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HS + E Italian/English Edition Apr - Jun 2005 THE OCCUPATIONAL HEALTH & SAFETY + ENVIRONMENTAL QUARTERLY MAGAZINE Vol. 3 - N. 2 MAGAZINE Poste Italiane - Spedizione in a.p. 45% - art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - D.R.T. - D.C.B. - TO n. 1/2003 L a nascita dell’ industria estrattiva off- shore risale agli anni immediatamen- te successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In realtà già preceden- temente erano state effettuate perforazio- ni in mare, ma sempre abbastanza vicino alla costa. Secondo alcuni storici tra cui Clyde W. Burleson i primi esperimenti in mare furo- no effettuati in California e risalgono al 1897 (secondo altre fonti risalgono invece al 1887) quando il predicatore e petroliere H. L. Williams ebbe l’idea di realizzare un impianto di perforazione installato sul- la testata di un pontile in legno che si spingeva fino a circa un centinaio di metri dalla spiaggia. In acque interne, e con il medesimo sistema, un tentativo analogo pare fosse già stato condotto vicino a Shreveport in Louisiana nel 1870. Sempre in acque inter- ne, impiegando il sistema dei pontili collegati alla riva, numerosissime perforazioni furono sicu- ramente realizzate con successo, a partire dal 1904, nel Lago Caddo, al confine tra la Louisiana ed il Texas, dove da tem- EMERGENZE OFFSHORE: ALCUNE LEZIONI DA NON DIMENTICARE Roberto Nicolucci * po immemore il gas già fluiva natural- mente in superficie facendo ribollire le ac- que e spesso incendiandosi al contatto con l’aria. A partire dal 1922 a seguito di una im- portante campagna di ricerca condotta da Shell Oil ebbe inizio anche lo sfruttamen- to delle acque del Lago di Maracai- bo in Venezuela. Nel 1937 la Shell e la Pure Oil fecero finalmente un primo tentativo di perfo- razione in mare aperto alla distanza di cir- ca un miglio dal- la costa della Louisiana, su un fonda- le profondo circa cinque metri impiegan- do ancora una volta il sistema del derrick montato su una palificata in legno. Per la prima volta si prospettarono realmente agli operatori le problematiche continua a pagina 4

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HS+EItalian/English Edition Apr - Jun 2005

THE OCCUPATIONAL HEALTH & SAFETY +ENVIRONMENTAL QUARTERLY MAGAZINE

Vol. 3 - N. 2

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Poste Italiane - Spedizione in a.p. 45% - art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - D.R.T. - D.C.B. - TO n. 1/2003

La nascita dell’ industria estrattiva off-shore risale agli anni immediatamen-

te successivi alla fine della SecondaGuerra Mondiale. In realtà già preceden-temente erano state effettuate perforazio-ni in mare, ma sempre abbastanza vicinoalla costa.

Secondo alcuni storici tra cui Clyde W.Burleson i primi esperimenti in mare furo-no effettuati in California e risalgono al1897 (secondo altre fonti risalgono inveceal 1887) quando il predicatore e petroliereH. L. Williams ebbe l’idea di realizzareun impianto di perforazione installato sul-la testata di un pontile in legno che sispingeva fino a circa uncentinaio di metri dallaspiaggia.

In acque interne, e conil medesimo sistema, untentativo analogo parefosse già stato condottovicino a Shreveport inLouisiana nel 1870.

Sempre in acque inter-ne, impiegando il sistemadei pontili collegati allariva, numerosissimeperforazioni furono sicu-ramente realizzate consuccesso, a partire dal1904, nel Lago Caddo, alconfine tra la Louisianaed il Texas, dove da tem-

EMERGENZE OFFSHORE:ALCUNE LEZIONI DA NON DIMENTICARE

Roberto Nicolucci*po immemore il gas già fluiva natural-mente in superficie facendo ribollire le ac-que e spesso incendiandosi al contatto conl’aria.

A partire dal 1922 a seguito di una im-portante campagna di ricerca condotta daShell Oil ebbe inizio anche lo sfruttamen-to delle acque del Lago di Maracai-bo in Venezuela.

Nel 1937 la Shell e la PureOil fecero finalmente unprimo tentativo di perfo-razione in mare apertoalla distanza di cir-ca un miglio dal-la costa dellaLouisiana,su unfonda-

le profondo circa cinque metri impiegan-do ancora una volta il sistema del derrickmontato su una palificata in legno.

Per la prima volta si prospettaronorealmente agli operatori le problematiche

continua a pagina 4

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HS+E MAGAZINETrimestrale di Sicurezza, Igiene

Industriale e AmbienteThe Occupational Health & Safety and

Environmental Quarterly Magazine

APR - JUN 2005 / VOL. 3 N. 2

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DIRETTORE TECNICO / TECHNICAL EDITOR:Roberto Nicolucci

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COORDINATORE DI PRODUZIONE /PRODUCTION CO-ORDINATOR:

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TRADUZIONI / TRANSLATIONS:Chiara De Angelis

COMITATO DI REDAZIONE /EDITING BOARD:

Daniele Arasi - Valentina BassettiGiorgio Cavassi - Roberto D’Agostino

Pietro Fiori - Giovanni MartiniDavide Mazzotti - Oscar Monti

Roberto Nicolucci - Francesco PastremoliMichele Rinieri

HS+E MAGAZINE è pubblicato trime-stralmente. Tutti i diritti sono riservati.Nessuna parte della pubblicazione puòessere riprodotta o trasmessa in alcunaforma e con alcun mezzo, elettronico omeccanico, inclusa la fotocopia, senza ilpreventivo consenso scritto dell’Editore.I punti di vista e le opinioni espresse da-gli Autori all’interno della rivista non ne-cessariamente coincidono con quelli delProprietario, dell’Editore e del DirettoreResponsabile.

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SOMMARIO / CONTENTS

1 Emergenze Offshore: alcune lezioni da non dimenticareOffshore emergency: lessons to be kept in mind

3 Editoriale

12 Behavioural (people) Based Safety

14 Le potenzialità della Direttiva AtexThe Atex Directive Potential

19 Il supporto tecnico, gestionale e normativoal Pronto Intervento AmbientaleThe technical, managerial and normative supportto environmental emergency response units

22 The National Fire Protection Association (NFPA)

24 Standard lighthouse

25 www.safety

25 Bookshop

26 Press Review

27 Events calendar

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3HS+E magazine

EDITORIALE

HS+E Magazine compie due anni. E’ nato infatti proprio in occasione di OMC 2003.Due anni di vita per un periodico trimestrale di poche pagine potrebbe sembrare un traguardo facile da raggiungere. Ma cosìnon è stato. L’impegno più grande è stato senza alcun dubbio quello di riuscire a mantenere viva l’idea (o l’ideale?) iniziale direalizzare un contenitore, assolutamente indipendente, nel quale potessero trovare posto studi e ricerche, resoconti di esperienzeoperative, informazione ed approfondimenti utili a tutti coloro che si occupano di Sicurezza ed Ambiente. Tutto questo abbiamosempre cercato di farlo, anche a prezzo di qualche sacrificio, respingendo qualsiasi forma di condizionamento.Ci preme in questa ricorrenza condividere un’opinione pubblicamente espressa di recente da Lawrence Waterman, presidentedell’IOSH, sul ruolo riduttivo cui spesso sono relegati gli specialisti della Sicurezza.Premesso l’irrinunciabile impegno a creare ambienti di lavoro sempre più sani, sicuri e confortevoli, gli investimenti per miglio-rare la sicurezza sul lavoro sono senz’altro impegnativi per diversi aspetti, non ultimo quello economico. Per questo occorre va-lutare attentamente il reale rapporto tra costi e benefici prima di fare qualsiasi scelta. Gli esperti della materia, molti dei qualiposseggono competenze manageriali e conoscenza delle logiche aziendali più che adeguate, potrebbero quindi essere impiegatiin modo proficuo come advisor anche in questo processo decisionale, anziché come spesso accade, relegarli al semplice ruolo diconsulenti tecnici in interventi riparatori. E’ infatti comunque provato in modo definitivo che i costi della “non sicurezza” supe-rano abbondantemente qualsiasi investimento di tipo preventivo. Il problema, dunque, è esclusivamente culturale. Probabilmente, ancora una volta, conclude Waterman, toccherà ai professionisti della sicurezza prospettare questa ulteriore op-portunità agli imprenditori, aiutandoli a comprendere i reali vantaggi che un più completo processo decisionale sull’adozionedelle corrette misure di prevenzione e protezione (ed unicamente di quelle necessarie) può portare alle imprese ed alla società ingenerale.Ci uniamo volentieri a questo appello in quanto quella espressa da Waterman è la convinzione che da sempre ci sostiene nel la-voro che svolgiamo quotidianamente. La Redazione

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di logistica e di sicurezza legate all’off-shore in particolare per l’ostilità dell’am-biente marino.

Dopo questo primo esperimento, anchea causa della Seconda Guerra Mondiale,le operazioni in mare furono praticamentesospese fino al 1947.

In quell’anno furono infatti installatead una decina di miglia dalla costa dellaLouisiana tre strutture reticolari in acciaiofisse (jacket), ancorate al fondo del mare,studiate per conto della Kerr-McGee/Phil-lips/Stanolind, della Superior e dellaExxon, dalla J. Ray McDermott Co.

La Kermac 16 della Kerr-McGee fu laprima vera piattaforma offshore al mondoa produrre petrolio nel novembre del1947.

La piattaforma non era dotata di allog-gi e pertanto il personale veniva trasferitoall’inizio ed alla fine di ogni turno lavora-

tivo via mare sprecando tempo e correndomoltissimi rischi.

Più o meno nello stesso periodo laKerr-Mc Gee raggiunse gli stessi risultatioperativi in mare aperto ricorrendo ad unapiccola piattaforma su pali sui quali eramontato solo il derrick, e ad una unità na-vale di appoggio realizzata riconvertendoun mezzo da sbarco della marina america-na su cui trovavano posto tutti gli equi-paggiamenti di servizio e gli alloggi per ilpersonale (sistema cosiddetto tender-rig)

Il sistema permetteva di spostare l’im-pianto abbastanza rapidamente da un pun-to di perforazione all’altro nel caso in cuil’esplorazione si dimostrasse infruttuosa.Il mezzo navale e la piattaforma fissa era-no uniti da una passerella che in caso dimare formato richiedeva notevoli doti diabilità per essere percorsa. Probabilmentenon a torto era nota tra gli addetti ai lavoricome “widow-maker”. Nonostante l’ele-

vato rischio per gli operatori il sistema fupresto copiato da molte altre oil-compa-nies.

Tra il 1934 e la metà degli anni Cin-quanta furono anche ideati due tra i mezziche più avrebbero contribuito allo svilup-po dell’industria offshore: le unità som-mergibili (da cui negli anni Sessanta furo-no poi derivati i semisommergibili) ed ijack-up.

Nel 1956 convertendo un mezzo navaleproveniente dalla US Navy la WaterfallInc. realizzò per conto del CUSS Group laprima drillship al mondo: la CUSS 1.

L’esercizio della CUSS 1 pose imme-diatamente anche nuove problematicheoperative di sicurezza poichè per la primavolta i rischi tipici della perforazione sisommavano a quelli di un mezzo navale.

Le diverse tecnologie sviluppate per ilGolfo del Messico furono esportate, a par-tire dalla fine degli anni Cinquanta e du-rante i primi anni Sessanta, anche in altreparti del mondo trovando ideale impiegoin particolare nelle acque del Golfo Persi-co, di Trinidad, del Borneo, del Mediter-raneo e più tardi dell’Africa occidentale.

A metà degli anni Sessanta dopo alcu-ne incoraggianti esperienze in acqueprofonde effettuate nel Golfo del Messicole attività di esplorazione presero impulsoanche in Nord Europa e la British Petro-leum identificò alcuni importanti giaci-menti di gas nella parte meridionale delMare del Nord.

Gli operatori impegnati in queste diffi-cili aree geografiche presto però constata-rono con danni e perdite ingenti di equi-paggiamenti e a volte anche di uomini,che la tecnologia disponibile, sviluppataessenzialmente per le acque relativamentepoco profonde, calme e temperate delGolfo del Messico, non era assolutamenteadeguata alle condizioni meteomarineestremamente severe caratteristiche delNord Europa.

La ricerca quindi si focalizzò in parti-colare su nuove tipologie di strutture fissema anche su unità navali innovative. Conle Tension Leg Platform (TLP) e le piat-taforme a gravità ma anche con le unitànavali cosiddette FPSO (Floating Produc-tion Storage and Offloading) fu possibilesuperare, ad esempio, i limiti fino ad allo-ra imposti dall’adozione delle strutture ti-po jacket.

Queste tipologie furono poi esportatein altre aree ove esistevano problemi lega-ti alla profondità dei fondali.

Come accennato, già dal lontano 1947le oil-companies e le diverse società con-

segue da pagina 1

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trattiste che operavano nel settore, manmano che le attività operative procedeva-no verso acque sempre più profonde e di-stanti dalla terraferma, avevano comincia-to a rendersi conto dei problemi di sicu-rezza che l’attività comportava. Sin dall’i-nizio delle attività in mare aperto, infatti,l’industria estrattiva fu interessata da uncerto numero di incidenti più o meno gra-vi correlati alle diverse fasi operative.

Le problematiche, gli incidenti e le re-lative conseguenze divennero via via piùcritiche con l’aumentare delle dimensionidel business, in particolare con l’aumenta-re delle dimensioni degli impianti fissi emobili, del numero delle persone coinvol-te, nonché in relazione alla severità del-l’ambiente naturale in cui si veniva adoperare. A quest’ultimo riguardo fu prestoevidente a tutti che le operazioni condottein Alaska, in Canada e nel Mare del Nordavrebbero comportato i maggiori rischi.

La criticità degli impianti di perfora-zione è sempre stata considerata elevatasin dall’inizio della attività e numerosedecine di mezzi in tutto il mondo sono an-dati perduti dagli anni Cinquanta ad oggia seguito di due cause principali: l’esplo-sione o l’incendio spesso conseguente alblow-out di uno o più pozzi o l’affonda-mento a causa di condizioni meteo marineparticolarmente severe.

Storicamente il primo incidente carat-terizzato da una ingente perdita di viteumane che abbia coinvolto una piattafor-ma offshore, sebbene non dedicata all’e-strazione di idrocarburi, risale al 1961quando si verificò il rovesciamento el’affondamento della Texas Tower # 4.

Si trattava di una delle piattaforme mili-tari appartenenti al sistema di difesa ame-ricano cosiddetto AirBorne Early Warning(AEW) gestito dalla US Air Force.

La piattaforma con struttura a tre gam-be tubolari, realizzata sul principio ideatoda DeLeon e già ai tempi ampiamentesperimentato nel Golfo del Messico, erastata installata in acque profonde oltre 50metri, una profondità che eccedeva note-volmente quella raggiunta fino ad alloracon strutture analoghe.

Nonostante le rassicurazioni dei pro-gettisti circa la robustezza della strutturala piattaforma cominciò già durante il suoprimo anno di vita (1957) a manifestare,in occasione di alcune burrasche, preoccu-panti scuotimenti. Dopo che l’uraganoDonna la investì nel settembre del 1960con venti fino a 130 nodi e onde di 15 me-tri di altezza fu riscontrata la rottura di al-cune parti strutturali e gli scuotimenti di-

vennero talmente violenti che al personaledi bordo venne imposto il divieto di rader-si con i rasoi a lama per evitare di ferirsi.

Finalmente verso la fine del 1960 loStato Maggiore americano decise di eva-cuare parzialmente la piattaforma lascian-do a bordo solo un presidio minimo di 28persone (14 militari e 14 civili) anziché le70 previste.

Il 15 gennaio 1961 la piattaforma funuovamente investita violentemente dauna burrasca con onde di una decina dimetri di altezza e vento di 50 nodi.

La piattaforma oramai indebolita strut-turalmente collassò e si inabissò in pochiistanti trascinando con sé tutte le 28 per-sone di equipaggio.

Una prima conseguenza di questa tra-gedia fu quella di studiare adeguati equi-paggiamenti che in caso di emergenza po-tessero garantire la sopravvivenza degliequipaggi fino all’arrivo dei soccorritori.

La General Dynamic fu incaricata di

realizzare capsule di sopravvivenza stagnedotate di cibo e ossigeno sufficienti a so-pravvivere per quindici giorni. Le capsulefurono finalmente installate nell’ottobredel 1962 sulle due piattaforme DEW ri-maste. Contestualmente furono adottate

Figura 1 - La Texas Tower # 4.

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primo importante incidente nella storiadell’esplorazione del Mare del Nord: ildrilling rig Sea Gem un jack-up da 5600tonnellate affondò in conseguenza di uncollasso strutturale mentre si trovava circa40 miglia ad Est della costa dello Yorkshi-re (UK) in corrispondenza della foce delfiume Humber. Il jack-up fu evacuato uti-lizzando le zattere di salvataggio di bordo.Tredici delle trentadue persone imbarcatepersero la vita, nella maggior parte dei ca-si per problemi correlati con l’ipotermia.

Fu aperta un’ inchiesta e nel rapportofinale pubblicato nel 1967 fu richiesto algoverno britannico di emanare appositenorme e sanzioni al fine di regolamentarele attività estrattive offshore.

Si deve ad esempio a queste successivenorme l’obbligo di nomina di un “Offsho-re Installation Manager (OIM)” ovvero diun capopiattaforma al quale sono atutt’oggi demandati una lunga serie di ob-blighi e responsabilità.

Ma altri incidenti erano in agguato.Circa dieci anni più tardi, nel 1975, nel

settore norvegese del Mare del Nord, siverificò un altro incidente che mise in lu-ce i limiti delle scialuppe di salvataggiofino ad allora installate a bordo delle piat-taforme.

Un incendio sviluppatosi a bordo dellapiattaforma Ekofisk-A distrusse due delletre scialuppe di salvataggio. Il lancio percaduta libera dell’unica scialuppa rimastacausò la morte di tre persone ed il feri-mento di altre tre portando come conse-

procedure di emergenza più restrittive poiestese anche alle piattaforme petroliferedel Golfo del Messico.

Venne resa obbligatoria sia sulle instal-lazioni militari che civili l’evacuazione ditutto il personale non strettamente neces-sario a seguito di una previsione di ventooltre i 50 nodi. L’evacuazione totale fu re-sa obbligatoria con previsioni oltre i 70nodi.

Del periodo compreso tra il 1953 ed il1965 non sono disponibili informazioniattendibili ma è sicuro che un certo nume-ro di piattaforme fisse (soprattutto nelGolfo del Messico), di impianti di perfo-razione e di mezzi navali siano rimasticoinvolti in incidenti durante attività off-shore.

A partire dal 1965 sono invece disponi-bili numerosi studi e rapporti relativi agliincidenti che hanno coinvolto l’industriaoffshore mondiale.

Proprio nel 1965, il 28 Settembre, av-venne forse il primo grave incidente dellastoria dell’offshore italiano.

Il Paguro, un jack-up, costruito su li-cenza dell’americana LeTourneau, varato aPorto Corsini (RA) il 5 agosto del 1963,andò completamente distrutto a seguito diun blow-out durante la perforazione delpozzo PC7 situato 12 miglia al largo dellafoce dei Fiumi Uniti nei pressi di Ravenna.

A seguito dell’incendio sviluppatosi lastruttura collassò in mare provocando lamorte di tre persone.

Il 27 dicembre 1965 si ebbe invece il

6 HS+E magazine

guenza l’immediata revisione degli stan-dard costruttivi delle scialuppe stesse.

L’anno successivo nel Golfo del Messi-co il jack-up Ocean Express si rovesciò eaffondò mentre veniva rimorchiato in con-dizioni di mare molto agitato.

Il rovesciamento di una delle scialuppedi salvataggio sbalzò fuoribordo una partedell’equipaggio.

Tredici persone non riuscirono più asalire a bordo e persero la vita.

A seguito di questo fatto le scialuppe disalvataggio furono dotate di sagole ester-ne in grado di consentire ai naufraghi diaggrapparvisi con facilità. Le scialuppefurono da allora realizzate con caratteristi-che che ne consentissero anche l’autorad-drizzamento in qualsiasi condizione.

Nello stesso anno il drilling rig semi-sommergibile Deep Sea Driller si arenòsulla costa norvegese durante una violentaburrasca.

I 50 uomini dell’equipaggio evacuaro-no utilizzando la sola scialuppa disponibi-le. L’arresto del motore e le condizioni delmare causarono poi il ribaltamento delmezzo di salvataggio causando la morte di6 persone per le quali, sbalzate fuori bor-do, non fu più possibile il recupero.

La capacità di autoraddrizzarsi e la ro-bustezza della imbarcazione di salvatag-gio consentì comunque ai sopravvissuti digiungere sani e salvi a terra dimostrandoche la strada intrapresa relativamente aglistandard costruttivi di questi mezzi eraquella giusta.

Nel 1977 la piattaforma di produzioneEkofisk B fu interessata da un blow-out; le92 persone di equipaggio evacuarono sen-za alcun danno utilizzando le 4 scialuppedi salvataggio presenti a bordo.

Il 25 novembre 1979 il jack-up cineseBohai II affondò, ancora una volta nelcorso di una violenta burrasca, mentre si

Figura 2 - Il drilling rig semisommergibileOcean Ranger.

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tura e diverso esito fino a culminare nellatragedia di Piper Alpha.

Al pari di quanto accadde per la sicu-rezza marittima dopo il naufragio delRMS Titanic, l’incidente di Piper Alphaportò ad una completa revisione deglistandard di sicurezza nell’industria off-shore.

Piper Alpha era una delle più grandipiattaforme installate nel Mare del Norddalla metà degli anni Settanta in avanti.Era situata su un fondale di 145 metri diprofondità circa 110 miglia a NE di Aber-deen (Scozia), nel settore britannico delMare del Nord. Al tempo dell’incidente lapiattaforma era gestita dalla società ame-ricana Occidental Petroleum (Caledonia)Ltd. e produceva olio e gas da 24 pozzi.

All’origine del disastro vi fu un inter-vento di manutenzione su una pompa delgas condensato e sulla relativa valvola disicurezza. Ma la situazione deteriorò rapi-damente ed in modo così tragico soprat-tutto a causa di una lunga serie di carenzetecniche ed incompetenze gestionali.

A partire dalle 22.00 del 6 luglio 1988,istante nel quale si verificò una primaesplosione dovuta ad una fuoriuscita digas condensato, si susseguirono diversealtre esplosioni che portarono nel giro dipoco tempo ad un incendio generalizzatoalimentato dagli idrocarburi che continua-vano a fuoriuscire copiosamente da piùparti dell’impianto.

Nell’arco di soli 22 minuti a partire dalmomento in cui la piattaforma fu comple-

L’incidente dell’Ocean Ranger portòad una radicale revisione degli standard diprogettazione (inclusa la ridefinizione de-gli equipaggiamenti di emergenza e salva-taggio), di costruzione e di gestione (in-cluso il training per il personale di bordo)per tutte le unità fisse e mobili operantinell’offshore del Newfoundland. Questistandard furono poi in buona parte recepi-ti a livello internazionale.

Il 25 ottobre 1983 la drillship GlomarJava Sea affondò nel Mare della Cina 200miglia a Est della costa meridionale delVietnam; l’unità da 5930 tonnellate noleg-giata dalla società americana Atlantic Ri-chfield Co. (ARCO) si inabissò a causa dialcune fessurazioni apertesi nello scafomentre nella zona imperversava il tifoneLex. La reale dinamica dell’incidente se-condo diverse fonti resta ad oggi oscura.

Nel periodo compreso tra il 1983 e il1987 alcune grandi piattaforme di produ-zione installate in diverse parti del mondotra le quali Brent-B, Forties-D, Cormo-rant-A e Cerveza furono interessate dablow-out, incendi ed esplosioni che causa-rono più di una vittima.

Stessa sorte subirono diversi semisom-mergibili e jack-up tra i quali Vinland,Glomar Arctic II e West Vanguard.

In tutti i casi il personale non stretta-mente necessario alla gestione dell’emer-genza fu rapidamente evacuato e portatoal sicuro.

Nel 1988 l’industria offshore fu colpitada una lunga serie di incidenti di varia na-

trovava nel Golfo di Bohai tra la Corea ela Cina, provocando la morte di 72 perso-ne.

Il 27 marzo 1980 presso il giacimentodi Ekofisk si verificò il capovolgimentodella accomodation platform semisom-mergibile Alexander L. Kielland. Nell’in-cidente persero la vita 123 delle 208 per-sone presenti a bordo.

Il governo norvegese nominò immedia-tamente una commissione di indagine chepubblicò il rapporto finale nel marzo del-l’anno successivo giungendo alla conclu-sione che il capovolgimento fosse da attri-buire alla rottura di un componente strut-turale dello scafo dovuta ad affaticamentodei materiali.

Il 15 febbraio 1982, 170 miglia al largodi St.John’s nel Newfoundland (CAN), èaffondato il drilling rig semisommergibileOcean Ranger; si tratta del più grave inci-dente dell’industria offshore canadese.

L’Ocean Ranger, ai tempi il più grandedrilling rig del mondo, costruito per ope-rare in condizioni meteomarine estreme eritenuto (come il RMS Titanic) inaffonda-bile è affondato in meno di otto ore dopoaver subito gravi danni al sistema di balla-staggio.

Il giorno precedente a quello della tra-gedia il mezzo era stato colpito da almenouna onda anomala di altezza stimata oltrei 30 metri mentre imperversava una burra-sca con raffiche di vento fino a 90 nodi eonde mediamente alte oltre una ventina dimetri.

A causa delle condizioni meteo proibi-tive il capopiattaforma decise di mantene-re l’equipaggio a bordo il più a lungo pos-sibile. Ritenendo l’evacuazione altamenterischiosa l’ordine di abbandono fu datosolo due ore prima del completo affonda-mento.

Nonostante la presenza nelle vicinanzedi uno stand-by vessel e l’intervento dinumerose unità di soccorso non fu possi-bile recuperare e salvare nessuna delle 84persone presenti a bordo.

Solo successivamente furono recupera-ti 22 corpi, 2 scialuppe e 6 zattere alla de-riva.

La commissione governativa canadeseincaricata di indagare sull’accaduto im-putò la causa dell’affondamento ad erroridi progettazione del mezzo ed una dellecause della morte dell’intero equipaggioalla carenza di addestramento e alla man-cata disponibilità di idonei equipaggia-menti in particolare delle tute di sopravvi-venza e delle scialuppe stagne autorad-drizzanti.

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dalità di utilizzo aveva ricevuto il neces-sario addestramento altrove, spesso nelsettore marittimo mercantile o militare.

La seconda parte del rapporto compila-to dalla commissione Cullen contenevacomplessivamente 106 raccomandazioniinerenti i più disparati aspetti aventi unimpatto sulla sicurezza nelle attività off-shore: dalla progettazione alla manuten-zione degli impianti, dai dispositivi dievacuazione e sopravvivenza all’addestra-mento del personale, dall’organizzazionedelle attività svolte a bordo alle modalitàdi esercizio degli stand-by vessel.

La risposta dell’industria offshore bri-tannica al Rapporto Cullen fu totale e tut-te le 106 raccomandazioni furono accetta-te.

La responsabilità della implementazio-ne delle raccomandazioni nel Regno Uni-to fu indirizzata a diversi soggetti: in 57casi agli organismi di controllo, in parti-colare all’Health & Safety Executive(HSE), in 40 casi agli operatori, in 8 casile raccomandazioni furono indirizzate alleorganizzazioni che sovrintendono all’in-dustria dell’oil & gas ed in un caso allecompagnie di armamento degli stand byvessel.

Queste raccomandazioni hanno gettatole basi per i successivi standard tecnici, ledirettive e le leggi specifiche che da lì inavanti avrebbero governato il mondo del-l’offshore in campo internazionale.

dopo la prima esplosione quasi tutti i so-pravvissuti si riversarono all’interno delmodulo alloggi, probabilmente il luogo ri-tenuto più sicuro. Ma da quel momento inavanti non vi fu alcuna gestione dello sta-to di crisi e non fu dato alcun ordine dievacuazione della piattaforma.

Alcune critiche furono anche mosse airesponsabili delle vicine piattaformeClaymore e Tartan collegate a PiperAlpha da sealines per non aver immedia-tamente sospeso la produzione ed inter-cettato i flussi di idrocarburi verso PiperAlpha. In particolare si ritiene che propriogli idrocarburi provenienti da Tartan e checessarono di fluire solo dopo due ore e so-lamente in seguito alla rottura di una tuba-zione siano stati la principale causa del-l’inneficace azione antincendio dell’ESVTharos. Il mancato blocco della produzio-ne da parte di Tartan fu imputato allamancanza di autorità del personale opera-tivo di bordo per agire senza interpellare iresponsabili a terra, seppur in una situa-zione di emergenza.

Il Rapporto Cullen ha anche messo inevidenza come il personale di Piper Alphanon possedesse praticamente alcuna cono-scenza relativamente alla gestione delleemergenze, non avesse ricevuto alcun ad-destramento ed avesse complessivamentesolo una minima esperienza circa l’impie-go degli equipaggiamenti e delle attrezza-ture disponibili. Chi ne conosceva le mo-

tamente avvolta dalle fiamme, si verificòil totale collasso della struttura che pro-vocò la morte di 167 delle 229 personepresenti a bordo.

Altre due vittime furono causate da unaesplosione che investì in pieno la fast re-scue boat del s/v Lowland mentre stavarecuperando alcuni naufraghi in prossi-mità della piattaforma.

Gli unici sopravvissuti furono quelliche trovarono il coraggio di lanciarsi inacqua, alcuni, secondo quanto accertatoda Rhona Flin e Georgina Slaven nel cor-so di uno studio condotto dopo l’inciden-te, anche da oltre sessanta metri di altez-za.

Tutti quelli che avevano cercato rifugioall’interno del modulo alloggi o sull’heli-deck persero la vita intossicati dal fumo oustionati dal calore radiante.

Ai soccorritori si presentò una visioneapocalittica; agli elicotteri di soccorso lefiamme alte più di cento metri apparverogià a diverse decine di miglia di distanzamentre alcuni aerei ricognitori che vola-vano a quota più alta scorsero le fiamme a70 miglia di distanza. Anche a bordo deljack-up Maersk Highlander, che si trova-va ad oltre 60 miglia da Piper Alpha fupossibile avvistare il bagliore dell’incen-dio.

Agli elicotteri risultò in pratica impos-sibile avvicinarsi a meno di un miglio didistanza a causa del fumo e del calore.Anche i supply vessel che stazionavanonelle vicinanze non ebbero migliori possi-bilità ed in pratica nessuno degli 11 elicot-teri e dei 21 mezzi navali intervenuti riu-scirono ad accostare la piattaforma. Solol’emergency support vessel Tharos riuscìad avvicinarsi in modo tale da irrorared’acqua la piattaforma, ma l’intervento ri-sultò completamente inneficace.

L’incendio era infatti ben presto dive-nuto incontrollabile a causa dell’impossi-bilità di bloccare il flusso del gas prove-niente dai pozzi. Il blow-out fu poi spentodagli specialisti della Red Adair Companysolamente qualche giorno dopo.

Il Governo britannico aprì una inchie-sta affidandola ad una commissione pre-sieduta da Lord Cullen. La Commissionelavorò dal novembre 1988 al novembre1990 per accertare prima le cause dell’in-cidente e successivamente per mettere apunto una serie di raccomandazioni voltead evitare il ripetersi di un simile evento.

Dal Rapporto Cullen si evince come laprima esplosione non sia stata devastantee abbia causato la morte di un numero li-mitato di persone. Fu però accertato che

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Figure 3 e 4 - Sistemi di discesa in acqua (per gentile concessione VIKING).

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scale che consentano il transito di unabarella;

– devono essere previsti adeguati sistemid’esodo per poter discendere a livellodel mare in modo sicuro;

– le zone per l’imbarco a bordo dei mezzidi salvataggio devono essere protettedagli effetti del fuoco e delle esplosioni.

– tutte le piattaforme presidiate devonoessere dotate di almeno due imbarca-zioni di salvataggio in grado di conte-nere almeno il doppio del numero mas-simo di persone presenti a bordo;

consentire l’accesso diretto e protettoai dispositivi d’esodo;

– tutti i locali chiusi destinati alla presen-za di personale devono avere almenodue uscite (possibilmente contrapposte)che conducano a percorsi d’esodo;

– i locali chiusi (alloggi, uffici, sale con-trollo, ecc.) devono essere resistenti alfuoco ed a prova di fumo per un tempodeterminato;

– i collegamenti con i piani superiori edinferiori dei deck e dei locali chiusi de-vono essere realizzati con rampe di

Fortunatamente il caso di Piper Alpha,almeno per quanto riguarda le conseguen-ze, è rimasto un caso isolato ma la lezioneche ne è scaturita ha dato un importantecontributo all’industria offshore non soloda un punto di vista organizzativo, ma an-che per quanto riguarda la progettazionedegli impianti di perforazione e produzio-ne, sia fissi che mobili.

Tra gli standard scaturiti dal RapportoCullen, di particolare rilievo per la so-pravvivenza in mare, alcuni sono relativialle imbarcazioni di salvataggio e recupe-ro, ai dispostivi di protezione individuale,ai piani di emergenza ed all’addestramen-to alla sopravvivenza.

Per quanto riguarda le misure di sicu-rezza per l’evacuazione e la sopravviven-za si possono enunciare alcuni principigenerali, oggi quasi universalmente adot-tati. Tra i più comuni si citano i seguenti:– tutte le aree di lavoro destinate alla pre-

senza continuativa del personale devo-no essere dotate, quando possibile, dialmeno due vie di fuga separate, ade-guatamente segnalate; le vie di fugadevono condurre ad un luogo sicuro;

– devono essere presenti a bordo areeprotette (temporary refuge) adeguate agarantire la sopravvivenza di tutto ilpersonale presente a bordo per un pe-riodo che sia sufficiente ai preposti pervalutare l’entità dell’evento ed even-tualmente decidere l’evacuazione. L’a-rea protetta deve essere dotata di siste-mi di comunicazione, di monitoraggiodella situazione esterna, di comandodei sistemi di emergenza, degli equi-paggiamenti di primo soccorso e deve

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Figure 5 e 6 - Moderne scialuppe di salvataggio installate a bordo di piattaforme offshore.

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– a seconda delle zone geografiche pos-sono essere previsti speciali DPI qualitute di sopravvivenza, ecc. in numeroalmeno doppio al numero massimo dipersone presenti a bordo o mezzi spe-ciali quali ad esempio Fast RescueBoat.In linea di massima i requisiti per le

piattaforme del Mare del Nord e del NordAmerica (Canada e Alaska) sono più se-veri rispetto a quelli vigenti nel Mediter-raneo, nel West Africa, nel Golfo del Mes-sico o nel Sud Est asiatico, anche in rela-zione all’ambiente più ostile.

Proprio in ragione delle condizioni me-teomarine particolarmente severe, soloper citare un esempio, la grande piattafor-ma Hibernia installata al largo delle costedel Newfoundland (CAN) è dotata di unaquantità di dispositivi di sicurezza in esu-bero rispetto alle specifiche sopra riporta-te: è infatti dotata di 8 scialuppe totalmen-te chiuse in grado di imbarcare 72 personeciascuna (per un totale di 572 posti pari adue volte il numero massimo di personepresenti a bordo) oltre a 3 sistemi indipen-denti di discesa in acqua che danno acces-so ciascuno a quattro zattere autogonfiabi-li da 25 posti cadauna (per un totale di

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300 posti). Le scialuppe del tipo “totallyenclosed” sono autoraddrizzanti, realizza-te in materiali “fire-retardant” e possonoessere ammainate per mezzo di uno spe-ciale sistema (detto PrOD boom system)che ne permette il rapido allontanamentodalla piattaforma prevenendone il riavvi-cinamento per deriva.

Ciascuna persona a bordo dispone inol-tre di due tute galleggianti termiche di so-pravvivenza.

Anche i principi fondamentali che go-vernano la gestione di una eventualeemergenza sono stati standardizzati e pos-sono essere così riassunti:– continua valutazione dell’evento du-

rante la sua evoluzione;– mantenimento in efficienza di tutti i si-

stemi di comunicazione di bordo, versoaltre installazioni o navi presenti neipressi e verso terra;

– continuo aggiornamento della situazio-ne nei confronti di tutte le persone pre-senti a bordo;

– massimo utilizzo delle risorse umane etecniche disponibili a bordo;In linea generale ed indicativa la ge-

stione dell’emergenza a bordo avvienecon la seguente ripartizione dei compiti:

– addetti al processo: shutdown degli im-pianti e messa in sicurezza delle aree dipertinenza;

– addetti wireline: messa in sicurezza delpozzo e dell’area di perforazione;

– addetti perforazione: controllo dell’in-cendio e dell’area di perforazione ingenerale;

– addetti all’emergenza: recupero dellevittime e controllo generale dell’areacritica;

– addetti antincendio: controllo dell’in-cendio nelle aree esterne alla zona diperforazione;

– addetti al primo soccorso sanitario:trattamento degli infortunati;

– addetti all’evacuazione: facilitazione econtrollo dell’evacuazione ed identifi-cazione degli eventuali dispersi.Uno dei compiti fondamentali di tutte

le squadre d’emergenza è anche quello dimantenere aggiornato il capopiattaformain modo tale che possa prendere istanteper istante le decisioni più appropriate.

Dall’analisi dei numerosi rapporti rela-tivi a Piper Alpha si può però dedurre chel’ampiezza delle conseguenze fu probabil-mente dovuta anche ad almeno un altrofattore fondamentale: la scarsa conoscen-

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molti i feriti causati da una esplosione abordo di un drilling rig noleggiato dallaMobil al largo delle coste della Nigeria;parte dell’equipaggio fu evacuato e messoin salvo dai mezzi di soccorso.

Uno dei più recenti incidenti offshoreha visto invece protagonista la piattafor-ma semisommergibile P-36 appartenentealla compagnia petrolifera brasiliana Pe-troleo Brasileiro (Petrobras), al momentodell’incidente la più grande unità al mon-do di questo tipo.

La piattaforma si è inabissata il 20marzo 2001 a circa 70 miglia dalla costaper i danni strutturali subiti a causa di unaserie di esplosioni avvenute a bordo. L’in-cidente ha provocato la morte di una deci-na di membri dell’equipaggio.

Complessivamente comunque nono-

za dell’ambiente di lavoro da parte di unelevato numero di lavoratori.

Nell’industria offshore, infatti, la per-centuale di attività terziarizzate dal gesto-re della piattaforma raggiungeva ai tempianche l’85% con un elevato turn-over delpersonale.

In molte parti del mondo la situazioneè comunque ancora oggi del tutto simile.

Secondo David Whyte della LiverpoolJohn Moores University, il Rapporto Cul-len fu il primo documento governativo adufficializzare anche la prassi del cosiddet-to sistema “NRB” (“Not Required Back”)una sorta di “foglio di via” con il qualevenivano bollati come indesiderati a bor-do degli impianti offshore tutti coloro iquali avevano fatto opposizione, spessoinvocando carenze nelle procedure di si-curezza, agli ordini dei dirigenti della so-cietà petrolifera per la quale operavano di-rettamente o come contrattisti.

Oggi la situazione, almeno nei paesioccidentali, e per quanto riguarda questaprassi, è radicalmente cambiata.

Numerose fonti internazionali stimanoessere oltre 150 gli impianti di perforazio-ne andati completamente distrutti o grave-mente danneggiati in tutto il mondo tra il1970 ed il 1995.

Complessivamente tra il 1979 ed il1989 il periodo più nero per l’industriaoffshore mondiale, sono state almeno 600le persone che hanno perso la vita in se-guito ad incidenti che hanno portato allaperdita totale o comunque ad un danneg-giamento significativo di un impianto diperforazione o di produzione.

Negli anni successivi si è potuta rileva-re una costante diminuzione del fenomenoinfortunistico, almeno legato ai grandi in-cidenti, sia in termini assoluti che in rela-zione al numero degli addetti del settore.

Dal 1989 ad oggi il miglioramento del-la sicurezza degli impianti ed il miglioreaddestramento del personale ha certamen-te contribuito a limitare le perdite di viteumane e patrimoniali legate all’industriaoffshore. Sono fortunatamente pochi quin-di i casi da ricordare.

Nel 1989 a causa delle proibitive con-dizioni meteomarine createsi nel Golfo diThailandia durante il passaggio del tifoneGay affondò la Seacrest, una drillship da5000 tonnellate. Nell’incidente perirono91 membri dell’equipaggio di nazionalitàamericana.

Si tratta del più grave incidente avve-nuto fino ad oggi nell’industria offshorenel sud-est asiatico.

Nel 1995 furono tredici le vittime e

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OFFSHORE EMERGENCY: LESSONS TO BE KEPT IN MIND

The birth of the extractive industry dates back to the years immediately followingthe end of World War Two. Back in 1947, as operational activities tended towardsprogressively deeper waters, increasingly far away from the dry land, oil-compa-nies and contractors already operating in the field started to be aware of safety-re-lated issues that the activity entailed. From the beginning of activities in the opensea, the extractive industry was involved in a remarkable number of accidentsmore or less severed, connected with the different operational phases. No reliable data are available up to 1970 but it is a well-known fact that a consid-erable amount of fixed and mobile units either got lost or underwent substantialdamages during upstream activities. On the contrary, several international sourcesestimate to be more than 150 the drilling plants which have been completely de-stroyed or severely damaged all over the world between 1970 and 1995.In 1982 and 1988, with the sinking of the Ocean Ranger and the fire of Piper Alphain British waters, two of the most severe tragedies in the offshore world occurred.Piper Alpha caused the death of 167 crew members and, following the accident,the British Government set up an inquiry by entrusting a commission chaired byLord Cullen with its execution. The Commission of inquiry worked since November1988 to November 1990 first to ascertain the accidents causes and secondly to de-fine a set or recommendations aimed at preventing a similar event to occur again. The second part of the Cullen report included, on the whole, 106 recommendationsconcerning all kinds of aspects affecting safety in offshore activities: from plantsdesign to maintenance, from evacuation and survival devices to personnel train-ing, from the organization of activities to be carried out onboard to the stand-byvessels operation methods. Between 1979 and 1989, the gloomiest period for the world offshore industry, atleast 600 people have lost their lives due to accidents that caused either the totalloss or a considerable damage of a drilling and production plant. On the contrary,in the following years, the number of accidents has constantly decreased, especial-ly as far as severe events are concerned, both in absolute terms and in connectionwith the number of operators involved in the field.On the whole, however, despite the intrinsic dangerousness of the offshore indus-try, it is a positive thing to observe that no lessons have been disregarded and thatevery experience has been put to good use to improve the safety of those who oper-ate at sea.

stante la pericolosità intrinseca dell’indu-stria offshore, è positivo constatare comenessuna lezione sia stata trascurata edogni esperienza sia stata messa a buonfrutto per migliorare la sicurezza di chiopera in mare.

NOTA:Alcuni passi dell’articolo sono tratti dal li-

bro “La sopravvivenza in Mare” scritto dallostesso Autore e di prossima uscita. La pubbli-cazione in anteprima su HS+E Magazine av-viene per gentile concessione dell’Editore.

* Ingegnere meccanico, è presidente di Te-chno srl. Ha una pluriennale esperienza nelcampo della sicurezza ed igiene industriale. Haricoperto il ruolo di HSE manager per societàdi general contracting nella cantieristica civile,industriale, navale ed offshore su progetti rea-lizzati per conto di clienti italiani e stranieri.

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BEHAVIOURAL (PEOPLE) BASED SAFETY

Dan Mcmullan *dustrial environment that at least 90%of all LTIs have, as their root cause, anegative “at-risk” behaviour. A per-son’s attitude to their job, environ-ment and the organisation withinwhich they work will have a directeffect on their behaviour at work which inturn, will be either “safe or at-risk”.

Behavioural modification is unlikely tobe successful unless the work environ-ment an organisational factors are alsoconsidered. Managers and supervisorsplay a key role in changing the behavioursof others by the example given by theirown actions or in-actions. To make thecultural step-change they must have thefollowing collective characteristics.

Total visable commitment to safety.There cannot be any compromises with aclear message supported by posters, initia-tives, etc.

Consistant message. Management andworkers should wear the same standardand quality of Personnel ProtectiveEquipment (PPE).

Workforce involvement. When de-signing “safe systems of work” ask the

Many organisations have looked atformalised safety management poli-

cies and systems and saw the opportunitynot only to become legally compliant, butalso to attain enhanced safety perform-ance. Quite often they become disillu-sioned when the Lost Time Incident (LTI)rate fails to plummet. Behavioural modifi-cation can play an important role in facili-tating further improvements in safety per-formance. People behave the way they dobecause of the consequences that resultfor themselves after doing it. For exam-ple, using a grinding wheel without goingto the stores for safety goggles “…be-cause I will be finished quicker”. The at-risk behaviour of an individual is oftenthe final act in an accident sequence withtheir behaviour having been influenced bythe safety culture within that organisation.This “culture” is the collective values andattitudes of everyone in the organisation.It is generally accepted in the western in-

opinion of those who are going to carryout the task for us.

Honesty. If a request is made that can-

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Molte organizzazioni si sono recentemente concentrate sulla formalizzazione di si-stemi e politiche di gestione della sicurezza intravedendo l’opportunità non solo diottemperare alle disposizioni di legge ma anche di migliorare effettivamente le pre-stazioni relative alla sicurezza stessa. Spesso ci si trova disorientati e delusi quan-do il “LTI rate” (Lost Time Incident rate, ovvero l’indice di frequenza degli infor-tuni per cui il lavoro viene sospeso e che causano, di conseguenza, una perdita ditempo) non accenna a diminuire ed è proprio in questi casi che è necessario ren-dersi conto che il nostro comportamento contribuisce ad un miglioramento effetti-vo delle prestazioni di sicurezza. Le persone si comportano in un determinato mo-do perché ragionano a livello personale sul risultato e sulle conseguenze che po-trebbe avere la loro azione (ad esempio: “utilizzerò questa mola senza perderetempo a richiedere gli occhiali di sicurezza … così finisco prima”). Questo com-portamento “a rischio”, influenzato anche dal modo in cui viene sentita la culturadella sicurezza all’interno dell’organizzazione stessa, è spesso la naturale conclu-sione di una sequenza che porta poi ad un infortunio. Questa “cultura” è l’insie-me dei valori e degli atteggiamenti di tutti i membri dell’organizzazione. Nel mon-do lavorativo occidentale è ormai riconosciuto a livello generale che almeno il90% degli infortuni di cui sopra (LTI) hanno, come causa di base, un comporta-mento “a rischio”. L’atteggiamento di un individuo verso il proprio lavoro, il rela-tivo ambiente e nei confronti dell’organizzazione all’interno della quale operaavrà un effetto diretto sul comportamento adottato in seguito sul lavoro, che potràessere “sicuro” o “a rischio”. E’ necessario tenere presente però che questi cam-biamenti hanno poco margine di successo a meno che non vengano presi in consi-derazione anche l’ambiente di lavoro ed i relativi fattori organizzativi. I responsa-bili di settore così come i supervisori alle varie attività hanno un ruolo fondamen-tale in questo processo grazie all’esempio che, con le loro azioni positive o negati-ve, danno ai propri collaboratori. Per riuscire a fare questo salto culturale, è ne-cessario che si verifichino le seguenti condizioni: Un impegno totale e manifesto.Non ci possono essere compromessi o malintesi grazie al chiaro messaggio cheviene trasmesso tramite poster, iniziative di vario tipo, ecc. Coerenza del messag-gio. Sia i membri della Direzione sia i lavoratori devono indossare Dispositivi diProtezione Individuale (DPI) del medesimo tipo e qualità. Coinvolgimento dellaforza lavoro. Quando si progettano “sistemi sicuri di lavoro” chiedete il parere dicoloro che svolgeranno l’attività per voi. Onestà Se viene fatta una richiesta chenon può essere soddisfatta, date una risposta sincera ai lavoratori in base alla si-tuazione di quel preciso momento; non fate false promesse. Incoraggiare e soste-

nere piuttosto che criticare. Ognuno èin grado di fare qualcosa di “sicuro”:commentate questo atteggiamento pro-duttivo prima di discutere ciò che puòessere migliorato. Festeggiare un suc-cesso insieme alla forza lavoro. Quan-do vengono fatti dei miglioramenti oquando si raggiungono traguardi im-portanti, rendetene partecipi tutti i vo-stri collaboratori e ringraziateli perso-nalmente per lo sforzo e l’impegno di-mostrati. Il patrimonio più importante diun’organizzazione è costituito propriodalle persone che vi lavorano e che con-tribuiscono al suo sviluppo, direttamenteo indirettamente. Ognuno ha le propriecompetenze, la propria professionalitàcosì come i propri limiti; collaborando esostenendosi a vicenda, come all’internodi una “famiglia”, i punti di forza pos-sono essere condivisi e le debolezze mi-gliorate grazie al sostegno reciproco edal lavoro di squadra.

not be delivered, give the worker an hon-est answer at the time, not promises.

Encouraging and supporting ratherthan criticising.Everyone will do some-thing which is “safe”, comment on thisbehaviour before discussing what can beimproved.

Celebrating success with the work-force. When improvements are made ormilestones are met tell everyone and per-sonally thank them for their efforts.An organisation’s most important assetsare the individuals it employs either di-rectly or indirectly. Each one has discreetknowledge, skills and limitations and byworking together as a “family” thestrengths can be shared and the limitationsimproved by support and coaching.

* Dan has just retired after a very varied ca-reer of forty years in construction and heavycivil engineering with the last twelve beingdedicated to health and safety. His interest inH&S began in 1969 in his role as a union rep-resentative on a tower block in the City ofLondon. At that time contracts insured them-selves against the likelihood of fatalities in-stead of managing out the risk with the work-force “sharing” the risk in the form of en-hanced payments known as “height money”.His slogan has always been “Safety is OurBusiness” with the emphasis on “our”, mean-ing it is always a collective approach, with themanagement and employees working together.He has seen the biggest sucess in H&S per-formance where management have identifiedthat it has a positive value to their businessboth commercially and as a “feel good” factorfor the employees.

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esplosivi, evidenziando gli aspetti più im-pegnativi per ogni step.

La classificazione dell’area a rischiodi esplosione e del prodotto

La direttiva 1999/92/CE relativa alle pre-scrizioni minime per migliorare la tuteladella sicurezza e della salute dei lavoratoriesposti al rischio di atmosfere esplosive,ci guida alla classificazione delle aree arischio di esplosione.

Le aree a rischio di esplosione sono ri-partite in zone in base alla frequenza e al-la durata della presenza di atmosfereesplosive ed al tipo di sostanza pericolosa,e più precisamente:– Zona 0: area in cui è presente in per-

manenza o per lunghi periodi o spessoun’atmosfera esplosiva consistente inuna miscela di aria e di sostanze in-fiammabili sotto forma di gas, vapori onebbia;

– Zona 1: area in cui durante le normaliattività è probabile la formazione diun’atmosfera esplosiva consistente inuna miscela di aria e di sostanze in-fiammabili sotto forma di gas, vapori onebbia;

– Zona 2: area in cui durante le normaliattività non è probabile la formazionedi un’atmosfera esplosiva consistentein una miscela di aria e di sostanze in-fiammabili sotto forma di gas, vapori onebbia e, qualora si verifichi, sia unica-mente di breve durata;

– Zona 20: area in cui è presente in per-manenza o per lunghi periodi o spessoun’atmosfera esplosiva sotto forma dinube di polvere combustibile nell’aria;

– Zona 21: area in cui occasionalmentedurante le normali attività è probabilela formazione di un’atmosfera esplosi-va sotto forma di nube di polvere com-bustibile nell’aria;

– Zona 22: area in cui durante le normaliattività non è probabile la formazionedi un’atmosfera esplosiva sotto formadi nube di polvere combustibile e, qua-lora si verifichi, sia unicamente di bre-ve durata.Oltre la classificazione dell’area di la-

voro si devono definire altri due parametrifondamentali per poter eseguire un’analisiATEX cioè il gruppo di appartenenza del-le apparecchiature, che si suddivide in:

mosfera potenzialmente esplosiva secon-do le nuove regole dettate dalla Direttiva94/9/CE (ATEX).

Questo nuovo modo di pensare, impo-ne ai “nuovi progettisti” una visione a360° gradi della progettazione di un’appa-recchiatura, nuova fantasia e ricerca tec-nologica per sviluppare attrezzature sicurein ambienti potenzialmente esplosivi.

Questa spinta innovativa data dalla Di-rettiva ATEX, apre sicuramente nuovi set-tori di ricerca, nuovi prodotti da realizzaree nuovi mercati da esplorare, aumentandoin modo considerevole le potenzialità nonsolo tecnologiche e progettuali, ma ancheeconomiche.

L’analisi e la progettazione di un’appa-recchiatura destinata ad ambienti poten-zialmente esplosivi si esegue principal-mente in quattro step consecutivi.

La prima valutazione da compiere perpoter classificare un’apparecchiatura adun determinato indice di pericolosità èquello di classificare l’area a rischio diesplosione.

Il secondo step riguarda la progettazio-ne dell’apparecchiatura o sistema di pro-tezione, da dover installare nell’area a ri-schio esplosione precedentemente classi-ficata. Una importante novità, introdottadalla direttiva in fase progettuale, è datadalla possibilità, in base allo stato dell’ar-te della tecnica, che l’apparecchiatura nonriesca a soddisfare i requisiti richiesti eche quindi vada ad imporre una nuovaclassificazione dell’area a rischio esplo-sione, aumentandone la criticità (vedi Di-rettiva 1999/92/CE).

Il terzo passo è quello della preparazio-ne dei documenti necessari e fondamenta-li al fine della messa in commercio, relati-vi alla fase di certificazione da compiereper poter ottenere la dichiarazione diconformità dell’apparecchiatura.

L’ultima fase analitico/progettuale è laproduzione e la commercializzazione del-l’apparecchiatura o sistema di protezione,infatti la nuova filosofia introdotta dall’U-nione Europea considera i processi produt-tivi e di vendita di uguale importanza, senon addirittura superiore alla vera e pro-pria progettazione dell’apparecchiatura.

Descriveremo di seguito in maniera piùdettagliata le quattro fasi di realizzazionedi apparecchiature o sistemi di protezionedestinati ad ambienti potenzialmente

La filosofia del nuovo approccio vieneintrodotta dall’Unione Europea nel

1983, per definire in un quadro preciso isistemi di valutazione della conformità al-le norme armonizzate.

L’obiettivo essenziale di una proceduradi valutazione di conformità consiste nelpermettere ai poteri pubblici di assicurarsiche i prodotti immessi sul mercato sianoconformi alle norme armonizzate e dun-que soddisfino i requisiti essenziali delledirettive.

La Direttiva 94/9/CE, denominata Di-rettiva ATEX (Atmosphere Explosive), faparte di questa nuova filosofia e riguardatutte le apparecchiature e i sistemi di pro-tezione destinati ad essere utilizzati in at-mosfera potenzialmente esplosiva, inclusii dispositivi installati fuori dall’atmosferaesplosiva, ma che hanno funzioni di pro-tezione contro i rischi d’esplosione.

Tra gli aspetti innovativi della Diretti-va, che riguarda i rischi d’esplosione diqualsiasi natura (elettrica e non elettrica),sono da sottolineare: l’introduzione deirequisiti essenziali di sicurezza (ESR),l’applicabilità sia ai materiali per minierache quelli in superficie, la classificazionedegli apparecchi in categorie in funzionedel tipo di protezione assicurato e la sor-veglianza sulla produzione basata sui si-stemi di qualità aziendali.

In pratica, la nuova Direttiva consideraper la prima volta il rischio d’esplosionedovuta ad una sorgente di tipo meccanico,come ad esempio la generazione di unascintilla dal contatto, utilizzo o surriscal-damento di componenti meccanici e nonsolo elettrici.

Inoltre, prevede di valutare molto at-tentamente il luogo d’installazione, depo-sito e funzionamento della macchina, perclassificarla nell’esatta zona di rischiocalcolata.

Le principali fasi di analisie progettazione ATEX

In Italia dal primo luglio 2003 diventaobbligatorio progettare, produrre e com-mercializzare apparecchi e sistemi di pro-tezione destinati ad essere utilizzati in at-

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LE POTENZIALITÀ DELLA DIRETTIVA ATEX

Michele Rinieri *

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– Categoria 3: comprende i prodotti pro-gettati per funzionare conformementeai parametri operativi stabiliti dal fab-bricante e garantire un livello di prote-zione normale per l’uso previsto, inambienti in cui vi sono scarse probabi-lità che si manifestino, e comunque so-lo raramente o per breve tempo, atmo-sfere esplosive dovute a gas,vapori,nebbie o miscele di aria e polveri. Que-sto tipo di prodotti appartenenti alla ca-tegoria in questione deve garantire il li-vello di sicurezza richiesto in condizio-ni di funzionamento normale.È importante ricordare che la classifi-

cazione delle aree a rischio di esplosionepuò subire un feed-back dalla progettazio-ne del prodotto in quanto lo stesso puòcontenere aree interne con la presenza diatmosfere potenzialmente esplosive por-tando quindi ad una nuova riclassificazio-ne dell’ambiente di lavoro.

La definizione dell’area a rischio d’e-splosione in prima approssimazione vienedefinita dall’ambiente di lavoro, ma è ine-vitabile una integrazione sullo studio delle

apparecchi di questa categoria sonocaratterizzati da mezzi di protezionecontro le esplosioni tali che: in caso diguasto di uno dei mezzi di protezione,almeno un secondo mezzo indipen-dente assicuri il livello di sicurezza ri-chiesto; oppure qualora si manifestinodue guasti indipendenti uno dall’altro,sia garantito il livello di protezione ri-chiesto.

– Categoria 2: comprende i prodotti pro-gettati per funzionare conformementeai parametri operativi stabiliti dal fab-bricante e garantire un livello di prote-zione elevato per l’uso previsto in am-bienti in cui vi è probabilità che si ma-nifestino atmosfere esplosive dovute agas, vapori, nebbie o miscele di aria epolveri (v. capitolo 4.4). La protezionecontro le esplosioni relativa a questacategoria deve funzionare in modo dagarantire il livello di sicurezza richiestoanche in presenza di difetti di funzio-namento degli apparecchi o in condi-zioni operative pericolose di cui occor-re abitualmente tener conto.

– Gruppo I: comprende gli apparecchidestinati ad essere utilizzati nei lavoriin sotterraneo nelle miniere e nei loroimpianti in superficie, esposti al rischiodi sprigionamento di grisù e/o di polve-ri combustibili;

– Gruppo II: comprende gli apparecchidestinati ad essere utilizzati in altri am-bienti in cui vi sono probabilità che simanifestino atmosfere esplosive.Altro dato fondamentale sono le tem-

perature superficiali massime ammesse.I dati di classificazione dell’area a ri-

schio esplosione consentono di classifica-re l’apparecchiatura nelle seguenti catego-rie:

Per il gruppo I:– Categoria M1: i prodotti che apparten-

gono a questa categoria devono rima-nere operativi, per ragioni di sicurezza,in presenza di atmosfera esplosiva esono caratterizzati da mezzi di prote-zione contro le esplosioni tali che incaso di guasto di uno dei mezzi di pro-tezione, almeno un secondo mezzo in-dipendente assicuri il livello di sicurez-za richiesto; oppure al verificarsi didue guasti indipendenti uno dall’altro,sia garantito tale livello di sicurezza.

– Categoria M2: per questi prodotti è ne-cessario interrompere l’alimentazionedi energia in presenza di atmosferaesplosiva. E’ tuttavia prevedibile che sipossano manifestare atmosfere esplosi-ve durante il funzionamento degli ap-parecchi appartenenti alla categoria 2 acausa dell’impossibilità di interrompe-re immediatamente l’alimentazione dienergia. E’ quindi necessario incorpo-rare mezzi di protezione tali da garanti-re un livello di sicurezza elevato. Imezzi di protezione riguardanti i pro-dotti di questa categoria assicurano illivello di protezione richiesto durante ilfunzionamento normale, anche in con-dizioni di funzionamento gravose, se-gnatamente quelle risultanti da fortisollecitazioni e da continue variazioniambientali.Per il gruppo II:

– Categoria 1: comprende i prodotti pro-gettati per funzionare conformementeai parametri operativi stabiliti dal fab-bricante e garantire un livello di prote-zione molto elevato per l’uso previstoin ambienti in cui vi è un’elevata pro-babilità che si manifestino o si rilevi-no sempre, spesso o per lunghi periodiatmosfere esplosive dovute a misceledi aria e gas, vapori, nebbie o misceledi aria e polveri (v. capitolo 4.4). Gli

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apparecchiature da inserire all’interno del-l’area stessa, in quanto, come appena de-scritto, possono modificare, anche in ma-niera considerevole, la “vecchia classifi-cazione” dell’area a rischio di esplosione.

Ogni qual volta che in un ambiente po-tenzialmente esplosivo viene inserita unanuova apparecchiatura, ai fini della valu-tazione dei rischi, è sempre bene effettua-re una preanalisi del prodotto verificandoche lo stesso non alteri in modo conside-revole la classificazione dell’area a ri-schio esplosione già classificata e che so-prattutto sia idoneo a poter operare in taleambiente di lavoro.

La novità portata dalla direttiva ATEXquindi considera non solo la classificazio-ne dell’ambiente di lavoro, cioè i sistemidi ventilazione, impianti elettrici, d’illu-minazione, ecc. a norma per i rischi diesplosione indipendentemente dalle suefunzioni future, ma l’integrazione fra areaa rischio di esplosione e le apparecchiatu-re di lavoro destinate a tale area, creandoun’analisi e valutazione dei rischi comple-ta e sicura, che porta sia le aziende, sia glioperatori che vi lavorano ad una “tran-quillità” tecnico-legale che assicura il ri-spetto delle norme vigenti. (Figura 1).

La progettazione

La direttiva 94/9/CE stabilisce i requisitiessenziali di sicurezza e salute, ma affidaalle norme tecniche, il compito di dare laconformità ai requisiti pertinenti in essacontenuti.

L’operazione preliminare da compiereper poter rispettare i requisiti richiesti, è lavalutazione dei rischi dell’apparecchiaturao sistema di protezione. In linea di princi-pio, la valutazione dei rischi si articola inquattro fasi:a) Identificazione dei pericoli: procedura

sistematica volta all’identificazione ditutti i pericoli associati al prodotto. Do-po aver identificato un pericolo, è pos-sibile modificare il progetto per mini-

mizzarlo, indipendentemente dal fattoche sia stato stimato o meno il grado dirischio.

b) Stima dei rischi: determina la probabi-lità con la quale i pericoli identificatipotrebbero realizzarsi e i livelli di gra-vità degli eventuali danni derivanti daipericoli considerati.

c) Valutazione dei rischi: raffronto tra ilrischio stimato e i criteri che consentedi decidere se il rischio è accettabile ose il progetto del prodotto deve esseremodificato per ridurre il rischio in que-stione.

d) Analisi delle opzioni di riduzione deirischi: è il processo di identificazione,selezione e modifica delle varianti alprogetto per ridurre il rischio comples-sivo derivante dal prodotto.È quindi di fondamentale importanza

prima di iniziare la progettazione di unprodotto compiere sempre una preanalisidi progetto, integrando una valutazionedei rischi per definire le linee progettualida seguire.

Individuati quelli che ne sono i para-metri fondamentali (classificazione dell’a-rea a rischio di esplosione e valutazionedei rischi) si inizia la vera e propria pro-gettazione del prodotto.

Importante è la selezione dei materiali(allegato II, paragrafo 1.1 del D.P.R. 126del 23-03-98, recepimento DirettivaATEX) in quanto, come precedentementescritto, la novità della Direttiva ATEXconsidera i pericoli non solo di natura

Figura 1 - Classificazione delle aree a rischio esplosione, gruppi e categorie dei prodotti.

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elettrica, ma anche meccanica quindi le-gata alla scelta dei materiali (es.: uno sfre-gamento fra due acciai può generare unasorgente d’innesco, la scintilla).

La selezione dei materiali e delle lorocaratteristiche è contenuta nella normaEN 13463-1.

Le fasi successive di progettazione ri-guardano la selezione dei componentielettrici, che devono rispondere principal-mente alla norma EN 50014 “Costruzionielettriche per atmosfere potenzialmenteesplosive”.

La preparazionedella documentazione

La preparazione della documentazione vaconsiderata di primaria importanza persi-no nei confronti della progettazione. Percapirne l’importanza, basti considerareche, il linguaggio tecnico usato in fase diprogetto è destinato a “pochi intimi”, co-me ad esempio le relazioni di calcolo,mentre la divulgazione di tutte le informa-zioni necessarie per far comprendere aqualsiasi intermediario con quali sforziprogettuali e difficoltà sia stata realizzataun’attrezzatura destinata ad operare in at-mosfera potenzialmente esplosiva, spettaalla documentazione allegata: il fascicolotecnico.

Il fascicolo tecnico è il “vademecum”dell’apparecchiatura, destinato ad una pla-tea più vasta di persone ed ha il compitodi far comprendere tutte le caratteristichetecniche del prodotto, ma cosa ancor più

difficile, garantire una corretta compren-sione in grado di tutelare gli interessi delproduttore dell’apparecchio (anche lega-li).

La documentazione va quindi conside-rata non più un’appendice del prodotto,ma una delle parti tecniche di progetto piùimportanti.

La sua realizzazione e redazione sicompone di due parti: la prima legata alladirettiva ATEX, dove vengono analizzati irequisiti del prodotto, le caratteristichetecniche in base agli allegati I e II, ed allenorme tecniche specifiche quali EN13463-1, EN 50014; la seconda parte èlegata alla redazione di un fascicolo tecni-co supplementare, che va incluso nelladocumentazione complessiva del prodot-to.

La seconda parte viene redatta in basealla direttiva complementare alla ATEX,alla quale l’apparecchiatura deve rispon-dere; ad esempio se l’apparecchiatura èuna macchina, la direttiva su cui andare asviluppare la documentazione sarà la di-rettiva 98/37/CE “Direttiva macchine”.

A termine della documentazione vannoallegate, all’interno del fascicolo tecnico,le Istruzioni per l’Uso. L’aspetto principa-le di questo documento, che è l’interfacciapiù efficace e sensibile nel rapporto ope-ratore -macchina, è la sua corretta esposi-zione sia tecnica che logica.

Le istruzioni per l’Uso sono a tutti glieffetti l’unico strumento in grado di poterspiegare a qualsiasi operatore l’utilizzo ed

i “segreti” della macchina. Infatti la Diret-tiva 94/4/CE dedica al suo interno una in-tera sezione a questo documento spiegan-do come organizzarlo logicamente e qualeglossario tecnico universale bisogna uti-lizzare.

In definitiva un’accurata preparazionedella documentazione tecnica, non solopermette di procedere alla marcatura delprodotto sotto la direttiva ATEX, ma pro-tegge sia il produttore/fabbricante, sia l’o-peratore destinato all’utilizzo dell’attrez-zatura, evitandogli di esporsi ad inutili pe-ricoli di carattere tecnico e legale.

La produzione ecommercializzazione

La commercializzazione di un prodotto aisensi della Direttiva ATEX dipende dallacategoria e dal tipo di apparecchiatura.

La descrizione sintetica delle procedu-re è raffigurata in figura 2.

Come si vede dal grafico a blocchi, neicasi di apparecchiature del gruppo I e IIcategoria M1 e 1, ed in alcuni casi per gliapparecchi in categoria M2 e 2 deve esse-re coinvolto un organismo notificato.

In base agli allegati della DirettivaATEX anche la fase di produzione del-l’apparecchiatura deve essere coinvoltanella procedura di valutazione.

Dopo aver svolto tutte le procedure diprogettazione, realizzazione della docu-mentazione e di verifica della conformità,si è pronti a commercializzare l’apparec-chiatura realizzata.

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THE ATEX DIRECTIVEPOTENTIAL

Since the first of July 2003 it has be-come compulsory, in Italy, to design,manufacture and commercializeprotection systems and equipmentdestined to be used in a potentiallyexplosive atmosphere, in compliancewith the new provisions indicated byDirective 94/9/CE (ATEX Directive). The analysis and design of a pieceof equipment destined to potentiallyexplosive environments is carriedout mainly through four consecutivesteps. The first assessment needed to as-sign a specific index of hazardous-ness to a piece of equipment is toclassify the potentially explosivearea.The second step deals with the de-sign of the protection system orequipment to be installed in the pre-viously classified potentially explo-sive area. One important innovation,introduced by the directive as to thedesign phase, is the possibility thatthe piece of equipment does notmeet the requirements set; in thiscase a new classification of the po-tentially explosive area, with an in-creased criticality is required (refer-ence should be made to Directive1999/92/CE).The third step concerns the prepara-tion of the essential documentsneeded for marketing operations, re-lated to the certification phase to beundergone in order to obtain theequipment declaration of conformi-ty. Last but not least, the analytic/de-sign phase includes the manufactur-ing and marketing of the protectionsystem or equipment; actually thenew philosophy introduced by theEuropean Union considers both pro-duction and sale processes as im-portant as, if not more importantthan, the veritable equipment design

[4] EN 1127-1 - Atmosfere esplosive -Prevenzione dell’esplosione e protezionecontro l’esplosione - Concetti fondamen-tali e metodologie.

[5] EN 13463-1/8 - Apparecchi nonelettrici per atmosfere potenzialmenteesplosive – Metodi di base e requisiti.

[6] EN 50014-39 - Costruzioni elettri-che per atmosfere potenzialmente esplosi-ve.

[7] Guida alla ATEX (prima edizione),maggio 2000.

Ringraziamenti

L’Autore ringrazia la sig.ra Alessandra Ema-nuelli, il sig. Giorgio Cavassi (PresidenteFaentia Consulting S.r.l.) e la sig.ra RobertaNonni (Amministratore Delegato Faentia Con-sulting S.r.l.) per i chiarimenti tecnici forniti eper la pazienza dimostrata nei propri confronti.

* Area Tecnica, Faentia Consulting S.r.l. ,Faenza (RA)

Nella speranza di aver contribuito achiarire l’importanza che questa nuovaDirettiva, attribuisce alla filosofia di pro-gettazione delle apparecchiature e ai siste-mi di protezione destinati ad essere utiliz-zati in atmosfera potenzialmente esplosi-va, auguro ai “nuovi progettisti” ed ai“nuovi costruttori” di cogliere la straordi-naria possibilità che viene concessa ai finidi poter portare l’innovazione tecnico/co-struttiva dei nostri prodotti ai vertici nellaricerca tecnologica secondaria, oggi assairara e dimenticata, contribuendo così allapossibilità di rilanciarsi nel mercato glo-bale che man mano viene delineandosi.

Bibliografia

[1] Direttiva 94/9/CE del 23 marzo1994

[2] D.P.R. nç126 del 23 marzo del1998

[3] Direttiva 1999/92/CE del 16 di-cembre 1999.

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Figura 2 – Procedure di valutazione della conformità.

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ciali destinate all’approvvigionamentoidrico; incidenti in attività estrattive; attiterroristici; presenza di carogne animali.

Inquinamento da sversamento o ab-bandono sul suolo di rifiuti liquidi o so-lidi: incidente industriale; incidenti in viedi trasporto tecnologiche e viarie; inciden-ti in depositi; incidenti in impianti di trat-tamento o siti di stoccaggio reflui o rifiuticon sversamento o abbandono di rifiuti li-quidi o solidi inerti ed urbani in grandequantità o di rifiuti tossici e nocivi, ra-dioattivi e carogne; incidenti in attivitàestrattive; atti terroristici.

L’intervento in emergenzaLa chiamata

L’intervento in emergenza inizia nelmomento in cui avviene l’allertamento deiservizi di pronto intervento attraverso la

Qualsiasi attività di vita e di lavoropuò dare sviluppo a un incidente,

cioè un evento non normale che può origi-nare pericolo grave e immediato per l’uo-mo e per l’ambiente, all’interno o all’e-sterno del punto in cui ha avuto luogo l’e-vento stesso e pertanto creare una emer-genza ambientale che, di conseguenza,dovrà essere affrontata in modo tempesti-vo ed efficace. L’entità dell’evento puòessere suddivisa in tre grandi gruppi:

Limitata: situazione di pericolo moltocontenuto e localizzato senza che vi sia lapossibilità di estensione ad altre realtà;

Locale: situazione di pericolo grave,localizzato in una determinata area, che,nel tempo, può comportare rischi tali dainteressare parzialmente o interamente learee circostanti;

Generale o estesa: situazione di peri-colo grave che, fin dall’inizio appare nonimmediatamente contenibile, e potrebbeestendersi all’esterno dell’area in cui si èmanifestato. Parallelamente le situazioni arischio ambientale possono essere cosìclassificate;

Inquinamento atmosferico: incidentechimico industriale;incidente a deposito disostanze pericolose; incidenti a gasdotti,oleodotti e viari coinvolgenti cisterne con-tenenti sostanze chimiche; incidenti in at-tività estrattiva; atti terroristici; supera-mento dei livelli di allarme in aree urbanesottoposte a monitoraggio; incendio consostanze chimiche tossiche; abbandono disostanze pericolose non in aperta campa-gna; incidente nucleare e/o radioattivo; in-cidente ad impianti di trattamento o siti distoccaggio reflui e rifiuti; emissioni ma-leodoranti in zone abitate; emissioni tossi-che; avvelenamenti da monossido di car-bonio (più di tre casi).

Inquinamento da reflui in acque su-perficiali: incidenti da reflui per spegni-mento incendi; incidente industriale; inci-denti in vie di trasporto tecnologiche eviarie e ad impianti di trattamento o siti distoccaggio reflui o rifiuti con rilascio dieffluenti in tratti limitati di acque superfi-

chiamata telefonica. La gestione di que-st’ultima comporta una corretta codifica-zione del problema e della tipologia diemergenza ambientale che si dovrà gestire.

L’intervista telefonica deve quindi es-sere considerata una prima risposta da cuiattingere, oltre alle normali informazionidi base, utili indicazioni per poter pianifi-care la tipologia di intervento richiesto ele risorse (squadre e mezzi) più idonee.

In quest’ottica potremmo citare a titoloesemplificativo il protocollo previsto dal-l’ARPA Piemonte, che ha attivato il servi-zio di pronta reperibilità nell’ambito deiprotocolli operativi di pronto interventoper le emergenze igienico-sanitarie am-bientali nella regione Piemonte, predispo-sti dalla Regione Piemonte, AssessoratoSanità, Servizio di Protezione Civile,Centrale Operativa 118.

IL SUPPORTO TECNICO, GESTIONALE E NORMATIVOAL PRONTO INTERVENTO AMBIENTALE

Enrico Dematteis *Claudio Mattalia **

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Individuazione del target

Durante questa fase il fattore tempopuò essere determinante. Molti elementipossono incidere nel reperire il luogo daraggiungere: indirizzi inesatti, mancanzadi riferimenti, strade molto trafficate opercorsi impervi. Per ovviare a questi pro-blemi è necessario durante la ricezionedella chiamata raccogliere il maggior nu-mero di informazioni possibili, per evitareperdite di tempo. La conoscenza dell’oro-grafia e della geografia stradale della zonae l’utilizzo di cartine topografiche o me-glio ancora del navigatore satellitare aiutaa ritrovare il sito dove è richiesto l’inter-vento.

Di fondamentale importanza per lasquadra che si sta recando in sito è certa-mente il supporto che il personale di sededeve fornire. Una accurata ricerca di datie informazioni supplementari relative alsito, alla tipologia di evento, alla possibilecausa dell’evento e alla descrizione dellevicinanze del sito, ed un conseguente pas-saggio di informazioni al personale chesta intervenendo, permettono a quest’ulti-mo di poter già avere una buona quantitàdi dati su cui lavorare una volta soprag-giunto sul luogo, evitando così inutili per-dite di tempo prezioso. In questa fase ilpersonale in sede svolge un vero e propriocompito di regia.

Dotazione di intervento

Una dotazione personale completa ditutti i DPI (scarpe e stivali antinfortunisti-

ci, casco, guanti da lavoro, in lattice e an-tiacido, tuta in tyvek, cuffie antirumore,occhiali protettivi, maschera con filtro),correttamente mantenuta e pronta all’uti-lizzo risulta essere indispensabile. Si deveinoltre prevedere di aggiungere alla dota-zione personale un coltellino multiuso euna torcia per illuminazione, utili in ognisituazione. Ogni operatore dovrà infinemantenere l’attrezzatura individuale giàapprontata in un apposito contenitore: nelmomento dell’emergenza non ci si puòpermettere di perdere tempo prezioso cer-cando l’attrezzatura qua e là o, ancor peg-gio, dimenticare del materiale che potreb-be poi risultare necessario…

Operatività sul luogo dell’intervento

Una volta sopraggiunti sul luogo di in-tervento, dopo aver preso contatto con ilcoordinatore degli interventi di soccorso(ad esempio, il comandante VV.F.), è mol-to utile che l’operatore riesca ad ottenerefiducia ed infondere sicurezza, si presenti,si qualifichi e chieda se può essere d’aiutoper ottenere in questo modo collaborazio-ne da parte di tutto il personale presente.Sicuramente risultano fondamentali inqueste situazioni un’ottima preparazionetecnica unita a doti di leadership e di auto-controllo. Dopodiché la prima valutazioneda fare sarà sicuramente quella ambienta-le. Fin dal primo momento sarà necessario

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THE TECHNICAL, MANAGERIAL AND NORMATIVE SUPPORTTO ENVIRONMENTAL EMERGENCY RESPONSE UNITS

Any kind of activity either ordinary life or work-related may give rise to an inci-dent, that is to say to an abnormal event which might cause a severe and immedi-ate hazard both to people and the environment, either outside or inside the area itstemmed from, thus creating an environmental emergency to be timely and effec-tively coped with.The emergency intervention starts as soon as the emergency response units arealerted through the phone call, which entails a specific and correct coding of boththe problem and the type of environmental emergency to be faced. For this reason the telephone interview shall be considered as a first response thatcan provide, besides basic information, useful provisions necessary for correctlyarranging the type of intervention required as well as the relevant most suitable re-sources (teams and means). Once the emergency area is reached, after liaising with the emergency team co-or-dinator (e.g. the Fire Brigade officer), it is essential for the operator to gain peo-ple’s confidence. First of all it will be necessary to make sure that the area is suitable for a correctemergency response in compliance with safety standards, by assessing all the risksrelated to the specific situation. An accurate arrangement of the technical intervention to be carried out makes itpossible to prevent additional emergency situations from arising as a consequenceof the incident itself, as well as to confine hazards to both people and the sur-rounding environment; as far as possible, the intervention should be also aimed atminimizing traffic and/or activities stoppages. Therefore a method based on the implementation of both standardized proceduresand the use of effective intervention protocols turns out to be the successful strate-gy in situations which would otherwise be very critical and hardly manageable.Times of intervention are optimized and costs may be remarkably reduced: timelylimiting any eventual pollution makes it possible for further reclamation interven-tions, and relevant costs, to be definitely more contained.

accertarsi che il luogo sia adatto per poteraffrontare un intervento nel rispetto deglistandard di sicurezza, valutando tutti i ri-schi connessi alla situazione in cui ci sitrova ad operare. Le condizioni disagevoliche talvolta si incontrano possono in-fluenzare negativamente la buona riuscitadell’intervento, sia nei tempi che nellemodalità.

Le informazioni generali già raccoltedurante il primo contatto telefonico equelle supplementari ricevute dal persona-le di sede, dovranno essere implementatesino ad avere una visione chiara e com-pleta di tutti gli elementi utili a permettereun intervento puntuale e preciso. Di fon-damentale importanza saranno, dunque, leinformazioni riguardanti la dinamica del-l’incidente; il sito, gli impianti e l’am-biente; tutti i percorsi, interni e/o esterni,comprensivi della viabilità stradale pub-blica; quantità, qualità e dislocazione deimateriali pericolosi presenti oltre che, do-ve reperibile, la scheda di sicurezza relati-va; le caratteristiche strutturali degli edifi-ci eventualmente presenti in sito; l’inqua-dramento geologico, idrogeologico emorfologico del sito, in cui evidenziare lezone a rischio particolare; e infine una do-cumentazione fotografica completa.

Un’accurata pianificazione dell’inter-vento tecnico basata sull’analisi di questidati permette di evitare che, a causa di unincidente, si possano manifestare ulterioriemergenze; di prevenire e limitare i peri-coli alle persone nonché i danni ambienta-li e strutturali nelle zone limitrofe; e, perquanto possibile, di minimizzare il bloccodelle attività e/o della viabilità.

Tutto ciò deve essere svolto, natural-mente, sempre senza perdere di vista l’a-spetto normativo: in tal senso è necessariofare riferimento al DM 471/99, in cui so-no chiaramente esplicitati i criteri per gliinterventi di messa in sicurezza d’emer-genza ambientale (in caso di superamentoo di pericolo di superamento dei valori li-mite, si deve procedere ad interventi dimessa in sicurezza d’emergenza, … pereliminare le fonti di inquinamento e perridurre le concentrazioni delle sostanzeinquinanti a valori di concentrazione al-meno pari ai valori limite - art. 4, comma1), i tempi tecnici e le responsabilità(chiunque cagiona il superamento dei va-lori limite o un pericolo concreto e attualedi loro superamento è tenuto a darne co-municazione al Comune, alla Provincia ealla Regione nonché agli organi di con-trollo ambientale e sanitario, entro lequarantotto ore successive all’evento -

art. 7, comma 1. Entro le quarantotto oresuccessive alla precedente comunicazio-ne, il responsabile della situazione di in-quinamento deve comunicare gli interven-ti di messa in sicurezza d’emergenza adot-tati e in fase di esecuzione. Il Comune ve-rifica l’efficacia degli interventi di messain sicurezza d’emergenza adottati e puòfissare prescrizioni ed interventi integrati-vi - art. 7, commi 2 e 3).

L’operatore deve dunque avere unapreparazione normativa relativa alla ge-stione rifiuti (D.Lgs 22/97 e s.m.i.), alleacque (D.Lgs 152/99 e s.m.i.), nonché airischi di incidenti rilevanti (D.Lgs334/99), unita ad una capacità di dialogocon le diverse Autorità Competenti al finedi acquisire informazioni, ottenere per-messi, autorizzazioni e quant’altro neces-sario per raggiungere tempestivamente lamigliore messa in sicurezza del sito og-getto dell’incidente.

Una metodologia di intervento basatasu procedure standardizzate e con l’ausi-

lio di protocolli di intervento efficaci ri-sulta quindi essere l’arma vincente in si-tuazioni altrimenti molto critiche e di dif-ficile gestione. I tempi di intervento risul-tano ottimizzati ed anche i costi possonoessere notevolmente ridotti: una tempesti-va circoscrizione del possibile inquina-mento fa si che gli interventi successivi dibonifica, e conseguentemente i loro costi,risultino decisamente più contenuti.

* Responsabile del Settore Operativo dellaSocietà Enviars, si occupa di gestire le attivitàdi pronto intervento e in campo al serviziodi imprese ed aziende. Da sette anni operacon la Protezione Civile, in particolare haoperato nell’ambito degli eventi alluvionaliPiemontesi.

** Direttore Tecnico della Società Enviars,da circa 10 anni svolge l’attività di supportotecnico, gestionale e normativo per impresedi pronto intervento, assicurazioni ed aziende.Si è occupato di oltre cento interventi, soprat-tutto nel settore petrolifero e del trasporto sugomma.

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1896: impianti sprinkler1897: porte tagliafuoco e idranti1898: sensori d’allarme termo-elettrici1899: vernici “fire-retardant” 1900: pompe antincendio1904: requisiti per la costruzione di locali per pubblico spetta-

colo1905: protezione contro i fulmini e sistemi antincendio a

nebulizzazione1906: serrande tagliafuoco sulle condotte pneumatiche1907: requisiti per la costruzione delle autorimesse e dei sistemi

di condizionamento1911: sicurezza degli impianti elettrici e prevenzione degli in-

cendi nelle foreste e nelle miniere1912: requisiti per i depositi di combustibili1914: impiego del legno nelle costruzioni1916: requisiti nella costruzione delle navi1924: gestione degli interventi di salvataggio1928: requisiti per la pitturazione con sistema air-less1929: requisiti per la costruzione degli aeromobili1934: norme per il drenaggio dell’elettricità statica1937: requisiti per la gestione dei campeggi per roulotte e mo-

bile-home1941: requisiti per l’addestramento del personale addetto all’an-

tincendio1944: sistemi antincendio per aeromobili1947: abbigliamento termo-resistente1950: requisiti per l’industria nucleare e l’impiego di sorgenti

radioattive1953: sistemi di spegnimento automatico a gas inerte1955: norme per la classificazione delle aree pericolose1957: requisiti per le attività di saldatura e taglio a caldo1958: sistemi di spegnimento a schiuma1959: requisiti di sicurezza per l’industria elettronica;1961: abbigliamento protettivo per i pompieri e norme per il

rifornimento degli aeromobili1966: standard per la produzione e l’impiego di gas alogeni1969: requisiti per le attività di magazzino e per gli stoccaggi di

GPL

Oggigiorno i comitati tecnici della NFPA sono retti da oltre6.000 volontari che operano in tutto il mondo all’interno di unaorganizzazione no-profit che conta quasi 70.000 associati.

I moderni standard di sicurezza nel campo della prevenzioneincendi e della protezione dal fuoco, adottati pressoché in tut-

te le parti del mondo, sono sviluppati dall’agenzia statunitenseNFPA (The National Fire Protection Association); essi traggonola loro origine dai primi regolamenti riguardanti gli impianti dispegnimento sprinkler automatici pubblicati alla fine dell’800.

Nel marzo del 1895 infatti un ristretto gruppo di persone inrappresentanza di alcuni costruttori di impianti sprinkler e di al-cune compagnie di assicurazioni si incontrarono a Boston percercare di trovare un punto di incontro su un problema che stavaper rendere ingestibile il sistema compensativo previsto dalle as-sicurazioni contro gli incendi: nel raggio di 100 miglia da Bostonera a quei tempi possibile (e legale) realizzare impianti antincen-dio ottemperando ad uno qualsiasi dei nove standard, profonda-mente diversi tra loro, che erano in vigore nella suddetta area.

A questo primo incontro ne seguirono molti altri che sfociaro-no l’anno successivo nella pubblicazione, durante una riunionetenutasi a New York, di un regolamento unificato cui ci si sareb-be dovuti attenere nella realizzazione degli impianti; questo rego-lamento costituì la base per l’attuale standard NFPA # 13.

A margine di questo accordo il meeting di New York sancì for-malmente la nascita della National Fire Protection Association.

Nei primi tempi ai lavori della NFPA parteciparono esclusiva-mente rappresentanti degli Istituti assicurativi e solo successiva-mente furono ammesse anche rappresentanze delle associazionidei costruttori, dei progettisti e degli organismi preposti alla lottaantincendio.

A dispetto della denominazione, la NFPA di “nazionale” haavuto fin dagli albori ben poco; già nel 1903 infatti ve ne faceva-no parte ad esempio membri britannici, austriaci e russi oltre cheamericani.

Tra gli scopi fondamentali dell’Associazione già citati nellostatuto costitutivo si annoverano l’eliminazione del rischio incen-dio ed il miglioramento della qualità della vita in generale.

L’emanazione di nuovi standard o la modifica di quelli esi-stenti è sempre avvenuto, fin dai primi anni di vita dell’Associa-zione, come conseguenza di un lungo e rigoroso percorso scienti-fico di analisi dei dati raccolti a seguito di incidenti, di ricerca edi test di laboratorio.

Numerose le tappe significative nella vita dell’NFPA costituitedall’emanazione di standard e regolamenti che più volte revisio-nati nel tempo sono però ancora oggi in vigore e di grande utilitàe attualità: tra le centinaia ne citiamo alcuni particolarmente si-gnificativi indicando l’anno di prima pubblicazione e l’oggetto.

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THE NATIONAL FIRE PROTECTION ASSOCIATION(NFPA)

Prosegue in questo numero la serie di articoli, iniziata nel vol 2 n. 1 di HS+E Magazine, dedicata alla storia ed alla “mission”delle principali Istituzioni ed Agenzie che nel mondo si occupano di emanare standard, fornire servizi o semplicemente promuo-vere la cultura nel campo della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Roberto D’Agostino

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Emissione di composti organici volatili

Nel gennaio 2004 è stata recepita la direttiva europea 1999/13/CE con Decreto Ministeriale n° 44 del16/01/2004, relativamente alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili (COV) per una serie diattività industriali ai sensi dell’art. 3, comma 2 del DPR 203/88 Decreto di riferimento per le emissioni in atmo-sfera..Il Decreto riguarda attività industriali che utilizzano solventi e che superano determinate soglie di consumo.Per capire se la propria attività rientra nel campo di applicazione del Decreto del 2004 è necessario partirecon l’allegato I del decreto che individua le categorie di attività e le soglie minime di consumo di solvente pas-sando successivamente all’allegato II che individua per ogni attività la relativa soglia di consumo di solvente intonnellate/anno.Se il consumo annuo di solvente è inferiore alla soglia di consumo l’impianto viene autorizzato in modo tradi-zionale; se invece il consumo è superiore alla soglia, l’impianto rientra nell’ambito di applicazione del Decretoe di conseguenza deve rispettare:

� i valori limite di emissione negli scarichi gassosi e i valori limite di emissione diffusa indicati nell’allegato II(colonna terza e quarta) oppure,

� i valori limite di emissione totale riportati sempre nell’allegato II oppure calcolati mediante il metodo ripor-tato all’allegato III “Prescrizioni alternative all’allegato II”.

La conformità ai limiti è verificata se l’emissione effettiva di solventi, determinata in base al piano solventi è in-feriore o uguale al valore limite di emissione totale.Il piano di gestione dei solventi è determinato in base ai dettami dell’allegato IV.Le date entro le quali conformarsi a tale decreto sono diverse nel caso si consideri un impianto già esistente oun nuovo impianto:

� impianti nuovi: entro la data di entrata in vigore del Decreto stesso cioè 12 marzo 2004;

� impianti esistenti: 31 ottobre 2007 o nel caso di impianti che si conformano all’allegato III, alle date stabili-te nello stesso allegato.

Il gestore di un impianto esistente che rientra nell’ambito di applicazione del Decreto deve presentare all’Auto-rità Competente, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del Decreto, una relazione tecnica contenente:

– la descrizione dell’attività;

– le tecnologie adottate per prevenire l’inquinamento;

– le quantità e le qualità delle emissioni;

– se necessario un programma di adeguamento.

Gli impianti esistenti sottoposti a modifiche sostanziali sono da considerarsi come nuovi impianti.

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Il “Minerals Management Service (MMS)”, una delle più piccole e giovani agenzie governative americane (ènata nel 1982), si occupa, tra le altre cose, di promuovere e monitorare la sicurezza nelle attività minerarie off-shore di pertinenza degli Stati Uniti. Il sito, www.mms.gov, contiene numerose informazioni utili a chi operanel settore dell’oil & gas.Dalla home page è possibile accedere ad una serie di sottopagine tematiche che vanno dalle news alle offer-te di lavoro, fino all’elenco delle attività in corso e di quelle previste per il futuro.Sempre dalla home-page si accede a sottopagine (projects by categories) che contengono centinaia di docu-menti (scaricabili in formato .pdf) sui più disparati argomenti inclusa la sicurezza delle attività offshore. Si trat-ta di atti di convegni o risultati di ricerche spesso sviluppate da Università o altre organizzazioni specializzate,su commissione del MMS.La pagina dei links connette ad una ottima selezione di siti specializzati.Di facile ed immediata navigazione il sito presenta una grafica semplice, ma un format un po’ disordinato.

www.mms.gov

Negli ultimi trent’anni le tecniche di intervento per far fronte al rilascio accidentale di olio in mare a seguito diincidenti o malfunzionamenti che hanno interessato navi, sea-lines, impianti di perforazione e produzione so-no notevolmente progredite.Di pari passo sono progredite le misure di prevenzione e di sicurezza; ma non si può ignorare che ancora oggil’80% dei rilasci accidentali sia da imputare ad errori umani.“Oil Spills First Principles: Prevention & Best Response” di Barbara Oruitz e Michael Champ rappresenta uncompendio dello stato dell’arte della materia sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista delle tec-nologie disponibili per un rapido ed efficace intervento.La prima parte del libro analizza le cause e le conseguenze ricorrenti degli “oil spills”, ponendo particolare ri-salto alla necessità di ottimizzazione del fattore umano per la riduzione della frequenza e della gravità deglieventi.Nella seconda parte gli Autori passano ad esaminare l’aspetto economico dell’evento accidentale e la norma-tiva di riferimento internazionale, inclusi il sistema sanzionatorio e di compensazione.La terza parte del libro è dedicata ad una lunga ed esaustiva trattazione delle tecniche di monitoraggio, con-trollo e risoluzione dell’evento e al processo decisionale che deve essere adottato in relazione all’evoluzionedell’evento accidentale.Particolare risalto è dato all’importanza della comunicazione sia come strumento preventivo che come stru-mento gestionale nel corso dell’emergenza.

Oil Spills First Principles: Prevention & Best Responsedi Barbara Oruitz e Michael ChampElsevier Science630 pp, $ 225,00

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I guanti resistenti al calore impiegati nella manipolazione di oggetti caldi sono reperibili sul mercato già damolti anni e vengono abitualmente impiegati nelle più disparate attività lavorative, dalla ristorazione all’indu-stria siderurgica solo per citare due esempi. Di recente è stato aggiornato lo standard europeo relativo allespecifiche di produzione, ma soprattutto di prova, di questo importante DPI.Fino ad oggi in molti casi i prodotti in commercio non si sono rivelati all’altezza delle richieste degli utilizzatori.La manipolazione ripetuta di oggetti caldi porta infatti ad un progressivo innalzamento della temperatura delmateriale con cui il guanto è realizzato, diminuendo in sostanza la capacità di isolamento ed in definitiva iltempo di contatto in condizioni di sicurezza con l’oggetto da manipolare.Ciò è dovuto al fatto che all’innalzarsi della temperatura del materiale, tra le tre diverse modalità di trasmissio-ne del calore, irraggiamento, convezione e conduzione, la terza diviene predominante.La nuova norma europea dunque prevede test più accurati che tengano in considerazione il problema dellamanipolazione di oggetti caldi per lunghi periodi o anche per brevi periodi ma con cicli ripetuti nel tempo conuna frequenza tale da non consentire il raffreddamento del guanto.Altri punti presi in considerazione dalla norma sono quelli relativi ad una più efficace protezione imponendo aifabbricanti l’estensione del guanto oltre al polso fino a proteggere tutto l’avambraccio e alla rapidità di sfila-mento nel caso in cui la superficie del materiale raggiunga una temperatura tale da provocare dolore o ustionialla mano. Ulteriori aspetti considerati dalla norma riguardano la buona pratica nell’impiego dei guanti termoprotettivi; in particolare si pone l’attenzione sull’obbligo di informazione circa la corretta pulizia del dispositivoaffinché sporco e grasso non alterino la capacità di resistenza al calore per contatto (ovvero la conducibilitàpropria del materiale). Ciò è parimenti importante per i guanti antirraggiamento in quanto la capacità di isola-mento dal calore è direttamente correlata alla riflettività della superficie del guanto che risulta tanto più bassaquanto più essa è contaminata da agenti esterni.

SHP (Safety & Health Practitioner)“Too hot to handle” di Brian Bennett

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2005

✔ SICURTECH Salone internazionale della sicurezza e della lottacontro l’incendio2 - 5 marzo • Milano (I)

✔ TAU EXPOSalone Internazionale delle tecnologie e dei serviziper l’ambiente2 - 5 marzo • Milano (I)

✔ EXPLORISKSalone internazionale per la protezione contro leesplosioni e la security industriale11 - 13 marzo • Nuremberg (Germania)

✔ IFATSalone internazionale dell’ambiente e dell’inquina-mento25 - 29 aprile • Monaco (Germania)

✔ FIRE EXPOSalone internazionale di esposizione prodotti antin-cendio e sicurezza16 - 19 maggio • Birmingham (UK)

✔ SAFETY & HEALTH EXPOSalone internazionale della salute16 - 19 maggio • Birmingham (UK)

✔ OILGASSalone internazionale sulle tecnologie di produzione,del trasporto e della distribuzione del petrolio4 - 7 ottobre • Milano (I)

✔ ECOMONDOSalone internazionale dell’ambiente e del riciclaggiodei rifiuti26 - 29 ottobre • Rimini (I)

✔ POLEKOSalone internazionale dell’ambiente15 - 18 novembre • Poznan (Polonia)

✔ POLLUTECSalone internazionale degli equipaggiamenti, delletecnologie e dei servizi per l’ambiente29 - 2 dicembre • Parigi (Francia)

HS+Eil trimestrale di Sicurezza e Ambiente, ideato e realizzato da

vi aspetta ad OMC 2005!

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THE OCCUPATIONAL HEALTH & SAFETY +ENVIRONMENTAL QUARTERLY MAGAZINE

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