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- La scelta della ragione. Cfr. Popper, Congetture e confutazioni . La violenza non è una componente accidentale dell'uomo e della sua storia, ma è una possibilità “essenziale” della vita umana come lo è la ragione. La violenza è l'altro della ragione, ciò che dunque definisce interamente il suo senso. La filosofia, l'atteggiamento umano che incarna la scelta della ragione e il rifiuto della violenza, ha dunque origine dalla violenza e nella violenza: opzione fondamentale per la non-violenza, per la comprensione e il discorso. Ma allora la violenza non è semplicemente “altro” dalla filosofia, una qualsiasi determinazione della vita umana differente dalla scelta della ragione e del discorso: la violenza è l'altro della filosofia nella misura in cui la filosofia si definisce interamente (sul piano formale) come la negazione consapevole della violenza. La violenza è l'origine della filosofia. Weil: non “tutto ciò che è reale è razionale”, ma “il reale è razionale”, il discorso (o meglio i discorsi) coglie effettivamente la realtà. Fiducia nelle possibilità del discorso di cogliere le articolazioni del reale, il movimento delle cose: non abbiamo altro “strumento” che il discorso, la ricerca della coerenza, per comprendere il mondo. Il discorso non è linguaggio, ma linguaggio argomentato, linguaggio che cerca la coerenza. Anche la poesia è linguaggio, ma non è filosofia (differenza con Heidegger e altri orientamenti della filosofia contemporanea): hegelianamente (da questo punto di vista), la filosofia implica la “fatica del concetto”. Non ci sono scorciatoie nell'“intuizione”. Pur riconoscendo che il pensiero filosofico ha origine nel linguaggio poetico (per cui la poesia è la “madre della filosofia”, la sorgente del discorso), Weil non ritiene che la filosofia debba ritornare alla poesia. La conquista della dimensione concettuale è definitiva: rinunciarvi significherebbe rinunciare alla filosofia: «una volta che si è deciso a parlare in modo coerente, l'universale è per lui inizio e termine del suo discorso» (LF, 98). L'universale è l'orizzonte inoltrepassabile della filosofia. Il carattere storico della filosofia: «Non c'è filosofia sistematica separata dalla presa di coscienza da parte della filosofia della sua storia» (LF, 98). Il sistema è la storia umana compresa; non c'è sistema metafisico. Ogni sistema nasce nella storia che è la sua e, in un certo senso, conclude la storia che è sua, in quanto la “comprende” nel discorso, la rende trasparente a se stessa. La “filosofia prima”, per Weil, non è teoria dell'essere, ontologia, ma teoria del discorso (LF,100).

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- La scelta della ragione. Cfr. Popper, Congetture e confutazioni. La violenza non è una componente accidentale dell'uomo e della sua storia, ma è una possibilità “essenziale” della vita umana come lo è la ragione. La violenza è l'altro della ragione, ciò che dunque definisce interamente il suo senso. La filosofia, l'atteggiamento umano che incarna la scelta della ragione e il rifiuto della violenza, ha dunque origine dalla violenza e nella violenza: opzione fondamentale per la non-violenza, per la comprensione e il discorso. Ma allora la violenza non è semplicemente “altro” dalla filosofia, una qualsiasi determinazione della vita umana differente dalla scelta della ragione e del discorso: la violenza è l'altro della filosofia nella misura in cui la filosofia si definisce interamente (sul piano formale) come la negazione consapevole della violenza. La violenza è l'origine della filosofia.

Weil: non “tutto ciò che è reale è razionale”, ma “il reale è razionale”, il discorso (o meglio i discorsi) coglie effettivamente la realtà. Fiducia nelle possibilità del discorso di cogliere le articolazioni del reale, il movimento delle cose: non abbiamo altro “strumento” che il discorso, la ricerca della coerenza, per comprendere il mondo. Il discorso non è linguaggio, ma linguaggio argomentato, linguaggio che cerca la coerenza. Anche la poesia è linguaggio, ma non è filosofia (differenza con Heidegger e altri orientamenti della filosofia contemporanea): hegelianamente (da questo punto di vista), la filosofia implica la “fatica del concetto”. Non ci sono scorciatoie nell'“intuizione”. Pur riconoscendo che il pensiero filosofico ha origine nel linguaggio poetico (per cui la poesia è la “madre della filosofia”, la sorgente del discorso), Weil non ritiene che la filosofia debba ritornare alla poesia. La conquista della dimensione concettuale è definitiva: rinunciarvi significherebbe rinunciare alla filosofia: «una volta che si è deciso a parlare in modo coerente, l'universale è per lui inizio e termine del suo discorso» (LF, 98). L'universale è l'orizzonte inoltrepassabile della filosofia.

Il carattere storico della filosofia: «Non c'è filosofia sistematica separata dalla presa di coscienza da parte della filosofia della sua storia» (LF, 98). Il sistema è la storia umana compresa; non c'è sistema metafisico. Ogni sistema nasce nella storia che è la sua e, in un certo senso, conclude la storia che è sua, in quanto la “comprende” nel discorso, la rende trasparente a se stessa. La “filosofia prima”, per Weil, non è teoria dell'essere, ontologia, ma teoria del discorso (LF,100).

Attitudini, categorie, riprese: il concetto di ripresa è centrale, essa costituisce lo “schema” attraverso cui la categoria (pura) viene applicata alla storia.

Ogni categoria esprime un modo determinato di pensare la coerenza, irriducibile ad altri: il “passaggio” da una categoria all'altra è libero, è una rottura dell'ordine logico precedente, e sotto questo profilo non si può parlare di una “deduzione”; Weil insiste spesso sulla “discontinuità” tra le categorie, corrispondenti a diversi modi di atteggiarsi dell'uomo nei confronti del reale. Tuttavia, una volta che questo passaggio sia stato compiuto, se ne possono dare le “ragioni”: mostrando l'unilateralità e il limite della categoria precedente. Il passaggio da una categoria all'altra non è la fluida continuità di un concetto che, uscendo da sé, in realtà ritorna in sé, scendendo nel fondo di se stesso, “approfondendosi”; ogni passaggio di questo tipo non è “logico” (nel senso della rigorosa necessità interna), è e rimane “violento”.

La categoria è un “centro di significato”, un nucleo concettuale puro, attorno al quale si dispiega e si organizza un discorso che aspira alla coerenza (dunque una filosofia). Pluralità irriducibile dei discorsi dell'uomo: non c'è un modo solo di pensare la coerenza. La logica della filosofia coglie i nessi strutturali e le relazioni interne tra questi differenti “universi” di discorso, e in questa maniera costruisce se stessa, il proprio discorso. È chiaro che, dal punto di vista della LF, le coerenze realizzate da questi discorsi sono “parziali”, anche se, all'interno delle singole prospettive, il filosofo pensa di aver realizzato la comprensione della “totalità”. In altri termini, per chi pensa all'interno di una certa filosofia, quella filosofia non può che essere il senso della totalità, il discorso coerente. [Differenza tra “per sé” e “per noi” (per il logico della filosofia)]. Ogni categoria è principio di un discorso sistematico, di una filosofia compiuta, di un sistema

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(cfr. Valentini): sul piano storico abbiamo una concreta successione di filosofie, ciascuna delle quali si ricollega, in un modo o nell'altro, alle precedenti.

La storia come “fonte viva della logica” (LF, 244): la logica nasce dal tempo, dal reale, dalla storia, ma, quando è nata, comprende il tempo, il reale, la storia, che come dimensioni di senso non possono nascere che con lei.

Funzione della categoria nella “comprensione totale”.