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eventmag str ategie: Intervista a Ashraf Ramzy mestieri: Incontro con Andrea Baccuini editoriale: Storytelling management: Meet the media guru n°2 eventmag - periodico on line - anno 1 - numero 2 - novembre 2008

Event Mag Novembre 08

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strategie: Intervista a Ashraf Ramzy

mestieri: Incontro con Andrea Baccuini

editoriale: Storytelling

management: Meet the media guru

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eventmag - periodico on line

anno 1 - numero 2 - Novembre 2008

direttore responsabile

Francesco Serra di Cassano

direttore editoriale

Davide Pellegrini

capo redattore

Francesca Fornari

ufficio stampa

Silvia Galli

progetto grafico e illustrazioni

Alessandro Denci Niccolai

hanno collaborato

Davide Bennato, Francesca Fornari, Arnaldo Funaro, Silvia Galli

Davide Pellegrini, Stefano Rollo

Pag 4 editoriale

Pag 32 recensioni

Pag 8 eye tech

Pag 10 profondo web

Pag 6 strategie

Pag 20 management

Pag 26 mestieri

Pag 30 eventi

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Pag 16 linguaggi

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di Davide Pellegrini

A scuola tutti abbiamo studiato l’Iliade, capolavoro narrato e oralmente tramandato dall’aedo Omero, tutti abbiamo sbuffato di noia durante le letture scolastiche, nel zigzagare tra accenti incomprensibili ed esa-metri dattilici, ignorando che al suo interno già si nascondevano importanti riferimenti ai valori universali dell’esistenza. Personaggi cattivi, eroi, amori e odii, strategie di guerra e viaggi interminabili, un mondo sovraccarico di tracce da seguire o, almeno, su cui riflettere. A partire da questo esempio, sarebbe retorico convincervi del fatto che ogni epoca si è consacrata grazie alle narrazioni; anche se, a pensarci, oggi il fenomeno si è ancor più rafforzato. Riflettevo qualche giorno fa sul nome del social network più attuale: Fa-cebook. Nessuno conosce ancora l’etimologia della parola, la provenienza vera e propria. Così, in un gioco di interpretazioni possibili, ho pensato alla traduzione letterale, a quel Libro di Facce che racchiude micro-storie spezzettate in dialoghi e pillole ininterrotte, botta e risposta, commenti, foto, applicazioni. Insomma, non è un caso che fenomeni come Facebook stiano spopolando, fenomeni che dovrebbero probabilmente portare a certe precise considerazioni. Come il fatto che la struttura narrativa stessa è alla base del lin-guaggio (Lector in Fabula di Umberto Eco), e che la naturale rappresentazione di un concetto segue la logica “incipit”, “sviluppo”, “momento di tensione” (climax), “scioglimento o risoluzione”. A dirla in parole povere, si parte da un inizio, si discute di un preciso argomento, si arriva a una conclusione. Bisognereb-be pensare che tutta la comunicazione oggi è dominata dal raccontare qualcosa, e non deve per forzare essere Harry Potter, semmai quello che succede attorno a Harry Potter che, nel momento in cui viene svelato, diventa esso stesso una specie di mondo: di fan, di mode e linguaggi, di possibili nuove avventure, di gadget, di siti internet, di edizioni limitate, di persone che condividono quella filosofia, quel modo di immaginare le cose, e che a loro volta prenderanno a raccontare e a raccontarsi. Eccoci allora al punto: in comunicazione (e, quindi, negli eventi), quando ci si trova di fronte a una società che ormai non può più negare la voce agli individui, che sono sempre più protagonisti, partecipi e consapevoli, quando cioè le grandi Storie del mondo sono crollate e i sistemi sociali si sono finalmente aperti, svelati nei loro mille par-ticolari, allora le aziende capiscono a un tratto l’importanza di dare spazio a queste voci, e farle diventare parte delle narrazioni dei loro brand, racconti-confessione all’interno del grande racconto esperienziale del marchio. Si afferma, perciò, la tecnica dello Storytelling, a cui abbiamo pensato di dedicare questo numero. In linea di massima, lo storytelling si riallaccia a una disciplina di coaching aziendale nata negli

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anni ‘90 e resa celebre da guru come Steve Denning, manager incaricato dalla Banca Mondiale di migliorare lo scambio di informazioni dei dipendenti. Secondo Denning le storie utili a un’im-presa sono storie che permettono di condividere conoscenze, storie che incitano all’azione, storie che riguar-dano cosa accadrà, storie umoristiche, storie che illuminano il futuro prenden-do spunto dal passato, storie che di-cono chi siamo come persone, storie che dicono cosa siamo come marche, storie che portano valori, storie di ag-giornamento, storie allegoriche. Ora: potete divertirvi tra amici a incastrare all’interno di ognuna di queste classi-ficazioni i vari modelli che trovate in giro. Non è difficile: da Spore (videogioco) a Harry Potter (libro), da Wall-e (film in computergrafica) a Obama (politico), da Fat boy Slim (guru della musica elettronica) a Antony Robbins (guru del marketing motivazionale), da Sergio Castellitto (attore) a Heins Beck (chef), da Brunello Cucinelli (stilista) a Anish Kapoor (artista), da Beppe Grillo (comico) a Jimmy Wales (profeta dalla Wiki culture), vi renderete conto che in quelle storie c’entra un sacco di roba. Per cui, volendo arrivare a un punto, oggi la comunicazione, gli eventi e, ancor più, il mondo delle aziende e delle marche sono dominati dai sistemi simbolici propri delle narrazioni. In Eventmag storytelling troverete, perciò, la nostra prossima agenzia, Its Cool che, della capacità di trovare un’identità e un’immagine ben precise (corredate in bianco e nero), ha fatto uno stile riconoscibile. Attraverso le parole di Andrea Baccuini, direttore creativo, capiremo se davvero l’evento è una storia da raccontare e se un manager degli eventi può essere un narratore, uno storyteller. Perché nel mondo dominato dai prodotti, ricreare emozioni è la vera sfida, e utilizzare la narrazione non è cosa da nulla. Come ci insegna la più potente industria americana, quella del cinema che, a recitare l’epica di Omero, ci ha messo attori brand americani come Brad Pitt, Orlando Bloom, Eric Bana, Julie Christie e (ogni tanto un grande dello schermo) Peter O’Toole. Un caso? Non raccontiamoci storie...

Steve Denning

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In che modo è nata l’idea di utilizzare lo storytel-ling come forma di coaching professionale?

L’idea è partita nel 1982, quando ho scoperto la Narra-tologia, la scienza e lo studio della Storia. Nella mia car-riera di stratega della comunicazione di brand in agenzie pubblicitarie come BBDO, TBWA e Publicis, l’idea presto si è sviluppata in una metodologia, fino al 2002, quando è stata proposta al pubblico per mezzo della mia nuova compagnia, Narrativity, the Corporate Story Agency.

Come tutti sanno, la narrazione è alla base del linguaggio; oggi si pensa che la maggior parte delle aziende faccia partecipare i propri utenti alla storia dei prodotti e a tutti i valori ad essi connessi. Che soluzione offrite voi?

La narrazione è l’innato e universale bisogno e capacità degli uomini di dare senso alle proprie vite. Gli impiegati

vogliono capire razionalmente, inter-connet-tere emotivamente e contribuire psicologica-mente alle più importanti proposte delle pro-prie aziende, vogliono far parte di qualcosa di più grande di loro stessi. Anche i consumatori hanno bisogno di legarsi all’identità della Mar-ca, alle sue proposte e alle sue promesse. Ciò che la mia compagnia offre ai suoi clienti è lo

sviluppo e l’implementazione dell’identità e dell’offerta della propria azienda, nella misura in cui ci sia la necessità di riferirla in modo più efficace ai propri impiegati e ai pro-pri consumatori. In altri termini, i fatti e le immagini non ci colpiscono così come invece può fare una buona storia.

Ci può descrivere il vostro metodo e la reazione dei vostri clienti rispetto a questa forma di sup-porto?

Il nostro metodo affonda le proprie radici all’interno della disciplina accademica della Narratologia e si è sviluppato, in 20 anni di consulenza nel campo del business e dell’or-ganizzazione, in un approccio sistemico in grado di svilup-pare una storia della Marca. Per avere un’idea più chiara, è essenziale capire che una storia è più di una cronologia di eventi, ed è più di una kermesse di caratteri folklorici. Quando si guarda al cuore di una storia, o di tutte le sto-rie, si trovano tre cose: un Eroe, il viaggio dell’Eroe, e un cambiamento radicale. Ecco, una Storia deve ricostruire

immagine tratta dal sito di Narrativity

a cura di Francesca Fornari e Stefano Rollo

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Intervista a Mr Ashraf Ramzy, Ceo di Narrativity, una delle più importanti aziende di consulenza nel settore dello storytelling professionale.

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la trasformazione di un carattere, il destino di un Eroe e il Mondo che egli vive e percorre. È chiaro che l’Eroe, come Archetipo, racchiude il meglio di noi, l’Eroe è il riflesso di ciò a cui attribuiamo valore oltre noi stessi. Per questo, il nostro metodo comincia con una puntuale ricerca del carattere della Marca, dell’attitudine alla competizio-ne, dell’identità dei propri consumatori e di altre categorie, per fare in modo di individuare la migliore qualità che l’azienda ha da offrire. Una qualità che viene, poi, elevata ed espressa come “Qualità Eroica”, e come miglior requisito per trasformare il mondo. Insomma, alla fine abbiamo il Carattere, il Plot e il Cambiamento. In altre parole, una storia. Il nostro Ministro della Pianificazione Urbana, della Casa e dell’Ambiente, quindi, diventerà “l’Architetto della Casa d’Olanda che rende il paese un posto migliore da vivere...”. VMS, una marca di omeopatia diventerà “la Guida che mostra alla gente la via della cura naturale...”. La reazione dei clienti è quella di un ritorno a casa. Dopo essere stati maltrattati e incompresi dalle agenzie tradizionali di advertising, i clienti apprezzano davvero molto il tempo e lo sforzo che impieghiamo nello svelare la loro verità e nel metterla a fuoco con parole e immagini. Il coinvolgimento e la motivazione dei loro impiegati crescono, così come la fedeltà dei consumatori e la trasparenza della marca, le rendite, il profitto, il valore delle azioni. Come si spiega questo successo? Perché il potere delle storie determina la misura del successo. Più si conosce chi si è, cosa si fa, cosa si vuole e come ottenerlo, più si sarà capaci di guidare i propri affari.

È possibile definire come storytellers tutti coloro che lavorano nell’industria creativa, come nel caso dei progetti di comunicazione, della pubblicità e degli eventi?

Sì e no. Sì perché senza storie non è possibile comunicare né i fatti reali né la finzione. Abbiamo bisogno delle storie per dar senso alle nostre vite e al mondo che viviamo. Non c’è differenza tra la struttura di un romanzo, una notizia di cronaca, un documentario o un film. No, perché un giornalista che legge la cronaca non può essere equiparato a un poeta: c’è differenza se una storia si riferisce a degli eventi attuali da una parte, o a delle verità culturali e universali dall’altra.

Ci fa un esempio?

Il caso più recente è quello del Ministero del Traffico e dei Trasporti. Una grande organizzazione governativa con vari dipartimenti e con molta gente impegnata in diversi lavori in costante sviluppo, aveva bisogno di una presa di posizione forte su chi fosse e che servizi offrisse. Abbiamo allora lavorato insieme durante alcuni workshop, con l’idea di sviluppare una storia che è finita con il con-cetto rinnovato che il ruolo del Ministero fosse quello di “Rendere gli Olandesi liberi di muoversi ed essere al sicuro”.

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A cosa serve la narrazione? È uno strumento di cono-scenza. Detta oggi, questa risposta potrebbe lasciar-ci incerti, suona strana, anzi forse sembra nobilitare un’arte - quella del narrare - che ormai è appannaggio di romanzieri, favolisti, forse cantanti, ma mai e poi mai sembrerebbe potersi ascrivere nell’alveo delle forme di conoscenza. È invece lo è a tutti gli effetti: cos’è un esperimento, se non il racconto di ciò che è avve-nuto in laboratorio? Cos’è una ricerca se non un modo per raccontare come si sono raccolte delle informazioni e poi le si sono analizzate per otte-nere un risultato? Volendo scomodare i classici, cos’è l’Odissea se non un racconto eponimo con valenze conoscitive? Esiste però un elemento in-teressante della narrazione, la capacità che ha di immaginare cosa potrebbe succedere se si veri-

ficassero determinati eventi. Detto in altro modo, esi-stono forme del narrare che cercano di immaginare - e quindi prevedere - eventi futuri. La fantascienza, da alcuni definita “letteratura d’anticipazione”, è regina nell’uso del racconto per prevedere le cose. Sarebbe ingenuo considerare la fantascienza uno strumento per prevedere tecnologie futuribili; non che non l’ab-

bia fatto, ma non è questa la sua forza. In realtà la forza della fantascienza sta nella sua capa-cità di prevedere le conseguenze sociali delle tecnologie, grazie alla tecnica delle aspettative. In pratica la fantascienza sviluppa situazioni in cui si verificano contesti futuribili - la presenza dei robot nella società, il contatto con civiltà aliene, la scoperta di tecnologie terribili - che poi vengono sviluppati sul piano narrativo gra-

di Davide Bennato

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IL POTERE PREDITTIVO DELLA NARRAZIONETra conoscenza e anticipazione, il caso della serie televisiva The West Wing

e delle ultime elezioni presidenziali USA

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zie alla capacità di immaginare le conseguenze di questi eventi, lavorando sulle aspettative: le rea-zioni della società ai robot, la paura dell’altro alla base della relazione con gli alieni, le conseguenze nefaste se una tecnologia sofisticata dovesse es-sere usata in maniera sbagliata. A questo pun-to la domanda: solo la fantascienza è in grado di prevedere eventi? No, anche la sceneggiatura televisiva. La storia è questa. Nel New York Times dello scorso 30 ottobre nell’articolo Following the Script: Obama, McCain and ‘The West Wing’, Brian Stelter racconta la storia di quando Eli At-tie - sceneggiatore della serie televisiva West Wing - chiamò il consulente politico David Axelrod per chiedere lumi su un giovane personaggio del par-tito democratico di nome Barack Obama. L’idea di Attie era quella di sviluppare una sceneggiatura del famoso serial tv basato sulle vicende politiche che gravitano intorno a Washington e alla Casa Bianca, che descrivesse il giorno in cui un candi-dato non WASP - nella fattispecie un ispanico, Mat-thew Santos (interpretato dal bravo Jimmy Smits) - si fosse candidato per la casa bianca. Bene, po-tremmo pensare, la storia della battaglia per la presidenza degli Stati Uniti e il successivo trionfo elettorale di Obama, sono una buona fonte di ispi-razione per gli sceneggiatori del serial. Vero: pec-cato che le puntate ispirate al candidato ispanico sono state scritte nel 2000 e andate in onda nel 2006, mentre l’in-vestitura del candidato democratico di colore è di almeno un anno dopo. La cosa veramen-

IL POTERE PREDITTIVO DELLA NARRAZIONETra conoscenza e anticipazione, il caso della serie televisiva The West Wing

e delle ultime elezioni presidenziali USA

te affascinante è che le somiglianze con la campagna di Obama sono diverse e impressionanti. Il senatore Santos dice ai propri collaboratori di non voler essere visto come un candidato di una minoranza ma come un candidato americano. Anche Obama. Il senatore Santos in un suo discorso afferma che in un mondo in cambiamento, la speranza che le cose accadano è re-ale. Anche Obama (col suo “Yes, We Can”). Il senatore Santos deve scontrarsi con il candidato repubblicano Arnold Vinick (impersonato da Alan Alda) che sembra non abbastanza conservatore, non conosce bene il computer ed è più vecchio del suo antagonista demo-cratico. Anche Obama (sono le caratteristiche di Mc-Cain). In sintesi, gli sceneggiatori di West Wing hanno immaginato che il candidato ispanico, nonostante tut-to e tutti, avrebbe vinto le presidenziali grazie al suo messaggio di speranza e ottimismo. Anche Obama. È impressionante vedere che dove i sondaggi invitava-no alla cautela, dove sembrava che ci dovesse essere un testa a testa, dove i giochi erano tutti da fare, un manipolo di sceneggiatori avveduti avevano predetto con ben quattro anni di anticipo un evento che fino a ieri sembrava fantapolitica. Ed erano riusciti a farlo mettendo insieme immaginazione, aspettative e buon senso in un modo molto semplice. Narrando.

9il cast di The West Wing

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di Arnald

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Ciao a tutti navigatori. Quanti di voi prendono la metro a Roma? Quanti di voi odiano gli schermi rumorosi sparsi su tutta la banchina ai quali non sfuggi nemmeno se alzi al massimo il volume dell’I-pod? Rifletteteci un secondo e poi cominciate pure a leggere. Il web, come diciamo da tempo, ha significato “democratizzazione

degli strumenti e degli spazi”. Wikipedia, nonostante non sia uno strumento realmente affidabile di consulta-zione, compete con successo crescente con le enciclopedie più blasonate che non trovano on-line la stessa fortuna ed esclusività che hanno avuto su carta. I blog diventano voci più autorevoli dei giornali, considerati spesso polverosi e costosi sistemi di informazione: chi tra questi ha provato solo a restare al passo coi tempi è condannato a morire. Chi invece ha cominciato a creare nuovi contenuti, come web tv, blog, scambio con i lettori di materiale ecc., ha vinto la battaglia. Pensate a repubblica.it, che da giornale cartaceo ha sviluppato un sito di contenuti infiniti e ben organizzati, dal gossip all’inchiesta, dal blog dei lettori a quello dei giornalisti. Gli utenti diventano inviati e girano alla redazione immagini, vignette, storie, filmati spesso realizzati con il più economico dei telefoni cellulari. La parola chiave di questo successo è “partecipazione” attraverso gli used generated content, ossia il materiale generato dagli utenti. Lo stesso accade nei social network, dove troviamo milioni di utenti che pubblicano musica, film, idee, nella maggior parte dei casi prive di qualsiasi futuro. Idee che, fuori da qualsiasi ottica commerciale, non riescono a entrare neanche nell’ultima parte della coda lunga, guadagnandosi quella nicchia di reputazione che ne fa qualcosa di vendibile o col quale passare il proprio

«Lo storytelling è la scienza che traduce e promuove le cose (reali o immaginarie che siano) in parole, im-magini, suoni. E traducendole le rende “vere”: pregne di significanti e legittimate a esistere». (G. D’Ambrosio Angelillo).

LA CREAZIONE DI MONDI CONDIVISIBILIDue strumenti privilegiati dello Storytelling, il fumetto e l’illustrazione, e il loro incontro con il web

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tempo. In questo coacervo di utenti, dunque, diventa difficile - se non impossibile emergere e trovare anche un piccolo bacino di navigatori interessati alle proprie opere. Il segreto per aprirsi una breccia nel cuore e negli interessi delle perso-ne è nello storytelling. Ma lo storytelling non è una novità dei nostri tempi, anzi, forse nei nostri tempi sta riconquistando grazie a internet lo spazio che aveva perduto. Pensate a Omero e il mito: storie sovrascritte sulla realtà che trasmette-vano una serie di valori attraverso simboli come gli dei e gli eroi. Oppure pensate alle domeniche in chiesa, quando si ascoltano le parabole dei vangeli o il vecchio testamento. Sto-rie che portano con sé dei valori da condividere e da ripetere. Certo, non potete aprire il Mar Rosso, né moltiplicare pani e pesci, a meno che non siate broker della finanza creativa (o creazionista?) che pensano addirittura di moltiplicare denaro dal nulla. Il web 2.0 ha portato a una radicalizzazione dello

storytelling dandogli un significato ancora diverso: creazione di mondi condivisibili. Tra i vari strumenti di storytelling, il fu-metto e l’illustrazione hanno sempre avuto un posto privile-giato. Questo accadeva in tempi non sospetti quando, man-cando l’alfabetizzazione, lo storytelling era affidato al racconto narrato o al disegno. Provate a entrare in una chiesa del XVI secolo, osservatene le volte (cosa che noi oggi facciamo abbastanza distrattamente) e vi renderete conto di cosa sto parlando. Il fumetto stesso ha sempre rappresentato un grande strumento di storytelling per bambini ma soprattutto per gli adulti. Basti pensare a figure di spicco come Andrea Pazienza, prematuramente scomparso ad appena 32 anni e che, grazie al suo incontenibile talento, ha lasciato molte opere e modelli esecutivi. Andrea Pazienza ebbe non uno, ma due doni dalla vita: il primo, ovviamente, la genialità artistica. Il secondo, ma non di secondaria importanza, l’aver capito subito che il disegno era lo strumento che meglio faceva emergere il suo talento. Ma Paz, così viene chiamato ancora Andrea, non aveva solo una grande talento nelle mani, ma anche nel pensiero. Seppe

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LA CREAZIONE DI MONDI CONDIVISIBILIDue strumenti privilegiati dello Storytelling, il fumetto e l’illustrazione, e il loro incontro con il web

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raccontare l’epoca della conte-stazione giovanile degli anni ’70 creando un personaggio che ne è diventato uno dei più grandi simboli: Penthotal. Paz divorò letteralmente la vita e, nonostante il breve tempo in cui è stato al mondo, non ci fu campo del disegno e della pit-

tura in cui non mostrò la sua eccellenza. La vita gli aveva regalato la possibilità di essere al posto giusto, nel momento giusto e armato di un talento sconfinato. Di Andrea Pazienza possiamo trovare numerose tracce anche in rete. Ma come se la cavano i fumettisti nel web? Come vivono la dicotomia tra carta e schermo? Di-ciamo che la democratizzazione degli strumenti ha portato, a mio giudizio, conseguenze disastrose per questi talenti per più di un motivo. Il primo, su tutti: i loro contenuti sono frutto di enormi fatiche che vengono senza dubbio meglio apprezzate su carta. Realizzare una tavola non è come sparare in rete un filmatino fatto col cellulare, né “accroccare” immagini con programmi di grafica più o meno professionali sui blog. L’altro è che internet non paga: e questa non è una buona notizia per chi fa del fumetto il proprio pane quotidiano. Voglio farvi capire quanto possa diventare frustrante mettersi in gioco in rete. Con un po’ di minimalismo e buon senso si possono realizzare prodotti come questo: Spaccato di coppia è un format grafico trasformato in blog. Il disegno è semplice (che in questo caso è un gran pregio), una volta pensato è ripetibile un milione di volte senza sforzo e tutto, o quasi, vive sui testi. Il blog racconta situazioni di vita di coppia dalle quali prendere spunto per aprire dibattiti più o meno leggeri sulla vita. Stessa cosa possiamo dire per Acid Street (disegno minimalista trasformato in un format preciso e difficile da dimenticare). Molto diverso è Political Comics, il blog fondato da Gianluca Costantini che si proponeva di raccogliere un anno di lavori di vari fumettisti italiani per farne poi una pubblicazione su carta. Il progetto del salto di specie per ora è “fallito”, ma è indubbio che Political Comics resti una delle pagine partecipative più interessanti del fumetto su web. Stesso discorso pos-siamo fare per Nuvole Elettriche dove potrete trovare numerosi talenti, e tanti altri finora isibili solo nelle varie fiere annuali del fumetto, che stanno aprendo blog dove inserire i propri lavori per allargare l’audience di

pubblico. È un’arma a doppio taglio: di fron-te alla possibilità di essere sullo schermo di tutti, si rischia anche di dover competere con autori nemmeno degni di questo nome. A questo punto diventa fondamentale ac-crescere la propria reputazione sul web e la cosa non è semplicissima: un grande illu-

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stratore deve superare prima di tutto la fatica psicologica di “postare” i suoi lavori perdendo la possibilità di metterli su carta per tutti. Ma ormai è un passaggio obbligato perché il mondo dell’editoria cartacea è praticamente fermo e i fu-mettisti rischiano di dissanguare le proprie finanze senza riuscire a vendere o distribuire prodotti cartacei ben realiz-zati ma privi di “ascolti”. Uno di questi grandi talenti in cerca di spazio è Kanjano. Il suo blog è www.kanjano.org - Diario a fumetti di un prigioniero politico. Kanjano è un fumettista di talento che si misura anche con un bravo copywriter (detto Ferro) per realizzare i suoi lavori. Per lui mettersi su una tavola significa spesso e volentieri fare notte alla scrivania. Al contrario, per me che ho pubblicato la vignetta in apertu-ra, significa prendere un disegnino realizzato in serie con altri e, a giro, metterci un testo sopra. Sono due facce della stessa medaglia, che a dispetto di differenti fatiche raccol-gono risultati spesso simili. Kanjano è un talento non solo perché sa disegnare, ma perché ha colto l’importanza dello

storytelling e del modello parte-cipativo come unica carta vin-cente per diven-tare degno di nota. Questi due lavori, per esempio, spingono un utente attraverso il divertimento a passare del tempo con un suo prodotto. Non è poco, visto che in prodotti come questi lo storytel-ling raggiunge un livello di raffinatezza partecipativa pazzesca. Ma fare cose del genere costa tempo e fatica; e senza il salto di specie da schermo a carta, non fanno sostanzialmente il percorso per cui sono nate. Rispetto alla musica il fumetto soffre, in questi casi di eccellenza esecutiva, il problema del supporto. Ciò che ha liberato la musica dal cd e dalla casa discografica, non ha fatto lo stesso con i comics. Ma c’è anche chi ha fatto il percorso inverso,

13Illustrazioni di Kanjano

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ossia è passato dalla realtà alla rete, usando la partecipazione del pubblico come vettore virale per far diventare le proprie opere realizzate nel mondo reale ambitissimi pezzi d’arte. Stiamo parlando di Bansky. La caratteristica che ha reso famoso Banksy - favorito anche dalle leggende sulla sua identità - è la sua abilità di entrare nei musei più importanti del mondo e appendere delle sue opere tra le altre già presenti. Spesso passano giorni prima che qualcuno si accorga dell’intrusione. I suoi temi preferiti in questi casi, sono quadri dipinti in perfetto stile settecentesco, con l’aggiunta di alcuni particolari completamente ana-cronistici (nobili del Settecento con bombolette spray, dame di corte con maschere antigas, ecc.). Il genio di Bansky sta in questo: produrre per la realtà, pubblicizzare sul web, accrescere di volta in volta la sua reputazione con la partecipazione del pubblico che fonda blog, forum e siti dedicati alle sue opere. Cosa manca dunque al fumetto per emergere dalle acque tempestose del web? Spazio reale, non c’è dubbio. Uno spazio in cui i talenti veri possano misurarsi, farsi conoscere e raccontare ciò che vogliono. Spazi aperti, dove per aperti si intendono luoghi di passaggio e non fiere di nicchia o autoreferenziali. Immagi-nate se oltre quegli schermi rumorosi e invadenti sulle banchine delle metropolitane e dei tram, ci fossero anche dei cartelloni dove questi talenti possono raccontarci come vedono il mondo. Poi internet farebbe il resto e la partecipazione avrebbe nel web una seconda vetrina più grande, ma finalmente complementare a quelle cartacee del mondo reale.

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saggio? La recente campagna elettorale in Italia offre interessanti spunti alla riflessione su questo tema. La scelta del leader del Pdl di contravvenire a quanto fatto nel recente passato, scegliendo di sovvertire i tradizionali canoni comunicativi, limi-tando al massimo l’investimento per la propagan-da, ha colto di sorpresa molti commentatori e gli stessi pubblicitari che avevano lavorato alla sua scesa in campo nel ’94. Mandati in soffitta slogan come quello del 2001 «Un Presidente operaio per l’Italia», su cui tanto si è ironizzato, il Cavaliere ha scelto di gestire in prima persona ritmo e intensità del suo messaggio. Lui in carne e ossa al centro della campagna elettorale. Lui a dettare l’agenda, il suo avversario a rincorrere. Per Veltroni il ricor-so alla propaganda vecchio stile è stato una ne-cessità, ma anche una precisa scelta di marketing. Rispetto al suo avversario, aveva il problema di far conoscere il logo del nuovo partito e di promuo-verne le idee. La decisione di importare lo slogan

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di Obama per motivare l’elettorato di centrosini-stra e indurlo a credere che invertire le previsioni dei sondaggi fosse non solo possibile, ma addi-rittura probabile man mano che ci si avvicinava il voto, è stata invece una mossa abile, ma che non si è coniugata con una strategia innovativa sul prodotto, producendo alla fine solo una ridistribu-zione di voti all’interno del proprio schieramento. In questo caso, l’aggravante è che si è trattato di una mossa dettata dalla convinzione che i sondag-gi non fossero realmente attendibili. Queste scelte

Le regole fondamentali per il comunicatore dei nostri giorni: conoscenza dei linguag-gi, duttilità, capacità di agire in modo non convenzionale, possedere un’anima creati-va per stupire e innovare

Comunicare un progetto, un’idea, una possibilità, ha che fare con la sensibilità delle persone? I cre-ativi operano con il “cuore caldo”? Chi si orienta verso il settore deve sviluppare una particolare attitudine per riuscire a trasmettere il suo mes-

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a cura di Francesco Serra di Cassano

mettono in luce due diverse visioni della comuni-cazione e due opposte sensibilità, ma anche qual-cosa di più. Berlusconi, fiducioso nella veridicità di sondaggi favorevoli, ha optato per un basso profi-lo: scarso uso della propaganda, rinuncia all’ideo-logia e soprattutto una puntuale valutazione (direi a cuore caldo) dell’impatto negativo che una mas-siccia campagna di comunicazione di vecchio tipo avrebbe avuto su un elettorato fortemente critico rispetto alla politica e ai politici. Veltroni, al contra-rio, ha investito tutte le risorse in un progetto di

comunicazione incentrato su slogan ad effetto e una forte e capillare campagna di affissioni, oltre ai tradizionali strumenti di mobilitazione (orienta-mento freddo e calcolato). Nei primi venti giorni della campagna elettorale, sui muri e negli spot c’era quasi solo il Pd. Negli ultimi dieci, il leader del Pdl, centellinando le uscite e selezionando con accortezza i temi sui quali concentrare l’attenzio-ne, è prepotentemente entrato nell’agone politi-co con messaggi mirati (e a forte impatto) verso pensionati, donne, lavoratori autonomi ecc. Quali

indicazioni si possono trarre dalle scelte dei due leader? Berlusconi ha vinto soprattutto perché giocavano a suo favore la congiuntura economica e il giudizio negativo nei confronti dell’operato di Romano Prodi. Tuttavia, nella sua scelta comuni-cativa, Berlusconi ha doppiamente vinto. La deci-sione, infatti, di tenere un profilo distaccato, quasi da osservatore della vicenda elettorale, ha finito per giovargli, permettendogli di sottrarsi ai colpi bassi degli avversari e di trasmettere - soprattut-to agli elettori moderati - un senso di tranquillità e determinazione a governare che erano mancati nel 2006, quando aveva puntato sulla dramma-tizzazione dello scontro e su proposte ad effetto.Veltroni, invece, certamente penalizzato dall’ansia di dover preparare in tutta fretta gli elettori al ne-onato soggetto politico, ha commesso due errori fatali sul terreno della comunicazione: il primo, quello di considerare la forte mobili-tazione dei suoi mi-l i tant i

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caldo occorre grande senso di libertà e immede-simazione nei gusti e nelle aspettative del pubbli-co. La prima tappa è dunque predisposizione alla ricezione: respirare quello che si vede, avvertire con tutti gli organi del proprio corpo gli stimoli che ci circondano e i sommovimenti anche minimi che attraversano il nostro campo d’azione. Nella seconda tappa si sviluppa lo studio e l’approfon-dimento dei messaggi raccolti attraverso i sensi. Nella terza si confrontano i risultati con gli altri: lavoro di gruppo e interazione. Lo scambio rela-zionale, il confronto critico, l’apertura al giudizio degli altri sono i cardini per impostare corret-tamente la comunicazione. In un lavoro di equi-pe, si tratta di creare le condizioni ideali perché ciascuno possa esprimere le proprie capacità, le proprie attitudini a donare senso a un progetto comune, all’avventura condivisa. Oggi il consu-matore è molto esigente, i suoi gusti cambiano velocemente e al comunicatore si richiede gran-de duttilità e capacità di agire in modo anche imprevisto, non convenzionale. Conoscere i lin-guaggi è la precondizione per sviluppare un pro-getto di comunicazione che riesca a coniugarsi con i nuovi trend culturali e di consumo. La com-mercializzazione ha bisogno di un’anima creati-va in grado di produrre idee e inventare codici, di stupire e innovare. Non basta la simulazione o l’utilizzo delle nuove reti, occorre pensarsi in modo nuovo attraverso le reti. In qualche modo il comunicatore è artista e project manager, cre-atore e potenziale fruitore. Una figura multipla che richiede un approccio multidisciplinare e una continua capacità di mettersi in discussione.

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come un fattore in grado di spostare gli equilibri politici; il secondo, conseguente e in parte omo-geneo al primo, quello di ritenere inattendibili i sondaggi che lo davano sotto di 5 e anche 10 punti percentuali, sottovalutando gli effetti nega-tivi dell’azione del Governo Prodi sulla sua stes-sa base. Dall’analisi di questo duello, emergono due temi centrali per ogni serio progetto di co-municazione (non solo politica): da una parte, l’importanza dello studio e della conoscenza dei mutamenti in atto nella società e la rilevanza dei segnali provenienti dalle categorie sociali, dagli indicatori del mercato, dai nuovi orientamenti del pubblico e dallo stato d’animo dei cittadini; dall’altra la capacità di innovare le tecniche e le modalità di comunicazione del proprio messag-gio. La comunicazione del Pd, da questo punto di vista, è apparsa inadeguata a cogliere lo stato d’animo dei cittadini, a sintonizzarsi con la richie-sta di una forte discontinuità rispetto al passato e di un vero ricambio della classe dirigente. So-prattutto è apparsa “propaganda” e non “pro-gramma”, buoni propositi privi di concretezza. Utopia senza radici, speranza senza sostanza. Il valore della comunicazione, oggi più che mai, si misura sul terreno dell’innovazione e dunque sulla creatività, che è la vera fonte di ispirazione del messaggio. La creatività è stimolo al piacere e condizione per sviluppare nuove idee. Nella so-luzione dei problemi, il processo creativo è frut-to dell’applicazione di un metodo di lavoro a più tappe. Innanzitutto, un buon comunicatore non può prescindere da una forte sensibilità sociale e culturale: deve saper cogliere anche le più picco-le sfumature del mondo che lo circonda e liberar-si dei condizionamenti della sua provenienza e di ogni forma di pregiudizio. Per valutare a cuore

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Ciao Maria Grazia. Considero Meet The Media Guru uno dei format più interessanti che ho visto in giro. Non solo per i temi, che guardano al futuro nei rapporti tra arte e scienza e tecnologia e design, ma per le modalità orga-nizzative: l’idea di una tavola rotonda attorno ai miglio-ri cervelli dell’innovazione. Sembra una formula da talk show, ma ha qualcosa di unico. Ci spieghi com’è nato il tuo progetto?

La scintilla è stata lo spazio... uno spazio sospeso nel tempo. A Milano, in pieno centro, era stata inaugurata qualche anno prima la Mediateca di Santa Teresa (un ex convento), divisione multimedia-le della Biblioteca Nazionale Braidense. Entro e trovo uno spazio inusuale, dove passato e futuro si fondono e si frantumano in spazi diversi e in particolare in una sala circolare, allestita di computer e affrescata a tratti sulle pareti. Uno spazio “ epico” per riunire i “templari” del digitale: creativi, professionisti non importa di quale settore e studenti per mettere in circolazione le idee in uno spazio continuo di confronto e di scambio sulla cultura digitale, sui nuovi processi creativi, sulle traiettorie dell’innovazione. La Camera di Commercio di Milano con la Provincia di Milano e il Comune mi avevano chiesto un progetto di internazionalizzazione del mondo della cosiddetta NetEconomy. Ho pensato che fosse arrivato il momento di uscire dalle secche degli incontri

a cura di Davide Pellegrini

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Intervista a Maria Grazia Mattei, responsabile ideazione e coordinamento iniziative di MGM Digital Communinication

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autoreferenziali, di presentazione di prodotti tecnologici, e che fosse invece il momento di rompere gli schemi di comunicazione su questi temi per vivere un’esperienza “immersiva”, emozionale. Abbiamo messo in scena l’innovazione tecnologica, le idee, il pubblico e i personaggi che invitavamo. In fondo MMG si basa su un’in-tuizione semplice: viviamo immersi nella comunicazione, siamo connessi nello spazio e nel tempo, apriamo e chiudiamo file continuamente, non c’è più una centralità dell’informazione e forse la prospettiva rinascimentale è insufficiente a rappresentare la realtà; la frammentarietà, l’interazione, l’ubiquità, il locale e il globale, la circolarità, sono o no i nostri attuali parametri culturali? Come rendersi davvero conto dei cambiamenti in atto? MMG mette in scena il pensiero, la progettualità che cambia con l’uso delle nuove tecnologie, che si arricchisce e cresce nello scambio e nella circolazione dei saperi. Ma il nostro Guru non è il punto focale d’attenzione; e il punto di attacco per il pubblico presente e in rete, è l’elemento scatenante per liberare il proprio pensiero e le proprie opinioni sulle pareti della Mediateca con collegamenti di immagini e testi.

L’Italia sta vivendo un momento di difficoltà evidente. Non ci mancano i talenti, non ci manca-no le idee, forse manca la semplice efficacia delle metodologie. Che cosa portano in più i tuoi

invitati? Che cosa hanno di diverso rispetto a noi al punto da risultare inevitabilmente più concreti e affascinanti?

MMG sceglie i suoi personaggi dalla scena internazionale, perché il progetto nasce per offrire un’occasione di incontro e di scambio diretto con il mondo professionale milanese e italiano. Abbiamo cura di invitare professionisti che abbiano una storia unica da raccontare, che abbiano sviluppato processi e metodologie innovative nel loro campo: non scegliamo secondo il criterio della fama o della notorietà mediatica; se possiamo diamo spazio a voci non ancora urlate da noi ma di sicuro emergenti sulla scena mondiale, purché ci sia il rac-conto di un’esperienza davvero emblematica, di una tendenza che si può già cogliere, purché ci sia davvero pratica ed esperienza... ma hanno tutti una particolarità, nomi noti o meno noti: sono persone, che hanno varcato da tempo i confini nazionali, vivono e lavorano nel mondo e hanno sviluppato una fluidità di pensiero e di azione originale, grazie all’uso delle nuove tecnologie. Forse - ovvio, con le

dovute eccezioni - noi siamo troppo italicocentrici, anche se sappiamo benissimo che lo sviluppo economico, sociale e culturale si gioca sul piano internazionale.

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Meet The Media Guru ha permesso all’audience italiana di venire in contatto con grandi personaggi, da Joichi Ito a Jaron Lanier, da John Maeda a Bill Moggridge, e poi Ron Dembo, Geert Lovink e altri ancora. L’idea, bellissima, è di raccontare la storia di cervelli votati all’innovazione, la storia delle loro intuizioni. Quindi, ancora una volta, struttura. Possono davvero gli esempi narrati da questi guru dare uno stimolo alla riorganizzazione dell’im-presa italiana?

La cosa che mi sorprendeva, man mano che il programma di MMG andava avanti, è che ogni volta mi trovavo di fronte un pubblico diverso. E il dato ancora più sorprendente è che se il guru di turno era un architetto, il pubblico non era specifico di quel settore. Credo che l’aspetto più apprezzato di questo pro-gramma sia la formula comunicativa, il racconto che mette in circolazione le idee in maniera trasversale. Ognuno trova un proprio spazio di confronto, ognuno porta a casa una suggestione, un senso, una pro-spettiva. È come se ogni professionista trovasse nell’altro che non appartiene al suo mondo, strade libere da esplorare, spunti originali da declinare nella propria professione. Insomma stimoli eccentrici, inaspettati. Una volta aperta la porta della Mediateca è anche successo che siano nate collaborazioni. Meet The Media Guru nasce in un contesto brillante come quello milanese, con un perfetto esempio di accordo tra le parti (diremmo, oggi, governance), Comune, Provincia, Camera di Commecio, Mediateca. Pensando alla difficoltà di un paese come il nostro, ancora condi-zionato da identità fortemente localistiche, come potrebbe essere esportato questo format e su quali temi?

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Sono certa che una chiave di successo di MMG è che si tratta di un evento non standard. È nato per rispondere all’esigenza del mondo professionale milanese di avvicinarsi al mondo digitale internazionale attraverso storie, strumenti, trend: una volta avremmo detto Trasferimento Tecnologico. Ma con modalità molto milanesi! Abbiamo trovato il luogo giusto e toccato temi caldi per il nostro pubblico. Se dovessi pen-sare di esportare MMG, fermo restando l’agenda e i criteri di scelta di personaggi internazionali, baderei a “ localizzare” attentamente i contenuti. In un certo senso le nostre piazze hanno tutte un’identità diversa e percepiscono in maniera diversa. Ma la forza di MMG è la flessibilità nel comunicare e ci piace studiare soluzioni innovative, ascoltare e modulare temi e modi.

Se dovessi pensare a una sorta di “driver motivazionale” per pubbliche amministrazioni, fondazioni, privati per sostenere il tuo format, a quale faresti riferimento?

MMG è: una patente di innovazione e credibilità, un agente di crescita e sviluppo delle imprese, un format mediatico originale. Dà visibilità, è un board internazionale.

Quali sono i progetti collegati a Meet The Media Guru e in che direzione vanno?

MMG è partito avendo per epicentro la Mediateca di Milano, quindi con un programma nello spazio fisico, ma ha sviluppato traiettorie diverse in questi anni. Ha prodotto contenuti multimediali (e stiamo lanciando il nuovo ambiente on line), relazioni con associazioni ed enti che di volta in volta si attivano con il loro pub-blico specifico per appuntamenti specifici. Collaboriamo a progetti internazionali, come Pangea Day (è un format virale?!). Infine vogliamo aprire anche a storie italiane. MMG FOCUS è nato proprio per dare spazio e voce in collaborazione con Enti o editori (a rovescio inviteremo un pubblico internazionale!) alle nostre imprese, alle punte di pensiero più avanzato. Non sono poche e sono entusiasmanti.

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a cura di Davide Pellegrini Silvia Galli

È con grande piacere che ospitiamo nelle pagine di Eventmag una figura di riferimento nel mondo inter-nazionale degli eventi come Andrea Baccuini: con lui abbiamo parlato di emozioni, dell’arte di raccontare, di stupire e restare nella memoria delle persone, di-ventando “leggenda”…

Iniziamo con un brainstorming: a cosa ti fa pensare l’associazione delle parole evento-racconto-emozione?

Mi fa pensare alle situazioni che vivo ogni gior-no: richieste dei clienti che si trasformano in sfide, obiettivi da raggiungere dando il massimo nel più breve tempo possibile. L’evento senza emozione non può vivere. Noi che lo pensiamo e lo creiamo

dobbiamo essere i primi a crederci e a lasciarci con-quistare dalla realtà che nasce da un nostro studio, confronto o intuizione. È impossibile non emozionarsi assistendo alla trasformazione che può subire una location spoglia dopo il nostro intervento: una sem-plice parete bianca può diventare una superficie su cui proiettare immagini mozzafiato attraverso tecno-logie e colpi di regia da maestro. La particolarità e le criticità delle situazioni che ci troviamo ad affrontare col passare del tempo si mutano in racconti, decine di aneddoti che potrei raccontare per ogni evento im-maginato, realizzato o semplicemente guardato, ma questa… è un’altra storia.

It’s Cool Events è nota soprattutto per l’orga-nizzazione di grandi eventi corporate, come le convention Samsung e Siemens. Quanto è importante il fattore emozionale, l’arte di raccontare, all’interno di un evento di comu-nicazione interna?

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Il fattore emozionale e l’arte di raccontare rappre-sentano due elementi essenziali nelle convention per-ché la necessità del cliente che ci chiede di realizzare questo tipo di eventi è quella di comunicare messaggi forti e importanti a una platea che deve sentirsi parte di un tutto. Ogni individuo deve avere la percezione di non essere un semplice spettatore ma il protagonista di ciò che accade intorno a lui. Le emozioni vissute e le parole ascoltate devono conquistarlo, convincerlo, se serve inebriarlo ma soprattutto motivarlo. È per questo che gli speech, la scelta degli autori e dei re-latori sono punti importanti da non sottovalutare mai nella realizzazione di un grande evento corporate.

A proposito di eventi targati It’s Cool, mi rac-conti la storia di ebbrezza sportiva costruita intorno all’ultima convention Samsung di set-tembre?

Come al solito, volevamo stupire e distinguerci, per questo abbiamo proposto un’esperienza così avven-turosa al nostro cliente. La convention è nata per essere un format travolgente e insolito dedicato al coraggio e alla determinazione che occorrono per muoversi in un mare di competitor e nuove tappe da superare. Infatti, i presenti hanno potuto partecipa-re a una giornata interamente dedicata all’OffShore vivendo esperienze ed emozioni uniche affiancati dai piloti del C1 World PowerBoat Championship. Giro di Velocità e Academy - Match Race questi i nomi delle

due attività che hanno caratterizzato la giornata. La prima permetteva di provare l’ebbrezza di un giro veloce, mentre la seconda era rivolta ai più temerari che volevano vivere in prima persona una vera e pro-pria gara. Mezz’ora di teoria e poi un’ora e mezza di prove e gara con registrazione del tempo realizzato per arrivare al Match Race Finale dove si sono sfidati i due tempi migliori.

Quanto è importante sapere evocare il mood di un evento in fase di presentazione del pro-getto al potenziale cliente?

Più che importante, direi essenziale! Riuscire a far vivere al cliente l’emozione dell’evento che ci sta commissionando significa farlo entrare a piè pari nel nostro processo mentale, fargli comprendere le mo-tivazioni che ci hanno spinto a proporgli un determi-nato progetto, ma soprattutto dimostrargli quanto la

nostra proposta creativa sia stata realizzata apposi-tamente per soddisfare le sue esigenze. Così facendo riusciamo a fargli percepire l’unicità delle nostre idee modellate esattamente sulle sue richieste.

A questo proposito, quanto devono essere “storyteller” il direttore creativo e l’account d’agenzia?

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Devono avere entrambi una buona parlantina, pro-prietà di linguaggio e una buona dose di energia per riuscire ad esprimere le idee scaturite a sup-porto del progetto. Spesso il cliente ha un obietti-vo ma non sa come raggiungerlo, quindi una parte del nostro compito è convincerlo delle motivazioni che ci hanno spinto a proporgli determinate solu-zioni piuttosto che altre. Il direttore creativo deve conquistare il “cuore” del cliente mentre l’account deve fare da intermediario e far tornare i conti. Sono entrambe missioni delicate che una volta rag-giunte danno i loro frutti e immense soddisfazioni.

Osservando It’s Cool Events dall’esterno, la prima cosa che si percepisce è la costruzio-ne di un team intorno al payoff e all’identità visiva che vi contraddistingue. Quanto e cosa comunicate di voi attraverso questa immagi-ne?

Le nostre campagne di comunicazione sono forti, creative e ironiche allo stesso tempo proprio come siamo noi. Da sempre il trittico che ci contraddistin-gue è: “efficaci, affidabili, creativi sempre!” Comuni-chiamo ciò che siamo e quello che facciamo, dunque nella nostra comunicazione c’è il nostro dna, la nostra essenza più profonda.

In una vostra recente campagna pubblicitaria, si partiva dal titolo di un film, Io sono leggen-da, e si arrivava al payoff “Io sono evento”, con una non casuale sostituzione. Utilizzan-do un provocatorio gioco di parole, meglio un evento da leggenda o la leggenda di un evento?

Sicuramente meglio un evento da leggenda che rima-ne impresso nella memoria di chi lo ha inventato, re-alizzato, vissuto e che ha permesso di assaporare un momento intenso e reale. La leggenda per definizione mescola il reale al meraviglioso ma non si può mai essere certi del confine tra reale e immaginario. Nei nostri eventi invece la situazione creata - per quanto meravigliosa possa risultare - è reale e tangibile, non lascia spazio a particolari non curati e vive grazie al vero impegno dei professionisti coinvolti.

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La filosofia di It’s Cool: l’evento che colpisce lo spetta-tore e rimane nella memoria perché diventa “vissuto”

«Per chi ha in uggia la casa inospitale, il rifugio preferito nelle serate fredde è il cinema. La pas-sione di Marcovaldo erano i film a colori, sullo schermo grande che permette di abbracciare i più vasti orizzonti: praterie, montagne rocciose, foreste equatoriali. Vedeva il film due volte, usciva solo quando il cinema chiudeva; e col pensiero continuava ad abitare quei paesaggi e a respirare quei colori». (Italo Calvino, Marcovaldo)

Un evento può dirsi emozionante e sorprendente soltanto se la sua forza è tale da rimanere nella memoria e nel vissuto delle persone che vi hanno partecipato, soltanto se costituisce una storia da ricordare e da raccontare. L'evento deve dunque essere dirompente e spettacolare, deve rapire lo spettatore e coinvolgerlo facendolo sentire testimone di un’esperienza assolutamente unica e irripetibile. Cristian Salmon, nel suo saggio Storytelling, parla di “nuovo ordine narrativo” che, catturando le emozioni delle persone, induce al consumo plasmandone le motivazioni e l'attenzione, fino a far diventare l'arte di raccontare storie un’“arma di distrazione di massa”. Per questo - tramontata l'era dei brand culto degli anni Novanta, in cui il solo logo era sufficiente

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a giustificare l'acquisto - oggi per le aziende è necessario riposizio-narsi su una dimensione espe-rienziale, sulla cosiddetta comuni-cazione polisensoriale che rapisce il consumatore stimolandone le leve più irrazionali e soggettive. In questa logica, gli eventi si stan-no ritagliando uno spazio sempre più ampio nella comunicazione, a scapito spesso di strategie pub-blicitarie tradizionali, rispetto alle quali il consumatore tipo è sem-pre più “vaccinato”. Come ci sugge-risce Calvino, lo spettacolo e l'evento in genere ci permettono di “continuare ad abitare paesaggi e a respirare colori”, acquisendo sensazioni e valori che inevitabilmente e inconsciamente ci spingeranno a delle scelte ben precise. It's Cool Events è un'agenzia che ha come core values l'emozione, la creatività, l'unicità dell'evento, che spesso si traducono non soltanto in grandi storie da raccontare, ma in grandi storie a cui partecipare, compiendo un salto concettuale da testimone ad attore. La Convention: Shape the Future. Nell'evento corpo-rate, le aziende hanno la necessità di trasferire uno spirito, una missione: un esempio notevole è il caso della convention Shape the future per Siemens (Milano, novembre 2006), in cui It's Cool Events traduce un concept che parla di modernità e di traguardi in una scenografia - futuristica, tecnologica, accattivante - e in una dinamica, in cui il relatore si muove attraverso la platea, spezzando la gerarchia delle sedute. Il Team Building: Partesa Champion Team. Per definizione, un team building deve essere capace di coinvol-gere, divertire, stupire e, soprattutto, di creare spirito di gruppo con attività collaborative del tutto anomale rispetto al comune contesto lavorativo. Ne è un esempio la convention Partesa Champion Team (Parma, febbraio 2005), in cui - dopo una convention tradizionale - i componenti di diversi settori aziendali sono stati aggregati in squadre per un vero e proprio torneo. Dunque, sportivi per un giorno, protagonisti del più italia-no dei giochi di squadra: il calcio. La Guerrilla: Il Sole 24 Ore. Per il lancio del nuovo prodotto “Il” (settembre 2008, Roma e Milano), il Sole 24 Ore si affida a It's Cool Events, che racconta le storie di professionisti di successo attraverso modelli-icona posti su piedistalli nei landmark urbani, come la centralissima stazione Ca-dorna di Milano: “Il” Tenebroso, “Il” Creativo, “Il” Leader, diversi ma tutti affascinanti, tutti dotati di una copia di “Il”, tutti a loro modo status symbol. Efficace e sorprendente. Davvero…

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a cura della Redazione

Salmon è membro del Centre de Recherches sur les Arts et le Language, ed è il fondatore del Parlamento Internazionale degli scrittori. Dopo l’uscita di Storytelling in Francia, Le Monde gli ha affidato una rubrica per parlare del fenomeno descritto nel libro.Ho letto recensioni che descrivono Storytelling come un libro rivelatore della demagogia politica e della strumentalità del lin-guaggio ad opera di aziende, di politici e guru pre-fabbricati in laboratorio per dare risposta alla insicurezze della gente. In realtà, ho visto in questo volumetto un trattato assolutamente interessante di come la società, a partire da un’impostazione ar-chetipica, si basi di fatto sul racconto. Interessante perché, a mio avviso, va a riprendere alcuni dei più intriganti studi di sociologia e mass-media attuali, come Sappiamo cosa vuoi, Tutto quello che ti fa male ti fa bene e Cultura convergente; c’è poi da dire che i contenuti sono notevoli: dall’esempio di un Don DeLillo d’annata, che era già riuscito a comprendere come la cultura aziendale sarebbe riuscita a manipolare ed estremizzare il mercato delle

emozioni (La gestione del dolore), ai tanti storyteller, guru (da griot?) di professione, che si arricchiscono utilizzando le maglie narrative all’interno delle tecniche motivazionali. Lo Storytelling non è, però, solo una tecnica di coach-ing aziendale per guru professionisti come Steve Denning, Ashref Ramzy, Roasbeth Moss Kanter, Petr Senge, Michael Porter, Tom Petres, ecc. Non è solo un modo per riorganizzare le strutture aziendali oscillando tra il team building e l’incentive moti-vazionale; il libro, infatti, propone anche una sorta di analisi della struttura narrativa estendendola al management, all’economia, alla politica, alla società in generale, con una serie di riferimenti a case histories aziendali di notevole interesse.

Da leggere

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Christian Salmon, Storytelling - Fazi Editore, 2008