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41 LOMBARDIA NORD-OVEST 2005 V erso la fine del libro, fortemente auto- biografico, Il paese dei mezaràt, Dario Fo racconta l’incrocio di due funerali, di due cortei: sono quello di suo padre e quello di Piero Chiara, la cui salma, proveniente da Va- rese, sta per raggiungere la dimora definitiva. Non essendo critico letterario, non saprei dare un voto a quelle pagine. Ma, quale lettore, e lettore vorace, mai sazio, proprio quelle pagine, pur se del tempo è trascorso da quando le ho lette, mi ritornano spesso alla memoria con una potenza evocativa di rara limpidezza. Il bello è che, se interrogato, non saprei definire quali sentimenti smuovono dentro di me le parole scritte da Dario Fo: una sorta di incanto, di immagine, simile a certi affreschi dipinti sulle volte di quelle chiese di frazione oggi assai poco frequentate. Ed è pensando a queste chie- suole delle mie parti, dalle cui piazze si gode sommamente la vista del lago, che mi pare di intuire cosa, tra quelle righe, mi affascina: una storia di ritorno, nella fattispecie il ritorno del STORIE DI LUOGHI, STORIE DI UOMINI. PIERO CHIARA E IL SUO LAGO Andrea Vitali fotografie di Carlo Meazza

V STORIE DI LUOGHI, STORIE DI UOMINI. E IL SUO LAGO · STORIE DI LUOGHI, STORIE DI UOMINI. PIERO CHIARA E IL SUO LAGO Andrea Vitali fotografie di Carlo Meazza. 2005 42 LOMBARDIA NORD-OVEST

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    Verso la fine del libro, fortemente auto-biografico, Il paese dei mezaràt, Dario Fo racconta l’incrocio di due funerali, di due cortei: sono quello di suo padre e quello di Piero Chiara, la cui salma, proveniente da Va-rese, sta per raggiungere la dimora definitiva. Non essendo critico letterario, non saprei dare un voto a quelle pagine. Ma, quale lettore, e lettore vorace, mai sazio, proprio quelle pagine, pur se del tempo è trascorso da quando le ho lette, mi ritornano spesso alla memoria con una potenza evocativa di rara limpidezza. Il bello è che, se interrogato, non saprei definire quali sentimenti smuovono dentro di me le parole scritte da Dario Fo: una sorta di incanto, di immagine, simile a certi affreschi dipinti sulle volte di quelle chiese di frazione oggi assai poco frequentate. Ed è pensando a queste chie-suole delle mie parti, dalle cui piazze si gode sommamente la vista del lago, che mi pare di intuire cosa, tra quelle righe, mi affascina: una storia di ritorno, nella fattispecie il ritorno del

    STORIE DI LUOGHI, STORIE DI UOMINI. PIERO CHIARA E IL SUO LAGOAndrea Vitalifotografie di Carlo Meazza

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    grande luinese nei luoghi che gli diedero la vita e che lui promosse quasi sempre a fondale del proprio narrare.

    I luoghi, appunto. E i fatti. È su questi due elementi che bisognerebbe, bisogna, ragionare per comprendere appieno la semplice e insieme geniale operazione compiuta da Piero Chiara nella maggioranza delle sue opere: operazione che fece storcere il naso a più di un critico al-l’epoca del suo grande successo, lui vivente; e che ricorda un poco il destino di un altro gran-de narratore, quel Giovannino Guareschi che solo post mortem si guadagnò la meritata lapi-de nella galleria delle nazionali glorie letterarie. Fu l’usare i luoghi, appunto. E all’interno di quelli calare i fatti, diventando un narratore di sostanza e di sostanze umane opposto a quelli che, per usare una felicissima espressione di Bruno Quaranta, critico letterario della “Stam-pa”, cincischiano attorno al proprio ombelico.

    Piero Chiara, semmai, si propone per l’ope-razione contraria: scoprire, senza mai, però, esibirlo, l’ombelico di una storia; soffiare via la cenere che occulta il fuoco che brucia ancora, come ebbe a dire a proposito della vita dei piccoli paesi, dei paesi di lago, teatro delle sue narrazioni.

    Poco importa se, a partire dagli anni Set-tanta, verso la metà, Chiara trasferì altrove il

    centro della sua attività; ormai il panorama interiore era costruito. Anzi, la lontananza for-se contribuiva a rendere più squillante un’im-magine, più vera una fantasia, più gustoso un ricordo. Anche se, come ricorda Federico Roncoroni in Piero Chiara. La vita e le opere (Nicolini Editore), di tanto in tanto e sempre nell’anniversario del suo genetliaco, Chiara tornava sulle rive del lago Maggiore con visite necessarie al suo stesso “equilibrio sentimenta-le e fantastico”.

    Mi pare opportuno osservare, ritornando a certa critica che, ritenendola troppo popolare, ne ha snobbato l’opera – che sfuggì a un occhio troppo disattento, o forse velato da invidia? –, un dato di fatto fondamentale che riguarda non solo Chiara ma tutta la nostra tradizione letteraria: cioè che la gran parte della produ-zione di quest’ultima, quella che ha resistito alle insidie del tempo, superando la morte fisica dei propri autori, e che resiste tuttora, benché siamo ormai nel terzo millennio, deriva da narratori che per la maggior parte hanno raccontato il proprio luogo di appartenenza. C’è una dorsale, libresca, cartacea, sorta di cordigliera fitta di parole che unisce l’Italia ben più dei legami geografici e che a partire da Pirandello si snoda lungo paesi e città per giungere, anche, ma non solo, a Piero Chiara e al suo lago Maggiore. E basterà citare la Ferra-ra di Giorgio Bassani, la Catania di Vitaliano Brancati, la Vicenza di Guido Piovene o la Torino di Giovanni Arpino per chiarire, con esempi di tutto rispetto, il concetto sotteso.

    E ciò per restare nell’ambito di coloro che ci hanno preceduto. Ma anche nell’attualità, non mancano figure di spicco che, applicando l’intramontabile regola “racconta di ciò che conosci se vuoi parlare all’universo mondo”, rendono conto di quanto sia contemporaneo fare letteratura così: mi riferisco a Nico Oren-go, alla sua Liguria, a Marcello Fois, alla sua Sardegna, a Massimo Carlotto, al suo tribolato Nord-Est d’Italia.

    Personalmente, per rendermi conto di quan-to fosse forte il legame di Piero Chiara con

    Alla pagina precedente:

    Piero Chiara con la moglie Mimma nel 1976, mentre corregge le bozze del romanzo La stanza del Vescovo nello studio dell’abitazione in via Metastasio a Varese.

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    Towards the end of his strongly autobiographi-cal book, Il paese dei mezaràt, the Nobel prize-winner, Dario Fo, tells of how two funeral processions cross: one is that of his father, the other that of Piero Chiara, going from Varese to his final resting place. Andrea Vitali, dealing with the relationship between Chiara and ‘his’ Lake Maggiore, takes this episode as his start-ing point: the return of the Luino writer to the places which gave him life and which invariably form the background to his writings.

    Chiara is thus wholly part of the Italian literary tradition, much of which, as regards those writ-ers whose works still live on into this third mil-

    lennium, derives from authors who have written of their places of origin. In Vitali’s view, there is a sort of literary stream that unites Italy much more than geographical links and which, start-ing from Luigi Pirandello, winds its way through towns and villages to reach Piero Chiara – but not only him – and his lake. His novel, La Stan-za del Vescovo, is the best example to bring out the strong link that rooted this great Luino man to his places. Through the plot, the lake breezes constantly blow. The places described appear from an almost melancholy distance, as though the author had gazed at and described them from the deck of his boat, the ‘Tinca’.

    A fronte:Pescatore di Maccagno.

    Imbarcadero a Baveno.

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    i luoghi dei suoi romanzi, ho voluto, dovuto anzi, visitarli, praticando una singolare branca del turismo, quello letterario: viaggio, appunto, all’interno di un luogo fisico ma con la mente rivolta ai personaggi della fantasia, corroborato da un impossibile tentativo di identificazione con l’autore. Il risultato è spesso sconcertante poiché non si riporta da questa specie di inve-stigazione alcun ricordo reale, se non quello di essere stati per un certo numero di ore come all’interno di un sogno oppure, ad andare be-ne, di un film. Pure, a un certo punto, volendo conoscere ciò che l’autore in oggetto ha solo lasciato intendere tra le righe dei suoi scritti, un viaggio di tal genere diventa necessario per completare l’opera della conoscenza.

    Spesso, negli anni trascorsi, mi è capitato di dovermi confrontare con la figura di Piero Chiara: motivi di opportunismo ma anche coincidenze astrali, il lago, il microcosmo del paese hanno favorito l’accostamento. Ma il mio confronto con lui, a onor del vero, era cominciato molto prima di questi anni recenti. Con la sua scoperta da parte mia, in verità e quale lettore, grazie a quel capolavoro di scrit-tura creativa che è La stanza del Vescovo. Ecco, credo tuttora che non vi sia esempio migliore nella produzione di Chiara qualora ci si voglia rendere conto del forte legame che legava il luinese ai suoi luoghi. Nonostante la vicenda narrata abbia il sapore di un giallo noir, benin-teso di altissima scuola, il libro è lieve: sulla sua trama soffiano perennemente le arie del lago e i luoghi appaiono da una distanza quasi ma-linconica, come se l’autore li avesse guardati e descritti stando sempre sul ponte della ‘Tinca’, vedendoli com’erano e non più come sono.

    C’è malinconia e disincanto in quei luoghi, sentimenti ben noti a Piero Chiara, dei quali renderà conto, e amaramente, in una raccol-ta di racconti, Di casa in casa la vita. Dicevo appunto di come volli, anzi dovetti, rendermi conto di persona dei suoi luoghi e fu in occa-sione di una selezione prima e di una finale successivamente del premio ‘Stresa’. Due oc-casioni estremamente diverse tra di loro, due

    regali del destino potrei dire, che mi permise in un breve lasso di tempo di gustare atmosfere diametralmente opposte.

    La prima fu estiva. Il giungere sopra Stresa in una magnifica mattina, col lago steso ai miei piedi, le montagne nitide, ogni colore al suo po-sto vorrei dire, come se mi ritrovassi all’interno di una pagina di sillabario d’antan, mi diede la misura della perfezione del mondo creato. Una perfezione che è senza dubbio anche apparen-za. Che, forse, fece dire al protagonista senza nome della Stanza del Vescovo mentre guarda

    Due vedute del lago Maggiore. Da Laveno, in controluce il campanile della parrocchiale. Da Cerro di Laveno, in primo piano la statua del Minatore (1887) di Enrico Butti (collezione privata).

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    dalla sua barca sfilare le ville che riaffacciano sul lago: “Quanti amori, quante storie dietro quelle nobili fronti”.

    La seconda occasione fu invece autunnale, ma di un autunno troppo precocemente con-taminato dall’inverno: pioggia micronizzata, sentore di umidità, pochi turisti stracchi e ne-gozi chiusi: un letargo dell’anima e del corpo, un’apatia strisciante, l’illusione che il tempo si fosse fermato. Forse è questo vuoto esiziale, pensai, che spinge l’Orimbelli a cercare qual-sivoglia occasione per riempirlo pur di non

    restare a confronto con ben altri pensieri.Così, guardando Stresa e le Isole Borromee

    ma anche semplicemente l’onda di un altro la-go o il gabbiano di un altro molo, ho percepito il forte legame dello scrittore con la sua terra, comprendendo come, nonostante la lontananza voluta o forzata, ogni volta che ha preso in ma-no la penna Chiara è ripartito da lì, da quella riva di lago, da quel sentiero di montagna, da quel caffè o da quella piazza.

    E, anzi, da allora mi è rimasta una curiosità, una convinzione quasi, che però non potrà

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    Al Circolo di Arolo: tra musica e gioco.Imbarcadero a Stresa sotto la neve.

    Il gelataio Giuseppe Bortola di Intra.

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    Passeggiata e sosta sul lungolago a Pallanza.In riva al lago, a Laveno.Alla pagina successiva: Panoramica del lago dal Sasso del Ferro.

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    essere mai provata. Quella di sapere quante storie raccolte qua e là per il mondo nel corso dei suoi innumerevoli viaggi Piero Chiara ha riambientato nei suoi posti, tenendo per sé la dinamica e rifiutando altro paesaggio che non fosse quello del lago Maggiore. Sono convinto, per quanto non possa comprovare il mio pen-siero, che sono numerosissime. Poiché se vi è un pregio, ulteriore, in tutto ciò che Chiara ci ha raccontato, questo è nella verosimiglianza delle storie. Quindi deve aver portato all’inter-no del territorio in cui camminava sicuro una quantità di altri elementi che, plasmati Sotto la sua mano, sono diventati personaggi, destini quasi reali. L’ho immaginato spesso: un Piero Chiara in giro per il mondo a tenere conferen-ze o a presentare i suoi libri; o nella sua casa di Varese, affacciato alla finestra a guardare

    in direzione di Luino, a domandarsi chissà cosa succede, chissà al caffè, o in piazza… Ma sempre con questa specie di pensiero circolare che riconduce là da dov’era partito, la sua vita affettiva e quella di narratore.

    È in virtù di ciò che, come dicevo all’inizio di queste righe, le parole scritte da Dario Fo mi hanno profondamente emozionato e spesso mi tornano alla mente. Sono solo pagine di libro pure quelle, ma appunto perché tali mi sembra che, finalmente, il destino di Piero Chiara sia più compiuto. Proprio perché un altro narratore l’abbia accompagnato, nelle pagine che ha scritto, a ritornare, anche se non più vivo, anche se non più in grado di raccontarci altre storie, nel luogo dal quale era partito. E dal quale, a voler ben guardare le cose, non partì mai.