PAROLE
POESIE GRAFICHE SETT - OTT
RUBRICHE DI 2013 RACCONTI MAURIZIO ANNO XVII DIALETTO CARUSO N° IV
“Africa 3, acrilico su tela, cm 50xcm70, Bologna 2013”
O L’articolo di fondo di Mirella Gresleri O “Il Poeta del mese” a cura di Rosalba Casetti e Valeria Bragaglia o Incipit:: “ti insegnerò, mia anima,” da una poesia di Cristina Campo,
(pseudonimo di Vittoria Guerrini) a cura di Rosalba Casetti e Valeria Bragaglia
o 1992 – 2013 Vent’anni del Laboratorio a cura di Oscar De Pauli o Visti da Francesco Montori o Scheda di lettura a cura di Anna Maselli o La poetica narrativa di Marina Sangiorgi o Le pâgine dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea o La poesia che cura di Alda Cicognani o L’opinione di Cinzia Demi o Un racconto di Carlo Boari a cura di Valeria Bragaglia o Giochi, indovinelli ed altro ancora di Sandro Sermenghi o Versi a S. Marcello Pistoiese a cura di Valeria Bragaglia
Anno 2013: ventunesimo anniversario del Laboratorio di Parole
Appuntamenti:
Tutti i primi giovedì del mese incontri - lezione con il Prof. Jonathan Sisco e
con il Prof. Giuseppe Bertoni, esperto di poesia contemporanea.
In date da stabilire, sempre il giovedì, il Prof. Gianfranco Lauretano e il Prof.
Giancarlo Sissa interverranno su argomenti poetici a tema.
Abbonamento annuale 5 numeri € 13,00.
Una copia € 3,00.
Rinnovo tessera ARCI 2014
€ 11,50
Registrazione Tribunale di Bologna N° 8044 del 18/02/2010 Direttore responsabile Primo Mingozzi
Redazione: Cinzia Demi (direttore), Valeria Bragaglia, Anna Maria Boriani (cassiere), Oscar De Pauli
(segretario), Viviana Santandrea (dialetto), Nadia Minarelli, Gabriella Penzo, Malena Verdoya, Giovanni Vannini,
Francesco Montori.
Stampa: Copisteria Asterisco snc Pubblicazione a diffusione interna del “Laboratorio di Parole”
Proprietà
Via Pirandello, 6 40127 BOLOGNA Tel: 051 505117, Fax: 051 6333781, Bar - ristorante. 051511807
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L’editoriale di Mirella Gresleri
1
Albert Camus
A proposito di anniversari
Duemilatredici: Anno di grandi e
celebrati anniversari; Verdi , Wagner,
D‟Annunzio.
Io vorrei rammentare qui un centenario
che, per quello che mi risulta, non
prevede, almeno in Italia, alcuna
celebrazione, la nascita cioè nel 1913
dello scrittore Albert Camus. Cittadino
francese, di lingua e cultura francesi,
era nato in Algeria allora colonia o,
come si diceva, territorio d‟Oltremare.
Molto letto negli anni ‟50 e „60
soprattutto per i romanzi “Lo straniero”
e “ La peste” , la sua fama è ora un po‟
appannata, ma un bel film del nostro
regista Gianni Amelio dal titolo “Il
primo uomo” ha rinfrescato in molti
di noi il nome di Camus.
Nato da una coppia di piccoli coloni,
Albert rimase orfano nello stesso 1914
quando il padre, richiamato alle armi
allo scoppio della guerra, cadde nel
corso della battaglia della Marna. La
famiglia ormai formata solo dalla
madre e da due bambini ( Albert era il
secondogenito) dal villaggio in cui
viveva si trasferì ad Algeri nell‟
abitazione della nonna materna, donna
dura e autoritaria che divenne il capo di
casa e feroce amministratrice delle
povere sostanze economiche della
famiglia. Un‟infanzia quella di Albert
amareggiata dai problemi familiari, ma
illuminata da gioiosi spazi di libertà,
goduta in un ambiente di grande
fascino Nella scuola che frequentava,
Albert incontrò la persona che sarebbe
stata fondamentale per tutta la sua
futura esistenza: l‟insegnante Germain,
uomo di grandi qualità umane e
intellettuali. L‟importanza di questa
figura è testimoniata nella lettera che
Camus gli indirizzò all‟indomani della
vincita, nel 1957, del premio Nobel per
la letteratura: “Senza di lei, senza
quella mano affettuosa che lei tese a
quel bambino povero che io ero, senza
il suo insegnamento ed il suo esempio,
non ci sarebbe stato nulla di tutto
questo.”
Era stato il signor Germain ad intuire
le grandi potenzialità di cui Albert era
dotato e aveva agito di conseguenza. In
una memorabile sera si presentò in
casa Camus e convinse la madre, ma
soprattutto la nonna, a permettere ad
Albert di partecipare ad un concorso per
una borsa di studio al quale lui stesso lo
avrebbe preparato, gratuitamente, era
inteso. Anche grazie a questo sostegno
economico della borsa di studio, Albert
compì il suo percorso di studente fino
alla laurea in filosofia ottenuta presso
l‟Università di Algeri.
Quando negli anni successivi egli lasciò
l‟Algeria per la Francia, continuò a
interessarsi alle sorti della terra in cui
era nato, auspicando per essa una
soluzione della questione coloniale che
permettesse alle due comunità, francese
e algerina, di vivere pacificamente sullo
stesso suolo.
continua a pagina 39>>
Il poeta del mese: Cristina Campo a cura di Rosalba Casetti e Valeria Bragaglia
2
Vittoria Guer-rini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977), ormai ricono-sciuta come una delle voci poetiche più alte del Nove-cento, è stata straordinaria ed
originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura euro-pea.
Appassionata studiosa di Hofman-nsthal, rivisitò il mondo misterioso del-le fiabe svelandone le trascendenti sim-bologie. Fu traduttrice e critica di origi-nale metodologia, enucleando dalle o-pere letterarie l'idea del destino e il do-minio della legge di necessità sulle vi-cende umane che l'arte esprime in una aurea di bellezza. Appartenne al ristret-to nucleo di intellettuali che avviarono l'introduzione di Simone Weil in Italia.
Negli anni cinquanta maturò la sua prima formazione nella Firenze dei grandi poeti del tempo ove conobbe Gianfranco Draghi che la indusse a pubblicare i suoi primi saggi su "La Po-sta Letteraria del Corriere dell’Adda e del Ticino". Dal ’56 si trasferì per sem-pre a Roma.
Studiosa di spessore leopardiano, stabilì intensi sodalizi umani e spirituali e in-numerevoli frequentazioni di grandis-simo rilievo, basti menzionare: Luzi, Traverso, Turoldo, Bigongiari, Merini, Bemporad, Bazlen, Dalmati, Pound, Montale, Williams, Pieracci Harwell, Malaparte, Silone, Monicelli e Schei-willer. Tra i filosofi ricordiamo Elémire Zolla. Andrea Emo, Lanza del Vasto,
Maria Zambrano, Danilo Dolci che so-stenne nei momenti difficili, ed Ernst Bernhard che le fece conoscere il pen-siero di Jung, di cui era stato allievo. Fu consulente editoriale, scrisse su impor-tantissime riviste e studiò l’esicasmo, la mistica occidentale ed orientale, i gran-di classici e i poeti di ogni tempo. La sua "metafisica della bellezza" la indus-se a una controversa e profonda rifles-sione sulla liturgia, ritenendo la sacrali-tà dei riti e la comprensione del valore della trascendenza efficaci difese dalla minaccia della despiritualizzazione del mondo incombente sulla modernità che secondo la Campo, in una certa misura, è disattenta alla bellezza ed esposta alla vanificazione delle intenzioni. L'archi-tettura culturale e spirituale dell'univer-so campiano si desume anche dai tanti e ricchi epistolari. In particolare dalle "Lettere a Mita" (la scrittrice Margheri-ta Pieracci Harwell), uno degli epistola-ri più affabulanti di tutta la letteratura italiana, è infatti possibile ricostruire la storia di un'anima che palpita per l'in-canto e la tragedia della vita. Vita che per la Campo è teatro della sfida al de-stino condotta dalla poesia e dal sacro.
Schiva reticente umbratile solitaria, Vit-toria Guerrini alias Cristina Campo è tra le figure più defilate della letteratura novecentesca. Anche tra le più attraenti: per il senso della spiritualità, per l'intensità con cui coltivò amicizie stellari (Silone, Alvaro, Bernhard...) legami epistolari, amori fatali (Elémire Zolla...), per la Scrittura lirica e immaginifica.
La scomparsa di Cristina Campo ha su-scitato nei circoli di UNA VOCE, in tutta l'Italia, una impressione di sgo-mento doloroso.
continua >>
Il poeta del mese: Cristina Campo a cura di Rosalba Casetti e Valeria Bragaglia
3
Ancora giovane e carica di energie che la mantenevano in una vibrazione con-tinua, è morta quasi d'improvviso, a-vendo conservato fino all'ultimo estre-mo la volontà di operare, specie nei set-tori dove aveva dato prova di vasta cul-tura e di intelligenza affascinante. Si può ben dire che le sue peculiarità con-sistessero principalmente nella cultura e nella intelligenza, che riusciva ad ado-perare con arte non di rado vicina al magistero. Il sapere, come categoria dello spirito, e la felice capacità di manovrarlo, l'aveva portata a una concezione aristocratica del mondo, che praticava lei stessa con un rigore che non conosceva cedimen-to. Nell'abominevole, degradante de-mocrazia populista che infesta la socie-tà attuale, il culto da lei professato per i valori e per le gerarchie dell’Essere, appariva un punto di riferimento prov-videnziale a chi, per avventura, fosse in procinto di smarrire la buona strada; ma suonava anche aspro disprezzo verso la spavalderia che insorge dagli infimi strati dell'ignoranza. Di qui, la sua profonda attrazione verso la teologia universale, verso le sue for-me liturgiche più complesse e i suoi simboli traboccanti di mistero: materie nelle quali era ferratissima, tanto da te-ner testa, quando occorresse, a qualsiasi "specialista", laico o religioso, in vena d’insensata profanazione. Una profonda religiosità traspare dalle opere che andò pubblicando, per lo più introduzioni, commenti, guide a testi sacri, o ad av-venimenti terribili del passato e del pre-sente - dall'insondabile mistero della Città di rame, alla sublime umiltà del Pellegrino russo; dalla cruenta caduta del Montezuma e del suo impero ad o-pera della selvaggia sete di potere spa-gnola, alla impressionante marcia verso
l'India dei Tibetani, costretti a lasciare il loro gloriosissimo Regno religioso dalla feroce ignoranza comunista cinese, - questi commenti di Cristina a fatti tanto tremendi, finivano per diventare essi stessi opere di alto pregio letterario, e-sposte con stile di rara preziosità, in cui, accanto allo scintillio della parola, ri-fulge il lampo della sintesi, così come accade nelle prose di rarefatta medita-zione raccolte nel suo ultimo volume, Il flauto e il tappeto. Passo d'addio
For last year’s words belong to last year’s language
and next year’s words await another voice.
Si ripiegano i bianchi abiti estivi e tu discendi sulla meridiana, dolce Ottobre, e sui nidi.
Trema l'ultimo canto nelle altane dove sole era l'ombra ed ombra il sole, tra gli affanni sopiti.
E mentre indugia tiepida la rosa l'amara bacca già stilla il sapore dei sorridenti addii.
La neve era sospesa tra la notte e le [strade come il destino tra la mano e il fiore.
In un suono soave di campane diletto sei venuto... Come una verga è fiorita la vecchiezza [di queste scale. O tenera tempesta notturna, volto umano!
(Ora tutta la vita è nel mio sguardo, stella su te, sul mondo che il tuo passo
[richiude).
Incipit: ti insegnerò, mia anima,
Continua a pag 40 >>
Incipit
4
Ti insegnerò, amore
il posto dove stare sereni,
sugli strati del nostro tempo
pensando al passato e al futuro.
Elio Manini
Ti insegnerò mia anima,
anche se non so come
e quando.
Rosy Giglio
Ti insegnerò mia anima
nel vortice il risucchio
dove tutto è chiaro
ed è pace e albeggiare e flusso.
Malena Verdoya
Se prostrata starai
t'insegnerò mia anima
le vie preordinate.
Maria Iattoni
Ti insegnerò mia anima
che quando non ci sarò più
resterai cieca, sorda e muta.
Oscar De Pauli
t’insegnerò, mia anima,
melodie sorprendenti,
il nuovo che t’insegue:
ritmo di cuori umani
Valeria Bragaglia
-Ti insegnerò, mia anima- come un seme fa sorgere un fiore dalla terra
e non so dirti perché.
Ti insegnerò anima mia
come il sole rinnova i giorni sulla terra
come il buio della notte insegue paure
e non so dirti perché.
Ti insegnerò, anima mia
come l’amore dona sorrisi e pianti
e tu, mia anima, mi insegnerai perché!
Giampietro Calotti
Ti insegnerò anima mia
a saziarti del polline
dei miei versi
e farli ancora vivere
nel giardino dell’Oltre.
Viviana Santandrea
Poesie del Laboratorio
5
La notte, il sogno
Non ci sono, non ci sono per nessuno
sono ancora altrove su un tiepido piano
steso su un fianco, e molto lontano.
Sono qui per ritrovare
un cavallo tronfio con cui parlare.
È alto e bello con il lungo collo
non mangia fieno ma a milioni
fogli antichi e sconosciuti tomi
anche Dante rilegato in pergamena
gli è gradito per una sfarzosa cena.
Che Narciso qual cavallo strano!
lì nella notte a trottar disteso
nei tempi passati e negli incerti domani
sui luoghi vicini e su quelli lontani.
Oscar De Pauli
È Festa!
Luci, suoni, schiamazzi
chiacchiericcio
risate fragorose
tutto raccoglie
Allegria, sorrisi
Sorprese magia
È musica
È bello È festa
Paola Mattioli
La sabbia e la clessidra
Misura il tempo nella clessidra
la sabbia
mentre là, dove natura generosa
l’ha deposta
la mano affonda fra le dita
scivola
qualche granello tuttavia
trattiene
un suo dono ha concesso
il mare
Marilù Marisaldi
Poesie del Laboratorio
6
2 agosto a Bologna
Tocca mettersi in cammino ogni 2 agosto
tocca sentire la richiesta di verità e giustizia ogni 2 agosto
tocca guardarci invecchiare ogni 2 agosto
un passo dopo l’altro, la stessa strada
gente fitta all’ombra dei portici
bandiere e gonfaloni. Riconoscersi
resistere alla calura che sale dall’asfalto
con lo spavento ancora nella gola di chi c’era
cercando nei discorsi la fiammella per togliere
dall’ombra coloro che abitano nel ricordo
per sempre giovani nel loro tempo fermo del millenovecentottanta..
Ma a sera Adonis la tua voce - memoria
delle tue e delle nostre mutilazioni -
è diventata canto, chiama alla vita,
volge in bellezza il dolore.
Rosalba Casetti
Nota: il musicista siriano Zaid Jabri, con la composizione intitolata “Les temps de pierres” ha vinto
il secondo premio; il testo musicato è del poeta Adonis.
1992 – 2012 Vent’anni del Laboratorio di Parole a cura di Oscar De Pauli.
7
Rovistando nell’archivio del La-
boratorio mi è passato fra le mani
Una virgola di tempo, il libro di
poesie postumo di Teresa Monta-
no.
Teresa è stata per tanti anni affe-
zionatissima e assidua compo-
nente del nostro sodalizio. Im-
provvisamente ci ha lasciato il 1°
ottobre 2010.
Con tanto affetto e rimpianto ri-
cordiamo la sua dolcezza e genti-
lezza. In questa pagina ripropon-
go tre liriche di Teresa Montano
a testimonianza della sua raffina-
ta sensibilità poetica .
Il treno dei pendolari
Ancora una volta
ho preso quel treno
che si ferma a tutte le stazioni.
Poltrone lise, tende rattoppate,
segrete malinconie di quotidianità.
Man mano si disegnano
alberi fioriti e trame di case
dove i tetti smarriscono
i raggi del sole.
Come sempre,
i viaggiatori parlano
di tempo, di sport e attualità.
Ignari di tanto vociare,
una giovane coppia innamorata
si scambia furtive tenerezze
fra baci e promesse
nel loro arco di speranza:
l'Amore...
che non si piega mai
come spiga al vento.
Mare d'inverno
Il cielo grigio, ammantato,
il mare deserto, tranquillo,
l'alterno gorgoglio dell'onda,
cinge l'immobile scoglio.
La luce diffusa e soffusa
nell'immutato silenzio.
Dorme la piccola spiaggia,
a riva una palla, una biglia,
un secchiello, e i sogni smarriti
di teneri amori durati un'estate,
sento stormire nell'aria,
il brusio di un giorno lontano,
forse dolce è il rimpianto,
di cose vissute e amate,
come il mare vanno
dove il cielo si fonde,
in fraterna e antica armonia..
A Bologna
Io abito in una città
dove il sole tardi va via
e tardi ritorna,
ma niente s'inchioda
ai tuoi occhi per ferirli,
resta amica solo la sua bellezza
e la magia del vecchio e del nuovo
che in armonia si fonde.
I suoi palazzi, le sue torri,
le chiese, musei e i suoi giardini
dove gli alberi anche se spogli
si disegnano e innalzano
l'ultimo fulgore delle loro chiome
diritti e fieri verso il cielo.
Bologna insegnami ad amarti.
Teresa Montano
Visti da Francesco Montori
8
Fare
Anche oggi una scoperta, non vi è
dubbio alcuno. E si è scoperta anche
oggi la nuova natura di un dubbio.
Oggi, si è conclusa una buona
giornata per la Terra e per l’Uomo.
Qualcuno avrà detto so come fare e
qualcun altro si sarà chiesto chissà
come si farà? Non le sentite assieme
le due note che si susseguono e non
stonano? Non vi è strumento che non
le abbia nello stesso tasto o nella
stessa corda. E si potrebbe pizzicare
solo quella, senza tedio e senza noia,
o spingere solo quello, senza autismo
e pazzia. So come farà Chissà come
si farà So come farà Chissà come si
farà.
Ma vi è già abbastanza affanno in
tutto questo? Spesso, molto spesso
ce n’è. Quindi, vi è un’altra nota da
mischiare. Un’altra corda e un altro
tasto? Probabilmente sì. La fatica,
soprattutto, Signori, la fatica. Ed è
vero come scriveva Esopo che «con
un colpo di fortuna spesso si ottiene
quello che non si è ottenuto con la
fatica». Quanto mai sarà largo questo
spesso! Ognuno ha la propria misura.
O come sosteneva Füssli che «il
prezzo dell’eccellenza è la fatica e
quello dell’immortalità è il tempo».
Chissà come si farà So come fare.
Sicuramente quello di cui si sta
cincischiando qui, non è ciò che
amaramente scriveva Leopardi, la
sua fatica è altra manica su cui
asciugarsi il sudore: «La maggior
parte degli uomini in ultima analisi
non ama e non brama di vivere se
non per vivere. L’oggetto reale della
vita è la vita e lo strascinare con gran
fatica su e giù per una medesima
strada un carro pesantissimo e
vuoto.»
Chi ci assicura che l’atto a volte
devastante di non arrendersi alla
fatica sia poi ripagato con egual
misura? Nessuno. O certo, c’è chi ne
era convinto, prendendo come
spunto un argomento preciso che
però nella fase della non-azione
pseudo buddista che riguarda i saggi,
appunto, o gli sfaticati, si potrebbe
ricollegare a tanto altro. Carlo Dossi:
«Alle volte, coi libri di teologia e di
filosofia, si fa una strenua fatica per
capire che quanto si arriva a capire
non valeva la pena di esser capito».
Vero, ma qui si fantastica di una
fatica che mossa da una domanda e
che porterà si spera ad un incisiva
convinzione, non presuppone la
perdita di tempo in quanto speso
nella ricerca di muffa ripiegata sulla
crosta del pane.
Mi serve quindi un’immagine,
adesso, che metta assieme questi
pezzi. Un’immagine che li realizzi.
«Sul braccio esile ha uno strumento
chissà come si farà so come fare e su
quello buono ne regge un altro che fa
fatica a suonare. E sa che almeno due
orecchie ascolteranno la musica che
ne esce».
Francesco Montori
Poesie del Laboratorio
9
Una volta…
Una volta… (non “C’era una volta…”)
non si sapeva se era meglio
nascere d’inverno, oppure d’estate…
D’inverno faceva molto freddo
ma forse una mucca (se c’era una mucca)
poteva riscaldarti col suo fiato nella stalla…
D’estate faceva molto caldo
e durante la mietitura
potevi essere partorito
sulle dure spighe
appena recise dalla falce…
La mamma però era lì…
o forse no…?
Che, per Giove!!
Il grano doveva pur finire
d’ essere mietuto…!!!
Alessandro Bacchi
_____________________________________________________________
Malinconia
E' impossibile lasciare
in un anfratto del cielo
la malinconia
La nuova rosa che nascerà
somiglia a ciò che sai.
Un amore fermo, immobile,
che guardi ogni giorno e ch'è
tuo nel tempo che vuoi
essere sposa...
Luigi Cuoco
Amore
Davanti a noi il mare
imita i nostri
sussurri mentre
ci amiamo nel dolce
tepore del tramonto.
Un dolce agitarsi
nel lento fluire dell'onda
spumosa della risacca:
scintille di gocce argentee
saltellano nell'infinito
distendersi nel mare
appagato dai sensi....
Luigi Cuoco
Poesie del Laboratorio
10
L’amore quando finisce
È come all’inizio
Ti fa tremare
Ti batte diverso nel petto il cuore
Sei suscettibile
Hai sbalzi improvvisi dell’umore
L’amore quando finisce
È una cosa che ti fa smarrire
Come all’inizio
Quando compare
Perdi le cose in giro per casa
Ti devi aggiustare
Ad un’altra condizione
Non poni attenzione
All’attorno
Sei tutto nel mondo interiore
Solo che ora
Alla fine di un amore
Se sei distratto svagato
Non è per il bel sogno che ti è nato
È solo che pensi continuamente
A come non soffrire
Come fare a ridimensionare
Quel gigante che hai nella mente
Quando finisce un amore
Non sai più come vivere
Da che parte ricominciare
Nel magma confuso che ti fa astruso
Nel groviglio che hai dentro
Non trovi il bandolo del tuo
[sentimento
Puoi affidarti alle stelle alla luna
Provare a credere a una migliore
fortuna
La terra è cosa che più non ti
[appartiene
Non è più tuo il mondo
Ti senti smarrito sconfitto
L’amore è sempre lì che ha vinto
Non finisce l’amore non finisce
Alessandra Generali
– azzurrabianca –
Mistero
Scivoliamo verso la foce
nel silenzio che ammanta le voci,
uno sciabordio lieve di chiglia
uno stordimento che è vertigine,
l’abbraccio disteso del fiume
nell’occidente immenso verso sera,
il sole sospeso sull’oceano
poi l’ombra stesa al confine.
La case di Porto lungo i declivi
hanno tremule luci dipinte di giallo,
una malia strana ti prende la gola.
Spalanco gli occhi e chiudo dentro
il sole che affonda nel mistero
di luci spente all’orizzonte.
Fosca Andraghetti
Scheda di lettura a cura di Anna Maselli
11
Ai poeti del '900
Se non ci foste voi, santi e sparvieri,
così inquietanti e così leggeri,
voi, voci di rivolta e di preghiera,
voi così liberi e così severi,
voi, figli di scaglie di mare,1
disperazione d'immoto andare,2
voi che ci fate ancora tremare...
fiato di bianco in cuore all'azzurro,3
impercettibile sussurro.4
Voi, presagio vivo in questo nembo,5
sì, voi, col vostro eloquio sghembo...
voi, voci di fata morgana,
i più leggiadri figli di puttana.
Voi massacrati dalla storia,
voi senza più memoria,
tardi di mente, piagati,6
smarriti come schiavi liberati,
così innocenti e così marrani,
voi, così teneri e strani.
Voi, notte che lava la mente,
file d'anime lungo la cornice,
protese al bene,
chi pronta al balzo chi quasi in catene,
se non ci foste voi noi resteremmo
abbandonati sulla strada,
sospinti dal vento sulla rada7
senza nemmeno più la tristezza,
(cara tristezza al soffio che si estenua)8
senza di voi, filo di luce
da aggrapparsi, filo di luce
che s'attenua. Se non ci foste voi, così corsari
e così indifesi,
voi coi vostri malintesi,
noi resteremmo soli
nella pietraia del greto9
senza più il vostro
medicamento segreto...
sempre più incanagliti,
più incarogniti,
forse più neppure umanità,
senza respiro, senza pietà...
senza poter volare via
come uccelli migratori
da questo roveto,
da questo malessere,
da questo perenne dolore.
Se non ci foste voi.
Patrizia Tomba Note
1)Montale, Meriggiare pallido e assorto - v. 10 2)Montale – Arsenio – v.15
3)Pozzi – Novembre vv.7-8
4)Ungaretti, Non gridate più – v.1 5)Montale.-Incontro
6)Montale – Il sogno del prigioniero – v.18
7)Montale – Incontro – v.6 8)Montale – Incontro – vv4-5
9)Montale – A K. - v2 -------------------------------------------------
E’ una composizione in versi di varia
lunghezza, con prevalenza di endecasil-
labi e novenari soprattutto nella prima
parte, legati da rime baciate. Non c’è di-
visione in strofe e le numerose anafore,
l’invocazione “voi” ripetuta così tanto in
correlazione a “noi”, farebbero pensare
a un inno, ma il ritornello iniziale “Se
non ci foste voi” ripreso alla fine come
volta, unito al ritmo e al tono del lin-
guaggio, spesso scanzonato e goliardico,
fa propendere per la ballata. Il titolo ci
porta al secolo che ha visto guerre, cam-
pi di sterminio, violenze e atrocità fra le
più disumane e ci viene in mente la bal-
lata di Pascoli, così piccola ma di una
potenza fulminante: con due ripetizioni,
un ossimoro e un aggettivo dilatato, è la
rappresentazione oggettiva dell’angoscia.
Di fine ’800, non sembra ora un doloro-
so presagio della nera notte del secolo
futuro? continua >>
Scheda di lettura a cura di Anna Maselli
12
“ Il lampo”
E cielo e terra si mostrò qual era:
La terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d‟un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s‟ aprì si chiuse, nella notte nera
Ma torniamo alla nostra poesia. Il poeta
ci dice di aver fatto un percorso attraver-
so la poesia del „900 alla ricerca di un
linguaggio nuovo capace di cogliere nel-
la sua interezza e verità l‟anima profon-
da del nostro tempo così travagliato in-
capace di vera umanità, ma ha incontra-
to soltanto frammenti di luce, scaglie di
mare, disperazione d’immoto andare,
sbandamento nella ricerca di un lin-
guaggio poetico nuovo, capace di sosti-
tuire quello classico che non ci rappre-
senta più. Le avanguardie infatti, dopo
entusiasmi, sperimentazioni esasperate
alla ricerca dell‟originalità assoluta, si
sono esaurite nella totale incomprensio-
ne, e solo qualche voce rimane: imper-
cettibile sussurro… presagio vivo in
questo nembo… fiato di bianco in cuore
all’azzurro, a indicarci la via da seguire.
Patrizia si rivolge ai poeti in un linguag-
gio formato soprattutto da aggettivi e
nomi accoppiati in contrasto: santi e
sparvieri, inquietanti e leggeri, liberi e
severi, rivolta e preghiera, innocenti e
marrani e così via. Contrasto forte c‟è
anche nella scelta delle espressioni, a
volte del linguaggio molto attuale e or-
dinario, un po‟ goliardico: figli di putta-
na, fata morgana, marrani, corsari, inca-
nagliti, incarogniti; altre volte rigoroso e
antico: eloquio sghembo, leggiadri, bal-
zo, catene, cornice, roveto, perenne.
Questa commistione di linguaggi espri-
me la confusione e la difficoltà della
conquista, ma anche il bisogno di prose-
guire sulla via della ricerca continuando
il lavoro dei poeti del „900. Ed è come
se i poeti volessero rispondere all‟ invo-
cazione: Se non ci foste voi. Salvatore
Quasimodo, a ricordarci che il dolore e
l‟esilio sono una costante nella vita degli
uomini ci dice biblicamente: “E come
potevamo noi cantare/ con il piede stra-
niero sopra il cuore…” ( da Alle fronde
dei salici 1947) “ Questa è memoria di
sangue/ di fuoco, di martirio/ del più vi-
le sterminio di popolo” (Epigrafe per i
caduti di Marzabotto 1954), “I filosofi,
nemici naturali dei poeti… affermano
che la poesia e le opere della natura
non subiscono mutamenti… la guerra
muta la vita morale d’un popolo, e
l’uomo… non trova più misure di cer-
tezza…” (da Discorso sulla poesia
1956). “ Cessate di uccidere i morti”
chiede Ungaretti (Non gridate più da I
Ricordi). Anche Vincenzo Cardarelli di-
ce: “Io non so più qual era/il porto a cui
miravo”. Ecco perché abbiamo bisogno
di loro. E di nove citazioni che Patrizia
fa, ben sette si riferiscono a Montale,
non a caso Premio Nobel 1975, il poeta
che più di ogni altro ha saputo cogliere
ed esprimere con forza e verità il senso
profondo di disagio del suo tempo scon-
volto da dittature, guerre, stragi, deva-
stazioni dei corpi, delle anime, dei sen-
timenti, tali da far dubitare sospinti dal
vento sulla rada della possibilità di ri-
trovare una via nella pietraia del greto.
Anna Maselli
Poesie del Laboratorio
13
Vite ?
A questa terra nati dal materno grembo
dimensione inconsapevole senza ricordi dove
ora lo possiamo vedere lo sappiamo
giocavamo col dito in bocca
capaci di ricevere impulsi e reagire
trasmigreremo dopo questa vita terrena
forse a un’altra dimensione ancora
a una consapevolezza più lontana
in questo universo spazio
di miliardi di corpi celesti in movimento
anime parvenze di luce in viaggio insieme a quelle
di stelle spente da secoli e millenni
che ancora brillano incontrano i nostri occhi
e ci portano via. Dove?
Sarà forse un incontro di affetti e sentimenti
un ritrovarsi senza fardelli innocente
e da una nuova dimensione
potremo ripercorrere in un lampo eterno
questa nostra vita e coglierne il valore
senza la fática
Anna Maselli
Il colore delle foglie
fammi capire il colore delle foglie
quel dondolarsi di danza in risposta
al comando del vento che inclina le note
rosario di voci sommesse in attesa
del coro che pare fuggito dai mali del mondo.
Cade una foglia
e lenta
si adagia
Gabriella Penzo
Poesie del Laboratorio
14
Un senso
Cercavo riparo, in un giorno grigio
di pioggia, forse cercavo la mia infanzia
sotto i portici di via Galliera. Mi appare
la figura del babbo con la tuta blu
quando tornava dal lavoro e salendo
le scale portava un secchio di carbone
e in estate qualche sorso di birra
per rinfrescare il suo passo. E la
mamma
ricordo, quando seguiva i miei studi
sul tavolo di marmo della cucina.
Castelli, eroine innamorate saltavano
fra le pagine del mio quaderno
dalla copertina nera. Lei intanto cuciva
in uno spazio vicino e cullava i suoi
sogni
per la famiglia, una figlia col cappellino
di feltro, un segno di distinzione
(l’odiavo).
Dopo un breve tratto di strada ecco
la Chiesa grande, silenziosa.
Qualche candela elettrica, i banchi
allineati, le solite immagini benedicenti.
Non si sente più odore di cera sciolta
delle candele accese per i nostri compiti
in classe. Neanche l’eco delle liturgie
del venerdì santo. Neppure il fluire
ingenuo dell’abito bianco sulle note
di Mendelssohn.
Così ho smesso di camminare per
salire
sull’autobus che mi portava a casa,
Era ormai buio. Il vento improvviso
aveva spazzato via quasi tutto. Restava
un senso di perdita, un senso di
rinascita
un senso di vita. Un senso.
Anna Maria Boriani
Questo non è amore
La gente ama i vecchi in modo
esagerato; però per il loro
bene li mette a pensione.
Pensioni con ogni genere di confort,
dalla sala con televisione, alla sala
per effettuare esercizi motori.
Un servizio da far invidia
ai migliori alberghi, "non sempre".
Dicono i parenti, "soltanto per poco!"
Così siete in compagnia.
Ma guarda caso, quel tempo si è
prolungato.
E rimangono dentro parcheggiati
fino a quando non escono per andare
così, senza pensieri ai cimiteri.
Miria Venturoli
Macchine ancora
Adesso lui usa
una Mercedes
di seconda mano
targata Ferrara
L’altra; la sua,
quella nuova...
l’ha accartocciata
in un confine
Immolò una ragazza
al suo destino...
il nostro destino: macchine
macchine ancora...
Arnaldo Morelli
Poesie del Laboratorio
15
Stamattina mi è nata una poesia.
Bologna
Cara la mia Bologna
ti conosco meno dei tuoi veri abitanti
che tanto ti amano come io il mio paesino
ma ora dopo tanti anni l’affetto per te è pari ai tuoi cari.
Tu che sei la grande che accogli le pelli di tutti i colori
che sfavilli al petto i tuoi Asinelli e altri tuoi gioielli
e nelle notti scintilli sotto filari di portici
come una bella signora vestita di rosso
così vieni citata dal mondo
che ti esclama su piedistalli di facoltà.
E tu ti tieni in vista, e colta ti destreggi nobile
la sempre giovane e alla moda
l’artista del passato, del presente
quella contemporanea
Bouquet di pensieri di idee
la poesia tutta.
e io che ti guardavo dal sud al nord
mi hai ingoiata nel tuo ventre come tanti
come le mie giovani radici assimilando in te il loro futuro
il loro destino, e parte del mio
sì… quella parte d’autunno
dove il tempo si esprime in poesie
e forse chissà
anche il crepuscolo.
Rosy Giglio.
Percorsi
Pomeriggio piovoso
d’incerta primavera
è giorno… sembra sera
e la coscienza se ne va a ritroso:
le dolci strade dell’adolescenza
- via Lamponi, via Fragole, via More
lastricate di sogni!
Ad ogni crocevia fermo il mio cuore.
Viviana Santandrea
Poesie del laboratorio
16
Oggi e domani
Tutto inizia e si infiamma poco a poco
sopra alle ceneri posate
qualcosa cresce, qualcuno tace
eppure dentro arde
ed è già domani
senza una voce vera da ascoltare
per comprendere quel crepitio che sale
che assale questa pelle, con il vento
solo anelli di fumo denso da infilare
giorno dopo giorno, uno ad uno
poi da legare alle catene strette del
[metallo
mentre la mano nuda saluta
la propria coda affumicata
il vento incorporale continua a nascere
a memoria, chissà dove
alimentando il cuore rosso con le
[fiamme
ed è già domani
anche se traspare appena
già soffoca gli antichi focolai
nel continuo ricircolo dell’aria
ma altro respiro nuovo
e altre braci ardenti
terranno sempre accesa la scintilla
di questa vecchia storia.
Sono partita con te
magnifico magnetismo
per assaporare la medesima forza
con un colpo di vento
e un teorema luccicante gradito
abbiamo chiuso la porta
ci siamo avviati
noi, uccelli migratori
con voli fuori stagione
in cerca di spazi colossali
Mi chiedo, a sensi aperti;
-accostamenti d’evasioni
o intricati legami?-
Io e te
baraonde fiorite, desideri a fasci
cullati da petali e pistilli
nelle notti d’amore
cascate cristalline
noi, eroi del dubbio
con l’ arma
la freccia
che ci siamo conficcati nel seno
ancora una volta
la nostra morte improvvisa
ancora una volta
buchi neri
-sangue coagulato.
Aurelia Tieghi
Piero Saguatti
Un sarto inesorabile
Che grande sarto il tempo!
Rimodella e plissetta
quest’abito usa e getta.
Chi vi si oppone, a stento
prova con artifici
a far sì che più lento
sia il suo mestiere
l’illusione è pur breve
conviene assecondarlo in ciò che deve.
Viviana Santandrea
La poetica narrativa di Marina Sangiorgi
17
Adelia Prado è una scrittrice brasiliana. Nata nel 1935 a
Divinopolis (stato di Minas Gerais), sposata con cinque
figli, dal 1976 pubblica raccolte di poesie, romanzi e
racconti. Di lei Carlos Drummond de Andrade, illustre
poeta, ha scritto: “Adelia è lirica, biblica, esistenziale, fa
poesia come fa buon tempo. Adelia è fuoco, fuoco di Dio a
Divinopolis”.
Vi propongo la lettura della poesia L’alfabeto nel parco.
L’alfabeto nel parco.
Io so scrivere.
Scrivo lettere, biglietti, liste della spesa,
temi scolastici che raccontano di belle passeggiate
alla fazenda della nonna che non è mai esistita,
visto che lei era povera come Giobbe.
Ma scrivo anche cose inesplicabili:
voglio essere felice, questo è giallo.
E non ci riesco, questo è dolore.
Andatevene tristezza, campana balbuziente,
persone che dicono singhiozzando:
“non ce la faccio più”.
Abito in un posto chiamato globo terrestre
dove il volume del pianto versato
è maggiore di quello delle acque denominate mare,
verso le quali i fiumi portano altrettante lacrime.
Qui si fa la fame. Qui si odia.
Qui si è felici, in mezzo a invenzioni
miracolose.
Immagina che una cosiddetta ruota gigante
offra passeggiate e vertigini tra
luci, musica, innamorati in estasi.
Com’è bello! Da un lato i ragazzi,
dall’altro le ragazze, io impaziente di sposarmi
e di dormire con mio marito nella cameretta
di una casa antica con pavimento di legno.
Non si può non pensare alla morte,
fra tante delizie, non volere essere eterno.
Sono allegra e sono triste, mezzo e mezzo.
Prendi tutto di petto, dice mia madre,
vai a fare un giro, distraiti, vai al cinema. continua >>
La poetica narrativa di Marina Sangiorgi
18
Mia madre non sa, ma il cinema è come diceva il nonno:
“il cinema è gente che passa,
vista una volta, vista tutte”.
Mi si consenta l’espressione, voglio cadere nella vita.
Voglio restare nel parco, la voce del cantante che zucchera il pomeriggio…
Così scrivo: pomeriggio. Non la parola.
La cosa.
La voce di questa poesia, forse
Adelia stessa, è una ragazza che
riflette sulla vita: sulla mole di dolore
del mondo, e sul suo desiderio di
felicità. La felicità è possibile. Si
realizza nell’amore, che è attesa,
trepidazione, matrimonio. (Adelia ha
sposato a ventitré anni un impiegato
di banca). E si può essere felici
grazie a “invenzioni miracolose”: la
ruota gigante del luna park, la radio
da cui esce la musica, il cinema (che
però a lei non interessa).
L’invenzione più bella è la scrittura,
perché permette a sua volta di
inventare: storie fantastiche su una
nonna ricca, per esempio, sulla sua
“fazenda” che non esiste. “Fazenda”
evoca campi, piantagioni, una villa
bianca, schiavi, gonne con le
crinoline, carrozze, cavalli, l’800.
Invece la nonna era povera come
Giobbe, e forse viveva in una stanza
con tutti i fratelli, quartieri
poverissimi, baracche, nello scialo
del sole, del carnevale, dei tamburi,
come dice la Prado in un’altra poesia
sul Brasile. La scrittura crea mondi, e
racconta il mondo che c’è. Ha le
parole per dire le cose.
Ma il finale della poesia spiazza e
rilancia. Alla ragazza di questa
poesia, che passa il pomeriggio
sentendo la musica nel parco, la
musica di zucchero che rende dolce il
tempo, alla ragazza, ad Adelia, e anche a
me, e a tutti probabilmente, non bastano le
parole. Vorremmo che le parole fossero
subito cose. Che parole e cose
coincidessero. E se dico “pomeriggio”
non dico la parola, ma la cosa, il pezzo di
tempo che si ripete tutti i giorni che è il
pomeriggio. La parola deve essere
imponente come un fatto, sparigliare
l’essere, modificarlo, imporsi. La parola
non è ornamento, aria, nulla; è parte
dell’essere, come me, come Adelia, come
ogni lettore, che ora, in questo momento
del giorno, sta leggendo queste righe. Che
non sono parole, in fondo, ma cose.
M. S. Marina Sangiorgi
Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea
19
Chi sono?
Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo. Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
follia.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
malinconia.
Un musico allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
nostalgia.
Son dunque … che cosa?
Io metto una lente
dinanzi al mio cuore,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
Aldo Palazzeschi
Chi såggna?
Chi såggna?
Såggna fôrsi un poêta?
No ed sicûr.
La n scrîv che una parôla, bän vèga,
la panna dla mî ânma:
matîśia.
Såggna dånca un pitåur?
Mo ché.
La n à che un culåur
la tavlòza dla mî ânma:
lôrgna.
Un muśicänt alåura?
Mo ché.
An i é che una nòta
int la tastîra dla mî ânma:
nustalgî.
Såggna dånca… côsa?
Mé a métt una länt
dnanz al mî côr,
par fèrel vàddr ala żänt.
Chi såggna?
Al seltinbànc dla mî ânma.
Traduzione di Anna Bastelli
_________________________
Dedica (Dedica, in friulano)
Fontana di aga dal me paìs. A no è aga pì fres-cia che tal me paìs..
Fontana di rustic amòur.
Dedica (Dedica, in friulano)
Fontana di aga di un paìs no me.
A no è aga pì vecia che ta chel paìs.
Fontana di amòur par nissùn.
(da “La meglio gioventù”)
Pier Paolo Pasolini
Dèdica
Funtèna d âcua dal mî pajaiś. An i é âcua pió frassca che int al mî pajaiś.
Funtèna d amåur rósstic.
Dèdica
Funtèna d âcua d un pajaiś brîśa mî.
An i é âcua pió vècia che in cal
pajaiś.
Funtèna d amåur pr inción.
Traduzione di Anna Bastelli
Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea
20
Risòrsa
Risòrsa al mî svinànt
al vgnêva sänper l åura dla pulänt
trai vôlt al dé sänper pôca
con la zivålla con i radécc’ o
con la sarâca.
Al gêva: -A vén par stèr in
[cunpagnî-
Vaddva mî mèder in man la zâpa:
- In cunpagnî sé ma la pulänt l’é
[ pôca
par stèr in cunpagnî tulîla drî da cà
la vòstra in bisâca…-
- Rusetta mé l um bâsta la sarâca…-
- Ch’av véggna un azidóll
òt fiû la lîra cèra, la misêria féssa…
dóvv an n é an s in tôl, ma
sta pulänt Risòrsa
sänza la zâpa
l an vén brîsa só…-
Risòrsa da cla vôlta al n é pió vgnó.
Maria Iattoni
Risorsa
Risorsa il mio vicinante
veniva sempre l’ora della polenta
tre volte al giorno sempre poca
con la cipolla con i radicchi o
con la saracca.
Diceva: -Vengo per stare in
[compagnia-
Vedova, mia madre porgendogli
[la zappa:
-in compagnia sì ma la polenta è
[ poca
Per stare in compagnia prendetela
[da casa
La vostra in tasca…-
- Rosetta mi basta la saracca…-
- Vi venga un azidullo
otto figli, pochi soldi e molta
[miseria
dove non c’è niente si prende niente
ma senza la zappa
non viene la polenta … -
Da quella volta Risorsa non è più
[venuto.
___________________________
Na bulgnaisa in Camargue
Mèrde à la Camargue
a le vent e l’aigues mortes!
Je n’ai pâs connue un lieu plus desolé
E di sît ai n ò vésst!
Dmàn però a m in vâg e tra dû dé
a brâza avêrti l um aspèta l’Italia
al sît piò bèl ch’l esést!
Pourquoi?
Parché a i stâg mé!
Una bolognese in Camargue
(Traduzione a carico di chi legge)
Viviana Santandrea
Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea
21
Al spèc’
An guardèr al bûr
ch’al riflèt al tô spèc’
l é såul la nòt ch’la fustîga
int i àngol dla tô pòra
tra al ciochetèr di tû pensîr
in§gunbiè int la mänt.
Bâsta un spirâi, un stémmol,
ascåulta al bi§béi dal tô sangv
at pol dèr la fórza d un martèl
mandèr in frantóm un spèc’.
Lo specchio
Non guardare il buio
che riflette il tuo specchio
è solo la notte che fruga
negli angoli della tua paura
tra il crepitio dei tuoi pensieri
scompigliati nella mente.
Basta uno spiraglio, uno stimolo,
ascolta il bisbiglio del tuo sangue
può darti la forza di un martello
mandare in frantumi uno specchio.
Elio Manini
Poesie del Laboratorio
22
Che maschio sei
Maschio o femmina
o che cosa
la casella
resta vuota
per l'anagrafe
tedesca
per adesso
non c'è fretta
nove mesi
son passati
dove sono
i genitali
se vuoi essere
un maschietto
fai vedere
mostra il pacco
sarà un campo
da esplorare
per un sesso
da assegnare
se il sesso
è indefinito
resta proprio
un rompicapo
pronti già
son gli soloni
far l'elenco
degli inversi
le mutande
se son vuote
sembra un gioco
scherzi a parte
in un mondo
senza ruoli
meno uguali
quante opzioni!
Tommaso Colonnello
Un’amica
Mi precede leggera
con gambe affusolate,
la linea snella mima
ogni mio movimento
ondeggiano sulle spalle
i lunghi capelli sciolti,
sembra che sia felice
di camminarmi avanti.
A destra della siepe
me la ritrovo accanto
dimagrita, appiattita,
è fedele come il cane.
Sulla strada del ritorno
credo di averla persa
ma è dietro alle spalle,
minuscola e non si nota,
il sole alto le dà noia
io rientro e lei svanisce
muta nella penombra
oppure si trasforma,
è lei che mi sorride
riflessa nello specchio.
Livia Corradi
Nel novembre appassito
le foglie rosse e gialle
giocano a disintegrarsi
mentre il loro respiro esala
nell'aria cittadina, assieme
al profumo dell'ultima rosa
del mio giardino
Emelina Pellizzari
Poesie del Laboratorio
23
Le sorelle del sole
Nel cielo d'un azzurro luminoso
le tonalità mutano al meriggio,
nella fase in cui il tramonto s'arrossa
l'astro stupendo si lascia guardare,
tutto intero, senza ferire gli occhi.
Gli ultimi tiepidi raggi del giorno
entrano tra le fessure delle persiane
tratteggiando -sulla bianca parete
della stanza silenziosa in penombra-
velate strisce color vermiglio che,
come in un dipinto astratto su tela,
si susseguono in ampia verticale.
Intanto dal parco si diffondono
strida sbrigliate di bimbi gioiosi
la loro freschezza sprizza come acqua
nella restante luce del crepuscolo.
E quando le ombre nascondono il tutto
pure la ressa dei pensieri cessa
per lasciare riposare la mente.
Intanto che il corpo lasso si rilassa
lo sguardo va lassù, nel buio infinito,
e nella notte che cresce appaiono
le remote sorelle del sole.
Crescenzo Guadagno
Con cura prendo la primavera e la apro.
Di terrore mi vedo piangere ancora. La gatta tiene tra le fauci il suo piccolo requisito alle mie carezze di bimbo.
Desideri infiniti di cose nuove la notte portava sempre al domani. Il riposo era un diverso giocare la noia, allora non sapevi cos’era.
Il mio Reno d’estate invita a bagnarsi. L’amico è là, steso sulla riva del fiume un uomo pompa sul petto acqua e fango dalla bocca di lui. La notte, disperate urla di madre mi assalgono dentro, abbracciato alla mia.
I giorni passano pieni di voglia d’Estate tra braghe sempre più corte e sandali di una misura giusta solo a metà e risa, tra agitate rincorse al pallone di stracci legati.
Fortuna non aver nulla da far paragone nel tutto regna un sereno completo sentire.
Ai figli della mia generazione ho dato tutto ciò che non ho avuto, compreso le nevrosi e le facili illusioni. Quelle, ogni volta tolgono un pezzo di voglia di vita.
Ho dimenticato un amore, donato ogni giorno completo di sberle sul culo s’era il caso, trasformato in gelosia di possesso dove l’amore è dato solo, come scontato.
Con cura prendo la primavera, quella mia e [la richiudo.
Giampietro Calotti
"La poesia che cura” di Alda Cicognani
24
Il primo
Non ti ricordo più sei stato il primo troppo lontano troppi paesaggi e nuvole desideri forti passaggi di sole improvvise burrasche che lavavano i segni dolci rimanevano sono rimaste unghiate nella mia terra non so nominare il cuore non conoscevo la parola cuore sotto gli occhi si faceva prato in fioritura si apriva la cortina di nubi si gettava lo sfolgorio senza parole e confini
Non lo ricordo il primo solamente l’eco di felicità assoluta onde di piccole api ronzanti sul prato fra le corolle fra i semi né presente futuro e nemmeno il pensiero
Chi lo credeva chi credendo non si è sorpreso
poi dolcemente ha compreso il genio dei geni
che aveva nel destino l’infinito dei cieli che avrebbe dipinto di parole senza tempo e la vita e la morte le vite oltre i destini quel tipo dal forte naso e dagli occhi stretti nel profilo antico che ha calcato la terra
per lasciare impronte e travasare lontano quel suo piccolo senza confronti amore e vasto
a noi mostrato cielo così come mostrarlo è dato
Non lo ricordo è la menzogna il gioco un poco la vergogna io lo ricordo bene o mio piccolo cuore quel primo e perfetto mai uguagliato per l’assolato distacco dalla terra senza riserve senza richieste e proiezioni negli strati degli edifici futuri amore come quello dell’alba che si fa spazio
come i pianeti che girano senza darne ragione
lago in cui riflette ogni cima pulita con dietro
un sole senza dubbi e pure nel ricordo anche il dolore piccolo battiti dell’assenza
timorosi respiri nessuna confidenza
Ma sì invece un bacio così come una fragola
col contorno degli altri occhi senza ag-
guati e come il genio chi potrebbe ripetere senza
un sorriso incredulo nell’età medesima in terza elementare e a scuola andavo male
un richiamo e la mamma corrusca
e i miei timori oscuri come le sere buie
[poi piano il dolore che si faceva lieve e poi assenza
era bello davvero come forse Beatrice
era bello e sincero come i suoi undici anni
No che non si dimentica no che svanisce
certo che passa come passa il tempo
e con te rimane perché te diventa
quel tuo primo amore di sole e vento
Alda Cicognani
Poesie del Laboratorio
25
È un compito, viverla
dove non hai studiato...
sempre alla lavagna
sempre interrogato,
dove col buon senso, provi a indovinare
dove solo col cuore, sai solo improvvisare
sei solo, con tanti occhi addosso
nel mostrare, quello che non sei, difficile
valutando di saper recepire segnali
che l'inconscio in espressioni traduce.
Sempre troppo avanti
nello scranno di una calasse superiore...
indicato col dito dai molti
pieni di aspettative, da un essere
che non ne è firmatario,
per avere sempre promesse
sempre garanzie
ipoteche che non sai come onorare
chiamato a gestire quell’io che non conosci
sei polvere pirica,
priva di ogni cautela
che non conosce il grado del calore.
Gli altri, più fortunati, in fondo
che provano a copiare
mai in mostra, con scelte quasi anonime
compiacenti e giudici dei primi
arredo amorfo umano, mai colpevole
di questa genetica ignoranza
che ci fa tutti sprovveduti
inclini all'errore
per rispettare le scadenze, le scelte
ma sempre un po' in ritardo, poi
con la maturità, diplomato in ignoranza
e zittire un parere, col bianco dei capelli.
Carlo Boari
I.C. 605
Non ti trovai, quell’agosto
così improvviso
che ancora c’era gelo nei pensieri
Eppure era appena trascorso un
[tempo
da calendario, e sapevo
dov’era il tuo stare
Poi fu un continuo
Rincorrersi,
forse
anche tu volevi, almeno una volta,
Ritrovarsi
Discorrere dei massimi sistemi
quasi potessimo, noi
influenzarne il cammino
Ora so che bastava un leggero
Sfiorarsi,
come talora è successo
senza avvertirne il presente
(sabato 7 settembre 2013. Sul treno
[per il ritorno)
Angela Falcucci
Madre
Sempre ci rincorremmo
Su rette parallele
So che m’hai amato
Senza mai ascoltarmi
Io ti sfuggivo
Senza mai capirti
Oggi che finalmente
S’incontrano i binari
La tua tangente emerge
In altra dimensione, dove
Non t’aspettavo
Angela Falcucci
Poesie del laboratorio
26
Bambina un sogno
L'amore è un sogno tanto breve ma, l'amore è tanto bello Ti ricordi amor i chiari respir passavan dentro il petto Tu con gli alberi andavi a gareggiare in altezza Esalavano rigurgito all'alba nidi i canti, la donna colora il vento Eco la campagna mille fiumi oasi di quiete ti cantava Respirava il paese a porte spalancate Amor ricordi ribelli il ciuffo, la fronte, la frangina, il viso Come rifiorir le lande di rose vento suo clangore Non chiamarmi donna anche se non comprendi, dicesti Io sono la tua bambina stupore improvviso guardami negli occhi verdi Ti ricordi ci amammo nei prati sfogliar le margherite M’ama e non m’ama monti e mari relitti voli e gabbiani Ci amammo l'impronta, la sabbia rovi e alba spina Quelle corse al sole ansie aspetta semina il solco i villani Ci amammo le foglie tremule canto cicala ogni mattina Ci amammo una stagione intera fu quel che basta Poi l'estate tornò con fiore in bocca e profumava la gonna Io ti cercai nell'aiuola dei fiori e tu non c'eri più Il pianto mi tolse le parole ormai eri già donna
Amleto Tarroni____________________________________________________________
Lo stratega
Egli sembra reprimere, sembra elevare imponendosi, cosa mai terrà in serbo di speciale? Nel faccia a faccia un esperto lo apprende, qui le scintille e i bagliori sono flebili, lo stratega coltiva un intento più profondo, senza fare progetti a lungo termine centra il bersaglio, e chi si illude più. Ogni spiegazione si esaurisce, dalla bocca all'orecchio passa e poi svanisce. Soltanto acuti indagatori lo sapranno, da acuti indagatori sapranno chiaramente che è un conoscitore dell'arte di guidare.
Luciana Tinarelli
Ciao
Canzone va
vicina, lontana
dalla piazza sentita.
Si affaccia al balcone
ascolta la novella canzone
un canto d'amore
per ogni cuore.
Piccola grande
voce suadente
con la tua brava gente.
Chiara Pinghini
Poesie del Laboratorio
27
San Michele in Bosco
Non stai forse esagerando ?
Non ti sembra che questa tua opulenza
sia uno schiaffo alla miseria ?
Alla miseria del cuore
diventato piccolo e duro
come un nocciolo di pesca
che a forza di aspettare
ha disperso la tenerezza della polpa.
Ma proprio per questo
dal portone della chiesa
spalancato sul verde sottostante,
fin su su, fino al colle di fronte
io ho mescolato l’aria con la luce
e la luce col verde
e il verde col profumo
insostenibile dei tigli,
così che profumo e verde e luce e aria
sono una cosa sola e commovente
e saprà intaccare
il duro nocciolo del cuore.
Mirella Gresleri
L’ombra si riposa.
Dilaga il profumo aspro degli agrumi,
passa una giovane donna bruna,
indossa un abito leggero, rosso,
colore d’ape regina, raccoglie tutta la luce
al passo veloce, ondeggia come una bandiera.
Lei non se ne cura, di nessuno si cura,crudele,
la sua ombra si affanna per raggiungerla, invano,
dopo lunghi giorni di frenesia, l’ombra si riposa,
azzurra
ai piedi tranquilli, di una donna grande che
scrive.
Carmen Granato
Che serata!...
Noi che non guardiam a spese
siamo qui senza pretese
è una serata che vale
‘na cena condominiale.
Ci guardiam tutti negl’occhi
non ci servon scarabocchi,
siam tutti di bocca buona
non vogliamo una poltrona.
Serve solo uno sgabello
ed ancor del buon vinello
un bel poco di carbone
e bistecche di coppone.
Il menù lo conoscete
tutto ciò che mangerete
vi verrà addebitato
col parer del comitato.
Non è poi una meraviglia
se uno offre una bottiglia,
di Barolo o di Vernazza
quello che offrirà la piazza.
Se qualcuno ci sa fare
e se vuol anche provare
di portare la famiglia
con il nonno e con la figlia.
Se invece ha sottomano
anche un tipo un poco strano,
pur se è senza patente
non c'importa proprio niente.
Or però veniamo al sodo
perché qua tutto fa brodo
capre, cavoli e cammelli
accettiamo pure quelli.
Non farem ore piccine
né bevute senza fine,
lo direm ai quattro venti
siamo uniti e siam contenti.
Augusto Mazzacurati
Poesie del Laboratorio
28
Nemesi
La tua lucida capigliatura bruna
mi spinge a farmi fare delle meches
al tuo abito vistoso coi pois
oppongo un cupo tailleurino grigio
quando tu metti gli alti tacchi a spillo
i mocassini scalcagnati io calzo
e se declami i tuoi dolci inni imenei
io ti vomito addosso
la lucida follia kierkegaardiana.
Sono io, finalmente, altro da te
con la mia bella identità conquisa.
Ma le figlie implacabili:
sei come la nonna, mamma!
Zara Finzi
Preferirei il male
a questa condizione
di erosione del dolore.
Nelle grotte del mio corpo
scorrono correnti alterne.
Prima un senso d’intrecciato tre le vene
dove api operaie intingono miele.
“Le sue mani attingevano ai capelli
e li asciugavano al calore delle dita”
Poi i fluidi battono in uscire
verso l’esclusione
“I giacigli delle dita a coppa sul suo seno
erano vuoti d’aria
impregnati d’alone.”
Ora sulle spalle il peso del braccio
è senza presa
indicabile come confine
solo per la gentile concessione del ricordo
Si sparge e si restringe
l’assorbimento dell’assente.
Un livido in via di guarigione.
Seguito a premere
senza trovare il punto focale del male.
Nadia Minarelli
Poesie del laboratorio
29
L’ultima boa
Quando girata l’ultima boa
guardo le pareti ornate di scaffali
e libri della mia casa che nessuno
più leggerà e sui muri resteranno
graffi, ombre di muffe e polvere
dopo anni di maturazione che hanno scandito
il tèmpo e protetto con l’incuria
la continuità della vita trascorsa
fra me e quei testi che mi sono parte;
la ragnatela nell’angolo alto datata
di vent’anni addietro, ricordo di momenti,
quando seduto in poltrona sotto il quadro
di Gauguin piangevo l’amore perduto
come spesso accadeva nella giovinezza;
sul tavolo le penne le matite i fogli
in attesa di un segno, un mondo di poesia,
l’ispirazione è ricordo, rimpianto, rammarico,
tormento di un racconto, e sembra che sia
l’ultimo tuo giorno, come il cucù ti marca
un’altr’ora trascorsa e ancor più t’avvii
all’ultimo sospiro. Ogni giorno è un tratto
e infine sono tanti ugualmente vuoti e malinconici.
Filippo Finardi
La meta (Miria 11 luglio 2013)
Cala uno e continua il giornale
nel pur peso morir d'un poeta.
Cara Miria a saper raccontare
tutto in versi dall’a alla zeta.
Pur guidata di più da spavento
nel perenne cercar d'una meta
l'ammaliava l'arringa nel vento
qual possibile stella cometa.
Scivoloso lo stretto salire
fra le ali che portano via.
Nella brigosa arte del morire
ebbe conforto dalla poesia.
Una passione che non può tradire.
E... Ha lasciato segno in Fattoria.
Maria Iattoni
Incontri, a cura di Angela Falcucci
30
Cimitero Monumentale del Verano: Zona Arciconfraternita, Gradone 3, Loculo n. 59, Fila 1: Giuseppe Ungaretti […A egregie cose il forte animo ac-cendono/ l‟urne de‟ forti…] (v.151-152 da “I Sepolcri di U. Foscolo). Davanti alla tomba di questo gigante del „900, sono rimasta a lungo in si-lenzio, mentre mi tornavano alla mente i versi del Foscolo. Non potendo aggiungere neppure una virgola ai “chilometri” di studi e commenti dedicati a Ungaretti, mi limiterò a sondare quanto la lettura della sua poesia mi abbia trasmesso e continui a farlo. Ho avuto il privile-gio di ascoltarlo leggere i suoi com-ponimenti, e quella voce possente, quel modo di appropriarsi di ogni singola parola e di scavarla alla ricer-ca di un significato trascendente il si-gnificato stesso, fino a confonderla con il significante legato alla sua i-nimitabile recitazione, risuona dentro di me nel silenzio assordante della sua poesia. Sono una creatura Come questa pietra del S. Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata// Come questa pietra è il mio pianto che non si vede// La morte si sconta vivendo
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Con questa poesia, nelle ultime inter-viste, presenta se stesso il Poeta; così, fuori di metafora, scrive: “[…] Non posso non avere il pianto dentro, ma per gli altri non avrò mai il muso e continuerò a ridere fino alla fine dei secoli…[…] Sono allegro, almeno d‟aspetto; ma sai quale implacabile ironia ci sia, per me, nella parola Al-legria.[…] (Harvard, 1969). Il giova-ne poeta, vicino alla “bestialità” della guerra, in trincea, e il vecchio poeta, prossimo alla propria morte, conser-vano l‟intimità del Dolore, che si af-fida alla Poesia ma non si esterna. Sento vicino questo poeta anche per la sua ricerca di appartenenza. I fiumi […] Stamani mi sono disteso in un’urna d’acqua e come una reliquia ho riposato […] Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia […] Non mi stanco di rileggere questa splendida poesia, restando ogni volta immersa nel silenzio interiore alla ri-cerca delle mie radici. Conclude: […]Questa è la mia nostalgia che in ognuno mi traspare ora che è notte che la mia vita mi pare una corolla di tenebre Cotici il 16 agosto 1916 (ambedue da “L‟Allegria”, Il Porto sepolto)
Amo Ungaretti anche per la poesia musica, la parola parlante, fonica, immediata. Senza fretta. Continua>>
Incontri, a cura di Angela Falcucci
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Per un “Laboratorio di parole”, quale siamo, questa “ricerca” della parola che Ungaretti continua ad inseguire, dovrebbe fornirci una linea guida. Un incessante rielaborare perché, come non si stanca di ripetere il poeta fino alle ultime interviste: “…si va dietro al significato e si vorrebbe che fosse detto diversamente, non si riesce mai ad esprimere quel segreto che è in noi, e si cerca di avvicinarsi il più possibi-le, ma la parola è impotente” e, mai soddisfatto, ritorna a modificare le sue poesie. Tranne le prime, quelle scritte in trincea, già ridotte all’essenziale: “…Mi sono trovato nella necessità di cambiare il linguaggio, di renderlo es-senziale, un linguaggio che si riduces-se ad una parola, dandole un valore enorme…dovevo sintetizzare al mas-simo… perché quello era il tempo dell’ essenziale…” Accanto alla morte, poe-sie scritte su “pezzetti” di carta, in at-timi precari. Commiato Gentile/ Ettore Serra/ poesia/ è il mondo l’umanità/ la propria vita/ fio-riti dalla parola/ la limpida meravi-glia/ di un delirante fermento// Quan-do trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata è nella mia vita/ come un abisso Locvizza il 2 ottobre 1916 (da L’Allegria, Il porto sepolto. )
Non interessa il “vocabolo”, ma la pa-rola, il suo suono, la sua, vorrei dire, potenza evocatrice, per riuscire ad e-sprimere e comunicare al meglio quel “segreto” racchiuso in ciascuno di noi. Vorrei ricordare il “nostro” Sandro Sermenghi che, non a caso, ho più vol-te paragonato ad un “fabbro” armonio-so della parola.
Questa prima fase è legata al soggior-no a Parigi, dove Ungaretti conosce e frequenta artisti francesi e italiani e viene influenzato dal simbolismo di Mallarmé. Trasferitosi a Roma con la moglie nel 1919, impara a conoscere e ad amare questa città “barocca”, che sentirà sempre più come sua. Nel 1933 viene pubblicato “Sentimen-to del Tempo”. Scrive: “La tradizione […] fu una lenta conquista dei suoi valori durante gli anni nei quali inco-mincio la lentissima distillazione, mi si permetta il vocabolo, del mio Senti-mento del Tempo[…]. Nel Sentimento del Tempo, come in qualsiasi momento della mia poesia, l’uomo che io sono, prigioniero nella sua propria libertà, perché come ogni altro essere vivente è colpito dall’ espiazione di un’antica colpa, non ha potuto non far sorgere la presenza d’un sogno d’innocenza.[…]” Inno alla morte […] Amore, salute lucente, Mi pesano gli anni venturi. // Abbandonata la mazza fedele, Scivolerò nell’acqua buia Senza rimpianto. // Morte, arido fiume… // Immemore sorella, morte, L’uguale mi farai del sogno Baciandomi. // Avrò il tuo passo, Andrò senza lasciare impronta. // Mi darai il cuore immobile D’un iddio, sarò innocente, Non avrò più pensieri né bontà.[…] 1925 (Sentimento del Tempo: La fine di Crono).
Ciao a tutti da Angela (continua al prossimo numero)
Poesie del Laboratorio
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Sensazioni forti
I nostri lucidi occhi
si son presi per mano.
I nostri capelli morbidi
si sono abbracciati.
Le nostre guance bollenti
si sono baciate.
Le nostre mani tremanti
smarrite nella foresta dell’imbarazzo.
I nostri corpi vicini
in preda ad una tempesta.
Le nostre menti in alto,
là, oltre le nuvole bianche.
I nostri pensieri sognanti
nel paradiso degli amanti.
Tutto questo in una grande cornice:
le mille luci della natura!
Silvano Notari
Esultiamo….Viva la Donna!!!!!
Diamo un cenno all’Amore…
Alla forza della bella “Femmina”
ovunque ci si gira, tua è Luce, tu sei prodigio
che tiene legato il maschio e noi…
lo innalziamo a un Dio, lo amiamo, ma chissà?
Noi siamo sue suddite? che lui “forse”non sa comprendere
orsù perché ci calpesti? Ammirateci come donne
come mamme, mogli, che attendono considerazione. Piena
sarà la comunione reciproca, e sarà una danza…
amiamoci stretti ….sarà un duetto eterno…
evviva ! La Donna!
Emelina Pellizzari
Poesie del laboratorio
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Riti – non-riti
Ciao piccola guglia
degli antichi versi
oggi alla luce del solito mare ripresi.
Non dirò dei colori
non dirò del sommerso porto romano
non di questa istriana terra
qui a Novigrad
di quest’aria limpida e tersa
come ricordo benevolo
che ti aggiusta il cuore.
Dirò dei riti
dirò di ciò che è precario
dirò dei pensieri che tenta di fare parole
dirò di lei felice di essere di nuovo tornata
dirò di lui che le destinazioni dice di voler mutare (che i riti teme e distruggere vorrebbe)
dirò della prenotazione per il prossimo anno.
Ciao piccola guglia
dito che il cielo tocchi
che suggerisci pensieri di pace.
Paolo Senni (Novigrad 30 giugno 2013)
Poesie del Laboratorio
34
La luna era alta
La luna era alta, volli
vederla da solo, sopra
le chiazze di luce dei borghi
montani. La notte allungata
a uno sterminato groviglio
di ore. Il sole affondato,
ucciso dietro l’ultimo colle
spargeva il suo sangue
in stilettate roventi. Il buio
eruttava dall’alto la scia
luminosa di stelle. Durò
solo pochi minuti, nessuno
mi disse che il riflesso
sull’acqua grondava resina
ambrata e profumi d’incenso.
La cerimonia sospesa nel gelo
del chiostro mentre il vento
ghiacciato trascina la luce
sul sentiero di ghiaia orlato
di statue con gli occhi di fuoco
il cui verde mantello
è muschio di luna al tramonto.
Andrea Venzi
Vecchi sogni
si impossessano
del tempo reale
un forse che diventa
niente!
ci resta solo un parlare
con le dita.
con uno schermo
che come i sogni
si prende il reale
e l’informatico
ci lascia liberi
di essere soli
forse convinti
di essere in tanti
a festeggiare
tutto quello che non c’è
ma si agita
nella memoria dell’uomo
che ha dimenticato
le domande non fatte
Franco Lipari
L’Opinione di Cinzia Demi: Le influenze manzoniane su A.Bevilacqua.
: :
353
A pochi giorni dalla
scomparsa del grande
scrittore parmigiano,
Alberto Bevilacqua, vi
propongo un’analisi
comparativa su due personaggi
ideali della letteratura italiana dei due ultimi secoli: Irene, la rivoluzionaria, protagonista de “La Califfa” (Rizzoli, 1964), il più celebre romanzo dell’autore e Lucia Mondella, antieroina di Manzoni ne “I promessi sposi”. Una comparazione importante nell’immagine letteraria della donna. Il romanzo di Bevilacqua è la storia di una bellissima donna molto passionale, autentica e fiera che vive sullo sfondo della città di Parma, dove il torrente separa simbolicamene i poveri dai ricchi. La protagonista Irene Corsini, la Califfa, è di origine popolare ma diventa l’amante di Annibale Doberdò, l’industriale più potente della città che, nella sua autorevolezza e spregiudicatezza, si innamora della ragazza, rivedendo in lei probabilmente la sua stessa giovinezza e il suo essere libero da vincoli clientelistici e immorali. Questa donna diventa per lui un’amante assolutamente priva di qualsiasi atteggiamento servile, schietta e assolutamente innocente, tanto da indirizzarlo verso un nuovo modo di vedere la vita. Contro di lei tutto il mondo dei cortigiani dell’industriale, la cui morte improvvisa porrà fine alla vicenda. La Califfa tornata nel suo quartiere si troverà sola, ma armata di una nuova coscienza, fiera di aver
compiuto ciò che era nelle sue forze per contribuire al cambiamento di uno stato sociale, oltre che di un uomo. Un romanzo che racconta in modo realistico la verità sugli anni ’60, tra splendori e miserie all’interno del miracolo economico italiano. La sua notorietà è arrivata in particolar modo con la realizzazione dell’omonimo film, girato dallo stesso autore, con interpreti d’eccezione quali Romy Schneider e Ugo Tognazzi. La rilettura critica del romanzo, così come di buona parte dell’opera di Alberto Bevilacqua, mette certo in evidenza – come sempre succede – le possibilità di influenza, di relazione, di riflessi in relazione a grandi autori del passato, che facendo parte della nostra stessa storia della letteratura, non difficilmente arrivano ad essere ritrovati nell’opera dei contemporanei. Infatti, non sembra così strano o azzardato il paragone proposto tra le due figure di Lucia Mondella (protagonista de I promessi sposi manzoniani) e la Califfa, Irene Corsini. Alla luce di un’attenta lettura del romanzo, credo di poter rilevare che molti sono gli spunti e i riferimenti manzoniani riscontrati, specie nella protagonista. Ma cosa può avere a che fare, cosa può avere in comune una slandra - termine emiliano per definire una sgualdrina - con la pura e soave Lucia? A ben guardare molto, soprattutto se pensiamo ai rispettivi caratteri, alla forza d’animo che le due protagoniste tirano spesso fuori con se stesse e con gli altri, alla loro capacità di farsi portatrici di valori ed eroine di battaglie anche sociali, di trasformare l’animo di personaggi considerati impenetrabili, irraggiungibili, inat-taccabili da alcunché di positivo, alla loro determinazione nel non cedere
L’Opinione di Cinzia Demi: Le influenze manzoniane su A.Bevilacqua. :
:
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mai di fronte alla realtà. Lucia ed Irene sono sempre al centro di forti contrasti interiori e di turbamenti profondi, e così come dietro i rossori, i tremori, i pianti ed i singhiozzi che caratterizzano Lucia pressoché in ogni circostanza, si cela una vitalità straordinaria, la stessa vitalità troviamo nella Califfa, certo a volte mostrata spavaldamente - magari, camminando per le vie del centro e sbattendo i tacchi sul marciapiede - ma altrettanto spesso celata, ricacciata in gola come il pianto nascosto sulla spalla della Viola, o nella mano che accarezza la lapide del figlio Attilio, o nel corpo che sfiora le tendine del suo appartamento di città. Così come ne I promessi sposi, Lucia è il cuore che batte più forte (che in certi momenti si sente solo battere il suo cuore), ed ella è tanto viva che agisce su tutti quelli che l’avvicinano, tanto da rappresentare la coscienza più retta, più delicata, che tiene forse in mano tutto il romanzo… così è il cuore di Irene che scandisce il romanzo La Califfa quando pulsa d’amore, di sofferenza, di solitudine come le prime notti in quella nuova casa, dove vive da slandra per il Doberdò, che il battito del suo cuore vibra all’unisono col suono della cornetta del telefono, poggiata sul letto, nel buio della notte, per sentirsi vicina al mondo esterno che la circonda; ed è lei che agisce su tutti quelli che l’avvicinano non solo per l’attrazione che provoca la sua bellezza esteriore, ma perché ha qualcosa dentro come uno slancio, una vibrazione che si raccoglie verso la vita, un eros innato che combatte in quell’eterna lotta con la morte; è lei la coscienza a dispetto di tutti, quella che ritroverà il Doberdò, ripensando alle proprie origini, ai propri ideali e lotte, che gli farà desiderare di
ritornare ad essere se stesso… (Non fu forse Lucia, benché misera ed indifesa, ad esporre l’Innominato ad una serie di moti interiori - segno dello stato di crisi latente del personaggio - e a dargli la possibilità di redimersi, di ritornare alle origini?). Certo l’energia che Lucia libera per far fronte alle avversità ed ai drammi strettamente personali, è collegata soprattutto alla fede, attraverso cui riesce a discernere quali siano le circostanze reali che bisogna accettare coraggiosamente, e quali siano gli aspetti della realtà sui quali intervenire attivamente, con un atteggiamento di esplicita rivolta… ma a Irene non manca la fede, a modo suo, con un moto suo proprio ella crede nella Provvidenza, ella spera - mai cessa di farlo, e la speranza non è pur fede? - che qualcosa succeda, che qualcuno l’aiuti a superare la morte del figlio, a ridare a Guido la forza di ritrovarsi, a cambiare la sua condizione di slandra - nascosta agli occhi del mondo - in quella di figura che sorride e incede al braccio di Doberdò salutata da tutti… Penso si possa dire che le due figure assumono in ogni momento di fragilità ancora maggiori forze interiori, che le rafforzano anche nei rispettivi profili esteriori, attribuendogli verità e realistica presenza, possibilità di rico-noscere in loro figure vive, visibili: così Lucia per la sua caratterizzazione culturale, sociale, economica ed in prima analisi anche morale, si innesta senza attrito nel contesto della civiltà campagnola seicentesca; così Irene, allo stesso modo, assurge a figura di crinale nel contesto della condizione fem-minile, anticipando di poco le lotte per l’emancipazione, sullo sfondo del mon-do rurale che si trasforma in mondo operaio e che inizierà a sua volta le lotte
L’Opinione di Cinzia Demi: Le influenze manzoniane su A.Bevilacqua.
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per le rivendicazioni di classe. Ma
ancora, entrambe sono icone ideali, di
istanze etiche e morali interiori
fortissime, se pur contestualizzate nel
relativo periodo storico e sotto
l’impulso dei moti propri, religiosi o
laici che siano, dei rispettivi autori:
Lucia è un personaggio ideale, nel
momento in cui diviene il personaggio
del “dover essere”, figura che coincide
perfettamente con quella risultante dal
“progetto uomo” elaborato dal Concilio
di Trento, che Manzoni trasla su un
profilo femminile, dando vita all’ideale
cattolico di sposa cristiana, donna che,
alla fine del percorso accidentato che ha
dovuto compiere per ricongiungersi al
suo uomo, dice comunque che anche i
guai “la fiducia in Dio li raddolcisce, e
li rende utili per una vita migliore”.
Irene è un personaggio ideale, nel
momento in cui, dopo aver perso tutto –
o quasi - con la morte di Doberdò,
tornata dalla Viola cerca con lei ancora
quella speranza che l’aveva animata e,
tornandole alla mente le parole di lui
“l’importante è essere vivi!” capisce
che “c’era una verità – al di fuori di lei
e della Viola – che esigeva che loro
fossero testimoni di quella miseria che
le circondava… ( )… La verità di essere
presenti…( ) perché il mondo possa
cambiare, emergere dai suoi errori…” e
capisce quella sera che il suo e quello
della Viola “… era un unico attendere
rivelazioni assai più grandi di quelle
che avrebbero potuto offrirsi ai loro
sentimenti di donne sole.”
Cinzia Demi
Domenica 20ottobre 2013: fotocronaca, parziale, di un incontro
38
Al Circolo La Fattoria domenica 20
ottobre si sono incontrati alcuni poeti
che frequentano il sito www.cantierepoesia.it
E’ il terzo incontro dei poeti del
Cantiere. Due di questi si sono svolti a
Bologna presso La Fattoria, con grande
soddisfazione dei partecipanti.
Massimo Reggiani, coordinatore del
sito, in una sua lettera così esordice: E
grazie a tutti coloro che sono intervenuti al bell’incontro di domenica. Lo diciamo senza retorica o enfasi compiaciuta, la nostra è stata la riunione di amici vecchi e nuovi che si sono ritrovati all’insegna della poesia, dell’allegria e del gusto per le cose semplici, ma anche preziose ed importanti, che sono alla base dell’amicizia. …
Anche il Laboratorio di Parole si pregia
dell’amicizia e della soddisfazione
manifestata dai graditi ospiti, poeti
provenienti dalle diverse Regioni
d’Italia. O. D. P.
Ore 13: A pranzo, in attesa!
Ore 15: Poesia (1)
Ore 15 (poesia in ascolto (1))
Ore 15,30 poesia (2)
Ore 15,40 (poesia in ascolto (2))
Ore 15,40 (poesia (3 e 4)) …
L’editoriale di Mirella Gresleri
39
Le cose, come è noto, andarono poi ben
diversamente. In Francia Camus lavorò
come giornalista, fu autore teatrale,
saggista, (noti in questo ambito
soprattutto i testi “Il mito di Sisifo” e
“L’uomo in rivolta”) e romanziere.
Frequenta l’ambiente culturale parigino
dominato dalla personalità di Jean-Paul
Sartre, il filosofo dell’esistenzialismo.
Sono gli anni della occupazione nazista
e i due scrittori hanno in comune
l’attiva partecipazione alla Resistenza
e l’adesione al Marxismo, che tuttavia
Camus più tardi abbandonerà. Della sua
vasta produzione abbiamo già ricordato
i romanzi “Lo straniero” del ’47 e “La
peste” del ’48, ambedue ambientati in
Algeria. Soprattutto nel primo lo
scrittore sviluppa il tema centrale dell’
assurdo: è l’assurdo che domina la vita
dell’uomo e nella impossibilità di
trovare un senso alla sua esistenza, egli
finisce per diventare estraneo o
straniero a se stesso. Prima di partire
per la Francia, la madre aveva ottenuto
da Albert una promessa: visitare la
tomba del padre, sepolto in un cimitero
di guerra. Egli però lascia passare anni
prima di soddisfare la richiesta materna.
Che cosa può importare a lui di un
uomo che non ha conosciuto e di cui
ignora tutto?
Infine va e, aiutato dal custode del
cimitero, individua la tomba di suo
padre, ma ancora è distratto, osserva il
cielo, tende l’orecchio a suoni lontani;
poi il suo sguardo intercetta le date
sulla lapide, scoprendo di non averle
mai conosciute: 1885-1914: l’uomo che
giace lì “ha” 29 anni e lui, suo figlio,
40. Il pensiero lo sconvolge, è arrivato
il momento della compassione pura:
“… era una cosa fuori dall’ordine
naturale e in effetti non poteva esserci
ordine, ma solo follia e caos dove il
figlio era più vecchio del padre.”
Questo intenso episodio è presente, fra
gli altri, nel film di Amelio. Ma da dove
il regista ha tratto la materia della sua
narrazione?
La risposta è nella conclusione stessa
della vicenda umana di Camus.
Nel 1960 quando ha 47 anni e dopo
solo tre anni dalla vincita del Nobel,
egli muore in un incidente d’auto in cui
perde la vita anche il suo editore che
viaggiava con lui. Fra le lamiere
contorte viene rinvenuto in una borsa
un fascicolo di manoscritti ancora pieno
di correzioni e rifacimenti: è il testo
autobiografico a cui Camus stava
lavorando e che la figlia Catherine farà
pubblicare dopo un lungo lavoro di
ricomposizione. Il titolo è “ Il primo
uomo” il medesimo che Amelio
conserva per il suo film: film di grande
suggestione e bellezza, libro avvin-
cente per interesse e commozione.
Rivedere il film o rileggere il testo di
Camus sarà un modo per celebrare
personalmente e con efficacia il
centenario della sua nascita.
Mirella Gresleri .
Il poeta del mese: Cristina Campo a cura di Rosalba Casetti e Valeria Bragaglia
40
Continua da pag. 3
La Tigre Assenza pro patre et matre
Ahi che la Tigre, la Tigre Assenza, o amati, ha tutto divorato di questo volto rivolto a voi! La bocca sola pura prega ancora voi: di pregare ancora perché la Tigre, la Tigre Assenza, o amati, non divori la bocca e la preghiera...
Ora tu passi lontano, lungo le croci del labirinto, lungo le notti piovose che io m’accendo nel buio delle pupille, tu, senza più fanciulla che disperda le voci...
Strade che l'innocenza vuole ignorare e brucia di offrire, chiusa e nuda, senza palpebre o labbra!
Poiché dove tu passi è Samarcanda, e sciolgono i silenzi tappeti di respiri, consumano i grani dell'ansia –
e attento: fra pietra e pietra corre un filo di sangue, là dove giunge il tuo piede.
Devota come ramo curvato da molte nevi allegra come falò per colline d’oblio,
su acutissime làmine in bianca maglia d’ortiche, ti insegnerò, mia anima, questo passo d'addio… Incipit: ti insegnerò, mia anima,
“Il gioco … il denaro” di Carlo Boari a cura di Valeria Bragaglia.
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Il Gioco... il Danaro Ogni comunità, dalle più antiche ad oggi ha sempre avuto il suo "Saggio", quella persona che si ritiene sappia un po' di tut-to, quella a cui si domanda un parere, un consiglio e che, a volte, te lo porge senza nemmeno domandarlo. La comunità nostra, quella dei ragazzi sì e no ventenni è il Bar, punto d'incontro e di ritrovo, dove è consentito fare capan-nello, per parlare di tutto. Consuetudine della sera tardi, al ritorno dal cinema o dalla fidanzatina. Una sera era nata una discussione, che aveva coinvolto tutti, anche gli ultimi ar-rivati tardi, alla spicciolata. - Quando si gioca il "Massino" non si può pensare ad altro, bisogna rimanere con-centrati su quello che si fa perché si può far perdere anche i compagni e questo, quando si gioca di soldi, non è accettabi-le. Chi non è capace e non ha queste ca-ratteristiche lasci perdere altrimenti gio-chi solo a "Rubamazzo" - Tutto questo era cominciato dopo che al-cuni ragazzi, fra i più grandi, avevano fi-nito di giocare nella saletta sul retro dove Giacomo, il figlio un po' "Tonto" del tito-lare permetteva ad alcuni di giocare a soldi con la consegna di avere attenzione, se fosse arrivato suo padre o qualche vol-to sconosciuto. I pareri erano discordi: chi ragionava, chi alzava la voce, chi minimizzava... ad un certo punto si inserì una voce: - Io pen-so... Quella voce era di Agostino, nessuno di noi ne conosceva il cognome. Si fece su-bito silenzio, alcuni si girarono per non voltargli le spalle e qualcuno gli porse una sedia, mentre gli si faceva largo fra gli astanti. Lui era il calzolaio di un negozietto lì vi-cino, era l'anziano del Bar, il depositario della saggezza, la persona da poter con-sultare per ogni caso della nostra giovane vita. Agostino voleva essere chiamato so-lo così, nessun signore, neanche il lei pre-tendeva. Il Bar era il suo studio,
dove terminato il lavoro e la cena poteva ritrovare la sua sedia, il suo tavolino ed un po' di compagnia, se gli andava. - Io penso - ribatté, mentre tutti gli sguar-di erano puntati su di lui - che il danaro sia una cosa strana, a cui ognuno di noi si rapporta in modo diverso, parrebbe avere una vita sua, che ci provoca sensazioni forti, turbamenti, ossessioni, immensi piaceri ed odii insanabili, credo non ci sia oggetto al mondo capace di tanto! Il mio rapporto con il danaro è un sentimento di odio e amore, ma con gli anni ho raggiun-to un armistizio, io lo rispetto ma non mi faccio influenzare. Lo uso, lo spendo, mi piace ma non lo butto, non mi piace pri-varmene stupidamente, o con leggerezza, lo considero per la sua importanza, ma non gongolo nel vederlo, nel possederlo. Lo ritengo sterile, gli riconosco la capaci-tà di soddisfare qualche mio piacere, ma... tutto qui: chi tira le redini del nostro ménage rimango sempre io, voglio un rapporto freddo distaccato, come fra due persone che non si stimano. Altrimenti ha vinto la società, che ce l'ha proposto co-me Dio assoluto. Siamo noi che decidia-mo quale valore dargli, altrimenti scatta la dipendenza e non c'è droga più sottile, subdola e malefica di questa, quella che tutto può e tutto distrugge. Lasciate perdere il gioco d'azzardo, il da-naro non cambierà la vostra vita, il gioco deve essere svago, deve allenare l'intelli-genza, deve essere una sfida olimpica, dove la vincita è il merito e la capacità di migliorare... io così la penso. - Nel silenzio più totale Agostino si alzò e, salutando, uscì dal bar controllando l'oro-logio. E noi lì, incantati, che ci guardavamo l'un l'altro, come per dire ha già finito, perché l'avremmo ascoltato ancora, con la sua voce calda, ipnotizzante, che ci lasciava sempre più suoi discepoli, attenti a non perdere nessuna delle sue lezioni.
Carlo Boari
“Versi a S. Marcello Pistoiese di Valeria Bragaglia.
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Versi a San Marcello
Sempre suggestive e piene di passione
per la poesia le serate di San Marcello
Pistoiese, organizzate da Giampaolo
Merciai.
"Un giardino di parole" è il titolo della
rassegna, giunta alla nona edizione.
Giampaolo Merciai, nella sua introdu-
zione, non ha mancato di sottolineare
come "la poesia, fonte di crescita uma-
na e sociale, dando forma a pensieri in-
teriori, a sogni e speranze riesce, a vol-
te, a curare ferite resistenti a qualsiasi
altro tipo di medicina"
Annamaria Boriani ed io ci siamo inol-
trate, con la paziente guida di Sergio,
nella meravigliosa strada che porta a
San Marcello, colma di vegetazione e
paesini suggestivi, anteprima visiva del-
la grazia e bellezza dei versi che ci at-
tendevano.
Abbiamo partecipato alla serata con la
lettura di due poesie a testa, tra giova-
nissimi autori e nuovi poeti che per il
primo anno osavano esporsi al pubblico
con le proprie creazioni.
Come sempre abbiamo tenuto alto il
nome del Laboratorio di Parole.
Nella chiesa parrocchiale sono risuona-
te parole dolci, dure, sussurrate, gridate
ed anche ironiche.
Un bel "giardino di parole" che per il
prossimo anno, 10ª edizione, promette
grandi cose.
Valeria Bragaglia
Giochi, indovinelli ed altro di Sandro Sermenghi
43
Ioooo canto gliiii storneeeelliiii /
e me ne vaaaantoooo ...!
Fiorello erotico
ti cucinai stornelli all'aleatico
fra fumo note e un fallo macrobiotico!
Fior del mio amore
strapazzami notturne uova al mare
con due sardelle e un polpo a far colore
e i raggi della luna dentro al core
Fior di giaggiolo
stringermi stretto a te legato a un palo
e insieme poi mangiar più d'un fagiolo!
Lodoletta
Sommessa gioia
trillava lodoletta pinta e gaia
vo’ viver lieta vita fuor di noia
pria che succeda di… tirar le cuoia!
Ode alla zàgara
Fior di aranciera
s'ammucchiano le odi e il trovatore
delle difficoltà... fa primavera!
Champagne
Fiore di luna piena
un nappo di champagne stretti in piscina
viver l’amore e intanto fare cena!
Uova, polpi e sardelle…
al mare!
Fior del mio amore
strapazzami notturne uova al mare
con due sardelle e un polpo a far odore
e i raggi di luna dorata a darci calore.
Indice
44
Cognome e nome N° di pag. Cognome e nome N° di pag.
Andraghetti Fosca 10 Morelli Arnaldo 14
Bacchi Alessandro 9 Notari Silvano 32
Bastelli Anna 19 Palazzeschi Aldo 19
Boari Carlo 25, 41 Pasolini Pir Paolo 19
Bevilacqua Alberto 35, 36, 37 Pellizzari Emelina 22, 32
Boriani Anna Maria 14 Penzo Gabriella 13
Bragaglia Valeria 2, 3, 4, 42 Pinghini Chiara 26
Calotti Gian Pietro 4, 23 Prado Adelia 17, 18
Campo Cristina 2, 3, 40 Saguatti Piero 16
Camus Albert 1, 39 Sangiorgi Marina 17, 18
Caruso Maurizio 1 di cop. Santandrea Viviana 4, 15, 16, 20
Casetti Rosalba 2, 3, 6 Senni Guidotti Magnani Paolo 33
Cicognani Alda 24 Sermenghi Sandro 43
Colonnello Tommaso 22 Tarroni Amleto 26
Corradi Livia 22 Tieghi Aurelia 16
Cuoco Luigi 9 Tinarelli Luciana 26
Demi Cinzia 35, 36, 37 Tomba Patrizia 11, 12
De Pauli Oscar 4, 5, 7, 38 Ungaretti Giuseppe 30, 31
Falcucci Angela 25, 30, 31 Venturoli Miria 14
Finardi Filippo 29 Venzi Andrea 34
Finzi Zara 28 Verdoya Malena 4
Generali Alessandra 10
Giglio Rosy 4, 15,
Granato Carmen 27
Gresleri Mirella 1, 27, 39
Guadagno Crescenzo 23
Iattoni Maria 4, 20, 29,
Lipari Franco 34
Manini Elio 4, 21
Marisaldi Maria Luisa 5,
Maselli Anna 11, 12, 13
Mattioli Paola 5
Mazzacurati Augusto 27
Minarelli Nadia 28
Montano Teresa 7
Montori Francesco 8
La Fattoria
Urbana
La Fattoria Urbana si trova nel Quartiere San Donato a Bologna.
E’ la prima esperienza rurale inserita in un contesto urbano in Emilia-
Romagna ed è la terza in Italia.
Rinnovata nella struttura, propone ai cittadini di entrare in contatto con la
realtà contadina, considerata molto lontana dal vivere metropolitano.
I destinatari della struttura sono: bambini, anziani, famiglie.
Conoscere gli animali ed imparare a rispettarli, comprendere i cicli della
natura e seguire da vicino il lavoro nell’orto sono gli obiettivi dell’intero
progetto.
Gli animali presenti sono: una colonia felina, una mucca, una somarina,
una cavallina, due caprette, due pecore, alcuni coniglietti, delle galline, un
gallo, due oche, due anatre.
La Fattoria Urbana è stata realizzata con la collaborazione del Quartiere
San Donato, del Comune di Bologna, della Provincia di Bologna -
Assessorato Agricoltura - e della Fondazione CARISBO.
Le attività didattiche, coordinate dal Circolo La Fattoria, sono gestite da
personale qualificato.
Orari d’aperta: tutti i giorni ore 9.00 - 11.00 e 15.00 - 17.00 (orario invernale).
Prenotazioni per le visite per gruppi e scuole: 3664899239
Indirizzo: Fattoria Urbana Via L. Pirandello, 5 Bologna
Sito: www.circolofattoria.it E-mail: [email protected]
Come arrivare: Tangenziale, uscita n. 9-San Donato, direzione Granarolo (2°semaforo a destra)
autobus 20, 35, 93 e 14c
"Questa antologia di quarantuno autori, curata da Jonathan Sisco,
non vuole essere solo la celebrazione festosa dei primi vent'anni di attività del Laboratorio di Parole del Circolo La Fattoria.
Questo libro è soprattutto il documento di una passione che continua a vivere e a esprimersi, che si rinnova ad ogni incontro
in quello spazio di mezzo che identifica così profondamente la poesia, fra la solitudine e le amicizie, fra l'intimità e il pubblico"
L’antologia è disponibile presso la segreteria del Circolo La Fattoria: Via L. Pirandello 6 Bologna Tel : 051 505117 E-mail: circfatt@iperbole. Bologna.it