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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTA’ DI AGRARIA Corso di Laurea in SCIENZE FORESTALI ED AMBIENTALI TESI DI LAUREA UTILIZZO DI SUOLI CONTAMINATI PER LA PRODUZIONE SOSTENIBILE DI BIOMASSE DA ENERGIA RELATORE CANDIDATO Ch.mo Prof. Carmine Colucci Massimo Fagnano Matr. N01/45 ANNO ACCADEMICO 2011/2012

Utilizzo di suoli contaminati per la produzione di ... PHYITOREMEDIATION/Utilizzo di... · Infatti, per ovviare alle problematiche descritte, un metodo considerato fondamentale è

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II

FACOLTA’ DI AGRARIA

Corso di Laurea in

SCIENZE FORESTALI ED AMBIENTALI

TESI DI LAUREA

UTILIZZO DI SUOLI CONTAMINATI

PER LA PRODUZIONE SOSTENIBILE

DI BIOMASSE DA ENERGIA

RELATORE CANDIDATO

Ch.mo Prof. Carmine Colucci

Massimo Fagnano Matr. N01/45

ANNO ACCADEMICO 2011/2012

Cap.1 Introduzione

Cap.2 Le emissioni di carbonio ed i cambiamenti climatici

2.1 Ciclo del carbonio

2.2 Effetto serra

2.3 Protocollo di Kyoto e strategie di mitigazione

Cap.3 Le biomasse e le energie rinnovabili

3.1 Ruoli delle biomasse nella mitigazione dei cambiamenti climatici

3.2 I biocarburanti (biodiesel e bioetanolo)

3.3 Le biomasse ligno-cellulosiche (erbacee e forestali)

3.4 La diffusione delle colture da biomassa e la competizione con le colture alimentari

Cap.4 Lo sviluppo delle colture da biomassa e il ripristino della fertilità dei suoli degradati

4.1 L’inquinamento dei suoli: origine e diffusione

4.2 I principali inquinanti dei suoli (metalli e organici)

4.3 L’uso delle colture per la bonifica dei suoli (Phytoremediation)

Cap.5 I possibili processi di conversione energetica dalle biomasse vegetali

5.1 Conversione termochimica

- Combustione

- Pirolisi

- Gassificazione

5.2 Conversione Biologica

- Fermentazione

- Digestione anaerobica

5.3 Aspetti socio-economici della produzione energetica dalle biomasse (certificati verdi)

5.4 Gestione eco-compatibile dei sottoprodotti contaminati (ceneri)

Cap.6 Conclusioni

Cap.7 Bibliografia

Summary

Using Contaminated Soils for Sustainable Production of Biomass for Energy.

In the context of a sustainable development we discuss the production of renewable energy by

using biomass crops.

First of all, we present what is climate change, its origin and the consequences of this

phenomenon. It is an increase of global temperature and the climate change determined by

emissions in the atmosphere of greenhouse gases (GHGs= CO2, CH4, N2O, etc..), that reflect the

infrared radiations emitted by the planet not allowing them to exit from the atmosphere. The

increase of GHGs is mainly caused by the use of fossil fuels (oil, coal and natural gas) that return to

the atmosphere the C fixed by the autotroph organism millions years ago.

In order to solve this problem many initiatives have been implemented (ex. the Kyoto Protocol,

climate-energy package 20/20/20).

We present the different renewable energy sources (hydropower, photovoltaic, wind, wet and dry

biomass,), but focusing on the roles and limits of biomass crops.

Plants with the photosynthetic activity contribute to reduce GHGs presence in the atmosphere

fixing the C into the biomass that then could be used for producing renewable energy through

various conversion processes (combustion, pyrolysis, gasification, fermentation, anaerobic

digestion), thus allowing to save fossil fuels.

The land used for energy purposes and the competition with land used for food crops is a serious

problem, because the needs for foods are increasing for satisfying the increasing global

population.

Furthermore the use of cropland for energy production, reducing the availability of foods can

determine the increased of prices, thus reducing food security of the more poor population.

For this reason our opinion is that energy crops have to be cultivated in areas not suitable for food

crops, such as contaminated soils, thus coupling two environmental benefits: to produce

renewable energy, but mainly to remediated degraded soils.

The focus of the thesis is the use of crops for soil remediation. For this purpose we present mainly

three species (poplar, willow and giant reed) known for their ability to accumulate biomass in a

short time, both maximizing the amount of pollutants extracted from the soil and the amount of

energy produced.

The pollutants extracted by the plants, will be then accumulated into smaller amount of ashes that

can be easily decontaminated with physic-chemical methods.

Finally, more efficient methods of land use have to be used to solve the energy problem (such as

wind power plant) with the aim to save agricultural land reserving them to food production, while

energy crops could be used in areas where food crops cannot be used, such as contaminated soils.

1. Introduzione

Oramai il tema che affligge la nostra società contemporanea è un discorso ahimè quotidiano: il

clima sta cambiando (Fig. 1). Non è un discorso semplice da affrontare poiché in queste parole c’è

dietro tutto un sistema basato su economia, politica, tecnologia, benessere ecc. che interessa

tutto il pianeta. In un periodo nel quale il mondo affronta una forte crisi economica lo sviluppo

diventa la parola chiave, ma esso deve fare i conti con un ulteriore tema fondamentale:

l’ambiente. In queste condizioni bisogna dunque evitare di interferire con gli equilibri ambientali,

ma allo stesso tempo bisogna rimediare alla recessione sviluppando un nuovo approccio che è

stato definito “sviluppo sostenibile” (Lund, 2007).

Questo modello è un processo finalizzato al raggiungimento di obiettivi di miglioramento

ambientale, economico e sociale, sia a livello locale che globale. Tale modello consente di

soddisfare i bisogni delle attuali generazioni senza compromettere quelli delle future, pertanto è

basato sul concetto che le risorse ambientali sono esauribili nel tempo.

Figura 1. Cambiamento di temperatura globale in questo secolo (IPCC, 2007).

In una società proiettata in un aumento demografico che porterà la popolazione mondiale nel

2043 a circa 9 miliardi di abitanti, dove i consumi energetici aumentano a dismisura, è assai

difficile ridurre le emissioni di anidride carbonica e di altri gas ad effetto serra derivanti dall’utilizzo

dei combustibili fossili (petrolio e derivati, carbone, gas naturale) (IPCC, 2007).

Questi ultimi primeggiano nel mercato poiché hanno un alto rapporto energia/volume, sono

comodamente stoccabili ed il loro trasporto avviene in modo semplice (IPCC, 2007).

Essendo prodotti sottoposti ad oligopolio e situati in zone geografiche dove per interessi socio-

economici si combatte una guerra oramai senza fine, sono sottoposti a rincari costanti nel tempo

tanto è che il prezzo della benzina in questi periodi nel nostro paese Italia, oscilla sui 2 €/litro.

Una principale proposta al rimedio di tale problema è l’utilizzo di “energie rinnovabili” le quali si

rigenerano quasi alla stessa velocità con cui vengono consumate ed il cui utilizzo non pregiudica le

risorse naturali per le generazioni future. Tali tipi di energie stanno ricevendo consistenti

investimenti in termini di sviluppo e ricerca, anche se la strada verso un futuro più pulito è ancora

lunga ed assai difficile (Jennings, 2008).

Esse comunque sono forme di energia alternative alle tradizionali fonti fossili (esauribili tra l’altro)

tra cui emerge l’energia idroelettrica, solare eolica, marina e geotermica.

Riepilogando a diverse scale spaziali di tutto il mondo sono stati osservati numerosi cambiamenti

climatici. Essi includono variazioni di temperature artiche, tropicali e di medie latitudini,

cambiamenti della quantità di precipitazione, salinità degli oceani, così come la frequenza e la

quantità degli eventi i quali si estremizzano e si concentrano in un breve tempo (Mahrenholz,

2008).

Si avranno dunque periodi di siccità accompagnati da forti precipitazioni, ondate di calore in

risposta a cicloni tropicali (IPCC, 2007).

In queste gravissime condizioni, misure di adattamento sono cruciali al fine di ridurre la

vulnerabilità del benessere fisico e biologico umano. Inoltre si prevede che questi fenomeni

estremi porteranno perdite economiche di smisurate entità tra cui costi aggiuntivi per il settore

sanitario (Kempfert, 2007).

Particolari malattie in queste condizioni di malessere generale saranno trasmesse soprattutto

nelle regioni con stato sociale non avanzato, ma esse colpiranno in modo più o meno grave anche

paesi sviluppati. Recenti cambiamenti climatici hanno sostanzialmente migliorato le condizioni di

vita di numerosi parassiti di piante ed uomo che hanno esteso le loro nicchie ecologiche,

aumentando sia la densità delle popolazioni sia la distribuzione geografica (Mahrenholz, 2008).

A causa di questo aspetto sono stati e sono ancora tutt’ora in utilizzo fitofarmaci con principi attivi

sempre più forti, più persistenti i quali provocano sia danni all’ambiente che alla salute dell’uomo,

quando appunto gli alimenti concludono il loro ciclo sulle tavole dei consumatori.

Ad incrementare il malessere generale sono gli elevati prezzi dei prodotti alimentari dato che, per

la produzione di essi, servono sempre più spese, per preservare le quantità ridotte dai parassiti,

mediante l’esagerato utilizzo di agrofarmaci.

Inoltre la presenza di incertezza in questo campo giustifica ancora un maggior impegno da

adottare per mitigare i cambiamenti climatici ed in caso di rischio grave o danno irreversibile

questa mancanza di certezza non può essere utilizzata come pretesto per rinviare misure attuative

di miglioramento (Mahrenholz, 2008).

Una delle fonti di incertezza sono le future emissioni delle attività umane che dipendono da fattori

socio-economici, quali la crescita economica ed il cambiamento della tecnologia (soprattutto nel

sistema energetico).

Un metodo per risolvere le incertezze è quello di combinare i risultati dei diversi modelli dei

cambiamenti climatici cosicché si avrà un risultato più attendibile da seguire da cui sviluppare gli

interventi futuri. La ricerca e la selezione del migliore modello non è una strada da seguire in

quanto ogni modello ha la stessa probabilità di accadimento dei fenomeni, pertanto avrà

anch’esso dei pro e dei contro (Mahrenholz, 2008).

A questo punto sorge spontanea la domanda: è giusto agire sulla base di informazioni climatiche

incerte?

I risultati dei modelli climatici spesso differiscono leggermente ma mostrano uno ad uno gli

andamenti nello sviluppo futuro che dovranno essere vagliati da personale competente ottenendo

così il massimo grado di efficienza (Mahrenholz, 2008).

Sfortunatamente però, proiezioni future saranno sempre accompagnate da un certo grado di

incertezza dati gli innumerevoli fattori concomitanti tra cui le sconosciute emissioni dei gas ad

effetto serra nonché la variabilità ambientale.

In un tale scenario bisogna inoltre inserire un ulteriore argomento fondamentale, quale la

biodiversità (Fig. 2).

Figura 2. Esempio generico di biodiversità (da www.greenpeace.org)

Con questo termine si vuole intendere l’insieme di tutte le forme viventi geneticamente diverse e

degli ecosistemi ad esse connesse. Questa meravigliosa condizione purtroppo sta scomparendo a

causa dei cambiamenti climatici, a favore di quelle specie che si adattano a suddette variazioni

vivendo in situazioni ambientali a cui fanno capo condizioni climatiche avverse ed estreme.

Mantenere un elevato grado di biodiversità non vuol dire solo, come alcuni pensano, conservare

un panorama biologico per la gioia visiva di grandi e piccini, ma far durare un equilibrio biologico

globale capace di conferire stabilità alla vita sulla terra. In assenza di esso dunque, si andrebbero a

modificare quei complicati sistemi di interazione naturali con imprevedibili ed irrimediabili

conseguenze per la vita di tutti gli esseri viventi (Mickler et al., 2002).

Bisogna dunque mettere in atto al più presto dei cambiamenti a partire dalle intese internazionali

fino ad arrivare alle abitudini quotidiane del singolo cittadino.

Sono stati firmati accordi, taluni anche a livello planetario, per la riduzione dei gas ad effetto serra

prodotti dai singoli Stati ma, per osservare realmente un miglioramento in questo senso, bisogna

lavorare duro in ogni settore e soprattutto lavorare “pulito”, poiché le previsioni, accompagnate

ad ogni modo da un certo grado di incertezza, non sono per nulla rosee (Mahrenholz, 2008).

Poiché tre nazioni, America, India e Cina sono quelle che contribuiscono maggiormente al

riscaldamento globale, dovranno essere quelle ad essere tassate in maggior misura per quanto

riguarda le diminuzioni dei gas ad effetto serra, pertanto dovranno essere da esempio per gli altri

paesi del mondo (Zhang,a2011).

Per adempiere a tali compiti e suggerire proposte, il lavoro di tesi, oltre a specificare nei dettagli le

informazioni fin’ora esplicitate, tratterà i seguenti punti chiave:

le potenzialità ed i limiti delle colture da biomassa ad uso energetico;

il ripristino della fertilità dei suoli degradati;

i possibili processi di conversione energetica dalle biomasse vegetali.

Infatti, per ovviare alle problematiche descritte, un metodo considerato fondamentale è quello di

utilizzare le biomasse come forma di energia alternativa contribuendo alla rivalorizzazione dei

suoli contaminati ed abbandonati (Gustavsson et al., 2007).

Anche se, come ben sappiamo, esistono altre tipologie di energie rinnovabili, questa attività di tesi

si baserà soprattutto su tale aspetto.

2. Le emissioni di carbonio ed i cambiamenti climatici

Negli ultimi anni, il cambiamento climatico è la sfida ambientale più importante e diffusa che viene

rivolta alla società poiché i suoi effetti sia a livello locale, regionale, nazionale e mondiale sono e

saranno ancor più evidenti col passare degli anni (McKendry ·e Machlis, 2009).

Ad ogni modo comunque, predire il futuro sui cambiamenti climatici, richiede una conoscenza

interdisciplinare che comprende materie fisiche, sociali e scienze politiche.

Nel XX secolo il cambiamento climatico ha già direttamente influenzato le distribuzioni di una

vasta gamma di organismi determinando probabili impennate dei tassi di estinzione delle specie

(Thomas et al., 2004).

Ad aggravare la situazione è l’accesso al cibo di un numero sempre maggiore di esseri umani. Il

numero dei malnutriti riportato nel 1950 era solo il 20% della popolazione mondiale ed ora risulta

triplicato: infatti, attualmente oltre il 66% della popolazione mondiale è malnutrita secondo la

Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO, 2010).

Il problema della malnutrizione è aggravato dalla sovrappopolazione, soprattutto in Africa e in

Asia. Poiché l’attuale tasso di crescita della popolazione è di 1,2% (Population Reference Bureau,

2011), che corrisponde ad un tempo di raddoppio di 58 anni. Così dunque, la popolazione

mondiale attuale di 7 miliardi è destinata ad arrivare a 14 miliardi in meno di 60 anni.

La produzione alimentare è sempre limitata a causa della scarsità sia dei terreni coltivabili che

dell’acqua, e purtroppo tali risorse sono più scarse proprio in Asia ed in Africa, dove la crescita

della popolazione è maggiore (Pimentel, 2012).

Anche se la letteratura sui cambiamenti climatici sostiene l’argomento dei rischi e delle incertezze,

il mondo politico ha discusso poco su tale approccio, utile alla determinazione di strategie di

mitigazione ai cambiamenti climatici futuri (Prato, 2008).

L‘incertezza che regna in tale campo, contribuisce a generare grandi differenze di opinione nel

mondo politico (Congressional Budget Office, 2005). I responsabili politici per individuare possibili

strategie nazionali di risposta ai cambiamenti climatici hanno bisogno di strumenti che consentano

loro di valutare con maggiore precisione le implicazioni del clima ed hanno bisogno di una

panoramica completa delle incertezze legate a tali cambiamenti (Dowlatabadi and Morgan, 1993).

Analisi storiche indicano e confermano che è giusto decarbonizzare l’energia al fine di ridurre le

emissioni di gas serra, sviluppando tutte le tecnologie di produzione energetica (es. da fonti

rinnovabili) che non determinano emissioni di carbonio (Tokushige et al., 2011).

Il rapido cambiamento climatico degli ultimi 150 anni è l’aspetto più importante e preoccupante di

tale studio sul clima. A tal proposito si è studiato che tali cambiamenti sono fenomeni già avvenuti

sul nostro Pianeta, il quale ha attraversato periodi ed ere sia fredde che calde, ma che questi a

differenza di quelli attuali sono avvenuti in tempi assai più lunghi (centinaia di migliaia di anni).

Utilizzando studi scientifici e ricerche sulle carote di ghiaccio polare dei sedimenti di milioni di

anni, si è rilevato che il clima durante questo lungo periodo ha subito variabilità ed instabilità

(Berger, 1978; Heinrich, 1988; Bond et al., 1992; Dansgaard et al., 1993; Broecker, 1994).

I risultati certi della ricerca possono dimostrare sempre più che questa millenaria scala di

fluttuazione del clima non è limitata solamente alle aree polari, ma si estende dappertutto nelle

diverse aree del mondo (Schulz et al., 1998; Sachs e Lehman, 1999; Wang et al., 1999;. Peterson et

al., 2000).

Analizzando in tempi assai più lunghi le variazioni del livello di anidride carbonica nell’atmosfera e

la temperatura media globale durante gli ultimi 150 milioni di anni sono ricostruite utilizzando dei

modelli teorici, i quali si basano sul ciclo del carbonio.

Durante questi lunghi anni sono cambiate le condizioni climatiche a causa della diminuzione

dell’attività vulcanica e del sequestro del Carbonio nei principali sink del pianeta (oceani, rocce

carbonatiche, giacimenti di idrocarburi, sostanza organica del suolo,….), che hanno determinato

una composizione dell’atmosfera compatibile con la vita sulla Terra, la quale si è sviluppata

seguendo vari stadi di adattamento ed estensione delle specie.

La temperatura media mondiale della superficie terrestre durante la metà del Cretaceo è stata

stimata di 6 – 14 °C maggiore di oggi. Si osserva che la variazione di anidride carbonica da sola non

può spiegare il cambiamento climatico completamente, che è condizionato anche dagli altri gas ad

effetto serra (metano, il quale a parità di peso della CO2 trattiene 20 volte in più calore, NOx, H2O)

dalla distribuzione terra-mare, dalla vegetazione, dalla circolazione oceanica ed infine dall’albedo

dei ghiacciai dei due poli.

La sepoltura del carbonio nel corso di 40 milioni di anni ha contribuito a far abbassare la

temperatura terrestre dal Cretaceo al Cenozoico (Tajika, 1998).

I modelli teorici citati precedentemente sono dei software potenti in grado di simulare, gestire e

prevedere i cambiamenti climatici in base ad una moltitudine di fattori inseriti come dati di input.

Non tutti i modelli climatici basati su leggi fisiche sono ugualmente affidabili, dunque non esiste un

unico migliore modello sussistendo un certo grado di incertezza tra di essi (Perkins et al., 2007).

Nei modelli climatici sono presenti una varietà di incertezze a causa di limitazioni nella potenza di

calcolo del modello, a inadeguati processi fisici ed infine alla variabilità climatica (Solomon et al.,

2007).

Purtroppo l’incertezza del grado di impatti dei cambiamenti climatici rappresenta una sfida

sostanziale alla gestione ambientale e non esistono tuttora metodologie per eliminarla

totalmente, pertanto le valutazioni saranno sempre accompagnate da un certo grado di incertezza

(Webster et al., 2003).

In generale i modelli climatici prevedono all’unanimità il riscaldamento del globo basato sulle

diverse concentrazioni dei gas ad effetto serra presenti nell’ambiente (Meehl et al., 2007).

Sebbene i modelli climatici di valutazione posseduti dall’IPCC considerano la popolazione causa

principale delle emissioni a gas serra, come le dinamiche di essa influenzano il cambiamento

climatico è ancora in discussione.

Nei modelli climatici l’invecchiamento della popolazione e l’urbanizzazione sono le principali

tendenze demografiche che dovrebbero essere esplicitamente calcolate nelle proiezioni dei futuri

cambiamenti climatici (Dalton et al.,2008).

Un numero crescente di studi ha dimostrato che le famiglie sono una variabile che contribuisceper

il 76% sulle emissioni di gas ad effetto serra (Mackellar et al. , 1995). Si è arrivati a queste alte

percentuali data la diversa composizione degli elettrodomestici (utili o di svago), al crescente

numero di automobili procapite, alla maggior creazione di rifiuti data la crescita demografica, ai

sempre crescenti spostamenti globali ed alle crescenti richieste energetiche generali.

Negli ultimi due decenni le prove scientifiche del Panel on Climate Change (IPCC), organismo

leader al mondo sui cambiamenti climatici, che comprende oltre 2500 scienziati provenienti da

150 paesi, indicano che il riscaldamento globale sta avvenendo.

La quarta relazione emanata dall’IPCC, prodotta nel 2007, prevede che gli impatti negativi di un

riscaldamento globale rappresentano una grave sfida per l’umanità. Le statistiche affermano che

nel corso degli ultimi 200 anni il consumo di energia è aumentato di 35 volte e le emissioni di

carbonio sono aumentate di 20 volte (Nakicenovic et al., 2007).

I 5 più rilevanti effetti negativi del riscaldamento globale sulla popolazione sono ondate di calore,

stress idrico, aumento del livello del mare e degli eventi atmosferici estremi, perdita di produzione

agricola e diffusone di molte malattie (McMichael et al., 2003).

Anche se l’intero mondo è influenzato dai cambiamenti climatici, il loro impatto sulla popolazione

umana non è distribuito uniformemente tra le regioni, infatti si verranno a creare vari gradi di

catastrofi, si avranno dunque zone soggette ad inondazioni, territori devastati da cicloni ed

uragani, aree rase al suolo dal fuoco e superfici perennemente siccitose. Si prevede che i popoli a

sud dell’Africa e dell’Asia saranno quelli più colpiti, mentre gli abitanti delle regioni alle alte

latitudini, più fredde (Canada, Russia, Europa del nord) potranno invece trarre vantaggio dai

cambiamenti climatici, almeno per un breve tempo, grazie all’aumento delle terre coltivabili e

della produttività agricola (IPCC).

A tal riguardo le popolazioni povere, che saranno quelle più esposte ai rischi, avranno meno

risorse per affrontare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici.

L’alto indice di povertà evidenziato anche dalla perdita di produzione agricola nelle aree dei paesi

meno sviluppati (Fig. 3) spinge questi popoli a migrare verso zone più ad Occidente stravolgendo i

meccanismi interni di tali paesi ospitanti e mettendo a rischio le popolazioni urbane locali

(McGranahan et al., 2007).

Secondo il rapporto ONU sul clima i ghiacciai himalayani potrebbero scomparire in 50 anni a causa

del riscaldamento globale. L’aumento del livello degli oceani oltre ad inondare intere città costiere

porta a breve termine all’intrusione dell’acqua salata nelle falde acquifere riducendo sempre più la

già precaria quantità di acqua potabile mondiale. L’impatto di questi eventi risulta più grave a

causa dell’alta concentrazione di popolazione (10% della popolazione mondiale e di attività

economiche lungo le zone costiere), individui che nel corso dei secoli di sono stanziati in tali aree

essendo più produttive e redditizie. Per quanto riguarda la produttività agricola essa risulterà

migliorata a medie-alte latitudini mentre peggiorerà in modo estremo in zone tropicali e sub-

tropicali (IPCC, 2007) (Fig. 3).

Figura 3. Proiezioni della produzione cerealicola in funzione dei cambiamenti climatici (IPCC,

2001).

Il cambiamento climatico rischia di provocare il più clamoroso fallimento del mercato mai visto

prima (20% del PIL mondiale in meno), dunque l’1% del PIL globale dovrà essere investito al fine di

mitigare tali cambiamenti (Nicholas Stern, 2006). I cambiamenti climatici pongono dinanzi una

seria sfida l’umanità con implicazioni sul benessere, la sicurezza, il rischio di guerre per

appropriazione di territori e risorse ed infine migrazioni sconfinate. Il rapporto dell’IPCC stima che

150 milioni di rifugiati ambientali esisterà nel 2050, dovuto principalmente agli effetti delle

inondazioni costiere, erosione delle coste e interruzione agricola (McCarthy et al., 2001).

Una serie di politiche di sviluppo sono necessarie per far fronte a questa situazione e solo lottando

a livello internazionale fino al singolo individuo, sulla base di una gestione ambientale sostenibile,

si può garantire un futuro più accettabile.

Di media importanza nella classificazione dei cambiamenti climatici rientra il Sole, il quale è stato a

lungo sospettato di essere una causa importante del cambiamento di temperatura terrestre,

infatti i cambiamenti dell’irraggiamento solare degli ultimi secoli hanno causato mutamenti

climatici.

Come prova del ruolo del Sole nella variabilità climatica è stato effettuato uno studio, con modelli

climatici globali tridimensionali (Haigh, 1996; Balachandran et al., 1999; Shindell et al., 1999) dove

appunto, sono stati simulati gli effetti del cambiamento dell'irraggiamento solare sui modelli

climatici troposferici, che ha determinato dunque i cambiamenti osservati.

Ultima cosa, ma non per questo di minor importanza, riguarda l’acqua, intesa in varie realtà

oggettive, le quali saranno passate in rassegna.

In tale contesto i cambiamenti climatici vanno ad influire sulle acque potabili future e sulla

sicurezza alimentare, incidendo soprattutto sull’acqua per l’irrigazione, alla quale serve circa il 67%

dello stock di acqua mondiale (Shiklomanov, 1997). Mediante un modello si calcola, a medio e

lungo termine, dal 2020 al 2070, il fabbisogno irriguo che potrebbe cambiare in base alle diverse

condizioni climatiche che si susseguiranno nel corso degli anni (Döll e Siebert, 2001). Tale modello

di irrigazione anche se tende a sovrastimare l’uso effettivo dell’acqua è sufficientemente accurato

per una configurazione su scala globale.

I cambiamenti climatici antropogenici non riguardano solo il quantitativo idrico ma anche la

richiesta di acqua. Se una regione diventa più secca e più calda, la diminuzione della disponibilità

di acqua sarà aggravata da un aumento della domanda di acqua. Si prevede che l’agricoltura

irrigua dovrà in futuro essere estesa al fine di nutrire la popolazione mondiale in continua crescita

demografica, anche se è dubbia la disponibilità di acqua per l’estensione necessaria (Doll, 2001).

I cambiamenti climatici potrebbero peggiorare le condizioni di coltivazione in alcune regioni del

mondo, tanto da far cambiare le normali abitudini degli agricoltori e le scelte di colture che da

molti anni hanno interessato quelle zone. Un esempio potrebbe essere la coltivazione di vigneti in

Francia, per la produzione di pregiati vini e spumanti, che si sposterebbe in regioni come

l’Inghilterra, mai nella storia interessata da tali piantagioni. Le conseguenze si osservano in quanto

nella zona d’elite la qualità, che caratterizza tali aree, si abbasserà notevolmente, facendo perdere

prestigio economico ai dipendenti del settore e talvolta anche una vita di stenti e sacrifici. Tali

soggetti, agricoltori, imprenditori, capitalisti, manager di grandi imprese, ristoratori, sommelier ed

altri, saranno costretti in certe circostanze a cambiare attività di lavoro.

Di contro le regioni “new crop” otterranno nuovi guadagni anche se si troveranno disorientate

sulle nuove tecniche da seguire. Tutto ciò, porta a mio modesto parere, ad uno sconvolgimento

generale, già accennato nell’estremizzazione degli eventi meteorologici a causa dei cambiamenti

climatici, il quale ci costringe ad adattarci sempre più a situazioni drastiche e radicali.

Restando sull’argomento acqua, i cambiamenti climatici toccheranno anche le precipitazioni le

quali muteranno per equilibrare/abbassare notevolmente la circolazione termoalina (si intende la

circolazione globale oceanica causata dalla variazione di densità delle masse d'acqua; la densità è

determinata dalla temperatura (termo-) e dalla salinità (-alina) delle acque ).

Le precipitazioni atmosferiche variando però mettono ulteriore pressione sulla vegetazione e

sull’erosione del suolo, temi assai fondamentali ma non trattati nel lavoro di tesi.

Un’ulteriore grande problema degli aumenti di temperatura del globo, dato lo scioglimento dei

ghiacciai perenni è la perdita di acqua dolce dovuta al riversamento delle acque degli oceani nei

fiumi e nelle falde acquifere (Cubash et al., 2000)

Per quanto riguarda i cambiamenti nelle precipitazioni la quantità assoluta durante la stagione

invernale aumenterà mentre diminuirà durante quella estiva.

Se la pioggia cade più in breve tempo significa anche che il numero di giorni secchi aumenta e

questo fenomeno avrà un impatto maggiore e assai catastrofico se i giorni di siccità si

susseguiranno senza interruzione.

2.1 Ciclo del carbonio

La definizione di ciclo del carbonio passa attraverso lo scambio di esso tra geosfera, idrosfera ed

atmosfera, interessando diversi sink quali biomasse, suolo, atmosfera, oceani e rocce (Lal, 2004).

Osservate dunque le componenti, si può affermare che il bilancio globale del carbonio è il

prospetto delle entrate ed uscite tra le riserve di carbonio delle diverse porzioni della Terra.

Tale ciclo del carbonio è relativo all’evoluzione di miliardi di anni dei serbatoi di carbonio terrestri

e della CO2 che si è sviluppata nel corso di miliardi di anni nell'atmosfera terrestre (Huybers et al.,

2009).

Poiché all’inizio della storia della Terra la maggior parte del carbonio era contenuta nell’atmosfera,

bisogna distinguere due processi: ingassing ed outgassing che rispettivamente consistono

nell’entrata e nell’uscita di carbonio dalla Terra.

Tale gas è fuoriuscito dalla detassazione del magma durante il raffreddamento della crosta

terrestre (outgassing) mentre il fenomeno per cui la terra ha rimosso la CO2 atmosferica

accumulandola nei sink di carbonio sia con mezzi fisico-chimici, in rocce carbonatiche ed oceani,

sia con mezzi biologici, in biomassa e conseguentemente humus e depositi di idrocarburi, dopo la

comparsa degli organismi eterotrofi, è definito ingassing.

Attualmente i principali sink di carbonio del pianeta sono:

- rocce carbonatiche 40.000.000 Gt;

- oceani profondi: 38.000 Gt;

- idrocarburi: 4.000 Gt;

- sostanza organica del suolo : 1.600 Gt;

- superfice dell’oceano: 1000 Gt;

- atmosfera: 750 Gt;

- biomassa vegetale: 600 Gt.

Inoltre la comparsa degli eterotrofi ha consentito di mantenere l’equilibrio sulla terra,

consumando l’ossigeno liberato dalla fotosintesi e restituendo la CO2 all’atmosfera con il processo

di respirazione.

A lungo termine equilibri tra questi due processi contribuiscono a mantenere un clima equilibrato

e sostengono dunque la biosfera (Zahnle et al., 2007).

In questo lavoro di tesi, anche se il discorso è ben più ampio, si svilupperanno soprattutto gli

aspetti del bilancio del carbonio in ambiente agro-forestale. Il ciclo del carbonio forestale, che è

una parte fondamentale del ciclo del carbonio mondiale, rientra nello studio politico della

mitigazione dei cambiamenti climatici (White et al., 2005).

In un ecosistema forestale le emissioni di anidride carbonica provengono principalmente dagli

incendi e dalla decomposizione dei residui (Wang et al., 1998).

L’agricoltura ha un ruolo fondamentale da svolgere nella mitigazione del cambiamento climatico

per ridurre il carbonio presente nell’atmosfera. La gestione del suolo è fondamentale per quanto

concerne il sequestro di carbonio, come anche la deforestazione e la combustione della biomassa.

Le pratiche che migliorano tali aspetti sono il rimboschimento, la lavorazione conservativa del

terreno, il ripristino dei suoli degradati e degli ecosistemi (Lal, 2004).

La permanenza nel suolo del carbonio sequestrato dipende dalla continuità delle pratiche agricole

raccomandate dagli agronomi ed adottate dagli agricoltori.

Come osservato fin’ora il mezzo più veloce per il passaggio del carbonio tra i vari sink è la CO2,

mentre il processo naturale più importante, che gestisce tale gas è quello della fotosintesi, per la

trasformazione di esso in ossigeno e composti organici.

Si oppone ad essa la respirazione che avviene ad opera dei microorganismi eterotrofi, i quali

scompongono ai minimi termini la materia.

Questo naturale equilibrio purtroppo è stato e continuerà ad essere, sempre in misura maggiore,

condizionato dall’uomo, soprattutto dalla rivoluzione industriale ad oggi, per l’introduzione

nell’atmosfera sempre più spropositata dei cosiddetti gas serra (IPCC).

Il legame che intercorre tra il cambiamento climatico e la produzione di energia è la sfida più

grande per uno sviluppo sostenibile.

Le strategie per ottenere uno sviluppo sostenibile di energia in genere comportano tre importanti

cambiamenti tecnologici: il risparmio energetico sul lato della domanda, i miglioramenti di

efficienza nella produzione e trasporto di energia e la sostituzione dei combustibili fossili con varie

fonti di energia rinnovabile (Blok, 2005).

Oggi la combustione di combustibili fossili (Fig. 5) è l’unica e maggiore influenza umana sul clima,

che rappresenta da sola l’80% delle emissioni dei gas ad effetto serra (Quadrelli e Peterson, 2007).

L'approvvigionamento energetico mondiale sta aumentando ed è destinato ad aumentare del 50%

nei prossimi 30 anni. Si tratta inoltre di una questione che riguarda tutti, ma che spesso si tende a

trascurare finché giunge una reale crisi energetica la quale inizia con l’aumento del costo del

carburante terminando con l’esaurimento di quest’ultimo (Jennings, 2009).

Le concentrazioni di CO2 per il 2100 si prevedono oscillare da 540 a 970 ppm, rispetto ai 280 ppm

del periodo pre-industriale. Come conseguenza, la temperatura superficiale media globale

prevede un aumento di 1,4-5,8 °C nel corso del periodo 1990-2100, con un tasso di riscaldamento

probabilmente senza precedenti nel corso degli ultimi 10 000 anni (IEA, 2006a).

La fornitura di carbone è destinata a crescere da 2,77 G t equivalenti di petrolio nel 2004 a 4,44 G t

equivalenti di petrolio nel 2030 (IEA, 2006b).

Entro il 2030, la domanda di elettricità dovrebbe aumentare di quasi il doppio rispetto al 2004

(IEA, 2006b), per la rapida crescita della popolazione e l’incremento del reddito nei paesi in via di

sviluppo, dal continuo aumento del numero di dispositivi elettrici utilizzati nelle case e negli edifici

commerciali ed infine dall’ampliamento di utilizzo di elettricità nei processi industriali.

A livello mondiale, la produzione di energia elettrica e di calore si basa pesantemente sul carbone,

infatti paesi come Australia, Cina, India, Polonia e Sud Africa generano il 70% o più di energia

elettrica e calore attraverso la combustione del carbone.

Passando al settore dei trasporti (Fig. 6), esso prevede una crescita del 58% entro il 2030, ed i

responsabili politici, per limitare le emissioni, possono prendere in considerazione misure per

incoraggiare il passaggio dalle auto private ai mezzi pubblici ottimizzando la metodologia di

trasporto.

2.2 Effetto serra

Tale effetto si identifica nella possibilità di vita sulla Terra in quanto rappresenta la facoltà di un

pianeta di trattenere parte dell’energia derivante dal Sole. Tale effetto è dovuto alla presenza in

atmosfera di gas permeabili alla radiazione luminosa, ma impermeabili alle radiazioni infrarosse,

come CO2, CH4 e N2O.

Per comprendere a fondo il meccanismo dell’effetto serra bisogna considerare il bilancio radiativo

del pianeta: la maggior parte dell’energia solare raggiunge la terra con la lunghezza d’onda del

visibile; questa radiazione riscalda la crosta terrestre per irraggiamento; la terra riemette l’energia

accumulata come radiazioni infrarosse che riscaldano l’aria per convezione.

Pertanto, questi gas non limitano la radiazione in ingresso nel Pianeta, ma riducono l’energia in

uscita determinando un aumento del bilancio radiativo.

Diverso è il comportamento di un altro gas serra (il vapore acqueo) che è impermeabile sia alla

radiazione luminosa che a quella infrarossa. Quindi un aumento del contenuto di vapore acqueo in

atmosfera riduce sia l’energia in entrata che quella in uscita dal pianeta determinando un effetto

trascurabile sul bilancio radiativo.

Questa energia che ovviamente fa aumentare la temperatura, viene incrementata con

l’inquinamento atmosferico e con l’aggiunta nell’atmosfera dei più comuni gas ad effetto serra:

CO2, CH4 e N2O, H2O (Zhang, 2008).

A questi si sono aggiunti altri tra cui idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), l'esafluoruro

di zolfo (SF6), clorofluorocarburi (CFC), idroclorofluorocarburi (HCFC) ed ozono (O3) (Zhang, 2008).

Il pubblico sta diventando sempre più consapevole dell’impatto potenziale dei gas ad effetto serra

e del riscaldamento globale anche perché le comunità scientifiche internazionali indicano con un

margine del 90% la certezza che l'attività umana è stata la causa principale della crescente

temperatura in tutto il mondo dal 1950 (IPCC, 2007).

La valutazione quantitativa delle emissioni di gas serra di origine antropica è la base scientifica per

conoscere lo stato globale delle emissioni, per identificare gli impegni di ciascun paese, ed

organizzare gli sforzi internazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra.

Secondo il quarto rapporto di valutazione emesso dal gruppo intergovernativo di esperti sui

cambiamenti climatici la temperatura media della superficie terrestre è aumentata di 0,74°C nel

corso degli ultimi 100 anni tra il 1906 ed il 2005 (IPCC, 2007).

Lo sviluppo tecnologico delle attività umane che comporta l'uso di grandi quantità di combustibili

fossili, l’ uso del suolo con conseguenza di cambiamenti di copertura del terreno ecc, fanno

aumentare notevolmente le concentrazioni atmosferiche globali di gas a effetto serra.

La concentrazione atmosferica di CO2 ad esempio, era 280 ppm prima della rivoluzione industriale

raggiungendo 379 ppm nel 2005, molto più che la gamma di variazione causata dai fattori naturali

negli ultimi 650.000 anni (Fig. 4) (IPCC, 2007).

Gli obiettivi di impegno dovrebbero essere gli stessi per tutte le persone del mondo considerando

che ognuno di noi ha il dovere di proteggere l'ambiente del pianeta (Ruddiman, 2003).

Per gestire la produttività degli ecosistemi e la sostenibilità, bisogna comprendere i processi di

scambio di gas ad effetto serra tra l’atmosfera e gli ecosistemi terrestri (Brack et al., 2006).

Figura 4. Percentuali di accumulo delle emissioni di gas serra dal 1850-2004 (Zhang, 2008).

Attualmente per l’uso e la produzione di energia nel mondo le emissioni corrispondono a circa il

65% di quelle totali. Inoltre a tal proposito si vuol sottolineare che l’effetto del consumo

energetico sulle emissioni dipende dal tipo di energia utilizzata e dal consumo finale di essa.

Pertanto le fonti primarie saranno i combustibili solidi, petrolio e derivati, gas, energia nucleare e

rinnovabile, mentre i consumatori finali consisteranno in industria, trasporti, famiglie, agricoltura e

servizi.

I risultati non si otterranno solamente riducendo il consumo di energia, come ad esempio ridurre

la mobilità con mezzi privati preferendo quelli pubblici, ma ottimizzandolo con progressi

tecnologici dietro sagge scelte politiche che accelerano tale processo (IEA, 2008).

Il settore dei trasporti contribuisce significativamente al consumo di energia e alle emissioni di

biossido di carbonio, che rappresentano circa un terzo delle emissioni totali di biossido di carbonio

nei paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) (CEMT, 1993).

Nel complesso, il petrolio non solo rappresenta praticamente l’unica fonte di energia per il settore

dei trasporti in Italia, ma il suo consumo è aumentato nel corso del tempo.

Oltre alle questioni energetiche, va sottolineato che vi è stato un aumento della domanda dei

trasporti per passeggeri e per le merci, determinati da fattori sociali ed economici.

Tuttavia, a livello politico, il Governo italiano ha sviluppato il nuovo piano per il settore dei

trasporti il quale considera i problemi derivanti dal protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici.

Per quanto riguarda i problemi del riscaldamento globale sono interessati sia economisti di

trasporto che si concentrano sulla quantificazione delle emissioni di gas serra, sia economisti

ambientali che invece hanno avanzato alcune metodologie riguardanti la valutazione monetaria

degli impatti del riscaldamento globale (Mazzarino, 2000).

L'uso di fonti di energia rinnovabili al posto dei combustibili fossili è uno dei mezzi più importanti

per limitare l’effetto serra e le emissioni di gas nel prossimo futuro (Zhang, 2008).

Interessandoci di energia da biomassa, uno dei compiti più ardui è la conservazione di essa in

quanto il rischio di perdita di materiale da degrado è assai alto, con casi estremi di autoaccensione

del combustibile (Wihersaari, 2005).

A scopo informativo, durante il processo di degradazione, è tipico che la temperatura sale

rapidamente e poi, dopo un periodo di tempo, raggiunge lentamente la temperatura

dell'ambiente equilibrandosi con esso.

Infatti allo scopo di garantire una fornitura ininterrotta di cippato forestale agli utenti, fornito

generalmente con un tasso di umidità del 45-55% in peso, il materiale dovrà essere conservato per

diversi mesi.

Un ulteriore problema consiste nella richiesta del legname da bioenergia, in quanto nei mesi

invernali quando la domanda è alta, il contenuto di umidità del materiale è alto, mentre in estate

la domanda è bassa e il legno contiene una percentuale minore di acqua, dunque in perfetto stato

per un utilizzo ottimale ed efficiente (Wihersaari, 2005).

2.3 Protocollo di Kyoto e strategie di mitigazione

L'effetto serra che contribuisce al riscaldamento globale è stato in prima linea nei dibattiti

economici e politici degli ultimi anni (Jorgenson, 2007). A tal proposito nel 1997 fu presentato il

Protocollo di Kyoto che nella fattispecie si occupa prevalentemente dei gas ad effetto serra e

scientificamente parlando è stato il rimedio più grande e ambizioso di legislazione ambientale mai

visto prima (Grace, 2004).

Il testo del Protocollo è stato adottato in occasione della terza Conferenza a Kyoto precisamente

l'11 dicembre 1997.

Nel protocollo, a 38 dei paesi più sviluppati del mondo (che insieme emettono circa il 60% delle

emissioni totali di carbonio) sono stati dati obiettivi di riduzione delle emissioni (Kumazawa et al.,

2012).

Tali obiettivi sono stati studiati in base a vari fattori tenendo conto delle circostanze particolari di

ogni paese. Per esempio all’Unione europea è stato dato un obiettivo di riduzione dell'8%,

Giappone 7%, ed agli Stati Uniti il 6%, mentre all’Australia è permesso di aumentare le proprie

emissioni dell'8%. Come media la riduzione globale dovrebbe essere di circa il 5,2%, valore in ogni

caso assai piccolo per gli scopi da raggiungere ma comunque un punto di inizio fondamentale. Tale

riduzione ammonta annualmente soltanto a 0,19 miliardi di t Carbonio e non compensa

certamente le perdite, come osservate in precedenza assai più notevoli.

Dato che gli USA, sotto la guida del presidente Bush, non hanno voluto ratificare il protocollo

nonostante che producessero un terzo delle emissioni mondiali, si è avuta una enorme battuta

d’arresto di tale protocollo. Inoltre con medesima decisione è stato il presidente Putin a dichiarare

che il riscaldamento globale porterebbe ad un miglioramento nel suo paese perlopiù freddo

(Grace, 2004).

Di contro, un paese ammirevole per aver ottemperato agli obblighi di Kyoto è la Danimarca, tanto

che oggi riesce con mezzi propri a garantire l’energia necessaria al paese con risorse rinnovabili

(Rosales, 2008).

Tale intesa, che resta il più completo accordo internazionale fino ad oggi che mira a ridurre i gas ad

effetto serra a livello mondiale, è stato stabilito come emendamento alla convenzione quadro

delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on

Climate Change).

Quest’ultima adottata a Rio nel 1992 è entrata in vigore due anni più tardi con dei principi assai

chiari che si basano sull’equità e sulla precauzione adottando misure di mitigazione ed

adattamento (Kumazawa et al., 2012).

Una strategia di mitigazione assai promettente per ridurre le emissioni di gas serra è l’uso di

bioenergia poiché in generale, le emissioni di gas serra dalle bioenergie sono inferiori rispetto ai

sistemi fossili (Jungmeier et al., 2001).

A titolo informativo 3 gas ad effetto serra sono stati aggiunti nell’ambito del protocollo di Kyoto

del 1997 alla Convenzione quadro delle Nazioni sui cambiamenti climatici e precisamente i

perfluorocarburi (PFC), l’esafluoruro di zolfo (SF6), e gli idrofluorocarburi (HFC) (Kumazawa et al.

2012).

Il Protocollo di Kyoto è entrato nella sua fase operativa il 1° gennaio 2008 con gli impegni di

riduzioni delle emissioni di gas serra che coinvolgono i paesi industrializzati (Rosales , 2008).

L’Italia anche se per un lungo periodo ha sottovalutato l’importanza degli impegni sottoscritti a

Kyoto, negli ultimissimi anni la tendenza è cambiata, come confermano le normative e le misure

presentate nell’ultima legge finanziaria. Ma, in assenza di interventi più incisivi, il forte ritardo

accumulato difficilmente permetterà all’Italia di raggiungere il traguardo del 6,5% (Kumazawa et

al., 2012).

In caso di inadempienza agli obblighi previsti dal Protocollo di Kyoto non sono previste delle

sanzioni monetarie ma in un secondo periodo di impegno gli obblighi saranno maggiori ed inoltre

la nazione sarà esclusa dall’emissions trading (Bohringer, 2003).

Con questa ultima opportunità infatti si hanno degli incentivi economici se si rispettano i patti di

Kyoto ed inoltre si raggiunge credibilità internazionale.

Per quanto riguarda i paesi coinvolti in tale protocollo solamente l’Australia e l’Islanda, definiti

paesi virtuosi, possono incrementare le loro emissioni rispettivamente dell’8 e del 10%, mentre

tutti gli altri con varie percentuali stimate, hanno l’obbligo di ridurle.

Allo scopo di misurare tali progressi o regressi c’è stato un ultimo accordo di Copenaghen nel

2008, volto ad elaborare gli impegni presi ed alla quantificazione di essi (Winkler, 2008).

Ulteriore strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici, dovuti all’immissione nell’atmosfera

dei gas ad effetto serra, è il pacchetto clima-energia 20/20/20 .

Esso si propone di conseguire gli obiettivi per il 2020 fissati dall’Unione Europea che consistono

nel:

ridurre del 20% le emissioni di gas ad effetto serra;

risparmio energetico del 20%;

aumentare del 20% l’utilizzo di fonti rinnovabili.

Per tali progetti verranno stanziati fino a 300 milioni di euro e mentre da un lato le automobili di

nuova costruzione dovranno ridurre le emissioni (130 g CO2/Km a partire dal 2012 con possibilità

di riduzioni fino a 95 g CO2/Km per il 2020) dall’altro le grandi centrali elettriche dovranno

provvedere all’installazione di impianti di stoccaggio sotterraneo.

Ogni Stato membro avrà la sua percentuale di riduzione (Italia - 17%), e se le emissioni superano i

limiti specificati si procederà all’accumulo all’anno successivo moltiplicato per un fattore di

abbattimento di 1,08, oppure si verrà penalizzati di un’ammenda proporzionale al superamento

stesso.

3. Le biomasse e le energie rinnovabili

La maggior parte dell’energia attualmente utilizzata è di origine fossile, cioè deriva dalla

fossilizzazione delle riserve di carbonio stoccate nel sottosuolo (biomasse primordiali, sotterrate e

trasformate in idrocarburi in milioni di anni). Per la loro stessa natura, quindi queste riserve di

energia non sono rinnovabili e sono destinate a finire nel giro di pochi decenni (Bardi, 2005).

Figura 5. Profili annuali della produzione mondiale di gas ed olio da combustibili fossili (da

www.aspoitalia.it).

Fonti di energia rinnovabile, invece, sono l’idroelettrico, il fotovoltaico, l’eolico, le biomasse umide

(digestione anaerobica per la produzione di biogas), biomasse secche (cogenerazione).

L’energia idroelettrica viene ottenuta in centrali idroelettriche grazie alla creazione di dighe, le

quali sfruttano una enorme massa d’acqua (es. fiume) che penetrando all’interno di turbine con

un alternatore generano corrente elettrica. In Italia questo settore ha avuto grande successo ma

ad oggi si è arrivati alla saturazione, in quanto non esistono ulteriori corsi d’acqua da sfruttare o

quei pochi che restano non sono in grado di assicurare una buona riuscita energetica.

L’energia fotovoltaica sfrutta l’energia solare tramite degli impianti capaci di convertire l’energia

raccolta in corrente elettrica. Purtroppo questa metodologia ha dei difetti per quanto riguarda lo

smaltimento delle attrezzature (pertanto esse si usurano perdendo la loro efficacia dopo 15-20

anni) e fino ad oggi non si è arrivati ad una tecnologia tale da poter riciclare quei materiali. Una

seconda deficienza di questo sistema è lo spazio a disposizione, che come ben sappiamo, è un

aspetto che nel nostro paese dobbiamo tener conto.

L’energia eolica è quella ottenuta dal vento grazie alla costruzione di pale eoliche ed anche se

presenta controversie dal mondo ambientalista (es. sfigurano il paesaggio e determinano morie di

uccelli) è quella con la quale non si generano scorie da dover smaltire ed inoltre si impiegano

minime estensioni di territorio.

Utilizzando le biomasse umide (es. rifiuti organici o liquami zootecnici), per digestione anaerobica,

microorganismi in assenza di ossigeno producono biogas (miscela gassosa di metano, anidride

carbonica e tracce di idrogeno) nel processo di degradazione della sostanza organica.

Utilizzando invece quelle secche, tramite centrali termoelettriche, si sfruttano i vapori ed i gas

derivanti dalla combustione di biomasse per generare anche qui forme alternative di energia.

Per quanto riguarda il consumo di suolo, alcuni dati dovrebbero essere tenuti sempre ben

presenti, anche in considerazione della competizione con l’esigenza di garantire la sicurezza

alimentare a tutta la popolazione terrestre.

Per produrre 1 MW è necessaria:

1 sola pala eolica (esistono anche pale da 3 MW) con un consumo di suolo = 3-400 m2;

1-3 ha di fotovoltaico;

300 ha di mais per alimentare un cogeneratore con biogas;

500 ha di biomasse ligno-cellulosiche per alimentare un cogeneratore con combustione diretta.

Figura 6. Esempi di mezzi di trasporto più comuni (da www.blogscienze.com).

Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia (AIE), la domanda mondiale di energia rinnovabile

dovrebbe aumentare ad un tasso di crescita medio annuo del 7,3% tra il 2007 e il 2030.

Abbassare i costi di produzione per l’energia rinnovabile è una delle più grandi sfide dell’umanità,

impegnata nel ricercare miglioramenti tecnologici tali da poter risolvere il problema economico.

Inoltre per sovvenzionare tali progetti, secondo le stime dell’AIE, c’è bisogno di 26 miliardi di

dollari dal 2008 al 2030.

Il cammino verso un futuro energetico pulito e sicuro inizia con la consapevolezza che l’energia

deve essere utilizzata in modo più efficiente nei vari settori, ed inoltre le nuove tecnologie per

energie rinnovabili devono subentrare nei processi produttivi e nella vita comune (Sadorsky,

2011).

Dunque, l’istruzione dovrebbe giocare un ruolo fondamentale nel settore delle energie rinnovabili

per ottenere uno sviluppo sostenibile della società.

La formazione dovrebbe affrontare questioni economiche, sociali e ambientali ed i sistemi

energetici rinnovabili sono tenuti a fornire soluzioni sostenibili alle esigenze di

approvvigionamento energetico (Jennings, 2009).

3.1 Ruoli delle biomasse nella mitigazione dei cambiamenti climatici

L’uso delle biomasse costituisce già una grande prospettiva per il sistema terra, ma un ulteriore

incremento di utilizzo di essa, contribuirebbe significativamente alla mitigazione dei cambiamenti

climatici.

Dato che utilizzare biomassa come forma alternativa di energia comporta spese maggiori dei

combustibili fossili, la scelta in tale direzione deve essere sostenuta da un incentivo politico

(Schlamadinger et al., 2005).

Hanno un potenziale di mitigazione anche la gestione migliore delle pratiche agricole, come

pascoli migliorati e ripristino di terreni degradati.

Infatti nella cattura del carbonio importantissime sono le pratiche di gestione agricola, le quali

devono sia ottimizzare la produttività e la resa sia aumentare l’incameramento della CO2 con la

fotosintesi. Molta attenzione si sta sviluppando intorno a tecniche quali la fertilizzazione con

sostanza organica stabilizzata (es. compost), lavorazioni conservative (es. minimum tillage, sod-

seeding), sostituzione della concimazione minerale azotata con metodi alternativi (es. inserimento

di leguminose in rotazione, sovescio, uso di sottoprodotti come liquami zootecnici).

A tal riguardo, il sistema di funzionamento dell’uso sostenibile di biomasse consente un

sostanziale equilibrio della CO2 tra organismi vegetali ed ambiente in quanto il carbonio che viene

catturato dalla fotosintesi viene restituito all’atmosfera durante la combustione (Batjes, 1998).

L’aumento di utilizzo delle biomasse per scopi energetici dipenderà tra l’altro dalla gestione dei

boschi, dunque dal recupero dei residui forestali, dall’utilizzo dei terreni incolti per la coltivazione

di biocarburanti, dalla scelta delle specie da coltivare, dal livello dei prodotti realizzati e dal

recupero dei rifiuti associati (Stem, 2005).

Le attività di mitigazione e di adattamento del settore forestale, che promuovono lo sviluppo

sostenibile, possono essere ad esempio i sink di carbonio che sono conservati nelle foreste gestite

in modo efficiente ed ottimale (Ravindranath et al., 2000).

Gli ecosistemi forestali sono di fondamentale importanza per la sostenibilità ambientale nelle sue

funzioni. Le foreste appunto forniscono una serie di benefici come il cibo, il legno, il panorama,

dunque un valore ricreativo ed estetico, oltre che di regimazione delle acque meteoriche e di

difesa del suolo, ecc.. (Ravindranath, 2007).

Esempio di cattura del carbonio è la formazione di sostanza organica o meglio di humus stabile

all’interno del suolo, che potrebbe rivelarsi una soluzione più duratura rispetto anche al

rimboschimento, poiché esso aiuterà ad invertire processi di degrado (Batjes, 1998).

Un ulteriore opzione per ridurre le emissioni è l’aumento dell’uso del legno per la costruzione (Fig.

7) che si sostituirebbe ai classici materiali (es. calcestruzzo), i quali comportano una maggiore

emanazione di gas serra nel loro processo produttivo (Gustavsson e Sathre, 2006).

Figura 7. Esempio di casa costruita in legno a Copenaghen, Danimarca. (da

www.ecologicalstyle.it).

In ogni caso, misure di mitigazione dei paesi industrializzati dovranno essere raffinate e integrate

da interventi globali di tutto il mondo.

Per finire, un uso maggiore della biomassa potrebbe rispondere con efficacia agli obiettivi di

riduzione del carbonio nell’atmosfera sotto forma di CO2, infatti tale politica garantirebbe un

servizio energetico affidabile, ridurrebbe l’impatto ambientale dei consumi energetici e

romperebbe la dipendenza dal petrolio (Gustavsson e Sathre, 2006).

Per biomasse ad uso energetico si intendono:

• biocarburanti (solitamente liquidi): biodiesel, bioetanolo;

• residui e sottoprodotti umidi (es. liquami zootecnici) per la produzione di biogas tramite la

fermentazione metanica;

• biomasse lignocellulosiche: residui colturali, legno.

3.2 I Biocarburanti (biodiesel e bioetanolo)

A causa dell’aumento del prezzo del carburante derivato da combustibili fossili i ricercatori hanno

studiato delle soluzioni alternative realizzando i biocarburanti cosicché si avrà meno dipendenza

da energia esterna e si creeranno nuovi posti di lavoro locali (Demirbas, 2008).

Infatti, poiché i prezzi dei combustibili fossili convenzionali continuano ad aumentare, i

biocarburanti essendo compatibili con l’economia agraria e con una più sostenibile crescita,

possono essere attraenti in molti paesi.

Le ricerche di mercato indicano che tale settore è in crescita in Europa dove di sta sviluppando

l’energia verde che produce beni cosiddetti Green Power (Demirbas, 2007).

L’utilizzo dei biocarburanti offre alcuni benefici tra cui maggiore sostenibilità che si traduce in

rinnovabilità, riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra, biodegradabilità dei prodotti,

sviluppo locale in termini sociali e lavorativi e sicurezza dell’approvvigionamento (Unal et al.,

2007).

Compatibili con molti motori tradizionali e miscelabili con gli attuali combustibili fossili, i

biocarburanti hanno il potenziale per dare un contributo energetico ai trasporti, diversificando le

fonti di approvvigionamento e riducendo le emissioni di gas a effetto serra (Fig. 8)(Quadrelli e

Peterson, 2007).

Figura 8. Risparmio di gas a effetto serra da bioetanolo (da Azapagic, 2009).

Per quanto riguarda I costi di produzione di biocarburanti essi possono variare molto a seconda

delle materie prime utilizzate, ma in ogni caso hanno prezzi superiori rispetto alle forme comuni di

carburanti tranne che l’etanolo prodotto in Brasile che può competere con la benzina.

Purtroppo il costo di produzione è il principale ostacolo ad una più grande penetrazione dei

biocarburanti nel mix di combustibili da trasporto. La barriera dei costi è tale che l'introduzione sul

mercato di biocarburanti ha sempre richiesto una normativa sostanziale con un intervento

sostenuto dallo Stato (Unal et al., 2007).

Il settore dei biocarburanti è sempre più al centro degli accordi geopolitici internazionali ed anche

se risolverebbe il problema delle emissioni, influirebbe negativamente sul problema già grande

della fame nel mondo, in quanto, come detto, si sottrarrebbero terreni dediti alle coltivazioni

alimentari.

Per il futuro, il dibattito su tali argomenti resta aperto, infatti si pone il problema se ci sarà

abbastanza terra a disposizione per soddisfare sia i fabbisogni alimentari globali, che quelli

energetici (Nogueira, 2011), anche se va detto che esistono terreni inutilizzati e si stima che nei

prossimi decenni si potrebbero utilizzare fino a 1,3 miliardi di ha di terreni agricoli abbandonati

per la produzione delle bioenergie (Hoogwijk, 2005).

I biocarburanti comprendono il bioetanolo, il biobutanolo, il biodiesel, gli oli vegetali, il

biometanolo, gli oli di pirolisi, il biogas ed il bioidrogeno.

Tra di essi ci sono due biocarburanti liquidi fondamentali che potrebbero sostituire la benzina ed il

gasolio : il biotanolo ed il biodisel (Demirbas, 2009).

Nel lavoro di tesi tratteremo proprio questi due tipi di carburanti alternativi ai classici che

conosciamo nella vita quotidiana.

Il bioetanolo consiste nell'etanolo prodotto mediante un processo di fermentazione alcolica delle

biomasse agricole (es. canna da zucchero) e può essere utilizzato come componente per le

benzine, e nella fattispecie esso è derivato dalla fermentazione alcolica di zuccheri semplici o

amido (etanolo di I generazione) oppure di polisaccaridi più complessi come la cellulosa (etanolo di

II generazione.

Le materie prime per ricavare bioetanolo, biocarburante più utilizzato per il trasporto in tutto il

mondo, sono:

- la canna da zucchero (60%);

- il mais o altre colture amidacee (grano, triticale, patata, sorgo zuccherino, barbabietola da

zucchero, etc..) il cui amido viene idrolizzato per ottenere glucosio;

- residui agro-industriali (es. melasso, vinacce);

- biomasse ligno-cellulosiche (es. panico, miscanto);

- tronco delle piante (es. da abete rosso).

Osserviamo in figura 9 alcune specie per la produzione di bioetanolo.

Figura 9. In alto: a sx miscanto, a dx grano; In basso: a sx sorgo zuccherino, a dx canna da

zucchero (da www.agraria.org).

Tornando al discorso della riduzione delle emissioni, ad esempio quando l'etanolo è derivato dal

grano, la riduzione dei gas serra rispetto alla benzina è di circa il 13% raggiungendo il 90% per

quello derivante dalla canna da zucchero (Batjes, 1998).

Il secondo biocarburante trattato è il Biodiesel prodotto a partire da trigliceridi (es. con olio

vegetale) da processo di trans-esterificazione (Nogueira, 2011).

Le colture maggiormente utilizzate sono: girasole, colza, palma (nei paesi tropicali), olivo, soia e

noce di Jatropha del Nicaragua.

In figura 10 osserviamo alcune di queste specie.

Figura 10. In alto: a sx soia, a dx girasole; In basso: a sx colza, a dx noce di Jatropha

(da www.agraria.org).

Esso è equivalente al diesel ma basato su una ossigenazione del carburante ed analogamente al

biocarburante precedente porta ad una riduzione dei gas serra del 40-60%, quando deriva da semi

oleosi, rispetto al gasolio convenzionale.

Il biodiesel è divenuto ambito per i suoi benefici ambientali e poiché è superiore al diesel

convenzionale per il basso contenuto in zolfo e prodotti aromatici.

A tal proposito, nei confronti dell’ambiente, il biodiesel presenta alcune differenze rispetto al

gasolio, infatti riduce le emissioni di anidride carbonica dell’80% poiché il carbonio era stato

catturato dalla pianta con la fotosintesi e non liberato dalla crosta terrestre come accade col

gasolio tradizionale, non contiene idrocarburi aromatici di difficile biodegradabilità, riduce le

emissioni di polveri sottili e di zolfo (Azapagic, 2009). I biocarburanti liquidi citati nel lavoro di tesi

rappresentano attualmente circa l’1,6% dei combustibili da trasporto utilizzato in tutto il monto e

potrebbero raggiungere una percentuale del 7% nel 2030 (FAO, 2009).

3.3 Le biomasse ligno-cellulosiche (erbacee e forestali)

Elemento specifico di questo lavoro di tesi sono le biomasse ligno-cellulosiche che si suddividono

in 3 tipologie:

- Erbacee (annuali o poliannuali);

- Arbustive;

- Arboree.

Le coltivazioni erbacee lignocellulosiche ad uso energetico sono, cereali e graminacee foraggere,

(triticale, sorgo da fibra, Festuca spp. Schreb, Lolium spp. L., etc.. ), la canna comune (Arundo

donax L.), altre specie come tabacco, canapa, kenaf, miscanto, cardo, panico. Fig. (11)

Figura 11. Giovane impianto di tabacco (Nicotiana tabacum L.) (da www.agrilineanews.com).

La biomassa ligno-cellulosica arborea globale invece, è la maggiore fonte organica sulla Terra con

una produzione annua di circa 170 G t (Klass, 1998).

Anche se si differenzia per dimensione, la biomassa legnosa è composta principalmente da

emicellulosa, lignina e cellulosa le quali componenti hanno un diverso grado di resistenza chimica,

termica e di degradazione.

Di fatto, nella composizione delle biomasse esiste un diverso grado di decomposizione delle varie

componenti infatti la cellulosa e l’emicellulosa, costituite da semplici legami ad idrogeno di

molecole di glucosio, subiscono una degradazione biologica per la semplicità con cui i

microrganismi la scindono, mentre invece la lignina no, poiché essa è formata da una complessa

struttura di doppi e tripli legami di composti fenolici difficili da disunire (Liu, 2010).

Esiste una sorta di equilibrio naturale che mantiene la biomassa sotto il livello di saturazione,

quello dove la biomassa ha raggiunto la soglia massima di crescita e non aumenta ulteriormente

(in termini botanici quando la respirazione uguaglia la fotosintesi, tutto ciò che la pianta produce

con la fotosintesi viene eliminato con la respirazione).

Questo equilibrio è dovuto a disturbi della natura (es. un incendio), come si può osservare in figura

12.

In essa possiamo capire come la biomassa viene ridotta con questi disturbi naturali nel corso del

tempo e come essa si stabilizza nuovamente al valore di soglia.

Abbiamo 3 esempi: a sx un prototipo per la biomassa arborea, in alto a dx un modello per spiegare

l’andamento delle biomasse arbustive (es. canna comune) ed in basso a dx uno schema relativo

alle piante erbacee poliannuali.

Nel grafico inoltre, abbiamo due tipi di linee, quella tratteggiata indica un’assenza di disturbo

esterno mentre la linea continua tiene conto di ogni minimo disturbo naturale (Liu, 2010).

Figura 12. Schema di accumulo della biomassa in funzione del tempo. La linea tratteggiata indica

un’assenza di disturbo esterno mentre la linea continua tiene conto di ogni minimo disturbo

(Liu, 2010).

Le biomasse sono condizionate fortemente dagli agenti atmosferici quali la quantità di

precipitazioni e la temperatura. A seconda di esse cambia notevolmente la tipologia di vegetazione

infatti nel sistema terra ritroviamo una miriade di ecosistemi diversi influenzati proprio da queste

caratteristiche ambientali.

Purtroppo i cambiamenti climatici stanno creando disequilibri anche nel mondo vegetale, infatti si

osservano specie, definite invasive, che vegetano in luoghi differenti dalla loro area d’origine.

Tali piante competono con le piante indigene ostacolando la loro crescita, ed essendo più rustiche

attecchiscono prima stravolgendo l’ecosistema locale (Grotkopp e Rejmánek, 2007).

Le migliori piante che massimizzano la quantità di legname per unità di superficie sono le latifoglie

a rapido accrescimento come il pioppo (Populus spp L.), il salice (Salix L.) e l’eucalipto (Eucalyptus

Labill), la robinia (Robinia pseudo-acacia L.), carpino bianco (Carpinus betulus L.), carpino nero

(Ostrya carpinifolia Scop.), il frassino maggiore (Fraxinus excelsior Ash), l’olmo campestre (Ulmus

minor Miller), ontano nero (Alnus glutinosa L.) etc… (Fig. 13)

Figura 13. In ordine: carpino bianco, salice, robinia, pioppo (da www.venetoagricoltura.org).

Oltre ad avere un ciclo breve hanno ulteriori peculiarità tra cui quello di poter disinquinare un

suolo contaminato, aspetto molto importante che verrà trattato nel prossimo capitolo (Schnoor,

2000).

Le biomasse possono essere vendute in diverso modo con diversa consistenza, ad esempio tramite

cippato (legno ridotto a scaglie), pellets (pastiglie di legname macinate e poi pressate) ed a

tronchetti (Fig. 14).

Figura 14. Diversi formati del legname. In alto a sx osserviamo cippato, quindi legna da ardere a

dx ed in basso pellets (fonte: www.imagenature.com).

3.4 La diffusione delle colture da biomassa e la competizione con le colture

alimentari

Come affermato nell’introduzione del capitolo, dato che il mondo delle bioenergie sta avanzando

si stanno diffondendo maggiormente le colture da biomassa.

Elenchiamo le più comuni : Sorgo (Sorghum spp Moench), Canna comune (Arundo donax L.),

Panico (Panicum virgatum L.), Cardo (Cynara cardunculus L.), Girasole (Helianthus annus L.),

arboreti specifici : pioppo (Populus spp. L.) (Fig. 15), salice (Salix alba L.), robinia (Robinia pseudo-

acacia L.) ed eucalipto (Eucalyptus spp. Labill).

Figura 15. Osserviamo un pioppeto da biomassa a turno breve (da www.imagenature.com)

Esse quindi vengono coltivate allo scopo di trarre energia alternative a quelle derivanti dai

combustibili fossili, ma concorrono con le colture alimentari per la superficie coltivabile che di per

sé già scarseggia.

Il fenomeno del “land grubbing” o accaparramento di terra (Fig. 16), si è sviluppato maggiormente

dal 2008 e si basa sull’espropriazione dei popoli indigeni da parte delle multinazionali, che pagano

a prezzi stracciati enormi appezzamenti di terra (nell’ordine di centinaia di migliaia di ettari) ai

governi locali. Tali suoli che servivano da sussistenza alimentare per la gente locale, diventano di

proprietà di grossi investitori che speculano e producono ciò che vogliono (es. colture da biomassa

energetica, biocarburanti ed altri prodotti industriali), vendendo i loro prodotti altrove, dunque

esportando per il mercato mondiale (World Bank 2010; HLPE 2011).

Gli indigeni talvolta, da proprietari terrieri divengono braccianti agricoli sottopagati e sfruttati da

queste grandi aziende che si insediano e portano nuova tecnologia in tale settore (Borras and

Franco, 2006a).

Figura 16. Vignetta rappresentante il fenomeno del “Land Grubbing” (da www.afronline.org).

I territori sottratti dovrebbero essere utilizzati a fini alimentari e non per produrre bioenergie

poiché vista la crescita demografica globale serviranno sempre maggiori quantità di cibo (Ariza et

al., 2010).

Questo è il motivo principale per cui gli investitori comprano spropositate aree di suolo, in quanto

prevedono che in un futuro non tanto lontano la richiesta del cibo aumenterà e la produzione sarà

di pochi (oligopolio globale), conclusione: un maggior aumento dei prezzi e disponibilità di scelta

limitata.

Il continente più colpito da questo fenomeno è quello africano mentre i maggiori acquirenti di tali

territori sono gli investitori dell’Arabia Saudita (Cotula et al., 2009), ma anche della Cina e

dell’Europa, Italia compresa.

Il ricavo dalla vendita di tali grandi aree per i governi locali e le popolazioni indigene soddisfano le

esigenze degli individui solo nel breve periodo ma in futuro essi dovranno o dar conto alle

multinazionali che si saranno già instaurate a pieno regime, dunque comportarsi da manovali

sottopagati e sfruttati, oppure, visto che la meccanizzazione spinta, riduce al minimo il ricorso alla

mano d’opera locale, emigrare all’estero come la maggior parte di essi opta, nella speranza di una

vita migliore (Nepstad et al, 2006).

Purtroppo lo sviluppo delle colture energetiche nei Paesi in via di sviluppo determina

trasferimento ed accumulo di ricchezza all’estero e scarsissimo indotto sull’economia locale.

Fortunatamente a queste pratiche così effimere si oppongono alcune organizzazioni come la FAO

(Bergeret, 2008).

4. Lo sviluppo delle colture da biomassa e il ripristino della fertilità dei suoli

degradati

Il suolo è il secondo serbatoio di carbonio del pianeta dopo gli oceani, con un importante ruolo di

rallentamento potenziale dei cambiamenti climatici e fonte di vita. Le funzioni del suolo

dipendono da una serie di organismi viventi, i quali fanno del suolo una importante parte della

nostra biodiversità. Tuttavia, le risorse del suolo in molte parti d’Europa sono state più che

sfruttate, degradate e perse irreversibilmente a causa di inappropriate tecniche di coltivazione,

attività industriali e cambiamenti nell’uso del territorio che portano all’impermeabilizzazione del

suolo stesso, contaminazioni, erosione e perdita di carbonio organico.

Il degrado diffuso del suolo causato da un uso non sostenibile della terra porta ad una diminuzione

della capacità del terreno di svolgere le sue funzioni ecosistemiche.

La sua degradazione contribuisce a determinare riduzione della produttività, rincari delle materie

prime, carenze alimentari, desertificazione e distruzione dell’ecosistema. A tal punto dunque la

società ha il dovere di garantire che le risorse del suolo siano gestite appropriatamente e

sostenibilmente (EEA, JRC, 2012).

Un importante aspetto del suolo da considerare è la salinizzazione, ovvero l’aumento della

concentrazione salina nel suolo, che rappresenta una grave minaccia eco-socio-economica per la

sostenibilità ambientale riducendo la fertilità del suolo, la crescita delle piante ed in definitiva la

produttività.

Da considerare del suolo è anche la desertificazione (Fig. 17), la quale è una minaccia per alcune

zone più povere e più vulnerabili del Mediterraneo (Zdruli et al., 2007).

La scarsità di acqua limita i servizi ecosistemici normalmente forniti dal terreno ed una perdita del

materiale organico di esso porta ad un collasso nella fertilità del suolo. Le siccità prolungate sono

spesso rotte da forti tempeste che portano via gran parte di suolo compresa la già ridotta

copertura vegetale causando la formazione di croste e compattamento.

Questa condizione del suolo è purtroppo un processo irreversibile e la perdita di fertilità

incrementa il fenomeno dell’erosione con formazione di nubi di polveri che creano non pochi

problemi alla salute umana anche a distanze notevoli (EEA, JRC, 2012).

Figura 17. Agricoltore islandese a lavoro in un territorio di grave desertificazione (Arnalds, 1999).

Negli anni 90, la rapida crescita economica e la continua espansione delle aree urbane hanno

contaminato i suoli, rendendoli scarsamente fertili, con lo sversamento di rifiuti di ogni genere

(Zhang, 1997).

Per rendere possibile il recupero degli ecosistemi degradati o danneggiati, è necessario conoscere

lo stato dell'ecosistema originale ed identificare quale/i fattore/i o hanno modificato questa

condizione (Jackson and Hobbs, 2009).

Per tale motivo, una delle più grandi sfide in termini ambientali, è quella di prevedere gli effetti

delle attività umane sull’ecosistema (Berlow et al., 2009).

In questo ambito esiste il concetto di soglia, la quale rappresenta una condizione limite che una

volta superata non permette all’ecosistema di ripristinare i suoi attributi iniziali, anche in ulteriore

assenza di intervento antropico (es. desertificazione) (Huggett, 2005).

Numerosi ricercatori concordano sul fatto che è assai importante dare istruzione ai popoli indigeni

per far comprendere loro la gestione sostenibile del territorio (Hardwick et al, 2004).

Nel sud del Messico, nella foresta di Lacandona (nello stato del Chiapas), è stata studiata una

specie arborea capace di rallentare i processi del terreno, la balsa (Ochroma piramidale (Cav. ex

Lam.) Urb.), infatti tale qualità vegetale rende più lenta la degradazione della materia organica.

Impiantare alberi autoctoni in terreni poco fertili di bonifica rende possibile il sequestro di

carbonio atmosferico e l’aumento di produttività agricola, infatti il carbonio organico, sottratto

all’atmosfera e facente parte del suolo, è la soluzione per la fertilità di esso (Arnalds, 2000).

Infatti, si è osservato che la ripresa della vegetazione in tali aree risulta essere un mezzo efficiente

per il controllo del degrado del suolo (Garcia et al., 1998).

L’imboschimento talvolta migliora sia le riserve idriche del profilo del suolo degradato sia le

proprietà fisico-biologiche, potenziando la sopravvivenza e la crescita delle piante (Vazquez et al.,

1996).

4.1 L’inquinamento dei suoli: origine e diffusione

Dopo aver osservato le caratteristiche generali del suolo e delle colture esaminiamo anche la

contaminazione in modo specifico.

L'inquinamento del suolo è un segno di mutamento della composizione chimica naturale del

terreno causato dall'attività antropica, dunque una sostanza inquinante è in generale un composto

che altera il funzionamento naturale di esso.

La diffusione dell’inquinamento provoca effetti dannosi sulla salute dell’uomo soprattutto col

contatto diretto ma anche se gli inquinanti si introducono nella catena alimentare.

Un fattore importante nella diffusione della contaminazione è il surplus di utilizzo dei pesticidi e

dei fertilizzanti minerali (es. l’inquinamento da nitrati nelle falde acquifere).

L’inquinamento del suolo deriva a volte dal fatto che i pesticidi vengono utilizzati non in modo

efficiente ma in abbondanza dunque gran parte di essi viene dispersa nell’ambiente, quindi nel

suolo con le piogge o l’irrigazione ed infine nelle acque per percolazione.

Questo problema si verifica soprattutto in America, nelle immense praterie coltivate, dove le

pratiche agricole vengono svolte da aeroplani (Fig. 18) (Kawahigashi, 2007).

Altra categoria di inquinanti del suolo è costituita dagli idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

formati da anelli benzenici, i quali si formano dalla combustione e dalla gestione degli impianti di

raffinazione e stoccaggio degli idrocarburi.

Quelli con alto peso molecolare si trovano perlopiù in asfalti, bitumi e carbone mentre quelli

leggeri sono ubiquitari, anche se hanno la tendenza ad accumularsi nelle acque sotterranee (Chen,

2005).

I rimedi all’inquinamento del suolo consistono nell’attuazione di giuste politiche di gestione dei

rifiuti, infatti a tutela dell’ambiente esiste la pratica del riciclaggio, recupero e reimpiego dei

materiali componenti dei rifiuti sia secchi che organici.

Ai primi viene riservato il trattamento prima citato del riutilizzo mentre i rifiuti organici vengono

utilizzati per creare bioenergie dalla loro fermentazione o digestione anaerobica dei

microrganismi.

Lo sviluppo industriale oltre a mutare il clima è stato fortemente impattante sulla qualità del suolo

e dell’ambiente, soprattutto mediante l’agricoltura intensiva, l’urbanizzazione e

l’industrializzazione.

Tali innovazioni hanno generato perdita irreversibile delle funzioni ecologiche del suolo e

conseguenze negative per la qualità della vita (Pouyat et al., 2008).

I metalli pesanti si sono accumulati nel suolo poiché derivati dal settore metallurgico, dalla guerra

e dall’addestramento militare, dai siti di smaltimento dei rifiuti, dalla eccessiva fertilizzazione

chimica agricola, dalle industrie elettroniche etc.. (Alloway, 1995).

Per valutare il grado di diffusione dell’inquinamento, quando si studia il suolo per valutarne lo

stato di contaminazione, bisogna fare molta attenzione in quanto non và solamente analizzato

l’orizzonte superficiale ma tutto il profilo pedologico. Questo perché alcuni metalli (es. il Selenio

ed il Cadmio) vengono lisciviati contaminando talvolta anche le falde acquifere (Luo, 2008), fino ad

arrivare sulle nostre tavole mediante la catena alimentare (Tyler, 2004).

Figura 18. Utilizzo di pesticidi con mezzo aereo in una enorme distesa di coltivazione negli Stati

Uniti (da www.usda.gov).

La diffusione dei metalli e quindi della contaminazione dei territori, riguarda numerosi paesi.

Bisogna differenziare innanzitutto la contaminazione, infatti essa può essere diffusa o puntuale.

Per contaminazione diffusa, dovuta a pratiche agricole intensive ed a processi naturali, viene

specificata quella per cui le sostanze esogene vengono veicolate tramite l’aria e le acque

superficiali interessando aree molto vaste.

In taluni casi questo tipo di contaminazione purtroppo, può rappresentare un processo

irreversibile.

La contaminazione puntuale invece, riguarda perlopiù le attività delle industrie (es. raffinazione di

prodotti petroliferi, miniere, chimiche, metallurgica, manufatti in amianto), discariche, perdite

negli impianti o serbatoi ecc.

Tale fenomeno in generale provoca una serie di effetti economici, sociali e sanitari come si può

osservare in questi giorni il caso dell’industria siderurgica di Taranto : l’Ilva.

Qui infatti si ha l’esempio lampante di come si sono avute, si hanno e si avranno patologie legate

all’utilizzo di materiali inquinanti ed all’esposizione prolungata dei lavoratori e della popolazione

ad essi.

Tramite la deposizione atmosferica in tali luoghi si sono ritrovate nel fondo marino cospicue

quantità di metalli visibili ad occhio nudo e tangibili, questo a segnalare l’enorme problema che

vive la popolazione locale, ancora sui tetti delle case, sui davanzali, nelle strade, si sono ritrovati

accumuli di metalli che inalati possono provocare seri danni alla salute umana (APAT, 2008).

In figura 19 possiamo osservare i siti di inquinamento maggiori nella regione Campania (Italia).

Figura 19. Mappatura della regione Campania riguardante i siti inquinati (da

www.parteattiva.ilcannocchiale.it)

4.2 I principali inquinanti dei suoli (metalli e organici)

Volendo fare una classificazione generale gli inquinanti possono essere divisi in metalli/metalloidi

e in organici.

A lungo termine anche l’utilizzo di concimi organici eccessivi possono portare all’accumulo di

metalli pesanti nel terreno, poiché gli escrementi degli animali che hanno ingerito alimenti

contaminati da fertilizzanti chimici contengono tali elementi dannosi per la salute umana

(Nicholson et al., 2003).

Quelli conosciuti ed inseriti in quelli pericolosi per la salute umana sono vanadio (V), cromo (Cr),

manganese (Mn), cobalto (Co), nichel (Ni), Ferro (Fe), Argento (Ag), zinco (Zn), rame (Cu), arsenico

(As), stronzio (Sr), argento (Ag), cadmio (Cd), bario (Ba) e piombo (Pb) (Plyaskina and Ladonin,

2009).

Negli ultimi decenni, osservando alcune stime, l’introduzione nel suolo di metalli pesanti ha

raggiunto 22.000 t di cadmio, 939.000 t di rame, 783.000 t di piombo e 1.350.000 t di zinco etc.

(Singh et al., 2003).

Tali metalli provocano effetti gravi sulla salute umana (essi infatti sono talvolta cancerogeni) e ad

esempio il piombo nei bambini provoca una perdita dell’intelligenza ed una difficoltà di

apprendimento, l’arsenico provoca problemi cardiovascolari ed il tumore della pelle, il cadmio

genera malattie dei reni, il mercurio provoca seri danni al sistema nervoso (es. atrofia muscolare,

cecità parziale, deformità del feto, agitazione) etc. (Padmavathiamma, 2007).

Gli inquinanti organici invece, derivano dai prodotti chimici usati in agricoltura (es. esagerati usi di

pesticidi in genere) e soprattutto dal ciclo di gestione, raffinazione, stoccaggio, trasporto ed uso

degli idrocarburi.

Di essi si ricordano il dicloro difenil tricloroetano meglio conosciuto col nome di DDT, la diossina ed

una serie di potenti insetticidi.

La sostanza organica naturale o semplicemente humus, gioca un ruolo fondamentale nel controllo

della degradazione e della mobilità dei contaminanti sia organici che inerti (es. metalli pesanti)

(Piccolo e Conte 1998).

4.3 L’uso delle colture per la bonifica dei suoli (Phytoremediation)

Da quando l’essere umano ha iniziato a capire che il progresso stava e sta tuttora distruggendo

l’ecosistema mondiale, ha cercato di limitarsi ed osservare con un altro occhio la natura che lo

circondava.

Attenendoci al nostro lavoro di tesi, nelle aree degradate, specificate precedentemente nel

capitolo, l’uomo ha adottato la cosiddetta “bonifica del territorio”.

Un metodo innovativo di tale pratica è la fitorimedio (Fig. 20) coniata dal termine inglese:

phytoremediation, che letteralmente vuol significare decontaminazione tramite piante.

Figura 20. Impianto di fitorimedio (specie utilizzata: pioppo) (da www.nature.com).

La fitodepurazione è un complesso sistema di purificazione delle acque reflue, nel nostro caso di

quelle agricole che parte da un filtraggio iniziale mediante camere (passo importante per

rimuovere le parti grossolane), per arrivare in una sezione superficiale dove vengono impiantate

determinate specie su substrato generalmente ghiaia-sabbioso.

Inoltre il fondo dello scavo deve essere impermeabile (es. utilizzando PVC), al fine di non far

percolare le sostanze inquinanti nelle falde acquifere.

Il fitorimedio si divide in 5 attività tra cui :

1. Fitotrasformazione (conversione di composti chimici dannosi in sostanze inerti);

2. Biorisanamento della rizosfera (tramite batteri situati in prossimità e sui peli radicali);

3. Fitostabilizzazione (rendere insolubili i metalli);

4. Fitoestrazione (potenziale assorbimento della biomassa);

5. Rizofiltrazione (filtraggio dei metalli dalle acque sottosuperficiali) (Schnoor, 1997).

1-La fitotrasformazione consiste nella degradazione parziale o totale del complesso delle molecole

organiche catturate nel suolo e nella loro incorporazione nei tessuti vegetali.

2-Il biorisanamento è un insieme di tecnologie di depurazione che utilizzano microorganismi i quali

degradano con processi ana/aerobici le sostanze tossiche.

3-La fitostabilizzazione serve per immobilizzare le sostanze inquinanti, impedendo loro di migrare

verso le falde acquifere.

4-La fitoestrazione è uno dei passi cruciali del procedimento in quanto la pianta estrae i metalli

pesanti che in un secondo momento possono essere raccolti nelle piante.

5-La rizofiltrazione si basa sull’uso delle radici per adsorbire gli inquinanti dalle acque reflue

sottosuperficiali (sia metalli che organici).

La phytoremediation è utile sia dal punto di vista del costo e dell’efficacia, sia per salvaguardare

l’ambiente circostante (Cunningham et al., 1997).

La pianta più utilizzata nei nostri territori ed in quelli di tutta Europa è la canna da palude

(Phragmites australis) (Fig. 21), la quale si ritrova in luoghi umidi paludosi (es. stagni, laghi etc..).

Tollerano molto bene un inquinamento elevato e per questo sono utilizzate in tale sistema tutte le

piante macrofite acquatiche : Carex spp. L., Scirpus spp L.., Schoenoplectus spp. L., Caltha palustris

L., Alisma plantago L., Lythrum salicaria L. Ceratophyllum demersum L., Miriophyllum spicatum L.

(Fig. 22).

Figura 21. Canna da palude. (Phragmites australis) (da www.agraria.org).

Figura 22. In alto: a sx Caltha palustris, a dx Schoenoplectus spp; In basso: a sx Lythrum salicaria,

a dx Carex spp. (da www.agraria.org).

La ricerca negli ultimi decenni (Padmavathiamma, 2007) ha portato allo sviluppo di due cultivar

per la fitostabilizzazione del piombo, dello zinco e del rame in terreni contaminati :

i. Agrostis tenuis Sibth;

ii. Festuca rubra L.

Per il processo di fitorimedio sono state create delle piante transgeniche, come alcune varietà di

riso, le quali sono resistenti agli erbicidi e riducono il carico di essi nei suoli delle risaie.

Un uso appropriato di tali piante fornirebbe una base affidabile per migliorare la pratica del

fitorimedio superando di gran lunga i limiti attuali, quindi gli studi dovrebbero muoversi in tale

direzione ricercando quei geni capaci di conferire alla pianta queste abilità (Kawahigashi, 2007).

Oggi vengono utilizzate soprattutto 3 specie, le quali producono molta biomassa e per questo

ottime produttrici di bioenergie.

Si distinguono pertanto, appartenenti alla famiglia delle salicacee, il pioppo ed il salice, i quali

estraggono quantità enormi di elementi potenzialmente tossici dal suolo, metabolizzando e

traspirando idrocarburi volatili (Gentry et al., 2004); ed la canna comune (Arundo donax).

Tali specie vegetative sono di comodo utilizzo perché sono anche a ciclo breve ed hanno un ritmo

di crescita relativamente veloce.

Le ricerche su tali piante sono in fase di sperimentazione in laboratorio, talvolta dunque non

esistono ancora riferimenti numerici di quanto queste specie riescano nel loro intento di

depurazione (Kos et al. 2003).

Il pioppo, che raggiunge i 30-35m di altezza e considerato il migliore estrattore in termini di

quantità di metalli pesanti, ha permesso di asportare dal suolo ca. 250 g Cd ha-1 (Baum et al., 2006;

Wang et al., 2009).

Comune dei luoghi umidi (es. corsi d’acqua) è il salice che raggiunge i 25m di altezza e si sviluppa

fino ai 1000m di altitudine in tutta Europa.

La canna comune che vive anch’essa nei luoghi umidi arrivando a toccare i 6 metri di altezza,

consente di ridurre la concentrazione dei metalli del 15-20% all’anno (Fiorentino et al., 2012).

Essa consente di estrarre vari metalli (es. As, Pb, Cd, Zn) ed ha la peculiarità di non essere

appetibile per gli animali, risultato positivo in quanto non si diffondono ulteriori sostanze tossiche

nella catena alimentare.

In passato invece moltissimi ricercatori sperimentarono l’utilizzo dei batteri biodegradanti che

vivono intorno alle radici (es. Pseudomonas spp.) per rendere il fitorimedio più efficace

(Chakrabarty, 1981), poiché tali organismi microbici conferiscono una caratteristica fondamentale

al suolo ovvero, la sua capacità di trattenere e riciclare nutrienti ed energia (Insam et al. 1989).

La phytoremediation è ancora in fase di sperimentazione e di sviluppo, infatti i metodi di come la

pianta assorbe i metalli devono essere studiati nei minimi dettagli.

Una migliore conoscenza di questi meccanismi biochimici può quindi migliorare l’efficacia del

sistema, ridurne i costi di progettazione e rimediare definitivamente al problema dell’accumulo dei

metalli pesanti nel suolo (Padmavathiamma, 2007).

5. I possibili processi di conversione energetica dalle biomasse vegetali

La biomassa può essere utilizzata come fonte di energia rinnovabile, infatti essa può bruciare

direttamente consumando il carbonio catturato dalla piante, determinando una sorta di equilibrio

naturale, oppure trasformata in combustibili solidi, liquidi o gassosi mediante le tecnologie di

conversione quali fermentazione per produrre alcoli, digestione batterica per produrre biogas e

gassificazione per produrre un sostituto del gas naturale (Hall, 1995).

Esistono diversi fattori che influenzano la scelta del processo di conversione energetica tra cui il

tipo e la quantità di materie prime della biomassa, la forma di energia desiderata, le norme

ambientali, le condizioni economiche ed i progetti specifici.

Questi fattori sono perlopiù veritieri anche se la vera selezione di una tecnologia di conversione

dipende principalmente dalla forma in cui l’energia è richiesta, quindi dalla domanda di mercato

che si viene a creare (Mckendry, 2002).

Le metodologie utilizzate per la conversione energetica si riconducono a due categorie : biologica

quali fermentazione e digestione anaerobica, termochimica con combustione, pirolisi e

gassificazione (Yaman, 2004).

Tali tipologie di processi le possiamo osservare schematizzate nella figura 23.

Figura

23. Principali tecniche di conversione energetica delle biomasse (Turkenburg, 2000).

In tale diagramma si osserva la distinzione tra i processi termochimici, quelli biologici e tramite

estrazione.

In qualsiasi caso si parte dalla biomassa e tramite vari processi, che verranno esplicitati in modo

specifico nei prossimi paragrafi, si giunge alla formazione di calore, elettricità e biocarburanti.

Nel tabella 1 osserviamo invece i tipi processi in relazione ai parametri di rapporto C/N, % di

umidità ed i prodotti principali che se ne ricavano.

Tabella 1. Destini energetici della biomassa (Cozzolino, 2007).

Infine si può affermare che la produzione di energia partendo da biomasse di origine vegetale

diventerà indubbiamente una notevole opportunità di reddito per il mondo agricolo.

5.1 Conversione termochimica

5.1.1 Combustione

La combustione (Fig. 23) è una reazione chimica che genera una enorme quantità di calore che

arriva fino a 800-1000 °C (energia prodotta da 1kg di legno secco è di ca. 1.25*107 J), in cui si

hanno tre elementi senza i quali essa non può avvenire. Essi sono il combustibile (es. biomassa

vegetale), il comburente (ossigeno) e l’innesco o scintilla (energia di attivazione).

Figura 23. Centrale di cogenerazione a biomassa (da www.amarcdhp.it/prod_trentino.html).

Appartenente ad un tipo di conversione termochimica la combustione è il processo più

tradizionale (responsabile del 97% della produzione di bioenergia mondiale) dove il calore si

genera grazie alla reazione di ossidazione del carbonio in presenza di sufficiente ossigeno secondo

la reazione (Demirbas, 2004):

C + O2 ---> CO2 + calore (energia termica).

La combustione può avvenire solamente se la biomassa possiede un contenuto di umidità <50%

(biomassa preessiccata) infatti se la percentuale di umidità sale oltre tale soglia il processo di

conversione energetica utilizzato sarà quello biologico (Mitsui, 1997).

Questo processo, talvolta naturale, determina una sorta di equilibrio del carbonio sequestrato

dalla biomassa vegetale con la fotosintesi e quello restituito all’atmosfera con la combustione.

La combustione di per sé ha dei limiti:

• Il calore va immediatamente utilizzato perché può perdersi disperdendosi nell’atmosfera;

• Si generano intense emissioni di fumi all’interno dell’atmosfera;

• Si producono enormi quantità di ceneri;

• Anche le più moderne centrali a biomasse che usano la cogenerazione, riescono a

trasformare l’energia chimica della ligno-cellulosa in energia elettrica solo per il 25%

dell’energia totale, mentre la maggior parte viene trasformata sempre in energia termica.

5.1.2 Pirolisi

La pirolisi, processo con grande potenziale in fase di espansione, consiste nella conversione della

biomassa (es. rifiuti organici solidi urbani ed agricoli, biomassa legnosa di scarto) in una sostanza

liquida (es. bio-olio) mediante riscaldamento di essa fino a ca. 500 °C in assenza di aria (Aston

University, 1996) anche se nello specifico il materiale viene portato a temperature comprese tra i

200 ed i 700 °C (Demirbas, 2004).

Tale processo di conversione termochimica della materia organica, chiamata anche distillazione a

secco, si può applicare a qualsiasi materiale organico purché abbia un contenuto di acqua minimo

(< 15%).

In generale la pirolisi è un processo di conversione energetica definita come la degradazione della

biomassa senza una combustione completa, in assenza di ossigeno o tracce di esso (Poh and Kong,

2005).

Generando prodotti gassosi (CO, CO2, H2, CH4), liquidi (bio-olio) e solidi, questo sviluppo

energetico si divide in tre tipologie (Sami et al., 2001):

i. Pirolisi lenta: ottenuta con temperature minori di 600 °C ma persistenti per lungo periodo,

al fine di ottenere un carbone che rappresenta ca. il 30% della sostanza secca iniziale;

ii. Pirolisi veloce: conseguita con temperature tra i 500 e i 650 °C ottenendo prodotti gassosi

con peso equivalente all’80% di quello iniziale;

iii. Flash pirolisi: realizzata con temperature superiori a 650 °C in un tempo brevissimo di

meno di un secondo, permette di ottenere prodotti liquidi (es. bio-olio) uguali al 60% del

peso di quelli iniziali.

Un vantaggio di questo processo riguarda la qualità dei prodotti in quanto essa risulta perlopiù

alta, infatti si ha la produzione di biocarburanti ad alto risparmio energetico capaci di competere

con quelli ricavati dai combustibili fossili (Rezzoug, 2003).

La differenza sostanziale con la combustione riguarda la presenza/assenza dell’ossigeno ed inoltre

nella pirolisi il calore fornito (che viene generato da una combustione) serve per scindere i legami

chimici del materiale organico di partenza.

5.1.3 Gassificazione

La gassificazione è uno sviluppo fisico-chimico con il quale si trasforma un combustibile solido (es.

biomasse vegetali) in un combustibile gassoso definito syngas (miscela di N2, CH4, H2, CO) a costi

relativamente bassi.

Questo syngas è composto in modo alquanto dettagliato dai seguenti gas in percentuali:

a) 30-40% di idrogeno;

b) 20-30% di monossido di carbonio;

c) 10-15% di metano;

d) 15-20% di anidride carbonica;

e) 1% di etilene;

f) 6% di acqua

g) 1% di azoto (Mckendry, 2002).

Nello specifico tale processo consiste nella conversione della biomassa mediante un’ossidazione

incompleta dei composti carboniosi portati ad una temperatura elevata di circa 1000 °C.

A questo punto, il gas prodotto può essere impiegato come materia prima nella produzione di

sostanze chimiche (es. metanolo) che verranno adoperate come combustibile per il trasporto

(Demirbas, 2004), oppure per produrre energia elettrica mediante turbine a gas.

Questo processo, come la pirolisi trova applicazione nel trattamento termico dei rifiuti e serve per

generare elettricità.

Per ottenere una giusta e corretta gassificazione la temperatura deve corrispondere alla

tecnologia impiegata (es. gassifica tori a letto fisso, fluido, trasportati) ed inoltre il grado di

essiccazione deve essere elevato poiché la biomassa deve contenere minime quantità di acqua

(Karamarkovic, 2010).

La gassificazione è una promessa per risolvere in parte il problema energetico, in quanto tale

processo accanto alla elevata efficienza termica delle centrali, fornisce combustibile per le centrali

elettriche. Inoltre partendo da materiali di scarto (es. carbone o rifiuti) si generano ceneri che

possono essere utilizzate come materiale da costruzione (Ahmed and Gupta, 2011).

Rispetto agli altri tipi di conversione termochimica essa offre diversi vantaggi tra cui quelli

principali sono:

i. Maggiore efficienza elettrica;

ii. Possibilità di tramutare il gas prodotto in carburanti per il trasporto.

Va ricordato comunque che come la combustione, la gassificazione genera un notevolesurplus di

energia termica che, se non utilizzata, riduce l'efficienza complessiva (Pettersson, 2011).

Per concludere, tale processo è quello più studiato tra quelli termochimici (oltre 30 anni di

sperimentazioni) e quello tecnicamente ed economicamente più valente (Digman, 2009).

5.2 Conversione biologica

5.2.1 Fermentazione

La conversione attraverso processi biochimici dell’energia delle biomasse vegetali è sicuramente la

via più conosciuta e collaudata in impianti industriali di trasformazione energetica.

La fermentazione alcolica (Fig. 24) è una pratica biologica, mediante processo ossidativo

anaerobico, usata per la produzione di etanolo da colture zuccherine ed amidacee (es. canna da

zucchero, barbabietola da zucchero e frumento) (Mckendry, 2002).

Figura 24. Schema della fermentazione alcolica (Mckendry, 2002).

Esplicitando lo schema, la produzione di etanolo attraverso la fermentazione può prendere il via

da materiali ad alto contenuto zuccherino od amidaceo. I materiali agricoli più usati sono la canna

da zucchero (es. raccolta in Brasile) e la granella di mais. Nel processo l’amido contenuto nella

granella deve essere trasformato in zuccheri attraverso delle specifiche reazioni enzimatiche.

A questo punto il risultato finale della fermentazione è un misto di acqua ed alcool che deve

essere separato attraverso la distillazione.

La reazione che permette tale conversione è la seguente:

C6H12O6 ➝ 2C2H5OH + 2CO2 .

In Italia sono stati effettuati test con la barbabietola da zucchero, ma purtroppo con costi di

trasformazione antieconomici.

La produzione di etanolo da biomassa cellulosica ha acquistato un posto rilevante nella

sostituzione dei combustibili fossili, e a titolo di esempio nella strategia annunciata dal governo

degli Stati Uniti è stata capace di sostituire il 30% della domanda di benzina per l’anno 2030

(Perlack et al., 2005).

Nel caso in cui invece si utilizza la cellulosa, dalle biomasse lignocellulosiche di cui abbiamo

parlato, oppure dai residui colturali (paglie, potature) come fonte di glucosio per la fermentazione,

si parla di etanolo di II generazione, che viene ritenuto più sostenibile di quello di I generazione

proprio perchè meno in competizione con le colture alimentari.

5.2.2 Digestione anaerobica

La digestione anaerobica è un metodo di conversione microbica che si verifica in ambiente

acquoso a differenza dei metodi visti fin’ora, il che significa che la biomassa non deve subire alcun

pre-trattamento prima della sua utilizzazione (Ward et al., 2008).

Essa è un processo di conversione operato da batteri (essi infatti idrolizzano il materiale ligno-

cellulosico) che partendo da biomasse ricche in cellulosa permette di ottenere un biogas

contenente circa il 65% di metano, mediante batteri acidofili che producono acido acetico e

formico.

Tale gas viene in una seconda fase utilizzato per alimentare un motore endotermico collegato ad

un generatore elettrico cosicchè l’energia elettrica prodotta viene direttamente immessa nella

rete distributiva, e venduta a prezzo remunerativo (con l’emissione di un “certificato verde”) in

quanto ottenuta da fonte energetica rinnovabile. Talvolta l’energia prodotta viene utilizzata in

parte per alimentare la sezione elettrica dell’impianto stesso.

La biomassa più utilizzata è, purtroppo, l’insilato di mais, infatti da 1 t di mais insilato digerito si

ottengono circa 10 m3 di metano.

Infine la componente residua può anche essere utilizzata come concime.

La digestione anaerobica della biomassa è stata dimostrata e applicata commercialmente con

successo in una moltitudine di situazioni e per una varietà di materie prime (particolarmente

adatto per i materiali da biomassa umida) : rifiuti organici domestici, rifiuti industriali organici,

letame, fanghi ecc. (Faaij, 2006).

La sua attuazione ha generato uno dei più importanti progressi nel trattamento dei rifiuti solidi

urbani, dove appunto essi venivano dapprima selezionati rimuovendo materiali inadatti (es.

metalli pesanti) purtroppo però con l’inconveniente di un aumento dei costi di produzione (De

Baere, 2006).

Per quanto riguarda le biomasse utilizzate il letame sembra riscuotere successo per tale processo

in quanto esso è da un lato prontamente disponibile e dall’altro genera microrganismi anaerobi a

causa del suo alto contenuto di azoto (Ward et al., 2008).

Infine si può affermare che questo processo di conversione energetica dalle biomasse sta

emergendo negli ultimi anni con un tasso di crescita annuo del 25% soprattutto per i suoi pregi

quali:

i. La capacità di trattare biomassa umida;

ii. Generare inquinanti in modo limitato poiché è un processo naturale;

iii. Poter agire anche su piccola scala (es. piccole aziende zootecniche) (Fig. 25)

(Appels et al., 2011).

Figura 25. Esempio di azienda zootecnica dove è possibile sfruttare la fermentazione

metanica. (da www.terrenature.ch)

5.3 Aspetti socio-economici della produzione energetica dalle biomasse

(certificati verdi)

L'interesse per la bioenergia sta aumentando rapidamente per il suo grande potenziale (es.

redditività economica e vari benefici socio-ambientali) a lungo termine.

Purtroppo però il più grande problema della bioenergia è la penetrazione nel mercato dato che

non ci sono sovvenzionamenti tali, da parte di enti governativi, da permettere la competizione con

l’energia ricavata dai combustibili fossili (Hall, 1995).

Un aspetto negativo della produzione di energia da biomasse vegetali è il quadro normativo di

riferimento, che se per la produzione di energia elettrica è definito, non lo è altrettanto per

l’impiego dei biocombustibili (bioolio, bioalcool, ecc.).

Dovendo rispettare l’ambiente riducendo quindi le emissioni di CO2, gli imprenditori devono

aumentare i costi di produzione e talvolta fuoriescono dal mercato o nella migliore delle ipotesi si

vedono ridurre i loro guadagni netti.

Fortunatamente esiste una forma di incentivazione a tali processi: il “certificato verde”.

Quest’ ultimo, emesso dal gestore della rete di trasmissione nazionale (Gestore dei Servizi

Energetici), è una forma di sostegno dell’energia elettrica da fonti rinnovabili costituito da titoli

negoziabili che possono quindi essere scambiati tra le varie aziende.

Questi certificati vengono corrisposti se un impianto ha emesso quantità di anidride carbonica

inferiori ad una conosciuta soglia in un determinato tempo e se una azienda non riesce a scendere

sotto tali limiti di emissioni può acquistare comunque il titolo rientrando nei termini legislativi

previsti (Morthorst, 2000).

Chi produce rinnovabile dunque ha diritto ad un certificato verde per ogni MWh prodotto

(Morthorst, 2001).

A proposito dei costi di produzione, essi comprendono quelli per la biomassa, l'energia elettrica, il

funzionamento e la manutenzione mentre gli input sono i ricavi dalle vendite comprese le entrate

derivanti da strumenti di sostegno alla politica dei biocarburanti, i certificati verdi (Pettersson,

2011).

Per quanto riguarda gli alti prezzi del petrolio greggio che continueranno a salire, la scelta potrà

ricadere sui biocarburanti, anche se va detto che è probabile che le materie prime adottate per la

loro formazione subiranno un aumento di valore.

Sulla base delle valutazioni socio-economiche si possono trarre le seguenti conclusioni:

i. I biocarburanti sono più costosi rispetto ai tradizionali;

ii. Le bioenergie riducono le emissioni di CO2 determinando benefici sociali;

iii. L’aumento del prezzo del greggio migliora ulteriormente il beneficio dei biocarburanti;

iv. L’aumento della domanda per le biomasse a fini energetici farà crescere i costi delle

materie prime

La conclusione quindi viene a riferirsi alla scelta di ulteriori biomasse da sfruttare per la creazione

delle energie alternative, che si traduce in un maggior lavoro per la ricerca scientifica (sempre

meno finanziata nel nostro paese Italia) (Duer, 2010).

Infine per quanto riguarda i metodi di conversione energetica citati, la gassificazione (Fig. 26) della

biomassa è una delle tecnologie più versatili ed economiche nell'ambito delle energie rinnovabili.

Figura 26. Impianto di gassificazione. (da www.enea.it)

5.4 Gestione eco-compatibile dei sottoprodotti contaminati (ceneri)

Purtroppo dai processi citati nel lavoro di tesi si sviluppano inevitabilmente delle ceneri

contaminate che devono essere smaltite e trattate correttamente e non di certo sversate

nuovamente nell’ambiente.

Diversi studi sono stati effettuati per valutare il destino dei metalli pesanti ed a riguardo della

gassificazione si è osservato che 1kg di legno di salice ha portato alla formazione di 40g di ceneri

(31g di metalli pesanti, circa il 75%), 1.2kWh di elettricità e 9MJ di calore.

Le ceneri si dividono in quelle leggeri ed in quelle pesanti, infatti esiste una diversa distribuzione

dei metalli in quanto si hanno quelli più volatili (es. Cd, Pb e Zn) in contrasto con quelli presenti nel

letto di cenere, rappresentanti più del 50% del totale e costituti da Cr, Cu e Ni (Vervaekea, 2006).

In ogni caso i livelli di metalli pesanti trattati nelle ceneri devono essere di sotto dei valori di soglia

che sono considerati sicuri per la loro nuova immissione nel terreno.

Un aspetto importante oltre i metalli pesanti presenti negli scarti da tali processi bioenergetici è la

presenza o meno di microinquinanti organici che possono limitare le opzioni per il riutilizzo delle

ceneri (Vervaekea, 2006).

Inoltre va detto che la cenere derivante dalle biomasse contiene nutrienti quali calcio, potassio e

fosforo i quali dovrebbero chiudere il ciclo del carbonio e dei flussi minerali presenti all’interno

dell’ecosistema bosco (Scholz, 2002).

Dunque a tal riguardo le ceneri dovranno essere dapprima trattate specificatamente, dopodiché

reintrodotte nel sito di rimozione della biomassa.

Infine riferendoci alle condizioni meteo-climatiche si può affermare che gli scarti dei processi per

la produzione di bioenergie introducono nell’atmosfera inquinanti che influiscono

significativamente sui processi atmosferici provocando acidificazione, nubi, pioggia e nebbia,

anche se si sono utilizzate pratiche efficienti di lavoro (Williams, 2012).

6.Conclusioni

Sulla base delle considerazioni citate nel lavoro di tesi bisogna dare importanza ai seguenti aspetti:

1. Le biomasse ad utilizzo energetico non soddisfano pienamente il fabbisogno mondiale di

energia poiché il processo fotosintetico trasforma solamente l’1% della radiazione solare in

composti organici (biomassa vegetale).

2. A parità di energia prodotta le biomasse impiegano maggiori superfici di territorio rispetto

ad altre tecnologie di produzione di energie rinnovabili.

3. Nel caso in cui i suoli adoperati per le biomasse ad uso energetico siano quelli usati per le

colture alimentari, si riduce la disponibilità di cibo su scala globale.

4. Nel caso in cui si usino colture alimentari, come ad esempio per mais e cereali per la

fermentazione metanica (biogas) o alcolica (biotenaolo), l’aumento della domanda ne

determina un aumento dei prezzi. L’aumento dei prezzi dei cereali riduce ulteriormente

l’accesso al cibo delle popolazioni più sfortunate e sfavorisce gli imprenditori agricoli (es.

allevatori) che non riescono più a competere sul mercato.

5. I territori adibiti a tale processo energetico dovrebbero essere quelli non idonei alle colture

alimentari (es. quelli contaminati) al fine sia di evitare che sostanze inquinanti possano

entrare nella catena alimentare, sia di ottenere con i processi di conversione energetica

dalle biomasse vegetali un modesto quantitativo di energia da poter sfruttare.

6. Il miglior approccio energetico, in termini di spazio occupato, efficienza energetica,

rinnovabilità e smaltimento dei materiali, è quello derivante da impianti eolici. Infatti gli

unici difetti di tale fonte energetica sono la riduzione della bellezza paesaggistica e il

disturbo dell’avifauna.

7. Un’altra idea potrebbe essere quella dell’installazione sui tetti di impianti fotovoltaici,

anche se ci sono due limitazioni: da un lato non c’è l’interesse delle grosse compagnie

poiché ciascun cittadino diventerebbe produttore di energia e non più acquirente e

dal’altro i materiali adoperati per la costruzione degli impianti perdono la loro efficienza

dopo 15-20 anni, pertanto andranno smaltiti e non sono ancora ben chiare le possibilità del

riciclaggio dei vari materiali (es. silicio).

A tutta la mia famiglia, Giovanni, Consiglia,

Luigi, Anna, che ha sempre creduto nelle mie

potenzialità contribuendo alla mia

formazione universitaria.

Con affetto ai nonni passati a miglior vita, in

particolare al caro Luigi scomparso pochissimi anni

fa.

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