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La democrazia deliberativa e i diritti a garanzia della

procedura

José Luis Martí

Uno dei grandi temi attualmente dibattuti nell’ambito della

teoria della democrazia e della filosofia politica e del diritto

riguarda le tensioni o i conflitti esistenti tra la protezione dei

diritti fondamentali o diritti umani, da un lato, e lo sviluppo e

il dispiegarsi della democrazia, dall’altro1. Potrebbe sembrare che

i due valori siano non solo compatibili, ma perfino che ciascuno

implichi l’altro. Il rispetto per il valore dell’autonomia o della

libertà individuale, mediante l’istituzione di un insieme di

diritti individuali di base, attribuiti a tutti gli esseri umani

in virtù della loro uguale dignità e spesso protetti dal massimo

grado possibile di protezione giuridica, in forza di garanzie

costituzionali e penali, è sovente ritenuto una tra le grandi

conquiste politiche della modernità e del pensiero politico

liberale. D’altro canto, il rispetto per il valore della

democrazia, intesa come esercizio di autogoverno collettivo da

parte della cittadinanza, cioè come partecipazione diretta o

indiretta dei cittadini alla determinazione degli affari pubblici

e all’assunzione di decisioni politiche, è normalmente concepito,

1 Questo lavoro trova origine in una relazione presentata alla Settimana deiDiritti: Diritti umani tra identità e democrazia, organizzata dalla Facoltà diGiurisprudenza dell’Università di Palermo nel giugno 2007. Ringrazio tutti ipartecipanti alla discussione, professori e iscritti al dottorato della Facoltà,per le loro gradite e significative domande, critiche e suggerimenti al miolavoro. In particolare intendo ringraziare Bruno Celano, Francesco Biondo eGiorgio Maniaci, i quali, invitandomi a cena e facendomi visitare la stupendacittà di Palermo mi hanno consentito di continuare a discutere queste idee e mihanno indotto a migliorare i miei argomenti. Un grazie a Isabel Trujillo, per ilsuo generoso invito e la magnifica organizzazione.

analogamente, come una condizione del rispetto medesimo

dell’autonomia e, ancora, come una conquista fondamentale della

modernità. Di fatto, i diritti politici di partecipazione

democratica, i quali garantiscono l’esercizio dell’autonomia

pubblica, sono parte indiscutibile dell’elenco di diritti

fondamentali che il liberalismo protegge e promuove, cosicché

proteggendo i diritti fondamentali si trova a essere protetta

anche la democrazia. Secondo questa prima versione dei fatti,

diritti e democrazia sarebbero, come già detto, non solo

compatibili, ma addirittura la seconda verrebbe a essere implicata

dai primi2.

Per dissipare alcuni dubbi, può essere utile dire che mentre

alcune versioni del liberalismo, in particolare le prime, potevano

essersi sviluppate ai margini, e in maniera parzialmente

incompatibile con la protezione dei valori democratici, la

versione evoluta del liberalismo attualmente dominante, nelle

forme del costituzionalismo democratico, ha offerto una sintesi

tra il liberalismo per così dire classico, del quale i più

immediati precursori furono John Locke e William Paley, e la

tradizione democratica o repubblicana, generalmente associata ad

2 Non sono pochi gli autori che hanno insistito nell’affermare che è l’idealiberale di democrazia costituzionale quella che ci consente di armonizzare idue valori, nella seguente maniera: in primo luogo dando vita alla democraziacome applicazione dei diritti politici, che a loro volta fanno parte dei dirittifondamentali, e in secondo luogo stabilendo limiti all’eserciziodell’autogoverno in virtù della protezione degli stessi diritti fondamentali. Sivedano, come esempio, quattro tra i più citati: H. Kelsen, Esencia y valor de lademocracia, trad. R. Luengo Tapia y L. Legaz y Lacambra, México: Colofón. 1992;R. Dworkin, Law’s Empire: Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1986, eFreedom’s Law. The Moral Reading of the American Constitution, Cambridge (Mass.), HarvardUniversity Press, 1997; J. Rawls, Political Liberalism, New York, Columbia UniversityPress, 1993, e Reply to Habermas, «Journal of Philosophy», vol. 92: 132-180, 1995;e L. Ferrajoli, Los fundamentos de los derechos fundamentales. Debate con VV.AA., Barcelona,Trotta, 2001, e Garantismo: debate sobre el derecho y la democracia, trad. de AndreaGreppi, Madrid, Trotta, 2006.

autori quali Jean-Jacques Rousseau. La democrazia costituzionale

sarebbe, dunque, una sorta di compromesso con i valori democratici

al quale i liberali addivengono in cambio della garanzia di uno

spazio inderogabile e irriducibile, una zona vietata, delimitata

dai diritti fondamentali, che nessuna autorità democratica

dovrebbe potere mettere in discussione3.

Come già detto, questo è un modo, che risulta a noi familiare,

di raccontare una parte della storia politica moderna.

Ciononostante, molti degli autori che si sono cimentati

nell’analisi della questione hanno mostrato che la conciliazione

tra i valori associati all’autonomia individuale e quelli legati

alla democrazia non è esente da tensioni e conflitti di rilievo,

sebbene alcuni insistano nell’affermare che si debba tentare una

conciliazione, posto che senza dubbio, almeno in parte, gli uni e

gli altri si presuppongono reciprocamente4. Nessun autore propone

di rinunciare alla protezione dei diritti fondamentali o allo

sviluppo della democrazia. Entrambi i valori sono irrinunciabili

in quanto pregevoli conquiste politiche della modernità.

Ciononostante dobbiamo confrontarci con il fatto che entrambi i

valori, o insiemi di valori, entrano in conflitto tra loro, almeno

in certi casi, e che abbiamo bisogno di una soluzione per

risolvere questa sorta di dilemma tragico. E ciò, come già ho

accennato, nonostante paradossalmente in molti altri casi i due

valori sembrino implicarsi reciprocamente.

3 Sull’idea di zona vietata si veda E. Garzón Valdés, El consenso democrático:fundamento y límites del papel de las minorías, «Isonomía», 12, 2000, pp. 7-34.4 Si veda l’eccellente lavoro di J.C. Bayón, Democracia y derechos: problemas defundamentación del constitucionalismo, en J. Betegón et al. (eds.), Constitución y derechosfundamentales, Madrid: Centro de Estudios Constitucionales: 67-138, 2004, come unodei migliori studi sulla questione.

D’altra parte, la democrazia deliberativa è il modello che

senza dubbio oggi domina il campo della teoria della democrazia,

quantomeno di origine anglosassone, e quello che ha dato origine,

negli ultimi trenta anni, al maggior numero di scritti. Una delle

strategie per comprendere e apprezzare le proposte di questo

modello consiste, dunque, nell’intenderlo come un tentativo di

conciliare una teoria democratica forte ed eminentemente

procedurale della legittimità politica con l’esigenza di

proteggere diritti e valori sostanziali associati al rispetto per

un’uguale autonomia individuale. In ciò che segue tenterò di

argomentare brevemente due tesi: (I) che esistono effettivamente

delle tensioni tra democrazia e diritti, sebbene paradossalmente i

due valori sembrino presupporsi reciprocamente; (II) che possiamo

intendere le tesi principali della democrazia deliberativa come un

palliativo, e non una soluzione, per il suddetto problema, e che

questa strategia possa essere considerata soddisfacente alla luce

dell’esistenza del paradosso.

I. Conflitti tra democrazia e diritti

Nonostante alcuni autori, come già accennato, abbiano provato

a convincerci che la democrazia e i diritti possono convivere in

un insieme armonico denominato democrazia costituzionale, senza

dubbio in alcune occasioni le decisioni democratiche prese in nome

dell’ideale della sovranità popolare o dell’autogoverno possono

mettere a repentaglio certi valori legati all’autonomia

individuale. Affermare, come molti di questi autori fanno, che

quando ciò accade non siamo innanzi a una decisione genuinamente

democratica, significa confondere il carattere di una decisione

con le conseguenze che questa può produrre. È un errore

paragonabile a quello di chi afferma che una decisione presa

liberamente da un individuo adulto nel pieno godimento delle sue

facoltà mentali, dopo avere deliberato approfonditamente e

razionalmente sulla questione su cui decidere, non è autonoma se

questa decisione produce il risultato controproducente di

vulnerare la sua stessa futura autonomia. E non mi riferisco al

caso estremo di chi decida autonomamente di essere ridotto in

schiavitù, ma ad un’ampia varietà di casi intermedi nei quali la

conseguenza non consiste nella negazione totale dell’autonomia.

Come accade nel caso individuale, l’autonomia di una decisione, il

suo carattere democratico, non ha a che vedere con il contenuto

della decisione, e ancor meno con i suoi risultati, bensì con la

forma nella quale questa è stata presa. Pertanto, non vi è nulla

di strano nel dire che una decisione autonoma o democratica possa

essere sbagliata o che possa scalzare o danneggiare la stessa

futura autonomia, pubblica o privata, di tutti o di parte dei

membri della società.

Secondo la concezione tradizionale della democrazia

costituzionale, il metodo adeguato per prevenire questa lesione

dei valori di autonomia consiste nell’adottare un ideale

costituzionale che stabilisca alcuni basilari diritti di libertà,

che agiscano come limiti all’esercizio dell’autonomia pubblica

nelle forme della democrazia. Ma il fatto stesso di concepire i

diritti fondamentali come “limiti della democrazia” rivela l’idea

di tensione o di conflitto tra un valore e l’altro. E sebbene, da

una prospettiva liberale, l’ideale costituzionale sia considerato

una soluzione ottima e armonica al problema del conflitto, non vi

è dubbio che da un’ottica democratica, questa risposta presuppone,

per così dire, che “si parteggi per l’autonomia privata”. Che i

diritti si impongano sulla democrazia, e si comportino come limite

alla stessa, non significa altro che affermare che in caso di

conflitto tra democrazia e autonomia privata, si deve optare per

la seconda a svantaggio della prima.

Per evitare questa conclusione, alcuni difensori della

democrazia costituzionale propongono di non considerare la

costituzione una restrizione antidemocratica, dato che essa stessa

dovrà essere stata approvata democraticamente, magari attraverso

un referendum5. Ma ciò non risolve affatto il problema del

conflitto, bensì semplicemente lo riproduce su scala diversa6.

Possiamo infatti sempre interrogarci sul modo in cui l’autorità

costituente abbia preso le sue decisioni. Affermare che la

costituzione debba essere approvata democraticamente per essere

legittima significa riconoscere l’esistenza di un’autorità

democratica costituzionale. E oltre al paradosso racchiuso

nell’idea stessa di un demos che si costituisce da sé, la questione

rilevante adesso diventa la possibilità di interpretare il momento

costituente in due differenti maniere.

Secondo la prima interpretazione, l’autorità democratica

precostituzionale agisce senza alcuna restrizione, potendo

includere o meno nel contenuto della costituzione un catalogo

5 Questo argomento viene fatto risalire, di fatto, alle origini delcostituzionalismo liberale, e fu adoperato, tra gli altri, da Alexander Hamiltonper difendere il controllo giurisdizionale della costituzionalità delle leggi.Nel contesto contemporaneo, è stato anche utilizzato da John Rawls, tra glialtri, per difendersi dalle accuse di Jürgen Habermas di difendere uno schema dilegittimità poco democratico. Si veda Rawls, Reply to Habermas, op.cit. 6 Proprio come Jürgen Habermas segnala a Rawls nel dibattito citato alla notaprecedente. Si veda J. Habermas, Reconciliation Through the Public Use of Reason: Remarks onJohn Rawls Political Liberalism, «Journal of Philosophy», vol. 92, n. 3, 1995, pp. 109-131, e J. Habermas e J. Rawls, Debate sobre el liberalismo político, trad. Gerard VilarRoca, Barcelona, Paidós, 1998, per l’intero scambio di vedute.

liberale di diritti. Nel qual caso non si ha nessun vulnus per la

democrazia, dal momento che i diritti costituzionali che

limiteranno il potere legislativo democratico costituito sono

liberamente assunti, auto-imposti, dalla stessa autorità

democratica. Ora, però, che si adotti costituzionalmente una

democrazia costituzionale è un fatto puramente contingente e, ciò

che è più grave, si incorre in una qualche inconsistenza, dal

momento che gli stessi argomenti che giustificano l’imposizione di

restrizioni al potere decisionale dell’autorità democratica

costituita sembrano essere applicabili in generale all’autorità

democratica costituente. Secondo un’altra interpretazione, mirata

a evitare tale inconsistenza, anche l’autorità democratica

costituente è soggetta a restrizioni. Per ragioni concettuali,

queste restrizioni non possono essere costituzionali. Saranno,

ciononostante, limiti sostanziali nella forma, per così dire, di

diritti fondamentali precostituzionali. Ma ecco che ci si chiede

chi e come possa determinare quali siano questi diritti

precostituzionali non scritti. E, ciò che è più importante, il

risultato continua a essere disarmonico poiché i diritti finiscono

per imporsi sulla democrazia, ma adesso al livello costituente.

Come potrà allora aversi un conflitto tra democrazia e

autonomia personale, se la prima non è altro che l’esercizio di

una dimensione della seconda? L’autonomia privata, a differenza

della mera libertà naturale, richiede che un sistema politico

giuridico la riconosca e, perché tale sistema non ci venga imposto

eteronomamente, è necessario che l’autorità politica sia

democratica. Non a caso, come già si è detto, tra i diritti

fondamentali riconosciuti da tutte le dichiarazioni internazionali

e dalla maggior parte delle costituzioni contemporanee, si trovano

i diritti politici di partecipazione all’autogoverno. In fatti,

l’autonomia pubblica non è possibile se non si garantisce

l’autonomia privata. Uno stato democratico che sradichi il sistema

di libertà personali associate ai diritti civili finisce con il

non essere democratico, posto che queste libertà, come la libertà

di espressione o la libertà di associazione, sono nella maggior

parte precondizioni dello stesso processo democratico. Come ha

recentemente sostenuto Jürgen Habermas, non disponiamo di due o

più ideali di autonomia chiaramente differenziati, con requisiti e

condizioni di esercizio distinti, bensì di un unico e complesso

ideale di autonomia con due dimensioni. L’autonomia pubblica e

l’autonomia privata non sono altro che le due facce della stessa

medaglia e si implicano reciprocamente7. Come è possibile, dunque,

che i due valori entrino in conflitto, se in realtà non sono altro

che due dimensioni di uno stesso unico valore?

A mio modo di vedere, si tratta di un paradosso che si trova

profondamente radicato nell’ideale democratico moderno e che

difetta di una soluzione soddisfacente. Tale paradosso può

assumere diverse forme a seconda di quale sia la prospettiva dalla

quale lo si osserva. Nel presente lavoro mi concentro su di una

sola di queste dimensioni, quella che ho denominato “paradosso

della legittimità”8.

La concezione liberal-democratica della legittimità politica

non può scindere i criteri di legittimità puramente procedurali da7 Si vedano J. Habermas, Faktizität und Geltung, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag,1992; Human Rights and Popular Soverereignty: The Liberal and Republican Versions, «Ratio Juris»,vol. 7, n. 1, 1994, pp. 1-13; e Constitutional Democracy. A Paradoxical Union of ContradictoryPrinciples?, «Political Theory», vol. 29, n. 6, 2001, pp. 766-781.8 Per un’analisi più dettagliata di questo paradosso, si veda J.L. Martí, TheSources of Legitimacy of Political Decisions: Between Procedure and Substance, in L. Wintgens(ed.), The Theory and Practice of Legislation: Essays on Legisprudence, London, Ashgate, pp.259-281, 2005; e La república deliberativa: una teoría de la democracia, Madrid, Marcial Pons,2006, cap. IV.

quelli puramente sostanziali. Per criteri procedurali intendo

quelli che determinano quale sia l’autorità legittimata a prendere

una decisione e quale sia la procedura di decisione da adottare a

tal fine. Da una prospettiva liberal-democratica della

legittimità, l’autorità legittimata è direttamente o

indirettamente la cittadinanza, secondo le differenti versioni

della procedura democratica (regola della maggioranza semplice o

qualificata, etc.). I criteri sostanziali, invece, sono quelli che

fissano il contenuto materiale concreto che dovrà possedere una

decisione per essere legittima. Per frenare il rischio che le

decisioni democratiche scatenino una tirannia della maggioranza, e

la negazione o lesione di diritti della minoranza, si considera

utile individuare certi limiti sostanziali al di là dei quali

l’autorità democratica può decidere, limiti che pretendono di

salvaguardare la linea di demarcazione tra sfera pubblica e

privata, e dunque il principio liberale di neutralità, così come

di assicurare certi spazi di libertà personale per ogni cittadino.

In altri termini, vengono adottati alcun requisiti minimi di

legittimità sostanziale.

A questo punto, interrogarsi circa la legittimità di una

decisione significa interrogarsi su entrambi i criteri allo stesso

tempo. Da una prospettiva liberal-democratica non si può

prescindere da nessuno di essi. Le concezioni puramente

procedurali, che non contemplano nessun tipo di restrizione

sostanziale, sono gravate da almeno tre seri problemi9. In primo

luogo, consentono di affermare che una decisione senza dubbio

9 Tra gli autori che hanno proposto teorie procedurali pure, possono esserericordati S. Hampshire, Innocence and Experience, London, Penguin Press, 1989; J.Ely, Democracy and Distrust. A Theory of Judicial Review, Cambridge (Mass.), HarvardUniversity Press, 1980; e R. Dahl, Democracy and its critics, New Haven, YaleUniversity Press, 1989.

aberrante dal punto di vista sostanziale, come quella di

sterminare una parte della popolazione, possa giungere a essere

legittima, quando invece la nostra intuizione liberal-democratica

parrebbe indicarci che non lo è. In secondo luogo, dimenticano che

se consideriamo legittima una procedura e non l’altra, cioè se

preferiamo la stessa democrazia, ciò avviene in virtù di

determinate considerazioni sostanziali, fondate sui valori di

autonomia e di uguaglianza. Dunque sembra contraddittorio

considerare legittima una decisione per il fatto di essere

democratica se questa decisione mette a rischio o erode lo stesso

valore di autonomia che è alla base della democrazia. In terzo

luogo, e parzialmente in relazione con quanto precedentemente

detto, vi è da dire che ogni procedura è necessariamente retta da

regole, diritti e obbligazioni. Nel caso della procedura

democratica, al fine di ottenere decisioni collettive che siano

effettivamente il riflesso di un esercizio di autonomia pubblica,

è necessario garantire determinati antecedenti diritti di

autonomia ai propri cittadini, diritti che in realtà si somigliano

abbastanza al catalogo di diritti fondamentali liberali10.10 Il problema, in realtà, è più complesso, ed è legato a quello che in altrolavoro ho chiamato “paradosso delle precondizioni della democrazia”. Si vedaJ.L. Martí, La república deliberativa, op.cit., cap. III, e Un callejón sin salida. La paradoja delas precondiciones (de la democracia deliberativa) in Carlos S. Nino, in VV.AA. (comp.), Homenaje aCarlos Nino (titolo provvisorio), Buenos Aires: Editorial de la Universidad deBuenos Aires, in corso di stampa. Perché la procedura democratica sia effettivae legittima è necessario non soltanto adempiere alle regole procedurali che lareggono, bensì anche soddisfare le precondizioni dello stesso processo, cioè, lecondizioni necessarie all’efficacia dello stesso processo, che sono molto similialle questioni protette dai diritti fondamentali. Ed ecco che, quanto piùdemocratica, e pertanto legittima, è una procedura di decisione, maggiore saràil numero delle precondizioni che dovremo avere garantito ex ante, e diconseguenza minore sarà il numero delle decisioni da prendere una voltaistituita la procedura. Inversamente, quante più decisioni vorremo prenderedemocraticamente, minore sarà la possibilità di garantire le precondizioninecessarie per la legittimità delle procedure democratici, e dunque minorelegittimità possiederanno in linea di principio tali decisioni. Cioè, dovremoscegliere tra il fare affidamento su di una procedura altamente legittima ma

Le concezioni puramente sostanziali, da parte loro, sono

afflitte da quattro gravi problemi, tutti originati dalla

confusione tra le nozioni di legittimità e di giustizia. In primo

luogo, affermare che le decisioni politiche sono legittime se sono

sostanzialmente giuste vuol dire dimenticare la principale

funzione della nozione di legittimità politica: cioè permettere un

accordo sociale di base sull’accettabilità delle decisioni

politiche in circostanze di disaccordo. Se legittimità e giustizia

coincidono, le decisioni politiche saranno considerate legittime o

meno in funzione delle convinzioni di ciascuno sulla loro

giustizia sostanziale, ma su ciò non si dà un consenso sociale

sufficiente. In secondo luogo, ci sono alcuni ambiti di decisione

politica nei quali non vi è questione di correttezza o

scorrettezza sostanziale, come avviene tipicamente nei casi di

pura coordinazione, come quello della circolazione stradale, o nei

casi di decisioni simboliche, come la scelta di una bandiera o di

un inno nazionale. Dal momento che si tratta di decisioni

irrilevanti in termini morali, non disponiamo di nessun criterio

sostanziale per giudicarle, e ciononostante riteniamo che ci siano

alcune condizioni che rendono legittime o illegittime tali

decisioni. In terzo luogo, dal punto di vista di una concezione

puramente sostanziale non vi sarebbe alcuna differenza in termini

di legittimità tra una decisione democratica e una decisione presa

da un dittatore, qualora possiedano un medesimo contenuto. Ma ciò

appare allo stesso tempo controintuitivo. Infine, la legittimità

politica sembra implicare un vincolo speciale tra un cittadino e

la sua comunità politica, dal momento che ciascuno è vincolato

dalle decisioni legittime del proprio paese e non da quelle deldestinata a prendere poche decisioni, e molto poco importanti, e una procedurautile a prendere molte decisioni ma generalmente meno legittima.

paese confinante, e una decisone può essere legittima in un luogo

e non altrove, in un determinato tempo e non in un altro.

Ciononostante, non è possibile spiegare nessuno di questi

peculiari caratteri assumendo una concezione puramente sostanziale

fondata su considerazioni universali di giustizia.

In definitiva, da un punto di vista liberale e democratico,

tanto i criteri procedurali quanto quelli sostanziali appaiono

irrinunciabili. Eppure, i due tipi di criteri possono entrare in

conflitto tra loro. Che fare, dunque, quando una decisione è

legittima sotto il profilo procedurale, ma sostanzialmente

ingiusta? E come valutare una decisone giusta ma assunta da un

dittatore? Una soluzione a questo problema, che chiamerò

concezione mista massimalista, consisterà nell’affermare che una

decisione politica è legittima se, e soltanto se, soddisfa

contemporaneamente entrambi i criteri. Di modo che i due casi di

conflitto che prospettati sarebbero esempi di decisioni

illegittime, poiché non soddisfano uno dei due criteri. Ma nemmeno

questa strategia è soddisfacente, per almeno due ragioni. In primo

luogo, esigendo sempre e contemporaneamente il soddisfacimento dei

due requisiti, sommiamo, piuttosto che attenuare, alcuni degli

inconvenienti delle due citate concezioni pure. Per esempio, se

ciò che pretendiamo da una concezione di legittimità politica è

che fornisca un accordo di base in circostanze di disaccordo

generalizzato riguardo alla giustizia, allora dovremmo definire il

criterio di legittimità indipendentemente da ogni considerazione

di giustizia. In caso contrario, ai disaccordi possibili su quale

sia la procedura legittima si dovranno sommare tutti i disaccordi

sostanziali i cui effetti si tentava esattamente di attenuare.

Inoltre, e in connessione con quanto appena detto, questa

strategia difende una concezione della legittimità tanto esigente

da non potere essere soddisfatta da nessuno stato del mondo. Ci

porterebbe a concludere, quindi, che nessuno stato realmente

esistente è legittimo. Allora ci si potrebbe domandare se questa

concezione sia utile, dal momento che non consente di distinguere,

nel panorama attuale, tra i paesi che dispongono e quelli che non

dispongono di una buona organizzazione politica. In secondo luogo,

tale concezione non si accorderebbe con nessuna delle nostre

intuizioni più elementari, come per esempio quella secondo cui la

legittimità è compatibile con almeno certe dosi “tollerabili” o

“accettabili” di ingiustizia.

Una variante interessante di questa concezione mista

massimalista della legittimità è quella che sembra essere

rappresentata dalla democrazia costituzionale, che esige una

combinazione di criteri procedurali con criteri sostanziali, ma

limitando questi ultimi a certe considerazioni elementari di

giustizia. Non si cerca dunque tanto di imporre una concezione

completa di giustizia sostanziale, quanto di assicurare come

minimo un certo nucleo fondamentale di correttezza. Un po’ come

lasciare che siano i criteri procedurali ad acquisire centralità

in materia di legittimità, ma una volta corretti o vincolati da

certe basilari garanzie minime. Questa strategia sembrerebbe

smontare almeno la seconda delle obiezioni appena proposte, dal

momento che renderebbe effettivamente compatibile la legittimità

con certe dosi di ingiustizia. E indirettamente sembra attenuare

la seconda parte della prima obiezione, dal momento che, a seconda

di quanto elementari siano i requisiti sostanziali minimi, si

consentirebbe di qualificare come legittimi almeno parte degli

stati del mondo.

Ebbene, questa strategia non è stabile in nessun caso. In

primo luogo, ciò è dovuto alla forza espansiva del ragionamento

che sta alla base dei diritti fondamentali, che fa sì che ogni

questione politica sostanziale finisca con l’essere direttamente o

indirettamente rilevante nei termini dei suddetti diritti

fondamentali o, come esattamente mostra l’attuale fenomeno di

costituzionalizzazione dei nostri ordinamenti giuridici, possa

essere affrontata sotto un profilo costituzionale. Ciò significa

che i requisiti sostanziali minimi nella forma di diritti

finiscono con lo sviluppare una concezione completa, o quantomeno

molto estesa, della giustizia. E la versione apparentemente

moderata della strategia mista finisce con il risolversi

nuovamente nella concezione massimalista. Sebbene possa sembrare,

in prima battuta, che sia facile ottenere certi consensi

generalizzati ai fini della protezione di alcuni diritti

fondamentali indicati in maniera molto vaga e astratta, una volta

resi operanti questi diritti, constatiamo che tali consensi non

erano affatto reali, e piuttosto mascheravano i veri disaccordi

politici di base. Che significa essere d’accordo nel dover

proteggere il diritto alla vita, se non concordiamo sul fatto che

tale diritto proibisca la pena di morte o l’aborto, o imponga o

meno doveri positivi da parte dello stato?

In definitiva, se scartiamo la concezione mista massimalista

che pretende di imporre sempre e contemporaneamente criteri

procedurali e sostanziali di legittimità, ma allo stesso tempo

constatiamo di non potere rinunciare a nessuno dei due tipi,

dovremo articolare, a mio parere, una concezione di legittimità

che, soddisfacendo in prima battuta i criteri procedurali, trovi

qualche sorta di equilibrio con considerazioni di carattere

sostanziale, cioè fornisca una minima certezza che i valori

sostanziali di base verranno garantiti o soddisfatti dalle

decisioni politiche. Non possiamo fare altro che constatare la

presenza di questo paradosso di base e tentare di trovare un modo

di risolvere i conflitti tra procedura e sostanza nei casi pratici

in cui si presentino.

II. La democrazia deliberativa

A partire dagli anni ottanta si è prodotta una vasta

letteratura nella teoria della democrazia, soprattutto

anglosassone, che ha sviluppato un nuovo modello normativo

divenuto dominante tanto in Europa quanto negli Stati Uniti11. Si

tratta della democrazia deliberativa, difesa da autori quali

Jürgen Habermas, Jon Elster, Joshua Cohen, Philip Pettit, James

Bohman, Amy Gutmann e Dennis Thompson12. Questo modello si oppone

per un verso alle teorie economiche della democrazia di Joseph

Schumpeter o Anthony Downs, che possiamo raggruppare sotto il

11 Per un panorama generale del modello, si vedano: A. Gutmann y D. Thompson,Democracy and Disagreement, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1996, eWhy Deliberative Democracy?, Princeton, Princeton University Press, 2004; J. Bohman,Public Deliberation. Pluralism, Complexity and Democracy, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1996,e Survey Article: The Coming of Age of Deliberative Democracy, «The Journal of PoliticalPhilosophy», vol. 6, n. 4, 1998, pp. 400-425; C. Nino, The Constitution of DeliberativeDemocracy, New Haven, Yale University Press, 1996; J. Bohman e W. Rehg (eds.),Deliberative Democracy. Essays on Reason and Politics, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1997; J.Elster, (ed.), Deliberative Democracy, Cambridge, Cambridge University Press; S.Macedo (ed.), Deliberative Politics: Essays on Democracy and Disagreement, Oxford, OxfordUniversity Press, 1999; J. Fishkin e P. Laslett (eds.), Debating DeliberativeDemocracy, Oxford, Blackwell, 2003; e S. Besson e J.L. Martí (eds), DeliberativeDemocracy and Its Discontents. National and Post-national Challenges, London, Ashgate, 2006. Peruna ricostruzione approfondita dello stesso, si veda J.L. Martí, La repúblicadeliberativa, op.cit.12 La lista di difensori del modello è interminabile, ma può valere la pena diaggiungere alcuni nomi rilevanti, come Bernard Manin, Jane Mansbridge, IrisYoung, Seyla Benhabib, David Estlund, Stephen Macedo, Thomas Christiano, JamesFishkin e John Dryzek.

modello della democrazia come mercato, così come alle teorie

pluraliste della democrazia, come quella di Robert Dahl o John

Ely, e per altro verso a teorie alternative che hanno negli ultimi

tempi via via assunto peso accademico, in particolare nei circoli

post-moderni, come la teoria della democrazia agonistica, così

come sviluppata, per esempio, da Chantal Mouffe13.

Come modello normativo, la democrazia deliberativa descrive un

ideale regolativo verso il quale i nostri sistemi politici

dovrebbero tendere14. In realtà nell’opera degli autori citati

troviamo una critica esplicita ai sistemi democratici attuali per

avere dimenticato ciò che secondo loro costituisce la dimensione

più importante di una democrazia, cioè la deliberazione pubblica.

Non è che in assoluto non vi sia alcuna deliberazione, ma gli

spazi di deliberazione esistenti sono così pochi, e la discussione

che vi ha luogo così povera, che si finisce con il mettere in

discussione la legittimità politica del sistema. Come ogni modello

normativo di democrazia, la democrazia deliberativa definisce un

ideale di legittimità politica15. Secondo tale ideale le decisioni

13 Si vedano J. Schumpeter, [1942], Capitalism, Socialism and Democracy, 2ª ed., NewYork, Harper and brothers, 1946; A. Downs, An Economic Theory of Democracy, New York,Harper and Row, 1956; R. Dahl, Democracy and its critics, op.cit., e On Democracy, NewHaven, Yale University Press, 1998; J. Ely, op.cit.; e Ch. Mouffe, The Return of thePolitical, London, Verso, 1993, The Democratic Paradox, London, Verso, 2000, e On thePolitical (Thinking in Action), London: Routledge, 2005.14 Sorprendentemente, la nozione di ideale regolativo è stata poco studiata daifilosofi. Si può trovare un tentativo di analisi preliminare in J.L. Martí, Lanozione di ideale regolativo: note preliminari per una teoria degli ideali regolativi nel diritto, «RagionPratica», n. 25, dicembre, 2005, pp. 381-404.15 Si vedano B. Manin, On Legitimacy and Political Deliberation, «Political Theory», vol.15, n. 3, 1987, pp. 351-359; J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, in A.Hamlin e Ph. Pettit (eds.), The Good Polity: Normative Analysis of the State, Oxford,Blackwell, 1989, pp. 17-22; J. Dryzek, Discursive Democracy, Cambridge, CambridgeUniversity Press, 1990, e Deliberative Democracy and Beyond: Liberals, Critics, and Contestations,Oxford, Oxford University Press, 2000; J. Habermas, Faktizität und Geltung, op.cit.; D.Estlund, Who’s Afraid of Deliberative Democracy? On the Strategic/Deliberative Dichotomy in RecentConstitutional Jurisprudence, «Texas Law Review», vol. 71, 1993, p. 1469, e BeyondFairness and Deliberation: The Epistemic Dimension of Democratic Authority, in J. Bohman e W. Rehg

politiche, per essere legittime, devono essere il risultato di un

processo argomentativo collettivo e pubblico, cioè di uno scambio

di argomenti e ragioni favorevoli e contrari alle proposte

presentate con l’obiettivo di convincere razionalmente gli altri

interlocutori, essendo la forza di tali argomenti quella che deve

prevalere nell’assunzione delle decisioni, e non il tentativo di

imporre strategicamente le proprie preferenze o desideri mediante

una negoziazione né l’affidamento della decisione alla mera

aggregazione di preferenze individuali mediante un sistema di

voto16.

Come ideale democratico, la democrazia deliberativa reclama il

diritto di partecipazione (diretta o indiretta) di tutti i

cittadini potenzialmente interessati da ciascuna decisione, in

conformità a un rigoroso principio di inclusione17, e riconosce

loro una eguale capacità di influenza politica nella

determinazione della decisione finale, grazie alla possibilità di

proporre argomenti convincenti18. Come ideale deliberativo, la

(eds.), Deliberative Democracy, op.cit., pp. 173-204; A. Gutmann e D. Thompson,Democracy and Disagreement, op.cit., p. 4, e Why Deliberative Democracy?, op.cit., pp. 3-7; eJ. Bohman, Public Deliberation, op.cit., pp. 4 e 5, e Survey Article..., op.cit., pp. 401 e 402.16 Sulla distinzione tra argomentazione o deliberazione, e negoziazione e voto,si vedano J. Elster, Strategic Uses of Argument, in K. Arrow et al. (eds.), Barriers toConflict Resolution, New York: Norton, 1995, p. 239, e Deliberative Democracy, op.cit., pp.5-8; B. Manin, op.cit., pp. 352 e 353; e J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy,op.cit., p. 21. In seguito tornerò sulla questione.17 Si veda, per esempio, B. Manin, op.cit., pp. 352, J. Cohen, Deliberation andDemocratic Legitimacy, op.cit., p. 23, Procedure and substance in Deliberative Democracy, in S.Benhabib (ed.), Democracy and Difference, Princeton, Princeton University Press,1996, e Democracy and Liberty, in J. Elster (ed.), Deliberative Democracy, op.cit., p. 203;J. Bohman, Public Deliberation, op.cit., pp. 7 e 9, e Survey Article..., op.cit., pp. 400 e 408-410; Th. Christiano, The Rule of the Many, Boulder (Colo.), Westview Press, 1996; C.Nino, op.cit., pp. 144 e 180-186; A. Gutmann e D. Thompson, Democracy andDisagreement, op.cit., cap. 8, e Why Deliberative Democracy?, op.cit.; e J. Elster,Deliberative Democracy, op.cit., p. 8.18 Si vedano J. Cohen, The Economic Basis of Deliberative Democracy, «Social Philosophyand Policy», vol. 6, n. 2, 1989; J. Bohman, Public Deliberation, op.cit., cap. 3; Th.Christiano, op.cit.; A. Gutmann e D. Thompson, Democracy and Disagreement, op.cit., cap.8; G. Gaus, Justificatory Liberalism: An Essay on Epistemology and Political Theory, Oxford, Oxford

democrazia deliberativa propone di instaurare procedure di

deliberazione pubblica che consentano alla cittadinanza di

partecipare attivamente alla discussione razionale delle diverse

politiche alternative da avviare, e ai suoi rappresentanti di

impegnarsi in deliberazioni pubbliche che consentano di esporre i

migliori argomenti rintracciati a favore di ciascuna proposta19.

La deliberazione democratica è, dunque, una procedura

collettiva discorsiva per l’assunzione di decisioni, che funziona

a un doppio livello, istituzionale e non istituzionale20, fondata

sullo scambio di ragioni o argomenti a favore o a sfavore dell’una

o dell’altra opzione21, mirata alla trasformazione delle preferenze

politiche in virtù del convincimento razionale di tutti i

partecipanti, cioè affidandosi alla forza del miglior argomento22,

University Press, 1996.19 Si vedano, per esempio, B. Manin, op.cit., pp. 353; J. Cohen, Deliberation andDemocratic Legitimacy, op.cit., p. 17; e C. Sunstein, The Partial Constitution, Cambridge(Mass.), Harvard University Press, 1993, p. 162.20 Si vedano J. Habermas, Faktizität und Geltung, op.cit., e J. Bohman, Public Deliberation,op.cit. In prima battuta, si ottiene una deliberazione più rigorosa eistituzionalizzata, retta da una procedura maggiormente formalizzata, neglispazi di decisione politica, tanto nel contesto di organi rappresentativi quantoin quello di meccanismi di partecipazione della cittadinanza. In secondabattuta, troviamo una deliberazione pubblica informale o non istituzionalizzatache ha luogo nella sfera pubblica in generale, al margine delle istituzionipolitiche e poco o per nulla regolamentata. Si tratta, in questo caso, delladeliberazione di massa nella quale i cittadini partecipano ogni volta chescrivono o leggono i periodici, intervengono o ascoltano un dibattitoradiofonico o televisivo, discutono con un’altra persona in un caffé, o nelpianerottolo con i vicini di casa. La deliberazione non istituzionale è dicruciale importanza per alimentare la deliberazione istituzionale del primolivello e per rafforzare la legittimità del sistema democratico.21 Si vedano B. Manin, op.cit., pp. 352 e 353, J. Cohen, Deliberation and DemocraticLegitimacy, op.cit., p. 21; Th. Christiano, op.cit., pp. 53-55; A. Gutmann e D.Thompson, Democracy and Disagreement, op.cit.; e Fishkin e Laslett, op.cit., p. 2.22 Si vedano, per esempio J. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, Frankfurtam Main, Suhrkamp Verlag, 1981; J. Elster, Sour Grapes. Studies in the Subversion ofRationality, Cambridge, Cambridge University Press, 1983, pp. 53-65, Strategic Uses ofArgument, op.cit., e Deliberative Democracy, op.cit.; J. Mansbridge, Beyond AdversaryDemocracy, 2 ed., Chicago: University of Chicago Press, 1983, pp. 8-10; B. Manin,op.cit., pp. 349 e 350, J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit., p. 22, eThe Economic Basis of Deliberative Democracy, op.cit., pp. 32-34; A. Gutmann e D. Thompson,

e che idealmente conduce a un consenso ragionato23. Si tratta di

una procedura pubblica (esclude, eccetto che in casi eccezionali, il

segreto nel processo decisionale)24, continuativa (ogni decisione che

venga presa può essere rivista in futuro, di modo che la procedura

non giunge mai a conclusione)25, aperta (è flessibile in modo da

adattarsi a ogni circostanza) e autoreferente (attraverso la

procedura possono essere prese in considerazione questioni

relative alla stessa procedura)26. E i cittadini vi partecipano

come esseri liberi27 e uguali28, motivati da considerazioni non

strategiche ma imparziali, e ispirati al bene comune29.

Democracy and Disagreement, op.cit., e Why Deliberative Democracy?, op.cit.; e Fishkin eLaslett, op.cit., p. 2.23 Si vedano J. Mansbridge, Beyond Adversary Democracy, op.cit., pp. 3 e 31-33; J.Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit., p. 23; C. Sunstein, Beyond theRepublican Revival, «Yale Law Journal», vol. 97, 1988, e The Partial Constitution, op.cit.,p. 137; D. Estlund, Beyond Fairness and Deliberation, op.cit.; e J. Bohman, Survey Article...,op.cit., p. 400.24 Si vedano, per esempio, A. Gutmann e D. Thompson, Democracy and Disagreement,op.cit., p. 95; e J. Elster, Deliberation in Constitution Making, in J. Elster, DeliberativeDemocracy, op.cit., pp. 107-116.25 Si vedano J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit., p. 21; J. Bohman,Public Deliberation, op.cit., pp. 47-66, e Survey Article..., op.cit., p. 407; e A. Gutmann e D.Thompson, Democracy and Disagreement, op.cit., pp. 1, 26 e 51-94.26 Si vedano J. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, op.cit.; J. Cohen,Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit., pp. 21-24, e The Economic Basis of DeliberativeDemocracy, op.cit., p. 31; C. Sunstein, The Partial Constitution, op.cit., p. 23; J. Bohman,Public Deliberation, op.cit., p. 238.27 Si vedano B. Manin, op.cit., pp. 352; J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy,op.cit., p. 22, The Economic Basis of Deliberative Democracy, op.cit., p. 32, e Democracy andLiberty, in J. Elster, Deliberative Democracy, op.cit., pp. 192-233; J. Bohman, PublicDeliberation, op.cit., p. 238; C. Nino, op.cit., p. 180; e J. Elster, DeliberativeDemocracy, op.cit., p. 1.28 Si vedano J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit., p. 21, e The EconomicBasis of Deliberative Democracy, op.cit.; Bohman 1996: cap. 3, A. Gutmann e D. Thompson,Democracy and Disagreement, op.cit., cap. 9, pp. 307-345; C. Nino, op.cit., pp. 144 e180; e J. Elster, Deliberative Democracy, op.cit., p. 1.29 Si vedano C. Sunstein, Beyond the Republican Revival, op.cit.; J. Cohen, Deliberation andDemocratic Legitimacy, op.cit., pp. 17, 19, 21 e 22, e Democracy and Liberty, op.cit., pp.198-201, A. Gutmann e D. Thompson, Democracy and Disagreement, op.cit., p. 4, e WhyDeliberative Democracy?, op.cit.; e J. Bohman, Public Deliberation, op.cit., p. 5, e SurveyArticle..., op.cit., p. 402.

In quanto processo discorsivo, la procedura deliberativa

presuppone l’esistenza di un criterio o insieme di criteri di

correttezza dei giudizi o argomenti che vi siano introdotti, che

sia almeno parzialmente indipendente dalle opinioni soggettive dei

partecipanti, cioè che possieda un certo grado di oggettività30.

Ovviamente, presuppone altresì la possibilità di conoscere quale

sia la decisione corretta da prendere in ogni circostanza o, più

in generale, che si conosca il criterio o insieme di criteri di

correttezza31. A differenza di ciò che accade nei processi di

negoziazione o di mera persuasione non razionale, argomentare a

favore della decisione A significa mostrare che la decisione A è la

decisione corretta, o quantomeno che, presupponendo un insieme di

decisioni alternative possibili, è la meno scorretta di tutte o

quella che con maggiore grado di probabilità è corretta. I

partecipanti a un processo argomentativo deliberano con pretesa di

verità, quando sia discussa una questione di razionalità teorica,

e con pretesa di correttezza, quando lo sia una questione di

razionalità pratica32. E tale criterio di correttezza deve essere

minimamente oggettivo, nel senso di essere almeno parzialmente

indipendente dalle preferenze e opinioni delle parti. A mio

parere, questo requisito non compromette il modello con un

oggettivismo forte, qual è quello del realismo morale, dal momento

30 J. Cohen, An Epistemic Conception of Democracy, «Ethics», vol. 97, n. 1, 1986, pp. 34e ss.; D. Estlund, Who’s Afraid of Deliberative Democracy?, op.cit., pp. 1448 e ss., eMaking truth safe for democracy, in D. Copp, J. Hampton, e J. Roemer, (eds.), The Idea ofDemocracy, Cambridge: Cambridge University Press, 1993, pp. 74, 79-81.31 Si vedano J. Cohen, An Epistemic Conception of Democracy, op.cit., p. 54 e ss.; e D.Estlund, Who’s Afraid of Deliberative Democracy?, op.cit., Making truth safe for democracy, op.cit.,e Beyond Fairness and Deliberation, op.cit., pp. 174 e ss.32 Si veda J. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, op.cit.

che ciò che presuppone è unicamente l’esistenza di un criterio di

correttezza intersoggettivamente valido33.

Il presupposto di questo criterio intersoggettivo di

correttezza è esattamente uno degli elementi che distinguono

l’argomentazione dalla negoziazione, dal momento che, in

quest’ultima, i partecipanti tentano di convincere o persuadere

l’interlocutore in modo non razionale, dietro minacce, inganni,

promesse o trucchi retorici non razionali, senza appellarsi a

nessuna ragione indipendente34. Tali partecipanti, inoltre,

agiscono in virtù di motivazioni puramente interessate, a

differenza di ciò che accade nella deliberazione, nella quale

almeno idealmente i partecipanti sono vincolati alla ricerca del

33 La teoria è compatibile tanto con il realismo morale come con ilcostruttivismo kantiano o finanche con un non-cognitivismo moderato che esigacondizioni ideali come l’universalità o l’imparzialità, come quello di Hare. Siveda D. Estlund, Beyond Fairness and Deliberation, op.cit., pp. 180 e 181. Ovviamente lanecessità di presupporre l’esistenza di un criterio di correttezzaintersoggettivo e la possibilità di conoscerlo non implica l’effettiva esistenzadello stesso, né l’effettiva sua conoscenza. Potrebbe benissimo darsi che talecriterio non esista o non possa essere conosciuto. Ma allora dovremmo concludereche non vi è spazio per l’argomentazione e la deliberazione politiche. Inmateria di gusti del gelato, per esempio, non esistono criteri intersoggettividi correttezza. Se a me piacciono i gelati alla vaniglia e a te piacciono quellial cioccolato, non avrà senso provare a convincerci reciprocamente di quanto ilnostro gusto sia migliore dell’altro. Può avere senso spiegare informativamentei motivi che fanno sì che preferiamo un gusto all’altro, sapendo che tali motivinon sono vere ragioni intersoggettive. In realtà, potremmo dire che nemmeno vi èun genuino disaccordo tra i due. In assenza di criteri di correttezzaintersoggettiva in merito è difficile parlare di disaccordi, e ciò sembraportarci a concludere che soltanto in presenza di genuini disaccordi possiamoidentificare uno spazio per l’argomentazione, e ogni qual volta ciò è possibile,lo è in virtù dell’esistenza di criteri di correttezza intersoggettiva. Indefinitiva, o accettiamo che non vi sia spazio per l’argomentazione in materiapolitica né genuini disaccordi in tale ambito, come accade per i gusti delgelato, e che ogni pratica deliberativa sia in realtà vana e mascheri unasituazione di persuasione o negoziazione, o altrimenti presupponiamo l’esistenzadi criteri di correttezza intersoggettivi.34 C. Sunstein, Beyond the Republican Revival, op.cit.; J. Cohen, Deliberation and DemocraticLegitimacy, op.cit., e Democracy and Liberty, op.cit.; J. Elster, Strategic Uses of Argument,op.cit., e Deliberative Democracy, op.cit.; A. Gutmann e D. Thompson, Democracy andDisagreement, op.cit., e Why Deliberative Democracy?, op.cit.; J. Bohman, Public Deliberation,op.cit., e Survey Article..., op.cit..

bene comune, ovvero della verità o della correttezza

intersoggettiva, e il tentativo di convincere gli altri si attua

sempre mediante la forza degli argomenti35. D’altro canto, come

abbiamo visto, la procedura deliberativa tende idealmente a

generare un consenso, cioè in condizioni ideali i partecipanti

arrivano a conoscere il criterio intersoggettivo di correttezza ed

è proprio in questo momento che la deliberazione termina. Di

conseguenza la deliberazione si distingue anche, quantomeno

idealmente, dalle procedure decisionali aggregative, come quella

del voto, che consistono nell’assumere come date le preferenze dei

partecipanti alla decisione e aggregarle applicando un qualche

tipo di regola di maggioranza per ottenere così la decisione

collettiva36.

Sebbene siano state date giustificazioni diverse di questo

modello democratico, le quali danno luogo a diverse concezioni

dello stesso, la maggioranza dei difensori del modello democratico

deliberativo concorda nel dire che la sua giustificazione deve

35 J. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, op.cit.; J. Elster, Sour Grapes, op.cit.,Strategic Uses of Argument, op.cit., e Deliberative Democracy, op.cit.; J. Mansbridge, BeyondAdversary Democracy, op.cit.; J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit.; A.Gutmann e D. Thompson, Democracy and Disagreement, op.cit., e Why Deliberative Democracy?,op.cit.36 Si vedano B. Manin, op.cit., pp. 349-353; C. Sunstein, Beyond the Republican Revival,op.cit.; J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, op.cit., pp. 17 e 18, e Democracyand Liberty, op.cit., pp. 185 e 186; A. Gutmann e D. Thompson, Democracy andDisagreement, op.cit., pp. 1 e 4, e Why Deliberative Democracy?, op.cit., pp. 13-21; e J.Bohman, Survey Article..., op.cit., p. 400. Ciò ovviamente non implica negare che nellapratica in cui operano certe restrizioni e non è possibile giungere a unasituazione deliberativa ideale, sarà di volta in volta necessario ricorrereanche a qualche tipo di meccanismo di votazione. Ma ciò non implica nullariguardo alla contrapposizione ideale tra i modelli deliberativi e quelliaggregativi o di voto. Si vedano B. Manin, op.cit., pp. 341-344 e 355-361; J.Waldron, Law and Disagreement, Oxford, Clarendon Press, 1999; e F. Ovejero, Lalibertad inhóspita. Modelos humanos y democracia liberal, Barcelona, Paidós, 2002, p. 159,nota 10; e S. Besson, Disagreement and Democracy: From Vote to Deliberation and Back Again? TheMove Toward Deliberative ‘Voting Ethics’, in J. Ferrer e M. Iglesias (eds.), Globalisation,Democracy, and Citizenship – Prospects for the European Union, Berlin, Duncker und Humblot,2003.

incorporare tanto argomenti strumentali quanto intrinseci, e deve

essere basata tanto sul valore epistemico della deliberazione,

quanto sulla giustificazione intrinseca della democrazia come

sistema politico che meglio rispetta i valori di uguaglianza e

autonomia dei membri di una comunità37. Dunque, la citata

dimensione epistemica risulta di particolare importanza per la

questione della legittimità. La procedura deliberativa conferisce

legittimità alle decisioni che da essa originano poiché tale

procedura è la più affidabile in termini di probabilità di

ottenere decisioni politiche corrette, e allo stesso tempo

presuppone un esercizio effettivo dell’autonomia pubblica. Il

criterio di legittimità delle decisioni politiche adottato dalla

democrazia deliberativa è dunque procedurale, dal momento che le

decisioni politiche sono corrette se, e soltanto se, esse sono il

risultato di un processo decisionale deliberativo e democratico.

Ciononostante, il modello deliberativo aggiunge una componente

argomentativa, che funziona da filtro per la imparzialità delle

preferenze individuali e impone così, de facto, restrizioni

sostanziali, orientando inoltre il processo decisionale verso una

finalità epistemica mirata a ridurre nella misura del possibile il

rischio di ingiustizia nelle decisioni. Una decisione che sia

stata democraticamente deliberata, almeno in condizioni ideali,

rispetterà tanto i criteri procedurali di legittimità quanto

quelli sostanziali, e non potrà essere ingiusta. L’ideale di

democrazia deliberativa ha la pretesa così di evitare i difetti37 Si vedano J. Cohen, An Epistemic Conception of Democracy, op.cit., e Deliberation andDemocratic Legitimacy, op.cit.; J. Habermas, Faktizität und Geltung, op.cit.; D. Estlund, Who’sAfraid of Deliberative Democracy?, op.cit., Making truth safe for democracy, op.cit., e BeyondFairness and Deliberation, op.cit.; C. Nino, op.cit.; e G. Gaus, op.cit. Una ricostruzione diquesta giustificazione in J.L. Martí, La república deliberativa, op.cit., cap. V e TheEpistemic Conception of Deliberative Democracy Defended. Reasons, Rightness and Equal Political Liberty,in S. Besson e J.L. Martí (eds), Deliberative Democracy and Its Discontents, op.cit.

tanto delle concezioni sostanzialiste della legittimità quanto di

quelle proceduraliste.

Ovviamente questo quadro è così come descritto se ci si

riferisce alle decisioni ottenute tramite una procedura ideale, ma

non altrettanto lo è con riferimento alle decisioni reali per le

quali, alla fine dei conti, abbiamo bisogno di una concezione

della legittimità. Il fatto che le procedure deliberative reali

non raggiungano pienamente gli standard esatti dall’ideale

regolativo della democrazia deliberativa fa sì che esse non

garantiscano la correttezza sostanziale dei loro risultati. In

questo senso, non si può affermare che la democrazia deliberativa

risolva realmente il paradosso, in modo definitivo. In realtà,

come ho accennato in principio, il paradosso della legittimità è a

mio parere inevitabile, indissolubile, poiché non esiste nessuna

procedura reale che possa armonizzare perfettamente i valori

procedurali con quelli sostanziali. Si tratta dunque di un genuino

paradosso del pensiero democratico38. Se ammettiamo che il

paradosso della legittimità è indissolubile, e tenendo in

considerazione che in ogni caso lo si deve effettivamente

affrontare o gestire, dovremo rintracciare la strategia che

preveda la migliore conciliazione pratica tra i diversi valori in

gioco. In altri termini, non dovremo esigere la proposta teorica

che risolve completamente il problema, bensì quella che offre la

migliore delle alternative per convivere con esso.38 Come lo sono anche il paradosso delle precondizioni della democrazia cui giàho accennato, e tanti altri paradossi che riguardano l’idea di democrazia e diautonomia. Sono d’accordo, pertanto, con la posizione del dialeteismo razionale,il quale afferma che certi paradossi sono veri, sebbene ciò possa fare violenzaad alcuni presupposti centrali della nostra logica. Se per paradosso intendiamouna contraddizione del pensiero, sostenere che un paradosso è vero significasostenere che una contraddizione può essere vera. Non posso però soffermarmioltre su questo punto. Si veda R.M. Sainsbury, Paradoxes, 2ª edizione rivista,Cambridge, Cambridge University Press, 1995, pp. 135-144.

Il fatto è che la procedura deliberativa, sebbene sia

disegnata per trovare la decisione corretta con una maggiore

probabilità, non ci offre, almeno nei processi non ideali, nessuna

garanzia che le decisioni prese siano giuste. Il modello della

democrazia deliberativa, come tutte le concezioni procedurali

della legittimità, presuppone la distinzione tra legittimità e

giustizia. Proprio per questo motivo è una concezione

soddisfacente alla luce dei disaccordi politici. Ma è allo stesso

tempo un sintomo della mancata piena risoluzione del problema.

Quando la legittimità procedurale non coincide con la giustizia

sostanziale, si può dare il caso che una decisione politica

legittima sia ingiusta, o addirittura molto ingiusta, cosa che

avverrà con tanta maggior probabilità quanto più ci separeremo

dalle condizioni ideali. Ciò che accade è che, allo stesso tempo,

quanto maggiore sarà la distanza da tali condizioni ideali, tanto

minore sarà il grado di legittimità della procedura e delle

decisioni stesse. Ciò indica un ulteriore problema, considerato

che è in condizioni non ideali che più si estendono i disaccordi

di base tra i cittadini, e che quindi avremo maggiore bisogno di

affidarci a un criterio di legittimità differente da quello della

giustizia.

In definitiva la nozione di legittimità delle decisioni

politiche come qualcosa di distinto dalla loro mera correttezza

sostanziale acquista maggiore importanza quanto più si allontanino

nel processo decisionale le condizioni reali da quelle ideali.

Allo stesso modo, quando ciò accade, è più difficile che la

concezione di legittimità adottata garantisca la giustizia delle

decisioni o minimizzi la loro ingiustizia. E dunque, quanto più ha

senso parlare di legittimità, e non di giustizia, tanto più

dovremo affrontare il fatto che la legittimità non necessariamente

garantisce la giustizia delle decisioni politiche. Per questa

ragione, non ha senso criticare la democrazia deliberativa in

quanto incapace di assicurare la giustizia delle decisioni

politiche legittime prese in virtù di una procedura di decisione

reale. L’esistenza stessa del paradosso mostra che non è possibile

prescindere da un criterio formale di legittimità. Allo stesso

modo, ci mostra altresì che non esistono procedure di giustizia

processuale perfetta, che garantiscano la correttezza sostanziale

dei propri risultati. E dal momento che la concezione mista

massimalista non è praticabile per le ragioni precedentemente

esaminate, ci si trova innanzi al seguente dilemma: o privilegiare

i valori procedurali o privilegiare i valori sostanziali.

Nessun teorico della legittimità contemporaneo, il quale

difenda una concezione sostanzialista, si azzarderebbe a fare del

tutto a meno di componenti procedurali della legittimità. Nessun

teorico proceduralista, da parte sua, si azzarderebbe a eliminare

del tutto le considerazioni sostanziali dal piano della

legittimità. Essi piuttosto non concordano sul peso da attribuire

a ciascun tipo di considerazioni39. Ma l’impresa comune degli uni e

degli altri consiste nell’identificare una procedura formalmente

legittima che minimizzi il rischio di ingiustizia delle decisioni

politiche legittime, pure ammettendo la possibilità che queste

esistano40. Si tratta di riconoscere che soltanto una procedura39 E la loro risposta deve affrontare il difficile compito di preferire unadelle opzioni nel seguente caso di scelta tragica: cosa preferire in termini dilegittimità, una decisione politica democratica e deliberata ma parzialmenteingiusta, per esempio la decisione di discriminare gli omosessuali negando lorola possibilità di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, o unadecisione non democratica e imposta in maniera elitista ma apparentemente giustain termini sostanziali come quella di permettere tale matrimonio?40 Così, ancora, può leggersi la controversia sorta tra due grandi nomi delpensiero politico contemporaneo, John Rawls e Jürgen Habermas, che fu

democratica può attribuire legittimità politica a una decisione,

incluse le decisioni prese da un’assemblea costituente, con le

quali si attribuisce forza a una costituzione, e che allo stesso

tempo abbiamo bisogno di una procedura che ci offra sufficienti

garanzie di correttezza sostanziale.

Detto questo, l’unico modo per valutare correttamente la

strategia della democrazia deliberativa innanzi al problema del

paradosso della legittimità consiste, come si è detto, nel

verificare in che modo essa concili i valori in gioco e,

soprattutto, se lo faccia in modo migliore rispetto alle sue

alternative. Escluse le procedure di decisione non democratiche,

alternative alle procedure deliberative troviamo soltanto due tipi

di procedure democratiche, quelle basate sul voto puro, senza

previa deliberazione, e quelle basate sulla negoziazione. Se il

nostro obiettivo, dunque, è quello di stimare i differenti tipi di

procedure di decisione democratiche per la loro affidabilità al

momento di produrre risultati giusti, oltre che proceduralmente

legittimi, quello che ci chiediamo è quale di esse sia superiore

sotto il profilo epistemico41. È evidente che la negoziazione non

può avere nessun valore epistemico, dato che presuppone, come

abbiamo visto, che non vi sia alcun criterio indipendente di

correttezza che si possa o si debba conoscere. E con riferimento

al voto, sebbene alcuni modelli tentino di riconoscere valore

epistemico al semplice fatto di votare democraticamente, come

quelli che prendono le mosse dal teorema della giuria di

all’origine di un gran numero di scritti, in gran parte pubblicati nel Journal ofPolitical Philosophy. Si veda J. Habermas, Reconciliation Through the Public Use of Reason,op.cit., e Rawls, Reply to Habermas, op.cit, e i testi riuniti in J. Habermas e J.Rawls, Debate sobre el liberalismo político, op.cit.41 Per un’analisi dettagliata di ciò che segue, si veda J.L. Martí, The Sources ofLegitimacy of Political Decisions, op.cit., La república deliberativa, op.cit., e The Epistemic Conceptionof Deliberative Democracy Defended, op.cit

Condorcet, di sicuro è difficile comprendere come potrebbe avere

maggior valore epistemico il voto puro, senza previa

deliberazione, piuttosto che il voto espresso dopo uno scambio di

informazioni rilevanti e di buoni argomenti a favore e contro le

distinte alternative decisioni42. Non c’è dunque altra procedura

democratica con maggiore valore epistemico, e che quindi consenta

di ottenere maggiori garanzie di correttezza sostanziale dei suoi

risultati.

Infine possiamo confrontare il modello della democrazia

deliberativa con il modello della democrazia costituzionale,

interpretando quest’ultimo adesso non come una strategia mista

massimalista, bensì come un tentativo di privilegiare gli aspetti

sostanziali della legittimità. Vale a dire, possiamo confrontare

le due soluzioni che con maggiore successo sono state offerte al

dilemma a proposito di quale tipo di valori privilegiare, posto

dal paradosso della legittimità. Su questo punto, il principale

scoglio su cui si imbattono le concezioni che privilegiano le

considerazioni sostanziali è quello di come fare fronte ai

disaccordi generalizzati. Ogni tentativo di porre restrizioni

sostanziali deve accompagnarsi a una giustificazione indipendente

delle stesse. E purtroppo finora non è stato possibile offrire una

giustificazione di questo tipo che si sia dimostrata ampiamente

convincente. Che fare dunque, oltre che continuare a deliberare

collettivamente per tentare di trovare la migliore articolazione

politica di ogni nostra intuizione? Quando ci interroghiamo sulle

stesse precondizioni della procedura deliberativa, quando ci

interroghiamo sui requisiti sostanziali di base di ogni regime

42 Non posso dilungarmi oltre su questo punto. Per un’argomentazione piùdettagliata, si veda J.L. Martí, The Epistemic Conception of Deliberative Democracy Defended,op.cit.

politico legittimo, per esempio sulla lista di diritti

fondamentali da proteggere, quando ci scontriamo con i disaccordi

generalizzati e fondamentali che caratterizzano le nostra società

moderne, che altro fare se non entrare in un processo

argomentativo che conduca a una soluzione quanto meno provvisoria?

Che la procedura deliberativa sia aperta e autoreferente fa sì

che essa sia uno strumento adeguato per riflettere sulle sue

stesse precondizioni, o sui disegni istituzionali che impongono

restrizioni alle deliberazioni legislative democratiche. In modo

tale che l’equilibrio tra soddisfacimento delle precondizioni e

operatività della procedura debba essere realizzato in modo

graduale e autoreferente. E la questione ultima è che, a

differenza di quello che sosterrebbe un difensore della democrazia

costituzionale, l’autorità deliberativa democratica non potrà mai

essere limitata esternamente. Solo essa stessa può essere padrona

dei suoi propri compromessi. Chi può esercitare legittimamente

l’autorità in caso di disaccordo? Che altro fare se non lasciare

la decisione ultima nelle mani degli stessi cittadini? Ogni

diversa alternativa non necessariamente ci condurrà a una garanzia

oggettiva, bensì finirà con il privilegiare la prospettiva

particolare, soggettiva, di un individuo o gruppo di individui,

che nel migliore dei casi è una strategia elitista e in ogni caso

dittatoriale.

Per questo motivo, la prassi della democrazia deliberativa

sembra offrire la migliore risposta pratica al paradosso e alla

necessità di scegliere uno dei corni del dilemma della

legittimità. Ogni tentativo di privilegiare le considerazioni

sostanziali è sospetto di menomare la legittimità democratica, e

ogni alternativa procedura democratica, come la negoziazione o il

voto puro, è incapace di offrire una maggiore affidabilità

epistemica di quella che viene offerta dalla democrazia

deliberativa. In conclusione non vi sono soluzioni perfette per

questo problema centrale della filosofia politica, quello della

legittimità dei sistemi politici. Ma la democrazia deliberativa

sembra offrire la migliore articolazione di quei valori che sono

in gioco e cui più teniamo. Di fronte ai rischi, non possiamo fare

altro che confidare nella maturità delle nostre democrazie e nella

nostra capacità di riflessione razionale. Non c’è nulla oltre la

ragione collettiva, oltre la deliberazione democratica.


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