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1 985/1986, il sogno di creare un giornalino che diffondesse l’informazione e le idee degli studenti per la scuola ha inizio. 2010/2011, questo sogno si chiama Koiné e quest’anno festeggia il suo 25esimo compleanno. Un’esperienza scolastica davvero significativa per il nostro Istituto che sente il peso di queste “nozze d’argento” attraverso i tanti ricordi di successi e falli- menti, di orgoglio personale ma anche di delusio- ni. Ci auguriamo anche quest’anno, e a maggior ragio- ne quest’anno, di iniziare nel miglio- re dei modi e di poter essere di gradimento a voi affe- zionati lettori, con la speranza di con- quistarne altri. E, inebriati da tante ricorrenze (nel 2011 ricorderemo i 150 anni del liceo e della nostra amata Italia) passeggiando per i corridoi ci risulta immediato scorgere peculiarità che ci contraddistinguono. Volenti o nolenti è questa la nostra realtà, quel contesto scolastico che riporteremo alla mente dopo anni e, nonostante tutto, ameremo. Ecco allora il cortile, ancora centro di bombardamenti stile seconda guerra mondiale a colpi di gavettoni, la presidenza, eterna rocca- forte di Ninuzzo regnante, l’inespugnabile deposito di Paperon de’ Paperoni alias “dott. Cirinà”, la vicepresidenza, meta di pellegrinaggi quotidiani più numerosi e toccanti di quelli fatti a Lourdes, gestita dall’abile satrapo Virellion e dal fido prof. Pon- zio detto “PON”, per via dei nume- rosi corsi da lui organizzati. Ecco la cassettina postale del Koiné (accanto la sala dei professori), inaugurata ad inizio secolo strano a dirsi!) dal baffone tricheco sig. Cardia, oggi rispolverata e rimessa al servizio di tutti. E, da buona samaritana, fa la sua apparizione la prof.ssa Milazzo, a spasso per i corridoi in cerca dell’occasione per una prossima e probabile colletta. Ecco il campo di pallavolo (in)agibile da anni, ecco i laboratori di fisica, di chimica (?) e d’inglese, ristrutturati (!)... continua a pag. 3 Voce comune dal 1986 Il fumo tra i giovani del Maurolico. Il ? L’ho fondato io . Christian Gravina: Un grande talento messinese Ponte sullo stretto Messina Intervista all’assessore provinciale alla cultura Mario D’Agostino I pareri degli esperti ANNO XXV, NUMERO 1 OTTOBRE 2010

Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

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1 985/1986, il sogno di creare un

giornalino che diffondesse

l’informazione e le idee degli

studenti per la scuola ha inizio.

2010/2011, questo sogno si chiama

Koiné e quest’anno festeggia il suo

25esimo compleanno. Un’esperienza

scolastica davvero significativa per il

nostro Istituto che sente il peso di

queste “nozze d’argento” attraverso i

tanti ricordi di

successi e falli-

menti, di orgoglio

personale ma

anche di delusio-

ni. Ci auguriamo

anche quest’anno,

e a maggior ragio-

ne quest’anno, di

iniziare nel miglio-

re dei modi e di

poter essere di gradimento a voi affe-

zionati lettori, con la speranza di con-

quistarne altri. E, inebriati da tante

ricorrenze (nel 2011 ricorderemo i 150

anni del liceo e della nostra amata

Italia) passeggiando per i corridoi ci

risulta immediato scorgere peculiarità

che ci contraddistinguono. Volenti o

nolenti è questa la nostra realtà, quel

contesto scolastico che riporteremo

alla mente dopo anni e, nonostante

tutto, ameremo. Ecco allora il cortile,

ancora centro di bombardamenti stile

seconda guerra mondiale a colpi di

gavettoni, la presidenza, eterna rocca-

forte di Ninuzzo regnante,

l’inespugnabile deposito di Paperon

de’ Paperoni alias “dott. Cirinà”, la

vicepresidenza, meta di pellegrinaggi

quotidiani più numerosi e toccanti di

quelli fatti a Lourdes, gestita dall’abile

satrapo Virellion e dal fido prof. Pon-

zio detto “PON”,

per via dei nume-

rosi corsi da lui

organizzati. Ecco

la cassettina

postale del Koiné

(accanto la sala

dei professori),

inaugurata ad

inizio secolo (è

strano a dirsi!)

dal baffone tricheco sig. Cardia, oggi

rispolverata e rimessa al servizio di

tutti. E, da buona samaritana, fa la sua

apparizione la prof.ssa Milazzo, a

spasso per i corridoi in cerca

dell’occasione per una prossima e

probabile colletta. Ecco il campo di

pallavolo (in)agibile da anni, ecco i

laboratori di fisica, di chimica (?) e

d’inglese, ristrutturati (!)...

continua a pag. 3

Voce comune dal 1986

Il fumo tra i giovani del Maurolico.

Il ? L’ho fondato io.

Christian Gravina:

Un grande talento

messinese

Ponte sullo stretto

Messina

Intervista all’assessore provinciale alla cultura Mario D’Agostino

I pareri degli esperti

ANNO XXV, NUMERO 1 OTTOBRE 2010

Page 2: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

Sommario

In questo numero

22

Si ringrazia la Libreria Ciofalo per il sostegno

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33

e d ancora, con alcune fortunate eccezioni,

inutilizzati dalla stragrande maggioranza degli

studenti per la pigrizia di qualche professore.

Ecco il bar dove, tra una piadina ed un’altra, rendiamo

onore alle personalità intervistate, esponendo le loro

dediche. Ecco “l’antro delle fotocopie” del sig. Damiri (il

quale, per la cronaca, sembra essere stato avvistato su

un aereo diretto alle Bahamas!) ancora privo di un nuo-

vo guardiano. E, dulcis in fundo, ecco, al centro del

giardino, l’elefantino di pietra (foto copertina) che, dopo

anni di silenzio, ha fatto finalmente capolino esclaman-

do tutta la sua superiorità rispetto al suo più noto cugi-

no, il famoso “Liotru” di Catania. Ma perché dilungarci

in ciò che già sapete?! Meglio scrivere di ciò che pensate

di sapere, cari (e)lettori… In questa fase di fermento

politico notiamo con un certo rammarico come la politi-

ca scolastica si stia avvicinando sempre più a quella

italiana, non per quei pochi aspetti positivi, ma solo per

quelli negativi. Notiamo una morbosa e alquanto conta-

giosa brama di voler occupare per forza una poltrona (o

anche due) e come si sia radicata la “politica

dell’amicizia”, anche se qui qualcosa di positivo lo tro-

viamo. Fiamme, ex fiamme, parenti, conoscenti, scono-

sciuti: tutti amici! Ma che bello! Che persone estroverse

in cerca di nuovi amici votant… ehm… votati all’amore

fraterno…! Per non parlare poi, delle solite promesse

mai mantenute nel corso degli anni dalle varie liste ma

che continuano a riproporsi imperterrite, oppure, analo-

gamente, delle nuove stravaganti proposte di chi non

sembra avere idea di come funzioni la scuola. E, tra

compromessi e giuramenti di sangue, discussioni, faide,

liste e nomi di liste, quante povere citazioni latine o

inglesi svilite brutalmente! Ma, dopo questo squisito

excursus nei meandri scolastici, addentriamoci nel Koi-

né edizione 2010/2011! Anche quest’anno ci avvarremo

del proficuo sostegno della libreria Ciofalo che ringrazia-

mo per la fiducia accordataci, con la volontà di promuo-

vere una sempre più presente “cultura del libro” in una

città con un bassa percentuale di lettori. Intanto, zitto-

zitto e muto-muto, il nostro e vostro (?) giornale comu-

ne ha ottenuto un piccolo-grande successo: l’1 Giugno

scorso, come forse molti di voi avranno visto, Koiné ha

avuto l’onore di uscire in un inserto speciale nella

“Gazzetta del Sud” , dopo un lungo lavoro a cura del

direttivo con il valido supporto degli esperti del quoti-

diano leader a Messina. Uscita, questa, che ha sorpreso

favorevolmente gran parte della città. Ma, se non vi

bastasse ve ne diciamo un’altra: Il Koiné ha partecipato

con il numero di Maggio 2010 al premio nazionale

"Penne sconosciute" ed è risultato tra i 10 vincitori del

concorso nella Sezione C – Scuole Secondarie di Secon-

do grado. Ma andiamo ad oggi: in questo numero tro-

verete diversi interessanti contributi, due inchieste, la

prima sul Ponte sullo stretto di Messina, tematica attua-

le e spinosa, e l’altra sul fumo, nelle quali abbiamo rac-

colto anche i pareri dei giovani del Maurolico; due inter-

viste a due messinesi, l’assessore provinciale alla cultura

Mario D’Agostino il primo, il cant-attore Christian Gravi-

na il secondo. E, come ultima chicca, ma per noi la più

importante, una speciale intervista al nostro “padre-

fondatore” Gerolamo Minasi. Lo ringraziamo affettuo-

samente: se noi siamo qui a “disturbarvi” è solo per

colpa sua...

Il direttivo

continua da pag. 1.

Venerdì 8 ottobre 2010

Messina

V enerdì 8 Ottobre: gli studenti si mobilitano. Alla testa delle scuole cittadine,

accorse in massa a protestare contro la riforma Gelmini, ci sono gli studenti del

nostro liceo, che rispondono, una volta per tutte, alle voci che li vogliono poco

attivi nelle manifestazioni con una partecipazione massiccia, sentita ed attiva. Il corteo,

snodatosi lungo il corso Cavour fino all’incrocio con la via Tommaso Cannizzaro, si è poi

fermato in sit-in davanti al Tribunale per proseguire fino a Piazza Municipio. Nella foto-

grafia soprastante (scattata da Mario Restuccia V F), uno degli striscioni più rappresen-

tativi della manifestazione: “Apriamo una scuola, chiudiamo una prigione”.

A nno nuovo, vita nuova, nuovo direttivo, nuovi progetti.

Ed ecco che, nel fermento di idee partorite per cerca-

re di rendere il Κοινή un giornale migliore, nasce il pro-

posito di valorizzare l’apporto dei nostri “giornalisti” con un con-

corso volto a premiare il miglior articolo annuale per ogni singo-

la rubrica. Saranno presi in considerazione gli articoli sui numeri

pubblicati da questo fino a Maggio prossimo, quando si svolgerà

la premiazione. Il giudizio sugli articoli verrà espresso, in maniera insindacabile, dal diret-

tivo di Κοινή e da una componente del corpo docenti; gli autori dei contributi ritenuti più

meritevoli per ogni rubrica (Politically (S)correct, Agri-cultura, Messana nobile Siciliae

caput, Voci di Corridoio e Angolo della Poesia) , oltre all’autore della migliore vignetta,

verranno premiati con un riconoscimento simbolico al valore delle loro creazioni. Il con-

corso è esteso a chiunque, nel corso di quest’anno di Κοινή, collabori in uno o più numeri

col giornale. Precisiamo inoltre che gli articoli dei membri del direttivo rimangono esclusi

da questo concorso. Vi invitiamo dunque ad incrementare la vostra partecipazione al

nostro giornale comune, con l’incentivo di poter risultare i migliori giornalisti a fine anno.

Il direttivo

Concorso “Koineccellenza”

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N ella marea di leggi e decreti quotidiana-

mente approvati dal Parlamento Italia-

no, al cittadino di quello che una volta veniva

definito “Il Bel Paese” dev’esserne sfuggito

uno di fondamentale importanza. Mentre i

telegiornali estivi ci bombardavano con im-

magini di vacanzieri felici gli esponenti del

nostro governo devono essersi riuniti, in una

data in cui tutti pensavano ad altro, tipo il 15

d’Agosto; tra una chiacchiera e l’altra, un tale,

che chiameremo il Cavaliere B., cabarettista

per vocazione e politico per non essere stato

preso a Zelig, avrà pronunciato un discorso

più o meno tale:

-Cribbio! In questo paese nessuno apprezza le

mie battute! Eppure le racconto così bene,

sono così divertenti! Ad esempio ne ho una

bellissima sulla Bindi, ma se la raccontassi

sarei processato… pensate, è così bella, c’è

anche una bestemmia alla fine, giusto per

accontentare tutti! Se solo fossi Presidente

del Consiglio…(mormorio di sottofondo)

-Ehi voi! Che mormorate?

-Cavaliere…ehm….ma lei è Presidente del

Consiglio!

-Ah, già, cribbio! E’ che talvolta me lo scordo

proprio! Però quei tizi là…quelli inutili…come

si chiamano?

-Intende i magistrati?

-Eh, sì, loro cribbio! Potrebbero processar-

mi...comunisti!

-Ehm...Presidente… mi scusi - dice uno- ab-

biamo trovati tanti modi per non farla proces-

sare, si figuri se la condannano per una bar-

zelletta! Se vuole possiamo anche modificare

la Costituzione...pensi come suonerebbe be-

ne: Articolo 1, L’Italia è una repubblica fonda-

ta sull’umorismo.-

-Bravo Angelino, bella idea...ma

aggiungici un “Cribbio!” alla fine,

rafforza il concetto.

-Te che ne dici Umberto? Lo faccia-

mo un decreto?

(Una voce roca avvolta in un’aura color verde

Padania)- Sì, dai, che c’ho una battuta pronta

sui Romani!

-Beh, allora la si fa! Che sennò la sinistra, con

quel comico lì, come si chiama...

-Parla di Crozza? Tortora? Della Guzzanti?

-Ma no, cribbio, di quello che sta in Parlamen-

to!

-Aaaahh, Di Pietro!

-Si, lui! Non vorrei che con tutti quei congiun-

tivi che sbaglia passas-

se dal 5 al 6 per cento!

E poi fanno talmente

ridere per conto loro

che se non rispondiamo

rischiamo di perdere le

elezioni! Bondi, vieni

qua, te che sei ministro

della Cultura, chiama

quello scribacchino che

dirige il mio giornale e

digli di cominciare a

fare dei titoli comici

con le mie battute

migliori… ad esempio:-

Gli italiani non perde-

ranno un euro!- Così

poi si vedono arrivare i

rincari nelle bollette,

capiscono che era uno

scherzo e scoppiano a ridere! Geniale, no?

Lasciamo il clima di gioviale allegria del non

meglio definito Partito Del LOL (lots of

laughs), per arrivare ai giorni nostri. Il Cava-

lier B., alias Presidente del Consiglio, alias più

grande imprenditore italiano, alias presidente

più vincente della storia del calcio, alias un

uomo “con un po’ del superman” per sua

stessa definizione, racconta la sua geniale

barzelletta; l’Umberto può finalmente an-

nunciare al mondo l’acrostico che ha realizza-

to in 20 anni di approfondite ricerche lingui-

stiche: da recenti studi

filologici leghisti si è ap-

purato che la scritta

S.P.Q.R. non significa

Senatus Populusque Ro-

manus, anzi non è nean-

che romana! Era in realtà il motto degli anti-

chi ribelli padani, i Borghezi, contro l’Urbe

ladrona, e significava Sono Porci Questi Ro-

mani.

Tutti ad invocare le scuse, tutti a scandalizzar-

ci; ma se andassimo a spulciare il nostro cor-

pus giuridico probabilmente scopriremmo

che il tutto è perfettamente legale.

D’altronde in un paese in cui l’unica certezza

è la mancanza di valori, in cui i politici fanno

(male) i comici ed i comici fanno (male) i poli-

tici, in cui il popolo ama essere una massa

non pensante, quale potrebbe essere lo stu-

pore nello scoprire una tale legge? Sarebbe

forse meglio legalizzare simili espressioni,

non scandalizzarci più, non fingerci moralisti

quando siamo noi, cittadini ed elettori, a

distruggere per primi le fondamenta dello

stato.

Ma torniamo un attimo ai nostri personag-

gi…mentre il partito si riunisce, un esponente

di punta, che chiameremo G.F., è rintanato a

Montecarlo, in un attico di non meglio preci-

sata proprietà, a rimuginare passeggiando

nervosamente su e giù per la stanza…

-Loro lì a ridere, e io qui! Dicono che non ho

senso dell’umorismo! Non è vero…solo perché

in Parlamento uso parole che non capisco-

no...forse dovrei smetterla di dire emici-

clo…ma mi vendicherò, o sì che mi vendiche-

rò!

-Amore basta! Andiamo a fare shopping!-

dice una voce femminile.

-Va bene, ma chiudi bene casa…non vorrei

che qualche parente-parassita, tipo tuo fratel-

lo, si intrufolasse….

Roberto Saglimbeni II E

L’arte della battuta parlamentare

44

La politica italiana: da impegno a teatrino

“ Non dovremmo restare

sconvolti dalle battute dei

politici quando siamo noi che

per primi danneggiamo le

fondamenta dello stato”

Page 5: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

C redo che tutti voi, almeno una volta, da

piccoli, abbiate sentito parlare della fiaba

di Tremotino dei fratelli Grimm. Tuttavia, non

essendo questo un giudizio a priori (Kant docet),

e pertanto non universale, narrerò qui di seguito

in breve il contenuto della suddetta fiaba.

C’era una volta una giovane donzella, figlia di un

povero mugnaio, della quale parlò al re, un gior-

no, trovandosi a colloquio, dicendo che sapesse

filare l’oro dalla paglia. Così il re, a cui piaceva

molto l’oro, la condusse nel suo palazzo, la portò

in una stanza colma di paglia, e le disse di filar

per tutta la notte quella paglia in oro, altrimenti

sarebbe morta. Così, da una

porticina nella stanza, sentendo i

lamenti della giovane fanciulla

affranta sia per il copioso lavoro

da svolgere sia per la sua inca-

pacità di adempiere quel compi-

to, sbucò un nano, che chiese

alla giovane il motivo del suo

lamento. La fanciulla gli spiegò e

allora l’omino le chiese cosa gli

avrebbe dato in cambio, nel

momento in cui l’avesse filata al

posto suo. Lei gli promise la sua

collana. Così, dopo aver compiu-

to il lavoro, il nano se ne andò,

portando con sé la collana. Il

giorno dopo, il re, non contento della quantità

d’oro ricavata, giunse di nuovo e condusse la

ragazza in un’altra stanza, con ancor più paglia.

E nuovamente, sentendo la ragazza lamentarsi,

il nano giunse, e stavolta gli diede in cambio

l’anello che portava al dito. L’omino svolse il

lavoro, e all’alba si ritirò. Giunto il re, non anco-

ra pienamente soddisfatta la sua avidità, portò

la fanciulla in un’altra stanza, ancora ricolma di

paglia, e le promise di prenderla in sposa, se

entro il giorno seguente l’avesse filata in oro.

Allora giunse il nano, il quale chiese alla fanciul-

la cosa avrebbe ricevuto in cambio se le avesse

filato anche questa volta la paglia. La ragazza,

non disponendo più di nulla, accordò la richiesta

del nano, quella di dargli, una volta regina, il suo

primogenito, non pensando alle gravi conse-

guenze che ne sarebbero scaturite. Infatti, dopo

un anno, nato il bambino, il nano venne a recla-

mare il suo pegno; ma la regina lo scongiurò di

non portarglielo via. L’omino, a quel punto, le

disse che il patto sarebbe stato annullato, nel

momento in cui avesse indovinato il suo nome,

in una scadenza di tre giorni. Così, la regina

cercò di riuscire a capirne il nome, ed un giorno,

trovandosi nei pressi del bosco, scorse la casa

dell’omino, e lo vide canticchiare un indovinello,

all’interno del quale veniva svelato il suo nome.

Il giorno dopo, quando il nano giunse a palazzo,

la regina lo svelò: a questo punto, Tremotino

s’infuriò a tal punto da sbattere con foga il piede

per terra, venendone risucchiato fino alla cinto-

la; poi, nell'ira, afferrò con le mani il piede sini-

stro e si squarciò.

Benissimo, concluso questo breve excursus della

fiaba, vi starete chiedendo: a che scopo questo

racconto? Soddisfo subito la vostra domanda.

Camminando per strada, un giorno, leggendo di

sfuggita il giornale, vidi un ennesimo articolo sui

precari (giustamente) in rivolta per i tagli com-

presi dalla manovra finanziaria del ministro

Giulio Tremonti, di cui il decreto-legge n° 78 è

stato varato in maggio dell’anno corrente.

Allora, ho pensato: qui ci vorrebbe Tremotino, a

filar la paglia in oro, per estinguere la parte

prevista dalla finanziaria (tra i 27 e i 28 miliardi

di Euro), del debito pubblico italiano, ammon-

tante a (udite udite), 1750,4 miliardi di euro! Un

momento; pur essendoci una certa affinità tra il

nome del nano ingegnoso e il nostro ministro

dell’economia, tuttavia, non risulta che anche il

caro Tremonti abbia questo dono. Detto ciò, mi,

e vi pongo una domanda: come farà la nostra

bella donzella, la nostra Italia, dopo aver dato in

cambio la sua collana (tagli al complesso scuola

e dell’amministrazione pubblica, pensioni e

quant’altro) e il suo anello (tasse che gravano

sulla famiglia media italiana), a salvare il bambi-

no (il suo futuro) dalle grinfie di un essere che,

invece dell’oro vero, palpabile, dato da Tremoti-

no, ci ha offerto solo parole e vento (che, in

comune con i soldi, quelli di cui necessitiamo,

hanno solo l’innumerevole quantità)?

A questo punto, sarebbe necessario stravolgere

la favola, per portare un decisivo cambiamento

a quest’orribile situazione. Bisognerebbe torna-

re all’origine della storia, andare dal re, o Cava-

liere (che dir si voglia), e dire la verità, ovvero

che non sappiamo filare la paglia in oro

(neanche il nano, in realtà, ne è capace), e che

non possiamo (e non vogliamo) dargli quei soldi

di cui è avido, che desideriamo rimanere dei

poveri, ma felici, mugnai (lo so, ognuno vorreb-

be diventare regina; però, a quale costo?) E

adesso, andando all’atto pratico, si potrebbe

compiere ciò? La risposta è sem-

plice, schietta, breve: sì. Ma non

è ugualmente breve il modo in

cui si potrebbe giungere ad una

tal risposta. In sintesi, sarebbe

necessario dire: basta divisioni,

basta dilatare con visioni psiche-

deliche la stessa idea di giustizia,

di libertà, di uguaglianza dei

diritti, basta dire io sono di de-

stra, io sono di sinistra, io sono

del centro storico. Dovremmo

dire: io sono una persona intelli-

gente, io conosco i miei diritti, io

voglio vivere degnamente, io... io

penso! (Immanuel, smettila di

prendere continuamente il sopravvento tra i

miei pensieri! Non ho scordato il nostro appun-

tamento in notturna per discutere della metafi-

sica!)

Stringendo (non intendo tediarvi ancora un solo

istante!), riscopriamo, tutti, tutti insieme, il

significato della parola POLITICA. Questa cosid-

detta “arte di governare lo Stato” (un ringrazia-

mento speciale per la traduzione a Lorenzo

Rocci), rendiamola tale, rendiamola un’arte,

sposandola con la vecchia e cara democrazia, e

svegliando dal sogno dogmatico le nostre co-

scienze. Facciamolo per la nostra bella Italia,

facciamolo per il nostro bambino, quel futuro

che porterà alti i principi cardinali all’insegna

della giustizia, del benessere fisico, personale,

ma soprattutto, sociale e collettivo: SCUOLA,

FAMIGLIA, LAVORO, UMANITA’, TRASPARENZA,

COLLETTIVITA’.

Non è un comizio elettorale, questo, no... E’ solo

una prospettiva diversa della favola di Tremoti-

no.

Marina Pagano III E

Tremo(n)tino fila l’oro dalla paglia? Breve storia di una donzella e di un bambino

55

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E bbene sì! Siamo sempre noi giovani la

causa della rovina della società. Parole

in libertà? No, sono solo un po’ stanca di

sentir dire che i giovani sono ignoranti. E’

forse una tecnica pedagogica distruggere

l’autostima di noi giovani?

Non saprei… ma, comunque, questa mia,

chiamiamola, “lamentela” non vuole assolu-

tamente criticare la severità o le critiche

degli adulti, vorrei solo far capire che noi

giovani abbiamo bisogno di stimoli e, per-

ché no?, anche di qualche gratificazione

(ben meritata s’intende!).

E’ vero che a volte meritiamo di essere, in

qualche modo, “maltrattati”, perché non

proviamo a diventare persone migliori e non

accettiamo le critiche costruttive che rice-

viamo. Probabilmente un po’ di responsabi-

lità ce l’ha anche l’epoca in cui viviamo,

senza grandi valori e dove spesso è il

più ignorante che viene lodato e acqui-

sta popolarità. Tutto ciò può senza

dubbio confondere, soprattutto chi è

più insicuro. Ma quando noi saremo

adulti come ci rapporteremo con il

mondo e la società circostanti?

Ci accontenteremo della mediocrità o

tenteremo almeno di cambiare qualche

piccola cosa? Beh, proprio questo di-

penderà esclusivamente da noi e dalla

nostra capacità di sacrificarci per otte-

nere un mondo migliore. E voi cosa ne

pensate? Sarebbe bello conoscere il

vostro parere!

Federica Fusco V E

D ue ragazze, quattordici e quindici anni,

durante un servizio per Sky, all’inviato

sulle spiagge di Ostia rispondono senza pu-

dore in romanesco periferico che viene poi

sottotitolato per rendere più agevole la

comprensione ai telespettatori (“come vi

difendete dall’afa estiva?” “col calippo e ‘na

biretta!”). Fin qui si può chiudere un occhio,

o meglio ignorare l’evento, non è un reato

esprimersi nel dialetto della propria regione

e, anche se di fronte alle telecamere, c’è chi

non se ne cura. Il vero “scandalo” è che

siano diventate in poco tempo un fenome-

no mediatico, oggetto di polemiche e con-

sensi da parte di chi le apprezza trovandole

“spontanee nella loro genuina ingenuità”.

Perdonatemi allora se nell’ignoranza non

trovo nulla di genuino o d’interessante,

tanto da assistere alle loro ospitate

in talk show come il “Chiambretti

night” o “Pomeriggio Cinque”, o

sapere che sono stati dedicati ai loro

strafalcioni servizi al Tg5 e al Tg2;

d’altronde i telegiornali si interessano spes-

so (anche troppo!) ai fenomeni che impaz-

zano sul web, e a chi non fa piacere scoprire

le rocambolesche avventure di giovani nar-

cisi svenduti per due minuti scarsi di popola-

rità?! Inevitabile chiedersi cosa spinga certi

ragazzi a diven-

tare delle vere e

proprie caricatu-

re da cine-

panettone nata-

lizio, ecco, si

torna a parlare

di tv, possibil-

mente quella

leggera e che

non impegna,

“per le masse”. Credo che questo degrado

progressivo e consapevole della giovane

società sia dovuto alla cronica mancanza di

modelli ai quali ispi-

rarsi. Così, se oggi è

impossibile trovare

facilmente personali-

tà come quella di

Socrate, che spingeva le giovani menti alla

ricerca della propria verità e a osservare con

occhio critico e consapevole la vita e la real-

tà, gli idoli odierni sono i “belli”, quelli che

con l’arte dell’incompetenza prendono so-

noramente a calci la meritocrazia; recenti

studi informano

che il 40% dei

ragazzi intervista-

ti, tra i 10 e i 13

anni, crede che

per avere succes-

so ci sia bisogno

di una sostanzio-

sa dose di racco-

mandazioni e di

un bell’aspetto,

prima che di impegno e studio. Così cresce

la società, trascinandosi appresso i veri valo-

ri e gli ideali, i miti e tutte le aspettative del

mondo che la ospita, destinate a sgretolarsi

sotto il peso dell’ignoranza predominante.

Perciò, sapienti o “asinacci” (prof. Macris

dixit!) l’importante è essere spontanei, sin-

ceri e anche un po’ sempliciotti, è questa la

chiave del successo!

Giulia De Luca I A

Quando ostentare ignoranza è sinonimo di successo Lo rivelano statistiche e un tormentone dell’estate: “Le calippo girls”

Siamo sempre noi i soliti ignoranti?

66

“ E’ inevitabile chiedersi

cosa spinga certi ragazzi

a diventare delle vere e pro-

prie caricature da cine-

panettone natalizio

“ Quando noi saremo adulti ci accontente-

remo della mediocrità o tenteremo alme-

no di cambiare qualche piccola cosa?

Page 7: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

A utismo, schizofrenie, psicosi di vario

genere, parole che, lette in un contesto

diverso, non sarebbero certo annesse alla

parola ‘’infanzia’’. Ma è proprio nell’infanzia,

che, spesso, queste forme psicotiche nasco-

no e vengono accresciute. Dondolamento,

battere la testa, agitare le mani, passaggi

delle dita davanti agli occhi, deambulazione

in punta di piedi, movimenti stereotipati di

destrezza, urla immotivate, questi i primi

segni. La più frequente, in età evolutiva, è la

schizofrenia. Il bambino tende a vivere in

un mondo isolato, distaccato dalla realtà

(percepita come minacciosa). È l'apatia.

Egli è incapace di distinguere il tutto dalle

parti, il costante dal mutevole, la realtà

dalla fantasia, il vivente dall'inanimato.

Può avere: manifestazioni di aggressività

distruttiva, incoerenza di pensiero e di

linguaggio (ad es. usa la terza persona

invece della prima nella verbalizzazione,

può usare un linguaggio apparentemente

simile a quello adulto, con molte espres-

sioni tecniche: bambini psicotici che non

sanno leggere né scrivere riempiono qua-

derni con calcoli privi di senso), incoeren-

za di comportamento (rapporti affettivi

inadeguati con persone e oggetti, che non

devono mai presentarsi in modo diverso

da quello abituale). Nelle fasi acute: pre-

valenza dei comportamenti autoerotici

(masturbazione, canto solitario, dondoli-

o...), incapacità a riconoscere il pericolo

per sé e per gli altri, negazione totale della

realtà. Ma un’altra psicosi, meno comune,

descritta nel 1944 dall'austriaco Hans

Asperger, con il nome di psicopatia autistica,

viene classificata dal DSM (Il DSM, come è

noto, è una classificazione diagnostica e sta-

tistica curata dall’American Psychiatric Asso-

ciation) con il nome di Disturbo di Asperger.

Nei bambini con questa pato-

logia il comportamento auti-

stico viene osservato verso i

3-4 anni, dopo un periodo in

cui lo sviluppo psicomotorio, quello del lin-

guaggio e il livello intellettivo sono sostan-

zialmente adeguati. In questo disturbo ciò

che risulta man mano più compromesso

sono la capacità di relazione sociale e la va-

rietà degli interessi sociali. Ciò potrebbe sot-

tolineare in un qual modo la volontà di isolar-

si, poiché non vi è un deficit

che potrebbe estraniarli; ri-

cordiamo, inoltre, che nei

primi anni del 900’ erano

semplicemente ritenuti affetti da mutismo e

sordità. Tutto questo nel già complesso mon-

do del bambino. Il bambino, affetto da auti-

smo, sembra non percepire, gioca da solo, ed

è felice da solo. Ha paura dell’altro, vive in

una realtà alterata, o almeno questo è ciò

che ripetutamente i testi di psicologia ribadi-

scono. Sono certamente bambini difficili da

gestire, con varie problematiche alle spalle,

ma introdurre l’uso di psicofarmaci va oltre i

limiti. Inoltre, verrebbero

somministrati anche per altre

forme di disturbo comporta-

mentale; come se lo psicofar-

maco fosse la nostra soluzione ideale per

sindromi, specialmente infantili. A questo

proposito, ancora una volta, è chiara nella

politica internazionale, la sudditanza vergo-

gnosa del giusto ai piedi di un guadagno, di

un business farmaceutico indecoroso. Le

posizioni europee sono immutabili, gli psico-

farmaci possono e devono

essere somministrati anche in

età infantile, e tutto ciò resta

ahimè indiscusso. Esistono di

certo associazioni, come, ad esempio, ‘’Giù le

mani dai bambini’’, associazione che in tutti

questi anni, messasi in prima fila, ha combat-

tuto, oserei dire, non solo per i soprusi in

tenere età, bensì per i diritti umani. Vi sono

delle leggi che, con cieca insolenza an-

nientano la giustizia, sono queste le co-

siddette leggi di mercato, le più forti e

imbattibili. Il denaro ancora una volta

padrone del buon senso, e noi ancora

una volta omertosi. Questi bambini ri-

mangono tali, indifesi e teneri, ed hanno

il sacrosanto diritto alla felicità; l’utilizzo

di mezzi comodi e veloci, come gli psico-

farmaci, fa comodo solo alle case farma-

ceutiche mondiali.

Sindrome down e psicosi ...

Un gruppo di 40 bambini Down psicotici

(26 M e 16 F; in media 7 anni alla 1a

visita) è stato paragonato ad un gruppo

di 20 bambini psicotici non Down (11 M

+ 9 F; stessa età media alla 1a visita).

Non vi è una differenza significativa per

le caratteristiche epidemiologiche e clini-

che aspecifiche, benché sia stata trovata

maggiore prevalenza di prematurità e/o

basso peso alla nascita e strabismo nel

gruppo Down; anomalie EEG nel gruppo non

Down. Le diagnosi, fatte secondo il DSM-III,

hanno mostrato l'inadeguatezza di questo

manuale, in quest'ambito. Per quanto riguar-

da i sintomi psicotici, la differenza è significa-

tiva (p = 0.05) con maggiore prevalenza di

ansia immotivata, necessità di costanza am-

bientale, disturbi della sensibilità sensoriale,

rituali e aggressività nel gruppo degli psicotici

non Down.

Maria Chiara Pollicino II F

Le psicosi

77

Quando al biberon si preferisce lo psicofarmaco

“ Vi sono delle leggi che

con cieca insolenza an-

nientano la giustizia …

“ Gli psicofarmaci fanno

comodo solo alle case

farmaceutiche mondiali.

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Assurdo, irragionevole e immorale “La storia ci guarda e non vorrei che vomitasse.” (S.Benni)

I n questo periodo, da far coincidere

con l’inizio dell’ultimo anno di scuola,

ho avuto modo di visualizzare concreta-

mente l’assurdo della società e, più in

generale, del nostro stile di vita. Aleggia

insieme ai granelli di polvere nelle stan-

ze di casa mia, nelle aule della scuola,

nelle strade, nei locali.

E a questo proposito

vi devo far leggere

assolutamente un

passo di Enrico Brizzi, che i bravi giorna-

listi reputeranno troppo lungo, ma chi

se ne frega? Ci sta troppo bene. Fa più o

meno così: “Tutto mi dice di essere for-

te, determinato negli scopi, capace di

andare avanti nella vita, ma se uno

sente che è arrivato il momento di

cambiare un po’ rotta o anche solo il

bisogno di fermarsi a ragionare sul

serio per proprio conto? Voglio dire: e

i cazzi di sette e mezzo in latino, per

esempio, che da semplici strumenti

sono diventati una specie di fine ulti-

mo?… insomma, a quanto ne so do-

vrei studiare per strappare un titolo

di studio che a sua volta mi permetta

di strappare un buon lavoro che a sua

volta mi consenta di strappare abba-

stanza soldi per strappare una qual-

che cavolo di serenità tutta guerreg-

giata e ferita e massacrata dagli sforzi

inauditi per raggiungerla. E allora,

perché dovrei sacrificare i momenti di

serenità che mi vengono incontro spon-

taneamente lungo la strada? Se un po-

meriggio posso uscire con una ragazza

che mi piace, perché cavolo devo star-

mene in casa a trascrivere le versioni dal

traduttore? La realtà è che mi trovo

costretto a sacrificare il me diciassetten-

ne felice di oggi pomeriggio a un even-

tuale me stesso calvo e sovrappeso,

cinquantenne soddisfatto. Ora, un orro-

re di queste proporzioni vale più del

sole e del gelato di oggi pomeriggio? Più

di una qualunque ragazza? *…+ sono

stato io a non prendermi quello che

volevo. Come avessi abortito tutti i gior-

ni, come non avessi permesso che quel

ragazzo (quello felice) nascesse per pau-

ra di ritrovarmelo fra i piedi, per paura

che sconvolgesse la mia vita. E così mi

sono sempre concesso piccole felicità di

polistirolo: andare ai giardini, restare a

dormire tutto il pomeriggio…” Mi vedo

buttare ore e ore a scuola senza impara-

re niente, senza che

quel poco che imparo

passi per il mio cuore,

senza passione, senza

stimoli. Mi vedo all’intervallo incontrare

ragazzi che fanno finta di tenerci l’uno

all’altro senza in realtà provare nessun

tipo di emozione forte, niente che possa

lontanamente ricordare il sentimento

che ti prende, ti scuote, ti cambia, ti

ammala, di cui hanno tanto parlato poe-

ti e cantanti, ragazzi che stanno insieme

solo per noia. Mi vedo entrare in casa e

salutare due genitori

stanchi, esausti, ma

non della stanchezza

buona di quando fai

qualcosa che ti piace,

ma della stanchezza triste di quando fai

il tuo lavoro per inerzia, senza migliora-

re più, senza imparare più niente. Mi

vedo uscire fuori il sabato sera, andare

in giro per locali ridendo e scherzando

fra amici, ma con il divertimento di chi

sta cercando un modo per riempire la

serata, non di chi vorrebbe che la notte

non finisse mai. Mi vedo accendere la

televisione e sentire di gente che invece

di dedicare anima e corpo a migliorare il

suo paese, gente che potrebbe davvero

fare grandi cose, cose bellissime, passa

il suo tempo a far polemiche sterili e

inutili. Vedo tutto questo, e mi si pre-

senta davanti in tutta la sua deprimente

c o n c r e t e z z a l ’ a s s u r d i t à

dell’organizzazione che l’uomo è riusci-

to a darsi, un’organizzazione che privile-

gia cose di secondaria importanza, piut-

tosto che il divertimento, la gioia, la

passione. I nostri genitori ci hanno

sempre insegnato ad andare bene a

scuola, a comportarci “come si deve”,

da “ragazzi per bene”, a non bere,

non fumare, non frequentare

“compagnie poco raccomandabili”, a

non rispondere ai professori, a sce-

gliere facoltà che ci diano un posto di

lavoro e dei soldi assicurati, a pren-

dere 100 all’esame. Nessuno si è mai

preoccupato di insegnarci a cercare

gli attimi di eternità e bellezza in que-

sto schifo di vita. Semplicemente

assurdo. “Non c‘è niente di inevitabi-

le nel mondo com‘è adesso. È solo

una dei milioni di forme possibili ed è

venuta fuori sgradevole e ostile e

rigida per che ci vive. Ma possiamo

inventarcene di completamente di-

verse, se vogliamo. Possiamo smantella-

re tutto quello che abbiamo intorno così

com‘è, le città come sono e le famiglie

come sono e i modi di lavorare e di stu-

diare e le strade e le case e gli uffici e i

luoghi pubblici e le au-

tomobili e i vestiti e i

modi di parlarci e guar-

darci come sono. Pos-

siamo inventarci solu-

zioni completamente diverse.” (A. De

Carlo)

Noi possiamo.

Silvia Sturlese III F

“ Nessuno si è mai preoccupato di

insegnarci a cercare gli attimi di

eternità e bellezza in questo schifo

di vita. Semplicemente assurdo”.

“ Perché dovrei sacrificare i momenti

di serenità che mi vengono incontro

spontaneamente lungo la strada?”

88

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N on è facile descri-

vere l’emozione

di aver incontra-

to colui che, giornalisticamen-

te parlando, ci ha dato la vita.

E’ una sensazione strana di

ritorno alle origini, di confron-

to con quello che è stato, con i

valori di un giornale nato in un

tempo ed in un clima assai

diversi dai nostri e che noi

cerchiamo, numero dopo nu-

mero, di portare avanti. Nelle

nostre continue ricerche nel

passato, purtroppo con dei

buchi temporali per quanto

riguarda gli inizi, non ci era

mai capitato di risalire

all’origine, filosoficamente

parlando, all’αρχή di questo

microcosmo. E poi, per puro

caso, riusciamo a metterci in

contatto con lui, il fondatore,

l’uomo che ha dato inizio a

tutto questo. L’abbiamo inter-

vistato, proprio vicino a quella

scuola che l’ha visto studente

e giornalista. Ed ora, per non

tediarvi oltre, lasciamo spazio

a quest’intervista, sperando

che vi trasmetta la stessa e-

mozione che abbiamo prova-

to noi.

• Si presenti ai nostri lettori.

Mi chiamo Gerolamo Minasi,

ho fatto il Maurolico, nella

sezione C, e ho fondato, insie-

me alla mia classe il giornali-

no che voi avete continuato,

cioè Koiné. Mi sono laureato

alla Sapienza di Roma, con la

quale ancora collaboro ed

oggi sono uno psicologo, un

ricercatore in psicofisiologia

ed un docente in un master di

ambito arte-terapeutico.

• Iniziamo con una domanda

di rito: cosa prova a stare da-

vanti alla scalinata di

quella che è stata la

sua scuola?

Intanto è stato molto

strano pur essendo

tornato molte volte,

perché questa cosa di

incontrare voi mi ha

messo in una sorta di

agitazione. Ho rivisto

immagini di persone,

di situazioni, di conte-

sti, di un’et{ mia che

non c’è più che mi ha

molto emozionato. Io

ho però mantenuto un

ottimo rapporto con

alcuni miei ex professo-

ri, addirittura epistola-

re con alcuni, perché

sono stati fondamenta-

li, con altri no assoluta-

mente.. (ride) sono sta-

to contento di non vederli mai

più! Questa volta però era

diverso: dovevo immaginarmi

prima come eravate, perché

non sapevo assolutamente chi

trovavo ed ancora immagina-

re voi che immaginavate me!

• Dopo un complesso lavoro

di ricerca, quando oramai

stavamo iniziando a perdere

ogni speranza di trovarla, a

venirci incontro è stato il so-

cial network Facebook. Come

ci si sente ad essere così

“ricercati”? Si sarebbe mai

immaginato che oltre 20 anni

dopo un gruppo di ragazzi la

potesse cercare?

Mi ha fatto tantissimo piacere

perché penso che sia rimasta

un’inquietudine intellettuale

in questa scuola. L’Italia non

mi piace tantissimo in questo

momento, non mi piace come

vengono trattati i giovani e

pensare che ci sia un’esigenza

di esprimersi mi rassicura. Da

noi era partito tutto proprio

da questa esigenza, allora la

condizione di pensiero era

molto ristretta, c’era un eser-

cizio manieristico della cultu-

ra ma non c’era un’esigenza

comunicativa.

• Quindi lì è nata l’esigenza di

un giornale?

Sì, è nata con delle ipotesi

teoriche, filosofiche precise

che si riferivano soprattutto

ad un teorico della pedagogia

che voi forse non conoscete

ma che vi invito a studiare che

è Freinet, un maestro contadi-

no francese del dopoguerra,

che aveva fondato il primo

esperimento di stampa con

ragazzini che non riuscivano

né a leggere né a scrivere per-

ché inseriti in un contesto

culturale poverissimo.

Ciò ha dato vita ad un

movimento dell’idea

della conoscenza mol-

to bello che ci ispirava

allora, al punto da

cambiare le forme

della classe, ricercan-

do sempre nuove for-

me comunicative. Sia-

mo stati, culturalmen-

te parlando, soprat-

tutto nell’ultimo anno,

in III C, la spina nel

fianco di questa scuo-

la. Nonostante avessi-

mo idee politiche diffe-

renti, volevamo mette-

re al servizio una clas-

se che capisse

l’importanze che ha la

cultura umanistica

nella società. Nella

terza classe, che per gli

insegnanti era molto irrequie-

ta, abbiamo fatto una certa

autogestione critica che ri-

passava anche per il giornale.

• Da cosa nasceva questo sen-

timento?

Nasceva da una adesione vera

allo studio come esigenza

piuttosto che esercizio. In un

classico, come il nostro, quan-

do studiando Leopardi, si ini-

ziava dicendo “Adesso voi vi

annoierete…” ecc.. Ecco. Que-

sto non è il modo migliore per

stimolare dei ragazzi ad en-

trare in contatto con uno dei

filosofi e letterati più impor-

tanti di questo paese. Il secon-

do movimento che avevamo

studiato e da cui è partito il

giornale è il movimento del

Politecnico di Elio Vittorini

dove scrivevano i maggiori

intellettuali italiani che erano

convinti che la cultura umani-

stica dovesse entrare anche

nei percorsi tecnici e che quin-

99

Parla il “padre fondatore” del nostro giornale, tra passato, presente e futuro del Maurolico

Il Κοινή? L’ho fondato io.

Il dott. Gerolamo Minasi, fondatore di Koiné

“ L’Italia non mi piace tantissimo

in questo momento, non mi

piace come vengono trattati i giova-

ni e pensare che ci sia un’esigenza di

esprimersi mi rassicura”

Page 10: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

di ci fosse un peso della cultu-

ra umanistica nell’etica con

cui si affrontava la tecnica,

questione molto grossa ai

giorni d’oggi. Siamo pieni di

tecnologia senza una reale

coscienza del perché la usia-

mo, a cosa può o potrebbe

servire. Per esempio, noi ab-

biamo fatto una battaglia

enorme per essere gemellati

con un istituto tecnico di Villa

San Giovanni che per il Mau-

rolico era una nota di assolu-

to demerito! Se pensiamo allo

stesso Vittorini, Primo Levi o

Quasimodo: queste erano tut-

te persone che avevano

un’idea molto complessa

dell’approccio alla conoscen-

za e di come si dovesse usufru-

ire della conoscenza stessa.

Tentavamo anche di riconnet-

terci ad un passato di Messina

che per certi versi fu libertino,

ad una emancipazione femmi-

nile che forse non c’è neanche

oggi, tentavamo insomma di

restituire le radici alla nostra

provenienza.

• Il Koiné quando e in che

classe nacque?

Nacque nella I C dell’86. Fu

una cosa che partì dalla no-

stra classe, poi coinvolse la

sezione ed in seguito tutta la

scuola. C’era all’epoca una

grande competizione tra le

sezioni, che penso ci sia tutto-

ra e noi abbiamo giocato su

questo per creare competizio-

ni in merito ad articoli o poe-

sie. Era aperto a tutti e a tutte

ma laddove non eravamo

d’accordo con gli articoli,

pubblicavamo comunque e

facevamo, se credevamo ne-

cessario, un articolo di critica

a quello che era stato scritto.

Quello che non ammettevamo

era di fare i correttori di boz-

ze, nel senso che ci capitavano

articoli che erano sgrammati-

cati -capita anche a noi oggi-

ma che noi pubblicavamo

comunque.

• Questa esperienza con lei è

durata 3 anni: con che caden-

za usciva il giornale?

Eravamo quasi mensili..

• Come era costruito il giorna-

le?

Da noi non c’erano dei diret-

tori, come lo siete voi: c’era

una redazione che nei 3 anni

poi si è allargata. Il fondatore

sono stato io perché l’ho pro-

posto all’interno della classe,

ma poi il giornale si costruiva

su specifiche passioni ad e-

sempio di tipo letterario, poli-

tico, culturale. Si andava dal

disegnatore che si occupava

di satira alla sezione fissa di

poesia che per noi era sacra.

Facevamo infatti prima un

lavoro su come produrre una

scrittura creativa. Era un mo-

vimento che pensava alla cre-

atività ed all’arte

come un mezzo di

conoscenza.

• E le spese?

Il giornale lo vendevamo e

perciò tutto viveva in modo

autogestito ed, alla fine, con i

contributi di tutta la scuola.

Anche il preside ci osteggiò, ci

disse più volte “Dentro non si

stampa” e noi andammo fuo-

ri...

• Da dove nasce la scelta di

chiamare il giornale “Koiné”?

Il nome nasce proprio da que-

sto: Koiné era l’unit{ di lin-

guaggio raggiunta nell’ elleni-

smo per potersi capire. Per

noi era una grossa metafora,

perché non è sufficiente parla-

re la stessa lingua per capirsi,

perciò il pensiero umanistico,

per noi, era la culla che pote-

va permettere una comunica-

zione che andasse oltre gli

schieramenti ideologici. C’era

una spinta idealistica che è

tipica di quell’et{ e che io ho

cercato di mantenere ancora

oggi.

• Come venne accolto il Koiné

tra i docenti di quel tempo?

Dai docenti malissimo, con

disinteresse per lo più.

• Anche se la vis polemica,

come è giusto che sia, da noi

non si è sopita, siamo riusciti

a far partecipare anche i pro-

fessori alla stesura del giorna-

le, ai suoi tempi?

Da noi era impossibile, i do-

centi si rifiutavano... A scuola

vi era una situazione congela-

ta, ingessata. Era solo rimasta

la forma, il Maurolico era il

prestigio dei tempi passati ma

non c’era vita. Quindi quello

che voi avete fatto è molto

importante, perché credo che

in questo momento non si

possa prescindere dal costrin-

gere gli adulti alle loro re-

sponsabilità.

• In questi anni abbiamo avu-

to la possibilità di intervistare

grandi personaggi di cultura,

come, ad esempio, il grande

filosofo e sociologo francese

Edgar Morin. Quando il Koiné

è nato si pensava anche a

cose del genere?

Non eravamo all’altezza di

quello che mi state descriven-

do e per questo sono felice-

mente sorpreso. Il pensiero

del giornalino era molto più

interno di quanto non sia in

voi e certo a noi è mancata

questa possibilità di crescere

intervistando personaggi vali-

di e famosi come è stato per

voi ad esempio con Morin.

• Ai suoi tempi, rispetto ad

oggi, quant’era attiva la par-

tecipazione degli studenti?

In quegli anni era forte la

presenza della polizia politi-

ca, con la quale spesso abbia-

mo avuto dei guai. D’altro

canto questa sorta di repres-

sione era per forza di cose

meno pressante nei confronti

di coloro che, pur essendo figli

di personaggi in vista, si impe-

gnavano attivamente nelle

forme di protesta studente-

sche. Per noi giovani scostarsi

dal pensiero comune, anche

sul piano culturale, era co-

munque un gesto pericoloso,

che rischiava di compromet-

tere la trasmissione della cul-

tura per come gli adulti vole-

vano fosse fatta. Ma anche

allora vi era chi manifestava e

i tanti che restavano a casa.

• Ci può raccontare un episo-

dio curioso degli anni in cu fu

al Maurolico?

Sì, noi imponemmo nella no-

stra classe un cambiamento

della forma dei banchi ed al-

lora i bidelli ebbero l’ordine di

rimettere ogni mattina la

nostra nella solita condizione.

Quando ci dissero che questo

era un esercizio da quattro

soldi, per copiare meglio,

chiedemmo loro come mai se

era effettivamente qualcosa

di stupido e banale pagassero

un bidello per venire ogni

mattina a rimettere a posto

tutto. Il discorso allora è che

l’autorit{ non si esercita dalla

1010

Il dott. Minasi sfoglia lo speciale Koiné uscito l‟1 Giugno sulla “Gazzetta del Sud”

“ Koiné era l’unità di linguaggio raggiunta nell’ellenismo per potersi capire e per noi era

una grossa metafora, perché non è sufficiente parlare la stessa lingua per capirsi”

Page 11: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

posizione che hai, quello è

autoritarismo, l’autorit{ si

esercita dallo spessore con cui

mi coinvolgi all’interno della

scuola: e non c’è bisogno di un

banco più alto per fare que-

sto...

• La comunità scolastica mes-

sinese è estremamente fram-

mentata in scuole ritenute

“d’elité”, come il Maurolico, e

“le altre”. Era così anche allo-

ra?

Purtroppo sì. Il Maurolico dei

miei anni viveva di una forte

rivalità col La Farina ma

spesso vi era uno snobismo

non supportato da fatti con-

creti. Il rapporto tra studenti

attivi e passivi è cresciuto nel

corso degli anni; oggi manca

inoltre la volontà delle classi

sociali più basse di riscattarsi

con la cultura, laddove le per-

sone di estrazione più umile

che facevano parte del Mau-

rolico di quel tempo sono

quelle che sono riuscite me-

glio sul piano intellettuale.

Senza mobilità sociale non si

migliora.

• Secondo lei i giovani d’oggi

hanno maturato un idealismo

o si è fatto un passo indietro?

I giovani hanno una necessità

quasi biologica di essere idea-

listi. Oggi la società è carente

di adulti, ai

ragazzi manca-

no i riferimenti

culturali, man-

cano persone

con cui confron-

tarsi, manca chi si prenda la

responsabilità di un pensiero.

Come mi suggerisce la mia

esperienza personale, i ragaz-

zi d’oggi non mettono più in

dubbio le idee del primo adul-

to che dà loro discorso e con-

fronto, ma vi si aggrappano

disperatamente.

• E per quanto riguarda la

nostra città, cosa è cambiato

rispetto al passato? Vi sono

delle, seppur minime, evolu-

zioni? O segni di progresso?

Certamente, la realtà messi-

nese ha fatto dei piccoli, seb-

bene non evidenti, passi, è

andata avanti. Credetemi, in

tempi non così remoti non

esisteva un pub aperto fino a

tardi, o luoghi di

incontro per i gio-

vani, fortunata-

mente adesso qual-

cosa è mutata,

forse non è eviden-

te. I giovani adesso hanno

maggiore libertà, viaggiano,

scrivono, in questo senso ci

avviciniamo maggiormente

alla realtà europea, anche se

vi sono sempre differenze,

anche sostanziali.

• Quali sono, secondo lei, le

differenze sostanziali di cui ci

sta parlando?

In Italia i giovani tra i 18 e 20

anni non vanno a vivere da

soli, purtroppo non acquisi-

scono quell’indipendenza dal-

la famiglia. Dunque, in un

c e r t o s e n s o m a n c a

quell’esperienza di vita, anche

se come ho già detto si sono

fatti dei progressi evidenti.

• Il Koiné è una possibilità di

avvicinamento da parte dei

giovani a quel complesso

mondo giornalistico. Quale

crede sia attualmente

l’approccio giovanile nei con-

fronti dell’informazione?

Credo che la realtà del gior-

nalino sia importante, che

costituisca un primo approc-

cio giovanile, quasi una abitu-

ale e corretta abitudine

all’informazione. Oggi vi è

tanta informazione, ma, di

certo non un’informazione

sana. Ad esempio, Internet è

uno sconfinato universo di

notizie, ma, se non utilizzata,

non assimilata, praticamente

vale nulla. Nel giovane la no-

tizia deve suscitare interesse,

anche scandalo se è necessa-

rio, l’importante è che nasca

qualcosa. Paradossalmente,

siamo bombardati da notizia-

ri, senza trarne nulla. La noti-

zia, l’attualit{ deve far nasce-

re quel senso critico necessa-

rio. Se un giornale, un libro,

qualsiasi mezzo di informa-

zione non porta alla forma-

zione di un forte senso critico,

allora è tempo ‘’quasi

perduto’’ leggerlo.

Intervista a cura del Direttivo

1111

L‟intervista è interrotta da una “carrambata”: ecco il prof. Persichina!

Il dott. Gerolamo Minasi posa con i ragazzi di Koiné al termine del loro incontro

“ l’autorità non si esercita dalla

posizione che hai, quello è autori-

tarismo, ma dallo spessore con cui tu

mi coinvolgi all’interno della scuola”

“ La realtà messinese, ha

fatto dei piccoli, sebbe-

ne non evidenti, passi avan-

ti. I giovani adesso hanno

maggiore libertà”

I n vista del 25esimo anni-

versario di Koiné, che

ricorrerà nel 2011, invi-

tiamo chiunque sia in possesso,

tramite ex alunni o ex docenti,

di materiale inerente al giornali-

no scolastico a rendersi disponi-

bile scrivendo a:

[email protected]

Grazie,

il direttivo

Page 12: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

P are che il fumo fosse molto diffuso nell'A-

merica precolombiana: fatto è che Cristofo-

ro Colombo, nel 1492, fu probabilmente il primo

europeo a vedere in faccia un "fumatore" e si

dice che un suo compagno di viaggio, un certo

Rodrigo de Jeréz, sia stato il primo europeo a

provare personalmente. Dunque, la storia del

fumo è certamente assai breve considerando un

continente antico come l’Europa. Addirittura in

Persia lo scià Abbas fa tagliare il naso a chi annu-

sa il tabacco: ai fumatori invece fa tagliare le

labbra. In Turchia Amurat IV concede ai fumatori

(dopo averli condannati a morte) di scegliere fra

l'impiccagione con la pipa in bocca o il rogo con

foglie di tabacco. In Russia i fumatori venivano

condannati solo ad essere bastonati (lo zar Pie-

tro il Grande però fumava comodamente le sue

pipe). A Roma un Papa parla addirittura di sco-

municare i fumatori.

Ma prestando attenzione allo scenario italiano

attuale, numerosi studi epidemiologici e statisti-

ci, realizzati negli ultimi anni, consentono di

delineare la dimensione del consumo di tabacco

in Italia, fornendo un profilo dei fumatori e delle

loro abitudini. In particolare, l’Osservatorio fu-

mo alcol e droghe dell’Istituto superiore di sani-

tà (Oss-fad) ha pubblicato il rapporto nazionale

sul fumo in Italia 2005. Anche la Doxa ha effet-

tuato l’indagine sul fumo 2004, della quale è

disponibile anche una sintesi, per conto dell’Iss

in collaborazione con l’Istituto di ricerche farma-

cologiche Mario Negri e la Lega italiana per la

lotta contro i tumori

(Lilt). Inoltre, è certa-

mente curiosa la

differente media di

fumatori tra nord e

sud; infatti, la percen-

tuale più alta di fuma-

tori è nell’Italia centrale (23,5%), la più bassa al

Sud (20,5%). Riguardo alle classi d’età, per gli

uomini la quota più elevata di fumatori è tra i 25

e i 34 anni (35,4%), mentre per le donne è tra i

45 e i 54 anni (24,5%). I fumatori abituali, che

fumano cioè tutti i giorni, sono il 19,7% della

popolazione e consumano mediamente 14,8

sigarette al giorno. Dei fumatori abituali, il 37,1%

sono forti fumatori, con almeno 20 sigarette al

giorno. Perciò, il fumo, malvagio o fedele amico,

è anche oggi, sebbene siano chiari per tutti i

malanni causati da esso, la prerogativa di molti,

un modo di tran-

quillizzarsi, come

lo definiscono gli

stessi fumatori.

Credo che il pro-

blema del fumo

sia indicativo, e ci

possa far ragionare sulla natura e sull’insicurezza

umana.

Sarebbe inutile negarlo: la sigaretta dà sicurezza,

identità, in un certo senso, può far veramente da

compagna, sennò nessuno sarebbe così idiota da

fumare come una ciminiera. Le statistiche parla-

no chiare, e applicarle alla nostra comunità sco-

lastica è un simpatico e interessante modo per

comprendere quanto la sigaretta sia importante

per uno studente ‘’mauroliciano’’…. il fumo cosa

rappresenta oltre un malsano antistress?

Non sono ancora noti i meccanismi psicologici

che rendono attraente il fumo per un giovane; è

chiaro invece perché è così difficile smettere,

dopo che si è instaurata l’abitudine, o meglio, la

dipendenza. Infatti, fumare stimola una zona del

cervello in modo simile a quello tipico delle

droghe più “classiche”, come morfina e eroina. E

rinunciare alla sigaretta scatena vere crisi di

astinenza: desiderio insaziabile di tabacco, irrita-

bilità, inquietudine, frustrazione, rabbia, difficol-

tà di concentrazione, riduzione del ritmo cardia-

co.

Con questa prerogativa, abbiamo intervistato gli

stessi studenti, i quali ci hanno fornito interes-

santi dati. Abbiamo chiesto loro se fumassero e,

se la risposta era affermativa abbiamo chiesto

loro perché.

Maria Chiara Pollicino II F

Tutto fumo e niente arrosto... Inchiesta tra i giovani del Maurolico. La sigaretta: perdita di tempo, vizio o piacere?

Raccolta dati e statistiche a cura di Maria Chiara Pollicino II F e Claudio Staiti III A

1212

“ Rinunciare alla sigaretta

scatena vere crisi di

astinenza: irritabilità, in-

quietudine, rabbia, difficoltà

di concentrazione, riduzione

del ritmo cardiaco.

“ Rodrigo de Jeréz,

un compagno di

viaggio di Cristoforo

Colombo, fu il primo

europeo a provare il

fumo personalmente.

Page 13: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

L ev Tolstoj, nell’articolo “Perché la gente si

droga?” scrive che se domandiamo ad un

fumatore per quale motivo abbia cominciato a

fumare il tabacco e lo fumi tuttora lui ci rispon-

derà che fuma «così, per noia, per piacere, per

stare allegri e poi tutti lo fanno». Ma allora ag-

giunge Tolstoj «così, per noia, per stare allegri,

dato che tutti lo fanno si può giocherellare con

le dita o fischiettare, o cantare canzoni o suona-

re il piffero e via dicendo, si possono cioè fare

cose che non comportino un evidente danno né

per noi stessi né per altri». Finora si è sempre

ritenuto che il fumo di sigaretta fosse un vizio. E

proprio questo affermano molti fumatori: «E’ un

vizio che quando voglio posso abbandonare».

Niente di più falso. Il fumo di sigaretta non è un

vizio, non è un’abitudine, ma una vera e proprio

tossicodipendenza, una malattia i cui terribili

effetti sono noti persino, e forse più, agli stessi

fumatori. «E la gente lo sa – scrive Tolstoj –

sicché non può esser vero che lo si faccia così,

per stare allegri». La ragione deve essere

un’altra e l’autore russo la trova nel «bisogno di

nascondere a se stessi le indicazioni date dalla

coscienza». Dentro ognuno di noi si

avverte la presenza di due esseri:

“l’essere cieco-animale” e “l’essere

spirituale”. Il primo percepisce la

realtà soltanto attraverso i sensi del

corpo e nutre gli appetiti e le esigen-

ze primarie dell’uomo; il secondo, a

cui diamo il nome di “coscienza”, ha il compito

di vagliare l’attività dell’essere animale e, se

questa discorda da lui, egli non l’approva. Cosa

può fare allora un uomo che abbia avvertito un

divario tra la propria coscienza e il proprio agire

animale? Potrà o adeguare le proprie azioni alle

indicazioni fornite dalla coscienza, oppure na-

scondere queste a se stesso, continuando a

vivere come se nulla fosse. Chi sceglie il primo

metodo, quello più difficile, troverà necessaria-

mente un solo modo per attuarlo:

“l’illuminazione morale”, il cambiamento e la

purificazione del proprio modo d’agire. Chi sce-

glie il secondo avrà di fronte a sé due possibilità,

una interiore ed una esterna. Quella esterna

consiste nell’occuparci di attività che possano

distogliere la nostra attenzione, ciò che Blaise

Pascal avrebbe chiamato “divertissement”, una

distrazione che consente all’uomo di non pensa-

re alla sua misera condizione, proprio perché

«gli uomini hanno la caratteristica di smettere di

pensare quando il pensare comincia a presenta-

re delle difficoltà» (Lessing). Il modo interiore

consiste invece nell’offuscare la coscienza stes-

sa; ed «è in questo – scrive Tolstoj – che risiede

la causa dell’universale diffusione dell’hashish,

dell’oppio, del vino, del tabacco, – aggiungerem-

mo noi del terzo millennio un’altra serie di dro-

ghe più o meno pesanti quali la cocaina,

l’ecstasy, la marijuana, la cannabis – non nello

svago, né nell’allegria ma nel bisogno di soffocar

la voce della coscienza, così da non vedere il

conflitto che vi è tra il proprio modo di vivere e

le esigenze della coscienza». E’ bene considerare

quali siano le circostanze in cui si avverte un

particolare bisogno di fumare e queste sono

quei momenti in cui la pigrizia mentale si impos-

sessa di noi, oppure l’ira e il senso di impotenza

di fronte a qualcosa di spiacevole ci attanaglia-

no. Qui Tolstoj fornisce degli esempi azzeccatis-

simi: «Me ne sto seduto da solo, non faccio

nulla, so che dovrei lavorare e non ne ho voglia,

e allora mi accendo una sigaretta e continuo a

restarmene lì, seduto. *…+ Sono irritato e dico a

una persona qualcosa di spiacevole, e so che

faccio male, e mi accorgo che dovrei smettere,

ma ho voglia di sfogare la mia irritazione, e così

fumo e continuo a irritarmi». Mi sono messo in

una situazione imbarazzante in cui ho agito male

e dovrei rendermi conto della situazione in cui

sono e magari rimediare ma non ho voglia di

rendermene conto e allora fumo;

sto perdendo a carte e fumo, litigo

con un amico e fumo, vado male a

scuola e fumo, sto discutendo e mi

rendo conto che io e il mio interlo-

cutore non ci capiamo, ma ho voglia

di continuare a dire tutto ciò che

penso e così continuo a parlare e nel frattempo

fumo. Chiunque senta di giovani vite stroncate

per l’abuso di alcool o per uso di sostanze stupe-

facenti rimane incredulo, attonito e finisce, co-

me d’obbligo, per condannare simili eventi. Ma

se destano così clamore e provocano un tale

sgomento l’uso di queste droghe e l’abuso

d’alcool tra i giovani, non lo fa, di certo con que-

sta imponenza, quello del tabacco che è pur

esso una droga a tutti gli effetti. E questo per la

sua apparente e momentanea innocuità (i primi

seri danni all’organismo umano si vedono solo

dopo qualche tempo, quando, sigaretta dopo

sigaretta, esso risulta già compromesso) ma

soprattutto per la facilità con cui si può fumare

oggigiorno in qualunque occasione. Il drogato e

l’alcolizzato suscitano ripugnanza e sbigottimen-

to, mentre l’uomo che fuma tabacco no. Anche

se questo, scrive Tolstoj, «quando si abbandona

alla propria passione, dimentica o disprezza le

più elementari esigenze del vivere in comune,

quelle stesse che egli pretende che altri rispetti-

no e che egli stesso rispetta in ogni altra circo-

stanza, quando la sua coscienza non è messa a

tacere dal fumo». Pone inoltre l’accento su un

aspetto problematico che, seppur ridimensiona-

to dalle più recenti leggi in materia del fumo, è

ancora oggi attuale; quello del fumo passivo, per

alcuni molto fastidioso ma per tutti di certo

dannoso: «Nessuno si permetterebbe di bagnare

il pavimento di una stanza in cui si trovino altre

persone, né di far chiasso, di far entrare aria

fredda o troppo calda o fetida, o commettere

atti che disturbino e arrechino danno ad altri.

Ma tra mille fumatori non se ne troverà uno che

si faccia scrupolo di soffiar boccate del suo fumo

malsano in una stanza la cui aria sia respirata in

quel momento anche da persone che non fuma-

no o magari da bambini». Capitava però ai tempi

dello scrittore russo e capita ancora adesso, che

all’accensione della sigaretta, precedesse, da

parte del fumatore, l’ipocrita (e retorica) do-

manda: «Non vi dispiace, no?» e Tolstoj chiosa

che «in questi casi è buona norma rispondere:

Oh, ma prego!». Ma se gli adulti possono far

finta di tollerare che si fumi in loro presenza, che

dire dei bambini a cui nessuno ha chiesto nulla?

Ma quand’è che i ragazzi cominciano a fumare?,

si chiede Tolstoj e risponde che lo fanno «quasi

sempre quando perdono la loro innocenza infan-

tile» e guarda caso coloro che riescono a smet-

tere di fumare lo fanno non appena vengono a

trovarsi in condizioni di vita più morali. Per tutti

gli altri la schiavitù al fumo continua e per loro

«non è la vita che si adegua alla coscienza, è la

coscienza che si adegua e si adatta alla vita». Il

filosofo Baruch Spinoza scriveva: «Una cosa non

è desiderata perché ritenuta buona, ma è ritenu-

ta buona perché desiderata». Se cesserà il desi-

derio della sigaretta, allora chi prima fumava

inizierà a guardarla con occhi diversi. Ma il desi-

derio potrà cessare solo se il tempo ed il denaro

spesi per il fumo verranno utilizzati per com-

prendere il terribile danno che esso causa. «Di

questo male si è ormai divenuti consapevoli –

scrive Tolstoj al termine del suo articolo – e

questa consapevolezza condurrà alla liberazione

degli uomini dall’uso delle sostanze inebrianti».

Quando lo scrittore russo Lev Nikolaevič Tolstoj

scriveva questa parole era il 10 Giugno 1890:

centoventi anni, evidentemente, non sono anco-

ra bastati…

Claudio Staiti III A

Il fumo? Abile modo per soffocar la voce della coscienza Questa la tesi di Tolstoj a proposito di una problematica snobbata, quella del tabacco

“ Gli uomini hanno

la caratteristica

di smettere di pensa-

re quando il pensare

comincia a presenta-

re delle difficoltà”

1313

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I l 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale

dell’Onu approva la Dichiarazione Univer-

sale dei Diritti Umani. I Paesi firmatari, scon-

volti dallo sterminio di milioni di ebrei, dalle

migliaia di vittime causate dalla bomba ato-

mica e dalla distruzione provocata dalla guer-

ra, assumono con un docu-

mento solenne l’impegno di

evitare che tali orrori si ripeta-

no e riconoscono l’universalità

dei diritti dell’uomo. È il terzo articolo di tale

dichiarazione a proclamare che “ogni indivi-

duo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla

sicurezza della propria persona”. Eppure,

secondo i dati forniti da Amnesty Internatio-

nal, sono ben sessantotto i Paesi che manten-

gono la pena di

morte, anche se il

60% delle condan-

ne ha luogo nella

moderna Cina e

negli industrializza-

ti Usa. Proprio

negli Usa, per e-

sempio, buona

parte dell’opinione

pubblica è favore-

vole alla pena di

morte e gli stessi

politici continuano

a presentarla come

l’unica soluzione per garantire la sicurezza dei

cittadini. Oltre un secolo fa, Lev Tolstoj, nel

saggio “Non posso tacere”, pubblicato contro

il dilagare delle condanne capitali in Russia,

scriveva, senza nascondere la propria indigna-

zione, che ciò che desta più scalpore è pro-

prio il fatto che «tutti questi crimini vengono

commessi con la pretesa che siano qualcosa

di necessario, di buono, di indispensabile, che

viene non soltanto giustificato, ma addirittura

appoggiato da svariate istituzioni». Ancora

oggi in Cina, soprattutto durante le cerimonie

pubbliche, è tradizione che scolari dai sei ai

sedici anni vengano accompagnati dai loro

maestri ad assistere all’esecuzione dei vari

condannati, come se si trattasse di una sorta

di rituale educativo. «Giacché», afferma sem-

pre Tolstoj, «sentendo parlare e leggendo

continuamente di queste orribili e inumane

brutalità commesse dall’autorità costituita,

cioè da uomini che il popolo è abituato a

ritenere i migliori della nazione, la maggior

parte dei mediocri, di coloro cioè che si dedi-

cano soltanto alle loro personali faccende – e

soprattutto i più giovani tra costoro – invece

di comprendere che quell’autorità non è de-

gna di alcun rispetto se compie azioni abiette,

fanno involontariamente il

ragionamento inverso: se

uomini rispettati – ragio-

nano costoro – fanno cose

che ci sembrano abiette, allora è molto pro-

babile che queste stesse cose non siano poi

così tanto abiette come sembrano». Chi è a

favore della pena di morte ritiene che un

assassino colpisca la società nel suo bene più

prezioso, che è la vita dei suoi membri e,

poiché l’interesse della società prevale sem-

pre sull’interesse del singolo, lo Stato può

condannare i delinquenti, agendo quindi per

il bene di tutti ed evitando che la pace sociale

sia turbata. Migliaia di assassinii che si ha la

pretesa, citando Tolstoj, «di giustificare con

svariati e stupidi rimandi a questo o a

quest’altro articolo che voi

stessi avete scritto nei vostri

stupidi e bugiardi libri, a cui

avete dato, per bestemmia, il

nome di leggi». Anche Cesare

Beccaria nel Settecento si schierò contro la

pena di morte, sostenendo che essa va rifiu-

tata perché incompatibile con il patto origina-

rio che sta a fondamento dello Stato: «chi è

mai infatti colui che abbia voluto lasciare ad

altri uomini l’arbitrio di ucciderlo?». E soprat-

tutto in coloro che si allontanano dal patibo-

lo, «recandosi alle loro abituali occupazioni

con nell’animo la consapevolezza d’aver por-

tato a termine coscienziosamente un compito

gravoso, sì, e tuttavia necessario», non sorge

mai il dubbio di aver potuto sbagliare? Di aver

condannato un innocente? A tal proposito

Tolstoj ricorda che «tutti gli uomini sono uo-

mini, che tutti noi siamo deboli, che sbaglia-

mo tutti, e che un uomo non può, perciò,

condannare un altro». Il fine dell’uomo infatti

non è quello di torturare o uccidere altri uo-

mini e convincersi che «col vostro prendere

parte a queste cose voi fate qualcosa di im-

portante, di grande per il bene di milioni di

persone». Lo scrittore Italo Calvino in un sag-

gio pubblicato nel 1981 scriveva: «Il problema

morale per me è che se mi pronuncio per la

pena di morte, auspico che alcune persone,

volenti o nolen-

ti, si dispongano

in un plotone,

alzino il fucile,

mirino e sparino

su un bersaglio

umano. Per

essere coerente,

nel momento in

cui mi convinco

che la pena di

morte è neces-

saria, dovrei

c h i e d e r e

l’iscrizione a un

corpo di esecutori materiali della condanna».

La vita è un bene che non può essere ceduto

ed un diritto che non può essere discusso. Lo

Stato è nato per difendere questo diritto e

non può violarlo senza contraddire la sua

stessa natura. Inoltre, i dubbi sul reale potere

della pena capitale sono tanti: non si registra-

no infatti diminuzioni dei cri-

mini più efferati nei luoghi in

cui essa vige. Quindi, come

asserisce con forza Tolstoj,

rivolgendosi alle autorità:

«Smettete di farlo, e non per voi stessi, non

per la vostra persona, e nemmeno per gli

uomini, né perché gli uomini smettano di

condannarvi, ma per la vostra anima, per quel

Dio che, per quanto voi tentiate di soffocarlo,

vive in voi».

Angela Russo III A

“ Ogni individuo ha diritto alla

vita, alla libertà ed alla sicu-

rezza della propria persona”

La vita: diritto inalienabile Perché la pena di morte non può e non deve essere strumento punitivo di legge

“ Lo Stato è nato per difen-

dere questo diritto e non

può violarlo senza contraddi-

re la sua stessa natura”

1414

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Benedetto XVI a Palermo Il forte messaggio del Santo Padre ha trasmesso ai giovani una speranza in più per un rinnovamento

“S ignore, accresci la nostra fede”.

Questa frase presente nella lettura

evangelica, dove i discepoli chiedono a Gesù

“non doni materiali, né privilegi, ma la gra-

zia della fede, che orienti e illumini tutta la

vita”, rappresenta il messaggio principale

che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto

trasmettere ai giovani nella sua prima visita

pastorale in Sicilia, a Palermo, il 3 ottobre.

Le sue parole ricche di fiducia e di speranza

hanno reso la sua visita, a mio giudizio, co-

struttiva e formativa e hanno aperto a noi

giovani non solo gli occhi per vedere e sco-

prire quanto ancor di più sia prezioso il rap-

porto con Dio, ma anche e soprattutto il

cuore per poter vivere, tutti insieme, più

profondamente il nostro essere cristiani e il

nostro essere “servi di Dio”. Egli è giunto

sulla sua Papamobile al Foro Italico, dove ha

celebrato la Santa Messa, accolto da mi-

gliaia di giovani festanti, convenuti a sentire

e fare tesoro del suo messaggio. Si poteva

rimanere fortemente colpiti dalla loro nu-

merosa presenza, ma soprattutto dall’aria di

festa e di gioia che si respirava con giovani

che cantavano e suonavano. Prima di inizia-

re la celebrazione gli interventi

dell’arcivescovo di Palermo e del Sindaco

hanno messo in evidenza la situazione di

grande difficoltà e le grandi ferite che carat-

terizzano la Sicilia. A ciò si ricollega l’omelia

pronunziata dal Santo Padre, infatti egli ha

deciso di venire proprio in Sicilia, una regio-

ne -come egli stesso ha ricordato- “in condi-

zioni di precarietà a causa della

mancanza del lavoro,

dell’incertezza per il futuro,

della sofferenza fisica e mora-

le” e “della criminalità organiz-

zata”, per incoraggiare i giovani, che rappre-

sentano la speranza per una rinascita, a

“non aver paura di testimoniare con chia-

rezza i valori umani e cristiani”, ma anche

per far emergere il volto autentico e vero di

questa terra caratterizzata da valori, quali

“la capacità di donazione e di solidarietà

verso gli altri, specialmente verso i sofferen-

ti, e l’innato rispetto per la vita, che costitui-

scono una preziosa eredità da custodire

gelosamente e da rilanciare ancor più ai

nostri giorni”. Il Pontefice, inoltre, si è volu-

to proprio soffermare su un concetto chiave

per il nostro vivere da cristiani: che la strada

di un rinnovamento è possibile solo se ci si

pone con umiltà, proprio come Gesù ci ha

insegnato, nei confronti degli altri e soprat-

tutto di Dio animati da una forte fede. Egli

ricorda, infatti, come “accettare e fare la

volontà del Padre sia l’atteggiamento da

avere ogni giorno, in ogni momento della

nostra vita” e che “non siamo creditori nei

Suoi confronti, ma siamo sempre debitori,

perché dobbiamo a Lui tutto, perché tutto è

Suo dono”. Da qui bisogna partire per guari-

re il volto di una terra ormai lacerato so-

prattutto dalla mafia di cui i giovani rappre-

sentano ormai l’unica cura, i quali, incorag-

giati dalle parole del Papa, non devono ver-

gognarsi di compiere il bene, ma solo di

commettere il male, ciò che offende Dio e

l’uomo. Proprio la

mafia è stata centrale

come concetto. Ci si

aspettava da Bene-

detto XVI un attacco

proprio come il suo predecessore Giovanni

Paolo II, e questo attacco è arrivato. La ma-

fia è stata definita “strada di morte e incom-

patibile con il Vangelo”, vista, quindi, come

civiltà di morte contrapposta alla civiltà

della vita, fondata da Cristo, e bisogna im-

pegnarsi nel combatterla prendendo come

esempio le nobili figure di Don Pino Puglisi,

grande maestro di vita, Giovanni Falcone e

Paolo Borsellino, che, per questo loro impe-

gno, hanno perso tragicamente la vita, ucci-

si brutalmente. Lo stesso Benedetto XVI

sulla via del ritorno ha sostato a Capaci per

ricordare la tragica strage con una preghiera

e deponendo un fascio di fiori. A Piazza Poli-

teama si è svolto un incontro pomeridiano

tra i giovani e il Papa. Anche lì vi era

un’atmosfera di grande allegria e conten-

tezza, mai provate prima, costellata da un

grande numero di giovani presenti, che

riempivano la piazza dovunque, e che tutti

insieme festeggiavano, gioendo attraverso i

canti del coro e i balli eseguiti prima

dell’arrivo del Pontefice. Il suo arrivo ha

suscitato così grande felicità che tutti si

sono precipitati verso di lui e le sue parole

hanno trasmesso una speranza in più per

cui lottare. Proprio nel discorso pomeridia-

no il Papa, visibilmente commosso, ha rin-

graziato i duecentocinquantamila giovani

accorsi per avergli donato un’immensa gioia

che proviene dalla loro solida fede, quella

fede che appunto lo stesso Pontefice è ve-

nuto a trasmettere e della quale lo stesso ha

trovato conferma. Il Santo Padre ha ricorda-

to che bisogna prendere come modelli di

vita le figure di tanti giovani, egli ha citato

la beata Chiara Badano, una ragazza che è

morta a causa di una malattia alla giovane

età di diciannove anni, ma la cui vita rappre-

senta un esempio di luce e d’amore verso gli

altri e verso Dio. Solo con “le radici affonda-

te in un terreno ricco di sostanze nutritive

quali la fede e l’amore”, i giovani possono

rappresentare la svolta positiva. Infatti, essi

vengono visti come “una foresta, che, nono-

stante cresca silenziosamente, porta frut-

to”; ciò significa che, nonostante le loro

azioni di bene non facciano scalpore, dal

momento che “il male fa più rumore”, sono

comunque fonte di speranza e di rinascita

non solo per la Sicilia ma per l’Italia e per il

mondo. Chi ricopre un ruolo fondamentale

nella formazione morale e religiosa dei gio-

vani è proprio la famiglia, definita “Piccola

Chiesa”, che li aiuta a germogliare per di-

ventare delle piante belle e rigogliose. Al

termine del suo discorso, questo incontro è

stato reso ancor più bello dall’intervento di

due giovani, i quali hanno espresso, per un

futuro di pace, il forte bisogno di rinnova-

mento e di cambiamento di una realtà di-

ventata troppo dilaniante e insostenibile a

causa soprattutto della già ricordata mafia.

Queste sono le esperienze che cambiano la

vita, ed è certo che il Santo Padre va via da

Palermo con una fiducia ancora maggiore

nei giovani.

Antonino Cincotta III F

L a mafia è stata definita “strada

di morte e incompatibile con il

Vangelo”, civiltà di morte contrap-

posta alla civiltà della vita.

1515

Il Santo Padre Benedetto XVI a Piazza Politeama

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"O gnuno di noi indossa una maschera",

diceva il letterato e premio Nobel

Luigi Pirandello, una per ogni particolare si-

tuazione che ci troviamo ad affrontare. Ma,

prima e dopo di lui, filosofi e psicologi si sono

da sempre interrogati sulle varie sfaccettature

della personalità umana: si sono chiesti per-

ché un uomo solo contenga in sé una miriade

di abilità e sentimenti diversi, perché riesca a

distinguersi da tutti gli altri animali e fin dove

possa spingersi nella conoscenza. Addirittura,

si è arrivati persino alla conclusione che

l’animo umano sia irrimediabilmente diviso in

parti caratterialmente diverse, quasi a rende-

re ogni individuo in costante lotta con se stes-

so; contro ciò che è e ciò che, invece, appare.

Già, essere ed apparire, un bel dilemma. Sce-

gliere se sia meglio costruirsi un personaggio

perfetto ed interpretarne il ruolo ogni singolo

giorno della nostra esistenza, spesso a discapi-

to dei più ingenui, oppure, senza indossare

alcun travestimento, offrirci al mondo intero

per come siamo realmente. Certamente tutti

noi, da buoni paladini della giustizia, preferi-

remmo che tutti si mostrassero nella loro

integrità, con i propri pregi e difetti, portando

avanti i propri ideali e combattendo i malvagi,

ma parlare è molto più facile rispetto a mette-

re in pratica tutte queste buone intenzioni. I

rischi da correre sono tanti ed ognuno, in fin

dei conti, sceglie di agire per come meglio gli

conviene. Anche il Manzoni lo diceva, Don

Abbondio "s’era dunque accorto *…+ d’essere,

in quella società, come un vaso di terra cotta,

costretto a viaggiare in com-

pagnia di molti vasi di ferro."

Insomma, il curato era fin

troppo fragile per vivere in

una condizione così difficile

quale era quella del suo tem-

po, ed aveva bisogno di intra-

prendere scelte che lo aiutas-

sero a nascondere quella sua

debolezza, aveva bisogno

anch’egli di una bella ma-

schera. Don Abbondio sarà

pur sempre un’invenzione

manzoniana, ma esprime alla

perfezione il concetto che porto avanti

dall’inizio del discorso. In fin dei conti, si fa

sempre ciò che meglio conviene, e sarebbe

anche stupido il contrario, ma la vera astuzia

sta nel porre un limite al nostro personaggio,

farlo uscire un attimo dalle scene, ritoccare

quell’indispensabile copione, per non cadere,

poi, in una vergognosa ipocrisia. Persino Dan-

te li condannava, gli ipocriti, a patire le pene

dell’Inferno; coloro i quali simulano schifosa-

mente una bontà d’animo immane, per poi

dimostrar d’essere i peggiori di tutti. Manipo-

lano, o perlomeno tendono a farlo, gli eventi

che capitano loro sotto mano, riuscendo ad

essere gli ultimi giudicati colpevoli. Assistiamo

spesso ad eventi simili; per-

sone che non riescono, nem-

meno per un attimo, a tenta-

re di costruirsi una propria

vita, che sono lì a succhiare

come parassiti quelle degli

altri, decidendo per loro.

Questo perché, magari, den-

tro di loro, inconscio e sub-

conscio si scontrano e si

uniscono per dar forma ad

una particolare personalità

che non riesce a bastarsi da

sola. Forse i filosofi non han-

no tutti i torti, forse c’è davvero una regione,

seppur minima, nella psiche umana, che pre-

vale, inconsapevolmente, e decide quali siano

i comportamenti migliori da far seguire

all’individuo. E, forse, tenere sul viso una ma-

schera, che più si appesantisce più noi tentia-

mo di adattarla falsamente alla nostra carne,

è davvero necessario, se si vuole sopravvivere.

Sophia Sorrenti II F

Siamo tutti ipocriti? (!)

A udrey Hepburn icona di stile in ogni

tempo, simbolo della bellezza femminile

che, pur non rispecchiando lo stereotipo di

maggiorata (in effetti non aveva nulla di mag-

giorato se non il trucco) im-

perante nella sua epoca, si

afferma per la sottigliezza del

corpo dalle forme non trop-

po accentuate, per la docilità

dello sguardo allungato da

una dose, oserei dire, (in)

consistente di mascara, per

uno chignon posticcio incoro-

nante il fresco volto, per la

raffinatezza degli abiti. In-

somma per la sua bellezza

acqua e sapone. E non crede-

vo possibile prima di oggi,

che sarei mai giunta a dover ammettere

quanto meritevole di ricordo sia Audrey He-

pburn non tanto per le sue indiscutibili (?)

doti di attrice, quanto per l'espressione di

eleganza che vale al business, nato intorno

alla sua figura, chissà quanti verdi dollaroni.

Quale ragazza, d'altronde, non ha mai sogna-

to di indossare il diadema ed

il tubino che ostentava con

la decisione imperiosa di

una dea in "Colazione da

Tiffany"? Chi, mi domando,

non ha mai provato a fare

sbattere le ciglia come solo

lei con artificiosità sublime

era capace? La natura attra-

verso Audrey si è manifesta-

ta con la massima naturalez-

za. E come dimenticarla poi,

nel film che le è valso un

Oscar "Vacanze romane" o

in "Sabrina", sempre squisita in ruoli cuciti ad

arte solo per lei, dove sguardi languidamen-

te austeri potevano sconvolgere uomini e

donne deliranti (di stupidità). Io, dal canto

mio, posso solo desiderare(!) vanamente(!) di

diventare come lei, atteggiandomi con modi

regali, evitando un linguaggio poco consono

a persone eleganti e soprattutto acquistando

abiti simili se non del tutto uguali a quelli che

lei abitualmente portava, che, come usano

fare le persone nobili d'animo, nascondeva-

no le sue forme prorompenti per evidenzia-

re, invece, la serenità del suo volto fanciulle-

sco di trentenne. Peccato che, per quanto io

tenti, sarò sempre artefatta più di quanto lo

fosse lei nell'interpretare, in ogni occasione

davanti ad una macchina fotografica o ad una

da presa, seguendo logiche di mercato note

anche ai non addetti ai lavori, il ruolo della

fanciulla acqua e sapone dalla regalità inequi-

parabile che l'ha consacrata all'altare del

divismo per molto altro tempo ancora.

Claudia Santonocito III F

Lo stile di Audrey Hepburn come esempio per le giovani e belle ragazze

Maschere e attori nella vita umana

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D esidero, prima di tutto, rivolgere un saluto a

tutti gli alunni del nostro Liceo, ai redattori e

collaboratori del nostro KOINE’, che contribuisce

all’approfondimento di tematiche inerenti alle

problematiche del nostro tempo e all’attività di-

dattica della nostra Scuola, assumendo così grande

importanza per la formazione culturale e morale

dei nostri giovani. All’inizio del nuovo anno scola-

stico, faccio l’augurio a tutti, perché possano af-

frontare con entusiasmo e serietà lo studio delle

varie discipline, che arricchirà le loro conoscenze e

maturerà il loro pensiero in vista delle scelte futu-

re e dell’inserimento nell’ambito professionale e

civile. Su sollecitazione dei direttori del nostro

giornalino scolastico, vorrei, quest’anno, riprende-

re la mia partecipazione con riflessioni sul pensiero

filosofico di L.A. Seneca, nato a Cordova, nel 4 a.C.,

morto a Roma suicida per ordine di Nerone, nel 65

d.C., per il sospetto di aver partecipato alla congiu-

ra dei Pisoni. Mi soffermerò su alcuni temi che lo

pongono vicino al pensiero cristiano, tanto che si

ipotizzò una corrispondenza epistolare tra lui e S.

Paolo, nell’ultimo periodo, in cui questi si trovava a

Roma. Le presunte lettere paoline, trasmesse a

noi, sono 14. S.Gerolamo, nel prologo del De viris

illustribus, XII, ritiene che Seneca è da porre “in

catalogo sanctorum”, proprio per queste lettere

che venivano lette da moltissimi. Le Epistulae,

tuttavia, hanno la loro composizione nel IV sec., ed

esprimono il tentativo di conciliare le posizioni

della nuova fede con quelle della cultura pagana,

di cui uno dei più illustri rappresentanti è appunto

Seneca. Il filosofo è da inserire nell’ambito dello

stoicismo romano, che fa risaltare gli aspetti mora-

li e religiosi. Esso, infatti, da’ rilevanza

all’introspezione, poiché è saggio colui che è auto-

sufficiente e ritrova da sé la verità. Per conoscere

la divinità, il saggio deve guardare dentro di sé. Il

ritorno dell’uomo a se stesso è il tema maggior-

mente trattato dagli stoici romani e sarà centrale

nella filosofia neoplatonica. Anche Sant’Agostino

(354-430) nelle Confessiones rileva l’importanza

dell’interiorità dell’uomo, dove “risplende ciò che

nessuna distesa di luoghi può abbracciare, dove

risuona ciò che il tempo non può rapire, dove si

effondono profumi che il vento non disperde, dove

si gustano sapori che nessuna voracità sminuisce e

dove rimane stabile quello che la sazietà non può

togliere” (X, 6-8). Questa “pulchritudo” è dentro di

noi. La verità è dentro l’uomo. Sul binomio aeter-

num-internum, si sviluppa il pensiero filosofico-

teologico agostiniano di derivazione socratica

come, in parte, quello senecano. Quanto, poi, al

concetto di anima, Seneca si rifà alla dottrina pla-

tonica nel distinguere una parte razionale da una

irrazionale, che, a sua volta, è divisa in irascibile,

ed è alla base delle passioni, e in concupiscibile,

che sprona al piacere dei sensi. Anche Seneca,

come Platone, ritiene il corpo materiale come

prigione dell’anima, per cui il giorno della morte è

considerato come nascita eterna dell’anima

(“aeterni dies natalis”, CII, 26, Ep. M.). Un altro

concetto fondamentale, che lo avvicina alla dottri-

na cristiana, è la parentela universale fra gli uomi-

ni, poiché essi sono visti come “membra…corporis

magni” (XCV, 52, Ep. M.). Anche S. Paolo si espri-

me con una terminologia simile, che contiene,

però, un significato diverso, poiché fa riferimento

al Corpo mistico di Cristo, alla Chiesa (“Sicut corpus

unum, membra multa, ita et Christus”, Cor. 12,12).

Seneca, valorizzando il sentimento universalistico

e cosmopolita, accentua l’unità dei membri

dell’universo e la solidarietà della fratellanza uma-

na, e supera così l’isolamento dell’uomo dal conte-

sto naturale e civile, visto, invece, come causa

degli affanni e delle passioni dallo stoicismo greco,

che sostiene il conseguimento dell’apatheia. Inol-

tre, Seneca esorta Lucilio (procuratore imperiale in

Sicilia) ad essere solidale con gli uomini nel dolore

e nella gioia (CIII, 3-4), pensiero che richiama quel-

lo paolino nella lettera ai Romani, 12,15, “Gaudere

cum gaudentibus, flere cum flentibus”. Un altro

accostamento alle posizioni cristiane, in Seneca,

concerne la schiavitù, molto praticata nel mondo

antico, perché l’economia del tempo si basava

ampiamente su di essa. Seneca, nell’Ep. 47 del L. V,

si congratula con Lucilio perché tratta i suoi schiavi

“familiariter”, con affabilità. Seguono, poi, con

un’incalzante anafora, in forma epigrammatica,

affermazioni che mettono in risalto il suo pensiero

stoico contrastante con quello diffuso nel suo

tempo. Ponendo un dialogo con un immaginario

interlocutore, così egli risponde all’affermazione

“Ma sono schiavi”, “No, sono uomini”, “Immo

homines”; compagni della stessa abitazione, amici

“Immo contubernales, immo umiles amici”. Nel

seguito della lettera, Seneca si sofferma sul tratta-

mento disumano e crudele da parte dei padroni e

lo critica aspramente. Verso la conclusione sostie-

ne che la libertà vera non è quella che il destino ci

assegna, ma quella che si fonda sul dominio delle

passioni; questa ci libera dalla schiavitù della lussu-

ria, dell’avarizia, dell’ambizione, del timore (17).

Anche S. Paolo, nella lettera a Filemone, esorta ad

accogliere Onesimo, non più come schiavo, ma

come fratello carissimo (15-16). Sono queste

concezioni ed affermazioni rivoluzionarie, se si

considera il contesto storico-sociale del tempo,

che daranno inizio ad una nuova visione dell’uomo

e della società con sviluppi futuri, che sono alla

base della nostra cultura e sensibilità.

prof. Raffaele Talotta

Lucio Anneo Seneca e San Paolo Analogie e somiglianze espressive, con significati e sviluppi diversi, tra pensiero pagano e cristiano

Peter Paul Rubens, Ritratto di Seneca Andrej Rublëv, Icona di San Paolo

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Shakespeare, un giorno d’autunno... E ra già il mattino quando Amleto s’alzò

dal letto; non perse tempo, si vestì,

ripassò a mente qualche battuta, cosicché

nessun particolare dimenticasse, e uscì di

casa. L’aria era tersa e nessuna macchia

d’autunno indeboliva le strade, risparmiate

dalla non ancora presente pioggia

d’ottobre, nessun grigiore tingeva le fronde

degli alberi che costeggiavano entrambi i

lati della via.

Poi un impeto, un tempestoso furore straziò

le sue facoltà mentali: decise di prendere il

primo vicolo a sinistra, sul quale s’ergeva un

ponte; s’incamminò e fu in mezzo.

Il fiume che scorreva fluiva

increspando con volute e

spirali le acque stagnanti,

che assumevano il tenue

colore delle gemme prima-

verili; s’affacciò al muric-

ciolo, e con loquace silen-

zio contemplò quel mite

serpente smeraldo di cui

non scorgeva che una pic-

cola parte, terminante con

un repentina curva a po-

nente.

Percorreva quello stesso

ponte una losca figura,

nera in volto e dagli occhi

di giada; camminava avvolta da una giacca

nera dal colletto rialzato, la chioma

d’ebano, le mani nelle tasche, come a fuggi-

re dal freddo incalzante delle prime ore

dopo l’aurora.

Iago procedeva con passo incombente,

squadrando infingardo chi appresso a lui

procedeva; il suo sguardo e quello d’Amleto

s’incontrarono, e trovarono tutto fuorché

requie; l’astuta mente veneziana scontrava-

si con l’elucubrante principe danese, e si

sarebbero potute sentire le turbe dei moti

collerici, se gli uomini avessero posseduto le

facoltà superiori dovute solo agli dèi.

La nera maschera proseguì la sua via, e si

perse tra i guardiani cipressi.

Ma qualcun altro veniva avanti, sull’arco di

pietra: una donna, dalla lunga chioma, dai

neri occhi, dalle leste gambe; Ermia dal pas-

so di fata balzava gaudente sul ponte, e

dietro di lei giungeva gagliardo Lisandro,

trasportato da effluvi di dorata passione.

Egli la raggiunse, la cinse a sé, e il loro ab-

braccio fu suggellato dalla chiusura delle

porte che spirano verbi e baci.

Amleto ritornò sui suoi passi, e all’inizio

dell’arcata trovò giacente su un albero un

ragazzo, placido nell’espressione di beata

mestizia; il braccio giaceva in fuori, e pian

piano aprì le palpebre per manifestare infi-

ne al mondo la sua essenza: era Ariel.

Si svegliò quietamente sollevando le brac-

cia, accennando un dolce sorriso al confu-

tante Amleto, che intanto avanzava.

D’un tratto un riso soave lo percosse: chi

era mai il fautore di tale gaiezza che si span-

deva per l’aria? Ah! Dèi! Ma era Puck! O

Robin Goodfellow, che dir si voglia. Lo spi-

gliato cantore di trucchi e magie correva

come un fanciullo che abbia veduto una

lepre sfuggire alla sua presa; i grossi riccioli

rossi che incorniciavano il suo capo di bam-

bino incarnavano l’eco dei passi frettolosi e

giocondi. E andò avanti, finché non disparve

dietro uno dei tanti alberi che costellavano

quei viali infiniti.

La previa allegria d’Amleto, generata dalla

presenza di quel giovane discolo d’un follet-

to, mutò in un mesto compianto, poiché

davanti a sé era la figura d’un vecchio: ap-

poggiava quel rapsodo di tempi passati le

mani alla parete presso il marciapiede, e dai

suoi occhi cadevan giù gemme perlacee, o

nel linguaggio corrente lacrime. Alcuni

l’avrebbero detto morente, altri portatore

d’un male incessante, ma tutte queste ap-

parenze andavano sotto il nome di Shylock;

l’ebreo cristiano spirava rotti fiati dalla boc-

ca, spezzata dai singulti, inerme e costerna-

to dalle tante atrocità ed ingiustizie subite.

Accanto a lui, venivano due uomini, entram-

bi compagni fidati d’un amore fraterno:

erano della stessa stirpe di quel veneziano

impero che nei recessi del sedicesimo seco-

lo regnava nel Mediterraneo e nel mondo

come portatore della bellezza italica. Anto-

nio e Bassanio guardavano con amarezza la

disgrazia ferire le gote ormai sepolte nella

tristezza più acuta di Shylock, andando per

la loro via.

Giaceva per terra una donna, inquieta, scon-

volta, dall’aspetto felino e onirico; la signora

Macbeth sfregava le unte

mani scarlatte, e a tratti

volgeva il capo in alto, a

squadrare con erinnica

ferocia i passanti.

E quale coronamento

d’amor supremo veste le

carni se non quello di

due amanti, gioiosi del

suggello di passione e

mesti del tormento di

dolore, che la bella Vero-

na infonde loro? Giulietta

e Romeo, l’usignolo e

l’allodola del mattino, si

donavano sospiri

d’amore e liriche di nostalgica felicità.

Videro Amleto, e su di lui posero

l’attenzione, come a rimembrare qualcuno

che già aveva calpestato le brune assi del

loro palcoscenico; ancor per poco indugiaro-

no, poi un sorriso si dipinse sui loro visi, e da

lì essi disparvero. Non v’era più alcuno di

coloro precedentemente narrati, né placidi

spiriti dell’aria né giocondi esseri fatati; solo

il vento d’autunno agitava le foglie sul prato

di marmo. Amleto non poteva più indugiare:

dopotutto, anch’egli aveva una parte da

recitare.

Quietati, lettore, la lista è ancor più lunga di

quel che credi; ma costoro son solo una

piccola parte delle maschere che attorno a

noi vivono e contemplano. In fondo ad o-

gnuno è data una parte, e ad ognuno è dato

di recitarla.

Antonio Zaccone III F

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È il sito di condivisione di video più famoso,

il terzo sito web più visitato al mondo

dopo Google e Facebook, con ben 100 milioni

di visualizzazioni di video al giorno, 65.000

nuovi filmati caricati ogni 24 ore: stiamo par-

lando di YouTube. Digitando il link di questo

sito su internet, ecco apparire un mondo

pieno di video di ogni tipo: dalle puntate di

molte serie televisive a video musicali di can-

tanti pop, da concerti per pianoforte a corto-

metraggi morali, fino ai video umoristici, per-

formance di musicisti in erba e molto altro

ancora. Purtroppo, come ben sappiamo, You-

Tube è anche molto criticato tra la popolazio-

ne mondiale per i suoi contenuti non sempre

apprezzabili, e anzi a volte immorali e turpi: si

pensi ad esempio ai famosi casi di esempi di

bullismo “sbattuti” sul web, con atti

assolutamente inaccettabili, oppure

alle molte e molte volgarità, più o

meno spinte, messe in bella mostra

anche per i più piccoli, in video privi

di alcun gusto o sensibilità. Per non

parlare poi dei cattivi esempi che

alcuni filmati possono dare: stiamo

parlando di fumo e alcol principal-

mente, ma anche di droga e corse

sfrenate e pericolosissime su moto

dal motore “truccato” (che permet-

te cioè di viaggiare a velocità oltre i

100 Km/h illegalmente). Questi sono

solo alcuni dei problemi legati a YouTube, ma

ce ne sono parecchi altri, come il pericolo

privacy. Tuttavia questo articolo esiste pro-

prio per convincervi che, se è vero che su

YouTube c’è molta robaccia, come ad esem-

pio la chissà-perché-rinomata “Gemma del

sud”, d’altra parte si possono trovare esempi

di vera e propria Arte. Sì, proprio così, perché

a mio parere i video negativi o stupidi ci sono,

ed anche numerosi, ma questo non vuol dire

che siamo costretti a guardarli: importante è

invece valorizzare i lavori di chi mette impe-

gno, dedizione, fantasia, morale in quello che

fa e nella fattispecie in quello che filma. Da

qualche mese sono entrata anch’io nel

“pericolosissimo” mondo di YouTube e ovvia-

mente non per proporre robaccia. Il mio sco-

po, come anche quello di molti altri utenti, è

quello di caricare video che possano essere

apprezzati, nel mio caso per il livello umoristi-

co al loro interno. Devo ammettere che un

pizzico di ambizione c’è: chi di noi non vor-

rebbe essere una web star con milioni e mi-

lioni di visualizzazioni per i suoi video e tanti

apprezzamenti, come ad esempio il mitico

willwoosh? In fondo provare e sognare non

costa nulla, no? Non pensate che realizzare

un video di 10 minuti da poter mettere su YT

sia semplice: ve lo dico per esperienza perso-

nale. Per crearne uno si necessita di varie

qualità, a seconda del video: fantasia e con-

vinzione in primo luogo, più o meno tempo

per girare le scene, scenografie e colonne

sonore e, perché no, anche coreografie, una

buona dose di pazienza quando “quella male-

detta scena proprio non riesci a farla” o

“quella cavolo di battuta non ti entra in te-

sta”, una bella dose di disinvoltura con uno o

più programmi di montaggio (Pinnacle, Movie

Maker...), infine alcuni trucchetti del mestiere

che si imparano solo con la pratica, come

metodi per rendere più “leggeri” i video crea-

ti o per aggiungere determinati effetti audio

o video. Vi posso dire che girare è la cosa più

divertente, soprattutto se lo fai con un vero e

proprio cast: il lavoro di squadra aiuta ai fini

della realizzazione ed in più risate e papere a

bizzeffe sono assicurate, anche se ad un cer-

to punto può anche essere stancante provare

e riprovare, soprattutto se si presentano

inconvenienti quali, ad esempio, mancanza di

luce solare o pioggia. Una volta pronto e con-

fezionato il “pacchetto-video”, dopo giorni se

non settimane di lavoro, ecco il momento di

caricarlo su YouTube, procedimento spesso

abbastanza lungo. Dopo, non resta che pub-

blicizzare un po’ il tuo canale, chiedere agli

amici di visitarlo e cercare di aumentare il più

possibile il numero di visualizzazioni per vide-

o. Vedere commenti sotto le tue creazioni, o

pollici in su (simboli ovviamente di apprezza-

mento) è davvero una sensazione gratifican-

te. Allora vi chiedo, il lavoro di cui vi ho parla-

to ha forse qualcosa di sbagliato? Mettere

impegno, fantasia e dedizione in un concen-

trato di 10 minuti di scene è forse negativo?

Un’altra domanda: solo perché qualche inet-

to idiota mette in bella mostra qualcosa di

negativo, bisogna condannare un sito che ti

permette di mostrare al mondo qualcosa di

te, di esprimerti attraverso la tecnologia dei

video, di creare qualcosa di, a mio avviso,

“artistico”, di cimentarti come attore, regista,

scenografo, coreografo o anche solo camera-

man? Inoltre, c’è forse qualcosa di male nel

voler arrivare agli occhi e al cuore della gente,

emozionandola, donandole una sana

risata oppure esprimendo le proprie

opinioni? Dunque un invito a tutti

voi: guardate il lato costruttivo e

positivo di YouTube, non quello fatto

di, passatemi il termine, schifezze.

Valorizzate la fantasia e la dedizione

di ragazzi e adulti che mettono a

disposizione la propria bravura e si

aspettano di essere giudicati. Infine

vi propongo, giacché il Koiné è un bel

mezzo di comunicazione e giacchè

vorrei dimostrarvi in pratica ciò di cui

vi ho parlato, di visitare il canale YT

del mio “gruppo”: il nick è “MegaGiggle90” e

vi consiglio vivamente il video “Mi sdirrupai-

parodia innocence” (un concentrato di comi-

cità e musica!) e anche gli altri video, che

sono molto gradevoli, garantito da Silvia.

Inoltre vi consiglio i “Fantasy Corporation”

(tra i cui maggiori esponenti figura il mio

compagno Giuseppe Cucè) con i loro corto-

metraggi morali dal titolo “Approfittane”, il

video che ha vinto il secondo posto al Contest

Visiva durante la seconda edizione della

“Notte della Cultura di Messina” 2010, e

“Boycott coca cola company”. Infine vi dico

sinceramente che ho provato il ruolo di attri-

ce, regista, scenografa, sono stata spesso al

montaggio e alla camera e… vi assicuro che è

molto divertente!

E allora Buona visione e, se decidete di ci-

mentarvi in questa attività, buon lavoro!

Silvia Cavalli I F

YouTube: robaccia o arte?

1919

Occorre valorizzare il lato costruttivo di questo potente mezzo di comunicazione

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• Quando e dove hai scoperto il

tuo amore verso il canto ma anche

verso la recitazione?

Sembrerebbe retorica come rispo-

sta, ma la passione verso il canto è

nata da bambino: ho iniziato a

studiare pianoforte quando avevo

sette anni e poi a dodici anni circa

sono entrato al conservatorio,

cinque anni di studi di pianoforte,

continuando comunque sempre a

canticchiare.

• Dopo la maturità, conseguita al

liceo scientifico “Archimede” di

Messina, hai deciso che la tua

passione per il canto sarebbe dive-

nuta una professione. Quali sono

stati i passi significativi che ti han-

no condotto al successo?

Verso i 18 anni, ho deciso di farmi

ascoltare da un maestro di canto,

il maestro Antonio Bevacqua,

tenore che ha fatto una bella car-

riera e che adesso è in pensione.

Mi ha detto che avevo delle grandi

possibilità ed io, strafelice, ho

studiato tanto. Ho iniziato a fare

qualche apparizione nel teatro

lirico, ma la grande occasione,

dopo aver cantato in vari gruppi

locali, è arrivata con “Notre Dame

de Paris”, quando ho fatto

l’audizione nel giugno del 2002 a

Messina. Non è stato facile ottene-

re la parte... Ho fatto un anno e

mezzo di tour, per poi rifarlo nel

2005 e nel 2007 nelle vesti

dell’arciprete Frollo.

• Hai dovuto, all’inizio, affrontare

qualche ostacolo?

Ostacoli sì, ma non da parte della

mia famiglia, perché da loro sono

stato sempre spalleggiato. Ho

fatto tante audizioni in cui ho

ricevuto porte in faccia, come

tutti. Tanta gavetta: ho cantato

molto nei pub, nelle piazze, un po’

ovunque.

• Hai parlato di una lunga gavetta

prima di arrivare al successo na-

zionale. Come giudichi i nuovi

artisti del panorama musicale

italiano odierno che sono emersi

dopo poco tempo grazie a qualche

fortunato talent show? Per loro la

gavetta non è esistita…

Non posso giudicarli male o bene,

sarà il palco a dimostrare quello

che valgono. Ognuno di noi vale

ma si deve sempre dimostrare in

scena quello che si è e quello che si

può diventare. Dovere nostro è

ricominciare dall’inizio in ogni

lavoro.

•Quindi non importa da dove si

parte ma dove si arriva …

Importa come si arriva, come si

canta, come si svolge il proprio

lavoro, non da dove si parte.

• Allora anche un talent show

come Amici o X Factor può essere

utile per lanciarsi sul panorama

nazionale?

Sì, anche Amici o X Factor possono

contenere un grande talento e

spesso il talent show è un modo

per farsi notare cosa che in televi-

sione è molto immediata. Mentre

nel teatro il di-

scorso è differen-

te: non c’è possi-

bilità di correg-

gersi in corso

d’opera e devi

sempre essere

attentissimo e

dentro il perso-

naggio sennò il

pubblico se ne

accorge.

• E forse anche

per questo motivo, purtroppo il

teatro è più impopolare della

televisione…

Purtroppo sì. Dico sempre ai miei

allievi che, in discorsi di fama, per

il pubblico 20 minuti di televisione

valgono 2 anni di teatro, mentre

in realtà quei due anni di teatro ti

formano molto di più che venti

minuti di televisione. L’esperienza

per noi è importante, l’aver respi-

rato tanta polvere a teatro per un

cant-attore fa tanto.

• Esclusi i talent show, come repu-

ti la situazione della musica italia-

na di oggi?

E’ un periodo di stasi. Non vedo

grandi artisti al momento, ma

noto un certo fermento, come se

da un momento

all’altro debba

spuntare qualcu-

no che ti dia qual-

cosa di grande

come è stato per Vasco Rossi o

Ligabue.

• Sono questi i tuoi cantanti prefe-

riti?

No, non sono preferiti, sono can-

tanti che, a mio parere, nei loro

rispettivi generi hanno dato tanto.

Oggi, invece, molto spesso vedia-

mo del cloni: quello che assomiglia

a Ligabue, quello che assomiglia a

Vasco Rossi...

• Notre Dame de Paris, dicevamo,

ti ha fatto conoscere ed apprezza-

re dal grande pubblico. Come

ricordi quell’esperienza? Com’è

stato lavorare con artisti del cali-

bro di Lola Ponce e Giò di Tonno?

Un’ esperienza indiscutibilmente

meravigliosa. E’ stato un trampoli-

no di lancio per tutti, anche per

Lola Ponce e Giò di Tonno.

• Di quello spettacolo ricordo in

particolare un momento in cui

nelle vesti di Frollo canti “Bella”

ed in scena ci sono anche Quasi-

modo e Febo, puoi accennarcela?

(Canta una parte di “Bella”. E’

possibile vedere l’estratto

dell’intervista nella sezione ”video”

del profilo facebook di Koiné, ndr)

Sono i tre amori:

quello di Quasimodo

è un amore puro,

ingenuo, come se

fosse quello di un

bambino, quello di Frollo è un

amore molto passionale, mentre

quello di Febo è un amore altret-

tanto passionale come quello di

Frollo, ma diverso, freddo, più

calcolatore. Dopo aver avuto E-

smeralda, la fa uccidere, cosa che

Frollo non avrebbe mai fatto. Frol-

lo è considerato il più cattivo

dell’opera, in realt{ credo che non

sia così, credo sia Febo il vero

personaggio negativo dell’opera.

• E adesso la domanda che tutti

vorrebbero farti: si sono appena

concluse le repliche de “I Promessi

Sposi - Opera Moderna” di Miche-

le Guardì e le musiche di Pippo

Christian Gravina, quando il talento è a portata di mano Intervista al cant-attore messinese reso famoso da “Notre Dame de Paris” ed “I Promessi Sposi”

“ Importa come si arriva,

come si canta, come si

svolge il proprio lavoro, non

da dove si parte”

Christian Gravina è il Cardinale Borromeo ne “I Promessi Sposi -

Opera Moderna”, spettacolo andato in tour la scorsa estate.

Christian Gravina interpreta anche l‟umile Fra Cristoforo

2020

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Flora. Tu hai interpretato due

personaggi di fede: il semplice ed

umile Fra Cristoforo ed il caritate-

vole e forte Cardinale Borromeo.

Hai dichiarato, in una recente

intervista: ”Sono entusiasta di

avere l’opportunità di interpretare

due personaggi così carismatici

che mi hanno affascinato fin dai

tempi della scuola”. Come mai ti

hanno così colpito sin da quando li

hai studiati?

Proprio perché sono profonda-

mente carismatici, mi hanno colpi-

to sin da subito. Molto, debbo dire,

anche Don Abbondio che però non

è nelle mie corde, anche vocal-

mente. Sono stato fortunato per-

ché leggendo il romanzo mi erano

rimasti impressi e avere avuto la

possibilità di interpretarli è stato

il massimo.

• Tu oggi gestisci

a Messina la

scuola “Music

Life” avendo

scelto coerente-

mente, ma coraggiosamente, di

rimanere nella tua città. E’ stata

una scelta impegnativa che ti ha

dovuto far rinunciare mai a qual-

cosa?

Diciamo che è una scelta proble-

matica perché il mio lavoro mi

porta sempre fuori, però io amo

tanto la mia città alla quale mi

sono tanto affezionato. Voglio fare

qualcosa per Messina e soprattut-

to per la Sicilia. Purtroppo noi del

Sud abbiamo tanti e troppi proble-

mi e vedo troppo poco

interesse per la cultura;

allora, nel mio piccolo,

cerco di dare un contri-

buto: fare qualcosa atti-

vamente per la mia terra,

non andarmene via e dimenticar-

la.

• Cosa ti senti di dire alle giovani

voci del nostro liceo, che tra l’altro

fanno parte anche di un affermato

coro, il “Maurolico-Seguenza”, le

quali magari vogliono, in futuro,

intraprendere una carriera simile

alla tua?

Posso dire che è una carriera pur-

troppo molto difficile perché riu-

scire ad ottenere qualcosa, a livel-

lo economico, con il canto ed a

essere in scena a certi livelli è

molto complicato. Ma, se chi canta

pensa di non poter fare altro nella

propria vita e che sia quello ciò

per cui respira e vive, io non sono

nessuno per dire nulla, anzi deve

farlo, perché, in tal caso, la musica

diventa la ragione di vita.

• Grazie e buon lavoro!

Ciao a tutti, leggete questo splen-

dido giornale, mi raccomando e in

bocca al lupo per tutto!

Intervista a cura di

Claudio Staiti III A

“ Cerco di dare un

contributo: fare

qualcosa attivamente per

la mia terra, non andar-

mene via e dimenticarla”

Intervista all'Ass. Provinciale alla Cultura, Mario D'Agostino “Le attività culturali dovrebbero essere sempre parte integrante della vita scolastica”

• Assessore, innanzitutto ci spie-

ghi quali sono gli obiettivi e le

competenze del suo ente :

E’ prioritario coinvolgere tutte

le realtà culturali della provin-

cia. A mio avviso la cultura non

deve essere materiale per

privilegiati ma accessibi-

le a tutti perché in questo

modo non solo si inco-

raggia la nascita di nuo-

ve associazioni ma si fa

in modo che la popola-

zione venga maggior-

mente tutelata e coinvol-

ta nelle attività che si

svolgono nel territorio,

traendone beneficio Dal

2008, quando sono stato

eletto, è partito il proget-

to "nessun Comune è lasciato

indietro" che si muove in tal

senso: è vero che la provincia di

Messina è molto grande e distri-

buire le risorse in egual parte a

tutti non è semplice, ma io in

prima persona cerco sempre di

fare del mio meglio per non

scontentare nessuno. E' dovere

infatti dell'Assessorato alla Cul-

tura essere un solido punto di

riferimento per tutti quelle per-

sone intraprendenti che hanno

voglia di far bene e che possono

quindi in qualche modo contri-

buire alla crescita culturale del-

la provincia.

• Secondo lei Messina e la sua

provincia sono effettivamente

attratti dagli eventi culturali?

Stiamo attraversando un perio-

do di risveglio in tal senso. Come

ho già detto la popolazione deve

essere coinvolta in qualsiasi

attività rie-

sca a intrat-

tenerla e

affascinarla.

Questa città

e con essa la

sua provincia possiedono un

patrimonio (artistico, storico

ecc) incalcolabile che per tanti

anni non si è sfruttato adeguata-

mente e non è stato messo a

disposizione dei cittadini. Da

qualche tempo invece grazie al

nostro impegno qualcosa sta

finalmente cambiando: mi è

capitato di guardare con orgo-

glio folti gruppi di persone dislo-

cate in vari punti della città

durante la notte della Cultura, a

osservare meravigliati un qua-

dro di Guttuso oppure in libreria

ad ascoltare uno dei

tanti autori che abbia-

mo invitato a parlare

del suo nuovo libro.

Queste sono sicura-

mente prove di come si

stia crescendo culturalmente ed

è motivo di soddisfazione per

tutta l’Amministrazione.

• Prima di diventare Assessore

Provinciale alla Cultura, ha già

avuto altri incarichi ad essa col-

legati?

Sì. Oltre ad aver fatto parte del

Consiglio Comunale di Taormina

per due mandati consecu-

tivi, sono stato vicepresi-

dente e presidente della

Commissione Consiliare

Cultura.

• E le scuole invece? Se-

condo lei organizzano

attività adeguate alla cre-

scita culturale dei ragazzi?

Le attività culturali do-

vrebbero essere sempre

parte integrante della vita

scolastica. Questo i profes-

sori lo sanno e sanno anche che

il futuro dei ragazzi dipende da

loro, da come riusciranno a far

loro conoscere ed amare le pro-

prie radici e tradizioni, il loro

ambiente storico culturale edu-

candoli alla cultura del bello.

L'obiettivo è far vedere in quello

che studiano non solo un insieme

di nozioni ma una possibilità di

poter crescere "umanamente"

assaporando le mille sfaccetta-

ture dell’arte e della cultura.

Spesso e volentieri però tutti

“ Questa città e con essa la

sua provincia possiedono

un patrimonio incalcolabile

che per tanti anni non si è

sfruttato adeguatamente”

2121

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questi buoni propositi si

scontrano con la carenza di

fondi e di strutture adeguate,

anche per le attività extra-

curriculari che sono impor-

tantissime ma attualmente

sono organizzate solo in po-

chi istituti e questo perché il

supporto è davvero esiguo, e

capisco pure i Dirigenti Sco-

lastici che si impegnano co-

munque affinché la scuola

faccia sempre il meglio per i

ragazzi.

• Dato che abbiamo parlato

di scarsità di fondi, a suo

avviso lo Stato concede fi-

nanziamenti adeguati alla

cultura, le dà insomma la

giusta importanza?

Siamo in un periodo di gran-

de crisi in cui investire è ab-

bastanza difficile. Ma spesso

mi sono chiesto: perché gli

altri stati Europei anziché

tagliare i fondi alla

cultura come facciamo

noi li raddoppiano? Chi

non investe nella cul-

tura non investe nel

futuro ed è qui che noi

stiamo sbagliando.

Uno stato come il no-

stro si dovrebbe salva-

guardare e il fatto che

non succeda è abba-

stanza preoccupante.

• Come certamente

saprà, l'incerta situa-

zione politica del no-

stro paese non per-

mette una lucida anali-

si delle problematiche

e una conseguente

equa distribuzione

delle risorse. Lei cosa

ne pensa?

E' chiaro a tutti che

certe situazione non

fanno onore all'Italia:

partiti che si combattono

aspramente e nessuno che

pensa davvero all’interesse

del paese. Tutti quei signori

avrebbero il dovere civico di

lavorare per la comunità

mettendo da parte gli inte-

ressi personali in modo da

non compromettere tutto il

sistema di risorse pubbliche,

sulle quali gli enti statali

dovrebbero avere il massimo

controllo. Scenari del genere

non possono in alcun modo

incoraggiare anche chi tra i

nostri giovani vuole intra-

prendere la strada della poli-

tica, alimentando un proces-

so di sfiducia in tutto ciò ad

essa collegato.

• La cittadinanza tende ad

allontanarsi dalla politica

perché vi vede troppo oppor-

tunismo e non si riconosce

più ideologicamente in nes-

suna delle realtà politiche

esistenti. Lei è d'accordo?

La classe politica attualmen-

te non è in grado di dare

l'esempio perché troppo lon-

tana da quegli ideali che

erano stati punti fermi negli

anni anteriori alla nascita

della Repubblica. Anche per

questo io ritengo che serva

"un ritorno alle origini" della

politica per riavvicinare la

gente, per riconquistare la

sua fiducia, per farla sentire

più tutelata, vicina ai suoi

bisogni e informata sulle

risorse a sua disposizione, da

usare come il dovere civico

suggerisce e non con occhio

da imprenditore o commer-

ciante. La politica ha deluso

troppo in questi anni ed è

per questo che servono gio-

vani validi che possano rifon-

darla e darle un immagine

nuova, trasparente e dedita

unicamente al bene dei citta-

dini

• In questo clima d’ incertez-

za, in cui i giovani si sentono

tagliati fuori dalla società,

dove il presente è abbastan-

za difficile e il futuro ancor

più incerto, vuol dire qualco-

sa?

Certamente. Ai giovani vo-

glio dire di non perdersi d'a-

nimo, di concentrarsi sullo

studio individuale e nel rag-

giungimento dei propri o-

biettivi. Siamo in un momen-

to delicato ma non ci si deve

abbattere, si deve invece

continuare a impegnarsi con

professionalità ed energia

per costruirsi un futuro che,

per quanto opaco sembri,

può riservare sorprese.

• E in particolare vuole fare

un saluto al Liceo Maurolico?

Non posso esimermi dal far-

lo. Il Liceo Maurolico fin dal-

la sua nascita ha dato i nata-

li a grandi personaggi di

fama nazionale e internazio-

nale. Questa è la dimostra-

zione di come la città di Mes-

sina sia in grado di esportare

cultura grazie ad una forma-

zione scolastica di alto livel-

lo.

• Assessore io la ringrazio e

le auguro un buon prosegui-

mento del suo lavoro.

Grazie a te Valerio e che tu

possa continuare al meglio il

percorso scolastico che hai

intrapreso.

Intervista a cura di

Valerio Calabrò II D

“ Ai giovani voglio dire di non

perdersi d'animo, di concen-

trarsi sullo studio individuale e nel

raggiungimento dei propri obiettivi

2222

Il leone rampante del Campanile del

Duomo, simbolo della Provincia di Messina

“ La classe politica attualmente

non è in grado di dare l'esem-

pio perché troppo lontana da quegli

ideali che erano stati punti fermi

alla nascita della Repubblica”

Il noto teatro greco romano di Taormina (ME)

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Un dì un tale, senza professione,

con la passione per la rivoluzione

deluso dall’andazzo del momento

decide d’occupare il Parlamento.

Da una brigata di par suoi seguito

s’accinge ad attuare il piano ardito

a far pagare ai politici le colpe

a fare il primo passo per il golpe.

S’arrendono tutti i deputati

ed alle loro sedie son legati

chi preferiva spesso assentarsi

costretto, suo malgrado, è a fermarsi.

Compiuto il fatto, senza alcuna storia,

il tale ai suoi proclama la vittoria:

-Del mondo più non siamo l’immondizia

Ogni emittente di noi darà notizia!

Ed alla vecchia classe dei padroni

Or detteremo noi le condizioni.-

Accesa dunque la televisione

s’attendeva con trepidazione

che lì per lì il grande giornalista

ponesse la notizia in bella vista.

-Tempo sereno- gracchia il cronista-

I vacanzieri sono tutti in pista

ed ora, tutti insieme, a cuor contento

a goderci il gossip del momento!-

Deluso e triste, con lo sguardo basso,

il tale l’apparecchio pianta in asso

e liberati gli illustri prigionieri

ai compagni esterna i suoi pensieri.

-A noi non è mancata la passione:

non fa notizia la rivoluzione

non per colpa nostra, miei ragazzi,

ma perché viviamo in tempo pazzi!

Finiti sono gli anni in cui i civili

Sognavan di cambiare coi fucili.

Oggi un fatto è noto e veritiero

Solo se un canale ne è foriero

e non si fanno le rivoluzioni

signori miei, senza televisioni.

Dunque ne viene, senz’altra opzione,

che le può fare sol chi é già padrone.-

Roberto Saglimbeni II E

Il Colpo di Stato

2323

Angolo della poesia

Luogo è in Inferno ove Brunetta regna:

su un altissimo seggio appollaiato i nomi dei malnati lui si segna,

assai contento perché ha evitato di stare in uno zoo con i Primati, ed è in un luogo sì qualificato:

guarda dall’alto in basso i suoi dannati,

così si scorda d’esser solo un nano! Lo vedono coi due indici alzati

mostrar lor, col cenno della mano,

il passaggio al tornello, che indirizza laggiù donde tornar sarà vano…

e la bassezza d’animo esorcizza!

Prof. Felice Irrera

Il Giudice infernale

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La nostra strada Ecco quel vento che scuote

imperioso il mio vagar su questa via,

sulla quale distrattamente ho scorto

un riflesso… nitida immagine di te.

Svegliati, è il nostro momento,

magico perché intimo e solitario,

con le mani unite su un sentiero

illuminato e rigoglioso, splendido.

E mentre il tuo sguardo s'immerge

nello splendor di fiori e di suoni,

io contemplo i tuoi lineamenti

cosi morbidi, semplici e ammalianti:

un sorriso tenue, riccioli castani,

una pelle scura,baciata dal sole.

Ricordo ancor quando ti conobbi,

confuso, incurante delle tue attenzioni,

e rapito da quei pochi gesti

che mi concedesti in quel pomeriggio d'estate

guardando il mare d'un colore dorato.

E adesso camminiamo silenziosi,

senza fretta, per sentirci più vicini,

disegnando a poco a poco una storia

sulla traccia di una strada che va...

Valerio Calabrò II D

Se venissi qui con me ti spiegherei cosa voglio da questa

vita, cosa voglio evitare.

Ti spiegherei cosa vedo e cosa voglio.

Ti spiegherei quanto irrazionali sono i miei pensieri

e quanto difficilmente lo sono le mie azioni.

Ti direi quanto soffro per questo.

Per questa paura di fare cose puramente insignificanti e

inutili al resto dei viventi inclusa me stessa.

Vieni però, forse mi aiuterai.

O forse sei come me.

Oh sì sei come me ed è perciò che hai bisogno di me.

Federica Fusco V E

Se venissi con me

Del passante nei suoi silenzi malinconici

Nei suoi passi lenti e costanti

Nel suo allontanarsi senza tregua

Da noi

Innamoriamoci

Di quella notte

Così gelida

Così forte

Da poterci uccidere

Innamoriamoci

Della nonna che cuce in quella notte

Pensando ad un suo amore che le rughe del tempo

Sfigurano.

Innamoriamoci

Dei ragazzi innamorati

Vicino casa di quella nonna

Affacciati al loro primo amore

Così sereni

Che la notte non li tange

Perché la notte è gelida

E loro fonte immensa di vita

Innamoriamoci

Della penna dello scrittore

Dello scrittore

Del libro appena scritto

Del libro che scriverà

Perché in quella notte era in-

sonne

Innamoriamoci

Ancora

Non importa

Un giorno

Nuvoloso

Uggioso

Tempestoso

O soleggiato

Perché quel giorno sarà miglio-re

Qualunque esso sia

Innamoriamoci

Del fratello

Della sorella

Degli zii

Dei cugini

Perché la famiglia è il primo nido d’amore

Innamoriamoci

Anche della nave che salpa

Del treno perduto

Delle strade sbagliate

Dei traguardi non raggiunti

Chissà quanto ci hanno tor-mentato

E quanto aiutato

Ti prego innamoriamoci

Sempre

Di nuovo

Di continuo

Della notte

Del sole

Della luna

Del mondo

Innamorati di questa vita

Che ti parla

Che ti scrive

Che ti ascolta

Anche se tu

Non le parli e non l’ascolti

Innamorati di quest’amore

Che avvolge che unisce

Che purifica

Anni luce

Oltre il mare

Non conta

Innamoriamoci

Di noi stessi

Del nostro viso

Innamoriamoci

Del nostro corpo

Innamoriamoci

Innamoriamoci

Innamoriamoci

Di un amore che piange

Mariachiara Pollicino II F

Innamoriamoci

2424

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Scarpe lerce hanno i carbonai e

calze nere dentro alla fornace.

Marciano in fila per Picconare

sul carbone ancora

padrone del pane.

Marciano in fila per Bestemmiare

sulle vite di chi

ne ha fatti crepare

di carbonai affaticati e stanchi

sulle rotaie di miniere soffocanti.

Marciano Accusando!

i carbonai stravolti,

lo Stato che trascura

i suoi mille volti.

Cerca il passo un freno

all'incedere guerriero

e lo ritrova nelle lacrime

linde di te Donna

che porti in petto la prova

del tuo amante morto il crimine.

Claudia Santonocito III F

Scarpe lerce

Cadono fiocchi di neve in questo campo,

mentre io silenzioso passeggio,

e nel buio d'un dolce sorriso

brillano e lagrimar mi fanno.

Splendida,

scappata via per un brivido supremo

che spazza ogni cosa e impera

senza che nulla lo possa turbare,

neanche la mia ombra

che tra le nubi si staglia.

E passando pian piano i giorni

dopo che le tue parole mi trafissero,

la ferita brucia e mai smette,

quasi causata da una forza divina.

Meravigliosa,

apparisti cosi disinvolta

e allo stesso modo te ne andasti,

lasciandomi indelebili gesti:

carezze affettuose e teneri sguardi,

morbidi baci e lenti abbracci,

che son scolpiti nel mio animo

malinconico e inconsolabile,

eppure mai stanco di sognare...

Mia,

nonostante l'impetuoso vento

m'abbattè in quel crepuscolo antico,

un profumo mi fece rialzare,

e spronò a cantar di lei

che non c'è piu e dolore ancor mi prende.

Ma nulla mi fermò, che lo sappiate,

se non un pensiero o una speranza

che fu mia…

Valerio Calabrò II D

Splendida...Meravigliosa...Mia!

Capelli fluttuanti

vibran nell'aria

quando ti vedo

rimango stupefatto

sento

la tua soave voce

correr nel vento.

Desidero esser una brezza

per esser traversata dalla tua voce.

Son immerso

nell'immensità dei tuoi occhi

e mi piace realizzarti

avvolta da fiocchi

sdraiata sotto l'ombra luminosa

ti vedo sempre solare

e radiosa.

Come una mimosa

vorrei esser lieto

di proferirti

il mio amore segreto.

Nulla

guasterà il tuo aspetto

né lo scorrer del tempo

né le piaghe.

Ti sibilerei il mio desiderio

ma non mi prenderesti sul serio.

Ti donerei la mia anima

ma non trarrei

nemmeno una tua ciocca

continuare a desiderarti

è cosa sciocca.

Il mio sentimento non apprezzeresti

ed io continuerò a contemplarti

con sguardi mesti.

Non sarò degno

di avvicinarmi a te

e il mio amore perirà

con me.

Andrea Santoro V F

Monstrum

2525

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2626

Speciale Ponte sullo Stretto Cosa pensano gli studenti di un’opera tanto discussa e della quale sembra ormai imminente la realizzazione?

I l primo a parlare di un Ponte sullo Stretto

fu lo scrittore romano Plinio Il Vecchio (23-

79 d.C.) che, nella sua Naturalis Historia, at-

tribuì al console Lucio Cecilio Metello (251

a.C.), la costruzione di un ponte fatto di bar-

che e botti per trasbordare dalla Sicilia 140

elefanti catturati ai cartaginesi. La realizzazio-

ne di un collegamento stabile tra l’isola ed il

continente fu in seguito valutata da Carlo

Magno in persona e da re Ruggiero II, che

fece compiere delle esplorazioni per sondare

la profondità dello Stretto e la forza delle

correnti. Ma è solo con l’Unità D’Italia (1861)

che si inizia a parlare fattivamente di un

“Ponte sullo Stretto”: il ministro dei lavori

pubblici Jacini (1866) affida all’illustre inge-

gner Cottrau il compito di realizzare un pro-

getto, ed in contemporanea si studia la possi-

bilità di un collegamento sottomarino. “Sopra

i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Con-

tinente” è la frase che anima questi anni

frenetici. Poi, tra il terremoto e le due guerre,

il progetto non viene più considerato fino al

1950, quando David B. Steinman, progettista,

tra gli altri, del Mackinac Bridge, ideò un pon-

te sospeso su due pilastri immersi nell’acqua

per 120 metri ed alti 220 m. Il progetto fu poi

accantonato per il costo eccessivo (ca. 100

miliardi di lire). Nel 1969 il Ministero dei lavo-

ri pubblici bandisce un “Concorso di idee” in

cui emergono il cosiddetto “Ponte di Archi-

mede”, ovvero una galleria a mezz’acqua, e il

Ponte ad un’unica campata. Quest’ultima

idea risulterà poi quella portata avanti nel

corso degli ultimi 40 anni. Arriviamo infine ai

giorni nostri, quando il governo Berlusconi ha

fatto dell’opera uno dei suoi principali obiet-

tivi, firmando un contratto con la Impregilo

per il Ponte e le opere complementari ad

esso, ed annunciando l’inizio dei lavori per il

primo semestre del 2011. Come dimostra il

lungo evolversi del progetto nel corso dei

secoli, che noi abbiamo tentato di sintetizza-

re, l’opera ha sempre in-

contrato pareri contrastan-

ti: chi lo trova indispensabi-

le per lo sviluppo di Messi-

na e di tutto il Sud, chi un

inutile spreco di tempo e

denaro; chi garantisce sulla

sicurezza della struttura e chi sostiene che

non reggerebbe; chi afferma che funzione-

rebbe tutto l’anno e chi dice che il vento ne

limiterebbe il funzionamento; infine, chi asse-

risce che anche solo pensarne la costruzione

è una follia, vista l’impressionante velocità,

geologicamente parlando, con cui la Sicilia si

allontana annualmente dalla Calabria (1 cm/1

anno). C’è poi chi manifesta per la propria

casa, chi vorrebbe la galleria sottomarina al

posto del Ponte a campata unica…. un grande

insieme, insomma, di opinioni discordanti

che, tuttavia, non sembrano fermare i proce-

dimenti che, sempre più spediti, ci stanno

portando verso la realizzazione di

quest’utopia. Non è dunque facile barcame-

narsi nei meandri di un’opera dalla gestazio-

ne lunga e laboriosa, su cui ognuno, con dirit-

to o meno, ha espresso la propria opinione: il

Κοινή ha dunque pensato di creare in questo

numero lo “Speciale Ponte” di cui state sfo-

gliando le pagine. Ci avete visto passare nelle

classi distribuendo moduli in cui si chiedeva il

vostro parere: qui in basso trovate il resocon-

to dei dati pervenutici. Com’era ampiamente

pronosticabile, il fronte del no conquista una

maggioranza netta corrispondente al 75%. Il

motivo di tale schiacciante supe-

riorità è da ricercare in un insie-

me di cause, ma a nostro giudizio

incidono principalmente su tale

dato la preoccupazione per il

ventilato scempio paesaggistico,

il timore di infiltrazioni mafiose e

corruzione, la volontà di non far trasformare

Messina in una città cantiere. Il fronte del sì si

attesta sul 13%, mentre è notevole il dato di

coloro che affermano di non avere un opinio-

ne in merito. Un 12%, quello dei “non so”,

che andrebbe attenzionato con cura, poiché

denota, più che una mancanza, un eccesso

d’informazione, un surplus di pareri e notizie

in cui il singolo non sa più discernere tra vero

e falso. Vi lasciamo ora alla lettura delle due

interviste seguenti, in cui abbiamo ricercato il

parere tecnico di due esperti del settore:

l’Ing. Caminiti del Comune di Messina e

l’Arch. Arena, dell’Università di Reggio Cala-

bria.

Roberto Saglimbeni II E

Antonio Crisafulli III F

“ Il primo a parlarne è

Plinio Il Vecchio, che attri-

buisce al console Metello la

realizzazione di un ponte di

barche per il trasporto di

elefanti cartaginesi”

Simulazione In 3D del Ponte sullo

Stretto. Negli anni si sono sprecati

progetti, grafici, idee. L’utopia sta

per diventare realtà, o assisteremo

ad altri rinvii?

Raccolta dati a campione e statistiche a cura di Roberto Saglimbeni II E e Antonio Crisafulli III F

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2727

• Per prima cosa si presenti ai

nostri lettori.

Sono l’Ing. Giovanni Caminiti del

Comune di Messina, mi occupo

sin dal 2002 del Ponte sullo

Stretto e dei suoi effetti sulla

città e ricopro, tra vari incarichi

dirigenziali, il ruolo di dirigente

della struttura organizzativa

Grandi Opere, ovvero dell’ex uffi-

cio Ponte e delle opere ad esso

connesse.

• Spesso si focalizza l’attenzione

sul Ponte e non sulle opere com-

plementari ad esso: a che punto

è la realizzazione di

quest’ultime?

Nel quadro economico del Ponte

sono inseriti una serie di inter-

venti sull’una e sull’altra sponda

dello Stretto, ovvero i collega-

menti stradali e ferroviari per

l’opera stessa.

Parlo dell’autostrada che andr{

da Giostra fino al Ponte e del

ramo ferroviario che partirà da

Gazzi: queste opere sono com-

prese nei 6 miliardi complessivi

del progetto, dei quali 1 verrà

investito in queste opere

• Quale sarà il destino

dell’abitato di Faro?

A livello locale il Comune dispone

di somme cosiddette compensati-

ve”che saranno utilizzate per

degli interventi volti a compen-

sare gli eventuali disagi per la

cittadinanza durante la costru-

zione del Ponte. Il pilastro del

Ponte verrà a trovarsi in via

Circuito, di fronte agli attuali

cantieri trivella, posto necessa-

riamente sui terreni di due com-

plessi residenziali. I lavori non

interesseranno in nessun modo il

paese di Faro, la zona del Pilone

e Capo Peloro; riguarderanno

invece la zona a monte della

Panoramica cui dovrà giungere,

passando sopra il cimitero di

Granatari, la linea ferroviaria ed

autostradale. Granatari verrà

inoltre dotata di un mini-

svincolo funzionale alla viabilità

cittadina.

• Quali sono i tempi di realizza-

zione previsti?

La stima è di circa 6 anni. Siamo

in fase di progettazione definiti-

va, il progetto verrà consegnato

a dicembre, approvato nel giro di

tre mesi e da lì partiranno i lavo-

ri. Essendo il quadro economico

unico per tutte le opere, tutte le

strutture partiranno insieme col

fine dell’opera-Ponte. Non acca-

drà, per questioni economiche,

che si inizino le opere comple-

mentari e che non si proceda poi

alla costruzione della grande

opera.

• E’ vero che il Ponte non elimi-

nerà del tutto le navi Caronte?

Il sistema di trasporto ferrovia-

rio verrà deviato tutto sul Ponte.

I progettisti stimano che l’opera

potrebbe non funzionare per 24-

48 ore l’anno, ed é impensabile

mantenere un collegamento con

le navi per usarlo solo in un lasso

di tempo così breve. Le navi ser-

viranno, in questi casi, a traspor-

tare i passeggeri dei treni, il cui

traffico verrà intercettato in

stazioni intermedie. Le merci

saranno invece ferme finché il

Ponte non sarà riaperto.

• Pensa che il Ponte possa esse-

re utile allo sviluppo di Messina?

Se il Ponte viene inteso come un

oggetto che fa soffrire la città è

normale chiedersi che vantaggi

se ne possano trarre. Il problema

va posto in maniera diversa: il

Ponte libera la città dalla schia-

vitù dell’attraversamento via

nave. La struttura va vista sotto

un’ottica europea, poi italiana ed

infine messinese; non si può fare

un conto sui vantaggi compensa-

tivi che può ottenere il singolo

cui viene espropriata la casa. Se

la città riuscirà a cogliere le

opportunit{ che quest’opera

offre ne avrà enormi vantaggi: il

ritorno più immediato è quello

infrastrutturale, ma l’ investi-

mento economico nella zona

porterà effetti in ogni campo. Il

ritorno economico dal punto di

vista turistico, come accade per

tutte le grandi opere, dalle Pira-

midi alla Tour Eiffel, non è preve-

dibile al momento della costru-

zione ma di certo può essere il

più consistente.

• Dunque la città non è tagliata

fuori dal Ponte? Non è vero che,

come si dice, nessun turista verrà

a vedere il Ponte più lungo del

mondo?

Se per “tagliata fuori” si intende

dire che la città verrà liberata

dai camion, la risposta è affer-

mativa ma rappre-

senta un bene per la

città. Nel caso in cui

si intenda che questa

sarà un opera che si

limiterà a passarci

sulla testa senza

portarci vantaggi ricadiamo

nell’ipotesi meno auspicabile in

cui Messina non riuscirà a coglie-

re nessuna opportunità. Ciò è

poco probabile poiché ogni sin-

gola mossa sul fronte Ponte viene

monitorata costantemente dai

media di tutto il mondo, e la

diffusione del logo “Messina” è

vastissima. Sta ai singoli cogliere

i vantaggi che derivano da que-

sto ritorno d’immagine.

• Dunque la realizzazione del

Ponte va intesa come anello

della grande catena di trasporti

europea denominata Berlino-

Palermo, e chi manifesta per la

sua casa, il suo abitato, dovrebbe

pensare al bene comune di una

viabilità continentale?

Mi rendo conto che il singolo non

riesca a mettere l’interesse col-

lettivo davanti al proprio inte-

resse. E’ legittimo che cerchi di

ottenere il massimo risarcimen-

to, può ancora essere legittimo

opporsi con ogni forma di prote-

sta, non lo è invece fare propa-

ganda in maniera errata tra la

cittadinanza per non aver espro-

priata la propria casa.

• Sul fronte del No-Ponte, con

chi lei crede ci si possa confron-

tare in maniera costruttiva?

Purtroppo non sono riuscito ad

ottenere un confronto costrutti-

vo con nessun esponente del

fronte opposto. Ho notato che c’è

un totale rifiuto di discutere, e

non ho ancora trovato un grup-

po che, realizzato che l’opera si

farà, si adoperi perché la città ne

tragga il massimo vantaggio ed

il minimo danno. Le faccio un

esempio: alcuni anni fa un grup-

po ambientalista, cui avevo scrit-

to al fine di utilizzare una parte

dei fondi per la tutela della fauna

e della flora

interessata dal

progetto, ha

r i f i u t a t o

l’offerta poi-

ché non voleva

agire coi soldi

del Ponte. Non ritengo che que-

sto sia un atteggiamento costrut-

tivo.

• In conclusione, siamo vicini al

reale inizio dei lavori, di cui si

parla da più di 40 anni?

Se da un lato è vero che se ne

parla da tanto tempo, dall’altro

bisogna considerare effettiva-

mente da quando si è iniziato

fattivamente ad operare. Il pro-

blema è che oggi il Ponte è al

centro di uno scontro politico,

poiché viene identificato con la

figura di Berlusconi, ed un even-

tuale caduta del governo, col

pagamento di forti penali da

parte di un successivo esecutivo

contrario all’opera, potrebbe

bloccare l’iter. L’altro punto di

domanda è la copertura finan-

ziaria, che dovrà essere presente

nel momento in cui il progetto

sarà attuabile. Fino alla sotto-

scrizione dell’accordo economico

rimane dunque quest’incertezza,

anche se chi se ne sta occupando

garantisce la presenza di questi

fondi.

intervista a cura di

Roberto Saglimbeni II E

“Il Ponte porterà sviluppo a chi saprà coglierne i vantaggi” Parla l’ing. Caminiti, responsabile del Ponte e delle opere complementari per conto del Comune di Messina

“ Il ritorno economico non

è prevedibile al momento

della costruzione ma di certo,

come per tutte le grandi ope-

re, può essere il più consisten-

te per Messina e lo Stretto”

Page 28: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

L’Arch. Marina Arena nel 2005 ha

partecipato, con il Dipartimento di

progettazione per la città, il pae-

saggio e il territorio - OASI, agli

studi propedeutici alla progettazio-

ne del Ponte sullo Stretto relativa-

mente agli aspetti paesaggistici e

urbanistici dell’opera.

• A che punto è la progettazione

del ponte?

Se pensiamo che il Ponte sullo

Stretto è stato definito come la più

straordinaria opera di ingegneria

di tutti i tempi, possiamo capire

quali difficoltà comporti. Parliamo

del ponte sospeso a campata unica

più lungo del mondo e di due torri

di sostegno alte quasi come le

Twin Towers. E, in effetti, si tratta

di un salto tecnico senza preceden-

ti dal momento che attualmente il

record è detenuto dal ponte giap-

ponese di Akashi Kaikyō, senza

sede ferroviaria, la cui campata

centrale misura quasi 2.000 metri.

Bisognerebbe anche aprire una

parentesi sull’evidente insensatez-

za dell’investimento che vede il

ponte come cerniera tra due siste-

mi infrastrutturali disastrosi . Ma

se le ragioni del “no” sono evidenti,

vorrei citare la tesi provocatoria

del critico dell’architettura Luigi

Puglisi che parla dell’opera come

di un “controsenso necessario”

poiché, essendo la nostra una so-

cietà senza logica, bisogna prima

scatenare le conseguenze e solo

successivamente realizzare la

premessa, quindi quando il ponte

sarà costruito, e si vedrà che il re è

nudo, per non ammetterne

l’inutilit{ si porr{ rimedio a tutto

il resto. Le fasi di progettazione

del ponte sono tre: la prima relati-

va al progetto preliminare appro-

vato nel 2003; la seconda, attual-

mente in corso, che vede Eurolink

lavorare al progetto definitivo su

incarico della società Stretto di

Messina (SdM); la terza riferita

alla redazione del progetto esecu-

tivo, dopo il cui espletamento sarà

dato l’avvio ai lavori.

• Le difficoltà relative ai preceden-

ti progetti come sono state affron-

tate?

I dubbi rispetto alle scelte proget-

tuali sono emersi negli anni anche

ad opera delle stesse commissioni

di controllo. Le difficoltà sono

essenzialmente legate all’epocale

balzo tecnologico rispetto alla

lunghezza della campata e ai pro-

blemi di sicurezza del sito per la

sismicit{ e l’azione del vento. E-

sperti definiscono il progetto lacu-

noso e ne propongono addirittura

una nuova progettazione, sottoli-

neando livelli di rischio troppo

alti e imputabili alla scelta della

campata unica, alla sezione e alla

lunghezza dei cavi e all’effetto

flatting che causerebbe problemi

di percorribilità. A fronte di ciò,

dalla SdM non sono arrivate rispo-

ste dirimenti e l’atteggiamento è

stato anzi quello di trincerarsi

dietro modifiche al progetto mai

rese note ufficialmente come, ad

esempio, la diminuzione delle

corsie carrabili da sei a quattro.

D’altronde la Societ{ stessa ha

affermato che si tratta di un pro-

getto in continua evoluzione che

subirà modifiche fino al giorno

prima dell’inaugurazione.

• Qual è il costo complessivo del

progetto?

Il progetto presentato nel 2003,

comprensivo dei ca. 40 Km di rac-

cordi, e approvato dal Cipe

(Comitato Interministeriale per la

Programmazione economica,

NdR), aveva un costo di circa 4

miliardi e mezzo di euro; oggi

l’onere complessivo dei lavori, con

l’aggiornamento del piano finan-

ziario comprensivo di costi ag-

giuntivi e adeguamenti relativi

all’inflazione, viene stimato

nell’ordine dei 6 miliardi e mezzo

di euro. Questa cifra viene coperta

per il 40% dal contributo pubblico

e dall’aumento di capitale della

SdM, mentre il restante 60% è a

carico dei privati. A tutto ciò va

aggiunta l’unica cifra che cono-

sciamo per certa cioè quella spesa

fino ad ora per gli studi condotti

negli ultimi decenni: 160 milioni di

euro circa.

• A livello territoriale come e

quanto l’abitato di Torre Faro

verrà investito dal ponte?

Per ammissione della stessa SdM

“l’area non sar{ più la stessa” ed è

evidente che l’opera stravolger{ il

territorio e non solo nell’area di

Torre Faro. Noi siamo abituati a

pensare all’impatto del ponte

riferendolo solo all’icona ormai

conosciuta dell’impalcato, in real-

tà la parte veramente invasiva è

quella relativa ai

raccordi a terra

che inizia col

viadotto che

passerà proprio

tra i due laghi

per proseguire

tra gallerie e viadotti verso

l’autostrada. E il rischio che molti

addetti ai lavori paventano è che

verranno stravolte le aree di at-

tacco a terra del ponte sui due

versanti calabrese e siculo, con un

giro d’affari immenso, ma che il

ponte non si farà mai.

Il solo cantiere delle torri equivar-

rebbe a circa 150.000 metri qua-

drati ossia a 23 campi da calcio.

Esiste inoltre un cospicuo piano di

espropri e tutto un settore riguar-

dante aree di movimentazione e

discariche ancora poco conosciuto,

ciò che è certo è che le strade cit-

tadine diventeranno strade di un

immenso cantiere territoriale

portando con sé vari tipi di inqui-

namento, dalle polvere sottili

all’inquinamento acustico. Ag-

giungerei un’ultima considerazio-

ne relativa alla zona Torre Faro-

Ganzirri: paradossalmente un

comune cittadino per sistemare

dei pannelli solari in casa propria

deve addentrarsi nella giungla dei

permessi perché nulla deve arre-

care danno al passaggio dei volati-

li sullo Stretto … e poi si stravolge

tutto con i cantieri del ponte.

• Pensa che il Ponte possa essere

utile allo sviluppo di Messina?

È importante ricordare che negli

anni ’60 in riva allo Stretto si svi-

luppò un dibattito che vide il tema

del ponte inscindibilmente legato

a quello dell’area integrata dello

Stretto, cioè Messina, Reggio Cala-

bria e Villa S. Giovanni insieme per

costituire una piattaforma di atti-

vità e servizi di tutto rispetto a

livello europeo: il ponte era visto

come l’elemento centrale per

l’integrazione dei due versanti

dello Stretto. Negli anni, gli obiet-

tivi legati alla costruzione del

ponte si sono allontanati da que-

sto progetto per mettersi al servi-

zio di strategie di livello europeo;

quindi se qualcuno sta aspettando

il ponte, i pendolari ad esempio,

dimentichino di poter migliorare

la proprio condizio-

ne, al contrario gli

spostamenti tra le

due sponde potreb-

bero diventare più

onerosi e complicati

anche in prospettiva

di un depotenziamento dei tradi-

zionali mezzi di comunicazione. La

costruzione dell’opera col cantiere

e l’indotto potrebbe portare capi-

tali ingenti in riva allo Stretto ma

sappiamo già che buona parte del

personale impiegato verrà da

fuori e se guardiamo alla futura

gestione del ponte il numero degli

addetti non dovrebbe superare

quello delle persone che verrebbe-

ro licenziate dalle società di navi-

gazione

• Quali dovrebbero essere i tem-

pi? Verranno rispettati o i lavori si

protrarranno più a lungo del previ-

sto con il rischio di creare un nuo-

vo caso Salerno-Reggio Calabria?

La simbolica prima pietra è stata

posta il 23 dicembre dello scorso

anno a Cannitello nell’ambito delle

opere propedeutiche, per dirla in

soldoni si tratta dello spostamento

di alcuni chilometri di binari per

fare spazio al cantiere, mentre il

cantiere principale non è ancora

partito. Berlusconi ha dichiarato

recentemente che il progetto ese-

cutivo sarà pronto entro dicembre

ma solo in questi ultimi mesi sono

state avviate le trivellazioni per le

indagini geognostiche per le quali,

tra l’altro, molti si chiedono come

mai non siano state avviate nei

decenni precedenti.

L’appuntamento per la cerimonia

di inaugurazione è stata fissato

nel 2017… è stato anche dichiara-

to che nel 2013 giungeranno a

compimento i lavori sulla Salerno-

Reggio Calabria.

Intervista a cura di

Antonio Crisafulli III F

2828

Parla l’Arch. Arena, dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

“ Il ritorno economico non

è prevedibile al momento

della costruzione ma di certo,

come per tutte le grandi ope-

re, può essere il più consisten-

te per Messina e lo Stretto”

“Un eccessivo salto tecnologico senza garanzie”

Page 29: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

F oggia, 12 settembre 1993. E’ il minuto 74,

quando Giovanni Trapattoni, all’epoca alle-

natore della Juventus, sostituisce Fabrizio Rava-

nelli con Alessandro Del Piero, un giovane acqui-

stato quell’estate per 5 miliardi di lire. Ebbene,

quel giovane, dopo 17 anni, è

ancora lì, a giocare per la stessa

squadra e ad indossare la stessa

maglia, quella che gli ha spalan-

cato le porte della Serie A e quel-

la con cui la settimana successiva

al suo esordio realizza anche il

suo primo gol in campionato,

mettendo il sigillo sul 4-0 della Juve alla Reggia-

na. Alla fine, anzi ad oggi, sono 275 i gol siglati da

Del Piero nella massima serie, frutto di 422 pre-

senze. 51, invece, le reti targate Europa e 637

nel complesso i gettoni ufficiali in maglia bianco-

nera. Proprio alcuni dei suoi gol hanno fatto

storia. Nella stagione 1995/96 nasce il famoso

“Gol alla Del Piero“, caratterizzato da una para-

bola morbida a giro dal vertice sinistro dell’area

di rigore, con la palla che si infila puntualmente

all’incrocio dei pali, alla sinistra di portieri immo-

bili e impotenti. Molti i capolavori anche su cal-

cio di punizione, con traiettorie

imparabili, vere e proprie pen-

nellate che gli valsero, per bocca

di Gianni Agnelli, il paragone col

pittore Pinturicchio. Poi, le accu-

se di Zeman sulla sua presunta

ed improvvisa crescita muscola-

re ed il grave infortunio ad Udi-

ne, l’8 novembre del 1998, il giorno prima del

suo compleanno, con il ginocchio sinistro che fa

crack e la lesione del legamento crociato anterio-

re e posteriore. Una batosta tremenda che, dopo

l’operazione negli Stati Uniti, lo terrà lontano dai

campi di gioco per 9 mesi. Poi, la lenta ripresa e il

rilancio con Marcello Lippi, ma i movimenti, la

rapidità e l’agilità non sono più quelli di prima.

Alex fatica a ritrovare la migliore condizione e la

brillantezza dei tempi migliori. Pochi sono i gol

nel corso delle varie stagioni, quasi zero i tiri alla

Del Piero. Lo score di Alex subisce una leggera

impennata tra il 2001 e il 2003 (32 i gol realizzati

in campionato) e tra il 2006 e il 2008, anno

quest’ultimo in cui si laurea capocannoniere con

21 centri. Prima e dopo, le stagioni tormentate,

con il rapporto poco idilliaco con Fabio Capello,

Calciopoli e la retrocessione in Serie B, la gestio-

ne di Ranieri, poi quella di Ciro Ferrara, poi quel-

la attuale di Del Neri, nelle quali Alex è sempre in

discussione, nonostante i gol e le sue linguacce,

nonostante sia bandiera indiscutibile, nonostan-

te siano 17 le candeline che domenica 12 set-

tembre, i tifosi della Juve hanno soffiato con lui.

Alberto De Domenico I H

D a tre anni a questa parte, la profes-

soressa Milazzo ci propone di aderi-

re a questo gesto che si ripete an-

nualmente l’ultimo sabato di novembre. Dal

1997, il Banco Alimentare propone la Giorna-

ta Nazionale della Colletta Alimentare in cui

volontari invitano le persone che fanno la

spesa ad acquistare alimenti a lunga conser-

vazione che verranno poi distribuiti alle fami-

glie bisognose della nostra città.

In passato, sentendo parlare di povertà estre-

ma, il pensiero si rivolgeva subito a territori

lontani. Ma bisogna aprire gli occhi. Consul-

tando i dati degli ultimi tre anni aumenta, a

vista d’occhio, il numero di persone che non

arrivano a fine mese. Que-

sta proposta ci permette

di aiutare chi ha bisogno e

ci è vicino. Ma, siamo sicu-

ri che quest’occasione

sarà d’aiuto solo a loro?

Dopo avervi partecipato

più di una volta, chiacchie-

rando con gli amici con cui

ho condiviso questo gesto, ho notato quanta

gioia nasca dall’aiutare gli altri. Ne “Il senso

della caritativa”, Don Luigi Giussani scriveva

che è insita in ciascuno “l’esigenza di interes-

sarci agli altri”. Non è forse vero che dopo

aver aiutato un amico ci sentiamo bene? “La

Carità è il dono più gran-

de che Dio ha fatto agli

uomini … perché è amore

ricevuto e amore donato”

(Caritas in Veritate).

L’anno scorso noi ragazzi

del Maurolico abbiamo

partecipato in 120.

Quest’anno si svolgerà il

27 Novembre. Vi invito a partecipare numero-

si perché “anche fare la spesa e donarla a chi

è più povero è occasione di un immediato e

positivo cambiamento per sé e quindi per la

società”.

Anna Laura Ammendolia II B

2929

Juventus, Del Piero: 17 anni in bianconero

Un’opportunità: la Giornata della Colletta Alimentare “La vita è determinata dalle opportunità perfino da quelle che non cogliamo” (B. Button)

Il corso di scrittura creativa al Maurolico

Anche quest’anno si attiverà al

Maurolico un corso di

scrittura creativa, che

sarà tenuto dal dott. Luigi La Ro-

sa. Esso è aperto a tutte le classi

del Liceo e del Ginnasio e si terrà

in otto pomeriggi (1-2 al mese, a partire da

novembre) in date da concordare con gli

iscritti. Questi dovranno versare la somma

di 100 euro sul c.c.p. intestato al Maurolico

(che potranno ritirare in segreteria) e con-

segnare poi la ricevuta (o fotocopia della

stessa) al responsabile del progetto, prof.

Felice Irrera. Al termine del corso sarà

rilasciato un attestato valido ai fini

dell’attribuzione del credito scolastico.

Grazie.

Page 30: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

«Q uelli troppo intelligenti per impegnarsi

in politica – recita un celebre teorema

di Platone, riproposto ne La legge di Murphy per

la sinistra - vengono puniti coll’essere governati

dai più stupidi». E’ ormai lontano quel 4 febbraio

2010 quando abbiamo appreso da Berlusconi e

Gelmini, in conferenza stampa, della riforma vara-

ta dal Consiglio dei Ministri. «Riforma epocale e -

parole della Gelmini - non ideologica!». Da dove

poi l’ineffabile “ministra” abbia tratto tale eccelsa

competenza in campo pedagogico e formativo,

tanto da lasciarsi andare ad affermazioni apoditti-

che, è più che un mistero. Alla prova dei fatti, di

contro, traspare chiara l’ideologia sottesa (povera

Gelmini, qualcuno le dovrebbe spiegare il signifi-

cato di ideologia!) e Berlusconi chiarisce: «La

scuola attuale non sforna (sic! n.d.r.) ragazzi con

cognizioni adeguate alle richieste del mondo del

lavoro». Silenzio sui tagli di ore, sui nuovi quadri

orari, sulla riduzione degli indirizzi sperimentali

(scomparse Geografia e Diritto), ma enfasi

sull’opzione del nuovo liceo, quello musicale,

condita con una delle sue solite battute: «Studiate

le mie canzoni e quelle di Apicella…» In sintesi: la

scuola deve preparare degli ottusi lavoratori, che

in piena disoccupazione sapranno cantare, aspet-

tando che… passi! Nella copiosa letteratura dei

neo sdegnati per tanta pochezza intellettuale, mi

piace citare il parere autorevole di Calogero Virzì,

storico redattore de La tecnica della scuola: «La

drastica riduzione di ore non ci avvicina di certo

all’Europa....I paesi moderni stanno tutti andando

nella direzione opposta». Mesi di lotte, manifesta-

zioni, scioperi, riunioni... tutto inutile. Nella storia

della nostra democrazia è la prima volta che un

governo non risponde alle proteste della piazza e

alle sensate critiche degli operatori della scuola;

ma va avanti in modo ottuso e protervo sulla

strada tracciata. Ho pensato spesso in questi mesi

al fatto che una delle forme più tristi del totalitari-

smo è quello delle democrazie liberali. «Perché -

scrive H. Arendt - le democrazie liberali sono strut-

turalmente inquinate dagli

elementi pre-totalitari dovu-

ti alle mostruose disegua-

glianze sociali e dall’eclissi e

dal sequestro di democrazia

operato dai partiti- macchina…, ammuffiti, con-

cettualmente verbosi e politicamente attivi solo

per fini propri». Ecco l’ideologia sottesa alla rifor-

ma Gelmini: tagliare i fondi alla scuola (oltre che

alla sanità, aggredita aliunde, pilastri del welfare),

senza ridurre gli sprechi; accompagnare il tutto

con discorsi accattivanti e con false promesse, che

nessuno nel tempo saprà smascherare - a parte of

course gli effetti evidenti sulle

vittime della malasanità, in

altro ambito - perché non ne

avrà gli strumenti intellettuali.

Che fare? Ed ecco che dopo una riunione sindaca-

le, convocata dalle RSU del Maurolico, nasce

l’idea: fare in modo che tutte le azioni di protesta

vengano condivise, creare una cassa di resistenza,

che attutisca i disagi di chi decide di scioperare.

Abbiamo così aderito allo sciopero, indetto dai

COBAS, durante gli scrutini. Ovviamente, poiché

una disposizione ormai ventennale vieta il blocco

degli scrutini, questi hanno subito una sorta di

slittamento, ma è stato un modo, nel disagio che

ne è conseguito per l’utenza, di far sentire la

nostra voce. Reputando che la nostra azione po-

tesse essere condivisa, abbiamo convocato una

riunione al Maurolico il 19

giugno, alla quale hanno

partecipato le organizzazioni

sindacali FLC CGIL, CISL

SCUOLA, UIL SCUOLA,

SNALS CONFSAL, GILDA-UNAMS e COBAS, il Comi-

tato Insegnanti Precari, l’Osservatorio Scuola e il

gruppo spontaneo di docenti di Proposta scuola,

nella prospettiva di far confluire tutte le azioni di

protesta, già avviate, in un unico movimento di

mobilitazione per denunciare lo smantellamento

e l’impoverimento culturale della scuola pubblica.

Simbolo di questa ottenuta unione di intenti lo

striscione, che ha fatto

bella mostra di sé durante

gli esami di stato.

Nell’incontro successivo

(14 luglio), sempre al Maurolico, la partecipazione

si è fatta più attiva e propositiva, grazie anche alla

presenza di alcuni studenti del Liceo. In quella

sede sono state avanzate alcune linee progettuali

ed operative, finalizzate ad una mobilitazione e

sensibilizzazione sul tema della scuola: assemblee

pubbliche, manifestazioni culturali e musicali,

lezioni aperte al pubblico tese ad illustrare le ulti-

me devastanti innovazioni introdotte, azioni di

supporto alle proteste ed ai digiuni dei precari

(i più drammaticamente colpiti dai tagli)… ed

anche la creazione di una pagina su Facebook,

Resistenza scuola. La pagina, infatti, vuol essere

un modo per creare un gruppo di discussione e di

sensibilizzazione, nella ferma determinazione di

resistere al terremoto che ha investito la scuola. Si

tratta, infatti, di coordinare tutte le azioni di pro-

testa, specialmente ora che un primo risultato

sembra essere stato raggiunto: «Nuova battuta

d’arresto – si leggeva sul Sole 24 ore del 1 ottobre

2010 ¹ - per il Ministero dell’Istruzione nella batta-

glia di carta bollata che lo oppone allo Snals-

Confsal, a Cgil-Fp e a due comitati di docenti e

famiglie sull’attuazione della riforma delle supe-

riori - Il Consiglio di stato conferma la sospensiva

del provvedimento sugli orari». Credo che noi

insegnanti del Maurolico (anche se ancora siamo

una minoranza) abbiamo saputo imboccare la

strada giusta: appoggiare ogni azione di protesta,

che si dimostri operativamente efficace. Speriamo

di riuscire a progredire in questo cammino, speri-

mentando insieme agli studenti forme di autenti-

co impegno, nell’obiettivo condiviso di una scuola

migliore per noi e per le generazioni future.

prof.ssa Angela Maria Trimarchi

¹ Nuovo stop alla riforma della scuola, Il Sole-24

Ore, venerdì 1 ottobre 2010, pg. 39.

Riforma Gelmini: che fare? La mobilitazione per salvare la scuola pubblica

L‟eloquente striscione appeso a Giugno al Maurolico

« La drastica riduzione di ore non ci

avvicina di certo all’Europa....

I paesi moderni stanno tutti andando

nella direzione opposta».

“ Speriamo di riuscire a progredire

in questo cammino, sperimentan-

do insieme agli studenti forme di au-

tentico impegno”

3030

Page 31: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

Ricambio generazionale Il sofferto passaggio da bersagli a tiratori di uova!

M i sembra avantieri (se non ieri) la pri-

ma volta che varcai le porte

dell’Archimede. Ricordo perfettamente i pri-

mi volti, le prime parole e, altrettanto distin-

tamente, ricordo la paura e la trepidazione

che percorse ogni cellula del mio corpo al

suono della campanella. Avrei finalmente

affrontato il Liceo. Dopo averne tante volte

(forse troppe!) sentito parlare, stavo per vi-

verlo in prima persona. Entrai.. .

(Ammettetelo… una reticenza così non

l’avete vista neanche ne I Promessi Sposi!)

Arrivò Giugno.. e poi di nuovo Settembre.

Stessa scena. Altra scuola. Avrei affrontato un

altro primo giorno. Non all’Archimede...ma al

Maurolico. Ebbene sì, dal 1 Liceo al 5 Ginna-

sio. Alle 08.05 del 14 Settembre 2009 mi ri-

trovai così in una classe totalmente nuova,

compagni e prof. TOTALMENTE sconosciuti. E

fu così che, incredibilmente disorientato, la

domanda sorse spontanea: <Ma cu mu fici

fari?? >. Se mi fossi fermato alla prima, non

ottima, impressione che ebbi del Maurolico

adesso non sarei qui a parlarne. E’ trascorso

un anno da allora e tutto è cambiato. Mi ri-

trovo adesso in Primo Liceo a ricordare con

un sorriso e un po’ di malinconia le vicissitudi-

ni degli ultimi anni. Basta osservare il mio

abbonamento del bus per capire quanto tem-

po sia effettivamente passato. Aleggiano i

segni di centinaia di temporali e corse sfrena-

te senza ombrello sul Boccetta allagato

(torrente, in tali circostanze, di nome e di

fatto) nel disperato tentativo di non perdere

il Campagna delle 12.35 per Villafranca!

Quante volte l’ho perso nei posti più assurdi

per poi ritrovarlo settimane dopo con grande

s o r p r e s a ( N o , n o n l ’ a u t o b u s !

L’abbonamento!). E dopo tante cadute, pieno

di strappi, pieghe e aloni neri, è ancora qui,

tra le mie mani mentre scrivo quest’articolo.

Mi ha accompagnato, dopo tutto, per tutta

quest’avventura scolastica, tra le mille spara-

tine Archimediane e le un po’ più rare mani-

festazioni Mauroliciane, tra l’occupazione e

gli innumerevoli pomeriggi trascorsi a trangu-

giare gelati e patatine a Piazza Cairoli

(appunto di grammatica...Ho sempre detto

“In piazza Cairoli”. Vorreste dirmi che ho sem-

pre sbagliato?). Salendo ora, a distanza di

oltre 2 anni, sullo stesso autobus, vedo le

new entries tirar fuori abbonamenti sfavillan-

ti, stampati al massimo due settimane fa. I

novellini si riconoscono subito. Li potete ve-

dere anche voi, passeggiando per i corridoi

del Ciccio Mauro. I più si muovono timidi e

impacciati, cercando di non dare troppo

nell’occhio, altri si atteggiano già a liceali,

indossando i loro instancabili Ray Ban Aviator

e una cintura Burberry nuova di zecca. Anco-

ra si legge nei loro occhi quella curiosità tipica

dei quartini, la grinta di chi si alza volentieri

alle 6 e un quarto e prende il primo autobus

per arrivare a scuola un’ora prima

dell’entrata per il solo gusto di incontrare i

nuovi “compagnetti”. La grinta di chi prepara

lo zaino la sera prima, riaprendolo più volte

per accertarsi che vi sia tutto. La grinta di chi

seleziona scrupolosamente i vestiti del giorno

dopo, ripiegando tutto con cura sulla sedia

della scrivania (che, come ci puntualizza Face-

book ormai quotidianamente, è diventata per

noi giovani come un secondo armadio!). In

men che non si dica le 6 e un quarto divente-

ranno le 6 e mezza e, dopo due mesi, le 7

meno un quarto. (I compagni potranno anche

aspettare)... Dopo un poco partecipe e quan-

to mai inutile tentativo di darsi un look accet-

tabile davanti allo specchio, guardandovi

distrattamente intorno 5 minuti prima della

partenza, vi accorgerete anche voi, o quartini,

di aver totalmente “obliato” la preparazione

dello zainetto!! Il vostro Eastpack Wyoming

giace infatti a terra,

debolmente accasciato

ai piedi della scrivania, a

godersi quel poco di

sonno a voi negato. Lo

riempirete allora in

tutta fretta, precipitandovi in strada e rag-

giungendo la fermata dell’autobus strana-

mente vuota. Sarà allora che guardandovi

intorno porrete alla prima vecchietta nel

vostro raggio d’azione la fatidica domanda:

“E’ passato l’autobus?”. Sì, è passato. Anche

voi proverete l’ebbrezza di un ritardo mostru-

oso, con tanto di giustificazione scritta il gior-

no dopo. E se a inizio anno questa “tiritera”

mattutina sarà una rara eccezione, diventerà

la regola a fine Aprile, quando, estenuati dai

ritmi di un intero anno scolastico, anche voi

collezionerete una lunga fila di ritardi e in-

gressi a seconda ora! Sarà allora che non

rimarrà neanche un briciolo del vostro inte-

resse e della vostra euforia di inizio anno e vi

sarete anche voi assuefatti alla frenesia del

mondo scolastico……... Okay, lo ammetto, ho

molto esagerato. Volevo solo spaventarvi un

pochetto! La vita di un liceale in fondo non è

poi così terribile! Ci sono tante nuove espe-

rienze da vivere, nuovi amori, nuove emozio-

ni. Pure voi, chi più, chi meno, affronterete le

vostre love stories tra le mura del Maurolico.

Alcuni avranno una bella relazione ufficiale

spiattellata su Facebook, offrendo qualche

scoop ai redattori dell’ormai in crisi “angolo

del cuttigghio” (Fortemente collegato con lo

spionaggio russo e con Messina Sa Tutto su

FacciaLibro n.d.r .) . Altr i avranno

un’avventurella segreta, tra sguardi maliziosi

e baci rubati nei posti più impensabili. Non

mancheranno poi gli scapoli! (perché usare a

tutti i costi degli inglesismi se abbiamo voca-

boli italiani altrettanto validi? :D) Ma su, o

zitelli, il celibato non è poi così tanto male!

Ciò che conta veramente è l’amicizia. E nel

bene o nel male, la scuola è il miglior mezzo

per socializzare. Troverete tante persone

false, sicuramente. Ma fra tante pecore nere

ci sarà sicuramente qualcuno che vi colpirà,

qualcuno con cui condividerete gioie, delusio-

ni, interrogazioni andate male e sabati sera in

discoteca. Qualcuno che ci sarà sempre, che

vi accompagnerà nel vostro primo bacio ad

un falò e vi sosterrà nei tristi pomeriggi post-

separazione. Mi auguro per voi che possiate

vivere al meglio tutto questo. Perché, per

quanto se ne dica, la scuola è fantastica. E fra

20 anni, ritrovando in uno scatolone una

vecchia foto scolastica - o, in alternativa, una

molto meno suggestiva foto digitale nell’hard

disk esterno del PC -

ricorderete con nostalgi-

a questi momenti. Non

sciupateli. E non vi de-

primete per un voto

basso o un bacio negato.

Pensate piuttosto a studiare e divertirvi,

finché ne avrete occasione. Concludo citando

il grandissimo Lorenzo De’ Medici, che di

gioventù se ne intendeva: <<Quant’è bella

giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol

essere lieto, sia: di doman non c’è certezza.>>

Per vostra fortuna il mio panegirico termina

qui. Un saluto particolare a Gimimma (la cui

reale identità non vi è dato sapere), mia con-

fidente e ispiratrice.

Simone Salvo I F

3131

“ Ma fra tante pecore nere ci sarà

sicuramente qualcuno che vi colpirà,

qualcuno con cui condividerete

gioie, delusioni, interrogazioni andate

male e sabati sera in discoteca”

Page 32: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

“C on il fuoco non è ancora

finita. Gli Incendiari Rossi.”

Questa la frase pervenuta

alla Gazzetta del Sud, tramite telefonata

anonima, da una voce ma-

schile forse registrata su

nastro magnetico; subito

dopo la conversazione

s’interrompe. È il 1977, epo-

ca fortemente animata da

continui scontri politici, la

notte dell’Immacolata: dagli

uffici del Maurolico, adiacen-

ti a quelli della scuola media,

nonché istituto professiona-

le, “Antonello” e la scuola intitolata a Mazzi-

ni, si levano le fiamme. Un gruppo di giovani

estremisti, definiti poi “Il Commando” fa sì

che l’incendio si espanda fino alla stanzetta

del Preside Antonio Mura, distruggendo

tutto il materiale custoditovi. Non sarà più

possibile recuperare i mobili, le suppellettili,

un televisore, macchine auto-

matiche e il materiale didatti-

co dovrà essere ricopiato dal

personale scolastico durante

le vacanze di Natale. “Questo

atto drastico non è frutto”-

testimonierà il Preside- “di

una mano pesante contro gli

alunni; ma un vero e proprio

atto di protesta.” Oggi il fer-

vore politico tra i giovani non

manca, ma quando i ragazzi sentivano ad-

dosso il peso delle manifestazioni e degli

scontri che facevano parte della quotidiani-

tà, arrivavano a emulare coloro che ritene-

vano portavoci delle loro ideologie con atti

vandalici come questo. I “figli” delle Brigate

Rosse tentavano di trovare uno spazio tra i

mille e più interventi che costituivano la loro

realtà, certamente nel modo sbagliato, ma è

stato un tentativo. A loro non è stata data

poi così importanza, quest’evento è rimasto

nell’ombra, così come chi l’ha provocato. Gli

Incendiari Rossi cercano la distruttiva rispo-

sta alle inutili parole nel fuoco. Come quella

che lo ha spento la notte dell’8 dicembre

1977 , fino ad oggi di acqua ne è passata

sotto i ponti.

Virginia Gregorio V E

Giulia De Luca I A

3232

Maurolico in fiamme! Accadde nel Dicembre del 1977, epoca di forti tensioni e scontri politici

Scendi giù, scendi giù, manifesta pure tu! Scuola nuova? No, lavata con …!

Amo la mia scuola perché...

Durante i moti dell‟ 8 0ttobre, il personale A.T.A. dichiara lo stato

d‟assedio. Nasce il triumvirato delle guardiole.

Il laboratorio del compianto Damiri rivela l‟ultimo dei suoi

segreti: un‟evoluzione della lavanderia a gettoni?

Page 33: Voce comune dal 1986 - maurolicomessina.gov.it SITO/koine/KOINE' OTTOBRE … · Nella foto- grafia soprastante ... Che sennò la sinistra, con quel comico lì, come si chiama... -Parla

I nizia tutto nella Sarajevo del 1984, abitata

da gente sorridente e ironica e sede delle

Olimpiadi invernali. Proprio in questa città

giunge la protagonista del

romanzo, Gemma, che, guida-

ta da un poeta bosniaco, Goi-

ko, conosce l'uomo che rivolu-

ziona la sua vita: Diego, un

fotografo genovese. I due si

innamorano subito e lì nasce la

loro storia d'amore, vera, sin-

cera, appassionata, ma piena

di dolori e sacrifici. La natura,

infatti, nega a Gemma la ma-

ternità, però l'amore supera la

scienza, le difficoltà e gli ostacoli della vita,

tanto che, proprio quando scoppia la guerra a

Sarajevo, ritornano in quel luogo che li ha

fatti incontrare, dove conoscono Aska, una

giovane donna che mette al mondo il figlio di

Diego, Pietro. Ma la guerra farà brutti scherzi

e, a distanza di anni, il passato di Gemma

verrà di nuovo alla luce, quan-

do ritornerà in quella città

nella quale ha lasciato una

parte di sé: Diego. Questo

romanzo è come una favola:

intensa, profonda, da ammira-

re, da rileggere e con un lieto

fine rappresentato dal miraco-

lo di un figlio sempre voluto e

desiderato, venuto al mondo

per caso su uno sfondo di

guerra contemporanea. Per

questo risulta molto attuale e appassiona sia

noi adolescenti alle prese con una vita, di cui

sorgono i primi piccoli problemi, sia i nostri

genitori che non solo sono stati gli osservatori

di questo conflitto degli anni '90, ma anche

hanno già vissuto a pieno la loro parte di vita

più bella e dolorosa così da affermare : “La

speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbia-

mo già sperato, e quasi sempre abbiamo

perso”. Come tutte le favole, anche questa

mette in luce un amore di due giovani pieni di

vita, che muta col mutare dello sfondo dolo-

roso rappresentato dai problemi e dal mondo

stesso in cui vivono, ma che non si spegne

mai come i reali e sinceri amori. Chi ha voglia,

dunque, di rifugiarsi nelle pagine di pace, di

guerra e soprattutto di colpi di scena e di

emozioni, si nasconda in queste di “Venuto al

Mondo” (Mondadori, 2008, pp. 531, € 20,00),

dove amori e conflitti si intrecciano per far

venire al mondo questo romanzo che colpisce

dritto al cuore.

Oriana Crea III A

3333

Venuto al Mondo Nel libro di Margaret Mazzantini l’avvincente storia di chi non si arrende

Lo specchio di Morgana Il libro di Andrea Genovese sarà presentato il 28/10 presso la libreria Ciofalo

C hi vuol conoscere la Messina degli anni

del dopoguerra e commuoversi o sorri-

dere scorrendo il racconto di una giovinezza

non semplice deve leggere la trilogia messi-

nese di Andrea Genovese, iniziata

con “Falce Marina”, proseguita con

“L’anfiteatro di Nettuno” e conclu-

sa adesso con “Lo specchio di Mor-

gana” (Intilla Editore, 2010, pp.

332, € 13,00).

Genovese è un “giostroto” puro-

sangue che oggi è a Lione, in Fran-

cia, e visse, prima da bambino e

poi da giovane liceale, nella nostra

città quegli anni difficili. I tre ro-

manzi non hanno precedenti nella

storia della letteratura della nostra

città, permettendoci sia di cono-

scerne degli aspetti certamente ignoti alle

nuove generazioni e pressoché dimenticati

dagli anziani, sia di vedere svilupparsi grada-

tamente sotto i nostri occhi la personalità del

protagonista, che si forma gradatamente la

certezza di un proprio destino irredimibile,

proprio come quello della comunità giostrota,

sempre alle prese con una squallida quotidia-

nità che sembra tarpare quelle ali necessarie

a spiccare il proprio volo di uomo e cittadino.

Così, mentre la città risorge ancora assonnata

dalle sue sventure, Andrea non trova nemme-

no nella politica il necessario supporto per

una svolta. Anzi. La politica, di cui egli fa le

prime esperienze, si rivela subdola e già cor-

rotta, disattenta ai veri problemi (quelli a cui

continuamente fa riferimento il protagoni-

sta), dedita al piacere, alle feste, alle gozzovi-

glie.

Forse il solo punto fermo che, in

tutti gli anni della sua formazio-

ne, il nostro riesce a trovare è la

figura paterna di Peppino Miligi,

chiara figura d’intellettuale e

memoria storica della Messina

che fu, recentemente scompar-

so, che riesce a rimetterlo in

carreggiata dallo sbandamento

in cui è incorso e a fargli termi-

nare gli studi. Ma il “romanzo” di

Genovese non è terminato e già

lavora al soggiorno palermitano

e a quello, assai denso, a Milano, che, a quan-

to ci risulta, saranno ricchi di sorprese.

prof. Felice Irrera

Recensioni

Anni „50: Messina in una foto d‟epoca

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La Redazione Il direttivo

Claudio Staiti III A

Roberto Saglimbeni II E

Maria Chiara Pollicino II F

Antonio Crisafulli III F

Claudia Santonocito III F

Logo 2010/2011 ideato e realizzato da Domenico Pino V F

Stampato presso Società Cooperativa Spignolo a.r.l. Via Maffei, 8 - Messina tel. 090 717340 - Fax 090 6415659

I vignettisti

Federica Vitale II A

Domenico Pino V F

Antonio Zaccone III F

I redattori

Giulia De Luca I A

Oriana Crea III A

Angela Russo III A

Anna Laura Ammendolia II B

Valerio Calabro’ II D

Federica Fusco V E

Virginia Gregorio V E

Marina Pagano III E

Andrea Santoro V F

Silvia Cavalli I F

Simone Salvo I F

Sophia Sorrenti II F

Antonino Cincotta III F

Amtonio Zacccone III F

Silvia Sturlese III F

Alberto De Domenico I H

Ringraziamo per il loro contributo

prof.ssa Angela Maria Trimarchi

prof. Felice Irrera

prof. Raffaele Talottta

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Vignetta Ipse Dixit “La prof.ssa del Medioevo” ideata e realizzata da Federica Vitale II A

NASCE “DISCIPULUS DIXIT”!

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VASI: "Un’atmosfera si scrive 1 atm

come gli autobus a Messina…"

MACRIS: "Voi non vi ritrovate nei perso-

naggi della commedia, siete gente più

da film saponetta … da soap opera!"

MACRIS: "Adesso introduciamo Se-

neca..." - Alunna: "Ma a che pagina

siamo?"- MACRIS: "Una pagina inde-

terminata del mio cervello..."

RAGNO: "La gigante rossa è una stella

in sala di rianimazione..."

MACRIS: "Il vocabolario piccolo corri-

sponde al vostro nanismo mentale!"

CUCINOTTA: "Vedete come era ben

organizzata la città di Uruk: c'era

proprio tutto, mancava solo un ope-

ratore informatico!"

Alunna: "Professore, non ho

voce…"

IRRERA: "Fattela prestare…"

RIZZO: "Una volta insegnavo in una

classe sperimentale con 20 alunni: 4

erano super bravi, 4 bravi, 4 sufficienti

e 4 con carenze…" (e gli altri 4?!)

MACRIS: "Non accetto giusti-

ficazioni: mia nonna è mala-

ta, mia zia è risuscitata...!"

Alunno: "Prof., con quante b si scrive

strabico? Una, vero?

VENUTO: "Dipende, se è grave due!"

[email protected]

Ci trovi anche su Facebook: “Koiné Giornale del Maurolico”

http://www.maurolicomessina.it/koine_2010_2011.ph

Puoi leggere on-line questo giornale e rivedere le edizioni dell’anno scorso qui:

MACRIS: "L’alunno conse-

gue la sufficienza, il saggio

consegue l’autosufficienza.

Conclusione del sillogismo:

l’alunno non è saggio!"

RAGNO: "Ragazzi silenzio! Fermate il

gioco e palla in centro..."

FRISONE: "Ma chi lo ha

inventato Settembre a

scuola??!!"

VASI: "Questo problema è

facile ma è difficile..."

POLIA: "Lunedì spiego, ma se pro-

prio sentite l’esigenza di essere in-

terrogati, io sono qua!"

TALOTTA: "Gli uccelli quan-

do si muovono in massa

diventano pericolosi..."

(Una mosca ronza intorno

all’interrogata)

Alunni: "Uccidiamola!"

BAMBARA: "Lasciatela vivere,

la mosca passa e vi saluta..."

Alunno: "Per fare l’aceto il vino

viene corrotto dall’acqua"

RAGNO: "Viene corrotto?! Che

gli dà? La mazzetta?"

VENUTO: "Fammi vedere il

quaderno!"

Alunno: "Me lo sono scorda-

to..."

VENUTO: "Ok, vieni alla lava-

gna..."

Alunno: "Ok, ma la prima e-

spressione non m’è venuta..."

VENUTO: "E fammi vedere il

quaderno!"

Alunno: "Panteismo..

deriva da panta…"

POLIA: "La Panda?

FIAT?!"

Alunno: "Prof, dovrei anda-

re a cercare Persichina..."

PICCOLOMINI: "E che sei?

Persichina-dipendente?"