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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA

corso di perfezionamento

“La mediazione dei conflitti in contesto educativo”

Direttore: prof.ssa Angela Costabile

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RELAZIONE DI FINE CORSO

Similitudini e differenze

tra la mediazione umanistica e la peer mediation

RELATORE CORSISTA

Prof.ssa Annalisa Palermiti Dott.ssa Maria Rosa Brogna

ANNO ACCADEMICO 2009-2010

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Similitudini e differenze

tra la mediazione umanistica e la peer mediation

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Per poter individuare similitudini e differenze eventualmente esistenti tra mediazione

umanistica e peer mediation, anzitutto, bisogna specificare cosa siano i due tipi di

mediazione e come si concretizzino entrambi nella pratica.

Jacqueline Morineau, afferma che la mediazione umanistica, di cui lei stessa è

l’ispiratrice, viene definita tale proprio perché nasce dalla presa di coscienza delle

sofferenze dell’uomo, dei suoi limiti, dei suoi errori, delle ingiustizie subite ma anche di

quelle cagionate. La mediazione è un momento di riflessione, non tanto sulle colpe da

determinare e sulle sanzioni da fare accettare quanto, soprattutto, sul disordine che il

conflitto ha generato nell’insieme dei sentimenti, delle emozioni e dei patimenti, provati

fuori ogni dubbio dai contendenti. Attraverso la mediazione umanistica si vuole

trasformare quel disordine in qualcosa di costruttivo e di positivo per giungere alla

riconciliazione. La Morineau paragona la mediazione umanistica alla nascita del fiore di

loto che, nato nella fanghiglia e nell’opacità delle acque stagnanti, tramite il suo lungo

stelo, si affaccia alla luce con tutta la sua bellezza di forma e di colore. Il fango rappresenta

la sofferenza umana mentre la poca trasparenza delle acque simboleggia l’oscurità

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intellettuale, morale e spirituale. Il lungo stelo raffigura il percorso faticoso della

mediazione umanistica. Le autentiche parole della Morineau, più che un’interpretazione di

esse, potranno esplicitare meglio il pensiero della studiosa: <<La mediazione per me è

come la nascita del fiore di loto. Come può rinascere l’uomo in mezzo a tanta sofferenza, in

mezzo a una tale devastazione dell’anima? Solo utilizzando la stessa sofferenza per vivere

e sentirsi uomo. Ecco perché questa mediazione è umanistica, perché la trasformazione

avviene al livello più elevato dell’uomo, è la prova che l’uomo può rinascere per trovare la

speranza. Non è un concetto, è una realtà, perché tutti noi quando vediamo la luce non

vogliamo più tornare nelle tenebre. La speranza apre lo spiraglio verso una nuova vita. La

mediazione non si basa sulla ricerca esclusiva della soluzione, ma sul modo, sulla via da

percorrere per arrivare alla conoscenza di sé. Prima di tutto bisogna ascoltare il grido di

questa sofferenza. Poi avviene la trasformazione>>.

Si potrebbe dire, con un’asserzione forse alquanto forzata, che il mediatore

umanistico è una vocazione, perché ha una sensibilità verso il disagio e le sofferenze altrui,

perché per poter incontrare il dissidio degli altri sente il bisogno di superare il proprio

conflitto interiore. Tuttavia, se la capacità del mediatore è frutto di un’attitudine interiore,

dobbiamo pure dire che quella stessa capacità viene sviluppata ed integrata da una rigorosa

preparazione professionale e da un lungo addestramento.

La Mediazione Umanistica è definita da Mark Umbreit come un dialogo guidato

piuttosto che un processo guidato.

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In Italia una profonda esperta nella Mediazione Umanistica è certamente Maria

Martello, riconosciuta nel suo ambiente di ricerca quale psicologa e pedagogista che ha

perfezionato la sua formazione e preparazione con i più prestigiosi esperti italiani e stranieri

di tale metodo, tra i quali Jacqueline Morineau. Sotto la sua guida la Profssa Martello ha

partecipato a stage specifici per Formatori presso il CMFM, Centre de Mèdiation et de

Formation à la Mèdiation di Parigi, di cui la stessa Morineau è fondatrice e Direttrice. E’

autrice di diversi libri: l’ultimo, “Educare con Senso senza disSenso”, fornisce chiare

lezioni sulle concrete applicazioni della Mediazione umanistica, con particolare riferimento

al mondo scolastico. Il trattato è un inno alla mediazione umanistica sapientemente

spiegata nel dettaglio, ma vuole essere pure la dimostrazione che tale metodologia sia, non

solo la migliore forma di composizione dei conflitti in tutti i campi, ma anche un modello

educativo efficace per le nostre giovani disorientate generazioni. L’Autrice non si rivolge

solo ai genitori, agli educatori, al personale scolastico docente e non docente, ma, in

generale, a tutti gli adulti, perché il compito educativo non può essere confinato alla scuola

e alla famiglia, ma deve coinvolgere l'intera società.

La mediazione, come educazione al confronto, può anche partire dai banchi di scuola

ma deve sapersi incuneare con autorevolezza in tutto il tessuto sociale, per essere

veramente efficace e per creare delle concrete prospettive future di pace e benessere.

La mediazione umanistica richiede, da parte di tutti gli attori, un cambio di mentalità,

facendo sì che sia valorizzata ed utilizzata opportunamente l’intelligenza emotiva oltre a

quella razionale. Quest’ultima segue le regole della logica. L’intelligenza emotiva ci

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consente d’entrare in empatia con gli altri e ci fa riconoscere nei confliggenti le loro

“emozioni” più che le loro argomentazioni. Secondo la Martello, il mediatore, servendosi

dell’intelligenza emotiva, “adotta un atteggiamento di ascolto aperto, profondo,

empatico, privo, cioè, di giudizio nei confronti delle scelte e del modo di essere dell’altro.

La sua è una posizione neutrale che favorisce la costruzione di un rapporto di fiducia e fa sì

che l’altro si metta in relazione senza sentire il bisogno di adottare una maschera, che

possa esprimere i propri bisogni più autentici, esaminare non le proprie colpe, ma le

proprie responsabilità”.

Vari studi sembrano dimostrare che chi possiede un’Intelligenza Emotiva alquanto

sviluppata sia in grado di prendere decisioni maggiormente sostenibili e sappia gestire con

efficacia le relazioni personali. Questo è il motivo per cui si rende vantaggioso l’utilizzo di

questa forma d’intelligenza, sia in contesti organizzativi che personali e sociali. Essere

emotivamente intelligenti aiuta a gestire nel migliore dei modi la vita privata, il lavoro e più

in generale i rapporti con gli altri.

Di fronte a ogni innovazione, che tende a trasformare radicalmente la mentalità

comune e che richiede il ridimensionamento se non l’abolizione di pratiche sperimentate e

consolidate nel tempo, si trova sempre qualcuno che esprime dissenso. Anche nel caso

dell’importanza da attribuire all’intelligenza emotiva vengono avanzate delle perplessità,

soprattutto da chi non ne conosce la portata. Questi, forse per le sue linee di pensiero

abbarbicate al tradizionale modello educativo che si preoccupa della malattia solo dopo

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aver avvertito il sintomo e che sostiene la necessità di una netta draconiana distinzione tra

bene e male, tra valori e disvalori, pur accettando il fatto che dare via libera alle proprie

emozioni non vuol dire perdere il controllo di se stessi o annebbiare la propria intelligenza

razionale, crede tuttavia che il concetto di intelligenza emotiva sia un po’ abusato in nome

di una condivisione e di una comprensione dell’<altro>. Teme che la Società finisca in tal

modo per predisporsi l'ennesima “scappatoia”, al solo scopo di non affrontare l'amara verità

e per non dire pane al pane e vino al vino. Oggigiorno, gli esseri umani, spesso sono

immersi in una incomunicabilità che è figlia legittima dei nostri tempi, dove a farla da

padrone è il narcisismo sfrenato e il becero egoismo. La mediazione agisce su linee

culturali differenti dal tradizionale intervento giurisdizionale, riuscendo a trovare il giusto

necessario equilibrio per la risoluzione pacifica dei conflitti. Essa non vuole sostituirsi alla

Giustizia, la quale con i suoi Giudici deve poter continuare a svolgere il suo meritevole

compito che è quello della valutazione del fatto in sé e dell’applicazione delle norme del

codice civile o penale. Le liti vengono originate da motivazioni profonde e spesso le

offese morali ricevute non vengono viste adeguatamente risarcite da una pena detentiva o

pecuniaria sanzionata dal Giudice ai sensi delle leggi vigenti. Il compito del Magistrato

comunque finisce con la sua sentenza, disinteressandosi delle sofferenze e lacerazioni

interiori delle parti confligenti. Ecco perché, rispetto al ruolo del Giudice, quello del

Mediatore è per molti versi più arduo. Questi, non ha un percorso preordinato da norme

giuridiche, ma deve districarsi con maggiori difficoltà tra vissuti specifici differenti e nei

meandri emotivi dei protagonisti che a lui si affidano, al fine di trovare, nel loro intimo,

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quella serenità necessaria per la riconciliazione. Per tali motivi non ci si può improvvisare

mediatori. E’ indispensabile seguire, come la Martello sostiene, “un severo percorso

formativo per riuscire ad acquisire competenze reali che consentano di agire e impediscano

di danneggiare”. Quest’ultima malaugurata eventualità potrebbe verificarsi con la “peer

mediation” affidata a ragazzini senza la supervisione di un adulto adeguatamente preparato

con rigore.

Con la Mediazione non si vuole assolutamente gettare un velo pietoso sui contrasti

interpersonali che esistono tra gli individui in tutti i settori sociali facendo finta che non

esistano, al contrario, la Mediazione non teme e non tenta di rimuovere i conflitti in quanto

è nata proprio per affrontarli e ricomporli, ravvisando in essi un’occasione per la scoperta

interiore dell’animo dei contendenti, allo scopo di farli riflettere ed ottenerne quella

trasformazione di cui parla la Morineau. Con la Mediazione non si tenta nemmeno di

minimizzare le colpe o confondere valori e disvalori. Si vorrebbe, invece, prendersi cura

delle cause del conflitto convinti che il loro superamento non farà ricomparire i suoi

sintomi. I sani valori non solo rimarranno ma saranno di certo rivalutati e le colpe non

spariranno, perché l’intento della mediazione è quello di riuscire ad ottenere senza

costrizione che chi ha commesso una colpa, aiutato a guardarsi con onestà nel proprio

intimo, sia portato, in assoluta autonoma, ad assumersi le proprie responsabilità e a

rendendersi disponibile a risarcire la parte lesa. In proposito, la.Martello avverte: “finché

non si arriva a questo non c’è risoluzione alta, segno di civiltà”. Inoltre, è importante che a

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questo si arrivi senza che nessuna delle parti si senta vinta o vincitrice, affinché il processo

di “trasformazione” sia completo, fecondo e duraturo.

Pur lasciando integri i concetti di responsabilità e di valore con tutte le loro giuste

correlate conseguenze, in conclusione, si vuole sostenere quanto afferma ancora la stessa

Martello: <la mediazione è, oltre uno strumento prezioso, una linea culturale del tutto

nuova che ha un suo statuto, una sua filosofia, una sua tecnica che supera il principio di

“vincitore-vinto” per giungere a quello di “vincitore-vincitore”>.

La Mediazione Umanistica può essere applicata ovunque ci sia un conflitto ed in tutti

i contesti, da quello familiare a quello sociale, da quello scolastico a quello penale.

Nella società contemporanea, la Scuola dimostra sempre più di non essere all’altezza

del suo compito: educare e formare i cittadini del domani. A dirlo con la frase di qualche

studioso, “sta impazzendo come la maionese”. Nel mondo scolastico, come in tutta la

società, da tempo è stata confusa l’Autorità con l’Autoritarismo. Le due parole non sono

affatto sovrapponibili ma hanno un significato del tutto opposto: la prima è la potestà,

moderata e benevola di governare, liberamente riconosciuta; la seconda è la tendenza a

governare in modo dispotico e prepotente, contestata, mai accettata e generante conflitti.

Nella Scuola, abbandonato giustamente l’Autoritarismo e non ritrovata la vera e sana

Autorità si è tentato inutilmente di migliorare la qualità del sistema scolastico con

l’introduzione di una falsa democrazia(permissivismo) tra dirigenti e docenti, tra docenti e

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discenti, creando un clima anarcoide in cui a tutti è tutto permesso. Non si è compreso o

si è fatto finta di non capire che la vera libertà non è assolutamente permissivismo. Esso

genera solo smodato egoismo individuale, che, come la gramigna, tende ad infestare tutto

ciò da cui è circondato.

Per quanto riguarda il concetto di Autorità, bisogna fare delle distinzioni: specificare

l’Autorità esistente e necessaria in tutti i settori o nuclei sociali, l’Autorità del Mediatore

non Umanistico e l’Autorità del Mediatore Umanistico. La prima promuove la libertà

dell’altro e favorisce il suo spirito critico; è stima, credito che proviene dalla virtù, dal

sapere, dall’esperienza accumulata nel tempo, ecc.; è “Autorevolezza”, per dirla con

un’altra parola non avversata tanto in voga; è tutto quanto si è detto ma quando, in ultima

analisi, è necessario prendere delle decisioni utili al nucleo o alla collettività queste devono

essere rispettate, anche perché essa, nella generalità, è istituzionalizzata. La seconda è

quasi simile alla prima: anch’essa deve essere accettata e riconosciuta da tutti, non solo dai

soggetti confliggenti ma anche dal contesto collettivo in cui opera, con la differenza che

non impone decisioni o soluzioni ma facilita la comunicazione tra gli interessati, tenendo

fra l’altro presente i loro valori che sono identici a quelli della comunità nella quale vivono

e vogliono continuare a vivere. La terza è lontana dalla prima ma si differenzia alquanto

anche dalla seconda perché, come dice Mark Umbreit, nella mediazione umanistica ci sono

i principi riguardanti credenze e valori condivisi da svariate numerose culture che

ritengono il processo di pacificazione come un percorso spirituale, che antepone

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l’importanza della relazione e del dialogo a una rapida ed efficiente soluzione del

conflitto. Per il Mediatore Umanistico la sua Autorevolezza che suscita senso di fiducia

negli altri, da sola non può e non deve bastare, deve essere associata alla volontà di dare

fiducia agli altri, alla sua Responsabilità contagiabile agli altri, al mettersi in gioco con le

proprie risorse e qualità, all’andare oltre l’apparenza, all’avere conoscenza e padronanza

degli strumenti della comunicazione.

L’Autorità che il Mediatore umanistico possiede non è iscritta in nessun contesto

istituzionale ma deve meritarsela di volta in volta, sulla base di un riconoscimento da parte

dei confligenti, i quali reputano la loro fiducia essere ben riposta in persona retta e

chiaramente preparata professionalmente.

Il Mediatore è stato definito il “terzo istruito” perché depositario di sapienza, cultura,

nozioni e cognizioni nuove, in grado di conciliare tecniche perfezionate con valori etici di

cui la modernità sembra aver perso la memoria.

Alla luce di quanto fin qui detto, non può essere considerato sano metodo educativo

volere affidare ruoli da adulti a ragazzi che conservano comunque una mentalità immatura

ed inadeguata e che, per quanto preparati, non potranno mai avere le tecniche e le

cognizioni di un professionista. Malgrado ciò, in alcune Scuole Italiane, ad incominciare

addirittura dalle elementari, si sta diffondendo un modello innovativo di educazione: la

peer mediation. Questa “mediazione tra pari”, a quanto sembra, lungi dall’ottenere

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soddisfacenti risultati, svilisce la grande arte della Mediazione e mortifica la figura

professionale del Mediatore che ha speso tutta una vita, per arricchirsi di competenze ampie

ed articolate e per crescere interiormente affrontando molti problemi esistenziali.

In tali scuole ad alcuni ragazzi, scelti come mediatori, viene fatto seguire un

brevissimo percorso formativo affinché siano preparati alla meno peggio a svolgere la

mediazione nei conflitti tra compagni. Con tale stratagemma gli insegnanti si sono liberati,

forse non intenzionalmente, dalla necessità di monitorare giorno per giorno la situazione

ambientale scolastica e d’intervenire continuamente su tutti i conflitti che coinvolgono i

ragazzi, lasciandoli soli a gestire momenti così delicati della relazione interpersonale.

Parole magiche come, “pari”, “parità, hanno invaso la società ed in particolare la

Scuola. Eppure bisognerebbe domandarsi se una concezione rivoluzionaria dei rapporti tra

gli individui e nei nuclei sociali che tali parole implicano, sia veramente educativa e

stabilizzante e non, al contrario, motivo di ulteriori nuove lacerazioni per la completa

assenza dell’Autorevolezza di una Figura responsabile e matura. Sarebbe opportuno

chiedersi altresì se non fosse necessaria una rivalutazione del merito e della competenza che

dovrebbero essere i primi strumenti di parità.

In base alla “teoria della mente” vari studiosi confermano che i concetti relativi alle

emozioni emergono e s’incrementano con l’aumentare dell’età.

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Se ciò è vero come è logico che lo sia, non è tanto comprensibile la pretensione

secondo la quale dei ragazzini o anche adolescenti possano avere o acquisire quel

composito bagaglio emotivo e culturale che solo la maturità con una lunga preparazione

professionale riesce ad assicurare. Anche la peer mediation, come la mediazione

umanistica, richiede un ragionare prevalentemente col cuore, utilizzando a piene mani,

appunto, quel bagaglio composito di cui sopra. La sua messa in pratica presuppone che i

piccoli mediatori abbiano empatia nei confronti dei soggetti in causa, possiedano la capacità

di creare un clima di fiducia generale e siano in grado di valorizzare gli interessi di

ciascuno allo scopo di dare un proprio contributo alla risoluzione dei conflitti.

Adempiere a tutto ciò non è cosa proprio semplice per un giovanissimo “Agente di

cambiamento” che possiede rudimentali tecniche di mediazione e una maturità interiore

inevitabilmente incompleta a motivo della sua tenera età. I rischi di creare più danni che

benefici sono alti.

Secondo i fautori della “peer mediation”, sul piano pedagogico, l’attività della

mediazione, dovrebbe favorire lo sviluppo dell’autonomia degli alunni, in quanto

permetterebbe loro di darsi delle regole che essi stessi potrebbero elaborare. Se questo è il

vero scopo, la sua realizzazione dovrebbe essere maggiormente perseguibile impegnando

ogni insegnante a un rapporto educativo diretto con gli alunni, previa preparazione adeguata

in tutte le metodiche della mediazione umanistica. I confligenti hanno bisogno di persone

competenti ma anche autorevoli. Il problema dei contendenti è trovare chi accoglie il

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dolore e la paura. Il dolore non detto diviene insopportabile e deve trovare un ascolto

autorevole, perché nell’Autorevolezza, oltre ad esserci la competenza, è riposta la fiducia

e la stima del richiedente l’aiuto, stati d’animo questi assolutamente necessari in un

processo di mediazione dove sono importanti i sentimenti reciproci d’affidamento e

d’apprezzamento.

Educare significa, condurre, crescere, allevare con autorevolezza, farsi carico

dell’altro ed esserne responsabili. Educare può voler dire anche mediare con metodo

umanistico. Il ruolo del mediatore-educatore è molto importante ed è abbastanza

complesso da riuscire a circoscriverlo entro limiti ben definiti: inizia identificandosi nella

figura che attiva il sistema relazionale per poi arretrare sullo sfondo via via che le persone

si trasformano assumendosi il peso delle loro responsabilità; intreccia competenze tecniche

a doti psicologiche e di profonda umanità.

L'origine dei conflitti mal gestiti degli alunni va cercata spesso nella mancanza

d’educazione alla mediazione degli stessi insegnanti, privi di una formazione specifica

chiamata “educazione alla relazione interpersonale costruttiva”.

Per quanto riguarda le similitudini tra la mediazione umanistica e la peer mediation,

potremmo affermare che la prima è equiparabile a una banconota vera, mentre la seconda è

paragonbile sicuramente a una banconota falsa. Come le due banconote anche i due

modelli di mediazione hanno in comune una similitudine apparente, superficiale, ma fra

esse, nella sostanza, c’è un’ovvia differenza abissale.

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Sebbene siano state già riportate varie citazioni della Prof.ssa Martelli, la tentazione

di chiudere questa piccola relazione con un’altra breve traccia del suo autorevole pensiero,

è tanto irrefrenabile quanto piacevole: “Noi, prima di tutti dobbiamo cambiare mentalità.

Abbiamo bisogno di acquisire un nuovo modo di pensare la relazione, incominciando a

considerare il conflitto come momento della relazione. Se questo cambio di mentalità viene

assunto dall'adulto, mediante un comportamento nuovo in modo anche solo indiretto,

egli può essere di aiuto al ragazzo. Come a dire: " gestiamo insieme il conflitto, senza

paura in modo costruttivo". Prima della tecnica è proprio una mentalità diversa che

occorre ai docenti e che risiede nel pathos che sta nel cuore della relazione con gli allievi, e

che determina il successo formativo. L'atteggiamento del docente dovrebbe testimoniare

la sua felicità di contribuire alla crescita del ragazzo”.

Dott.ssa Maria Rosa Brogna

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Bibliografia

1. -Incontro con Jacqueline Morineau – Centro ulturale di Firenze – 15 nov.2007

2. – J.Morineau – Lo spirito della mediazione – Milano, F.Angeli 2000

3. –M. Serres – Le tiers-instruit- Paris, Ediz. Bourin 1991

4. –Umbreit M.S. - Handbook of victim offender mediation -Wiley & Sons Ltd. 2001

5. –Maria Martello – Educare con Senso senza disSenso – Ediz. Franco Angeli 2009


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