

dal Mondiale di calcio. Ma la dimensione

dell’autorganizzazione dei soggetti è stata del tutto assente, o

quasi. È questo il primo problema che tutti ci dovremmo porre,

antecedente alla dinamica fuoriuscita dalla piazza e che in

parte ne spiega anche la difficoltà: come si radica socialmente

la lotta contro Expo?

Il corteo – anche uno importante come questo della Mayday –

non è mai il momento principale e nemmeno il più importante

in cui si pratica il conflitto, ma deve essere un piccolo evento

capace di parlare non solo a chi vi partecipa ma anche, in

questo caso, di svelare alla città la realtà nascosta dietro la

campagna martellante dei media. Per poter poi rilanciare il

conflitto e l’autorganizzazione contro le politiche di

precarizzazione, cementificazione e debito imposte da Expo.

Tale rilancio dalla may day è stato evidentemente reso più

difficile dalle scelte di una soggettività politica organizzata che

ha voluto fare di quel corteo un momento di estetica del riot,

imponendo una pratica di piazza dentro e contro la volontà

della maggior parte delle donne e degli uomini che

partecipavano.

Non prendiamoci in giro. Ciò che si è visto a Milano non è stata

una rivolta spontanea di un conflitto reale, ma la semplice

rappresentazione scenica della rivolta, la manifestazione di

una forza organizzata che ha voluto spezzare il ritmo e il

consenso che in questi anni la rete NoExpo ha cercato di

costruire in maniera aperta alle diverse soggettività. Un modo

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 99

come un altro per mettere il “cappello” ad una

manifestazione, in maniera ormai piuttosto vecchia e scontata.

Noiosa.

Si, noiosa, perché i riot visti a Milano non hanno nulla a che

vedere con quanto accade a Baltimora. Un conto è

l’espressione di una rabbia diretta, autorganizzata e rivolta

direttamente contro ciò che si contesta, altro è una pratica

organizzata da una precisa soggettività politica, per di più

senza un obiettivo comprensibile.

Non ci interessa alcun discorso moralista sentito in questi

giorni, né l’idea di dover educare a una presunta “giusta

pratica rivoluzionaria”. Così come non ci interessano le tante

sciocchezze sentite riguardo a infiltrazioni di vario tipo. A noi

interessa l’autorganizzazione dei soggetti sociali, e la

democrazia dei movimenti, e sono proprio queste le

dinamiche del tutto assenti nei fatti della may day.

L’autorganizzazione non si organizza, produce le sue forme

nelle dinamiche del conflitto, ma in una fase in cui il conflitto

reale va ancora costruito le soggettività sociali e politiche

devono sapersi coalizzare, mettersi in rete rispettandosi e

arricchendosi l’un l’altra. Specie in una fase ben diversa da

quella di 10 o 15 anni fa, in cui qualche soggetto, partito o area

politica poteva dirsi egemone rispetto ad altre.

Non ci interessa separare i buoni dai cattivi, questo giochino lo

lasciamo ad altri. A noi interessa avere corrette relazioni nel

movimento in grado di rispettarne l’eterogeneità, unico modo

in questa fase per costruire reti di opposizione sociale e

politiche più larghe e inclusive, in grado di saper allargare la

partecipazione conflittuale.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 100

Intendiamoci. La scelta della stampa di concentrare tutta

l’attenzione sugli eventi e gli “scontri” – già presa nei giorni

precedenti inventando inesistenti “assalti” a banche e

ritrovamenti di fantasiosi armamentari – è volutamente

strabica. Parlare di una città “devastata” e di Milano a “ferro e

fuoco” per danni limitati ad un triangolo di vie, fa parte della

narrazione tossica che volevano cucire sopra i no Expo,

fomentando un’indignazione del tutto sproporzionata e fuori

luogo sulla città “violata”. La manifestazione organizzata da PD

e maggioranza arancione ha messo in campo un proposta

moralistica del tutto ipocrita. Si fomenta l’indignazione per

danni economici circoscritti e contenuti nei costi, senza aver

provato invece la minima indignazione per i miliardi di euro

sprecati da Expo, per quelli finiti in tangenti e corruzione, e

senza aver sprecato nemmeno un commento per chi è morto

nel cantiere dell’Expo lavorando in condizioni infernali pur di

renderlo “fruibile” il primo maggio. Un’ipocrisia che serve solo

a contrapporre una presunta “Milano città aperta e solidale”

alla possibilità del dissenso, presentandosi di fatto come il solo

cambiamento possibile.

Così come ci fanno venire l’orticaria le richieste di “condanne

esemplari” e l’insistenza sul reato di “devastazione e

saccheggio” (con pene che arrivano fino a 15 anni!),

dispositivo letale reintrodotto per reprimere i fatti di Genova

2001 e da allora sventolato ad ogni manifestazione con scontri

di piazza per criminalizzare il movimento intero, colpendo

singole persone e tentando di affrontare una questione

politica e sociale sul piano penale.

Noi rivendichiamo fino in fondo di aver partecipato

all’organizzazione della Mayday e la nostra internità alla rete

Attitudine No Expo (che è chiamata ad una difficile e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 101

importante discussione, che comincia con il comunicato uscito

ieri). Rivendichiamo la scelta di stare in un corteo difficile, per

il quale segnali di possibili episodi che non avremmo condiviso

c’erano tutti, ma pensiamo sia stata sbagliata la scelta di alcuni

di porsi fuori, di subire il ricatto delle possibili “violenze”, di

non tentare e inventare pratiche autonome, democratiche ed

efficaci.

Oggi però si impone una riflessione sulle pratiche e sulla

capacità di proteggerne il senso collettivo e la possibilità reale

di raggiungere gli obiettivi che ci si è dati collettivamente –

senza cadere nella scorciatoia (peraltro impossibile da

realizzare) della costruzione di servizi d’ordine capaci di

risolvere le questioni sul piano “militare”. La questione è

politica e politicamente va risolta.

Una riflessione sulle pratiche che investa i modi con cui si

esprime conflitto in un corteo, ma che sappia andare anche al

di là interrogando la quotidianità dell’impegno sociale e

politico, fatta di riappropriazione, percorsi politici capaci di

essere credibili e aperti, relazioni dal basso e conflitto – per

radicare socialmente le lotte e ottenere risultati, pur in un

contesto non facile.

Per questo vogliamo valorizzare quanto la rete ha fatto in

questi giorni, oltre al corteo. Stiamo parlando del nostro

contributo alla realizzazione della “tavolata popolare” davanti

Eataly, insieme allo spazio Fuorimercato e Genuino

Clandestino – momento che ha mostrato le alternative che

esistono e che vanno costruite ogni giorno. Parliamo delle

iniziative della e alla RiMaflow. Parliamo della nostra presenza

nella rete NoExpoPride e così via…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 102

Pratiche volte a promuovere, salvaguardare e consolidare

percorsi sociali, con l’obiettivo di una politicizzazione

collettiva. Ogni “coalizione sociale” può essere un terreno

dove sperimentare e costruire questa politicizzazione

collettiva, se è capace di produrre iniziativa e di includere

conflitti, vertenze, pratiche dal basso.

I prossimi sei mesi la sfida sarà riuscire a manifestare la nostra

opposizione a Expo e a quello che rappresenta oltre la forma

corteo e oltre la risposta ad ogni evento. E’ la sfida di saper

costruire un conflitto sociale reale.

Quello che vogliamo e dobbiamo fare è consolidare le reti

esistenti, allargare la superficie di contatto con chi è colpito

dalle politiche renziane, costruendo spazi per la loro

autorganizzazione e insieme capire davvero come quelle

politiche incidono sulle nostre vite.

Expo esiste e continuerà a esprimere narrazione tossica,

ideologia, circuiti di relazioni per il rilancio dei profitti. Noi

dobbiamo essere in grado non solo di costruire una diversa

narrazione, ma di saperla comunicare; non solo di costruire

spazi di riappropriazione, ma di saperli aprire e rendere

attraversabili; non solo denunciare le nuove schiavitù e

sfruttamento del lavoro, ma di intercettare i soggetti reali

favorendone l’autorganizzazione realmente conflittuale.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 103

Primo maggio a Milano.

Quella rabbia incontrollabile che fa paura alla

sinistra italiana ed al cittadino comune

Collettivo Exit

Tra le tante certezze di chi la piazza l’ha vissuta con gli occhi

dei professionisti della legalità, che paradossalmente

difendono uno dei più grandi simboli del malaffare e della

corruzione del dopoguerra, vorrei riportare due o tre frasi

ovvie a partire da ciò che ho realmente visto tra le strade di

Milano. Sicuramente queste righe non avranno la capacità di

analisi espressa in qualche tweet da parte di esponenti di una

sinistra decadente o degli articoli e video dei media main

stream i cui giornalisti, in un caso più unico che raro, decidono

addirittura di non farsi fare il dettato dalla questura per

inventare favole più dannose di qualsiasi fantasiosa

ricostruzione poliziesca. Come in tutte le favole che si

rispettino, poi, ci sono addirittura i buoni e i cattivi nelle

persone del manifestante pacifico e del black bloc. Ma

veniamo ai fatti.

Quella del primo maggio a Milano è stata sicuramente una

giornata ricca di contraddizioni con molteplici aspetti sui quali

bisognerà lavorare dall’interno del Movimento ed altri

sicuramente positivi. Rispondendo alle critiche mosse finora va

innanzi tutto chiarito che la distinzione tra pacifici e violenti

non esiste. Volendo partire dall’abc il più delle volte non è mai

esistita. Quello del tentativo, del tutto fallimentare, di mettere

pezzi di un movimento gli uni contro gli altri è forse un chiaro

segnale della paura generata dall’incontrollabilità di questa

massa informe che da anni porta avanti pratiche di autonomia

e conflitto, ciascuno nei propri territori. In Val di Susa, nei

giorni seguenti al corteo del 3 luglio 2011, qualcuno,

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 104

rigorosamente dall’esterno, chiedeva di isolare i violenti. La

risposta delle comunità e del Movimento NoTAV tutto fu

chiara e compatta. Non c’erano violenti e pacifici e questo

concetto è stato ribadito negli anni con le varie iniziative di

solidarietà nei confronti di chi ha pagato sulla propria pelle il

prezzo della repressione come forma di consenso nei governi

democratici.

A Milano probabilmente il tentativo di divisione si è arricchito

di un nuovo elemento, la rabbia diffusa, che per molti è

inaccettabile in quanto emblema di un fallimento delle proprie

strutture politiche di riferimento. Non è un caso che le

stroncature ed i giudizi più pesanti nei confronti delle pratiche

di lotta espresse in piazza a Milano vengano proprio da

“sinistra”. Una sinistra in perenne crisi di identità e largamente

contagiata dalla piaga del savianopensiero che, in linea con

una pluridecennale tradizione socialdemocratica, da del

fascista a chiunque abbia idee e pratiche diverse dalle sue

larghissime vedute. A giudicare da alcuni commenti o pareri

che si possono leggere qua e là sembra che sia inaccettabile

per loro l’esistenza stessa di quella rabbia diffusa, sopra citata,

ed il fatto che stia cercando di emergere in maniera del tutto

autonoma in un blocco anticapitalista sempre più compatto e

numeroso. Una nuova soggettività collettiva che renderebbe

inutile ed invendibile qualsiasi favoletta elettorale.

Provando ad analizzare dall’interno la giornata del primo

maggio a Milano sicuramente, come già detto, ci sono dei

punti critici sui quali bisognerà lavorare. Come sempre non

mancano gli inviti a dissociarsi dai danneggiamenti e dagli atti

di teppismo. Sembra quasi che qualche auto in fiamme o

vetrina rotta siano un danno maggiore rispetto a quello

prodotto da Expo, con i suoi costi/sprechi che gravano su tutti

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 105

i cittadini. Analogamente la violenza che ogni giorno si abbatte

sulle nostre vite, sulle vite delle migliaia di giovani che

lavoreranno gratuitamente per i sei mesi di Expo e sulle vite di

tutti quei cittadini modello che si dicono indignati è ritenuta

meno grave di una legittima manifestazione di rabbia. Sia

chiaro, qui non si intende affermare che l’incendio di un auto

possa ribaltare un intero modello di sviluppo basato su

sfruttamento e precarizzazione del mondo del lavoro (ormai

sinonimo di schiavitù). La violenza, se proprio la si vuole

chiamare così, non è un fine, semmai un mezzo. Un mezzo per

sopravvivere e rispondere alle violenze (quelle vere)

quotidiane che ti spingono ad occupare una casa e provare ad

emanciparti da un precariato esistenziale a tempo

indeterminato spingendoti anche al di fuori del recinto della

legalità. Detto ciò, il punto su cui bisognerà lavorare sarà

proprio la comunicazione, all’interno e verso il mondo esterno.

Qualcuno afferma che il rischio è quello che passino in

secondo piano mesi di studio e lavoro di preparazione alla

contestazione di Expo, anche se in realtà è almeno dal 2009

che è in moto una macchina che giorno per giorno ha prodotto

informazione contro tutto ciò che girava intorno al grande

evento. E bisognerà lavorare ancora tanto per tenere al centro

del dibattito queste rivendicazioni. Ma il punto di partenza

fondamentale sarà far capire al cittadino modello che non è la

rabbia il problema, ma chi negli anni l’ha generata. Che

sarebbe miope cercare di combatterla quella rabbia perché,

ammesso che questo porti a liberarsi da essa, vivremo

comunque tutti in una condizione di sfruttamento perenne. E

questo lavoro può essere fatto soltanto rispedendo al mittente

i vari inviti a dissociarsi, promossi da coloro che hanno

discutibili alleati di governo in Parlamento come nelle

pubbliche amministrazioni. Non cercando, dall’interno del

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 106

nostro mondo, di spegnere o tenere sotto controllo quel

sentimento umano che ti spinge ad azioni forti. Chiudere in

uno spezzone o in una linea dettata dall’alto chi, giustamente,

avrebbe voluto prendere parte alle azioni diffuse per le strade

di Milano non è molto differente dalla politica che

quotidianamente combattiamo con le nostre pratiche di

autogestione. Prendere le distanze per tenere al sicuro le

battaglie all’interno delle proprie micro realtà produce

leaderismo ed autoreferenzialità. Logiche del tutto estranee al

mondo dei movimenti. Sicuramente è giusto far presente che

l’azione simbolica priva di un obbiettivo politico è fine a se

stessa, diventa “danneggiamento” o “teppismo” per i più.

Altro significato avrebbe avuto di certo provare a violare la

zona rossa. Ma le spaccature per evitare di “cadere nel

trappolone mediatico” non hanno senso. Risulta, inoltre,

chiarissimo che ci sia stata una gestione dell’ordine pubblico

studiata a regola d’arte per sbattere il mostro in prima pagina.

Ma parliamoci chiaro, quando mai è successo che una sfilata

colorata e pacifica abbia attratto l’attenzione dei media?

Quando abbiamo deciso che fosse necessario risultare

simpatici ai complici delle stesse strutture di potere che ogni

giorno combattiamo? E, soprattutto, in quale occasione

precisamente la stampa servile ha dato risalto alle nostre

giuste rivendicazioni ed ai nostri lavori di studio per contestare

grandi eventi e grandi opere inutili?

A Milano non si è trattato di “qualche violento”, ma di un

intero blocco che ha resistito simbolicamente ed attuato

pratiche di lotta diffuse nelle strade della città, di una piazza

eterogenea in cui trovavano posto le varie istanze di lotta

territoriali e l’esasperazione di chi vive la precarietà quotidiana

come un lento ed inesorabile soffocamento. A Milano non si è

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 107

combattuta la battaglia campale tra i movimenti e ed uno

stato di cose inaccettabili, ma Milano dev’essere un punto di

partenza, soprattutto, con tutte le sue criticità e cercando di

non cancellare i pochi punti di forza a causa di una lettura

miope della realtà.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 108

1° maggio No Expo

“Un po’ di possibile, altrimenti soffochiamo…”

Milano, corteo no-expo del 1 maggio.

Benvenuti nel deserto del reale… o meglio, benvenuti nella

desertica realtà che viviamo ogni giorno. Qualche tempo fa in

giro per l’Europa, e ieri a Milano vi abbiamo fatto assaggiare

un po’ di quella devastazione con cui la maggior parte di noi è

costretta a convivere ogni giorno. Vi abbiamo fatto vedere un

po’ di quella rabbia che molto probabilmente anche molti e

molte di voi covano sotto la coltre di una vita da miseria. Vi

abbiamo sbattuto in faccia quella guerra in cui siamo ingaggiati

ogni giorno nei nostri quartieri e nelle città in cui viviamo.

Quella guerra che vi ostinate a non voler vedere, quella guerra

nascosta sotto i veli mediatici della pace occidentale,

minacciata, a quanto ci dicono, solo dai cataclismi e dai

cosiddetti terrorismi…

E ora di nuovo riascolteremo il coro dell’indignazione civica: la

violenza degli antagonisti, la cieca follia dei devastatori. Ma

siete davvero così rincoglioniti? Fermatevi un secondo e

provate a guardare con più attenzione tutto quello che la

stampa e la tv hanno prodotto in questi giorni… poi scendete

in strada e confrontatelo con quello che vedono i vostri occhi,

con quello che sentono le vostre orecchie e la vostra pancia,

con la paura che avete di perdere tutto, con quella voglia di

farvi gli affari vostri che vi assale perché vi sentite ridotti

all’impotenza e pensate che qualsiasi cosa facciate tanto tutto

resta uguale. Provate a mettervi in gioco e all’ascolto e forse

riuscirete a capire…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 109

Riuscirete a capire che vivete davvero una vita di merda. E che

molto spesso dite che non c’è niente da fare. Ma così parlano

solo i cadaveri. E forse visto che intorno a voi c’è solo morte

parlate proprio come dei vecchi che stanno per morire. E

questo è il paese di merda in cui vivete, un paese di vecchi.

Vecchio nella mente, vecchio nelle ossa. Qui da noi i “giovani

politicizzati” sono più vecchi dei vecchi e la politica è

l’abitudine più vecchia di sempre. Ecco perché non ci

stupiremo nell’ascoltare, ancora una volta, le litanie di

“movimento”: si dirà che giornate come queste possono

dividerlo, il “movimento”, che i riot fini a se stessi non sono

valorizzabili su un piano politico, e che gli obiettivi colpiti

erano casuali e “capisco la banca ma le macchine non

bisognava toccarle”… Chi utilizza questi argomenti come critica

forse dovrebbe cominciare a chiedersi veramente cosa

vogliono dire giornate come queste.

Cominciamo dal “movimento”…quella strana cosa che collega

l’impolitico del popolo con il politico dello stato. Quella

malattia tutta italiana che spesso affossa e ha affossato la

spinta rivoluzionaria. E forse risentiremo anche i suoi teorici

avventurarsi in complesse analisi politiche, parlare del ’77,

dell’autonomia, diffusa, operaia e stronzate varie. Vi siete mai

chiesti perché la figlia di uno dei peggiori partiti comunisti

d’Europa abbia fallito così miseramente? Perché la grande

spinta rivoluzionaria degli anni ‘70 si sia frammentata in cosi

tante sigle e siglette, lasciandoci in eredità tante teorie e

troppa rassegnazione? Ecco, questa “internazionale” di

compagni e compagne che lottano quotidianamente sui

territori, che si incontrano in giro per l’Europa e sulle barricate,

vuole sbarazzarsi proprio di tutta questa melma politica. E

speriamo dunque che la giornata di Milano metta a tacere

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 110

anche tutti quegli scazzi che finché restano su questioni di

principio e non si misurano con la lotta nelle strade, con il

respiro del compagno e della compagna che ti è accanto e

rischia con te, fa il gioco di tutti quei politicanti che si

nascondono più o meno dietro le loro pre-confezionate

identità.

E così, tutti quelli che erano in piazza a Milano, determinati ad

abbellire un degradato arredo urbano e pronti a scontrarsi con

la polizia (autonomi o anarchici che siano) dovrebbero aver

capito di essere in questo momento l’unica forza reale,

radicale e dirompente in questo paese di fascisti, infami,

delatori e democristiani. E non parliamo delle aree, quelle

resteranno sempre separate, ma dei compagni e delle

compagne che per l’ennesima volta si sono ritrovati insieme

per le strade. E le relazioni, che in questa “internazionale”

sono tutto, condensano anni e anni di lotte comuni. Lotte in

cui la posta in gioco è la vita, lotte che combattano quel

capitalismo che ha devastato e saccheggiato il pianeta e i suoi

abitanti umani e non umani.

E così quello che è successo ieri a Milano era davvero l’unica

opzione possibile. Di fronte ai salamelecchi dei soliti noti, di

fronte alla paura dei soliti gruppetti e di fronte alla clamorosa

ed evidente presa per il culo che rappresenta l’expo non si

poteva fare diversamente. Anzi non si poteva non fare.

Sarebbe disonesto dire che non ci piace infierire su un mondo

di vetro e acciaio ma questa volta l’occasione richiedeva

proprio una bella spallata distruttiva. E a chi cercherà di dare

un significato politico al corteo no expo risponderemo con un

ghigno. La verità è che giornate così non possono essere

capitalizzate politicamente, non esprimono la rabbia dei

precari o della plebe (o come la si voglia chiamare), non

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 111

esibiscono nessuna potenza, non producono e non vengono da

un preciso soggetto politico. Per noi, giornate come queste

esprimono solo un possibile, sono, per chi combatte tutti i

giorni e in diverse forme una guerra sotterranea al capitalismo,

una boccata d’aria fresca.

E chi ci verrà a parlare dei motivi della protesta contro expo

diciamo solo una cosa: a noi di expo ce ne frega poco o niente.

Dovremmo davvero interessarci ad una pagliacciata di tali

dimensioni? Una esposizione universale del nulla, che parla di

fame nel mondo, di capitalismo verde dal volto umano? Il

corteo no expo era un’occasione, domani sarà un’altra. Ma

solo se sapremo o proveremo a ritentare la magia. Perché è

vero, anche con tutta l’organizzazione del mondo ci sono

troppe varianti impossibili da prevedere e solo insieme, tutti e

tutte insieme si può tentare, ogni volta, l’impossibile. Quella

magica alchimia di coraggio, determinazione e, perché no, di

incoscienza che ci fa sentire vivi. Proprio così, come si leggeva

sui muri di Roma il 15 Ottobre 2011, a Milano “abbiamo

vissuto”.

E cosi Milano è uguale a Francoforte, alla valle di Susa o alla

Zad, le sue strade sono quelle di Barcellona come quelle di

Atene o di Istanbul. E i riot inglesi, di Baltimora, di Stoccolma,

del mediterraneo risuonano come melodie di una stessa

musica. Una musica che dice senza mezzi termini che ci avete

stufato. Che non smetteremo di disturbare i vostri sonni pieni

di incubi, di sabotare le vostre misere vite piene di fragilissime

sicurezze, di rovesciare le vostre paure da cittadino attivo.

Siamo tanti e tante, e forse è il caso di iniziare a capire da che

parte stare.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 112

E poche cose in questo mondo ci fanno ridere così tanto come

la scena di tutti quei cittadini milanesi che scendono in strada

per ripulire, o come una ragazza che si fa un selfie con una

macchina bruciata… ma ogni epoca ha il suo ridicolo, questo il

nostro…

Insomma avete voluto la vostra festa? La vostra bella

inaugurazione? Beh…anche noi.

Alla faccia di tutti quelli che si riempiono la bocca di

democrazia, infiltrati e violenza. E qui non serve entrare nello

specifico. Ancora credete che ci siano gli infiltrati? Ancora

credete che questo mondo vada solo sistemato? La

democrazia è questa, e prima o poi ci soffocherete dentro.

E chi crede che ce ne sia una migliore è ancora più sognatore

di chi invece vuole l’insurrezione.

Ci vediamo sulle prossime barricate…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 113

Il movimento è finito, viva il movimento!

BiosLab, FuXia Block, Di.S.C

Siamo abituati a guardarci indietro solo e soltanto per trovare

nuove traiettorie future e così vogliamo fare anche per quanto

riguarda quello che è accaduto in piazza il primo maggio.

Per noi Milano rappresenta un punto di rottura che ci fa

interrogare complessivamente su cosa voglia dire essere e fare

“movimento” in Italia e nel farlo non possiamo che andare

oltre all’analisi di singoli fatti. Non è certo qualche auto

bruciata a turbarci, in ballo c’è qualcosa di molto più

complesso e importante. Alcuni mesi fa, intorno a un ricco

dibattito sui rapporti tra i movimenti e l’ipotesi di una possibile

proiezione “verticale” delle istanze, qualcuno sottolineava la

crisi o addirittura la fine dei movimenti per come li abbiamo

conosciuti negli ultimi 15 anni. Sapevamo che la May Day ci

avrebbe dato dei segnali in questo senso. I segnali sono

arrivati, e ci sembrano inequivocabili. Crediamo che il

movimento, per come lo abbiamo immaginato negli ultimi

anni, con quella fisionomia a cui ci eravamo tanto abituati,

abbia cessato di esistere. A comunicarci questo intervengono

almeno tre livelli di ragionamento.

Il primo ha a che fare con la preparazione dell’appuntamento.

Siamo arrivati alla piazza di Milano senza un percorso politico

di sufficiente condivisione tra le varie componenti del

“movimento”, questo ci sembra davvero innegabile.

Premettiamo, ci teniamo davvero a farlo, che i compagni e le

compagne di “attitudine no expo” hanno svolto un generoso e

difficile lavoro di preparazione che poneva delle buone basi

politiche e organizzative. Cerchiamo di essere molto essenziali

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 114

su questo punto, le componenti militanti di quella piazza non

hanno una reale tensione a interloquire, a parlarsi, a trovare i

minimi margini per mettere in scena azioni coordinate o

condivise. Ognuno per sé insomma, nell’attesa, a tratti irreale,

di vedere cosa sarebbe successo una volta lì nella strada. Con

la differenza che noi, con lo spezzone di apertura “scioperiamo

expo”, abbiamo detto in modo trasparente quello che

avremmo fatto e nel farlo abbiamo dato la priorità a non

mettere 30.000 persone in balia delle nostre scelte. Questo

non è stato fatto da altri che hanno secondo noi tracciato un

solco tra pratiche di piazza autoreferenziali e “sovra-

determinanti” e le soggettività che quella piazza l’hanno

riempita. Il tutto è stato poi tendenzialmente rivendicato,

nascondendo quello che per noi non è altro che

autoreferenzialità, dietro l’argomentazione insostenibile di

una rabbia sociale che in quel frangente si sarebbe espressa.

Noi abbiamo animato uno spezzone mosso dall’intento di

indicare il luogo simbolico del distaccamento della

commissione europea come coerente obiettivo sensibile e poi

ci siamo preoccupati di tutelare le migliaia di persone che

erano con noi da quello che stava succedendo dietro. Lo

abbiamo fatto e lo faremmo altre mille volte.

Il secondo livello, quello che ci interessa di più, ha a che fare

con quello che da tempo definiamo “tensione maggioritaria

del conflitto”.

Qui siamo davvero all’anno zero. Per rispetto della nostra

intelligenza politica non ci soffermiamo a commentare il

tentativo di accostare i riot di Milano con i fatti di Ferguson,

Baltimora e piazza Taksim, oppure quello di individuare il

“pirla” di turno come soggetto emblematico di una

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 115

ricomposizione possibile. Fuori da ogni stucchevole moralismo

che lasciamo volentieri a Saviano e soci, quella modalità di

scontro si presenta per noi poco comprensibile per quelle

soggettività che vivono ogni giorni, sulle loro vite, i segni

violenti di un modello di sviluppo che sta impoverendo a vari i

livelli le vite delle persone. La soluzione proposta ci sembra

non soltanto dannosa per una moltiplicazione dei conflitti, ma

la più semplice: nell’incapacità manifesta, di tutti lo

precisiamo, di evocare fenomeni di autorganizzazione e rivolta

moltitudinanria, deleghiamo la rappresentazione, tutta

simbolica ed estetica, del conflitto, a gruppi militanti appagati

del fatto che il day after tutti certamente parleranno di loro.

Che sia chiaro gli scontri li abbiamo fatti tutti nelle nostre

storie, non ci siamo mai tirati indietro, ma lo abbiamo fatto in

modo virtuoso e produttivo soltanto quando sono stati

connessi con una composizione sociale che come minimo era

in grado di comprenderli, di individuarli come la giusta risposta

verso l’attacco alla vita che il capitale mette costantemente in

atto. A proposito di scontri e della immancabile violenza della

polizia e dell’apparato della giustizia penale, chiediamo a gran

voce la liberazione di tutti i compagni arrestati in quella

giornata. La battaglia per la libertà di movimento e la denuncia

dei dispositivi repressivi è per noi un terreno comune che va al

di là di ogni tensione critica su discorsi, pratiche e strategie.

Il terzo elemento rispetto al quale i posizionamenti sul campo

sono molto diversi ha a che fare con il senso stesso della

militanza, con il senso stesso di fare politica a partire

dall’autorganizzazione dal basso. Il senso stesso del fare

movimento dunque.

Cambiano le strategie di governance del capitale e le forme di

sfruttamento, cambiano le necessità, i bisogni e i desideri dei

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 116

soggetti, cambia la strutturazione delle nostre città e dei

rapporti di forza che le innervano e noi rischiamo di riprodurre

noi stessi dentro cornici identitarie invece di essere all’altezza

delle trasformazioni in atto. Incapaci troppo spesso di

prendere parola in tanti, muoverci, cioè “fare movimento”

dentro la società, riprenderci la scena e mettere al centro il

tema della vittoria. Non è certo la giornata di Milano che

introduce questo tema, ne stiamo parlando da molti mesi e,

dentro ambiti come lo “strike meeting”, stiamo già

sperimentando uno stile di militanza, un modo di fare

movimento radicalmente in discontinuità col passato.

Parliamo di una nuova metodologia che sappia rifuggire ogni

spinta resistenziale o di “trincea”, che ci faccia definitivamente

uscire da quel blocco che da anni trasmette l’idea che ci si

debba affidare soltanto alle “aree”, alle “strutture” e alle

“famiglie” e, nella migliore delle ipotesi, ad accordi e

negoziazioni tra queste.

Dobbiamo andare oltre a noi stessi per come ci siamo

immaginati finora, strapparci con coraggio a tutte le nostre

derive identitarie che garantiscono al massimo

l’autoconservazione e la sopravvivenza e in questo sapere

parlare e costruire azione politica con gruppi e soggettività

diverse ( non soltanto italiane, ma anche europee) mettendo

al centro la tensione forte alla condivisione dei percorsi.

In questo senso quella della costituzione di coalizioni sociali

ampie, anche con alcuni componenti sindacali più virtuose e

radicali, non può non essere un’importante ipotesi sul campo.

Certo tutto questo, anche la ricerca di una “verticalità” che

sappia dare più peso alle nostre istanze, lo facciamo, come

abbiamo scritto in un editoriale alcuni mesi fa, sempre e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 117

comunque ripartendo da noi: http://www.bioslab.org/il-basso-

lalto-e-lobliquo/

Le giornate di Milano ci indicano insomma la presenza di

diversi sguardi sulla realtà che ci circonda, diverse attitudini

nel fare movimento che faticano a essere ricomposti oggi in un

terreno comune. Di certo, in comune, viste le condizioni

attuali, sarà difficile immaginare di condividere delle piazze.

Per scrupolo ribadiamo ancora che siamo del tutto

disinteressati a giudicare singoli episodi in sé, poco stimolati a

cercare di capire se sia più politicamente utile spaccare le

vetrate di una banca o di un comune negozio, non può essere

questo il punto. Più in generale non ci appartiene il fatto di

giudicare le scelte altrui, non è sulla legittimità di queste che ci

vogliamo soffermare. Le prese di posizione di questi giorni

riaffermano e purtroppo cristallizzano però una spaccatura di

cui bisogna, anche serenamente, dare atto e da cui bisogna

ripartire.

Da un punto di vista più generale, è intorno alla tensione tra

“processo” ed “evento” che si consuma questa incapacità di

parlarsi, intendersi, e organizzarsi insieme.

Quando gli eventi in cui si esprimono forme radicali di scontro

e conflittualità e i processi di cooperazione e di composizione

tra soggettività diverse smettono di intrecciarsi e coesistere,

allora sentiamo l’irriducibile urgenza di fermarci e di mettere

sul tavolo la necessità di percorre strade nuove, di gettare via

dispositivi organizzativi inefficaci e sperimentare nuove strade.

Se la prospettiva è la trasformazione profonda dell’esistente,

se l’intenzione è quella di favorire l’organizzazione politica

delle espressioni frammentate di rabbia sociale, animati dalla

ricerca di una “rottura costituente” capace di lasciare il segno,

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 118

gli eventi non possono che essere espressione, punto di

precipitazione, di processi ampi e condivisi. I processi di lotta,

attraverso confronti, discussioni, negoziazioni, contaminazioni

e mediazioni tendono a produrre immaginari, discorsi e

narrazioni comuni e l’evento, a questo punto importa poco

quanto “radicale” dal punto di vista delle specifiche strategie

di piazza, deve appunto esprimere le diverse sfaccettature di

questi processi ampi e articolati intorno all’individuazione di

obiettivi comuni. L’evento deve scuotere lo spazio pubblico

con forza e permetterci di riprendere la scena, ma deve, già

mentre avviene, proiettarci verso nuove traiettorie di lotta,

aprire nuovi processi ancora più avanzati dal punto di vista dei

discorsi, delle pratiche e dell’organizzazione.

L’evento senza processo costituente è pura estetica del

conflitto, facile scorciatoia per chi si rassegna alla sconfitta. Il

processo non sostanziato negli eventi e non organizzato è

altrettanto sterile perché si consegna a un pericoloso

determinismo che vede i frammentati processi di

soggettivazione che innervano silenziosamente la società

come autosufficienti nel produrre trasformazione e rottura.

Capiamoci, non è criticando in se, gli scontri e le fiamme che

possiamo garantirci quelle forme di legittimazione larga che

posizionano alla giusta altezza la barra che oscilla tra consenso

e conflitto. Quello che chiamiamo appunto “tensione

maggioritaria del conflitto” può materializzarsi soltanto grazie

all’intreccio tra evento e processo, soltanto attraverso

l’invenzione di nuove formule capaci di essere

immediatamente decifrabili e comprensibili, anche nel “riot”,

da quella rabbia latente e da quelle soggettività precarizzate e

impoverite di cui tanto parliamo.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 119

Una macchina bruciata il 14 dicembre a Roma o una bruciata il

1 maggio a Milano non si può in nessun modo rappresentare

politicamente nello stesso modo. Quel giorno c’eravamo tutti

quindi sappiamo bene di cosa stiamo parlando. Evitiamo però

di guardarci troppo indietro. Oggi abbiamo sensibilità diverse

su come si possa ricominciare a fare movimento.

Noi abbiamo più domande che soluzioni, ma sappiamo bene

come ripartire.

Ripartiamo dallo “strike meeting” e dai Laboratori per lo

sciopero sociale, dalla capacità di quei percorsi di mettere al

centro uno sguardo sulla realtà all’altezza delle sfide che oggi il

capitale ci lancia e di sperimentare nuove traiettorie di lotta

allargate che mettono al centro il tema della precarietà e della

messa a valore delle nostre vite. Ripartiamo immaginando che

intorno al concetto e alle pratiche del cosiddetto

“sindacalismo sociale” si possa fare un salto di qualità nella

battaglia decisiva, appunto quella contro le nuove forme di

sfruttamento del lavoro vivo. Ripartiamo dalla convinzione che

ci sia la necessità di connettere tra territori diversi lotte come

quelle per l’autodeterminazione, per il reddito, per il diritto

alla città e per un nuovo welfare, ma che tutte questi claim

debbano necessariamente posizionarsi in una prospettiva

europea e transnazionale.

Ripartiamo infine da Milano. Lo spezzone “scioperiamo expo”,

che abbiamo animato insieme a centinaia di persone e che

ricordiamo era uno spezzone europeo, ha saputo muoversi

bene dentro la confusione di una piazza complicata, ha saputo

individuare un messaggio politico che lo contraddistingueva e,

cosa per noi molto importante, ha saputo, anche quando ha

deviato verso la Commissione Europea, mantenersi connesso

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 120

con il resto delle persone che stavano alla testa del corteo, è

risultato decifrabile dagli altri nei discorsi e nelle pratiche

adottate. È anche a partire da quello spezzone che vorremmo

ricominciare il nostro cammino rimettendoci in discussione,

come sempre, nella ricerca delle traiettorie migliori per

allargare i fronti del conflitto sociale contro l’austerity e la

governance europea della crisi.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 121

L’Expo e l’Internazionale senza nome

Per l’autonomia diffusa mondiale

Il carattere distruttivo conosce solo una parola d’ordine: creare

spazio […] L’esistente lui lo manda in rovina non per amore

delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso. (Walter

Benjamin)

L’Esposizione Universale, come dice la parola stessa, ha una

vocazione globale: espone lo stato del mondo dal punto di

vista del capitalismo. Tutto quello che accade attorno al suo

evento ha dunque buone possibilità di raggiungere un identico

piano di visibilità e di consistenza. Circa due secoli fa, a Londra,

nei suoi paraggi si tenne a battesimo la costituzione della

Prima Internazionale, tanto per dire. Un movimento che ha

ambizione di essere all’altezza del suo tempo è obbligato in

questo senso a confrontarsi con quello che è lo stato del

mondo dal punto di vista della rivolta e a esporne a sua volta

la consistenza.

Il flic-giornalista del Manifesto a un certo punto se ne rende

conto, che la rivolta milanese risuona con una certa prassi

comune a tutti gli appuntamenti significativi che negli ultimi

tempi hanno attraversato l’Europa, e cerca disperatamente di

dissociarsene invitando tutte “le realtà di movimento” a fare

altrettanto.

Ma la verità è che se è facile e comodo dissociarsi da una

manifestazione è molto più difficile farlo con la realtà; anche

da qui viene tutto l’isterismo che scorre a fiotti sui giornali e

sui social media e che sospettiamo frantumi la serenità di

molte collettività politiche in questi giorni. Fortunatamente vi

sono altrettanti compagni e compagne che invece di

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 122

rimuovere il reale cercano di starci dentro o come minimo di

ragionarci su.

Per anni, guardando a quello che accadeva in altri paesi

d’Europa e del mondo, molti di quelli che oggi si indignano

chiedevano con sconforto come mai in Italia non scoppiasse

una rivolta contro la bulimia del potere capitalistico. Adesso

che è arrivata sperano che la polizia e la magistratura,

corroborata da fantasmatici servizi d’ordine, la faccia

scomparire al più presto. Esponendo così la tradizionale

vigliaccheria delatoria della sinistra nostrana.

È una banalità oggi dire che qualsiasi gesto politico è obbligato

a confrontarsi con lo Spettacolo, meno scontato è assumerlo

come uno dei piani del conflitto, come uno dei suoi terreni più

aspri. Ogni rivolta contemporanea deve simultaneamente

agire su più livelli di percezione, deve creare le proprie

immagini e destituire quelle nemiche. Con ragione Bifo scrive

che se non fosse stato per l’azione dei “teppisti” l’infosfera

sarebbe stata saturata dalle immagini trionfaliste del governo

e dei suoi lacchè, e per questo gli è grato. O qualcuno pensa

davvero che televisioni e giornali avrebbero dedicato più di un

trafiletto a una pacifica marcetta di protesta per i diritti e la

democrazia?

A noi pare in ogni caso che coloro che nel movimento si

lamentano e magari accusano i “teppisti” di cercare la visibilità

mediatica a ogni costo lo facciano perché speravano di averla

loro. A costoro non possiamo che suggerire che anche le

immagini si “conquistano a spinta”.

La rivolta milanese si iscrive in una costellazione che per

quanto riguarda l’Europa ha cominciato a formarsi

immediatamente dopo il riflusso del movimento delle

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 123

Acampades. Una volta terminata la storia degli Indignados e

delle piazze occupate in molti hanno scelto di organizzarsi nei

quartieri delle metropoli, di creare delle nuove basi per vivere

e lottare, cercando di far esistere materialmente quel

“comune” di cui tanto si è parlato negli ultimi anni. Ci si è

cominciato a difendere. La rivolta di Gamonal contro la

gentrificazione, poi la resistenza a Barcellona contro lo

sgombero di Can Vies, l’ondata di émeutes all’indomani

dell’assassinio di Rémi Fraisse in Francia, ucciso dalla polizia

mentre con altri difendeva dei terreni contro le solite Grandi

Opere, l’organizzazione in molte città italiane di reti di mutuo

soccorso contro gli sfratti. Poi si è passato al contrattacco. La

freccia distruttiva che ha attraversato Francoforte il giorno

dell’inaugurazione della BCE e poi Milano per quella dell’Expo

fa parte di questo movimento che, ad oggi, è l’unica ipotesi di

movimento rivoluzionario in campo. Invitiamo chi, anche in

buona fede, non riesce a vedere una “strategia politica” nella

sequenza dei riot europei a decentrarsi e a cercare di guardare

quello che accade da questo angolo visuale, da questo parziale

punto di vista. Crediamo che molte cose gli appariranno più

chiare. A differenza di quanto si dice in giro a proposito della “

poca comprensibilità” delle pratiche, presumiamo che a chi la

crisi l’ha pagata per davvero il tutto sia stato così tanto

comprensibile da non aver bisogno dei sottotitoli. Con tutta

evidenza si tratta di un tentativo di ritorcere la crisi contro se

stessa, di iniziare a far pagare caro coloro che negli scorsi anni

si sono organizzati per devastare le vite di milioni di persone.

Di impedire che i festeggiamenti di governi e padroni

suggellassero il compimento della loro missione e di riaprire la

questione. E la questione da riaprire è quella rivoluzionaria.

Sono le lotte, i conflitti, le insurrezioni che producono il

“popolo che manca” e non il contrario.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 124

Probabilmente bisogna rovesciare il punto di vista anche

rispetto alle dinamiche di ciò che è avvenuto a Milano e

smetterla di pensare solamente a come è stato organizzato il

dispositivo dell’ordine pubblico. La rivolta ha cercato e

praticato i suoi obiettivi tra i quali, certamente, vi era la

ridefinizione dell’arredo urbano ma anche quello di tenere a

distanza la polizia e si è organizzata conseguentemente.

Chiunque guardi con un po’ di attenzione le decine di video in

circolazione può rendersi facilmente conto della tattica

rigorosamente asimmetrica praticata dai rivoltosi. E crediamo

che molti acconsentiranno che seppure le auto incendiate non

sono dei grandi obiettivi da praticare sono preferibili alle

decine di teste spaccate che avrebbe provocato un impatto

frontale. Che un uso determinato della forza riesca ad evitare il

massacro d’altra parte è una vecchia regola ben conosciuta dai

movimenti autonomi del passato.

La rivolta, quando arriva, mette in crisi il legame sociale, quello

che lo Stato vieta di sciogliere, e porta le identità politiche e

sociali a un punto di indistinzione. Non esiste un “soggetto

sociale di riferimento” della rivolta e tutti, volenti o nolenti,

vengono interpellati dall’interruzione che essa imprime nel

tempo e nello spazio: le “pratiche” sono un invito rivolto a

chiunque a prendere posizione.

Ora a noi pare che allo stato attuale delle cose in Europa vi

siano solamente due possibilità a questo proposito. O si pensa

che bisogna puntare al governo, è l’ipotesi Podemos/Syriza,

oppure che valga la pena tentare una diversa

“verticalizzazione” delle lotte, cioè organizzarle in un

movimento rivoluzionario. Le due possibilità non sono

compatibili e a ben guardare nemmeno alternative tra loro:

sono nemiche. Per questo, ancora una volta, l’ostacolo più

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 125

ingombrante che i rivoluzionari si trovano davanti è il ceto

politico della sinistra dentro e fuori del movimento. Per il

momento molti tacciano, chi per imbarazzo chi per calcolo.

La battaglia è appena cominciata.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 126

Marxpedia.org

Calato il nuvolone di analisi, editoriali, post, indignazioni,

dissociazioni, provocazioni sui fatti del primo maggio a Milano,

ci limitiamo a rilevare il nodo completamente ignorato e

rimosso da qualsiasi dibattito. Piaccia o non piaccia, il punto

più alto dei processi rivoluzionari contemporanei è stato la

rivoluzione venezuelana. E i rivoluzionari dovrebbero di solito

trarre esperienza e generalizzazioni a partire dai punti più alti

della storia, non dai suoi episodi secondari. La rivoluzione

venezuelana nel suo sviluppo ha dovuto fare i conti con i mass

media come punto d’attacco fondamentale della classe

dominante. I partiti cosiddetti borghesi si erano dissolti, erano

leggeri, privi di iniziativa e struttura. Essi continuavano ad

esistere come propaggini del sistema mediatico dominante.

Nel suo sviluppo la rivoluzione ha dato vita a radio e televisioni

comunitarie, corsi di massa per “decodificare” il messaggio dei

media dominanti. Senza questo approccio, la rivoluzione non

avrebbe superato probabilmente il colpo di Stato del 2002. Nei

fatti di Milano la sinistra politica e antagonista di questo paese

dimostra la propria arretratezza proprio su questo punto.

Tutta l’azione, il dibattito, l’opinione ruota attorno ai media

borghesi. Che si sia trattato di provocazioni preparate ad arte

dalle forze dell’ordine, di settori del movimento che hanno

scelto la tattica del riot come propria forma d’espressione,

tutto ruota attorno ai media. Nessuno è così stupido da

pensare che spaccare una vetrina o accanirsi su un auto porti

qualche danno al sistema. Nessuno. Ma il tema è che quel

gesto trova spazio nei media, i quali ne daranno una

narrazione alla nazione. E qua sta la totale debolezza: l’idea

che il proprio consenso sia costruito attraverso uno scontro

eclatante il cui racconto sia affidato ai media dominanti.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 127

D’altra parte, tutti coloro che si sono uniti al coro di

indignazione dimostrano di essere l’altro lato del problema.

Quest’ultimi si ritengono danneggiati perché la narrazione dei

media, così facendo, infanga il movimento. Ma, concordiamo

tutti, i media tale narrazione la farebbero in ogni caso

costruendola ad arte, se necessario, con l’aiuto delle forze

dell’ordine.

Allora il problema torna quello di un movimento che non

ritiene di doversi costruire propri strumenti di consenso,

propaganda, narrazione. Non sappiamo dove lavoriate o

viviate, ma nei nostri quartieri o luoghi di lavoro, il dibattito

sull’expo è molto lontano da essere conosciuto nei suoi veri

termini.

E non sarà una telecamera del Tg5 di certo a risolvere questo

nostro problema.

E non valgono a nulla i paragoni con gli scontri di Baltimora o

con le Banlieue francesi. Questi ultimi fatti, ben diversi tra

loro, non sono fatti che esistono per farsi riprendere dai media

e guadagnarsi visibilità. Questi sono fatti che esistono

indipendentemente dai media e su cui i media borghesi

devono tacere o raccontare con imbarazzo quanto accade. Ben

diverso dal primo maggio di Milano. Ben diverso.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 128

1° maggio No Expo

Sempre complici e solidali

Le compagne e i compagni della Rete Evasioni

Come Rete Evasioni esprimiamo la nostra solidarietà a chi è

stat@ colpit@ dalla repressione prima, durante e dopo il

corteo del 1° maggio a Milano e siamo pronti/e ad affiancarci a

chi intraprenderà un percorso in sostegno delle persone

arrestate.

Ciò che ci ha spinto a dare vita alla Rete Evasioni, poco dopo il

corteo del 15 ottobre 2011 a Roma, è stata la voglia che

questo percorso di solidarietà concreta con chi era colpito

dalla repressione, potesse essere da stimolo per i compagni e

le compagne di altre città. Nessuna velleità da specialisti

quindi, bensì voler essere una parte di tante Reti di solidarietà

diffuse nei territori.

In questi ultimi giorni guardiamo con distanza il susseguirsi di

comunicati riferiti alla giornata di lotta del 1° maggio a Milano,

poiché pensiamo che il confronto assembleare sia sempre

preferibile a quello mediatico, pur consapevoli delle difficoltà a

cui si va incontro dovute al vivere in posti lontani tra loro.

Ciò nonostante abbiamo deciso di esprimerci in quanto,

proprio in questi giorni, stiamo per affrontare l’ennesima e

ultima fase del processo di primo grado contro chi era nelle

strade di Roma il 15 ottobre 2011.

A nostro avviso le risposte più adeguate agli attacchi repressivi

sono date da momenti di lotta.

Tra le proposte quella del 12 maggio a Roma.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 129

Dalle aule di tribunale, invece, ci arriva la certezza (nel caso ne

avessimo ancora bisogno) di come la dissociazione agevoli

l’isolamento e la punizione contro chi partecipa a

manifestazioni conflittuali. Insomma veri e propri “oli

lubrificanti” per gli ingranaggi dei sistemi repressivi.

Per noi non si tratta solo di note tecnico-giuridiche quanto

piuttosto di scelte politiche.

Concludiamo ricordando che i dispositivi quali il prelievo

forzato del DNA, il Daspo e la “flagranza differita” sono da

tempo pronti, confezionati e in alcuni casi già applicati, in

completa omologazione con i progetti di controllo sociale

europeo.

Per cui, considerazioni del tipo “grazie a quello che è successo

a Milano, ci sarà un peggioramento dell’accanimento

repressivo” sono, a dir poco, pretestuose.

Libertà per tutte e tutti

Il/la “manifestante buono/a” è chi conosce la solidarietà e la

pratica nel quotidiano.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 130

Expo: La lotta continua

Le compagne e i compagni della

Federazione Anarchica Milanese

“Devastazione e saccheggio”, parole forti, parole da quindici

anni di galera per chi viene beccato con la mazzetta in mano,

per chi è stato preso nel mucchio del riot cittadino, nei pressi

di una vetrina infranta o di un auto in fiamme o, a posteriori,

ne verrà riconosciuta la presenza attraverso analisi

fotografiche e video. Chi ci sta lo sa.

A chi devasta territori e ambiente, a chi saccheggia le risorse

comuni, a chi ci fa morire di amianto, d’inquinamento, di

discariche abusive, a chi ha un altro tipo di “mazzette” in

mano, sappiamo bene che lo Stato e i suoi apparati repressivi

(polizieschi, giudiziari e carcerari) non riserva altrettanto

trattamento. E non potrebbe essere altrimenti: Stato e

Capitale, nella loro complice e collusa alleanza, non possono

certo “accusarsi e arrestarsi” a vicenda. E anche questo noi lo

sappiamo.

A Milano, il Primo maggio, una grande manifestazione di oltre

trentamila persone, in maggioranza di giovani, donne e

uomini, sia del luogo che provenienti da varie parti del paese e

d’Europa, ha animato le vie della città percorrendo, in vario

modo, i pochi chilometri di strade ‘concessi’ dalle Autorità

locali sotto stretto controllo dei vertici nazionali. L’obiettivo

era quello di disvelare il reale significato di quel baraccone

fieristico rappresentato da Expo 2015; di denunciare che

quanti hanno contribuito al disastro alimentare ed agricolo di

paesi e di parti consistenti di interi continenti non possono ora

presentarsi come paladini della lotta della fame nel mondo,

del rispetto delle biodiversità e della vita e del lavoro di che la

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 131

terra la lavora; di accusare il sistema di malaffare, di

corruzione, di speculazione selvaggia che ha regnato su Expo e

che regnerà sulle aree del sito alla conclusione dell’evento; di

opporsi ad un modello di sviluppo basato sul lavoro precario,

gratuito e sulla pauperizzazione del paese.

Un corteo di meno di quattro chilometri ottenuti a fatica, dopo

il divieto, giunto a pochi giorni dalla manifestazione, di passare

per il centro città, trasformata in una sorta di zona rossa, una

sorta di provocazione in una giornata che è sempre stata

simbolo della lotta per la liberazione dalla schiavitù del lavoro

salariato, in una città che ha visto negli anni lo svolgimento di

grandi e partecipate May Day.

Un corteo composito ed eterogeneo, che raccoglieva il lavoro

svolto nel tempo dai comitati No Expo e lo sforzo organizzativo

di rappresentare sul campo le diverse anime e sensibilità che

sul terreno della lotta a quel modello di società e di sviluppo si

muovono. Un corteo costruito assemblearmente dopo diversi

mesi di riunioni, di confronti, di decisioni costruite sul

consenso e sull’accordo. In testa più di duecento musicisti,

appartenenti a bande di vari paesi d’Europa, reduci dalla cena

serale d’accoglienza presso la sede della FAI di Milano curata

dalla Banda degli Ottoni, a dare un segnale di festa e di calore,

a seguire i comitati No Tav, No Muos, No Expo, la rete

‘Genuino clandestino’, quelli di lotta sul territorio e per la casa,

il sindacalismo di base della CUB e dell’USB, lo spezzone rosso

nero con lo striscione ‘Expropriamo Expo’, dietro cui sfilavano

circa duecento compagni e compagne tra FAI, il Circolo

anarchico di Via Torricelli 19, l’USI striscione e Iniziativa

Libertaria di Pordenone con i loro striscioni, oltre a diverse

individualità. A seguire, e a chiudere il corteo, il SI.COBAS, il

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 132

‘Sindacato è un’altra cosa’, e infine vari partiti, da

Rifondazione al PCL.

Imponente lo schieramento di polizia, con mezzi blindati e

reticolazioni semoventi, a chiusura delle varie possibilità

d’accesso al centro città; anche se rimane ‘curioso’ il fatto di

aver lasciato parcheggiare le auto lungo il percorso del corteo,

così come il fatto che siano rimasti al loro posto i cestini per i

rifiuti ed altre suppellettili cittadine che generalmente

vengono rimosse in previsione di cortei ‘caldi e vivaci’ come ci

si aspettava che fosse, soprattutto dopo la campagna

mediatica preventivamente criminalizzatrice e le conseguenti

perquisizioni e sgomberi delle giornate immediatamente

precedenti.

La formazione del corteo è stata lentissima anche perchè si

partiva dalla grande piazza di Porta Ticinese per imboccare lo

stretto omonimo Corso, ma senza grossi problemi perchè il

posizionamento dei vari spezzoni era stata concordato da

tempo. Quello che non poteva essere concordato era il

posizionamento di quanti, provenienti da fuori Milano e da

fuori Italia, non avevano partecipato al percorso organizzativo

e che si presumeva si potessero posizionare alla coda del

corteo. Nei fatti quello che è successo è che queste realtà si

sono posizionate all’interno degli spezzoni a loro più affini,

soprattutto nella parte centrale del corteo dove si è

evidenziato un comportamento assolutamente refrattario al

rispetto degli accordi presi precedentemente. Volontà

politiche, sicuramente autoritarie e prevaricatrici, ed

in/sofferenze sociali si sono mischiate dando origine ad uno

spezzone che ha cercato un suo protagonismo attivistico prima

nella contrapposizione con le forze di polizia, poi con quelli che

sono stati identificati con i simboli del potere capitalistico. Ma

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 133

chi cerca di trovare un nesso unico, una regia unica, in quello

che è successo sbaglierebbe.

Lasciando alla destra tradizionale e a quella renziana le urla di

sdegno e gli editti accusatori, la minaccia di rappresaglie ed i

progetti di leggi liberticide, quello che ci interessa mettere a

fuoco è come il Primo maggio a Milano si sia messo in scena

non tanto una replica di quanto già visto a partire da Seattle in

poi, quanto una prima concretizzazione di quello che le

politiche di austerità, di impoverimento sociale, di

rafforzamento autoritario, di restringimento degli spazi di

espressione e di organizzazione, stanno producendo: una

espressione, fluida, anche contraddittoria, di un malessere

sociale ed esistenziale, che nel conflitto, nelle sue varie forme

possibili, cerca uno sbocco.

Così, alcune centinaia di manifestanti si sono misurati prima

con la polizia che, con un numero spropositato di lacrimogeni

urticanti (si dice più di 400) e con l’uso degli idranti, li ha

respinti, per rivolgere poi la loro attenzione alle vetrine di

banche, negozi di vario tipo, auto, pensiline dei mezzi pubblici,

semafori, ecc., mischiando le banche, simboli classici del

sistema di sfruttamento capitalistico con attività generiche (un

barbiere, un ottico, un ortofrutta…). Insomma tanto lavoro per

assicurazioni ed artigiani mentre Maroni e Pisapia hanno già

offerto rimborsi e organizzato manifestazioni: il 2016 con le

elezioni della nuova giunta non è poi così lontano.

Trovandosi al centro del corteo il rischio del coinvolgimento

dell’intera manifestazione è stato ovviamente molto alto – è

stato avanzato anche il sospetto che alcuni all’interno di quello

spezzone lavorassero per trasformare tutto il corteo in un

terreno di scontro complessivo – ma se così non è stato è

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 134

grazie alla determinazione delle componenti iniziali

organizzatrici della manifestazione che hanno tenuto fede agli

impegni presi assemblearmente sia mantenendo le posizioni,

sia concludendo il percorso tra i fumi dei lacrimogeni e delle

auto incendiate. In questo contesto non si può tacere delle

tattiche poliziesche tese da una parte a contenere i danni tra i

‘suoi’ e dall’altra ad evitare che ci fossero delle vittime tra i

manifestanti, tali da ‘sporcare’ l’inaugurazione di Expo. Del

‘buon cuore’ ipocrita del Ministro degli Interni non sappiamo

che farcene.

Detto questo rimangono sul tappeto alcune considerazioni da

fare.

La crisi sta scavando sempre di più nel corpo sociale del paese,

le politiche riformistiche non hanno più gambe né fiato né

sirene da suonare, la disoccupazione cresce e soprattutto

quella giovanile, non c’è uno straccio di politica industriale

all’orizzonte, le rappresentanze politiche più o meno

tradizionali si sono dissolte, le divaricazioni sociali crescono

così come cresce il controllo sociale fino a prefigurare scenari

di militarizzazione sociale complessiva, leggi sempre più

autoritarie e restrittive sono all’orizzonte sia sul campo degli

scioperi dove si vuole imporre un criterio maggioritario alla

tedesca, sia nel campo delle manifestazioni di piazza. Non ci

vuole molto a capire che, in mancanza di una capacità politica

rivoluzionaria in grado di costruire uno sbocco praticabile e

condiviso alla situazione che stiamo vivendo e che andrà

sempre più aggravandosi, la violenza acefala diventerà l’unica

forma di espressione possibile. Esorcizzare quanto è successo

non ci aiuta, il moralismo perbenista nemmeno, il settarismo

autoreferenziale men che meno. C’è da rimboccarsi le

maniche, sempre più e sempre meglio, sulla strada della lotta

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 135

quotidiana, dell’autorganizzazione, del duro lavoro di

costruzione di un movimento libertario che sappia essere

agente reale e concreto della trasformazione sociale.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 136

Ieri a Milano non è successo nulla

Casa Rossa Occupata

Con ancora negli occhi le immagini infuocate di ieri, la rabbia

più o meno incanalata, l’indignazione di TV e radio e in attesa

che il linciaggio mediatico produca le prime misure restrittive,

fermiamoci un attimo, riavvolgiamo il nastro e raccontiamo

una giornata che avrebbe potuto essere e non è stata.

Oggi, primo maggio 2015, a Milano è una bellissima giornata di

sole. Una di quelle giornate in cui anche la grigia capitale del

nord sembra salutare la primavera, forse un auspicio per un

momento importante: la manifestazione contro l’apertura di

expo.

È il fulcro di un percorso d’analisi che ha coinvolto il

movimento in mesi e mesi e che ha il compito di imporre

all’opinione pubblica i temi di critica e contestazione al

modello expo e alle devastazioni sociali, ambientali e politiche

che ha portato. Si temono incidenti e le strade sono

militarizzate.

Il corteo scorre determinato e pacifico, prova a comunicare

con la città, a toccare tutti i temi in ballo. Le varie anime del

movimento, ognuna alla propria maniera, articolano in

maniera costruttiva e convincente i propri temi su cui è

imperniata l’attività politica quotidiana. Insomma una grande

giornata di lotta.

Tornando a casa proviamo a capire e verificare l’impatto

mediatico e politico che una giornata del genere può aver

avuto. In fondo, ci diciamo, una volta tanto i facinorosi vestiti

di nero non hanno catturato tutta l’attenzione..

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 137

L’ansa dedica alla protesta un piccolo trafiletto tutta

completamente impegnata a raccontare la passerella dei

politici, la Turandot alla Scala, la vetrina di Eataly.

La Repubblica si scatena con le proverbiali analisi sociologiche

del manifestante di turno, animale da circo da smontare e

rimontare come un pezzo da esposizione.

Magari il Manifesto… ma dopo la consueta bella prima pagina,

l’articolo di fondo propone la solita alleanza a sinistra fra

partiti morenti e movimenti buoni per tutte le stagioni, il tutto

sotto l’egida di Sel.

Scoramento.

Come sappiamo non è andata così. Ma per questo, in attesa di

riflettere su ciò che è stata la giornata e su cosa comporterà, ci

prendiamo il diritto di porre qualche domanda. E di rivolgerla

agli esagitati da tastiera, Black Block del perbenismo, magari

fra l’ascolto di una canzone di De Andrè e un salto alla bottega

del commercio equo e solidale, possono trovare il tempo di

rispondere.

1) Sì dice che gli incidenti avrebbero tolto la centralità ai giusti

temi che animavano la protesta. Ma quando mai è successo

che le ammiraglie dell’informazione, televisiva e della carta

stampata, negli ultimi vent’anni abbiano dato spazio alle

ragioni di un movimento radicale?

2) Si afferma che una giornata come quella di ieri ha nuociuto

a chi esprime un bisogno. Ma chi dice questo è mai andato in

piazza a sporcarsi le mani con i senza casa, i senza lavoro? Ha

mai ascoltato la rabbia confusa e nichilista? Ha mai cercato di

deviare l’odio generalmente indirizzato per l’immigrato o il

povero della porta accanto?

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 138

3) Chi attacca il manifestante tacciandolo come “figlio di

papà”, chi delegittima la protesta vaneggiando di una

eventuale ignoranza sui temi della stessa, chi narra di cortei

presi in scacco da sparute minoranze, ha mai provato a

relazionarsi con queste minoranze, che poi sono

semplicemente l’espressione più visibile di stragrandi

maggioranze?

Non staremo qui ad annoiare su chi sono i veri violenti, su

quale sia la prospettiva di vita per la nostra generazione, su un

sistema politico a cui non crede più nessuno, tanto meno chi è

eletto.

Quello che vogliamo dire è che ieri è stata una giornata difficile

per il movimento, in un’ epoca storica in cui o siamo in grado

di contrastare, con ogni mezzo necessario il modello grandi

opere che ci è stato imposto, o semplicemente non siamo.

Tuttavia, pensiamo anche che vi è il bisogno di tornare, al

nostro interno, a ragionare sulla necessità di approfondire il

legame con il corpo sociale intorno a noi, con la classe. Questo

è il nostro primo obiettivo, per il quale una giornata come

quella di ieri, bella o brutta che fosse, costituiva solamente

una tappa.

Tutto il resto sono chiacchiere, da tastiera ma pur sempre

chiacchiere.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 139

Sul corteo NO EXPO di Milano

Progetto Prendocasa Pisa

Partiamo dal dato più importante: EXPO è un evento

DEVASTANTE che ha permesso a mafiosi e speculatori di

intascarsi soldi pubblici. Soldi nostri. Soldi che vengono levati

alle scuole, agli ospedali, ai quartieri popolari.

Il primo maggio, giorno dell’inaugurazione di EXPO, era

necessario fare tutto il possibile per rovinare la festa ai

padroni, che brindavano nel lusso a spese nostre.

Nei giorni precedenti al corteo, la polizia ha compiuto azioni

molto gravi: sgomberi di case e spazi sociali, perquisizioni nelle

sedi di alcuni comitati di quartiere. Tutto ciò è stato fatto per

spaventare la gente e diminuire la partecipazione e la

determinazione del corteo. Con solo due giorni di preavviso è

stato anche vietato alla manifestazione di passare dal centro.

La rabbia in piazza, dunque, era tanta ed era rabbia giusta. La

rabbia di tanti giovani e tante famiglie che vivono nella

miseria, che si sentono dire dagli assistenti sociali: “non ci

sono soldi” mentre i soldi pubblici vengono spesi per le

STRONZATE!

La rabbia nella manifestazione si è espressa in tanti modi,

alcuni migliori ed altri peggiori. Il migliore è stato certamente il

tentativo di centinaia di persone di forzare il blocco della

polizia per raggiungere il centro città. Questo tentativo è stato

fatto nella strada che porta a Piazza Affari e alla Borsa, uno dei

luoghi di potere di Milano, centro della speculazione

economica.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 140

Perché era importante portare la protesta nei luoghi dove

vengono impoverite le nostre vite!

Perché la città è di chi la vive, non di chi la trasforma in una

vetrina per i ricchi durante l’EXPO!

Perché non è accettabile che la polizia provi ad intimidirei

manifestanti, con sgomberi e divieti, per difendere i soliti noti!

Invece, attaccare le macchine e le vetrine di piccoli negozi è

stata una sciocchezza; tuttavia anche questi gesti hanno

dimostrato la collera del corteo, collera che si è diretta verso

gli obiettivi sbagliati.

C’è chi si arrabbia solo su facebook e vorrebbe impiccare i

politici, ma poi a paura a scendere in piazza.

C’è chi si indigna contro le multinazionali ma poi va a lavorare

gratis per EXPO perché “fa curriculum”.

C’è chi si preoccupa più di una vetrina che delle morti sul

lavoro o dei suicidi causati dalla crisi.

Noi preferiamo la rabbia dei ragazzi di Milano, e speriamo che

nelle prossime occasioni ci sia la capacità di indirizzarla verso i

veri obiettivi: verso i palazzi del potere e non le auto e le

botteghe.

Speriamo anche al prossimo corteo di essere di più, che tutte

le persone che soffrono la crisi da sole ed in silenzio, decidano

di combattere unite in piazza.

Ma qui non basta SPERARE, occorre COSTRUIRE!

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 141

Comunicato dei compagni e le compagne

L.o. SKA - c.s.o.a OFFICINA99 Napoli

Chi devasta e saccheggia le nostre vite sono il governo Renzi &

la Bce-Ue

A Milano per il corteo NO EXPO noi c’eravamo. Perché EXPO è

parte del disegno di impoverimento di soggetti e territori,

dello sfruttamento e della precarizzazione delle nostre vite.

Nell’Italia della “ripresa”, del “ce la faremo”, la disoccupazione

giovanile media è di circa il 43% (percentuale che al sud

raddoppia); la precarietà aumenta, come dimostrano i dati

circa le nuove assunzioni targate Job Act; tutto il tessuto

industriale è in forte ridimensionamento con continui

licenziamenti. Infine c’è lo Sblocca-Italia, provvedimento che

rende organici tutti quelli precedenti, che in questi anni, dalla

Campania dell’emergenza rifiuti ancora non conclusa,

passando per il Tav, per il Mose e non solo, blinda le decisioni,

verticalizza ulteriormente il potere, militarizza porzioni di

territorio, tentando di schiacciare o addomesticare ogni

possibilità di partecipazione dal basso delle popolazioni. Altro

che vetrine in frantumi! In quest’Italia democratica si devasta

e saccheggia quotidianamente la nostra terra per il profitto.

Eppure, con la rivoluzione tecnologica di questi ultimi 20 anni,

la ricchezza sociale prodotta è tale da poterci liberare dal

ricatto “lavoro o miseria”, garantendo un’esistenza dignitosa e

nel rispetto dell’ambiente a tutte e tutti.

Abbiamo abitato la piazza milanese ben consapevoli di trovarci

dentro a una composizione eterogenea, dove le pratiche si

sono mischiate e sovrapposte in una rabbia che, se non altro,

racconta un’indisponibilità reale nel subire la violenza del

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 142

capitale sulle nostre vite. Non ci sottraiamo ad analisi e

valutazioni che, come sempre, accompagnano la nostra

presenza nei percorsi, ma in questo momento ci sembra

indispensabile ribadire più di ogni altra cosa la nostra non

estraneità ai fatti di Milano, pur riscontrando, nella

molteplicità delle pratiche, alcune criticità con cui confrontarsi

nei mesi che seguiranno.

Noi il 1° Maggio eravamo a Milano contro la vetrina dell’EXPO

e l’arroganza del Governo Renzi, insieme a migliaia di altri e a

diecimila diverse ragioni.

C’eravamo anche come antagonisti di quel Sud martoriato da

disoccupazione, lavoro precario e nero che il Job Act

incrementerà; quel Sud dove i territori sono preda della

devastazione ambientale sancita dallo Sblocca Italia con il via

libera ad ulteriori trivellazioni, inceneritori, discariche, impianti

a biomasse, centrali a gas e ancora veleni per il profitto di

pochi; quel Sud dove il mare è diventato un cimitero per

uomini e donne in fuga dalle guerre e dalla barbarie del

capitalismo. Non potevamo non esserci contro la logica dei

grandi eventi e delle grandi opere che sprecano risorse

pubbliche. Per rivendicare reddito per tutti, garantito ed

indipendente dal lavoro insieme alla riduzione di orario e

nuovi diritti, per rovesciare la crisi su chi l’ha generata, perché

le comunità conquistino potere decisionale all’insegna della

sostenibilità e di un modello di sviluppo alternativo.

Oltre la cortina di fumo che i media mainstream cercano di

costruire attorno ad EXPO (e questo ben prima che si

spaccasse qualche vetrina) abbiamo ben chiaro che il 1 Maggio

a Milano si sono confrontati due opposti schieramenti, uno

costituito da chi per mestiere legittima e difende la violenza

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 143

del capitale sulle nostre esistenze l’altro da chi difende la vita e

i territori a sue spese e al capitale dichiara (forse a tratti

confusamente) una guerra aperta e senza quartiere.

A questi ultimi dichiariamo con forza la nostra appartenenza

perché come ebbero a scrivere penne assai più virtuose:

“Qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa,

là ci si ribadisce la catena […]C’è che noi, nella storia, siamo

dalla parte del riscatto, loro dall’altra”.

A tutti i compagni e le compagne fermati, arrestati, perquisiti,

videoschedati va la nostra totale solidarietà nella incrollabile

convinzione che le lotte non si arrestano. Mai.

Tutti Liberi.

Tutte Libere.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 144

No Expo: i media rivomitano il solito copione

Cortocircuito

“Non esistono fatti, ma solo le interpretazioni dei fatti” diceva

Nietzsche, parafrasandolo, potremmo dire che non esistono i

cortei, ma solo la loro “rappresentazione”.

La società dell’informazione continua e pervasiva fa sì che il

“mediatico” plasmi a proprio piacimento qualsiasi evento di

una qualche valenza sociale. Il copione per questo tipo di

manifestazione di solito è il seguente: un corteo pacifico è

stato infiltrato da provocatori violenti (lo spauracchio black

bloc) che hanno rovinato la “festa” a tutti, oscurando le ragioni

della protesta ai fini di scatenare una violenza “insensata” e

fine a sé stessa. Il Canovaccio di Genova 2001 viene

pedissequamente seguito da anni. Stavolta però il meccanismo

si è inceppato nella divisione tra manifestanti buoni e cattivi:

nessuno si è dissociato dagli scontri (al netto di legittimi dubbi

sull’utilità di questi e soprattutto sui danneggiamenti alle auto

in sosta) né in dichiarazioni ufficiali, né, soprattutto durante il

corteo. Mentre a poche centinaia di metri manifestanti e

polizia si fronteggiavano, migliaia di persone continuavano a

sfilare compatte cantando e ballando. Questo è sicuramente

un dato positivo, anche se il risultato finale è stato che non

potendo isolare il “virus” che ha infettato la manifestazione è

stato direttamente criminalizzato tutto il corteo.

Chi a Milano non c’era e si è informato sugli avvenimenti

seguendo le notizie delle grandi testate giornalistiche non può

che aver avuto l’impressione che sia stato un giorno di vera e

propria guerriglia. Infatti, osservando attentamente, si può

notare come nessun media abbia pubblicato anche una sola

foto del corteo che non fosse relativa agli scontri: bande

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 145

musicali, sound system, spezzoni di lavoratori ecc. tutto è

stato oscurato per dare risalto ai tafferugli.

Il copione principale è stato poi arricchito da una serie di

sottotrame. Non è una novità che in questi contesti i media

individuino un fatto o un personaggio di per sé irrilevante e lo

ingigantiscano ai fini di “rafforzare” la trama principale: ci

ricordiamo, ad esempio, di quando si è discusso per settimane

del giovane NoTav che durante una manifestazione in ValSusa

aveva osato dare di “pecorella” a un poliziotto, o più indietro

nel tempo quando il 15 ottobre 2011 la distruzione di una

madonnina da parte di un manifestante era stata messa al

centro dell’attenzione pubblica e, sempre lo stesso giorno, la

gogna mediatica (con tanto di gossip sulla vita privata) a cui fu

sottoposto Fabrizio Filippi detto “Er Pelliccia”.

Stavolta è toccato al giovane Mattia che, imbeccato ad arte dal

giornalista del TGcom, con le sue uscite tanto sgrammaticate

quanto ingenue è stato fatto passare come l’ideologo del

movimento.

Anche l’anarchico Valitutti, fotografato in carrozzina in mezzo

agli scontri, ha subito la sua dose di odio pubblico: dal

“togliamogli la pensione di invalidità” all’accusa di incoerenza

per essere tornato a casa con un Frecciarossa, cosa che

andrebbe in contraddizione col suo appoggio al movimento No

Tav.

A condire la trama con cui i media hanno presentato il No Expo

aggiungiamo anche la demenziale e non provata “accusa” dei

“black bloc” col Rolex al polso, che ha perfino provocato la

reazione del noto marchio svizzero che ha risposto con una

lettera aperta sui principali quotidiani nazionali.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 146

Insomma, la macchina del fango ha funzionato a dovere,

pescando innumerevoli conigli dal cilindro. Questo, tuttavia,

era ampiamente prevedibile, e pone ai Movimenti il problema

su come uscire da cul de sac in cui inevitabilmente si trovano

durante questi grandi appuntamenti di piazza: fai un corteo

pacifico? Verrai ignorato. Fai casino? Verrai criminalizzato.

Se si poteva pensare che sarebbe bastato avere un corteo

unito ed estraneo a grottesche pratiche di delazione interna

per “cortocircuitare” la narrazione mainstream, il 1° maggio ha

radicalmente smentito quest’ipotesi.

Il punto centrale è, a nostro avviso, che ogni lotta che si pone

su un piano simbolico non ha senso di esistere se viene

veicolata da dei media “nemici”. In altre parole è assurdo

colpire una banca cercando di far passare il messaggio “Contro

il capitalismo finanziario che sta distruggendo il pianeta”,

quando poi Repubblica e il Corriere e tutti gli altri oligopolisti

dell’ Informazione titoleranno “Delinquente sfascia vetrina”.

Solo chi condivide il medesimo orizzonte simbolico recepirà il

messaggio nelle sue intenzioni originarie, mentre TUTTI gli altri

(lavoratori o borghesi che siano) vedranno SOLO “delinquenti

che distruggono cose a caso” e chiederanno per loro

repressione, repressione e ancora repressione.

I gesti individuali non possono precedere i percorsi collettivi,

perché, purtroppo, l’opposizione sociale non si sviluppa per

osmosi e “dare l’esempio” con azioni simbolicamente radicali è

un gesto fine a sé stesso, al di là delle generose intenzioni di

chi lo compie.

Questo non significa naturalmente che bisogna abbandonare

la radicalità per paura delle conseguenze, solo che non

possiamo permetterci di praticarla su di un piano che non sia

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 147

quello reale. Ad esempio il cantiere TAV di Chiomonte è lì, è

reale, lo puoi toccare e sabotandolo non ci si limita a “lanciare

un messaggio”. Infatti, benché pagando un prezzo durissimo in

termini di repressione e dovendo subire attacchi mediatici

continui, il movimento No Tav, miracolosamente e, oseremmo

dire eroicamente, resiste, anche in virtù dell’essersi

guadagnato un consenso che va al di là delle solite ristrette

cerchie.

È quando in ballo ci sono la propria terra, la propria vita e il

proprio futuro che è possibile attuare forme di conflittualità di

massa. Altrimenti dopo il solito giorno di gloria ci pioveranno

addosso i soliti mille giorni di merda.

ps solidarietà a tutti i fermati/arrestati

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 148

Ma chi ha detto che non c’è (-ero)

Territori Solidali in Lotta – CSA Oltrefrontiera (Pesaro) –

Collettivo per l’autogestione (Urbino)

dopo il 1 maggio milanese..

“Sta nel sogno dei teppisti e nei giochi dei bambini” G.

Manfredi

“Fin a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma

l’atterraggio.” L’odio

“Non ricordo se c’ero o non c’ero, ma qualcosa accadeva in

città…” (cit.)

Dopo il primo maggio siamo stati travolti dalla pornografia

giornalistica e dalla smania giustizialista di politicanti, apparati

di controllo e opinionisti da bar. Ci siamo quindi presi del

tempo prima di scrivere, un pò esterefatti dall’improvviso

baccano di una società anestetizzata alle violenze e ai soprusi

quotidiani. Ci piacerebbe invece dare un nostro contributo per

riuscire a vedere in queste giornate milanesi non un

cataclisma, ma un contesto con cui confrontarci per superarne

i limiti e valorizzarne la forza.

Il primo maggio eravamo trentamila persone a sfilare nelle vie

di Milano. Le diverse realtà politiche e sociali che da anni

lottano nei propri territori contro lo sfruttamento di uomini e

risorse ha trovato nella lotta all’Expo un’occasione di

opposizione sociale praticabile collettivamente. Dalla testa del

corteo alla sua coda, dallo spezzone dei comitati territoriali ai

precari, ai facchini e agli occupanti di case, passando per la

samba, la trash e la banda degli ottoni era un unico grande e

netto rifiuto. Un corteo numeroso, vitale ed eterogeneo in cui

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 149

erano presenti tutte le lotte e le realtà che si oppongono a

questo governo e a ciò che l’EXPO rappresenta: lo

sfruttamento nei posti di lavoro, gli sfratti nei quartieri

popolari, la cementificazione a uso e consumo di mafiosi e

capitalisti, lo strapotere e l’arroganza di banche e

multinazionali. La molteplicità dei contenuti, delle esperienze

messe in campo e delle diverse modalità di stare in piazza è

stata reale e visibile, lo sa bene chi in quelle strade c’era. Tutte

e tutti hanno potuto esprimersi e nessuno ha subito le scelte

di altri. C’era chi voleva ballare e chi voleva urlare il proprio

sdegno, chi voleva manifestare pacificamente e chi voleva

creare conflitto: così è stato, per scelta.

In piazza c’erano quindi anche migliaia di giovani che hanno

deciso di non lavorare gratis per nessuno, di agire con il

proprio corpo la rabbia e la frustrazione contro un futuro

negato, un’esistenza precaria, una classe politica e dirigente

marcia, arrogante e corrotta. A queste migliaia di giovani

dobbiamo guardare, per valorizzarne la voglia di riscatto e

portarla nella pratica politica quotidiana, nei nostri quartieri,

nelle nostre città, nelle scuole, nelle università, nei posti di

lavoro se ancora ne rimangono. Ci siamo lamentati per anni

del silenzio, della passività delle nuove generazioni, della

regressione culturale di un paese devastato da vent’anni di

“berlusconismo”: Milano dimostra il contario e ne siamo

sollevati.

Di certo non è stato un primo maggio qualunque. A Milano

EXPO ha aperto i battenti con la città blindata ed il centro

chiuso e vietato a pochissimi giorni dal corteo. A Milano

comanda comunque EXPO: il volto spettacolarizzato e brutale

del capitalismo. Insomma lo specchio di un paese che non ci

piace e che vogliamo cambiare. La scelta di blindare la città è

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 150

stata una provocazione, al pari dei blitz preventivi dei giorni

precedenti nei quartieri popolari, le perquisizioni illegali a casa

di compagne e compagne, la fabbricazione del mostro

mediatico, gli arresti e le espulsioni, la criminalizzazione del

dissenso. Notiamo con dispiacere come negli stessi ambienti di

movimento cresce e si radica pericolosamente la percezione di

una divisione tra buoni e cattivi funzionale alla repressione ed

al controllo sociale. In questo senso abbiamo percepito come

assordante ed incomprensibile il silenzio seguito agli attacchi

polizieschi ai quartieri popolari dei giorni immediatamente

precedenti al corteo, come se quella repressione riguardasse

solo chi la subiva.

E’ ridicolo chi parla di infiltrati. Qualche poliziotto sì, qualche

giornalista di troppo pure, ma l’ultimo spezzone, quello che ha

sostenuto gli scontri lungo tutta la giornata, era uno dei più

numerosi. Ciò non certo perchè fosse un entità distinta, ma

proprio perchè dal resto del corteo continuavano ad affluire

persone e ad ingrossarne le fila. Inoltre, cosa non da poco,

nonostante l’ingente dispositivo di forze dell’ordine, l’aria resa

irrespirabile dai lacrimogeni e la presenza di comitati

territoriali, famiglie e attivisti delle più svariate aree politiche il

corteo è arrivato fino alla fine con determinazione e coraggio,

autotutelato e in sicurezza. Non è quindi nel metodo né nelle

pratiche il limite di giornate come queste, ma nella difficolta di

spiegare il dato politico e sociale di una rabbia diffusa e non

addomesticabile e nella difficoltà a saperla indirizzare

lucidamente e collettivamente contro il modello di

sfruttamento capitalistico, superando paure e pressioni,

legittimando quel conflitto a cui nessuno può sottrarsi.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 151

Chi è rimasto a casa, o indietro, oggi si compiace nel giudicare

le forme di lotta di chi, nonostante tutto, si assume le proprie

responsabilità e mette in gioco la propria vita e il proprio

futuro. Ci auguriamo che questi telespettatori abbiano

l’occasione per ricredersi, si fa in fretta a proletarizzarsi di

questi tempi. Da parte nostra diciamo che dobbiamo rispetto

alle compagne e ai compagni che si sono spesi per quella

giornata di lotta, per la generosità e la coerenza messi in

campo. Così come dobbiamo solidarietà agli arrestati, il cui

status sociale non corrisponde esattamente a quello del

professionista degli scontri con il rolex al polso: una barista,

una disoccupata, un elettricista, uno studente ed un

commesso. Di certo qualcosa di molto più reale e quotidiano

delle favoleggianti narrazioni mediatiche.

La violenza della piazza del primo maggio non è la violenza di

pochi teppisti, ma l’espressione della rabbia di un intera

generazione. Il riscatto della violenza subita quotidianamente

durante gli sfratti nei quartieri popolari, sui posti di lavoro e

nelle Università, nelle strade delle nostre città, nei meccanismi

di esclusione e marginalità di una società che antepone il

profitto a tutti i costi alle esigenze e ai bisogni delle persone.

Certo, crediamo nella necessità di rapportarsi al contesto e

comprendere che porsi degli obiettivi e dei criteri, anche e

sopratutto nelle pratiche di piazza più radicali, sia la premessa

fondamentale alla riproducibilità delle pratiche e alla

generalizzazione del conflitto. Le poche macchine bruciate ed

altre intemperanze difficilmente comprensibili dai più non ci

scandalizzano e di certo non monopolizzano la nostra

attenzione sui fatti, ma evidenziano a nostro modo di vedere

limiti e contraddizioni che, è bene riaffermarlo, tutte e tutti

dobbiamo assumerci e superare. Assumere la rabbia e la sua

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 152

espressione violenta come un fatto sociale e saperla

indirizzare ed auto-organizzare verso obiettivi collettivamente

praticabili e comprensibili è politicamente più intelligente del

credere di evitarne la degenerazione semplicemente voltando

la testa dall’altra parte.

La piazza del primo maggio nonostante tutto ci è piaciuta, ci è

piaciuto il coraggio e la determinazione di migliaia di persone

che hanno sfidato divieti e provocazioni per affermare la

propria incompatibilità ad un sistema capitalista, quello si, che

devasta e saccheggia. Questa incompatibilità, evidente nelle

diverse forme del conflitto sociale presenti nel nostro paese

(non solo a Baltimora o ad Istanbul…) è il nostro punto di

partenza: in una casa occupata cosi come nell’attaccare la

zona rossa di una città-vetrina blindata c’è un agire diretto e

collettivo che crea legami di solidarietà e pratiche di vita

differente. Come in ogni sperimentazione a volte bisogna

fermarsi a riflettare, ma con lo sguardo sempre proiettato in

avanti, consapevoli che in ogni contraddizione c’è una

possibilità di avanzamento.

Difendere l’allegria, organizzare la rabbia!

Tutt* liber*!

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 153

Osare e perdere

(piuttosto che lacrimare e sopravvivere)

PrecariACT

Gli scontri di Milano hanno lasciato il segno ovunque o quasi:

vi è l’indignazione popolare, il fatalismo menegufino,

l’intraprendenza meneghina, il ping pong politico, lo

smarrimento movimentista, la retorica forcaiola, e

l’oltranzismo frontalista e antagonista.

Insomma, più o meno tutto ciò che accade quando accade ciò

che s’è visto a Milano.

Eppure, ‘sto giro servirebbe uno sforzo di comprensione e di

analisi ulteriore poiché ciò che si è visto nella Noexpo Mayday

è intriso di elementi di novità e indicazioni profetiche.

SCONTRI, GLOBALIZZAZIONE E CRISI

Chi ha buona memoria si sarà reso conto che il primo maggio

Noexpo Mayday è intriso di elementi particolari, anzi si può

dire che ci sono abbastanza novità poter pensare a un diversa

fase della contestazione politica. Chi ha creato i disordini lo ha

fatto con un preparazione tecnico militare veramente

notevole, qualitativamente superiore a ciò che si era visto in

altre manifestazioni (Genova 001, Roma dicembre 012, Roma

ottobre 013).

La capacità di comparire dal nulla e scomparire in nebbie

fumogene, fino al cambio d’abito in tempi addirittura minori di

quelli con cui le Ferrari cambiano le proprie ruote, la

particolare velocità con cui gruppi affini si aggregavano e si

disgregavano, inseguendo i diversi obiettivi, la sistematicità, la

precisione tecnica dell’uso di diversi strumenti di scontro;

tutto questo indica una capacità molto alta di coordinazione e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 154

preparazione, evidentemente affinata, discussa e preparata

approfonditamente.

Non basta dire che la polizia ha lasciato fare… Si può leggere

quindi una tendenza… A Genova 001 a Roma 12/012, e ancora

a Roma 10/013 le “tute nere” (utilizzo questa espressione

giornalistica per semplificare, sarebbe meglio dire: l’area

anarchica intransigente) sono state infatti l’innesco di una più

generale rivolta diffusa, vuoi per l’esasperazione sociale, vuoi

per l’incrudimento dello scontro che tende a colpire un po’ a

caso, coinvolgendo parti sempre più ampie del corteo, che

magari reagiscono anche solo per legittima difesa.

A Milano, il gruppo delle cosiddette Tute Nere ha agito con

una precisa sequenza di azioni e reazioni rendendo complicata

la generalizzazione dello scontro poiché introdursi in modo

estemporaneo all’interno di un’omogeneità estetica e

comportamentale risulta chiaramente rischioso, come

effettivamente è stato.

La facile riconoscibilità, la mancanza di conoscenza delle

dinamiche, dei momenti e dei movimenti coordinati rende

vulnerabile chi prova ad mescolarsi in un corpo omogeneo che

si muove in modo dinamico. Infatti, il confronto muscolare è

rimasto limitato alla falange nera e a un numero relativamente

limitato di individui che si sono aggiunti: e proprio fra questi

sono avvenuti i fermi contestuali.

Ma ciò non deve trarre in inganno, e le facili conclusioni della

stampa (e non solo della stampa) rispetto alla presunta

assenza di legittimità politica (e addirittura morale) di questo

spezzone (e chi lo stabilisce questo?) sono completamente

sballate dall’euforia ossigenante della ragion di stato.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 155

Un alto livello tecnico nella gestione dello scontro non significa

un intento criminale e un assenza di visione politica. Anzi, il

progetto sotteso alle giornate di Milano è assolutamente

chiaro e anche plausibile e dice, in parole povere: se durante

ogni meeting internazionale invece di chiacchierare e fare

azioni simboliche di nessun impatto (che hanno fatto il loro

tempo) si facesse pagare alla città lo scotto più alto possibile,

allora i meeting non si terrebbero più.

L’obiettivo chiaramente è quello di passare dai 500 di ieri, ai

1000 della prossima volta, ai 5000 di un futuro più o meno

vicino. E il danno alla città crescerebbe esponenzialmente.

Inoltre, bisogna valutare bene anche le parole. Anche se in

questa forma di guerriglia urbana l’estetica è importante in

ogni caso non si tratta di sola “estetica del conflitto” ma essa

rientra pienamente in quelle forme mitopietiche di

contestazione comunicazionale. Anzi, la difficoltà di

interpretare i pensieri del blocco nero permette una gestione

del mito ancora più efficace.

Si può desumere che già da un pezzo i più giovani siano attratti

da questa radicalità non impantanata, apparentemente, dal

burocratismo e politicismo, e decisamente più efficace nel

rispondere alle frustrazioni sociali.

L’Expo fa schifo, i commenti dei quotidiani sono stati indecenti

e ridicoli, con dei passaggi ignobili (poi parleremo di quelli

sinistrorsi) e questo genera un circolo vizioso…

Vista la crisi, viste le lacrime di coccodrillo, visto il finto

buonismo, i sacrifici, le false speranze, la sordità verso le

istanze dei più deboli, ma soprattutto il cattivo funzionamento

dei meccanismi della rappresentanza (siamo ancora una

democrazia? ci sono ancora stati democratici?), piaccia o

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 156

meno, il progetto non sembra così velleitario, soprattutto

perché non si propone assolutamente un cambiamento

dell’esistente, ma solo il suo annichilimento (smash

capitalism).

Ciò non significa che un progetto del genere non abbia grosse

falle (anzi, ne ha e di enormi, ma non è questo il momento di

parlarne), ma visto il contesto è un piano semplice che può

funzionare, quasi per inerzia, soprattutto se gli altri movimenti

rimangono impantanati nelle proprie contraddizioni.

Non è apologia: è solo una costatazione.

REAZIONI POLITICHE E FORZE DELL’ORDINE

Preso atto di ciò che si è scritto, per avere un’idea complessiva

bisogna analizzare anche ciò che è successo nel campo

istituzionale. Nel mare – tutto – nostrum dell’indignazione a

comando alcune reazioni politiche potrebbero stupire, almeno

di primo acchito.

Vuoi Alfano e vuoi il Corriere, alla fine in molti han confessato

che per ciò che è successo si è pagato un dazio ragionevole. E

qua, bisogna dirlo, non solo sono sinceri, ma hanno anche

ragione.

D’altronde è grazie a queste affermazioni che possiamo intuire

quali sono state le dinamiche circostanziali in cui è avvenuta la

Noexpo Mayday.

È evidente che la presenza di un blocco nero era nota alla

Digos, ed è altrettanto chiaro che la stessa Digos non nutriva

nessun dubbio sul fatto che una parte degli organizzatori non

aveva idea di ciò che sarebbe successo. Chi invece era a

conoscenza della situazione non aveva il potere di impedirlo.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 157

Facendo un paio di calcoli gli Interni, con le forze dell’ordine e

il sindaco di Milano hanno giustamente valutato che un

centinaio di vetrine (in gran parte assicurate) e qualche decine

di vetture sarebbero state un conto ben solvibile.

Al limite il sindaco a cosa s/fatte (come è stato) avrebbe

potuto stanziare dei fondi facendo anche bella figura: in ogni

caso si sono sprecati così tanti miliardi per l’Expo che qualche

milione in più e in meno non avrebbe fatto nessuna differenza.

Ma la parte più fine del ragionamento inizia proprio da questo

punto. Scontri di questo tipo, ben indirizzati, hanno tre

elementi che possono anche essere rivoltati virtuosamente

nella gestione politica della piazza presente e futura, talmente

positivi da costituire una priorità nella gerarchia delle

decisioni:

Primo: intervenendo e caricando il blocco nero si sarebbe

rischiata la generalizzazione lo scontro coinvolgendo sia il

ventre molle della manifestazione sia i servizi d’ordine

preparati degli spezzoni più organizzati e quindi si sarebbe

ottenuto un effetto boomerang diffondendo il conflitto,

trasformando uno scontro di posizione fra bande militarizzate

(come è stato in pratica) in scontro diffuso.

Ciò implica che a posteriori si sarebbe dovuto fare i conti con

uno scenario che avrebbe dovuto includere considerazioni

socio-politiche più problematiche (la rabbia diffusa, la

precarietà, lo spreco di risorse eccetera).

Secondo: il fatto che una falange nutrita ma ben definita abbia

devastato la città consente a tutti (i soggetti sopracitati) di

nascondersi dietro la retorica degli scontri operati da un

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 158

gruppo di facinorosi, in gran parte stranieri e bla bla bla. Così si

è potuta giocare la carta del corpo estraneo e criminale.

Massima autogiustificazione politica per i Potenti

(semplificazione narrativa efficace).

Terzo: questo consente anche di annoverare (con candido

democraticismo) i poveri organizzatori e gli ignari partecipanti

fra le vittime, ma facendo questo implicitamente si afferma e

sottolinea la loro impotenza, la loro ingenuità, e il fatto che

debbano essere loro stessi tutelati e protetti dalle istituzioni.

Questo è l’obiettivo politico principale: la delegittimazione di

un gruppo autorevole.

In questo senso il blocco nero e le forze dell’ordine hanno

giocato la stessa partita – con obiettivi diversi e su fronti

diversi, sia chiaro. I primi per delegittimare la componente da

loro considerata un competitor politico e accusata di essere in

fondo una componente riformista. Dei secondi abbiam già

detto.

En passant è già chiaro che il Potere (anche questa

semplificazione, non giornalistica, ci aiuta) sta già prendendo

le misure verso il blocco nero, verso le sue tattiche e le sue

debolezze. Chi usa chi? È chiaro che le dinamiche di piazza

sono state incredibilmente mutevoli… e significative.

NOEXPO MAYDAY

Da quello che si è scritto risulta chiaro che dire che la polizia

non è intervenuta è una valutazione completamente sbagliata:

lo ha fatto, prima con un’opera di intelligence evidentemente

accurata, poi ha messo in campo una tattica dettata da

un’analisi costi e benefici (tenendo conto degli avvenimenti

caldi degli ultimi 15 anni, della sentenza europea sulla tortura

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 159

al G8 di Genova, delle priorità legate all’inaugurazione) e lo ha

fatto soprattutto mettendo in campo una strategia

complessiva di minimizzazione dei danni e massimizzazione

degli obiettivi politici.

Si noti che tutti parlano della minimizzazione, nessuno della

massimizzazione, poiché farlo significherebbe ammettere

implicitamente che lo Stato gioca duro per difendere

l’interesse di pochi (magari risarcendo le vittime, ma solo

come secondo fine, nella voce: gestione effetti

collaterali). Quindi le “tute nere” hanno fatto il loro gioco e le

istituzioni, con il loro braccio armato, hanno risposto con le

proprie carte. Ma gli organizzatori? La galassia Noexpo cosa ha

pensato di fare?

(I pareri espressi in questa parte che criticano l’organizzazione

della Mayday riguardano alcuni punti politici e sono formulati

senza lingua biforcuta e senza false diplomazie, ma si devono

prendere come elementi di discussione e non come giudizi.

Sono note perfettamente le insidie di piazza e tutte le

difficoltà annesse e connesse)

E qua viene la parte dolente e la parte più interessante. La

Mayday è nata come manifestazione del protagonismo

precario, il suo senso più pregno probabilmente si era esaurito

con le prime dieci/dodici edizioni (non la necessità del

protagonismo precario, si badi bene, solo la necessità della

Mayday).

È sopravvissuta, giustamente, solo in vista della concomitanza

con l’inaugurazione Expo, e quindi si è riproposta ogni anno in

attesa del big bang. Ma per strada ha perso un certo

mordente, riducendo le proprie prospettive intorno ha

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 160

un’indignazione (giusta, ma non sufficiente) legata agli sprechi,

alla corruzione e catalizzando la propria azione nella critica

delle grandi opere, della cementificazione, concentrandosi

contro lo sviluppo in/sostenibile legato alle politiche di

sfruttamento delle risorse territoriali (anch’esse tutte cose

condivisibili).

Però l’impressione è che si sia perso per strada il nodo

centrale: le dinamiche della precarizzazione (che è un altro

piano rispetto a quello dell’intervento nel lavoro precario e

gratuito dell’Expo, intervento legittimo, ma uno dei tanti

interventi legittimi).

L’Expo è sbagliata per tutte le cose sopra elencate ma

l’esposizione universale, come altre grandi opere, deve essere

combattuta soprattutto poiché sottrae risorse a ciò che

dovrebbe invece essere fatto: cambiare il workare state,

introducendo politiche di reddito capaci di ridurre le

precarizzazione. Ovvero, la necessità è quella di riproporre con

continuità l’orizzonte di un nuova civiltà di diritti per i nuovi

soggetti precarizzati. In questi tempi della precarietà se ne

parla di meno – poiché nella crisi qualsiasi lavoro va bene – ma

rimane la madre di tutti i mali (compresa la crisi).

È la causa della pauperizzazione generale, della perdita dei

diritti, dell’impoverimento della produzione italiana, della fuga

di cervelli, dello spreco delle capacità e delle conoscenze

accumulate dalle generazione precarie e smarrite in lavori

dequalificati, della criminalizzazione dei migranti, e del

razzismo strisciante. E non ultimo – volendo fare i liberal – la

precarietà è anche causa della generale perdita d’importanza

del capitalismo nostrano (poiché le imprese se possono

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 161

guadagnare abbassando il costo del lavoro eviteranno di

investire sull’innovazione).

Quindi l’Expo è un male poiché sottrae risorse a una visione

più giusta e più ampia del futuro che dovrebbe addirittura

unire in un tratto antagonisti e sinceri democratici (sempre

che esistano)

Il primo obiettivo della Mayday avrebbe dovuto essere quello

di una redistribuzione della ricchezza prodotta, prima ancora

di porre il problema legittimo della qualità di questa ricchezza.

Finché ci sono sacche estesissime di povertà e precarietà

subordinare la riappropriazione della ricchezza alla critica

qualitativa dello sviluppo è un errore politico monumentale…

chi non percepisce le implicazioni pratiche di questo passaggio

è miope o non si misura quotidianamente con le

contraddizioni del presente.

Perso di vista questo punto, la contestazione all’Expo è

diventata molto più debole, unione di spezzoni separati, di

lotte importanti ma locali, unite da piccole assemblee, ma non

da una visione comune. La Mayday del 2015 è sempre stata

percepita come una data rischiosa, eppure l’unico modo per

tutelare un corteo senza dover mettere in campo legioni di

servizi d’ordine – cosa difficile e anche, forse, dispersiva di

energie – è quello di caricare politicamente l’evento esigendo

l’appropriazione delle ricchezze da parte dei più, costi quel che

costi, unito alla minaccia profetica di una ferma ritorsione

verso i responsabili delle speculazioni e dello sperpero di ciò

che ci spetterebbe, rilanciando un progetto reticolare potente

con queste indicazioni.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 162

Più è alto l’obiettivo e più alta è la tensione, più chiara è anche

la gestione successiva (ma non per questo è facile). È già

successo – in condizioni diverse, certo.

La “rabbia precaria” sarebbe dovuta rimanere come architrave

del corteo per rappresentarne l’unità progettuale, forse

avrebbe allontanato qualcuno, ma avrebbe anche imposto

un’autorevolezza a un corteo che impostato come sommatoria

di micro-macro-vertenze è diventato fortemente penetrabile e

vulnerabile con tutte le conseguenze che abbiamo visto [le

ripetiamo: gli scontri in piazza sono diventati una guerra fra

bande (questo è il problema, non gli scontri!), e la Reazione (in

questo termine non c’è nessuna semplificazione) ha potuto

giocare le sue carte terrificanti della totale delegittimazione

della contestazione Noexpo nella forma peggiore possibile

“difendendo” le povere vittime dei comitati che hanno preso

parte alla Mayday che avrebbero voluto, ed avrebbero dovuto,

poter manifestare pacificamente!”].

L’Expo rimane il vero blocco di interessi a cui imputare la

devastazione territoriale di Milano e il saccheggio di risorse più

che mai necessari ai territori e precari/e per autogovernare se

stessi e la propria vita. La Mayday poteva diventare un

problema in questo senso, un’azione continua di condanna

avrebbe creato difficoltà e seminato inquietudine.

Il senso è chiaro: la corruzione, i ritardi, l’infiltrazione mafiosa,

i posti di lavoro promessi e mai arrivati, i buchi di bilancio

eventuali devono rimanere motivo di indignazione, al limite

possono essere imputati allo stile tipico della superficialità e

approssimazione italiota, ma non devono assolutamente

essere visti congiuntamente come un Sistema organico e

organizzato che leva risorse ai più per dare a pochi. La

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 163

situazione è così diventata critica per i movimenti e favorevole

per i Poteri Forti: il peggior pericolo è diventato il Capro

Espiatorio…

FEDELI ALLA LIRA: OVVERO, NON CREDERE NEI MEDIA!

Una nota d’obbligo. Ciò che è successo colpisce duramente chi

si era esposto come organizzatore, ma la responsabilità è in

verità limitata da un contesto in cui pochi (chi?) potrebbero

affermare, senza essere ridicoli, di poter dominare una

situazione così difficile e complessa. Semplicemente le

contraddizioni devono essere affrontate anche prevedendole e

non solo sperando che non si manifestino.

Inoltre parecchi punti dolenti vengono da lontano: i movimenti

faticano a trovare una lettura unica delle dinamiche perverse

della società contemporanea, troppe le divergenze forse

alimentate dalla diffidenza fra le diverse realtà, che è alta,

come la gelosia dei propri percorsi. Poi, nella cosiddetta

sinistra tradizionale – e non aiuta – vi è un vuoto culturale e

politico imbarazzante, e una mancanza di coraggio ancora più

eclatante: basti leggere i pezzi sui quotidiani storici (tipo

Manifesto) o ascoltare (fatelo se non ne avete avuto la

possibilità) la registrazione della diretta su Radio popolare,

oppure il microfono aperto successivo alla manifestazione.

Oppure i vari commenti politici…. Anzi di più: non solo

mancano la lucidità o il coraggio, ma vi si nota un

atteggiamento addirittura pre-giudicante!

Non bisogna mai stancarsi di far notare ciò: fa specie che chi è

oggettivamente corresponsabile del dilagare della precarietà

(che tutto ha distrutto… una generazione dopo l’altra, le

nostre generazioni, ma anche l’influenza dei partiti e dei media

sinistrorsi – guarda te il destino quanto è beffardo!) giudichi

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 164

con durezza i tentativi di autorganizzazione in un contesto

obiettivamente difficilissimo.

Si pretendono risultati chiari, politici, immediati, si chiede con

una certa impazienza che ciò che è stato fatto dalla classe

operaia in decine e decine di anni, venga riproposto dai

precarizzati in un decennio, e si ignora (ma perché lo

ignorano? possibile che non rileggano criticamente la storia?)

quali difficoltà umane, culturali, sociali siano necessarie per

un’accumulazione originaria del sapere sperimentale,

elemento vitale per rifondare una scienza politica.

Vista anche e soprattutto l’eredità poco consistente del

patrimonio politico passato (anche questa è colpa nostra?).

Con lo stesso metro, facendo il confronto fra possibilità

economiche, organizzative e esperienza storica dovrebbero

pretendere parimenti che la Cgil prendesse il potere alle

Nazioni Unite ?!

Vabbè, questo, a ben vedere, è quasi scontato…

ERRARE O PERSEVERARE?

Per quanto il primo maggio non sia stata una buona giornata

per le lotte sociali che si sono rappresentate nella Noexpo

Mayday lo sforzo compiuto da queste realtà è enormemente

più importante delle critiche e dei piagnistei

moralisticheggianti che si sono uditi successivamente.

I precari e le precarie fanno quello che possono, sbagliando

molte volte, imparando altre.

Errare è umano, ai precari non resta che perseverare, basta

non rimanere 40 anni dalla parte del torto…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 165

Dalla parte del mostro: sul primo maggio e oltre

Hobo Bologna

Iniziamo con un punto fermo, con una scelta di campo, con

un’assunzione di parte: noi siamo stati nello spezzone delle

lotte sociali, in quello spezzone cioè che a Milano si è

organizzato per provare a determinare punti di rottura con

l’Expo e la sua logica. Solo a partire da questa presa di

posizione è possibile cominciare a discutere delle valutazioni

del primo maggio.

La prima valutazione da fare è che il primo maggio contro

l’Expo è stata una giornata importante. Lo è stata per la

partecipazione, per i livelli di conflitto, per la multiforme

tensione di rifiuto espressa e anche per le questioni che pone.

I commenti a caldo e del giorno dopo circolati nei media ed

espressi dai rappresentanti politici non stupiscono, vi è una

ricorrenza che non merita qui particolare attenzione: è infatti

inutile sprecare parole sui tentativi di criminalizzazione,

falsificazione e mistificazione, ognuno fa il suo lavoro per la

parte a cui fa riferimento. L’elemento che va invece

sottolineato è un altro: l’ormai completa autonomizzazione di

media e istituzioni politiche rispetto al contesto sociale.

Dentro la crisi, gli uni e le altre si pongono sempre meno il

problema di consenso e di comprensione dei contesti sociali

(anche di quelli da controllare e all’occorrenza criminalizzare),

assumendo invece l’irreversibile distacco rispetto ai soggetti

colpiti dalla crisi. Il loro problema diventa esclusivamente

quello del mantenimento e riproduzione delle proprie forme di

comando e privilegio: il potere diventa definitivamente

autistico. Questa autonomizzazione si riflette anche tra

opinionisti e realtà di movimento che, di fronte alle profonde

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 166

trasformazioni e terremoti prodotti dalla crisi, scelgono la

scorciatoia dell’autoreferenzialità. Meglio conservare quello

che si ha: se non è il potere, almeno è una cattedra da cui

parlare o una struttura da mandare avanti. Non è un caso che

più o meno tutti parlano delle “ragioni del No Expo oscurate”,

anche coloro a cui di quelle ragioni è mai fregato nulla. Come

se le ragioni vivessero disincarnate dai corpi che lottano per

affermarle, nel cielo delle idee e non nella dura materialità

della terra.

Ecco allora la specularità delle versioni. È stata rovinata la

festa, ci dicono in coro Renzi e Repubblica, Mattarella e il

Corriere della Sera, riferendosi alla loro fiera internazionale. È

stata rovinata la festa, ripetono in coro “il manifesto” e vari

compagni ricordando i bei tempi delle sfilate colorate. Ma

piaccia o non piaccia, quelle sfilate non torneranno più, perché

legate a un’altra fase e ad altri pezzi di composizione sociale.

Perché in mezzo c’è una crisi divenuta permanente, un

impoverimento di massa, precarietà e disoccupazione come

elementi strutturali. In chi concretamente non arriva alla fine

del mese, in chi non ha i soldi per pagare l’affitto, in chi per

tirare a campare è costretto a lavoretti per nulla creativi e

completamente serializzati, nei giovani che di un futuro non

hanno nemmeno sentito parlare, la voglia del colore tende a

spegnersi.

Una parte di queste figure era presente al corteo del primo

maggio. Molti di questi componevano lo spezzone delle lotte

sociali, forse il più numeroso, sicuramente quello più giovane e

più europeo – dell’Europa reale, non di quella che popola i

sogni degli europeisti di sinistra. Chi parla riduttivamente di

“blocco nero” è ancora una volta ostaggio della mania dei

colori: una felpa è una felpa e un passamontagna è un

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 167

passamontagna, indipendentemente dal loro colore servono

innanzitutto per impedire l’identificazione. Sotto – ed è la

sostanza che conta – vi sono la determinazione politica a

rompere divieti e compatibilità, la rabbia sociale di chi non

accetta le condizioni di impoverimento e privazione imposte.

Chiariamo ancora una volta: la rabbia non è né buona né

cattiva, è un dato di realtà. Non è in sé un progetto politico,

ma è difficile immaginare un progetto politico che non dia

forma anche alla rabbia.

Lo spezzone delle lotte sociali si è mosso in questa direzione,

provando a praticare l’obiettivo (la conquista dell’agibilità del

centro cittadino) e rivendicando un legittimo uso della forza. In

questa direzione, è definitivamente tramontata quella fobia

dell’immaginario simbolico che per tanti anni – anni molto

diversi da questi, ripetiamo – ha caratterizzato il movimento e

le sue pratiche, nella ricerca del connubio tra conflitto e

consenso, che talora diventava connubio tra simulazione ed

elezioni. Quell’immaginario ha condotto a una sostituzione dei

soggetti sociali con una loro rappresentanza simbolica; ora,

nella durezza della crisi, i primi irrompono sulla scena, in forme

spesso caotiche e contraddittorie, non colorate e

maledettamente crude. Il problema che adesso ci dobbiamo

porre è come evitare di ricadere in altre dimensioni

puramente simboliche, in cui il luccichio della vetrina da

infrangere sostituisce quella dei media da compiacere.

Rompere con l’Expo significa anche rompere con l’attrazione

per la merce-evento. Colpire un simbolo fa male alla

controparte solo se si incarna in un processo di lotta e

possibilità sociale (e ovviamente colpire una gelateria non fa

male nemmeno ai diabetici). L’obiettivo da praticare il primo

maggio erano le recinzioni d’acciaio e di scudi che impedivano

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 168

di conquistare il cuore della metropoli, e i livelli significativi del

conflitto si sono raggiunti nelle ripetute occasioni in cui

migliaia di persone hanno provato a forzarle. Senza arretrare

di fronte ai lacrimogeni e senza farsi abbagliare dai luccichii,

che distraggono lo sguardo e non permettono di praticare

l’obiettivo.

Ancor più dopo il primo maggio di Milano, è evidente come

l’alternativa sia tra una scommessa in avanti e una scelta di

marginalità. E in questa fase marginalità vuole innanzitutto

dire ritrarsi nei propri orticelli di fronte ai nodi sociali e politici,

scegliere cioè di adagiarsi nei propri colori e rifuggire da una

composizione mostruosa, che non si capisce e spaventa. Chi

parla di devastazione di Milano o è in malafede, oppure non

ha idea di cosa sia la devastazione della crisi. In ogni caso,

preferisce guardare altrove, al proprio ombelico, alle proprie

certezze, a quello che non c’è più. A chi parla di movimento

asfaltato chiediamo: chi è questo movimento a cui fate

riferimento? Le sue rappresentanze politiche? Chi aspetta il

sole della coalizione sociale? Chi ha nostalgia di quando i

precari erano creativi e colorati? Prima ancora di ogni critica o

distanza politica, c’è un problema di composizione di

riferimento: la composizione a cui fanno riferimento coloro

che piangono sulla MayDay No Expo rovinata è marginale

politicamente, non espansiva, certo non scomparsa ma in

tendenza non passano da lì i potenziali punti di rottura e

generalizzazione. Il punto è che la crisi ha prodotto nuovi

soggetti, caotici e mostruosi com’è la crisi, che possono

passare dall’accettazione del lavoro gratuito al nichilismo della

vetrina fine a se stessa. Ma è di qui che dobbiamo passare,

dalla scelta del mostro: non per esaltarlo, ma per trasformarlo.

Per trasformare cioè l’apparente rassegnazione in rifiuto e la

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 169

rabbia in progetto di rottura e costruzione di autonomia. Chi

non accetta questa sfida e si volta da un’altra parte, come è

successo a Milano, non solo sta al gioco dei buoni e dei cattivi,

ma non dà alcun contributo alla trasformazione di quelli che –

belli o brutti che siano – sono i soggetti reali.

Il primo maggio contro l’Expo non è stato un riot, perché le

rivolte sono fatte da soggetti sociali che si ribellano alla

condizione di marginalità, non da un insieme di realtà militanti

che si coordinano e provano a dare direzione all’eccedenza. Le

rivolte avvengono, le lotte si organizzano. Le une possono

essere alimento delle seconde, nella misura in cui la politicità

delle prime trova forma organizzata e si generalizza.

Sicuramente, però, dobbiamo porre i problemi all’altezza di

una fase storica in cui la rivolta – dalle banlieue a Londra fino

ad arrivare a Baltimora – diventa piano della politicità per fette

crescenti del proletariato metropolitano. All’oggi sappiamo

quello che non c’è più (e onestamente non ne sentiamo

neppure la nostalgia), non abbiamo ancora trovato quello che

ci può essere – e di questo ne sentiamo l’urgenza. Quello di cui

c’è bisogno sono nuove pratiche di lotta e radicamento

progettuale adeguate alla fase e alla composizione sociale

colpita dalla crisi. C’è bisogno di reti e connessioni non solo

sull’evento, ma sostenute dalla produzione di discorso politico

avanzato e metodi comuni, da tensione strategica e

intelligenza tattica.

A chi osserva il proprio ombelico, voltando sdegnato lo

sguardo dal mostro per cecità o opportunismo, diciamo con il

buon senso materialista: benvenuti nel deserto del reale. In

questo deserto dobbiamo organizzarci, perché l’unico mondo

possibile è quello che passa dal rivoluzionamento di quello che

viviamo. Ben sapendo, come ci ricordava il leader delle

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 170

pantere nere Huey P. Newton, che “il deserto non è un circolo.

È una spirale. Quando siamo passati attraverso il deserto,

niente sarà più lo stesso”.

Ps: due giorni dopo la manifestazione contro l’Expo, a Bologna

insieme a tante e tanti abbiamo contestato il ducetto Renzi a

una Festa dell’Unità svuotata di qualsiasi legittimità. Abbiamo

resistito alle cariche della polizia e al dispositivo di

militarizzazione del PD, abbiamo dimostrato ancora una volta

che attaccare il partito della nazione è possibile e necessario. E

che l’opposizione alla logica dell’Expo si costruisce il primo

maggio a Milano e tutti i giorni sui nostri territori.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 171

Sui “disordini” di Milano

Salvatore Palidda

Tanto per cambiare tutti i commentatori o pseudo-esperti si

sono subito improvvisati analisti dell’ordine pubblico per

commentare i disordini e danneggiamenti provocati il giorno

dell’inaugurazione dell’Expo a Milano dai cosiddetti black bloc.

Come si può facilmente costatare tutti i commenti riflettono la

profonda ignoranza che c’è in Italia dell’ABC della teoria e

delle esperienze in tale campo. Ignoranza che purtroppo è da

sempre dominante anche nei ranghi dei vertici delle forze di

polizia, grazie anche a scuole di formazione di agenti e

dirigenti che evidentemente si contentano di coltivare una

qualità valutata in base alla riverenza ai capi e alle

raccomandazioni (come si sa troppa cultura professionale

disturba chi comanda e preferisce yesmen ignoranti).

Proviamo a fare il punto su quanto è successo e sui diversi

attori nella scena del primo maggio milanese 2015.

1. E’ arci-risaputo che in Italia, in Europa e dappertutto da

sempre ci sono alcune centinaia e a volte anche migliaia di

giovani e giovinastri ma anche persone mature che cercano

l’occasione per “sfogarsi”, per “spaccare”, per “far casino”.

Occasione che a volte trovano in certi eventi come quello di

Milano o allo stadio o anche in certi megaconcerti ecc. La

quantità di queste persone e la loro disponibilità a queste

performances corrispondono, in genere, al “clima” economico,

sociale e politico. E’ ovvio che quando questo “clima” è

“burrascoso” o addirittura da cataclisma, le persone che “non

ne possono più”, che vogliono “sfogarsi” sono molto più

numerose. Ed è anche noto che quando non si sfogano con

queste modalità ne cercano altre, collettive o individuali, non

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 172

meno violente e distruttrici o auto-lesioniste. Nei paesi in cui

non c’è diritto di manifestare scoppiano disordine e violenze

durante le partite di calcio o di altri sport o durante riti

religiosi. Oppure proliferano i sabotaggi di vario tipo o gli atti

di vandalismo o le aggressioni nel vicinato o nelle scuole ecc. E’

sin troppo banale osservare che a Milano, prima ancora dei

black bloc c’erano tanti che volevano “sfogarsi” visto che

l’Italia ha un tasso di disoccupazione senza pari e visto che i

governi che si sono succeduti hanno aggravato le condizioni di

vita della stragrande maggioranza della popolazione e le

condizioni di lavoro da semi-schiavi o neo-schiavi di circa otto

milioni di persone (in maggioranza italiani), mentre è

costantemente aumentata la distanza fra ricchezza e povertà,

mentre si spende somme enormi per aerei da guerra come gli

F35, missioni militari (peraltro bidoni che gli Stati Uniti ci

rifilano grazie ai loro lecchini italiani) e mentre si elargiscono

sempre più risorse alle banche e per opere inutili come la TAV.

2. I black bloc possono essere considerati una sorta di network

di forse un migliaio di militanti europei postmoderni a modo

loro antiliberisti che puntano su alcuni eventi abbastanza

mediatizzati per proporre l’esempio di una pratica distruttiva

secondo loro unica risposta oggi possibile. Alcuni hanno detto

che a Milano sarebbero stati circa 1500, altri cinquecento,

probabilmente anche solo duecento, più o meno seguiti da

alcune centinaia di quelle persone che prima s’è detto “in

cerca di occasioni per sfogarsi”.

Allora, prima domanda ai dirigenti dell’O.P.: fra i vostri grandi

esperti analisti avete qualcuno capace di decriptare le

comunicazioni delle cerchie black bloc? Se sì, avreste dovuto

sapere abbastanza per stimare quanti sarebbero venuti a

Milano e come sarebbero arrivati e dove si sarebbero dislocati

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 173

ecc. (non certo così scemi da andare nei centri sociali come il

Giambellino!).

Seconda domanda: con tutti gli undercover o agenti sotto-

copertura che hanno tutte le polizie nonché i servizi segreti dei

vari paesi europei come mai non è possibile seguirli e fermarli

in tempo? Bisogna sospettare che qualcuno preferisce lasciarli

fare secondo l’adagio che “un po’ di casino fa sempre comodo

a qualche dirigente di polizia se non a tutte le istituzioni

deputate a garantire l’O.P.?

Terza domanda: sin da Delamare, von Justi, Turquet de la

Marenne, Peel (ma vedi caso di italiani teorici della polizia non

ce n’è …) e altri, si sa che la polizia dello stato moderno viene

creata perché non si può usare l’esercito per sedare le rivolte

che inevitabilmente si riproducono a causa dell’aumento delle

ingiustizie economiche e sociali oltre che delle angherie (vedi

Polizia postmoderna, 2000; Polizia e protesta. L’ordine

pubblico dalla Liberazione ai “no global’, 2004. L’esercito

spara, come fece Bava Beccaris che nel 1898 sparò cannonate

contro la folla della “protesta dello stomaco” (per “brillante”

operazione ricevette dal re grandi riconoscimenti, un po’ come

è stato per De Gennaro per la sua performance al G8 di

Genova). Per definizione, l’azione militare è contro un nemico

che deve essere sopraffatto o annientato e costretto alla resa.

Lo sviluppo capitalista non può sempre trattare le “classi

laboriose” come “classi pericolose” (come le chiamava Louis

Chevalier), cioè come i sovversivi perché la guerra civile

permanente “non fa bene” all’economia. Perciò lo stato

borghese un po’ illuminato creò la polizia come istituzione che

avrebbe dovuto essere capace di separare i facinorosi dai

semplici manifestanti. Si tratta quindi di quella che si chiama

“chirurgia sociale”. Per realizzare questa la polizia si dota di

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 174

quella che diventa la “squadra politica” e che oggi dovrebbe

essere la Digos oltre che i servizi e unità simili (vedi i ROS).

Dovrebbero essere questi gli agenti in borghese infiltrati o che

seguono e conoscono i cosiddetti “sovversivi”. E dovrebbero

essere questi “poliziotti politici” in grado di mantenere

rapporti di collaborazione con i leader dei manifestanti pacifici

(sindacalisti, leader di partiti o associazioni ecc.) e quindi con i

“servizi d’ordine” dei manifestanti (come s’è sempre fatto in

passato, esplicitamente o tacitamente). Ne consegue che in

caso di provocatori infiltrati nei cortei sono i “poliziotti politici”

e i militanti dei servizi d’ordine a isolare e a volte arrestare il

provocatore di turno. Allora perché a Milano tutto ciò non è

successo? E, peggio, perché ancora una volta come a Genova, i

veri black bloc non sono stati isolati e intrappolati? E’ ovvio

che questo non di deve e non si può chiedere alle unità mobili

di agenti che palesemente sono sembrati alquanto allo sbando

E anche qui: che formazione hanno in particolare i loro capi?

Dove hanno imparato la gestione del disordine? (dal Dott.

Roberto Sgalla primo funzionario a uscire dalla Diaz al G8 di

Genova?).

3. Un aspetto rilevante non va sottovalutato: checché ne

dicano i benpensanti di regime (stile Servegnini) capaci solo di

coprirli di vituperi, i black bloc sono attori politici che agiscono

a modo loro. Se quest’agire è illegale che lo Stato sia in grado

di punirlo! Ma uno Stato un po’ intelligente dovrebbe chiedersi

perché si riproduce conflittualità politica radicale. E comunque

non va trascurato il fatto che a Milano nessuno ha usato armi

da fuoco; il che vuol dire che, nonostante lo spirito criminale

che si pretende attribuire ai black bloc, questi non possono

essere considerati criminali al pari degli assassini che sono

ancora peggio fra i responsabili di disastri sanitari e ambientali

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 175

e delle guerre e degli annegamenti di persone che le fuggono a

causa del proibizionismo europeo e dei paesi dominanti.

Speculare sui fatti di Milano per criminalizzare ancora una

volta il movimento NO-TAV è vile! E’ arcinoto che questo

movimento non ha nulla a che spartire con i black bloc.

Allora dire che a Milano abbiamo visto all’opera la “nuova

strategia delle forze dell’ordine per la gestione dell’O.P.” non

regala tanto onore alle forze di polizia che peraltro, contro le

norme europee, solo in Italia continuano a essere tante

quando questa come altre attività dovrebbe essere svolta da

una sola forza rigorosamente formata nel rispetto anche del

Codice etico europeo

(http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=

Sindisp&leg=17&id=716903).

Vedi anche

http://www.alfabeta2.it/2015/04/12/g8-genova-2015-fra-ignoranza-e-

falsificazioni/

http://www.alfabeta2.it/2014/11/02/impunita/

http://www.alfabeta2.it/2014/05/11/sulla-polizia-postmoderna/

http://www.alfabeta2.it/2015/04/21/la-strage-continua/

http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=ricerca&action=

risultati&where=Palidda

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 176

Milano, i riot che asfaltano il movimento

Luca Fazio – il manifesto

Le fiamme si sono appena spente, c’è ancora tanto fumo per le

strade di Milano. A freddo, una volta dato sfogo al prevedibile

sdegno, qualcuno dovrà pur avere il coraggio di ammettere

una cosa piuttosto semplice, che ovviamente non nasconde il

problema, anzi, ne pone più di uno: è andata esattamente

come doveva andare. Lo sapevano tutti, era previsto da mesi.

Non è stata una festa la May-Day 2015 e forse il peggio deve

ancora accadere. In questo momento ci sta pure la retorica

della “Milano ferita”, però sarebbe più utile cercare di

abbozzare qualche ragionamento.

I fatti sono noti, è stata la manifestazione più spiata e

fotografata degli ultimi anni. Una parte del centro storico di

Milano, quella intorno a piazzale Cadorna — era previsto

anche quello — è stata attaccata con una furia che non si era

mai vista. Automobili date alla fiamme, finestrini mandati in

frantumi con una rabbia disperata al limite

dell’autolesionismo, lanci di bottiglie contro la polizia, vetrine

infrante, accenni di barricate, negozi sfasciati. Silenzio

assordante, rumori di cose che si spaccano, nuvole di

lacrimogeni e adrenalina che sale quando poliziotti e

carabinieri si innervosiscono e sembrano davvero intenzionati

a fare sul serio.

La confusione è tanta, ci sono stati fermi ma non è chiaro

quanti, si dice una decina di ragazzi. Ci sarebbero undici feriti

tra gli agenti.

Lo spettacolo è desolante, sembrano immagini di un film

girato in un altro paese, e ne sono stati già fatti di

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 177

ragionamenti sulla rabbia cieca di chi si limita a spaccare tutto

per cercare di resistere in qual-che modo in un contesto dove

è facile sentirsi tagliati fuori. A vent’anni soprattutto.

Sono delinquenti? Può darsi, poi si sfilano l’impermeabile col

cappuccio — per terra ce ne sono decine — e hanno facce da

ragazzini qualunque. Sono violenti? Sicuramente, violenti che

si accaniscono sulle cose e non sulle persone. Lo scontro con la

polizia è solo mimato, virtuale come un video-gioco: viste le

forze in campo gli incappucciati non potrebbero neppure

pensare di avvicinarsi. La loro violenza è anche stupida e

vigliacca. Un’auto inutilmente spaccata, mica tutte Ferrari,

significa una persona colpita alle spalle e con l’aggravante

della casualità. Anche i “black bloc” hanno una macchina

parcheggiata da qualche parte.

A proposito. Qualche commentatore poco razionale, non

l’editorialista di Libero o de il Giornale, a caldo ha detto che la

polizia ha lasciato fare e che dovrà rispondere della gestione

della piazza.

Molto semplicemente, invece, la polizia ha agito con grande

freddezza e intelligenza.

Non c’è stato alcun contatto con i manifestanti. Non si è fatto

male nessuno. Ci sono decine di automobili sfasciate e

probabilmente un conto salato da pagare per tutti quei gruppi

organizzati che invece sono stati almeno capaci di “portare a

casa” un corteo determinato. Molto numerosi, almeno

trentamila, a tratti anche felici di esserci. Per nulla spaventati,

tantomeno sorpresi, per quello che stava accadendo nelle

retrovie.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 178

La polizia poteva evitare lo “sfregio alla città”? Forse sì, se il

ministro degli Interni avesse deciso di rispolverare il metodo

Genova e dare la caccia ai ragazzini che si sono mascherati da

blocco nero. Adesso che (forse) è tutto finito si può azzardare

la domanda: sarebbe forse stato meglio se ci fosse scappato il

morto? Anche quello era previsto che non dovesse accadere, e

meno male.

Angelino Alfano, almeno oggi, non si deve dimettere, le regole

di ingaggio erano queste, la polizia non voleva il contatto con il

blocco nero.

A proposito. Analisti e dietrologi se ne facciano una ragione. I

cosiddetti “black bloc” non vengono da Marte, non si sono

“infiltrati” nel corteo e non sono nemmeno al soldo della

spectre. Ci sono, sono un problema e bisognerà tenerne conto.

Erano nel corteo, dentro, nemmeno in fondo. Gli spezzoni

della manifestazione hanno dovuto giocoforza tollerarli e

cercare di tutelare il corteo da una reazione della polizia che a

un certo punto sembrava scontata.

La May-Day era contro il blocco nero? Questo movimento,

questa piazza, che è pur sempre il massimo che oggi si possa

esprimere, non ne aveva la forza. Né militare, né politica.

Questo è un limite.

Ecco perché questo primo maggio è “politicamente”

disastroso.

Un’altra nota, non marginale. Quella di ieri, al netto di tutti i

dispositivi di protezione che il corteo stesso ha messo in atto,

era una piazza pericolosa. Eppure lì dentro hanno trovato

posto ragazzini e ragazzine smarriti alla prima manifestazione,

persone assolutamente non violente, decine di bande musicali

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 179

che hanno continuato a suonare a festa. Si sono viste anche le

solite vecchie volpi con la coda tra le gambe che non parlano

più la stessa lingua delle piazze. Ma è come se inconsciamente

ci si stesse abituando a considerare che ormai è nelle cose

aspettarsi un conflitto sempre più aspro e con accenti

disperati, senza obiettivi e tantomeno prospettive.

Banalmente: questa stessa piazza, dieci anni fa, sarebbero

state due. I cattivi dietro a prenderle, gli altri davanti con le

loro buone ragioni.

Gli “altri”, adesso, devono fare i conti con la realtà.

D’ora in poi, come governare la piazza, ammesso che ci siano

altre occasioni altrettanto importanti, diventerà un problema

quasi insormontabile. Perché la giornata di ieri significa che

nessuno a Milano, e anche altrove, ha più l’autorevolezza di

poter decidere come si deve stare in un corteo.

Questo è un problema politico: a posteriori, è chiaro che non si

può accettare con leggerezza la convivenza con chi ha come

uno unico obiettivo quello di spaccare tutto e basta.

Quanto al futuro, possiamo dire che sull’opportunità di cedere

fette di sovranità a chi non vive e non lotta in questa città (e

che certo non ne pagherà le conseguenze) è bene aprire un

dibattito una volta tanto sincero.

I ragazzi e le ragazze del “blocco nero” si sono sfilati le felpe e

sono a casa che si godono lo spettacolo dell’informazione

main-stream, hanno vinto.

Qui a Milano, a leccarsi le ferite, rimane un movimento che

rischia di essere asfaltato per i prossimi anni a venire. La

polizia, che oggi è sotto botta, potrebbe anche decidere che il

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 180

limite è stato superato. Questa mattina le “autorità” si

guarderanno negli occhi durante una seduta straordinaria del

Comitato per l’ordine e la sicurezza.

E qui a Milano è già cominciata una campagna elettorale che,

anche alla luce di quello che è successo, non promette nulla di

buono. L’Expo ha ancora sei mesi di vita, i No Expo hanno

cominciato nel peggiore dei modi.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 181

Dalla parte dei “teppisti”

Franco Berardi “Bifo”

Di prima mattina ho fatto una ricognizione per Milano per

decidere che fare.

Piovigginava e l’asma mi rallentava il passo: dopo aver

camminato un’oretta ho capito che era meglio tornarmene a

Bologna. Si sapeva che a un certo punto sarebbe scoppiata la

baraonda. La polizia non poteva farci niente per una ragione

facile da capire: gli occhi di tutto il mondo erano puntati

sull’inaugurazione dell’EXPO, un morto nelle strade di Milano

non sarebbe stato buona pubblicità. A Genova quindici anni fa

(come passa il tempo!) il potere intendeva dimostrare che i

grandi del mondo sono inavvicinabili e se ci provi ti ammazzo.

A Milano intendeva dimostrare di essere tollerante. Da una

parte si fa festa con Armani e Boccelli perché ormai i giovani

sono talmente frollati dalla disperazione che fanno la fila per

poter servire gratis al tavolo di Monsanto e di McDonald.

Dall’altra si permette di sfilare a qualche migliaio di

sessantenni i quali, poveretti, credono che per telefonare ci

vuole il gettone, e quindi sono ancora dietro a quelle vecchie

storie dei diritti.

Poi tremila teppisti hanno rovinato il banchetto, tutto qui.

Ho letto l’articolo di Luca Fazio e vorrei esprimere un’opinione

diversa dalla sua. Fazio scrive che i teppisti hanno rovinato una

manifestazione democratica.

Sarò brutale con spirito amichevole: a cosa serve manifestare

per la democrazia? che utilità può avere sfilare per le vie della

città dicendo: diritti, costituzione, democrazia?

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 182

Io lo faccio talvolta (quando l’asma me lo permette) per una

ragione soltanto: incontro i miei amici e le mie amiche. E’ quel

che ci è rimasto della sfera pubblica che un tempo

chiamavamo movimento. Ma non penso neanche

lontanamente che si tratti di un’azione politicamente efficace.

C’è ancora qualcuno che creda nella possibilità di fermare

l’offensiva finanzista europea, o l’autoritarismo renziano con

pacifiche passeggiate e referendum?

A proposito: ci sarà un referendum contro la legge elettorale

denominata Italicum. Probabile. Giusto per riepilogare voglio

ricordarvi gli antefatti. Esisteva una legge elettorale

denominata Porcellum (perché coloro che la avevano

promulgata dichiararono fra le risate che si trattava di una

porcata). La Consulta dichiarò quella legge incostituzionale,

dunque sancì l’illegittimità del Parlamento eletto con quella

legge. Fino al 2011 c’era almeno un Primo Ministro votato da

una maggioranza. Si chiamava Berlusconi (remember?). Fu

esautorato per volontà della Bundesbank, venne un primo

ministro direttamente eletto dalla finanza internazionale di

nome Monti. Il disastro fu tale che si tornò alle urne. Le urne

risultarono enigmatiche, e dopo varie tergiversazioni emerse

un tizio che nessuno ha votato ma nei sondaggi risultava

vincente. Dal momento che questo tizio ha la fiducia dei

mercati il Parlamento, eletto con una legge incostituzionale,

ora si prostra ai suoi piedi. La cifra vincente del governo Renzi

è il totale disprezzo delle regole costituzionali, perciò un

parlamento incostituzionale vota una legge elettorale

incostituzionale imponendola con il voto di fiducia. Tombola.

A questo punto qualcuno raccoglierà le firme per un

referendum.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 183

Referendum? Io ne ricordo un altro: il 90% del 70% degli

elettori votarono contro la privatizzazione dell’acqua. Vi risulta

che la privatizzazione dell’acqua sia stata fermata? A me

risulta il contrario. E allora perché dovrei andare a votare al

prossimo referendum?

Qualcuno mi risponde: per difendere la democrazia.

Democrazia? Ma di che stai parlando? L’80% dei greci

appoggia il suo governo, ma la Banca Centrale europea ha

detto con chiarezza che le regole non le stabilisce l’80% dei

greci, ma il sistema bancario, quindi che i greci vadano a farsi

fottere, e con loro la democrazia.

Ma torniamo a Milano. Tremila teppisti spaccano tutto? Non

esageriamo, ma certo hanno fatto abbastanza fumo. E i

giornali parlano di loro più che di Renzi Armani e Boccelli.

Come posso non essergliene grato?

Sto forse proponendo una strategia politica? Credo io forse

che spaccando le vetrine di tre banche (o magari di trecento o

di tremila) il potere finanziario si spaventa? Non scherziamo.

So benissimo che il potere finanziario non sta nelle vetrine

delle banche, ma in un circuito algoritmico virtuale che

nessuna azione teppistica può distruggere e nessuna

democrazia influenzare. So benissimo che mentre tremila

spaccavano vetrine diciassettemila e cinquecento correvano a

lavorare gratis e questo è l’avvenimento più importante. So

benissimo che nell’azione teppistica non vi è alcuna strategia

politica. Ma c’è forse una cosa più seria. C’è la disperazione

che cresce, limacciosa e potente, ai margini del mondo

levigato.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 184

Cosa ne pensa Fazio (al quale rivolgo un saluto in amicizia) dei

teppisti di Baltimore e di Ferguson? Pensa che dovrebbero

avere fiducia nella democrazia?

Io ricordo di avere visto (era la CBS?) un’intervista a una

ragazza che stava in strada a New York una notte del

novembre 2014. Il giornalista le chiedeva qualcosa sui bianchi

e sui neri e lei rispose: “This is not about white and black. This

about life and death.”

Nel tempo che viene non capirete niente se penserete alla

democrazia. Occorre pensare in termini di vita e di morte, e

allora si comincia a capire.

Ci stanno ammazzando, capito? Non tutti in una volta. Ci

affogano a migliaia nel canale di Sicilia. Un numero crescente

di ragazzi si impiccano in camera da letto (60% di aumento del

tasso di suicidio nei decenni del neoliberismo, secondo i dati

dell’OMS). Ci ammazzano di lavoro e ci ammazzano di

disoccupazione. E mentre la guerra lambisce i confini

d’Europa, focolai si accendono in ogni sua metropoli.

Perché dovrei preoccuparmi dell’Italicum? E’ una forma di

fascismo come un’altra.

Abbiamo perso tutto, questo è il punto, e il primo maggio 2015

potrebbe essere il momento di svolta, quello in cui lasciamo

perdere le battaglie del passato e cominciamo la battaglia del

futuro. Non la battaglia della democrazia né quella per i diritti,

meno che mai la battaglia per la difesa del posto di lavoro, che

è stata l’inizio di tutte le sconfitte.

La battaglia necessaria (e forse a un certo punto anche

possibile) è quella che trasforma la potenza della tecnologia in

processo di liberazione dalla schiavitù del lavoro e della

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 185

disoccupazione. Quella battaglia si combatterà cominciando a

comportarci come se il potere non esistesse, rifiutando di

pagare un debito che non abbiamo contratto, rifiutando di

partecipare alla competizione del lavoro e alla competizione

della guerra.

E’ impossibile? Lo so, oggi è impossibile, i giovani che hanno

aperto gli occhi di fronte a uno schermo uscendo dal ventre

della madre si impiccano a plotoni perché per loro il calore

della solidarietà politica e della complicità amichevole sono

oggetti sconosciuti. Ma se vogliamo parlare con loro è meglio

che lasciamo perdere i gettoni, la democrazia e i diritti. E’

meglio che impariamo a parlare della vita e della morte.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 186

La prova di forza che mima la rivolta che non c’è

Marco Bascetta, Sandro Mezzadra

Non sappiamo quali siano stati i motivi che hanno indotto la

Rete No Expo a rinviare l’assemblea prevista per domenica 3

maggio (l’assemblea, si legge nel sito della rete, «si riconvoca

nei prossimi giorni»). Resta il fatto che, dopo quanto avvenuto

in piazza durante la May-day, un importante spazio di

confronto politico si è chiuso.

E quelle che dovevano essere le «cinque giornate di Milano»,

preludio a sei mesi di «alterexpo», sono state fagocitate, non

solo sui media mainstream ma anche nell’esperienza di

migliaia di attivisti/e, da un paio d’ore di duri scontri.

Il risultato è un certo spaesamento diffuso, la difficoltà nel

prendere parola e nel rilanciare la mobilitazione (cosa che

comunque la Rete No Expo fa con un comunicato).

Meno di due mesi fa, a Francoforte, le cose erano andate in

modo diverso. Il tentativo di blocco dell’inaugurazione della

nuova sede della Bce era stato accompagnato da azioni e

comportamenti non dissimili da quelli che si sono visti a

Milano (pur in altre condizioni, dispiegandosi parallelamente a

un insieme di blocchi appunto, e non durante il corteo che ha

attraversato la città).

E tuttavia la coalizione Blockupy, sottoposta a duri attacchi da

parte dei media e delle istituzioni, era stata in grado di

riaffermare immediatamente le ragioni dell’opposizione

all’austerity e della costruzione di uno spazio transnazionale di

azione politica contro il management europeo della crisi. Le

stesse iniziative «militanti» assunte da gruppi esterni alla

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 187

coalizione avevano finito per illuminare quelle ragioni, o

comunque non le avevano oscurate.

È quel che non è avvenuto a Milano. A noi pare che nella

preparazione delle iniziative contro expo siano convissute due

prospettive piuttosto diverse: da una parte quella che

individuava nella manifestazione espositiva un grande

laboratorio sociale, in cui venivano sperimentate nuove forme

di sfruttamento e di messa al lavoro della cooperazione

sociale, in cui si forgiavano nuovi spazi urbani, nuove gerarchie

e nuovi immaginari (e se ne rilanciavano al contempo altri,

niente affatto nuovi, come segnalato ad esempio dalla

campagna contro «WeWomen for Expo»); dall’altra quella che

considerava l’Expo come la realizzazione paradigmatica di una

«grande opera».

Ci sembra evidente che la prima prospettiva, attorno a cui in

questi anni sono nate importanti esperienze di inchiesta e

sono stati messi in campo generosi tentativi di

autoorganizzazione e di lotta, è risultata completamente

spiazzata durante la May-day: non è cioè riuscita a imporsi

come polo di aggregazione e di indirizzo politico. A prevalere è

stata la seconda: assunta l’Expo come simbolo delle «grandi

opere», il simbolismo è dilagato tra le fiamme e le bombe

carta, con una serie di slittamenti che dalle banche e dalle

agenzie immobiliari sono giunti a investire normali negozi e

qual-che utilitaria.

È un punto che va ribadito: a Milano tutto si è giocato sul

piano del sim-bo-lico. Non v’è stata espressione di una rabbia

sociale diffusa (che pure non manca), ma azione organizzata di

soggetti che hanno scelto di attaccare i sim-boli del «potere» e

del «cap-tale» perché convinti – almeno una parte significativa

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 188

di essi – che non vi sia alternativa a una politica di pura

distruzione, che non vi sia alcuno spazio per una lotta capace

di distendersi nel tempo, di consolidare delle conquiste e di

affermare nuovi principi di organizzazione della vita e della

cooperazione sociale. Davvero il paragone con Ferguson e

Baltimora, con movimenti di rivolta sociale che attraversano,

coinvolgono e dividono intere comunità, è fuori luogo, a meno

che non ci si voglia fissare esclusivamente sulle apparenze,

sulle forme e sulle immagini dello scontro!

Si potrà poi dire che qualche vetrina infranta, qualche banca e

qualche automobile in fiamme non sono nulla di fronte alla

violenza quotidiana della crisi, della povertà e delle guerre, che

il disordine e la violenza che regnano nel mondo si sono

palesati per una volta con segno rovesciato.

Si potrà aggiungere che il riot milanese ha rovinato lo

spettacolo della città tirata a lustro per l’Expo, ha offerto un

contro-canto alle fiamme tricolori e agli orribili pennacchi dei

carabinieri in tenuta di gala, alle penose retoriche del «futuro

che comincia adesso» e dell’«aspirazione di rimettersi all’onor

del mondo». A noi sembrano, nel migliore dei casi, magre

consolazioni: nelle strade di Milano, il primo di maggio,

abbiamo visto piuttosto l’immagine della nostra impotenza,

della nostra incapacità di mettere in campo forme efficaci di

azione politica orientata alla destrutturazione dei rapporti di

sfruttamento e alla trasformazione radicale dell’esistente.

Abbiamo sempre pensato che l’esercizio della forza da parte

dei movimenti debba essere commisurato prima di tutto a un

principio: quello degli spazi politici che è in grado di aprire,

dell’effettivo avanzamento del terreno di scontro che

determina, delle conquiste e delle mediazioni che garantisce e

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 189

consolida. Difficilmente questo principio può essere appli-cato

a quanto abbiamo visto a Milano: il simbolismo dello scontro è

stato esasperato fino ad assumere forme iperboliche, secondo

una logica della messa in scena e della rappresentazione (mai

troppo lontana dall’aborrita rappresentanza) di una rivolta che

continua a non manifestarsi nella quotidianità.

Ripensare forme conflittuali espansive e condivisibili, radicarle

nei rapporti e nelle lotte sociali in modi capaci di moltiplicare

la partecipazione, il consenso e il «contagio» torna a essere un

problema politico fondamentale.

Non auspichiamo certo piazze e manifestazioni pacificate (del

resto, la «nuova etica» della polizia celebrata dai media, si è

estinta nel giro di due giorni spaccando le teste senza casco

nero di chi fischiava Renzi a Bologna): si tratta piuttosto di

costruire collettivamente, e dunque politicamente, le

condizioni perché la stessa espressione di antagonismo e

rabbia trovi forme di canalizzazione affermativa, al di là di ogni

estetica della distruzione.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 190

Milano, no Expo:

tanti danni alle cose… nessun ferito

Lanfranco Caminiti

Chi c’è stato la racconta più o meno così: «Ho fatto tutto il

corteo. Ho anche seguito da vicino gli incidenti. Ero lì.

Cominciamo a dire le cose come stanno. Gli incidenti ci sono

stati e hanno avuto per protagonisti un corposo, compatto

blocco di cinquecento o poco più ragazzi, per lo più molto

giovani, che forse appartenevano all’area anarchica, ma non

tutti (non è che sono andato a chiedere loro a che cosa

facessero riferimento: diciamo che stavano intruppati dietro a

un camion con insegne anarchiche). Tra loro pochi stranieri:

non è vero che ci fosse un massiccio arrivo di blocchi stranieri.

Era un bel corteo, di venti-trentamila anime. Combattivo e

con le idee chiare. E Milano non è stata messa “a ferro e

fuoco”. Gli incidenti e i danneggiamenti sono circoscritti alle

strade percorse dal corteo. Sono cominciati in via De Amicis e

sono finiti a Largo Pagano, dove c’è stata una carica di

alleggerimento dei carabinieri e della polizia. È su quel

percorso che sono state sfasciate le vetrine (primo obiettivo: le

banche, poi tutto ciò che era lì vicino: questi non vanno troppo

per il sottile). Non ho visto usare molotov. Le auto che avete

visto bruciare non sono state colpite da bottiglie incendiarie. I

“bloc” ne hanno rotto i vetri, poi hanno tirato dentro fumogeni

o altro materiale che bruciava, non molotov. È per questo che

nelle auto che vedete bruciare nei filmati la combustione

sembra avvenire dall’interno. Vengono invece spesso usate le

bombe carta. Si lanciano pietre e bottiglie vuote. Fumogeni.

Quanto alla polizia, ai carabinieri e alla guardia di finanza,

insomma alle forze dell’ordine impiegate ieri a Milano, hanno

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 191

fatto un lavoro essenzialmente di contenimento. Presidiavano

a distanza le strade intorno, i viali di accesso al percorso,

usando i lacrimogeni e compiendo una sola, vera carica,

neppure tanto convinta, a Largo Pagano. Gli ordini

sembravano precisi: evitare i contatti diretti, contenere, a

costo di sacrificare le cose, qualche auto e un po’ di vetrine.

Milano, insomma, non è stata messa “a ferro e fuoco” e il

blocco nero non è “sciamato” per tutta la città».

Sembra un racconto minimalista, ma forse è il più aderente ai

fatti, lasciando da parte le considerazioni politiche. Le

considerazioni politiche le si vanno facendo da quando le

fiamme si sono spente. È andata come si immaginava che

sarebbe andata. I black bloc hanno fatto quello che hanno

voluto e stavolta stavano dentro il corteo. Non che li

coprissero o li tollerassero, i No Expo che hanno lavorato per

mesi a questa MayDay e – come tutti temevano e sapevano –

si sono visti scippare il “significato politico” della giornata.

Tutti i quotidiani del mondo hanno riportato la notizia di una

Milano in fiamme. Eppure, neanche i black bloc cercavano lo

scontro, non solo la polizia. Si sperticano le lodi al ministro

Alfano che “non ha fatto come a Genova”, e si è limitato a

contenere i danni. Il comunicato del ministero dell’Interno

sottolinea che non c’è stato neppure un ferito, né tra le forze

dell’ordine né tra i manifestanti. Zero a zero: ci mancava che

scappasse il morto.

Si potrà discutere quanto si vuole della violenza dei black bloc,

dell’ansia sciocca distruttiva e autodistruttiva che nulla lascia

di sedimentato dietro di sé, dell’impotenza dei movimenti di

arginare, governare, controllare, emarginare questo “pezzo” di

piazza che ormai sembra seguire la logica degli storni nei cieli

di Roma, un algoritmo che si muove preciso ma solo per conto

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 192

proprio e a te sembra sempre come impazzito e spunta a ogni

manifestazione. È come una tempesta di grandine quando

aspetti di prendere il raccolto, e tutte le fave vanno distrutte o

i piselli o le zucchine, e il lavoro paziente di mesi. Epperò,

continua a succedere. Il più concreto sembra il governatore

Maroni, che si è messo a far di conto dei danni – una

quarantina di auto, una trentina di vetrine, poi c’è la ripulitura

dei muri – e ha stanziato dalla Regione un milione e mezzo di

euro. Proprio come dopo che è passata la grandine e bisogna

risarcire i contadini, per un’emergenza di natura. I black bloc

sono un po’ così, una cosa della natura. Un effetto del

riscaldamento globale.

Disprezzarli – «Sono figli di papà» dice Renzi, ma non è vero:

tra i quattordici, di età compresa tra 31 e 57 anni, denunciati

dai carabinieri perché fermati, dopo il corteo, nelle stazioni

della metropolitana di Famagosta, Centrale e Cadorna, ci sono

operai, studenti e disoccupati – non mi pare che serva a

granché. Stigmatizzarli – «Sono squadristi», dice Saviano,

ormai ingabbiato nella “sindrome di Gomorra” – non mi pare

che serva a granché. Qualcuno vorrebbe che ci fossero le

“mamme di Baltimora”, come quella donna che in un video

virale si vede prendere a schiaffi il figlio vestito di nero che

voleva andare a bruciare cose e lei lo ferma. Per non vederlo

morto. Perché la polizia bianca americana uccide. Qualcuno

vorrebbe che la polizia bianca italiana uccidesse? Ancora?

Expo 2015 è la prima Grande Esposizione universale dopo il

fordismo. Niente macchine, niente tecnologie, niente futuro

strabiliante. Il tema è il cibo, certo, ma ogni padiglione mostra

il meglio della propria nazione, il proprio livello di benessere,

di storia e di cultura. È un’esposizione sulla qualità della vita

nel mondo. E la qualità della vita nel mondo è alta come mai è

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 193

stata. Certo, c’è l’insopportabile realtà di una sofferenza per

fame – il diritto al cibo che verrà scritto nella carta delle

Nazioni unite – ma non è un’esposizione contro la fame, è

un’esposizione sull’abbondanza. Perché questo è il nostro

mondo, un mondo d’abbondanza. E che sia a Milano è proprio

una gran cosa, perché l’Italia è il posto del mondo dove la

qualità della vita è straordinaria.

Ora, battersi politicamente contro una cosa grande come Expo

2015 è proprio complicato. Essere come una Grande contro-

Expo, è proprio complicato. Sì, c’è il lavoro nero, ci sono state

le inchieste, c’è la ndrangheta, c’è lo sfruttamento e le grandi

multinazionali, c’è tutto il mangiamangia delle grandi strutture

inutili e di appalti miliardari. Però, alla fine della fiera, la cosa è

passata. Expo 2015 si farà e sarà una gran cosa. Perché il

mondo è proprio una gran cosa. Ecco. L’unica cosa che puoi

fare è rovinargli la festa. È questo che hanno fatto i black bloc,

gli hanno rovinato la festa. Non è che c’è un gran progetto

politico dietro, non è che c’è una grande architettura di

strumentazione teorica. Volevano rompere i coglioni, volevano

rompere le vetrine, volevano che i titoli dei giornali parlassero

di questo. Fatto. Alla prossima. Milano “devastata” dai black

bloc sono l’altra faccia, quella oscura, della Grande esposizione

universale postfordista.

E non è che siccome tu sai che può venire la grandine non ti

metti a coltivare le zucchine. Lo fai lo stesso. È la tua natura.

Verrà un nuovo movimento del lavoro. Verrà. E sarà una cosa

completamente nuova da quello che abbiamo visto sinora, e

sarà una cosa che quando comparirà riconosceremo subito,

perché l’abbiamo sempre visto, da che mondo è mondo.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 194

I black bloc avranno messo la panza e le felpe col cappuccio gli

si saranno ristrette.

Domani, su Milano è previsto bel tempo. Si può ripulire.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 195

Carlo Formenti

A Milano ieri non c’ero e per principio non mi piace disquisire

su eventi ai quali non ho partecipato. Dico solo dire due cose

sui dibattiti del dopo; sia quelli interni al movimento che quelli

esterni (media, opinionisti, politici, forze dell’ordine, ecc.). I

primi sono sempre più ripetitivi (forse perché rispecchiano lo

schema ripetitivo delle manifestazioni): da un lato i violenti

hanno rovinato tutto, dall’altro le anime belle fanno il gioco

del potere che vuole dividerci fra buoni e cattivi. Una litania

inconcludente che non si misura (quasi) mai su contenuti e

progetti politici.

I secondi sono il solito coro delle condanne indignate, però con

due novità interessanti:

1) in primo luogo, l’insistenza sul fatto che la maggioranza dei

manifestanti era pacifica e che le loro ragioni di dissenso sono

rispettabili cresce;

2) i poliziotti intervistati fanno chiaramente capire che una

certa quota di “lasciar fare” ai guerriglieri e la consegna di

evitare attacchi indiscriminati ai cortei sono un dato acquisito.

Genova ha insegnato qualcosa: il prezzo di immagine della

repressione indiscriminata è troppo alto e i militanti più attivi

possono essere individuati e colpiti dopo, a freddo.

Ma soprattutto è come se anche le forze dell’ordine fossero

entrate nella ritualità di eventi che contano soprattutto in

termini di rappresentazione mediatica. Forse ciò dovrebbe

indurci a meditare sull’efficacia di queste modalità e a

ragionare sull’invenzione di nuove forme di lotta…

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 196

Primo maggio: quello che “si dice”

Cristiano Armati – redattore Red Star Press

Si dice che grazie alle “violenze” al primo maggio di Milano, le

ragioni del No Expo siano state completamente oscurate.

Infatti, prima di ieri, queste ragioni erano all’ordine del giorno,

venivano affrontate con correttezza dalla stampa ed esposte

con chiarezza dalla televisione generalista, che invitava gli

esponenti dell’opposizione sociale a dibattiti e ad

approfondimenti, talmente ascoltati da essere quasi riusciti ad

annullare l’evento.

Si dice anche che grazie alle “violenze” al primo maggio di

Milano, ora l’intero Movimento si trovi sotto attacco, esposto

alle sevizie della polizia e della magistratura, pronta a usare

come un ariete l’arma più micidiale del codice (fascista) di

procedura penale: il reato di devastazione e saccheggio.

Infatti, prima di ieri, questo stesso reato non era mai stato

usato, né per colpire i partecipanti al vertice contro il G8 di

Genova e neppure, più recentemente, per processare i

partecipanti alla manifestazione del 15 ottobre utilizzando un

imputazione che prevede pene fino a quindici anni. Alla stessa

maniera, per colpire il movimento No Tav, la magistratura non

si era certo sognata di trattare quattro ragazzi accusati di aver

danneggiato un compressore alla stregua di pericolosi mafiosi,

imponendo loro un isolamento degno di quanto previsto dal

famigerato 41bis.

Si dice persino che da questo momento in poi, considerate le

“violenze” al primo maggio di Milano, nessuno vorrà più

scendere in piazza. Infatti prima di ieri le piazze erano

traboccanti di folle decise a riconquistare i propri diritti, né si

stava cercando, visto il surplus di partecipazione, di giocare la

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 197

delicatissima partita con la quale – magari passando per errori

e sbandamenti – tentare di rompere la stagione del reflusso e

riconquistare una necessaria ricomposizione di classe. E poi

basta guardare quanto accaduto a Cuba con il Movimento 26

Luglio, in Russia con i Soviet o a Parigi con la Comune: quando

si registrano episodi di violenza popolare le piazze si svuotano,

è la storia che lo insegna.

Insomma, si dicono tante cose. Una in più non farà la

differenza, è tanto semplice battere i tasti di un computer,

pare che anche molte scimmie siano in grado di farlo… intanto

Expo non è ancora finito. Mentre fino a prova contraria solo la

lotta paga.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 198

“Nessuno Tocchi Milano”:

una considerazione laterale

Valeria Pinto

Leggere, su una pagina “amica” frequentata da persone non

intellettualmente sprovviste commenti come: “è una

tragedia”; “anche solo una macchina bruciata è una tragedia”;

“mi sto sentendo male per il proprietario della macchina. A me

avrebbero rovinato la vita, davvero”; “a me viene la pelle

d’oca. Sono due giorni che ho paura a uscire di casa. Un insulto

a tutta la gente che lavora”; “è solo gente disadattata”;

“buttagli in testa un calderone di olio bollente” ecc. mi ha fatto

davvero molta impressione. Praticamente l’analogo della

signora che dalla finestra grida “sparategli in fronte” o poco ci

manca. Di sicuro è nulla la distanza dalla peggiore

rappresentazione mediatica del fatto. Ma questo, per certi

versi, è secondario.

Quello che, di qui, più mi ha dato da pensare è stata

l’identificazione della città – e dei suoi cittadini – con il suo

circuito finanziario-commerciale. “Hanno devastato Milano”.

Eppure non sono stati presi di mira monumenti, architetture,

infrastrutture ecc. Sono state bruciate auto, spaccate vetrine

di negozi (per lo più di lusso), banche, agenzie, fatte scritte su

qualche edificio. Ora è invece un fatto che in questi ultimi

decenni le città siano state davvero devastate sotto diversi

punti di vista e sotto gli occhi di tutti e senza alcuna

indignazione. Lasciando qui da parte la devastazione del

tessuto sociale (espulsione dei residenti dai centri storici,

processi di gentrification, ecc.) e considerando anche la sola –

ma ovviamente connessa – devastazione estetica, che non

dovrebbe sfuggire, abbiamo sotto gli occhi brutte insegne

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 199

commerciali su edifici di straordinario valore architettonico

(spesso proprio banche), piazze invase da gazebo di bar e

ristoranti e arredi – cioè vasi, transenne, panettoni ecc. – a

protezione di monumenti e centri storici sempre più snaturati

(e non perché siano vissuti e corrotti, ma anzi proprio perché a

volte preservati come bomboniere su un centrino: degenerati

in parchi a tema, destinati al consumo e nessun’altra

dimensione della vita). Qualche giorno fa richiamavo un

articolo sulla devastazione architettonica della stazione

Termini, ma potrei parlare di Piazza della Signoria a Firenze,

che è ormai una pena guardare. Le denunciate devastazioni di

Milano sono davvero nulla a confronto. Tra l’altro lì entro

pochi giorni tutto ritornerà come prima.

Ma allora, se i danni reali sono stati in fondo poca cosa, ciò che

ha indignato dei gesti di rivolta non sono stati gli effetti ma

evidentemente i gesti di rivolta come tali. E qui mi pare un

fatto significativo che la reazione generale – anche ripeto di

persone non proprio sprovvedute – sia stata il sentire come un

oltraggio a loro stesse l’attacco alla vetrina di un

concessionario di BMW o a una bella coupé: proprio

un’identificazione con la cosa, neppure l’empatia con il

proprietario – una piena identificazione che va interamente al

di là di ogni difesa di reali interessi materiali. Così il giorno

dopo i cittadini si “rimboccano le maniche” e “ripuliscono” la

città. “E’ partita sul web la mobilitazione con il nome di

“Nessuno tocchi Milano” che domenica 3 maggio dalle ore 16

vuol riappropriarsi della città che tutti noi amiamo”. Uno

scenario alla Ballard (sarà che sono fissata con Ballard).

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 200

Milano e l’EXPO a ferro e fuoco,

ovvero la propaganda liberista all’attacco

Francesco Erspamer

I black bloc non hanno lasciato nemmeno uno sgraffio

permanente sul volto di Milano e dell’EXPO, come i neri in

rivolta non l’hanno lasciato su quello di Baltimora; le oscene

cicatrici che vediamo e per sempre le ha fatte la cieca avidità

di un sistema che al denaro ha sacrificato il futuro di quei

ragazzi.

Bisogna stare attenti a usare le parole, a prescindere dalle

proprie convinzioni su un determinato argomento, altrimenti

si svuota il linguaggio della sua capacità di imporre coerenza e

razionalità ai dibattiti e si accetta la degenerazione della

politica in gossip, l’arma vincente del liberismo.

I media sono in questo senso davvero dei cattivi maestri:

“Milano a ferro e fuoco” hanno intitolato La Repubblica e

quasi tutti i quotidiani. Questa la definizione dell’espressione

sul Grande dizionario della lingua italiana: “sterminio e

devastazione per mezzo di armi e di incendi”. Applicarla a

incidenti che non hanno provocato neanche un ferito e in cui a

bruciare sono state solo alcune automobili è puro

sensazionalismo, deliberata manipolazione. I giornalisti di un

paio di generazioni fa, alla Montanelli, si sarebbero ricordatii di

Tito Livio, che nella sua storia di Roma usò varie volte la

locuzione, sempre per indicare una rovina totale: “Ferro

flammaque omnia absunta”. E avrebbero dunque evitato di

inflazionarne e banalizzarne il significato: perché è molto

rischioso gridare al lupo quando il lupo non c’è.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 201

Ma oggi i classici non li legge nessuno, tanto meno gli

arrampicatori sociali e i venditori di fumo mediatico. E la gente

si è abituata a quel fumo. Per molti le uniche emozioni sono a

telecomando: di breve durata, non lasciano traccia (non sono

vere esperienze ma loro surrogati virtuali, una sorta di

pornografia dell’informazione), però possono essere ripetute

frequentemente, oggi per una decapitazione in Siria (purché di

un occidentale), domani per un’epidemia in Africa (purché ci

sia almeno un caso in Europa), ieri era una strage in Ucraina

(purché attribuibile ai filorussi). L’empatia si consuma su

avvenimenti remoti e non ne resta più per quelli locali e

concreti: il precetto evangelico di amare il proprio prossimo

(con gli impliciti rischi di costruire un rapporto di solidarietà,

addirittura un partito) è stato sostituito dal precetto liberista

di amare solo chi sia lontano, a distanza di sicurezza da

pericolose forme di aggregazione e responsabilità.

In molti articoli e in moltissimi post ho letto l’accusa ai black

bloc milanesi di avere “distrutto la città”. Un’iperbole, ma non

sembra che tutti quelli che l’hanno usata se ne rendessero

conto: e purtroppo credere alle figure retoriche, trasformarle

in dati di fatto, è l’indice del successo della propaganda. Per

distruggere una città serve un inferno di fuoco come quello

atomico su Hiroshima o quello convenzionale su Dresda; certo

non un paio di molotov. Oppure serve, molto più

frequentemente, una speculazione edilizia impunita e

incontrollata. Al di là della seconda guerra mondiale e di

qualche terremoto, gli unici veri, enormi, irreversibili danni

subìti dalle città italiane sono stati provocati dal capitalismo,

con la sistematica tolleranza per l’abusivismo, con piani

urbanistici demenziali o disattesi, con la disneyficazione di

alcune aree e l’abbandono di altre. Tutti i cortei, pacifici o

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 202

accompagnati da scontri, che sono avvenuti nell’ultimo secolo,

hanno provocato, nel loro insieme, danni irrilevanti al

patrimonio culturale e architettonico e molto limitati alla

proprietà pubblica e privata. Niente a che vedere con le

gravissime conseguenze della cementificazione, dell’incuria

ambientale (pensate solo all’inondazione in Liguria di pochi

mesi fa), del degrado di interi quartieri, della canalizzazione

delle risorse su progetti di facciata (tipo l’Expo) invece che

sulla tutela del territorio.

I black bloc non hanno lasciato nemmeno uno sgraffio

permanente sul volto di Milano, come i neri in rivolta non

l’hanno lasciato su quello di Baltimora; le oscene cicatrici che

vediamo, e che non potranno essere cancellate, le ha fatte la

cieca avidità di un sistema che al denaro ha sacrificato le

tradizioni, i valori, la storia e il senso di appartenenza e che fa

finta di ricordarsene solo quando ragazzi senza passato e senza

futuro si ribellano come possono, come sanno.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 203

C’è un’autostrada tra Baltimora e Milano?

Cinzia Arruzza e Felice Mometti

Non tutti i riot sono uguali. E nemmeno gli eventi di insorgenza

degli ultimi anni. Persino a limitarsi al panorama statunitense,

ci sono differenze significative tra un evento e l’altro. L’esito

della ribellione a Ferguson è stato l’apertura di un nuovo

spazio politico con la formazione della coalizione Ferguson

Action e l’espansione del movimento Black Lives Matter a gran

parte del territorio nazionale. Questo esito non si è prodotto

due anni fa a seguito della ribellione a Brooklyn East, dopo

l’uccisione di Kimani Grey da parte della polizia di New York. E

gli eventi stanno prendendo una piega ancora diversa a

Baltimora con l’intervento, promosso e sostenuto

dall’amministrazione Obama, delle grandi associazioni afro-

americane organizzate nel National Action Network, come

strumento di mediazione e moderazione del conflitto. E il

tentativo, dall’altro lato, di Nation of Islam di inserirsi in modo

autonomo in questo gioco. Si potrebbe dire che la nottola dei

riot si leva sempre all’imbrunire. In altre parole, un riot

andrebbe valutato e analizzato a partire dagli esiti che produce

in termini di percorsi di soggettivazione e di apertura di nuovi

spazi politici.

Che a fronte della fine del vecchio movimento operaio e della

frammentazione e disorganizzazione della classe ci sia bisogno,

in Italia, di una nuova insorgenza in grado di aprire un nuovo

spazio politico di auto-organizzazione non si può che essere

d’accordo. La domanda che si pone, però, è: c’è un filo diretto

tra Baltimora e Milano? La risposta non può che essere

negativa, a meno che non si pensi che l’evocazione del riot,

attraverso la sua messa in scena in piazza, sia in grado di per sé

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 204

di produrre una nuova soggettività conflittuale. Sarebbe

l’equivalente di pensare che si possa organizzare l’auto-

organizzazione. Ci sembra piuttosto che i soggetti che

praticano il conflitto contro le politiche neoliberiste e di

distruzione del pianeta – ben rappresentate nell’Expo –

debbano essere al tempo stesso il presupposto e il prodotto

del conflitto. In altri termini quello che è assente nell’ipotesi

della rappresentazione scenica del riot è il punto di partenza, il

presupposto, quella soggettività che poi attraverso la pratica

del conflitto trasforma se stessa. Questa soggettività non può

essere prodotta in maniera volontaristica. E certo non può

essere prodotta nemmeno mettendosi in cattedra facendo

lezioni su un passato che non tornerà più ed «educando» i

nuovi giovani ribelli con il manuale del rivoluzionario

consapevole.

Un generico consenso mediatico non è e non dovrebbe essere

la cartina di tornasole del buon esito di una pratica

conflittuale. Ci sarebbe anzi da aprire una riflessione su che

cosa voglia dire consenso mediatico, di fronte alle ambiguità di

media mainstream che sono pronti a fare l’occhiolino ai riot

quando accadono altrove, a Ferguson, a Baltimora, in piazza

Taksim, e poi giocano alla spettacolarizzazione negativa

quando nel salotto buono della finanzia italiana, a Milano,

avviene molto di meno. E tuttavia rimane il problema di

valutare una pratica conflittuale non dal punto di vista del

consenso mediatico, ma dell’apertura di un nuovo percorso di

politicizzazione dello spazio sociale e urbano. L’apertura di un

nuovo percorso di politicizzazione dovrebbe essere la

creazione di uno spazio, di forme di organizzazione e modalità

del conflitto in cui la rabbia sociale diffusa e i soggetti che ne

sono portatori possano riconoscersi e attraverso cui possano

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 205

partecipare e diventare protagonisti. Questo è quello che

intendiamo per autorganizzazione: né i vari esperimenti di

ricomposizione politico-elettorale di questi anni, affetti da

un’impressionante coazione a ripetere, e nemmeno le

trappole meccanicistiche dell’evocazione di piazza del riot. È a

partire da questa prospettiva, quella dell’autorganizzazione,

che si deve porre la questione del consenso, perché il

consenso non rimanga un significante vuoto da riempire in

modo più o meno strumentale a seconda dei contesti. Il nostro

metro di misura non dovrebbe essere solo la capacità o meno

di mettere in difficoltà o in crisi lo storytelling renziano, ma

quella di gettare le basi per una narrazione diversa,

contemporanea, i cui protagonisti siano i soggetti che

producono conflitto oggi, e non le icone del passato. Si è

aperto o si aprirà questo nuovo percorso dopo la Mayday di

Milano? Questa è la domanda che ci si dovrebbe porre.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 206

L’intelligenza strategica

Cristina Morini

«Ci avete visto lanciare sassi, oggetti e bottiglie incendiarie.

Brandire spranghe e bastoni a mo’ di alabarde. Tendere nervi e

muscoli in gesti improbabili e poi scappare, nasconderci,

mimetizzarci, uscire dal niente e rientrare nell’ombra. Certo, vi

piacerebbe sapere che siamo adolescenti ben pasciuti, pargoli

di genitori separati, viziati dal logo e solo per cipiglio passati

dall’altro lato della barricata. Vi piacerebbe credere che siamo

la punta dell’iceberg di una generazione senza valori. Forse la

vostra brutta sociologia vi porterà a vedere solo ciò che

vorreste…».

Sono passati quasi 15 anni da quando, nel dicembre 2001,

poco dopo Genova, uscì il libro Io sono un black bloc. Poesia

pratica della sovversione. Appena conclusa la manifestazione

NoExpo Mayday del 1 maggio 2015 la tentazione di molti è

stata quella di andare, ancora, proprio a cercare epiteti e

definizioni per il cosiddetto “blocco nero”. Tutte sbagliate. Non

sono adolescenti frustrati, non sono per forza stranieri, né

figlie della borghesia con il rolex al polso (“siamo ciò che

distrugge la merce, siamo ciò che volete che siamo”).

Catalogarli, quasi a volerli esorcizzare per distanziarli da sé, è

scorretto e infattibile. L’esempio più clamoroso di questa

tendenza è stato forse l’intervista raccolta dalla solita

informazione italiana, priva di stile e di decenza, al disgraziato

ragazzo che dichiara di amare “il bordello”. Se vi va,

condividetela, ridetene, mettetelo alla berlina.

A Milano noi abbiamo visto una componente del movimento,

legittimamente interna al corteo. Ampia (non 30 persone, ma

forse 1500), determinata e organizzata. Alle tesi complottiste

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 207

sugli infiltrati non è il caso di dedicare parole. Ma,

effettivamente, dentro a quello stesso corteo, in tanti e tante,

(meno giovani e più giovani), in alcuni momenti non siamo

stati “con agio”. Questo è un primo dato. Frutto del trauma

che ci ha regalato Genova 2001, ma anche del fatto che non

esiste un largo tessuto sociale, coeso, in grado di investire

completamente su tali pratiche di “rivolta”, assumendosele,

né, davanti alle vetrine che saltano o a una macchina che

brucia, riesce oggi a esprimersi vero consenso.

Sappiamo benissimo che la “democrazia” è morta e il punto

non è affidarsi al meccanismo di una rappresentanza svuotato

di senso. Sappiamo ancora meglio come gravi su ciascuno di

noi, sempre più precisamente, la radicale violenza degli effetti

sociali della crisi perenne neoliberista con i suoi cascami

ideologici. Ci dichiariamo infatti fuori dall’ideologia cittadina,

quella dei cittadini “buoni” contro i “cattivi” potenziali

criminali, che è ideologia della sorveglianza, la quale ieri,

infatti, ha messo in onda, a Milano, una manifestazione

“civica” per ripulire la città dai resti lasciati dai “violenti”.

Detto questo, chiarito tutto questo, il problema politico ci

resta. Ci resta da affrontare un nodo politico intorno al quale si

gira da tempo, ormai.

Vogliamo guardare davvero, senza romanticismi, alla potenza

e all’empasse dei movimenti nelle piazze, a queste eruzioni

reiterate ma mai collegate? Come uscire dalla

contrapposizione, tra l’affidarsi alle istituzioni da un lato o alla

logica dello scontro dall’altro? Come possiamo trovare

modalità per condividere pratiche dentro grandi cortei

partecipati a livello internazionale e importanti, come era

questo del NoExpo Mayday di Milano 2015? Oppure, ancora,

altra domanda: queste forme nostrane di riot generano

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 208

“immaginari” – e quando scrivo immaginari intendo qualcosa

che costruisca tensioni che resistano, proiezioni capaci di

replicarsi, traiettorie in grado di svilupparsi lungo una qualche

strada? Immaginari, cioè, che mettano in moto desideri e si

coalizzino intorno a progetti, a un’idea diversa del mondo?

Come ben sappiamo, più della rabbia o della

rappresentazione, anche gestuale, della sofferenza, è

l’immaginazione quella che apre le porte, sempre. In realtà,

oggettivamente, questi lampi metropolitani non vanno

appiattiti affatto sulla casualità estemporanea del puro sfogo.

Ma nemmeno sono capaci di rappresentare una risposta alla

nostra collettiva difficoltà nell’incontrare e a organizzare le

soggettività. Così, il rischio di marginalizzazione si mantiene

elevato, mentre è altrettanto elevato il pericolo di una stretta

repressiva che rischia di accompagnare giornate come queste.

Perciò, era giusto ed è giusto far notare le difficoltà che

potrebbero incontrare la rete NoExpo e il movimento milanese

nella sua complessità dopo questo primo di maggio. Non per

pavidità, ma per bisogno di concretezza, dentro questa nebbia

che si taglia con il coltello, tra fumogeni e lacrimogeni, alla

fine, dove andiamo?

Il tema della condivisione, dell’allargamento, della capacità di

parlare a settori sempre più ampi della società resta il nostro

problema e, con il passare del tempo, sempre maggiori dubbi

genera l’idea che la strada giusta sia quella di pestare solo

lungo contraddizioni insanabili, tanto meno pare possibile, a

questo punto della storia, fare affidamento su un soggetto

contrapposto al mondo (l’avanguardia) che lo spinge nella

corretta direzione. Si tratta anche di evitare, se possibile, le

coazioni a ripetere, perché le cose non si presentano mai sotto

la stessa forma che hanno assunto nel passato.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 209

Sul sito urge/urge c’è un testo assai interessante di Amator

Savater, una lettura del libro A nuestros amigos del Comité

Invisible, dal titolo “Riaprire la questione rivoluzionaria”. Nel

finale si legge: “Forzare le cose dall’esterno: le rivoluzioni che si

fanno da questo punto di vista finiscono in un disastro e

bruciano i rivoluzionari nel volontarismo”.

E allora, “ci sarebbe un altro percorso: imparare ad abitare

pienamente, invece che governare, un processo di mutamento.

Lasciarsi trasformare dalla realtà, per poterla trasformare a

sua volta. Darsi tempo, per imparare i possibili che si aprono in

questo o quel momento […] . Il contatto è insieme quel che ci

permette di sentire da dove sta circolando la potenza del

mondo e di accompagnarla senza forzarla, con attenzione. Di

questa sensibilità abbiamo bisogno più che di mille corsi di

formazione politica”.

“L’intelligenza strategica nasce dal cuore… incomprensione,

negligenza e impazienza: il nemico sta qui”.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 210

La ragione e l’odio: NoExpo MayDay 2015

Cock Sparrer

Expo è iniziato, e le tanto attese cinque giornate, le prime a

cancelli aperti, No Expo sono finite.

La complessità di quel che accaduto va molto oltre la cronaca

spiccia di qualche ora del corteo NoExpo MayDay. Il segno

resta e rimane, l’impressionante dispositivo mediatico che ha

cancellato qualsiasi altra cosa che non siano stati gli “scontri”

ha fornito a speculatori della politica l’assist perfetto per

organizzare una triste e grottesca parata benpensate di

“ripulitura” dei danni e delle scritte lungo il percorso del

corteo del primo maggio. Triste e grottesca, ma allo stesso

tempo reale.

Reale quanto la presenza di una modalità di concepire la

manifestazione politica che giornalisticamente parlando ha

preso il nome di “black bloc”. Che piaccia o non piaccia la

componente “nera” non è solo reale ma è anche in crescita.

Bisogna farne i conti. E’ una modalità di stare in piazza. Chi

prova a derubricarla in “infiltrati” non ha capito nulla. Esiste, e

si esprime in molte delle grandi occasioni di piazza in Italia e in

Europa. Certo quello che è accaduto a Milano non è riot, non è

rabbia spontanea. E’ però una nuova esplicitazione di una

presenza anche importante, che comunque ha anche a che

fare con un senso di rabbia generalizzato e rifiuto

generalizzato. Non solo dei simboli del capitalismo, ma anche

delle strutture e degli spazi politici. Non rispetta niente e

nessuno. Modalità di stare in piazza e di espressione politica

che diventa immediatamente mediatico e soprattutto

immediatamente egemonico. Istanbul, Baltimore, Atene o le

banliues francesi non c’entrano assolutamente nulla con

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 211

quello che è accaduto il primo maggio a Milano. Quel che è

successo nelle vie di Milano è accaduto lungo il percorso

autorizzato dalla questura, cioè negli spazi “concessi” al

corteo. Nessuno spazio guadagnato con le azioni. Alcune

centinaia di persone hanno monopolizzato l’attenzione

mediatica, tolto spazio a decine di migliaia di persone e

spostato l’asse del discorso costruito in tanti anni di lavoro

dalla rete Attitudine No Expo. Insomma una sorta di complessa

rappresentazione del conflitto, non conflitto reale. Come

scrive la stessa rete “i sette anni che hanno caratterizzato la

storia della Rete non possono essere ridotti alla

strumentalizzazione mediatica e politica di alcuni momenti del

corteo, che ne hanno sovra determinato l’impostazione

collettiva e che poco hanno a che vedere sia con

un’espressione di rabbia spontanea, sia con lo stesso percorso

No Expo” come invece si è cercato di fare. Non solo il primo

maggio ma anche il giorno seguente quando lo stile, le scelte,

e le modalità dell’agire politico della rete No Expo sono scese

nuovamente in piazza con una critical mass che ha raggiunto i

cancelli del sito espositivo e con un pranzo sociale davanti a

Eataly per raccontare come cibo e food siano concetti diversi,

conflittuali e nemici. E’ difficile parlare di contenuti. Mostrare

macchine in fiamme da una parte fa vendere i giornali

dall’altra rende meno legittima la voce oppositiva al grande

evento a cui il premier Renzi s’appoggia per lanciare e

rilanciare la sua idea d’Italia. Le regole dei media le

conosciamo tutti, anche chi ha deciso di avere un estetica e un

colore diverso da un corteo ampio, moltitudinario, creativo e

radicale.

Il primo maggio alla NoExpo MayDay c’erano oltre 50.000

persone, un numero importante di uomini e donne che hanno

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 212

deciso di dire no ad Expo in tante maniere differenti. Reti di

cittadini, comitati, centri sociali, collettivi studenteschi,

cittadine e cittadini, lavoratori, precarie, migranti, sound-

system, hanno portato in piazza lotte e resistenze, alternative

e conflitti. Questo è il dato reale della manifestazione. Attorno

al grido “No Expo!” si sono riconosciuti una molteplicità di

soggetti che ogni giorno lottano per un mondo diverso.A

quello spazio politico costruito per sette lunghi anni hanno

partecipato tanti soggetti, anche quelli che non solo non si

sono confrontati con la rete Attitudine No Expo, ma anche non

erano interessati alla storia e al futuro di quel percorso ma

solo alla piazza. Expo è paradigma del neoliberismo, quindi il

No Expo è il paradigma dell’alternativa. Questo grido faceva e

fa paura. Oltre alle speculazione mediatica così è arrivata

anche quella politica.

L’operazione politica e culturale promossa da giunta Pisapia e

PD di ieri, domenica 3 maggio, ovvero una sorta di pulitura

collettiva dei danni generati da una parte del corteo, è grave e

vergognosa. Cittadini benpensati che riparano i danni di una

città offesa dalla “violenza politica” di un corteo rimarcando

che l’unica modalità di manifestazione sia quella pacifica. Le

grandi democrazie sono nate dai grandi tumulti, è giusto

ricordarlo. Certo tumulti, rivolte e rivoluzioni sono una cosa

seria. Hanno a che fare con gli obiettivi prima che con le

pratiche. Divisione in buoni e cattivi, spostare l’attenzione

dalla catastrofe Expo 2015 agli scontri del primo maggio è ad

oggi uno dei risultati tangibili della mayday. Dove i cattivi sono

i “noexpo”. Furti, sistemi di potere che legano politica ed

economia, malavita organizzata, eventi nocivi e dannosi per la

città hanno generato meno indignazione. Quasi come ci

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 213

fossero endemicamente anticorpi ai grandi scippi del capitale

vissuti con una normalità disarmante.

Il corteo del buonismo così va ad indicare l’opzione No Expo

come nemica della democrazia e della convivenza, prova a

tratteggiare i confini della protesta possibile e attacca

l’organizzazione dal basso difendendo quindi lo status quo.

Non condividere alcuni episodi del corteo non significa che il

conflitto e la sua pratica siano nemici dei movimenti e delle

lotte sociali.

Ripartire da alcuni punti fermi è quindi necessario per

guadagnare nuovamente spazi di legittimità e forza,

denunciare con nettezza e decisione lo sciacallaggio mediatico

così come le speculazioni politiche di caste,ceti politici (anche

di movimento), sistemi di potere, una certezza e necessità.

I processi costituenti di una alternativa reale vivono, oggi

schiacciati, tra le polarizzazioni del “riot per il riot” e della

politica istituzionale nella ricerca e pratica di un’autonomia dal

capitalismo fatta di conflitti e consenso. La rete No Expo non è

morta, non è stata seppellita, sicuramente è più debole del 30

aprile.

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Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 214

Guardando l’incendio di Milano dal Bronx

Degage

Il Bronx è un quadrato di terra a Roma in fondo alla via

Torrevecchia, due file parallele di palazzi grigi tagliate da una

terza fila perpendicolare.

Il quartiere guarda Primavalle, della borgata è un figlio, un

satellite, negli anni 70 fu costruito per accogliere i figli e i

baraccati che nella vecchia borgata non trovavano più posto.

Fu costruito anche per cercare di allentare la tensione sulla

questione dell’abitazione dopo la rivolta di San Basilio.

Il Bronx è uno dei così detti P.E.E.P, come Tor Sapienza,

Laurentino 38, Vigne Nuove omaggio tardivo dell’architettura

nostrana all’unité d’habitation di le Corbusier.

E per il contrappasso che a volte punisce i potenti le

architetture pensate come antidoto alla rivoluzione di ieri

divengono alleati dell’insubordinazione di oggi. I cortili stretti, i

passaggi pedonali sopraelevati, l’alta densità abitativa

costituiscono un campo di battaglia più favorevole ai residenti

che alle forze dell’ordine.

Questa mattina in decine hanno affollato i balconi e i tetti, le

strade e i cortili per impedire uno sgombero.

Mentre la concitazione animava gli assembramenti spontanei

tra cassonetti da spostare e da incendiare e sassi da

raccogliere in tanti ci hanno chiesto di Milano, dei black bloc (o

bloc busters come qualcuno li chiama) della determinazione di

chi ha sfidato la polizia lontano da casa propria, nel ventre

della bestia, al centro della città nel giorno di festa del

capitalismo italiota.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 215

Mentre ci riposavamo e aspettavamo notizie nei momenti di

stallo abbiamo letto arguti analisti politici spiegare che Milano

non è comprensibile alla gente.

Di quello che è successo questa mattina al Bronx, di quello che

è successo a Milano venerdì non ci interessa farne un mito.

Non in tutto ci riconosciamo: al Bronx il razzismo è un discorso

strisciante a Milano per alcuni tratti si è rischiato

l’autolesionismo, in entrambi i casi un’ampia dose di

individualismo ha rischiato di inficiare il tutto.

Ma in entrambi i casi pensiamo siano “fatti nostri”, situazioni

che ci riguardano, che ci chiamano alla presenza. Lasciamo ad

altri volentieri il compito di puntare l’indice, invocare le forche,

prendere le distanze.

Che sia chi si appassiona a queste discussioni a decidere se il

Bronx assomiglia più a Milano, a Baltimora o a Tor Sapienza.

Noi sappiamo da che parte stare…per le strade!

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Expo, violenze e… quello che nessuno dice

Francesco Della Croce

La violenza scatenata a Milano è da condannare, non solo

perchè nei fatti danneggia un movimento di contestazione

sociale legittimo e serio, che in questi mesi si è strutturato ed

ha avanzato una critica profonda a quello che l’Expo milanese

ha finito per rappresentare (una vetrina d’immagine di

un’Italia che non esiste), ma anche perché chi sinceramente ha

contestato in questi mesi i lavori dell’Expo non può in alcun

modo accettare le finalità di questa violenza urbana che altri

non danneggia se non lavoratori, negozianti e piccoli artigiani.

Di sicuro nessuno tra i potenti manovratori delle speculazioni

dell’Expo. Ma non possiamo limitarci a questo, c’è molto altro

da capire. In questi giorni stanno succedendo fatti importanti

nel nostro Paese, si sta approvando, per esempio, una legge

elettorale che nei fatti cancella ogni dialettica conflittuale nel

Parlamento: le Camere da luogo di conflitto e mediazione di

interessi contrapposti presenti nella nostra società, da

specchio del Paese come le definì Palmiro Togliatti, diventano

ufficialmente Istituzioni serventi nei confronti di un governo

espressione di una minoranza (fateci caso, in Italia il 10% della

popolazione detiene il 46% della ricchezza, è facile immaginare

allora di chi è di quali interessi sarà espressione il governo di

minoranza a cui saremo condannati con questa legge

elettorale). Il tutto reso possibile da un premio di maggioranza

assegnato ad una minoranza ed un meccanismo di ballottaggio

che altererà la rappresentanza parlamentare.

Non bastasse questo, la fretta cieca di cambiare legge

elettorale tradisce le intenzioni; infatti, una legge elettorale

diversa dal Porcellum plasmata dalla Consulta con la sua

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 217

sentenza 01/2014: un proporzionale con preferenze.

Evidentemente è inaccettabile per chi governa pensare che il

voto di tutti i cittadini possa essere ugualmente rappresentato

nelle camere legislative, è probabilmente da rottamare questa

aspirazione che data alla Rivoluzione francese. E’ una torsione

autoritaria che ricalca molto il modello americano. Già,

l’America. E’ proprio da lì che deve continuare questo

ragionamento. In questi giorni soprattutto (ma da molti anni

potremmo legittimamente affermare) esplode in quel paese

un movimento di protesta popolare forte, violento che non ce

la fa più a sopportare quel modello sociale, senza diritti, senza

dignità, che crea deserti e periferie umane degradate e

alienate rispetto a centri opulenti e “civili”. E’ una protesta

senza coscienza, non organizzata, e lì diventa una questione di

ordine pubblico, per cui l’unica istituzione chiamata in causa è

la polizia, visto che questo malessere non ha cittadinanza nel

Congresso americano, dove non da oggi i pensieri critici non

sono accettati ed in passato sono stati anche perseguitati

(come nel caso del partito comunista, “maccartismo” fu

chiamata la caccia alle streghe contro i comunisti in USA). Non

si tratta di un’esagerazione: il noto economista Stiglitz informa

che gli Usa, con circa il 5% della popolazione mondiale, hanno

intorno al 25% dei detenuti nel mondo nei loro confini

nazionali. Lo smantellamento dell stato sociale produce in

quella società miseria diffusa e la protesta contro questa

condizione diventa semplicemente una questione d’ordine

pubblico, per una società impermeabile al conflitto sociale e

alla sua trasposizione nelle istituzioni. Istituzioni elette da un

ristretto numero di cittadini (meno della metà dei cittadini

americani si reca alle urne) e nelle mani salde di interessi

conosciuti e incontrastati.

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 218

Ecco il rischio più grande che corriamo dunque. Il nostro Paese

sta per vedere un mutamento qualitativo delle sue Istituzioni:

con l’Italicum (e la riforma elettorale in discussione) si sancisce

la cacciata dalle istituzioni del pensiero critico, delle

organizzazione popolari rivoluzionarie che sono capaci di

tradurre la mera protesta in una visione del mondo e della

società differente dall’attuale, dallo stato di cose esistenti. Fa

paura tutto questo infatti, fa paura che vaste fasce di popolo

ritrovino coscienza e sappiano per cosa lottare e si dotino dello

strumento finora più efficace sul piano della lotta politica: un

partito di riferimento, un partito di classe.

Negli anni a venire, si correrà il rischio che con l’estromissione

dal Parlamento di ogni rappresentanza degli interessi

antagonisti a quelli dell’establishment e delle classi dominanti,

la protesta si trasformi o in astensione dalla vita pubblica

(l’alienazione sociale a cui ad esempio i social network stanno

portando dovrebbe allarmarci molto in tal senso, sono

incubatrice di solitudini), o in un mero voto di protesta senza

nessuna coscienza (in questa ipotesi rientra, a giudizio di chi

scrive, gran parte dell’elettorato 5 stelle, un movimento

declinante e compatibilista, l’altra faccia della medaglia

rappresentata da questo modello di società), oppure in uno

sfogo violento, in un conflitto che si concentra nell’estetica del

gesto, in una furia cieca distruttrice che trasforma la questione

dell’ingiustizia sociale in un mero problema di ordine pubblico

(pensate all’incarcerazione americana come fatto di massa

utilizzato per risolvere queste tensioni e per garantire la “pace

sociale”).

Nessuna giustificazione per i black bloc allora (ricordiamoci che

però nel nostro Paese c’è una legge che impedisce di circolare

con volto nascosto da passamontagna e altri simili “accessori”,

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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non si riesce a capire facilmente, quindi, la difficoltà nel

prevenire sul nascere questi fenomeni, visto che attraverso le

nuove tecnologie è sufficientemente semplice intercettare e

anticipare le mosse di centinaia di soggetti che probabilmente

utilizzano la rete per organizzare le loro devastazioni, qualche

dubbio sembra legittimo farselo venire).

Il rischio è grande, grandissimo. Condanniamo ma riflettiamo

e, soprattutto, rispondiamo.

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Milano: la marcia dei 20.000 è la nuova Vandea

Sergio Bellavita

Dovranno lavorare sodo le centinaia di uomini e donne che

hanno raccolto l’invito di Pisapia a manifestare in difesa di

Milano per la semplice ragione che sotto la vernice c’è uno

sporco ben più pervasivo e corrosivo che non si cancella con

detersivi e solventi. Corruzione, devastazione ambientale e

sfruttamento intensivo del lavoro non si lavano con spugne e

ramazze. È stupefacente come il ceto politico milanese abbia

chiamato alla rivolta sulla parola d’ordine “nessuno tocchi

Milano” non su una grande questione sociale, non sul sistema

di potere e malaffare che continua a socializzare costi assurdi

ed alimentare il privilegio e l’arbitrio di pochi. Non sulle

malefatte di multinazionali che pretendono di raccontare

come si combatte la fame nel mondo utilizzando la vetrina di

Expo mentre depredano il pianeta e intere popolazioni. Se la

marcia dei 40.000 a Torino su Fiat (che poi non erano più di

diecimila ma la storia la fa chi vince come sappiamo) ha

segnato una sconfitta durissima per il movimento operaio così

la manifestazione di Pisapia ha il sapore amaro di una nuova

Vandea ammantata di perbenismo. Ordine, pulizia e disciplina

non sono le nuove parole d’ordine della sinistra del

ventunesimo secolo ma lo stesso vecchio ciarpame di sempre

appena abbellito dalla retorica dei buoni sentimenti. Talmente

buoni che rimuovono ogni aspetto della enorme questione

sociale aperta in questo paese. L’ingiustizia, lo sfruttamento, la

diseguaglianza crescente, tutto è travolto dalla furia di

ramazza e spazzole. Il mondo è così diviso in due: c’è chi

sporca e chi pulisce. Non abbiamo alcuna simpatia per le auto

danneggiate o per le vetrine in frantumi e non ci piace

l’estetica del conflitto che non si rapporta al consenso di chi

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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vuol rappresentare ma certo colpisce che tanta parte della

cosiddetta intellettualità mostri attenzione e interesse per le

manifestazioni della rabbia sociale in giro per il mondo mentre

quando accade da noi tutto si riduce al teppismo e alle idiozie

sull’esistenza dell’internazionale della violenza.

Così come colpisce la doppia morale sulla violenza. Quella del

potere che certo ha metodi ben più raffinati, seduttivi e colti

rispetto alla barbarica violenza agita con pietre e cartelli

stradali. Una è politicamente ammessa, persino legittimata. A

ingegneri, commercialisti, imprenditori ,consulenti e

faccendieri vari mai nessuno imputerà il reato di devastazione

e saccheggio invocato per i manifestanti in maniera criminale

anche a sinistra. Per gli altri c’è appunto la gogna mediatica e il

processo si è già chiuso con sentenza definitiva. Cosa sarebbe

accaduto se la manifestazione della Milano che si ripulisce

dagli “untori” fosse stata organizzata da una amministrazione

di destra, Vandea? Certamente ci sarebbe stata una contro

manifestazione del popolo che non ha sotterrato le armi della

battaglia politica e sociale per un mondo diverso, più uguale e

giusto. Vale anche per l’Italicum che oggi diverrà legge dello

Stato. Se fosse stato Berlusconi a imporre la fiducia su un

sistema elettorale profondamente autoritario ci sarebbe stata

una sommossa di piazza.

Ancora una volta il nemico cammina nelle nostre di scarpe e

ancora una volta lascia spazio alle peggiori pulsioni reazionarie

che prima o poi, se non succede nulla a sinistra, troveranno,

ahi noi, una rappresentanza pericolosa.

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Il mondo nuovo che avanza

Giorgio Cremaschi

Le reazioni delle istituzioni, dei mass media e della opinione

pubblica agli incidenti di Milano, hanno mostrato quanto sia

oramai devastato lo spirito democratico in questo paese. È

ovviamente comprensibile la rabbia delle 50 persone a cui è

stata distrutta l’automobile, o dei quindici negozianti che

hanno avuto le vetrine infrante. In effetti essi non c’entrano e

colpire i loro beni per me è ingiusto . Tuttavia quanto è

avvenuto non è minimamente paragonabile ai disordini nelle

città europee in qualcuno degli ultimi grandi eventi . A

Francoforte in occasione della inaugurazione della nuova sede

BCE è successo molto di peggio. Per non parlare di quello che

capita normalmente oramai negli StatiUniti o della rivolta nelle

strade di Rio alla vigilia dei mondiali di calcio. In tutti questi

casi da noi si sono sprecate analisi comprensive e

compassionevoli sul disagio. Ma appena questo disagio è

comparso in casa nostra, i più moderati tra i commentatori di

palazzo hanno chiesto la legge marziale.

Il peggiore mi è apparso il sindaco di Milano. Il grido di sapore

biblico da lui lanciato, nessuno tocchi Milano, che cosa vuol

dire, che altrove si può? E quando la città è stata devastata da

ruberie, tangenti, mafie, disoccupazione, devastazioni

ambientali, vetrine a migliaia chiuse in periferia per lo

strangolamento della crisi e delle banche, non è stata toccata

allora Milano? Certo scendere in piazza in quei frangenti era

più duro e rischioso, magari si sarebbero pestati i piedi a

qualche potere forte, per puro sbaglio naturalmente.

Ma la vera indignazione è stata in realtà per l’immagine

dell’Expo offuscata dai disordini. L’Expo dà lavoro ha detto

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

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rabbioso uno dei pulitori volontari, rivolto ad una ragazza

coraggiosa, che ha tutta la mia ammirazione e che da sola ha

provato a discutere con i cittadini indignati.

Modello Expo si disse da destra e sinistra quando la

Confindustria, le istituzioni e CGlL CISL UIL firmarono l’accordo

che autorizzava poco lavoro sottopagato e tanto gratuito.

Modello Expo si aggiunge ora, quando gli ipocriti della sinistra

ben pensante e ancora meglio retribuita hanno presentato la

fiera come una specie di Social Forum di sei mesi, impegnato a

trovare e ricette contro la fame nel mondo.

Modello Expo ha chiarito Renzi, celebrando la fiera come

occasione di grandi affarii, proprio per questo appaltata a

quelle multinazionali che, dice Vandana Shiva, affamano il

pianeta.

Expo è una fiera che serve a mostrare quanto è vendibile il

nostro paese, il suo ambiente, il suo lavoro. L’Italia è sul

mercato e Expo ne è la vetrina. Questa è la vera risposta alla

crisi che Renzi propone e sulla quale, assieme a tutto il potere

economico che lo sostiene, gioca la partita del consenso. Basta

con i vecchi scrupoli, i lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo.

Basta con l’articolo 18 e con i vincoli ambientali, ha promesso

Renzi alla Borsa. Basta con i diritti, rimbocchiamoci le maniche

e mettiamoci al lavoro e chi pone ostacoli è contro la nazione.

Questo messaggio reazionario di massa ha conquistato un PD

sconfitto e rassegnato nei suoi valori, sottomesso al

capitalismo globalizzato e alla ricchezza, ma abbarbicato al

potere. Renzi è la sintesi perfetta di questa storia politica e per

questo ridicolizza ogni opposizione interna, così come rende

oramai inutile la vecchia destra berlusconiana.

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Con il jobsact, la buona scuola, l’italicum il governo ha

devastato ciò che restava dei principi e delle regole fondanti la

nostra Costituzione. Resta solo da cambiare l’articolo uno,

sostituendo lavoro con mercato e popolo con leader e poi

tutto è fatto.

Questa Italia sul mercato è quella che ha assunto l’Expo come

bandiera. La maggioranza del paese è d’accordo? Può essere,

ma essa non è tutto e chi è contro non è piccola cosa. Solo che

chi non accetta questo modello sociale e politico non ha diritto

a veder riconosciute le proprie posizioni. La controriforma

costituzionale di Renzi afferma la dittatura della maggioranza,

anzi della più grossa minoranza. E sopra questo governo

neoautoritario sta il potere delle Troika finanziaria e

burocratica che comanda in Europa. La Grecia non può

decidere liberamente di non far morire di fame i disoccupati,

perché come si diceva una volta, è un paese a sovranità

limitata. Un potere sempre più chiuso e autoritario è poi

sostenuto da un sistema mediatico embedded, come la

stampa che seguiva sui carri armati le guerre di Bush . Che gli

incidenti abbiano oscurato le ragioni dei manifestanti della

Mayday di Milano non è vero.

Il 28 febbraio in diecimila abbiamo manifestato a Milano

contro il jobsact e il lavoro gratuito per Expo. Eravamo in gran

parte militanti del sindacalismo di base e della corrente di

opposizione in Cgil, moltissimi erano i migranti. È stata una

manifestazione serena e viva che si è conclusa con una

assemblea popolare in Piazza S.Babila. Non abbiamo lasciato

per terra neppure le carte delle caramelle e siamo stati

semplicemente ignorati dal circuito dei mass media. D’altra

parte dove ci sono stati pubblici confronti sulle ragioni dei

Noexpo, dove si son potute liberamente confrontare le due

“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito

Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 225

diverse posizioni? Non facciamo gli ipocriti, chi è contro il

dominio di imprese e mercato nell’Italia di oggi é

sostanzialmente clandestino e se prova a metter fuori la testa

c’è chi minaccia di tagliargliela. I tranvieri di Milano hanno

scioperato il 28 aprile contro i turni gravosi e pericolosi imposti

per Expo. Apriti cielo, ministri della Repubblica han chiesto di

liquidare il diritto di sciopero e i più moderati hanno aggiunto:

solo durante le fiere. In questi giorni in Germania i macchinisti

dei treni scioperano per sei giorni di seguito bloccando il

paese, ma nessun governante chiede leggi speciali. Da noi

avremmo talkshaw ove tra gli applausi si invocherebbe la

galera. Subito dopo i fatti di Milano Renzi è stato contestato

pacificamente a Bologna, ma non uno dei telegiornali ha fatto

vedere gli insegnanti precari bastonati duramente dalla polizia

C’è una sordità ed una prepotenza del potere che porta

naturalmente alla ribellione di chi non ci sta. E chi si ribella lo

fa nei modi che questa società stessa offre. Certo Manpower e

un’automobile non sono la stessa cosa. Certo le azioni dirette

non sono gesto fine a sé stesso, devono comunque essere

parte di un conflitto più vasto e riconosciuto da chi lo pratica.

Ma il tempo delle dissociazioni, della distinzione in buoni e

cattivi è finito. Certo che ci sono azioni sbagliate, ma sarà chi

lotta a giudicarle. Bisogna che si capisca che non si può

distruggere la Costituzione nata dalla Resistenza, ridurre tutto

a merce e mercato e poi usare il linguaggio della prima

repubblica quando si spaccano le vetrine. Per me la distruzione

del mondo dei partiti di massa, del potere sindacale, dei diritti

certi e dello stato sociale è stata una catastrofe. Per chi

governa oggi invece questo è il progresso.

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Di questo progresso i fatti di Milano sono inevitabile

conseguenza. Per questo sto con tutti quelli che sono scesi in

piazza il 1 maggio, anche con coloro che han fatto azioni che

non condivido.