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vi a Po ECONOMIA Conquiste del Lavoro L’ ospedale del futuro Supplemento al numero 15 - anno 69 - Mercoledì 25 gennaio 2017

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via PoE C O N O M I A

Conquiste del Lavoro

L’ospedaledelfuturo

Supplemento al numero 15 - anno 69 - Mercoledì 25 gennaio 2017

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2 Conquiste del Lavoro / via Po / 25 gennaio 2017

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Predire il futurodell’ospedalenell’era della rivolu-zione tecnologica

non è facile. Nel ReportHealthcare in 2030, a curadell’World EconomicForum, (https://www.wefo-rum.org/agenda/2016/11/healthcare-in-2030-good-bye-hospital-hello-home-spital/), Melanie Walker,consulente della WorldBank, lancia una provoca-zione: “Chi avrà bisogno diospedali quando sipotranno prevenire ocurare le malattie diretta-mente da casa?” La pre-venzione a tutti i livelli (atti-vità pericolose svolte preva-lentemente da robot, autoche si guidano da sole,dispositivi di monitoraggiodei propri parametri vitaliindossabili…) ridurrannodrasticamente il bisogno dicure in ospedale. D’altraparte, continua il Rapporto,per problemi poco impor-tanti si potrà dialogare adistanza con il propriomedico, mentre per quellipiù gravi si usufruirà di pic-cole strutture specializzatedove una rapida scansionefornirà al medico tutte leinformazioni utili e, in casodi necessità, si potrà effet-tuare un intervento diretta-mente all’interno delcorpo tramite sonde tele-guidate o addirittura pro-durre organi da trapiantaresu misura tramite stam-panti biologiche 3D.Purtroppo, la realtà con la

quale ci confrontiamo tuttii giorni è molto lontana daquesti scenari. Può esseresuggestivo e consolatorioimmaginare un mondofuturo più capace di farfronte ai nostri bisogni, manon vorrei che questo costi-tuisse una sorta di alibi,una rinuncia a assumereoggi la nostra responsabi-lità per lavorare e renderepossibile un migliora-mento.

Sarebbe preferibile allorapensare a un ospedale delfuturo come a qualcosa chesi potrebbe, anzi sidovrebbe realizzare dasubito. E che non riguardaesclusivamente l’aspettotecnologico. Già oggi lamaggior parte delle strut-ture sanitarie è molto piùarretrata rispetto allo statodelle tecnologie. E’ unfatto che i sistemi sanitarisono regolarmente inritardo rispetto alle cono-scenze a disposizione. Equesto ritardo non si riferi-sce soltanto agli aspetti tec-nologici veri e propri, maanche e soprattutto amodelli organizzativi e tec-niche manageriali sottouti-lizzate, quali, per esempio,le cure domiciliari e la tele-medicina. Dal punto di vistadel management poi sonodisponibili Esistono, inol-tre, tecniche sofisticate pergestire i processi, per racco-gliere dati e informazioni,per disegnare sistemi di rile-vazioni dei costi, di fissa-

Gliospedalidelfuturo

diANGELATESTI

Docente di

Economia

Università

di Genova

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zione di tariffe, che non fannoparte degli strumenti gestionalidella gran parte degli ospedali edelle strutture sanitarie. Da annisi continuano a riempire docu-menti programmatici con obiet-tivi, quali la continuità assisten-ziale, l’integrazione ospe-dale-territorio, la centralità delpaziente, la personalizzazionedei percorsi di cura. Parole ebuone intenzioni che, confron-tate con la realtà, sembrano pur-troppo più fantascientifichedelle previsioni contenute nelRapporto Healthcare in 2030Ma poi concretamente? Gli stru-menti ci sarebbero, le prove dievidenza anche. Non è solo unaquestione di costo, ma spesso diincuria, di mancata formazionedel personale, di disorganizza-zione. In particolare, da quasivent’anni, si parla di governo cli-nico, altro termine suggestivo efin troppo abusato nei docu-menti correnti. Esiste addiritturauna data di nascita, il 1 luglio1998, nel Regno Unito, con ildocumento “A first class ser-vice: Quality in the new NHS”.Questo concetto ha segnato dav-vero una svolta epocale in unmomento in cui si stavaponendo, ovunque e anche nelnostro Paese, un’enfasi ecces-siva, che rischiava di diventareprevalente sul pareggio di bilan-cio delle aziende sanitarie a sca-pito della loro missione fonda-mentale di cura.Questa preoccupazione rimanequanto mai viva anche oggi ed èimportante continuare a ripe-tere quella definizione, del tuttoattuale nonostante il passaredegli anni: “…attraverso glistrumenti del governo clinico leorganizzazioni sanitarie si ren-dono responsabili del migliora-mento continuo della qualità deiservizi e del raggiungi-mento-mantenimento di elevatistandard assistenziali, stimo-lando la creazione di unambiente che favorisca l’eccel -

lenza professionale...” Gli stru-

menti principali sono l’evi -

dence-based medicine e le linee

guida, i percorsi clinici (percorsi

diagnostico terapeutici), il risk

management, la valutazione

delle performance a livello indivi-

duale e di struttura, l’audit, la

valutazione delle innovazioni

(Health Technology Assess-

ment). Tutti questi strumenti aiu-

tano a fare in modo che le

risorse siano utilizzate al meglio,

ossia creino il massimo valore

per i pazienti; servono, cioè, a

spostare l’accento dal calcolo

dei costi, al beneficio che si può

realizzare. I principi del governo

clinico consentono di migliorare

la qualità delle cure permet-

tendo addirittura, in molti casi,

di diminuire i costi. Perché allora

non si applicano? Tanto più che

oggi le tecnologie dell’informa -

zione e della comunicazione con-

sentono di disporre di moltissimi

dati e capacità di calcolo impen-

sabili fino a pochi anni fa. Anche

in questo caso potenzialità

enormi sprecate.

Una prima difficoltà deriva dal

fatto che l’ospedale può cam-

biare soltanto se si modifica

anche il contesto, altrimenti è

come se fosse una pezza nuova

in pantaloni vecchi. Tutti sono

d’accordo, a parole, che l’ospe -

dale debba essere una struttura

ad alta intensità tecnologica, ma

l’ospedale rimane in molte situa-

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zioni l’unico riferimento. Acco-

glie anche coloro che non tro-

vano risposte al di fuori e conti-

nua a tenere pazienti che non

possono essere dimessi, sempre

per mancanza di punti di appog-

gio, soprattutto di supporti

sociali, tanto più necessari in pre-

senza di quote crescenti di per-

sone anziane, quando la solitu-

dine diventa la vera malattia.

Una seconda difficoltà è l’orga -

nizzazione interna. La prospet-

tiva deve essere quella del pro-

cesso, dove l’unità di flusso è il

paziente attorno al quale si

svolge tutto un insieme di atti-

vità. Questo processo deve

essere disegnato in modo effi-

ciente, evitando passaggi inutili,

mancanza di comunicazione,attese ingiustificate, inefficaceturnazione del personale,seguendo approcci di riorganizza-zione già sperimentati con suc-cesso, quali, per esempio, ilcosiddetto lean management .Una terza difficoltà deriva dallaformazione degli operatori, chesi trovano ad agire in condizionispesso difficilissime, che fannodel loro meglio, ma che nonsono stati preparati ai cambia-menti in corso. Si pensiall’attuale formazione universi-taria. Da un lato, è ancoratroppo ospedalocentrica, esclu-dendo di fatto altri ambienti, madall’altro, anche con riferi-mento all’ospedale, è statafatta senza fornire le compe-

tenze che davvero servono.Occorre rovesciare l’imposta -zione, formando soprattutto allagestione dei problemi, al lavoroin team e utilizzando strumentidiversi rispetto alla didattica tra-dizionale. In particolare, sidovrebbe privilegiare la simula-zione sia per acquisire abilitàsoprattutto in tecniche manuali,nell’utilizzo di innovativi stru-menti tecnologici (manichini,robot), sia attraverso giochi diruolo, per migliorare la capacitàdi instaurare relazioni correttenel rapporto di cura, che pos-sano portare a una migliore ade-renza alle prescrizioni, a assu-mere comportamenti appro-priati e, in generale, a fornireuna risposta personalizzata aibisogni di salute.L’ultima difficoltà è di carattereculturale. L’ospedale del futurodovrebbe essere in linea con ibisogni delle persone. E i bisognidipendono molto, da che cosa siintende per salute. L’invecchia -mento con malattie croniche èdiventata la norma, anche inpaesi di recente industrializza-zione non soltanto nella vecchiaEuropa. La definizione di salutedell’Organizzazione Mondialedella Salute dichiara, implicita-mente, tutti costoro ammalati!Questo, da un lato rende insoste-nibili i sistemi sanitari attuali,ma dall’altro non corrispondenemmeno alla verità perché nontiene conto della capacità diadattamento a modifiche conti-nue e alla sensazione di benes-sere anche in presenza di malat-tie croniche e disabilità. Si stafacendo strada un nuovo con-cetto di salute basato sulla capa-cità di adattarsi e di auto deter-minarsi di fronte alle sfide nonsolo fisiche, ma anche sociali edemotive. Questo concetto fa sìche sia il paziente e non più ilmedico, o strutture sanitariesempre più tecnologiche, nellaposizione di definire e, quindi,diventare co-produttore del pro-prio benessere esistenziale.

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LesfidedelBiotechdiFABRIZIOSORIANO

AIFA

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Dallametà dell’800 in poi, ilprogresso delle conoscenzein campo biologico hasubito notevoli e rapidi

avanzamenti con sempre più vantag-giosi effetti sulla vita dell’uomo. Dalpunto di vista dell’economia in parti-colare, l’intreccio tra sviluppo scien-tifico e tecnologico, industrializza-

zione e sostenibilità, ha aperto lastrada alla bioeconomia, cioè adun’economia che puntandosull’innovazione tecnologicaimpiega le risorse biologiche, prove-nienti dalla terra e dal mare, comeinput strategico per la produzioneenergetica, industriale e alimentare.Le biotecnologie, in particolare, nelsettore del farmaci (red biotechno-logy), in quello industriale (white bio-technology) e in quello agroalimen-tare (green biotechnology), sono ora-mai considerate un fattore crucialeper lo sviluppo e la crescita neidecenni a venire. La nascita di unnumero sempremaggiore di impresededicate, un volume di investimentiin R&D in costante espansione,l’ampio spazio dato nelle agendegovernative dei paesi più industrializ-zati e degli organismi sovranazionaliai programmi di incentivazione,l’enorme pressione esercitata daglistakeholders e le previsioni dei piùquotati analisti di mercato rendonodi giorno in giorno più attuale eurgente il dibattito sulla capacitàdelle biotecnologie di fornire nuoverisposte alla domanda globale dimaggiore salute emaggiore benes-sere ottenuti nell’imprescindibileprospettiva della sostenibilitàambientale, ma anche di quella eco-nomico-finanziaria.

Lo sviluppo dei farmaci biotech:

trend globale

A partire dagli anni settanta delsecolo scorso, con la messa a puntodella tecnologia del DNA ricombi-nante si è avviata la rivoluzione bio-tecnologica in ambito farmaceutico.Grazie ad essa nel 1982 è stato impie-gato il batterio Escherichia coli perprodurre insulina umana ricombi-nante. Da quelmomento in poi, utiliz-zando diversi procedimenti biotecno-logici sono stati sviluppati e intro-dotti sul mercato numerosi farmacibiologici come ormoni, fattori di cre-scita, enzimi, fattori della coagula-zione, vaccini, allergeni, anticorpimonoclonali che hanno garantitonuovi e più efficaci approcci terapeu-tici a malattie gravi più omeno dif-fuse (ad es. anemia conseguente ad

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insufficienza renale, fibrosi cistica,emofilia, patologie autoimmunied alcune forme di tumore). Il mer-cato consacra il successo dei far-maci biotecnologici (il 20% dei far-maci oggi in commercio e il 50% diquelli in sviluppo sono biotecnolo-gici) al punto che l’OECD prevedeche entro il 2030 le biotecnologiesaranno coinvolte nell’80% delleproduzioni nel settore farmaceu-tico, verso le quali attualmente siconcentra l’85% degli investi-menti totali per attività di R&D. Ilnumero di prodotti farmaceuticibiotecnologici commercializzati èpassato da 66 nel 1990 a oltre 200nel 2014. Il volume delle venditenel 2014 è stato di 289miliardi didollari con previsioni di 445miliardi per il 2019.

La situazione in Italia

In Italia, alla fine del 2015, leimprese impegnate nel settore deifarmaci biotecnologici erano 261(il 53% di tutto il biotech), di cui131 dedicate a R&D, con un fattu-rato di oltre 7miliardi di euro parial 75% del fatturato biotechtotale. Attualmente, la maggiorparte delle imprese italiane delcomparto red biotech sonomicroe piccole imprese impegnate nellaricerca e sviluppo di farmaci bio-tecnologici non ancora in commer-cio, molti dei quali inseriti nellevarie fasi antecedenti all’autoriz -zazione all’immissione in commer-cio (fase non clinica e fasi clinicheI,II,III). A fronte di un panoramad’impresa con potenzialità di cre-scita importanti ma ancora sotto-dimensionato rispetto ai più ele-vati livelli di outcomes attendibilida prodotti biotecnologici di riferi-mento, brevettati e immessi incommercio o da prodotti biosimi-lari (farmaci biotecnologici “si -mili” per qualità, efficacia e sicu-rezza ad un originator del quale èscaduto il brevetto). Solo il 17%del fatturato generato da impresered biotech in Italia scaturisce dainvestimenti di capitale total-mente italiano. Se, quindi, è lecitoparlare di una industria biotecno-

logica italiana in espansione e conprevedibili margini di risultato (ingeneralemargini meno ampianche se consistenti sono attendi-bili per il comparto dei farmacirispetto al green ewhite biotech acausa delle peculiari caratteristi-che del processo di produzione edi ingresso sul mercato dei pro-dotti), allo stato attuale l’Italiapuò dirsi prevalentemente unmer-cato per farmaci biotecnologici ebiosimilari prodotti da aziendeestere. Per stimolare l’iniziativa eaumentare la competitività intutto il settore, è sorta l’associa -zione di categoria Assobiotec, cheriunisce oltre 140 imprese dei trecomparti biotech. Nel 2012, alloscopo di migliorare le prospettivedi sviluppo di medicinali biotecno-logici da parte delle imprese ita-liane è stata siglata un’intesa atre tra l’Agenzia italiana del far-maco (AIFA), vale a dire l’enteregolatorio nazionale, l’IstitutoSuperiore di Sanità e Assobiotec asostegno della sperimentazioneclinica di farmaci biotech, postoche il processo di autorizzazioneper l’immissione in commercionell’Area Economica Europea dinuovi biotecnologici o di biosimi-lari viene sottoposto obbligatoria-mente a procedura centralizzatadell’EMA, l’Agenzia del farmacoeuropea. L’entrata in commerciodi un nuovo farmaco biotecnolo-gico o di un biosimilare pone pro-blematiche e richiede attenzioniche non sono solo di natura econo-micama anche e soprattutto dinatura tecnico-scientifica, finanzia-ria e regolatoria. Tutti gli opera-tori coinvolti nel processo sonopersuasi che i farmaci biosimilariin particolare costituiscanol’opportunità strategica per Bio-pharma di ottenere risultati impor-tanti dal punto vista commercialee per i sistemi sanitari nazionali difornire ai cittadini più ampie edefficaci opportunità terapeutichea costi sostenibili. Nel secondoconcept paper sui farmaci biosimi-lari pubblicato da AIFA il 15 giugno

2016 si afferma: “ La disponibilitàdei prodotti biosimilari generauna concorrenza rispetto ai pro-dotti originatori e rappresenta per-ciò un fattore importante per ilmantenimento della sostenibilitàeconomica dei servizi sanitari nelprossimo futuro” .

Dal punto di vista economico

Gli elevati investimenti richiestiper la ricerca e lo sviluppo di unfarmaco biotech si sommano aquelli per gli impianti di produ-zione che richiedono inmedia dai200 ai 500milioni di dollari. L’iterautorizzativo, particolarmentelungo, fa sì che un farmaco bio-tech impieghi mediamente dagli 8ai 10 anni per essere definitiva-mente approvato all’immissionesul mercato. La scadenza del bre-vetto della sostanza attiva (20anni+5 di prolungamento otteni-bili con un Supplementary protec-tion Certificate) e del termine delperiodo di dieci anni di esclusivitàdimercato del medicinale di riferi-mento, comportano la cessa-zione dell’esclusività dei dirittiallo sfruttamento commercialedel medicinale biotecnologico diriferimento, favorendol’ingresso sul mercato di biosimi-lari a prezzo più basso ed incenti-vando la concorrenza, ulteriorefattore di abbassamento deiprezzi.

Dal punto di vista tecnico-scienti-

fico

I farmaci biotecnologici rientranonella categoria dei farmaci biolo-gici (prodotti in organismiviventi) ma ottenuti con specifi-che metodiche e tecniche di pro-duzione come le tecnologie daDNA ricombinante sfruttando imeccanismi fisiologici delle cel-lule ospiti e differiscono dai far-maci tradizionali ottenuti tramitesintesi chimica per dimensionemolecolare, complessità struttu-rale, stabilità del prodotto finale,profilo delle impurezze, possibilimodifiche co- e post-traduzio-nali. Il processo di produzione di

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tale categoria di farmaci è tal-mente caratterizzante che è statoaffermato che “il prodotto è ilprocesso di produzione”. Stessodiscorso vale per i biosimilari, chenon possono essere in nessunmodo definiti il generico di un bio-tecnologico in ragione della lorounicità, al punto che anche lostesso biosimilare prodotto indue stabilimenti diversi o, addirit-tura, in due lotti prodotti nellostesso stabilimento, presenteràassai difficilmente un identicoprofilo in termini di qualità, sicu-rezza ed efficacia ed il produttoredovrà assicurare che tali diffe-renze non siano significative.

Dal punto di vista finanziario eregolatorio

La necessità di favorire per unnumero sempre più vasto dipazienti l’accesso alle opzioniterapeutiche più valide in terminidi appropriatezza, di sicurezza edi efficacia con minori costi per lefinanze pubbliche rende impera-tivo il ricorso a soluzioni di razio-nalizzazione del mercato farma-ceutico, di adeguamento e armo-nizzazione degli standard regola-tori e di cambiamento di prospet-tiva da parte dell’industria farma-ceutica in direzione di un para-digma che premi il valore dei far-maci in termini di salute pro-dotta. In Italia, AIFA , aderendoalle linee guida europee, ha adot-tato un indirizzo incentrato sulleproblematiche inerenti la sicu-rezza e l’efficacia dei biosimilari,(intercambiabilità decisa dalmedico; esclusione dei biosimi-lari dalle liste di trasparenzaonde evitare la sostituibilità auto-matica da parte del farmacista;monitoraggio della sicurezzaattraverso la Rete Nazionale diFarmacovigilanza) e sulla sosteni-bilità della spesa farmaceuticaoptando, ad esempio, per unmec-canismo di rinegoziazione delprezzo di rimborso dei farmacibiotecnologici con brevetto sca-duto, meccanismo che alla finedel 2017 avrà generato un rispar-mio di circa 100 milioni di euro.

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LosviluppodellaNella prospettivadella StrategiaEuropa 2020 il pro-cesso di digitalizza-

zione della sanità italianaappare ancora in ritardorispetto alla maggioranzadei Paesi UE sulla base degliindicatori disponibili. Le per-formance insufficienti rispec-chiano il basso livello dispesa eHealth dell’Italia,parinel 2015 all’1,2% dellaspesa sanitaria pubblica,rispetto alla media UE com-presa fra il 2 e il 3%, conpunte vicine al 4% . I risultatidell’analisi mostrano che ilServizio Sanitario Nazionaledebba realizzare nei pros-simi anni un deciso cambiodi passo nelle risorse finan-ziarie da investire in SanitàDigitale, per stare al passocon i Paesi europei più avan-zati in questo settore. I trescenari considerati indicanoche l’accelerazionedell’impegno finanziario al2020 richieda risorse aggiun-tiveper la Sanità Digitale com-prese in un range fra 2 e 7,8miliardi di Euro, rispetto alfabbisogno tendenziale di7,5miliardi, per arrivare adun impegno complessivo sti-mato fra 9,5 e 15,2miliardidi Euro. Senza questo cam-bio di policy, il Servizio Sani-tario Nazionale non potràvalersi pienamentedei benefici attesi dai servizie dagli strumenti di SanitàDigitale, che attraverso unapiù evoluta condivisionedelle informazioni e una piùavanzata interazione frapazienti, medici, operatori estrutture sanitarie consen-tono un guadagno di effi-cienza, un’ottimizzazionenell’erogazione dei servizi,una riduzione dell’erroremedico, un incremento dellasicurezza del paziente, un

miglioramentogestioneniche. Peraltrodegli investimentifattore necessariosufficientedella Sanitàconseguimentoconnessi.contestualmenteridisegnosistema salute,digital divide,costruzionenance nazionalezione e ditetturalequello dellauna chiara

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dellaSanitàDigitalemiglioramento dellagestione delle patologie cro-

Peraltro la questioneinvestimenti è unnecessarioma non

sufficiente per lo sviluppoSanità Digitale e per il

conseguimento dei beneficiconnessi. Occorre affrontarecontestualmente il tema delridisegno complessivo delsistema salute, quello del

divide, quello dellacostruzione di una gover-

nazionale dell’innova -di una strategia archi-

tetturale complessiva,della definizione di

chiara

politica della sicurezza edella privacy. Mentre restaancora aperta a livello inter-nazionale la questione diuna correttamisurazione evalutazione dei benefici edei ritorni dell’investimentoin Sanità Digitale .

Europa 2020 e agenda digi-

tale europea

L’Agenda Digitale Italianaprende le mosse dalla Comu-nicazione Europa 2020 dellaCommissione UE, che dueanni dopo lo scoppio dellacrisi finanziaria del 2008aveva riconosciuto “lecarenze strutturali dell'eco-

nomia europea” di fronte

alle crescenti sfide di lungo

termine: globalizzazione,

pressione sulle risorse, invec-

chiamento. Una delle sette

iniziative faro della Strategia

Europa 2020 riguardava la

realizzazione di un’agenda

europea del digitale, finaliz-

zata a promuovere l’innova -

zione comemotore della cre-

scita socio-economica e a uti-

lizzare in modo ottimale le

tecnologie dell’informa -

zione e della comunicazione

(ICT), impegnando fra l’altro

gli Stati membri a

sostenere la diffusione e

l’uso dei servizi di e-govern-

ment. Con la successiva

comunicazione Un’agenda

digitale europea si dava

avvio al vero e proprio piano

d’azione per lo sviluppo

dell’economia e della

società digitale, al cui

interno viene riconosciuto il

ruolo fondamentale della

sanità elettronica e dei ser-

vizi di telemedicina per

gestire le sfide dell’invec -

chiamento della popola-

zione e della sostenibilità

dell’assistenza medica: “la

diffusione delle tecnologie

connesse alla sanità online

(eHealth) in Europa può

migliorare la qualità dell'assi-

stenzamedica, ridurre i costi

e favorire l'autonomia delle

persone”.

Permisurare i progressi com-

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piuti nella trasformazione digitaleda parte di ogni la CommissioneUE pubblica periodicamente unquadro di valutazione attraversol’uso di oltre 100 indicatori tema-tici (settore delle telecomunica-zioni, banda larga, comunicazionemobile, uso di Internet, servizidigitali, eGovernment, eCom-merce, eBusiness, competenzedigitali, Ricerca&Sviluppo). Questiindicatori consentono di confron-tare nel tempo il percorso com-piuto dai diversi Paesinell’agenda digitale europea .

La posizione della sanità digitale

italiana in europa

All’interno dello scoreboard dellaCommissione UE i progressi deiPaesi europei in tema di SanitàDigitale vengonomisurati attra-verso quattro indicatori: 1.Ricerca di informazioni online suitemi della salute da parte dei citta-dini 2. Prenotazione visite medi-che viaWeb da parte dei pazienti3.Medici di medicina generaleche inviano elettronicamente leprescrizioni ai farmacisti 4.Medicidi medicina generale che condivi-dono i dati medici dei pazienti conaltri operatori e professionistisanitari. Per quanto riguarda ilprimo indicatore l’Italia nel 2015si situa ben al di sotto della mediaUE, al 27° posto all’interno dei 28Paesi UE+2 (Islanda e Norvegia):la % di utenti Internet negli ultimi3mesi che ricercano online infor-mazioni sulla salute era pari al46% contro lamedia UE del 58% .Per quanto riguarda la prenota-zione delle visite mediche viaWeb da parte dei pazienti (in %degliutenti Internet negli ultimi 3mesi)l’Italia nel 2014 occupa la 12ªposizione fra i 28 Paesi UE+2:l’indicatore è pari al 10%, controlamedia UE del 12,5%. I Paesi piùavanzati sono Spagna (36%), Fin-landia (35%) e Danimarca (34%) .Passando alla % di medici di medi-cina generale che inviano elettro-nicamente le prescrizioni ai farma-cisti, l’Italia nel 2013 – unico

dato disponibile – occupa la 17ªposizione (fra i 28 Paesi UE+2) conil 9%,molto distanziata rispetto aiPaesi battistrada: Estonia (100%),Danimarca (100%), Croazia (99%),Svezia (97%), Islanda (96%),Olanda (94%) . In merito al quartoindicatore eHealth considerato,l’Italia nel 2013 – anche quiunico dato disponibile – occupail 14° posto (fra i 28 Paesi UE+2)con il 31% di medici di medicina

generale che condividono i dati

medici dei pazienti con altri opera-

tori e professionisti sanitari. Il

Paese più avanzato è la Dani-

marca con il 92% .

La spesa della sanità digitale in

europa e in italia

Le performance insufficienti

dell’Italia rispetto agli altri Paesi

europei secondo gli indicatori

eHealth

12 Conquiste del Lavoro / via Po / 25 gennaio 2017

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considerati rispecchiano il bassolivello della spesa in Sanità Digi-tale nel nostro Paese. I Paesi UEmediamente spendono ineHealth fra il 2 e il 3% del lorobudget sanitario totale, conpunte vicine (o previste vicinenei prossimi anni) al 4%. Moltoottimisticamente il primo Pianod’azione UE per laSanità elettronica del 2004 pre-vedeva che entro il 2010 questo

tipo di spesa avrebbe assorbito“il 5% del bilancio complessivodella sanità dei 25 Stati membri,contro appena l’1% del 2000(nell’Unione a 15)”. Mentrenell’ultimo Piano d’azione euro-peo per la Sanità elettronica2012-2020non vengono effettuate previ-sioni in merito .Rispetto al quadro europeo,l’ultima stima disponibile per

l’Italia indica una spesa in SanitàDigitale pari a 1.340milioni diEuro nel 2015, che corrispondeall’1,20% della spesa sanitariapubblica. Peraltro nel 2015 sia illivello che la % di spesa eHealth siriducono leggermente rispetto al2014, pur registrando rispetto al2011 un qualche livello di crescita,dopo che nel periodo intermediosi era verificata una loro contra-zione, sino ad arrivare nel 2013 aduna spesa di 1.170milioni di Euro,pari all’1,07% della spesa sanita-ria complessiva.

Le condizioni complessive per lo

sviluppo della sanità digitale

Va tenuto presente che la que-stione degli investimenti è un fat-tore necessarioma non suffi-ciente per lo sviluppo della SanitàDigitale e per il conseguimentodei benefici

connessi. Occorre affrontare con-testualmente almeno altre quat-tro questioni fondamentali. Laprima è il ridisegno complessivodel sistema salute, poiché il nodocentrale non è tanto la tecnologiain sé e la digitalizzazione dell’esi -stente, quanto la riorganizzazionedel sistema per favorire la conti-nuità assistenziale ospedale-terri-torio, l’empowerment dei medicie dei pazienti, l’integrazionesocio---sanitaria, il potenzia-mento della prevenzione, lo svi-luppo di forme domiciliari di assi-stenza, la riprogettazione dellecure primarie e la definizione diadeguati percorsi diagno-stico---terapeutico--- assisten-ziali (PDTA). Come parte inte-grante di questa strategia va previ-sta inoltre la definizione di unsistema di incentivi/disincentivie-conomici per medici, manager

e operatori, al fine di incoraggiarel’adozione degli strumenti diSanità Digitale, nonché la realizza-zione di un programma ad hoc perlo sviluppo di una culturadell’innovazione e delle compe-tenze digitali fra i dipendenti delSSN.

(FONTE CENSIS)

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diMARTAVOLPICELLI

Il secolo scorso ha por-tato grandi cambiamentinelle varie discipline che

regolano la vita dell’essereumano,soprattutto perquanto riguarda il settoredelle telecomunicazioni. IlNovecento ha dato il via auna nuova forma di comuni-cazione mediante l’utilizzodel computer, oggetto cheabbiamo visto evolversisotto i nostri occhi fino adassumere le sembianzedell’attuale personal com-puter o più comunementePC, alla nascita di Internete del Web, all’utilizzo di un“motore di ricerca”, unotra tutti Google, che per-mette di “navigare inrete” per essere sempre“connessi” conl’attraente e caoticomondo esterno che inizia acambiare in maniera spa-smodica. Da qui un susse-guirsi di novità tecnologi-che, la nascita di You Tube,dei social network comeFacebook, Twitter, Insta-gram e Linkedin che cihanno totalmente travoltie in alcuni casi portati in unmondo parallelo e artifi-ciale dove la realtà vieneconfusa con la finzione finoa diventare in alcuni casianche pericolosa; per nonparlare poi della freneticacorsa per accaparrarsil’ultimo modello di Smart-phone come se l’acquistodeterminasse la nostraimportanza e autorevo-lezza nella sfera sociale.Insomma, con l’avvento diquesti mezzi è cambiato ilnostro modo di vedere, disentire, di scrivere e di rap-portarci con il mondoesterno. Laddove la tecno-logia dovrebbe aiutare lacomunicazione ampliando isuoi confini, rendendolacosì agibile a tutti in unmodo che potremmo defi-

nire “inclusivo”, moltevolte ci “intrappola”davanti a uno schermo con-ducendoci alla solitudine.Questo è solo una sintesidei cambiamenti a cui ci haportato il Novecento; cam-biamenti estremamentepositivi e importanti chel’uomo, in alcuni casi, nonha saputo gestire inmaniera intelligente lascian-dosi travolgere e sconvol-gere da essi. Nel testo“Fab Lab e maker labora-tori, progettisti, comunità eimprese in Italia” MassimoMenichinelli ci mostra iretroscena di alcuni deicambiamenti e delle ideeche hanno portato amutare il nostro panorama.I Fab Lab sono dei labora-tori di ricerca, approfondi-

mento, progettazione e spe-

rimentazione nel campo

tecnologico che hanno la

caratteristica di essere

accessibili a tutti e di “de -

mocraticizzare” i feno-

meni riguardanti la Fabbri-

cazione Digitale. I Fab Lab

sono degli spazi gestiti dai

maker, dove questi “desi -

gner della tecnologia”

idealizzano, producono e

sviluppano dei progetti

creati da loro avvalendosi

dell’evoluzione avuta gra-

zie alla Fabbricazione Digi-

tale (processo che ha con-

sentito di elaborare oggetti

solidi e tridimensionali par-

tendo da modelli e proto-

tipi). Queste fabbriche o

laboratori vogliono, come

detto prima, rendere demo-

Lademocratizzazione

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cratico e accessibile il loro

lavoro; per far ciò un laboratorio

di questo tipo deve essere pub-

blico e gratuito, anche solo in

determinati giorni od ore della

settimana. I Fab Lab devono

essere di libero accesso anche a

chi non ha molte conoscenze in

materia e non solo a professioni-

sti o specialisti del settore. I labo-

ratori sono fondati su una cul-

tura, per così dire, inclusiva e

non esclusiva o elitaria. Inoltre

questi spazi devono avere neces-

sariamente strumenti e processi

condivisibili e riproducibili da

tutti gli altri Fab Lab esistenti,

così da creare un “uniformità”

e una “aggregazione” tra

l’intera rete progettuale.

Infatti, come spiega Massimo

Menichinelli, nel suo manuale,

dotato anche di fotografie come

testimonianza dei passi avanti

fatti in queste strutture, i Fab

Lab si trovano in vari angoli del

mondo e sono in continua evolu-

zione estendendosi a macchia

d’olio. Nel libro l’autore ci illu-

stra la storia della formazione di

questi laboratori partendo dalle

loro origini, nel 1998 quando il

professore statunitense Niel Ger-

shenfeld tenne il corso “How to

make (almost) anything” pro-

prio per spiegare ai suoi stu-

denti il funzionamento delle

macchine e gli strumenti pre-

senti nell’università; della loro

evoluzione negli anni 2004-

2005 in cui si iniziò a parlare di

questo fenomeno e a trattare

l’argomento su riviste e

manuali: come ad esempio sulla

rivista “Make Magazine” o nel

libro “Fab” dello stesso profes-

sore; della nascita nel 2009 dellaFab Accademy di Barcellona, nel2013 dell’Associazione Make inItaly e poi della Fab Fundation;della nascita di innumerevolilaboratori e l’emergere dinuove sfide.

In Italia l’arrivo dei Fab Lab siriscontra nel 2011, ma in questosenso si possono interpretare gliesperimenti pionieristici avve-nuti già nello scorso secolo. Nelmanuale si delineano le tappefondamentali di sperimenta-zione e di progresso avute in Ita-lia, dove già a cavallo tra gli anni’60 e ’70 assistiamo alla com-parsa del primo personal compu-ter dell’Olivetti e nel 2001 allafondazione dell’ IntractionDesign di Ivrea nata dal sodaliziotra Olivetti e Telecom. La scuoladi Ivrea sperimentò vari progettitra i quali il Processing, unnuovo linguaggio di programma-zione ideato per creare giochi,grafica e installazioni interattivee la scheda elettronica Arduino(oggi hardware). Il manuale, o“guida tecnologica”, raccontagli albori di questo fenomeno,tracciando le linee di un periodoriconducibile al 1998- 2008 doveancora i Fab Lab lavoravano “so -tterraneamente”, un periodotra gli anni 2009-2013 di speri-mentazione, fino ad arrivare poialla sua massima esplosionenegli anni 2014- 2015. Ma il pro-cesso tecnologico è in continuaevoluzione e questo porterà asfide sempre più ardue e a cam-biamenti sempre più importanti,soprattutto per quanto con-cerne la sfera sociale.

M. Menichinelli, Fab Lab. Labo-ratori, progettis, comunità e

imprese in Italia” , QUODLIBET2016, pp.150, euro 15.00

democratizzazionedigitale

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Prestiti:uncircolovirtuoso?

diELISALATELLA

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virtuoso?S

econdo i dati della Crifspa, società presente intutto il mondo e specializ-zata in sistemi di informa-

zioni creditizie (sic), nel mese disettembre 2016 il numero didomande di prestiti da partedelle famiglie italiane (precisa-mente di prestiti personali e pre-stiti finalizzati) ha fatto regi-strare un nuovo incremento,pari a +4,2% rispetto allo stessomese del 2015.Un dato che fa riflettere. Seriparte il credito ripartono i con-sumi e quindi l’economia. A suavolta il credito può ripartiresolo in presenza di un redditotale da garantire il rimborsodelle rate: perché un prestito èsostanzialmente una forma difiducia verso i consumatori, maal tempo stesso un acceleratoreper le aziende. Se una personanon ha la possibilità di acqui-stare un bene per mancanza diliquidità, ma ci sono i presuppo-sti per farle ottenere un finan-ziamento, l’azienda vende ilsuo prodotto subito comunque.Il dato registrato a settembreporta ad una crescita del +7,5%nell’aggregato dei primi 9 mesidel 2016 rispetto al corrispon-dente periodo dell’annoscorso, consolidando il progres-sivo recupero verso i volumipre-crisi.La crescita dell’economia non èquindi determinata solodall’aumento dei redditi dellesingole persone, ma dallamisura in cui questi redditi con-sentono l’accesso al credito peruna spesa straordinaria e dannoal consumatore la tranquillità dipoterla effettuare.Facciamo un esempio, andiamoin banca. Un cliente è un inse-gnante come tanti, che dopo unlungo precariato, è entrato diruolo giuridicamente nel 2015,con decorrenza economica dasettembre 2016. Vale a dire èun dipendente della pubblicaamministrazione che ha appenasuperato ( grazie all’immis -

sione giuridica nell’anno prece-dente) il periodo di prova e cheè a tutti gli effetti, adesso, atempo indeterminato. Può otte-nere il finanziamento. Il suo sti-pendio non è cambiato quasiper niente rispetto a quello per-cepito da docente precario negliultimi venti anni, durante i qualiha insegnato senza interru-zione, eppure nei vent’anni pre-cedenti una sua richiesta difinanziamento senza un garantesarebbe stata di certo bocciata.Il tempo indeterminato è unagaranzia sul fatto che quello sti-pendio sarà percepito negli anniseguenti e che il soggetto avràuna capacità reddituale suffi-ciente a rimborsare il prestito.Aldilà della mancata conces-sione del credito in precedenza,probabilmente il docente, daprecario, non ha neanche pen-sato troppo ad una spesa straor-dinaria, vista la situazione lavo-rativa di fatto stabile ma giuridi-camente ancora incerta, che hainfluito di certo sulla sua sceltadi rinviare una spesa, comun-que all’epoca non finanziabile.In altre parole, la riduzione deicontratti a tempo indetermi-nato in Italia negli ultimi quin-dici anni, anche a causa delblocco del pubblico impiego, èstata una delle principali causedella riduzione della possibilitàdi accesso al credito e conse-guentemente dello stop ai con-sumi e della stasi dell’econo -mia.Adesso i dati derivantidall’ultimo aggiornamento delBarometro Crif sulla domandadi prestiti fanno pensare adun’in versione di rotta : sonodati relativi a vere e proprieistruttorie formali di finanzia-mento, emerse dalla banca datiEurisc, che raggruppa oltre 78milioni di posizioni creditizie.Il numero di richieste è tornatosui livelli del 2011 ma rimaneancora una differenza rispettoai primi anni della crisi, ovveroprima che gli italiani iniziassero

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a rivedere drasticamente ipropri consumi, soprattuttoquelli di beni durevoli o piùcostosi , e a cambiare i com-portamenti di spesa finan-ziata dal credito bancario.L’analisi prodotta da Crifmette a confronto anchel’andamento della domandadi prestiti finalizzati ( richiesticioè per acquistare specificata-mente un bene) con quella diprestiti personali, non legati adun acquisto.In generale, nei primi 9 mesidell’anno in corso il numero dirichieste di prestiti finalizzatiall’acquisto di beni e servizi(quali autoveicoli, motocicli,articoli di arredamento, elettro-nica ed elettrodomestici,viaggi, spese mediche, pale-stre, ecc.) hanno fatto segnareuna crescita del +9,4% rispettoal corrispondente periodo del2015.Più contenuto l’incremento di

prestiti personali, prodotto

che prevede mediamente

importi più elevati e durate

più lunghe. L’aumento del

4,7% rispetto ai primi 9 mesi

dello scorso anno è comunque

una performance trainante.

Con riferimento a prestiti fina-

lizzati e prestiti personali,

l’importo medio richiesto nel

periodo gennaio-settembre

dell’anno in corso si è atte-

stato a 8.336 euro, con un

incremento del +5,6% rispetto

allo stesso periodo del 2015,

un dato comunque ancora lon-

tano da quello del 2008 (9.500

Euro). Differenziando in base

ai due prodotti notiamo che

l’importo medio di un prestito

finalizzato è di € 5.446 Euro

(+8,8% rispetto allo stesso

periodo del 2015 ma ben

distante dai quasi 6.800 Euro

del 2008), mentre per i prestiti

personali è di 12.362 Euro

(+4,8% rispetto allo stesso

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periodo del 2015).

Gli italiani preferiscono chiedere

piccoli prestiti: quelli inferiori

alla soglia di 5.000 euro toccano

il 48,3% del totale. Relativa-

mente ai prestiti finalizzati tale

quota raggiunge addirittura il

65,6% del totale mentre nel caso

dei prestiti personali rappresenta

il 26,6%. Gli italiani preferiscono

inoltre restituire il finanziamento

con un’ampia dilazione supe-

riore ai 5 anni nel 23% dei casi.

Anche qui comunque il dato va

letto differenziando i servizi

finanziari.

Per quanto riguarda i prestiti fina-

lizzati, la quota delle domande

con durata inferiore ai 12 mesi si

è attestata al 29,9% del totale

mentre per i prestiti personali è

stata la fascia di durata superiore

ai 5 anni a confermarsi la più get-

tonata, con una incidenza del

42,2%.

Quanti anni hanno le persone

che chiedono un prestito? Nel

periodo gennaio-settembre 2016

pare sia stata la fascia compresa

tra i 45 e i 54 anni ad essere

quella prevalente, con una quota

pari al 25,6% del totale, seguita a

breve da quella tra i 35 e i 44

anni, con il 24,4%. Difficile far

scendere questo dato, se non si

abbassa l’età in cui si inizia a

lavorare stabilmente e a pro-

durre reddito stabile.

I dati della Crif possono essere

letti come una ricetta: dar la pos-

sibilità di lavorare stabilmente a

giovani laureati e giovani diplo-

mati vuol dire dare loro la possibi-

lità di avere credito e di acqui-

stare prima i beni; le aziende ven-

deranno quei beni subito, produr-

ranno utili e potranno pagare

regolarmente gli stipendi e assu-

mere nuovo personale invece di

licenziare. Quello che si chiama

un circolo virtuoso: lavoro-red-

dito-credito-consumi-altro

lavoro.

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48° Via Po Economia diretto daMauro Fabi - Supplemento al n. 15 - anno 69

Quotidiano della Cisl

fondato nel 1948

da Giulio Pastore

ISSN 0019-6348

y(7HA0B0*QNOKLO(  +/!z!#!?!,Direttore:Annamaria Furlan - Direttore Responsabile: Raffaella Vitulano. Proprietario ed Editore: Conquiste del Lavoro Srl. Società sottoposta a direzione e coordinamento esercitata da parte della Coop. Informa Cisl a r.l.. Sede

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