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MIHAELA VASILIU Il principe martire VLADIMIR GHIKA

Vladimir Ghika. Il principe e martire - estratto - Paoline

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Il 25 dicembre 1873, a Costantinopoli, nasce un singolare personaggio: Vladimir Ghika, principe rumeno, in origine ortodosso, diventato in seguito cattolico e sacerdote, morto martire sotto il regime comunista nel 1954.

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Mihaela Vasiliu, di origine rumena, medico, ha insegnato alla facoltà di medi-cina di Bucarest dal 1968 al 1990. Attual-mente vive e lavora in Germania. Fa parte del movimento di preghiera per la santifi-cazione del clero « Virgo fidelis », fondato da Vladimir Ghika.

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Incontrare Vladimir Ghika (1873-1954), nipote dell’ul-timo sovrano di Moldavia, è, prima di tutto, compren-dere il mistero della sua anima rumena attraversata dalla ricchezza della cultura francese e abitata dalla luce della fede.

Camminare con Vladimir Ghika significa scoprire il percorso della sua esistenza dedicata a Dio e al pros-simo e il ruolo fondamentale da lui svolto nel favorire il dialogo tra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa.

Conoscere Vladimir Ghika vuol dire cogliere la pie-nezza del suo amore « forte come la morte », quell’amore che lo ha portato a sacrificare la vita come martire, a testimonianza della propria fede. « La morte può distruggere tutto », diceva, « tranne l’amore ».

92H

150 Vladimir Ghika, principe rumeno,

cresciuto nella fede ortodossa, converti-tosi al cattolicesimo, diventato sacerdote e infine martire, è un’eminente figura del XX secolo.

Frequentatore a Parigi della cerchia di Jacques e Raïssa Maritain, negli anni 1925-1929 diede vita alla casa dei Fratelli e Sorelle di San Giovanni, antesignana delle comunità che oggi si consacrano all’evangelizzazione.

Per Vladimir Ghika ogni incontro, in particolare con i poveri, era una li-turgia, « la liturgia del prossimo », che significava apertura e disponibilità totali. A ciascuno offriva conforto spirituale e materiale, attingendo la forza dalle lunghe ore di adorazione eucaristica, in una semplice baracca trasformata in cappella.

Tornato in Romania allo scoppio della Seconda guerra mondiale, vi rimase anche in seguito, durante l’occupazione sovietica, svolgendo un’intensa atti-vità nei confronti di giovani, studen-ti, intellettuali, malati e indigenti. I suoi interventi, all’origine di numerose conversioni, attirarono l’attenzione del regime. Arrestato nel 1952 e condannato, fu imprigionato nella fortezza di Jilava, nei pressi di Bucarest. Sebbene torturato e sofferente per la fame e ogni genere di umiliazioni, seppe essere una luce, una presenza di riferimento per i compagni di detenzione. Il suo martirio è la te-stimonianza suprema della sua carità. È stato beatificato il 31 agosto 2013.

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Foto di copertina: Archivio Vladimir Ghika © 2004-2014 Arcidiocesi di Bucarest

MIHAELA VASILIU

Il principe martire

VLADIMIR GHIKA

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UOMINI E DONNE

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Mihaela Vasiliu

VLADIMIR GHIKAIl principe martire

Prefazione diDany DiDeberg

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PAOLINE Editoriale Libri

© FigLie Di San PaOLO, 2014 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it [email protected] Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)

Titolo originale dell’opera: Une lumière dans les ténèbres. Mgr Valdimir Ghika© Les Éditions du Cerf, 2011 - Paris   Traduzione dal francese di Beppe Gabutti  

Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana© 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena   Per i testi citati dal Magistero della Chiesa e da documenti dei pontefici© Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano

   

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OMAGGIO

Alla Santa Vergine Maria, Regina dei martiri.A tutti i martiri della fede in Romania.A coloro che mi hanno trasmesso l’amore e la fiducia

in Gesù Cristo con il loro vissuto e la loro vita profonda di preghiera:

madre Clarissa (Marcela Duca), sorella di Sion (Ploie-sti, Romania);

padre Sebastiano Petre ocd (Bucarest, Romania);fratel Agostino (Cicu Georghe), fratello delle Scuole

cristiane (Bucarest, Romania);padre André van Raemdonck sj (Bruxelles, Belgio).  

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VIII

LA SOFFERENZA

 Eppure egli si è caricato delle nostre sofferen-ze, si è addossato i nostri dolori.

(Is 53,4)  

Soffrire significa avvertire dentro di sé una privazione e un limite. Privazione di ciò che si ama, limite portato a ciò che si ama. Si soffre in proporzione al proprio amore. La capacità di soffrire è identica alla capacità di amare (ES 62).

Soffrire è ritrovarsi feriti in uno dei molteplici amori che fanno parte di noi. Significa provare una privazione e un li-mite, sia nei beni in nostro possesso, sia in quelli di cui ab-biamo bisogno, sia in quelli a cui aneliamo. La sofferenza può perciò colpire uno dei nostri amori nel passato, nel presente e nel futuro. Per questa ragione, allo stesso modo dell’amore che la fa nascere, lede la nostra personalità e la invade. La sofferenza è assimilabile alla realtà, forte come noi stessi, una realtà avversa che è presente in noi e contro di noi: essa determina un blocco più o meno totale di uno di quegli impulsi universali che ci fanno esistere (ES 62).  La sofferenza abita la nostra vita. Fa parte della vita. La

sofferenza umana è molto estesa. Ha molte sfaccettature: dolore, tormento, male, afflizione, amarezza, dispiacere, tortura, supplizio.

Ogni sofferenza è un « dolore »: come sofferenza fisica, un dolore del corpo; come sofferenza morale, un dolore dell’anima. Si tratta di una realtà in grado di distruggere

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l’armonia e la pace di un essere umano, sia nella dimensio-ne corporea che in quella spirituale, con la possibilità di modificare l’equilibrio della sua vita. La ferita può essere più o meno profonda, ma ha comunque un impatto sull’o-meostasi dell’organismo e un influsso sul suo ambiente.

Nessuno ne viene risparmiato, dal momento che le fe-rite possono avvicendarsi a partire dalla nascita, a volte persino prima, e nel corso di tutta la vita.

La sofferenza è sia personale, sia collettiva, come nel ca-so di catastrofi, cataclismi, guerre, epidemie…

Il cuore della persona che soffre viene scosso di fre-quente da un insieme di domande cocenti. Qual è il senso di questa sofferenza? E perché proprio a me? Si tratta di una punizione, di una correzione, di un caso, di una for-ma di giustizia oppure semplicemente di una prova? Co-me spiegare la sofferenza dell’innocente? E come affron-tare la sofferenza quando ci si ritrova da soli?

 Entriamo nel mistero della sofferenza, che può essere

illuminato solo dall’amore divino. È però necessario che questo amore si riveli e che la nostra intelligenza sia in gra-do di percepirlo.

Monsignor Ghika parla del dolore in questi termini: « Il dolore, cristianamente compreso, è, come abbiamo avu-to modo di vedere, un sacramento di enigmi e di prove » (ES 77).

Nei suoi scritti, accorda una grande importanza alla sof-ferenza, da lui spiegata nel contesto della fede.

 C’è nel dolore qualcosa dell’essenza misteriosa del sacra-

mento. È come un sacramento del nulla, il sacramento delle « assenze reali », una specie di sacramento al contrario (…), Dio portato dal vuoto (ES 66).  

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Il peccato ha introdotto la sofferenza nel mondo. Tut-tavia, colui che è amore e che ha sconfitto il peccato con l’amore lo ha trasfigurato conferendogli una capacità di redenzione. La croce è la forza che ha trasformato il dolo-re! La luce della Parola può farci comprendere il senso della sofferenza attraverso la croce e l’esperienza del Dio-Uomo.

Per Vladimir Ghika il significato del dolore può solo essere rivelato da una sua lettura cristiana. Per lui, la sof-ferenza è una visita di Dio.

 La sofferenza è la vicinanza di Dio, per riparare una leg-

ge divina infranta, più vecchia del mondo, eterna, senza inizio. Ed è la vicinanza di Dio perché la sofferenza, essendo fine e limite di noi stessi, ci porta alla nostra frontiera e ci avvicina, in maniera sensibile, a Dio, che inizia dove noi fi-niamo. Ed è ancora Dio vicino a noi perché ha voluto affron-tare quella che era la nostra punizione per poterla converti-re in salvezza. E infine è Dio vicino a noi, dal momento che ha trasformato se stesso nell’uomo dei dolori e in colui che salva attraverso il dolore (ES 68).  Nella nostra vita, siamo pellegrini e Dio ci visita in oc-

casione di ogni evento doloroso o felice. In effetti, nulla di ciò che ci riguarda è estraneo a Dio. Dio non è mai indif-ferente.

L’Eterno posa incessantemente il suo sguardo su di noi. Scende al livello della nostra pochezza per benedirci con la sua presenza nella notte stessa del nostro smarrimento. Questo intervento misterioso corrisponde al suo piano e alla sua santa volontà. A volte, può strapparci un grido, lo stesso di Gesù: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abban-donato? » (Mt 27,46; Mc 15,34).

Il Signore ha messo nel cuore di Vladimir Ghika una grande fede, che gli dà la forza di accettare in pace la visi-

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ta di Dio in ogni circostanza. E questa pace non lo ha mai abbandonato, soprattutto nel momento in cui ha dovuto affrontare il fuoco del martirio del corpo e dell’anima.

 O Dio, le tue visite sono sempre intense e profonde. Tu,

che sei all’origine del nostro essere, con il dolore smuovi le radici stesse del nostro essere mutilato che, dal profondo, dà voce al nostro grido. Tuttavia, da quando abbiamo conosciu-to chi sei, Padre, sai bene, Padre, che il nostro grido può solo essere il tuo nome. Se la gioia ti dà un nome, il dolore ti chiama. Il tuo nome si trova ovunque per il cristiano e, con il tuo nome, il Cielo (ES 72).  Se può essere temporanea, la desolazione può tuttavia

essere anche definitiva ed eterna quando l’uomo cade nel peccato e nella morte.

Gesù ha vinto il peccato e la morte attraverso l’accetta-zione ubbidiente della propria sofferenza. Con la morte in croce, ci ha garantito la grazia della risurrezione. Ha scon-fitto il male e il peccato perché li ha assunti su di sé, tanto che la sua vittoria è la nostra redenzione. Ci ha promesso la vita eterna e l’unione dell’uomo con Dio. « Il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto » (Lc 19,10).

Dio non è indifferente: vigila, è presente, anche nel cuo-re delle nostre notti più buie. Siamo figli suoi e un vero Pa-dre non abbandona mai i propri figli perché li ama.

 Dio vigila, Dio vigila: è la grande Sentinella di tutte le

notti, che sono per lui terribili, le notti dell’intelligenza, le notti del cuore, le notti della carne, le notti del male le cui tenebre scendono a ogni ora sull’umanità sofferente. Chi sarà in grado di dire con quale amore veglia su di noi?

Questo amore ha un nome e una qualità: è un amore in-finito (ES 84).  

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La sofferenza vissuta con Dio non è inutile e la nostra offerta insignificante unita alla passione di Cristo diventa non soltanto una fonte di vita per molti di noi, ma anche una fonte di gioia, « la gioia della croce » e della sua azio-ne salvifica.

 Se sai prendere su di te il dolore di un altro, il Signore

prenderà su di sé questo dolore, dentro di te, e lo farà suo in vista della salvezza. Lo prenderà con tanto più slancio se lo trova già sradicato e trapiantato nel tuo cuore.

E, dal momento che lo incontra purificato da ogni egoi-smo, trasfigurato dalla pietà, santificato dall’amore cristiano, la consolazione sarà più forte nell’altro e la benedizione più viva in te, con il traguardo di una gioia più grande in entram-bi (PSJ 28).  Vladimir Ghika ci invita a « contare su Dio con uno

slancio in cui tutta la nostra anima è in gioco » (ES 82), perché « per le sue piaghe noi siamo stati guariti » (Is 53,5).

La vita di monsignor Ghika è stata particolarmente tor-mentata: molto presto orfano di padre, ha condiviso il do-lore della madre. Pur sperimentando di persona le prove della guerra e delle malattie, è rimasto sempre presente al-le sofferenze dell’anima o del corpo, morali o materiali. Offrendo senza riserve il suo sostegno, paga spesso di per-sona e manifesta una grande benevolenza.

Su questa linea, nel corso delle sue peregrinazioni in Oriente, si trova a contatto con la miseria dei lebbrosi. De-cide allora di studiare a fondo il problema della lebbra per mettersi al servizio di questi ammalati.

Nel 1939, durante la Seconda guerra mondiale, condi-vide in Romania la miseria e le sofferenze dei suoi fratelli ed è considerato una Provvidenza permanente.

Dopo la guerra, continua a essere animato dallo stesso spirito di sacrificio, che lo porta ad alleviare il malessere

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dei suoi fratelli in un Paese occupato e devastato dal nuo-vo regime.

Tuttavia, a causa dell’aiuto materiale e spirituale presta-to ai suoi, subisce la repressione del regime.

 La sofferenza può tuttavia arrivare a distruggere i più

forti. Se però viene unita a quella di Gesù, acquista il po-tere di trasformare e trasfigurare le anime e conferisce la grazia della conversione dei cuori.

In prigione, monsignor Ghika continua a rasserenare i suoi sfortunati compagni. Al riguardo, non esita a privar-si di una parte della sua piccola razione di cibo per distri-buirla a loro. Li incoraggia e prega per coloro che, come lui, si trovano a subire le infamie della detenzione.

Con le sue preghiere, che privilegiano la recita del Ro-sario e la Via Crucis, aiuta i compagni di cella a sopporta-re tutto per amore di Gesù. Riesce a convincerli che le più umili sofferenze, associate a quelle di Gesù, possono cam-biare la faccia del mondo.

Sono molti coloro che hanno incontrato monsignor Ghika in prigione e che gli sono sopravvissuti: ne sono usciti trasformati e sono diventati buoni cristiani e persi-no apostoli.

Vladimir Ghika offre generosamente la propria morte nel carcere comunista, restando fedele ai suoi scritti:

 Consolare significa poter fornire a un altro qualcosa di

più vero del suo dolore.Consolare è far vivere una speranza.Consolare è far vedere in noi a colui che soffre l’amore di

Dio per lui (PSJ 24).  Vladimir Ghika è in grado di contattare tutti coloro che

soffrono, dal momento che la compassione di Cristo abi-

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ta il suo cuore. E la madre di ogni consolazione, la Vergi-ne Maria, ha sempre alimentato la sua fiducia e la sua for-za nei momenti difficili.

Per le nostre ferite personali il Signore ci offre sua ma-dre, colei che « stava presso la croce di Gesù » (Gv 19,25).

Le parole dell’Ave Maria hanno accompagnato Vladi-mir Ghika fino all’ora della morte. La presenza della Ver-gine dei dolori ha anche mitigato i tormenti dei suoi com-pagni di cella.

Il Cristo ha sofferto per amore e la sua sofferenza è la vittoria dell’amore. L’amore può sanare tutte le ferite.

« Il cuore trafitto di Cristo è il focolare dal quale l’a-more divino si espande come un fuoco nell’universo in-tero »1.

La nostra sofferenza, unita alla sofferenza di Cristo, è una grande forza perché diventa partecipe della redenzio-ne. Ogni sofferenza del « corpo di Cristo », unita alla pas-sione di Gesù, si trasforma in una sofferenza salvifica.

Nella sua lettera apostolica Salvifici doloris, papa Giovan ni Paolo II ci ha rivelato il significato cristiano del-la soffe renza: « Il mistero della Redenzione del mondo è in modo sorprendente radicato nella sofferenza, e questa, a sua volta, tro va in esso il suo supremo e più sicuro pun-to di riferimento »2.

In unione con monsignor Ghika, preghiamo Dio che ci dà la guarigione di tutte le nostre ferite:

 Signore Gesù,tu che conosci così bene la sofferenza umana,tu che sei la sentinella nella notte della nostra sofferenza,tu che sei colui che prende su se stesso la nostra sofferenza

1 D. Dideberg, Contempler le coeur du Christ, Fidélité, Namur 1999, p. 67 (trad. it. Contemplare il cuore di Cristo, EDB, Bologna 2001).

2 Giovanni Paolo II, lett. apost. Salvifici doloris, 11 febbraio 1984, 31.

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per amore,ti preghiamo, concedici la grazia di avere,come Vladimir Ghika,una fiducia illimitata nel tuo amore di risurrezione,nel tuo amore infinito.Amen.

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INDICE

Omaggio pag. 5

Sigle » 9

Prefazione » 11

Tappe di una vita (1873-1954) » 15 I Itinerario spirituale » 23

II Il soffio dello Spirito » 27

III La presenza di Dio » 34

IV La preghiera » 40

V La liturgia del prossimo » 47

VI La teologia del bisogno » 52

VII La visita ai poveri » 58

VIII La sofferenza » 65

IX La Parola, una fonte viva » 73

X Una vita eucaristica » 81

XI La grazia dell’adorazione » 87

XII La Santa Vergine Maria » 95

XIII Due sacramenti che manifestano la vita della Chiesa » 102

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XIV Lo spirito della casa di San Giovanni a Auberive pag. 111

XV Vladimir Ghika precursore dell’unità della Chiesa » 118

XVI Dare la propria vita » 130 Bibliografia » 137

 

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Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano - 2014

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Mihaela Vasiliu, di origine rumena, medico, ha insegnato alla facoltà di medi-cina di Bucarest dal 1968 al 1990. Attual-mente vive e lavora in Germania. Fa parte del movimento di preghiera per la santifi-cazione del clero « Virgo fidelis », fondato da Vladimir Ghika.

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Incontrare Vladimir Ghika (1873-1954), nipote dell’ul-timo sovrano di Moldavia, è, prima di tutto, compren-dere il mistero della sua anima rumena attraversata dalla ricchezza della cultura francese e abitata dalla luce della fede.

Camminare con Vladimir Ghika significa scoprire il percorso della sua esistenza dedicata a Dio e al pros-simo e il ruolo fondamentale da lui svolto nel favorire il dialogo tra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa.

Conoscere Vladimir Ghika vuol dire cogliere la pie-nezza del suo amore « forte come la morte », quell’amore che lo ha portato a sacrificare la vita come martire, a testimonianza della propria fede. « La morte può distruggere tutto », diceva, « tranne l’amore ».

92H

150 Vladimir Ghika, principe rumeno,

cresciuto nella fede ortodossa, converti-tosi al cattolicesimo, diventato sacerdote e infine martire, è un’eminente figura del XX secolo.

Frequentatore a Parigi della cerchia di Jacques e Raïssa Maritain, negli anni 1925-1929 diede vita alla casa dei Fratelli e Sorelle di San Giovanni, antesignana delle comunità che oggi si consacrano all’evangelizzazione.

Per Vladimir Ghika ogni incontro, in particolare con i poveri, era una li-turgia, « la liturgia del prossimo », che significava apertura e disponibilità totali. A ciascuno offriva conforto spirituale e materiale, attingendo la forza dalle lunghe ore di adorazione eucaristica, in una semplice baracca trasformata in cappella.

Tornato in Romania allo scoppio della Seconda guerra mondiale, vi rimase anche in seguito, durante l’occupazione sovietica, svolgendo un’intensa atti-vità nei confronti di giovani, studen-ti, intellettuali, malati e indigenti. I suoi interventi, all’origine di numerose conversioni, attirarono l’attenzione del regime. Arrestato nel 1952 e condannato, fu imprigionato nella fortezza di Jilava, nei pressi di Bucarest. Sebbene torturato e sofferente per la fame e ogni genere di umiliazioni, seppe essere una luce, una presenza di riferimento per i compagni di detenzione. Il suo martirio è la te-stimonianza suprema della sua carità. È stato beatificato il 31 agosto 2013.

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Foto di copertina: Archivio Vladimir Ghika © 2004-2014 Arcidiocesi di Bucarest

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Il principe martire

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