1 985/1986, il sogno di creare un
giornalino che diffondesse
l’informazione e le idee degli
studenti per la scuola ha inizio.
2010/2011, questo sogno si chiama
Koiné e quest’anno festeggia il suo
25esimo compleanno. Un’esperienza
scolastica davvero significativa per il
nostro Istituto che sente il peso di
queste “nozze d’argento” attraverso i
tanti ricordi di
successi e falli-
menti, di orgoglio
personale ma
anche di delusio-
ni. Ci auguriamo
anche quest’anno,
e a maggior ragio-
ne quest’anno, di
iniziare nel miglio-
re dei modi e di
poter essere di gradimento a voi affe-
zionati lettori, con la speranza di con-
quistarne altri. E, inebriati da tante
ricorrenze (nel 2011 ricorderemo i 150
anni del liceo e della nostra amata
Italia) passeggiando per i corridoi ci
risulta immediato scorgere peculiarità
che ci contraddistinguono. Volenti o
nolenti è questa la nostra realtà, quel
contesto scolastico che riporteremo
alla mente dopo anni e, nonostante
tutto, ameremo. Ecco allora il cortile,
ancora centro di bombardamenti stile
seconda guerra mondiale a colpi di
gavettoni, la presidenza, eterna rocca-
forte di Ninuzzo regnante,
l’inespugnabile deposito di Paperon
de’ Paperoni alias “dott. Cirinà”, la
vicepresidenza, meta di pellegrinaggi
quotidiani più numerosi e toccanti di
quelli fatti a Lourdes, gestita dall’abile
satrapo Virellion e dal fido prof. Pon-
zio detto “PON”,
per via dei nume-
rosi corsi da lui
organizzati. Ecco
la cassettina
postale del Koiné
(accanto la sala
dei professori),
inaugurata ad
inizio secolo (è
strano a dirsi!)
dal baffone tricheco sig. Cardia, oggi
rispolverata e rimessa al servizio di
tutti. E, da buona samaritana, fa la sua
apparizione la prof.ssa Milazzo, a
spasso per i corridoi in cerca
dell’occasione per una prossima e
probabile colletta. Ecco il campo di
pallavolo (in)agibile da anni, ecco i
laboratori di fisica, di chimica (?) e
d’inglese, ristrutturati (!)...
continua a pag. 3
Voce comune dal 1986
Il fumo tra i giovani del Maurolico.
Il ? L’ho fondato io.
Christian Gravina:
Un grande talento
messinese
Ponte sullo stretto
Messina
Intervista all’assessore provinciale alla cultura Mario D’Agostino
I pareri degli esperti
ANNO XXV, NUMERO 1 OTTOBRE 2010
Sommario
In questo numero
22
Si ringrazia la Libreria Ciofalo per il sostegno
33
e d ancora, con alcune fortunate eccezioni,
inutilizzati dalla stragrande maggioranza degli
studenti per la pigrizia di qualche professore.
Ecco il bar dove, tra una piadina ed un’altra, rendiamo
onore alle personalità intervistate, esponendo le loro
dediche. Ecco “l’antro delle fotocopie” del sig. Damiri (il
quale, per la cronaca, sembra essere stato avvistato su
un aereo diretto alle Bahamas!) ancora privo di un nuo-
vo guardiano. E, dulcis in fundo, ecco, al centro del
giardino, l’elefantino di pietra (foto copertina) che, dopo
anni di silenzio, ha fatto finalmente capolino esclaman-
do tutta la sua superiorità rispetto al suo più noto cugi-
no, il famoso “Liotru” di Catania. Ma perché dilungarci
in ciò che già sapete?! Meglio scrivere di ciò che pensate
di sapere, cari (e)lettori… In questa fase di fermento
politico notiamo con un certo rammarico come la politi-
ca scolastica si stia avvicinando sempre più a quella
italiana, non per quei pochi aspetti positivi, ma solo per
quelli negativi. Notiamo una morbosa e alquanto conta-
giosa brama di voler occupare per forza una poltrona (o
anche due) e come si sia radicata la “politica
dell’amicizia”, anche se qui qualcosa di positivo lo tro-
viamo. Fiamme, ex fiamme, parenti, conoscenti, scono-
sciuti: tutti amici! Ma che bello! Che persone estroverse
in cerca di nuovi amici votant… ehm… votati all’amore
fraterno…! Per non parlare poi, delle solite promesse
mai mantenute nel corso degli anni dalle varie liste ma
che continuano a riproporsi imperterrite, oppure, analo-
gamente, delle nuove stravaganti proposte di chi non
sembra avere idea di come funzioni la scuola. E, tra
compromessi e giuramenti di sangue, discussioni, faide,
liste e nomi di liste, quante povere citazioni latine o
inglesi svilite brutalmente! Ma, dopo questo squisito
excursus nei meandri scolastici, addentriamoci nel Koi-
né edizione 2010/2011! Anche quest’anno ci avvarremo
del proficuo sostegno della libreria Ciofalo che ringrazia-
mo per la fiducia accordataci, con la volontà di promuo-
vere una sempre più presente “cultura del libro” in una
città con un bassa percentuale di lettori. Intanto, zitto-
zitto e muto-muto, il nostro e vostro (?) giornale comu-
ne ha ottenuto un piccolo-grande successo: l’1 Giugno
scorso, come forse molti di voi avranno visto, Koiné ha
avuto l’onore di uscire in un inserto speciale nella
“Gazzetta del Sud” , dopo un lungo lavoro a cura del
direttivo con il valido supporto degli esperti del quoti-
diano leader a Messina. Uscita, questa, che ha sorpreso
favorevolmente gran parte della città. Ma, se non vi
bastasse ve ne diciamo un’altra: Il Koiné ha partecipato
con il numero di Maggio 2010 al premio nazionale
"Penne sconosciute" ed è risultato tra i 10 vincitori del
concorso nella Sezione C – Scuole Secondarie di Secon-
do grado. Ma andiamo ad oggi: in questo numero tro-
verete diversi interessanti contributi, due inchieste, la
prima sul Ponte sullo stretto di Messina, tematica attua-
le e spinosa, e l’altra sul fumo, nelle quali abbiamo rac-
colto anche i pareri dei giovani del Maurolico; due inter-
viste a due messinesi, l’assessore provinciale alla cultura
Mario D’Agostino il primo, il cant-attore Christian Gravi-
na il secondo. E, come ultima chicca, ma per noi la più
importante, una speciale intervista al nostro “padre-
fondatore” Gerolamo Minasi. Lo ringraziamo affettuo-
samente: se noi siamo qui a “disturbarvi” è solo per
colpa sua...
Il direttivo
continua da pag. 1.
Venerdì 8 ottobre 2010
Messina
V enerdì 8 Ottobre: gli studenti si mobilitano. Alla testa delle scuole cittadine,
accorse in massa a protestare contro la riforma Gelmini, ci sono gli studenti del
nostro liceo, che rispondono, una volta per tutte, alle voci che li vogliono poco
attivi nelle manifestazioni con una partecipazione massiccia, sentita ed attiva. Il corteo,
snodatosi lungo il corso Cavour fino all’incrocio con la via Tommaso Cannizzaro, si è poi
fermato in sit-in davanti al Tribunale per proseguire fino a Piazza Municipio. Nella foto-
grafia soprastante (scattata da Mario Restuccia V F), uno degli striscioni più rappresen-
tativi della manifestazione: “Apriamo una scuola, chiudiamo una prigione”.
A nno nuovo, vita nuova, nuovo direttivo, nuovi progetti.
Ed ecco che, nel fermento di idee partorite per cerca-
re di rendere il Κοινή un giornale migliore, nasce il pro-
posito di valorizzare l’apporto dei nostri “giornalisti” con un con-
corso volto a premiare il miglior articolo annuale per ogni singo-
la rubrica. Saranno presi in considerazione gli articoli sui numeri
pubblicati da questo fino a Maggio prossimo, quando si svolgerà
la premiazione. Il giudizio sugli articoli verrà espresso, in maniera insindacabile, dal diret-
tivo di Κοινή e da una componente del corpo docenti; gli autori dei contributi ritenuti più
meritevoli per ogni rubrica (Politically (S)correct, Agri-cultura, Messana nobile Siciliae
caput, Voci di Corridoio e Angolo della Poesia) , oltre all’autore della migliore vignetta,
verranno premiati con un riconoscimento simbolico al valore delle loro creazioni. Il con-
corso è esteso a chiunque, nel corso di quest’anno di Κοινή, collabori in uno o più numeri
col giornale. Precisiamo inoltre che gli articoli dei membri del direttivo rimangono esclusi
da questo concorso. Vi invitiamo dunque ad incrementare la vostra partecipazione al
nostro giornale comune, con l’incentivo di poter risultare i migliori giornalisti a fine anno.
Il direttivo
Concorso “Koineccellenza”
N ella marea di leggi e decreti quotidiana-
mente approvati dal Parlamento Italia-
no, al cittadino di quello che una volta veniva
definito “Il Bel Paese” dev’esserne sfuggito
uno di fondamentale importanza. Mentre i
telegiornali estivi ci bombardavano con im-
magini di vacanzieri felici gli esponenti del
nostro governo devono essersi riuniti, in una
data in cui tutti pensavano ad altro, tipo il 15
d’Agosto; tra una chiacchiera e l’altra, un tale,
che chiameremo il Cavaliere B., cabarettista
per vocazione e politico per non essere stato
preso a Zelig, avrà pronunciato un discorso
più o meno tale:
-Cribbio! In questo paese nessuno apprezza le
mie battute! Eppure le racconto così bene,
sono così divertenti! Ad esempio ne ho una
bellissima sulla Bindi, ma se la raccontassi
sarei processato… pensate, è così bella, c’è
anche una bestemmia alla fine, giusto per
accontentare tutti! Se solo fossi Presidente
del Consiglio…(mormorio di sottofondo)
-Ehi voi! Che mormorate?
-Cavaliere…ehm….ma lei è Presidente del
Consiglio!
-Ah, già, cribbio! E’ che talvolta me lo scordo
proprio! Però quei tizi là…quelli inutili…come
si chiamano?
-Intende i magistrati?
-Eh, sì, loro cribbio! Potrebbero processar-
mi...comunisti!
-Ehm...Presidente… mi scusi - dice uno- ab-
biamo trovati tanti modi per non farla proces-
sare, si figuri se la condannano per una bar-
zelletta! Se vuole possiamo anche modificare
la Costituzione...pensi come suonerebbe be-
ne: Articolo 1, L’Italia è una repubblica fonda-
ta sull’umorismo.-
-Bravo Angelino, bella idea...ma
aggiungici un “Cribbio!” alla fine,
rafforza il concetto.
-Te che ne dici Umberto? Lo faccia-
mo un decreto?
(Una voce roca avvolta in un’aura color verde
Padania)- Sì, dai, che c’ho una battuta pronta
sui Romani!
-Beh, allora la si fa! Che sennò la sinistra, con
quel comico lì, come si chiama...
-Parla di Crozza? Tortora? Della Guzzanti?
-Ma no, cribbio, di quello che sta in Parlamen-
to!
-Aaaahh, Di Pietro!
-Si, lui! Non vorrei che con tutti quei congiun-
tivi che sbaglia passas-
se dal 5 al 6 per cento!
E poi fanno talmente
ridere per conto loro
che se non rispondiamo
rischiamo di perdere le
elezioni! Bondi, vieni
qua, te che sei ministro
della Cultura, chiama
quello scribacchino che
dirige il mio giornale e
digli di cominciare a
fare dei titoli comici
con le mie battute
migliori… ad esempio:-
Gli italiani non perde-
ranno un euro!- Così
poi si vedono arrivare i
rincari nelle bollette,
capiscono che era uno
scherzo e scoppiano a ridere! Geniale, no?
Lasciamo il clima di gioviale allegria del non
meglio definito Partito Del LOL (lots of
laughs), per arrivare ai giorni nostri. Il Cava-
lier B., alias Presidente del Consiglio, alias più
grande imprenditore italiano, alias presidente
più vincente della storia del calcio, alias un
uomo “con un po’ del superman” per sua
stessa definizione, racconta la sua geniale
barzelletta; l’Umberto può finalmente an-
nunciare al mondo l’acrostico che ha realizza-
to in 20 anni di approfondite ricerche lingui-
stiche: da recenti studi
filologici leghisti si è ap-
purato che la scritta
S.P.Q.R. non significa
Senatus Populusque Ro-
manus, anzi non è nean-
che romana! Era in realtà il motto degli anti-
chi ribelli padani, i Borghezi, contro l’Urbe
ladrona, e significava Sono Porci Questi Ro-
mani.
Tutti ad invocare le scuse, tutti a scandalizzar-
ci; ma se andassimo a spulciare il nostro cor-
pus giuridico probabilmente scopriremmo
che il tutto è perfettamente legale.
D’altronde in un paese in cui l’unica certezza
è la mancanza di valori, in cui i politici fanno
(male) i comici ed i comici fanno (male) i poli-
tici, in cui il popolo ama essere una massa
non pensante, quale potrebbe essere lo stu-
pore nello scoprire una tale legge? Sarebbe
forse meglio legalizzare simili espressioni,
non scandalizzarci più, non fingerci moralisti
quando siamo noi, cittadini ed elettori, a
distruggere per primi le fondamenta dello
stato.
Ma torniamo un attimo ai nostri personag-
gi…mentre il partito si riunisce, un esponente
di punta, che chiameremo G.F., è rintanato a
Montecarlo, in un attico di non meglio preci-
sata proprietà, a rimuginare passeggiando
nervosamente su e giù per la stanza…
-Loro lì a ridere, e io qui! Dicono che non ho
senso dell’umorismo! Non è vero…solo perché
in Parlamento uso parole che non capisco-
no...forse dovrei smetterla di dire emici-
clo…ma mi vendicherò, o sì che mi vendiche-
rò!
-Amore basta! Andiamo a fare shopping!-
dice una voce femminile.
-Va bene, ma chiudi bene casa…non vorrei
che qualche parente-parassita, tipo tuo fratel-
lo, si intrufolasse….
Roberto Saglimbeni II E
L’arte della battuta parlamentare
44
La politica italiana: da impegno a teatrino
“ Non dovremmo restare
sconvolti dalle battute dei
politici quando siamo noi che
per primi danneggiamo le
fondamenta dello stato”
C redo che tutti voi, almeno una volta, da
piccoli, abbiate sentito parlare della fiaba
di Tremotino dei fratelli Grimm. Tuttavia, non
essendo questo un giudizio a priori (Kant docet),
e pertanto non universale, narrerò qui di seguito
in breve il contenuto della suddetta fiaba.
C’era una volta una giovane donzella, figlia di un
povero mugnaio, della quale parlò al re, un gior-
no, trovandosi a colloquio, dicendo che sapesse
filare l’oro dalla paglia. Così il re, a cui piaceva
molto l’oro, la condusse nel suo palazzo, la portò
in una stanza colma di paglia, e le disse di filar
per tutta la notte quella paglia in oro, altrimenti
sarebbe morta. Così, da una
porticina nella stanza, sentendo i
lamenti della giovane fanciulla
affranta sia per il copioso lavoro
da svolgere sia per la sua inca-
pacità di adempiere quel compi-
to, sbucò un nano, che chiese
alla giovane il motivo del suo
lamento. La fanciulla gli spiegò e
allora l’omino le chiese cosa gli
avrebbe dato in cambio, nel
momento in cui l’avesse filata al
posto suo. Lei gli promise la sua
collana. Così, dopo aver compiu-
to il lavoro, il nano se ne andò,
portando con sé la collana. Il
giorno dopo, il re, non contento della quantità
d’oro ricavata, giunse di nuovo e condusse la
ragazza in un’altra stanza, con ancor più paglia.
E nuovamente, sentendo la ragazza lamentarsi,
il nano giunse, e stavolta gli diede in cambio
l’anello che portava al dito. L’omino svolse il
lavoro, e all’alba si ritirò. Giunto il re, non anco-
ra pienamente soddisfatta la sua avidità, portò
la fanciulla in un’altra stanza, ancora ricolma di
paglia, e le promise di prenderla in sposa, se
entro il giorno seguente l’avesse filata in oro.
Allora giunse il nano, il quale chiese alla fanciul-
la cosa avrebbe ricevuto in cambio se le avesse
filato anche questa volta la paglia. La ragazza,
non disponendo più di nulla, accordò la richiesta
del nano, quella di dargli, una volta regina, il suo
primogenito, non pensando alle gravi conse-
guenze che ne sarebbero scaturite. Infatti, dopo
un anno, nato il bambino, il nano venne a recla-
mare il suo pegno; ma la regina lo scongiurò di
non portarglielo via. L’omino, a quel punto, le
disse che il patto sarebbe stato annullato, nel
momento in cui avesse indovinato il suo nome,
in una scadenza di tre giorni. Così, la regina
cercò di riuscire a capirne il nome, ed un giorno,
trovandosi nei pressi del bosco, scorse la casa
dell’omino, e lo vide canticchiare un indovinello,
all’interno del quale veniva svelato il suo nome.
Il giorno dopo, quando il nano giunse a palazzo,
la regina lo svelò: a questo punto, Tremotino
s’infuriò a tal punto da sbattere con foga il piede
per terra, venendone risucchiato fino alla cinto-
la; poi, nell'ira, afferrò con le mani il piede sini-
stro e si squarciò.
Benissimo, concluso questo breve excursus della
fiaba, vi starete chiedendo: a che scopo questo
racconto? Soddisfo subito la vostra domanda.
Camminando per strada, un giorno, leggendo di
sfuggita il giornale, vidi un ennesimo articolo sui
precari (giustamente) in rivolta per i tagli com-
presi dalla manovra finanziaria del ministro
Giulio Tremonti, di cui il decreto-legge n° 78 è
stato varato in maggio dell’anno corrente.
Allora, ho pensato: qui ci vorrebbe Tremotino, a
filar la paglia in oro, per estinguere la parte
prevista dalla finanziaria (tra i 27 e i 28 miliardi
di Euro), del debito pubblico italiano, ammon-
tante a (udite udite), 1750,4 miliardi di euro! Un
momento; pur essendoci una certa affinità tra il
nome del nano ingegnoso e il nostro ministro
dell’economia, tuttavia, non risulta che anche il
caro Tremonti abbia questo dono. Detto ciò, mi,
e vi pongo una domanda: come farà la nostra
bella donzella, la nostra Italia, dopo aver dato in
cambio la sua collana (tagli al complesso scuola
e dell’amministrazione pubblica, pensioni e
quant’altro) e il suo anello (tasse che gravano
sulla famiglia media italiana), a salvare il bambi-
no (il suo futuro) dalle grinfie di un essere che,
invece dell’oro vero, palpabile, dato da Tremoti-
no, ci ha offerto solo parole e vento (che, in
comune con i soldi, quelli di cui necessitiamo,
hanno solo l’innumerevole quantità)?
A questo punto, sarebbe necessario stravolgere
la favola, per portare un decisivo cambiamento
a quest’orribile situazione. Bisognerebbe torna-
re all’origine della storia, andare dal re, o Cava-
liere (che dir si voglia), e dire la verità, ovvero
che non sappiamo filare la paglia in oro
(neanche il nano, in realtà, ne è capace), e che
non possiamo (e non vogliamo) dargli quei soldi
di cui è avido, che desideriamo rimanere dei
poveri, ma felici, mugnai (lo so, ognuno vorreb-
be diventare regina; però, a quale costo?) E
adesso, andando all’atto pratico, si potrebbe
compiere ciò? La risposta è sem-
plice, schietta, breve: sì. Ma non
è ugualmente breve il modo in
cui si potrebbe giungere ad una
tal risposta. In sintesi, sarebbe
necessario dire: basta divisioni,
basta dilatare con visioni psiche-
deliche la stessa idea di giustizia,
di libertà, di uguaglianza dei
diritti, basta dire io sono di de-
stra, io sono di sinistra, io sono
del centro storico. Dovremmo
dire: io sono una persona intelli-
gente, io conosco i miei diritti, io
voglio vivere degnamente, io... io
penso! (Immanuel, smettila di
prendere continuamente il sopravvento tra i
miei pensieri! Non ho scordato il nostro appun-
tamento in notturna per discutere della metafi-
sica!)
Stringendo (non intendo tediarvi ancora un solo
istante!), riscopriamo, tutti, tutti insieme, il
significato della parola POLITICA. Questa cosid-
detta “arte di governare lo Stato” (un ringrazia-
mento speciale per la traduzione a Lorenzo
Rocci), rendiamola tale, rendiamola un’arte,
sposandola con la vecchia e cara democrazia, e
svegliando dal sogno dogmatico le nostre co-
scienze. Facciamolo per la nostra bella Italia,
facciamolo per il nostro bambino, quel futuro
che porterà alti i principi cardinali all’insegna
della giustizia, del benessere fisico, personale,
ma soprattutto, sociale e collettivo: SCUOLA,
FAMIGLIA, LAVORO, UMANITA’, TRASPARENZA,
COLLETTIVITA’.
Non è un comizio elettorale, questo, no... E’ solo
una prospettiva diversa della favola di Tremoti-
no.
Marina Pagano III E
Tremo(n)tino fila l’oro dalla paglia? Breve storia di una donzella e di un bambino
55
E bbene sì! Siamo sempre noi giovani la
causa della rovina della società. Parole
in libertà? No, sono solo un po’ stanca di
sentir dire che i giovani sono ignoranti. E’
forse una tecnica pedagogica distruggere
l’autostima di noi giovani?
Non saprei… ma, comunque, questa mia,
chiamiamola, “lamentela” non vuole assolu-
tamente criticare la severità o le critiche
degli adulti, vorrei solo far capire che noi
giovani abbiamo bisogno di stimoli e, per-
ché no?, anche di qualche gratificazione
(ben meritata s’intende!).
E’ vero che a volte meritiamo di essere, in
qualche modo, “maltrattati”, perché non
proviamo a diventare persone migliori e non
accettiamo le critiche costruttive che rice-
viamo. Probabilmente un po’ di responsabi-
lità ce l’ha anche l’epoca in cui viviamo,
senza grandi valori e dove spesso è il
più ignorante che viene lodato e acqui-
sta popolarità. Tutto ciò può senza
dubbio confondere, soprattutto chi è
più insicuro. Ma quando noi saremo
adulti come ci rapporteremo con il
mondo e la società circostanti?
Ci accontenteremo della mediocrità o
tenteremo almeno di cambiare qualche
piccola cosa? Beh, proprio questo di-
penderà esclusivamente da noi e dalla
nostra capacità di sacrificarci per otte-
nere un mondo migliore. E voi cosa ne
pensate? Sarebbe bello conoscere il
vostro parere!
Federica Fusco V E
D ue ragazze, quattordici e quindici anni,
durante un servizio per Sky, all’inviato
sulle spiagge di Ostia rispondono senza pu-
dore in romanesco periferico che viene poi
sottotitolato per rendere più agevole la
comprensione ai telespettatori (“come vi
difendete dall’afa estiva?” “col calippo e ‘na
biretta!”). Fin qui si può chiudere un occhio,
o meglio ignorare l’evento, non è un reato
esprimersi nel dialetto della propria regione
e, anche se di fronte alle telecamere, c’è chi
non se ne cura. Il vero “scandalo” è che
siano diventate in poco tempo un fenome-
no mediatico, oggetto di polemiche e con-
sensi da parte di chi le apprezza trovandole
“spontanee nella loro genuina ingenuità”.
Perdonatemi allora se nell’ignoranza non
trovo nulla di genuino o d’interessante,
tanto da assistere alle loro ospitate
in talk show come il “Chiambretti
night” o “Pomeriggio Cinque”, o
sapere che sono stati dedicati ai loro
strafalcioni servizi al Tg5 e al Tg2;
d’altronde i telegiornali si interessano spes-
so (anche troppo!) ai fenomeni che impaz-
zano sul web, e a chi non fa piacere scoprire
le rocambolesche avventure di giovani nar-
cisi svenduti per due minuti scarsi di popola-
rità?! Inevitabile chiedersi cosa spinga certi
ragazzi a diven-
tare delle vere e
proprie caricatu-
re da cine-
panettone nata-
lizio, ecco, si
torna a parlare
di tv, possibil-
mente quella
leggera e che
non impegna,
“per le masse”. Credo che questo degrado
progressivo e consapevole della giovane
società sia dovuto alla cronica mancanza di
modelli ai quali ispi-
rarsi. Così, se oggi è
impossibile trovare
facilmente personali-
tà come quella di
Socrate, che spingeva le giovani menti alla
ricerca della propria verità e a osservare con
occhio critico e consapevole la vita e la real-
tà, gli idoli odierni sono i “belli”, quelli che
con l’arte dell’incompetenza prendono so-
noramente a calci la meritocrazia; recenti
studi informano
che il 40% dei
ragazzi intervista-
ti, tra i 10 e i 13
anni, crede che
per avere succes-
so ci sia bisogno
di una sostanzio-
sa dose di racco-
mandazioni e di
un bell’aspetto,
prima che di impegno e studio. Così cresce
la società, trascinandosi appresso i veri valo-
ri e gli ideali, i miti e tutte le aspettative del
mondo che la ospita, destinate a sgretolarsi
sotto il peso dell’ignoranza predominante.
Perciò, sapienti o “asinacci” (prof. Macris
dixit!) l’importante è essere spontanei, sin-
ceri e anche un po’ sempliciotti, è questa la
chiave del successo!
Giulia De Luca I A
Quando ostentare ignoranza è sinonimo di successo Lo rivelano statistiche e un tormentone dell’estate: “Le calippo girls”
Siamo sempre noi i soliti ignoranti?
66
“ E’ inevitabile chiedersi
cosa spinga certi ragazzi
a diventare delle vere e pro-
prie caricature da cine-
panettone natalizio
“ Quando noi saremo adulti ci accontente-
remo della mediocrità o tenteremo alme-
no di cambiare qualche piccola cosa?
A utismo, schizofrenie, psicosi di vario
genere, parole che, lette in un contesto
diverso, non sarebbero certo annesse alla
parola ‘’infanzia’’. Ma è proprio nell’infanzia,
che, spesso, queste forme psicotiche nasco-
no e vengono accresciute. Dondolamento,
battere la testa, agitare le mani, passaggi
delle dita davanti agli occhi, deambulazione
in punta di piedi, movimenti stereotipati di
destrezza, urla immotivate, questi i primi
segni. La più frequente, in età evolutiva, è la
schizofrenia. Il bambino tende a vivere in
un mondo isolato, distaccato dalla realtà
(percepita come minacciosa). È l'apatia.
Egli è incapace di distinguere il tutto dalle
parti, il costante dal mutevole, la realtà
dalla fantasia, il vivente dall'inanimato.
Può avere: manifestazioni di aggressività
distruttiva, incoerenza di pensiero e di
linguaggio (ad es. usa la terza persona
invece della prima nella verbalizzazione,
può usare un linguaggio apparentemente
simile a quello adulto, con molte espres-
sioni tecniche: bambini psicotici che non
sanno leggere né scrivere riempiono qua-
derni con calcoli privi di senso), incoeren-
za di comportamento (rapporti affettivi
inadeguati con persone e oggetti, che non
devono mai presentarsi in modo diverso
da quello abituale). Nelle fasi acute: pre-
valenza dei comportamenti autoerotici
(masturbazione, canto solitario, dondoli-
o...), incapacità a riconoscere il pericolo
per sé e per gli altri, negazione totale della
realtà. Ma un’altra psicosi, meno comune,
descritta nel 1944 dall'austriaco Hans
Asperger, con il nome di psicopatia autistica,
viene classificata dal DSM (Il DSM, come è
noto, è una classificazione diagnostica e sta-
tistica curata dall’American Psychiatric Asso-
ciation) con il nome di Disturbo di Asperger.
Nei bambini con questa pato-
logia il comportamento auti-
stico viene osservato verso i
3-4 anni, dopo un periodo in
cui lo sviluppo psicomotorio, quello del lin-
guaggio e il livello intellettivo sono sostan-
zialmente adeguati. In questo disturbo ciò
che risulta man mano più compromesso
sono la capacità di relazione sociale e la va-
rietà degli interessi sociali. Ciò potrebbe sot-
tolineare in un qual modo la volontà di isolar-
si, poiché non vi è un deficit
che potrebbe estraniarli; ri-
cordiamo, inoltre, che nei
primi anni del 900’ erano
semplicemente ritenuti affetti da mutismo e
sordità. Tutto questo nel già complesso mon-
do del bambino. Il bambino, affetto da auti-
smo, sembra non percepire, gioca da solo, ed
è felice da solo. Ha paura dell’altro, vive in
una realtà alterata, o almeno questo è ciò
che ripetutamente i testi di psicologia ribadi-
scono. Sono certamente bambini difficili da
gestire, con varie problematiche alle spalle,
ma introdurre l’uso di psicofarmaci va oltre i
limiti. Inoltre, verrebbero
somministrati anche per altre
forme di disturbo comporta-
mentale; come se lo psicofar-
maco fosse la nostra soluzione ideale per
sindromi, specialmente infantili. A questo
proposito, ancora una volta, è chiara nella
politica internazionale, la sudditanza vergo-
gnosa del giusto ai piedi di un guadagno, di
un business farmaceutico indecoroso. Le
posizioni europee sono immutabili, gli psico-
farmaci possono e devono
essere somministrati anche in
età infantile, e tutto ciò resta
ahimè indiscusso. Esistono di
certo associazioni, come, ad esempio, ‘’Giù le
mani dai bambini’’, associazione che in tutti
questi anni, messasi in prima fila, ha combat-
tuto, oserei dire, non solo per i soprusi in
tenere età, bensì per i diritti umani. Vi sono
delle leggi che, con cieca insolenza an-
nientano la giustizia, sono queste le co-
siddette leggi di mercato, le più forti e
imbattibili. Il denaro ancora una volta
padrone del buon senso, e noi ancora
una volta omertosi. Questi bambini ri-
mangono tali, indifesi e teneri, ed hanno
il sacrosanto diritto alla felicità; l’utilizzo
di mezzi comodi e veloci, come gli psico-
farmaci, fa comodo solo alle case farma-
ceutiche mondiali.
Sindrome down e psicosi ...
Un gruppo di 40 bambini Down psicotici
(26 M e 16 F; in media 7 anni alla 1a
visita) è stato paragonato ad un gruppo
di 20 bambini psicotici non Down (11 M
+ 9 F; stessa età media alla 1a visita).
Non vi è una differenza significativa per
le caratteristiche epidemiologiche e clini-
che aspecifiche, benché sia stata trovata
maggiore prevalenza di prematurità e/o
basso peso alla nascita e strabismo nel
gruppo Down; anomalie EEG nel gruppo non
Down. Le diagnosi, fatte secondo il DSM-III,
hanno mostrato l'inadeguatezza di questo
manuale, in quest'ambito. Per quanto riguar-
da i sintomi psicotici, la differenza è significa-
tiva (p = 0.05) con maggiore prevalenza di
ansia immotivata, necessità di costanza am-
bientale, disturbi della sensibilità sensoriale,
rituali e aggressività nel gruppo degli psicotici
non Down.
Maria Chiara Pollicino II F
Le psicosi
77
Quando al biberon si preferisce lo psicofarmaco
“ Vi sono delle leggi che
con cieca insolenza an-
nientano la giustizia …
“ Gli psicofarmaci fanno
comodo solo alle case
farmaceutiche mondiali.
Assurdo, irragionevole e immorale “La storia ci guarda e non vorrei che vomitasse.” (S.Benni)
I n questo periodo, da far coincidere
con l’inizio dell’ultimo anno di scuola,
ho avuto modo di visualizzare concreta-
mente l’assurdo della società e, più in
generale, del nostro stile di vita. Aleggia
insieme ai granelli di polvere nelle stan-
ze di casa mia, nelle aule della scuola,
nelle strade, nei locali.
E a questo proposito
vi devo far leggere
assolutamente un
passo di Enrico Brizzi, che i bravi giorna-
listi reputeranno troppo lungo, ma chi
se ne frega? Ci sta troppo bene. Fa più o
meno così: “Tutto mi dice di essere for-
te, determinato negli scopi, capace di
andare avanti nella vita, ma se uno
sente che è arrivato il momento di
cambiare un po’ rotta o anche solo il
bisogno di fermarsi a ragionare sul
serio per proprio conto? Voglio dire: e
i cazzi di sette e mezzo in latino, per
esempio, che da semplici strumenti
sono diventati una specie di fine ulti-
mo?… insomma, a quanto ne so do-
vrei studiare per strappare un titolo
di studio che a sua volta mi permetta
di strappare un buon lavoro che a sua
volta mi consenta di strappare abba-
stanza soldi per strappare una qual-
che cavolo di serenità tutta guerreg-
giata e ferita e massacrata dagli sforzi
inauditi per raggiungerla. E allora,
perché dovrei sacrificare i momenti di
serenità che mi vengono incontro spon-
taneamente lungo la strada? Se un po-
meriggio posso uscire con una ragazza
che mi piace, perché cavolo devo star-
mene in casa a trascrivere le versioni dal
traduttore? La realtà è che mi trovo
costretto a sacrificare il me diciassetten-
ne felice di oggi pomeriggio a un even-
tuale me stesso calvo e sovrappeso,
cinquantenne soddisfatto. Ora, un orro-
re di queste proporzioni vale più del
sole e del gelato di oggi pomeriggio? Più
di una qualunque ragazza? *…+ sono
stato io a non prendermi quello che
volevo. Come avessi abortito tutti i gior-
ni, come non avessi permesso che quel
ragazzo (quello felice) nascesse per pau-
ra di ritrovarmelo fra i piedi, per paura
che sconvolgesse la mia vita. E così mi
sono sempre concesso piccole felicità di
polistirolo: andare ai giardini, restare a
dormire tutto il pomeriggio…” Mi vedo
buttare ore e ore a scuola senza impara-
re niente, senza che
quel poco che imparo
passi per il mio cuore,
senza passione, senza
stimoli. Mi vedo all’intervallo incontrare
ragazzi che fanno finta di tenerci l’uno
all’altro senza in realtà provare nessun
tipo di emozione forte, niente che possa
lontanamente ricordare il sentimento
che ti prende, ti scuote, ti cambia, ti
ammala, di cui hanno tanto parlato poe-
ti e cantanti, ragazzi che stanno insieme
solo per noia. Mi vedo entrare in casa e
salutare due genitori
stanchi, esausti, ma
non della stanchezza
buona di quando fai
qualcosa che ti piace,
ma della stanchezza triste di quando fai
il tuo lavoro per inerzia, senza migliora-
re più, senza imparare più niente. Mi
vedo uscire fuori il sabato sera, andare
in giro per locali ridendo e scherzando
fra amici, ma con il divertimento di chi
sta cercando un modo per riempire la
serata, non di chi vorrebbe che la notte
non finisse mai. Mi vedo accendere la
televisione e sentire di gente che invece
di dedicare anima e corpo a migliorare il
suo paese, gente che potrebbe davvero
fare grandi cose, cose bellissime, passa
il suo tempo a far polemiche sterili e
inutili. Vedo tutto questo, e mi si pre-
senta davanti in tutta la sua deprimente
c o n c r e t e z z a l ’ a s s u r d i t à
dell’organizzazione che l’uomo è riusci-
to a darsi, un’organizzazione che privile-
gia cose di secondaria importanza, piut-
tosto che il divertimento, la gioia, la
passione. I nostri genitori ci hanno
sempre insegnato ad andare bene a
scuola, a comportarci “come si deve”,
da “ragazzi per bene”, a non bere,
non fumare, non frequentare
“compagnie poco raccomandabili”, a
non rispondere ai professori, a sce-
gliere facoltà che ci diano un posto di
lavoro e dei soldi assicurati, a pren-
dere 100 all’esame. Nessuno si è mai
preoccupato di insegnarci a cercare
gli attimi di eternità e bellezza in que-
sto schifo di vita. Semplicemente
assurdo. “Non c‘è niente di inevitabi-
le nel mondo com‘è adesso. È solo
una dei milioni di forme possibili ed è
venuta fuori sgradevole e ostile e
rigida per che ci vive. Ma possiamo
inventarcene di completamente di-
verse, se vogliamo. Possiamo smantella-
re tutto quello che abbiamo intorno così
com‘è, le città come sono e le famiglie
come sono e i modi di lavorare e di stu-
diare e le strade e le case e gli uffici e i
luoghi pubblici e le au-
tomobili e i vestiti e i
modi di parlarci e guar-
darci come sono. Pos-
siamo inventarci solu-
zioni completamente diverse.” (A. De
Carlo)
Noi possiamo.
Silvia Sturlese III F
“ Nessuno si è mai preoccupato di
insegnarci a cercare gli attimi di
eternità e bellezza in questo schifo
di vita. Semplicemente assurdo”.
“ Perché dovrei sacrificare i momenti
di serenità che mi vengono incontro
spontaneamente lungo la strada?”
88
N on è facile descri-
vere l’emozione
di aver incontra-
to colui che, giornalisticamen-
te parlando, ci ha dato la vita.
E’ una sensazione strana di
ritorno alle origini, di confron-
to con quello che è stato, con i
valori di un giornale nato in un
tempo ed in un clima assai
diversi dai nostri e che noi
cerchiamo, numero dopo nu-
mero, di portare avanti. Nelle
nostre continue ricerche nel
passato, purtroppo con dei
buchi temporali per quanto
riguarda gli inizi, non ci era
mai capitato di risalire
all’origine, filosoficamente
parlando, all’αρχή di questo
microcosmo. E poi, per puro
caso, riusciamo a metterci in
contatto con lui, il fondatore,
l’uomo che ha dato inizio a
tutto questo. L’abbiamo inter-
vistato, proprio vicino a quella
scuola che l’ha visto studente
e giornalista. Ed ora, per non
tediarvi oltre, lasciamo spazio
a quest’intervista, sperando
che vi trasmetta la stessa e-
mozione che abbiamo prova-
to noi.
• Si presenti ai nostri lettori.
Mi chiamo Gerolamo Minasi,
ho fatto il Maurolico, nella
sezione C, e ho fondato, insie-
me alla mia classe il giornali-
no che voi avete continuato,
cioè Koiné. Mi sono laureato
alla Sapienza di Roma, con la
quale ancora collaboro ed
oggi sono uno psicologo, un
ricercatore in psicofisiologia
ed un docente in un master di
ambito arte-terapeutico.
• Iniziamo con una domanda
di rito: cosa prova a stare da-
vanti alla scalinata di
quella che è stata la
sua scuola?
Intanto è stato molto
strano pur essendo
tornato molte volte,
perché questa cosa di
incontrare voi mi ha
messo in una sorta di
agitazione. Ho rivisto
immagini di persone,
di situazioni, di conte-
sti, di un’et{ mia che
non c’è più che mi ha
molto emozionato. Io
ho però mantenuto un
ottimo rapporto con
alcuni miei ex professo-
ri, addirittura epistola-
re con alcuni, perché
sono stati fondamenta-
li, con altri no assoluta-
mente.. (ride) sono sta-
to contento di non vederli mai
più! Questa volta però era
diverso: dovevo immaginarmi
prima come eravate, perché
non sapevo assolutamente chi
trovavo ed ancora immagina-
re voi che immaginavate me!
• Dopo un complesso lavoro
di ricerca, quando oramai
stavamo iniziando a perdere
ogni speranza di trovarla, a
venirci incontro è stato il so-
cial network Facebook. Come
ci si sente ad essere così
“ricercati”? Si sarebbe mai
immaginato che oltre 20 anni
dopo un gruppo di ragazzi la
potesse cercare?
Mi ha fatto tantissimo piacere
perché penso che sia rimasta
un’inquietudine intellettuale
in questa scuola. L’Italia non
mi piace tantissimo in questo
momento, non mi piace come
vengono trattati i giovani e
pensare che ci sia un’esigenza
di esprimersi mi rassicura. Da
noi era partito tutto proprio
da questa esigenza, allora la
condizione di pensiero era
molto ristretta, c’era un eser-
cizio manieristico della cultu-
ra ma non c’era un’esigenza
comunicativa.
• Quindi lì è nata l’esigenza di
un giornale?
Sì, è nata con delle ipotesi
teoriche, filosofiche precise
che si riferivano soprattutto
ad un teorico della pedagogia
che voi forse non conoscete
ma che vi invito a studiare che
è Freinet, un maestro contadi-
no francese del dopoguerra,
che aveva fondato il primo
esperimento di stampa con
ragazzini che non riuscivano
né a leggere né a scrivere per-
ché inseriti in un contesto
culturale poverissimo.
Ciò ha dato vita ad un
movimento dell’idea
della conoscenza mol-
to bello che ci ispirava
allora, al punto da
cambiare le forme
della classe, ricercan-
do sempre nuove for-
me comunicative. Sia-
mo stati, culturalmen-
te parlando, soprat-
tutto nell’ultimo anno,
in III C, la spina nel
fianco di questa scuo-
la. Nonostante avessi-
mo idee politiche diffe-
renti, volevamo mette-
re al servizio una clas-
se che capisse
l’importanze che ha la
cultura umanistica
nella società. Nella
terza classe, che per gli
insegnanti era molto irrequie-
ta, abbiamo fatto una certa
autogestione critica che ri-
passava anche per il giornale.
• Da cosa nasceva questo sen-
timento?
Nasceva da una adesione vera
allo studio come esigenza
piuttosto che esercizio. In un
classico, come il nostro, quan-
do studiando Leopardi, si ini-
ziava dicendo “Adesso voi vi
annoierete…” ecc.. Ecco. Que-
sto non è il modo migliore per
stimolare dei ragazzi ad en-
trare in contatto con uno dei
filosofi e letterati più impor-
tanti di questo paese. Il secon-
do movimento che avevamo
studiato e da cui è partito il
giornale è il movimento del
Politecnico di Elio Vittorini
dove scrivevano i maggiori
intellettuali italiani che erano
convinti che la cultura umani-
stica dovesse entrare anche
nei percorsi tecnici e che quin-
99
Parla il “padre fondatore” del nostro giornale, tra passato, presente e futuro del Maurolico
Il Κοινή? L’ho fondato io.
Il dott. Gerolamo Minasi, fondatore di Koiné
“ L’Italia non mi piace tantissimo
in questo momento, non mi
piace come vengono trattati i giova-
ni e pensare che ci sia un’esigenza di
esprimersi mi rassicura”
di ci fosse un peso della cultu-
ra umanistica nell’etica con
cui si affrontava la tecnica,
questione molto grossa ai
giorni d’oggi. Siamo pieni di
tecnologia senza una reale
coscienza del perché la usia-
mo, a cosa può o potrebbe
servire. Per esempio, noi ab-
biamo fatto una battaglia
enorme per essere gemellati
con un istituto tecnico di Villa
San Giovanni che per il Mau-
rolico era una nota di assolu-
to demerito! Se pensiamo allo
stesso Vittorini, Primo Levi o
Quasimodo: queste erano tut-
te persone che avevano
un’idea molto complessa
dell’approccio alla conoscen-
za e di come si dovesse usufru-
ire della conoscenza stessa.
Tentavamo anche di riconnet-
terci ad un passato di Messina
che per certi versi fu libertino,
ad una emancipazione femmi-
nile che forse non c’è neanche
oggi, tentavamo insomma di
restituire le radici alla nostra
provenienza.
• Il Koiné quando e in che
classe nacque?
Nacque nella I C dell’86. Fu
una cosa che partì dalla no-
stra classe, poi coinvolse la
sezione ed in seguito tutta la
scuola. C’era all’epoca una
grande competizione tra le
sezioni, che penso ci sia tutto-
ra e noi abbiamo giocato su
questo per creare competizio-
ni in merito ad articoli o poe-
sie. Era aperto a tutti e a tutte
ma laddove non eravamo
d’accordo con gli articoli,
pubblicavamo comunque e
facevamo, se credevamo ne-
cessario, un articolo di critica
a quello che era stato scritto.
Quello che non ammettevamo
era di fare i correttori di boz-
ze, nel senso che ci capitavano
articoli che erano sgrammati-
cati -capita anche a noi oggi-
ma che noi pubblicavamo
comunque.
• Questa esperienza con lei è
durata 3 anni: con che caden-
za usciva il giornale?
Eravamo quasi mensili..
• Come era costruito il giorna-
le?
Da noi non c’erano dei diret-
tori, come lo siete voi: c’era
una redazione che nei 3 anni
poi si è allargata. Il fondatore
sono stato io perché l’ho pro-
posto all’interno della classe,
ma poi il giornale si costruiva
su specifiche passioni ad e-
sempio di tipo letterario, poli-
tico, culturale. Si andava dal
disegnatore che si occupava
di satira alla sezione fissa di
poesia che per noi era sacra.
Facevamo infatti prima un
lavoro su come produrre una
scrittura creativa. Era un mo-
vimento che pensava alla cre-
atività ed all’arte
come un mezzo di
conoscenza.
• E le spese?
Il giornale lo vendevamo e
perciò tutto viveva in modo
autogestito ed, alla fine, con i
contributi di tutta la scuola.
Anche il preside ci osteggiò, ci
disse più volte “Dentro non si
stampa” e noi andammo fuo-
ri...
• Da dove nasce la scelta di
chiamare il giornale “Koiné”?
Il nome nasce proprio da que-
sto: Koiné era l’unit{ di lin-
guaggio raggiunta nell’ elleni-
smo per potersi capire. Per
noi era una grossa metafora,
perché non è sufficiente parla-
re la stessa lingua per capirsi,
perciò il pensiero umanistico,
per noi, era la culla che pote-
va permettere una comunica-
zione che andasse oltre gli
schieramenti ideologici. C’era
una spinta idealistica che è
tipica di quell’et{ e che io ho
cercato di mantenere ancora
oggi.
• Come venne accolto il Koiné
tra i docenti di quel tempo?
Dai docenti malissimo, con
disinteresse per lo più.
• Anche se la vis polemica,
come è giusto che sia, da noi
non si è sopita, siamo riusciti
a far partecipare anche i pro-
fessori alla stesura del giorna-
le, ai suoi tempi?
Da noi era impossibile, i do-
centi si rifiutavano... A scuola
vi era una situazione congela-
ta, ingessata. Era solo rimasta
la forma, il Maurolico era il
prestigio dei tempi passati ma
non c’era vita. Quindi quello
che voi avete fatto è molto
importante, perché credo che
in questo momento non si
possa prescindere dal costrin-
gere gli adulti alle loro re-
sponsabilità.
• In questi anni abbiamo avu-
to la possibilità di intervistare
grandi personaggi di cultura,
come, ad esempio, il grande
filosofo e sociologo francese
Edgar Morin. Quando il Koiné
è nato si pensava anche a
cose del genere?
Non eravamo all’altezza di
quello che mi state descriven-
do e per questo sono felice-
mente sorpreso. Il pensiero
del giornalino era molto più
interno di quanto non sia in
voi e certo a noi è mancata
questa possibilità di crescere
intervistando personaggi vali-
di e famosi come è stato per
voi ad esempio con Morin.
• Ai suoi tempi, rispetto ad
oggi, quant’era attiva la par-
tecipazione degli studenti?
In quegli anni era forte la
presenza della polizia politi-
ca, con la quale spesso abbia-
mo avuto dei guai. D’altro
canto questa sorta di repres-
sione era per forza di cose
meno pressante nei confronti
di coloro che, pur essendo figli
di personaggi in vista, si impe-
gnavano attivamente nelle
forme di protesta studente-
sche. Per noi giovani scostarsi
dal pensiero comune, anche
sul piano culturale, era co-
munque un gesto pericoloso,
che rischiava di compromet-
tere la trasmissione della cul-
tura per come gli adulti vole-
vano fosse fatta. Ma anche
allora vi era chi manifestava e
i tanti che restavano a casa.
• Ci può raccontare un episo-
dio curioso degli anni in cu fu
al Maurolico?
Sì, noi imponemmo nella no-
stra classe un cambiamento
della forma dei banchi ed al-
lora i bidelli ebbero l’ordine di
rimettere ogni mattina la
nostra nella solita condizione.
Quando ci dissero che questo
era un esercizio da quattro
soldi, per copiare meglio,
chiedemmo loro come mai se
era effettivamente qualcosa
di stupido e banale pagassero
un bidello per venire ogni
mattina a rimettere a posto
tutto. Il discorso allora è che
l’autorit{ non si esercita dalla
1010
Il dott. Minasi sfoglia lo speciale Koiné uscito l‟1 Giugno sulla “Gazzetta del Sud”
“ Koiné era l’unità di linguaggio raggiunta nell’ellenismo per potersi capire e per noi era
una grossa metafora, perché non è sufficiente parlare la stessa lingua per capirsi”
posizione che hai, quello è
autoritarismo, l’autorit{ si
esercita dallo spessore con cui
mi coinvolgi all’interno della
scuola: e non c’è bisogno di un
banco più alto per fare que-
sto...
• La comunità scolastica mes-
sinese è estremamente fram-
mentata in scuole ritenute
“d’elité”, come il Maurolico, e
“le altre”. Era così anche allo-
ra?
Purtroppo sì. Il Maurolico dei
miei anni viveva di una forte
rivalità col La Farina ma
spesso vi era uno snobismo
non supportato da fatti con-
creti. Il rapporto tra studenti
attivi e passivi è cresciuto nel
corso degli anni; oggi manca
inoltre la volontà delle classi
sociali più basse di riscattarsi
con la cultura, laddove le per-
sone di estrazione più umile
che facevano parte del Mau-
rolico di quel tempo sono
quelle che sono riuscite me-
glio sul piano intellettuale.
Senza mobilità sociale non si
migliora.
• Secondo lei i giovani d’oggi
hanno maturato un idealismo
o si è fatto un passo indietro?
I giovani hanno una necessità
quasi biologica di essere idea-
listi. Oggi la società è carente
di adulti, ai
ragazzi manca-
no i riferimenti
culturali, man-
cano persone
con cui confron-
tarsi, manca chi si prenda la
responsabilità di un pensiero.
Come mi suggerisce la mia
esperienza personale, i ragaz-
zi d’oggi non mettono più in
dubbio le idee del primo adul-
to che dà loro discorso e con-
fronto, ma vi si aggrappano
disperatamente.
• E per quanto riguarda la
nostra città, cosa è cambiato
rispetto al passato? Vi sono
delle, seppur minime, evolu-
zioni? O segni di progresso?
Certamente, la realtà messi-
nese ha fatto dei piccoli, seb-
bene non evidenti, passi, è
andata avanti. Credetemi, in
tempi non così remoti non
esisteva un pub aperto fino a
tardi, o luoghi di
incontro per i gio-
vani, fortunata-
mente adesso qual-
cosa è mutata,
forse non è eviden-
te. I giovani adesso hanno
maggiore libertà, viaggiano,
scrivono, in questo senso ci
avviciniamo maggiormente
alla realtà europea, anche se
vi sono sempre differenze,
anche sostanziali.
• Quali sono, secondo lei, le
differenze sostanziali di cui ci
sta parlando?
In Italia i giovani tra i 18 e 20
anni non vanno a vivere da
soli, purtroppo non acquisi-
scono quell’indipendenza dal-
la famiglia. Dunque, in un
c e r t o s e n s o m a n c a
quell’esperienza di vita, anche
se come ho già detto si sono
fatti dei progressi evidenti.
• Il Koiné è una possibilità di
avvicinamento da parte dei
giovani a quel complesso
mondo giornalistico. Quale
crede sia attualmente
l’approccio giovanile nei con-
fronti dell’informazione?
Credo che la realtà del gior-
nalino sia importante, che
costituisca un primo approc-
cio giovanile, quasi una abitu-
ale e corretta abitudine
all’informazione. Oggi vi è
tanta informazione, ma, di
certo non un’informazione
sana. Ad esempio, Internet è
uno sconfinato universo di
notizie, ma, se non utilizzata,
non assimilata, praticamente
vale nulla. Nel giovane la no-
tizia deve suscitare interesse,
anche scandalo se è necessa-
rio, l’importante è che nasca
qualcosa. Paradossalmente,
siamo bombardati da notizia-
ri, senza trarne nulla. La noti-
zia, l’attualit{ deve far nasce-
re quel senso critico necessa-
rio. Se un giornale, un libro,
qualsiasi mezzo di informa-
zione non porta alla forma-
zione di un forte senso critico,
allora è tempo ‘’quasi
perduto’’ leggerlo.
Intervista a cura del Direttivo
1111
L‟intervista è interrotta da una “carrambata”: ecco il prof. Persichina!
Il dott. Gerolamo Minasi posa con i ragazzi di Koiné al termine del loro incontro
“ l’autorità non si esercita dalla
posizione che hai, quello è autori-
tarismo, ma dallo spessore con cui tu
mi coinvolgi all’interno della scuola”
“ La realtà messinese, ha
fatto dei piccoli, sebbe-
ne non evidenti, passi avan-
ti. I giovani adesso hanno
maggiore libertà”
I n vista del 25esimo anni-
versario di Koiné, che
ricorrerà nel 2011, invi-
tiamo chiunque sia in possesso,
tramite ex alunni o ex docenti,
di materiale inerente al giornali-
no scolastico a rendersi disponi-
bile scrivendo a:
Grazie,
il direttivo
P are che il fumo fosse molto diffuso nell'A-
merica precolombiana: fatto è che Cristofo-
ro Colombo, nel 1492, fu probabilmente il primo
europeo a vedere in faccia un "fumatore" e si
dice che un suo compagno di viaggio, un certo
Rodrigo de Jeréz, sia stato il primo europeo a
provare personalmente. Dunque, la storia del
fumo è certamente assai breve considerando un
continente antico come l’Europa. Addirittura in
Persia lo scià Abbas fa tagliare il naso a chi annu-
sa il tabacco: ai fumatori invece fa tagliare le
labbra. In Turchia Amurat IV concede ai fumatori
(dopo averli condannati a morte) di scegliere fra
l'impiccagione con la pipa in bocca o il rogo con
foglie di tabacco. In Russia i fumatori venivano
condannati solo ad essere bastonati (lo zar Pie-
tro il Grande però fumava comodamente le sue
pipe). A Roma un Papa parla addirittura di sco-
municare i fumatori.
Ma prestando attenzione allo scenario italiano
attuale, numerosi studi epidemiologici e statisti-
ci, realizzati negli ultimi anni, consentono di
delineare la dimensione del consumo di tabacco
in Italia, fornendo un profilo dei fumatori e delle
loro abitudini. In particolare, l’Osservatorio fu-
mo alcol e droghe dell’Istituto superiore di sani-
tà (Oss-fad) ha pubblicato il rapporto nazionale
sul fumo in Italia 2005. Anche la Doxa ha effet-
tuato l’indagine sul fumo 2004, della quale è
disponibile anche una sintesi, per conto dell’Iss
in collaborazione con l’Istituto di ricerche farma-
cologiche Mario Negri e la Lega italiana per la
lotta contro i tumori
(Lilt). Inoltre, è certa-
mente curiosa la
differente media di
fumatori tra nord e
sud; infatti, la percen-
tuale più alta di fuma-
tori è nell’Italia centrale (23,5%), la più bassa al
Sud (20,5%). Riguardo alle classi d’età, per gli
uomini la quota più elevata di fumatori è tra i 25
e i 34 anni (35,4%), mentre per le donne è tra i
45 e i 54 anni (24,5%). I fumatori abituali, che
fumano cioè tutti i giorni, sono il 19,7% della
popolazione e consumano mediamente 14,8
sigarette al giorno. Dei fumatori abituali, il 37,1%
sono forti fumatori, con almeno 20 sigarette al
giorno. Perciò, il fumo, malvagio o fedele amico,
è anche oggi, sebbene siano chiari per tutti i
malanni causati da esso, la prerogativa di molti,
un modo di tran-
quillizzarsi, come
lo definiscono gli
stessi fumatori.
Credo che il pro-
blema del fumo
sia indicativo, e ci
possa far ragionare sulla natura e sull’insicurezza
umana.
Sarebbe inutile negarlo: la sigaretta dà sicurezza,
identità, in un certo senso, può far veramente da
compagna, sennò nessuno sarebbe così idiota da
fumare come una ciminiera. Le statistiche parla-
no chiare, e applicarle alla nostra comunità sco-
lastica è un simpatico e interessante modo per
comprendere quanto la sigaretta sia importante
per uno studente ‘’mauroliciano’’…. il fumo cosa
rappresenta oltre un malsano antistress?
Non sono ancora noti i meccanismi psicologici
che rendono attraente il fumo per un giovane; è
chiaro invece perché è così difficile smettere,
dopo che si è instaurata l’abitudine, o meglio, la
dipendenza. Infatti, fumare stimola una zona del
cervello in modo simile a quello tipico delle
droghe più “classiche”, come morfina e eroina. E
rinunciare alla sigaretta scatena vere crisi di
astinenza: desiderio insaziabile di tabacco, irrita-
bilità, inquietudine, frustrazione, rabbia, difficol-
tà di concentrazione, riduzione del ritmo cardia-
co.
Con questa prerogativa, abbiamo intervistato gli
stessi studenti, i quali ci hanno fornito interes-
santi dati. Abbiamo chiesto loro se fumassero e,
se la risposta era affermativa abbiamo chiesto
loro perché.
Maria Chiara Pollicino II F
Tutto fumo e niente arrosto... Inchiesta tra i giovani del Maurolico. La sigaretta: perdita di tempo, vizio o piacere?
Raccolta dati e statistiche a cura di Maria Chiara Pollicino II F e Claudio Staiti III A
1212
“ Rinunciare alla sigaretta
scatena vere crisi di
astinenza: irritabilità, in-
quietudine, rabbia, difficoltà
di concentrazione, riduzione
del ritmo cardiaco.
“ Rodrigo de Jeréz,
un compagno di
viaggio di Cristoforo
Colombo, fu il primo
europeo a provare il
fumo personalmente.
L ev Tolstoj, nell’articolo “Perché la gente si
droga?” scrive che se domandiamo ad un
fumatore per quale motivo abbia cominciato a
fumare il tabacco e lo fumi tuttora lui ci rispon-
derà che fuma «così, per noia, per piacere, per
stare allegri e poi tutti lo fanno». Ma allora ag-
giunge Tolstoj «così, per noia, per stare allegri,
dato che tutti lo fanno si può giocherellare con
le dita o fischiettare, o cantare canzoni o suona-
re il piffero e via dicendo, si possono cioè fare
cose che non comportino un evidente danno né
per noi stessi né per altri». Finora si è sempre
ritenuto che il fumo di sigaretta fosse un vizio. E
proprio questo affermano molti fumatori: «E’ un
vizio che quando voglio posso abbandonare».
Niente di più falso. Il fumo di sigaretta non è un
vizio, non è un’abitudine, ma una vera e proprio
tossicodipendenza, una malattia i cui terribili
effetti sono noti persino, e forse più, agli stessi
fumatori. «E la gente lo sa – scrive Tolstoj –
sicché non può esser vero che lo si faccia così,
per stare allegri». La ragione deve essere
un’altra e l’autore russo la trova nel «bisogno di
nascondere a se stessi le indicazioni date dalla
coscienza». Dentro ognuno di noi si
avverte la presenza di due esseri:
“l’essere cieco-animale” e “l’essere
spirituale”. Il primo percepisce la
realtà soltanto attraverso i sensi del
corpo e nutre gli appetiti e le esigen-
ze primarie dell’uomo; il secondo, a
cui diamo il nome di “coscienza”, ha il compito
di vagliare l’attività dell’essere animale e, se
questa discorda da lui, egli non l’approva. Cosa
può fare allora un uomo che abbia avvertito un
divario tra la propria coscienza e il proprio agire
animale? Potrà o adeguare le proprie azioni alle
indicazioni fornite dalla coscienza, oppure na-
scondere queste a se stesso, continuando a
vivere come se nulla fosse. Chi sceglie il primo
metodo, quello più difficile, troverà necessaria-
mente un solo modo per attuarlo:
“l’illuminazione morale”, il cambiamento e la
purificazione del proprio modo d’agire. Chi sce-
glie il secondo avrà di fronte a sé due possibilità,
una interiore ed una esterna. Quella esterna
consiste nell’occuparci di attività che possano
distogliere la nostra attenzione, ciò che Blaise
Pascal avrebbe chiamato “divertissement”, una
distrazione che consente all’uomo di non pensa-
re alla sua misera condizione, proprio perché
«gli uomini hanno la caratteristica di smettere di
pensare quando il pensare comincia a presenta-
re delle difficoltà» (Lessing). Il modo interiore
consiste invece nell’offuscare la coscienza stes-
sa; ed «è in questo – scrive Tolstoj – che risiede
la causa dell’universale diffusione dell’hashish,
dell’oppio, del vino, del tabacco, – aggiungerem-
mo noi del terzo millennio un’altra serie di dro-
ghe più o meno pesanti quali la cocaina,
l’ecstasy, la marijuana, la cannabis – non nello
svago, né nell’allegria ma nel bisogno di soffocar
la voce della coscienza, così da non vedere il
conflitto che vi è tra il proprio modo di vivere e
le esigenze della coscienza». E’ bene considerare
quali siano le circostanze in cui si avverte un
particolare bisogno di fumare e queste sono
quei momenti in cui la pigrizia mentale si impos-
sessa di noi, oppure l’ira e il senso di impotenza
di fronte a qualcosa di spiacevole ci attanaglia-
no. Qui Tolstoj fornisce degli esempi azzeccatis-
simi: «Me ne sto seduto da solo, non faccio
nulla, so che dovrei lavorare e non ne ho voglia,
e allora mi accendo una sigaretta e continuo a
restarmene lì, seduto. *…+ Sono irritato e dico a
una persona qualcosa di spiacevole, e so che
faccio male, e mi accorgo che dovrei smettere,
ma ho voglia di sfogare la mia irritazione, e così
fumo e continuo a irritarmi». Mi sono messo in
una situazione imbarazzante in cui ho agito male
e dovrei rendermi conto della situazione in cui
sono e magari rimediare ma non ho voglia di
rendermene conto e allora fumo;
sto perdendo a carte e fumo, litigo
con un amico e fumo, vado male a
scuola e fumo, sto discutendo e mi
rendo conto che io e il mio interlo-
cutore non ci capiamo, ma ho voglia
di continuare a dire tutto ciò che
penso e così continuo a parlare e nel frattempo
fumo. Chiunque senta di giovani vite stroncate
per l’abuso di alcool o per uso di sostanze stupe-
facenti rimane incredulo, attonito e finisce, co-
me d’obbligo, per condannare simili eventi. Ma
se destano così clamore e provocano un tale
sgomento l’uso di queste droghe e l’abuso
d’alcool tra i giovani, non lo fa, di certo con que-
sta imponenza, quello del tabacco che è pur
esso una droga a tutti gli effetti. E questo per la
sua apparente e momentanea innocuità (i primi
seri danni all’organismo umano si vedono solo
dopo qualche tempo, quando, sigaretta dopo
sigaretta, esso risulta già compromesso) ma
soprattutto per la facilità con cui si può fumare
oggigiorno in qualunque occasione. Il drogato e
l’alcolizzato suscitano ripugnanza e sbigottimen-
to, mentre l’uomo che fuma tabacco no. Anche
se questo, scrive Tolstoj, «quando si abbandona
alla propria passione, dimentica o disprezza le
più elementari esigenze del vivere in comune,
quelle stesse che egli pretende che altri rispetti-
no e che egli stesso rispetta in ogni altra circo-
stanza, quando la sua coscienza non è messa a
tacere dal fumo». Pone inoltre l’accento su un
aspetto problematico che, seppur ridimensiona-
to dalle più recenti leggi in materia del fumo, è
ancora oggi attuale; quello del fumo passivo, per
alcuni molto fastidioso ma per tutti di certo
dannoso: «Nessuno si permetterebbe di bagnare
il pavimento di una stanza in cui si trovino altre
persone, né di far chiasso, di far entrare aria
fredda o troppo calda o fetida, o commettere
atti che disturbino e arrechino danno ad altri.
Ma tra mille fumatori non se ne troverà uno che
si faccia scrupolo di soffiar boccate del suo fumo
malsano in una stanza la cui aria sia respirata in
quel momento anche da persone che non fuma-
no o magari da bambini». Capitava però ai tempi
dello scrittore russo e capita ancora adesso, che
all’accensione della sigaretta, precedesse, da
parte del fumatore, l’ipocrita (e retorica) do-
manda: «Non vi dispiace, no?» e Tolstoj chiosa
che «in questi casi è buona norma rispondere:
Oh, ma prego!». Ma se gli adulti possono far
finta di tollerare che si fumi in loro presenza, che
dire dei bambini a cui nessuno ha chiesto nulla?
Ma quand’è che i ragazzi cominciano a fumare?,
si chiede Tolstoj e risponde che lo fanno «quasi
sempre quando perdono la loro innocenza infan-
tile» e guarda caso coloro che riescono a smet-
tere di fumare lo fanno non appena vengono a
trovarsi in condizioni di vita più morali. Per tutti
gli altri la schiavitù al fumo continua e per loro
«non è la vita che si adegua alla coscienza, è la
coscienza che si adegua e si adatta alla vita». Il
filosofo Baruch Spinoza scriveva: «Una cosa non
è desiderata perché ritenuta buona, ma è ritenu-
ta buona perché desiderata». Se cesserà il desi-
derio della sigaretta, allora chi prima fumava
inizierà a guardarla con occhi diversi. Ma il desi-
derio potrà cessare solo se il tempo ed il denaro
spesi per il fumo verranno utilizzati per com-
prendere il terribile danno che esso causa. «Di
questo male si è ormai divenuti consapevoli –
scrive Tolstoj al termine del suo articolo – e
questa consapevolezza condurrà alla liberazione
degli uomini dall’uso delle sostanze inebrianti».
Quando lo scrittore russo Lev Nikolaevič Tolstoj
scriveva questa parole era il 10 Giugno 1890:
centoventi anni, evidentemente, non sono anco-
ra bastati…
Claudio Staiti III A
Il fumo? Abile modo per soffocar la voce della coscienza Questa la tesi di Tolstoj a proposito di una problematica snobbata, quella del tabacco
“ Gli uomini hanno
la caratteristica
di smettere di pensa-
re quando il pensare
comincia a presenta-
re delle difficoltà”
1313
I l 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale
dell’Onu approva la Dichiarazione Univer-
sale dei Diritti Umani. I Paesi firmatari, scon-
volti dallo sterminio di milioni di ebrei, dalle
migliaia di vittime causate dalla bomba ato-
mica e dalla distruzione provocata dalla guer-
ra, assumono con un docu-
mento solenne l’impegno di
evitare che tali orrori si ripeta-
no e riconoscono l’universalità
dei diritti dell’uomo. È il terzo articolo di tale
dichiarazione a proclamare che “ogni indivi-
duo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla
sicurezza della propria persona”. Eppure,
secondo i dati forniti da Amnesty Internatio-
nal, sono ben sessantotto i Paesi che manten-
gono la pena di
morte, anche se il
60% delle condan-
ne ha luogo nella
moderna Cina e
negli industrializza-
ti Usa. Proprio
negli Usa, per e-
sempio, buona
parte dell’opinione
pubblica è favore-
vole alla pena di
morte e gli stessi
politici continuano
a presentarla come
l’unica soluzione per garantire la sicurezza dei
cittadini. Oltre un secolo fa, Lev Tolstoj, nel
saggio “Non posso tacere”, pubblicato contro
il dilagare delle condanne capitali in Russia,
scriveva, senza nascondere la propria indigna-
zione, che ciò che desta più scalpore è pro-
prio il fatto che «tutti questi crimini vengono
commessi con la pretesa che siano qualcosa
di necessario, di buono, di indispensabile, che
viene non soltanto giustificato, ma addirittura
appoggiato da svariate istituzioni». Ancora
oggi in Cina, soprattutto durante le cerimonie
pubbliche, è tradizione che scolari dai sei ai
sedici anni vengano accompagnati dai loro
maestri ad assistere all’esecuzione dei vari
condannati, come se si trattasse di una sorta
di rituale educativo. «Giacché», afferma sem-
pre Tolstoj, «sentendo parlare e leggendo
continuamente di queste orribili e inumane
brutalità commesse dall’autorità costituita,
cioè da uomini che il popolo è abituato a
ritenere i migliori della nazione, la maggior
parte dei mediocri, di coloro cioè che si dedi-
cano soltanto alle loro personali faccende – e
soprattutto i più giovani tra costoro – invece
di comprendere che quell’autorità non è de-
gna di alcun rispetto se compie azioni abiette,
fanno involontariamente il
ragionamento inverso: se
uomini rispettati – ragio-
nano costoro – fanno cose
che ci sembrano abiette, allora è molto pro-
babile che queste stesse cose non siano poi
così tanto abiette come sembrano». Chi è a
favore della pena di morte ritiene che un
assassino colpisca la società nel suo bene più
prezioso, che è la vita dei suoi membri e,
poiché l’interesse della società prevale sem-
pre sull’interesse del singolo, lo Stato può
condannare i delinquenti, agendo quindi per
il bene di tutti ed evitando che la pace sociale
sia turbata. Migliaia di assassinii che si ha la
pretesa, citando Tolstoj, «di giustificare con
svariati e stupidi rimandi a questo o a
quest’altro articolo che voi
stessi avete scritto nei vostri
stupidi e bugiardi libri, a cui
avete dato, per bestemmia, il
nome di leggi». Anche Cesare
Beccaria nel Settecento si schierò contro la
pena di morte, sostenendo che essa va rifiu-
tata perché incompatibile con il patto origina-
rio che sta a fondamento dello Stato: «chi è
mai infatti colui che abbia voluto lasciare ad
altri uomini l’arbitrio di ucciderlo?». E soprat-
tutto in coloro che si allontanano dal patibo-
lo, «recandosi alle loro abituali occupazioni
con nell’animo la consapevolezza d’aver por-
tato a termine coscienziosamente un compito
gravoso, sì, e tuttavia necessario», non sorge
mai il dubbio di aver potuto sbagliare? Di aver
condannato un innocente? A tal proposito
Tolstoj ricorda che «tutti gli uomini sono uo-
mini, che tutti noi siamo deboli, che sbaglia-
mo tutti, e che un uomo non può, perciò,
condannare un altro». Il fine dell’uomo infatti
non è quello di torturare o uccidere altri uo-
mini e convincersi che «col vostro prendere
parte a queste cose voi fate qualcosa di im-
portante, di grande per il bene di milioni di
persone». Lo scrittore Italo Calvino in un sag-
gio pubblicato nel 1981 scriveva: «Il problema
morale per me è che se mi pronuncio per la
pena di morte, auspico che alcune persone,
volenti o nolen-
ti, si dispongano
in un plotone,
alzino il fucile,
mirino e sparino
su un bersaglio
umano. Per
essere coerente,
nel momento in
cui mi convinco
che la pena di
morte è neces-
saria, dovrei
c h i e d e r e
l’iscrizione a un
corpo di esecutori materiali della condanna».
La vita è un bene che non può essere ceduto
ed un diritto che non può essere discusso. Lo
Stato è nato per difendere questo diritto e
non può violarlo senza contraddire la sua
stessa natura. Inoltre, i dubbi sul reale potere
della pena capitale sono tanti: non si registra-
no infatti diminuzioni dei cri-
mini più efferati nei luoghi in
cui essa vige. Quindi, come
asserisce con forza Tolstoj,
rivolgendosi alle autorità:
«Smettete di farlo, e non per voi stessi, non
per la vostra persona, e nemmeno per gli
uomini, né perché gli uomini smettano di
condannarvi, ma per la vostra anima, per quel
Dio che, per quanto voi tentiate di soffocarlo,
vive in voi».
Angela Russo III A
“ Ogni individuo ha diritto alla
vita, alla libertà ed alla sicu-
rezza della propria persona”
La vita: diritto inalienabile Perché la pena di morte non può e non deve essere strumento punitivo di legge
“ Lo Stato è nato per difen-
dere questo diritto e non
può violarlo senza contraddi-
re la sua stessa natura”
1414
Benedetto XVI a Palermo Il forte messaggio del Santo Padre ha trasmesso ai giovani una speranza in più per un rinnovamento
“S ignore, accresci la nostra fede”.
Questa frase presente nella lettura
evangelica, dove i discepoli chiedono a Gesù
“non doni materiali, né privilegi, ma la gra-
zia della fede, che orienti e illumini tutta la
vita”, rappresenta il messaggio principale
che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto
trasmettere ai giovani nella sua prima visita
pastorale in Sicilia, a Palermo, il 3 ottobre.
Le sue parole ricche di fiducia e di speranza
hanno reso la sua visita, a mio giudizio, co-
struttiva e formativa e hanno aperto a noi
giovani non solo gli occhi per vedere e sco-
prire quanto ancor di più sia prezioso il rap-
porto con Dio, ma anche e soprattutto il
cuore per poter vivere, tutti insieme, più
profondamente il nostro essere cristiani e il
nostro essere “servi di Dio”. Egli è giunto
sulla sua Papamobile al Foro Italico, dove ha
celebrato la Santa Messa, accolto da mi-
gliaia di giovani festanti, convenuti a sentire
e fare tesoro del suo messaggio. Si poteva
rimanere fortemente colpiti dalla loro nu-
merosa presenza, ma soprattutto dall’aria di
festa e di gioia che si respirava con giovani
che cantavano e suonavano. Prima di inizia-
re la celebrazione gli interventi
dell’arcivescovo di Palermo e del Sindaco
hanno messo in evidenza la situazione di
grande difficoltà e le grandi ferite che carat-
terizzano la Sicilia. A ciò si ricollega l’omelia
pronunziata dal Santo Padre, infatti egli ha
deciso di venire proprio in Sicilia, una regio-
ne -come egli stesso ha ricordato- “in condi-
zioni di precarietà a causa della
mancanza del lavoro,
dell’incertezza per il futuro,
della sofferenza fisica e mora-
le” e “della criminalità organiz-
zata”, per incoraggiare i giovani, che rappre-
sentano la speranza per una rinascita, a
“non aver paura di testimoniare con chia-
rezza i valori umani e cristiani”, ma anche
per far emergere il volto autentico e vero di
questa terra caratterizzata da valori, quali
“la capacità di donazione e di solidarietà
verso gli altri, specialmente verso i sofferen-
ti, e l’innato rispetto per la vita, che costitui-
scono una preziosa eredità da custodire
gelosamente e da rilanciare ancor più ai
nostri giorni”. Il Pontefice, inoltre, si è volu-
to proprio soffermare su un concetto chiave
per il nostro vivere da cristiani: che la strada
di un rinnovamento è possibile solo se ci si
pone con umiltà, proprio come Gesù ci ha
insegnato, nei confronti degli altri e soprat-
tutto di Dio animati da una forte fede. Egli
ricorda, infatti, come “accettare e fare la
volontà del Padre sia l’atteggiamento da
avere ogni giorno, in ogni momento della
nostra vita” e che “non siamo creditori nei
Suoi confronti, ma siamo sempre debitori,
perché dobbiamo a Lui tutto, perché tutto è
Suo dono”. Da qui bisogna partire per guari-
re il volto di una terra ormai lacerato so-
prattutto dalla mafia di cui i giovani rappre-
sentano ormai l’unica cura, i quali, incorag-
giati dalle parole del Papa, non devono ver-
gognarsi di compiere il bene, ma solo di
commettere il male, ciò che offende Dio e
l’uomo. Proprio la
mafia è stata centrale
come concetto. Ci si
aspettava da Bene-
detto XVI un attacco
proprio come il suo predecessore Giovanni
Paolo II, e questo attacco è arrivato. La ma-
fia è stata definita “strada di morte e incom-
patibile con il Vangelo”, vista, quindi, come
civiltà di morte contrapposta alla civiltà
della vita, fondata da Cristo, e bisogna im-
pegnarsi nel combatterla prendendo come
esempio le nobili figure di Don Pino Puglisi,
grande maestro di vita, Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino, che, per questo loro impe-
gno, hanno perso tragicamente la vita, ucci-
si brutalmente. Lo stesso Benedetto XVI
sulla via del ritorno ha sostato a Capaci per
ricordare la tragica strage con una preghiera
e deponendo un fascio di fiori. A Piazza Poli-
teama si è svolto un incontro pomeridiano
tra i giovani e il Papa. Anche lì vi era
un’atmosfera di grande allegria e conten-
tezza, mai provate prima, costellata da un
grande numero di giovani presenti, che
riempivano la piazza dovunque, e che tutti
insieme festeggiavano, gioendo attraverso i
canti del coro e i balli eseguiti prima
dell’arrivo del Pontefice. Il suo arrivo ha
suscitato così grande felicità che tutti si
sono precipitati verso di lui e le sue parole
hanno trasmesso una speranza in più per
cui lottare. Proprio nel discorso pomeridia-
no il Papa, visibilmente commosso, ha rin-
graziato i duecentocinquantamila giovani
accorsi per avergli donato un’immensa gioia
che proviene dalla loro solida fede, quella
fede che appunto lo stesso Pontefice è ve-
nuto a trasmettere e della quale lo stesso ha
trovato conferma. Il Santo Padre ha ricorda-
to che bisogna prendere come modelli di
vita le figure di tanti giovani, egli ha citato
la beata Chiara Badano, una ragazza che è
morta a causa di una malattia alla giovane
età di diciannove anni, ma la cui vita rappre-
senta un esempio di luce e d’amore verso gli
altri e verso Dio. Solo con “le radici affonda-
te in un terreno ricco di sostanze nutritive
quali la fede e l’amore”, i giovani possono
rappresentare la svolta positiva. Infatti, essi
vengono visti come “una foresta, che, nono-
stante cresca silenziosamente, porta frut-
to”; ciò significa che, nonostante le loro
azioni di bene non facciano scalpore, dal
momento che “il male fa più rumore”, sono
comunque fonte di speranza e di rinascita
non solo per la Sicilia ma per l’Italia e per il
mondo. Chi ricopre un ruolo fondamentale
nella formazione morale e religiosa dei gio-
vani è proprio la famiglia, definita “Piccola
Chiesa”, che li aiuta a germogliare per di-
ventare delle piante belle e rigogliose. Al
termine del suo discorso, questo incontro è
stato reso ancor più bello dall’intervento di
due giovani, i quali hanno espresso, per un
futuro di pace, il forte bisogno di rinnova-
mento e di cambiamento di una realtà di-
ventata troppo dilaniante e insostenibile a
causa soprattutto della già ricordata mafia.
Queste sono le esperienze che cambiano la
vita, ed è certo che il Santo Padre va via da
Palermo con una fiducia ancora maggiore
nei giovani.
Antonino Cincotta III F
L a mafia è stata definita “strada
di morte e incompatibile con il
Vangelo”, civiltà di morte contrap-
posta alla civiltà della vita.
1515
Il Santo Padre Benedetto XVI a Piazza Politeama
"O gnuno di noi indossa una maschera",
diceva il letterato e premio Nobel
Luigi Pirandello, una per ogni particolare si-
tuazione che ci troviamo ad affrontare. Ma,
prima e dopo di lui, filosofi e psicologi si sono
da sempre interrogati sulle varie sfaccettature
della personalità umana: si sono chiesti per-
ché un uomo solo contenga in sé una miriade
di abilità e sentimenti diversi, perché riesca a
distinguersi da tutti gli altri animali e fin dove
possa spingersi nella conoscenza. Addirittura,
si è arrivati persino alla conclusione che
l’animo umano sia irrimediabilmente diviso in
parti caratterialmente diverse, quasi a rende-
re ogni individuo in costante lotta con se stes-
so; contro ciò che è e ciò che, invece, appare.
Già, essere ed apparire, un bel dilemma. Sce-
gliere se sia meglio costruirsi un personaggio
perfetto ed interpretarne il ruolo ogni singolo
giorno della nostra esistenza, spesso a discapi-
to dei più ingenui, oppure, senza indossare
alcun travestimento, offrirci al mondo intero
per come siamo realmente. Certamente tutti
noi, da buoni paladini della giustizia, preferi-
remmo che tutti si mostrassero nella loro
integrità, con i propri pregi e difetti, portando
avanti i propri ideali e combattendo i malvagi,
ma parlare è molto più facile rispetto a mette-
re in pratica tutte queste buone intenzioni. I
rischi da correre sono tanti ed ognuno, in fin
dei conti, sceglie di agire per come meglio gli
conviene. Anche il Manzoni lo diceva, Don
Abbondio "s’era dunque accorto *…+ d’essere,
in quella società, come un vaso di terra cotta,
costretto a viaggiare in com-
pagnia di molti vasi di ferro."
Insomma, il curato era fin
troppo fragile per vivere in
una condizione così difficile
quale era quella del suo tem-
po, ed aveva bisogno di intra-
prendere scelte che lo aiutas-
sero a nascondere quella sua
debolezza, aveva bisogno
anch’egli di una bella ma-
schera. Don Abbondio sarà
pur sempre un’invenzione
manzoniana, ma esprime alla
perfezione il concetto che porto avanti
dall’inizio del discorso. In fin dei conti, si fa
sempre ciò che meglio conviene, e sarebbe
anche stupido il contrario, ma la vera astuzia
sta nel porre un limite al nostro personaggio,
farlo uscire un attimo dalle scene, ritoccare
quell’indispensabile copione, per non cadere,
poi, in una vergognosa ipocrisia. Persino Dan-
te li condannava, gli ipocriti, a patire le pene
dell’Inferno; coloro i quali simulano schifosa-
mente una bontà d’animo immane, per poi
dimostrar d’essere i peggiori di tutti. Manipo-
lano, o perlomeno tendono a farlo, gli eventi
che capitano loro sotto mano, riuscendo ad
essere gli ultimi giudicati colpevoli. Assistiamo
spesso ad eventi simili; per-
sone che non riescono, nem-
meno per un attimo, a tenta-
re di costruirsi una propria
vita, che sono lì a succhiare
come parassiti quelle degli
altri, decidendo per loro.
Questo perché, magari, den-
tro di loro, inconscio e sub-
conscio si scontrano e si
uniscono per dar forma ad
una particolare personalità
che non riesce a bastarsi da
sola. Forse i filosofi non han-
no tutti i torti, forse c’è davvero una regione,
seppur minima, nella psiche umana, che pre-
vale, inconsapevolmente, e decide quali siano
i comportamenti migliori da far seguire
all’individuo. E, forse, tenere sul viso una ma-
schera, che più si appesantisce più noi tentia-
mo di adattarla falsamente alla nostra carne,
è davvero necessario, se si vuole sopravvivere.
Sophia Sorrenti II F
Siamo tutti ipocriti? (!)
A udrey Hepburn icona di stile in ogni
tempo, simbolo della bellezza femminile
che, pur non rispecchiando lo stereotipo di
maggiorata (in effetti non aveva nulla di mag-
giorato se non il trucco) im-
perante nella sua epoca, si
afferma per la sottigliezza del
corpo dalle forme non trop-
po accentuate, per la docilità
dello sguardo allungato da
una dose, oserei dire, (in)
consistente di mascara, per
uno chignon posticcio incoro-
nante il fresco volto, per la
raffinatezza degli abiti. In-
somma per la sua bellezza
acqua e sapone. E non crede-
vo possibile prima di oggi,
che sarei mai giunta a dover ammettere
quanto meritevole di ricordo sia Audrey He-
pburn non tanto per le sue indiscutibili (?)
doti di attrice, quanto per l'espressione di
eleganza che vale al business, nato intorno
alla sua figura, chissà quanti verdi dollaroni.
Quale ragazza, d'altronde, non ha mai sogna-
to di indossare il diadema ed
il tubino che ostentava con
la decisione imperiosa di
una dea in "Colazione da
Tiffany"? Chi, mi domando,
non ha mai provato a fare
sbattere le ciglia come solo
lei con artificiosità sublime
era capace? La natura attra-
verso Audrey si è manifesta-
ta con la massima naturalez-
za. E come dimenticarla poi,
nel film che le è valso un
Oscar "Vacanze romane" o
in "Sabrina", sempre squisita in ruoli cuciti ad
arte solo per lei, dove sguardi languidamen-
te austeri potevano sconvolgere uomini e
donne deliranti (di stupidità). Io, dal canto
mio, posso solo desiderare(!) vanamente(!) di
diventare come lei, atteggiandomi con modi
regali, evitando un linguaggio poco consono
a persone eleganti e soprattutto acquistando
abiti simili se non del tutto uguali a quelli che
lei abitualmente portava, che, come usano
fare le persone nobili d'animo, nascondeva-
no le sue forme prorompenti per evidenzia-
re, invece, la serenità del suo volto fanciulle-
sco di trentenne. Peccato che, per quanto io
tenti, sarò sempre artefatta più di quanto lo
fosse lei nell'interpretare, in ogni occasione
davanti ad una macchina fotografica o ad una
da presa, seguendo logiche di mercato note
anche ai non addetti ai lavori, il ruolo della
fanciulla acqua e sapone dalla regalità inequi-
parabile che l'ha consacrata all'altare del
divismo per molto altro tempo ancora.
Claudia Santonocito III F
Lo stile di Audrey Hepburn come esempio per le giovani e belle ragazze
Maschere e attori nella vita umana
1616
D esidero, prima di tutto, rivolgere un saluto a
tutti gli alunni del nostro Liceo, ai redattori e
collaboratori del nostro KOINE’, che contribuisce
all’approfondimento di tematiche inerenti alle
problematiche del nostro tempo e all’attività di-
dattica della nostra Scuola, assumendo così grande
importanza per la formazione culturale e morale
dei nostri giovani. All’inizio del nuovo anno scola-
stico, faccio l’augurio a tutti, perché possano af-
frontare con entusiasmo e serietà lo studio delle
varie discipline, che arricchirà le loro conoscenze e
maturerà il loro pensiero in vista delle scelte futu-
re e dell’inserimento nell’ambito professionale e
civile. Su sollecitazione dei direttori del nostro
giornalino scolastico, vorrei, quest’anno, riprende-
re la mia partecipazione con riflessioni sul pensiero
filosofico di L.A. Seneca, nato a Cordova, nel 4 a.C.,
morto a Roma suicida per ordine di Nerone, nel 65
d.C., per il sospetto di aver partecipato alla congiu-
ra dei Pisoni. Mi soffermerò su alcuni temi che lo
pongono vicino al pensiero cristiano, tanto che si
ipotizzò una corrispondenza epistolare tra lui e S.
Paolo, nell’ultimo periodo, in cui questi si trovava a
Roma. Le presunte lettere paoline, trasmesse a
noi, sono 14. S.Gerolamo, nel prologo del De viris
illustribus, XII, ritiene che Seneca è da porre “in
catalogo sanctorum”, proprio per queste lettere
che venivano lette da moltissimi. Le Epistulae,
tuttavia, hanno la loro composizione nel IV sec., ed
esprimono il tentativo di conciliare le posizioni
della nuova fede con quelle della cultura pagana,
di cui uno dei più illustri rappresentanti è appunto
Seneca. Il filosofo è da inserire nell’ambito dello
stoicismo romano, che fa risaltare gli aspetti mora-
li e religiosi. Esso, infatti, da’ rilevanza
all’introspezione, poiché è saggio colui che è auto-
sufficiente e ritrova da sé la verità. Per conoscere
la divinità, il saggio deve guardare dentro di sé. Il
ritorno dell’uomo a se stesso è il tema maggior-
mente trattato dagli stoici romani e sarà centrale
nella filosofia neoplatonica. Anche Sant’Agostino
(354-430) nelle Confessiones rileva l’importanza
dell’interiorità dell’uomo, dove “risplende ciò che
nessuna distesa di luoghi può abbracciare, dove
risuona ciò che il tempo non può rapire, dove si
effondono profumi che il vento non disperde, dove
si gustano sapori che nessuna voracità sminuisce e
dove rimane stabile quello che la sazietà non può
togliere” (X, 6-8). Questa “pulchritudo” è dentro di
noi. La verità è dentro l’uomo. Sul binomio aeter-
num-internum, si sviluppa il pensiero filosofico-
teologico agostiniano di derivazione socratica
come, in parte, quello senecano. Quanto, poi, al
concetto di anima, Seneca si rifà alla dottrina pla-
tonica nel distinguere una parte razionale da una
irrazionale, che, a sua volta, è divisa in irascibile,
ed è alla base delle passioni, e in concupiscibile,
che sprona al piacere dei sensi. Anche Seneca,
come Platone, ritiene il corpo materiale come
prigione dell’anima, per cui il giorno della morte è
considerato come nascita eterna dell’anima
(“aeterni dies natalis”, CII, 26, Ep. M.). Un altro
concetto fondamentale, che lo avvicina alla dottri-
na cristiana, è la parentela universale fra gli uomi-
ni, poiché essi sono visti come “membra…corporis
magni” (XCV, 52, Ep. M.). Anche S. Paolo si espri-
me con una terminologia simile, che contiene,
però, un significato diverso, poiché fa riferimento
al Corpo mistico di Cristo, alla Chiesa (“Sicut corpus
unum, membra multa, ita et Christus”, Cor. 12,12).
Seneca, valorizzando il sentimento universalistico
e cosmopolita, accentua l’unità dei membri
dell’universo e la solidarietà della fratellanza uma-
na, e supera così l’isolamento dell’uomo dal conte-
sto naturale e civile, visto, invece, come causa
degli affanni e delle passioni dallo stoicismo greco,
che sostiene il conseguimento dell’apatheia. Inol-
tre, Seneca esorta Lucilio (procuratore imperiale in
Sicilia) ad essere solidale con gli uomini nel dolore
e nella gioia (CIII, 3-4), pensiero che richiama quel-
lo paolino nella lettera ai Romani, 12,15, “Gaudere
cum gaudentibus, flere cum flentibus”. Un altro
accostamento alle posizioni cristiane, in Seneca,
concerne la schiavitù, molto praticata nel mondo
antico, perché l’economia del tempo si basava
ampiamente su di essa. Seneca, nell’Ep. 47 del L. V,
si congratula con Lucilio perché tratta i suoi schiavi
“familiariter”, con affabilità. Seguono, poi, con
un’incalzante anafora, in forma epigrammatica,
affermazioni che mettono in risalto il suo pensiero
stoico contrastante con quello diffuso nel suo
tempo. Ponendo un dialogo con un immaginario
interlocutore, così egli risponde all’affermazione
“Ma sono schiavi”, “No, sono uomini”, “Immo
homines”; compagni della stessa abitazione, amici
“Immo contubernales, immo umiles amici”. Nel
seguito della lettera, Seneca si sofferma sul tratta-
mento disumano e crudele da parte dei padroni e
lo critica aspramente. Verso la conclusione sostie-
ne che la libertà vera non è quella che il destino ci
assegna, ma quella che si fonda sul dominio delle
passioni; questa ci libera dalla schiavitù della lussu-
ria, dell’avarizia, dell’ambizione, del timore (17).
Anche S. Paolo, nella lettera a Filemone, esorta ad
accogliere Onesimo, non più come schiavo, ma
come fratello carissimo (15-16). Sono queste
concezioni ed affermazioni rivoluzionarie, se si
considera il contesto storico-sociale del tempo,
che daranno inizio ad una nuova visione dell’uomo
e della società con sviluppi futuri, che sono alla
base della nostra cultura e sensibilità.
prof. Raffaele Talotta
Lucio Anneo Seneca e San Paolo Analogie e somiglianze espressive, con significati e sviluppi diversi, tra pensiero pagano e cristiano
Peter Paul Rubens, Ritratto di Seneca Andrej Rublëv, Icona di San Paolo
1717
Shakespeare, un giorno d’autunno... E ra già il mattino quando Amleto s’alzò
dal letto; non perse tempo, si vestì,
ripassò a mente qualche battuta, cosicché
nessun particolare dimenticasse, e uscì di
casa. L’aria era tersa e nessuna macchia
d’autunno indeboliva le strade, risparmiate
dalla non ancora presente pioggia
d’ottobre, nessun grigiore tingeva le fronde
degli alberi che costeggiavano entrambi i
lati della via.
Poi un impeto, un tempestoso furore straziò
le sue facoltà mentali: decise di prendere il
primo vicolo a sinistra, sul quale s’ergeva un
ponte; s’incamminò e fu in mezzo.
Il fiume che scorreva fluiva
increspando con volute e
spirali le acque stagnanti,
che assumevano il tenue
colore delle gemme prima-
verili; s’affacciò al muric-
ciolo, e con loquace silen-
zio contemplò quel mite
serpente smeraldo di cui
non scorgeva che una pic-
cola parte, terminante con
un repentina curva a po-
nente.
Percorreva quello stesso
ponte una losca figura,
nera in volto e dagli occhi
di giada; camminava avvolta da una giacca
nera dal colletto rialzato, la chioma
d’ebano, le mani nelle tasche, come a fuggi-
re dal freddo incalzante delle prime ore
dopo l’aurora.
Iago procedeva con passo incombente,
squadrando infingardo chi appresso a lui
procedeva; il suo sguardo e quello d’Amleto
s’incontrarono, e trovarono tutto fuorché
requie; l’astuta mente veneziana scontrava-
si con l’elucubrante principe danese, e si
sarebbero potute sentire le turbe dei moti
collerici, se gli uomini avessero posseduto le
facoltà superiori dovute solo agli dèi.
La nera maschera proseguì la sua via, e si
perse tra i guardiani cipressi.
Ma qualcun altro veniva avanti, sull’arco di
pietra: una donna, dalla lunga chioma, dai
neri occhi, dalle leste gambe; Ermia dal pas-
so di fata balzava gaudente sul ponte, e
dietro di lei giungeva gagliardo Lisandro,
trasportato da effluvi di dorata passione.
Egli la raggiunse, la cinse a sé, e il loro ab-
braccio fu suggellato dalla chiusura delle
porte che spirano verbi e baci.
Amleto ritornò sui suoi passi, e all’inizio
dell’arcata trovò giacente su un albero un
ragazzo, placido nell’espressione di beata
mestizia; il braccio giaceva in fuori, e pian
piano aprì le palpebre per manifestare infi-
ne al mondo la sua essenza: era Ariel.
Si svegliò quietamente sollevando le brac-
cia, accennando un dolce sorriso al confu-
tante Amleto, che intanto avanzava.
D’un tratto un riso soave lo percosse: chi
era mai il fautore di tale gaiezza che si span-
deva per l’aria? Ah! Dèi! Ma era Puck! O
Robin Goodfellow, che dir si voglia. Lo spi-
gliato cantore di trucchi e magie correva
come un fanciullo che abbia veduto una
lepre sfuggire alla sua presa; i grossi riccioli
rossi che incorniciavano il suo capo di bam-
bino incarnavano l’eco dei passi frettolosi e
giocondi. E andò avanti, finché non disparve
dietro uno dei tanti alberi che costellavano
quei viali infiniti.
La previa allegria d’Amleto, generata dalla
presenza di quel giovane discolo d’un follet-
to, mutò in un mesto compianto, poiché
davanti a sé era la figura d’un vecchio: ap-
poggiava quel rapsodo di tempi passati le
mani alla parete presso il marciapiede, e dai
suoi occhi cadevan giù gemme perlacee, o
nel linguaggio corrente lacrime. Alcuni
l’avrebbero detto morente, altri portatore
d’un male incessante, ma tutte queste ap-
parenze andavano sotto il nome di Shylock;
l’ebreo cristiano spirava rotti fiati dalla boc-
ca, spezzata dai singulti, inerme e costerna-
to dalle tante atrocità ed ingiustizie subite.
Accanto a lui, venivano due uomini, entram-
bi compagni fidati d’un amore fraterno:
erano della stessa stirpe di quel veneziano
impero che nei recessi del sedicesimo seco-
lo regnava nel Mediterraneo e nel mondo
come portatore della bellezza italica. Anto-
nio e Bassanio guardavano con amarezza la
disgrazia ferire le gote ormai sepolte nella
tristezza più acuta di Shylock, andando per
la loro via.
Giaceva per terra una donna, inquieta, scon-
volta, dall’aspetto felino e onirico; la signora
Macbeth sfregava le unte
mani scarlatte, e a tratti
volgeva il capo in alto, a
squadrare con erinnica
ferocia i passanti.
E quale coronamento
d’amor supremo veste le
carni se non quello di
due amanti, gioiosi del
suggello di passione e
mesti del tormento di
dolore, che la bella Vero-
na infonde loro? Giulietta
e Romeo, l’usignolo e
l’allodola del mattino, si
donavano sospiri
d’amore e liriche di nostalgica felicità.
Videro Amleto, e su di lui posero
l’attenzione, come a rimembrare qualcuno
che già aveva calpestato le brune assi del
loro palcoscenico; ancor per poco indugiaro-
no, poi un sorriso si dipinse sui loro visi, e da
lì essi disparvero. Non v’era più alcuno di
coloro precedentemente narrati, né placidi
spiriti dell’aria né giocondi esseri fatati; solo
il vento d’autunno agitava le foglie sul prato
di marmo. Amleto non poteva più indugiare:
dopotutto, anch’egli aveva una parte da
recitare.
Quietati, lettore, la lista è ancor più lunga di
quel che credi; ma costoro son solo una
piccola parte delle maschere che attorno a
noi vivono e contemplano. In fondo ad o-
gnuno è data una parte, e ad ognuno è dato
di recitarla.
Antonio Zaccone III F
1818
È il sito di condivisione di video più famoso,
il terzo sito web più visitato al mondo
dopo Google e Facebook, con ben 100 milioni
di visualizzazioni di video al giorno, 65.000
nuovi filmati caricati ogni 24 ore: stiamo par-
lando di YouTube. Digitando il link di questo
sito su internet, ecco apparire un mondo
pieno di video di ogni tipo: dalle puntate di
molte serie televisive a video musicali di can-
tanti pop, da concerti per pianoforte a corto-
metraggi morali, fino ai video umoristici, per-
formance di musicisti in erba e molto altro
ancora. Purtroppo, come ben sappiamo, You-
Tube è anche molto criticato tra la popolazio-
ne mondiale per i suoi contenuti non sempre
apprezzabili, e anzi a volte immorali e turpi: si
pensi ad esempio ai famosi casi di esempi di
bullismo “sbattuti” sul web, con atti
assolutamente inaccettabili, oppure
alle molte e molte volgarità, più o
meno spinte, messe in bella mostra
anche per i più piccoli, in video privi
di alcun gusto o sensibilità. Per non
parlare poi dei cattivi esempi che
alcuni filmati possono dare: stiamo
parlando di fumo e alcol principal-
mente, ma anche di droga e corse
sfrenate e pericolosissime su moto
dal motore “truccato” (che permet-
te cioè di viaggiare a velocità oltre i
100 Km/h illegalmente). Questi sono
solo alcuni dei problemi legati a YouTube, ma
ce ne sono parecchi altri, come il pericolo
privacy. Tuttavia questo articolo esiste pro-
prio per convincervi che, se è vero che su
YouTube c’è molta robaccia, come ad esem-
pio la chissà-perché-rinomata “Gemma del
sud”, d’altra parte si possono trovare esempi
di vera e propria Arte. Sì, proprio così, perché
a mio parere i video negativi o stupidi ci sono,
ed anche numerosi, ma questo non vuol dire
che siamo costretti a guardarli: importante è
invece valorizzare i lavori di chi mette impe-
gno, dedizione, fantasia, morale in quello che
fa e nella fattispecie in quello che filma. Da
qualche mese sono entrata anch’io nel
“pericolosissimo” mondo di YouTube e ovvia-
mente non per proporre robaccia. Il mio sco-
po, come anche quello di molti altri utenti, è
quello di caricare video che possano essere
apprezzati, nel mio caso per il livello umoristi-
co al loro interno. Devo ammettere che un
pizzico di ambizione c’è: chi di noi non vor-
rebbe essere una web star con milioni e mi-
lioni di visualizzazioni per i suoi video e tanti
apprezzamenti, come ad esempio il mitico
willwoosh? In fondo provare e sognare non
costa nulla, no? Non pensate che realizzare
un video di 10 minuti da poter mettere su YT
sia semplice: ve lo dico per esperienza perso-
nale. Per crearne uno si necessita di varie
qualità, a seconda del video: fantasia e con-
vinzione in primo luogo, più o meno tempo
per girare le scene, scenografie e colonne
sonore e, perché no, anche coreografie, una
buona dose di pazienza quando “quella male-
detta scena proprio non riesci a farla” o
“quella cavolo di battuta non ti entra in te-
sta”, una bella dose di disinvoltura con uno o
più programmi di montaggio (Pinnacle, Movie
Maker...), infine alcuni trucchetti del mestiere
che si imparano solo con la pratica, come
metodi per rendere più “leggeri” i video crea-
ti o per aggiungere determinati effetti audio
o video. Vi posso dire che girare è la cosa più
divertente, soprattutto se lo fai con un vero e
proprio cast: il lavoro di squadra aiuta ai fini
della realizzazione ed in più risate e papere a
bizzeffe sono assicurate, anche se ad un cer-
to punto può anche essere stancante provare
e riprovare, soprattutto se si presentano
inconvenienti quali, ad esempio, mancanza di
luce solare o pioggia. Una volta pronto e con-
fezionato il “pacchetto-video”, dopo giorni se
non settimane di lavoro, ecco il momento di
caricarlo su YouTube, procedimento spesso
abbastanza lungo. Dopo, non resta che pub-
blicizzare un po’ il tuo canale, chiedere agli
amici di visitarlo e cercare di aumentare il più
possibile il numero di visualizzazioni per vide-
o. Vedere commenti sotto le tue creazioni, o
pollici in su (simboli ovviamente di apprezza-
mento) è davvero una sensazione gratifican-
te. Allora vi chiedo, il lavoro di cui vi ho parla-
to ha forse qualcosa di sbagliato? Mettere
impegno, fantasia e dedizione in un concen-
trato di 10 minuti di scene è forse negativo?
Un’altra domanda: solo perché qualche inet-
to idiota mette in bella mostra qualcosa di
negativo, bisogna condannare un sito che ti
permette di mostrare al mondo qualcosa di
te, di esprimerti attraverso la tecnologia dei
video, di creare qualcosa di, a mio avviso,
“artistico”, di cimentarti come attore, regista,
scenografo, coreografo o anche solo camera-
man? Inoltre, c’è forse qualcosa di male nel
voler arrivare agli occhi e al cuore della gente,
emozionandola, donandole una sana
risata oppure esprimendo le proprie
opinioni? Dunque un invito a tutti
voi: guardate il lato costruttivo e
positivo di YouTube, non quello fatto
di, passatemi il termine, schifezze.
Valorizzate la fantasia e la dedizione
di ragazzi e adulti che mettono a
disposizione la propria bravura e si
aspettano di essere giudicati. Infine
vi propongo, giacché il Koiné è un bel
mezzo di comunicazione e giacchè
vorrei dimostrarvi in pratica ciò di cui
vi ho parlato, di visitare il canale YT
del mio “gruppo”: il nick è “MegaGiggle90” e
vi consiglio vivamente il video “Mi sdirrupai-
parodia innocence” (un concentrato di comi-
cità e musica!) e anche gli altri video, che
sono molto gradevoli, garantito da Silvia.
Inoltre vi consiglio i “Fantasy Corporation”
(tra i cui maggiori esponenti figura il mio
compagno Giuseppe Cucè) con i loro corto-
metraggi morali dal titolo “Approfittane”, il
video che ha vinto il secondo posto al Contest
Visiva durante la seconda edizione della
“Notte della Cultura di Messina” 2010, e
“Boycott coca cola company”. Infine vi dico
sinceramente che ho provato il ruolo di attri-
ce, regista, scenografa, sono stata spesso al
montaggio e alla camera e… vi assicuro che è
molto divertente!
E allora Buona visione e, se decidete di ci-
mentarvi in questa attività, buon lavoro!
Silvia Cavalli I F
YouTube: robaccia o arte?
1919
Occorre valorizzare il lato costruttivo di questo potente mezzo di comunicazione
• Quando e dove hai scoperto il
tuo amore verso il canto ma anche
verso la recitazione?
Sembrerebbe retorica come rispo-
sta, ma la passione verso il canto è
nata da bambino: ho iniziato a
studiare pianoforte quando avevo
sette anni e poi a dodici anni circa
sono entrato al conservatorio,
cinque anni di studi di pianoforte,
continuando comunque sempre a
canticchiare.
• Dopo la maturità, conseguita al
liceo scientifico “Archimede” di
Messina, hai deciso che la tua
passione per il canto sarebbe dive-
nuta una professione. Quali sono
stati i passi significativi che ti han-
no condotto al successo?
Verso i 18 anni, ho deciso di farmi
ascoltare da un maestro di canto,
il maestro Antonio Bevacqua,
tenore che ha fatto una bella car-
riera e che adesso è in pensione.
Mi ha detto che avevo delle grandi
possibilità ed io, strafelice, ho
studiato tanto. Ho iniziato a fare
qualche apparizione nel teatro
lirico, ma la grande occasione,
dopo aver cantato in vari gruppi
locali, è arrivata con “Notre Dame
de Paris”, quando ho fatto
l’audizione nel giugno del 2002 a
Messina. Non è stato facile ottene-
re la parte... Ho fatto un anno e
mezzo di tour, per poi rifarlo nel
2005 e nel 2007 nelle vesti
dell’arciprete Frollo.
• Hai dovuto, all’inizio, affrontare
qualche ostacolo?
Ostacoli sì, ma non da parte della
mia famiglia, perché da loro sono
stato sempre spalleggiato. Ho
fatto tante audizioni in cui ho
ricevuto porte in faccia, come
tutti. Tanta gavetta: ho cantato
molto nei pub, nelle piazze, un po’
ovunque.
• Hai parlato di una lunga gavetta
prima di arrivare al successo na-
zionale. Come giudichi i nuovi
artisti del panorama musicale
italiano odierno che sono emersi
dopo poco tempo grazie a qualche
fortunato talent show? Per loro la
gavetta non è esistita…
Non posso giudicarli male o bene,
sarà il palco a dimostrare quello
che valgono. Ognuno di noi vale
ma si deve sempre dimostrare in
scena quello che si è e quello che si
può diventare. Dovere nostro è
ricominciare dall’inizio in ogni
lavoro.
•Quindi non importa da dove si
parte ma dove si arriva …
Importa come si arriva, come si
canta, come si svolge il proprio
lavoro, non da dove si parte.
• Allora anche un talent show
come Amici o X Factor può essere
utile per lanciarsi sul panorama
nazionale?
Sì, anche Amici o X Factor possono
contenere un grande talento e
spesso il talent show è un modo
per farsi notare cosa che in televi-
sione è molto immediata. Mentre
nel teatro il di-
scorso è differen-
te: non c’è possi-
bilità di correg-
gersi in corso
d’opera e devi
sempre essere
attentissimo e
dentro il perso-
naggio sennò il
pubblico se ne
accorge.
• E forse anche
per questo motivo, purtroppo il
teatro è più impopolare della
televisione…
Purtroppo sì. Dico sempre ai miei
allievi che, in discorsi di fama, per
il pubblico 20 minuti di televisione
valgono 2 anni di teatro, mentre
in realtà quei due anni di teatro ti
formano molto di più che venti
minuti di televisione. L’esperienza
per noi è importante, l’aver respi-
rato tanta polvere a teatro per un
cant-attore fa tanto.
• Esclusi i talent show, come repu-
ti la situazione della musica italia-
na di oggi?
E’ un periodo di stasi. Non vedo
grandi artisti al momento, ma
noto un certo fermento, come se
da un momento
all’altro debba
spuntare qualcu-
no che ti dia qual-
cosa di grande
come è stato per Vasco Rossi o
Ligabue.
• Sono questi i tuoi cantanti prefe-
riti?
No, non sono preferiti, sono can-
tanti che, a mio parere, nei loro
rispettivi generi hanno dato tanto.
Oggi, invece, molto spesso vedia-
mo del cloni: quello che assomiglia
a Ligabue, quello che assomiglia a
Vasco Rossi...
• Notre Dame de Paris, dicevamo,
ti ha fatto conoscere ed apprezza-
re dal grande pubblico. Come
ricordi quell’esperienza? Com’è
stato lavorare con artisti del cali-
bro di Lola Ponce e Giò di Tonno?
Un’ esperienza indiscutibilmente
meravigliosa. E’ stato un trampoli-
no di lancio per tutti, anche per
Lola Ponce e Giò di Tonno.
• Di quello spettacolo ricordo in
particolare un momento in cui
nelle vesti di Frollo canti “Bella”
ed in scena ci sono anche Quasi-
modo e Febo, puoi accennarcela?
(Canta una parte di “Bella”. E’
possibile vedere l’estratto
dell’intervista nella sezione ”video”
del profilo facebook di Koiné, ndr)
Sono i tre amori:
quello di Quasimodo
è un amore puro,
ingenuo, come se
fosse quello di un
bambino, quello di Frollo è un
amore molto passionale, mentre
quello di Febo è un amore altret-
tanto passionale come quello di
Frollo, ma diverso, freddo, più
calcolatore. Dopo aver avuto E-
smeralda, la fa uccidere, cosa che
Frollo non avrebbe mai fatto. Frol-
lo è considerato il più cattivo
dell’opera, in realt{ credo che non
sia così, credo sia Febo il vero
personaggio negativo dell’opera.
• E adesso la domanda che tutti
vorrebbero farti: si sono appena
concluse le repliche de “I Promessi
Sposi - Opera Moderna” di Miche-
le Guardì e le musiche di Pippo
Christian Gravina, quando il talento è a portata di mano Intervista al cant-attore messinese reso famoso da “Notre Dame de Paris” ed “I Promessi Sposi”
“ Importa come si arriva,
come si canta, come si
svolge il proprio lavoro, non
da dove si parte”
Christian Gravina è il Cardinale Borromeo ne “I Promessi Sposi -
Opera Moderna”, spettacolo andato in tour la scorsa estate.
Christian Gravina interpreta anche l‟umile Fra Cristoforo
2020
Flora. Tu hai interpretato due
personaggi di fede: il semplice ed
umile Fra Cristoforo ed il caritate-
vole e forte Cardinale Borromeo.
Hai dichiarato, in una recente
intervista: ”Sono entusiasta di
avere l’opportunità di interpretare
due personaggi così carismatici
che mi hanno affascinato fin dai
tempi della scuola”. Come mai ti
hanno così colpito sin da quando li
hai studiati?
Proprio perché sono profonda-
mente carismatici, mi hanno colpi-
to sin da subito. Molto, debbo dire,
anche Don Abbondio che però non
è nelle mie corde, anche vocal-
mente. Sono stato fortunato per-
ché leggendo il romanzo mi erano
rimasti impressi e avere avuto la
possibilità di interpretarli è stato
il massimo.
• Tu oggi gestisci
a Messina la
scuola “Music
Life” avendo
scelto coerente-
mente, ma coraggiosamente, di
rimanere nella tua città. E’ stata
una scelta impegnativa che ti ha
dovuto far rinunciare mai a qual-
cosa?
Diciamo che è una scelta proble-
matica perché il mio lavoro mi
porta sempre fuori, però io amo
tanto la mia città alla quale mi
sono tanto affezionato. Voglio fare
qualcosa per Messina e soprattut-
to per la Sicilia. Purtroppo noi del
Sud abbiamo tanti e troppi proble-
mi e vedo troppo poco
interesse per la cultura;
allora, nel mio piccolo,
cerco di dare un contri-
buto: fare qualcosa atti-
vamente per la mia terra,
non andarmene via e dimenticar-
la.
• Cosa ti senti di dire alle giovani
voci del nostro liceo, che tra l’altro
fanno parte anche di un affermato
coro, il “Maurolico-Seguenza”, le
quali magari vogliono, in futuro,
intraprendere una carriera simile
alla tua?
Posso dire che è una carriera pur-
troppo molto difficile perché riu-
scire ad ottenere qualcosa, a livel-
lo economico, con il canto ed a
essere in scena a certi livelli è
molto complicato. Ma, se chi canta
pensa di non poter fare altro nella
propria vita e che sia quello ciò
per cui respira e vive, io non sono
nessuno per dire nulla, anzi deve
farlo, perché, in tal caso, la musica
diventa la ragione di vita.
• Grazie e buon lavoro!
Ciao a tutti, leggete questo splen-
dido giornale, mi raccomando e in
bocca al lupo per tutto!
Intervista a cura di
Claudio Staiti III A
“ Cerco di dare un
contributo: fare
qualcosa attivamente per
la mia terra, non andar-
mene via e dimenticarla”
Intervista all'Ass. Provinciale alla Cultura, Mario D'Agostino “Le attività culturali dovrebbero essere sempre parte integrante della vita scolastica”
• Assessore, innanzitutto ci spie-
ghi quali sono gli obiettivi e le
competenze del suo ente :
E’ prioritario coinvolgere tutte
le realtà culturali della provin-
cia. A mio avviso la cultura non
deve essere materiale per
privilegiati ma accessibi-
le a tutti perché in questo
modo non solo si inco-
raggia la nascita di nuo-
ve associazioni ma si fa
in modo che la popola-
zione venga maggior-
mente tutelata e coinvol-
ta nelle attività che si
svolgono nel territorio,
traendone beneficio Dal
2008, quando sono stato
eletto, è partito il proget-
to "nessun Comune è lasciato
indietro" che si muove in tal
senso: è vero che la provincia di
Messina è molto grande e distri-
buire le risorse in egual parte a
tutti non è semplice, ma io in
prima persona cerco sempre di
fare del mio meglio per non
scontentare nessuno. E' dovere
infatti dell'Assessorato alla Cul-
tura essere un solido punto di
riferimento per tutti quelle per-
sone intraprendenti che hanno
voglia di far bene e che possono
quindi in qualche modo contri-
buire alla crescita culturale del-
la provincia.
• Secondo lei Messina e la sua
provincia sono effettivamente
attratti dagli eventi culturali?
Stiamo attraversando un perio-
do di risveglio in tal senso. Come
ho già detto la popolazione deve
essere coinvolta in qualsiasi
attività rie-
sca a intrat-
tenerla e
affascinarla.
Questa città
e con essa la
sua provincia possiedono un
patrimonio (artistico, storico
ecc) incalcolabile che per tanti
anni non si è sfruttato adeguata-
mente e non è stato messo a
disposizione dei cittadini. Da
qualche tempo invece grazie al
nostro impegno qualcosa sta
finalmente cambiando: mi è
capitato di guardare con orgo-
glio folti gruppi di persone dislo-
cate in vari punti della città
durante la notte della Cultura, a
osservare meravigliati un qua-
dro di Guttuso oppure in libreria
ad ascoltare uno dei
tanti autori che abbia-
mo invitato a parlare
del suo nuovo libro.
Queste sono sicura-
mente prove di come si
stia crescendo culturalmente ed
è motivo di soddisfazione per
tutta l’Amministrazione.
• Prima di diventare Assessore
Provinciale alla Cultura, ha già
avuto altri incarichi ad essa col-
legati?
Sì. Oltre ad aver fatto parte del
Consiglio Comunale di Taormina
per due mandati consecu-
tivi, sono stato vicepresi-
dente e presidente della
Commissione Consiliare
Cultura.
• E le scuole invece? Se-
condo lei organizzano
attività adeguate alla cre-
scita culturale dei ragazzi?
Le attività culturali do-
vrebbero essere sempre
parte integrante della vita
scolastica. Questo i profes-
sori lo sanno e sanno anche che
il futuro dei ragazzi dipende da
loro, da come riusciranno a far
loro conoscere ed amare le pro-
prie radici e tradizioni, il loro
ambiente storico culturale edu-
candoli alla cultura del bello.
L'obiettivo è far vedere in quello
che studiano non solo un insieme
di nozioni ma una possibilità di
poter crescere "umanamente"
assaporando le mille sfaccetta-
ture dell’arte e della cultura.
Spesso e volentieri però tutti
“ Questa città e con essa la
sua provincia possiedono
un patrimonio incalcolabile
che per tanti anni non si è
sfruttato adeguatamente”
2121
questi buoni propositi si
scontrano con la carenza di
fondi e di strutture adeguate,
anche per le attività extra-
curriculari che sono impor-
tantissime ma attualmente
sono organizzate solo in po-
chi istituti e questo perché il
supporto è davvero esiguo, e
capisco pure i Dirigenti Sco-
lastici che si impegnano co-
munque affinché la scuola
faccia sempre il meglio per i
ragazzi.
• Dato che abbiamo parlato
di scarsità di fondi, a suo
avviso lo Stato concede fi-
nanziamenti adeguati alla
cultura, le dà insomma la
giusta importanza?
Siamo in un periodo di gran-
de crisi in cui investire è ab-
bastanza difficile. Ma spesso
mi sono chiesto: perché gli
altri stati Europei anziché
tagliare i fondi alla
cultura come facciamo
noi li raddoppiano? Chi
non investe nella cul-
tura non investe nel
futuro ed è qui che noi
stiamo sbagliando.
Uno stato come il no-
stro si dovrebbe salva-
guardare e il fatto che
non succeda è abba-
stanza preoccupante.
• Come certamente
saprà, l'incerta situa-
zione politica del no-
stro paese non per-
mette una lucida anali-
si delle problematiche
e una conseguente
equa distribuzione
delle risorse. Lei cosa
ne pensa?
E' chiaro a tutti che
certe situazione non
fanno onore all'Italia:
partiti che si combattono
aspramente e nessuno che
pensa davvero all’interesse
del paese. Tutti quei signori
avrebbero il dovere civico di
lavorare per la comunità
mettendo da parte gli inte-
ressi personali in modo da
non compromettere tutto il
sistema di risorse pubbliche,
sulle quali gli enti statali
dovrebbero avere il massimo
controllo. Scenari del genere
non possono in alcun modo
incoraggiare anche chi tra i
nostri giovani vuole intra-
prendere la strada della poli-
tica, alimentando un proces-
so di sfiducia in tutto ciò ad
essa collegato.
• La cittadinanza tende ad
allontanarsi dalla politica
perché vi vede troppo oppor-
tunismo e non si riconosce
più ideologicamente in nes-
suna delle realtà politiche
esistenti. Lei è d'accordo?
La classe politica attualmen-
te non è in grado di dare
l'esempio perché troppo lon-
tana da quegli ideali che
erano stati punti fermi negli
anni anteriori alla nascita
della Repubblica. Anche per
questo io ritengo che serva
"un ritorno alle origini" della
politica per riavvicinare la
gente, per riconquistare la
sua fiducia, per farla sentire
più tutelata, vicina ai suoi
bisogni e informata sulle
risorse a sua disposizione, da
usare come il dovere civico
suggerisce e non con occhio
da imprenditore o commer-
ciante. La politica ha deluso
troppo in questi anni ed è
per questo che servono gio-
vani validi che possano rifon-
darla e darle un immagine
nuova, trasparente e dedita
unicamente al bene dei citta-
dini
• In questo clima d’ incertez-
za, in cui i giovani si sentono
tagliati fuori dalla società,
dove il presente è abbastan-
za difficile e il futuro ancor
più incerto, vuol dire qualco-
sa?
Certamente. Ai giovani vo-
glio dire di non perdersi d'a-
nimo, di concentrarsi sullo
studio individuale e nel rag-
giungimento dei propri o-
biettivi. Siamo in un momen-
to delicato ma non ci si deve
abbattere, si deve invece
continuare a impegnarsi con
professionalità ed energia
per costruirsi un futuro che,
per quanto opaco sembri,
può riservare sorprese.
• E in particolare vuole fare
un saluto al Liceo Maurolico?
Non posso esimermi dal far-
lo. Il Liceo Maurolico fin dal-
la sua nascita ha dato i nata-
li a grandi personaggi di
fama nazionale e internazio-
nale. Questa è la dimostra-
zione di come la città di Mes-
sina sia in grado di esportare
cultura grazie ad una forma-
zione scolastica di alto livel-
lo.
• Assessore io la ringrazio e
le auguro un buon prosegui-
mento del suo lavoro.
Grazie a te Valerio e che tu
possa continuare al meglio il
percorso scolastico che hai
intrapreso.
Intervista a cura di
Valerio Calabrò II D
“ Ai giovani voglio dire di non
perdersi d'animo, di concen-
trarsi sullo studio individuale e nel
raggiungimento dei propri obiettivi
2222
Il leone rampante del Campanile del
Duomo, simbolo della Provincia di Messina
“ La classe politica attualmente
non è in grado di dare l'esem-
pio perché troppo lontana da quegli
ideali che erano stati punti fermi
alla nascita della Repubblica”
Il noto teatro greco romano di Taormina (ME)
Un dì un tale, senza professione,
con la passione per la rivoluzione
deluso dall’andazzo del momento
decide d’occupare il Parlamento.
Da una brigata di par suoi seguito
s’accinge ad attuare il piano ardito
a far pagare ai politici le colpe
a fare il primo passo per il golpe.
S’arrendono tutti i deputati
ed alle loro sedie son legati
chi preferiva spesso assentarsi
costretto, suo malgrado, è a fermarsi.
Compiuto il fatto, senza alcuna storia,
il tale ai suoi proclama la vittoria:
-Del mondo più non siamo l’immondizia
Ogni emittente di noi darà notizia!
Ed alla vecchia classe dei padroni
Or detteremo noi le condizioni.-
Accesa dunque la televisione
s’attendeva con trepidazione
che lì per lì il grande giornalista
ponesse la notizia in bella vista.
-Tempo sereno- gracchia il cronista-
I vacanzieri sono tutti in pista
ed ora, tutti insieme, a cuor contento
a goderci il gossip del momento!-
Deluso e triste, con lo sguardo basso,
il tale l’apparecchio pianta in asso
e liberati gli illustri prigionieri
ai compagni esterna i suoi pensieri.
-A noi non è mancata la passione:
non fa notizia la rivoluzione
non per colpa nostra, miei ragazzi,
ma perché viviamo in tempo pazzi!
Finiti sono gli anni in cui i civili
Sognavan di cambiare coi fucili.
Oggi un fatto è noto e veritiero
Solo se un canale ne è foriero
e non si fanno le rivoluzioni
signori miei, senza televisioni.
Dunque ne viene, senz’altra opzione,
che le può fare sol chi é già padrone.-
Roberto Saglimbeni II E
Il Colpo di Stato
2323
Angolo della poesia
Luogo è in Inferno ove Brunetta regna:
su un altissimo seggio appollaiato i nomi dei malnati lui si segna,
assai contento perché ha evitato di stare in uno zoo con i Primati, ed è in un luogo sì qualificato:
guarda dall’alto in basso i suoi dannati,
così si scorda d’esser solo un nano! Lo vedono coi due indici alzati
mostrar lor, col cenno della mano,
il passaggio al tornello, che indirizza laggiù donde tornar sarà vano…
e la bassezza d’animo esorcizza!
Prof. Felice Irrera
Il Giudice infernale
La nostra strada Ecco quel vento che scuote
imperioso il mio vagar su questa via,
sulla quale distrattamente ho scorto
un riflesso… nitida immagine di te.
Svegliati, è il nostro momento,
magico perché intimo e solitario,
con le mani unite su un sentiero
illuminato e rigoglioso, splendido.
E mentre il tuo sguardo s'immerge
nello splendor di fiori e di suoni,
io contemplo i tuoi lineamenti
cosi morbidi, semplici e ammalianti:
un sorriso tenue, riccioli castani,
una pelle scura,baciata dal sole.
Ricordo ancor quando ti conobbi,
confuso, incurante delle tue attenzioni,
e rapito da quei pochi gesti
che mi concedesti in quel pomeriggio d'estate
guardando il mare d'un colore dorato.
E adesso camminiamo silenziosi,
senza fretta, per sentirci più vicini,
disegnando a poco a poco una storia
sulla traccia di una strada che va...
Valerio Calabrò II D
Se venissi qui con me ti spiegherei cosa voglio da questa
vita, cosa voglio evitare.
Ti spiegherei cosa vedo e cosa voglio.
Ti spiegherei quanto irrazionali sono i miei pensieri
e quanto difficilmente lo sono le mie azioni.
Ti direi quanto soffro per questo.
Per questa paura di fare cose puramente insignificanti e
inutili al resto dei viventi inclusa me stessa.
Vieni però, forse mi aiuterai.
O forse sei come me.
Oh sì sei come me ed è perciò che hai bisogno di me.
Federica Fusco V E
Se venissi con me
Del passante nei suoi silenzi malinconici
Nei suoi passi lenti e costanti
Nel suo allontanarsi senza tregua
Da noi
Innamoriamoci
Di quella notte
Così gelida
Così forte
Da poterci uccidere
Innamoriamoci
Della nonna che cuce in quella notte
Pensando ad un suo amore che le rughe del tempo
Sfigurano.
Innamoriamoci
Dei ragazzi innamorati
Vicino casa di quella nonna
Affacciati al loro primo amore
Così sereni
Che la notte non li tange
Perché la notte è gelida
E loro fonte immensa di vita
Innamoriamoci
Della penna dello scrittore
Dello scrittore
Del libro appena scritto
Del libro che scriverà
Perché in quella notte era in-
sonne
Innamoriamoci
Ancora
Non importa
Un giorno
Nuvoloso
Uggioso
Tempestoso
O soleggiato
Perché quel giorno sarà miglio-re
Qualunque esso sia
Innamoriamoci
Del fratello
Della sorella
Degli zii
Dei cugini
Perché la famiglia è il primo nido d’amore
Innamoriamoci
Anche della nave che salpa
Del treno perduto
Delle strade sbagliate
Dei traguardi non raggiunti
Chissà quanto ci hanno tor-mentato
E quanto aiutato
Ti prego innamoriamoci
Sempre
Di nuovo
Di continuo
Della notte
Del sole
Della luna
Del mondo
Innamorati di questa vita
Che ti parla
Che ti scrive
Che ti ascolta
Anche se tu
Non le parli e non l’ascolti
Innamorati di quest’amore
Che avvolge che unisce
Che purifica
Anni luce
Oltre il mare
Non conta
Innamoriamoci
Di noi stessi
Del nostro viso
Innamoriamoci
Del nostro corpo
Innamoriamoci
Innamoriamoci
Innamoriamoci
Di un amore che piange
Mariachiara Pollicino II F
Innamoriamoci
2424
Scarpe lerce hanno i carbonai e
calze nere dentro alla fornace.
Marciano in fila per Picconare
sul carbone ancora
padrone del pane.
Marciano in fila per Bestemmiare
sulle vite di chi
ne ha fatti crepare
di carbonai affaticati e stanchi
sulle rotaie di miniere soffocanti.
Marciano Accusando!
i carbonai stravolti,
lo Stato che trascura
i suoi mille volti.
Cerca il passo un freno
all'incedere guerriero
e lo ritrova nelle lacrime
linde di te Donna
che porti in petto la prova
del tuo amante morto il crimine.
Claudia Santonocito III F
Scarpe lerce
Cadono fiocchi di neve in questo campo,
mentre io silenzioso passeggio,
e nel buio d'un dolce sorriso
brillano e lagrimar mi fanno.
Splendida,
scappata via per un brivido supremo
che spazza ogni cosa e impera
senza che nulla lo possa turbare,
neanche la mia ombra
che tra le nubi si staglia.
E passando pian piano i giorni
dopo che le tue parole mi trafissero,
la ferita brucia e mai smette,
quasi causata da una forza divina.
Meravigliosa,
apparisti cosi disinvolta
e allo stesso modo te ne andasti,
lasciandomi indelebili gesti:
carezze affettuose e teneri sguardi,
morbidi baci e lenti abbracci,
che son scolpiti nel mio animo
malinconico e inconsolabile,
eppure mai stanco di sognare...
Mia,
nonostante l'impetuoso vento
m'abbattè in quel crepuscolo antico,
un profumo mi fece rialzare,
e spronò a cantar di lei
che non c'è piu e dolore ancor mi prende.
Ma nulla mi fermò, che lo sappiate,
se non un pensiero o una speranza
che fu mia…
Valerio Calabrò II D
Splendida...Meravigliosa...Mia!
Capelli fluttuanti
vibran nell'aria
quando ti vedo
rimango stupefatto
sento
la tua soave voce
correr nel vento.
Desidero esser una brezza
per esser traversata dalla tua voce.
Son immerso
nell'immensità dei tuoi occhi
e mi piace realizzarti
avvolta da fiocchi
sdraiata sotto l'ombra luminosa
ti vedo sempre solare
e radiosa.
Come una mimosa
vorrei esser lieto
di proferirti
il mio amore segreto.
Nulla
guasterà il tuo aspetto
né lo scorrer del tempo
né le piaghe.
Ti sibilerei il mio desiderio
ma non mi prenderesti sul serio.
Ti donerei la mia anima
ma non trarrei
nemmeno una tua ciocca
continuare a desiderarti
è cosa sciocca.
Il mio sentimento non apprezzeresti
ed io continuerò a contemplarti
con sguardi mesti.
Non sarò degno
di avvicinarmi a te
e il mio amore perirà
con me.
Andrea Santoro V F
Monstrum
2525
2626
Speciale Ponte sullo Stretto Cosa pensano gli studenti di un’opera tanto discussa e della quale sembra ormai imminente la realizzazione?
I l primo a parlare di un Ponte sullo Stretto
fu lo scrittore romano Plinio Il Vecchio (23-
79 d.C.) che, nella sua Naturalis Historia, at-
tribuì al console Lucio Cecilio Metello (251
a.C.), la costruzione di un ponte fatto di bar-
che e botti per trasbordare dalla Sicilia 140
elefanti catturati ai cartaginesi. La realizzazio-
ne di un collegamento stabile tra l’isola ed il
continente fu in seguito valutata da Carlo
Magno in persona e da re Ruggiero II, che
fece compiere delle esplorazioni per sondare
la profondità dello Stretto e la forza delle
correnti. Ma è solo con l’Unità D’Italia (1861)
che si inizia a parlare fattivamente di un
“Ponte sullo Stretto”: il ministro dei lavori
pubblici Jacini (1866) affida all’illustre inge-
gner Cottrau il compito di realizzare un pro-
getto, ed in contemporanea si studia la possi-
bilità di un collegamento sottomarino. “Sopra
i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Con-
tinente” è la frase che anima questi anni
frenetici. Poi, tra il terremoto e le due guerre,
il progetto non viene più considerato fino al
1950, quando David B. Steinman, progettista,
tra gli altri, del Mackinac Bridge, ideò un pon-
te sospeso su due pilastri immersi nell’acqua
per 120 metri ed alti 220 m. Il progetto fu poi
accantonato per il costo eccessivo (ca. 100
miliardi di lire). Nel 1969 il Ministero dei lavo-
ri pubblici bandisce un “Concorso di idee” in
cui emergono il cosiddetto “Ponte di Archi-
mede”, ovvero una galleria a mezz’acqua, e il
Ponte ad un’unica campata. Quest’ultima
idea risulterà poi quella portata avanti nel
corso degli ultimi 40 anni. Arriviamo infine ai
giorni nostri, quando il governo Berlusconi ha
fatto dell’opera uno dei suoi principali obiet-
tivi, firmando un contratto con la Impregilo
per il Ponte e le opere complementari ad
esso, ed annunciando l’inizio dei lavori per il
primo semestre del 2011. Come dimostra il
lungo evolversi del progetto nel corso dei
secoli, che noi abbiamo tentato di sintetizza-
re, l’opera ha sempre in-
contrato pareri contrastan-
ti: chi lo trova indispensabi-
le per lo sviluppo di Messi-
na e di tutto il Sud, chi un
inutile spreco di tempo e
denaro; chi garantisce sulla
sicurezza della struttura e chi sostiene che
non reggerebbe; chi afferma che funzione-
rebbe tutto l’anno e chi dice che il vento ne
limiterebbe il funzionamento; infine, chi asse-
risce che anche solo pensarne la costruzione
è una follia, vista l’impressionante velocità,
geologicamente parlando, con cui la Sicilia si
allontana annualmente dalla Calabria (1 cm/1
anno). C’è poi chi manifesta per la propria
casa, chi vorrebbe la galleria sottomarina al
posto del Ponte a campata unica…. un grande
insieme, insomma, di opinioni discordanti
che, tuttavia, non sembrano fermare i proce-
dimenti che, sempre più spediti, ci stanno
portando verso la realizzazione di
quest’utopia. Non è dunque facile barcame-
narsi nei meandri di un’opera dalla gestazio-
ne lunga e laboriosa, su cui ognuno, con dirit-
to o meno, ha espresso la propria opinione: il
Κοινή ha dunque pensato di creare in questo
numero lo “Speciale Ponte” di cui state sfo-
gliando le pagine. Ci avete visto passare nelle
classi distribuendo moduli in cui si chiedeva il
vostro parere: qui in basso trovate il resocon-
to dei dati pervenutici. Com’era ampiamente
pronosticabile, il fronte del no conquista una
maggioranza netta corrispondente al 75%. Il
motivo di tale schiacciante supe-
riorità è da ricercare in un insie-
me di cause, ma a nostro giudizio
incidono principalmente su tale
dato la preoccupazione per il
ventilato scempio paesaggistico,
il timore di infiltrazioni mafiose e
corruzione, la volontà di non far trasformare
Messina in una città cantiere. Il fronte del sì si
attesta sul 13%, mentre è notevole il dato di
coloro che affermano di non avere un opinio-
ne in merito. Un 12%, quello dei “non so”,
che andrebbe attenzionato con cura, poiché
denota, più che una mancanza, un eccesso
d’informazione, un surplus di pareri e notizie
in cui il singolo non sa più discernere tra vero
e falso. Vi lasciamo ora alla lettura delle due
interviste seguenti, in cui abbiamo ricercato il
parere tecnico di due esperti del settore:
l’Ing. Caminiti del Comune di Messina e
l’Arch. Arena, dell’Università di Reggio Cala-
bria.
Roberto Saglimbeni II E
Antonio Crisafulli III F
“ Il primo a parlarne è
Plinio Il Vecchio, che attri-
buisce al console Metello la
realizzazione di un ponte di
barche per il trasporto di
elefanti cartaginesi”
Simulazione In 3D del Ponte sullo
Stretto. Negli anni si sono sprecati
progetti, grafici, idee. L’utopia sta
per diventare realtà, o assisteremo
ad altri rinvii?
Raccolta dati a campione e statistiche a cura di Roberto Saglimbeni II E e Antonio Crisafulli III F
2727
• Per prima cosa si presenti ai
nostri lettori.
Sono l’Ing. Giovanni Caminiti del
Comune di Messina, mi occupo
sin dal 2002 del Ponte sullo
Stretto e dei suoi effetti sulla
città e ricopro, tra vari incarichi
dirigenziali, il ruolo di dirigente
della struttura organizzativa
Grandi Opere, ovvero dell’ex uffi-
cio Ponte e delle opere ad esso
connesse.
• Spesso si focalizza l’attenzione
sul Ponte e non sulle opere com-
plementari ad esso: a che punto
è la realizzazione di
quest’ultime?
Nel quadro economico del Ponte
sono inseriti una serie di inter-
venti sull’una e sull’altra sponda
dello Stretto, ovvero i collega-
menti stradali e ferroviari per
l’opera stessa.
Parlo dell’autostrada che andr{
da Giostra fino al Ponte e del
ramo ferroviario che partirà da
Gazzi: queste opere sono com-
prese nei 6 miliardi complessivi
del progetto, dei quali 1 verrà
investito in queste opere
• Quale sarà il destino
dell’abitato di Faro?
A livello locale il Comune dispone
di somme cosiddette compensati-
ve”che saranno utilizzate per
degli interventi volti a compen-
sare gli eventuali disagi per la
cittadinanza durante la costru-
zione del Ponte. Il pilastro del
Ponte verrà a trovarsi in via
Circuito, di fronte agli attuali
cantieri trivella, posto necessa-
riamente sui terreni di due com-
plessi residenziali. I lavori non
interesseranno in nessun modo il
paese di Faro, la zona del Pilone
e Capo Peloro; riguarderanno
invece la zona a monte della
Panoramica cui dovrà giungere,
passando sopra il cimitero di
Granatari, la linea ferroviaria ed
autostradale. Granatari verrà
inoltre dotata di un mini-
svincolo funzionale alla viabilità
cittadina.
• Quali sono i tempi di realizza-
zione previsti?
La stima è di circa 6 anni. Siamo
in fase di progettazione definiti-
va, il progetto verrà consegnato
a dicembre, approvato nel giro di
tre mesi e da lì partiranno i lavo-
ri. Essendo il quadro economico
unico per tutte le opere, tutte le
strutture partiranno insieme col
fine dell’opera-Ponte. Non acca-
drà, per questioni economiche,
che si inizino le opere comple-
mentari e che non si proceda poi
alla costruzione della grande
opera.
• E’ vero che il Ponte non elimi-
nerà del tutto le navi Caronte?
Il sistema di trasporto ferrovia-
rio verrà deviato tutto sul Ponte.
I progettisti stimano che l’opera
potrebbe non funzionare per 24-
48 ore l’anno, ed é impensabile
mantenere un collegamento con
le navi per usarlo solo in un lasso
di tempo così breve. Le navi ser-
viranno, in questi casi, a traspor-
tare i passeggeri dei treni, il cui
traffico verrà intercettato in
stazioni intermedie. Le merci
saranno invece ferme finché il
Ponte non sarà riaperto.
• Pensa che il Ponte possa esse-
re utile allo sviluppo di Messina?
Se il Ponte viene inteso come un
oggetto che fa soffrire la città è
normale chiedersi che vantaggi
se ne possano trarre. Il problema
va posto in maniera diversa: il
Ponte libera la città dalla schia-
vitù dell’attraversamento via
nave. La struttura va vista sotto
un’ottica europea, poi italiana ed
infine messinese; non si può fare
un conto sui vantaggi compensa-
tivi che può ottenere il singolo
cui viene espropriata la casa. Se
la città riuscirà a cogliere le
opportunit{ che quest’opera
offre ne avrà enormi vantaggi: il
ritorno più immediato è quello
infrastrutturale, ma l’ investi-
mento economico nella zona
porterà effetti in ogni campo. Il
ritorno economico dal punto di
vista turistico, come accade per
tutte le grandi opere, dalle Pira-
midi alla Tour Eiffel, non è preve-
dibile al momento della costru-
zione ma di certo può essere il
più consistente.
• Dunque la città non è tagliata
fuori dal Ponte? Non è vero che,
come si dice, nessun turista verrà
a vedere il Ponte più lungo del
mondo?
Se per “tagliata fuori” si intende
dire che la città verrà liberata
dai camion, la risposta è affer-
mativa ma rappre-
senta un bene per la
città. Nel caso in cui
si intenda che questa
sarà un opera che si
limiterà a passarci
sulla testa senza
portarci vantaggi ricadiamo
nell’ipotesi meno auspicabile in
cui Messina non riuscirà a coglie-
re nessuna opportunità. Ciò è
poco probabile poiché ogni sin-
gola mossa sul fronte Ponte viene
monitorata costantemente dai
media di tutto il mondo, e la
diffusione del logo “Messina” è
vastissima. Sta ai singoli cogliere
i vantaggi che derivano da que-
sto ritorno d’immagine.
• Dunque la realizzazione del
Ponte va intesa come anello
della grande catena di trasporti
europea denominata Berlino-
Palermo, e chi manifesta per la
sua casa, il suo abitato, dovrebbe
pensare al bene comune di una
viabilità continentale?
Mi rendo conto che il singolo non
riesca a mettere l’interesse col-
lettivo davanti al proprio inte-
resse. E’ legittimo che cerchi di
ottenere il massimo risarcimen-
to, può ancora essere legittimo
opporsi con ogni forma di prote-
sta, non lo è invece fare propa-
ganda in maniera errata tra la
cittadinanza per non aver espro-
priata la propria casa.
• Sul fronte del No-Ponte, con
chi lei crede ci si possa confron-
tare in maniera costruttiva?
Purtroppo non sono riuscito ad
ottenere un confronto costrutti-
vo con nessun esponente del
fronte opposto. Ho notato che c’è
un totale rifiuto di discutere, e
non ho ancora trovato un grup-
po che, realizzato che l’opera si
farà, si adoperi perché la città ne
tragga il massimo vantaggio ed
il minimo danno. Le faccio un
esempio: alcuni anni fa un grup-
po ambientalista, cui avevo scrit-
to al fine di utilizzare una parte
dei fondi per la tutela della fauna
e della flora
interessata dal
progetto, ha
r i f i u t a t o
l’offerta poi-
ché non voleva
agire coi soldi
del Ponte. Non ritengo che que-
sto sia un atteggiamento costrut-
tivo.
• In conclusione, siamo vicini al
reale inizio dei lavori, di cui si
parla da più di 40 anni?
Se da un lato è vero che se ne
parla da tanto tempo, dall’altro
bisogna considerare effettiva-
mente da quando si è iniziato
fattivamente ad operare. Il pro-
blema è che oggi il Ponte è al
centro di uno scontro politico,
poiché viene identificato con la
figura di Berlusconi, ed un even-
tuale caduta del governo, col
pagamento di forti penali da
parte di un successivo esecutivo
contrario all’opera, potrebbe
bloccare l’iter. L’altro punto di
domanda è la copertura finan-
ziaria, che dovrà essere presente
nel momento in cui il progetto
sarà attuabile. Fino alla sotto-
scrizione dell’accordo economico
rimane dunque quest’incertezza,
anche se chi se ne sta occupando
garantisce la presenza di questi
fondi.
intervista a cura di
Roberto Saglimbeni II E
“Il Ponte porterà sviluppo a chi saprà coglierne i vantaggi” Parla l’ing. Caminiti, responsabile del Ponte e delle opere complementari per conto del Comune di Messina
“ Il ritorno economico non
è prevedibile al momento
della costruzione ma di certo,
come per tutte le grandi ope-
re, può essere il più consisten-
te per Messina e lo Stretto”
L’Arch. Marina Arena nel 2005 ha
partecipato, con il Dipartimento di
progettazione per la città, il pae-
saggio e il territorio - OASI, agli
studi propedeutici alla progettazio-
ne del Ponte sullo Stretto relativa-
mente agli aspetti paesaggistici e
urbanistici dell’opera.
• A che punto è la progettazione
del ponte?
Se pensiamo che il Ponte sullo
Stretto è stato definito come la più
straordinaria opera di ingegneria
di tutti i tempi, possiamo capire
quali difficoltà comporti. Parliamo
del ponte sospeso a campata unica
più lungo del mondo e di due torri
di sostegno alte quasi come le
Twin Towers. E, in effetti, si tratta
di un salto tecnico senza preceden-
ti dal momento che attualmente il
record è detenuto dal ponte giap-
ponese di Akashi Kaikyō, senza
sede ferroviaria, la cui campata
centrale misura quasi 2.000 metri.
Bisognerebbe anche aprire una
parentesi sull’evidente insensatez-
za dell’investimento che vede il
ponte come cerniera tra due siste-
mi infrastrutturali disastrosi . Ma
se le ragioni del “no” sono evidenti,
vorrei citare la tesi provocatoria
del critico dell’architettura Luigi
Puglisi che parla dell’opera come
di un “controsenso necessario”
poiché, essendo la nostra una so-
cietà senza logica, bisogna prima
scatenare le conseguenze e solo
successivamente realizzare la
premessa, quindi quando il ponte
sarà costruito, e si vedrà che il re è
nudo, per non ammetterne
l’inutilit{ si porr{ rimedio a tutto
il resto. Le fasi di progettazione
del ponte sono tre: la prima relati-
va al progetto preliminare appro-
vato nel 2003; la seconda, attual-
mente in corso, che vede Eurolink
lavorare al progetto definitivo su
incarico della società Stretto di
Messina (SdM); la terza riferita
alla redazione del progetto esecu-
tivo, dopo il cui espletamento sarà
dato l’avvio ai lavori.
• Le difficoltà relative ai preceden-
ti progetti come sono state affron-
tate?
I dubbi rispetto alle scelte proget-
tuali sono emersi negli anni anche
ad opera delle stesse commissioni
di controllo. Le difficoltà sono
essenzialmente legate all’epocale
balzo tecnologico rispetto alla
lunghezza della campata e ai pro-
blemi di sicurezza del sito per la
sismicit{ e l’azione del vento. E-
sperti definiscono il progetto lacu-
noso e ne propongono addirittura
una nuova progettazione, sottoli-
neando livelli di rischio troppo
alti e imputabili alla scelta della
campata unica, alla sezione e alla
lunghezza dei cavi e all’effetto
flatting che causerebbe problemi
di percorribilità. A fronte di ciò,
dalla SdM non sono arrivate rispo-
ste dirimenti e l’atteggiamento è
stato anzi quello di trincerarsi
dietro modifiche al progetto mai
rese note ufficialmente come, ad
esempio, la diminuzione delle
corsie carrabili da sei a quattro.
D’altronde la Societ{ stessa ha
affermato che si tratta di un pro-
getto in continua evoluzione che
subirà modifiche fino al giorno
prima dell’inaugurazione.
• Qual è il costo complessivo del
progetto?
Il progetto presentato nel 2003,
comprensivo dei ca. 40 Km di rac-
cordi, e approvato dal Cipe
(Comitato Interministeriale per la
Programmazione economica,
NdR), aveva un costo di circa 4
miliardi e mezzo di euro; oggi
l’onere complessivo dei lavori, con
l’aggiornamento del piano finan-
ziario comprensivo di costi ag-
giuntivi e adeguamenti relativi
all’inflazione, viene stimato
nell’ordine dei 6 miliardi e mezzo
di euro. Questa cifra viene coperta
per il 40% dal contributo pubblico
e dall’aumento di capitale della
SdM, mentre il restante 60% è a
carico dei privati. A tutto ciò va
aggiunta l’unica cifra che cono-
sciamo per certa cioè quella spesa
fino ad ora per gli studi condotti
negli ultimi decenni: 160 milioni di
euro circa.
• A livello territoriale come e
quanto l’abitato di Torre Faro
verrà investito dal ponte?
Per ammissione della stessa SdM
“l’area non sar{ più la stessa” ed è
evidente che l’opera stravolger{ il
territorio e non solo nell’area di
Torre Faro. Noi siamo abituati a
pensare all’impatto del ponte
riferendolo solo all’icona ormai
conosciuta dell’impalcato, in real-
tà la parte veramente invasiva è
quella relativa ai
raccordi a terra
che inizia col
viadotto che
passerà proprio
tra i due laghi
per proseguire
tra gallerie e viadotti verso
l’autostrada. E il rischio che molti
addetti ai lavori paventano è che
verranno stravolte le aree di at-
tacco a terra del ponte sui due
versanti calabrese e siculo, con un
giro d’affari immenso, ma che il
ponte non si farà mai.
Il solo cantiere delle torri equivar-
rebbe a circa 150.000 metri qua-
drati ossia a 23 campi da calcio.
Esiste inoltre un cospicuo piano di
espropri e tutto un settore riguar-
dante aree di movimentazione e
discariche ancora poco conosciuto,
ciò che è certo è che le strade cit-
tadine diventeranno strade di un
immenso cantiere territoriale
portando con sé vari tipi di inqui-
namento, dalle polvere sottili
all’inquinamento acustico. Ag-
giungerei un’ultima considerazio-
ne relativa alla zona Torre Faro-
Ganzirri: paradossalmente un
comune cittadino per sistemare
dei pannelli solari in casa propria
deve addentrarsi nella giungla dei
permessi perché nulla deve arre-
care danno al passaggio dei volati-
li sullo Stretto … e poi si stravolge
tutto con i cantieri del ponte.
• Pensa che il Ponte possa essere
utile allo sviluppo di Messina?
È importante ricordare che negli
anni ’60 in riva allo Stretto si svi-
luppò un dibattito che vide il tema
del ponte inscindibilmente legato
a quello dell’area integrata dello
Stretto, cioè Messina, Reggio Cala-
bria e Villa S. Giovanni insieme per
costituire una piattaforma di atti-
vità e servizi di tutto rispetto a
livello europeo: il ponte era visto
come l’elemento centrale per
l’integrazione dei due versanti
dello Stretto. Negli anni, gli obiet-
tivi legati alla costruzione del
ponte si sono allontanati da que-
sto progetto per mettersi al servi-
zio di strategie di livello europeo;
quindi se qualcuno sta aspettando
il ponte, i pendolari ad esempio,
dimentichino di poter migliorare
la proprio condizio-
ne, al contrario gli
spostamenti tra le
due sponde potreb-
bero diventare più
onerosi e complicati
anche in prospettiva
di un depotenziamento dei tradi-
zionali mezzi di comunicazione. La
costruzione dell’opera col cantiere
e l’indotto potrebbe portare capi-
tali ingenti in riva allo Stretto ma
sappiamo già che buona parte del
personale impiegato verrà da
fuori e se guardiamo alla futura
gestione del ponte il numero degli
addetti non dovrebbe superare
quello delle persone che verrebbe-
ro licenziate dalle società di navi-
gazione
• Quali dovrebbero essere i tem-
pi? Verranno rispettati o i lavori si
protrarranno più a lungo del previ-
sto con il rischio di creare un nuo-
vo caso Salerno-Reggio Calabria?
La simbolica prima pietra è stata
posta il 23 dicembre dello scorso
anno a Cannitello nell’ambito delle
opere propedeutiche, per dirla in
soldoni si tratta dello spostamento
di alcuni chilometri di binari per
fare spazio al cantiere, mentre il
cantiere principale non è ancora
partito. Berlusconi ha dichiarato
recentemente che il progetto ese-
cutivo sarà pronto entro dicembre
ma solo in questi ultimi mesi sono
state avviate le trivellazioni per le
indagini geognostiche per le quali,
tra l’altro, molti si chiedono come
mai non siano state avviate nei
decenni precedenti.
L’appuntamento per la cerimonia
di inaugurazione è stata fissato
nel 2017… è stato anche dichiara-
to che nel 2013 giungeranno a
compimento i lavori sulla Salerno-
Reggio Calabria.
Intervista a cura di
Antonio Crisafulli III F
2828
Parla l’Arch. Arena, dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
“ Il ritorno economico non
è prevedibile al momento
della costruzione ma di certo,
come per tutte le grandi ope-
re, può essere il più consisten-
te per Messina e lo Stretto”
“Un eccessivo salto tecnologico senza garanzie”
F oggia, 12 settembre 1993. E’ il minuto 74,
quando Giovanni Trapattoni, all’epoca alle-
natore della Juventus, sostituisce Fabrizio Rava-
nelli con Alessandro Del Piero, un giovane acqui-
stato quell’estate per 5 miliardi di lire. Ebbene,
quel giovane, dopo 17 anni, è
ancora lì, a giocare per la stessa
squadra e ad indossare la stessa
maglia, quella che gli ha spalan-
cato le porte della Serie A e quel-
la con cui la settimana successiva
al suo esordio realizza anche il
suo primo gol in campionato,
mettendo il sigillo sul 4-0 della Juve alla Reggia-
na. Alla fine, anzi ad oggi, sono 275 i gol siglati da
Del Piero nella massima serie, frutto di 422 pre-
senze. 51, invece, le reti targate Europa e 637
nel complesso i gettoni ufficiali in maglia bianco-
nera. Proprio alcuni dei suoi gol hanno fatto
storia. Nella stagione 1995/96 nasce il famoso
“Gol alla Del Piero“, caratterizzato da una para-
bola morbida a giro dal vertice sinistro dell’area
di rigore, con la palla che si infila puntualmente
all’incrocio dei pali, alla sinistra di portieri immo-
bili e impotenti. Molti i capolavori anche su cal-
cio di punizione, con traiettorie
imparabili, vere e proprie pen-
nellate che gli valsero, per bocca
di Gianni Agnelli, il paragone col
pittore Pinturicchio. Poi, le accu-
se di Zeman sulla sua presunta
ed improvvisa crescita muscola-
re ed il grave infortunio ad Udi-
ne, l’8 novembre del 1998, il giorno prima del
suo compleanno, con il ginocchio sinistro che fa
crack e la lesione del legamento crociato anterio-
re e posteriore. Una batosta tremenda che, dopo
l’operazione negli Stati Uniti, lo terrà lontano dai
campi di gioco per 9 mesi. Poi, la lenta ripresa e il
rilancio con Marcello Lippi, ma i movimenti, la
rapidità e l’agilità non sono più quelli di prima.
Alex fatica a ritrovare la migliore condizione e la
brillantezza dei tempi migliori. Pochi sono i gol
nel corso delle varie stagioni, quasi zero i tiri alla
Del Piero. Lo score di Alex subisce una leggera
impennata tra il 2001 e il 2003 (32 i gol realizzati
in campionato) e tra il 2006 e il 2008, anno
quest’ultimo in cui si laurea capocannoniere con
21 centri. Prima e dopo, le stagioni tormentate,
con il rapporto poco idilliaco con Fabio Capello,
Calciopoli e la retrocessione in Serie B, la gestio-
ne di Ranieri, poi quella di Ciro Ferrara, poi quel-
la attuale di Del Neri, nelle quali Alex è sempre in
discussione, nonostante i gol e le sue linguacce,
nonostante sia bandiera indiscutibile, nonostan-
te siano 17 le candeline che domenica 12 set-
tembre, i tifosi della Juve hanno soffiato con lui.
Alberto De Domenico I H
D a tre anni a questa parte, la profes-
soressa Milazzo ci propone di aderi-
re a questo gesto che si ripete an-
nualmente l’ultimo sabato di novembre. Dal
1997, il Banco Alimentare propone la Giorna-
ta Nazionale della Colletta Alimentare in cui
volontari invitano le persone che fanno la
spesa ad acquistare alimenti a lunga conser-
vazione che verranno poi distribuiti alle fami-
glie bisognose della nostra città.
In passato, sentendo parlare di povertà estre-
ma, il pensiero si rivolgeva subito a territori
lontani. Ma bisogna aprire gli occhi. Consul-
tando i dati degli ultimi tre anni aumenta, a
vista d’occhio, il numero di persone che non
arrivano a fine mese. Que-
sta proposta ci permette
di aiutare chi ha bisogno e
ci è vicino. Ma, siamo sicu-
ri che quest’occasione
sarà d’aiuto solo a loro?
Dopo avervi partecipato
più di una volta, chiacchie-
rando con gli amici con cui
ho condiviso questo gesto, ho notato quanta
gioia nasca dall’aiutare gli altri. Ne “Il senso
della caritativa”, Don Luigi Giussani scriveva
che è insita in ciascuno “l’esigenza di interes-
sarci agli altri”. Non è forse vero che dopo
aver aiutato un amico ci sentiamo bene? “La
Carità è il dono più gran-
de che Dio ha fatto agli
uomini … perché è amore
ricevuto e amore donato”
(Caritas in Veritate).
L’anno scorso noi ragazzi
del Maurolico abbiamo
partecipato in 120.
Quest’anno si svolgerà il
27 Novembre. Vi invito a partecipare numero-
si perché “anche fare la spesa e donarla a chi
è più povero è occasione di un immediato e
positivo cambiamento per sé e quindi per la
società”.
Anna Laura Ammendolia II B
2929
Juventus, Del Piero: 17 anni in bianconero
Un’opportunità: la Giornata della Colletta Alimentare “La vita è determinata dalle opportunità perfino da quelle che non cogliamo” (B. Button)
Il corso di scrittura creativa al Maurolico
Anche quest’anno si attiverà al
Maurolico un corso di
scrittura creativa, che
sarà tenuto dal dott. Luigi La Ro-
sa. Esso è aperto a tutte le classi
del Liceo e del Ginnasio e si terrà
in otto pomeriggi (1-2 al mese, a partire da
novembre) in date da concordare con gli
iscritti. Questi dovranno versare la somma
di 100 euro sul c.c.p. intestato al Maurolico
(che potranno ritirare in segreteria) e con-
segnare poi la ricevuta (o fotocopia della
stessa) al responsabile del progetto, prof.
Felice Irrera. Al termine del corso sarà
rilasciato un attestato valido ai fini
dell’attribuzione del credito scolastico.
Grazie.
«Q uelli troppo intelligenti per impegnarsi
in politica – recita un celebre teorema
di Platone, riproposto ne La legge di Murphy per
la sinistra - vengono puniti coll’essere governati
dai più stupidi». E’ ormai lontano quel 4 febbraio
2010 quando abbiamo appreso da Berlusconi e
Gelmini, in conferenza stampa, della riforma vara-
ta dal Consiglio dei Ministri. «Riforma epocale e -
parole della Gelmini - non ideologica!». Da dove
poi l’ineffabile “ministra” abbia tratto tale eccelsa
competenza in campo pedagogico e formativo,
tanto da lasciarsi andare ad affermazioni apoditti-
che, è più che un mistero. Alla prova dei fatti, di
contro, traspare chiara l’ideologia sottesa (povera
Gelmini, qualcuno le dovrebbe spiegare il signifi-
cato di ideologia!) e Berlusconi chiarisce: «La
scuola attuale non sforna (sic! n.d.r.) ragazzi con
cognizioni adeguate alle richieste del mondo del
lavoro». Silenzio sui tagli di ore, sui nuovi quadri
orari, sulla riduzione degli indirizzi sperimentali
(scomparse Geografia e Diritto), ma enfasi
sull’opzione del nuovo liceo, quello musicale,
condita con una delle sue solite battute: «Studiate
le mie canzoni e quelle di Apicella…» In sintesi: la
scuola deve preparare degli ottusi lavoratori, che
in piena disoccupazione sapranno cantare, aspet-
tando che… passi! Nella copiosa letteratura dei
neo sdegnati per tanta pochezza intellettuale, mi
piace citare il parere autorevole di Calogero Virzì,
storico redattore de La tecnica della scuola: «La
drastica riduzione di ore non ci avvicina di certo
all’Europa....I paesi moderni stanno tutti andando
nella direzione opposta». Mesi di lotte, manifesta-
zioni, scioperi, riunioni... tutto inutile. Nella storia
della nostra democrazia è la prima volta che un
governo non risponde alle proteste della piazza e
alle sensate critiche degli operatori della scuola;
ma va avanti in modo ottuso e protervo sulla
strada tracciata. Ho pensato spesso in questi mesi
al fatto che una delle forme più tristi del totalitari-
smo è quello delle democrazie liberali. «Perché -
scrive H. Arendt - le democrazie liberali sono strut-
turalmente inquinate dagli
elementi pre-totalitari dovu-
ti alle mostruose disegua-
glianze sociali e dall’eclissi e
dal sequestro di democrazia
operato dai partiti- macchina…, ammuffiti, con-
cettualmente verbosi e politicamente attivi solo
per fini propri». Ecco l’ideologia sottesa alla rifor-
ma Gelmini: tagliare i fondi alla scuola (oltre che
alla sanità, aggredita aliunde, pilastri del welfare),
senza ridurre gli sprechi; accompagnare il tutto
con discorsi accattivanti e con false promesse, che
nessuno nel tempo saprà smascherare - a parte of
course gli effetti evidenti sulle
vittime della malasanità, in
altro ambito - perché non ne
avrà gli strumenti intellettuali.
Che fare? Ed ecco che dopo una riunione sindaca-
le, convocata dalle RSU del Maurolico, nasce
l’idea: fare in modo che tutte le azioni di protesta
vengano condivise, creare una cassa di resistenza,
che attutisca i disagi di chi decide di scioperare.
Abbiamo così aderito allo sciopero, indetto dai
COBAS, durante gli scrutini. Ovviamente, poiché
una disposizione ormai ventennale vieta il blocco
degli scrutini, questi hanno subito una sorta di
slittamento, ma è stato un modo, nel disagio che
ne è conseguito per l’utenza, di far sentire la
nostra voce. Reputando che la nostra azione po-
tesse essere condivisa, abbiamo convocato una
riunione al Maurolico il 19
giugno, alla quale hanno
partecipato le organizzazioni
sindacali FLC CGIL, CISL
SCUOLA, UIL SCUOLA,
SNALS CONFSAL, GILDA-UNAMS e COBAS, il Comi-
tato Insegnanti Precari, l’Osservatorio Scuola e il
gruppo spontaneo di docenti di Proposta scuola,
nella prospettiva di far confluire tutte le azioni di
protesta, già avviate, in un unico movimento di
mobilitazione per denunciare lo smantellamento
e l’impoverimento culturale della scuola pubblica.
Simbolo di questa ottenuta unione di intenti lo
striscione, che ha fatto
bella mostra di sé durante
gli esami di stato.
Nell’incontro successivo
(14 luglio), sempre al Maurolico, la partecipazione
si è fatta più attiva e propositiva, grazie anche alla
presenza di alcuni studenti del Liceo. In quella
sede sono state avanzate alcune linee progettuali
ed operative, finalizzate ad una mobilitazione e
sensibilizzazione sul tema della scuola: assemblee
pubbliche, manifestazioni culturali e musicali,
lezioni aperte al pubblico tese ad illustrare le ulti-
me devastanti innovazioni introdotte, azioni di
supporto alle proteste ed ai digiuni dei precari
(i più drammaticamente colpiti dai tagli)… ed
anche la creazione di una pagina su Facebook,
Resistenza scuola. La pagina, infatti, vuol essere
un modo per creare un gruppo di discussione e di
sensibilizzazione, nella ferma determinazione di
resistere al terremoto che ha investito la scuola. Si
tratta, infatti, di coordinare tutte le azioni di pro-
testa, specialmente ora che un primo risultato
sembra essere stato raggiunto: «Nuova battuta
d’arresto – si leggeva sul Sole 24 ore del 1 ottobre
2010 ¹ - per il Ministero dell’Istruzione nella batta-
glia di carta bollata che lo oppone allo Snals-
Confsal, a Cgil-Fp e a due comitati di docenti e
famiglie sull’attuazione della riforma delle supe-
riori - Il Consiglio di stato conferma la sospensiva
del provvedimento sugli orari». Credo che noi
insegnanti del Maurolico (anche se ancora siamo
una minoranza) abbiamo saputo imboccare la
strada giusta: appoggiare ogni azione di protesta,
che si dimostri operativamente efficace. Speriamo
di riuscire a progredire in questo cammino, speri-
mentando insieme agli studenti forme di autenti-
co impegno, nell’obiettivo condiviso di una scuola
migliore per noi e per le generazioni future.
prof.ssa Angela Maria Trimarchi
¹ Nuovo stop alla riforma della scuola, Il Sole-24
Ore, venerdì 1 ottobre 2010, pg. 39.
Riforma Gelmini: che fare? La mobilitazione per salvare la scuola pubblica
L‟eloquente striscione appeso a Giugno al Maurolico
« La drastica riduzione di ore non ci
avvicina di certo all’Europa....
I paesi moderni stanno tutti andando
nella direzione opposta».
“ Speriamo di riuscire a progredire
in questo cammino, sperimentan-
do insieme agli studenti forme di au-
tentico impegno”
3030
Ricambio generazionale Il sofferto passaggio da bersagli a tiratori di uova!
M i sembra avantieri (se non ieri) la pri-
ma volta che varcai le porte
dell’Archimede. Ricordo perfettamente i pri-
mi volti, le prime parole e, altrettanto distin-
tamente, ricordo la paura e la trepidazione
che percorse ogni cellula del mio corpo al
suono della campanella. Avrei finalmente
affrontato il Liceo. Dopo averne tante volte
(forse troppe!) sentito parlare, stavo per vi-
verlo in prima persona. Entrai.. .
(Ammettetelo… una reticenza così non
l’avete vista neanche ne I Promessi Sposi!)
Arrivò Giugno.. e poi di nuovo Settembre.
Stessa scena. Altra scuola. Avrei affrontato un
altro primo giorno. Non all’Archimede...ma al
Maurolico. Ebbene sì, dal 1 Liceo al 5 Ginna-
sio. Alle 08.05 del 14 Settembre 2009 mi ri-
trovai così in una classe totalmente nuova,
compagni e prof. TOTALMENTE sconosciuti. E
fu così che, incredibilmente disorientato, la
domanda sorse spontanea: <Ma cu mu fici
fari?? >. Se mi fossi fermato alla prima, non
ottima, impressione che ebbi del Maurolico
adesso non sarei qui a parlarne. E’ trascorso
un anno da allora e tutto è cambiato. Mi ri-
trovo adesso in Primo Liceo a ricordare con
un sorriso e un po’ di malinconia le vicissitudi-
ni degli ultimi anni. Basta osservare il mio
abbonamento del bus per capire quanto tem-
po sia effettivamente passato. Aleggiano i
segni di centinaia di temporali e corse sfrena-
te senza ombrello sul Boccetta allagato
(torrente, in tali circostanze, di nome e di
fatto) nel disperato tentativo di non perdere
il Campagna delle 12.35 per Villafranca!
Quante volte l’ho perso nei posti più assurdi
per poi ritrovarlo settimane dopo con grande
s o r p r e s a ( N o , n o n l ’ a u t o b u s !
L’abbonamento!). E dopo tante cadute, pieno
di strappi, pieghe e aloni neri, è ancora qui,
tra le mie mani mentre scrivo quest’articolo.
Mi ha accompagnato, dopo tutto, per tutta
quest’avventura scolastica, tra le mille spara-
tine Archimediane e le un po’ più rare mani-
festazioni Mauroliciane, tra l’occupazione e
gli innumerevoli pomeriggi trascorsi a trangu-
giare gelati e patatine a Piazza Cairoli
(appunto di grammatica...Ho sempre detto
“In piazza Cairoli”. Vorreste dirmi che ho sem-
pre sbagliato?). Salendo ora, a distanza di
oltre 2 anni, sullo stesso autobus, vedo le
new entries tirar fuori abbonamenti sfavillan-
ti, stampati al massimo due settimane fa. I
novellini si riconoscono subito. Li potete ve-
dere anche voi, passeggiando per i corridoi
del Ciccio Mauro. I più si muovono timidi e
impacciati, cercando di non dare troppo
nell’occhio, altri si atteggiano già a liceali,
indossando i loro instancabili Ray Ban Aviator
e una cintura Burberry nuova di zecca. Anco-
ra si legge nei loro occhi quella curiosità tipica
dei quartini, la grinta di chi si alza volentieri
alle 6 e un quarto e prende il primo autobus
per arrivare a scuola un’ora prima
dell’entrata per il solo gusto di incontrare i
nuovi “compagnetti”. La grinta di chi prepara
lo zaino la sera prima, riaprendolo più volte
per accertarsi che vi sia tutto. La grinta di chi
seleziona scrupolosamente i vestiti del giorno
dopo, ripiegando tutto con cura sulla sedia
della scrivania (che, come ci puntualizza Face-
book ormai quotidianamente, è diventata per
noi giovani come un secondo armadio!). In
men che non si dica le 6 e un quarto divente-
ranno le 6 e mezza e, dopo due mesi, le 7
meno un quarto. (I compagni potranno anche
aspettare)... Dopo un poco partecipe e quan-
to mai inutile tentativo di darsi un look accet-
tabile davanti allo specchio, guardandovi
distrattamente intorno 5 minuti prima della
partenza, vi accorgerete anche voi, o quartini,
di aver totalmente “obliato” la preparazione
dello zainetto!! Il vostro Eastpack Wyoming
giace infatti a terra,
debolmente accasciato
ai piedi della scrivania, a
godersi quel poco di
sonno a voi negato. Lo
riempirete allora in
tutta fretta, precipitandovi in strada e rag-
giungendo la fermata dell’autobus strana-
mente vuota. Sarà allora che guardandovi
intorno porrete alla prima vecchietta nel
vostro raggio d’azione la fatidica domanda:
“E’ passato l’autobus?”. Sì, è passato. Anche
voi proverete l’ebbrezza di un ritardo mostru-
oso, con tanto di giustificazione scritta il gior-
no dopo. E se a inizio anno questa “tiritera”
mattutina sarà una rara eccezione, diventerà
la regola a fine Aprile, quando, estenuati dai
ritmi di un intero anno scolastico, anche voi
collezionerete una lunga fila di ritardi e in-
gressi a seconda ora! Sarà allora che non
rimarrà neanche un briciolo del vostro inte-
resse e della vostra euforia di inizio anno e vi
sarete anche voi assuefatti alla frenesia del
mondo scolastico……... Okay, lo ammetto, ho
molto esagerato. Volevo solo spaventarvi un
pochetto! La vita di un liceale in fondo non è
poi così terribile! Ci sono tante nuove espe-
rienze da vivere, nuovi amori, nuove emozio-
ni. Pure voi, chi più, chi meno, affronterete le
vostre love stories tra le mura del Maurolico.
Alcuni avranno una bella relazione ufficiale
spiattellata su Facebook, offrendo qualche
scoop ai redattori dell’ormai in crisi “angolo
del cuttigghio” (Fortemente collegato con lo
spionaggio russo e con Messina Sa Tutto su
FacciaLibro n.d.r .) . Altr i avranno
un’avventurella segreta, tra sguardi maliziosi
e baci rubati nei posti più impensabili. Non
mancheranno poi gli scapoli! (perché usare a
tutti i costi degli inglesismi se abbiamo voca-
boli italiani altrettanto validi? :D) Ma su, o
zitelli, il celibato non è poi così tanto male!
Ciò che conta veramente è l’amicizia. E nel
bene o nel male, la scuola è il miglior mezzo
per socializzare. Troverete tante persone
false, sicuramente. Ma fra tante pecore nere
ci sarà sicuramente qualcuno che vi colpirà,
qualcuno con cui condividerete gioie, delusio-
ni, interrogazioni andate male e sabati sera in
discoteca. Qualcuno che ci sarà sempre, che
vi accompagnerà nel vostro primo bacio ad
un falò e vi sosterrà nei tristi pomeriggi post-
separazione. Mi auguro per voi che possiate
vivere al meglio tutto questo. Perché, per
quanto se ne dica, la scuola è fantastica. E fra
20 anni, ritrovando in uno scatolone una
vecchia foto scolastica - o, in alternativa, una
molto meno suggestiva foto digitale nell’hard
disk esterno del PC -
ricorderete con nostalgi-
a questi momenti. Non
sciupateli. E non vi de-
primete per un voto
basso o un bacio negato.
Pensate piuttosto a studiare e divertirvi,
finché ne avrete occasione. Concludo citando
il grandissimo Lorenzo De’ Medici, che di
gioventù se ne intendeva: <<Quant’è bella
giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol
essere lieto, sia: di doman non c’è certezza.>>
Per vostra fortuna il mio panegirico termina
qui. Un saluto particolare a Gimimma (la cui
reale identità non vi è dato sapere), mia con-
fidente e ispiratrice.
Simone Salvo I F
3131
“ Ma fra tante pecore nere ci sarà
sicuramente qualcuno che vi colpirà,
qualcuno con cui condividerete
gioie, delusioni, interrogazioni andate
male e sabati sera in discoteca”
“C on il fuoco non è ancora
finita. Gli Incendiari Rossi.”
Questa la frase pervenuta
alla Gazzetta del Sud, tramite telefonata
anonima, da una voce ma-
schile forse registrata su
nastro magnetico; subito
dopo la conversazione
s’interrompe. È il 1977, epo-
ca fortemente animata da
continui scontri politici, la
notte dell’Immacolata: dagli
uffici del Maurolico, adiacen-
ti a quelli della scuola media,
nonché istituto professiona-
le, “Antonello” e la scuola intitolata a Mazzi-
ni, si levano le fiamme. Un gruppo di giovani
estremisti, definiti poi “Il Commando” fa sì
che l’incendio si espanda fino alla stanzetta
del Preside Antonio Mura, distruggendo
tutto il materiale custoditovi. Non sarà più
possibile recuperare i mobili, le suppellettili,
un televisore, macchine auto-
matiche e il materiale didatti-
co dovrà essere ricopiato dal
personale scolastico durante
le vacanze di Natale. “Questo
atto drastico non è frutto”-
testimonierà il Preside- “di
una mano pesante contro gli
alunni; ma un vero e proprio
atto di protesta.” Oggi il fer-
vore politico tra i giovani non
manca, ma quando i ragazzi sentivano ad-
dosso il peso delle manifestazioni e degli
scontri che facevano parte della quotidiani-
tà, arrivavano a emulare coloro che ritene-
vano portavoci delle loro ideologie con atti
vandalici come questo. I “figli” delle Brigate
Rosse tentavano di trovare uno spazio tra i
mille e più interventi che costituivano la loro
realtà, certamente nel modo sbagliato, ma è
stato un tentativo. A loro non è stata data
poi così importanza, quest’evento è rimasto
nell’ombra, così come chi l’ha provocato. Gli
Incendiari Rossi cercano la distruttiva rispo-
sta alle inutili parole nel fuoco. Come quella
che lo ha spento la notte dell’8 dicembre
1977 , fino ad oggi di acqua ne è passata
sotto i ponti.
Virginia Gregorio V E
Giulia De Luca I A
3232
Maurolico in fiamme! Accadde nel Dicembre del 1977, epoca di forti tensioni e scontri politici
Scendi giù, scendi giù, manifesta pure tu! Scuola nuova? No, lavata con …!
Amo la mia scuola perché...
Durante i moti dell‟ 8 0ttobre, il personale A.T.A. dichiara lo stato
d‟assedio. Nasce il triumvirato delle guardiole.
Il laboratorio del compianto Damiri rivela l‟ultimo dei suoi
segreti: un‟evoluzione della lavanderia a gettoni?
I nizia tutto nella Sarajevo del 1984, abitata
da gente sorridente e ironica e sede delle
Olimpiadi invernali. Proprio in questa città
giunge la protagonista del
romanzo, Gemma, che, guida-
ta da un poeta bosniaco, Goi-
ko, conosce l'uomo che rivolu-
ziona la sua vita: Diego, un
fotografo genovese. I due si
innamorano subito e lì nasce la
loro storia d'amore, vera, sin-
cera, appassionata, ma piena
di dolori e sacrifici. La natura,
infatti, nega a Gemma la ma-
ternità, però l'amore supera la
scienza, le difficoltà e gli ostacoli della vita,
tanto che, proprio quando scoppia la guerra a
Sarajevo, ritornano in quel luogo che li ha
fatti incontrare, dove conoscono Aska, una
giovane donna che mette al mondo il figlio di
Diego, Pietro. Ma la guerra farà brutti scherzi
e, a distanza di anni, il passato di Gemma
verrà di nuovo alla luce, quan-
do ritornerà in quella città
nella quale ha lasciato una
parte di sé: Diego. Questo
romanzo è come una favola:
intensa, profonda, da ammira-
re, da rileggere e con un lieto
fine rappresentato dal miraco-
lo di un figlio sempre voluto e
desiderato, venuto al mondo
per caso su uno sfondo di
guerra contemporanea. Per
questo risulta molto attuale e appassiona sia
noi adolescenti alle prese con una vita, di cui
sorgono i primi piccoli problemi, sia i nostri
genitori che non solo sono stati gli osservatori
di questo conflitto degli anni '90, ma anche
hanno già vissuto a pieno la loro parte di vita
più bella e dolorosa così da affermare : “La
speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbia-
mo già sperato, e quasi sempre abbiamo
perso”. Come tutte le favole, anche questa
mette in luce un amore di due giovani pieni di
vita, che muta col mutare dello sfondo dolo-
roso rappresentato dai problemi e dal mondo
stesso in cui vivono, ma che non si spegne
mai come i reali e sinceri amori. Chi ha voglia,
dunque, di rifugiarsi nelle pagine di pace, di
guerra e soprattutto di colpi di scena e di
emozioni, si nasconda in queste di “Venuto al
Mondo” (Mondadori, 2008, pp. 531, € 20,00),
dove amori e conflitti si intrecciano per far
venire al mondo questo romanzo che colpisce
dritto al cuore.
Oriana Crea III A
3333
Venuto al Mondo Nel libro di Margaret Mazzantini l’avvincente storia di chi non si arrende
Lo specchio di Morgana Il libro di Andrea Genovese sarà presentato il 28/10 presso la libreria Ciofalo
C hi vuol conoscere la Messina degli anni
del dopoguerra e commuoversi o sorri-
dere scorrendo il racconto di una giovinezza
non semplice deve leggere la trilogia messi-
nese di Andrea Genovese, iniziata
con “Falce Marina”, proseguita con
“L’anfiteatro di Nettuno” e conclu-
sa adesso con “Lo specchio di Mor-
gana” (Intilla Editore, 2010, pp.
332, € 13,00).
Genovese è un “giostroto” puro-
sangue che oggi è a Lione, in Fran-
cia, e visse, prima da bambino e
poi da giovane liceale, nella nostra
città quegli anni difficili. I tre ro-
manzi non hanno precedenti nella
storia della letteratura della nostra
città, permettendoci sia di cono-
scerne degli aspetti certamente ignoti alle
nuove generazioni e pressoché dimenticati
dagli anziani, sia di vedere svilupparsi grada-
tamente sotto i nostri occhi la personalità del
protagonista, che si forma gradatamente la
certezza di un proprio destino irredimibile,
proprio come quello della comunità giostrota,
sempre alle prese con una squallida quotidia-
nità che sembra tarpare quelle ali necessarie
a spiccare il proprio volo di uomo e cittadino.
Così, mentre la città risorge ancora assonnata
dalle sue sventure, Andrea non trova nemme-
no nella politica il necessario supporto per
una svolta. Anzi. La politica, di cui egli fa le
prime esperienze, si rivela subdola e già cor-
rotta, disattenta ai veri problemi (quelli a cui
continuamente fa riferimento il protagoni-
sta), dedita al piacere, alle feste, alle gozzovi-
glie.
Forse il solo punto fermo che, in
tutti gli anni della sua formazio-
ne, il nostro riesce a trovare è la
figura paterna di Peppino Miligi,
chiara figura d’intellettuale e
memoria storica della Messina
che fu, recentemente scompar-
so, che riesce a rimetterlo in
carreggiata dallo sbandamento
in cui è incorso e a fargli termi-
nare gli studi. Ma il “romanzo” di
Genovese non è terminato e già
lavora al soggiorno palermitano
e a quello, assai denso, a Milano, che, a quan-
to ci risulta, saranno ricchi di sorprese.
prof. Felice Irrera
Recensioni
Anni „50: Messina in una foto d‟epoca
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La Redazione Il direttivo
Claudio Staiti III A
Roberto Saglimbeni II E
Maria Chiara Pollicino II F
Antonio Crisafulli III F
Claudia Santonocito III F
Logo 2010/2011 ideato e realizzato da Domenico Pino V F
Stampato presso Società Cooperativa Spignolo a.r.l. Via Maffei, 8 - Messina tel. 090 717340 - Fax 090 6415659
I vignettisti
Federica Vitale II A
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I redattori
Giulia De Luca I A
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Alberto De Domenico I H
Ringraziamo per il loro contributo
prof.ssa Angela Maria Trimarchi
prof. Felice Irrera
prof. Raffaele Talottta
3535
Vignetta Ipse Dixit “La prof.ssa del Medioevo” ideata e realizzata da Federica Vitale II A
NASCE “DISCIPULUS DIXIT”!
VASI: "Un’atmosfera si scrive 1 atm
come gli autobus a Messina…"
MACRIS: "Voi non vi ritrovate nei perso-
naggi della commedia, siete gente più
da film saponetta … da soap opera!"
MACRIS: "Adesso introduciamo Se-
neca..." - Alunna: "Ma a che pagina
siamo?"- MACRIS: "Una pagina inde-
terminata del mio cervello..."
RAGNO: "La gigante rossa è una stella
in sala di rianimazione..."
MACRIS: "Il vocabolario piccolo corri-
sponde al vostro nanismo mentale!"
CUCINOTTA: "Vedete come era ben
organizzata la città di Uruk: c'era
proprio tutto, mancava solo un ope-
ratore informatico!"
Alunna: "Professore, non ho
voce…"
IRRERA: "Fattela prestare…"
RIZZO: "Una volta insegnavo in una
classe sperimentale con 20 alunni: 4
erano super bravi, 4 bravi, 4 sufficienti
e 4 con carenze…" (e gli altri 4?!)
MACRIS: "Non accetto giusti-
ficazioni: mia nonna è mala-
ta, mia zia è risuscitata...!"
Alunno: "Prof., con quante b si scrive
strabico? Una, vero?
VENUTO: "Dipende, se è grave due!"
Ci trovi anche su Facebook: “Koiné Giornale del Maurolico”
http://www.maurolicomessina.it/koine_2010_2011.ph
Puoi leggere on-line questo giornale e rivedere le edizioni dell’anno scorso qui:
MACRIS: "L’alunno conse-
gue la sufficienza, il saggio
consegue l’autosufficienza.
Conclusione del sillogismo:
l’alunno non è saggio!"
RAGNO: "Ragazzi silenzio! Fermate il
gioco e palla in centro..."
FRISONE: "Ma chi lo ha
inventato Settembre a
scuola??!!"
VASI: "Questo problema è
facile ma è difficile..."
POLIA: "Lunedì spiego, ma se pro-
prio sentite l’esigenza di essere in-
terrogati, io sono qua!"
TALOTTA: "Gli uccelli quan-
do si muovono in massa
diventano pericolosi..."
(Una mosca ronza intorno
all’interrogata)
Alunni: "Uccidiamola!"
BAMBARA: "Lasciatela vivere,
la mosca passa e vi saluta..."
Alunno: "Per fare l’aceto il vino
viene corrotto dall’acqua"
RAGNO: "Viene corrotto?! Che
gli dà? La mazzetta?"
VENUTO: "Fammi vedere il
quaderno!"
Alunno: "Me lo sono scorda-
to..."
VENUTO: "Ok, vieni alla lava-
gna..."
Alunno: "Ok, ma la prima e-
spressione non m’è venuta..."
VENUTO: "E fammi vedere il
quaderno!"
Alunno: "Panteismo..
deriva da panta…"
POLIA: "La Panda?
FIAT?!"
Alunno: "Prof, dovrei anda-
re a cercare Persichina..."
PICCOLOMINI: "E che sei?
Persichina-dipendente?"