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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA FACOLTÀ DI INGEGNERIA
CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA GESTIONALE
TESI DI LAUREA
L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELL’INDUSTRIA DEL PNEUMATICO:
L’ IMPATTO DEL PNEUMATICO RUN-FLAT
E DEI NUOVI SISTEMI PRODUTTIVI
Relatore:
Ch. mo Prof. FRANCESCO LISSONI
Correlatore:
Ch. mo Prof. STEFANO BRUSONI
Laureando:
ELENA ANDREOLLI
Matricola N. 037290
ANNO ACCADEMICO 2002/2003
Ai miei genitori,
Ines e Gianni,
per come mi hanno sempre saputo
stare vicino, supportare
ed indirizzare con il loro esempio.
“… Ma là m’intesi favellar pur anco d’un gran mondo di gloria e di dottrina; e per vederlo uscii da le mie rive…” G.Prati (Psiche)
Ringraziamenti
Prima di presentare la mia tesi di laurea intendo ringraziare chi ha contribuito alla sua
riuscita.
Un ringraziamento particolare è diretto al prof. Francesco Lissoni per aver curato lo scambio
Erasmus con l’Università del Sussex e per la competenza e l’attenzione con le quali mi ha
seguito nel lavoro di tesi e al dott. Stefano Brusoni, mio punto di riferimento durante la
permanenza allo Spru, per l’aiuto e l’esperienza messi a disposizione.
Ringrazio tutti i professori, i ricercatori e gli studenti con i quali sono entrata in contatto allo
Spru: in modo particolare ricordo la dott.ssa Virginia Acha per la disponibilità e l’esperienza
nel seguire il mio lavoro e il prof. Nick Von Tunzelmann per i preziosi consigli.
Un altro grazie va alla Pirelli Spa di Milano Bicocca per aver permesso la realizzazione delle
interviste che sono diventate una parte significativa del lavoro sperimentale della tesi; sono
grata specialmente all’ing. Renato Caretta, all’ing. Giorgia Sgalari e all’ing. Thomas Ponta
per il tempo che mi hanno dedicato.
Inoltre, sono riconoscente all’Isu, l’Ufficio per il Diritto allo Studio dell’Università di Brescia,
per avermi offerto, con i servizi messi a disposizione agli studenti, la possibilità di affrontare
con serenità gli anni di università e di vivere in un ambiente stimolante nel quale ho potuto
conoscere nuove culture e stringere importanti amicizie.
Non da ultimo esprimo la mia più sincera gratitudine alla mia famiglia per il supporto ricevuto
in tutti questi anni.
Elena Andreolli
Indice - 1
Indice
Pag.
Primo Capitolo: Introduzione……………………………………………………... 5
Secondo Capitolo: Classificazione delle innovazioni e teoria sul ciclo di vita del prodotto: letteratura di riferimento…………………………………….. 10
2.1 Alcune definizioni di “conoscenza” nella letteratura economica e organizzativa
recente……………………………………………………………………………….. 12
2.2 La diversificazione tecnologica…………………………………………………….... 14
2.3 La classificazione delle innovazioni…………………………………………………. 16
2.3.1 Innovazioni di prodotto o di processo?…………………………………….. 17
2.3.2 Innovazioni tecnologiche: impatto sulle imprese………………………….. 17
2.3.3 Innovazioni tecnologiche: impatto sulla struttura industriale (imprese
insediate vs nuovi entranti)……...…………………………………………. 22
2.4 Il ciclo di vita del prodotto…………………………………………………………... 27
2.4.1 Modelli di ciclo di vita del prodotto……………………………………….. 27
2.4.2 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura
dell’industria……………………………………………………………….. 30
2.4.3 Lo shakeout……………………………………………………………….... 31
2.4.4 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura del mercato.. 33
2.5 Conclusioni…………………………………………………………………………... 35
Terzo Capitolo: L’industria del pneumatico 1888-2003: eventi, tecnologia e concentrazione……………………………………………………………………… 37
3.1 I primi passi dell’industria del pneumatico……………………………………….…. 39
3.1.1 La nascita dell’industria e le prime innovazioni tecnologiche……………... 39
3.1.2 Lo shakeout nell’industria statunitense…………………………………….. 45
Indice - 2
3.1.3 L’industria tra le due guerre mondiali……………………………………... 48
3.2 La rivoluzione radiale………………………………………………………………... 51
3.2.1 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Europa ed Asia……………………. 51
3.2.2 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Nord America……………………... 52
3.3 I cambiamenti più recenti……………………………………………………………. 60
3.4 Pirelli: 1872-2003……………………………………………………………………. 63
3.4.1 Uno sguardo alla storia della compagnia…………………………………... 63
3.4.2 Le forze che hanno guidato la compagnia…………………………………. 65
3.4.3 Pirelli oggi………………………………………………………………….. 67
3.5 Conclusioni…………………………………………………………………………... 70
Appendice 3.1: Il pneumatico………………………………………………………….. 72
Appendice 3.2: La tecnologia radiale………………………………………………….. 74
Quarto Capitolo: Gli oggetti dello studio: il pneumatico run-flat ed i nuovi sistemi produttivi……………………………………………………………... 77
4.1 Lo scenario competitivo……………………………………………………………... 79
4.1.1 Caratteristiche dell’industria……………………………………………….. 79
4.1.2 Le imprese del settore…………………………………………………….... 85
4.2 L’innovazione nell’industria del pneumatico………………………………………... 96
4.2.1 La ricerca e sviluppo nell’industria………………………………………... 96
4.2.2 Analisi dei brevetti…………………………………………………………. 99
4.2.3 Joint-venture ed alleanze…………………………………………………... 102
4.2.4 La soddisfazione del consumatore…………………………………………. 112
4.2.5 Pneumatici da competizione e ad alta performance……………………….. 114
4.3 Il pneumatico run-flat………………………………………………………………... 116
4.3.1 Introduzione del pneumatico run-flat: storia e strategie…………………… 116
4.3.2 Le tecnologie run-flat presenti sul mercato………………………………... 119
4.3.3 Le tecnologie correlate: i sistemi per il monitoraggio della pressione…….. 127
4.3.4 Il mercato dei run-flat……………………………………………………… 128
4.4 Il sistema produttivo………………………………………………………………… 136
4.4.1 Il sistema di produzione tradizionale……………………………………… 136
4.4.2 L’ Impact di Goodyear……………………………………………………. 138
Indice - 3
4.4.3 Il MIRS di Pirelli…………………………………………………………… 139
4.4.4 Il C3M di Michelin………………………………………………………… 141
4.4.5 Altre tecnologie nei sistemi di produzione………………………………… 142
4.5 Gli impianti produttivi………………………………………………………………. 144
4.6 Analisi brevettuale …………………………………………………………………... 148
4.6.1 I dati relativi a Pirelli………………………………………………………. 149
4.6.2 Le classi tecnologiche di maggiore interesse per Pirelli…………………… 150
4.6.3 Brevetti di Pirelli relativi al pneumatico run-flat e al
MIRS………………………………………………………………………... 155
4.6.4 Uno sguardo all’attività innovativa dell’intera industria attraverso l’analisi
dei brevetti…………………………………………………………………. 157
4.6.5 Le classi tecnologiche di interesse per l’industria…………………………. 159
4.6.6 Allegati……………………………………………………………………... 165
4.7 Conclusioni…………………………………………………………………………... 183
Appendice 4.1: Tabelle riassuntive riguardo le tecnologie run-flat e i sistemi di
produzione presenti oggi sul mercato………………………………… 185
Quinto Capitolo: Il pneumatico run-flat ed i nuovi sistemi di produzione: analisi strategica……………………………………………………………………… 189
5.1 Il pneumatico run-flat e gli adottatori: azione sulle competenze esistenti…………... 191
5.1.1 La tecnologia, il relativo processo di acquisizione ed il rapporto con i
fornitori……………………………………………………………………... 193
5.1.2 Il sistema produttivo………………………………………………………... 198
5.1.3 La gestione dei clienti, la struttura distributiva e il mercato……………….. 199
5.1.4 Le tecniche di gestione ed organizzazione aziendale………………………. 200
5.2 I nuovi sistemi produttivi e gli adottatori: azione sulle competenze esistenti……….. 202
5.2.1 La tecnologia ed il rapporto con i fornitori………………………………… 204
5.2.2 Il personale: addetti alla produzione, tecnici e management..……………… 208
5.2.3 La gestione dei clienti e delle strutture logistica e distributiva…………….. 209
5.2.4 Le tecniche di organizzazione della produzione e la struttura aziendale…... 210
5.3 Il pneumatico run-flat e i nuovi sistemi produttivi…………………………………... 212
5.3.1 Le strategie che hanno guidato l’introduzione del pneumatico run-flat……. 212
Indice - 4
5.3.2 Le strategie che hanno guidato l’introduzione dei nuovi sistemi produttivi.. 214
5.3.3 Analisi delle relazioni tra le due innovazioni………………………………. 216
5.4 Un confronto con le teorie del ciclo di vita del prodotto…………………………….. 219
5.4.1 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di
prodotto……………………………………………………………………... 219
5.4.2 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di
industria…………………………………………………………………….. 221
5.5 Conclusioni…………………………………………………………………………... 224
Appendice 5.1: Impatto del pneumatico run-flat su tecnologia/prodotti e
clienti/mercati secondo la metodologia proposta da Abernathy e
Clark (1985)…………………………………………………………… 226
Sesto Capitolo: Conclusioni……………………………………………………….. 228
Allegato 1 : Cronologia………………………………………………………………….. 234
Bibliografia………………………………………………………………………………. 240
Primo Capitolo, Introduzione - 5
Primo Capitolo
Introduzione
Questa tesi di laurea si focalizza sullo studio dell’industria del pneumatico1 dal punto di vista
dell’innovazione tecnologica. Si tratta di un settore tradizionale che è stato caratterizzato, fin
dall’inizio, da una serie di eventi significativi e stimolanti per analisi più approfondite.
Attualmente il settore è tra i più concentrati: nel 2001 l’80% dei pneumatici venduti è stato
prodotto dalle 10 maggiori imprese. Questo elevato tasso di concentrazione ha permesso di
considerare nello studio solo l’attività delle cosiddette “top 10”.
Tradizionalmente l’innovazione nell’industria ha sempre seguito più le sollecitazioni della
domanda che l’iniziativa dell’offerta e si è manifestata più attraverso miglioramenti
incrementali di prodotti e processi produttivi esistenti che per mezzo di introduzioni di
un’entità tale da creare una sorta di rottura nelle competenze di produttori e consumatori.
Tuttavia, in questi ultimi anni, l’approccio delle maggiori compagnie del settore nei confronti
della tecnologia ha subito alcune modifiche: esse stanno diversificando il range delle loro
conoscenze tecnologiche verso campi non direttamente collegati al proprio, come quello
elettronico, meccanico, chimico e tessile. Facendo riferimento alla definizione usata da
Brusoni, Perencipe e Pavitt (2001), possiamo affermare che esse hanno assunto un ruolo di
system integrators, cioè, ampliando i confini delle proprie conoscenze tecnologiche, esse
possono gestire meglio i loro prodotti, che inglobano un numero sempre crescente di
tecnologie che vanno integrate con quelle già esistenti, e tutte le loro connessioni interne e con
gli altri elementi della catena del valore2.
Questo fenomeno ha avuto un significativo impatto sul prodotto che non ha più una natura a sé
stante ma è diventato un elemento di un sistema ben più ampio e complesso costituito dalla
ruota e dalle parti di ancoraggio al veicolo.
1 Per migliorare la leggibilità dello studio presentato si è scelto di preferire la forma “il pneumatico” a quella “lo pneumatico” dal momento che oggi risulta ampiamente utilizzata sia nella letteratura autorevole che giornalistica. 2 Per catena del valore di un prodotto si intende l’insieme delle attività (approvvigionamento, gestione delle risorse umane, produzione, R&S, marketing, distribuzione, logistica e servizi) che conferiscono valore al prodotto stesso, comprensive dei rapporti con fornitori e clienti.
Primo Capitolo, Introduzione - 6
Il progresso tecnico3 è da considerarsi uno strumento di concorrenza fondamentale a
disposizione delle imprese, in quanto permette l’ottenimento di un vantaggio tecnologico che si
realizza in una posizione privilegiata in termini di costi e nella possibilità di diversificazione
del prodotto. In un settore come quello del pneumatico esso assume un’importanza ancora più
rilevante dal momento che il vantaggio sui concorrenti si fonda principalmente su questi due
elementi. Il progresso tecnico è derivato soprattutto da attività dedicate ed interne alle
organizzazioni attraverso le quali esse accumulano le conoscenze e le capacità necessarie per il
successo competitivo, come sottolineano Nonaka e Takeuchi (1999); esso, quindi, diventa una
variabile endogena che deve essere controllata e potenziata.
L’importanza del progresso tecnico in economia è supportata in modo particolare dagli
economisti evolutivi4 per i quali l’introduzione e la conseguente diffusione delle innovazioni
sono il motore fondamentale che guida, non solo il miglioramento della posizione competitiva
delle imprese, ma anche la crescita economica e lo sviluppo di intere industrie e paesi.
Il continuo cambiamento nella tecnologia, al giorno d’oggi, tende a caratterizzare l’ambiente,
sempre più complesso, in cui operano le organizzazioni che, di conseguenza, hanno assunto un
ruolo sempre più centrale nella produzione di conoscenza e innovazione con azioni pianificate
e deliberate che consentono di poter sfruttare questa importantissima arma competitiva.
Questo ruolo è ben visibile nelle innovazioni apparse nei primi anni’90, a cui la tesi è dedicata:
il pneumatico run-flat5 ed i nuovi sistemi produttivi altamente automatizzati e flessibili
introdotti dalla maggior parte delle prime dieci compagnie a livello mondiale.
Queste innovazioni appaiono particolarmente interessanti, essendo rispettivamente (per parere
unanime degli esperti) le più significative innovazioni di prodotto degli ultimi 40 anni e di
processo degli ultimi 80. Infatti, fino alla fine degli anni’80, il pneumatico presentava la
configurazione e le caratteristiche assunte attorno agli anni’50 in seguito alla rivoluzione
radiale ed il suo processo produttivo si basava sostanzialmente su macchinari, come il Banbury
Mixer o la Tire Building Machine, apparsi già prima degli anni’20.
3 Trovo utile chiarire i termini tecnica e tecnologia. Per tecnologia si intende la finalizzazione del sapere scientifico (conoscenza astratta e senza fini) verso obiettivi specifici. Per tecnica la materializzazione di scienza e tecnologia in progetti, macchine e prodotti. (Malerba, 2000). 4 L’economia evolutiva nasce convenzionalmente nel 1982 con la pubblicazione dell’opera “An Evolutionary Theory of Economic Change” da parte di R.R.Nelson e S.G.Winter e da allora ha incontrato un forte sviluppo. 5 Ritengo opportuno precisare che comunemente con il termine “run-flat” si indicano tutti i tipi di pneumatici che possono funzionare anche senza aria in pressione al loro interno (Kim, Chang, Kim, 1999). L’innovazione principale che hanno portato consiste nell’eliminazione della ruota di scorta, con diverse conseguenze positive, che verranno illustrate nel quarto capitolo, e nell’aumento della sicurezza di guida. Il primo esempio significativo di tecnologia run-flat è stato introdotto da Goodyear nel 1992 (EMT, Extended Mobility Tire Technology).
Primo Capitolo, Introduzione - 7
Soprattutto, le due innovazioni esaminate dalla tesi non sono ancora state analizzate in modo
esauriente dalla letteratura economica e manageriale disponibile.
Lo studio di un’innovazione tecnologica può essere sviluppato secondo molti punti di vista e
percorsi di indagine; in questa tesi si è deciso di analizzare, in primo luogo, le strategie che ne
hanno determinato l’introduzione, in secondo luogo, il tipo di innovazione che essi
rappresentano ed, infine, l’impatto sulle teorie del ciclo di vita del prodotto.
Per determinare che tipo di innovazione siano il pneumatico run-flat ed i nuovi sistemi
produttivi è necessario valutare il loro impatto su competenze, conoscenze e abilità delle
imprese dell’industria. Infatti, in alcuni casi, per gestire un’innovazione tecnologica, le
compagnie devono apportare delle modifiche, anche di una certa entità, alla loro struttura e alle
loro procedure strategiche e di azione. Questo perché, alla luce delle trasformazioni del
concetto di organizzazione introdotti dall’economia evolutiva, esse operano secondo degli
schemi di azioni, definiti routines, derivati dalla loro esperienza passata ed incorporati ed
automatizzati nella loro struttura. In letteratura questo tipo di innovazioni vengono definite
radicali (Abernathy e Clark, 1985) o competence-destroying (Tushman e Anderson, 1986).
Il secondo percorso di indagine consiste nello stabilire gli effetti dell’introduzione delle due
innovazioni tecnologiche considerate sulla teoria del ciclo di vita del prodotto introdotta da
Utterbach e Abernathy (1975) e rifinita da Klepper (1996).
Secondo la teoria del ciclo di vita del prodotto di Utterbach e Abernathy (1975), le innovazioni
che introducono cambiamenti maggiori avvengono nella fase iniziale dello sviluppo del
prodotto, ed esse tendono a riguardare prima il prodotto stesso e poi il processo; lo stadio
maturo (definito dagli autori “sistemico”) dovrebbe essere caratterizzato da prodotto e processi
produttivi standardizzati e, quindi, da innovazioni incrementali. Rifacendosi alle caratteristiche
espresse dagli autori, il pneumatico è un prodotto ormai maturo, infatti, ad esempio, l’industria
presenta una struttura oligopolistica e i margini di profitto sono ridotti, quindi, non si sarebbero
dovute verificare innovazioni, sia di processo che di prodotto, implicanti una drastica modifica
nelle conoscenze e nelle competenze degli adottatori.
Relativamente al pneumatico run-flat è possibile ampliare ulteriormente la questione.
Attualmente esso sembra aver creato una nicchia di mercato soprattutto per macchine sportive,
di lusso o con una certa immagine, anche se alcuni produttori stanno allargando
l’equipaggiamento a veicoli relativamente più modesti (ad esempio Renault Scenic o Toyota
Sienna Minivan). Se così fosse si perderebbe la relazione biunivoca tra prodotto e ciclo di vita
poiché quest’ultimo sarebbe soggetto ad una ramificazione per seguire i vari sviluppi,
Primo Capitolo, Introduzione - 8
tecnologici e di mercato, del prodotto. Allo stesso modo sorgerebbero problemi di congruenza
con la teoria di Utterbach e Abernathy anche se il pneumatico run-flat si configurasse come
futuro dell’industria, come sembrano supporre alcune compagnie leader (addirittura Goodyear
aveva previsto che nel 2003 il 75% della produzione di pneumatici sarebbe stata run-flat).
La tesi si concentra principalmente sul legame tra le due innovazioni, di prodotto e di processo,
in quanto dalla letteratura di settore sembra essere emersa la possibilità di una correlazione: ad
esempio Goodyear nel 2002 ha introdotto un nuovo sistema dedicato alla sola costruzione di
pneumatici run-flat, l’Rfsam, e Pirelli6 dichiara che risulta estremamente difficoltoso produrre
questo tipo di pneumatici con il sistema tradizionale. Lo studio, quindi, si propone di chiarire
se una delle due innovazioni considerate sia stata alla base dell’altra oppure se esse siano solo
accomunate dal fatto di essere entrambe parti di una strategia attuata dalle compagnie per
sopravvivere nel difficile ambiente competitivo in cui sono immerse. Dalla letteratura presa
come riferimento emerge come tra innovazioni di prodotto e di processo ci sia quasi sempre un
legame; è molto importante, però, analizzare obiettivamente e approfonditamente queste
connessioni per evitare di raggiungere risultati fuorvianti (Von Tunzelmann, 1995; Simonetti,
Archibugi ed Evangelista, 1995).
Prima dell’analisi empirica e per supportare le conclusioni che da essa derivano, è necessario
presentare la letteratura esistente a cui le domande di ricerca fanno riferimento e
successivamente fornire una panoramica di quali sono stati gli eventi, sia storici che riguardanti
l’ innovazione tecnologica, che hanno portato, dopo quasi due secoli di vita dell’industria,
all’introduzione del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi: a questo scopo sono
stati scritti il secondo ed il terzo capitolo. Nella quarta sezione vengono introdotte le
caratteristiche principali dell’industria e i due oggetti dello studio. Il quinto capitolo è dedicato
all’analisi dei dati e raccoglie un approfondimento conclusivo derivato sia dagli elementi
presentati nella sezione precedente che dal materiale ricavato attraverso le interviste in Pirelli.
Il sesto conclude il lavoro.
Gran parte del materiale di ricerca originale raccolto per la tesi riguarda le tecnologie, le
strategie e la storia di Pirelli, il principale produttore di pneumatici italiano ed uno degli
indiscussi leader mondali. Pirelli mi ha concesso la possibilità di effettuare alcune interviste
presso la sede centrale di Milano Bicocca, nel dicembre 2003, dove ho potuto entrare in
contatto con l’esperienza e la competenza dell’ing. Renato Caretta, responsabile del MIRS,
6 Fonte: www.pirelli.it.
Primo Capitolo, Introduzione - 9
dell’ing. Giorgia Sgalari e dell’ing. Thomas Ponta. Le informazioni raccolte risultano
particolarmente significative in quanto la compagnia offre un valido esempio di produttore di
pneumatici run-flat e di adottatore di un nuovo sistema produttivo altamente automatizzato, il
MIRS, completato nel 2002 dal CCM per la gestione delle mescole. Inoltre, Pirelli è molto
attiva dal punto di vista dell’ innovazione tecnologica e, in questi ultimi anni, sembra avere
definito una propria strategia nello sviluppo di pneumatici run-flat, Pax-System7 e delle
tecnologie ad essi correlate, invece che adagiarsi ad un atteggiamento di attesa ed adeguamento
al trend dominante.
Quindi, la tesi si basa sia su conoscenze teoriche estrapolate dalla letteratura presa come
riferimento, comprendente la teoria alla base delle domande di ricerca e studi relativi
all’industria, che su un lavoro sperimentale. In molti casi la raccolta del materiale si è rivelata
difficoltosa poiché il pneumatico run-flat è un’innovazione recente che sta riscontrando un
discreto sviluppo solamente da qualche anno e data la reticenza nell’industria a divulgare
informazioni e strategie, specie per quanto riguarda i sistemi produttivi, per i quali la forma di
protezione maggiormente in uso risulta, appunto, la segretezza.
La maggior parte dell’analisi della letteratura di economia dell’innovazione utilizzata per
preparare il background teorico della tesi, così come la raccolta del materiale settoriale
internazionale è frutto del mio soggiorno presso lo SPRU (Science and Technology Policy
Research Unit) dell’Università del Sussex nel Regno Unito (Falmer, Brighton), nell’ambito di
uno scambio Erasmus semestrale. Lavorare allo SPRU è stato molto stimolante in quanto ho
potuto imparare molto da professionisti di grande esperienza nell’ambito della ricerca ed avere
accesso a molti dati e informazioni che difficilmente avrei potuto ottenere in Italia.
7 Come si vedrà in seguito, Pirelli è stata la prima impresa ad affiancare Michelin nello sviluppo del Pax-system nel 1999.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 10
Secondo Capitolo
Classificazione delle innovazioni e
Teoria sul ciclo di vita del prodotto:
Letteratura di riferimento
In questi ultimi decenni le imprese hanno preso sempre più coscienza dell’importanza
strategica dell’innovazione tecnologica per il loro successo competitivo; così hanno istituito
strutture e personale dedicati al suo sviluppo e potenziamento.
La gestione delle conoscenze tecnologiche si rivela un’operazione complessa: la loro completa
acquisizione ed integrazione nel sistema produttivo è lenta e difficile, inoltre, esse possono
richiedere modifiche, più o meno significative, alla struttura e alle strategie di comportamento.
Questo capitolo raccoglie i riferimenti estratti dalla letteratura economica ed organizzativa di
questi ultimi vent’anni, che costituiscono il supporto teorico utile ad indirizzare il lavoro di
ricerca verso il conseguimento degli obiettivi designati.
Prima di proporre una valutazione della variabili che agiscono nella determinazione
dell’impatto dei cambiamenti tecnologici sulle imprese, sul prodotto e sulla struttura delle
industrie (sezioni 2.3 e 2.4), ritengo importante presentare una definizione di conoscenza
tecnologica e valutare in che modo le compagnie si pongono di fronte ad essa. Un
approfondimento del concetto di conoscenza (sezione 2.1) aiuta a capire l’essenza dell’impresa
stessa: essa non è più un’entità guidata solo esclusivamente dalle forze del mercato, ma,
essendo formata prevalentemente da individui, rappresenta un sistema che risente fortemente
dell’esperienza passata, che agisce secondo regole predeterminate e che risulta profondamente
connesso agli altri elementi appartenenti al suo ambiente competitivo.
In questi ultimi anni è stato notevolmente approfondito lo studio delle modalità di accumulo
delle conoscenze tecnologiche e in molti settori, tra cui quello del pneumatico, si è riscontrato
il fenomeno della diversificazione tecnologica. Le imprese, cioè, tendono ad indirizzare la
ricerca e l’acquisizione di nuovo sapere verso molte classi tecnologiche anche non strettamente
legate, almeno in apparenza, alla loro produzione. Dal momento che nei capitoli successivi tale
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 11
fenomeno viene dimostrato empiricamente attraverso un’analisi dei brevetti, si è ritenuto
opportuno un approfondimento teorico (sezione 2.2).
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 12
2.1. Alcune definizioni di “conoscenza” nella letteratura economica e
organizzativa recente
La conoscenza, come leggiamo in Acha e Brusoni (2002), è l’input chiave delle attività
innovative e può essere definita come “la capacità di prendere decisioni sfruttando le
informazioni disponibili che sono a loro volta generate aggregando, strutturando ed elaborando
le loro strutture base, cioè i dati”.
Nelson (1998) divide la conoscenza in due componenti principali. Da una parte abbiamo il
body of understanding, ovvero le competenze in specifici ambiti tecnologici in cui
l’organizzazione brevetta e pubblica, che vengono realizzate attraverso personale specializzato.
Dall’altra c’è il body of practice che è rappresentato da una combinazione di esperienza e fatti
sperimentali. La prima è facilmente acquisibile e trasmissibile, mentre la seconda è incorporata
nelle routines dell’impresa, cioè in schemi di azioni ripetitive formati da procedure scritte o
convenzionali e tacite a cui i propri membri fanno affidamento per prendere delle decisioni.
Questo tipo di conoscenza, quindi, è dovuta principalmente alle esperienze effettuate dalle
organizzazioni e tende ad avere una natura tacita e spesso non completamente codificabile; per
questo si creano problemi di appropriabilità, soprattutto per quanto riguarda i benefici generati
dalla sua produzione. E’fondamentale che un’impresa sappia gestire le sinergie tra queste due
parti per ottenere il successo.
Nonaka e Takeuchi (1999) ampliano il concetto di conoscenza delle organizzazioni in modo
molto significativo ed efficace. Secondo gli autori il know-how di un’impresa si forma
attraverso l’interazione tra queste due forme di conoscenza e la loro continua conversione;
nello specifico da due processi che evolvono contemporaneamente nel tempo come una sorta di
spirale. Nel primo, detto “epistemologico”, si ha la continua trasformazione da tacita ad
esplicita mentre nel secondo, “ontologico”, da individuale a globale, cioè dell’organizzazione
stessa. In parole più semplici, secondo gli autori, la conoscenza si genera dalla ripetizione nel
tempo di un processo che parte dai singoli individui che, attraverso osservazione, imitazione e
pratica, acquisiscono una conoscenza ancora implicita e tacita che in seguito esternalizzano ed
esplicitano, sotto forma di metodi, modelli e regole e poi, in un terzo stadio, condividono con
gli altri membri del gruppo. A questo punto si ha nuovamente una fase di internalizzazione in
cui questa conoscenza, più estesa e condivisa, è incorporata nuovamente nei vari elementi
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 13
dell’organizzazione per la quale inizia una sorta di learning by doing1. E’importante che gli
individui, unici elementi in grado di produrre conoscenza, vengano lasciati liberi di agire e di
sviluppare anche informazioni ridondanti che risultano comunque utili per una visione più ricca
della realtà.
Dal momento che un’organizzazione elabora le informazioni e le innovazioni che acquisisce
durante la sua vita in base alle routines che possiede e, quindi, alla sua esperienza passata, il
cambiamento tecnologico può essere definito path-dependent. Quindi, diverse imprese
immerse nello stesso sistema giocano ruoli diversi nello sviluppo e nell’impiego di conoscenze
in base alla loro esperienza, capacità, abilità e mercati di interesse e in questo modo si
diversificano.
1 Il learning by doing è una forma di progresso tecnologico generata dall’apprendimento per mezzo dell’esperienza. Ciò implica un incremento dell’output cumulato e un decremento dei costi medi (Arrow, 1962).
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 14
2.2 La diversificazione tecnologica
Il fenomeno della diversificazione tecnologica è stato analizzato fin dai primi anni’90 (ad
esempio da Patel e Pavitt 1993 e 1994) ed è stato riscontrato in molti settori (elettronico,
meccanico,…), tra cui quello del pneumatico, anche senza una tradizione nell’innovazione,
come quello alimentare.
Essa aiuta le imprese ad operare meglio nei propri mercati, piuttosto che ad entrare in nuovi, in
quanto, per questo, servono anche altre capacità, come apparati di distribuzione, possibilità di
sfruttare economie di scala e scopo e basse barriere all’entrata. In molti casi, infatti, questo
fenomeno si accompagna ad una focalizzazione a livello di prodotto.
La possibilità di inglobare nei prodotti un numero crescente di nuove tecnologie induce un
aumento di performance e funzionalità in quanto, come affermano Gambardella e Torrisi
(1998), queste migliorano i prodotti esistenti e rendono il sistema produttivo più efficiente in
termini di risultati e di costi. La diversificazione tecnologica, quindi, porta verso una continua
crescita delle compagnie, dei loro investimenti in ricerca e sviluppo e dei contatti esterni legati
alle nuove tecnologie sotto forma di alleanze, joint-ventures ecc, attraverso cui possono anche
acquisire le capacità necessarie per entrare in nuovi mercati.
Granstrand, Patel e Pavitt (1997) propongono sostanzialmente due spiegazioni alla tendenza
delle imprese di diversificarsi sul piano tecnologico. La prima ragione può essere identificata
nelle interdipendenze sistemiche con la supply-chain: più essa è complessa più elevata è la
proporzione di risorse tecnologiche che le imprese devono conoscere, al di fuori delle loro
specifiche competenze, per gestire e coordinare tutte le attività relative al sistema integrato di
cui fanno parte. La seconda è dovuta al fatto che esse devono mantenere il passo con le
tecnologie emergenti per poter sfruttare le grandi possibilità che offrono; esse non sono chiare
immediatamente, quindi, risulta necessario mantenere un ampio portafoglio di conoscenze
tecnologiche, derivanti sia dalla ricerca interna che dall’acquisizione dall’esterno, per essere in
grado di cogliere tutti i possibili sviluppi futuri. Gambardella e Torrisi (1998) propongono
un’ulteriore causa di diversificazione, la convergenza tecnologica: essa è riscontrabile quando i
diversi segmenti di un mercato tendono a condividere le medesime tecnologie base
(naturalmente questa spiegazione risulta valida nei settori da essa caratterizzati, come quello
elettronico studiato dagli autori).
Pavitt (1998) approfondisce ulteriormente l’indagine affermando che in un ambiente di
diversificazione tecnologica c’è meno diversità nel livello e nel mix delle conoscenze
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 15
tecnologiche delle grandi imprese che producono beni simili e nei campi con un alto tasso di
cambiamento tecnologico (computer, farmaceutica,…). Nonostante queste conoscenze simili
esistono diversità e diversificazione a valle, nei prodotti; infatti, come più volte affermato, le
imprese sviluppano processi cognitivi elementari che partono da conoscenze già acquisite e il
cui verso è dato dalla ricerca di base, dalle caratteristiche e dalla storia delle imprese stesse.
E’opportuno sottolineare che i costi legati alla diversificazione tecnologica aumentano in modo
più che proporzionale rispetto al numero di competenze acquisite perché è necessario integrare
questo nuovo sapere con quello precedente e con l’organizzazione stessa: questa necessità
implica un’importante sfida per il management e richiede processi non certo semplici,
spontanei e veloci. Comunque le conoscenze acquisite possono risultare utili per la gestione di
più tecnologie, quindi, permettono la generazione di economie di scopo (Breschi, Lissoni,
Malerba, 2003).
Diversificandosi sotto il profilo tecnologico le compagnie si pongono come system integrators:
utilizzano l’outsourcing, sia produttivo che tecnologico, in modo da avere elevate possibilità di
incorporare un alto grado di innovazione nei loro prodotti, collaborando con imprese altamente
specializzate, e investono per mantenere al loro interno ampie conoscenze di base per sfruttare
al meglio le opportunità tecnologiche ed essere in grado di integrare efficientemente tutti i
componenti e di tenere in considerazione tutte le connessioni con gli altri elementi della catena
del valore.
Ciò porta una visione alternativa del significato dell’esistenza delle imprese, come sottolineano
Wang e Von Tunzelmann (2000): non sono più le “isole” immerse nel mercato, in cui
competono con meccanismi per lo più legati al prezzo, proposte da studiosi come Coase
(1937), ma, come le definiscono Nonaka e Takeuchi (1999), sono “islands of conscious
power”, “arcipelaghi” formati da imprese integrate orizzontalmente e verticalmente, cioè
esistono per sviluppare il processo di conversione della tecnologia nei prodotti. Ciò è
sottolineato anche da Pavitt (1998) che dichiara che in molti casi le imprese non falliscono
perché non riescono ad appropriarsi di nuovo sapere tecnologico, ma perché non hanno un
adeguato sistema di coordinazione e controllo che le porta a sviluppare con successo questi
processi di conversione partendo dalle opportunità offerte dalle conoscenze acquisite.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 16
2.3 La classificazione delle innovazioni
Risulta abbastanza complesso trovare delle definizioni e delle classificazioni univoche per
quanto riguarda l’innovazione tecnologica in quanto il progresso tecnico è formato da un
insieme di cambiamenti di varia natura che accadono in modo discontinuo e imprevedibile.
Essi possono influenzare una grande varietà di variabili e soggetti economici e, di
conseguenza, assumere molti significati diversi (Abernathy e Clark, 1985).
Dal momento che l’impatto delle innovazioni risulta decisivo per lo sviluppo di organizzazioni
ed industrie, si è reso necessario uno studio approfondito alla ricerca di caratteristiche
intrinseche comuni ai vari cambiamenti tecnologici che potessero determinare gli stessi effetti
sulle competenze delle organizzazioni e sull’ambiente nel quale esse operano. Lavori di questo
tipo sono stati sviluppati principalmente negli anni’80 e ’90 ma non hanno raggiunto un livello
di completezza decisivo per la chiarificazione del problema. Ciò è dovuto soprattutto a due
fattori: per prima cosa un’innovazione può essere analizzata da innumerevoli punti di vista
mentre uno studio deve limitarsi nella considerazione delle variabili in gioco. Secondariamente
le organizzazioni seguono percorsi di sviluppo e azione fortemente dipendenti dalla loro
esperienza e storia passata, quindi la stessa innovazione può avere un impatto molto differente
da un’impresa ad un’altra.
Come afferma Von Tunzelmann (1995), è difficile anche dare la definizione più immediata
quando si parla di innovazione, cioè se essa riguarda il prodotto o il processo. Ad esempio
perché, considerando industrie integrate verticalmente, un’innovazione di prodotto in una può
essere di processo in quella che la segue direttamente nella filiera.
Da ciò si può dedurre che un cambiamento tecnologico non deve mai venire estrapolato dal
contesto in cui si trova che comprende anche tutte le connessioni orizzontali e verticali con i
vari attori del sistema.
In questa sezione sono proposti i diversi punti di vista emersi finora in letteratura per cercare
un percorso di analisi che aiuti a definire in modo più completo le innovazioni tecnologiche
oggetto dello studio.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 17
2.3.1 Innovazioni di prodotto o di processo?
La distinzione tra innovazioni di prodotto e processo venne introdotta per la prima volta da
Schumpeter nel 19112. Le prime sono definite come l’introduzione di un nuovo bene, o
solamente di una caratteristica, non noto e familiare al consumatore, mentre le innovazioni di
processo si riferiscono ad un nuovo metodo produttivo del quale non si ha esperienza
nell’industria considerata.
In un contesto generale le innovazioni di prodotto e processo hanno la medesima importanza;
tuttavia per prodotti non assemblati tendono a giocare un ruolo centrale le prime, e viceversa
per quelli assemblati (Tushmann e Anderson,1986).
Le innovazioni di prodotto di solito agiscono, provocando incertezza, sul mercato mentre
quelle di processo su progettazione e produzione. Le prime sono più facilmente imitabili
(attraverso osservazione e reverse engineering, ad esempio), quindi viene prestata molta più
attenzione alla loro protezione, che avviene soprattutto attraverso i brevetti, a differenza delle
seconde per le quali si utilizza maggiormente il segreto industriale. Secondo la teoria del ciclo
di vita del prodotto illustrata da Utterbach e Abernathy (1975), la maggioranza dei
cambiamenti tecnologici riguardanti il prodotto sono introdotti nelle fasi iniziali di sviluppo di
un’industria, mentre quelli di processo man mano che essa diventa matura e le specifiche di
prodotto definite e stabili. Queste differenze tra i due tipi di innovazione sono, però, solamente
tendenze generali riscontrate dai singoli studi in quanto, nella grande maggioranza dei casi, le
innovazioni di prodotto hanno delle implicazioni a livello di processo produttivo e viceversa.
Ad esempio, un nuovo prodotto può richiedere investimenti e modifiche, anche sostanziali, nel
proprio sistema di produzione e, allo stesso modo, un nuovo processo può alterare le
caratteristiche di un prodotto in misura tale che questo possa essere considerato nuovo. A
testimonianza di questo può essere letto lo studio effettuato da Simonetti, Archibugi ed
Evangelista (1995) nel quale, dopo aver classificato varie innovazioni usando diversi criteri,
solo il 3,1% si è dimostrato essere inequivocabilmente di prodotto o di processo.
2.3.2 Innovazioni tecnologiche: impatto sulle imprese
In quasi tutti gli studi riguardanti la definizione delle innovazioni emerge una prima basilare
suddivisione dei cambiamenti tecnologici in base all’entità delle alterazioni che essi portano
alle conoscenze e competenze delle organizzazioni, al mercato e alle industrie stesse.
2 Schumpeter (1934) citato in Simonetti, Archibugi ed Evangelista (1995).
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 18
Già Dosi (1982), all’inizio degli anni’80, divide le innovazioni in continue e discontinue a
seconda che rappresentino solo delle nuove traiettorie di sviluppo che partono da un
paradigma3 esistente o che ne creino uno nuovo. In letteratura sono state utilizzate varie
denominazioni per definire i cambiamenti tecnologici a seconda che si servissero e
potenziassero le conoscenze e le abilità esistenti nelle organizzazioni o che ne richiedessero di
nuove. Oltre ai termini continuo e discontinuo proposti da Dosi, alcuni esempi sono
conservativo e radicale (Abernathy e Clark, 1985), incrementale e radicale (Henderson e Clark,
1990) o competence-enhancing e competence-destroying (Tushmann e Anderson, 1986).
A questo proposito uno dei lavori più significativi è stato effettuato da Tushmann e Anderson
(1986). Gli autori concepiscono l’evoluzione della tecnologia come una serie di cambiamenti
incrementali, puntuati da discontinuità, che possono sia distruggere che potenziare le
competenze delle imprese. Nello specifico, quando un’innovazione comporta dei
miglioramenti in prezzo e performance affidandosi alla tecnologia in possesso delle
organizzazioni, è definita competence-enhancing, mentre quando si basa su conoscenze e
abilità tecnologiche nuove che rendono obsolete quelle esistenti, competence-destroying.
Quest’ultimo tipo di innovazioni permette alla frontiera tecnologica di avanzare
significativamente. In genere i cambiamenti tecnologici competence-enhancing consolidano la
leadership di un’industria in quanto provocano un innalzamento delle barriere all’entrata
mentre quelli competence-destroying facilitano l’espansione e l’entrata di nuove compagnie
poiché spesso le esistenti sono fortemente vincolate nell’azione a causa delle routines, dei costi
affondati e dei vari legami con gli attori della supply-chain. In gran parte dei casi, come
sottolinea anche Dosi (1982), queste ultime innovazioni sono introdotte dalle nuove imprese
che, in questo modo, riescono ad accaparrarsi una fetta competitiva di mercato. In genere esse
sono imprese dette “schumpeteriane”, cioè con una vivace attività innovativa, con una crescita
eccezionale nei primi periodi di vita e poi soggette o alla scomparsa o all’integrazione in una
struttura oligopolistica.
Penso sia importante chiarire la differenza tra innovazioni incrementali e competence-
enhancing: queste ultime, come anche le competence-destroying, modificano in modo
significativo la relazione esistente tra prezzo e performance e, inoltre, creano una situazione di
incertezza in quanto le imprese devono gestire tecnologie, prodotti e processi più o meno nuovi
e, spesso, non completamente compresi.
3 Dosi (1982) definisce un paradigma tecnologico come uno schema di soluzione per determinati problemi tecnologici. Nuovi paradigmi rappresentano discontinuità nelle traiettorie del progresso definite dai paradigmi precedenti.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 19
Infatti, le discontinuità tecnologiche, in misura maggiore se competence-destroying, inducono
un periodo di fermento e incertezza poiché la tecnologia deve stabilizzarsi e devono essere
ridefinite e settate le relazioni esistenti tra prezzo e performance; inoltre, potrebbe rendersi
necessaria l’apertura di nuovi mercati per sopportare la crescita e i cambiamenti introdotti dalle
innovazioni stesse. Da ciò segue che esse comportano delle modifiche nell’ambiente produttivo
e competitivo; è importante che le compagnie possiedano skill manageriali adatti in quanto non
è necessario solo gestire l’innovazione ma anche i cambiamenti da essa apportati.
E’stato dimostrato che le organizzazioni che riescono a sfruttare i cambiamenti tecnologici fin
dall’inizio hanno tassi di crescita più elevati.
Secondo Tushmann e Anderson, l’evoluzione della tecnologia è pesantemente legata al ciclo di
vita del prodotto. Infatti le varie discontinuità si alternano ai cambiamenti incrementali soltanto
finché si ha l’emergere di quello che Utterbach e Abernathy (1975) chiamano dominant design,
cioè un prodotto standard con caratteristiche definite, che pone fine al periodo di fermento
tecnologico; nelle ultime fasi del ciclo di vita del prodotto, invece, avvengono solamente
innovazioni di tipo incrementale.
Ritengo sia importante sottolineare la differenza dell’azione di distruzione delle competenze
esistenti portata da un’innovazione sulla tecnologia e sui prodotti: normalmente tale distinzione
non viene contemplata ma gli effetti sono diversi e ritengo meritino un accenno. La tecnologia
è maggiormente legata ad un processo che può essere definito creative accumulation: cioè, in
genere, quando una tecnologia è sostituita da una nuova, si tende ad innescare un processo di
accumulazione delle conoscenze nuove con quelle presenti. Difficilmente le tecnologie
scompaiono del tutto dopo che sono state soppiantate ma riemergono nel tempo, magari per
applicazioni che si discostano da quelle originali. Invece, con un cambiamento a livello di
prodotto, si tende ad avere un processo di creative destruction, in quanto dal momento che i
prodotti operano nei mercati, essi sono soggetti ad una competizione più forte che difficilmente
permette delle integrazioni.
Come sottolinea Clark4 (1985), possono verificarsi dei cambiamenti tecnologici che non
introducono significative modifiche a competenze e conoscenze delle imprese, ad esempio
possono anche non essere brevettate, ma che causano un forte impatto sull’utilizzatore, per il
quale sono competence-destroying. Questo dimostra che per una comprensione più
approfondita delle varie innovazioni e dei loro effetti sul sistema nel quale vengono introdotte è
necessario estendere la considerazione ad un numero maggiore di variabili. In queste pagine
4 Citato in Simonetti (1991)
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 20
proponiamo i principali risultati ottenuti in letteratura che partono sempre dalla distinzione
base delle innovazioni tra incrementali e radicali.
E’importante considerare due precisazioni: innanzitutto le definizioni trovate non
rappresentano degli schemi rigidi e, in secondo luogo, esse non definiscono univocamente
un’innovazione, dal momento che ogni compagnia è differente dalle altre e presenta delle
reazioni diverse.
Abernathy e Clark (1985) valutano la capacità di un’innovazione di influenzare le risorse e gli
skill di un’impresa, cioè il fatto che essa sia conservativa o radicale (la definizione di
conservativo e radicale è del tutto simile a quella di Tushmann e Anderson di competence-
enhancing e competence-destroying), secondo due punti di vista: quello della tecnologia e dei
prodotti e quello dei clienti e dei mercati. Da ciò gli autori ritengono dipenda l’influenza dei
cambiamenti tecnologici sullo scenario competitivo.
Le innovazioni sono, quindi, raggruppate nella matrice in figura 2.1, chiamata Transilience
Map5.
Figura 2.1 La Transilience Map (Fonti: figura 1 di pag.8 di Abernathy e Clark, 1985)
Secondo gli autori è fondamentale che le organizzazioni si trovino a gestire tutti i quattro tipi di
innovazioni contemporaneamente e che diano spazio soprattutto a quelle architetturali, poiché
ridefinendo l’ambiente competitivo creano nuove opportunità, seguite dalle regolari, che hanno
un effetto di stabilizzazione e miglioramento.
Henderson e Clark (1990) riprendono la classificazione delle innovazioni in competence-
enhancing e competence-destroying introdotta da Tushmann e Anderson, denominandole
incrementali e radicali; secondo gli autori, però tale distinzione è incompleta. Infatti ci sono
5 Per transilience si intende la capacità di un’innovazione di influenzare risorse, skill e conoscenze esistenti delle organizzazioni.
INFLUENZA SU TECNOLOGIA E PRODOTTI Conservativo Radicale
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INNOVAZIONI DI NICCHIA
INNOVAZIONI ARCHITETTURALI
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INNOVAZIONI
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INNOVAZIONI RIVOLUZIONARIE
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 21
stati esempi di innovazioni apportatrici solo di miglioramenti di bassa entità sulla tecnologia
esistente, quindi apparentemente incrementali, che hanno causato importanti cambiamenti sullo
scenario competitivo, cioè si sono comportate da radicali6. Per spiegare questi fenomeni gli
autori propongono di concentrare l’attenzione sul modo in cui i cambiamenti tecnologici
influenzano i componenti di un prodotto e la sua architettura, cioè l’insieme delle connessioni
tra i vari elementi, come è illustrato a matrice in figura 2.2.
Figura 2.2 Classificazione delle innovazioni in base all’impatto sui componenti e sulle loro connessioni (Fonte: Figura 1 di pag.12 di Henderson e Clark,1990) Sono le innovazioni architetturali7 a rappresentare le opportunità migliori per le organizzazioni
ma esse risultano anche le più difficili da gestire. Per prima cosa possono venire facilmente
scambiate per incrementali, secondariamente esse richiedono la modifica di alcune delle
conoscenze esistenti dell’organizzazione. Le conoscenze relative all’architettura dei prodotti
tendono ad essere incorporate nella struttura dell’organizzazione, in quanto essa è sviluppata
attorno all’architettura del prodotto stessa, e quindi ad essere implicite. Anche le azioni dei
membri operanti nell’impresa sono legate alle conoscenze architetturali presenti poiché si
basano sulle routines che riflettono la struttura e la cultura dell’organizzazione. Risulta, quindi,
6 Un caso significativo è rappresentato da RCA e Sony. Verso la metà degli anni’50 RCA inventò un prototipo di radio a transistor portatile costruita essenzialmente sulle conoscenze esistenti che non venne mai introdotta sul mercato perché considerata inferiore a livello tecnologico. Sony, una piccola compagnia giapponese, prese in licenza la tecnologia e la sfruttò per entrare nel mercato americano in cui guadagnò una posizione competitiva centrale. RCA, nonostante fosse inventore e possessore della tecnologia, rimase sempre in una posizione di secondo piano offrendo prodotti inferiori 7 Il termine architetturale usato da Henderson e Clark (1990) si differenzia da quello di Abernathy e Clark (1985). Secondo quest’ultimo studio le innovazioni architetturali vengono definite tali poiché portano ad una ridefinizione dell’industria introducendo nuovi prodotti per nuovi mercati, in Henderson e Clark, invece, si fa riferimento all’architettura dei prodotti.
COMPONENTI (CONCETTI BASE) Rinforzati Modificati
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INNOVAZIONI INCREMENTALI
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INNOVAZIONI
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INNOVAZIONI
RADICALI
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 22
molto difficile definire le modifiche necessarie, a livello di architettura, e, in seguito,
realizzarle perché implicano modifiche nella struttura aziendale stessa; questo passo risulta,
però, necessario per avere la possibilità di sfruttare le grandi potenzialità di questo tipo di
innovazioni. In questa situazione i nuovi entranti possono trovarsi avvantaggiati in quanto non
hanno ancora una struttura fortemente dipendente dall’architettura dei prodotti.
Ritengo che uno dei punti fondamentali dello studio di Henderson e Clark sia quello di aver
sottolineato la diversità dell’impatto delle stesse innovazioni sulle diverse imprese e di averlo
fatto dipendere non da caratteristiche intrinseche alle innovazioni stesse, ma da fattori esterni
ad esse, concernenti l’organizzazione e l’ambiente competitivo, come la capacità a livello di
management di costruire una struttura flessibile in grado di cogliere le opportunità offerte dalle
varie innovazioni introducendo le modifiche opportune.
La radicalità o l’incrementalità dei vari cambiamenti tecnologici può anche essere definita a
partire dai clienti e dai mercati a cui sono rivolti. In genere, quando una nuova tecnologia è
stata concepita per servire una diversa tipologia di clienti, essa va ad intaccare l’insieme delle
competenze esistenti delle imprese (Christensen e Bower8, 1996). Benner e Tushmann (2003)
ampliano la questione definendo incrementali le innovazioni pensate per i bisogni dei clienti
attuali e basate su conoscenze organizzazionali esistenti, cioè aventi un carattere sfruttativo. Le
innovazioni radicali, invece, sono dette esplorative in quanto si basano su una nuova
tecnologia, sono state proposte per nuovi utilizzatori e mercati emergenti e si discostano dagli
skill posseduti dalle organizzazioni. Entrambe queste forme di innovazione, secondo gli autori,
sono essenziali per il successo di una compagnia che deve sapere sia migliorare la propria
efficienza sia innovarsi per il mantenimento del vantaggio competitivo.
2.3.3 Innovazioni tecnologiche: impatto sulla struttura industriale (imprese insediate vs
nuovi entranti)
Finora è stata esaminata l’influenza delle innovazioni tecnologiche su competenze, conoscenze
e skill in possesso delle imprese considerando, in particolare, l’impatto sui componenti e
l’architettura dei prodotti, sui mercati e sui clienti. Da ciò è emerso che quando un
cambiamento tecnologico intacca la struttura, le conoscenze e gli skill di un’organizzazione
(nello specifico richiede modifiche all’architettura dei prodotti, quindi alla struttura aziendale,
si rivolge a mercati emergenti o si fonda su un nuovo sapere tecnologico che si discosta
8 Citato in Benner e Tushmann (2003).
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 23
significativamente da quello esistente) le imprese già insediate in un’industria appaiono
svantaggiate rispetto a quelle emergenti e spesso intraprendono un processo di declino. Esse
risultano molto più propense, invece, ad introdurre e sviluppare cambiamenti incrementali,
anzi, in molti casi, tendono a fondare proprio su questo il loro vantaggio competitivo.
La letteratura ha offerto diverse spiegazioni, che si completano l’una con l’altra, riguardo la
difficoltà delle imprese esistenti nel gestire e adottare innovazioni competence-destroying.
Studi come quello di Henderson (1993) propongono un’ interpretazione economica basata sui
diversi incentivi che hanno le imprese esistenti ed emergenti nell’adozione di una nuova
tecnologia che induce cambiamenti nelle loro competenze. Nelle prime l’incertezza che deriva
da un cambiamento tecnologico ha un impatto molto più profondo in quanto esse operano già
con una tecnologia che spesso offre ritorni positivi, seguendo schemi di azioni testati e validati
da anni di esperienza. Esse sono disincentivate anche ad investire in tecnologie che potrebbero
creare condizioni di disequilibrio nell’ambiente competitivo stravolgendo il loro potere di
mercato.
Accanto alle motivazioni economiche ci possono essere delle spiegazioni che fanno riferimento
alla teoria dell’organizzazione ed, in particolare, all’inerzia organizzativa, cioè la forza che
rende le imprese lente ad ogni modifica e cambiamento che esula il normale procedere che fa
riferimento alle routines e alla rigidità della leadership. E’importante precisare che l’inerzia è
incorporata nelle organizzazioni stesse e può essere causata da diversi fattori. Una prima fonte
di inerzia è rappresentata dalle routines, in quanto spesso le imprese hanno costituito degli
schemi di azioni talmente forti e radicati da essere seguiti alla cieca, senza una valutazione
della loro efficacia o dei loro limiti. Un secondo elemento che genera inerzia sono le relazioni e
gli impegni che le compagnie sviluppano con gli attori dell’industria in cui competono come
clienti, fornitori, investitori e impiegati. Anche l’insieme dei valori che unificano ed ispirano i
membri delle organizzazioni non fanno altro che fossilizzare la struttura verso il passato e
verso tutto l’insieme di azioni e tecnologie che ne hanno determinato al crescita, lo sviluppo e
il successo ma che col tempo, inevitabilmente, diventano sempre meno efficaci.
Come sottolinea Sull (1999a), non sempre le compagnie esistenti si trovano in svantaggio
rispetto a quelle emergenti perché non agiscono ma perché non lo fanno nel modo appropriato.
Un esempio è dato da Firestone che, pur non essendo impreparata all’introduzione dei
pneumatici radiali sul mercato americano e pur avendo investito in nuovi impianti e nella
conversione di quelli esistenti, non seppe adottare nel modo corretto la nuova tecnologia e subì
pesanti perdite nel corso degli anni successivi, fino all’acquisizione da parte di Bridgestone. Il
fallimento della compagnia americana fu dovuto al fatto che i nuovi investimenti non furono
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 24
accompagnati anche da una cambiamento nel modo di agire e di approccio alla nuova
tecnologia.
Sull definisce questo fenomeno active inertia (“inerzia attiva”), allargando il concetto di
inerzia stessa; essa non è più soltanto la forza che rallenta ed inibisce lo sviluppo delle
organizzazioni verso una nuova tecnologia ma rappresenta anche una forza che rende difficile
il ritorno una volta imboccata una strada sbagliata. Le organizzazioni si stanno rendendo conto
che il loro principale nemico è la paralisi ma esse non devono pensare di sconfiggerlo
semplicemente con l’azione, ma con un’azione ponderata e mirata.
Anche le scelte manageriali delle organizzazioni stesse possono determinare la facilità o meno
incontrata nell’adozione di un determinato tipo di tecnologia. Un esempio è costituito
dall’applicazione del process management, ossia dell’organizzazione dell’impresa basata sui
processi9. L’organizzazione per processi ha preso piede in questi ultimi anni in quanto è uno
degli elementi che sta alla base del Total Quality Management (TQM) abbracciato da
moltissime compagnie attraverso le certificazioni ISO 9001 o Six Sigma.
Dal momento che l’organizzazione per processi si basa sulla ripetizione continua di attività,
essa stabilizza e rafforza le routines esistenti e i loro collegamenti. Inoltre il TQM è focalizzato
sui bisogni del cliente: in questo modo facilita le innovazioni incrementali e volte a mercati e
utilizzatori conosciuti mentre ostacola quelle radicali o che richiedono lo sviluppo di nuovi
mercati (Benner e Tushmann, 2003).
Già Henderson e Clark (1990), a differenza dei lavori precedenti, sottolineano l’importanza
della struttura manageriale nella determinazione dell’impatto delle innovazioni sulle
organizzazioni. Gli autori affermano come non sia detto che il passaggio verso una nuova
tecnologia più profittevole non avvenga ma spesso sia intrapreso con troppo in ritardo, con
spiacevoli conseguenze sulla posizione competitiva.
Foster (1988) propone una spiegazione alla capacità delle organizzazioni di saper gestire una
nuova tecnologia che fa riferimento alla loro cultura. Nella maggioranza dei casi, infatti, il
management è fortemente radicato alla tecnologia esistente, soprattutto se essa è profittevole,
in quanto rappresenta una fonte di sicurezza se comparata con l’incertezza associata ad una
nuova. Esso risulta fortemente limitato dal fatto di non sapere tenere in considerazione i limiti
della tecnologia posseduta, sovrastimando il suo range di miglioramento possibile, e di non
saper definire con precisione il mercato attuale e quello che creerebbe la nuova tecnologia.
9 Tale tipologia organizzativa è nata da una filosofia sviluppata verso la metà degli anni’80 (i maggiori sostenitori furono Ishikawa, Deming e Juran) per la quale un’organizzazione non è altro che un insieme si processi interrelati.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 25
Christensen e Rosenbloom (1995), partendo dai risultati raggiunti dalla letteratura precedente,
propongono un’altra spiegazione per le conseguenze diverse che un’innovazione può
determinare sulle varie imprese, che parte da considerazioni strategiche. Gli autori fanno
riferimento al concetto di value network, definito come il contesto in cui un’impresa opera e
risolve i problemi e le richieste dei clienti; i suoi confini e i suoi scopi sono stabiliti da ciò che
Dosi (1982) chiama paradigma tecnologico e dalle corrispondenti traiettorie10.
In un’industria si sviluppano quindi molti value network paralleli, ognuno attorno a diversi
paradigmi tecnologici. Le organizzazioni si impadroniscono di una tecnologia e si insediano e
sviluppano attorno al value network in cui essa ha più valore. Con il passare del tempo, però,
esse si adattano sempre di più alle competenze che esso richiede e accrescono le barriere alla
mobilità verso altri network. Quindi, la capacità di un’impresa già operante di adottare con
successo una determinata innovazione tecnologica dipende dalla sua posizione nel value
network e dal fatto che essa ricada nelle traiettorie di progresso di uno esistente o che richieda
la creazione di uno nuovo. In quest’ultimo caso l’organizzazione deve avere la capacità di
identificare i limiti del proprio value network e di modificare le strategie per entrare nel
mercato emergente proposto dalla nuova tecnologia.
In questi ultimi anni in letteratura si stanno rivedendo alcune assunzioni; autori come Hill e
Rothaermel (2003) sottolineano che c’è una variazione significativa nella performance delle
organizzazioni che si trovano a dover affrontare delle discontinuità tecnologiche. Questo
invalida il modello secondo cui le innovazioni tecnologiche radicali hanno un effetto disastroso
sulla competitività delle imprese già insediate in un settore mentre quelle incrementali
rafforzano la loro posizione aumentando le barriere all’entrata. Numerosi esempi hanno
dimostrato che le compagnie già operanti in un’industria possono riuscire ad adottare
un’innovazione radicale, a sopravvivere e a mantenere i livelli di performance del passato; in
molti casi, anzi, sono esse stesse gli introduttori di questi cambiamenti tecnologici.
Gli autori rilevano dei comportamenti che permettono alle organizzazioni di sopravvivere e
mantenere il loro successo nel caso di innovazioni radicali. Per prima cosa esse devono cercare
di evitare la morte prematura di tecnologie di potenziale successo, identificando le tecnologie
emergenti e valutando le loro possibilità di espansione futura. Le imprese devono sapersi
10 Christensen e Rosenbloom distinguono l’aggettivo competence-destroying da quello radicale. Un’innovazione competence-destroying distrugge le competenze esistenti delle imprese e comporta significativi cambiamenti nella tecnologia, nel sistema di produzione e nei mercati ma non è detto che richieda un nuovo value network, cioè la ridefinizione dell’intero sistema, che coinvolge anche altre industrie, in cui l’impresa opera, contrariamente ad una radicale.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 26
discostare dai modelli tradizionali di teoria degli investimenti secondo i quali il valore attuale
di un’innovazione incrementale è sempre maggiore di una radicale poiché quest’ultima
comporta una maggiore incertezza. L’organizzazione deve investire sia in ricerca di base che
applicata attorno alla nuova tecnologia. E’molto importante che queste due forme di ricerca
siano integrate orizzontalmente perché se no si rischia di non giungere alla
commercializzazione di gran parte delle idee sviluppate dalla ricerca di base e che l’applicata
non parta dalle considerazioni ottenute da quella di base.
In secondo luogo le organizzazione devono operare in modo da attenuare le forze di inerzia.
Tale processo è facilitato quando ogni individuo può godere di libertà di azione: anche nel caso
in cui le sue decisioni non aderissero perfettamente alla strategia comune, dovrebbero venire
comunque legittimate.
Un’innovazione radicale può anche necessitare di un nuovo sistema di business per essere
gestita. Le imprese, quindi, devono possedere al loro interno la flessibilità strutturale,
organizzazionale e culturale per far fronte a ciò; una struttura multidivisionale, in questo caso,
può essere molto di aiuto.
Inoltre, ogni innovazione radicale agisce sulla catena del valore delle imprese, diminuendo
inizialmente la creazione di valore, ad esempio influenzando il valore della R&S accumulata.
Se un’innovazione è definita radicale per il fatto che cambia la conoscenza di base, le
caratteristiche del prodotto e il sistema produttivo ma non altera la commercializzazione e le
attività a livello più basso della catena del valore, essa può essere acquisita e sviluppata
facilmente dalle imprese già operanti. Risorsa molto importante nella mani di queste ultime è la
possibilità di stringere alleanze con le nuove compagnie in modo da sfruttare le proprie
conoscenze in commercializzazione, vendite e marketing ed avere facile accesso alle nuove
conoscenze. Quando le innovazioni radicali interferiscono pesantemente sia sulla attività ad
alto che a basso livello della catena del valore, risulta molto difficile per le imprese insediate
sopravvivere (Benner e Tushmann, 2003).
Può risultare rilevante anche il tempo che intercorre tra l’invenzione e la commercializzazione
di un nuovo prodotto (gestation period): più esso è elevato, più le imprese esistenti hanno
probabilità di sviluppare con successo la nuova tecnologia dal momento che le loro azioni sono
sempre appesantite dall’inerzia. Anche la storia passata di un’organizzazione gioca un ruolo
importante, infatti se già si è saputo cogliere e sfruttare un’innovazione radicale sarà più facile
ripetersi anche in futuro (Benner e Tushmann, 2003).
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 27
2.4 Il ciclo di vita del prodotto
2.4.1 Modelli di ciclo di vita del prodotto
Il primo studio ad introdurre il concetto di ciclo di vita di un prodotto è quello di Utterback e
Abernathy (1975). Gli autori partono dalla rilevazione delle interdipendenze tra prodotto e
relativo processo produttivo e identificano tre fasi di sviluppo incontrate da un prodotto, dalla
sua ideazione e introduzione sul mercato fino alla maturazione. Lo studio non si limita a
sottolineare le relazioni tra prodotto e processo ma prende in considerazione un range più
ampio di variabili; filo conduttore dell’analisi è il processo innovativo che si snoda attraverso
gli stadi di sviluppo del prodotto e del suo sistema produttivo. Questi elementi, a loro volta,
contribuiscono a definire le strategie di competizione e crescita delle organizzazioni e le
caratteristiche dell’industria.
Come mettono in luce gli stessi autori, lo studio presenta delle limitazioni. In primo luogo
quello proposto non è un percorso obbligato: in alcuni casi il processo di sviluppo di un
prodotto e degli altri elementi ad esso connessi può fermarsi per lunghi periodi o, addirittura,
subire delle inversioni di tendenza. Secondariamente questa analisi è stata sviluppata più di
venticinque anni fa quando le caratteristiche dei processi di produzione, degli studi riguardanti
l’organizzazione aziendale e di molte altre variabili in gioco erano molto differenti da quelle
odierne.
In base al modello proposto da Utterback e Abernathy, la nascita di un nuovo prodotto avviene
in un ambiente competitivo caratterizzato da numerose imprese, alcune già insediate
nell’industria e altre nuove, che iniziano ad avvicinarsi ad una nuova tecnologia, rispondendo a
bisogni ed opportunità emergenti nel mercato. I prodotti proposti dai vari competitori
presentano caratteristiche molto diverse tra loro, la gara all’innovazione è aperta ed ogni
compagnia cerca di emergere. I cambiamenti tecnologici maggiori si concentrano a livello di
prodotto più che di processo: quest’ultimo risulta inefficiente e non presenta alcun tentativo di
automazione. Lo scopo delle organizzazioni è lo sviluppo della nuova tecnologia e la ricerca di
un avanzamento della sua frontiera di performance. Questo stadio è definito dagli autori
“unconnected” per sottolineare la flessibilità che caratterizza lo scenario competitivo che è in
grado di rispondere velocemente ai passi in avanti effettuati dalla tecnologia, ai differenti
bisogni del mercato e ai cambiamenti ambientali.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 28
A questo punto inizia ad emergere un dominant design, cioè il prodotto diventa sempre più
definito, le sue caratteristiche più standardizzate e i bisogni del cliente più precisi. Abernathy11
(1978) definisce il dominant design come un’architettura singola che stabilizza e domina una
classe di prodotto.
Dato che la tecnologia a livello di prodotto ha raggiunto un elevato grado di avanzamento,
l’innovazione si concentra maggiormente sul processo produttivo per il quale iniziano delle
forme di automazione. In questa fase, denominata “segmental”, si ricerca la stabilizzazione e la
diffusione della tecnologia, attraverso la massimizzazione delle vendite, e la competizione si
basa principalmente sul prezzo.
Man mano che procede lo sviluppo del prodotto l’incertezza che lo accompagna diminuisce.
Una volta raggiunta la maturità (stadio “sistemico”) le sue caratteristiche sono ormai
pienamente standardizzate, il processo di produzione definito e automatizzato e le innovazioni
si manifestano solo in forma incrementale. La struttura dell’industria tende ad essere
oligopolistica in quanto nelle fasi precedenti si è completato ormai il processo di selezione tra i
competitori. Dal momento che il prodotto diventa sempre più statico e fossilizzato nelle sue
caratteristiche, i concorrenti operano prevalentemente ricercando una continua riduzione dei
costi.
Ritengo che un limite del lavoro di Utterback e Abernathy sia quello di aver proposto un unico
ciclo di sviluppo per ogni prodotto. A questo proposito è presentato lo studio di Anderson e
Tushmann (1990) in cui viene eliminata la relazione biunivoca tra dominant design e prodotto.
In altre parole essi non fanno corrispondere un ciclo di sviluppo ad un determinato prodotto ma
ad un dominant design. In questo modo un prodotto, nell’arco della sua vita, può subire diversi
cicli di sviluppo, maturità e decadenza, ognuno relativo all’introduzione di una discontinuità
tecnologica che conduce alla nascita di un dominant design.
Secondo Anderson e Tushmann il cambiamento tecnologico è caratterizzato da una serie di
discontinuità che accadono stocasticamente in un ambiente caratterizzato da innovazioni
incrementali. Le nuove discontinuità, che possono avere un effetto sia di miglioramento e
stabilizzazione che distruttivo nei confronti delle conoscenze e delle competenze in possesso
delle imprese, appaiono in seguito ad eventi random riguardanti anche il contesto politico e
socio-culturale. Con l’emergere delle varie discontinuità tecnologiche, inizia una fase di
selezione delle tecnologie accompagnata da fermento ed incertezza fino alla formazione di un
dominant design. In seguito a questo evento termina il periodo di fermento ed inizia un
11 Citato in Anderson e Tushmann (1990)
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 29
processo di evoluzione incrementale dello standard, che, quindi, non ha alcun effetto sulla
frontiera prezzo-performance, fino ad un ulteriore avanzamento della tecnologia portato da una
nuova discontinuità che determina l’inizio di un nuovo ciclo.
Nel periodo di fermento si assiste a due principali forme di competizione: innanzitutto tra la
tecnologia presente e quella nuova, ma anche tra le varie versioni di quest’ultima emerse tra i
concorrenti. Gli impieghi della tecnologia proposti dai vari competitori tendono ad essere
diversi perché le nuove conoscenze non sono ancora state assimilate e comprese pienamente e
perché essi hanno interesse a diversificarsi. Addirittura possono emergere anche forme
applicative della stessa tecnologia incompatibili tra loro (un esempio è dato dallo sviluppo dei
primi computer nella seconda metà degli anni’60). Una discontinuità tecnologica non ha la
forza e il grado di sviluppo necessari a trasformarsi in un dominant design, quindi, questa fase
di competizione e di avanzamento lungo la curva di esperienza da parte delle organizzazioni
risulta necessaria. Il processo di selezione è molto lento, specie se la discontinuità da cui parte
è competence-destroying, fino alla dimostrazione della superiorità delle nuova tecnologia
rispetto a quella esistente.
La nascita di un dominant design è influenzata da diversi fattori. Le condizioni necessarie per
l’emergere di uno standard sono rappresentate da una domanda abbastanza elevata e dalla
presenza di competizione tra varie applicazioni della nuova tecnologia o del nuovo prodotto.
Quando ci si trova in una situazione di bassa appropriabilità, cioè l’imitazione risulta facile, è
più probabile che le imprese si orientino verso la formazione di un unico standard. Al
contrario, in condizioni di elevata appropriabilità, l’emergere di un dominant design dipende
dalle scelte strategiche delle imprese: esse dovrebbero cercare di utilizzare gli strumenti in loro
possesso, come brevetti e concessioni di licenze, per contribuire alla diffusione della loro
tecnologia. Esse dovrebbero anche estendere il loro potere di mercato, ad esempio trovando un
cliente strategico (come lo stato o l’esercito) che permetta una vasta acquisizione del proprio
standard. La variabile che gioca il ruolo più decisivo nello sviluppo di un dominant design è il
mercato: infatti, molte volte la tecnologia che emerge non è la migliore (un esempio è
rappresentato dall’adozione della tastiera “Qwerty” nei pc) ma presenta delle caratteristiche tali
per cui presenta un migliore grado di accettazione. Quindi, in genere, il dominant design non è
localizzato sulla frontiera della performance tecnica. Come puntualizzano Anderson e
Tushmann, esso è frutto di dinamiche socio-politiche e di compromessi tra gli attori del
sistema.
E’ solo dopo il suo sviluppo che la tecnologia inizia a diffondersi e che si hanno effetti e
cambiamenti sulla struttura dell’industria. Infatti, è solo a questo punto che le vendite
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 30
raggiungono l’apice in quanto inizia la diffusione di massa, poiché i possibili adottatori
aspettano che emerga lo standard prima di investire in esso.
Gli autori sottolineano che la fase di miglioramento incrementale conseguente lo standard è
determinante in quanto è qui che avviene il maggior contributo innovativo all’industria: essa va
intrapresa anche se contemporaneamente le compagnie stanno già lavorando a nuove
discontinuità tecnologiche.
2.4.2 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura dell’industria
Klepper (1996) allarga ulteriormente il concetto di ciclo di vita del prodotto valutando che il
processo innovativo, che ne è alla base, il fenomeno di entrata e uscita delle varie compagnie
dall’ambiente competitivo e la struttura del mercato seguono un percorso di sviluppo comune
partendo dall’introduzione di un nuovo prodotto. In questo modo Klepper fa dipendere
strettamente l’evoluzione e la struttura di un’industria dal ciclo di sviluppo di un nuovo
prodotto, o meglio di un dominant design nato da una nuova tecnologia.
Alla base di queste assunzioni stanno le regolarità trovate attraverso l’analisi empirica
dell’evoluzione di numerose industrie, tra cui quella del pneumatico per automobili negli Stati
Uniti.
Quando emerge una nuova tecnologia le conoscenze in possesso dei vari concorrenti sono
limitate, quindi entrano nel settore anche una serie di piccole compagnie con esperienze in
tecnologie correlate12. Il numero dei potenziali entranti è limitato in quanto essi devono operare
con elevati standard qualitativi e di performance e bassi costi medi per stare al passo con la
concorrenza (Klepper e Graddy, 1990).
La forza trainante questa prima fase è l’innovazione di prodotto volta al soddisfacimento dei
bisogni del cliente.
Man mano che il ciclo si evolve, l’output dell’industria cresce mentre il prezzo si abbassa e gli
adottatori di successo iniziano a rimpiazzare i rivali meno efficienti, soprattutto nell’imitazione
dei concorrenti (Klepper e Graddy, 1990).
A questo punto, in molte industrie, tra cui quella del pneumatico, si assiste ad un fenomeno che
Klepper definisce shakeout, cioè una consistente e rapida diminuzione del numero di imprese,
12 Nelle varie industrie non si è assistito ad un unico andamento delle entrate nel tempo: in alcuni casi, esse hanno iniziato a decrescere fin dall’inizio, in altri nei primi periodi il loro numero è aumentato per poi seguire un trend decrescente.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 31
che verrà analizzata in modo più approfondito in seguito. Di conseguenza le quote di mercato,
la struttura e la concentrazione dell’industria, l’output e il prezzo cominciano a stabilizzarsi.
L’innovazione tende a concentrarsi dapprima sul processo produttivo e poi a diventare
incrementale. Contrariamente ad Utterback e Abernathy (1975), Klepper (1996) precisa che
alcuni miglioramenti, anche sostanziali, al sistema di produzione avvengono anche prima
dell’emergere dello standard.
Le imprese che sopravvivono, secondo Klepper, sono quelle che appartengono al primo gruppo
di entranti, cronologicamente parlando, in quanto hanno subito elevati incrementi nel potere di
mercato e profitti oltre la media.
In quest’ultimo stadio le variabili che influenzano maggiormente le azioni competitive delle
imprese sono la loro dimensione e il potere innovativo. Secondo l’autore questo secondo
fattore è strettamente connesso al primo in quanto la capacità di svolgere ricerca e sviluppo e i
ritorni da essa derivati sono proporzionali alla grandezza dell’impresa.
Dal lavoro di Klepper e Graddy (1990) emerge che a determinare la velocità di questo processo
di sviluppo sono le opportunità tecnologiche offerte dai nuovi prodotti e i bisogni del cliente:
più c’è spazio per sviluppare la nuova tecnologia e più le richieste e le necessità degli
utilizzatori sono eterogenee e poco definite, più il ciclo risulta lento.
Come puntualizzano gli stessi autori (Klepper e Graddy, 1990 e Klepper, 1996), il modello
presentato è il risultato dell’analisi di regolarità comuni a molte industrie durante lo sviluppo di
un nuovo prodotto ma non va assunto come uno schema fisso e sempre valido. Infatti i cicli di
sviluppo delle varie industrie si differenziano a causa di fattori casuali ed endogeni tra cui il
grado di incertezza portato dalla nuova tecnologia e la capacità delle compagnie di appropriarsi
dei ritorni dell’attività innovativa, ad esempio tramite brevetti e concessione di licenze.
2.4.3 Lo shakeout
Come si è visto nel paragrafo precedente, dopo una crescita iniziale del numero di imprese,
molte industrie sperimentano uno shakeout nel quale si registra l’uscita anche del 90% delle
compagnie operanti articolata in un periodo di tempo relativamente breve (quindici-venti anni).
Si è deciso di approfondire lo studio sullo shakeout e le cause che lo determinano dal momento
che esso ha caratterizzato anche l’industria del pneumatico attorno agli anni’20 (Klepper e
Miller, 1995; Klepper, 1996; Klepper e Simon, 1997).
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 32
In questi ultimi anni sono state sviluppate diverse teorie esplicative, alcune basate sul
cambiamento tecnologico e altre su fattori non correlati all’aspetto tecnologico (ad esempio
processi di learning by doing).
Uno degli studi più significativi è quello proposto da Klepper e Simon (1997).
Prima di questo lavoro erano state sviluppate alcune teorie prevalentemente centrate sul
cambiamento tecnologico come forza determinante l’uscita della maggior parte delle imprese:
ne riportiamo due esempi.
Jovanovic e MacDonald (1994) sostengono che alla base di uno shakeout sta una discontinuità
tecnologica che dà origine ad un nuovo prodotto ed apre la strada a molte imprese emergenti.
Le varie compagnie sono fortemente condizionate nell’azione dalla loro esperienza passata,
quindi, quando inizia la fase di rifinimento e miglioramento dell’innovazione, per lo più
generata dalle imprese già insediate, non tutte sanno cogliere le opportunità offerte. Le imprese
che sfruttano questa fase di miglioramento incrementale espandono il proprio output e
rafforzano il loro potere di mercato, con una conseguente diminuzione del prezzo di vendita, le
altre escono, provocando lo shakeout. La rapida diminuzione del numero di imprese, quindi,
non è causata dall’innovazione in sé ma dai miglioramenti incrementali da essa richiesti. Se
questa fase risulta sufficientemente attrattiva, però, possono anche verificarsi delle ulteriori
entrate; in genere queste non sono troppo dilazionate nel tempo dal momento che si hanno
ritorni marginali decrescenti. Sono i nuovi entranti ad avere più probabilità di uscita visto che
hanno meno esperienza nell’industria.
Secondo Utterback e Suarez (1993), invece, lo shakeout è determinato dalla capacità o meno
delle imprese di adottare il dominant design emerso nell’industria. Esso, quindi, oltre ad essere
il perno centrale per il cambiamento e il progresso tecnologico, lo è anche per la sopravvivenza
delle organizzazioni. Con lo standard le entrate iniziano ad esaurirsi perché le innovazioni
tendono ad essere incrementali e, quindi, ad offrire meno opportunità.
Anche considerando la teoria di Utterback e Suarez gli ultimi entranti tendono ad essere più
svantaggiati dal momento che hanno meno familiarità con la tecnologia del dominant design.
In studi come Klepper (1996) e Klepper e Simon (1997) emerge un’altra visione dello
shakeout: esso è concepito come intrinseco al processo evolutivo delle industrie, che risulta
guidato dal cambiamento tecnologico. In altre parole la discontinuità incontrata dal numero di
imprese non viene più fatta risalire ad un evento esterno, come una particolare innovazione
tecnologica o l’emergere di un dominant design, ma ad uno interno.
Questo percorso di spiegazione si basa sul vantaggio delle grandi imprese, rispetto a quelle di
piccole dimensioni, nel produrre R&S, sia relativamente al prodotto che al processo.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 33
Le compagnie che entrano per prime in un’industria iniziano ad effettuare attività di R&S
ampliando le quote di mercato, dal momento che la ricerca di processo permette di abbassare i
costi di produzione ad esempio, innovano e il prezzo, di conseguenza, subisce una riduzione. I
nuovi entranti, con meno capacità innovativa, nella maggioranza dei casi, non hanno le
possibilità di competere in un contesto simile e vengono spinti fuori dando origine allo
shakeout. Con il decrescere del numero delle imprese, diminuiscono anche le versioni del
prodotto che circolano nel settore, e, quindi, le possibilità di imitazione in possesso delle
imprese; l’imitazione è vista dagli autori come uno strumento fondamentale per la
sopravvivenza.
2.4.4 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura del mercato
Il ciclo di vita del prodotto, oltre ad essere intimamente connesso con quello delle industrie,
presenta dei legami profondi anche con quello del mercato, come dimostrano Gort e Klepper
(1982).
Un’innovazione di prodotto si manifesta attraverso due fasi, l’invenzione prima e la
commercializzazione poi.
Quando un nuovo prodotto incomincia ad essere commercializzato, inizia un ciclo di sviluppo
del mercato stesso che accompagna il prodotto dalla fase espansiva fino alla maturità. L’ultimo
stadio di vita del prodotto si riflette sul mercato con una forte decadenza e contrazione.
Gort e Klepper propongono un modello di ciclo di vita del mercato che, a partire dalla
commercializzazione del prodotto, si snoda attraverso cinque fasi generali, che non vanno,
però, intese come passaggi fissi che devono essere necessariamente incontrati.
Questo ciclo, come anche gli altri approfonditi in questa sezione, è guidato dall’innovazione,
vista come processo continuo e non come collezione di eventi indipendenti.
La prima fase del ciclo di vita del mercato comincia con l’introduzione di un nuovo prodotto a
cui segue l’entrata dei primi competitori; la sua durata dipende dalla velocità con cui avviene la
comunicazione delle informazioni tecnologiche.
La seconda fase inizia con il pesante aumento del numero delle imprese per soddisfare la
domanda del nuovo prodotto. Le innovazioni provengono ancora principalmente dall’esterno
ed hanno un elevato impatto specialmente su costi e performance.
Con il terzo passo si ha una stabilizzazione tra entrate ed uscite dal settore.
A questo punto il processo innovativo inizia ad avere una fonte principalmente interna e ad
accrescere le barriere all’entrata. Nella quarta fase il numero dei competitori decresce a causa
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 34
di un aumento delle uscite per poi trovare un livello stabile nell’ultima che persiste finché il
prodotto non diventa obsoleto e una nuova discontinuità tecnologica di rilevante importanza dà
vita ad un nuovo ciclo.
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 35
2.5 Conclusioni
In questo capitolo è stata proposta una rassegna della letteratura, a livello teorico, al fine di
guidare lo studio verso una corretta definizione:
- del tipo di innovazione rappresentata dal pneumatico run-flat e dai nuovi sistemi produttivi,
- del loro impatto sulle teorie inerenti il ciclo di vita dei prodotti,
- della posizione del pneumatico run-flat nel ciclo di vita del pneumatico come prodotto
definito in senso ampio.
Riassumendo tutti i contributi offerti dalla letteratura presa in considerazione, possiamo
affermare che le innovazioni possono essere sostanzialmente divise partendo dai due estremi
seguenti. Da una parte quelle che introducono cambiamenti solo incrementali nelle conoscenze
delle organizzazioni, quindi che fanno riferimento e rinforzano la tecnologia, la struttura e le
competenze esistenti, che riguardano principalmente i componenti dei prodotti ed utilizzatori e
mercati conosciuti. Dall’altra i cambiamenti tecnologici che intaccano la struttura, le
competenze e le conoscenze in possesso delle imprese, ad esempio agendo sull’architettura dei
prodotti e concentrando l’attenzione su nuovi mercati.
Fin dallo sviluppo di queste teorie gli studiosi hanno sempre sottolineato come la prima
tipologia di innovazioni favorisse le imprese già insediate in un’industria, mentre la seconda
determinasse il loro declino in favore di nuove entità. Negli ultimi anni gli studi sull’argomento
hanno portato alla luce una nuova visione dell’impatto delle innovazioni sulle organizzazioni.
Un primo passo avanti è stato quello di dimostrare come esso non dipendesse da caratteristiche
intrinseche dell’innovazione, dal momento che una stessa tecnologia può avere effetti molto
diversi sulle varie imprese. Lavori come quello di Hill e Rothaermel (2003) hanno contribuito
ulteriormente ad una chiarificazione affermando che l’impatto di una determinata tecnologia
sulle compagnie non è già definito a priori, a causa di forze statiche incorporate in queste
ultime (rappresentate ad esempio dall’inerzia organizzativa o dalla posizione all’interno del
value network), ma dipende dalle azioni che esse intraprendono. Un’organizzazione, quindi,
deve dimostrarsi pronta all’adozione delle nuove tecnologie potenziando gli elementi che ne
permettono l’acquisizione ed avere al proprio interno la flessibilità necessaria per eventuali
cambiamenti organizzazionali e strategici.
Dallo studio effettuato emerge chiaramente come sia difficile e poco significativo fornire una
categorizzazione definita per ogni cambiamento tecnologico in quanto le conseguenze portate
dipendono pesantemente dal contesto nel quale essi avvengono e dalle caratteristiche di ogni
Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 36
adottatore. Il lavoro presentato nei prossimi capitoli, quindi, segue lo studio proposto da
Tushmann e Anderson (1986): cioè si prefigge di analizzare l’impatto delle innovazioni
considerate sulle competenze delle imprese adottatrici sottolineando le strategie intraprese per
l’acquisizione di nuove e per la loro gestione ed integrazione.
Il secondo filone di letteratura considerato è quello inerente il ciclo di vita del prodotto.
Come si è visto dalle pagine precedenti, questi due argomenti hanno dei legami profondi. Il
ciclo di vita del prodotto, infatti, è determinato dal cambiamento tecnologico, inteso come un
processo continuo e non come un insieme di innovazioni indipendenti.
Sintetizzando i lavori presentati sull’argomento, possiamo affermare che un’industria che
evolve nel tempo è caratterizzata dall’introduzione di diversi standard, ognuno dei quali
comporta lo sviluppo di un ciclo che non riguarda solo il prodotto ma anche la struttura
dell’industria stessa, il mercato e le strategie delle imprese.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 37
Terzo Capitolo
L’industria del pneumatico 1888-2003:
eventi, tecnologia e concentrazione
Questo capitolo propone una rivisitazione della storia dell’industria del pneumatico odierna,
dalla sua nascita, più di un secolo fa, fino all’introduzione del pneumatico run-flat, avvenuta
nei primi anni’90.
La presentazione del settore effettuata in queste pagine prende in considerazione tre variabili
principali: i singoli eventi storici, l’evoluzione della tecnologia e la crescente concentrazione
industriale. La combinazione di questi tre elementi conferisce all’industria quelle
caratteristiche originali che ne rendono interessante e stimolante lo studio.
In poco più di un secolo il pneumatico si è trasformato e con esso anche il suo processo di
produzione. Da prodotto con pesanti inefficienze che equipaggiava le prime biciclette ed
automobili, ha subito un lungo processo di miglioramento fino ad assumere delle caratteristiche
strutturali e di performance che possiamo definire standard, in quanto molto simili tra i vari
marchi. In questi ultimi anni il pneumatico è diventato un prodotto estremamente complesso,
con proprietà studiate e progettate dettagliatamente per rispondere alle elevate richieste dei
produttori di veicoli e degli utilizzatori finali. Durante questa fase di sviluppo del prodotto
anche il processo di produzione ha subito dei cambiamenti: in particolare si sono automatizzate
alcune fasi, come la formazione della mescola o l’assemblaggio dei vari elementi. La tendenza
dominante nella produzione al giorno d’oggi, tuttavia, consiste nel sostituire le vecchie linee
con sistemi altamente flessibili e automatizzati che permettono una notevole riduzione dei costi
e un innalzamento delle caratteristiche qualitative.
Il processo di evoluzione del pneumatico è stato accompagnato da un percorso analogo nella
struttura dell’industria. Se inizialmente essa era costituita da molte imprese di diverse
dimensioni e strategie, cioè più o meno diversificate nei prodotti, già verso gli anni’60 e ’70 ha
iniziato a delinearsi una struttura oligopolistica che si è consolidata sempre di più nel tempo ed
ha assunto un carattere globale.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 38
Ritengo che un aspetto peculiare di questo capitolo sia l’aver riunificato gli eventi che hanno
contraddistinto l’industria a livello mondiale. Questo è molto importante dato che oggi non è
possibile effettuare una distinzione a livello geografico dei mercati nei quali operano le
compagnie che trainano l’industria (cioè il gruppo di circa dieci imprese che si aggiudicano
quasi l’85% delle vendite). In passato la letteratura di settore si è dedicata in modo particolare
all’industria nord americana dal momento che ha affrontato fasi singolari, come vedremo in
seguito. Poca attenzione è stata, invece, attribuita a quella europea e asiatica. La prima è stata a
lungo dominata da un numero limitato di entità nazionali operanti per lo più a livello domestico
o in paesi limitrofi. Le compagnie orientali, principalmente giapponesi e coreane, sono entrate
in occidente solo in seguito all’espansione dei produttori di autoveicoli negli anni’70.
Le prime sezioni del capitolo sono, quindi, dedicate alla presentazione degli elementi che, nel
corso della storia, hanno avuto un ruolo determinante nel delineare l’industria del pneumatico
odierna.
La sezione 3.4 offre una presentazione di Pirelli sottolineando gli eventi salienti che ne hanno
caratterizzato lo sviluppo e hanno contribuito a determinare le sue azioni e strategie
competitive. Questo approfondimento permette di comprendere meglio la compagnia dal
momento che le conclusioni generali dello studio, tratte dell’analisi delle informazioni raccolte
sul settore, vengono supportate da dati ottenuti attraverso alcune interviste svolte all’interno.
L’Appendice 3.1 fornisce un conciso background conoscitivo utile ad una migliore
comprensione degli estratti più tecnici dello studio illustrando le proprietà principali del
pneumatico e le sue funzioni all’interno del sistema veicolo.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 39
3.1 I primi passi dell’industria del pneumatico
3.1.1 La nascita dell’industria e le prime innovazioni tecnologiche
Lo sviluppo della gomma, indispensabile per la nascita del pneumatico, è stato reso possibile
grazie all’interesse da parte di alcune imprese europee, agli inizi del XIX secolo, verso le
applicazioni industriali del caoutchouc1. Ben presto la sua lavorazione si espanse in Europa e
in Nord America, dove si conta che nel 1937 operavano una dozzina di compagnie (French,
1991). Così com’era, il settore offriva poche possibilità di espansione e miglioramento data la
bassa resistenza del prodotto, soprattutto alle variazioni di temperatura.
Un forte impulso al suo sviluppo venne portato nel 1839 da C.Goodyear che inventò il
processo di vulcanizzazione, tuttora determinante nella costruzione dei pneumatici. Si trattava
di un procedimento chimico in cui la gomma veniva fatta reagire con lo zolfo che provocava
una trasformazione da massa plastica a massa elastica, generando miglioramenti in termini di
flessibilità, impermeabilità e resistenza a varie temperature (Pirelli, 1997). Nel corso degli anni
questo processo divenne sempre più sofisticato, anche grazie all’aggiunta di nuovi additivi che
conferivano al pneumatico e al processo varie proprietà; si ricorda, ad esempio, il brevetto della
vulcanizzazione a freddo da parte di A.Parkes nel 1839.
Verso il 1870 nella nascente industria della gomma vennero introdotti due importanti
cambiamenti: lo spostamento della sede di alcuni produttori dalla costa orientale, tra New York
e il New Jersey, ad Akron, in Ohio, e l’introduzione della bicicletta, inventata in Francia che
creò un nuovo prodotto per l’industria, il pneumatico. Inizialmente le ruote delle biciclette
erano di legno foderato con acciaio ma risultavano molto rigide e poco manovrabili; un leggero
miglioramento fu portato dai pneumatici solidi di gomma, ma la vera innovazione fu introdotta
nel 1888 da Dunlop e consisteva in una struttura formata da tessuto di cotone gommato,
ricoperto da un battistrada di gomma, con all’interno una camera d’aria gonfiata attraverso una
valvola.
Grazie all’introduzione del pneumatico di Dunlop e all’incremento della domanda di biciclette,
l’industria incontrò un forte ampliamento. Entrarono molte imprese nuove dato che il mercato
offriva molto spazio poiché la maggior parte dei produttori già insediati, la cui produzione
constava principalmente di calzature ed oggetti in gomma, non aveva preso in considerazione il
pneumatico dal momento che non intravedeva nessuna particolare connessione con li propri
1 Una sostanza liquida ottenuta dalla corteccia di alberi (come la vite) in Sud America che veniva utilizzata dagli abitanti delle regioni amazzoniche per oggetti e calzature date l’elasticità e la resistenza all’acqua presentate.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 40
prodotti. L’industria del pneumatico, quindi, si sviluppò e si mantenne abbastanza indipendente
e slegata a quella della gomma.
Il mercato statunitense era formato da un gran numero di piccole imprese, tra cui molte
emergenti come Goodyear, ed era dominato da BFGoodrich e da Diamond Rubber. Le
compagnie provenivano sostanzialmente da due realtà: da una parte c’erano società, come,
appunto, Goodrich e Diamond Rubber, che lavoravano già nel settore della gomma, per cui il
pneumatico era solo una tra le tante linee produttive, dall’altra imprese, come Firestone e
Goodyear, che erano più giovani e avevano fatto della produzione del pneumatico il loro
business principale. Nonostante ci fosse questo divario di esperienze, mentalità e psicologia nel
gruppo, la forte crescita del settore tra il 1900 e il 1935 attuò un processo di omogeneizzazione
(Nelson, 1987).
In questi stessi anni si stava delineando anche l’industria europea con la nascita di Continental
in Germania, Pirelli in Italia, Dunlop in Gran Bretagna e Michelin in Francia, tra il 1871 e il
1889.
Alla fine del diciannovesimo secolo accadde un evento fondamentale nell’evoluzione
dell’industria del pneumatico: l’introduzione dell’automobile. I primi esemplari, mossi da
diversi tipi di trazione (a vapore, elettrica, a gasolio,..), erano equipaggiati da pneumatici solidi,
finché nel 1895 i fratelli Michelin presentarono e pubblicizzarono un pneumatico contenente
aria in pressione nella competizione automobilistica Parigi-Bourdeaux. L’attenzione di tutti i
produttori di pneumatici si rivolse, quindi, alla Francia, per carpire i segreti di questo nuovo
prodotto. Non poteva, infatti, verificarsi un pieno trasferimento di conoscenze dalla produzione
delle gomme per le biciclette in quanto le automobili erano molto più pesanti e veloci. Le due
sfide maggiori per i costruttori di pneumatici erano rappresentate dalla riduzione dell’attrito
interno e dal consentire lo smontaggio del prodotto per la riparazione assicurando
l’agganciamento alla ruota durante la marcia.
Ciò segnò il definitivo declino dell’era della bicicletta (negli Stati Uniti dal 1900 al 1904 il
mercato delle biciclette si ridusse ad un quarto) ma il suo sviluppo rimase determinante per
l’industria del pneumatico per veicoli, in quanto permise ai produttori di familiarizzare con la
tecnologia e di acquisire le competenze necessarie per affrontare il futuro con successo
(French, 1991).
Negli Stati Uniti all’inizio del 1900 il settore si espanse significativamente con l’entrata di
numerose imprese (più di 200 in cinque anni, dal 1904 al 1909), tra cui Firestone, alcune nel
settore dei pneumatici e altre in quello di calzature e altri accessori in gomma (French, 1991).
Di conseguenza molte compagnie iniziarono a diversificare la propria produzione (ad esempio
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 41
Goodrich cominciò a fabbricare palline da golf) anche se erano comunque protette da elevate
barriere all’entrata, rappresentate dai propri skill e conoscenze (infatti tutti i processi costruttivi
erano manuali), dai costi di produzione e dai prezzi che si abbassavano di continuo.
In questo modo l’industria iniziò a delinearsi maggiormente sviluppandosi soprattutto nella
zona di Akron in Ohio e legandosi maggiormente ai costruttori di autoveicoli, grazie alla
stipulazione di contratti di fornitura, dando vita alla segmentazione del mercato in
equipaggiamenti originali e ricambi.
All’inizio del 1900 molte compagnie erano talmente forti e radicate che decisero di espandersi;
l’esempio più significativo è rappresentato da Michelin che cercò di sfruttare il vantaggio
economico derivato dal primo pneumatico per automobili per entrare, non solo in industrie di
paesi limitrofi, come quella italiana, ma anche negli Stati Uniti, nel New Jersey, dove, però,
rimase meno di vent’anni.
L’industria americana del pneumatico tra il 1900 e il 1935 ebbe un tasso innovativo tra i più
alti del paese grazie a cambiamenti volti sia ad aumentare la performance del prodotto che
l’efficienza del processo costruttivo2 (Sull, 2002).
In seguito all’introduzione del pneumatico da parte dei fratelli Michelin e l’adozione della
tecnologia da parte di tutti gli altri produttori, cominciò la gara ai miglioramenti del prodotto;
essa fu dettata maggiormente da problemi di efficienza e di prestazioni che da un intento di
miglioramento della posizione competitiva. Tali innovazioni caratterizzarono sia l’Europa che
gli Stati Uniti dove favorirono l’emergere di compagnie inizialmente più deboli, come
Goodyear e Firestone.
Per prima cosa venne introdotto il battistrada disegnato in modo da aumentare la presa sul
terreno e, quindi, la possibilità di guidare a velocità maggiori e in condizioni atmosferiche
sempre più disagiate.
Nel 1910 fu inventato in Inghilterra il cosiddetto cord tire, un pneumatico nel quale venne
eliminato l’uso di fibre e filamenti incrociati di cotone, che costituivano la struttura di rinforzo
sotto il battistrada, grazie all’utilizzo di un tessuto senza trama, in modo da ridurre le abrasioni
generate tra le varie fibre e, così, incrementare la durata. Nonostante fossero molto costosi
vennero subito adottati da tutti i produttori che si adoperarono per raggiungere miglioramenti
alla ricerca di un prodotto sempre più adeguato alla funzione che doveva svolgere.
Inoltre, divenne standard il colore nero dal momento che si iniziò ad usare il carbone nero al
posto dell’ossido di zinco come rinforzante.
2 Sull (1999b) asserisce che l’industria era la seconda più innovativa degli Stati Uniti (utilizzando un indicatore costituito dal rapporto tra il numero di ricercatori sul totale dei lavoratori).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 42
Infine i pneumatici diventarono sempre più grandi dimensionalmente e meno gonfi.
Nel 1913 in Inghilterra venne anche brevettata la tecnologia radiale da parte della Palmer Tyre
Company che, però, non venne sperimentata per moltissimi anni.
Sempre in questo periodo Michelin introdusse sul mercato una ruota di acciaio smontabile che
diede vita all’utilizzo della ruota di scorta sul veicolo: questo rappresentò un notevole passo
avanti dal momento che fino a questo momento i pneumatici erano sempre stati cementati al
cerchione.
Accanto a queste innovazioni di prodotto comparsero anche i primi miglioramenti al processo
produttivo che riguardarono soprattutto la fase di assemblaggio, con la Cord Tire Building
Machine introdotta da Goodyear nel 1909 e la Drum Tire Building Machine brevettata da US
Rubber nel 1919, e la preparazione delle mescole, con l’invenzione del Banbury Mixer nel
1916. Queste macchine non consentirono agli inventori di accumulare un grosso vantaggio
competitivo; ad esempio, come riporta French (1987), la maggior parte delle compagnie,
soprattutto europee, sviluppò un sistema alternativo alla Cord Tire Building Machine proprio
per non dover pagare alcuna licenza a Goodyear. Possiamo già anticipare che questi primi
macchinari segnarono il processo produttivo per più di ottant’anni, con numerosi
miglioramenti, specie negli anni’60, fino alla comparsa dei primi sistemi automatizzati verso la
fine degli anni’90.
Dal 1910 negli Stati Uniti la domanda di pneumatici incontrò un trend crescente ma i prezzi di
vendita rimasero bassi; risultò, quindi, determinante per i costruttori investire per espandere il
proprio output e diminuire i costi di produzione ricercando innovazioni tecnologiche. Le
imprese di medie dimensioni e più specializzate nel settore pneumatici, come Goodyear e
Firestone, ebbero una forte crescita ed insediarono la posizione dei leader di settore come
Goodrich, Diamond Rubber o US Rubber, che, però, poterono mantenere il proprio volume di
vendite dato che le case automobilistiche si servivano da molti fornitori per tenere basso il loro
potere contrattuale. L’espansione di Goodyear e Firestone consolidò ulteriormente Akron come
centro dell’industria nord americana del pneumatico.
L’intensa attività di espansione e di multinazionalizzazione all’estero di Goodyear, dal 1910 al
1938, testimonia quanto affermato. La compagnia, partendo dal Canada, arrivò a costruire una
sede a Londra, che le permise di competere direttamente con i costruttori europei, come
Michelin e Dunlop, e raggiunse i mercati dell’Australia e di Java. Questo allargamento delle
frontiere della compagnia fu stimolato dalla prima guerra mondiale che rese più facile
l’espansione americana in molti settori, data la contrazione che si era verificata nei mercati
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 43
europei: si ricorda un trend simile nell’industria automobilistica, con in testa Ford (French,
1987).
In questi anni si assistette anche a profondi cambiamenti nelle attività di distribuzione con un
processo di estensione verticale che aumentò i livelli che il prodotto doveva affrontare per
raggiungere il cliente finale.
La prima guerra mondiale ebbe un impatto molto differente sull’industria europea e
statunitense, almeno durante i primi anni.
In Europa gli effetti del conflitto furono pesanti: ad esempio, vennero distrutti i mercati della
gomma.
Gli Stati Uniti non risentirono di questa situazione e furono in grado di superare la scomparsa
dei mercati europei aumentando l’uso di gomma riciclata, riuscendo, così, a contenere il prezzo
di questa fondamentale materia prima. La guerra, inoltre, permise un’espansione del mercato,
con un tasso di crescita del 40%, e numerose entrate, almeno fino al 1917 quando gli Stati
Uniti ruppero la neutralità. A questo punto le imprese specializzate che avevano riscontrato una
forte crescita negli anni precedenti si trovarono svantaggiate in quanto l’entrata in guerra
penalizzò la domanda di pneumatici in favore di altri prodotti di gomma, come maschere
antigas, taniche per il gasolio e mongolfiere da esplorazione.
Dal 1920 gli effetti del conflitto mondiale si fecero sentire in modo pesante anche negli Stati
Uniti. Il prezzo di materie prime come la gomma crollò infliggendo un duro colpo alle grandi
imprese, già colpite dalla contrazione del mercato del ricambio, che videro il valore dei loro
fornitissimi magazzini calare drasticamente e dovettero affrontare la crescita delle piccole
compagnie che approfittarono della facilità di accesso alle materie prime per guadagnare quote
di mercato.
Firestone e Goodyear accusarono molte perdite; in particolare, per la seconda la situazione fu
molto critica a causa della svalutazione ma, grazie ad una ristrutturazione, che durò fino al
1922, affidata ad una commissione esterna, riuscì a risollevarsi.
Secondo French (1991) questo periodo di forte recessione e difficoltà ebbe dei lati positivi in
quanto aiutò a sviluppare tecniche di gestione migliori, soprattutto a livello di magazzino.
Dal 1921 si aprirono nuove possibilità di crescita per il settore con lo sviluppo di nuovi
segmenti di mercato, come i pneumatici per bus e autocarri, che consentivano di generare
profitti più ampi.
In questo periodo negli Stati Uniti iniziò un processo di allargamento del divario tra le imprese
leader e le medie accentuato da questi nuovi segmenti di mercato, dalle innovazioni nella
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 44
produzione (ad esempio nuovi sistemi di trasporto nei reparti) e dall’integrazione verticale
delle grandi imprese che cominciarono ad acquistare piantagioni della gomma.
A causa di questa situazione iniziarono a diminuire le entrate: French (1991) riporta che nel
1921 gli impianti per la produzione del pneumatico erano 178 mentre nel 1937 calarono a 46,
mentre sia l’output che il numero di addetti aumentarono considerevolmente.
Dal 1920 ci furono dei cambiamenti nella domanda di automobili che abbandonò il trend
crescente e diventò ciclica per la nascita del mercato dell’usato: questo portò un ulteriore
beneficio all’industria in quanto diminuì la pressione della case automobilistiche sui costruttori
di pneumatici.
Gli anni’20 furono caratterizzati anche da numerose importanti innovazioni tecnologiche che
riguardarono soprattutto il prodotto. Esso divenne più resistente e sicuro grazie all’introduzione
dei pneumatici cross-ply e low-pressure. I primi erano caratterizzati da una carcassa rinforzata
da molti strati di tessuto sovrapposti. Nei secondi si riuscì a diminuire la pressione dell’aria con
un ampliamento delle sezioni ottenuto grazie ad una riduzione del diametro dei cerchi, con
molti benefici, come l’abbassamento del baricentro, la riduzione delle masse rotanti e una
guida più morbida e confortevole.
Nel 1923 venne introdotto il baloon tire da Firestone, basato su nuovo modo per impregnare le
fibre di gomma. Il pneumatico risultava più resistente e flessibile, tanto da permettere un
aumento delle dimensioni, e, quindi, della capacità di contenimento dell’aria, che permise di
ridurre notevolmente la pressione, il peso e la mole del battistrada. Dopo un avvio lento esso si
diffuse così rapidamente da provocare l’estinzione dei pneumatici in tessuto.
Nel 1928 Michelin brevettò il pneumatico tubeless nel quale la camera d’aria venne
rimpiazzata da un rivestimento interno di gomma integrato nel pneumatico. Essi richiedevano
un processo di assemblaggio più lungo ma permettevano di eliminare la produzione di tubi
interni, di diminuire la generazione di attrito e calore a causa delle interazioni tra i due tubi e di
aumentare la sicurezza, dal momento che non esistevano più problemi di scoppio in caso di
foratura.
Le innovazioni che permisero il rapido progredire dell’industria riguardarono anche il settore
chimico. Ad esempio, furono introdotti degli acceleratori che permisero di velocizzare il
processo di vulcanizzazione e sostanze antiossidanti che incrementarono la durata del
pneumatico, frenando la degradazione della gomma dovuta all’esposizione a gas atmosferici,
come l’ossigeno e l’ozono, alle radiazioni ultraviolette del sole, al calore e alle contaminazioni
metalliche presenti nella gomma stessa (Dick, jan.1981).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 45
Man mano che si realizzavano le innovazioni il pneumatico acquistava sempre di più la forma
e la struttura che oggi conosciamo (ad esempio l’aspect ratio che nel 1949 era mediamente 95,
nel 1970 era diminuita a 78).
In questi anni iniziò a formarsi anche l’industria giapponese nella produzione di oggetti di
gomma e di pneumatici: infatti nel 1909 era nacque Sumitomo e nel 1920 Bridgestone.
Prima di procedere nell’analisi degli eventi determinanti nello sviluppo dell’industria, ritengo
opportuno aprire una piccola parentesi per parlare dei profondi cambiamenti nella
concentrazione dell’industria americana a partire dagli anni’20
3.1.2 Lo shakeout nell’industria statunitense
Una delle principali caratteristiche dell’industria del pneumatico statunitense è quella di aver
avuto esperienza di uno shakeout, cioè di una rapida diminuzione del numero delle imprese,
attorno al 1922.
L’industria iniziò ad espandersi all’incirca a partire dal 1905 con un numero annuale medio di
entrate pari a 30 nel primi sei anni e al doppio dal 1911 al 1922 (Klepper e Simon, 1997). A
questo punto, come si può notare dalla tabella 3.1, tale processo cominciò a diminuire fino ad
arrestarsi attorno alla fine degli anni’20, quando le uscite iniziarono a prendere il sopravvento3.
Lo shakeout durò all’incirca trent’anni e il numero delle imprese iniziò a stabilizzarsi dopo la
fine del secondo conflitto mondiale, con valori molto più bassi rispetto a quelli degli anni’20:
Klepper e Simon (1997) riportano che all’inizio del 1960 le compagnie operanti nell’industria
erano meno di 23.
Durante il periodo precedente e seguente lo shakeout l’industria fu sempre dominata da quattro
compagnie, Goodrich, US Rubber (che poi divenne Uniroyal), Goodyear e Firestone, che
appartenevano al gruppo dei primi entranti, avendo iniziato la propria attività prima del 1900.
Queste compagnie guidarono anche le prime innovazioni di prodotto e di processo che
aiutarono a definire le caratteristiche principali del pneumatico e a migliorarne la produzione.
Tale primato non può essere spiegato con il fatto che esse erano avvantaggiate dalla possibilità
di sfruttare economie di scala, in quanto il settore non ne consentiva, né in produzione né in
distribuzione, e tanto meno dall’aver ricercato qualche processo di lock-in, in quanto le entrate
e le uscite continuarono e non vi erano gli strumenti necessari, come brevetti o clienti
estremamente potenti. Come sottolineano Klepper e Simon (1997), l’unica giustificazione a
3 L’ultima entrata risale al 1938 quando Ford Motor Company aprì un impianto di produzione di pneumatici a Detroit che, però, fallì in poco tempo (Dick, sept.1980).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 46
questa supremazia è che erano le uniche che, per via della loro dimensione, potevano
permettersi attività di R&S tali da operare sulla frontiera tecnologica. Infatti, secondo gli
autori, le variabili determinati per il mantenimento della propria condizione economica, anche
nel caso di shakeout sono tre: età, dimensione e posizione geografica. Inoltre, tutte le
compagnie leader (come anche un quarto delle compagnie esistenti all’inizio dello shakeout),
tranne US Rubber, risiedevano ad Akron o nelle vicinanze; in questo modo avevano un accesso
più facile alla tecnologia ed erano più spronate nella ricerca di continui cambiamenti.
Tabella 3.1 Andamento della concentrazione dell’industria del pneumatico statunitense dal 1919 al 19374 (Fonte: French, 1991, pag.48 Table 5.3)
Le modalità con cui si svolse lo shakeout nell’industria escludono le possibilità che esso sia
stato causato da un cambiamento tecnologico esterno o dall’emergere di uno standard, come
volevano le teorie di Jovanovic e MacDonald (1994) e di Utterback e Suarez (1993) esposte nel
secondo capitolo. Jovanovic e MacDonald ritengono il baloon tire e il Banbury Mixer come le
innovazioni tecnologiche che avrebbero potuto portare alla discontinuità nel numero delle
imprese. Entrambe le tecnologie, però, non ebbero un impatto così significativo da
rappresentare una sfida per gli adottatori e poi si diffusero in modo molto rapido, ampio e
facile.
4 Il trattino corrisponde a dati mancanti.
Anni Entrate Fallimenti Fus./Acquis. Tot.uscite Num.impianti Num.imprese 1919 44 1 0 1 200 190 1920 16 1 1 2 - - 1921 16 4 5 9 178 - 1922 11 13 3 16 - 166 1923 9 25 4 29 160 129 1924 4 18 4 22 - 111 1925 7 14 4 18 126 97 1926 1 18 2 20 - 93 1927 0 12 1 13 109 92 1928 2 16 2 18 - 78 1929 0 17 2 19 91 62 1930 0 6 5 11 - 50 1931 0 9 2 11 48 - 1932 0 3 0 3 - - 1933 0 2 0 2 44 35 1934 0 - - - - - 1935 0 - 2 2 42 - 1936 0 4 2 6 - - 1937 0 2 1 3 46 -
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 47
Se è vero che nell’industria ci fu un punto di passaggio abbastanza chiaro tra innovazioni di
prodotto e di processo, come richiede il processo di affermazione di uno standard, ci sono
molte altre caratteristiche che sottolineano come neanche l’emergere di un dominant design sia
stato la causa scatenante dello shakeout. Infatti le innovazioni di processo iniziarono attorno al
1909, cioè almeno un decennio prima dell’inizio dello shakeout e del picco delle entrate.
Klepper e Simon (1997), quindi, come già anticipato nel secondo capitolo, vedono lo shakeout
come guidato da un processo di cambiamento tecnologico continuo. Le innovazioni, per lo più
incrementali, che si susseguirono nel tempo provocarono un fenomeno di abbassamento dei
prezzi di vendita e di miglioramento degli standard qualitativi che scoraggiò le entrate e portò
all’uscita le imprese che non sapevano competere limitatamente a queste due variabili. Oltre al
cambiamento tecnologico in sé, giocò un ruolo fondamentale la possibilità di appropriarsi dei
ritorni che ne derivavano: in questo senso, come già esposto sopra, furono determinanti
variabili come la dimensione e l’età (Klepper e Simon, 2000).
Tra le molte interpretazioni dello shakeout, una teoria interessante è quella proposta da Knox5
(1963) che vede i cambiamenti nella distribuzione del prodotto, che comportarono la nascita di
un network di rivenditori sia indipendenti che non dai produttori, come l’evento scatenante la
discontinuità nel numero di imprese.
Anche Dick (sept.1980), nella sua analisi sulle innovazioni tecnologiche come determinanti
della struttura industriale, sottolinea il verificarsi dello shakeout a cui, però, fornisce una
spiegazione meno teorica facendo riferimento all’andamento della domanda. Secondo l’autore
la rapida crescita del numero delle imprese fu dovuta all’incremento della domanda a causa
delle richieste militari durante la guerra e al forte aumento della diffusione dell’automobile
negli anni immediatamente seguenti. La recessione dei primi anni’20, la grande depressione del
1929 e il conseguente rallentamento della domanda di automobili avrebbero, invece,
determinato la caduta drastica del numero di imprese.
Lo shakeout relativo all’industria del pneumatico, come sottolineano Horvath, Schivardi e
Woywode (2001), rivela caratteristiche simili a quelli verificatesi in altri settori, come quello
dell’automobile o delle imprese dedite alla preparazione della birra; tali proprietà, però, non
possono essere generalizzate per una descrizione dell’andamento di tutte le discontinuità nella
concentrazione industriale.
5 Citato in Klepper e Simon (2000)
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 48
3.1.3 L’industria tra le due guerre mondiali
Negli Stati Uniti il periodo di ripresa dalla recessione in seguito al primo dopoguerra non durò
molto a causa della grande depressione del 1929. Essa ebbe un effetto molto pesante sui beni
durevoli, come l’automobile, e di conseguenza anche sui pneumatici. Le imprese del settore
iniziarono a diversificarsi, sia cercando nuovi segmenti di mercato per il prodotto, come
pneumatici per l’agricoltura o per veicoli industriali, sia verso prodotti collegati, come gli
accessori per automobili.
La situazione, già di per sé difficile, fu amplificata anche da altri fattori. Prima di tutto nella
vendita di pneumatici entrarono le compagnie petrolifere che iniziarono a fare concorrenza agli
apparati distributivi delle principali compagnie produttrici. Secondariamente i lavoratori
iniziarono ad acquisire sempre più potere dando vita a delle unioni che iniziarono ad utilizzare
strumenti di manifestazione come lo sciopero.
In questi anni incominciò anche una significativa evoluzione nel campo dei materiali. I primi
pneumatici erano rinforzati con fasce di cotone; in seguito, alla fine degli anni’30, iniziò la
commercializzazione del rayon, una fibra sintetica più forte che conferiva al pneumatico una
maggiore uniformità ma che necessitava dell’aggiunta di una nuova fase al sistema produttivo
per un trattamento che ne migliorasse le proprietà di adesione. Nel periodo del secondo
conflitto mondiale emerse un’altra fibre sintetica, il nylon, la cui diffusione, però, ebbe bisogno
di massicce campagne pubblicitarie e di una significativa riduzione del prezzo a causa della
competizione con il rayon.
Nel 1937 Michelin sviluppò il metal tire, un pneumatico che utilizzava fibre di acciaio al posto
del cotone che lo rendevano molto più resistente alla temperatura, alle forature e al peso e che,
quindi, venne esteso all’equipaggiamento di veicoli pesanti. Il cotone, infatti, non era molto
resistente alle forature e, se si cercava di ovviare al problema usando strati troppo spessi, non
permetteva una corretta dispersione del calore generato subendo dei danneggiamenti. Questo
prodotto, a detta dei maggiori studiosi della tecnologia del settore, rappresentò un passo
fondamentale per lo sviluppo del pneumatico radiale.
Dopo la grande depressione del 1929 anche la seconda guerra mondiale segnò l’industria
statunitense. Gli attacchi del Giappone nel sud-est asiatico distrussero il sistema di fornitura
delle materie prime delle imprese americane che furono costrette a rivolgersi alle piantagioni
della Liberia e della California e ad utilizzare la gomma riciclata. Inoltre il governo sentenziò
la conversione di tutta la produzione dell’industria a scopi militari: gli unici prodotti che
mantennero un mercato furono i pneumatici per bus ed autocarri. Anche alla fine delle
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 49
restrizioni la produzione civile ebbe difficoltà a riprendersi perché la domanda di articoli
militari era ancora troppo elevata, a causa dello sbarco degli alleati in Europa.
Le restrizioni imposte dal conflitto rivelarono la necessità di trovare un sostituto alla gomma
naturale che godesse delle stesse proprietà in termini di flessibilità, resistenza e qualità.
Ricerche in questo senso vennero intraprese in Europa già dalla fine del 1800 e, attorno al
1930, portarono allo sviluppo del neoprene, un materiale che, però, aveva costi troppo elevati
per essere impiagato nella produzione di pneumatici. Più tardi prevalse il risultato ottenuto in
Germania durante la prima guerra mondiale, il Buna-S6; negli Stati Uniti i costi di produzione
vennero in gran parte assorbiti da uno speciale programma governativo7. Il butadiene, infatti,
era molto caro; solo Goodrich, pioniera della gomma sintetica, riusciva a contenere i costi dal
momento che era legata ad un suo produttore tramite una joint-venture (Blackford e Kerr,
1996).
Questo composto, però, non ottenne molto successo e il suo consumo, con la fine del conflitto,
si portò a livelli minimi; comunque, come sottolinea Dick (jan.1981,) la sua presenza servì a
mantenere basso il prezzo della gomma naturale.
Anche in Europa venne avviata la produzione di gomma sintetica: ad esempio nel 1939 in Italia
Pirelli formò un accordo con IRI per la sua produzione.
In questo periodo vennero sviluppate anche innovazioni di contorno alla mera produzione di
pneumatici che, però, incrementarono il volume produttivo dei vari impianti. Infatti, si iniziò
ad utilizzare un layout diverso nella costruzione degli impianti in modo da assicurare un flusso
continuo, dal ricevimento dei materiali fino alla movimentazione del prodotto finito, ad
esempio ricorrendo a strutture ad un unico piano, a sistemi di trasporto automatizzati, alla
diversificazione delle linee in base alla produzione e all’uso di computer, non appena furono
sviluppati, soprattutto nelle fasi di programmazione e registrazione di magazzino (Dick,
dec.1980).
In questi anni negli Stati Uniti si verificò anche il consolidamento delle relazioni privilegiate
tra produttori di autoveicoli e di pneumatici (si riportano gli esempi di Ford e Firestone o
General Motors e Goodyear) e nell’industria si configurò un quinto grande produttore, General
Tire (Sull, 1999b).
6 Composto formato da butadiene, più precisamente butadiene polimerizzato con un catalizzatore di sodio, e styrene (Michelin Corporation). 7 Al termine della guerra il governo statunitense cedette gli impianti per la produzione di Buna-S che possedeva alle quattro compagnie leader (Goodyear, Goodrich, Firestone e US Rubber).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 50
Grazie ai vari avanzamenti tecnologici il prodotto subì un processo di diversificazione e la
gamma offerta dai vari marchi si ampliò notevolmente, sia in termini di tipologie (invernali, ad
alte prestazioni,..) che di prezzi.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 51
3.2 La rivoluzione radiale
3.2.1 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Europa ed Asia
Il concetto su cui su basa il pneumatico radiale venne brevettato in Inghilterra nel 1913 da Grey
e Sloper della Palmer Tyre Company ma per la sua applicazione si dovette aspettare fino al
1946 quando Michelin, dopo molti decenni di ricerche, sviluppò il prodotto.
In termini di tecnologia di prodotto il pneumatico radiale rappresentò solo una diversa
applicazione di conoscenze, componenti e materiali esistenti; esso, però, richiedeva delle
modifiche non trascurabili al sistema produttivo.
Anche senza l’introduzione di nuovi materiali e componenti esso portò importanti
miglioramenti in termini di performance, durata ed economicità.
Per un approfondimento riguardante le principali caratteristiche tecniche dei pneumatici radiali
si rimanda all’Appendice 3.2, a fine capitolo.
Durante gli anni’50 e ’60 in Europa la produzione dei pneumatici radiali si diffuse
velocemente, soppiantando le tecnologie tradizionali, e dal 1960 essi iniziarono ad essere
adottati come equipaggiamento originale su tutti i veicoli. Una delle prime imprese a seguire
Michelin fu Pirelli che nel 1951 brevettò il Cinturato, un pneumatico radiale con delle fasce di
rayon che formavano una sorta di cintura inestensibile che riduceva le deformazioni cicliche
alternative a cui i pneumatici erano abbastanza soggetti.
Grazie al successo del prodotto Michelin, tra il 1960 e il 1972, aprì 26 nuovi impianti, 14 dei
quali al di fuori della Francia (Sull, 2002).
Nel 1968 ci fu un’alleanza tra i maggiori produttori europei, Pirelli, Continental e Dunlop,
volta alla ricerca di tecnologie che potessero facilitare la completa conversione ai pneumatici
radiali, contenendo i costi, per aumentare la propria forza competitiva nei confronti di
Michelin.
La tecnologia radiale raggiunse anche le imprese dell’estremo oriente infatti nel 1962
Bridgestone produsse il primo pneumatico radiale e quattro anni più tardi anche Sumitomo.
Il gruppo di compagnie si arricchì dopo il secondo conflitto mondiale con la nascita di Toyo
(1945), Kumho (1960) e Yokohama (1969).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 52
3.2.2 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Nord America
Negli Stati Uniti l’adozione della tecnologia radiale non fu spontanea e veloce come in Europa
e, probabilmente, anche in Giappone, ma provocò dei profondi e singolari cambiamenti che nel
corso degli anni sono stati analizzati da numerosi studiosi.
Per capire meglio la situazione si illustrano brevemente le principali caratteristiche
dell’industria prima dell’introduzione dei pneumatici radiali e le modifiche che tale adozione
avrebbe richiesto.
Il settore del pneumatico statunitense era ormai stabilizzato per quanto riguarda la
concentrazione (nel 1960 era tra le sei industrie più concentrate del paese e dal 1935 al 1972 il
gruppo delle top8 si aggiudicava circa il 90% del mercato; Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997 e
Dick, sept.1980).
L’adozione della tecnologia radiale avrebbe richiesto ingenti investimenti, tutti a carico dei
costruttori, senza possibilità di divisione dei costi con chi beneficiava realmente dei
miglioramenti che essa offriva, come le case automobilistiche e gli utilizzatori finali. Gli
investimenti maggiori avrebbero riguardato i sistemi produttivi in quanto la costruzione dei
pneumatici radiali richiedeva delle modifiche sostanziali. Infatti, l’inserimento delle fasce
rinforzanti e del battistrada necessitava di una particolare attenzione e configurazione del
pneumatico e di un processo basato su due stadi produttivi, contrariamente all’unico della
produzione convenzionale. Nel 1970 General Tire annunciò lo sviluppo di una macchina in
grado di costruire pneumatici radiali con un solo stadio (venduta a 100.000$) ma l’insorgere di
problemi di uniformità ne limitò la diffusione (Dick, dec.1980). Sarebbe stato possibile
convertire gli impianti esistenti, come poi fecero molte compagnie, ma sarebbe anche potuto
risultare antieconomico in quanto bisognava migliorare l’ordine della linee produttive e spesso
essi non si trovavano in una posizione favorevole alla distribuzione e alla logistica del prodotto
e non godevano di molti servizi (Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997).
Con l’avvento della tecnologia radiale i profitti si sarebbero abbassati ulteriormente per varie
ragioni. Prima di tutto l’aumento della durata del prodotto avrebbe provocato una diminuzione
della domanda e una contrazione del mercato del ricambio, che era quello che permetteva
guadagni maggiori. Secondariamente si sarebbe verificato un significativo incremento dei costi
in quanto le materie prime costavano il 35% in più ed erano necessari un aumento del lavoro
dal 20% al 35%, tolleranze più strette, ispezioni più frequenti e un migliore controllo della
qualità (che probabilmente avrebbe rilevato il doppio di scarti e difetti rispetto al passato) (Sull,
Tedlow e Rosenbloom, 1997).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 53
Inoltre, la nuova tecnologia avrebbe costretto alla rottura di alcuni degli accordi e degli
impegni presi con clienti, fornitori, competitori, impiegati e comunità, in cui molti manager
identificavano loro stessi e la missione delle loro imprese (Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997).
Infine le compagnie avrebbero dovuto acquisire nuove conoscenze e skill inerenti la nuova
tecnologia; questo rappresentava, però, l’ostacolo più semplice da superare in quanto esse
potevano fare riferimento all’esperienza in merito delle loro consociate europee.
L’adozione della tecnologia presentava anche ostacoli non direttamente dipendenti dalle
imprese del settore: ad esempio era necessario che esse avessero il supporto della case
automobilistiche in quanto bisognava apportare alcune modifiche al sistema di sospensioni dei
veicoli equipaggiati.
Goodrich fu la prima compagnia che si buttò nella nuova tecnologia, attorno al 1965,
sfruttando le competenze delle affiliate europee, allo scopo di riguadagnare la predominanza su
Goodyear e Firestone che al momento avevano acquisito la leadership del mercato. La
compagnia era spronata dalla disponibilità mostrata dalla Ford e pensava di introdurre i
pneumatici radiali inizialmente nel mercato del ricambio per fare in modo che le case
automobilistiche si rendessero conto del loro valore (Blackford e Kerr, 1996). Il tentativo di
Goodrich si rivelò fallimentare dal momento che non ottenne l’appoggio dei produttori di
autoveicoli e a causa della campagna pubblicitaria diffamatoria messa in atto da Goodyear che
sottolineava solo i difetti del prodotto. Così nel 1981 si ritirò definitivamente dal mercato degli
equipaggiamenti originali per dedicarsi interamente a quello più profittevole del ricambio,
focalizzandosi soprattutto sulle linee ad alta performance. La compagnia subì una
ristrutturazione delle attività attuata da un management di outsiders, intraprendendo una
strategia che sarebbe risultata la più profittevole.
Nel 1967 Goodyear introdusse una soluzione alternativa ai pneumatici radiali, la tecnologia
bias-belted, che permetteva di migliorare la performance rispetto ai pneumatici esistenti, anche
se il target era sempre inferiore a quello dei radiali, con il grosso vantaggio di poter essere
prodotti sulle linee esistenti.
I pneumatici bias-belted avevano una struttura del tutto simile a quella tradizionale con la sola
differenza di fasce in fiberglass o in poliestere posizionate sotto il battistrada con un angolo di
circa 29° rispetto alla direzione di marcia. Essi permisero di incrementare la durata del
pneumatico da 12.000 Km a 24.000 Km ma, nonostante assicurassero un comportamento
migliore dei pneumatici radiali con un fondo stradale liscio e ben curato, erano decisamente
inferiori sul bagnato, in curva e in frenata (Rajan, Volpin, Zingales, 2000).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 54
La maggioranza delle imprese investì in questa nuova tecnologia ed entrò negli anni’70 in
buone condizioni economiche. Infatti, dal 1966 al 1978, molte compagnie continuarono ad
investire in nuovi impianti: quattro vennero avviati sia da Goodyear che da Firestone8, due da
General Tire e uno da Uniroyal (Rajan, Volpin, Zingales, 2000).
A partire dall’inizio degli anni’60 e per la prima metà degli anni’70 le maggiori imprese
dell’industria continuarono un processo di espansione che le portò ad acquisire compagnie
nazionali e a muoversi verso l’Europa. A causa di ciò e dell’entrata sul mercato europeo anche
di alcune compagnie giapponesi, Pirelli, Dunlop e Continental, supportate da Michelin,
cercarono di unirsi in un’unica compagnia, la Tires Europe, ma il progetto fallì perché Dunlop
stava attraversando una crisi finanziaria e a Continental interessò di più investire per
l’acquisizione di Uniroyal Europa (Pirelli, 1997). L’unica impresa americana a continuare
l’ondata di investimenti anche alla fine degli anni’70, nonostante le difficoltà finanziarie
dovute alla conversione alla tecnologia radiale, fu Goodyear e forse anche in questo risiede il
suo successo.
All’inizio degli anni’70, però, anche i maggiori produttori di autoveicoli, come Ford e General
Motors, cominciarono ad essere interessati ai pneumatici radiali. Nel 1973, inoltre, ci fu la
prima grande crisi petrolifera causata dall’embargo delle esportazioni da parte dell’Opac
(Organization of Petroleum Exporting Countries) verso i paesi che simpatizzavano per Israele
che provocò un aumento del prezzo del petrolio del 35%. Il mercato americano era minacciato
dalla possibilità di entrata di imprese europee che, grazie al nuovo prodotto, stavano
aumentando il loro potere (ad esempio Michelin stipulò un accordo con Ford nel 1970).
Questi fattori spinsero i produttori di pneumatici ad una conversione verso la tecnologia
radiale. Questo processo di adozione, che durò all’incirca quindici anni, stravolse l’industria
tanto che alla fine, su cinque compagnie che erano al vertice, Goodyear, Firestone, Uniroyal,
General Tire e BFGoodrich, solo la prima si mantenne indipendente. In tabella 3.2 possiamo
osservare il processo di integrazione dei pneumatici radiali nel mercato statunitense.
Goodyear fu l’unica impresa ad essere guidata da un management lungimirante, sebbene
formato da persone esterne all’industria, che seppe cogliere l’importanza di una conversione
veloce. Nonostante gli ingenti investimenti affrontati, a causa dei quali perse il 3% delle quote
nel mercato degli OE e il 2% in quello del ricambio, si espanse molto all’estero in modo da
8 Firestone fu una della compagnie più attive in questo processo di investimenti nel 1968 annunciò lo sviluppo di una macchina semiautomatica per la costruzione dei pneumatici bias-belted, chiamata Bead and Ply Assembly (BPA), con un investimento iniziale attorno ai 500.000$, che rimpiazzava sei dei convenzionali macchinari e richiedeva solo tre lavoratori (Dick, dec.1980).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 55
avere più forza per sopportare le spese per la conversione, in R&S e pubblicitarie. La
compagnia attuò la conversione prevalentemente modificando gli impianti esistenti (con la sola
eccezione dell’impianto di Lawton, in Oklahoma che venne costruito da zero).
Dopo l’adozione da parte di Goodyear fu chiaro che il pneumatico radiale sarebbe diventato lo
standard dell’industria americana: tutti gli altri produttori, quindi, dovettero adeguarsi (Rajan,
Volpin e Zingales, 2000).
MERCATO DEGLI OE MERCATO DEL RICAMBIO ANNO
TOT.PROD. % PN.RADIALI TOT.PROD. % PN.RADIALI PRODUZ.
AUTOMOBILI 1965 51.413 0 94.893 0 9.329 1970 37.535 0,3 129.608 2,1 6.545 1975 39.281 63,9 122.469 27 6.706 1980 34.932 80 106.912 50 6.373 1985 54.839 83,5 141.455 81,6 8.185 1990 47.199 87,6 152.251 96,7 6.076 1994 58.448 90 169.983 99,4 6.601
Tabella 3.2 Importanza del pneumatico radiale nel mercato degli OE e in quello del ricambio (Fonte: Rajan, Volpin e Zingales, 2000, pag.64 Table 2.3)
Firestone aveva investito molto nei pneumatici bias-belted quindi, a differenza dei concorrenti,
non apportò alcuna modifica agli impianti per la produzione dei pneumatici radiali.
Inizialmente sembrò ottenere un successo maggiore rispetto ai rivali ma ben presto emerse un
problema nel prodotto, causato, appunto, dalla non idoneità del sistema produttivo. La
compagnia subì pesanti perdite economiche e di immagine dal momento che il governo obbligò
il ritiro dal mercato dei pneumatici in questione (i “500 steel-belted radial”). Il fallimento di
Firestone era dovuto al fatto di aver reagito in modo sbagliato alla perdita di immagine e alla
diminuzione dei profitti. Infatti, invece che chiudere gli impianti inefficienti, investì
ulteriormente e si trovò in una situazione di ingente esubero di capacità produttiva (Sull,
1999b).
Uniroyal e General Tire videro nella conversione alla tecnologia radiale la possibilità di
guadagnare quote di mercato; gli investimenti troppo elevati, soprattutto nella costruzione di
nuovi impianti, però, le condussero verso pesanti esposizioni finanziarie. General Tire ebbe un
comportamento diverso rispetto ai rivali: investì soprattutto nel mercato degli OE, tanto che nel
1972 era il secondo fornitore di pneumatici radiali in questo segmento. Essa, però, mantenne
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 56
una gestione degli impianti sbagliata, creando una pesante situazione di esubero di capacità
produttiva (Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997)9.
L’avvento della tecnologia radiale ebbe un pesante impatto anche sul mercato e sull’industria.
Quest’ultima, essendo ormai matura, non offrì nessuna possibilità di ottenere vantaggio
competitivo ed, inoltre, data la maggior durata del prodotto e dato che ogni unità di produzione
tradizionale poteva essere convertita in una radiale, si creò un esubero di capacità produttiva
(Sull, 1997).
Date le condizioni finanziarie critiche in cui si trovavano la maggior parte delle compagnie
americane e date le basse opportunità di espansione e crescita offerte dal mercato si creò una
condizione favorevole alle acquisizione delle compagnie in difficoltà da parte di multinazionali
europee ed asiatiche.
Sarebbe stato impossibile attuare delle fusioni all’interno della stessa industria statunitense per
varie ragioni. In primo luogo tutte le imprese uscirono provate economicamente dal processo di
riconversione, quindi, non avrebbero avuto i mezzi necessari. In secondo luogo le case
automobilistiche si sarebbero opposte per evitare che i loro fornitori acquistassero un potere
contrattuale troppo elevato. Le compagnie americane avrebbero trovato anche l’opposizione
della FTC (Federal Trade Commission) che ostacolava le fusioni orizzontali per evitare
comportamenti monopolistici. L’unica fusione tra imprese statunitensi fu firmata tra
BFGoodrich e Uniroyal nel 1986 e fu possibile in quanto la prima aveva abbandonato il
mercato degli OE (Original Equipment). Le acquisizioni furono facilitate anche dal processo di
internazionalizzazione dei mercati delle imprese automobilistiche dovuto ai cambiamenti dei
gusti dei consumatori che si spostarono verso veicoli di dimensioni minori e che permettessero
un risparmio di carburante, soprattutto in seguito alla crisi petrolifera. Ci fu così un’espansione
nel mercato americano delle case automobilistiche europee e, soprattutto, giapponesi che creò
la necessità della presenza dei loro abituali fornitori di pneumatici, per i quali era necessario
assicurarsi un mercato del ricambio. Dal momento che il mercato non giustificava la creazione
di nuovi impianti, l’unica possibilità di insediamento risiedeva nell’acquisizione di compagnie
esistenti. Inoltre, nel corso dei decenni le compagnie statunitensi avevano perso peso nei
confronti di quelle europee, che stavano crescendo grazie alla tecnologia radiale, e asiatiche, il
cui vantaggio stava nella forza dei costruttori di autoveicoli ai quali erano legati.
9 Rajan, Volpin e Zingales (2000) riportano le spese in ricerca e sviluppo e in pubblicità delle cinque compagnie negli anni della tecnologia bias-belted e del passaggio ai radiali: eccetto Firestone, tutte investirono una percentuale sulle vendite dal 1,9% al 2,7%. Per quanto riguarda la pubblicità, le imprese ad investire meno furono Goodrich e General Tire.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 57
Il progressivo abbattimento della barriere geografiche del mercato del pneumatico rese
necessario per tutte le compagnie guadagnare quote di mercato nei paesi più competitivi, tra
cui gli Stati Uniti.
In questo modo si assistette alla fine dell’industria proprietaria statunitense: infatti mentre nel
1971 le compagnie americane possedevano il 59% delle quote di mercato a livello mondiale e
occupavano quattro posti tra le top5, vent’anni dopo la posizione di mercato diminuì al 17%
con una sola impresa, Goodyear, tra le top5 (Rajan, Volpin e Zingales, 2000).
Fu così che nel 1987 Continental comprò General Tire, nel 1988 Bridgestone acquisì Firestone
scavalcando Pirelli, che era sostenuta da Michelin e che l’anno dopo acquisì Armstrong Tire, e
nel 1990 Michelin divenne proprietaria di Uni-Goodrich, la società che nacque nel 1986 con la
fusione appunto di Uniroyal e Goodrich.
Come riportano Rajan, Volpin e Zingales (2000) è difficile trovare un’altra industria nella
storia che abbia subito un’ondata così potente di fusioni ed acquisizioni; si calcola, infatti, che
nel periodo 1982-1989 il 75% delle compagnie (che detenevano il 90% del mercato) subì un
tentativo di scalata o una ristrutturazione. In tre anni la configurazione dell’industria che aveva
dominato per circa tre quarti di secolo venne, quindi, completamente stavolta (Sull, Tedlow e
Rosenbloom, 1997).
Tali acquisizioni, però, come sottolineano Rajan, Volpin e Zingales (2000), non rimediarono
all’esubero della capacità produttiva in quanto non portarono una contrazione del numero di
impianti, ma, addirittura, un’espansione.
Tra il 1979 e il 1981 iniziò un processo di chiusura di molti impianti, anche situati ad Akron10.
L’industria del pneumatico risultava troppo matura per generare una serie di entrate al di fuori
delle acquisizioni per lo sfruttamento della nuova innovazione tecnologica; oltre a Michelin,
solo IRI si stabilì in US ma vi rimase solo per sei anni dal momento che non riuscì a scavalcare
la concorrenza della compagnia francese11. Attorno agli anni’70 anche Bridgestone iniziò ad
esportare pneumatici radiali negli Stati Uniti.
La letteratura ha offerto numerose spiegazioni al singolare destino incontrato dai produttori
statunitensi.
Rajan, Volpin e Zingales (2000) precisano che le acquisizioni non si verificarono perché i
produttori stranieri erano più efficienti, sia in termini di know-how che di strategie manageriali.
Infatti, con le acquisizioni non si verificarono incrementi nella capacità produttiva dei vari
10 Si ricordano sette chiusure per Firestone, sei per Goodyear e tre per Uniroyal. 11 Questo nonostante fosse l’unico produttore di un pneumatico radiale totalmente rinforzato in acciaio, l’Ironside, che ebbe un successo strepitoso sul mercato (Dick, sept.1980).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 58
impianti e le chiusure di alcuni stabilimenti, a causa di inefficienze, avvennero prima della
parte più intensa del processo delle acquisizioni.
Tra le tante teorie ipotizzate per la fine dell’industria proprietaria americana del pneumatico
emerge uno studio molto significativo di Sull (2002) che fa riferimento ai fallimenti che un
distretto industriale può incontrare a causa dell’inerzia insita nel concetto stesso di impresa.
L’industria del pneumatico statunitense poteva avere la connotazione di un distretto industriale
dal momento che quattro delle cinque maggiori compagnie avevano sede ad Akron, dove si
generava anche il 65% della produzione di pneumatici del paese. L’autore spiega come la
prossimità geografica offra molti vantaggi, almeno nei primi anni di vita del distretto, in quanto
si viene a formare una sorta di network attraverso il quale scorrono forme di conoscenza tacita
che generano un processo di innovazione incrementale, sia a livello di prodotto che di processo
produttivo. Con il trascorrere del tempo, però, questi benefici si riducono sempre di più poiché
i processi di condivisione della conoscenza iniziano ad essere incorporati in routines e tra i
membri si sviluppa una sorta di isomorfismo, in quanto si condividono gli stessi modi di
pensare e reagire, e il distretto tende ad assomigliare ad un’unica istituzione. Sull (2002) mette
in rilievo come questo processo di fossilizzazione progressiva dei distretti manifatturieri abbia
colpito anche quello di Akron e ne abbia determinato il fallimento. Infatti dal 1900 al 1930 il
distretto fu molto innovativo, basti pensare che la durata del pneumatico passò da 500 Km a
20.000 Km con una diminuzione del prezzo dell’80%, dovuta ad una produzione più efficiente.
Tra le compagnie esisteva una mentalità di assoluta apertura e cooperazione e procedevano
parallelamente anche perché in un territorio così ristretto i loro membri si ritrovavano a vivere
in strutture comunitarie comuni. In seguito, l’azione delle compagnie del settore all’avvento
della tecnologia radiale fu fortemente determinata dall’inerzia accumulata, che aveva portato
ad una visione falsificata della realtà, e, quindi, intraprese una strada sbagliata. Prima di tutto,
come riporta l’autore, le compagnie avevano troppa fiducia nei loro mezzi e nell’industria,
infatti, non valutarono attentamente in che cosa consisteva il nuovo prodotto ritenendolo
inferiore al proprio che migliorarono introducendo la tecnologia bias-belted. Inoltre, si illusero
che il settore avesse grandi possibilità di espansione e di crescita e mantennero attivi molti
impianti creando un esubero di capacità produttiva, pur essendo in una situazione finanziaria
molto critica a causa degli investimenti effettuati per la conversione. Un ulteriore passo falso fu
il mantenere la stretta dipendenza dai costruttori di autoveicoli che dettarono ogni loro passo
fin dalla comparsa del pneumatico radiale.
Si è discusso molto sui fattori che hanno determinato il diverso comportamento e destino delle
imprese europee e statunitensi.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 59
Per prima cosa la tecnologia radiale venne inventata in Inghilterra quindi, probabilmente,
l’accesso risultò più facile ad un’impresa europea come Michelin. Questa compagnia fu
avvantaggiata dal fatto di possedere Citroen12 e di detenere un’elevata quota di mercato (nel
1975 godeva del 75% di quote di mercato, contro il 12% dell’impresa che occupava il secondo
posto): in questo modo poteva appropriarsi interamente delle rendite derivate dall’investimento
e aveva assicurato un florido mercato del ricambio.
Gli altri concorrenti, principalmente anglosassoni, tedeschi e italiani, adottarono velocemente il
pneumatico radiale visto il grande successo di Michelin per paura che la compagnia
guadagnasse molto peso nei loro mercati domestici in cui possedeva molte filiali. Inoltre,
probabilmente il mercato in Europa aveva una struttura tale da facilitare la diffusione della
tecnologia, contrariamente a quello statunitense.
Grazie alla tabella 3.3 si ha una visione completa del destino dei maggiori produttori di
pneumatici al mondo in seguito alla rivoluzione radiale.
Compagnie/Anno 1971 1979 1986 1993 Goodyear 24 23 19 17 Firestone 17 14 7 - Uniroyal 8 5 6 - Goodrich 6 4 - - General Tire 4 4 - - Michelin 11 16 18 19 Dunlop 4 4 - - Pirelli 6 6 6 6 Continental 2 3 8 7 Bridgestone 3 7 6 18 Sumitomo - - 4 6 Yokohama - - 2 5 Toyo - - 9 3
Tabella 3.3 Quote di mercato dei maggiori produttori di pneumatici a livello mondiale dal 1971 al 1993. (Fonte: Rajan, Volpin, Zingales, 2000, Table 1 pag.37)
Come si può notare delle cinque maggiori compagnie statunitensi rimase indipendente solo
Goodyear. Significativi furono gli aumenti di quote di mercato di Continental e Bridgestone in
seguito all’acquisizione di General Tire e Firestone rispettivamente.
12 L’acquisizione avvenne negli anni’30 dal momento che la casa automobilistica non riusciva a pagare i debiti contratti.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 60
3.3 I cambiamenti più recenti
L’espansione verso l’America delle auto giapponesi si consolidò ulteriormente alla fine degli
anni’70, anche grazie alla seconda crisi petrolifera nel 1979.
In concomitanza e dopo l’introduzione del pneumatico radiale, le innovazioni continuarono.
Nel 1976 Goodyear introdusse un pneumatico radiale adatto in ogni condizione atmosferica,
chiamato “Tiempo”; così facendo riuscì a spiazzare e superare Michelin, nonostante fosse
partita in ritardo nell’acquisizione della tecnologia radiale.
Nel 1992 Michelin brevettò il cosiddetto “pneumatico verde” (green tire), chiamato così
perché permetteva un notevole abbassamento della resistenza al rotolamento che comportava
un decremento del consumo di carburante e, quindi, delle emissioni nocive nell’atmosfera.
Tradizionalmente l’agente rinforzante utilizzato era il carbone nero ma, nel corso degli anni,
venne introdotto un minerale derivato dal silicio che aveva, però, proprietà inferiori. Michelin
brevettò un composto in cui questo minerale veniva mescolato ad un elastomero sintetico
attraverso un agente legante che permise di ridurre notevolmente la resistenza al rotolamento,
di consentire una buona tenuta di strada e di ricreare le proprietà del battistrada di un
pneumatico rinforzato con il carbone nero.
Nel 1992 Goodyear introdusse l’Aquatread, un nuovo pneumatico che incrementava la trazione
in condizioni di terreno bagnato; esso inizialmente venne esteso solo al mercato del ricambio,
che aveva messo a disposizione nuovi canali. L’Aquatread era offerto con una garanzia di
60.000 miglia e il suo lancio venne valutato nel minimo dettaglio per non fare passi falsi e per
sconfiggere la concorrenza dei competitori: ad esempio Continental stava progettando il lancio
di un prodotto analogo, l’Aqua Contact più o meno nello stesso periodo.
Le varie compagnie stavano lavorando anche ad innovazioni nel processo produttivo, che
ancora si basava essenzialmente su macchinari introdotti poco dopo la nascita dell’industria.
Come riporta Dick (dec.1980), però, il principale problema incontrato nello sviluppo di sistemi
automatizzati era la poca flessibilità che li rendeva inefficienti per una produzione
caratterizzata da numerose varianti del prodotto, sia in dimensione che in tipologia. Nonostante
ciò, comunque, vennero fatti molti passi avanti, soprattutto per quanto riguarda il processo di
vulcanizzazione, ad esempio ricorrendo alla tecnologia delle microonde. Inoltre vennero
introdotti nuovi elementi di supporto alla produzione, come il posizionamento di nastri
trasportatori automatici lungo tutto il processo.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 61
In seguito alla rivoluzione radiale i materiali più diffusi per la costruzione del pneumatico
erano il poliestere, il nylon, il rayon e il fiberglass. Il poliestere, tuttora ampiamente diffuso
nell’industria, ebbe un notevole successo dato che il nylon poteva causare problemi di
vibrazioni, anche se, però, presentava una maggiore resistenza alle elevate temperature. Il
fiberglass emerse con l’introduzione dei pneumatici bias-belted; era già stato introdotto nel
1936 ma non si diffuse poiché generava abrasioni dovute al forte attrito tra gli strati.
Comunque neanche quando il problema fu risolto il materiale incontrò una grande espansione
a causa dell’avvento dell’acciaio. Paradossalmente l’acciaio venne accettato e diffuso
rapidamente grazie a questioni puramente di marketing dato che creava un’immagine di forza e
durata nella mente del consumatore. Il materiale, infatti, era inferiore ai precedenti, soprattutto
al fiberglass, in quanto era meno forte, aveva un peso e un costo maggiore, creava problemi di
adesione e necessitava investimenti per la sua gestione nei sistemi produttivi. L’ultima fibra
introdotta fu l’aramide che permetteva importanti miglioramenti nella stabilità e nella durata
ma rimase un materiale per il segmento dell’alta performance, dati i suoi elevati costi.
Tutti questi avanzamenti tecnologici nel campo dei materiali portarono ad una riduzione del
numero degli strati rinforzanti, da sei a due, generando molti effetti positivi: innanzitutto una
riduzione dei costi di produzione e dei materiali, ma anche un aumento della durata, dal
momento che gli strati di tessuto tendono a trattenere il calore sviluppato che degrada il
prodotto (Dick, jan.1981).
La gomma sintetica, introdotta su larga scala con la seconda guerra mondiale, non decollò mai
e nel corso degli anni venne sempre preferita quella naturale che forniva prestazioni maggiori.
All’inizio degli anni’80 Goodyear decise di diversificarsi nel settore del petrolio e del gas
naturale, per questo acquisì Celeron Corporation ma gli sforzi dell’investimento, la recessione
economica che caratterizzò quegli anni e i bassi proventi del settore pneumatici la portarono in
una situazione finanziaria molto critica. Fu così che nel 1986 subì una scalata da parte di
Goldsmith, una compagnia inglese, a cui riuscì a far fronte con una ristrutturazione.
I tentativi di acquisizione tra le varie compagnie a livello mondiale continuarono per anni: ad
esempio nel 1990 Pirelli tentò di acquisire Continental per paura di essere essa stessa vittima di
scalate e per superare meglio eventuali recessioni. Le trattative durarono più di un anno ma poi
non si concluse niente; Pirelli subì pesanti perdite economiche a cui fece fronte abbandonando
molte delle attività diversificate e con una ristrutturazione a livello manageriale.
In questi ultimi anni le compagnie hanno dovuto fronteggiare degli standard di qualità e di
sicurezza dei loro prodotti sempre maggiori. Ad esempio negli Stati Uniti la Nhtsa (The
National Highway Traffic Safety Administration) introdusse la possibilità di imporre il ritiro
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 62
dal mercato di tutti i pneumatici che presentassero dei particolari problemi di sicurezza.
Secondo Dick (feb.1981) questo avrebbe diminuito la disponibilità delle imprese ad introdurre
nuovi prodotti ed aumentato le barriere all’entrata.
Durante gli anni’80 e ’90 ci fu un profondo cambiamento nei metodi di gestione dell’industria
automobilistica che ebbero pesanti riflessi anche in quella del pneumatico. Per soddisfare una
produzione sempre più globalizzata si cambiarono i metodi di progetto e produzione; ad
esempio aumentò la necessità di una stretta collaborazione con i fornitori esterni di
componenti, tra cui i pneumatici, fin dalle attività di progetto e produzione e si iniziarono ad
utilizzare le tecniche just-in-time13. Questo rese sempre più necessaria la presenza dei
costruttori di pneumatici al fianco di quelli delle automobili e rese ancora più stretta la loro
relazione.
13 Il just-in-time è una tecnica di organizzazione della produzione di origine giapponese che fa parte delle tecniche pull o di gestione a scorta nelle quali, a differenza di quelle push o a fabbisogno, sono i reparti a valle che “tirano” la produzione di quelli a monte. Esso si propone il conseguimento di obiettivi da sempre ritenuti contrastanti, come alta qualità, flessibilità e produttività e bassi costi.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 63
3.4 Pirelli: 1872-2003
3.4.1 Uno sguardo alla storia della compagnia
Pirelli nacque nel 1872 a Milano affacciandosi sul mercato producendo cinghie di trasmissione,
tubi, valvole per pompe e condensatori ed elementi di ebanite e caoutchouc indurito per
apparecchi di telegrafia e ferroviari. Si avvicinò subito anche alla gomma, scoperta da pochi
decenni, impiegandola per il rivestimento dei cavi elettrici, sotterranei e subacquei.
Nel 1890 la compagnia entrò nella produzione di pneumatici per bicicletta14 iniziando a
costruire competenze e know-how che sarebbero stati alla base anche della produzione
indirizzata alle automobili e ad altri veicoli. In principio l’attività fu limitata alla sola Italia, in
quanto era molto difficile lavorare in Europa per le pesanti restrizioni causate dai brevetti
posseduti dai concorrenti. L’affermazione a livello europeo avvenne nei primi anni del 1900
grazie alla partecipazione in gare ciclistiche (come il Tour de France del 1907 o il Giro d’Italia
del 1909).
La produzione di pneumatici per automobili avvenne in ritardo, attorno al 1905, quando i
principali concorrenti europei, Michelin, Dunlop e Continental, già possedevano un commercio
su larga scala. Questa lentezza non dipese da Pirelli in sé ma dal ritardo dell’industria
automobilistica italiana15. L’avvio della produzione si rivelò lungo e difficoltoso per diverse
ragioni. In primo luogo il pneumatico non era ancora una commodity16, quindi, la marca
contava moltissimo. Inoltre la capacità di assorbimento di pneumatici del mercato italiano era
molto ridotta17. Infine, era molto difficoltoso ottenere delle informazioni sui processi produttivi
dei concorrenti.
La compagnia si addentrò subito nella ricerca di tecnologie che conferissero al pneumatico un
buon ancoraggio, facilità di smontaggio, resistenza e flessibilità. Il punto di maggiore interesse
nella ricerca relativa al prodotto erano i materiali, data la difficoltà di reperimento in territorio
italiano. Pirelli, supportata anche da programmi governativi, fu, infatti, una delle prime imprese
a cimentarsi nel settore della gomma sintetica (risale al 1939 l’accordo con IRI per la
produzione della gomma sintetica a Milano Bicocca) e ad applicare il rayon come materiale di
rinforzo per la carcassa al posto del cotone, sempre alla fine degli anni’30.
14 Ricordiamo che il pneumatico per bicicletta fu inventato nel 1888 da J.B. Dunlop. 15 E’proprio all’inizio del 1900, infatti, che nacquero Fiat, Itala e Isotta Franceschini. 16 Per commodity si intende un prodotto il cui uso risulta necessario per il consumatore, per il quale la competizione si basa essenzialmente sul prezzo (i marchi sono tra loro quasi perfettamente sostituibili). 17 In Italia nel 1929 la diffusione di automobili era pari a 1 ogni 230 abitanti, in Francia 1 ogni 37 abitanti e negli Stati Uniti 1 ogni 5 abitanti (Pirelli, 1997).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 64
La Grande Depressione del 1929 non creò pesanti rallentamenti alla compagnia che continuò
sempre sulla strada dell’espansione; un traguardo importante fu l’essere la prima società
italiana quotata allo Stock Exchange di New York, nel 1937.
Al contrario, la seconda guerra mondiale provocò una situazione di crisi a causa dei
bombardamenti che danneggiarono duramente gli stabilimenti e gli impianti di Milano e della
svalutazione della lira. Tale difficoltà fu facilmente superata negli anni a seguire grazie al
boom dello sviluppo di Vespa e Lambretta e alla ripresa economica che caratterizzò gli
anni’50, con un significativo aumento del reddito pro-capite e della domanda di automobili.
Pirelli fu in grado di seguire Michelin nel passaggio alla tecnologia radiale: nel 1951 brevettò
un particolare tipo di pneumatico radiale, denominato Cinturato, che grazie ad una cintura
inestensibile rinforzata in rayon, aumentava di molto la resistenza18 nel tempo. Il prodotto subì
un’importante evoluzione nel 1972 con l’uso di acciaio, come materiale rinforzante in due
cinture, e del nylon in una terza, disposta secondo la direzione di rotolamento (quest’ultimo
pneumatico venne chiamato P3).
Gli anni’60 di Pirelli furono caratterizzati da una particolare attenzione verso l’espansione
geografica e l’ampliamento delle quote di mercato. Ciò sembra sostanzialmente dovuto alla
necessità di poter destinare fondi maggiori alla ricerca e sviluppo19 (Pirelli, 1997).
Citiamo alcuni degli accordi più significativi intrapresi dalla compagnia. Risale al 1970
l’unione di Pirelli con Dunlop (l’impresa da essa derivata era di dimensioni comparabili a
quelle di Michelin o Goodyear). Tale partnership si concluse nel 1981 di comune accordo,
soprattutto a causa di alcuni esercizi chiusi in perdita da Pirelli di cui Dunlop non voleva
assumersi il peso e del sistema organizzativo a due capi che si rivelò difficile da gestire. Negli
stessi anni emerse anche l’idea, appoggiata dalla stessa Michelin, di costituire un’unica
compagnia a livello europeo, la Tires Europe, unendo Pirelli, Dunlop e Continental, per cercare
di contenere gli effetti dell’entrata di imprese orientali nei mercati europei e nordamericani.
L’ambizioso progetto fallì perché Dunlop stava attraversando una crisi finanziaria e
Continental aveva indirizzato tutte le sue risorse verso l’acquisizione di Uniroyal Europa.
Nel 1988 Pirelli cercò di comprare il settore pneumatici di Firestone ma Bridgestone offrì una
somma maggiore; in accordo con Michelin, rilanciò un’offerta per l’acquisizione di tutta la
compagnia ma di nuovo venne scavalcata da Bridgestone che propose un prezzo nettamente
superiore al valore di Firestone stessa. 18 Nello sviluppo del prodotto risultò determinante l’assunzione di Luigi Emanueli alla supervisione dei cantieri che rivoluzionò il modo di approcciarsi alle nuove tecnologie e di fare ricerca. 19 I leader di allora del mercato mondiale, Michelin e Goodyear, infatti, essendo di dimensioni maggiori rispetto a Pirelli, potevano destinare alla R&S una percentuale sulle vendite di 3-4 volte maggiore (Pirelli, 1997).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 65
Per Pirelli risultava necessario consolidare la propria posizione nel mercato americano, così
comprò Armstrong Tire, sempre nello stesso anno; tale strategia, però, in futuro, si sarebbe
rivelata poco profittevole.
Nel 1990 Pirelli organizzò un attacco a Continental spinta da diverse motivazioni. In primo
luogo avrebbe potuto raggiungere il gruppo delle leader mondiali limitatamente a volumi di
vendita, in secondo luogo, temeva attacchi di scalata da parte di altre compagnie ed, infine,
avrebbe resistito meglio a periodi di recessione20 (Pirelli, 1997). Continental respinse la
proposta di Pirelli dopo un anno di contrattazione causando alla rivale una crisi finanziaria,
aggravata anche dalla recessione presente sia nel mercato dei pneumatici che in quello dei cavi.
La compagnia si risollevò attuando una strategia allargata e multiobiettivo: ci fu una cessione
delle attività diversificate e la chiusura di alcuni impianti in Italia e all’estero, con lo scopo di
liberare risorse per le due attività principali, venne effettuata una re-ingegnerizzazione della
società, fu abbassato il numero dei dipendenti ed, infine, ci fu un’espansione impiantistica
verso l’est per ricercare zone di produzione a basso costo e mercati meno saturi.
Ora Pirelli appare principalmente focalizzata verso la produzione dell’alta gamma di
pneumatici: tale attenzione risale agli anni’70 quando vennero presentati i primi pneumatici
UHP ribassati e super-ribassati (come il P3), presagendo la tendenza del mercato verso un forte
sviluppo di questi segmenti (nel 1997 il mercato dei pneumatici ribassati rappresentava il 40%
del totale e dei super-ribassati il 10%).
I principali traguardi raggiunti da Pirelli negli ultimi anni sono stati: la joint-venture con
Michelin per lo sviluppo e la produzione del Pax-system del 1999, l’introduzione del MIRS nel
2000 a Milano, nel 2001 in Germania e nel 2002 in Inghilterra e Stati Uniti, completato dal
CCM (per la gestione delle mescole) nel 2002, e il lancio del pneumatico run-flat Eufori@ nel
2000.
3.4.2 Le forze che hanno guidato la compagnia
Addentrandosi nella storia di Pirelli emerge chiaramente come lo sviluppo della compagnia sia
stato trainato da tre forze principali che possiamo individuare nella tendenza a stringere
alleanze con i competitori, nel ricercare un’espansione multinazionale e nella grande
importanza attribuita all’innovazione tecnologica e, quindi, alla ricerca. 20La proposta prevedeva la fusione di Continental Tyres con Pirelli Tyre Holding (come conseguenza le due avrebbe detenuto circa il 16% del mercato). Continental avrebbe dovuto acquistare per contanti tutte le attività di Pirelli Tyre Holding ed essa avrebbe reinvestito in un aumento di capitale di Continental. Pirelli sarebbe diventata l’azionista di maggioranza e avrebbe detenuto il controllo.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 66
Il novecento vissuto da Pirelli, infatti, è stato caratterizzato da numerosi accordi con i
concorrenti, non solo europei ma anche nordamericani, ad esempio per la produzione di
gomma sintetica o il contenimento dei costi della rivoluzione radiale. Risultano significative
anche le alleanze stipulate negli ultimi anni tra cui ricordiamo quella con Dunlop, durata dal
1970 al 1981, con Cooper nel 1999 e l’entrata nel gruppo per lo sviluppo e la
commercializzazione del Pax-system nello stesso anno. Questi accordi hanno aiutato la
compagnia nella sua strategia di espansione territoriale.
Generalmente le organizzazioni utilizzano anche altri strumenti per allargare il loro raggio di
azione: uno di questi è l’acquisizione di imprese straniere. Da questo punto di vista l’attività di
Pirelli non ha visto una sorte molto positiva: si possono ricordare, infatti, il fallimento di
acquisizione di Firestone e Continental e l’investimento su Armstrong Tire rivelatosi poco
profittevole ed efficace.
Come dichiara la stessa Pirelli un’espansione all’estero risultava necessaria in quanto il
mercato interno non consentiva una produzione tale da poter portare i costi competitivi ad un
livello competitivo. Inoltre, la multinazionalizzazione ricopre una funzione di supporto
all’attività di R&S, dal momento che permette di ammortizzare maggiormente i costi
ripartendoli su un fatturato più ampio ed esteso.
Pirelli ha sempre avuto un’attività di ricerca molto vivace e attenta che nei momenti di crisi
non è mai stata sospesa: anzi è stato l’elemento su cui si sono basate le strategie di
risollevamento. La compagnia dichiara di avere sempre ricercato un rapporto proficuo con le
università, anche a livello internazionale. La ricerca non è stata rivolta solo al prodotto ma
anche ad un miglioramento delle tecnologie produttive; sono una dimostrazione l’attenzione
verso i sistemi computerizzati di ausilio alla progettazione (CAD/CAM) che hanno portato la
compagnia nei primi anni’90 a presentare il P6000, il primo pneumatico interamente generato
al computer.
Nel 2001 è nata una nuova società all’interno del gruppo, Pirelli Labs21, per promuovere la
ricerca. Il lavoro da essa effettuato ha portato a significativi risultati per il settore pneumatici,
come lo sviluppo della tecnologia CCM e del cyber tyre.
Nell’Annual Report relativo all’anno 2002 Pirelli dichiara che le spese in R&S sono state il
4,3% del fatturato e sono state rivolte soprattutto al MIRS, alla tecnologia CCM, alle soluzioni
21 Pirelli Labs è nata con lo scopo di effettuare la ricerca avanzata a supporto di tutte le attività produttive dell’azienda. Essa opera in due campi principali: la ricerca sui materiali, legata ai segmenti produttivi tradizionali, e quella relativa al campo dell’ottica, principalmente fotonica e telecomunicazioni (Pirelli Annual Report 2002, pag. 21).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 67
run-flat, con il perfezionamento di Euforia@ e lo sviluppo di nuovi cerchi per il Pax-system, e
alla tecnologia legata ai SUV.
3.4.3 Pirelli oggi
Dall’Annual Report 2002 della compagnia sono stati estrapolati alcuni dati interessanti che
vengono presentati in questo paragrafo.
Come si può notare dalla tabella 3.4, la compagnia ha concluso il 2002 in perdita: ciò è stato
causato da oneri di ristrutturazione, da svalutazioni e dalla partecipazione nella società Olimpia
Spa ed amplificato dalla crisi del mercato delle infrastrutture e delle telecomunicazioni (per cui
è in programma una ristrutturazione interna all’impresa), solo in parte compensata dalla
continua crescita del settore pneumatici. Sono visibili anche dati riguardo gli stabilimenti: si
può precisare che nel 2002 dei 79 stabilimenti 22 erano dedicati alla produzione di pneumatici,
con un impiego di 20.222 dipendenti sui 36.079 totali (gli impianti appartenenti al settore
pneumatici sono circa il 28% del totale e gli addetti il 56%).
2002 2001 2000 1999 1998 Vendite 6311 7509 7477 6482 5487 Margine Operativo Lordo 480 666 820 678 721 Risultati Operativi 117 295 437 331 412 Risultato Netto - 610 86 3262 305 276 Stabilimenti 79 84 87 87 73 Dipendenti (31 dic.) 36079 39127 41914 40103 38209 Tabella 3.4 Dati caratterizzanti la compagnia dal 1998 al 2002 espressi in milioni di euro (Fonte: Pirelli Annual Report 2002) Nel corso del 2002 le vendite di Pirelli sono state distribuite come mostrato dalle figure 3.1 e
3.2. Come si può notare il mercato principale è quello europeo e, nonostante l’alleanza con
Cooper volta a potenziare il mercato nordamericano, quello sudamericano risulta più attrattivo,
anche se di un solo punto percentuale22.
22 Pirelli riporta anche che in Europa il mercato degli OE si sta restringendo con un tasso del 1,7% mentre quello dei RT si sta espandendo del 2,7%. La situazione risulta ribaltata in Nord America dove il primo cresce del 5,3% e il secondo cala del 2,5% (Pirelli Annual Report 2002).
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 68
Per concludere in figura 3.3 è presentata la struttura del gruppo23 .
Figura 3.1 Distribuzione a livello geografico delle vendite di Pirelli nell’anno 2002 (Fonte: Pirelli Annual Report 2002)
Figura 3.2 Distribuzione a livello di segmenti di mercato delle vendite di Pirelli nell’anno 2002 (Fonte: Pirelli Annual Report 2002)
23Le principali società appartenenti al Gruppo Pirelli e produttrici di pneumatici sono: Pirelli Pneumatici Spa, Italia; Pirelli Reifenwerke Gmbh, Germania; Pirelli UK Tyres Ltd, Regno Unito; Pirelli Neumaticos S.A., Spagna; Metzeler reifenwerke Gmbh, Germania; Turk Pirelli Lastikleri A.S., Turchia; Pirelli Pneus, Brasile; Pirelli Tire Llc, Stati Uniti; Pirelli Neumaticos S.A.I.C., Argentina; Pirelli de Venezuela C.A., Venezuela (Pirelli Annual Report 2002).
Italia13%
Resto Europa42%
Nord America16%
Sud America17%
Africa/Asia/Pacif.12%
Pn. Vettura62%
Pn. Veicoli Indus.26%
Pn. Motovelo8%
Pn. Steel Cord4%
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 69
Figura 3.3 Struttura del Gruppo Pirelli24 (Fonte: Pirelli Annual Report 2002)
24 La struttura del gruppo è mostrata dopo la fusione del 2002 di Pirelli&C. Luxemburg S.A. e Pirelli Spa in Pirelli&C A.P.A.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 70
3.5 Conclusioni
In questo capitolo sono state analizzate le variabili che hanno portato alla formazione
dell’industria del pneumatico odierna che è caratterizzata da un elevato tasso di
concentrazione, da profitti ridotti e da una struttura oligopolistica a livello globale. Infatti, oggi
nel settore operano molte imprese multinazionali che dominano il mercato mondiale e
forniscono prodotti e usano strategie simili tra loro e nelle varie aree geografiche (French,
1991).
Nell’analisi si è prestata molta attenzione all’industria statunitense per varie ragioni. Prima di
tutto essa è stata caratterizzata da eventi molto originali, come lo shakeout, il fallimento
nell’adozione della tecnologia radiale e l’acquisizione dei quattro quinti delle maggiori
compagnie da parte di imprese straniere. In secondo luogo presentava caratteristiche peculiari,
come l’essere strutturata in modo simile ad un distretto industriale, dal momento che la
maggior parte delle imprese operava nella zona di Akron nell’Ohio (Sull, 2002). Questo
rendeva le compagnie troppo legate alla tradizione, infatti, molte delle ristrutturazioni più
efficienti, come quella di Goodyear nel primo conflitto mondiale e di Goodrich nelle scelte
strategiche che seguirono la conversione alla tecnologia radiale, vennero attuate da un
management esterno non solo al distretto di Akron, ma anche all’industria.
In Europa non si poteva parlare di un settore omogeneo sottostante a dinamiche ben precise
perché le imprese erano sostanzialmente legate ai loro mercati domestici tranne alcune, come
Michelin (Francia), Pirelli (Italia), Dunlop (Inghilterra) e Continental (Germania), che
incontrarono una maggiore espansione ed internazionalizzazione.
Si hanno scarse informazioni relative alle compagnie asiatiche anche perché, eccetto Sumitomo
e Bridgestone che nacquero all’inizio del ventesimo secolo, le altre si aggiunsero molti anni più
tardi.
Nel corso di più di un secolo vennero introdotte molte innovazioni tecnologiche riguardanti il
prodotto, che passò da una durata di 500 miglia all’inizio del 1900 ai 60.000 miglia del 1992, il
processo produttivo, i materiali, ma anche le tecniche di gestione delle compagnie con
miglioramenti nell’organizzazione della produzione, dei magazzini, del sistema distributivo e
delle strategie di investimento. La grande maggioranza di queste innovazioni venne sviluppata
dalle compagnie leader; secondo Klepper e Simon (1997) perché erano le uniche ad avere
dimensioni tali da permettere un’intensa attività di ricerca che le portava ad operare sulla
frontiera tecnologica.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 71
Dal 1974 la redditività del settore cominciò a diminuire soprattutto a causa delle innovazioni di
prodotto, come i pneumatici radiali, che aumentarono la durata del pneumatico e indussero la
contrazione del mercato del ricambio che era l’unico profittevole (Dick, feb.1981).
L’industria può essere definita capital-intensive dal momento che sono richiesti ingenti
investimenti per la produzione, la distribuzione e l’acquisizione di contratti con i fornitori. Su
questa caratteristica, più che sui cambiamenti tecnologici, si fondano le alte barriere all’entrata
che hanno fatto risalire gli ultimi ingressi a molti decenni fa.
Una considerevole parte del capitolo è stata dedicata alla presentazione del processo di
sviluppo, delle attività e delle caratteristiche di Pirelli relativamente a cui questo studio
presenta un interessante approfondimento.
Pur non occupando le prime posizioni nel gruppo delle top10 limitatamente alla quota di
mercato posseduta, la compagnia appare molto attenta all’importanza dell’innovazione
tecnologica come arma competitiva, infatti, è stata tra le leader dello sviluppo delle nuove
tecnologie. Nel corso degli anni, le altre forze che hanno spinto Pirelli a diventare uno dei
produttori più affermati a livello mondiale, oltre all’innovazione tecnologica, sono state la
ricerca verso la multinazionalizzazione e verso alleanze con i concorrenti, principalmente volte
alla condivisione di tecnologie e all’espansione dei mercati.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 72
Appendice 3.1 – Il pneumatico
Il pneumatico è l’unico elemento di contatto tra veicolo e strada e, attraverso una superficie
non più estesa di una cartolina, realizza diverse funzioni:
sopporta il peso del veicolo e i relativi incrementi che si verificano in situazioni di
accelerazione e frenata;
consente il movimento tramite l’azione di rotolamento e trasmettendo le varie forze che
lo regolano, come quelle motrice e frenante;
mantiene e devia la direzione annullando le forze trasversali che tendono a mutare la
traiettoria (tali forze sono principalmente causate dalle asperità del terreno);
assorbe, grazie alla sua flessibilità ed elasticità, le vibrazioni causate da ondulazioni e
ostacoli incontrati durante la marcia; in questo modo, anche con l’aiuto delle
sospensioni, filtra le vibrazioni meccaniche ed acustiche generate dal veicolo.
La variabile principale da tenere sotto controllo nei pneumatici è la pressione dell’aria interna
in quanto incorre facilmente in decrementi per via della porosità naturale della gomma, per
allentamenti delle valvole dovuti all’usura o a causa di microlesioni. Una corretta pressione
aumenta la sicurezza della guida, migliorando la risposta ai comandi impartiti dal veicolo, e
l’economicità, mantenendo ad un livello basso la resistenza al rotolamento, con benefici
positivi sul consumo di carburante e sulla durata del pneumatico stesso.
Il pneumatico è costituito da diversi elementi:
la struttura portante, denominata carcassa, che è rinforzata da fibre, principalmente di
tessuto e gomma, che permettono anche la ritenzione dell’aria;
il fianco che deve essere adeguatamente irrobustito poiché eventuali lesioni
risulterebbero particolarmente critiche, dato che su di esso grava la maggior parte del
peso del veicolo25;
il tallone che è la parte finale del fianco, costituito da fibre di acciaio molto duttili, a cui
spetta la funzione di ancoraggio al cerchione;
25 Sul fianco sono presenti tutte le informazioni che definiscono il pneumatico e permettono un suo migliore utilizzo, come il nome, il costruttore, i materiali usati e dati sui limiti di velocità, carico e temperatura. E’inoltre presente una dicitura che descrive le caratteristiche principali del pneumatico e, in particolare: la tipologia d’uso (per automobili, invernali,…), la larghezza del battistrada, il rapporto tra altezza del fianco e larghezza del battistrada espresso in percentuale, detto aspect ratio, modalità costruttive (radiale, bias-ply,…), diametro del cerchione e simboli inerenti alle capacità di velocità e carico. Queste informazioni sono essenziali in caso di ricambio poiché usare pneumatici non compatibili dimensionalmente pregiudica la sicurezza, oltre che la resa di guida.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 73
il battistrada, ovvero la parte a contatto con il terreno, opportunamente sagomata ed
incisa per aumentare l’aderenza;
tra la carcassa e il battistrada ci sono delle fasce, in genere di acciaio gommato, che
determinano il diametro del pneumatico e limitano le deformazioni causate dalle forze
generate dalle curve, dalle frenate e centrifughe.
Ad ogni pneumatico viene assegnata una classe in base alle velocità che può sostenere; in
questo modo si definiscono dei sottosegmenti di mercato che spaziano da quello di massa a
quello ad alta performance, come si può notare dalla tabella 3.5.
Mercato di massa Alta performance CLASSE DI VELOCITA’
M N P Q R S T H V(Z) W(Z) Y
VELOCITA’ MAX. (km/h)
130 140 150 160 170 180 190 210 240 270 300
Tabella 3.5 Categorie di velocità (Fonti: Michelin Fact Book2003)
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 74
Appendice 3.2 - La tecnologia radiale Il pneumatico tradizionale, in uso prima dell’avvento della tecnologia radiale, era formato dalla
carcassa, rinforzata da vari strati di tessuto gommato, posizionati diagonalmente, in modo
alternativo, formando un angolo che poteva variare dai 25° ai 55° rispetto alla direzione di
marcia, come si può vedere in figura 3.4; il loro numero dipendeva dalle applicazioni, dalle
dimensioni e dal carico del pneumatico stesso. In questa architettura, definita cross-ply o bias-
ply, il fianco e la corona26 avevano lo stesso numero di strati e tutti della medesima
dimensione.
Figura 3.4 Architettura cross-ply e relativo particolare
Nel pneumatico radiale la carcassa è formata da strati che si snodano lungo la circonferenza, da
tallone a tallone, con un angolo di 90° rispetto alla direzione di avanzamento, rinforzati da
fasce di tessuto di acciaio. Sopra questi sono posizionati altri strati rinforzati accavallati con
angoli diversi in base al tipo di pneumatico. Nella tecnologia introdotta da Michelin, per
irrobustire questi ultimi strati vennero inseriti dei filamenti di metallo ma ogni compagnia
propose soluzioni diverse: ad esempio Pirelli introdusse un radiale con fibre di rayon che
chiamò “Cinturato”.
Come si può osservare in figura 3.5, nel pneumatico radiale lo spessore di fianco e corona sono
differenti. Questo permette di avere un fianco meno rigido ed una corona inestensibile.
26 Per corona si intende l’area centrale del battistrada.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 75
Figura 3.5 Architettura radiale e relativo particolare Per capire i benefici portati dal pneumatico radiale osserviamo la struttura di fianco e corona
nelle due architetture, seguendo la figura 3.627.
Figura 3.6 Particolari della struttura del fianco e della corona di pneumatici cross-ply, a sinistra, e radiali, a destra Considerando la corona si può facilmente notare come la struttura base sia il rombo nei
pneumatici bias-ply mentre il triangolo in quelli radiali. L’applicazione di forze longitudinali
non causa nessuna deformazione in una struttura a triangolo, al contrario di quelle a rombo,
nella quali si genera attrito che causa perdite di energia, sottoforma di calore, che inducono il
deterioramento del prodotto.
Nell’architettura radiale gli strati del fianco sono indipendenti l’uno dall’altro in modo da
conferirgli una minore rigidità che permette di aumentare la superficie di contatto col terreno,
e, quindi l’aderenza, al terreno e di assorbire meglio le asperità. Al contrario nei pneumatici
bias-ply l’aderenza alla strada durante la marcia è minore perché il carico tende a fare rialzare
27 Nella figura per sidewall si intende il fianco e per crown, la corona.
Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 76
la parte centrale della superficie di contatto. Inoltre, a causa delle forze impresse dalle
sospensioni quando si incontrano degli ostacoli, l’area di contatto non si mantiene costante ma
si rimpicciolisce e allarga continuamente provocando una forte perdita di energia con
un’incidenza negativa anche sulla durata.
Un fianco rigido è più soggetto a perdite di aderenza anche nel caso dell’azione di forze
laterali.
Grazie alle modifiche nella struttura viste, il pneumatico radiale permise un incremento della
durata da 12.000 Km a 40.000 Km e una riduzione di consumo di carburante del 5-10%.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 77
Quarto Capitolo
Gli oggetti dello studio:
il pneumatico run-flat
ed i nuovi sistemi produttivi
In questo capitolo vengono definiti in modo approfondito i due argomenti di indagine dello
studio, il pneumatico run-flat e i nuovi sistemi produttivi, quindi, le diverse strategie adottate
dalle compagnie del settore nella loro gestione e le loro eventuali relazioni, tenendo conto di
tutte le variabili che influenzano l’industria, come la sua struttura, le caratteristiche delle
imprese operanti e i connotati principali degli altri attori legati alla loro catena del valore.
Con questa sezione inizia la parte sperimentale del lavoro svolto nella tesi.
Il primo strumento di ricerca sono stati i siti web delle compagnie dell’industria di dimensioni
maggiori che hanno permesso una chiarificazione riguardo le caratteristiche delle stesse e del
settore; in seguito lo studio si è rivolto ad altri mezzi, sostanzialmente per poter garantire una
maggiore obiettività.
I dati sull’industria in generale, come vendite, quote di mercato e spese di ricerca e sviluppo,
sono stati estratti da numerose fonti: studi effettuati da compagnie come Michelin e Pirelli, per
i quali si sono sempre cercati dei confronti per ottenere una visione obiettiva, Annual Reports e
statistiche realizzate da giornali di settore (Tire Business e Modern Tire Dealer ad esempio).
Per le informazioni riguardanti i vari tipi di tecnologie run-flat presenti oggi sul mercato e i
sistemi di produzione innovativi, mi sono avvalsa soprattutto di pubblicazioni di settore, sia in
forma hardware che online (Tire Business, Modern Tire Dealer, European Rubber Journal,
Babcox.com, Tires-online.co.uk).
Uno strumento molto prezioso per la ricerca di informazioni e dati è stato il poter utilizzare le
risorse elettroniche messe a disposizione dalle biblioteche dello SPRU e dell’Università del
Sussex che mi hanno permesso di accedere ai cataloghi di tutte le biblioteche universitarie e
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 78
non del Regno Unito1. In questo caso mi sono avvalsa della ricerca per parole chiave
utilizzando i nomi delle compagnie, dei sistemi di produzione o, più in generale, parole come
“tire/tyre”, “tire/tyre industry”, “tire/tyre technology”, “run-flat tire/tyre”2 e loro combinazioni.
Dal momento che non è stato ancora pubblicato nessuno studio a livello economico riguardante
questi ultimi anni di sviluppo dell’industria del pneumatico, nella stesura di questo capitolo, a
differenza del precedente, non ci si è avvalsi da articoli tratti da riviste economiche
manageriali.
Nella raccolta del materiale ho incontrato alcune limitazioni. In primo luogo nell’industria la
segretezza assume un ruolo molto importante3: ad esempio informazioni dettagliate sui sistemi
produttivi introdotti da Goodyear e Michelin (Impact e C3M) sono state rese disponibili solo
una quindicina di anni dopo l’inizio del loro sviluppo. In secondo luogo molte imprese,
soprattutto quelle con sede in paesi asiatici, come Corea e Giappone, hanno meno obblighi
nella diffusione di dati ed informazioni, quindi spetta ad ogni compagnia adottare una strategia
più o meno aperta in questo senso.
Ho, così, trovato difficoltà a reperire dati dettagliati e completi inerenti alle varie tipologie di
pneumatici run-flat e alle caratteristiche dei nuovi sistemi produttivi adottati dalle varie
compagnie, ma anche informazioni a livello di settore, come le spese in ricerca e sviluppo.
Prima di affrontare un’analisi specifica dei due oggetti principali dello studio (sezioni 4.3, 4.4 e
4.5), si è ritenuto opportuno mostrare le dinamiche che caratterizzano l’industria al giorno
d’oggi e il ruolo dell’innovazione tecnologica (sezioni 4.1 e 4.2).
Nella sezione 4.6 è presentato uno studio dell’industria attraverso l’analisi dei brevetti
utilizzando dati estrapolati dal Database EPO-CESPRI (Università Bocconi, Milano). Tale
lavoro è centrato principalmente su Pirelli, senza, però, perdere il riferimento con le tendenze
generali dell’industria; esso ha lo scopo di approfondire la conoscenza, a livello tecnico, delle
tecnologie su cui si focalizza la tesi, di ampliare le informazioni riportate nella sezione 4.2
riguardo l’innovazione tecnologica nel settore e di verificare empiricamente una delle strategie
intraprese da molte imprese operanti nell’industria in questi ultimi anni, la diversificazione
tecnologica.
1 Ringrazio la dott.Virginia Acha (Research Fellow presso lo SPRU) per avermi permesso l’accesso ai suoi abbonamenti ai giornali di settore ed il personale della biblioteca dello SPRU per l’aiuto offerto nei prestiti interbibliotecari. 2 Nella lingua inglese il termine pneumatico può essere scritto in due modi diversi: tire e tyre. 3 La segretezza fa parte delle strategie di protezione delle innovazioni e di solito è usata in modo complementare ai brevetti ma può essere anche un’alternativa qualora non esistano le condizioni di brevettabilità o l’innovazione sia ancora in una fase di sviluppo.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 79
4.1 Lo scenario competitivo
4.1.1 Caratteristiche dell’industria
Una delle principali caratteristiche del settore del pneumatico è l’essere molto segmentato al
suo interno; esiste, cioè, una grande varietà di mercati, come si può notare in figura 4.1:
pneumatici per autoveicoli per trasporto passeggeri e autocarri leggeri, per camion, per veicoli
pesanti (come i veicoli industriali o per l’agricoltura), per auto da corsa, per biciclette, per
veicoli a due ruote e per aerei, per riportare alcuni esempi.
Figura 4.1 Il mercato mondiale del pneumatico per linee di prodotto (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”)
Come emerge dalla figura il segmento dei pneumatici per automobili e autocarri leggeri è il più
esteso ed è quello a cui si fa più riferimento nello studio. Al suo interno produttori possono
vendere attraverso due mercati: l’Original Equipment (OE) e il mercato dei ricambi (RT,
Replacement Market). Nel mercato degli OE i clienti sono rappresentati dai produttori di
automobili a cui si vendono set di pneumatici come primo equipaggiamento dei nuovi veicoli.
In quello del ricambio si commercia con i distributori (sia grandi catene distributive che piccoli
gommisti) attraverso i quali si realizza la vendita all’utilizzatore finale per la sostituzione dei
propri pneumatici usurati.
Statistiche affermano che nel 2002 il 48% degli automobilisti hanno rimpiazzato i pneumatici
rimanendo fedeli alla marca del set originale e tale percentuale ha avuto un trend crescente
negli ultimi 6 anni. Compagnie come Goodyear e Michelin affermano che nel loro caso questa
percentuale raggiunge addirittura l’85% e il 65% rispettivamente. Un’inchiesta riportata su The
Tyre Industry Market Report 2001 arricchisce questi dati asserendo che il consumatore sceglie
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 80
la marca dei pneumatici per il ricambio valutando principalmente il prezzo, i consigli dei
rivenditori e l’ esperienza precedente ma, in questi ultimi anni, un altro fattore di influenza è
rappresentato dall’immagine.
I maggiori produttori di pneumatici si concentrano sul mercato OE anche se quello dei ricambi
è più remunerativo. In questo modo si è certi di numerosi ordini di grandi dimensioni e,
ricercando la fidelizzazione del consumatore finale attraverso un continuo miglioramento di
prestazioni e qualità, si prospetta un futuro per il mercato dei ricambi, in cui si può vendere a
prezzi maggiori. Nel mercato degli OE è difficile la presenza dei piccoli produttori perché
lavorare con le imprese automobilistiche richiede un alto tasso innovativo, quindi possibilità di
elevati investimenti in R&S, catene distributive estese ed efficienti e capacità di assistenza
tecnica.
Il mercato dei ricambi, invece, è molto più diversificato e dà spazio anche ai piccoli produttori
grazie ai minori investimenti richiesti, soprattutto in pubblicità, dal momento che c’è una più
viva competizione tra i vari marchi.
Per avere un’idea dell’entità di questi due mercati riportiamo l’esempio di Michelin che
dichiara che il 70% dei pneumatici prodotti sono rivolti al mercato RT e il 30% all’OE; tali
percentuali diventano ancora più significative nel segmento dei pneumatici per autocarri
pesanti, 85% e 15% rispettivamente.
Come si può notare in questo contesto è difficile dare una definizione di cliente in quanto esso
può essere rappresentato sia dall’impresa automobilistica che dal distributore di pneumatici o
dall’utilizzatore finale. I clienti con maggiore potere contrattuale sono le imprese
automobilistiche. Nel corso della storia, infatti, molte compagnie sono state avvantaggiate dal
detenere rapporti speciali con i costruttori di autoveicoli (ad esempio sono note le alleanze tra
Ford e Firestone o tra Goodyear e Chrisler) che, comunque, hanno sempre cercato di mantenere
il più viva possibile la competizione tra i fornitori per ovvie ragioni di costo. Negli ultimi anni
essi hanno rivolto richieste sempre maggiori ai costruttori di pneumatici, come afferma Hocke
(1999). Questi ultimi sono diventati sempre più integrati verticalmente fino ad acquisire
competenze nella progettazione degli autoveicoli, necessarie al co-design, e reti distributive
sempre più estese, complesse ed efficienti. Le imprese del settore, quindi, hanno assunto in
misura sempre maggior il ruolo di partner dei produttori di autoveicoli che hanno lasciato loro
più spazio ricorrendo all’outsourcing di progetto, di attività di R&S e di problem-solving.
Al giorno d’oggi i costruttori di pneumatici non possono prescindere dalle esigenze dei
consumatori finali (pneumatici in grado di avere elevate prestazione con ogni condizione
atmosferica, con alta durata e bassa manutenzione). Infatti, in questi ultimi anni il pneumatico è
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 81
diventato una commodity4, quindi, i produttori puntano sull’aumento di qualità, affidabilità e
prestazioni e sulla promozione del proprio marchio per fidelizzare l’utilizzatore e cercare
elementi che portino una differenziazione del proprio prodotto dagli altri.
Dopo aver presentato i clienti delle imprese operanti nell’industria si accennano brevemente i
fornitori, sempre più coinvolti nei processi di progetto e sviluppo del prodotto. Come emerge
dal lavoro di Acha e Brusoni (2002) non risultano tra i fornitori le sole imprese operanti nel
settore chimico e della gomma sintetica, ma anche quelle legate all’elettronica, all’ingegneria
di precisione e al settore tessile; questo è indice del fatto che il pneumatico sta diventando un
prodotto sempre più complesso e componente fondamentale di un sistema ben più ampio dato
dalla ruota e dalle parti di ancoraggio al veicolo, come sottolineano gli stessi autori.
Il mercato dei pneumatici per autoveicoli è a sua volta molto segmentato: a questo proposito è
esaustivo lo schema proposto da Michelin in figura 4.2.
Figura 4.2 Il mercato dei pneumatici per autoveicoli da trasporto passeggeri e autocarri leggeri (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) In questi ultimi anni sono in forte crescita i segmenti dei SUV (Sport Utility Vehicle) e dei
pneumatici ad alta performance. Soprattutto negli Stati Uniti la diffusione dei SUV è un
fenomeno molto soggetto alla moda e, da veicoli impiegati principalmente in attività sportive o
in strade con determinate condizioni, hanno raggiunto un uso quotidiano richiedendo, quindi,
4 Per commodity si intende un prodotto il cui uso risulta necessario per il consumatore, per il quale la competizione si basa essenzialmente sul prezzo (i marchi sono tra loro quasi perfettamente sostituibili).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 82
sempre meno pneumatici per veicoli 4×4 e più ad alta performance. Oggi i pneumatici ad alta
performance non sono più usati per equipaggiare solo i modelli al top del settore delle auto
sportive ma quelli al top della quasi totalità dei segmenti di prodotto.
Accanto a tutti i mercati compresi nel settore va menzionato anche il cosiddetto retread o
remoulded market, cioè dei pneumatici con battistrada ricostruito. Oggi sono usati dei
componenti molto buoni che non provocano più un aumento della resistenza al rotolamento,
che comporta un invecchiamento accelerato e un maggior consumo di carburante. L’utilizzo di
un pneumatico ricostruito permette di diminuire il consumo di petrolio: infatti si impiegano
solo 26 litri contro gli 85 richiesti dalla costruzione di un pneumatico tradizionale. Esso, però,
rappresenta un mercato a sé e non viene preso in considerazione in questo studio.
Come si vede dalla figura 4.3 nel 2002 il mercato del pneumatico ha avuto una dimensione di
68,5 miliardi di US $ e la sua crescita in vent’anni è più che raddoppiata.
Figura 4.3 Ammontare del volume di vendite dell’industria dal 1983 al 2001 (in miliardi di US $). (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) I mercati del Nord America e dell’ Europa Occidentale sono ormai saturi; si ha crescita
solamente in quelli emergenti, come Asia, Sud America ed Est Europa, ai quali si stanno
interessando le maggiori compagnie del settore. Questa tendenza è dimostrata dalle numerose
acquisizioni di imprese dell’Est Europeo da parte di Michelin e dagli investimenti di
compagnie come Pirelli o la stessa Michelin nel potenziare gli impianti in Sud America,
specialmente in Brasile.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 83
In figura 4.4 possiamo osservare la distribuzione del mercato a livello geografico. Come già
anticipato nel terzo capitolo, l’industria non è più formata da realtà operanti principalmente nel
paese di appartenenza o limitrofi, come invece accadeva fino ad una ventina di anni fa, ma sta
assumendo sempre più un carattere globale.
Figura 4.4 Divisione geografica del mercato (2002). (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) Per riuscire a mantenere la propria leadership in ogni mercato geografico è stata molto
frequente la stipulazione di cooperazioni ed accordi tra imprese di cui si accennano due
esempi. Nel 1999 Pirelli, per far fronte alla debolezza dovuta alle scarse vendite in Nord
America, si accordò con Cooper impegnandosi a commercializzare il marchio del partner in
Sud America in cambio della distribuzione in Nord America del proprio. Nello stesso anno ci
fu anche la joint-venture tra Goodyear e Sumitomo avente, tra gli altri, lo scopo di consolidare
il marchio Goodyear in Giappone e quello Sumitomo in Occidente.
Nonostante la tendenza verso una globalizzazione dei mercati, la profittabilità dell’industria
resta comunque molto bassa se paragonata ad altri settori, soprattutto a quello automobilistico,
a cui è strettamente legata. Questo accade sostanzialmente perché i costi continuano ad
aumentare mentre i prezzi di vendita si mantengono stabili o, addirittura, soprattutto nel
mercato degli OE, diminuiscono: Maynard (2001) riporta che nel 1983 il prezzo mediamente
pagato per un pneumatico dall’utilizzatore era 63 US $ contro i 39 US $ del 2001. Inoltre, la
vita utile del prodotto è in continuo aumento (oggi ha quasi raggiunto i 50.000 km, come si può
vedere dalla figura 4.5), quindi, i ricambi sono sempre più ritardati nel tempo, se non
addirittura inesistenti.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 84
I costi per le materie prime rappresentano il 60-70% dei costi di produzione. I componenti
principali di un pneumatico sono gomma naturale, petrolio e componenti derivati (ad esempio
sostanze usate per il rinforzo). Come emerge dal Michelin Fact Book 2002, il prezzo della
gomma naturale è aumentato del 33% nel biennio 2001-2002 e anche il prezzo del petrolio è in
continua crescita dal 1999. Per quanto riguarda gli altri componenti, sono le fibre di nylon
usate per rinforzare la struttura del pneumatico che incidono maggiormente sul prezzo. Uno
degli obiettivi principali delle imprese operanti nel settore, quindi, è la riduzione dei costi
accompagnata, però, dal mantenimento di elevati standard in termini di qualità, affidabilità,
sicurezza e performance.
Figura 4.5 Ciclo di vita del pneumatico (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”)
Questa è una delle tante forze che, come si vedrà in seguito, ha spinto alla ricerca di nuovi
sistemi produttivi che permettono notevoli risparmi, soprattutto in energia, immagazzinamento,
manodopera e tempi di lavorazione. La riduzione dei costi è anche uno dei motori che
inducono le varie compagnie a stipulare accordi ed alleanze. In questo modo riescono a
stabilire rapporti privilegiati con clienti e fornitori e a risparmiare nelle attività distributive e di
R&S, infatti, si mettono a disposizione tecnologie e conoscenze evitando dispendiose
ridondanze, come verrà analizzato in modo più approfondito nella prossima sezione.
Nonostante la necessità di un costante impegno nella riduzione dei costi, le imprese continuano
ad investire in nuovi prodotti e tecnologie per cercare di togliere il pneumatico dalla categoria
delle commodity: innovazioni come il run-flat o il Pax-System, analizzate in questo capitolo,
testimoniano questa tendenza.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 85
Un’ulteriore peculiarità dell’industria in questi ultimi anni è l’interesse nell’impatto ambientale
della propria attività lavorativa. Compagnie come Michelin, Goodyear e Continental hanno
introdotto diversi modelli dei cosiddetti green tires, cioè pneumatici i cui componenti sono in
grado di diminuire la resistenza al rotolamento riducendo il consumo di carburante e, quindi,
l’emissione di gas di scarico nell’ambiente.
Particolare attenzione è data anche al riciclaggio, dato che i rifiuti rappresentati dai pneumatici
hanno un peso significativo. Una volta smessi, i pneumatici possono avere altri usi, come
barriere temporanee, limitanti per l’erosione del terreno, e, se riciclati, possono produrre
materia prima per la costruzione di pneumatici stessi ma anche per barriere sonore, mobili e
sistemi per l’irrigazione, ad esempio .
A questo punto, dopo aver fornito una panoramica generale sulle caratteristiche dell’industria e
su chi è coinvolto in essa, presento gli attori principali, cioè i produttori di pneumatici.
4.1.2 Le imprese del settore
L’industria del pneumatico è caratterizzata da un elevato tasso di concentrazione5. Ciò risulta
immediatamente chiaro andando ad analizzare le quote di mercato delle imprese produttrici,
come viene fatto in tabella 4.1 e nella figura 4.6 che è stata ottenuta graficandone i dati.
Le quote di mercato di ciascuna compagnia sono state calcolate dividendo il suo volume annuo
di vendita per le vendite totali dell’industria6. Come si può notare, nell’ultimo triennio
considerato le 10 imprese leader si sono aggiudicate un volume di vendita superiore all’ 80%
rispetto alla totalità del settore: ai sensi dello studio, quindi, non risulta limitativo prendere in
considerazione solamente queste compagnie.
Il settore è dominato da tre grandi compagnie, Bridgestone, Michelin e Goodyear, che nel 2001
hanno posseduto complessivamente più del 56% del mercato.
Un altro parametro in base al quale valutare la concentrazione è l’indice di Herfindal che nel
quindicennio considerato ha presentato un valore medio pari a 0,149. Se l’industria si trovasse
in una situazione di concorrenza, tale valore dovrebbe essere prossimo a 0,00677: cioè le quote
5 Un’industria si definisce concentrata quando in essa opera un numero ridotto di imprese che tendono ad avere grandi dimensioni. 6 Il periodo preso in considerazione parte dal 1987 fino al 2001 in quanto i dati del 2002 non erano ancora accessibili al momento della stesura dello studio. 7 Per un’analisi sulla concentrazione di un settore, l’Indice di Herfindal va confrontato con il valore 1/n dove n è il numero di imprese dell’industria. In questo caso considero n=150 in quanto tale valore è preso come riferimento nelle fonti usate per il calcolo delle quote di mercato.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 86
di mercato di ogni compagnia dovrebbero essere pari a circa lo 0,67% e le top10 dovrebbero
complessivamente raggiungere il 2%, valore che si discosta di molto da quello reale.
Tabella 4.1 Quote di mercato dal 1987 al 2001 delle imprese top 10 dell’industria Figura 4.6 Andamento delle quote di mercato delle 7 maggiori compagnie dell’industria dal 1987 al 2001
COMPAGNIE 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001Bridgestone 9,9 14,3 18,3 16,5 17,2 18,7 17,8 19 19 18,6 18,1 18,8 19,5 19,8 18,9Michelin 17,3 17,22 16,7 20,3 19,9 19,8 18,7 18,8 18,3 18,9 18,6 19,2 19,5 19 19,6Goodyear 18,1 17,4 17 16,5 15,6 15,4 16,6 16,1 15,1 16,9 17,3 16,9 16,6 18,3 18,2Continental 4,4 7,4 7,1 7,3 7,2 7,5 7 7,5 7,4 7 6,4 6,5 7,1 7,1 7,2Suumitomo 5,7 6 5,5 5,3 6,1 6,2 6,1 5,9 5,9 5,8 5,6 5,6 4,9 4 3,8Pirelli 5,7 6,3 5,8 5,8 5,5 5,4 5,2 4,6 4,5 4,3 4,4 4,5 3,9 3,7 3,7Yokohama 3,6 3,8 3,7 4 4,6 4,6 4,7 4,5 4,3 3,8 3,4 3,3 3,5 3,6 3,3Toyo 2,3 2,4 2,3 2,1 2,3 2,4 2,4 2,4 2,3 2 1,9 1,7 1,8 1,9 1,8Cooper 1,6 1,3 1,6 1,5 1,6 1,9 1,9 2 1,9 2 2 2,2 2,2 2,6 2,5Kumho 1 1 1,1 1,2 1,4 1,6 1,6 1,4 1,7 1,9 2 1,4 1,7 1,8 1,8Altri 30,4 22,88 20,9 19,5 18,6 16,5 18 17,8 19,6 18,8 20,3 19,9 19,3 18,2 19,2
C3 45,3 48,92 52 53,3 52,7 53,9 53,1 53,9 52,4 54,4 54 54,9 55,6 57,1 56,7HERFINDAL 0,176 0,148 0,148 0,148 0,143 0,141 0,141 0,143 0,145 0,147 0,150 0,152 0,152 0,153 0,154
Note:1. C3 è dato dalla somma delle quote di mercato dei maggiori 3 produttori. L'Indice di Herfindal è la somma del quadrato delle quote di mercato di ciascun produttore.2. Fonti: 1987-1997 European Rubber Journal Global Tire Report 1990-1997. 1998-2001 Tire Business Global Tire Company Rankings 2001 e 2002.
0
5
10
15
20
25
1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
Anno
Quo
te (p
erce
ntua
le)
Bridgestone
Michelin
Goodyear
Continental
Suumitomo
Pirelli
Yokohama
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 87
Analizzando la figura 4.6 si può notare come dal 1991 al 2001 in testa al settore, limitatamente
a dimensione di mercato, ci siano Bridgestone e Michelin. Dal 1987 al 1989 si assiste ad un
rapido aumento, pari a 8,4 punti percentuale, delle quote di mercato di Bridgestone dovuto
all’acquisizione di Firestone del 1988, che ha permesso alla prima di entrare a pieno titolo nel
mercato americano. Nel 1990 anche Michelin ha migliorato la propria posizione competitiva in
seguito all’acquisizione di Uni-Goodrich. Continental è diventata la quarta impresa del settore,
in termini di quote di mercato, grazie all’acquisizione nel 1987 di General Tire. Nel 1999 si
assiste ad un incremento della percentuale di mercato di Goodyear e ad una diminuzione per
Sumitomo: questo può essere dovuto al passaggio del controllo del marchio Dunlop in Europa
e America dalla seconda alla prima in seguito alla joint-venture stipulata dalle due compagnie
lo stesso anno.
Prima di presentare le dieci compagnie leader a cui, come si è visto sopra, è limitato lo studio,
penso sia utile riassumere i cambiamenti avvenuti all’interno del settore negli ultimi quindici
anni che hanno toccato soprattutto l’industria americana, nella quale tra 5 compagnie
indipendenti è rimasta solo Goodyear; a questo proposito è significativa la figura 4.7.
Dall’inizio degli anni’80 sono apparse in Occidente anche imprese asiatiche, nate per lo più in
Corea e Giappone, soprattutto in seguito alla precedente espansione in Europa e America delle
compagnie automobilistiche orientali. Come si può vedere in figura queste sono in genere
imprese giovani che hanno saputo raggiungere, e talvolta anche superare, sul mercato le grandi
società occidentali con una lunga tradizione alle spalle. In seguito alle numerose acquisizioni di
imprese minori, le leader hanno avuto la possibilità di ottenere il controllo di molti marchi
grazie ai quali hanno potuto più agevolmente imporre la loro presenza in tutti i numerosi
segmenti del mercato. In tabella 4.2 sono proposti i maggiori marchi posseduti da alcune tra le
imprese considerate8.
Le strategie di gestione dei marchi sono diverse tra le varie compagnie: ad esempio,
Bridgestone tende ad usare ogni marchio rilevante in una precisa divisione macroscopica del
mercato (Bridgestone per il top del mercato come pneumatici ad alta performance, Firestone
per i segmenti di medio livello e Dayton come marchio economico), mentre Goodyear o
Michelin tendono a sviluppare verticalmente i marchi per accedere ad ogni segmento del
mercato (ad esempio possiamo trovare pneumatici ad alta performance o run-flat sia Dunlop
che Goodyear).
8 Non si sono trovate informazioni in merito a Toyo e Yokohama
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 88
Figura 4.7 Dinamiche delle imprese del settore dal 1985 ad oggi
MICHELIN MICHELIN, BFGOODRICH, KLEBER, UNIROYAL (Nord America),GOODRICH, RIKEN, TAURUS, KORMORAU, SIAMTYRE, ICALLANTAS, TCI, EUROMASTER, PNEULAURENT, REAMIC, AMERICAN, CAVALIER, MEDALIST, NTB, REGUL, SEARS, TRIVANT, LAURENT, TYREMASTER
GOODYEAR GOODYEAR, DUNLOP (Europa e Nord America), FULDA, KELLY TIRES, DEBICA, SAWA, CO-OP, CORDOVAN, HALLMARK, JETZON, LARAMIE, MONARCH, REMINGTON, STAR, VANDERBILT
PIRELLI PIRELLI, ARMSTRONG, COURIER, CEAT, METZELER (pneumatici per motoveicoli)
BRIDGESTONE BRIDGESTONE, FIRESTONE, DAYTON, CORNELL, DURALON, FUTURA, PEERLESS, SEIBERLING, TRIUMPH
CONTINENTAL CONTINENTAL, GENERAL TIRE, UNIROYAL (Europa), SEMPERIT, BALUM, GISLAVET, MABOR, VIKING, MULTI-MILE, SIGMA
COOPER COOPER, AVON, BIG O, DEAN, DELTA, ELDORADO, MASTERCRAFT, ROADMASTER, STARFIRE, TACOMA, WINTERMASTER
KUMHO KUMHO, MARSHALL SUMITOMO SUMITOMO, DUNLOP, SRIXON
Tabella 4.2 Marchi principali appartenenti alle maggiori imprese del settore (Fonte: Modern Tire Dealer Statistics 2003)
COMPAGNIA PAESE INIZIO ATTIV.
ENTR. NDUST.
ACQUISIZIONI
GOODYEAR US 1898 1899 FIRESTONE US 1900 1900 Firestone 1988 scavalcando Pirelli UNIROYAL US Fusione con Goodrich nel 1986 (Uni-
Goodrich) e nel 1990 acquisite da Michelin
BF GOODRICH US 1870 1908 Fusione con Uniroyal nel 1986 (Uni-Goodrich) e nel 1990 acquisite da Michelin
GENERAL TIRE US Continental 1987 COOPER US 1914 1915 CONTINENTAL Germania 1871 1871 MICHELIN Francia 1889 1891 PIRELLI Italia 1872 1890 DUNLOP UK 1888 1888 Sumitomo 1998. Con la joint-venture del
1999 con Goodyear, il marchio in Europa e Nord America passa sotto il controllo di quest’ultima
BRIDGESTONE Giappone 1920 1928 SUMITOMO RUBBER
Giappone 1909
YOKOHAMA TIRE
Giappone 1969 1969
KUMHO TIRE Corea 1960 1960 TOYO TIRE AND RUBBER
Giappone 1945 1945
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 89
Per alcuni analisti è anche su questo che si fonda il considerevole vantaggio di Michelin su
Bridgestone, cioè nel non adottare una strategia multi-brand con un notevole risparmio nei
costi di gestione. La gestione dei vari marchi si trasforma spesso in un’arma competitiva: una
dimostrazione è offerta da Goodyear che usa il proprio marchio nel competere con Bridgestone
e quello Dunlop con Michelin. Oltre a Bridgestone, anche Continental offre un importante
esempio di strategia multi-brand controllando marchi forti ed affermati come Uniroyal Europa
e Semperit, oltre al proprio.
A questo punto si analizzano più in dettaglio le caratteristiche delle top10 avvalendosi anche di
informazioni sulle vendite (tabella 4.3 e figura 4.9) e sulla tire intensity (tabella 4.4 e figura
4.10). Per tire intensity di una compagnia in un determinato anno si intende il rapporto tra le
vendite effettuate in quell’anno in pneumatici e quelle totali, cioè derivanti da tutte le attività
dell’organizzazione; più tale valore si avvicina al 100%, più i pneumatici sono importanti nel
volume di vendite totali per l’impresa in considerazione.
Attualmente la posizione leader dell’industria è occupata alternativamente da Bridgestone e
Michelin. Le strategie della prima hanno come obiettivo principale il consolidamento della sua
posizione in Occidente, soprattutto in Europa, dove le vendite sono ancora ad un livello basso,
come mostra la figura 4.8, contrariamente a ciò che accade nel mercato nordamericano in cui è
entrata a pieno titolo a partire dal 1988 con l’acquisizione di Firestone.
Figura 4.8 Percentuale delle vendite nelle varie aree geografiche di 5 tra le maggiori compagnie nel 2001 (Fonte: Michelin Fact Book 2002. “The World Tire Market”)
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 90
Tabella 4.3 Vendite delle top10 dal 1987 al 2001 espresse in milioni di US$
Figura 4.9 Andamento delle vendite delle top10 dal 1987 al 2001 ottenuto graficando i dati in tabella 4.3
0
2000
4000
6000
8000
10000
12000
14000
16000
1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
Anni
Vend
ite (m
il U
S$)
BridgestoneMichelinGoodyear ContinentalSumitomoPirelliYokohamaToyoCooperKumho
COMP./VEND. 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001Bridgestone 3972 6510 8471 8200 8688 9345 9472 11100 12740 12900 12320 12635 13500 13750 12950Michelin 6950 7838 7732 10095 10020 10500 9935 11000 12240 13100 12718 12916 13500 13200 13450Goodyear 7306 7927 7881 8188 7949 8167 8853 9428 10105 11705 11850 11311 11515 12750 12470Continental 1774 3367 3274 3625 3613 3980 3719 4415 4938 4866 4355 4334 4900 4955 4900Sumitomo 2307 2712 2732 2630 3050 3276 3223 3428 3976 4000 3800 3750 3414 2783 2958Pirelli 2300 2850 2955 2900 2756 2874 2748 2717 2987 3000 3020 3006 2725 2600 2530Yokohama 1436 1727 1734 1970 2320 2432 2523 2651 2860 2600 2343 2194 2408 2514 2272Uniroyal-Goodrich 1878 1825 1905 2025 2300General Tire 1271 1428 1345 1352 1323Kelly-Springfield 1242 1347 1440 1200 1250Toyo 922 1084 1061 1055 1194 1263 1295 1410 1524 1378 1283 1120 1255 1323 1248Cooper 640 598 722 744 830 1000 1015 1193 1267 1372 1449 1447 1557 1803 1705Kumho 405 466 523 585 703 843 876 847 1147 1355 1241 966 1195 1235 1247TOTALE 32403 39679 41775 44569 45996 43680 43659 48189 53784 56276 54379 53679 55969 56913 55730
Note:1. Fonti: 1987-1997 European Rubber Journal Global Tire Report 1990-1997. 1998-2001 Tire Business Global Tire Company Rankings 2001 e 2002.
2. Le fonti utilizzate riportano le vendite separate di Uniroyal-Goodrich, General Tire e Kelly-Springfield fino al 1991 ma il primo gruppo fu acquistato da Michelin nel 1990, General Tire da Continental nel 1987 e Kelly-Springfield fa parte di Goodyear già dal 1935.3. Le vendite di Bridgestone sono comprensive di quelle di Firestone dal 1988; nel 1987 queste ultime sono state di 2630 milioni di US$4. Dal 1987 al 1990 tra Cooper e Kumho vi erano altre 3 compagnie: Uniroyal-Englebart (Germania), Hankook (Sud Corea) e South Pacific Tyre (Australia). Nel 1994 Kumho non faceva parte delle top10: la decima posizione era occupata da Hankook (Sud Corea) con vendite pari a 997 milioni di US$.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 91
Tabella 4.4 “Tire Intensity” delle top10 dal 1987 al 2001 espressa in punti percentuale (Dati ricavati dalle stesse fonti della tabella 4.1)
Figura 4.10 Andamento della “Tire Intensity” delle top10 dal 1987 al 2001 ottenuto graficando i dati riportati nella tabella 4.4
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
Anni
Tire
Inte
nsity
(%)
BridgestoneMichelinGoodyear ContinentalSumitomoPirelliYokohamaToyoCooperKumho
COMPAGNIE 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 MED.Bridgestone 70 70 69 66 65 68 66 70 71 72 72 74 74 74 74 70,07Michelin 89 89 89 88 84 87 89 91 92 94 93 93 92 93 95 90,21Goodyear 74 73 74 73 72 70 76 77 77 84 85 85 85 85 88,7 77,86Continental 70 75 73 67 64 65 66 68 69 70 68 58 50 53 49 65,43Sumitomo 76 79 79 70 71 72 71 72 70 75 75 75 76 71 73 73,71Pirelli 42 46 38 85 85 85 90 90 90 45 46 49 40 38 39 62,07Yokohama 70 74 67 67 69 71 70 72 71 70 70 70 70 70 71 70,07Uniroyal-Goodrich 82 83 84 20 23 58,40General Tire 42 41 34 37 38,50Kelly-Springfield 17 17 18 15 16 16,60Toyo 60 59 59 59 58 58 57 58 57 57 59 60 60 59 61,5 58,57Cooper 80 80 83 83 83 85 85 85 85 85 80 77 71 52 54 79,57Kumho 83 80 95 77 79 80 80 80 83 89 89 91 59 54 60 79,93MEDIA ANNUA 67,75 66,69 66,85 61,85 62,00 74,10 75,00 76,30 76,50 74,10 73,70 73,20 67,70 64,90 66,52 70,05
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 92
Nei recenti anni la notorietà del marchio Bridgestone è aumentata notevolmente in Europa
grazie all’attività della compagnia nel Campionato del Mondo di Formula Uno e, in particolare,
al suo legame con la scuderia Ferrari, che rappresenta una parte fondamentale nella strategia di
promozione del marchio. Questo successo di immagine, però, è stato notevolmente limitato nel
2000 quando ha dovuto ritirare dal mercato 6,5 milioni di pneumatici Firestone per il SUV
Ford Explorer in seguito ad una serie di incidenti, anche con gravi conseguenze.
Michelin è l’impresa più focalizzata nel settore dei pneumatici tra tutte le top10 con una tire
intensity media superiore al 90%, come mostra la tabella 4.4. Essa risulta impegnata anche
nella produzione di telai per autoveicoli, di sensori di controllo, in servizi integrati per la
distribuzione e in servizi correlati alla mobilità e relativa assistenza (famose sono la Guide
Michelin, ad esempio). Attualmente è l’unica impresa ad operare in Formula Uno oltre a
Bridgestone.
Anche Goodyear, specialmente negli ultimi anni considerati, è una delle compagnie in cui il
settore dei pneumatici ha più importanza sulle vendite, ma opera anche nella produzione di tubi
per varie applicazioni (settore petrolchimico, alimentare, tessile, marino, distribuzione e sanità,
ad esempio), di nastri trasportatori, di trasmissioni di energia e di sospensioni per autoveicoli.
Goodyear ha avuto una lunga attività come fornitore di Formula Uno, interrotta nel 1998 per
gli scarsi riscontri in termini di profitto. E’ molto attiva nella ricerca, specie per quanto
riguarda lo sviluppo di nuovi materiali: ad esempio, sta collaborando con Amerityre
sull’uretano.
Goodyear è stata l’unica impresa statunitense ad uscire indenne dalla conversione ai
pneumatici radiali ed ha sempre mantenuto un alto tasso innovativo: è stata la prima ad
introdurre una soluzione efficiente di run-flat e si sta impegnando nello sviluppo sia di questo
prodotto che del Pax-System.
Nonostante ciò negli ultimi tre anni ha riscontrato pesanti perdite e alcuni analisti ipotizzano la
bancarotta come unica soluzione possibile alla situazione, come riporta Tire Business (Marzo
2003). La causa di ciò sarebbe l’eccessiva concentrazione della compagnia nel mercato degli
OE che offre bassissimi guadagni. Goodyear sta cercando di far fronte alla situazione
sovvertendo la propria struttura manageriale, strumento molto usato anche in passato (ad
esempio da Goodrich e Pirelli): con l’inizio del 2003, infatti, c’è stato un passaggio al vertice
da Gibara a Keegan.
Goodyear attualmente occupa il terzo posto nel settore limitatamente a vendite e quote di
mercato ma, se si considera l’organizzazione nata dalla joint-venture con Sumitomo del 1999,
raggiunge il primato.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 93
Sumitomo attualmente è la quinta impresa dell’industria e fa parte di un gruppo molto esteso e
diversificato le cui attività spaziano dai pneumatici alle palline da golf.
Il secondo gruppo in cui possiamo dividere le top10 in base a volume di vendita e posizione di
mercato, oltre a Sumitomo, comprende anche due imprese europee: Continental e Pirelli.
La strategia di Continental mira al raggiungimento della posizione di fornitore completo per
l’industria automotiva; la compagnia, oltre a pneumatici, soprattutto per auto e motoveicoli,
produce sistemi frenanti, sia idraulici che elettronici (ESP, ABS, TCS), e sistemi elettronici per
sospensioni. La divisione ContiTech, inoltre, costruisce componenti impiegati nella
costruzione di macchinari, in attrezzature per il lavoro in miniere e per l’industria del mobile e
della stampa. Dal 1998 con l’acquisizione delle divisioni dei sistemi freno e telaio dell’ ITT, è
diventata il primo fornitore mondiale di freni a disco e il secondo per l’ABS.
Pirelli attualmente è la società in cui i pneumatici hanno minor peso sulle vendite, come risulta
dal grafico in figura 4.10. Infatti accanto al settore pneumatici, ve ne sono altri due: cavi e
sistemi di energia e cavi e sistemi telecom (quest’ultimo da poco affiancato alle due divisioni
tradizionali). Pirelli è considerato il leader europeo nelle tecnologie per i pneumatici ad alta
performance, ma si sta espandendo anche negli Stati Uniti, grazie all’accordo con Cooper e
all’aver stabilito in Georgia nel 2002 il quarto stabilimento della compagnia funzionante con il
MIRS, l’innovativo sistema di produzione introdotto nel 2001. Grazie al MIRS, Pirelli ha
portato un alto livello innovativo nella tecnologia del settore mirando alla gestione online
dell’intero processo di sviluppo e produzione del pneumatico, dalle attività di ricerca al
progetto, dalla costruzione alla logistica, cercando un’integrazione con i produttori di
autoveicoli.
Quarta compagnia appartenente a questo secondo gruppo di imprese è la giapponese
Yokohama attiva i tutti i segmenti del settore, soprattutto in pneumatici per aerei, autobus e
veicoli industriali.
Il terzo raggruppamento è formato da Kumho, Toyo e Cooper.
Kumho fa parte di un gruppo industriale molto diversificato che comprende anche società
finanziarie, di gestione delle risorse umane e manifatturiere operanti nel settore dell’aviazione
e in quello chimico. L’impresa attribuisce molta importanza all’attività innovativa, infatti
possiede reparti dediti alla R&S molto attivi con centri tecnici di ricerca anche in Occidente (ad
Akron negli USA e a Birmingham nel Regno Unito) ed è stata la quarta impresa ad introdurre
il pneumatico run-flat (1999).
Le informazioni su Toyo sono molto scarse. Essa opera anche in altri settori ma strettamente
collegati ai pneumatici, come chimica, gomma, plastica e componenti per veicoli. Caratteristica
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 94
alquanto singolare è che non possiede basi produttive in Europa ed esporta tutto dal Giappone,
almeno fino al 1999.
Questa breve presentazione termina con Cooper. La compagnia ha la peculiarità di operare solo
nel mercato del ricambio e per questo è considerata l’impresa con redditività più elevata nel
settore, come si può notare dalla figura 4.11, anche se sembra si stia preparando per entrare nel
mercato degli OE. In questi ultimi anni Cooper ha aumentato la propria espansione in Europa
con l’acquisizione nel 1997 dell’inglese Avon Tire, impegnata nel settore dei pneumatici di
lusso e da corsa, e grazie all’alleanza con Pirelli nel 1999, rinnovata alla scadenza dopo due
anni. La società sta anche cercando di ampliare il proprio portafoglio di prodotti entrando nei
segmenti al top come i pneumatici ad alta performance.
Figura 4.11 Margine operativo di sei imprese tra le top10 (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) Dopo aver offerto una panoramica generale sulle prime dieci imprese dell’industria, si propone
un breve commento ai grafici in figura 4.9 e 4.10.
Per quanto riguarda le vendite si possono riscontrare andamenti del tutto simili a quelli in
figura 4.6 rappresentanti le quote di mercato (cosa alquanto ovvia dato che queste ultime, come
spiegato, sono state calcolate basandosi sui dati di vendita stessi).
Gli andamenti della tire intensity, invece, presentano in molte discontinuità che, nella
maggioranza dei casi, non si è riusciti a spiegare. Toyo, Pirelli e Continental risultano le sole
tre imprese per cui i pneumatici rappresentano una percentuale sulle vendite minore rispetto
alla media (che è pari al 70,05%). In quattro compagnie su dieci, Cooper, Kumho, Continental
e Pirelli, si è riscontrata una significativa diminuzione della tire intensity a partire dal 1998.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 95
L’andamento più irregolare è quello di Pirelli (in color mattone in figura). Probabilmente lo
sbalzo dal 38% all’ 85%, avvenuto tra il 1989 e il 1990, è dovuto all’abbandono della maggior
parte delle attività diversificate per potenziare le proprie risorse economiche per affrontare
l’attacco a Continental del 1990.
La presentazione delle caratteristiche generali del settore e delle imprese che vi operano
effettuata in questa sezione ha come scopo principale quello di permettere di inquadrare e
capire meglio l’innovazione oggetto dello studio; sempre a tale fine ora propongo un’analisi
dell’industria dal punto di vista dell’innovazione tecnologica.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 96
4.2 L’innovazione nell’industria del pneumatico
Il progresso tecnico è frutto di attività dedicate interne alle imprese che si realizzano per lo più
nella ricerca e sviluppo, input delle innovazioni; quindi, per avere un’idea dell’attività
innovativa del settore bisognerebbe valutare, sia quantitativamente che qualitativamente, la
ricerca e sviluppo effettuata dalle imprese leader. Una misura quantitativa della R&S svolta è
data dai relativi investimenti realizzati dalle varie compagnie ma, come si è visto
nell’introduzione al capitolo, in un’industria dove la segretezza è molto importante, come
quella del pneumatico, è molto difficile reperire tali dati (solo Michelin, Goodyear,
Bridgestone e Pirelli riportano le spese in R&S nei loro Annual Reports). Al contrario sono
facilmente reperibili informazioni qualitative: le imprese forniscono una grande quantità di
notizie riguardo le strutture impiegate nelle attività di ricerca, molto probabilmente per una
strategia di marketing volta ad aumentare l’idea di affidabilità, qualità ed alte prestazioni dei
propri prodotti. Un’indagine a livello qualitativo riguardante la R&S può essere condotta anche
attraverso il modo in cui le imprese conducono le loro attività di ricerca: un esempio che ho
deciso di analizzare sono gli accordi e le joint-ventures effettuate, soprattutto negli ultimi anni,
a tale scopo.
Dal momento che risulta difficile un’analisi completa, specie a livello quantitativo, dell’attività
innovativa del settore analizzandone gli input, è opportuno aggirare il problema studiandone gli
output, partendo da uno studio dei brevetti, che sono la forma principale di protezione delle
innovazioni e forniscono un monopolio temporaneo che favorisce l’attività inventiva, e poi da
una valutazione di altri fattori: soddisfazione del consumatore, attività nel settore dei
pneumatici da competizione e nei segmenti al top del mercato, come i pneumatici ad alta
performance per elevate velocità.
In queste pagine, quindi, sono analizzati tutti questi elementi in modo da riuscire a trarre delle
considerazioni generali che amplino la conoscenza dell’industria in considerazione.
4.2.1 La ricerca e sviluppo nell’industria
Uno studio di Patel e Pavitt (1999) rivela che nella maggior parte dei paesi la R&S è
concentrata in imprese9 con più di 10000 dipendenti appartenenti soprattutto a settori come
9 Le imprese prese in considerazione provengono dall’elenco di grandi compagnie di Fortune e il gruppo è così suddiviso: 249 statunitensi, 17 canadesi, 143 giapponesi e 178 europee.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 97
quello chimico, dei veicoli e dei loro componenti (quindi anche del pneumatico), elettronico e
dei materiali. Inoltre, la maggior parte dell’attività innovativa sarebbe svolta nel continente di
appartenenza (in Europa si riscontra questa tendenza in misura minore rispetto a Nord America
e Giappone, in modo particolare nei Paesi Bassi e Scandinavi).
Michelin ha effettuato uno studio sulla quantità di R&S e il valore di mercato dei differenti
segmenti dell’industria che viene mostrato in figura 4.12. Dalla figura emerge, ad esempio, che
il segmento dei ricambi è quello a maggior valore e che, allo stesso tempo, richiede il minor
contenuto in ricerca e, quindi, investimenti relativamente bassi in tal senso: ciò va a dimostrare
ulteriormente la sua elevata redditività. Le aree di pneumatici ad alta performance sono ad
elevato contenuto di R&S, a conferma del fatto che il segmento può essere preso in
considerazione per una valutazione più generale delle attività innovative dell’industria.
Figura 4.12 Contenuto di R&S (ascissa) e valore di mercato di diversi segmenti dell’industria (ordinata). (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”)10
10 Legenda della figura 4.12: Passenger RT, ST = pneumatici per automobili destinati al mercato del ricambio per le categorie di velocità ST; Bycicle = pneumatici per bicicletta; Bias Truck = pneumatici per autocarri costruiti con la tecnologia “bias”; Bias Motocycle = pneumatici per moto costruiti con tecnologia “bias”; Agricoltural = pneumatici per veicoli agricoli; Bias Aircraft = pneumatici per velivoli costruiti con tecnologia “bias”; Radial Truck = pneumatici radiali per autocarri; Passenger OE = pneumatici per automobili per il mercato degli equipaggiamenti originali; Passenger VZ = pneumatici per automobili per le categorie di velocità VZ; Radial Motocycle = pneumatici radiali per moto; Earthmover = pneumatici per veicoli che non viaggiano su strada; Radial Aircraft = pneumatici radiali per velivoli.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 98
La tabella 4.5 mostra le spese in R&S di nove compagnie tra le top10 dal 1993 al 2002 in
modo non completo, soprattutto per quanto riguarda le imprese asiatiche. Non è presente alcun
dato su Toyo, essendo l’impresa che divulga meno informazioni tra le dieci.
COMPAGNIE 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 GOODYEAR 320 341 369 374,5 384,1 420,7 448,2 423,1 375,5 380 percent.su vendite 0,034 0,029 0,027 0,027 MICHELIN 628,145 596,014 628,732 665,684percent.su vendite 0,043 0,042 0,044 PIRELLI 157 176 191 204,545 208,014 213,005 213,156 196,730 212,264 207,081percent.su vendite 0.031 0,031 0,036 0,031 0,028 0,032 tires 110,406 107,644 104,368 111,953 115,360percent.su vendite 0,038 0,039 0,039 0,044 0,043 BRIDGESTONE 463,176 475,597 percent.su vendite 0,029 0,03 COOPER 15,1 14,7 16 19,7 21,7 29,2 39,9 99,5 percent.su vendite 0,011 0,012 0,012 0,016 0,018 0,029 0,025 CONTINENTAL 217 255 286 268 267,1 398,815 386,347 495,3 491,2 percent.su vendite 0,0928 0,0965SUMITOMO 1062,57 YOKOHMA 125,168 115,028 105,442 116,906 107,90 percent.su vendite 0,035 0,033 0,033 0,029 KUMHO 1,781 2,057 2,278 1,455 Tabella 4.5 Spese in R&S11 (dati disponibili) dal 1993 al 2002 espressi in milioni di US $ (Fonti: Annual Reports delle varie compagnie e Michelin Fact Book 2000)
Dato che i valori sono così frammentati espongo alcune considerazioni solo sulla percentuale
degli investimenti in R&S in base alle vendite12, evidenziata in tabella, dal 1999 al 2002, dove
si riscontra una maggiore densità di dati.
Come si nota non ci sono grosse differenze tra le imprese: si distingue solo Continental che
negli ultimi due anni considerati presenta una percentuale superiore al 9%. Seconde a
Continental si trovano Michelin e Pirelli: per quest’ultima si osserva come la ricerca svolta nel
settore pneumatici sia ben maggiore di quella effettuata negli altri due segmenti (cavi e sistemi
11 I tassi per la conversione sono stati presi dall’Unione Consulenti Italiani (www.unioneconsulenti.it) “Medie cambi annuali” (2002: 0,9556 $/Є; 2001: 0,8956 $/Є; 2000: 0,9236 $/Є 107,7455 Y/$; 1999: 1,0658 $/Є 113,7668 Y/$; 1998: 1736,237 £/$ 130,8771 Y/$ ; 1997: 1703,43 £/$ 120,8397 Y/$ ; 1996: 1542,968 £/$). 12 Tale percentuale è calcolata dividendo le spese annuali in R&S per il volume di vendite sempre annuale. Per tutte le compagnie questi dati sono a livello di impresa mentre Pirelli è la sola a distinguere gli investimenti nel settore pneumatici da quelli generali.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 99
di telecomunicazioni). Cooper presenta i valori percentuali più bassi dal momento che lavora
solo nel mercato dei ricambi.
Le top10 possiedono strutture e laboratori dedicati alla ricerca nei paesi principali in cui
operano, soprattutto nella zona di Akron (Ohio) per il Nord America e Regno Unito e Paesi
Bassi per quanto riguarda l’Europa, alcuni anche gestiti in joint-venture (ad esempio Goodyear
e Sumitomo in Giappone), come è spiegato nella sezione successiva.
Sono assenti dati riguardanti Toyo; dal momento che, almeno fino al 1999, aveva solo
stabilimenti produttivi in Asia è altamente improbabile che abbia una rete di laboratori a livello
mondiale.
4.2.2 Analisi dei brevetti
I brevetti, che rappresentano la forma più consolidata di protezione delle invenzioni, sono
considerati il modo più stabile, universale ed accettato per misurare le competenze
tecnologiche delle imprese, come sostengono Granstrand, Patel e Pavitt (1997). Tale
misurazione, però, presenta dei limiti in quanto essi non sono l’unico modo per proteggere
l’attività inventiva e non possono essere applicati a campi che coinvolgono il software, dal
momento che non è brevettabile.
In genere non esiste una corrispondenza biunivoca tra brevetto e invenzione in quanto, le
organizzazioni si avvalgono di strategie di brevettazione, date dalla combinazione di brevetti, a
volte anche con altri sistemi, per una stessa invenzione, per godere di una protezione ancora
più efficace e, di conseguenza, di un maggiore ritorno economico. Ad esempio, una strategia
diffusa è quella del flooding (“inondazione”) che consiste nel brevettare tutti i possibili esiti di
un processo di ricerca, per avere la sicurezza di potersi appropriare di tutti gli sviluppi che
potrà avere in futuro, anche se in questo modo si creano una serie di brevetti, detti junk patents
(“brevetti spazzatura”), che non verranno mai sfruttati direttamente. Un aumento del ritorno
economico generato da un’invenzione può scaturire anche dalla sua concessione in licenza ad
altre imprese in cambio di denaro o dell’accesso ad altre tecnologie.
Anche un settore considerato tradizionale come quello del pneumatico è caratterizzato da
conoscenze di base che stanno diventando sempre più ampie e complesse. Come abbiamo
accennato brevemente nell’introduzione, le imprese hanno assunto un ruolo di system
integrators per l’industria, acquisendo ed integrando conoscenza proveniente da un vasto
numero di campi, come dimostra l’analisi effettuata da Acha e Brusoni (2002).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 100
Lo studio proposto dagli autori si basa essenzialmente sui dati di brevetto, provenienti dal
Derwent Global Database, attraverso una ricerca per parole chiave (“tire” o “tyre”), come
mezzo più completo ed accessibile per il tipo di analisi effettuata e date le limitazioni
incontrate nel raccogliere altri dati come le spese in R&S.
In particolare sono state valutate le classi di brevetti connesse al settore dei pneumatici ed
esaminata la relativa attività brevettuale delle dieci compagnie leader e di imprese operanti in
altri settori. Gli autori si sono avvalsi di due tipi di classificazione: il sistema Derwent, che
assegna il brevetto ad una o più classi in base alle sue possibili applicazioni, e la classificazione
IPC (International Patent Classification) nella quale si considerano la natura e le caratteristiche
strutturali dell’invenzione.
In un primo tempo lo studio esamina il periodo 1974-2000 dividendolo in tre sottoperiodi
(1974-1980, 1981-1990 e 1991-2000) secondo il sistema di classificazione Derwent. Si trova
che più del 60% (percentuale che arriva a superare il 70% dal 1991 al 2000) dei brevetti
depositati dalle dieci compagnie leader appartiene alle classi A95 (Polymers and plastics for
transport including vehicle parts, tyres and armaments) e Q11 (Mechanical engineering for
wheels, tyres and connections). In particolare la classe Q11 ha presentato nell’ultimo decennio
una crescita maggiore della A95 (2% vs 1%) a testimonianza del fatto, come spiegano gli
autori, che le compagnie sono passate da semplici fornitori di pneumatici a fornitori nell’intero
sistema formato dalla ruota e dalle parti di connessione al veicolo. Supporta questa tendenza
anche il fatto che siano aumentati i brevetti in classi legate alla meccanica, all’elettronica,
all’ingegneria di precisione, a discapito di quelle appartenenti al settore chimico, che per
moltissimi anni era stato quasi il solo legato all’industria.
Le medesime considerazioni emergono anche da una seconda analisi, a livello di impresa,
attraverso la classificazione IPC nel biennio 1999-2000. Le top10 brevettano anche nel campo
di sistemi di assemblaggio e fissaggio, come Cooper, Toyo, Bridgestone e Continental, in
sistemi di misurazione e precisione, ad esempio Kumho, Cooper, Goodyear e Continental;
Pirelli ha brevetti riguardanti i pneumatici anche in classi legate all’ottica e a sistemi di cavi ma
questo deriva probabilmente dal fatto che l’impresa è diversificata anche in queste attività e le
Giapponesi in sistemi di equipaggiamento per giochi.
Questi dati dimostrano che le compagnie del settore hanno conoscenze in un campo
tecnologico molto vasto e, quindi, l’ipotesi di partenza sul loro ruolo di system integrators
risulta verificata; ciò è riassunto in figura 4.13, dove vengono mostrate le interrelazioni tra i
costruttori di pneumatici e altre realtà appartenenti a diversi settori.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 101
Le imprese dell’industria, quindi, coordinano gli attori operanti nel loro business, clienti
chiave, fornitori e competitori, e ricercano una specializzazione nelle conoscenze possedute.
Quest’ultimo elemento è dimostrato da tutti i contributi distintivi nella tecnologia del
pneumatico portati da compagnie appartenenti ad altri settori, dal chimico al tessile,
dall’ingegneria meccanica all’elettronica, che brevettano in classi tecnologiche legate ai
pneumatici. Comunque, anche all’interno del loro ruolo di system integrators, le compagnie
utilizzano strategie differenti: Bridgestone e le altre Giapponesi possono essere definiti all-
rounders in quanto brevettano in un numero di campi molto ampio, mentre altre, come Pirelli,
Continental e Michelin, sono più focalizzate. Goodyear sta nel mezzo tra i due gruppi e Cooper
presenta un numero di brevetti molto basso: risultato non sorprendente dato che opera solo nel
mercato del ricambio (Acha e Brusoni, 2002).
Figura 4.13 Conoscenza di base nell’industria del pneumatico. (Figura 5.1 “The Tyre Industry Knowledge Base – Sources of Technological Capabilities” pag.15 di Acha e Brusoni (2002))13
13 Legenda figura 4.13: Automotive Companies = compagnie costruttrici di autoveicoli; Tire Manufacturers = produttori di pneumatici; Wheel Assembly = assemblaggio sistema ruota; Production System = sistema di produzione; Tire Development and Design = sviluppo e progetto del pneumatico; Components = componenti; Source materials = approvvigionamento materiali; Chemicals Synthetic Rubber Companies = compagnie operanti nel settore chimico e della gomma sintetica; Electronics Precision Engineering Companies = compagnie operanti nell’ingegneria dell’elettronica di precisione; Casting, Molding Spinning Cord Companies = compagnie di stampaggio, fusione, tessili e di fili elettrici.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 102
4.2.3 Joint-ventures ed alleanze
Una caratteristica interessante relativa all’industria è la grande quantità di partnership stipulate
tra le imprese leader e loro competitori, clienti e fornitori.
Innanzitutto bisogna precisare la differenza esistente tre queste forme di alleanze. La maggior
parte degli accordi sono semplici decisioni di cooperazione tra imprese ma esiste anche una
forma più complessa, la joint-venture, in cui si ha la costituzione di una nuova società. Per
un’analisi a livello quantitativo, generalmente, si considerano quasi esclusivamente queste
ultime, in quanto sono le uniche monitorabili, appunto attraverso la compagnia formata.
Una tendenza di questi ultimi anni è stata lo sviluppo di joint-venture di ricerca in cui le
imprese coordinano le proprie attività di R&S dividendosene i costi. Questo è stato possibile
anche grazie a nelle modifiche delle politiche dei vari governi, primo tra tutti quello
statunitense, che hanno reso meno restrittive le norme anti-trust: infatti, nell’avvicinamento di
imprese concorrenti per la ricerca si vedeva un espediente per nascondere attività collusive
volte alla formazione di potere monopolistico.
Le invenzioni nate dalle joint-venture devono comunque essere protette da brevetti contro le
imitazioni, ma sono utili poiché rafforzano le barriere all’entrata dell’industria: grazie alle
cooperazioni, infatti, le imprese esistenti acquisiscono una posizione e un potere di mercato
maggiori agli occhi dei potenziali entranti.
Non è ancora chiaro se una JV14 finanzi il numero ottimale di progetti di ricerca, tuttavia, porta
ad un beneficio a livello sociale in quanto evita l’inutile duplicazione di ricerche, con una
diminuzione dei costi globali. Esse sono diffuse soprattutto nelle industrie ad alta tecnologia in
cui si hanno costi di R&S molto elevati e dove la ricerca non risulta facilmente copiabile per le
altre organizzazioni esterne alla JV.
Non tutti gli accordi comunque sono delle JV e non tutti sono volti alla ricerca, come mostra la
tabella 4.6 che raccoglie le principali cooperazioni avvenute nel settore del pneumatico negli
ultimi sedici anni. Le compagnie intrecciano accordi anche per la distribuzione, soprattutto per
entrare in mercati dove hanno una certa debolezza, come hanno fatto Pirelli e Cooper o
Continental e Yokohama, o semplicemente per cercare una riduzione dei costi di produzione,
distribuzione e sviluppo.
14 JV è la sigla abbreviativa comunemente usata per il termine “joint-venture”.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 103
ANNO COMPAGNIE COINVOLTE TIPO E TERMINI DI ACCORDO 1987 Continental, Yokohama,
Toyo JV per la produzione di pneumatici per veicoli commerciali per il mercato nord americano con condivisione dell’impianto di Mt.Vernon (Illinois).
1988 Yokohama, General Tire/Continental e Toyo
JV (51% Continental; 33,4%Yokohama; 15,6% Toyo) con l’acquisizione di un impianto negli US per condividere tecniche di ricerca e per produrre pneumatici radiali per autocarri pesanti. L’accordo prevede anche la produzione da parte delle imprese giapponesi di pneumatici Continental e la loro vendita ai costruttori di automobili giapponesi e il reciproco da parte di Continental in Europa.
1989 Continental e Marbor Produzione di pneumatici a Lousado/Oporto (Portogallo). 1996 Michelin and Continental Produzione di pneumatici private-label per distributori
indipendenti. 1998 Pirelli e Trelleborg JV (40%Pirelli e 60%Trelleborg). Trelleborg si impegna ad
investire nell’impianto di Tivoli (Italia) di Pirelli dove si producono pneumatici per l’agricoltura e si incarica di produzione e vendita.
1999 Michelin e Pirelli Sviluppo del Pax-system: condivisione della tecnologia, produzione e commercializzazione.
1999 Goodyear e Sumitomo JV con istituzione di 4 compagnie: 1 in Europa, 1 in Nord America e 2 in Giappone, le prime 2 controllate da Goodyear e le ultime da Sumitomo. Goodyear si aggiudica il controllo di Dunlop in Nord America ed Europa (molti analisti vedono questo come un primo passo verso l’acquisizione dell’intera compagnia) e mette in condivisione il proprio marchio in Europa tranne Polonia, Turchia e Slovenia. Le JV occidentali riguardano anche lo sviluppo delle tecnologie mentre le giapponesi riguardano la vendita nel mercato degli OE di entrambi i marchi e del ricambio di Goodyear. Rimangono fuori dall’accordo le attività di entrambe in America Latina e Asia. Con questo accordo, iniziato con la produzione e distribuzione reciproca di pneumatici dal 1997, le 2 compagnie formano il produttore di pneumatici più grande al mondo. Uno degli scopi principali è l’eliminazione della ridondanza soprattutto nella tecnologia.
1999 Pirelli e Cooper Cooper distribuisce il marchio Pirelli in Nord America, dove è particolarmente debole, e Pirelli commercializza Cooper nel Sud America. Cooper sta anche aiutando Pirelli a sviluppare un range competitivo di pneumatici per autocarri leggeri. L’accordo è stato riconfermato alla scadenza nel 2002.
1999 Pirelli e Abe Shokey JV (51%Pirelli e 49%Abe Shokey). Pirelli può operare nel mercato giapponese e si impegna a supportare il partner con investimenti.
2000 Continental e Nisshimbo Sviluppo di sistemi frenanti e del telaio per il mercato giapponese e coreano.
2000 Michelin e Goodyear
JV (50-50) con sede in Olanda ma senza alcun impiegato. Michelin mette a disposizione le sue conoscenze sul Pax-system e Goodyear sulla tecnologia run-flat e sui sensori per il monitoraggio della pressione. Ricerca anche nello sviluppo di un nuovo standard run-flat (creazione della Global Runflat System Research, Development and Technology JV). (L’accordo non include la condivisione della tecnologia “ultra-tensile steel cord” usata da Goodyear per rimpiazzare il rayon).
2000 Michelin e Dow Chemicals Ricerca per lo sviluppo dell’anello di supporto del Paxsystem con la divisione sul poliuretano della Dow Chemicals.
2000 Michelin e Woco Accordo per ampliare le conoscenze tecnologiche di Michelin sui sistemi per le vibrazioni.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 104
ANNO COMPAGNIE COINVOLTE TIPO E TERMINI DI ACCORDO 2000 Pirelli, Continental, Cooper,
Goodyear, Michelin, Sumitomo, Bridgestone
Sviluppo di un sito web comune per facilitare la fornitura dei clienti.
2000 Goodyear e Phase IV Engineering
Goodyear aumenta le conoscenze tecnologiche utili allo sviluppo dei sensori per il monitoraggio della pressione dei pneumatici (TPMS, Tire Pressure Monitoring System) grazie all’attività di Phase IV nei sistemi radio e acquisisce il 20% del capitale azionario del partner.
2000 Goodyear e Cycloid Company Sviluppo di sistemi per il controllo a bordo dei veicoli dello stato del pneumatico a livello di pressione.
2001 Goodyear e Amerityre Sviluppo di un nuovo polimero di poliuretano per pneumatici che riduce i costi di produzione.
2001 Michelin e Sumitomo Sumitomo ottiene la licenza per la produzione e la commercializzazione del Pax-system e lo sviluppo e infrastrutture per assistere l’utilizzatore dopo la vendita e si impegna a collaborare con Michelin per il suo sviluppo.
2002 Bridgestone, Continental e per una parte anche Yokohama.
Sviluppo della tecnologia run-flat per pneumatici per autoveicoli passeggeri ed autocarri leggeri; ognuno sviluppa autonomamente la propria tecnologia che successivamente viene condivisa. Per quanto riguarda Continental, l’estensione vale solo per la tecnologia CSR. Yokohama entra alla fine dell’anno (l’accordo è invece iniziato all’inizio del 2002.
2002 Continental e Yokohama JV (50-50) per la distribuzione presso i costruttori di automobili giapponesi.
2002 Michelin e Bosh JV chiamata ISS (Integrated Safety System) per lo sviluppo di sistemi di assistenza al guidatore per quanto riguarda stabilità e dinamica. Le 2 compagnie hanno iniziato a collaborare due anni prima di questo accordo per combinare le rispettive conoscenza nell’elettronica e nei pneumatici.
2002 Sumitomo Rubber Industries (SRI) e Dow Polyurethanes Japan Ltd.
Accordo per migliorare la conoscenza della tecnologia legata al poliuretano impiegata nel Pax-system.
2003 Continental e Sima Derby (Malesia)
Produzione dei pneumatici Sima Derby in Malesia.
2003 Michelin e Hankook Michelin licenza la tecnologia legata al Pax-system e Hankook produce pneumatici per Michelin aiutandone l’espansione nei mercati asiatici. Michelin acquisisce il 10% delle vendite di Hankook.
Tabella 4.6 Principali partnership che coinvolgono le top10 dal 1987 al 2003. (Fonti: Siti web delle varie compagnie, European Rubber Journal, Modern Tire Dealer, Tire Business) Le joint-venture e le cooperazioni sono molto importanti anche a fini strategici, ad esempio per
costituire delle alleanze che facilitano la diffusione del proprio standard.
Ciò può essere riscontrato anche nel settore del pneumatico, come vedremo in seguito, in cui
sembrano essersi formati due gruppi legati alla diffusione di run-flat e Pax-system: da una parte
abbiamo Bridgestone, Continental e Yokohama e dall’altra Michelin, Goodyear, Pirelli,
Sumitomo e Hankook15.
15 Hankook non appartiene alle top10 ma vi ha fatto parte, come si vede dalle note alla tabella 4.3, e nell’ultimo triennio considerato occupa l’undicesimo posto limitatamente a vendite annue e quote di mercato.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 105
Possiamo dividere gli accordi legati alla R&S in due grandi categorie a seconda che
comportino un’integrazione orizzontale o verticale. Un esempio dei primi sono le alleanze tra
imprese concorrenti appartenenti all’industria nelle quali si mettono in comune le conoscenze
tecnologiche, come è avvenuto, ad esempio, per gli accordi per lo sviluppo e la
commercializzazione del Pax-system.
Altre cooperazioni comportano una sorta di integrazione verticale in quanto sono strette con
compagnie operanti in settori correlati per la condivisione di tecnologie, altamente specifiche e
specializzate, che altrimenti risulterebbero di difficile accesso, essendo estranee alle rispettive
industrie. Alcuni esempi sono dati dagli accordi tra Goodyear e Phase IV per i sistemi di
monitoraggio della pressione dei pneumatici o tra Michelin e Bosh per sistemi di assistenza
alla guida.
La maggioranza degli accordi (19 su 24) analizzati in tabella 4.6 sono stati stipulati negli ultimi
quattro anni, 8 (33%) sono joint-venture mentre i restanti 16 (67%) semplici cooperazioni. La
loro distribuzione è illustrata in figura 4.14 in cui sono divisi a seconda che abbiano uno o più
dei seguenti scopi: R&S, produzione e distribuzione. Il 62,5% delle cooperazioni (15 su 24)
coinvolge la ricerca, di cui 7 come forma di integrazione verticale con imprese appartenenti ad
altre industrie.
In figura 4.15 vediamo come sono distribuiti gli accordi tra le varie compagnie.
La maggioranza coinvolge Continental e Michelin (9 su 24), un terzo dei quali, per entrambe le
compagnie, stipulati con imprese esterne al gruppo delle top10 più Hankook: per Michelin
questi ultimi sono stati contratti con compagnie al di fuori del settore pneumatici, mentre per
Continental 2 su 3 con compagnie appartenenti al settore. Anche Goodyear e Pirelli sono state
abbastanza attive nel concludere alleanze.
Su 24 accordi 5 (2 stipulati da Pirelli, 2 da Continental e 1 da Goodyear) riguardano imprese
interne al settore ma fuori dalle top10 e sono volte principalmente alla produzione e
distribuzione, tranne l’alleanza tra Goodyear e Amerytire per lo sviluppo di nuovi materiali.
Gli accordi coinvolgenti imprese esterne all’industria (7 su 24, dei quali 3 siglati da Michelin, 2
da Goodyear, 1 da Sumitomo e 1 da Continental) sono inerenti la ricerca.
Le 8 JV coinvolgono principalmente Continental e Yokohama, con un valore di 3 per
compagnia, 2 sono state stipulate da Toyo, Pirelli, Michelin e Goodyear, 1 da Sumitomo e 3
riguardano compagnie esterne al gruppo (2 appartenenti all’industria e 1 no).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 106
0 1 2 3 4 5 6 7
NUM.ACCORDI
R&S, PRODUZ. EDISTRIB.
R&S E PRODUZIONE
PRODUZIONE E DISTRIB.
R&S E DISTRIBUZIONE
R&S
DISTRIBUZIONE
PRODUZIONE
Figura 4.14 Distribuzione degli accordi del settore per loro scopo
Figura 4.15 Distribuzione degli accordi per compagnia
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
NUM.ACCORDI
ALTRE EXT.ALSETT.ALTRE NEL SETT.
HANKOOK
SUMITOMO
BRIDGESTONE
GOODYEAR
MICHELIN
PIRELLI
KUMHO
COOPER
TOYO
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 107
Dopo queste considerazioni preliminari sui dati riguardanti le varie alleanze concluse dalle
imprese leader, è possibile effettuare anche un’analisi più approfondita valutando le JV firmate
nell’industria dal 1986 al 1998 rifacendosi ad uno studio condotto presso lo SPRU16.
In tabella 4.7 è illustrata la distribuzione delle JV tra le tredici compagnie considerate.
Compagnie Tot.JV Perc. Perc.cumulata Continental 27 16% 16% Pirelli 24 14% 30% BF Goodrich 23 13% 43% Bridgestone 21 12% 55% Goodyear 20 12% 67% Michelin 16 9% 76% Sumitomo Rubber 15 9% 85% Toyo Tire and Rubber 9 5% 90% Dunlop 5 3% 93% Kumho Tire 5 3% 96% Yokohama Tire 3 2% 98% Cooper Tire and Rubber 2 1% 99% Firestone 1 1% 100% Totale 171 100% Tabella 4.7 Distribuzione delle JV per compagnia
Come si nota l’85% degli accordi è stato stipulato dalle prime 7 compagnie figuranti in tabella
con in testa Continental, come risulta anche nelle osservazioni precedenti nelle quali, però, si
hanno Michelin e Yokohama più attive e meno Bridgestone e Kumho.
Il numero di JV nel periodo considerato è stato in crescita fino al 1995, tranne nel 1989,
quando poi ha iniziato a diminuire con un nuovo picco nel 1997.
E’importante valutare come si attua il trasferimento tecnologico negli accordi: in particolare se
i partners ricevono o forniscono tecnologia o entrambe le cose, come mostra la tabella 4.8. Solo
due compagnie, Goodrich e Toyo, sembrano concedere tecnologia nelle JV; nella maggior
parte dei casi (48%) si ha solo acquisizione di tecnologia mentre nel 41% sia acquisizione che
trasferimento all’esterno.
16 Lo studio in questione è stato svolto da Anabel Marin, PhD Student presso lo SPRU (University of Sussex, Brighton, UK) che ringrazio per i dati che ha messo a disposizione per questa tesi. Sono considerate le top10 più alcune delle compagnie da loro acquisite nel corso degli ultimi decenni: BF Goodrich (Michelin, 1990), Dunlop (Sumitomo, 1998) e Firestone (Bridgestone, 1988).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 108
Totale Ricevim. tecnologia
Entrambi Concessione tecnologia
JV % JV % JV % JV % Continental 26 2 17% Pirelli 20 5 42% BF Goodrich 17 3 21% 1 8% 2 67% Goodyear 19 2 14% 1 8% Bridgestone 17 4 29% Michelin 14 3 25% Sumitomo Rubber 16 Toyo Tire and Rubber 6 3 21% 1 33% Dunlop 5 Kumho Tire 4 1 7% Cooper Tire and Rubber 4 Yokohama Tire 2 1 7% Firestone 1 Totale 14 100% 12 100% 3 100% Tabella 4.8 Trasferimento tecnologico nelle JV distribuite per compagnie Negli accordi firmati le compagnie appaiono come operanti in diversi settori, si veda la tabella
4.9 costruita in base ai SIC code17 (di cui si considerano due cifre) attribuiti alle compagnie.
Principalmente esse risultano operanti nei campi della gomma e prodotti in plastica (107 JV su
180) ma anche nell’industria del metallo e degli equipaggiamenti per i trasporti
(rispettivamente 23 accordi su 180).
Un’analisi più approfondita, prendendo in considerazione 4 cifre dei SIC code, rivela che i 107
accordi sono stati firmati nel segmento tires and inner tubes (pneumatici e tubi interni), i 23 di
Pirelli nel settore meccanico nel segmento Drawing and insulating non-ferrous wire (fili
metallici non ferrosi tiranti ed isolanti) e le JV di Goodrich nei trasporti nel settore Aircraft
parts and auxiliary equipments (parti per i velivoli e accessori ausiliari). In 4 JV sulle 180
totali le imprese sono risultate operare nell’elettronica dove appaiono così suddivise:
Continental, Electronic components (componenti elettronici), Pirelli, Telephone and telegraph
apparatus (apparati per telefoni e telegrafi) e Kumho, Semiconductor and relative devices
(semiconduttori e relativi dispositivi). Il comportamento di Michelin risulta singolare, infatti, in
10 delle 17 JV stipulate, sembra produrre nel settore Pharmaceutical preparations (preparati
farmaceutici).
17 Ad ogni compagnia viene attribuito un codice in base al settore in cui figura appartenere nella JV; più cifre costituiscono il codice più la categoria risulta dettagliata. In genere si considera un dettaglio o di due o di quattro cifre per evitare troppa complessità.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 109
Rubber and miscellaneous plastic products
Primary metal industries
Transportation equipment
Chemicals and allied products
Electronic and other electrical equipments
Wholesale trade-non durable goods
Holdings and other investment offices
Totale
Compagnia
Tot Tot Tot Tot Tot Tot Tot Tot Continental 27 1 28 Pirelli 23 2 25 BF Goodrich 23 23
Goodyear 22 22 Bridgestone 21 21 Sumitomo Rubber 15 16 Michelin 3 10 17 Toyo Tire and Rubber
9 10
Dunlop 5 Kumho Tire 3 1 5 Cooper Tire and Rubber
3 4
Yokohama Tire 3 3 Firestone 1 1 Totale per settore 107 23 23 10 4 2 2 180
Tabella 4.9 Settore in cui operano le compagnie nelle JV in base al SIC code con 2 cifre
Le principali attività delle JV sono riportate in tabella 4.10 nelle prime due colonne: in
particolare i primi tre segmenti costituiscono il 66% del totale delle attività. Continental risulta
più attiva rispetto ai competitori nel segmento transportation equipment (attrezzatura per
trasporti), mentre Pirelli nel settore elettronico e meccanico.
Alcune imprese nell’arco di tempo considerato hanno stretto accordi con compagnie
appartenenti a molti settori diversi, specialmente Bridgestone, Goodyear, Goodrich e Pirelli; i
partners di Yokohama, Toyo e Kumho, invece, risultavano imprese operanti in un ristretto
numero di campi. Si vedano le ultime due colonne della tabella 4.10 per i settori di attività dei
partners nelle varie JV.
Più dell’82% delle JV18 è stato concluso negli Stati Uniti, Giappone, Germania ed Italia, con
compagnie che nel 50% dei casi provengono da questi stessi paesi.
18 E’indifferente che le JV vengano stipulate dalle imprese stesse o da loro conglomerate.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 110
ATTIVITA’ JV SETT.PARTNERS SIC code alleanze (2cifre) Tot. Perc. Tot. Perc.
Rubber and miscellaneous plastic products
68 38% 50 32%
Chemicals and allied products 25 14% 17 11% Transportation equipment 24 14% 12 8% Wholesale trade-durable goods 14 8% 8 5% Electronic and other electrical equipment and components
10 6% 15 10%
Primary metal industries 8 5% 8 5% Measuring analysing, and controlling instruments
6 3% 2 1%
Business services 5 3% 1 1% Wholesale trade- non durable goods 4 2% 3 2% Automotive dealers and gasoline services stations
3 2%
Fabricated metal products, except machinery
2 1%
Real state 2 1% 2 1% Holding and other investment offices 2 1% 10 6% Leather and leather products 1 1% Stone, clay, glass and concrete products
1 1% 5 3%
Altro 47 15% Totale 176 100% 180 100%
Tabella 4.10 Attività principale delle JV e settori di appartenenza dei partners
Una valutazione più dettagliata è mostrata in tabella 4.11 da cui emerge che, tranne per
Dunlop, la maggior parte degli accordi è conclusa nel paese in cui ha sede l’impresa stessa e
per Goodrich, Firestone, Cooper, Yokohama, Kumho, Toyo e Sumitomo, questa percentuale
raggiunge la totalità. I paesi di provenienza dei partners, invece, sono molto vari e per la
maggior parte delle compagnie, tranne Michelin, Kumho e Firestone, gran parte degli accordi
sono stretti con imprese statunitensi; elevata è anche la percentuale di JV concluse con partners
provenienti dallo stesso paese, tranne che per Michelin e Firestone.
Le JV dalla tabella 4.12.
Il 78% delle JV è effettuato al di fuori del gruppo formato dalle 13 imprese considerate;
nessuna delle JV stipulate con compagnie appartenenti al gruppo, però, ha riguardato la R&S.
Ciò dimostrerebbe una reticenza a condividere la tecnologia tra competitori che sembrerebbe in
controtendenza con i dati precedenti derivati dalla tabella 4.6 che, però, sono per lo più relativi
ad anni successivi al 1999.
Circa il 30% delle JV stipulate tra le 13 compagnie, sono accordi tra imprese appartenenti allo
stesso gruppo industriale e, in questo senso, l’attività maggiore è quella di Sumitomo che è
anche l’impresa ad appartenere al gruppo più ampio e diversificato.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 111
Grazie a questa analisi possiamo avere un’idea dell’attività innovativa di Toyo per il quale
non si poteva trarre nessuna conclusione da una semplice valutazione delle spese in R&S.
L’impresa sembra essere abbastanza attiva nello stipulare accordi: le JV hanno tutte sede in
Giappone ma con partners provenienti anche da altri paesi come Stati Uniti, Sud Corea, Russia
e Taiwan e, oltre al settore della gomma, coinvolgono anche quello dei trasporti e dei sistemi di
misurazione. Come si nota dalla tabella 4.12 non appare nell’elenco di imprese con JV al puro
fine della ricerca e sviluppo.
Continental Pirelli BF Goodrich
Goodyear Bridgestone Michelin Dunlop Compagnie
tot % tot % tot % tot % tot % tot % tot % Stati Uniti 4 14% 1 4% 23 100% 20 91% 1 5% 2 13% Giappone 1 4% 17 81% Germania 22 79% 1 5% Italia 21 84% Francia 10 63% NT 3 12% 1 5% Sud Corea Ungheria 3 19% Malesia 3 60%Polonia 1 5% 1 6% UK 1 20%Tailandia 1 5% Rep.Ceca 1 4% India 1 20%Australia 1 5% Tabella 4.11 Paesi dove gli accordi sono stipulati
Compagnie Frequenza Michelin 1 BF Goodrich 6 Goodyear 1 Continental 2 Pirelli 3 Cooper 1 Totale 14 Tabella 4.12 Distribuzione delle joint e R&S alliances per compagnia
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 112
4.2.4. La soddisfazione del consumatore
Il grado di soddisfazione del consumatore finale può essere considerato una misura della
performance di un’organizzazione e, dal momento che esso si basa essenzialmente su parametri
quali qualità, affidabilità e prestazioni, può fornire anche informazioni riguardo l’attività di
R&S insita nel prodotto. Le imprese non mirano soltanto alla ricerca di innovazioni di ampia
portata ma anche di quei piccoli miglioramenti che permettono un gradimento maggiore agli
occhi dell’utilizzatore.
Per quantificare un parametro come la soddisfazione del consumatore mi avvalgo delle
statistiche pubblicate da JDPower19 che si basano su interviste a possessori di automobili e
autocarri leggeri20 da uno a tre anni; tali dati sono relativi al 2000 (che è anche l’anno per cui si
hanno la maggior parte delle informazioni sugli investimenti in R&S).
La soddisfazione del consumatore viene misurata analizzando cinque fattori, ognuno con un
peso diverso: qualità di prodotto (numero e tipo di problemi, numero di ricambi,…) che conta
per il 39%, performance di lungo periodo (garanzia, affidabilità,…) per il 22%, performance
nella guida (caratteristiche sul bagnato e ad alte velocità, vibrazioni,…) per il 19%, design
(disegno del battistrada, forma del fianco, rapporto col design del veicolo,…) per il 14% e
guida nella stagione invernale, specialmente in caso di neve, con un peso del 5%.
In tabella 4.13 sono riportati i risultati di tali ricerche per il segmento degli OE con relativo
punteggio e aumento (o diminuzione) rispetto all’anno precedente; essi conferiscono il primato
a Michelin già da diverse stagioni.
OE automobili OE autoc. leggeri COMPAGNIE
Punt. Aumen.COMPAGNIE
Punt. Aumen. MICHELIN 115 +2 MICHELIN 108 +7 CONTINENTAL 110 -1 DUNLOP 104 +8 BF GOODRICH 108 +8 BF GOODRICH 103 -4 DUNLOP 105 +4 BRIDGESTONE 100 +9 FIRESTONE 100 +3 MEDIA SETTORE 104 MEDIA SETTORE 99
Tabella 4.13 Statistica JDPower sulla soddisfazione del consumatore nell’OE per automobili e autocarri leggeri
19 JDPower and Associates (Agoura Hills, California). In queste pagine si utilizza il 2000 OE/RT Tire Customer Satisfaction Study. Ringrazio Virginia Acha per avermi permesso l’accesso a questo materiale. 20 Nella categoria automobili sono compresi anche i compact vans mentre in quella degli autocarri leggeri: pickups, SUVs e fullsize vans.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 113
Come si vede le imprese che hanno una performance migliore a livello di prodotto sono
Michelin con il proprio marchio ma anche con BF Goodrich e Uniroyal21, Goodyear anche con
Dunlop e Kelly e Continental, però solo nel segmento degli OE per autoveicoli. L’unico punto
debole di Michelin, come riportano gli allegati alla classifica JDPower, è la performance nella
guida mentre il punto di forza di Continental, per cui è leader incontrastata, è la guida
invernale. Queste tre compagnie si sono distinte in quanto ad attività innovativa negli ultimi
dieci anni proponendo innovazioni come il Pax-System, il pneumatico run-flat e Continental
diventando leader dei sensori per il sistema ruota. Michelin e Goodyear risultano anche essere
le più focalizzate sul settore pneumatici con una tire intensity molto elevata. Guardando
all’intensità delle spese in R&S riportata in tabella 4.5 altre compagnie risultano avere valori
simili a quelli di queste tre ma occupare posti inferiori nella classifica di gradimento del
consumatore, come Pirelli e Bridgestone. Questo porta ad ipotizzare che, nonostante le tre
compagnie che riportano i risultati migliori presentino elevati investimenti nell’innovazione
che le hanno portate ad introdurre alcuni tra i prodotti più innovativi di questi ultimi anni, ci
devono essere altri fattori che incidono in modo determinante sulla performance, oltre alle
spese in R&S, come deducono anche Acha e Brusoni (2002). Probabilmente Pirelli non
compare nell’elenco perché nel 2000 non era ancora molto nota e radicata nel mercato
americano, infatti è soltanto in questi ultimi tre anni che essa ha rinnovato completamente il
modo di produrre pneumatici con il sistema MIRS che ha esportato anche negli Stati Uniti
nell’impianto di Rome in Georgia. E’singolare, invece, il fatto che Firestone risulti al quarto
posto nel segmento dei light truck, comprendente anche i SUV, e molto più indietro in quello
degli autoveicoli, dato il grande ritiro dal commercio di milioni di pneumatici montati sul SUV
Ford Explorer proprio nel 2000.
Nel segmento del replacement è sempre Michelin a detenere il primato da diversi anni seguita,
per le automobili, da Uniroyal, Kelly, Dunlop, Bridgestone e Goodyear, mentre per gli
autocarri leggeri da BF Goodrich, Cooper e Goodyear.
Ricerche di questo tipo sono molto utili anche alle compagnie, infatti, queste hanno sempre
dimostrato un impegno concreto nel cercare di migliorare i fattori nei quali risultavano
deficitarie; ciò risulta chiaro anche dal fatto che, tranne per Continental e BF Goodrich per i
pneumatici per autocarri leggeri, tutte le compagnie sono migliorate rispetto all’anno
precedente e in molti casi anche in misura significativa.
21 Si ricorda che il marchio Uniroyal US è controllato da Michelin mentre Uniroyal Europa da Continental.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 114
4.2.5 Pneumatici da competizione e ad alta performance
Le imprese tendono ad avere una vivace attività nel mercato dei pneumatici ad alta
performance e in quelli da competizione in quanto è possibile un trasferimento tecnologico
verso altri segmenti del prodotto; cioè, le conoscenza acquisite in questi campi possono essere
applicate anche ad altri tipi di pneumatici. Esiste un trasferimento di conoscenza anche tra i due
segmenti considerati, in particolare dai pneumatici da gara verso quelli HP. Come afferma
Goodyear, infatti, l’esperienza accumulata nel settore della competizione è molto utile
soprattutto in tre aree: forma e struttura del pneumatico, processi di costruzione e materiali.
A partire dagli anni’80 si è anche iniziato a dare lo stesso nome dei pneumatici da corsa agli
HP per aumentare la sensazione di affidabilità e alte prestazioni agli occhi dell’utilizzatore
(esempi sono dati dall’ “Eagle” di Goodyear o dal Bridgestone “Potenza”). Inoltre, la
produzione di pneumatici da gara e HP richiede studi sulla resistenza all’aria e sul
miglioramento della durata che aiutano anche nello sviluppo di pneumatici per autocarri e per
l’aviazione.
Un’attività stabile in questi segmenti, quindi, può essere indicatore di imprese molto attente
all’innovazione per la ricerca delle più avanzate tecnologie.
La possibilità di un trasferimento della tecnologia, però, non è l’unico fattore ad incidere sulla
presenza delle compagnie in questi settori. Esse sono spinte ad entrare nel segmento delle
competizioni da esigenze e strategie di marketing. Attualmente nella categoria al top, la
Formula Uno, operano solamente due imprese, Bridgestone e Michelin, che si dividono
equamente l’equipaggiamento delle dieci scuderie presenti22.
Questo è dovuto al fatto che gli investimenti richiesti sono elevatissimi e i ritorni poco
profittevoli e riconducibili solamente alla pubblicità.
Ciò che muove le compagnie a produrre pneumatici HP e UHP23 è la forte crescita di questi
mercati, in controtendenza rispetto all’andamento generale del settore, che permette di
incrementare gli scarsi profitti. Il notevole tasso di crescita è in parte dovuto all’aumento del
range di veicoli che fanno richiesta di questi prodotti: non più solo i modelli al top della
categoria delle auto sportive e di lusso ma anche i modelli intermedi e i SUVs. Pirelli fornisce
dei dati sul mercato dell’alta performance del 2002 che illustriamo in figura 4.16.
22 I Bridgestone “Potenza” equipaggiano Ferrari, Bar, Jordan, Sauber e Minardi, mentre Michelin è fornitore di Williams, McLaren, Renault, Toyota e Jaguar (stagione 2003). 23 Ricordiamo che i pneumatici HP sono caratterizzati dalla classe V,Z, quelli UHP da W,Y,Z, quelli “medium-performance” da H e il mercato di massa da S,T.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 115
Europa51%
America22%
Giappone15%
Asia/Pacif.10%
Africa/Medio Or.2%
Figura 4.16 Distribuzione geografica del mercato mondiale per i pneumatici ad alta performance
Si ritiene che la dimensione di questo mercato raddoppierà nel 2005 rispetto al valore del 2000
e che la crescita del segmento UHP sia addirittura tripla a quella dell’ HP. In particolare, come
si apprende da un’intervista a Continental svolta dall’European Rubber Journal (Maggio,
2001), il mercato dei pneumatici sembra in diminuzione, tranne in Europa dell’Est, in favore
di quello degli HP; quest’ultimo è ben consolidato nei paesi dell’Europa Centrale specie in
Germania, mentre si sta lentamente ampliando in Spagna, Italia, Francia e Regno Unito.
Pirelli ha segmentato ulteriormente questo settore in pneumatici ad alta performance per auto
sportive e per auto familiari creando due prodotti diversi: per il primo segmento il P7 che
punta sul divertimento nella guida e sulle alte prestazioni e per il secondo il P6 che offre
soprattutto sicurezza e comfort.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 116
4.3 Il pneumatico run-flat
Lo scopo principale di questo paragrafo è presentare la tecnologia run-flat, esaminare tutte le
variabili che possono risultare utili nel determinare il suo impatto sulle competenze delle
imprese che la hanno adottata e chiarire la sua posizione all’interno dei segmenti di mercato
che caratterizzano l’industria.
Quindi, dopo una breve illustrazione degli elementi che hanno determinato la nascita del
pneumatico run-flat, lo studio si focalizza su due punti: in primo luogo l’analisi degli esempi di
sviluppo del prodotto presenti oggi sul mercato, sottolineando le strategie intraprese dalle
diverse compagnie nell’adozione e nella gestione della nuova tecnologia. Secondariamente si è
cercato di presentare una valutazione del mercato del prodotto, poiché esso sembra aver creato
una nicchia di mercato (macchine sportive, di lusso o con una certa immagine) anche se gli
adotattori sono sempre stati propensi a vedere nel pneumatico run-flat il futuro dell’industria.
4.3.1 Introduzione del pneumatico run-flat: storia e strategie
Comunemente con il termine “run-flat” si indicano tutti i tipi di pneumatico che possono
funzionare anche senza aria in pressione al loro interno (Kim, Chang, Kim, 1999).
L’innovazione principale da essi portata consiste nell’eliminazione della ruota di scorta che
comporta diverse conseguenze positive. Prima di tutto gli automobilisti possono avere una
guida più rilassata, specialmente ad alte velocità, senza la preoccupazione di eventuali forature
che, oltre ad essere eventi antipatici, possono causare la perdita del controllo del veicolo ed
essere pericolosi, specie se accadono di notte, in zone isolate o in strade ad alto scorrimento.
Mancando la ruota di scorta si crea più spazio all’interno del veicolo: in questo modo i
progettisti possono introdurre nuove soluzioni o addirittura rivedere l’intera architettura del
veicolo. Gli automobilisti hanno, inoltre, la possibilità di scegliere tra una varietà più ampia di
pneumatici dal momento che essi non devono più essere compatibili con il ruotino di scorta.
I run-flat richiederebbero un diverso sistema di sospensioni perché quando si perde la pressione
dell’aria aumentano le vibrazioni che devono essere assorbite dal telaio. Secondo General
Motors bisognerebbe modificare l’intero design del veicolo in quanto questi pneumatici sono
più pesanti dei normali e il telaio deve essere in grado si sostenere al meglio l’extra-impatto e
di assorbire tutte le vibrazioni, in caso di perdita di pressione, per garantire il massimo comfort
di guida.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 117
Oltre a GM, altri costruttori di autoveicoli hanno posto delle resistenze allo sviluppo dei run-
flat, soprattutto perché aumentano i loro costi, sia perché richiedono una strumentazione come i
sensori per il controllo della pressione (che incrementano i costi di 250-300$) che perché
aggiungono da 100 $ a 500 $ ai costi di produzione di un veicolo, come afferma Begin (2003).
Statistiche24 mostrano che in Europa un automobilista fora mediamente ogni 5 anni o 70.000
km, mentre negli Stati Uniti ogni 4 anni o 77.000 km. L’improvvisa perdita di pressione dei
pneumatici è solo all’ottavo posto dei guasti che fermano la marcia dell’autoveicolo e, nella
grande maggioranza dei casi, tale calo è molto lento. Nonostante ciò sono necessari
miglioramenti in quanto 6.000 incidenti all’anno, metà dei quali con gravi conseguenze,
avvengono a causa dei pneumatici. Inoltre, ogni 10% di perdita di pressione porta ad un
aumento del 10% del consumo di carburante e, quindi, di emissioni dannose per l’ambiente.
Anche se i pneumatici run-flat sono sul mercato da più o meno dieci anni, il loro sviluppo è
dovuto ad una serie di miglioramenti che sono iniziati fin dall’introduzione del pneumatico
vero e proprio per automobili, cioè contenente aria in pressione, verso la fine del diciottesimo
secolo, come afferma Carley (1998).
Inizialmente ci furono delle strane invenzioni, come una pompetta inserita nel cerchione che in
caso di foratura ripristinava la pressione dell’aria. Un’altra soluzione proposta si basava
sull’inserimento di due pneumatici, uno dentro l’altro, in modo che, se necessario, quello più
interno potesse intervenire in sostituzione di quello esterno; il peso e i costi del sistema, però,
erano troppo elevati. Durante il ventesimo secolo vennero sperimentate moltissime tecnologie
con proprietà “run-flat”: iniezione di plastica preformata o di schiuma (quest’ultima soluzione
riscontrò un notevole successo per i pneumatici off-road) o uso di copertoni solidi senza aria al
loro interno. Il pneumatico con camera d’aria, che venne rimpiazzato nel 1928 con
l’introduzione del cosiddetto tubeless tire, incontrò un notevole sviluppo proprio per la sua
capacità di trattenere meglio l’aria.
Il primo tentativo serio fu effettuato da Goodyear all’inizio degli anni’60 con il Double Eagle,
un pneumatico che ne incorporava uno di riserva in modo da poter proseguire anche per 100
miglia in caso di perdita d’aria; questa tecnologia venne utilizzata per i pneumatici da
competizione Nascar fino al 1991.
Nel 1965 Firestone introdusse il Supreme, un pneumatico che conteneva al suo interno un
materiale sigillante di gomma che avrebbe riparato dall’interno un’eventuale foratura; il
problema di questa versione di run-flat era che il materiale riparante era troppo fluido e a causa
24 Dati provenienti da Continental AG e da Heilmann (TyreTech 1999).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 118
delle forze centrifughe generate dalla marcia si espandeva in tutte le cavità interne del
pneumatico (Dick, feb.1981). Anche altre compagnie si impegnarono nel trovare soluzioni che
conferissero proprietà run-flat al pneumatico; ad esempio Dunlop e Pirelli proposero una
soluzione basata su un fianco rinforzato, un battistrada più ampio e dei piccoli contenitori che
rilasciavano una sostanza lubrificante per rendere più agevole la marcia in caso di foratura. Il
principale difetto di questo prodotto consisteva nel fatto che richiedeva una ruota ed un
cerchione particolari che facevano lievitare i costi e i tempi di costruzione (Dick, feb.1981).
Uno dei maggiori problemi dati nel progetto di un run-flat era il mantenimento dell’ancoraggio
al cerchione in caso di mancanza di pressione; per far fronte a ciò negli anni’80 Continental
inventò un nuovo sistema di fissaggio nato dalla riprogettazione completa del tallone e
dall’utilizzo di un cerchione munito di flangie.
Nel 1978 Goodyear introdusse un run-flat self-supporting25 (Eagle GS-C SST) che poteva
resistere in caso di perdita di pressione per 40 miglia alla velocità di 40 mph.
Qualche anno più tardi anche Bridgestone sviluppò un run-flat (Expedia S-01 Run-flat A/M)
per la Porsche 959, costruito usando un materiale particolarmente resistente al calore, con una
particolare curvatura che garantiva l’aderenza al cerchione e un supporto per rinforzare il
fianco.
Nel 1992 Goodyear brevettò un pneumatico basato sulla nuova tecnologia EMT (Extended
Mobility Tire); esso rappresentò la miglior soluzione mai ottenuta, sia dal punto di vista dei
costi che della performance, e poteva essere montato su cerchioni e ruote convenzionali. Il
pneumatico conteneva un inserto rigido che supportava il peso del veicolo in caso di foratura
ed era dotato di un tallone particolare, pentagonale, per assicurare l’ancoraggio al cerchione,
specialmente in caso di curve, senza bisogno di riprogettare la ruota con una profilo arcuato per
tale funzione.
Anche Michelin fu attiva in questo ambito: inizialmente progettò un pneumatico run-flat
diverso a seconda del veicolo che doveva equipaggiare ed, in seguito, questa ricerca portò allo
sviluppo del Pax-system, un sistema ruota con proprietà run-flat che, però, richiede cerchione e
ancoraggio differenti dai convenzionali.
Anche Goodyear, nella seconda metà degli anni’90, stava lavorando ad un concetto simile al
Pax-system ma esso aveva costi proibitivi, soprattutto a causa del cerchione non standard.
Dopo aver visto i passi che hanno portato allo sviluppo del run-flat ritengo opportuno valutare i
fini strategici che hanno determinato la sua introduzione.
25 Come si vedrà più avanti la tecnologia self-supporting consiste in un pneumatico rinforzato che in caso di foratura riesce a sopportare il peso del veicolo e permette la marcia.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 119
Inizialmente esso è stato concepito per le auto sportive di gran lusso, come Porsche e Corvette,
in cui non c’era spazio per la ruota di scorta, poi il suo uso è stato esteso anche a veicoli non
sportivi come optional di lusso per aumentare il comfort e la tranquillità del guidatore. Negli
ultimi anni lo si vede come un elemento per la sicurezza del veicolo, al pari di ABS o airbag.
Secondo alcune statistiche effettuate da JDPower, gli automobilisti, specie i possessori di auto
di lusso e SUV, sono sempre più attenti alla sicurezza (da essa dipende molto il grado di
soddisfazione che essi attribuiscono ad un’automobile) e stanno approfondendo le loro
conoscenze riguardo i sistemi che possono aumentarla, come il pneumatico run-flat. Questi
pneumatici sono all’ottavo posto nella lista dei ventuno nuovi optional più desiderati dagli
automobilisti statunitensi. Attualmente solo il 5% degli intervistati li possiede ma il 56% di
questi dichiara di volerli adottare su veicoli futuri. I dati forniti da JDPower riportano anche il
loro prezzo medio che risulta pari a 200 $.
La situazione in Europa è mostrata dalla IRB European Consumer Survey 2002: il 18% degli
automobilisti dichiara che equipaggerà sicuramente i veicoli futuri con i run-flat, il 47% che
prenderà in considerazione questa possibilità mentre al 35% non interessano. I fattori che
spingono gli interessati all’adozione sono nel 60% dei casi la convenienza, nel 21% la
sicurezza, nel 10% motivazioni generali ed, infine, nel 9% il fatto di non avere preoccupazioni
durante la guida.
Per ora il pneumatico run-flat è stato sviluppato solo per le automobili e non risulta adatto a
tutti i segmenti di mercato come, ad esempio, quello degli equipaggiamenti per camion.
A questo punto, dopo gli accenni introduttivi al prodotto, ritengo necessario andare ad
analizzare in modo più approfondito la sua tecnologia.
4.3.2 Le tecnologie run-flat presenti sul mercato
I sistemi presenti oggi sul mercato con proprietà run-flat possono essere sommariamente divisi
in tre categorie:
- pneumatici convenzionali con cerchioni convenzionali che presentano dei componenti
rigidi (esempio anelli) aventi la funzione di supportare il veicolo in caso di foratura;
- pneumatici rinforzati che si autosostengono (self-supporting tire);
- sistemi ruota innovativi con un cerchione non convenzionale26.
26 Ci sarebbero anche pneumatici solidi, cioè senza cavità al loro interno, pneumatici riempiti di fluido e pneumatici doppi, con due camere, ma sono tecnologie che non vengono più prese in considerazione.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 120
All’interno di questi gruppi cadono le diverse soluzioni sviluppate dalle compagnie leader del
settore, sia singolarmente che attraverso alleanze.
Tra le top10, Toyo e Cooper non sembrano produrre run-flat; è abbastanza logico che
quest’ultimo non abbia sviluppato il prodotto in quanto esso non ha ancora raggiunto una
diffusione tale da sostenere un mercato del ricambio e, inoltre, i modelli prodotti dalle varie
compagnie fanno uso di tecnologie molto diverse le une dalle altre.
La tabella 4.14, nell’Appendice 4.1, è riassuntiva delle varie tipologie di run-flat introdotti
dalle imprese del settore e propone un’analisi basata su diversi parametri: anno di introduzione,
tipo di tecnologia (SST, Self Supporting Tire o RST, Ring Supporting Tire), impiego di sensori
per il monitoraggio della pressione, tipo di ruota su cui vengono montati, sistema di
ancoraggio, percorrenza e velocità massime a pneumatico sgonfio ed, infine, caratteristiche del
montaggio e della riparazione.
Attualmente solo Continental, Goodyear e Michelin con il Pax-System usano tecnologie ad
anello di supporto.
La prima soluzione run-flat ad offrire alti vantaggi in termini di costi, qualità e prestazioni,
come spiegato nella sezione precedente, è stata introdotta da Goodyear nel 1992 e si basa sulla
tecnologia EMT. Questo tipo di pneumatico presenta due anelli rigidi di gomma inseriti nel
fianco per sostenere il mezzo in caso di perdita d’aria. Il materiale di cui è costituito deve
essere molto resistente in quanto il fianco è la parte che sopporta il peso dell’intero veicolo ed
anche la più sollecitata dalle forze di curvatura cicliche che si innescano durante la marcia e
che formano una grande quantità di calore. I componenti e i materiali impiegati nella
costruzione di questo run-flat sono principalmente quelli dei pneumatici tradizionali con
l’aggiunta di ditiodipropionico alle particelle di carbone nero per diminuire l’attrito e, quindi,
la formazione di calore. Sotto il battistrada è inserita una spirale di aramide che ne impedisce la
deformazione e incrementa la performance ad alte velocità. Il pneumatico va montato su ruote
convenzionali ed utilizza un sistema di ancoraggio tradizionale: l’unica diversità sta nel tallone
pentagonale che assicura un aggancio migliore al cerchione.
Goodyear dichiara che questo run-flat può essere costruito con i sistemi tradizionali a patto di
qualche modifica che, però, non richiede un investimento ingente di capitale.
Continental ha ideato due tipologie di run-flat, una per il mercato degli OE e una per quello del
ricambio, la cui spiegazione è completata dalle figure 4.17 e 4.18.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 121
Il primo sfrutta la tecnologia CWS (Continental Wheel System) ed è costituito da un
pneumatico con un cerchione innovativo, ancorato alla ruota con un sistema diverso dal
convenzionale. Sul cerchione è montato in modo asimmetrico un anello di supporto, costruito
in gomma e tessuto rinforzato, che non necessita di venire sostituito quando si cambia il
pneumatico. La novità principale risiede nel fatto che il pneumatico presenta un fianco più
basso del normale e un tallone interamente di gomma che viene spinto in una dentellatura a
forma di C lungo tutta la circonferenza della ruota e fissato con un anello di gomma, senza
bisogno extra-spazio per il tallone e di un cerchione asimmetrico per le sole necessità di
montaggio. Tale anello svolge anche una funzione di antidetallonamento e nel montaggio viene
appositamente distrutto per assicurarne la sostituzione ad ogni ricambio per ragioni di
sicurezza. Il nuovo sistema di ancoraggio riduce di molto lo spazio richiesto per l’inserimento
del tallone nel cerchione permettendo una diminuzione della resistenza al rotolamento del
10%, con conseguente risparmio di carburante, e del peso del pneumatico, anche se esso
rimane comunque una variabile critica. Il sistema CWS è montato delle ruote convenzionali,
però, di diametro maggiore (in questo modo si possono inserire dei freni più potenti, ad
esempio).
Figura 4.17 Tecnologia CWS di Continental Figura 4.18 Tecnologia CSR di Continental
La tecnologia CSR (Continental Supporting Ring), invece, utilizza ruote e sistema di
ancoraggio convenzionali. Essa è costituita da due mezzi anelli di metallo su un supporto
flessibile di gomma messi in posizione dall’aria in pressione che assicura anche l’insediamento
del tallone. La sostituzione di questo tipo di pneumatici richiede personale specializzato:
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 122
possono essere, però, usate marche qualsiasi, sia di pneumatico che di cerchione (questa
tecnologia, infatti, è stata ideata per il mercato del ricambio).
La soluzione che si discosta maggiormente dai pneumatici presenti sul mercato è il Pax-System
che presenta un nuovo tipo di ancoraggio ed è montato su ruote diverse dalle convenzionali.
Esso è stato introdotto nel 1998 da Michelin e si basa sul concetto PAV (Pneu à Accrohage
Vertical) sviluppato già a partire dal 1994.
Come afferma la stessa Michelin, il Pax-system non è semplicemente un pneumatico con
proprietà run-flat ma un sistema ruota formato da quattro elementi: pneumatico, anello di
supporto, ruota e sensori per il monitoraggio della pressione. L’anello di supporto è realizzato
in elastomero o in poliuretano; ultimamente è stato preferito questo secondo materiale dato che
ha permesso di ridurre il peso del 75%. La ruota, di una lega di acciaio, ha differenti diametri
per permettere l’inserimento del supporto e una dimensione maggiore, rispetto a quelle
normali, (tale extra spazio può essere utilizzato, ad esempio, per inserire sistemi frenanti più
potenti).
L’innovazione principale portata dal Pax-system è che l’ancoraggio del pneumatico al
cerchione non è più pneumatico ma meccanico. Il primo tipo di ancoraggio si realizzava grazie
alla forza radiale dell’aria in pressione, ora invece, come si può notare dalla figura 4.19, si
creano appositamente delle forze meccaniche che inducono la tensione necessaria al fissaggio
del pneumatico nel cerchione. Questo sistema, solo in apparenza più debole, si rinforza quando
il pneumatico è stressato e in assenza di aria in pressione impedendo il detallonamento.
Figura 4.19 Sistema di ancoraggio meccanico usato nel Pax-system
Come si può vedere in figura 4.20, in un pneumatico tradizionale c’è una zona di transizione
necessaria al collegamento del fianco al tallone; essa scompare nel Pax-system dato che il
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 123
pneumatico è fissato direttamente al cerchione tramite il fianco. Questo riduce di molto la
dissipazione di energia, creata dalla resistenza al rotolamento e dalle forze di distorsione, con
benefici per il consumo di carburante e per l’integrità del fianco stesso.
Il fianco più corto e rigido rende il sistema paragonabile, per prestazioni, ad un pneumatico ad
alta performance.
Il Pax contiene un volume di aria minore rispetto ad un pneumatico tradizionale ma riesce a
supportare il medesimo carico: questo implica una minore risonanza e, quindi, un minore
inquinamento da rumore.
Figura 4.20 Pneumatico tradizionale vs Pax-system
Il quarto componente del sistema sono i sensori per il controllo della pressione che hanno un
funzionamento particolare rispetto a quelli comunemente usati, descritti in seguito. Sull’anello
di supporto ci sono delle piccole sporgenze, aventi anche una funzione di rinforzo, che, in una
situazione di perdita di aria, emettono delle vibrazioni ad una particolare frequenza; tali
vibrazioni vengono percepite dai sensori di un accelerometro collocato sul telaio, trasmesse al
computer di bordo e, quindi, al guidatore. Ora Michelin condivide questa tecnologia con
quattro concorrenti: Pirelli (1999), Goodyear (2000), Sumitomo (2001) ed Hankook (2003).
Come si è potuto notare, solo il Pax e la tecnologia CWS di Continental hanno portato un
cambiamento significativo del sistema di ancoraggio al cerchione. Queste due soluzioni
presentano delle similarità, come la riduzione della zona di ancoraggio (che ha indotto una
diminuzione della resistenza al rotolamento), dell’altezza del fianco e l’uso di ruote più grandi
del normale; tuttavia restano delle diversità sostanziali poiché il sistema di Continental fa uso
di ruote convenzionali, a differenza del Pax, ed utilizza un ancoraggio di tipo pneumatico.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 124
La tecnologia ad anello di supporto è in possesso anche di Bridgestone e Yokohama grazie
all’accordo stretto con Continental nel 2002 riguardante, però, solo la tecnologia CSR.
I pneumatici run-flat self-supporting non contengono nessun supporto ma hanno il fianco
rinforzato. Come afferma Kumho27, la sfida più grande per un costruttore è appunto trovare il
materiale appropriato per il fianco in quanto, con perdite di pressione, esso è soggetto ad un’
elevata forza deformante che causa anche problemi di detallonamento; inoltre, esso non può
essere troppo spesso per non renderne problematica la costruzione con i sistemi tradizionali. Lo
svantaggio nel comfort di guida dato da un fianco più spesso e rigido è compensato dal fatto
che questo tipo di run-flat possono essere montati sui cerchioni disponibili in commercio e
costruiti ed assemblati in modo più veloce. Essi sono anche dotati di elementi rigidi che
mantengono in posizione orizzontale, e quindi adiacente alla strada, il battistrada che,
mancando la pressione, tenderebbe a sollevarsi al centro.
Come si può osservare dalla tabella 4.14, tutti i run-flat autoportanti utilizzano ruote e sistemi
di ancoraggio convenzionali tranne Kumho che introduce delle modifiche nel tallone e nel
cerchione.
Kumho dimostra di essere molto avanzato nella tecnologia run-flat (è stata la quarta compagnia
al mondo ad introdurlo a sul mercato) che sviluppa da solo, anche con l’aiuto di metodi di
simulazione molto complessi. L’XRP ha il fianco irrobustito costituito da un nuovo materiale
molto resistente e che sviluppa poco calore; tali componenti rinforzanti non vengono aggiunti
nella fase di assemblaggio ma uniti all’amalgama fin dal primo stadio di produzione per
incrementare la compattezza e la qualità del prodotto. Il costruttore ha scelto la soluzione di un
fianco di spessore uniforme in quanto le zone più sollecitate, quindi da rinforzare
maggiormente, sono diverse da veicolo a veicolo ma risulta antieconomico produrre sistemi
diversi per ogni tipo di macchina (come aveva ipotizzato inizialmente Michelin). L’ancoraggio
è particolare in quanto usa un tallone scanalato, maggiormente angolato alla base, con un perno
di diametro minore; esso viene inserito sul cerchione con una flangia che, in caso di perdita di
pressione, entra in contatto con la ruota impedendo il detallonamento. Un’altro elemento da
sottolineare è che l’XRP utilizza sensori di temperatura oltre a quelli di pressione.
27 Kim, Chang e Kim (TyreTech 1999)
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 125
La soluzione proposta da Pirelli è caratterizzata da un pneumatico dal fianco irrobustito inserito
nella struttura di uno ad alta performance, con un cerchio antidetallonamento che incorpora un
sensore di pressione.
Michelin, oltre al Pax-system, produce anche un run-flat con il tradizionale sistema di
ancoraggio, da montare su ruote convenzionali; in questo modo può coprire una fetta più ampia
di mercato, anche se il Pax resta la soluzione migliore per performance, comfort di guida e
capacità di sostegno del peso dell’autoveicolo. Il fianco dello ZP è sostenuto da due fasce di
rayon, ha un’altezza dimezzata rispetto ad un pneumatico normale ed ha uno spessore
maggiore in corrispondenza del tallone.
Le informazioni riguardo la tecnologia run-flat utilizzata dalle altre compagnie sono molto
scarse e limitate a quello riportato in tabella 4.14. E’possibile aggiungere qualche nota
riguardo Bridgestone e Dunlop.
La prima compagnia è l’unica a non delegare all’esterno la riparazione dei run-flat che
sottopone a controlli molto approfonditi per la sicurezza futura. Dunlop ha sviluppato una
tecnologia che usa l’aramide al posto dell’acciaio come materiale rafforzante per ridurre il peso
e la rigidità della guida.
Oggi per rinforzare per i pneumatici run-flat è molto usato il rayon che garantisce una
performance nettamente maggiore rispetto agli altri materiali, come il poliestere ed il nylon,
che danno più stabilità ma sono troppo poco resistenti alle alte temperature o l’aramide che non
è competitivo in termini di costi. Esso è stato introdotto nel mercato da Goodyear per la
tecnologia EMT e subito apprezzato anche da altre compagnie che, ad esempio, lo hanno
impiegato nei pneumatici ad alta performance, che così possono essere costruiti con la carcassa
formata da un solo strato di tessuto anziché due. L’unico limite del rayon è che non esistono
produttori negli Stati Uniti; in Europa sono solamente tre (il terzo per dimensione è la Sicrem
Spa a Pizzighettone in Italia) e alcuni si trovano in India ma servono prevalentemente il
mercato domestico. In Nord America, quindi, il materiale non è ancora molto sviluppato e gli
si preferisce il poliestere, anche per ragioni di costo, in Europa possiede un mercato abbastanza
attivo mentre nell’Est deve ancora vincere la concorrenza del nylon.
Le compagnie che hanno aderito all’accordo per la commercializzazione del Pax-System hanno
costituito un network di centri di assistenza con una distanza massima tra due nodi di 200 Km
in modo da assicurare agli automobilisti la possibilità di riparare i propri pneumatici forati
prima di superare il chilometraggio limite consigliato. In particolare, come afferma uno dei
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 126
responsabili28 della distribuzione di Michelin Italia, la compagnia ha istituito un centro
specializzato in ogni capoluogo di provincia.
In queste pagine abbiamo presentato le due categorie di run-flat esistenti oggi sul mercato nel
modo più completo possibile, limitatamente ai dati disponibili; restano, comunque, dei dubbi
riguardo alla loro equivalenza.
Infatti, ad esempio, Bridgestone e Yokohama dichiarano di proporre solo delle tecnologie
intermedie che permettono loro di stare al passo con i competitori ma di stare studiando
soluzioni migliori, nel campo dei pneumatici con anello di supporto. Kumho afferma che tutti i
pneumatici self-supporting non riescono a soddisfare i requisiti di comfort nella guida richiesti
dai costruttori di autoveicoli (un minimo di 6,5/7 punti su 10) raggiungendo solo 5/5,5 punti,
contrariamente a quelli ad anello di supporto. Anche quest’ultima tecnologia non sembra
affatto in un momento di stasi, infatti, due leader come Goodyear e Michelin, hanno formato
una joint-venture per lo sviluppo di un nuovo run-flat chiamata, appunto, Global Runflat
System Research, Development and Technology.
Le top10 dell’industria hanno seguito strategie diverse nell’introduzione del prodotto:
Goodyear e Michelin, quest’ultima riguardo il Pax-system, hanno aperto il mercato ma anche
altre imprese, come Continental, Pirelli e Kumho, hanno saputo sfruttare le possibilità offerte
dalla tecnologia ed introdurre prodotti molto innovativi. Compagnie come Bridgestone e
Michelin, per quanto riguarda gli ZP, dichiarano, invece, di aver adottato una strategia wait and
see, cioè, di aver aspettato a valutare gli sviluppi del mercato e i movimenti dei concorrenti
prima di entrare nella produzione di questo tipo di pneumatici sviluppando una tecnologia non
innovativa ma che permettesse loro di non perdere terreno dal punto di vista competitivo.
Come è intuibile lo sviluppo dei pneumatici run-flat ha un grande impatto sui distributori
soprattutto a causa del fatto che la maggior parte dei sistemi richiede addestramento ed
attrezzature particolari per il montaggio e lo smontaggio, come si può vedere dalla tabella 4.14.
In caso di smontaggio di pneumatici, non per usura ma in seguito ad una foratura, la procedura
varia a seconda del costruttore. I run-flat prodotti da Bridgestone e Firestone sono tutti ritirati
in fabbrica dove sono riparati e, soprattutto, studiati per garantire un miglioramento continuo
del prodotto.
Michelin, per quanto riguarda gli ZP, e Goodyear, invece, affermano che i propri pneumatici
possono essere riparati come dei radiali normali se non sono avvenuti gravi danni interni o al
28 Fonte: intervista privata presso lo Stand Michelin durante l’Expo Valle del Chiese 2003.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 127
fianco (cosa che dovrebbe essere rara grazie alla segnalazione tempestiva dei sensori). I
pneumatici pesantemente danneggiati sono sostituiti, totalmente o parzialmente, dai costruttori.
Tutte le compagnie offrono vantaggi, peraltro molto simili, per il guidatore in termini garanzie
speciali che coprono la riparazione per molti anni e pneumatici sostitutivi durante i giorni in
cui gli originali sono ritirati.
4.3.3 Le tecnologie correlate: i sistemi per il monitoraggio della pressione
Come si può notare dalla tabella 4.14, la maggior parte dei sistemi necessita di sensori per il
monitoraggio della pressione; infatti, lo sviluppo dei pneumatici run-flat è successivo al 1988,
anno in cui essi vennero introdotti sul mercato.
Tenere sotto controllo la pressione dei pneumatici è molto importante perché più essa
diminuisce più aumenta il consumo di carburante e si creano problemi per la tenuta di strada.
Inoltre, oggi i run-flat sono molto ben costruiti, così potrebbe risultare difficile accorgersi di
una foratura (evento pericoloso in quanto se si superano le velocità e le percorrenze massime
consigliate a pneumatico sgonfio si possono verificare gravi danni al pneumatico stesso e alle
sospensioni del veicolo).
Come sottolinea Heilmann (1999), i sistemi di controllo della pressione devono essere
progettati nel modo giusto, infatti, devono essere in grado di distinguere le variazioni di
pressione causate da modifiche di temperatura.
Quest’anno negli Stati Uniti è stato dato un forte impulso allo sviluppo di queste tecnologie, e,
di conseguenza, anche dei run-flat, con il Tread Act29 che dichiara che a partire dal 2004 tutti i
nuovi veicoli dovranno essere equipaggiati di sensori per il controllo della pressione dei
pneumatici. Molte compagnie, quindi, già da diverso tempo si sono impegnate per la loro
produzione attraverso l’acquisizione dall’esterno delle competenze necessarie, come nel caso
di Continental, dell’accordo di Goodyear con la Phase IV Engineering o della joint-venture che
Michelin sta stabilendo con TRW, o attraverso condivisioni di tecnologie tra competitori (un
esempio è la joint-venture tra Goodyear e Michelin del 2000).
In base a quanto affermano Bridgestone, Continental e Michelin, ci sono due grandi sistemi di
sensori. Il primo, chiamato TPMS (Tire Pressure Monitoring System) o sistema diretto, è
formato da un’unità centrale (CPU) e da quattro moduli, attaccati alla valvola del cerchione, su
cui sono montati i sensori che rilevano la pressione in ogni ruota e la radiotrasmettono alla
29 La parola “Tread” sta per Transportation, Recall, Enhancement, Accountability and Documentation (White, ERJ 2001).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 128
CPU. Questo sistema ha il vantaggio di una misura diretta e in tempo reale della pressione ma
è molto complicato. La seconda tipologia di sensori, DDS (Deflaction Detection System) o
sistema indiretto, utilizza i sensori di velocità sulla ruota che fanno parte del sistema ABS, che
sono tarati sulla velocità delle quattro ruote. Se la pressione dei pneumatici diminuisce, anche
la circonferenza si riduce ed essi iniziano a ruotare più rapidamente: i sensori rilevano questa
variazione nella velocità e la trasmettono al guidatore attraverso il sistema ABS e il computer
di bordo. I questo caso i sensori usano componenti già disponibili sul veicolo con il grande
difetto, però, che la pressione non è misurata direttamente ma calcolata attraverso le differenze
nella velocità di rotazione. In figura 4.21 si possono vedere i principali produttori mondiali
delle due tipologie di sensori per il monitoraggio della pressione.
Figura 4.21 Principali produttori di sensori per il monitoraggio della pressione. (Fonte:Michelin Fact Book 2002, “The Passenger Car and Light Truck Tire Market”)
Secondo le considerazioni esposte da Michelin nel Fact Book 2003, in Europa sono più diffusi
i sistemi di misurazione diretta della pressione mentre in US, dove si mira soprattutto al ribasso
dei costi, quelli indiretti; il futuro, però, sembra puntare verso sensori inseriti direttamente nel
pneumatico.
4.3.4 Il mercato dei run-flat
Dopo aver presentato la tecnologia legata ai pneumatici run-flat, in questa sezione è esposta
una valutazione del loro mercato. Tale analisi risulta difficile in quanto, come già più volte
affermato, non si riescono ad ottenere informazioni dettagliate e, nonostante il prodotto sia
stato introdotto nel 1992, esso è stato sviluppato dalla maggioranza dei produttori e si è diffuso
solamente negli ultimi tre-quattro anni.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 129
La tabella 4.15 riporta alcuni modelli di run-flat presenti oggi sul mercato; si può notare che
sono stati trovati dati per 6 dei 10 marchi esistenti ma, con tutta probabilità tale portafoglio è
ben più ampio.
La quasi totalità dei modelli presenta caratteristiche di pneumatici ad alta performance, in
quanto sono progettati per cerchioni con un diametro maggiore di 16 pollici30; solo Kumho
produce pneumatici con diametri minori (la tipologia 205/60R15 ha, infatti, diametro di 15
pollici).
COSTRUTT. TIPO NOME CARATTER.STRUTTUR. VEL.E PERC.MAX
295/770R560 200 km – 80 km/h PAX 195-620 R420 A “Spacity” per l’estate e “Alpin” per l’inverno sulla Scenic
ZP Serie31 55 e 60: 50 miles e 55mph; Serie 40: 200 miles
MXV4ZP
Michelin
Run-flat
HX MXM4 ZP P235/50ZR18 Pirelli Run-flat
Eufori@ 205/45R17
225/45R17 (progettati 13 modelli)
150 km – 80 km/h
Goodyear Run-flat Eagle F1 GS EMT P245/45ZR17 P275/40ZR18
322 km – 90 km/h
Yokohama Run-flat AVS Sport Run-flat P245/45R17 P275/40R18
50miles – 55 mph
B380RFT P225/60R17 Bridgestone Run-flat Potenza RE050RFT
Kumho Run-flat ECSTA MX XRP 275/40ZR18 245/45R17 205/60R15
80 km – 80 km/h
Tabella 4.15 Caratteristiche specifiche di alcuni run-flat presenti oggi sul mercato32 (Fonti: Al Volante, Tire Business, Modern Tire Dealer)
Servendosi della tabella 4.16 è possibile valutare gli autoveicoli equipaggiati dai pneumatici
run-flat e dal Pax-system.
Le informazioni con cui essa è stata costruita provengono prevalentemente da siti web e da
giornali di settore ma risultano incomplete per diverse ragioni.
30 Per convenzione il segmento dell’HP parte dal diametro del cerchione di 16 pollici. 31 La serie è determinata dall’ aspect ratio del pneumatico (si veda il Capitolo 3). 32 La rivista “al Volante” riporta anche i prezzi dei pneumatici run-flat che spaziano dai 288 € del modello più economico di Goodyear agli 814 € del tipo più costoso di Bridgestone, a gomma (IVA inclusa).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 130
MODELLO VEICOLO COSTRUTTORE TIPO DI PNEUM. COSTRUTTORE ANNO Run-flat Goodyear 1994 Run-flat Yokohama (AVS
Sport) 1997
Corvette Chevrolet (GM)
Run-flat Kumho 2003 Scenic Renault PAX Michelin 2002 Pikes Peak (Concept car) Audi PAX Goodyear 2003 Nuvolari (Concept car) Audi PAX (2006) A8 luxury Audi PAX Michelin 2002 Phantom Rolls Royce (BMW) PAX Michelin 2004 Viper Dodge PAX Michelin Q 45 luxury Infiniti Run-flat Bridgestone
Run-flat Bridgestone 2001 SC 430 luxury Lexus Goodyear 2002
Plymouth Prowler Chrysler Run-flat Goodyear Run-flat Michelin
( HX MXM4) 2004 XLR 2-seats sport coupe Cadillac
PAX Michelin 2001 Evoque (Prototipo) Cadillac PAX Michelin 2002 S-Class Mercedes Run-flat Bridgestone 2002 E-Class Mercedes Run-flat Bridgestone 2002 7 Series BMW Run-flat Bridgestone 2001 740iL BMW Run-flat Goodyear
(EAGLE NCT5 EMT 235/55R17)
2000
750iL BMW Run-flat Goodyear (EAGLE NCT5 EMT 235/55R17)
2000
540i BMW Run-flat Goodyear 2000 540I BMW Run-flat Dunlop (Goodyear)
(DUNLOP SP Sport 2000 E DSST)
2000
Z3 BMW Run-flat Bridgestone Z8 Sport BMW Run-flat Bridgestone 1999 Z4 Roadster BMW Run-flat Bridgestone 2003
Run-flat Goodyear 2002 Mini BMW Run-flat Dunlop Goodyear
Mini Cooper BMW Run-flat Pirelli (eufori@) 2002 Continental Lincoln Run-flat Michelin Twingo 2 Renault PAX Michelin 1998
Run-flat Dunlop (Goodyear) 2004 Sienna Minivan Toyota Bridgestone 2003
Neospace Mazda PAX Michelin C3 Pluriel Citroen PAX Michelin C6 Lignage Citroen PAX Michelin C3 Lumiere Citroen PAX Michelin Freestyle FX Ford Run-flat Goodyear 2004 Mayback Mercedes Run-flat Continental The Osèe (Concept car) Disegnato da
Pininfarina su telaio Citroen
PAX Michelin
Edonis (Concept car) B-engineering PAX Michelin Tabella 4.16 Il mercato dei pneumatici run-flat
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 131
Innanzitutto i run-flat possono essere optional o standard di modelli di veicoli in particolari
paesi ma non in altri; ad esempio il Pax-system è di standard sulla Scenic in Francia ma
non in Italia, dove non compare nemmeno come accessorio opzionale33 (la vettura, inoltre,
monta pneumatici Continental e non Michelin). Secondariamente nel mercato dell’auto italiano
gran parte dei modelli presenti in tabella 4.16 non compaiono: può capitare, infatti, che da un
paese all’altro varino i nomi dei veicoli e che la produzione dipenda dalle caratteristiche di vita
della popolazione e del territorio. Ad esempio prima degli anni’80, quando si è verificata
l’entrata di compagnie dell’Est Asiatico, il mercato americano dell’automobile era
completamente diverso rispetto a quello europeo e giapponese vantando la presenza di veicoli
di grandi dimensioni con cilindrate elevate che non badavano al consumo di carburante.
Secondo quanto afferma Quattroruote a causa del rallentamento dell’economia e della
debolezza che ora ha il dollaro sull’euro, molte case automobilistiche americane mirano ad
entrare nel mercato europeo partendo da Chrysler, che vuole rilanciare il marchio Dodge,
seguita da General Motors e Cadillac.
Le compagnie più piccole sembrano avere poco peso nel mercato rispetto alle top3.
E’inverosimile, però, pensare che esse abbiano affrontato ingenti investimenti per entrare nella
produzione di questo nuovo prodotto, specie per quelle che hanno preso in licenza la tecnologia
Pax-system, con modifiche nell’uso dei materiali, nel sistema produttivo e distributivo, per poi
essere quasi assenti dal mercato. Possiamo ipotizzare, quindi, che esse operino soprattutto nei
mercati domestici oppure, come sembra il caso di Pirelli, che l’acquisizione della tecnologia sia
ancora troppo recente per essere già molto diffusa e competitiva.
Andiamo, quindi, ad analizzare i dai raccolti tenendo presenti i loro limiti.
Solamente in 3 casi su 35 la tecnologia run-flat è di standard: gli EMT di Goodyear sulla
Corvette a partire dal 1997, il Pax su due modelli (Fireway e Sportway) della Scenic in Francia
e sulla Phantom della Rolls Royce (primo veicolo provvisto di un pneumatico run-flat come
standard in Nord America).
Dalle informazioni riportate da Quattroruote non si riscontra la presenza né di pneumatici run-
flat né del Pax-system come optional di automobili in Italia; anche i sensori per il monitoraggio
della pressione dei pneumatici sono quasi totalmente assenti.
A questo punto esaminiamo il mercato dei run-flat per compagnia: dalla tabella 4.16
estrapoliamo dei dati, riassunti in tabella 4.17, riguardanti il numero di veicoli equipaggiati per
ogni produttore.
33 In questa sezione mi sono servita della rivista Quattroruote per ottenere informazioni sul mercato dell’auto italiano e per verificare i dati in possesso.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 132
COMPAGNIA PAX RUN-FLAT TOTALE Goodyear 1 8 9 Michelin 13 2 15 Bridgestone - 9 9 Pirelli 0 1 1 Yokohama - 1 1 Continental - 1 1 Kumho - 1 1 Dunlop - 3 3 Sumitomo 0 0 0 Firestone - 0 0 TOTALE 14+1 26 41 Tabella 4.17 Il mercato dei run-flat diviso per compagnie costruttrici. (Tabella ricavata dalla tabella 4.16)
Come si può notare il mercato di dimensioni maggiori sembra appartenere a Michelin, in 13
casi su 15 grazie al Pax-system. Cinque dei modelli di veicoli considerati sono definiti concept
car perché sono ancora in fase di progettazione; tra essi l’Audi Pikes Peak (SUV) e la
Nuvolari34 (sportiva di lusso) sono destinate sicuramente alla produzione di grande serie.
Bisogna sottolineare che quattro tra le automobili che montano il Pax sono Citroen; tra le due
compagnie esiste un rapporto privilegiato poiché la casa automobilistica è di proprietà del
gruppo Michelin, fin dagli anni’30. L’utilizzo del Pax sulla Scenic è significativo perché
rappresenta il primo caso di standard della tecnologia su un autoveicolo, anche se
limitatamente alla sola Francia
Al secondo posto troviamo sia Bridgestone che Goodyear; quest’ultima è attiva anche con il
Pax-system che, nel caso considerato, le è stato commissionato da Audi appositamente per la
Pikes Peak.
Dalla tabella 4.16 è possibile osservare che alcuni modelli, Corvette, Lexus SC 430, Cadillac
XLR e Mini, sono equipaggiati da run-flat prodotti da più costruttori. Sarebbe interessante
valutare il motivo e le implicazioni di questa situazione; ad esempio se i telai degli autoveicoli
sono prodotti su impianti diversi a seconda del tipo di run-flat o se sono necessarie solamente
delle operazioni di attrezzaggio. Molto probabilmente questo avviene per valutare la tecnologia
più affidabile, economica e adatta alle caratteristiche del veicolo.
Tra i costruttori di autoveicoli, invece, BMW risulta quello più aperto a questa nuova
tecnologia con ben 10 modelli ma anche Audi, Mercedes e Citroen sembrano essere
considerevolmente interessati.
34 La fonte di questa informazione è Quattroruote che, però, non riporta il nome del costruttore, come si può notare in tabella 4.16.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 133
Un’altra analisi che può essere effettuata a partire dalle informazioni presenti in tabella 4.16 è
la valutazione della tipologia di veicoli che fanno uso dei sistemi presi in considerazione. La
catalogazione dei veicoli è complicata perché bisognerebbe fare affidamento a procedure
universalmente riconosciute; dal momento che questa analisi può anche non essere
particolareggiata, ci affidiamo alle considerazioni proposte da Quattroruote e al buon senso.
Il rapporto tra pneumatici, run-flat e Pax, e categorie di veicoli risulta molto eterogeneo. Nella
grande maggioranza dei casi le automobili equipaggiate da pneumatici run-flat sono auto di
lusso che appartengono alla categoria delle berline superiori o grandi berline, come l’Audi A8,
la Phantom, la Lexus, le Mercedes e le BMW serie 7 e 5. Molti veicoli sono sportivi come la
Corvette, la Cadillac XLR e le BMW Z3, Z4 e Z8. Ci sono anche modelli appartenenti a
categorie, soprattutto di prezzo (le precedenti sono tutte superiori ai 40.000 €), molto più
accessibili; caso a sé sono la Mini e la Mini Cooper, che pur essendo definite piccole sono auto
con una certa immagine. Un esempio è dato da monovolumi come la Scenic o la Toyota Sienna
Minivan. Come più volte affermato, l’estensione del prodotto a questi veicoli, scelta che è stata
effettuata da entrambi i concorrenti per eccellenza del settore, Bridgestone e Michelin, può
essere vista come un passo per modificare l’idea del run-flat stesso: non più un optional di
lusso ma di sicurezza, quindi importante per le auto definite “familiari”, ma anche per veicoli
ad alte prestazioni (infatti, è progettato anche su un’auto sportiva estremamente veloce come
l’Audi Nuvolari).
Il run-flat equipaggia anche automobili più modeste, come la Twingo 2 o la C3 Pluriel,
appartenente alla categoria delle sportive dal prezzo accessibile (15.000 €).
A questo punto conviene valutare la relazione esistente tra le varie case automobilistiche e i
produttori di pneumatici, sia nel caso generale che considerando i soli run-flat, avvalendoci
della tabella 4.1835 che mostra le quote di mercato dei vari fornitori di pneumatici36 per ogni
costruttore di autoveicoli nel mercato Americano e Canadese.
Dalla tabella 4.17 emerge che Audi, Renault, Citroen e Cadillac nel mercato dei pneumatici
run-flat si affidano totalmente al Pax-System e, tranne per la Pikes Peak, sempre prodotto da
Michelin; la XLR utilizza anche agli ZP.
Mercedes e BMW, invece, hanno un rapporto più eterogeneo con i fornitori della tecnologia.
Quest’ultima, per cui considero anche i marchi Mini e Rolls Royce, è equipaggiata nel 42% dei
casi da Bridgestone, nel 25% da Goodyear, nel 17% da Dunlop e nell’ 8% da Pirelli; Michelin 35 Più in generale nel mercato nord americano le quote di mercato dei costruttori di pneumatici sono così suddivise: Goodyear 37,6%; Firestone 14,6%; Michelin 13,9%; General 13,7%; BFGoodrich 5,2%; Bridgestone 4,3%; Uniroyal 3,9%; Continental 3,6%eDunlop 3,1%. 36 In questo caso si considerano tutti i tipi di pneumatici.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 134
fornisce il Pax solo alla Rolls Royce dal momento che tutti gli altri modelli fanno uso di
normali run-flat.
Chrysler Goodyear Michelin
78% 22%
Mercedes Dunlop General Tire
65% 35%
BMW Michelin Continental Bridgestone Dunlop
75% 15% 6% 4%
Mazda Firestone Bridgestone BFGoodrich Michelin
50% 41% 8% 1%
Toyota Dunlop Bridgestone Michelin Goodyear Firestone General BFGoodrich
28% 20% 14% 13% 10% 10% 5%
Ford Goodyear General Michelin Continental BFGoodrich Firestone Uniroyal
39% 21% 20% 13% 3% 2% 2%
General Motors Goodyear Firestone General
34% 23% 18%
BFGoodrich Uniroyal Michelin Bridgestone
10% 10% 4% 1%
Tabella 4.18 Quote di mercato dei produttori di pneumatici per casa automobilistica. (Fonte: Modern Tire Dealer Statistics 2003: “2002 Brand Shares” e “US/Canadian OE light vehicle tire market shares”)
Goodyear dichiara di essere il fornitore dell’80% dei pneumatici delle Mini in Nord America.
Come si può notare dalla tabella 4.18 la situazione, considerando l’intera gamma di pneumatici
per automobili, è differente: BMW si rifornisce soprattutto da Michelin e in una percentuale
abbastanza consistente anche da Continental, Bridgestone possiede solo una piccola quota e
Goodyear non compare nemmeno nella lista. Nel mercato europeo, invece, uno dei fornitori
centrali è Pirelli con il P6, uno dei pneumatici ad alta performance introdotti recentemente.
Mercedes utilizza run-flat di Bridgestone e Continental; quest’ultimo risulta essere anche il
secondo fornitore nel mercato nord americano di pneumatici in generale con il marchio
General Tire. Anche in Europa Continental è uno dei maggiori marchi di pneumatici montati su
Mercedes assieme a Pirelli.
I legami tra marchio di veicoli e di pneumatici a livello generale e nel mercato dei run-flat non
sembrano avere molta corrispondenza: queste sono, però, osservazioni proposte per
completezza, in quanto, per trarre delle conclusioni, bisognerebbe avere dati più completi in
tabella 4.16 e le quote di mercato dei fornitori a livello mondiale.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 135
Dall’analisi effettuata emerge che Pirelli attualmente sta espandendo il proprio mercato con i
pneumatici ad alta performance (soprattutto P6) non solo in Europa, dove equipaggia marchi
come Volvo, Audi, Jaguar, Mercedes, BMW, Porsche e Ford, ma anche in Nord America
tramite accordi con Lincoln, Ford e Mercury, ad esempio.
Alcune case automobilistiche sembrano non avere preso in considerazione la tecnologia run-
flat ma è possibile che ciò risulti da informazioni incomplete o che esse operino in segmenti di
mercato diversi a cui il prodotto sta appena iniziando ad avvicinarsi. Questo fenomeno si
riscontra maggiormente con marchi asiatici37 come Honda, Izuzu, Subaru, Nissan, Mitsubishi,
Kia, Daewoo, ma anche in Occidente con VW, Rover, Land Rover, Aston Martin, Bentley,
Ferrari, Fiat, Peugeut, Opel e Seat.
Curioso è il caso di Porsche, una delle auto sportive di lusso per eccellenza, che negli anni’80
chiese dei run-flat per il modello 959 che vennero sviluppati da Bridgestone, ma ora non
sembra essere interessata alla tecnologia; per i suoi equipaggiamenti oggi si affida a Michelin,
Bridgestone e Pirelli.
Sul mercato, in caso di foratura, non c’è più solo la scelta tra ruota di scorta o pneumatici run-
flat poiché diversi veicoli, come la nuova Lancia Ypsilon, la Subaru Impreza, la VW Touran e
la Mazda RX-8, propongono un kit di riparazione.
37 Informazioni dei primi giorni di gennaio del 2004 rivelano che Bridgestone sta iniziando ad equipaggiare anche questi marchi (www.mtd.com).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 136
4.4 Il sistema produttivo
Dopo aver analizzato la tecnologia run-flat, ci concentriamo sul secondo oggetto dello studio: il
sistema produttivo.
Questi ultimi anni hanno visto l’introduzione di cambiamenti significativi nel modo di
costruire i pneumatici, da parte di almeno sei delle compagnie leader dell’industria, dopo
decenni in cui non si era quasi assistito a modifiche, come sottolinea Maynard (2001).
Il processo produttivo tradizionale risulta tuttora in uso nella maggior parte delle imprese dal
momento che, o i nuovi sistemi hanno solo la funzione di affiancare la tecnologia esistente per
particolari produzioni o non hanno ancora sostituito tutti gli impianti; come più volte
sottolineato, esso si avvale di macchinari introdotti ancora prima degli anni’20, come il
Banbury Mixer o la Tire Building Machine.
Le uniche modifiche sostanziali alla tecnologia dei sistemi di produzione sono state portate
dall’introduzione del pneumatico radiale negli anni’50 e’60.
Il paragrafo inizia con una descrizione il processo produttivo tradizionale, utile per valutare
dove sono stati introdotti cambiamenti e di quale entità.
4.4.1 Il sistema di produzione tradizionale
Differentemente dai costruttori di autoveicoli che partono dall’assemblaggio di componenti
acquistati dall’esterno, la produzione dei pneumatici inizia con la gomma grezza proveniente
direttamente dalle piantagioni e comprende la costruzione di tutti gli elementi necessari, dalle
corde rinforzanti alle forme usate in vulcanizzazione.
Il pneumatico è formato da quattro gruppi di componenti principali: la gomma con tutti gli
additivi, il tessuto gommato che costituisce il corpo, il tallone e le fibre metalliche per il
rinforzo; tutti questi elementi vengono prodotti in parti diverse dell’impianto e si incontrano
solo nella Tire Building Machine dove si va a costruire il cosiddetto green tire38.
Il processo inizia nel Banbury Mixer dove alla gomma si aggiungono oli, carbone, pigmenti,
antiossidanti e vari additivi, ognuno dei quali conferisce proprietà particolari, fino ad ottenere
un composto omogeneo grazie alle elevate pressioni temperature usate. Tale massa di gomma
viene lavorata da rulli per ottenere, per estrusione, i vari elementi di gomma del prodotto, come
fianchi e battistrada.
38 Con il termine green tire si indicano convenzionalmente i pneumatici non vulcanizzati.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 137
Il pneumatico viene assemblato in una forma molto simile a quella finale nella Tire Building
Machine: gli ultimi componenti aggiunti sono i fili di materiale metallico e il battistrada. A
questo punto tutti gli elementi vengono pressati insieme e si ottiene la prime versione del
pneumatico chiamato, appunto, green tire.
Il processo di vulcanizzazione, che dura in media 25 minuti, conferisce al pneumatico la forma
finale. Esso avviene in una specie di forno (ad una temperatura di circa 150ºC) in cui sono
anche presenti delle piastre che stampano i disegni sul battistrada e incidono le iscrizioni
imposte dalla legge e il marchio del costruttore sul fianco.
Dopo la vulcanizzazione il pneumatico passa all’ultima fase, l’ispezione, eseguita sia a mano
che con attrezzature specializzate. In genere questa fase non si ferma alla valutazione della
superficie esterna del pneumatico ma vengono prelevati alcuni campioni che vengono
sottoposti ai raggi X per scoprire eventuali debolezze o difetti interni; in alcuni casi essi sono
anche esaminati e sezionati dai progettisti.
Alcuni di questi processi nel corso degli anni sono stati automatizzati ma l’industria sembra
essere stata reticente ad installare robots e ad utilizzare tecniche di organizzazione della
produzione come il just-in-time, a differenza di ciò che è accaduto nella parallela industria
dell’automobile. Secondo molti analisti questo è dovuto al fatto che i costruttori di pneumatici
mirano maggiormente a sfruttare pienamente la capacità dei loro macchinari piuttosto che a
combinare nel modo più economico possibile tutte le variabili che intercorrono nel processo.
A questo punto si analizzano i nuovi sistemi produttivi che le maggiori imprese del settore
stanno sviluppando, sottolineando soprattutto in che cosa sono innovativi e si differenziano dal
processo tradizionale. Nella tabella 4.19, nell’Appendice 4.1 a fine capitolo, sono riassunte le
principali caratteristiche.
Le informazioni riportate in queste pagine sono state ottenute per la maggior parte da riviste di
settore, in particolare dall’European Rubber Journal. Sono riuscita ad ottenere dati abbastanza
significativi per tutte le imprese occidentali, anche per Michelin che tiene assolutamente
segreta la propria tecnologia (secondo la maggior parte degli analisti più per nascondere i
malfunzionamenti che per una protezione dall’imitazione); per Sumitomo e Bridgestone
riportiamo solamente le caratteristiche principali.
La tecnologia dei sistemi produttivi è stata sviluppata in casa dalle varie compagnie ricorrendo,
ovviamente, all’outsourcing dei vari macchinari integrati e robots.
Nel 1997, quando ormai tutte le imprese stavano già lavorando allo sviluppo dei propri sistemi,
la 3 Sears Group introdusse sul mercato un nuovo sistema di produzione, che pubblicizzava
come nettamente superiore a ciò che stava producendo Michelin, destinato ai produttori
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 138
indipendenti per aiutarli ad incrementare il proprio vantaggio competitivo. Esso non ebbe
successo perché sembrava avere dei problemi e perché la situazione del produttore era poco
chiara: l’ideatore era, infatti, un ex dipendente sia di Michelin US che di Pirelli US che aveva
ricavato l’idea dalla tecnologia sviluppata da Dunlop negli anni’80, da cui, tra l’altro, prende
spunto anche l’Impact di Goodyaer.
Attualmente le tecnologie produttive più complete e conosciute sono l’Impact di Goodyear, il
MIRS di Pirelli e il C3M di Michelin.
4.4.2 L’ Impact di Goodyear
Il sistema Impact nasce nel 1986, anno in cui vengono acquistati i diritti sull’innovazione
proposta da Dunlop, ma viene presentato al pubblico solo nel 2001. Il processo fa ancora uso
dei Banbury Mixer per la preparazione della mescola, anche se la compagnia si sta impegnando
a trovare una tecnologia sostitutiva. Il sistema si occupa della trasformazione del composto in
green tire e poi della vulcanizzazione.
Uno dei punti centrali del sistema è la Hot Former Calender, una macchina che estrude la
maggior parte dei componenti del pneumatico nella forma di composto continuo, che poi viene
tagliato in base alle caratteristiche del prodotto, riducendo costi, tempi e spazio occupato ed
aumentando qualità e precisione del prodotto. Questa macchina è formata da stazioni (7 per
pneumatici per autocarri e 4 per quelli destinati alle automobili), ognuna con due rulli
sagomati, dove avviene l’estrusione di 12 dei 23 componenti che formano la carcassa,
scegliendo estrusori e componenti differenti a seconda del tipo di prodotto.
Ultimamente l’Impact è stato completato con una Injection Moulding Machine, per ora
funzionante solo per alcuni elementi come il tallone e il battistrada. Oltre all’assemblaggio di
questi componenti la macchina inietta del calore in modo che questi vengano pre-vulcanizzati
dall’interno all’esterno, differentemente dal metodo classico che avviene partendo dall’esterno,
riducendo i tempi della vulcanizzazione vera e propria, anch’essa svolta con un sistema
diverso, senza presse.
Il principio seguito nella progettazione dell’Impact è stato lo sviluppo di macchinari che
potessero eseguire più lavorazioni e il raggruppamento di queste unità in celle produttive;
questa particolare organizzazione della produzione, infatti, è particolarmente adatta per bassi
volumi produttivi ed elevata flessibilità, caratteristiche necessarie per essere competitivi al
giorno d’oggi.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 139
Il sistema è stato creato per la produzione di qualsiasi tipo di pneumatico, anche se Goodyear
sta puntando molto sul segmento degli equipaggiamenti per autocarri pesanti, infatti
programma di sostituire tutte le linee tradizionali nel giro di quindici anni.
Una delle caratteristiche principali dell’Impact è proprio la facilità con cui può essere integrato
nella produzione tradizionale. Il sistema, però, è stato definito da alcuni ingegneri di Goodyear
stessa come un buon esempio di applicazione della tecnologia esistente più che qualcosa di
rivoluzionario (Davis, ERJ Ottobre 2002).
Goodyear non si affida all’Impact per trarne benefici immediati, infatti il progetto di diffusione
va avanti nonostante le difficili condizioni economiche dell’azienda, anzi è considerato un
primo passo verso il taglio dei costi e il miglioramento del prodotto; esso, quindi, rappresenta
soprattutto uno strumento competitivo.
Sui pneumatici non è presente alcun segno che permette di stabilire se è stato prodotto con
questo sistema proprio per proteggere la tecnologia dall’imitazione e per non diffondere
informazioni sulle frontiere a cui essa è giunta.
Goodyear ha sviluppato anche due altri sistemi produttivi, l’FmsII (Flexible Manufacturing
System) e l’ Rfsam (Runflat System for Automated Manufacturing), quest’ultimo dedicato solo
alla produzione di pneumatici run-flat e probabilmente un’ applicazione particolare del primo.
Sarebbe interessante valutare il loro rapporto con l’Impact e che cosa ne ha determinato lo
sviluppo, specialmente per quanto riguarda l’Rfsam, ma non si hanno informazioni in
proposito eccetto un comunicato stampa di Goodyear (6 marzo 2002).
4.4.3 Il MIRS di Pirelli
Il MIRS, introdotto da Pirelli nel 2000, ma iniziato a sviluppare a partire dal 1997, si basa
essenzialmente su un’idea che il progettista, Renato Caretta, aveva studiato negli anni’70, cioè
l’uso di uno stampo meccanico che contenesse il pneumatico oltre che durante l’assemblaggio
anche nella vulcanizzazione e che potesse essere adattato per tutti i tipi di pneumatici da
costruire, riducendo i lunghi tempi di intercambio stampi. Tale invenzione allora non decollò
perché il processo produttivo non era stato concepito per possedere una così elevata flessibilità.
Il sistema, protetto da 22 brevetti, è costituito da 8 robot e 12 estrusori, acquistati dall’esterno,
e consta di tre fasi, sviluppate ognuna in una cella produttiva. Nella prima, 4 macchinari che
terminano con degli estrusori si dedicano alla produzione di tutti i componenti: tessuto per la
carcassa, fibre metalliche per rinforzare, tallone e battistrada. Nella seconda cella avviene la
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 140
realizzazione del prodotto vera e propria con il solo uso di robot per la movimentazione dei
pezzi.
Il pneumatico è costruito attorno ad uno stampo toroidale formato da otto segmenti radiali che
servono per liberare il prodotto alla fine della vulcanizzazione: dell’invenzione di Caretta
rimane, infatti, l’idea di un unico stampo che accompagna il pneumatico in tutte le fasi della
produzione mentre si è trovato più economico utilizzare una forma diversa a seconda della
tipologia di prodotto da realizzare. Lo stampo è di alluminio e, ogni volta che inizia un nuovo
codice, viene scaldato ai raggi X in modo da effettuare una pre-vulcanizzazione. Mentre esso
continua a ruotare su se stesso sottoposto ad attenzioni particolari per evitare infiltrazioni di
aria, i robot estrudono i diversi componenti terminando con le parti di rinforzo, il fianco e il
tallone; come si può notare l’ordine dell’assemblaggio dei componenti rispecchia quello del
processo tradizionale.
Il processo termina con la stazione in cui avviene la vulcanizazzione (in 6 fasi di 15 minuti
ciascuna) dopo la quale un robot toglie il pneumatico dalle forme e un altro lo convoglia verso
le ispezioni.
Ogni pneumatico possiede un codice a barre contenente le istruzioni per la lavorazione che
viene letto dai robot; il sistema è, infatti, comandato da un software interamente gestito online
che fa a sua volta parte di uno più grande che controlla tutte le fasi produttive, partendo dal
progetto.
Il MIRS è altamente flessibile, può anche produrre moduli da un’unità per tipologia di
prodotto: per una compagnia come Pirelli tale caratteristica è centrale poiché si concentra
essenzialmente sul mercato dell’alta performance che è più profittevole ma richiede molta
qualità e volumi produttivi di piccole dimensioni con caratteristiche sempre diverse.
Esso ha permesso anche di migliorare gli standard qualitativi in quanto il prodotto è costruito
in un unico ciclo, quindi, senza più sbalzi di temperatura, trasporti nelle varie parti
dell’impianto e condizioni di vulcanizzazione non omogenee.
Il sistema accresce la capacità produttiva del 25% ma tale surplus va a coprire una nuova
domanda in modo da non richiedere chiusure di impianti e tagli nel personale: Pirelli, infatti,
non ha progettato il MIRS in sostituzione a tutti i sistemi tradizionali ma per un affiancamento
nella produzione di pneumatici, come quelli ad alta performance o i run-flat, che richiedono
elevata qualità e flessibilità.
Per ora è stata pianificata la collocazione in cinque impianti divisi tra Italia, Germania, Regno
Unito e Stati Uniti, dove già è stata realizzata, più un ultimo nell’Est. In seguito le unità MIRS
verranno installate in base alle esigenze del mercato: Pirelli ipotizza di posizionare gli impianti
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 141
direttamente nelle linee produttive dei costruttori di autoveicoli in modo da evitare sia i costi di
trasporto che il deperimento dei prodotti durante la movimentazione. Questo è possibile grazie
al fatto che le fabbriche MIRS occupano uno spazio ridotto, sono interamente gestite online e
non richiedono più di due addetti per turno.
Il nuovo sistema produttivo, come riporta Shaw (ERJ, Settembre 2000), ha modificato la già
complessa relazione esistente tra gli elementi produttivi e la performance del prodotto finale.
Infatti, gli ingegneri hanno dovuto ristudiare i collegamenti tra struttura del pneumatico e la sua
performance dopo che quest’ultima variabile reagiva in modo inaspettato a variazioni della
prima. Ciò ha richiesto del tempo e ha causato il temporaneo non soddisfacimento di alcune
specifiche imposte dalle case automobilistiche per i pneumatici HP.
Il MIRS ha permesso a Pirelli di guadagnare vantaggio competitivo nel segmento dell’alta
performance e di continuare a produrre nei paesi con costi elevati rappresentati dall’Europa
Occidentale e dagli Stati Uniti.
Nel 2002 il MIRS è stato completato con il CCM (Continuous Compounding Mixing), protetto
da 7 famiglie di brevetti. Il sistema si aggancia alla prima fase del MIRS, è impiegato per ogni
tipo di produzione e gestisce il controllo dei materiali in input. Tale operazione è piuttosto
complessa perché essi sono una quarantina e la loro quantità varia da prodotto a prodotto. Esso
ha permesso anche l’impiego di nuove sostanze che non erano adatte al processo produttivo
tradizionale date le elevate temperature e, soprattutto, i lenti tempi di processamento. Il CCM
assicura una qualità maggiore del pneumatico poiché diminuisce del 70% la variabilità delle
proprietà fisiche dei componenti.
4.4.4 Il C3M di Michelin
Per quanto riguarda il C3M si hanno più informazioni sulle sue caratteristiche e i benefici
portati che sul suo funzionamento; come tutta la tecnologia di Michelin, anche questo sistema è
avvolto nella segretezza (non si sa nemmeno per che cosa stia la sigla C3M o CMMM), ad
esempio il suo sviluppo venne reso noto solo nel 2001, quindici anni dopo la data di inizio.
Esso riunisce in un’unica linea produttiva le sette fasi del processo tradizionale. L’elemento
centrale del sistema, similmente al MIRS, è uno stampo toroidale attorno a cui il pneumatico
viene costruito. Il prodotto risulta avere delle proprietà migliori perché i vari componenti
possono essere aggiunti in parti differenti della lavorazione.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 142
Grazie al sistema di produzione modulare si può raggiungere una flessibilità molto elevata:
infatti il C3M è stato costruito per la produzione di pneumatici HP, per autoveicoli e SUV, e
per seguire le esigenze del cliente verso prodotti quasi personalizzati.
Le nuove linee produttive sono state progettate per affiancare e non per sostituire il processo
tradizionale dedicato alla produzione di massa; un’integrazione con le tecnologie esistenti non
sarebbe neanche possibile perché i concetti che stanno alla base dei due sono completamente
differenti.
Uno degli aspetti peculiari del sistema è la facilità di trasporto a seconda delle esigenze del
mercato (infatti può essere caricato su 2 camion o 2 container aerei); per questo Michelin lo
sta sfruttando per entrare in nuove aree geografiche, come il Brasile.
4.4.5 Altre tecnologie nei sistemi di produzione
Continental in questi ultimi anni ha sviluppato almeno quattro sistemi produttivi, MMP
(Modular Manufacturing Process), ESA (Single-Stage Builder), C+K (Automated Tire
Building Equipment) e SAV2000 per la costruzione dei pneumatici per autocarri; per i primi
due si hanno notizie più dettagliate, come si può leggere in tabella 4.19 in Appendice 4.1. La
strategia della compagnia non mira a costruire un processo produttivo che sostituisca quello
tradizionale ma ad automatizzarne le parti più critiche: in questo modo, però, riesce ad ottenere
una diminuzione dei costi ma non gli standard qualitativi raggiunti da concorrenti come Pirelli,
Michelin e Goodyear, come la stessa compagnia ammette.
L’introduzione principale di Continental è l’MMP, una macchina che svolge l’assemblaggio
del pneumatico, cioè l’inserimento di tutti i componenti e la vulcanizzazione che avviene
utilizzando il principio delle microonde.
Questo sistema aumenta di molto la flessibilità produttiva favorendo la strategia multi-brand
dell’azienda, in quanto permette ad esempio la consegna di lotti su ordinazione anche di
piccole dimensioni, fino a 100 pezzi, in 24 ore.
Sumitomo propone il sistema Taiyo che copre tutto il processo produttivo e l’intero portafoglio
di pneumatici e verrà esteso a tutti gli impianti della compagnia. La tecnologia è ancora in fase
di crescita: infatti è stata studiata una seconda generazione del sistema e per il 2004 ce ne sarà
una terza che permetterà la produzione di pneumatici run-flat.
Il Bird di Bridgestone è il primo sistema che estende l’automazione anche all’ispezione.
Esso è formato da tre componenti: Bridgestone's Automated Tire Manufacturing Synchronized
System che si occupa della costruzione del pneumatico e della vulcanizzazione, Automated
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 143
Inspection Modular System per l’ispezione automatica e il Flow Oriented Approach che
processa i dati necessari alla gestione dell’intero sistema.
Nel 1992 Bridgestone introdusse anche un sistema altamente automatizzato, capace di produrre
2500 pneumatici al giorno, nell’impianto di Tochigi in Giappone; non fu, però, esteso ad altre
linee produttive.
Tutti questi impianti innovativi hanno aiutato le compagnie a diminuire i costi di produzione e
ad aumentare le caratteristiche del prodotto e la flessibilità produttiva, tuttavia sono supportati
da strategie molto differenti.
Tutti i sistemi, tranne quelli di Continental, coprono l’intero processo produttivo: MIRS, Taiyo
e Bird anche la gestione dei componenti che formano la mescola e quest’ultimo si estende
anche alle ispezioni. L’Impact, però, sembra più come l’integrazione di tante macchine che non
un sistema integrato come gli altri; esso è anche l’unico, assieme all’MMP di Continental, a
non rappresentare un distacco dalla tecnologia tradizionale, ma a richiederne un’integrazione.
Comunque l’intero gruppo di impianti comprende la fase di assemblaggio, questo perché è
proprio qui che vengono conferite al prodotto la maggior parte (50-70%) delle caratteristiche
che ne determinano la performance. Sono state introdotte delle innovazioni anche nel processo
di vulcanizzazione: esempi sono dati dall’Impact che ha eliminato le tradizionali presse e da
Continental che, invece, usa le microonde.
Pirelli e Michelin sono le uniche a destinare i propri prodotti solo a determinate categorie di
pneumatici, e cioè quelli appartenenti a segmenti al top del mercato, come HP per moto e
automobili, run-flat e per SUV; per questo il MIRS e il C3M non sono stati progettati per
essere estesi a tutti gli impianti, a differenza degli altri.
Il MIRS e il C3M sono, quindi, i sistemi che sembrano assomigliarsi maggiormente anche
perché entrambi sono stati concepiti per essere spostabili a seconda delle esigenze del mercato,
anche se la flessibilità dell’impianto di Michelin in questo senso sembra essere maggiore.
A questo punto è interessante proporre delle considerazioni sugli impianti che le varie imprese
possiedono nel mondo per valutare la distribuzione sia dei nuovi sistemi produttivi che della
produzione del run-flat.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 144
4.5 Gli impianti produttivi
In tabella 4.20 sono riportate le linee produttive possedute dalle top10 evidenziando i casi in
cui se ne conoscono le caratteristiche, sia per quanto riguarda i sistemi produttivi che la
produzione.
COMPAGNIA IMPIANTO CARATTERISTICHE
Fulda, Germania RSFAM per run-flat e Pax (2002). Dal 2001 pneumatici per autoveicoli con IMPACT. Impianto focalizzato su HP
Luxembourg: Colmar-Berg
IMPACT (impianto pilota nel 2000). Dal 1999 Pneumatici per autocarri
Hanau, Germania Run-flat con RFSAM (2003). Anche DSST, Dunlop Self-Supporting Tire
Philippsburg, Germania IMPACT per automobili ed autocarri Lawton, Okla. Run-flat. RFSAM (2003) e anche IMPACT Danville (Virginia); IMPACT (impianto pilota nel 2000). Dal 1999 pneumatici per
autocarri Napanee (Ontario), IMPACT (impianto pilota nel 2000)
GOODYEAR
Altri impianti: Cina: Dalian; India: Hariana, Aurangabad; Indonesia: Bogor; Giappone: Tatsuno; Malesia: Selangor; Filippine: Manila; Taiwan: Taipei; Tailandia: Bangkok; Australia: Somerton, Thomastown, West Footscray; NZ: Wellington; Francia: Amiens, Montlucons; Germania: Fürstenwalde, Riesa, Wittlich; Italia: Latina; Polonia: Debica; Slovenia: Kranj; UK: Birmingham, Washington, Wolverhampton; Marocco: Casablanca; SA: Uitenhage; Turchia: Adapazari, Izmit; Canada: Medicine Hat (Alberta), Valleyfield (Quebec); Messico: Mexico City; US: Gadsden (Alabama), Huntsville (Alabama), Freeport (Illinois), Topeka (Kansas), Buffalo (New York), Fayetteville (North Carolina), Akron (Ohio), Lawton (Oklahoma), Union City (Tennessee), Tyler (Texas), Argentina: Buenos Aires; Brasile: Americana, Sao Paulo; Cile: Santiago; Colombia: Cali; Guatemala: Guatemala City; Perù: Lima; Venezuela: Valencia. Greenville (South Carolina),
C3M
Clermont-Ferrand (Francia)
C3M
Lille (Francia) C3M Kuingaiv (Svezia) C3M per “winter tires”. Chiuso in 2001 (uno dei primi ad
essere equipaggiato con il C3M data la produzione inefficiente)Reszende (Brazil) C3M Reno (Nevada), C3M. Aperto nel 1997 ma sta per chiudere
MICHELIN
Altri impianti: Cina: Shen Yang; Giappone: Tokyo; Filippine: Manila; Tailandia: Hong Khae, Laem Chabang, Bangkok; Francia: Bourges, Cholet, , Le Puy, Montceau/Mines, Poitiers, Roanne, La Roche/Yon, , St Priest, Toul, Tours, Troyes; Germania: Bad Kreuznach, Bamberg/Hallstadt, Homburg/Saar, Karlsruhe; Ungheria: Budapest, Nyiregyhaza; Italia: Alessandria, Cuneo, Turin/Stura; Polonia: Olsztyn; Spagna: Aranda de Duero, Lasarte, Valladolid, Vitoria; Svezia: Gothenburg; UK: Ballymena, Burnley, Dundee, Stoke-on-Trent; Algeria: Algiers; Nigeria: Port Harcourt; Canada: Bridgewater (Nova Scotia), New Glasgow (Nova Scotia), Waterville (Nova Scotia), Kitchener (Ontario); Messico: Queretaro, Tacuba; US: Dothan (Alabama), Opelika (Alabama), Tuscaloosa (Alabama), Fort Wayne (Indiana), Norwood (North Carolina),Mogadore (Ohio), Ardmore (Oklahoma), Lexington (South Carolina), Spartanburg (South Carolina); Brasile: Rio de Janeiro; Colombia: Bogota.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 145
Aiken Country, South Carolina, US
Automazione delsistema di costruzione dei pneumatici
Saga Prefecture 100000 run-flat. (Si prevede di produrne 1,5milioni entro 2005)
BRIDGESTONE
Altri impianti: India: Indore/Madhya; Indonesia: Bekasi-Jawa, Kerawan (West Java); Cina: Santai (Shenyang); Giappone: Amagi, Hikone, Hofu, Kurume, Nasu, Shimonoseki, Tochigi, Tokyo, Tosu; Taiwan: Hsin-chu; Tailandia: Nong Khae, Rangsit/Patoom-Thani; Australia: Salisbury; Nuova Zelanda: Christchurch; Francia: Bethune; Italia: Bari; Polonia: Poznan; Spagna: Bilbao, Burgos, Torrelevaga; Kenya: Nairobi; Turchia: Izmit; Sud Africa: Brits, Port Elizabeth; Canada: Joliette (Quebec); Messico: Cuernavaca, Mexico City; US: Bloomington (Illinois), Decatur (Illinois), Des Moines (Iowa), Wilson (North Carolina), Akron (Ohio), Oklahoma City (Oklahoma), Aiken (South Carolina), La Vergne (Tennessee), Warren County (Tennessee); Argentina: Buenos Aires; Brasile: Sao Paulo; Cile: Coquimbo; Costa Rica: San Jose; Venezuela: Valencia. Breuberg (Germania,1987)
MIRS. Run-flat per Mini Cooper. 2 milioni di pneumatici MIRS all’anno. MIRS moto (125.000 HP all’anno)
Milano Bicocca Impianto pilota per tutti i MIRS. 2002 MIRS moto Burton-on-Trent, UK 2 linee MIRS in funzione (HP and UHP) 2002 Rome, Ga, US MIRS 2002 (Sede della Pirelli Nord America). PZero (17 and
18; the 19-inch prodotto in Europa) Bahia, Brasile Per la distribuzione in Nord America Izmit, Turchia Pneumatici all-steal ad uso industriale Tivoli, Italia Pneumatici per l’agricoltura. 800 unità al giorno. In jv con
Telleborg Metzeler, Germania Pneumatici moto ad alte prestazioni (2002)
PIRELLI
Altri impianti: Italia: Bollate, Settimo Veicoli, Settimo Vettura; Spagna: Manresa; UK: Carlisle; Egitto: Alexandria; US: Hanford (California); Argentina: Buenos Aires; Brasile: Feira de Santana, Gravatai, Santo Andre, Sao Paulo; Venezuala: Valencia. Mount Vernon (Illinois) ESA Herstal (Belgio) Chiusa la produzione di pneumatici per autocarri per dare
spazio a quelli per autoveicoli prodotti con l’MMP Traiskirchen (Austria) MMP 2000 Korbach (Germania) Prototipo MMP
CONTINENTAL
Altri impianti: Pakistan: Karachi; Repubblica Ceca: Otrokovice; Francia: Clairoix, Sarreguemines; Germania: Aachen, Hanover-Stöcken; Portogallo: Lousada; Romania: Timosoara; Slovacchia: Puchov; Svezia: Gislaved; Marocco: Casablanca; Sud Africa: Port Elizabeth; Tanzania: Arusha; US: Mayfield (Kentucky), Charlotte (North Carolina), Bryan (Ohio); Messico: Guadalajara, San Luis Potosi; Ecuador: Cuenca. Shirakawa, Fushima (Giappone)
TAIYO. Pneumatici per autoveicoli. SUV e run-flat dal 2004
Nagoya TAYO prototipo
SUMITOMO
Izumi-Ohtsu TAIYO per run-flat and SUV KUMHO Cina: Changchung, Nanjing, Tianjin;
South Korea: Koksung, Kwangju. TOYO Cina: Kun Shan/Jian Su;
Giappone: Kuwana, Sendai, Tatsuno; US: Mount Vernon (Illinois).
YOKOHAMA Giappone: Hiratsuka, Mie, Mishima, Onomichi, Shinshiro; Philippines: Clark Econ. Zone; Vietnam: Ho Chi Minh City; US: Mount Vernon (Illinois), Salem (Virginia).
COOPER US: Texarkana (Arkansas), Albany (Georgia), Tupelo (Mississippi) Findlay (Ohio) UK: Melksham
Tabella 4.20 Impianti produttivi posseduti dalle top1039
39 Fonti per le caratteristiche dei vari impianti: Tire Business “Tire Production European Facilities 2002”e Modern Tire Dealer “Nord America Plant Capacities 2002”, nonché riviste di settore. Per le imprese giapponesi le informazioni sono incomplete.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 146
Il Modern Tire Dealer riporta che nel 2003 il 25,8% della produzione di pneumatici è avvenuta
negli Stati Uniti, il 17% in Giappone, il 7,1% in Cina e Sud Corea, il 6,7% in Germania e
Francia e solo il 3,4% in Italia. In questi ultimi anni sono aumentati anche gli investimenti
delle compagnie leader, specialmente Pirelli, Continental e Michelin, in Brasile (esso si è
infatti aggiudicato il 3,6% della produzione mondiale nel 2003): il fenomeno trova
probabilmente spiegazione nel fatto che il paese permette bassi costi produttivi e facilita, sia
dal punto di vista geografico che economico, i contati con il mercato nord americano.
Come avviene in gran parte dei settori, in molti casi le imprese produttrici tendono a collocare i
propri impianti nelle stesse zone geografiche dei diversi paesi: ad esempio Izmit in Turchia
ospita Pirelli, Bridgestone e Goodyear o Mt.Vernon negli Stati Uniti, Toyo,Yokohama e
Continental.
Come si può notare dalla tabella, la maggioranza dei sistemi innovativi sono stati insediati in
Europa, soprattutto in Germania, Francia e nei Paesi Bassi, e negli Stati Uniti; l’unico caso di
collocazione in Sud America è rappresentato dal C3M di Michelin a Rezende in Brasile. La
tendenza delle compagnie è di testare le nuove linee prima di tutto nel loro paese di
provenienza; Sumitomo addirittura non ha mai esportato il Taiyo al di fuori del Giappone.
Le strategie seguite dalle imprese nella scelta degli impianti in cui installare questi nuovi
sistemi sono diverse. Continental, ad esempio, ha collocato l’MMP nei suoi impianti di
dimensioni maggiori (eccetto quello di Otrokovick in Repubblica Ceca), nella maggior parte
dei quali è stata cambiata la produzione da pneumatici per veicoli industriali, OTR e autocarri,
a quelli destinati agli autoveicoli. Michelin, invece, non ha scelto una strategia di questo tipo:
infatti il C3M è presente in impianti enormi come quello di Clermont-Ferrand (16.200
dipendenti) ma anche molto piccoli come Kuingaiv in Svezia (poco più di 100 addetti).
Goodyear, a sua volta, ha collocato l’Impact in linee dedite per lo più alla produzione di
pneumatici per automobili, nel caso di Fulda ad alta performance, o per autocarri; l’azienda
intende sviluppare quest’ultima produzione, anche grazie al nuovo sistema produttivo,
soprattutto a Colmar-Berg in Lussemburgo.
La produzione dei run-flat avviene solo in particolari impianti, a testimonianza di una divisione
produttiva nei vari stabilimenti a seconda delle caratteristiche del prodotto: ad esempio
Beuberg e Milano Bicocca per Pirelli, Fulda, Hanau e Lawton per Goodyear e Saga Prefecture
per Bridgestone (delle altre imprese non si hanno informazioni).
Nel caso di Pirelli e Goodyear si può notare che in tutti gli impianti dove si producono i run-
flat sono installati i nuovi sistemi di produzione; si può, così, dedurre che ci sia un
collegamento tra le variabili ma resta da stabilire di che tipo.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 147
Risulta singolare la situazione di Michelin; 2 sui 6 impianti dotati del C3M sono stati chiusi:
questo può essere sintomo di difetti del sistema oppure di decisioni di investimento sbagliate
(motivazione, però, che sembra meno credibile).
.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 148
4.6 Analisi brevettuale
La ricerca riportata in queste pagine è basata sui dati di brevetto presenti nel database EPO-
CESPRI (Università Bocconi, Milano) che copre il periodo dal 1978 al 200140 e che si riferisce
ai brevetti depositati presso l’EPO, l’Ufficio Europeo dei Brevetti.
L’analisi effettuata è concentrata principalmente su Pirelli mantenendo, però, vivo il confronto
con le tendenze principali dell’industria, determinate attraverso uno studio meno
particolareggiato.
Come già anticipato nell’introduzione al capitolo, il lavoro presentato ha due scopi principali:
in primo luogo si propone di esaminare meglio le due tecnologie oggetto dello studio; in
secondo luogo, completa la conoscenza dell’innovazione nell’industria attraverso una
valutazione della consistenza delle conoscenze tecnologiche delle varie compagnie.
L’analisi ripercorre le tappe fondamentali dello studio di Acha e Brusoni (2002) dal quale,
però, si differenzia per due ragioni: quest’ultimo prende in considerazione i brevetti depositati
a livello globale, inoltre, utilizza la riclassificazione Derwent41 che raccoglie i brevetti in base
alle loro applicazioni (utilizzando questo secondo tipo di riclassificazione i dati a disposizione
risultano in numero maggiore).
Lo studio presentato in questa sezione, invece, fa riferimento alla classificazione IPC; essa si
basa su un sistema è gerarchico ed universalmente riconosciuto che associa ad ogni brevetto un
codice formato da 9 caratteri in base alla natura o alle caratteristiche strutturali
dell’invenzione42.
Prima di illustrare il lavoro svolto si accennano alcune limitazioni a cui risulta soggetto. In
primo luogo i dati riguardano le domande di brevetto depositate presso l’Epo, quindi, le
conclusioni estrapolate non possono avere una validità globale. Limitatamente a questo, però,
possiamo affermare che la maggior parte dei brevetti sono stati estesi in tutti i paesi principali e
40 E’utile precisare che la data associata ad ogni brevetto è quella corrispondente al deposito della domanda, da cui decorre la durata del brevetto stesso. Tale data è molto interessante perché decreta il momento dal quale l’impresa inizia ad utilizzare la nuova tecnologia; per quanto riguarda i processi produttivi ciò non corrisponde sempre alla reltà in quanto, grazie all’uso del segreto industriale, il brevetto può essere postumo all’introduzione (senza infrangere la condizione di novità necessaria alla brevettabilità in quanto questo gap temporale è difficilmente dimostrabile). 41 Esistono molti tipi di riclassificazione che partono dal sistema IPC; essi hanno principalmente lo scopo di facilitare analisi e studi da parte di imprese. Nelle interviste all’ing.Sgalari in Pirelli è emerso come, dal momento che la classificazione Derwent si basa sulle applicazioni delle invenzioni, il 20-30% dei brevetti rilevati nel settore del pneumatico non ha valore sia dal punto di vista economico che tecnologico. 42 A scopo chiarificatore riportiamo un esempio di codice basato sulla classificazione IPC, A01B001/02, dove A rappresenta la sezione, A01 la classe, A01B la sottoclasse, A01B001 il gruppo principale e A01B001/02 il sottogruppo. In particolare in questa analisi abbiamo utilizzato la settima edizione della classificazione IPC (in vigore dal 1 gennaio 2000) che consta di 8 sezioni, 120 classi, 628 sottoclassi e circa 69.000 gruppi.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 149
strategici in cui opera Pirelli e i maggiori concorrenti (cioè, oltre all’Europa, Stati Uniti e
Giappone). In secondo luogo i dati a disposizione riguardo Pirelli sono relativi al periodo 1979-
2000; è possibile, quindi, che le informazioni ricavabili riguardo le tecnologie oggetto dello
studio, il pneumatico run-flat Eufori@ e il MIRS, non siano complete dal momento che esse
sono state introdotte e perfezionate a partire dal 2000 stesso.
4.6.1 I dati relativi a Pirelli
Lo studio è iniziato ricercando tutte le imprese appartenenti al gruppo Pirelli aventi brevetti
nel settore pneumatici: nell’arco di tempo considerato sono state individuate 11 compagnie,
come si può notare dalla tabella 4.2143.
Queste imprese mostrano un’attività discontinua nello spazio temporale considerato: come è
possibile notare dalla tabella 4.22, molto probabilmente alcune sono state inglobate in altre
società del gruppo. Solo la società Pirelli Coordinamento Pneumatici ha depositato dei brevetti
in una porzione considerevole dell’arco temporale considerato; l’impresa ha anche offerto il
contributo maggiore relativamente al numero di brevetti prodotti (88). La compagnia al
secondo posto (con 65 brevetti), Pirelli Pneumatici, presenta, tra le 11, l’attività più continua
negli ultimi anni (cioè dal 1996 al 2000). Al terzo posto si trova Industrie Pirelli, molto attiva
negli anni’80, con 29 brevetti depositati. Le imprese al di fuori del gruppo formato da queste
tre compagnie hanno contribuito minimamente al portafoglio brevetti di Pirelli: infatti ben tre
imprese su 11 hanno depositato un unico brevetto.
Dalla tabella 4.21 risulta che i brevetti in possesso di Pirelli nei 22 anni considerati sono stati
204: in figura 4.22 è mostrata la loro distribuzione nei vari anni. Possiamo notare come il
numero di brevetti depositati abbia subito un incremento a partire dal 1996; il brusco calo, da
28 a 10, dal 1999 al 2000, non dipende da cambiamenti interni alla compagnia ma da problemi
del dataset44.
43 Esse sono state estrapolate attraverso una ricerca per parole chiave, estraendo dal database tutte le imprese che avessero nel nome la parola “Pirelli”, ed eliminando quelle per cui la parola tire o tyre non comparisse in nessun titolo dei brevetti. 44 Poiché occorrono da 6 a 18 mesi perché una domanda di brevetto sia pubblicata, le domande del 2000 presenti nei file del dataset che sono aggiornati alle pubblicazioni EPO del 2001, sono molto poche rispetto al totale delle domande effettive.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 150
4.6.2 Le classi tecnologiche di maggiore interesse per Pirelli
Pirelli ha brevettato in tutte 8 macrodivisioni tecnologiche, in 23 classi, 38 sottoclassi e 68
gruppi principali; nell’ allegato 1, a fine sezione, compare l’intero portafoglio brevetti della
compagnia, non limitato solamente ad una trattazione per classi ma per gruppi principali45, e la
divisione citata con relativa descrizione. Il maggior numero di brevetti appartiene alle società
Pirelli Coordinamento Pneumatici e Pirelli Pneumatici. La società al terzo posto, Industrie
Pirelli, presenta una strategia singolare in quanto possiede pochi brevetti nelle classi
tecnologiche di maggior rilevanza per la compagnia ed è l’unica ad aver brevettato in modo
consistente nel gruppo F, relativo all’ingegneria meccanica.
Compagnie Nazionalità Num.brevetti
Industrie Pirelli Italia 29 Pirelli Gran Bretagna 3 Pirelli Italia 2 Pirelli Coordinamento Pneumatici Italia 88 Pirelli Pneumatici Italia 65 Pirelli Pneus BR 1 Pirelli Reifenwerke Germania 6 Pirelli Tire Stati Uniti 1 Pirelli Tyres Gran Bretagna 1 Società Pneumatici Pirelli Italia 8 Totale 204 Tabella 4.21 Compagnie appartenenti al gruppo Pirelli con attività nel settore pneumatici dal 1979 al 2000 e rispettivo numero di brevetti depositati
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
Industrie Pirelli * * * * * * * * * * * * Pirelli * * * * * * * * * Pirelli * * * Pirelli Coord.Pneum. * * * * * * * * * * * * * * * * * * Pirelli Pneumatici * * * * * Pirelli Pneus * Pirelli Reifenwerke * * * * * * * Pirelli Tire * Pirelli Tyres * Soc. Pneum. Pirelli * * * * * * * Tabella 4.22 Attività delle 10 compagnie all’interno del periodo considerato
45 Dall’allegato si può avere un’idea anche sulla suddivisione dei brevetti per ognuna delle 10 compagnie appartenenti al gruppo. Nelle celle della tabella compare l’anno in cui è stata inoltrata la domanda di brevetto e, in parentesi, il numero di brevetti relativi a quell’anno.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 151
Figura 4.22 Domande di brevetto depositate da Pirelli dal 1979 al 2000
Da ciò possiamo dedurre che la società si occupava (l’utilizzo del passato è d’obbligo in quanto
la compagnia sembra aver smesso la propria attività nel 1990) della progettazione delle
tecnologie relative al sistema di produzione; attività che oggi sembra appartenere soprattutto
alla società Pirelli Pneumatici e Pirelli Coordinamento Pneumatici, come vedremo in seguito.
La figura 4.23 propone una prima valutazione riguardo il numero di brevetti per ognuna delle
23 classi tecnologiche.
Come si può osservare dalla figura, solo 5 classi tecnologiche su 23 presentano un numero
considerevole di brevetti depositati: in esse è registrato l’84,8% dei brevetti totali di Pirelli
nell’arco di tempo considerato. Tali classi sono correlate all’attività della compagnia: infatti,
B29 è relativa alla lavorazione di plastica o di sostanze nello stato plastico, B60 ai veicoli in
generale, F16 all’ingegneria meccanica per la produzione di elementi per la costruzione di
macchinari o per mantenerne l’effettivo funzionamento, G01 riguarda misurazioni e test e C08
è inerente ai composti macromolecolari organici. La maggioranza dei brevetti depositati
relativamente alla classe B29 riguarda il processo di vulcanizzazione. Per quanto riguarda la
classe B60, invece, l’attenzione maggiore è stata rivolta a tecnologie per l’abbassamento della
resistenza al rotolamento.
In figura 4.24 esaminiamo l’andamento dei brevetti nel corso del tempo per le cinque classi di
maggiore interesse.
1
4
8
45
11 11
5 56
4
7
13
7
56 6
17
25
16
28
10
1
4
8
45
11 11
5 56
4
7
13
7
56 6
17
25
16
28
10
0
5
10
15
20
25
30
1979 1980 1981 1982 1083 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Anni
Num
. Bre
vetti
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 152
Figura 4.23 Distribuzione dei brevetti per classe tecnologica Figura 4.24 Andamento del numero di brevetti nelle cinque classi di maggior interesse per Pirelli nel tempo
2 1 2 1
47
3
89
13
9
1 24
1 2 1 2 1 2
12
1
16
10
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Classi tecnologiche
Num
.Bre
vetti
A47A61A62B22B29B32B60B64B65C08C22C23C25D07E02E04F03F04F15F16F24G01H02
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
anno
Num
.Bre
vetti B60
B29G01F16C08
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 153
L’attività di brevettazione della compagnia nelle due classi di maggior interesse risulta molto
oscillante nel tempo. La classe B60 è l’unica ad avere brevetti per tutto l’arco di tempo
considerato: essa ha riportato un picco centrato nel 1997 con una considerevole salita a partire
dal 1995 ed un’altrettanto forte discesa fino al 2000, l’ultimo anno considerato.
Le classi G01 e C08 presentano una copertura temporale molto simile: infatti, hanno fatto
un’apparizione solo in un anno (il 1980 per G01 e il 1991 per C08), per poi essere coinvolte
definitivamente nei brevetti della compagnia (come si può notare dalla figura, troviamo
brevetti nella classe G01 a partire dal 1992 e in C08 dal 1995).
La classe F16 compare solo tra il 1983 e il 1988; curioso è il fatto che in tutto il gruppo F (che
ricordiamo legato all’ingegneria meccanica) possiede brevetti solamente la società Industrie
Pirelli, tranne che per un brevetto nel 1996 nella classe F24 di Pirelli Tyres (GB), come si può
notare nell’allegato 1.
Dalla tabella riportata in allegato 1 riassumiamo che i gruppi principali di maggior interesse per
Pirelli sono quattro:
- B29D030 (34 brevetti) relativo alla produzione di pneumatici, anche solidi, o di parti di
essi;
- B60C009 (26 brevetti) relativo al rinforzo o alla disposizione degli stati di materiale nei
pneumatici;
- B60C011 (30 brevetti) relativo al progetto e alla costruzione del battistrada dei
pneumatici;
- G01M017 (9 brevetti) relativo ai test dei veicoli.
Delle 23 classi tecnologiche coinvolte nei brevetti di Pirelli dal 1979 al 2000, ne riscontriamo 8
senza un’apparente relazione con la produzione della compagnia. Le classi in questione sono:
- A47 (2 brevetti): mobili ed accessori domestici;
- A62 (2 brevetti): apparati salva-vita soprattutto contro il fuoco;
- E02 (2 brevetti): ingegneria idraulica;
- A61 (1 brevetto): igiene, scienze mediche e veterinarie;
- B64 (1 brevetto): aviazione ed aeronautica, specialmente apparati di emergenza;
- D07 (1 brevetto): funi e cavi (settore tessile);
- E04 (1 brevetto): costruzioni;
- H02 (1 brevetto): distribuzione di energia elettrica.
Come si può notare, solamente 11 brevetti sui 204 totali, e cioè il 5,4%, sono inerenti a classi
tecnologiche non strettamente correlate con la produzione; essi sono stati depositati entro il
1990, ad eccezione di quello relativo alla classe D07 che risale al 1996. Un’ulteriore
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 154
osservazione che emerge osservando i dati è che i due brevetti nelle classi D07 e H02 sono
relativi ai cavi, settore in cui Pirelli opera: probabilmente, però, il brevetto in D07 riguarda i
pneumatici poiché è classificato nel settore tessile.
Alcune delle classi in cui compaiono i brevetti di Pirelli si staccano dai campi più legati al
prodotto ma risultano facilmente collegati al processo produttivo; essi rappresentano una parte
importante del portafoglio brevetti, in quanto ogni impresa, per ragioni di segretezza e di
possibilità di imitazione, tende a produrre in casa le proprie linee. Le classi in questione sono
sette:
- B29 (47 brevetti): lavoro di sostanza plastiche;
- F16 (12 brevetti): mantenimento della funzionalità di macchinari ed impianti;
- B65 (3 brevetti): trasporto, immagazzinamento e uso di materiali sottili o filamentosi;
- F03 (2 brevetti): macchinari per trattare con liquidi e fluidi;
- F15 (2 brevetti): attuatori per la pressione dei fluidi;
- F04 (1 brevetto): macchinari per fluidi;
- F24 (1 brevetto): riscaldamento e ventilazione.
I brevetti relativi alle tecnologie necessarie alla produzione di pneumatici riguardano circa il
33% del totale.
Se si considera il primo gruppo di classi, Pirelli non sembra aver seguito, almeno fino al 2000,
una strategia completa di diversificazione tecnologica in quanto il portafoglio brevetti relativo
risulta troppo debole rispetto al totale; se, però, si valutano anche le tecnologie inerenti alla
costruzione dei macchinari da impiegare in produzione e i brevetti nella classe G01, relativi a
test e misurazioni sui veicoli, la situazione cambia e il peso delle tecnologie slegate al prodotto
aumenta al 46,6%.
Risulta interessante osservare che, con quest’ultima condizione, 3 delle 5 classi che possiedono
il numero più elevato di brevetti nell’arco di tempo considerato, B29, G01 ed F16, risultano
segno delle diversificazione tecnologica attuata dalla compagnia.
Analizzando le 8 macrosezioni in cui sono raggruppati i brevetti possiamo affermare che quello
più utilizzato da Pirelli è B e in particolare le classi legate al pneumatico; al secondo posto,
però, si può trovare F, che raccoglie le invenzioni riguardanti l’ingegneria meccanica. Solo al
terzo posto appare uno dei campi tradizionalmente più collegati al pneumatico, cioè la chimica
(contraddistinta dalla lettera C) per cui si riscontrano molti brevetti legati alla metallurgia.
Tramite una prima analisi sulle classi tecnologiche di interesse di Pirelli non è stato possibile
scoprire alcun brevetto immediatamente riconducibile alle nuove tecnologie oggetto di studio:
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 155
per questo l’indagine è stata ampliata prendendo in considerazione anche i titoli dei brevetti e
gli inventori.
4.6.3 Brevetti di Pirelli relativi al pneumatico run-flat e al MIRS
Lo studio relativo ai brevetti connessi alle tecnologie analizzate in questa tesi è stato condotto
seguendo vari passi:
- prima di tutto sono stati valutati i brevetti con un titolo significativamente collegato alle
due tecnologie in questione: sono stati trovati due brevetti, EP475258 e EP54225246.
Dopo aver identificato gli inventori dei due brevetti in questione è stato verificato se tra
tutti i loro brevetti ce ne fossero altri inerenti alle due tecnologie considerate, non
ottenendo alcun risultato.
- In secondo luogo la ricerca è stata direzionata verso tutti i brevetti in cui compariva
come inventore Renato Caretta, il progettista del MIRS, trovando 36 risultati.
- Dal momento che 21 di questi 36 brevetti risultavano avere anche altri inventori
assieme a Caretta, la ricerca è stata estesa anche a tutti i brevetti di questi altri inventori.
- L’ultimo passo è stato cercare tra tutti i brevetti di Pirelli titoli simili a quelli delle
invenzioni identificate nei passi precedenti.
La ricerca descritta sopra ha portato a 8 risultati riportati in tabella 4.23.
E’necessario precisare che tali risultati forniscono solo una limitata visione dei brevetti relativi
alle due tecnologie in quanto la stessa Pirelli dichiara che il MIRS è coperto da 22 brevetti
(Pirelli Fatti e Notizie, settembre 2000), già depositati nel 2000, mentre il CCM da sette
famiglie di brevetti, che, però, con tutta probabilità, successivi al periodo di tempo considerato
nell’analisi effettuata (Pirelli Fatti e Notizie, luglio 2002).
Oltre al pneumatico run-flat, per il quale risultano 4 brevetti e per il MIRS, per cui compaiono
2 brevetti, riportiamo anche i brevetti relativi ai sensori per il monitoraggio della pressione dei
pneumatici, dato che sono stati presentati nel quarto capitolo come tecnologie correlate a quelle
considerate.
In allegato 2 è possibile visualizzare l’intero contenuto di questi brevetti.
46 Ad ogni brevetto è associato un numero univoco al momento di pubblicazione della domanda, preceduto da una sigla di 2 lettere che ne indica l’estensione (EP, Europa; IT, Italia; JP, Giappone; US, Stati Uniti e WO, a livello globale).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 156
Cod. Tecnol. Compagnia Data Classe Titolo Inventori EP475258 Run-flat Pir.Coord.Pn. 1991 B60C017/00A Self-supporting carcass for motor-
vehicle tyres G.Ghilardi
EP542252 Run-flat Pir.Coord.Pn. 1992 B60C017/00A Self-bearing tyre for motor-vehicle wheels incorporating elastic-support inserts in the sidewalls
G.Ghilardi
EP695935 Sen.pres. Pir.Coord.Pn. 1995 G01L017/00A Device for detecting the distribution of a specific pressure in the ground contacting area of a motor-vehicle tyre, and detection method carried out thereby
F.Mancosu, C.Di Bernardo
EP875364 MIRS Pirelli Pneum. 1998 B29D030/00A Method and plant for producing a plurality of different tyres
R.Caretta
EP911359 MIRS Pirelli Pneum. 1997 C08K003/36A Continuous process for producing rubber material containing silica filler and tyres incorporating this material
R.Caretta, R.Pessina, A.Proni
EP919405 Run-flat Pirelli Pneum. 1997 B60C005/20A A tyre air tube and related manufacturing process
R.Caretta, F.Mancosu
EP1030789 Run-flat Pirelli Pneum. 1998 B60C005/20A A tyre air tube and related manufacturing process
R.Caretta, F.Mancosu
EP1057664 Sen.pres. Pirelli Pneum. 2000 B60C023/04A System for checking the air pressure in the tyres of a motor vehicle
R.Caretta, M.Cantu
Tabella 4.23 Informazioni relative agli 8 brevetti inerenti alle tecnologie oggetto dello studio
Dalla tabella 4.23 si può notare come la maggior parte dei brevetti sia stata richiesta a partire
dal 1997; le uniche eccezioni sono rappresentate dalle prime tre righe in tabella. Sono gli ultimi
cinque brevetti, però, a risultare più interessanti in quanto i primi tre si riferiscono a tecnologie
per veicoli a due ruote che possiamo ipotizzare precursori di quelle sviluppate
successivamente.
I brevetti mostrati in tabella sono stati tutti richiesti dalle 2 imprese più attive (l’attività della
terza impresa con un numero di brevetti degno di nota, Industrie Pirelli, infatti, risulta essersi
fermata al 1990 e aver avuto una continuità solo nel macrogruppo F, non strettamente correlato
alle tecnologie considerate). Inoltre, poiché anteriori cronologicamente, i primi tre brevetti
sono stati depositati da Pirelli Coordinamento Pneumatici, anziché da Pirelli Pneumatici che ha
iniziato la propria attività nel 1996.
I brevetti riguardanti le tecnologie run-flat appartengono tutti e 4 alla stessa classe tecnologica.
Per quanto riguarda il sistema produttivo e i sensori per il monitoraggio della pressione, invece,
la situazione appare differente. Nel primo caso la differenza è spiegabile notando che il
brevetto EP875364 risulta essere relativo ad un sistema di costruzione del pneumatico, mentre
l’EP911359 alla gestione dei componenti in ingresso che possiamo collegare, più che al MIRS
in sé, al CCM, il nuovo sistema di gestione delle mescole. Le due classi riguardanti il controllo
della pressione dei pneumatici sono solo in apparenza diverse, come appare subito chiaro
consultando l’allegato 1.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 157
Un’ultima considerazione proposta riguarda gli inventori: le tecnologie relative al MIRS
coinvolgono tutte Renato Caretta, che ne risulta anche l’inventore ufficiale in base alle
informazioni divulgate da Pirelli. L’innovazione connessa alle proprietà run-flat, invece, è
passata da Ghilardi a Caretta e Mancuso.
A questo punto si è ottenuta una conoscenza abbastanza approfondita dell’attività brevettuale
di Pirelli ma per trarre delle considerazioni a livello generale è necessario prendere in
considerazione anche le altre compagnie principali operanti nell’industria.
4.6.4 Uno sguardo all’attività innovativa dell’intera industria attraverso l’analisi dei
brevetti
Per i dati relativi alle altre imprese appartenenti al gruppo delle top10 si è utilizzato lo stesso
database da cui si sono ricavate le informazioni per Pirelli; in questa seconda indagine, però, le
osservazioni si sono limitate alle classi tecnologiche per una minore la complessità. Inoltre, si è
mantenuto sempre visibile il paragone con Pirelli, per avere modo di ampliare ulteriormente la
visione dell’attività innovativa della compagnia.
Nel database è stata effettuata una ricerca partendo dal nome di ogni compagnia; per ciascuna
sono state trovate diverse società tra cui sono state considerate solo quelle aventi almeno un
brevetto comprendente la parola tire o tyre nel titolo.
E’importante precisare che i dati raccolti per Kumho, Toyo e Cooper sono incompleti e poco
significativi: con molta probabilità questo dipende dal fatto che Cooper lavora solo nel mercato
del ricambio, prevalentemente americano, e che le due compagnie orientali sono le più
concentrate nei loro mercati domestici e con l’attività più debole in Europa al cui ufficio
brevetti l’indagine presentata fa riferimento.
La figura 4.25 riporta l’attività brevettuale del settore nel periodo di tempo considerato47
mentre la figura 4.26 scompone i dati mettendo in luce il contributo di ogni impresa.
L’andamento dell’attività innovativa dell’industria è sostanzialmente crescente, soprattutto dal
1997 (non si considera il pesante abbassamento relativo al 2001 in quanto per quest’ultimo
anno le informazioni risultano incomplete).
47 I dati relativi al 1978 e al 2001sono stati riportati per completezza ma non considerati perché non disponibili per tutte le compagnie incluse nell’analisi.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 158
Figura 4.25 Attività brevettuale dell’intera industria dal 1978 al 2001
Figura 4.26 Andamento dell’attività brevettuale dal 1978 al 2001 delle top10
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
1 7 728 29 36
65 6378
89
114
182 188
215235
194187 185
200
270
303
342
293
36
0
50
100
150
200
250
300
350
Num.Brev.
Anni
0
20
40
60
80
100
120
140
160
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
Anni
Nu.
Bre
v.
PirelliGoodMicheBridgContinSumitYokoKumToyoCoop
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 159
Tra le sette maggiori compagnie possiamo individuare delle attività molto differenti nel corso
degli anni. Per Michelin e Continental il processo di richiesta di brevetti sembra seguire un
trend crescente (ad eccezione di un picco per Continental dal 1982 al 1986). L’andamento del
numero di brevetti di Goodyear e Bridgestone risulta soggetto a diversi picchi anche se appare
crescere nel corso degli anni. L’attività di Pirelli e Yokohama risulta più o meno costante con
un picco nel 1997 e, per Pirelli, anche nel 1999. Sumitomo, invece, ha riportato un’intensa
attività brevettuale nei primi anni’90 con valori abbastanza elevati anche negli ultimi anni.
In alcuni casi nell’andamento del numero di brevetti delle varie compagnie nel periodo
considerato è possibile riscontrare gli effetti della loro attività di fusioni ed acquisizioni. Ciò
appare particolarmente chiaro nel caso di Bridgestone che, in seguito all’acquisizione di
Firestone (1988) passa da 39 brevetti del 1988 ad 80 nel 1989 (negli undici anni precedenti
l’acquisizione Bridgestone aveva accumulato 150 brevetti mentre negli undici seguenti 1084).
Nei brevetti di Bridgestone non sono contemplati quelli di Firestone; la differenza numerica
sottolineata, quindi, dimostra come la compagnia abbia saputo sfruttare maggiormente la
diffusione di Firestone in Europa.
4.6.5 Le classi tecnologiche di interesse per l’industria
In tabella 4.24 riassumiamo il numero di brevetti depositati dalle maggiori compagnie nel
corso dei 24 anni considerati e il numero di classi tecnologiche a cui essi fanno riferimento48.
Compagnie Tot.brev. Classi tec. Bridgestone 1342 53 Goodyear 1230 41 Continental 517 33 Michelin 514 30 Sumitomo 762 28 Pirelli 204 23 Yokohama 155 18 Cooper 13 9 Kumho 27 7 Toyo 17 5 Tabella 4.24 Attività brevettuale e classi tecnologiche relative alle 10 maggiori compagnie
48 Dall’intervista all’ing.Sgalari in Pirelli è emerso come i brevetti provenienti dalle varie parti del mondo vadano considerati e pesati in modo diverso perché, ad esempio, in Giappone si brevettano anche invenzioni a basso contenuto tecnologico e commerciale; questo è dovuto più a ragioni culturali che strategiche.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 160
La quantità di brevetti prodotti riflette sostanzialmente l’ordine di dimensione di mercato delle
varie compagnie (esposto nel quarto capitolo), con l’eccezione di Sumitomo e Michelin che
hanno richiesto rispettivamente un numero di brevetti superiore ed inferiore se confrontato con
la loro posizione nel gruppo delle top10 limitatamente a volume di vendite.
Come si può osservare le classi tecnologiche coinvolte nei brevetti dell’industria sono 78: esse
forniscono una dimostrazione del fatto che il settore sia diversificato a livello di campi di
provenienza del sapere acquisito dal momento che il numero totale di classi contemplate dalla
settima edizione della classificazione IPC è 120.
Le imprese più diversificate dal punto di vista delle conoscenze tecnologiche possedute sono
Bridgestone e Goodyear. I risultati ottenuti si differenziano in modo considerevole rispetto a
quelli dello studio di Acha e Brusoni (2002), nel quale, però, non sono stati considerati solo i
brevetti europei, avendo attinto alla World Intellectual Property Organisation (Wipo). In
quest’ultima analisi Bridgestone, Yokohama, Toyo e Sumitomo sembrano le imprese con la
più alta varietà in quanto a conoscenze tecnologiche se confrontate con Pirelli, Continental,
Michelin e Kumho, che presentano strategie di brevettazione più mirate; Goodyear risulta in
mezzo a questi due gruppi.
Come si può notare dalla figura 4.27, le compagnie dell’industria hanno depositato i loro
brevetti in tutte le 8 macro-sezioni alla base della classificazione IPC.
Le sezioni più utilizzate nei brevetti sono la B e la C che rappresentano dei campi, trasporti e
chimica rispettivamente, tradizionalmente collegati all’industria. Una discreta percentuale di
domande di brevetto riguarda anche le sezioni F (ingegneria meccanica) e G (fisica) mentre le
altre hanno una valenza puramente marginale.
Nella figura 4.28 emerge in modo più chiaro la situazione per ogni compagnia. Per tutte,
eccetto Kumho, la maggioranza dei brevetti è depositata in B: per Pirelli, Michelin, Continental
e Sumitomo tale maggioranza è notevole, mentre per Goodyear, Bridgestone e Yokohama
risulta molto importante anche la sezione C. Toyo e Cooper presentano un considerevole
numero di brevetti anche in F e Kumho e Cooper in G.
Come si può notare dalla figura, tra le top7 l’unica a presentare un congruo numero di brevetti
in A è Sumitomo: essi sono per lo più nella classe A63 relativa a sport e giochi, infatti,
appaiono legati alla produzione di palline da golf in cui la compagnia è produttivamente
diversificata. I brevetti in D, posseduti in particolare da Michelin, Goodyear e Bridgestone,
sono connessi alla produzione del pneumatico in quanto riguardano principalmente conoscenze
su fibre naturali (D01) e cavi e funi non per il trasporto di energia (D07).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 161
Figura 4.27 Percentuale di brevetti depositati per ognuna delle 8 macrosezioni (A, B, C, D, E, F, G, H) IPC
Figura 4.28 Percentuale di brevetti posseduta dalle varie compagnie nelle 8 macrosezioni
2%
1%
4%
1%
61%
5%
2%
24%
A
B
C
D
E
F
G
H
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Pirelli Goo Mich Brid Cont Sumi Yoko Kum Toyo Coop
HGFEDCBA
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 162
Solo Bridgestone risulta possedere un consistente numero di brevetti in E (macrosezione
relativa alle costruzioni) ed in particolare relativamente all’ingegneria idraulica (E02) e alle
costruzioni (E04): anche se tale attività della compagnia risulta poco spiegabile, è
probabilmente riconducibile a delle connessioni con lo sviluppo delle linee produttive.
Per quanto riguarda la sezione G, in cui possiedono brevetti tutte le compagnie tranne Toyo,
l’attività principale risulta nella classe G01 relativa a sistemi di misurazione e test, in
particolare sui veicoli.
Bridgestone, oltre a Kumho, è l’unica compagnia a possedere una discreta percentuale di
brevetti in H, nello specifico nelle classi H01 e H05 relative ad elementi elettrici di base e a
tecniche elettriche rispettivamente. Come abbiamo visto dall’analisi effettuata per Pirelli non è
possibile ricondurre l’interesse delle compagnie nei sistemi elettrici allo sviluppo dei sensori
per il monitoraggio della pressione dei pneumatici in quanto essi risiedono in altre classi di
brevetti (ad esempio per Pirelli B60 e G01).
In seguito all’analisi effettuata state individuate 7 classi tecnologiche con un importante
numero di brevetti, come si può osservare in tabella 4.2549.
Classe Descrizione Num.brev. Percent. B60 Vehicles in general 1940 40,57% C08 Organic macromolecular compounds 939 19,64% B29 Working of substancies in a plastic state 747 15,63% F16 Engineering elements or units 225 4,71% G01 Measuring, texting 145 3,03% C07 Organic chemistry 93 1,94% B65 Handling of filamentary materials 76 1,6%
Tabella 4.25 Classi tecnologiche con il maggior numero di brevetti depositati a livello globale
Nella figura 4.29 è presentato l’andamento nel tempo (considerando un arco temporale dal
1987 al 2000 raggruppato in sottoperiodi di due anni) delle 5 principali classi di maggior
interesse per l’industria.
Come si può notare F16 e G01 presentano un andamento sostanzialmente costante. B60 e C08
sono caratterizzate da uno sviluppo simile con un trend crescente, tranne nell’ultimo biennio
considerato.
49 La percentuale è espressa in base al numero totale di brevetti prodotte dalle 10 compagnie che risulta paria a 4782.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 163
Figura 4.29 Andamento delle 5 classi con il numero maggiore di brevetti dal 1987 al 2000 Figura 4.30 Percentuale di brevetti posseduti dalle varie compagnie nelle 7 classi tecnologiche di maggior interesse
0
50
100
150
200
250
300
350
400
87/88 91/92 93/94 95/96 97/98 99/00
Anni
Num
.Bre
v.
B60C08B29F16G01
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Pirelli Goo Mich Brid Cont Sumi Yoko Kum Toyo CoopCompagnie
B65
C07
G01
F16
B29
C08
B60
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 164
La classe B29, invece, ha mostrato un picco nel numero di brevetti nei primi anni ’90 e dal
1999 sembra in crescita.
La figura 4.30 riassume l’attività brevettuale di ciascuna compagnia considerata rispetto alle
classi tecnologiche presentate in tabella 4.25.
La divisione del portafoglio brevetti nelle classi tecnologiche di maggior interesse sembra
simile tra le varie imprese con l’eccezione di Kumho, Yoyo e Cooper.
Tale diversità nel comportamento, come è già stato precedentemente affermato, è spiegabile
dal fatto che Cooper si dedica solamente al mercato del ricambio mentre Toyo e Kumho sono
le compagnie orientali di dimensioni ed apertura minori nei confronti dell’occidente
appartenenti al gruppo delle top10. Dalla figura possiamo notare come Cooper non presenti
alcun brevetto in classi riguardanti la chimica ed i materiali a differenza di Kumho il cui
portafoglio è basato essenzialmente proprio sulle classi C07 e C08 relative al settore chimico.
Toyo brevetta principalmente nel gruppo delle 4 classi di maggior interesse per l’industria.
Tra le top7 possiamo distinguere delle strategie di brevettazione comuni a sottogruppi di
compagnie.
Ad esempio nei brevetti depositati da Pirelli e Continental è riscontrabile una considerevole
maggioranza delle classi B60 e B29 rispetto a C08. Michelin e Sumitomo hanno brevettato
principalmente nella classe B60 dando poco spazio ai brevetti al di fuori delle classi occupanti i
primi tre posti della lista e, quindi, alle tecnologie relative ai sistemi di produzione raccolte, in
gran parte, dalla classe F16. Goodyear, Bridgestone e Yokohama, invece, sembrano avere una
distribuzione del numero di brevetti più equilibrata; in particolare la prima impresa è l’unica,
oltre a Kumho, a dare spazio alla classe C07.
Dall’analisi effettuata emerge che tra le classi tecnologiche coinvolte nel processo di
brevettazione delle maggiori compagnie molte (circa il 41%) non risultano strettamente
collegate alla produzione di pneumatici. Una parte considerevole di queste risulta essere legata
allo sviluppo dei sistemi produttivi: è il caso delle classi appartenenti alle sezioni F ed H ma
anche B24 e B29, come risulta dall’analisi sui brevetti di Pirelli esposta sopra.
Alcune classi, però, sembrano completamente estranee alla produzione; esse sono: A41
(relativa agli accessori per l’abbigliamento), B41 (relativa alla stampa), C04 (relativa a
cemento e ceramica), C12 (relativa alla biochimica), E02 (relativa all’ingegneria idraulica),
E04 (relativa alle costruzioni) e G03 (relativa alla fotografia).
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 165
4.6.6 Allegati
Allegato 1: Gruppi principali coinvolti nel portafoglio brevetti di Pirelli dal 1979 al 2000
con relativa descrizione in base alla classificazione IPC50
50 Nella tabella seguente riportiamo il gruppo B29H017 che non ha alcuna corrispondenza nella classificazione IPC, probabilmente per errori interni al database utilizzato.
INDUST. PIRELLI PIRELLI PIR.COORDIN. PIRELLI PIR. PIRELLI P.T. P.T. SOCIETA'PIRELLI (GB) (IT) PNEUMATICI PNEUMATICI PNE. REIFEN. (US) (GB) PNEUM.P.
A47 C007 2 81(1); 84(1)A61 H001 1 89(1)A62 B009 1 88(1)
B018 1 84(1)B22 F003 1 98(1)B29 C033 3 86(1); 97(1) 99(1)
C035 5 92(1); 96(1) 00(1) 00(1) 83(1)C044 1 93(1)C047 1 98(1)C071 1 98(6)D030 34 83(1) 85(3);87(3); 97(3);98(1);99(7);
89(2) 90(3) 91(5); 00(2)93(1);94(1);95(1);97(1)
H017 2 80(1);82(1)B32 B003 1 90(1)
B015 1 92(1)B027 1 80(1)
B60 C001 2 96(1) 97(1)C003 7 87(1);96(1);97(1) 97(1);00(2) 85(1)C005 2 97(1);98(1)C007 1 84(1)C009 26 83(1);84(1);88(2); 96(1);97(5);98(2); 80(1);81(2)
89(1);91(2);93(1); 99(1)95(1);96(2);97(3)
C011 30 81(1);84(1);85(1); 97(1);98(2);99(4); 92(2);94(1);86(2);90(1);91(3); 00(1) 98(1)92(2);94(1);95(1);96(2);97(2);98(1)
C013 2 94(1) 97(1)C015 7 88(1) 98(2);99(4)C017 3 90(1);91(1);92(1)C019 4 94(1) 97(1);98(1) 86(1)C023 2 99(1);00(1)C029 1 98(1)G007 1 82(1)K005 1 84(1)
B64 D025 1 90(1)B65 G015 1 82(1)
H005 1 85(1)H075 1 84(1)
C08 J003 1 99(1)J005 1 91(1)K003 2 96(1) 97(1)K005 1 99(1)K009 1 91(1)L007 2 97(1) 98(1)L021 1 99(1)
C22 C001 1 99(1)C23 C018 2 95(2)C25 D003 2 96(1) 99(1)
D005 2 88(1) 99(1)D07 B001 2 96(1)E02 B007 2 81(2)E04 F013 1 81(1)F03 G001 2 81(1);85(1)F04 B045 1 96(1)F15 B001 1 83(1)
B007 1 84(1)
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 166
F16 C007 1 85(1)D003 1 84(1)F001 1 83(1)F003 1 84(1)F009 2 84(1);88(1)G001 2 85(1);87(1)G005 2 85(1);86(1)H007 1 85(1)L033 1 84(1)
F24 J003 1 81(1)G01 K001 1 80(1)
L017 1 95(1)M017 9 93(1);96(5)99(3)N003 1 99(1)N019 2 00(1) 97(1)N021 1 93(1)N033 1 00(1)
H02 G015 1 79(1)
Tabella 4.26 Richieste di brevetto di Pirelli dal 1979 al 2000 con dettaglio fino ai gruppi principali della classificazione IPC
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 167
Legenda delle classi e dei gruppi principali apparsi in tabella secondo la classificazione IPC: A HUMAN NECESSITIES A47 Forniture, domestic articlesor appliances, coffee mills, suction cleaners in generals C007 Parts, details, or accessories of chairs or stools A61 Medical or veterinary science, hygiene H001 Apparatus for passive exercising; vibrating apparatus; chiropratic devices A62 Life-saving, fire-fightings B009 Component parts for respiratory or breathing apparatus B018 Breathing masks or helmets affording protection against chemical agents or use at high altitudes B PERFORMING OPERATIONS, TRANSPORTING B22 Casting, powder metallurgy F003 Manufacture of workpieces or articles from metallic powder characterized by the manner of compacting or sintering B29 Workings of plastics, working of substancies in a plastic state in general C033 Moulds or cores C035 Heating, cooling or curing C044 Shaping by internal pressuregenerated in the material C047 Extrusion moulding C071 After treatment or articles without altering their shape D030 Producing pneumatic or solid tyres or parts thereof B32 Layered products B003 Layered products essentially comprising a layer with external or internal discontinuites or unevenesses B015 Layered products essentially comprising metal B027 Layered products essentially comprising synthetic resin B60 Vehicles in general C001 Tyres charactreised by the chemical composition or the physical arrangement or mixture of the composition C003 Tyres charactreised by transvert section C005 Inflatable pneumatic tyres or inner tubes C007 Non-inflatable or solid tyres C009 Reinforcement or ply arrangement of pneumatic tyres C011 Tyre tread bands; tread patterns; Anti-skid inserts C013 Tyre sidewalls; protecting, decorating, marking,… C015 Tyre beads C017 Tyres characterised by means enabling restricted in damaged or deflating condition. (Accessories thereof) C019 Tyre parts or constructions not otherwise provided for C023 Devices for measuring, signalling, controlling, or distributing tyre pressure or temperature C029 Arrangements for tyre-inflating valves to tyres or rims and accessories G007 Pivotes suspension arms and accessories
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 168
K005 Arrangements or mounting of internal-combustion or jet propulsion units B64 Aircraft, aviation, cosmonauts D025 Emergency apparatus or devices, not otherwise provided for B65 Conveying, packing, storing, handling thin or filamentary material G015 Conveyers having endless load-conveying surfaces H005 Feeding articles separated from piles; feeding articles to machinery H075 Storing webs, tapes, or filamentary material C CHEMISTRY, METALLURGY C08 Organic macromolecular compounds, their preparations or chemical working up, compositions based thereon J003 Processes of treating or compoundling macromolecular substances J005 Manufacture of articles or shaped materials containing macromolecular substances K003 Use of inorganic ingredients K005 Use of inorganic ingredients K009 Use of pretreated ingredients L007 Compositions of natural rubber L021 Compositions of unspecified rubber C22 Metallurgy, ferrous or non-ferrous alloys, treatment of alloys or non-ferrous metals C001 Making alloys C23 Coating metallic material, coating material with metallic material, chemical surface treatment,… C018 Chemicals coating by decomposition of either liquid compounds or solutions of the coating forming compounds C25 Electrolytic or electrophoretic processes, apparatus thereof D003 Electroprating; baths thereof D005 Electroprating characterised by the process; pretreatment or after-treatment of work pieces D TEXTILE, PAPER D07 Ropes, cables other than electric B001 Constructional features of ropes or cables E FIXED CONSTRUCTION E02 Hydraulic engineering, foundations, soil-shifting B007 Barrages or weirs; layout construction, methods of, or devices for, making same E04 Building F013 Coverings or linings F MECHANICAL ENGINEERING, LIGHTING, HEATING, WEAPONS, BLASTING F03 Machines or engines for liquids, wind, spring, weight, or miscellaneous motors, producing mechanical power or a reactive propulsive thrust
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 169
G001 Spring motors F04 Positive-displacement machines for liquids, pumps for liquids or elastic fluids B045 Pumps or pumpings installations having flexible working members and specially adapted for elastic fluids F15 Fluid pressure actuators, hydraulics or pneumatics in general B001 Installation of systemswith accumulators; Supplier reservoir or sumpl assembleis B007 Systems in which the movement produced is definitely related to the output of a volumetric pump; telemotors F16 Engineering elements or units, general measures for producing and maintaining effective functioning of machines or installations, thermal insulation in general C007 Connected-rods or like links pivoted at the both ends D003 Yelding couplings F001 Springs F003 Springs units consistings of several springs F009 Springs, vibration-dampers, shock absorbers, or similarly-constructed movement-dampers using a fluid G001 Driving-belts G005 V-belts H007 gearing for conveying rotary motion by endless flexible members L033 Arrangemets for connecting hoses to rigid members; rigid hose connectors F24 Heating, ranges, ventilating J003 Other production or use of heat, not derived from combustion G PHYSICS G01 Measuring, testing K001 Detail of thermometers not specially adapted for particular types of thermometer L017 Devices or apparatus for measuring tyre pressure or the pressure in the other inflated bodies M017 Testing of vehicles N003 Investigating strenghts properties of solid materials by application of mechanical stress N019 Investigating materials by mechanical methods N021 Investigating or analysing materials by the use of optical means or ultra-violet light N033 Investigating or analysing materials by specificmethods not covered by the proceading groups H ELECTRICITY H02 General, conversion, or distribution of electric power G015 Cables fittings
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 170
Allegato 2: Documenti degli 8 brevetti individuati come correlati con il pnaumatico run-
flat, il MIRS ed i sensori per il monitoraggio della pressione51
51 Tali documenti sono stati estratti inserendo il loro punr dal sito http://it.espacenet.com.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 171
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 172
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 173
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 174
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 175
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 176
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 177
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 178
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 179
Allegato 3: Classi tecnologiche in cui hanno brevettato le top10 dell’industria dal 1978 al
2001
Pirelli Good. Mich. Bridg. Conti. Sumi. Yoko. Kum. Toyo Coop. Tot.clas.A01 0 2 0 2 0 0 0 0 0 0 4A41 0 0 0 1 0 2 0 0 0 0 3A43 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1A47 2 0 1 1 2 0 0 0 1 1 8A61 1 0 0 0 1 5 0 0 0 1 8A62 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2A63 0 0 0 0 0 61 0 0 0 0 61A 5 2 1 4 4 68 0 0 1 2 87BO1 0 3 0 4 2 1 1 0 0 0 11B02 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1B05 0 1 0 1 0 2 0 0 0 0 4B08 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 2B21 0 3 4 5 0 0 0 0 0 0 12B22 1 0 3 0 0 2 0 0 0 0 6B23 0 0 1 3 1 1 0 0 0 0 6B24 0 3 1 2 1 1 0 0 0 0 8B25 0 0 1 2 1 0 0 0 0 0 4B26 0 3 0 5 1 0 0 0 0 1 10B27 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1B29 47 146 81 254 105 92 17 0 3 2 747B30 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1B32 3 10 0 14 3 0 4 0 0 0 34B41 0 0 0 8 0 5 0 0 0 0 13B44 0 0 2 0 0 0 0 0 0 0 2B60 89 358 291 411 255 463 67 1 4 1 1940B61 0 0 0 0 2 0 0 0 0 0 2B62 0 4 4 23 3 0 2 0 0 1 37B63 0 0 0 2 0 0 1 0 0 0 3B64 1 0 0 1 0 0 1 0 0 0 3B65 3 25 2 28 12 6 0 0 0 0 76B66 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1B67 0 3 0 0 0 1 0 0 0 0 4B 144 561 391 765 387 574 93 1 7 5 2928C01 0 1 1 1 0 1 0 0 0 0 4C04 0 1 0 7 0 0 0 0 0 0 8C07 0 76 2 10 0 0 1 4 0 0 93C08 9 438 66 277 21 79 37 7 5 0 939C09 0 15 2 18 1 6 5 0 0 0 47C10 0 0 0 10 1 0 0 0 0 0 11C11 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1C12 0 1 0 2 0 0 1 8 0 0 12C21 0 2 9 0 0 0 0 0 0 0 11C22 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 3C23 2 2 0 1 0 1 0 0 0 0 6C25 4 2 0 1 0 0 0 0 0 0 7C 16 540 81 327 23 87 44 19 5 0 1142
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 180
D01 0 2 10 1 0 0 0 0 0 0 13D02 0 6 2 0 0 0 1 0 0 0 9D03 0 3 1 0 0 0 0 0 0 0 4D04 0 2 2 0 0 0 0 0 0 0 4D05 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1D06 0 2 1 3 1 0 0 0 0 0 7D07 1 13 5 24 1 3 1 0 0 0 48D 1 28 21 28 3 3 2 0 0 0 86E01 0 0 0 9 0 1 0 0 0 0 10E02 2 0 0 16 0 2 1 0 0 0 21E03 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1E04 1 0 0 16 0 3 0 0 0 0 20E05 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1E06 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1E21 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1E 3 1 0 43 1 6 1 0 0 0 55F01 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1F02 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1F03 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2F04 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 2F15 2 0 0 3 1 0 0 0 0 0 6F16 12 47 4 69 69 5 11 0 4 4 225F21 0 0 0 2 0 0 0 0 0 0 2F24 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 2F27 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1F 18 47 4 77 72 5 11 0 4 4 242G01 16 35 10 51 19 10 2 1 0 1 145G02 0 1 0 5 0 0 0 0 0 0 6G03 0 3 0 4 1 3 1 5 0 0 17G05 0 0 2 2 0 1 0 0 0 0 5G06 0 7 2 5 1 3 0 0 0 0 18G08 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1G09 0 2 0 1 0 1 0 0 0 0 4G10 0 1 0 4 3 0 0 0 0 1 9G 16 50 14 72 24 18 3 6 0 2 205H01 0 0 1 17 1 1 0 0 0 0 20H02 1 0 1 2 1 0 0 0 0 0 5H04 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1H05 0 1 0 7 0 0 1 1 0 0 10H 1 1 2 26 3 1 1 1 0 0 36Tot. 204 1230 514 1342 517 762 155 27 18 13 4782 Tabella 4.27 Brevetti richiesti dalle 10 maggiori compagnie dal 1978 al 2001 nelle varie classi tecnologiche della classificazione IPC
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 181
Legenda delle classi tecnologiche apparse in tabella secondo la classificazione IPC: A Human Necessities A01 Agricolture, animales,… A41 Wearing apparel A43 Footwear A47 Forniture A61 Medical orveterinary science, hygiene A62 Life saving, fire-fightings A63 Sport, games,… B Performing Operations; Transporting BO1 Physical orchemicals processes B02 Treatments for grain for milling B05 Spraying or atomishing B08 Cleaning B21 Mechanical metal working B22 Powder metallurgy B23 Metal working B24 Grinding, polishing B25 Hand tools B26 Hand cutting B27 Working on preserving woodor similar materials B29 Working of substances in a plastic state B30 Presses B32 Layered products B41 Printing B44 Decorative arts B60 Veichles in general B61 Railways B62 Land vehicles for travelling B63 Ships B64 Aviation, cosmonauts B65 Handling of filamentary materials B66 Lifting B67 Opening orclosing bottles C Chemistry; Metallurgy C01 Inorganic chemistry C04 Cement, ceramics C07 Organic chemistry C08 Organic macromolecular compounds C09 Natural resins C10 Petroleum C11 Animal or vegetable oils C12 Biochemistry C21 Metallurgy of iron C22 Ferrous, non-ferrous alloys C23 coating metallic materials C25 Electrolytic orelectrophoreticprocesses
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 182
D Textiles; Paper D01 Natural or artificial fibres D02 Mechanical finishing of yarns or ropes D03 Weaving D04 Lace-making D05 Sewing D06 Treatments of textiles D07 Ropes, cables rather than electricity E Fixed Constructions E01 Constructions of roads, railways and bridges E02 Hydraulic engineering E03 Water Supply E04 Building E05 Locks, Keys,… E06 Doors, windows,… E21 Mining F Mechanical Engineering F01 Machines or engines in general F02 Combustion engines F03 Machines or engineering for liquids F04 Pumps for liquids or elastic fluids F15 Fluid-pressure actuators F16 Engineering elements or units F21 Lighting F24 Heating, ventilating F27 Furnaces G Physics G01 Measuring, testing G02 Optics G03 Photography, electrography,… G05 Controlling, regulatinga G06 Computing, calculating G08 Signalling G09 Educating, display, advertising G10 Musical instruments H Electricity H01 Basic elements H02 Generation, convertion, distribution of electric power H04 Electric communication techniques H05 Eletric techniques
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 183
4.6 Conclusioni
In questo capitolo sono stati esposti tutti gli elementi necessari per ottenere delle risposte alle
domande di ricerca poste.
Innanzitutto è stato effettuato uno studio di settore, con particolare attenzione all’innovazione
tecnologica, di cui si propone un breve riassunto.
L’industria del pneumatico presenta una struttura oligopolistica; a livello di quote di mercato è
dominata da 3 imprese, Michelin, Bridgestone e Goodyear, ma considerando altre variabili,
come il contributo innovativo apportato, risulta significativo prendere in considerazione il
gruppo delle prime 10 compagnie.
Il mercato appare molto segmentato ed oggigiorno ha assunto un’estensione globale. La
tendenza principale delle imprese è rivolgersi, soprattutto per quanto riguarda la produzione di
massa, ai mercati dell’Est e dell’America Latina, in quanto quelli occidentali sono ormai saturi
e definiti “ad alto costo”. E’fondamentale, infatti, riuscire a contenere i costi produttivi poiché i
profitti sono molto ridotti, principalmente nel mercato degli equipaggiamenti originali: in
quest’ultimo caso, a causa dell’elevato potere contrattuale delle case automobilistiche. Un altro
trend dominante seguito dalle compagnie è la ricerca verso la fidelizzazione del consumatore
finale, dal momento che il prodotto può essere definito una commodity. In questi ultimi anni
l’attenzione delle imprese verso i segmenti dell’alta performance è aumentata notevolmente
dato che sono i soli a presentare un tasso di crescita elevato, a permettere un buon guadagno e
una certa competitività tra i marchi.
Le compagnie attribuiscono sempre più importanza alle attività di R&S a cui dedicano
personale ed attrezzature specifiche. Dal momento che gli investimenti in tal senso non sono
spesso noti, l’innovazione tecnologica è stata monitorata attraverso l’analisi dell’attività
brevettuale, le alleanze strette con competitori e altre organizzazioni, la soddisfazione del
consumatore e l’attività nei segmenti racing e dell’alta performance. Sono stati presentati due
studi interessanti riguardo le forme di partnership e l’attività brevettuale caratterizzanti il
settore. Si è potuto notare come tutte le compagnie siano coinvolte nel processo di alleanze,
molte delle quali strette con concorrenti: a questo proposito si può osservare come queste
ultime coinvolgano esclusivamente tecnologie di prodotto e mai di processo. Attraverso un
esame delle domande di brevetto depositate dalle dieci imprese considerate, riportato nella
sezione 4.6, si è confermato uno dei risultati peculiari dello studio di Acha e Brusoni (2002): il
settore è caratterizzato dal fenomeno della diversificazione tecnologica. Essa, come affermano
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 184
Granstrand, Patel e Pavitt (1997), è una delle forze trainanti delle industrie al giorno d’oggi in
quanto le imprese, espandendo le proprie conoscenze anche al di fuori dei settori strettamente
connessi alla loro produzione, possono operare sulla frontiera tecnologica ed intraprendere una
funzione di collegamento tra tutti gli attori appartenenti alla loro catena del valore,
assicurandosi un vantaggio competitivo consolidato nel tempo.
Nelle sezioni 4.3 e 4.4 sono state presentate in modo approfondito le due tecnologie oggetto
dello studio. E’possibile sottolineare come esse non siano ancora ben definite o standardizzate.
Per quanto riguarda il pneumatico run-flat le tecnologie possono essere raggruppate in due
grandi categorie, ad anello di supporto e self-supporting; tuttavia le imprese dichiarano di stare
lavorando ancora molto per sviluppare un prodotto più soddisfacente. Anche i sistemi
produttivi proposti fino ad oggi sembrano avere caratteristiche molto diverse. Ad esempio, le
soluzioni proposte da Goodyear e da Continental appaiono soltanto forme di automazione dei
punti critici dei processi tradizionali, se paragonati al MIRS di Pirelli ad esempio; i sistemi di
Sumitomo e Bridgestone sembrano possedere un alto tasso innovativo anche se sono ancora in
una fase di sviluppo.
A conclusione del lavoro, quindi, nel capitolo cinque si illustra un’analisi dei dati basata sulle
considerazioni emerse in questo capitolo e approfondita grazie alle informazioni ottenute
attraverso le interviste effettuate in Pirelli.
Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 185
Appendice 4.1 – Tabelle riassuntive riguardo le tecnologie run-flat e i sistemi
di produzione presenti oggi sul mercato
COMPAGNIA NOME ANNO SST RST SENSORI RUOTA ANCOR. CARATTERISTICHE MONT. E RIPAR.
CWS (Conti Wheel System)
1999 Facoltativo Convenzionale Nuovo 200km a 80Km/h Invariato. (Sostituz. Supporto ogni volta)
CONTINENTAL
CSR (Conti Safety Ring)
1999 Facoltativo
Convenzionale Invariato 200km a 80Km/h Procedura invariata ma con personale specializzato.
GOODYEAR EMT (Extended Mobility Tire)
1992 Fanno parte del sistema
Convenzionale Invariato 200Km a 90Km/h Addestramento e attrezzatura particolari. Procedura di riparazione invariata se non danni interni.
DUNLOP Dunlop SP Sport 2000 e DSST
1998
Convenzionale Invariato
ZP (Zero Pressure)
1998
Convenzionale Invariato 50 miglia a 55mph Addestramento e attrezzatura particolari. Procedura di riparazione invariata se non danni interni.
MICHELIN
PAX-SYSTEM
1998 Fanno parte del sistema
Diversa Nuovo 125 miglia a 50mph Addestramento e attrezzatura particolari.
BRIDGESTONE 1998 Facoltativo
Convenzionale Invariato Per la riparazione sono sempre rispediti alla fabbrica per un controllo accurato
FIRESTONE
Firehawk SH30RFT
Convenzionale Invariato
PIRELLI Eufori@ 2001 Fanno parte del sistema
Convenzionale Invariato 150km a 80km/h
KUMHO XRP (Xending Runflat Protection)
1999 Anche di temperatura
Convenzionale Diverso 200Km a 100Km/h Addestramento e attrezzatura particolari.
SUMITOMO
YOKOHAMA AVS Sport SST
Tabella 4.14 Caratteristiche dei pneumatici run-flat prodotti dalle imprese leader dell’industria
SISTEMA PARTE DEL PROCESSO DATI TECNICI PRODOTTI IMPIANTI IMPACT (Integrated Manufacturing Precision Assembled Cellular Technology) Goodyear 1998
Copre tutto il processo produttivo tranne la parte di formazione delle mescole.
Riduzione fasi di produzione: 50%. Riduzione lead time: 70%. Incremento produttività: 135%. Aumento precisione: 43%. Riduzione lavoro diretto: 35%. Riduzione costi dei materiali: 15%. Riduzione magazzini di processo: 50%. Riduzione tempo per la vulcanizzazione: 20%. Riduzione consumo di energia elettrica e del tempo di trasporto nell’impianto.
Il sistema può essere applicato a tutti i tipi di pneumatici e verrà esteso entro 15 anni a tutti gli impianti. La tecnologia è molto avanzata per il segmento degli autocarri, potenziato a partire dal 1999.
Fulda e Philippsbourg (Germania), Lawton (Oklaoma, US), Colmar-Berg (Lussemburgo), Danville (Virginia, US) e Napanee (Ontario, Canada). Si sta progettando la costruzione di un nuovo impianto in Brasile.
RFSAM (Runflat System for Automated Manufacturing) Goodyear 2002
Non si hanno informazioni precise. Probabilmente deriva dal FMSII (Flexible Manufacturing System), un sistema produttivo totalmente automatizzato ed estremamente flessibile usato a Fulda (Germania) per la costruzione dei pneumatici HP.
Aumento della qualità e dell’integrità del prodotto. Sistema unico e completamente robotizzato.
Pneumatici run-flat e Pax-system. Risulta particolarmente adatto a produrre i cerchi asimmetrici del Pax.
Fulda (Germania) ma entro il 2003 anche negli altri 2 impianti di Goodyear che producono run-flat: Hanau (Germania) e Lawton (Oklaoma, US)
MIRS (Modular Integrated Robotized System) Pirelli 2000
Copre tutto il processo produttivo, dalla costruzione di tutti i componenti principali, alla vulcanizzazione.
Produzione continua a ciclo unico senza wip e magazzini intermedi, fermate e necessità di intervento umano. Riduzione lead time: da 6 giorni a 72minuti. Riduzione fasi di produzione: da 14 a 3. Riduzione costi: 25%. Aumento produttività: 80%. Tempo di set-up: da 6 ore a 20 minuti. 1 pneumatico ogni 3 minuti: 1 milione all’anno per impianto. Spazio occupato: 350 mq.
Pneumatici UHP (V/Z). A Milano Bicocca e Beuberg anche run-flat. Pneumatici per il segmento truck. Dal 2002 anche per moto solo a Milano e in Germania.
Milano Bicocca: ci sono 2 impianti (2000 e 2001) con il ruolo di unità pilota per lo sviluppo della tecnologia. Beuberg (Germania, 2001): per il 2005 completamento delle 13 unità progettate. Rome (Georgia, US, 2002):nel 2003 completo con i 5 moduli previsti. Burton-on-Trent (UK, 2001)
CCM (Continuous Compounding Mixing) Pirelli 2002
Controllo dei materiali in input al processo produttivo. Naturale completamento di un qualsiasi sistema MIRS.
Riduzione lead time: da 24 ore a 7,4 ore. Riduzione consumo energia elettrica: 20%. Riduzione della variabilità delle proprietà fisiche dei componenti: 70%. Riduzione nell’emissione di polveri. Produzione a regime: 1000 kg/giorno.
Milano Bicocca.
SISTEMA PARTE DEL PROCESSO DATI TECNICI PRODOTTI IMPIANTI C3M Michelin 1992
Processo continuo che copre tutto il processo produttivo.
Spazio occupato: 325 mq. Riduzione del lead time: 85%. Riduzione del consumo di energia elettrica. Eliminazione di wip e magazzini intermedi. Miglioramento qualità del prodotto. Produzione: 1 pneumatico ogni 10-12 minuti.
Pneumatici UHP (nel 2002 il 20% della produzione effettuata con il C3M), per aerei (tranne il Concorde), per motocicli, per autocarri pesanti e dal 2002 anche “Colour Tires”.
Greenville (S.C. US, 1997), Rezende (Brasile), Lille e Clemond Ferrand (France), 2 C3M in US. L’impianto di Reno, però, sta per chiudere.
ESA (Single-Stage Building) Continental 1997
Per la sola costruzione del pneumatico verde che poi va vulcanizzato.
E’una macchina completamente automatizzata e molto complicata che produce un pneumatico ogni 30 secondi in un solo stadio produttivo.
Carlotte (NC, USA) e Mt.Vernon (Illinois, USA)
MMP (Modular Manufacturing Process) Continental 1997
Assemblaggio del pneumatico e vulcanizzazione. La formazione della piattaforma e la pre-vulcanizzazione sono eseguite da macchinari esistenti.
Elevata riduzione dei costi operativi e notevole incremento dei flussi di cassa per l’eliminazione dei magazzini intermedi e la migliore distribuzione. 400.000-500.000 pneumatici all’anno
Per lo più pneumatici standard (categoria di velocità H). Risulta molto adatto per i pneumatici invernali che hanno bassi volumi produttivi ma sono un prodotto dalle caratteristiche critiche.
Germania (Korbach). Traiskirchen, Austria (2000). San Fernando (Argentina). Timosoara (Romania, 2000). Herstal (Belgio). Programmi di diffonderlo in Brasile e in 3 anni conversione del 40% della capacità produttiva in Europa.
TAIYO (Automated Tire Production System) Sumitomo 2002
Cella compatta che si occupa di tutto il processo di costruzione partendo dalla preparazione dei componenti fino alla vulcanizzazione.
Aumento delle caratteristiche, specie ad alta velocità, e dell’uniformità. Pneumatici più leggeri ma anche più rigidi sul fianco. Riduzione dei magazzini intermedi e del consumo di energia elettrica. 1000 pneumatici al giorno di 8 misure diverse
Pneumatici per autoveicoli, per SUV e dal 2004 anche run-flat.In futuro anche pneumatici per motoveicoli e autocarri.
Prototipo a Nagoya. Shirakawa, Fushima (Giappone). Pneumatici run-flat and SUV a Izumi-Ohtsu (Ohtsu Tire). Programma di installare il sistema in tutti gli impianti sia giapponesi che esteri.
BIRD (Bridgestone Innovative and Rational Development) Bridgestone 2002
Copre l’intera sequenza del processo produttivo, dalla gestione dei componenti all’ispezione del prodotto finito.
Riduzione del consumo di energia elettrica e dello spazio occupato. Produttività raddoppiata.
Impianto pilota in Giappone ed entro il 2004 dovrebbe essere esteso a tutti gli impianti della compagnia nel mondo.
Tabella 4.19 Caratteristiche principali dei sistemi produttivi innovativi introdotti da alcune compagnie tra le top10
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 189
Quinto Capitolo
Il pneumatico run-flat
ed i nuovi sistemi di produzione:
analisi strategica
Questo capitolo considera come punto di partenza gli elementi esposti nelle sezioni precedenti,
nelle quali si sono descritte le caratteristiche strutturali dell’industria del pneumatico, le
strategie delle maggiori imprese, il comportamento degli altri attori rilevanti nel sistema
competitivo e le due innovazioni tecnologiche su cui si focalizza lo studio.
L’analisi presentata di seguito si propone di mettere in luce:
- l’impatto del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi sulle competenze delle
imprese adottatrici, sottolineando le strategie di introduzione e i punti di rottura con
l’esperienza passata;
- il legame tra le due innovazioni in quanto non risulta ancora chiaro se una abbia inciso
sulla nascita dell’altra o se la loro connessione sia limitata all’essere parte di una
strategia generale attuata dalle imprese per mantenere la loro posizione nel difficile
ambiente competitivo nel quale operano;
- la rilevanza delle due innovazioni per un riesame delle teorie del ciclo di vita del
prodotto, che sappiamo attribuire alla fase matura dei prodotti e delle industrie solo
miglioramenti incrementali alle tecnologie esistenti;
- l’impatto delle due innovazioni sull’industria e sullo scenario competitivo.
Le considerazioni esposte di seguito nascono da un esame critico del materiale raccolto nel
quarto capitolo e da alcune interviste effettuate in Pirelli. Queste ultime costituiscono un punto
fondamentale del lavoro in quanto consentono di incrementare il livello di profondità e
l’attinenza alla realtà dell’indagine. Pirelli si è rivelata un candidato ideale su cui effettuare un
approfondimento in quanto è il maggiore produttore di pneumatici italiano ma possiede un
mercato esteso a livello mondiale, figura adottatore di tutte le tecnologie considerate
(pneumatico run-flat, Pax-system, nuovi sistemi produttivi e sensori per il monitoraggio della
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 190
pressione dei pneumatici) e ha sempre riconosciuto nelle sue strategie il ruolo chiave
dell’innovazione tecnologica per il conseguimento di un vantaggio competitivo1.
1 Si precisa che i dati ottenuti dalle interviste in Pirelli riguardano principalmente il sistema produttivi MIRS poiché sono stati forniti per la maggior parte dall’ing. Caretta, ideatore e responsabile del nuovo processo produttivo.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 191
5.1 Il pneumatico run-flat e gli adottatori: azione sulle competenze esistenti Nella sezione 2.3 del secondo capitolo è stata proposta una rassegna della letteratura
riguardante la classificazione delle innovazioni. Si è visto come l’impatto di un’innovazione
non derivi solo dalle sue proprietà tecniche ma anche dal comportamento delle imprese
adottatrici, dai cambiamenti apportati a mercati e industria e da fattori casuali. Per questo si è
deciso di seguire la via proposta da Tushmann e Anderson (1986) che suggeriscono di valutare
un’innovazione tecnologica in base all’impatto sulle competenze degli adotattori.
In particolare si è scelto di concentrare l’attenzione su alcune delle principali competenze in
possesso delle imprese: conoscenze tecnologiche e relativi metodi di acquisizione, gestione dei
fornitori, sistema produttivo, gestione dei clienti, struttura di distribuzione, mercati e tecniche
di gestione ed organizzazione aziendale. Tale analisi permette anche di determinare eventuali
variazioni delle competenze relative ad altri attori del sistema, come fornitori, clienti, impiegati
e competitori.
Per determinare l’azione del pneumatico run-flat a livello di tecnologia, prodotto, clienti e
mercato si sono seguite le linee guida proposte dallo studio di Abernathy e Clark (1985), come
si può osservare in Appendice 5.12.
La sezione inizia con la figura 5.1 che riassume l’entità dell’impatto del pneumatico run-flat
sulle competenze considerate delle imprese adottatrici e i riflessi sui principali elementi
collegati alla loro catena del valore. L’intensità dei colori utilizzati rivela quella dell’impatto
dell’innovazione: il giallo chiaro è indice di un’azione conservativa mentre l’arancione di una
distruttiva. I paragrafi3 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3 e 5.1.4, spiegando i fattori che hanno determinato le
conclusioni sintetizzate in figura, hanno una funzione di approfondimento e di commento.
2 E’opportuno precisare che l’analisi del pneumatico run-flat in base alla metodologia offerta dallo studio considerato non è condotta per stabilire in quale delle quattro categorie proposte dagli autori rientra, ma per valutare se esso ha un impatto conservativo o distruttivo sulle competenze degli adottatori limitatamente alle due dimensioni valutate. E’stato scelto di ripercorrere lo studio di Abernathy e Clark (1985) poiché è l’unico, tra quelli presi in considerazione, che propone delle linee guida riguardo gli elementi significativi che consentono di stabilire l’impatto di un’innovazione su determinate competenze. 3 In alcuni casi l’azione dell’innovazione sulle competenze esposte (come gestione dei clienti, dell’apparato distributivo e dei mercati) è stata raggruppata in un unico paragrafo per le interdipendenze emerse dall’analisi.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 192
Figura 5.1 L’impatto generato dall’introduzione del pneumatico run-flat sulle competenze delle imprese adottatrici e sui principali attori del sistema
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 193
5.1.1 La tecnologia, il relativo processo di acquisizione ed il rapporto con i fornitori
Come emerge dalla figura 5.1 l’introduzione del pneumatico run-flat ha apportato dei
cambiamenti alle tre tipologie di competenze considerate nel paragrafo senza, però, una
significativa azione distruttiva rispetto al passato. Segue, per ognuna, un’argomentazione
approfondita avente lo scopo di chiarire le conclusioni esposte.
Dalla presentazione della tecnologia offerta nelle sezioni precedenti, è possibile dedurre che la
struttura base del pneumatico run-flat è rimasta sostanzialmente quella del prodotto
tradizionale. Ciò è confermato dall’approfondimento effettuato mediante lo studio di
Abernathy e Clark (1985) che mette in luce come l’innovazione abbia necessitato di un
allargamento del range delle conoscenze delle imprese ma attraverso più un processo di
accumulazione ed ampliamento, piuttosto che di distruzione, rispetto al sapere esistente (infatti,
il punteggio ottenuto, su una scala da 1 a 10, è stato di 5,66).
L’impatto dell’innovazione sulle conoscenze delle imprese ha riguardato soprattutto quattro
aspetti:
- la necessità di nuovi materiali per il rinforzo del fianco o per la costituzione dell’anello
di supporto (a seconda della tecnologia run-flat adottata), ricercando ottime prestazioni
in termini di sostegno del peso del veicolo, di resistenza ad usura e di una bassa
generazione di calore;
- le tecnologie di ancoraggio alla ruota, in quanto la marcia a pneumatico sgonfio induce
delle forze di elevata intensità che potrebbero causare il detallonamento dal cerchione (i
cambiamenti più importanti nei sistemi di ancoraggio sono stati introdotti in modo
particolare da Continental nella tecnologia CWS, da Kumho e da Michelin e le altre
imprese legate al Pax-system, come si vede dalla tabella 4.14 in Appendice 4.1);
- i sensori per il monitoraggio della pressione: si precisa che, nonostante essi siano un
elemento fondamentale e necessario in un pneumatico run-flat, un ampliamento in
questo senso delle conoscenze delle imprese è stato determinato anche da altri fattori,
come l’approvazione del Tread Act negli Stati Uniti, in seguito al quale è diventato
obbligatorio equipaggiare i nuovi veicoli con dispositivi di segnalazione al conducente
dello stato della pressione dei pneumatici (si prevede che tale tendenza sarà seguita
anche da altri paesi nel corso dei prossimi anni);
- la ricerca della compatibilità tra i nuovi materiali e tecnologie con quelli esistenti.
Sulla base dell’esame della letteratura di settore disponibile emerge che tra le varie soluzioni
run-flat, il Pax-system risulta quella che ha richiesto i maggiori cambiamenti a livello di
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 194
tecnologia: i punti principali di discontinuità rispetto al sapere posseduto dalle compagnie
risultano essere il nuovo sistema di ancoraggio e la ruota, che presenta una struttura
asimmetrica e dimensioni maggiori. Esso ha portato delle conseguenze anche alle competenze
delle case automobilistiche in quanto un veicolo, per poter essere equipaggiato con il Pax-
system, deve essere appositamente predisposto fin dalla fase di progetto. Nello specifico, ad
esempio, deve risultare dotato di un sistema di sospensioni rinforzato, date la presenza di ruote
diverse dalle convenzionali e le maggiori vibrazioni generate dalla marcia in assenza di aria in
pressione; inoltre, la maggiore dimensione delle ruote permette l’inserimento di sistemi
frenanti più potenti che si rivelano di grande utilità dato l’incremento in peso apportato.
Se il pneumatico run-flat ha determinato più un arricchimento che una distruzione delle
competenze delle imprese in termini di tecnologia, ha influito in modo più significativo sulle
sue modalità di acquisizione, come emerge dalla figura 5.1.
Il processo di accumulazione delle conoscenza tecnologiche è sostanzialmente guidato da due
fattori: il contenimento dei costi, che risultano una variabile fondamentale per la competizione
nell’industria, e l’influenza data dall’esperienza e la storia passate delle imprese (infatti esse
seguono traiettorie di progresso interdipendenti che, spesso, hanno radici molto lontane nel
tempo).
L’acquisizione delle competenze tecnologiche ha iniziato ad articolarsi in tre nuove modalità.
- La prima forma è la diversificazione tecnologica, ovvero, l’allargamento del sapere da
parte delle imprese verso campi non strettamente collegati alla produzione. Le nuove
conoscenze acquisite vengono incorporate nell’organizzazione e risultano utili per lo
sviluppo di tutto il portafoglio prodotti. Inoltre, la diversificazione tecnologica permette
alle imprese di accumulare le conoscenze necessarie per sviluppare proficuamente
forme di co-design e co-development con fornitori e clienti4.
- La seconda forma è rappresentata dalle partnership e dalle joint-venture instaurate sia
con imprese interne che esterne all’industria: si ricorda, infatti, che più del 62% degli
accordi analizzati nella sezione 4.2.3 coinvolge la R&S. Lo sviluppo della tecnologia
run-flat ha beneficiato in larga misura di questa seconda modalità di acquisizione di
conoscenza, infatti, il 50% degli accordi stipulati tra il 1987 ed il 2003, raccolti nella 4 Il fenomeno della diversificazione tecnologica è studiato principalmente attraverso un’analisi a livello di brevetto (in questo modo sono stati condotti sia il lavoro di Acha e Brusoni (2002) che quello presentato nella sezione 4.6). Ciò consente, però, di valutare solamente l’estensione del sapere verso ambiti non contemplati in precedenza; risulta, invece, molto difficile monitorare l’ampliamento delle conoscenze in alcuni campi, come quello dei materiali, dal momento che tradizionalmente fanno parte del gruppo di quelli strettamente legati all’industria.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 195
tabella 4.6, riguarda proprio tale tecnologia5. L’acquisizione di conoscenza mediante
partnership con altre compagnie sembra attuarsi attraverso due fasi. Inizialmente essa
avviene in modo verticale, stipulando accordi con compagnie esterne al settore (come è
avvenuto per Michelin e Dow Chemicals e per Goodyear e Phase IV Engineering, ad
esempio); in seguito si realizza uno scambio di conoscenze orizzontale, cioè con
compagnie appartenenti all’industria (come la formazione del network per la
produzione e la commercializzazione del Pax-system o l’accordo tra Continental,
Bridgestone e Yokohama). Molto probabilmente le imprese intraprendono anche questa
seconda fase poiché i benefici ottenuti dalla condivisione di conoscenze tecnologiche
sono molto superiori sia ai rischi che ai vantaggi di uno sviluppo privato. E’importante
sottolineare come tutti gli accordi siglati, sia con imprese interne che esterne
all’industria, riguardino tecnologie di prodotto e mai di processo (dove esiste un livello
di segretezza molto forte). Ciò induce a concludere che, dal momento che il pneumatico
appartiene alla categoria delle commodity, l’unico modo per diversificarsi e guadagnare
vantaggio competitivo è agire sui costi di produzione e sugli standard qualitativi e,
quindi, sulle tecnologie di processo.
- La terza forma di acquisizione della tecnologia si articola attraverso il trasferimento di
conoscenze dai segmenti dei pneumatici da gara e ad alta performance (si precisa che in
molti casi le stesse conoscenze tecnologiche proprie di questi segmenti di mercato sono
ottenute attraverso le due modalità esposte sopra). Il trasferimento di conoscenze
riguarda soprattutto la resistenza e la performance dei materiali, l’assorbimento delle
vibrazioni, la diminuzione della generazione del calore e la sua dispersione e la risposta
5 Si riassumono brevemente gli accordi che hanno riguardato l’acquisizione della tecnologia run-flat (il 50% del totale) estratti dalla tabella 4.6 del quarto capitolo:
Anno Compagnie coinvolte Descrizione
1999 Michelin e Pirelli Pax-system 2000 Continental e Nissimbo Telaio e sistema frenante 2000 Michelin e Dow Chemicals Poliuretano per supporto del Pax-system 2000 Michelin e Woco Sistemi per l’assorbimento delle vibrazioni 2000 Goodyear e Phase IV Engineering Sensori e sistemi di trasmissioni radio 2000 Goodyear e Cycloid Co. Sistemi di controllo a bordo del veicolo 2000 Michelin e Goodyear Pax-system e nuovo sistema run-flat 2001 Michelin e Sumitomo Pax-system 2002 Michelin e Bosh Elettronica e sistemi di assistenza alla guida 2002 Sumitomo e Dow Polyurethanes Poliuretano per supporto del Pax-system 2002 Continental, Bridgestone e Yokohama Tecnologia run-flat 2003 Michelin e Hankook Pax-system
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 196
alle alte velocità: i primi quattro fattori giocano un ruolo chiave nel progetto di un
pneumatico run-flat.
E’importante sottolineare che, attraverso tutti e tre i processi descritti, le imprese del settore
assumono un ruolo attivo nell’acquisizione di conoscenza, contrariamente a quanto
succederebbe affidandosi a metodologie di outsourcing passivo. In quest’ultimo caso, infatti,
rischierebbero di non acquisire gli skill necessari per sostenere la leadership nella tecnologia e
nei prodotti (Prahald e Hamel, 1990).
I cambiamenti a livello tecnologico richiesti dal pneumatico run-flat hanno determinato la
necessità di acquisire nuovi fornitori.
Il rapporto con i fornitori, nel corso degli anni, ha subito importanti modifiche (come si può
dedurre dalla figura 5.1): esso ha iniziato ad articolarsi attraverso forme di partnership e co-
design, potenziate dalla crescita delle competenze tecnologiche delle imprese verso campi
esterni alla loro produzione e dalla condivisione reciproca di conoscenze mediante alleanze e
joint-venture.
Attraverso gli studi a livello di brevetto illustrati nel quarto capitolo è possibile verificare
l’estensione delle competenze dei produttori di pneumatici e dei loro fornitori nei reciproci
ambiti operativi. L’ampliamento delle conoscenze delle imprese dell’industria del pneumatico
nei campi propri dei loro fornitori è testimoniato dall’analisi riportata nella sezione 4.6. Infatti,
considerando il portafoglio brevetti a livello di industria, la divisione F (in modo particolare
con la classe F16 che si è aggiudicata circa il 5% delle domande di brevetto totali) relativa
all’ingegneria meccanica ed, in particolare, ai componenti meccanici di collegamento con la
ruota e al sistema delle sospensioni, risulta il terzo campo in cui ricadono le domande di
brevetto presentate. Inoltre, anche diverse imprese operanti nel settore dell’elettronica, dei
sensori o della meccanica, ad esempio, hanno iniziato a brevettare in tecnologie estremamente
connesse al pneumatico (Acha e Brusoni, 2002).
Da alcune interviste emerge come Pirelli abbia sviluppato processi di co-development
soprattutto con i fornitori operanti nel settore chimico, relativamente al quale non possiede le
competenze necessarie per uno sviluppo interno alla compagnia (Intervista ing. Sgalari).
L’attività chimica dell’impresa, infatti, risulta molto limitata: questo spiega perché nell’analisi
mostrata nella sezione 4.6 la macrosezione C, relativa al settore chimico, appare solo al terzo
posto come intensità di attività brevettuale.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 197
In questo paragrafo sono stati spiegati in modo approfondito gli elementi che hanno
determinato l’entità dell’impatto generato dall’introduzione del pneumatico run-flat a livello di
tecnologia, delle sue modalità di acquisizione e della gestione dei fornitori.
La figura 5.2 ne riassume i punti principali e mette in evidenza le interdipendenze che si sono
create tra le tre tipologie di competenze considerate e con gli altri elementi appartenenti al
sistema competitivo delle imprese adottatrici (l’intensità del colore usato riflette quella
dell’impatto).
Figura 5.2 Azione del pneumatico run-flat sulle competenze esistenti inerenti la gestione della tecnologia, le relative modalità di acquisizione ed il rapporto con i fornitori e le implicazioni sul sistema competitivo
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 198
5.1.2 Il sistema produttivo
Dalla figura 5.1 si può notare come le competenze delle imprese relativamente al processo
produttivo abbiano subito essenzialmente un’azione di ampliamento.
La produzione del pneumatico run-flat, avendo introdotto alcune discontinuità nel campo dei
materiali e, in alcuni casi, l’inserimento di un anello di supporto o un nuovo sistema di
aggancio al cerchione, ha reso necessarie alcune variazioni a livello di processo di
fabbricazione ma, in sé, non ha determinato l’introduzione dei sostanziali cambiamenti
apportati in questi ultimi anni al processo produttivo per almeno due motivi. Innanzitutto i
nuovi sistemi non sono stati adottati da tutti i produttori di run-flat: non si hanno, ad esempio,
informazioni riguardo ad un’attività in questo senso di Yokohama e Kumho, anche se entrambe
risultano molto attive nello sviluppo del nuovo prodotto. In secondo luogo, la maggioranza dei
sistemi (le eccezioni sono rappresentate dal MIRS di Pirelli e dal C3M di Michelin) sono stati
progettati per essere diffusi in tutti gli impianti ed estesi a tutte le linee produttive.
Anche se si possiedono dati esatti solamente per Pirelli e Goodyear, è possibile affermare che
la produzione dei pneumatici run-flat avviene mediante i nuovi sistemi produttivi, qualora
disponibili. Ad esempio, nel caso di Pirelli, il MIRS si dimostra più adatto alla costruzione del
pneumatico run-flat Eufori@ in quanto, operando con delle strisce sottili di tessuto, rende più
facile lavorare il fianco, che possiede un ruolo determinante in un run-flat self-supporting, in
modo omogeneo e corrispondente alle specifiche (Intervista n.2 ing. Caretta). Allo stesso modo
Sumitomo ha sviluppato un’evoluzione del Taiyo (“Taiyo di terza generazione”, come è stato
chiamato dalla compagnia) e Goodyear ha introdotto l’Rfsam (Run-flat System for Automated
Manufacturing) (sfortunatamente, però, le informazioni riguardo quest’ultimo sistema sono
talmente scarse che non permettono un’analisi approfondita).
Sebbene non abbia determinato la nascita dei nuovi sistemi produttivi, la tecnologia run-flat ha,
comunque, influito sulle loro strategie di sviluppo. Il pneumatico run-flat, infatti, fa parte di
quella categoria di prodotti (come i pneumatici HP o per moto) caratterizzati da una domanda
irregolare, da un’alta variabilità nelle specifiche (fino ad arrivare in alcuni casi ad una sorta di
personalizzazione) e dalla necessità di elevati standard qualitativi e di performance.
Risulterebbe, quindi, difficile ottenere la precisione e la flessibilità necessarie a questo tipo di
produzione con i sistemi tradizionali.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 199
5.1.3 La gestione dei clienti, la struttura distributiva e il mercato
L’azione del pneumatico run-flat sulle competenze inerenti a clienti e mercati, determinata
anche grazie all’analisi effettuata in Appendice 5.1, si è rivelata abbastanza incisiva, come
emerge dalla figura 5.1.
Il nuovo prodotto non ha portato alla nascita di nuovi clienti ma ha indotto un rafforzamento e
delle modifiche nel rapporto con quelli esistenti, soprattutto in termini di comunicazione,
trasmissione di nuove conoscenze, soddisfacimento più ampio delle loro esigenze, gestione dei
canali di distribuzione e dei servizi post-vendita.
Non solo il pneumatico run-flat ha determinato cambiamenti nelle competenze delle imprese
adottatrici legate alla gestione dei clienti ma anche in quelle dei clienti stessi.
L’impatto della nuova tecnologia è apparso molto diverso a seconda della tipologia di cliente
considerata.
L’azione sugli utilizzatori finali e sulle competenze dei produttori relativamente alla loro
gestione è risultata la più conservativa. Gli automobilisti hanno ottenuto dei benefici
prevalentemente in termini di incremento della sicurezza di guida e di estensione della gamma
di prodotti tra cui poter scegliere. Essi, però, hanno riscontrato anche dei disagi in quanto, ad
esempio, la procedura di riparazione risulta più scomoda e lenta: infatti, bisogna trovare un
distributore abilitato ed attendere che vengano effettuati tutti i processi e le verifiche del caso.
Ciò ha determinato delle implicazioni nei produttori che hanno dovuto costruire dei sistemi di
garanzia e di messa a disposizione di pneumatici sostitutivi durante il tempo di riparazione.
La diffusione della tecnologia ha necessitato lo sviluppo di forme di collaborazione con le case
automobilistiche: l’incremento apportato a livello di peso e di sollecitazioni da un pneumatico
run-flat, infatti, richiede una revisione della struttura del veicolo, soprattutto al telaio e alle
sospensioni.
L’impatto dell’innovazione sui costruttori di automobili risulta più forte nel caso del Pax-
system: esso può equipaggiare solamente veicoli predisposti, inoltre, come già affermato nel
quarto capitolo, ha portato nuove sfide, ad esempio, per quanto riguarda il design. A causa
della pesante influenza sui costruttori di veicoli, oggi il Pax-system è diffuso solamente su
veicoli appartenenti ad uno dei marchi in cui partecipa Michelin (Renault o Citroen) o nei casi
in cui si è instaurato un processo di co-design tra case automobilistiche e costruttori di
pneumatici (come nel caso di Goodyear e Audi per la Pikes Peak).
I distributori sono i clienti più influenzati dalla tecnologia run-flat per due fattori. In primo
luogo essi hanno dovuto frequentare corsi di addestramento e dotarsi di attrezzature specifiche
per effettuare la riparazione del pneumatico run-flat, soprattutto a causa della presenza dei
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 200
sensori per il monitoraggio della pressione che richiedono attenzioni ed accorgimenti
particolari. In secondo luogo sono soggetti ad una riduzione delle loro mansioni in quanto, in
caso di danneggiamenti gravi causati da un’incauta guida a pneumatico sgonfio o operando con
particolari marchi, come Bridgestone, non vengono coinvolti nella procedura di riparazione che
è effettuata direttamente dal produttore.
I costruttori di run-flat, quindi, hanno dovuto investire nella formazione dei loro distributori e
nello sviluppo di competenze inerenti la fase di riparazione e, di conseguenza, in nuove
funzioni di assistenza al cliente.
Da quanto esposto sopra si può dedurre che il pneumatico run-flat ha indotto significativi
cambiamenti in una delle strutture principali di supporto alla produzione: la distribuzione.
Infatti, è necessario che ogni produttore si preoccupi di costituire un network di centri di
assistenza, con una distanza massima tra i vari nodi pari al numero massimo di chilometri che è
possibile percorrere in regime di sicurezza con una ruota sgonfia. Ad esempio, Michelin ha
risolto il problema dotando delle attrezzature e dell’addestramento necessari alla gestione delle
tecnologie run-flat e Pax-system almeno un distributore per ogni capoluogo di provincia.
La diffusione del prodotto, sia nella forma più semplice che in quella del Pax-system, è ancora
troppo ristretta per poter affermare che esso abbia creato un nuovo mercato. Tuttavia, sembra,
anche per quanto emerge dall’analisi effettuata in Appendice 5.1, aver configurato una nicchia
di mercato. Infatti, risolvendo uno dei punti di debolezza maggiori del prodotto, cioè l’essere
soggetto a forature, si è ottenuto il soddisfacimento di un’importante esigenza dei clienti finali.
Inoltre, il prodotto risulta diffuso su delle categorie ben precise di veicoli: cioè nei segmenti
delle berline o grandi berline di lusso, delle auto sportive o su veicoli detti “familiari” in cui la
sicurezza è una variabile di primaria importanza. La conclusione che il prodotto abbia portato
considerevoli cambiamenti a livello di mercato è supportata anche dalle modifiche che i
produttori hanno dovuto adottare a livello di distribuzione.
5.1.4 Le tecniche di gestione ed organizzazione aziendale
Concludendo, si sottolinea il fatto che tutti i cambiamenti generati dall’innovazione nelle
competenze considerate in possesso delle imprese hanno sicuramente influito anche su metodi
e tecniche di gestione aziendale, su skill e abilità che non sono stati trattati esplicitamente
perché non chiari senza un’analisi più approfondita.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 201
Nello studio è stato messo in evidenza l’impatto dell’introduzione del pneumatico run-flat a
livello del gruppo delle dieci imprese maggiori. E’importante accennare anche all’influenza
sull’intero range di competitori: probabilmente il prodotto ha contribuito ad accrescere il
divario esistente tra medie e grandi imprese. Gli adottatori, infatti, hanno potuto incrementare
ulteriormente il loro vantaggio competitivo, soprattutto a causa del rafforzamento del rapporto
con gli utilizzatori finali e le case automobilistiche, e del potenziamento nella struttura
distributiva.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 202
5.2 I nuovi sistemi produttivi e gli adottatori: azione sulle competenze
esistenti
In questa sezione si ripercorre l’analisi effettuata nella precedente focalizzando l’attenzione
sull’impatto dei nuovi sistemi produttivi sugli adottatori e sugli altri elementi appartenenti al
loro sistema competitivo. In particolare, sulla base delle informazioni emerse, lo studio è
orientato all’analisi delle competenze riguardanti la tecnologia esistente, i fornitori, il
personale, i clienti, la gestione degli apparati logistico e distributivo, le tecniche di
organizzazione della produzione e l’organizzazione della struttura aziendale.
In questa parte dello studio risultano determinanti le informazioni raccolte attraverso le
interviste effettuate in Pirelli in quanto, come più volte affermato, le imprese controllano
pesantemente, soprattutto mediante l’uso del segreto industriale6, la diffusione di dati relativi
alle fasi di produzione. Una delle compagnie a fare un maggior uso della segretezza è Michelin
(come è emerso anche nella descrizione effettuata nella sezione 4.4.4): ad esempio, per
proteggere i brevetti legati al C3M, la compagnia creò una società anonima (la costituzione
francese lo permetteva), la Sedepro, che figurava come titolare7 dei brevetti chiave inerenti la
nuova tecnologia (Intervista ing. Sgalari).
La figura 5.3 permette una visione generale dell’impatto determinato dall’introduzione dei
nuovi sistemi produttivi sulle competenze considerate e dell’influenza sui vari elementi
connessi alla catena del valore delle imprese adottatrici; per un approfondimento si rimanda ai
paragrafi successivi. Seguendo la stessa modalità di presentazione adottata per la figura 5.1, l’intensità dell’impatto risulta chiara dai colori usati (l’azzurro rappresenta un’azione
conservativa ed il blu distruttiva).
6 Il segreto industriale è uno strumento di protezione efficace a livello di processo produttivo in quanto le caratteristiche di quest’ultimo non sono riconducibili a quelle del prodotto. Il brevetto, in genere, è richiesto solamente in una fase avanzata dello sviluppo del processo: in questo caso non viene infranta una delle condizioni necessarie alla brevettabilità, la novità, in quanto è difficilmente dimostrabile l’eventuale gap temporale intercorso tra l’inizio dell’utilizzo della nuova tecnologia e la data di richiesta del brevetto. 7 Si precisa che un brevetto, oltre agli inventori, presenta anche un titolare legale (applicant) che in genere è rappresentato da una società.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 203
Figura 5.3 L’impatto generato dall’introduzione dei nuovi sistemi produttivi sulle competenze delle imprese adottatrici e sui principali attori del sistema
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 204
5.2.1 La tecnologia e il rapporto con i fornitori
Dall’approfondimento esposto nel quarto capitolo (sezione 4.4) riguardante i nuovi sistemi
produttivi introdotti in questi ultimi anni si può concludere come le soluzioni presentate siano
molto eterogenee tra loro, sia relativamente alla tecnologia che alle strategie di introduzione.
La tabella 5.1 propone un riassunto degli elementi più significativi caratterizzanti l’adozione
dei nuovi sistemi.
Fasi di produzione8
Sistemi produttivi Anno Prodotti Integrazione
linee esistenti
Strategie di diffusione
Trasporta_bilità C E A V I
IMPACT (Goodyear) 1998 Tutto Sì Totalità impianti No * * *
MIRS (Pirelli) 2000 Nicchia No In aggiunta Sì * * * *
C3M (Michelin) 1992 Nicchia No In aggiunta Sì * * *
MMP (Continental) 1997 Tutto Sì Totalità impianti No * *
TAIYO (Sumitomo) 2002 Tutto No Totalità impianti No * * * *
BIRD (Bridgestone) 2002 Tutto No Totalità impianti No * * * * *
Tabella 5.1 Riassunto delle caratteristiche strategiche dei nuovi sistemi produttivi9
Integrando le informazioni riportate nella tabella con quelle ricavate dalla presentazione della
tecnologia illustrata nel capitolo precedente, si possono effettuare alcune considerazioni.
Innanzitutto, tutti i sistemi introdotti coprono le fasi centrali e più critiche del processo
costruttivo, che resta, comunque, sempre basato sui quattro stadi fondamentali propri di quello
tradizionale. In secondo luogo, come mostra la figura 5.4, i sistemi presentano un diverso
apporto innovativo a livello tecnologico e possono essere sostanzialmente divisi in tre gruppi
per le similarità presentate nelle strategie di diffusione.
L’Impact e l’MMP consistono principalmente in un intervento di automazione delle fasi
critiche del processo tradizionale, infatti, sono gli unici che contemplano un’integrazione con le
linee produttive esistenti10. Gli altri quattro esempi hanno portato nel settore un grado di
8 C=gestione delle mescole; E=estrusione; A=assemblaggio; V=vulcanizzazione e I=ispezione. 9 Si precisa che la differenza tra Impact, MMP, Taiyo e Bird è che, sebbene siano stati tutti progettati per essere estesi a tutti gli impianti, i primi due sono aggiunti ed integrati alle linee tradizionali mentre gli ultimi le sostituiscono completamente. 10Le innovazioni che portano solo ad una ricombinazione della tecnologia esistente non hanno un valore minore o sono più facili da gestire. Nel secondo capitolo, infatti, si è visto come le organizzazioni tendono a sviluppare la propria struttura attorno a quella dei propri prodotti e alla sequenza produttiva che essi richiedono; una modifica dei legami tra queste variabili strutturali, quindi, può risultare pericolosa per le compagnie poiché influenza anche la loro stessa struttura che deve essere opportunamente adeguata.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 205
innovazione più elevato, ricorrendo ad un ricercato utilizzo dell’automazione, infatti, sono
sistemi integrati a flusso continuo.
Bird e Taiyo si differenziano da MIRS e C3M in quanto sono destinati alla produzione di tutte
le tipologie di pneumatici e, quindi, all’estensione a tutti gli impianti ed, inoltre, appaiono in
uno stadio di sviluppo parzialmente inferiore, in quanto il prototipo di entrambi è stato
introdotto nel 2002 (cioè due anni dopo il MIRS di Pirelli).
Sumitomo e Bridgestone hanno seguito un percorso di sviluppo simile a quello del MIRS,
infatti, a livello tecnologico si stanno muovendo in aree simili a quelle di Pirelli. Bridgestone
ha ideato una variante interessante del tamburo rigido che contiene il pneumatico lungo tutto il
processo di fabbricazione brevettando un tamburo rigido a lamelle che ha permesso di ottenere
miglioramenti nell’aderenza e nella ventilazione e l’assenza di sbavature11 (Intervista ing.
Sgalari).
Figura 5.4 Apporto innovativo e strategie di diffusione dei sei sistemi produttivi considerati
11 Anche Michelin sembra lavorare ad una tecnologia simile, probabilmente per migliorare alcune parti del C3M ideate, ormai, da più di dieci anni.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 206
A detta di molti analisti di settore, il C3M di Michelin, pur avendo rappresentato una
consistente innovazione rispetto al sistema produttivo tradizionale, presenta dei problemi a
livello di performance. Molti fanno risalire a questo la causa della chiusura di due impianti
dotati della tecnologia C3M (Kuingaiv in Svezia e Reno negli Stati Uniti); altri analisti la
attribuiscono ad un intento di riorganizzazione ed ottimizzazione della rete produttiva e
distributiva. Gli scarsi risultati conseguiti dal sistema sono in larga parte dovuti a delle
particolari politiche seguite dalla compagnia nelle fasi di ideazione e progetto del sistema.
Infatti, per lo sviluppo del C3M Michelin ha costituito un team di ingegneri creativi scelti da
vari settori e, quindi, senza specifiche competenze relativamente al processo tradizionale (al
contrario, il MIRS e il CCM sono stati sviluppati all’interno della funzione R&S dedicata al
processo tradizionale) (Intervista n.2 ing. Caretta). Inoltre, il sistema è stato progettato in parti
e tempi differenti; di conseguenza manca una completa integrazione e un software di gestione a
livello globale che non comandi solo la produzione ma sia esteso anche alle altre fasi coinvolte
nella costruzione del prodotto, come progettazione, organizzazione della produzione e
controllo qualità, ad esempio. Un altro punto a sfavore del C3M è il fatto di non aver preso in
considerazione un sistema di gestione delle mescole integrato e flessibile come il CCM: esso
risulta determinante in un impianto trasportabile in quanto la movimentazione delle mescole è
critica poiché esse possiedono una variabilità elevata rispetto alle condizioni in cui sono
trattate.
Dall’analisi dei dati effettuata e dal materiale raccolto in Pirelli emerge che il contributo
innovativo apportato dal MIRS si basa essenzialmente su tre fattori: lo stampo toroidale che
contiene il pneumatico durante tutte le fasi costruttive, il software integrato di gestione del
sistema e il CCM, ovvero il sistema per la gestione delle mescole ideato nel 2002 come
completamento dell’impianto.
Il CCM rappresenta l’unico esempio al mondo di produzione delle mescole in continuo, benché
non sia ancora implementato sui tre impianti MIRS impiegati per la produzione commerciale12.
Dalla presentazione offerta da Pirelli (Intervista n.1 ing.Caretta) emerge come esso sia frutto
dell’applicazione di tecnologie esistenti ma mai impiegate nell’industria13: l’innovazione,
quindi, si fonda principalmente su un processo di trasferimento tecnologico da vari settori
12 I tre impianti a cui si fa riferimento sono Beuberg in Germania, Burton-on-Trent in Gran Bretagna e Rome negli stati Uniti; si ricorda che l’impianto di Milano Bicocca è dedicato allo sviluppo delle nuove tecnologie (come si può osservare in tabella 4.20). 13Ad esempio, per il dosaggio dei granuli si utilizzano tecnologie tipicamente farmaceutiche e per la gestione delle polveri la posta pneumatica (Intervista n.1 ing. Caretta).
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 207
applicativi14. Pertanto per le imprese risulta rilevante possedere una flessibilità ed un’apertura
mentale tali da riuscire ad estrapolare una tecnologia dal prodotto o dal processo in cui è
incorporata per poterne considerare tutte le possibili applicazioni. Questo conferma ciò che è
stato spiegato nel secondo capitolo e cioè che, mentre i prodotti sono soggetti ad un percorso di
vita-morte, le tecnologie incontrano processi di creative accumulation: esse vengono
approfondite e migliorate ma non presentano alcun limite né spaziale né temporale di
applicazione.
In Pirelli l’acquisizione della tecnologia proveniente dai vari settori avviene soprattutto
attraverso forme di licenze ed outsourcing (Intervista ing. Sgalari): questo mostra che l’uso dei
brevetti per dimostrare il fenomeno della diversificazione tecnologica non offre una visione
completa della situazione, soprattutto a livello di singola compagnia.
Il CCM fa parte di una strategia più ampia a livello di impresa, infatti, è stato progettato anche
per la gestione delle mescole per il settore cavi.
Da Caretta (Intervista n.1) è emerso che la scelta di Pirelli di estendere il MIRS solo a
determinati impianti e all’alta gamma è stata dettata da motivazioni strategiche di riduzione dei
costi. Infatti, per la bassa gamma non risulta conveniente investire in un sistema come il MIRS:
la strategia più profittevole è quella di trasferire la fabbricazione in paesi definiti “a basso
costo” (come l’Est Europeo, il Sud America o alcuni paesi dell’Estremo Oriente15), in cui il
costo di manodopera incide all’incirca per il 3% sul prezzo finale, contro una percentuale pari
al 15% in Europa, anche se si hanno costi maggiori in termini di trasporto e stoccaggio16
(Intervista n.2 ing. Caretta).
Per mantenere il vantaggio competitivo creato sui principali concorrenti Pirelli sta sviluppando
una nuova versione del MIRS che, a pari investimento, permetterà un aumento dell’output del
30% circa e di costruire pneumatici di dimensioni maggiori, come quelli per l’equipaggiamento
dei SUV (Intervista n.2 ing. Caretta).
14 Per le tecnologie di punta, come MIRS, CCM e pneumatici ad alta performance, Pirelli si avvale di metodi di simulazione al computer, necessari soprattutto per monitorare dei parametri in zone difficilmente accessibili fisicamente. Non sono stati progettati software espressamente dedicati a questa funzione ma si utilizzano quelli commerciali (come Fluent, Poliflu e Sigma) (Intervista ing. Ponta): questo dimostra ulteriormente come l’innovazione possa derivare, oltre che da una specifica invenzione, anche dall’applicazione innovativa di tecnologie esistenti. 15 Pirelli produce la bassa gamma sostanzialmente in Turchia e Brasile. Queste strategie sono state rese necessarie soprattutto in seguito all’espansione in Occidente di compagnie cinesi e coreane. 16 Non si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di produrre anche l’alta gamma nei paesi “a basso costo” in quanto i clienti, per la maggior parte italiani, francesi e tedeschi, richiedono un’immagine del prodotto estremamente elevata.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 208
I nuovi sistemi produttivi sono stati sviluppati in casa dalle varie imprese che, quindi, hanno
dovuto instaurare contatti con nuovi fornitori (di componentistica e di parti meccaniche, ad
esempio).
I fornitori del MIRS sono all’incirca una quindicina: essi sono stati reperiti assieme alla
tecnologia e costituiscono un’importante barriera all’imitazione nei confronti dei concorrenti
(Intervista n.1 ing. Caretta). Grazie all’approfondimento dell’analisi reso possibile dalle
interviste in Pirelli, si è potuto sottolineare il ruolo chiave dei fornitori nelle strategie
competitive, dal momento che nello studio si è messa in risalto maggiormente l’importanza
strategica delle relazioni con i clienti.
5.2.2 Il personale: addetti alla produzione, tecnici e management
Come si può osservare in figura 5.3, l’introduzione dei nuovi sistemi produttivi ha
considerevolmente influenzato il personale, a tutti i livelli, e le competenze degli adottatori
nella sua gestione.
Dati l’elevato grado di automazione insito nei nuovi impianti e la gestione regolata tramite
software, gli addetti alla produzione hanno visto modificarsi i propri skill e la propria
mansione: ad esempio, hanno dovuto frequentare programmi di formazione e il loro ruolo è
passato da una partecipazione attiva nella costruzione del prodotto ad una funzione di
controllo. Nei casi in cui i nuovi sistemi sostituiscono le linee tradizionali potrebbero essere
state utilizzate politiche di taglio del personale addetto alla produzione, con conseguenti
problemi a livello sindacale17.
L’impatto nelle competenze degli addetti si è riflesso sulle imprese adottatrici che hanno
dovuto investire in training del personale ed affinare le relazioni con i sindacati e le
associazioni dei lavoratori.
Dal momento che gli impianti MIRS18 non sono stati progettati in sostituzione delle linee
tradizionali, non si sono verificate riduzioni del personale, anzi, la capacità lavorativa della
compagnia è stata ampliata: nel 2002 sono state assunte 229 persone per il supporto alle attività
produttive del MIRS nei 3 impianti funzionanti (Pirelli Annual Report 2002).
17 Ad esempio Sull (1997) riporta che Michelin ha dovuto affrontare questo tipo di problemi nell’introduzione del C3M. Essa fu ritardata per un conflitto tra gli shareholders che spingevano a favore ed il CEO che assumeva una posizione di attesa per la diminuzione del numero di lavoratori che si sarebbe verificata. 18 Una fabbrica MIRS come quella installata in Georgia necessita di circa sessanta addetti (Intervista n.2 ing. Caretta).
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 209
Da una discussione con alcuni ingegneri della funzione di R&S MIRS, emerge come, essendo
il sistema produttivo comandato da un software integrato, tutto il personale coinvolto nella
progettazione, nell’organizzazione e nella supervisione della produzione e nella gestione dei
sistemi informativi abbia dovuto ampliare le proprie conoscenze e competenze per avere una
visione chiara e preparata di tutti gli ambiti coinvolti dal sistema produttivo (ad esempio, sono i
progettisti di Milano Bicocca che comandano il software che permette il funzionamento, oltre
che del MIRS in sede, di quello di Rome in Georgia). Ciò si è riflesso sulla struttura aziendale
che ha dovuto modificarsi opportunamente per favorire lo scambio di conoscenze e
competenze a livello interno.
5.2.3 La gestione dei clienti e delle strutture logistica e distributiva
L’impatto più significativo dettato dall’introduzione dei nuovi sistemi altamente automatizzati
e flessibili a livello di cliente si è registrato nei costruttori di veicoli e nei distributori, come
emerge dalla figura 5.3; gli utilizzatori finali hanno sostanzialmente avuto il beneficio di
acquistare prodotti con standard qualitativi più elevati e con caratteristiche specifiche e molto
diversificate.
I cambiamenti nel sistema produttivo consentono agli adottatori di rafforzare il rapporto con i
costruttori di veicoli su tre livelli. Innanzitutto, l’elevato salto qualitativo e prestativo apportato
permette di difendersi maggiormente dalla minaccia delle case automobilistiche di integrarsi
verticalmente costruendo delle linee di produzione dei pneumatici private. Secondariamente,
l’aumento degli standard qualitativi consente di soddisfare maggiormente le specifiche imposte
e possibilmente anche di guadagnare un maggior potere contrattuale rispetto ai competitori.
Infine, la possibilità di integrazione nelle linee di fabbricazione degli autoveicoli (questo è un
punto fondamentale nella strategia di introduzione del MIRS di Pirelli) permette di reinstaurare
quelle relazioni privilegiate che caratterizzavano l’industria americana fino alla rivoluzione
radiale19; tale strategia di integrazione è volta anche verso una diminuzione dei costi, in questo
caso legati al trasporto e alla deperibilità del prodotto.
L’elevato grado di flessibilità apportato dai nuovi sistemi permette alle imprese di assorbire
meglio le variazioni della domanda: in questo modo è possibile by-passare i distributori
indipendenti, che erano stati istituiti principalmente per questo motivo. Come afferma uno
19 Oggi le case automobilistiche per il mercato di massa non seguono particolari politiche per il rifornimento dei pneumatici: esse comprano a stock dal produttore che in quel momento propone l’offerta più vantaggiosa.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 210
degli addetti alla distribuzione di Michelin Italia20, infatti, nell’industria c’è la tendenza a
sviluppare un rapporto più diretto con il cliente finale diminuendo l’importanza di alcuni
elementi della catena distributiva tradizionale.
I distributori hanno ottenuto anche dei benefici dall’introduzione dei nuovi sistemi: ad esempio
il notevole ampliamento nella flessibilità consente di effettuare ordini di dimensioni minori e
con variabilità elevata, con vantaggi soprattutto a livello di stoccaggio.
L’innovazione tecnologica a livello produttivo ha indotto dei cambiamenti alle competenze
logistiche degli adotattori poiché, tranne nel sistema di Continental, la produzione si sviluppa
in un flusso continuo senza scorte intermedie e necessità di movimentazione dei semilavorati
tra le varie zone del reparto. Inoltre, l’abbassamento dei volumi produttivi ha reso più facile lo
stoccaggio, l’assemblaggio degli ordini e, soprattutto, il trasporto (attività che arrecano un
parziale deterioramento del prodotto se non avvengono in tempi rapidi e nelle condizioni
idonee).
5.2.4 Le tecniche di organizzazione della produzione e la struttura aziendale
Nella descrizione dell’impatto dell’innovazione considerata sulla struttura aziendale degli
adotattori e sulle tecniche utilizzate per la sua gestione, si fa prevalentemente riferimento al
caso di Pirelli, data la possibilità di approfondimento offerta dalle interviste. Le osservazioni
presentate possono, comunque, essere generalizzate alla descrizione di tutte le imprese
adottatrici, in modo particolare le tre che hanno introdotto dei sistemi altamente innovativi.
Due tra gli obiettivi primari a cui la fase di produzione risulta soggetta sono la riduzione dei
costi e il saper rispondere efficientemente alle variazioni della domanda. Nel sistema di
produzione impiegato tradizionalmente questi obiettivi sono seguiti ricercando la massima
produttività istantanea dei vari reparti (in Pirelli sono 14) che, quindi, assumono una
configurazione di fabbriche autonome ottimizzate localmente, senza processi reciproci di
coordinamento e feedback. I nuovi sistemi, invece, incorporano una visione globale del
processo produttivo dal momento che tutte le fasi sono state automatizzate ed integrate in un
processo a flusso unico gestito da un software globale (Intervista n.1 ing. Caretta).
Ciò ha determinato importanti cambiamenti in alcune delle funzioni aziendali e sui loro legami:
ad esempio, si sono create nuove relazioni tra le funzioni di progetto e di fabbricazione. Nel
20 Responsabile della distribuzione di Michelin in Nord Italia, intervista del 7 settembre 2003.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 211
processo tradizionale esse avevano visioni ed obiettivi differenti ed i punti di contatto erano
limitati mentre con l’introduzione del MIRS esse hanno dovuto scambiarsi conoscenze,
competenze ed unificare i fini del loro lavoro (ad esempio è un progettista che inserisce le
specifiche di fabbricazione nel software).
Anche in questo caso l’innovazione non ha introdotto nuovi elementi ma ha apportato una
riconfigurazione diversa di entità esistenti; infatti, è possibile affermare che essa ha agito
sull’architettura dell’impresa.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 212
5.3 Il pneumatico run-flat e i nuovi sistemi produttivi
Il fatto che Goodyear nel 1992 abbia introdotto un nuovo sistema produttivo, l’Rfsam,
espressamente dedicato alla costruzione di pneumatici run-flat e che Pirelli dichiari come sia
molto difficile produrre run-flat utilizzando il sistema tradizionale induce ad ipotizzare
l’esistenza di una connessione tra l’innovazione a livello di prodotto, rappresentata dal
pneumatico run-flat, e quella nel processo produttivo, portata dai nuovi sistemi.
L’analisi approfondita effettuata in questo studio porta a confutare l’ipotesi di un eventuale
collegamento stretto tra le due innovazioni: in altre parole, il pneumatico run-flat né ha
richiesto una modifica così sostanziale al processo produttivo, né è stato una conseguenza
dell’introduzione dei nuovi sistemi altamente automatizzati e flessibili per diverse ragioni. In
primo luogo, come sottolineato in precedenza, non tutti i produttori che presentano il
pneumatico run-flat nel loro portafoglio prodotti hanno apportato innovazioni significative ai
loro processi produttivi (Kumho e Yokohama si affidano al processo tradizionale, mentre
Continental e anche Goodyear hanno lavorato solo ad automatizzare alcuni fasi critiche dei
sistemi convenzionali). In secondo luogo, lo sviluppo di entrambe le innovazioni ha radici
abbastanza lontane nella storia dell’industria: nel quarto capitolo si è visto come si stessero
cercando soluzioni con proprietà run-flat fin dall’inizio del ventesimo secolo (anche se gli
esempi caratterizzati da buone possibilità di realizzazione e da una certa sicurezza risalgono
agli anni’60) e come le innovazioni a livello di processo, seppure più recenti, siano cominciate
con gli anni’80.
Questa sezione si propone, quindi, di mettere in luce tutte le eventuali relazioni esistenti tra le
due innovazioni partendo da un’attenta valutazione delle loro strategie di introduzione.
5.3.1 Le strategie che hanno guidato l’introduzione del pneumatico run-flat
Alla base dell’introduzione del pneumatico run-flat sta la ricerca di un avanzamento sulla
frontiera prezzo-performance della tecnologia. Infatti, tutte le innovazioni di prodotto
introdotte a partire dal pneumatico radiale sono state volte verso una riduzione delle criticità,
tra cui, indubbiamente, l’impedimento della funzionalità a causa di foratura è la maggiore21.
21 Si ricordano il Season Tire (Goodyear, 1976) che ha permesso una guida sicura con ogni condizione atmosferica, il Green Tire (Michelin, 1992) che ha migliorato l’impatto ambientale e l’Aqua Tread (Goodyear, 1992) che ha introdotto notevoli miglioramenti nell’aderenza sul bagnato.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 213
Lo sviluppo di soluzioni run-flat efficienti negli anni’80 e nei primi anni’90 è stato determinato
dalle necessità delle auto sportive di lusso, come le Porsche e le Corvette, nelle quali non vi era
spazio per il ruotino di scorta. In un secondo tempo, l’applicazione della tecnologia ha iniziato
ad essere estesa ad automobili di lusso: nelle sezioni precedenti si è potuto osservare come la
maggioranza dei veicoli equipaggiati da pneumatici run-flat appartenga alle categorie delle
berline o grandi berline di lusso e delle auto con una forte immagine. In questi ultimi anni il
pneumatico run-flat ha visto la trasformazione in optional di sicurezza ed il suo utilizzo è stato
allargato anche a veicoli cosiddetti “familiari” (come la Renault Scenic o la Toyota Sienna
Minivan) in cui la sicurezza gioca un ruolo fondamentale; è proprio su questo punto che oggi i
vari produttori fanno leva per aumentare il grado di diffusione del prodotto.
Con buona approssimazione solo il primo adottatore, Goodyear, ha tratto dal lancio del nuovo
prodotto un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti, anche se di entità limitata data
la scarsa diffusione sul mercato.
Negli anni immediatamente successivi si è verificato un processo di allineamento della
consistenza del portafoglio prodotti tra le maggiori compagnie, che hanno sviluppato delle
proprie soluzioni run-flat; esso è stato promosso da Goodyear stessa stringendo delle alleanze
riguardanti la condivisione della tecnologia (la più nota è quella con Michelin del 2000).
Ciò rispecchia le conclusioni di Abernathy e Clark (1985) che sottolineano come le
innovazioni che aprono una nicchia di mercato siano facilmente imitabili, in quanto non
includono importanti cambiamenti a livello di tecnologia.
Il processo di imitazione a livello di prodotto verificatosi tra i maggiori produttori appare in
contrasto con le conclusioni dello studio di Benner e Tushmann (2003). Infatti, il pneumatico
run-flat ha avuto un impatto di intensità maggiore sulle attività a valle della catena del valore,
come la gestione dei clienti e la distribuzione, mentre gli autori segnalano come siano le
innovazioni che agiscono a livello di tecnologia ma lasciano intatte le competenze in vendite e
distribuzione ad essere più facilmente imitabili e, quindi, acquisibili e gestibili dalle imprese
già insediate.
Le dinamiche che si sono sviluppate a livello di industria, quindi, confermano l’assunzione
che l’unico strumento che permette di guadagnare un vantaggio competitivo è la riduzione dei
costi, attuata in modo efficace solo agendo sulle variabili caratterizzanti il processo
produttivo22. L’introduzione del pneumatico run-flat è concorde alle azioni intraprese negli
22 Anche i numerosi accordi stretti tra competitori a livello di tecnologie di prodotto, spinti dalle basse barriere all’imitazione, fanno parte delle strategie di contenimento dei costi, in particolare quelli di R&S (tali azioni generano un aumento del beneficio anche a livello sociale, in quanto limitano le ridondanze).
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 214
ultimi anni dalle imprese dell’industria che sono volte a concentrare l’attenzione verso i
segmenti di mercato che esulano da quello di massa, dal momento che sono gli unici ad offrire
possibilità di crescita e guadagno e a permettere una certa competizione tra i vari marchi: per
questo esso è stato ritenuto parte di una strategia di “de-commodizzazione” del pneumatico
tradizionale23.
5.3.2 Le strategie che hanno guidato l’introduzione dei nuovi sistemi produttivi
Integrando le considerazioni formulate dalla presentazione della tecnologia effettuata nel
quarto capitolo con le informazioni raccolte dalle interviste in Pirelli, si sono potute
individuare alcune forze determinanti nel processo di introduzione dei nuovi sistemi.
- Una delle variabili fondamentali ad influire sullo sviluppo delle nuove soluzioni
produttive è stata la necessità di diminuire i costi di prodotto finito e, quindi, di
produzione. Essa risulta possibile solo attraverso l’uso dell’automazione (Intervista n.1
ing. Caretta) e, come afferma Shaw (ERJ sept.2000), rappresenta l’unico strumento per
continuare a produrre nelle regioni definite “ad alto costo”, come l’Europa Occidentale
e il Nord America, soprattutto in seguito all’espansione in Occidente di compagnie
coreane e cinesi.
- Una seconda determinante può essere individuata nella crescita della diversificazione di
prodotto che ha modificato le caratteristiche della domanda: i grandi volumi produttivi
con specifiche altamente standardizzate non sono più adatti a soddisfare le esigenze dei
clienti. I nuovi sistemi permettono la flessibilità, sia a livello di caratteristiche di
prodotto che di variabilità nei volumi produttivi, e gli elevati standard qualitativi
necessari alla produzione nei nuovi segmenti di prodotto, come l’HP o i pneumatici
run-flat, su cui si stanno focalizzando le compagnie per incrementare i loro profitti;
inoltre, essi consentono di contenere i costi, in modo particolare quelli di set-up. Queste
osservazioni assumono un valore ancora maggiore per le cinque compagnie che
aderiscono all’accordo sul Pax-system, dal momento che la sua domanda è ancora
molto bassa, in alcuni casi anche pari a poche centinaia di unità l’anno.
23 Tutte le imprese hanno l’esigenza di abbassare i costi di produzione per rimanere competitive in paesi come l’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, ma la necessità di puntare sui segmenti più profittevoli come il gruppo appena descritto, a cui appartengono anche i run-flat, dipende dalle caratteristiche delle compagnie: imprese piccole come Pirelli hanno un bisogno più immediato rispetto a colossi come Bridgestone, Goodyear e Michelin che possono godere di economie di scala e scopo maggiori date le loro dimensioni e la vastità del loro portafoglio di prodotti.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 215
- I cambiamenti nel sistema produttivo consentono di rafforzare il rapporto con i
costruttori di veicoli, rispondendo in modo più efficiente alle loro specifiche ed
esigenze e sviluppando forme di collaborazione e di progetto integrato del veicolo e del
sistema ruota (fino alla possibilità di integrazione delle linee per la costruzione di
pneumatici in quelle degli automezzi, come propone Pirelli). Ciò induce la creazione di
un vantaggio nei confronti dei concorrenti ed un aumento delle barriere all’entrata
(anche se un’industria allo stadio maturo come quella del pneumatico non dovrebbe
essere caratterizzata da nuovi ingressi).
- Una quarta forza è data dalla necessità di apportare dei miglioramenti dal punto di vista
logistico per risolvere i problemi di movimentazione interna, di stoccaggio (soprattutto
per quanto riguarda i semilavorati) e di trasporto dei grandi volumi prodotti dal sistema
tradizionale (Intervista n.1 ing. Caretta).
- Un’ulteriore determinante è la possibilità di trovare un’applicazione alle conoscenze nel
campo della robotica, dell’automazione e del software (ad esempio nelle tecnologie
CAD/CAM), notevolmente ampliate nel corso degli ultimi anni (Intervista n.1 ing.
Caretta).
- I sistemi che sono progettati per sostituire tutte le linee produttive esistenti vanno ad
incidere sul numero di addetti alla produzione. La riduzione del personale impiegato
può essere una forza che ha spinto verso l’adozione delle nuove soluzioni produttive
soprattutto in Nord America dove le unioni dei lavoratori sono molto forti, potenti e
spesso fortemente limitanti per le compagnie.
E’ ragionevole supporre che tutti gli elementi presentati abbiano contribuito allo sviluppo
dell’innovazione di processo considerata ma le motivazioni più incisive appaiono la necessità
di contenimento dei costi e di risposta efficiente alle irregolarità della domanda.
Viste le strategie di diffusione riassunte nella tabella 5.1 si può affermare che il MIRS e il C3M
sono stati introdotti principalmente per rispondere meglio alla domanda di prodotti come i run-
flat, i pneumatici ad alta performance o per moto (le considerazioni esposte possono essere
estese anche all’Rfsam anche se non è stato trattato esplicitamente data la scarsità di
informazioni al riguardo); per Pirelli tale ipotesi assume un significato ancora maggiore dal
momento che la compagnia è focalizzata su questi segmenti produttivi. Al contrario, gli altri
sistemi, dal momento che sono stati progettati per essere introdotti in tutti gli impianti ed estesi
a tutta la produzione, sono stati sviluppati soprattutto per una riduzione dei costi ed un aumento
degli standard qualitativi.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 216
Si sottolinea come lo sviluppo di conoscenze rilevanti nel campo del software e della robotica
fosse avvenuto molti anni prima dell’inizio del processo di introduzione dei nuovi sistemi (tutti
apparsi a partire dalla fine degli anni’90, tranne il C3M). Ciò porta a concludere che
un’industria allo stadio maturo come quella del pneumatico presenta una sorta di inerzia
nell’acquisizione di nuove tecnologie: esse non sono state inglobate nel settore fin dalla loro
introduzione ma soltanto quando si è verificata una rottura nelle caratteristiche del sistema
competitivo, come la maggior pressione esercitata dalle case automobilistiche, l’aumento della
specificità delle richieste del consumatore finale e la concorrenza delle imprese provenienti da
paesi “a basso costo”, per far fronte alla quale queste tecnologie si sono rivelate lo strumento
più efficiente.
5.3.3 Analisi delle relazioni tra le due innovazioni
La figura 5.5 riassume i risultati ottenuti in questa sezione riguardo le strategie dominanti
nell’introduzione del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi ed il loro legame,
evidenziando anche il ruolo dell’innovazione nel settore e le strategie usate per la sua gestione.
Nell’industria, come emerge dalla figura, all’innovazione tecnologica è attribuito il ruolo di
strumento per il mantenimento della posizione competitiva posseduta; per ampliare il potere di
mercato, invece, si utilizzano altri mezzi, come lo sviluppo di joint-venture (che si ricorda
portano alla formazione di una nuova società), acquisizioni e fusioni. Una delle forze
fondamentali per conservare la propria posizione di mercato è la ricerca di un aumento dei
profitti che può essere generato in due modi: ampliando i ricavi e riducendo i costi di prodotto
finito. Alla base dell’introduzione del pneumatico run-flat sembra esserci la prima strategia:
infatti, nelle nicchie di mercato, data la possibilità di diversificazione tra i vari marchi e la
maggiore disponibilità all’investimento degli utilizzatori finali (il cui target è rappresentato da
automobilisti molto esigenti ed attenti alle prestazioni del veicolo), la competizione non si basa
solamente sul prezzo, sul quale, quindi, le imprese hanno un maggiore potere decisionale.
L’innovazione tecnologica a livello di sistema produttivo, invece, è l’unico strumento che
consente una riduzione dei costi (è, infatti, impensabile per le compagnie occidentali trasferire
l’intera produzione in paesi “a basso costo” per l’incidenza dei costi di trasporto e stoccaggio e
par la necessità di poter garantire l’immagine opportuna nei segmenti di prodotto che lo
richiedono).
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 217
Figura 5.5 Le strategie di introduzione e le relazioni esistenti tra le due innovazioni considerate
Le considerazioni esposte finora confermano come non ci sia un legame palese tra le strategie
di introduzione delle due innovazioni considerate, se non quello di fare parte di una strategia
globale intrapresa da tutte le maggiori imprese del settore per mantenere la propria posizione
competitiva.
Tuttavia, nella sezione 2.3.1 del secondo capitolo viene rilevato come nella maggioranza dei
casi le innovazioni di prodotto abbiano un’implicazione sul loro processo produttivo e
viceversa. A titolo esemplificativo si ricorda che i nuovi sistemi produttivi hanno reso più
facile la costruzione del nuovo prodotto (infatti, il pneumatico run-flat è prodotto sulle nuove
linee se presenti, come dimostra la tabella 4.20) e che esso ha, quindi, in parte, giustificato gli
ingenti investimenti effettuati in produzione.
Nel caso di Pirelli i significativi cambiamenti nel sistema produttivo sembrano aver avuto
implicazioni più importanti a livello di prodotto, a conferma delle assunzioni di Von
Tunzelmann (1995), Simonetti, Archibugi ed Evangelista (1995) e Simonetti (1991) riguardo la
difficoltà di stabilire un legame chiaro tra innovazioni di processo e prodotto. Inizialmente il
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 218
MIRS ha indotto una riconfigurazione dei legami tra prodotto e processo introducendo dei
cambiamenti inaspettati nella relazione, già di per sé complessa, tra elementi di progetto e
caratteristiche di performance del prodotto. Dal momento che è fondamentale conoscere su
quali elementi agire per ottenere determinate variazioni nella performance, i progettisti hanno
dovuto ristudiare tale legame, con un grande dispendio di tempo e l’impossibilità di soddisfare
per un certo periodo le specifiche imposte dalle case automobilistiche (Shaw, ERJ sept.2000).
Per Pirelli, quindi, l’introduzione del nuovo sistema produttivo si è configurata come
un’innovazione architetturale a livello di prodotto24.
24 Il termine architetturale usato in questo contesto fa riferimento alla definizione proposta da Henderson e Clark (1990). Si precisa che l’azione sull’architettura è rivolta a tutti i prodotti costruiti con il nuovo sistema e non solo ai pneumatici run-flat.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 219
5.4 Un confronto con le teorie del ciclo di vita del prodotto
5.4.1 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di prodotto
La consistenza delle innovazioni esaminate in questo studio risulta in accordo con le teorie del
ciclo di vita del prodotto, trattate ampiamente nel secondo capitolo, dal momento che non
hanno avuto un impatto completamente distruttivo sulle principali competenze degli adottatori.
Infatti, benché il pneumatico run-flat abbia aperto una nuova nicchia a livello di prodotto ed
abbia inciso in misura più significativa sul mercato, non può essere considerato, data anche la
sua scarsa diffusione, un prodotto tanto innovativo da aver creato un nuovo mercato ed una
sorta di segmentazione drastica, a livello di prodotto, rispetto al pneumatico tradizionale.
Tuttavia, le teorie del ciclo di vita del prodotto sottostimano l’importanza delle nicchie di
mercato; esse, in futuro, potrebbero avere una rilevanza tutt’altro che marginale dato che
stanno assumendo un peso crescente nelle strategie competitive dei maggiori produttori.
L’apporto innovativo a livello tecnologico incorporato nei nuovi sistemi produttivi, invece, ha
avuto dimensioni maggiori. Soprattutto il sistema MIRS ha rappresentato un considerevole
avanzamento rispetto al processo tradizionale, riducendo significativamente il lead time, il
numero di fasi produttive e i tempi di set-up (come si può notare in Appendice 4.1), ha portato
rilevanti miglioramenti nella logistica degli impianti, eliminando i semi-lavorati e i magazzini
intermedi, e in distribuzione, gestendo in modo efficiente le variazioni della domanda grazie
alla flessibilità incorporata, ha determinato l’integrazione della fase di produzione con le altre
ad essa connesse e, non da ultimo, ha presentato una combinazione innovativa, in modo
particolare nel CCM, di tecnologie provenienti da diversi campi applicativi. Comunque,
l’innovazione a livello di processo non è stata determinata da una volontà specifica delle
imprese del settore ma rispecchia un’azione provocata dagli importanti cambiamenti nelle
condizioni esterne contrassegnanti lo scenario competitivo, come l’avanzamento della
tecnologia nel campo dell’automazione e del software, la concorrenza dei paesi “a basso costo”
e il cambiamento delle caratteristiche della domanda. Era prevedibile che nell’industria si
configurassero dei cambiamenti significativi nei processi produttivi, dal momento che i
tradizionali erano basati su macchinari e tecniche che, seppur raffinati nel corso degli anni,
risalivano a prima del 1920.
Le considerazioni esposte in questo capitolo hanno permesso di confutare una delle ipotesi
considerate all’inizio dello studio sulla possibilità di una configurazione del pneumatico run-
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 220
flat come rimpiazzo del tradizionale25 (si ricorda che tale ipotesi era basata sulla previsione di
Goodyear che, entro il 2003, il 75% della produzione globale di pneumatici sarebbe stata run-
flat26).
Se il prodotto si fosse configurato come pneumatico del futuro, si sarebbe verificata una
contrazione del mercato pari al 20% a causa della mancata produzione della ruota di scorta;
tale restrizione avrebbe colpito in modo considerevole anche il mercato del ricambio (l’unico
in grado di generale guadagni consistenti).
Ciò avrebbe creato delle implicazioni negative soprattutto nei piccoli-medi produttori, senza la
forza economica o la possibilità di avviare la produzione del nuovo prodotto, aumentando
ulteriormente il divario, già pesantemente presente nel settore, tra grandi e piccole-medie
imprese.
Secondo quanto afferma uno dei responsabili della distribuzione di Michelin Italia27 risulta
estremamente improbabile che il pneumatico run-flat, in una qualsiasi delle sue forme, vada a
sostituire il tradizionale in quanto quest’ultimo rappresenta il miglior compromesso tra prezzo,
performance e qualità. L’ing. Caretta (Intervista n.2 ing. Caretta) conferma questo punto di
vista argomentando le dichiarazioni con varie spiegazioni. In primo luogo il prodotto, troppo
pesante a causa di masse non sospese, aggrava consistentemente il lavoro delle sospensioni,
incidendo sull’usura del veicolo; inoltre, i fianchi rigidi e difficilmente deformabili
diminuiscono il comfort di guida ed aumentano la resistenza al rotolamento e, quindi, il
consumo di carburante e l’impatto ambientale. Il Pax-system avrebbe ancora meno possibilità
di essere esteso a standard dell’industria in quanto, anche se non incide sulla resistenza al
rotolamento, induce un aumento significativo dei costi, una riduzione maggiore del comfort di
guida e può equipaggiare solo i veicoli predisposti all’uso fin dalla fase di ideazione e progetto.
Pirelli, pur essendo stata la prima compagnia ad entrare nella joint-venture con Michelin per la
produzione e la commercializzazione del Pax-system, non produce ancora il prodotto, dato che
esso non si è ancora affermato nel mercato degli OE, a cui è destinato. Per Pirelli, quindi,
l’accordo con Michelin è risultato molto importante più che per il contenuto, per la possibilità
di affiancare e sostenere quello che è ritenuto il leader mondiale, oltre che per quote di
mercato, per attività innovativa (Intervista n.2 ing. Caretta e Intervista ing. Sgalari).
25 La stabilizzazione del pneumatico run-flat come standard del futuro avrebbe portato ad un superamento della teoria di Utterbach ed Abernathy (1975) riguardo il ciclo di vita del prodotto in favore di quella di Anderson e Tushmann (1990) che eliminano la relazione biunivoca tra prodotto e dominant design, dando la possibilità di nascita a più standard, ognuno soggetto ad un proprio ciclo di sviluppo e decadenza, relativi ad un prodotto. 26Non sono disponibili dati sulla diffusione della produzione di pneumatici run-flat né a livello di compagnia, né in generale. 27 Responsabile della distribuzione di Michelin in Nord Italia, intervista del 7 settembre 2003.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 221
Risulta estremamente probabile che si diffonda all’equipaggiamento di tutti i veicoli una delle
tecnologie considerata come correlata al pneumatico run-flat, i sensori per il monitoraggio
della pressione; a questo proposito la spinta maggiore è stata data nel 2003 dall’approvazione
del Tread Act negli Stati Uniti.
5.4.2 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di industria
Le teorie sul ciclo di vita dell’industria presentate nel secondo capitolo, pongono in stretta
dipendenza l’evoluzione di un’industria e il ciclo di sviluppo di un nuovo prodotto, o meglio di
un dominant design, introdotto da una nuova tecnologia. Questi studi utilizzano come
indicatore del processo evolutivo dei settori che descrivono, tra cui quello del pneumatico, il
numero di imprese operanti28. Da questo punto di vista un’industria che da anni presenta una
configurazione oligopolistica e assenza di nuovi ingressi, come quella del pneumatico, appare,
contrariamente alla realtà, una struttura estremamente statica.
Le considerazioni esposte in questo lavoro, invece, portano a concludere come il numero delle
imprese operanti sia un indicatore limitante nell’analisi dell’evoluzione di un settore. Infatti,
anche se soggetta ad inerzia, l’industria del pneumatico presenta al proprio interno delle
dinamiche di considerevole importanza.
Innanzitutto, anche se dall’introduzione del pneumatico radiale l’apporto innovativo del settore
era rimasto ad un livello basso, a partire dai primi anni’90 sono state introdotte delle
innovazioni di entità significativa rappresentate dal pneumatico run-flat ed dai nuovi sistemi
altamente automatizzati e flessibili. L’attività innovativa dell’industria, specialmente in questi
ultimi anni, è risultata molto vivace: le imprese hanno ampliato il loro sapere anche al di fuori
dei settori di interesse tradizionali, hanno stretto rapporti di collaborazione nel progetto e nello
sviluppo di tecnologie con fornitori e clienti e hanno attuato processi di trasferimento
tecnologico da diversi campi applicativi.
In secondo luogo, in questi ultimi anni si è assistito a cambiamenti nell’apparato distributivo,
come la creazione di network di assistenza per i veicoli equipaggiati da pneumatici run-flat e la
ricerca di un rapporto più diretto col cliente finale, limitando la funzione dei vari elementi della
catena di distribuzione; ciò è stato in gran parte consentito dalla capacità dei nuovi sistemi
produttivi di far fronte alle variazioni nella domanda.
28 Tale variabile risulta soggetta ad una crescita finché la tecnologia si stabilizza, l’output aumenta e i prezzi si abbassano; a questo punto subisce una riduzione considerevole in tempi brevi (shakeout), per poi assumere un valore sostanzialmente costante a causa dell’estinzione del fenomeno di entrata.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 222
Inoltre, in seguito all’introduzione della tecnologia run-flat, tra le varie imprese leader
sembrano essersi attuate delle dinamiche volte alla ricerca della formazione di gruppi
competitivi che possono modificare gli equilibri al vertice, che, come si vede dalla figura 4.6,
da molti anni sono stabili. Infatti, indipendentemente dal fatto che il pneumatico run-flat
diventi o meno il futuro dell’industria, in questi ultimi anni la struttura della stessa è stata
influenzata da una sorta di battaglia per la diffusione dello standard.
Questa tendenza risulta lampante se si considerano tre fattori. In primo luogo non è stata ancora
sviluppata una tecnologia pienamente soddisfacente, come emerge dal quarto capitolo e,
secondariamente, l’intensa attività di ricerca e sviluppo dimostra che il margine di
miglioramento è ancora ampio. Infine, da un’analisi attenta dei rapporti tra le compagnie al
vertice risulta chiara la formazione di due raggruppamenti distinti. Da una parte si trovano
Michelin, Pirelli, Goodyear, Sumitomo ed Hankook29 (che assieme possiedono circa il 50% del
mercato), legate dall’accordo per lo sviluppo e la commercializzazione del Pax-system;
dall’altra Continental, Bridgestone e Yokohama, che condividono le rispettive conoscenze
tecnologiche e contribuiscono allo sviluppo della tecnologia CSR ideata da Continental.
Le strategie seguite dalle due parti appaiono diverse. Continental, Bridgestone e Yokohama
puntano a sviluppare un pneumatico run-flat che si discosti il meno possibile dalla tecnologia
del prodotto tradizionale, soprattutto dal punto di vista delle modifiche richieste sul veicolo e
sulla ruota. Il Pax-system, invece, rappresenta un prodotto più definito con prestazioni run-flat
maggiori e più sicure ma possiede un carattere più distruttivo sulle competenze delle imprese;
per questo tutti gli aderenti all’accordo, compresa Michelin, producono anche una tecnologia
più semplice e vicina a quella tradizionale.
Esistono due fattori necessari alla diffusione di uno standard: trovare alcuni clienti strategici e
stipulare delle alleanze con i concorrenti. Per le imprese dell’industria risulta difficile
realizzare la prima condizione poiché i clienti più potenti, cioè le case automobilistiche,
preferiscono affidarsi a numerosi fornitori per mantenere viva la concorrenza e basso il
prezzo30; al contrario le compagnie leader hanno cercato fin da subito di instaurare una rete di
29 Hankook non fa ora parte del gruppo delle top10 ma, comunque, occupa le posizioni immediatamente successive al decimo posto. 30 Nella sezione 4.3, infatti, si è visto come molti produttori di autoveicoli mantengano più fornitori anche nel caso dei pneumatici run-flat: ad esempio la Corvette è equipaggiata da Goodyear, Yokohama e Kumho, la Lexus SC 430 luxury da Bridgestone e Goodyear, la Mini da Goodyear, Dunlop e Pirelli e la Toyota Sienna da Dunlop e Bridgestone.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 223
accordi con i competitori31.
Lo sviluppo di un eventuale standard avrebbe considerevoli implicazioni sui maggiori attori del
sistema competitivo esaminato.
I distributori sono gli elementi collegati alla catena del valore dei produttori di pneumatici che
potrebbero risentire maggiormente della sorta di battaglia per la diffusione dello standard che si
è sviluppata, in quanto potrebbero subire dei processi di lock-in nei confronti della
distribuzione di una tecnologia piuttosto che di un’altra. Le case automobilistiche, che oggi si
affidano a più produttori, troverebbero beneficio nel non doversi continuamente adattare alle
specifiche delle diverse tecnologie; esse risulterebbero, però, svantaggiate dall’aumento di
potere contrattuale nelle mani dei loro fornitori. La libertà di scelta del consumatore finale
verrebbe diminuita: oggi infatti esso può scegliere tra molte soluzioni e rimane vincolato al
marchio del primo equipaggiamento solo nel 45% dei casi. Infine, un altro attore del sistema
che potrebbe essere avvantaggiato dalla diffusione di uno standard sono i piccoli-medi
competitori che potrebbero investire direttamente in una determinata tecnologia senza doversi
assumere il rischio di dover sviluppare, produrre e commercializzare autonomamente un nuovo
prodotto, come hanno dovuto fare in questi ultimi anni le otto compagnie che hanno proposto
una soluzione run-flat.
Tuttavia, da un’attenta analisi dei gruppi formatisi, sembra che le azioni intraprese siano
prevalentemente orientate verso l’ottenimento di un vantaggio competitivo nei confronti dei
concorrenti piuttosto che verso la diffusione di uno standard; infatti, le varie compagnie,
proponendo diversi esempi di tecnologia run-flat, sembrano attuare delle strategie di ostruzione
contro le soluzioni dei competitori.
Concordemente con le teorie dell’evoluzione industriale basate sul ciclo di vita del prodotto, la
struttura oligopolistica del settore è soggetta ad un processo continuo di consolidamento, dato
l’ampliamento del divario tra le imprese di dimensioni maggiori e i piccoli-medi produttori.
Ciò è dovuto a molti fattori tra cui si ricordano la riconfigurazione dell’apparato distributivo e
l’introduzione dei nuovi sistemi che permettono di guadagnare vantaggio competitivo
aumentando le barriere all’entrata e rafforzando la relazione con i clienti principali.
31 Questa tendenza è stata seguita principalmente da Michelin (la cui proposta di adesione all’accordo per il Pax-system è ancora aperta): molto probabilmente, come afferma uno dei responsabili della distribuzione di Michelin Italia (Intervista del 7 settembre 2003), la compagnia ha attuato un’inversione di tendenza in seguito ad un investimento del passato, il cerchio antidetallonamento TRX, che non è andato a buon fine proprio per la mancanza di appoggio da parte dei concorrenti.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 224
5.5 Conclusioni
In questa sezione si è cercato di valutare:
- l’impatto dell’introduzione del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi sulle
competenze delle imprese adottatrici;
- la natura del legame tra innovazioni di processo e di prodotto;
- l’utilità del caso analizzato per riesaminare le teorie del ciclo di vita del prodotto.
Si è concluso che, concordemente alla teoria del ciclo di vita del prodotto, le due innovazioni
considerate non rappresentano una drastica rottura con il passato: infatti, la tecnologia del
pneumatico run-flat rimane sostanzialmente quella tradizionale e l’innovazione portata dai
nuovi sistemi produttivi, in generale, è applicata alle fasi e alle modalità costruttive del
processo tradizionale.
Il pneumatico run-flat ha inciso maggiormente nelle attività a valle della catena del valore degli
adotattori, portando una più ampia soddisfazione delle esigenze di utilizzatori finali e
costruttori di veicoli e modifiche alla rete di distribuzione, in seguito alla costituzione di un
network di assistenza agli automobilisti. Esso, quindi, ha creato un nuovo segmento di mercato,
destinato a rimanere tale, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente da Goodyear,
soprattutto per problemi legati ai costi, al comfort di guida e alle implicazioni sulla struttura del
veicolo.
L’innovazione a livello di sistema produttivo, invece, si è manifestata in diverse forme: i
sistemi di Goodyear e Continental si sono fermati ad un’automazione delle fasi critiche del
processo tradizionale mentre quelli di Pirelli, Michelin, Bridgestone e Sumitomo contengono
un grado innovativo maggiore, soprattutto grazie alla gestione integrata a flusso unico di tutte
le funzioni connesse con la fase di costruzione. Questi ultimi sistemi hanno inciso sia sulle fasi
a valle, come gestione dei clienti, distribuzione e logistica, che su quelle a monte,
comprendenti la tecnologia, il rapporto con i fornitori e con il personale. La loro adozione ha
reso necessaria un’elevata flessibilità a livello di impresa: infatti, si sono dovuti riconfigurare
dei collegamenti tra alcune funzioni aziendali (come progettazione e produzione), dal momento
che il sistema coinvolge tutte le fasi legate alla costruzione del prodotto, ed è risultato
necessario, almeno per Pirelli, estendere il range delle tecnologie con una possibile
applicazione nell’industria.
L’analisi effettuata nel capitolo ha permesso di concludere come non si possa individuare una
relazione consequenziale tra le due innovazioni: entrambe fanno parte di una strategia attuata
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 225
da tutte le compagnie per sopravvivere nel difficile ambiente competitivo nel quale sono
immerse, che mira ad un aumento dei profitti. Tale scopo può essere ottenuto concentrandosi
sui segmenti di mercato (pneumatici ad alta performance, run-flat,…) che, soddisfacendo delle
particolari esigenze degli utilizzatori finali, permettono prezzi maggiori e la diversificazione,
seppur minima, tra i marchi e ricercando una riduzione dei costi. I nuovi sistemi rappresentano
uno strumento molto efficace per raggiungere quest’ultimo fine: essi portano ad un
abbassamento dei costi di produzione, di manodopera, di energia e di magazzino e
semplificano la struttura degli apparati logistico e distributivo. Inoltre, essi possiedono una
flessibilità, sia relativamente ai volumi produttivi che alle caratteristiche, tale da sostenere la
produzione delle nicchie di prodotto.
Anche se le due innovazioni considerate sono comparse dopo molti decenni in cui non si
verificavano modifiche sostanziali a livello di prodotto e di processo produttivo, l’industria ha
sempre attribuito una considerevole importanza all’innovazione tecnologica e, nel corso degli
anni, ha saputo adeguare le metodologie di approccio ad essa; si possono leggere in tale ottica
l’estensione delle conoscenze verso molti campi precedentemente non connessi all’industria,
attuata attraverso brevetti propri, licenze e accordi e le forme di cooperazione con clienti e
fornitori. Ciò dimostra che anche un’industria oligopolistica può possedere al proprio interno
delle dinamiche interessanti, soprattutto a livello innovativo.
L’osservazione approfondita dell’industria del pneumatico ha permesso di concludere che in
essa si sta consolidando ulteriormente il divario tra piccoli-medi e grandi produttori; anche al
vertice si sta assistendo a modifiche in seguito alla formazione di due raggruppamenti legati
alla diffusione della tecnologia run-flat.
Questo capitolo conclude lo studio sull’industria del pneumatico e sulle sue ultime importanti
innovazioni: il sesto conclude proponendo un riassunto dei principali punti sviluppati.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 226
Appendice 5.1 – Impatto del pneumatico run-flat su tecnologia/prodotti e
clienti/mercati secondo la metodologia proposta da Abernathy e Clark (1985)
Per l’analisi sull’impatto dell’innovazione su tecnologia e prodotti esistenti e su clienti32 e
mercati, utilizzo lo studio di Abernathy e Clark (1985)33.
La valutazione dell’impatto dell’innovazione sui vari elementi che definiscono le competenze
nelle due dimensioni considerate avviene assegnando un punteggio da 1 a 5 nel caso il
cambiamento sia conservativo e da 6 a 10 se distruttivo (il punteggio 1 rappresenta il grado
maggiore di conservatività, mentre il 10 di distruzione). Considerando lo stesso peso per tutte
le determinanti delle competenze, si è ottenuto un punteggio medio, per quanto riguarda sia
l’aspetto legato alla tecnologia e ai prodotti che quello connesso con i clienti ed i mercati,
semplicemente con una media aritmetica.
Questa analisi presenta due limiti: prima di tutto il metodo è molto soggettivo e, in secondo
luogo, non si ha avuto la possibilità di confermare le osservazioni proposte attraverso interviste
con tecnici del settore.
IMPATTO SU TECNOLOGIA E PRODOTTI Competenze Punteggio Descrizione Design e modalità di incorporare la nuova tecnologia
6 Ricerca della compatibilità tra i componenti.
Sistemi di produzione e strutture e procedure organizzative
6 I pneumatici run-flat non hanno richiesto direttamente cambiamenti significativi al sistema produttivo, tuttavia l’aumento di flessibilità e qualità hanno portato alla costituzione di nuove competenze.
Skill di lavoro, manageriali e tecnici 6 Necessità di nuovi skill soprattutto a livello tecnico. Fornitura di materiali e relazione con i fornitori
7 I pneumatici run-flat hanno richiesto nuovi materiali, soprattutto di rinforzo e per il supporto rigido. Il cambiamento maggiore, però, riguarda i sensori per il monitoraggio della pressione.
Richiesta di investimenti in capitale 2 Non strettamente e direttamente richiesta. Conoscenza ed esperienza in possesso delle imprese
7 Nuove conoscenze in materiali, nel sistema di aggancio il pneumatico al cerchione e per i sensori per il controllo della pressione. Tuttavia le conoscenze alla base del prodotto rimangono quelle del pneumatico tradizionale.
Punteggio finale 5,66
32 Come già affermato nel quarto capitolo i clienti dei produttori di pneumatici sono tre: case automobilistiche, distributori ed utilizzatori finali. 33 In particolare faccio riferimento alla tabella 2 presentata a pag.5 dello studio.
Quinto Capitolo, Analisi strategica - 227
IMPATTO SU CLIENTI E MERCATI Competenze Punteggio Descrizione Relazione con il cliente e i mercati esistenti
9 Si instaurano modifiche nelle relazioni con tutti e tre i clienti: il prodotto tende a rafforzare il legame con gli utilizzatori finali che hanno un servizio aggiuntivo, con le case automobilistiche che possono offrire più tipologie di prodotto e hanno una pesante influenza sulla distribuzione.
Rapporto con la soddisfazione dei bisogni del cliente
7 Il prodotto soddisfa nuovi bisogni solo per quanto riguarda gli automobilisti ed in parte anche dei costruttori di automobili.
Canali di distribuzione e servizi post-vendita
9 Necessità di costruire un network di centri di assistenza e di dotare i distributori di macchinari ed addestramento particolari. Nel caso di forature particolari i produttori ritirano anche i pneumatici per una riparazione più accurata.
Conoscenze del cliente 7 I cambiamenti nelle conoscenze di maggior rilievo si presentano nei costruttori di autoveicoli, che devono modificare opportunamente i mezzi, e nei distributori.
Comunicazione con il cliente 8 Diventa più stretto il rapporto con i costruttori di automobili che si articola in forme di co-design. Anche le relazioni con i distributori cambiano per la necessità di avere centri di assistenza efficienti dislocati su tutto il territorio.
Punteggio finale 8
Sesto Capitolo, Conclusioni - 228
Sesto Capitolo
Conclusioni
Questo capitolo conclude la presentazione del lavoro effettuato riassumendone i principali
risultati e conclusioni.
Lo studio si è proposto di analizzare le dinamiche innovative dell’industria del pneumatico,
concentrando l’attenzione sull’ultimo quindicennio, che è stato caratterizzato da due importanti
innovazioni, il pneumatico run-flat, a livello di prodotto, ed i nuovi sistemi produttivi, per
quanto riguarda il processo di fabbricazione. Esse appaiono particolarmente significative in
quanto da molti anni su entrambi i fronti, prodotto e processo, non si era assistito a
cambiamenti sostanziali: infatti, alla fine degli anni’80 il pneumatico presentava
essenzialmente la struttura assunta in seguito all’introduzione della tecnologia radiale ed il
processo produttivo era basato su modalità e macchinari che, seppur rivisti successivamente,
risalivano agli anni’20.
Nello specifico nello studio si sono seguite tre linee di indagine. In primo luogo sono state
esaminate le caratteristiche delle due innovazioni ed il loro impatto sulle imprese adottatrici e
su altri attori operanti nel loro sistema competitivo, come clienti, fornitori, personale e
competitori. Secondariamente si sono valutate le loro relazioni, prendendo spunto dagli studi
riguardanti le interdipendenze reciproche tra tecnologie di prodotto e processo. Infine, le due
innovazioni sono state analizzate alla luce di un riesame delle teorie del ciclo di vita del
prodotto in base alle quali le industrie mature, come quella del pneumatico, dovrebbero essere
caratterizzate solo da miglioramenti incrementali, sia a livello di prodotto che di processo.
La ricerca volta al conseguimento degli obiettivi proposti si basa sia su un attento esame della
letteratura disponibile, riguardante sia studi di economia dell’innovazione che casi inerenti
l’industria, che su un lavoro sperimentale di raccolta di materiale settoriale ed è stata per lo più
realizzata allo Spru (Science and Technology Policy Research Unit) presso l’Università del
Sussex (Falmer, Regno Unito) nell’ambito del programma Erasmus; le considerazioni derivate
Sesto Capitolo, Conclusioni - 229
in seguito all’analisi effettuata sono state approfondite e rese più attinenti alla realtà dalle
informazioni raccolte attraverso alcune interviste in Pirelli.
Nel secondo capitolo, quindi, sono state esaminate le posizioni proposte dalla letteratura
esistente nell’ambito della diversificazione tecnologica, della classificazione delle innovazioni
e delle teorie sul ciclo di vita del prodotto.
Il terzo capitolo ha fornito una presentazione delle dinamiche che hanno determinato la
conformazione attuale del settore, ponendo in risalto la concatenazione degli eventi storici,
l’evoluzione della tecnologia, la concentrazione industriale e la storia di Pirelli.
Il settore del pneumatico ha assunto fin dalla nascita, alla fine del XIX secolo, un carattere
indipendente rispetto a quello della gomma al quale è sempre stato, comunque, profondamente
connesso: infatti, vi operavano sia imprese, come Goodyear, Firestone o Pirelli, altamente
focalizzate produttivamente che compagnie per cui il pneumatico era solo una delle tante linee
di prodotto, come Diamond Rubber o US Rubber.
Nel corso degli anni il pneumatico ha subito un processo di miglioramento continuo che ha
eliminato la quasi totalità delle pesanti inefficienze che avevano segnato i suoi primi anni di
sviluppo; pietra miliare di questo processo è stata l’introduzione del pneumatico radiale nel
1946 da parte di Michelin. Infatti, seppur basato su una diversa combinazione della tecnologia
esistente, il nuovo prodotto ha introdotto miglioramenti significativi nella performance ed ha
indotto dei profondi cambiamenti nella struttura dell’industria a causa delle difficoltà
riscontrate nella sua adozione da parte delle imprese americane.
Ora a livello di prodotto si possono sostanzialmente scorgere due linee di tendenza. In primo
luogo, accanto al pneumatico standard che da molti anni ha assunto una configurazione ben
precisa e delineata, si stanno formando delle nicchie di mercato che permettono una più
completa soddisfazione delle esigenze del consumatore (costituite, ad esempio, dai pneumatici
ad alta performance, per moto o run-flat). Secondariamente i produttori stanno estendendo la
propria attenzione a tutto il sistema ruota e alle connessioni con le altre parti del veicolo; le
aree di ingegnerizzazione e progetto, quindi, hanno assunto maggiore importanza e gran parte
del lavoro è svolto in collaborazione con clienti e fornitori.
Il processo produttivo, invece, si è sempre basato principalmente su modalità e macchinari
introdotti attorno agli anni’20. E’solamente a partire dagli anni’90 che, attraverso nuovi sistemi
altamente automatizzati, si sono potuti ottenere miglioramenti decisivi nei costi di produzione,
nella flessibilità e nella logistica degli impianti e si è potuta realizzare l’integrazione della fase
di fabbricazione con le altre ad essa collegate, come progettazione, sviluppo e distribuzione.
Sesto Capitolo, Conclusioni - 230
Il processo di evoluzione del pneumatico e del relativo sistema produttivo è stato
accompagnato da un percorso analogo nella struttura industriale. Inizialmente essa era
caratterizzata da molte imprese di diverse dimensioni, più o meno diversificate
produttivamente, operanti per lo più nel mercato domestico o nei paesi limitrofi. Oggi il settore
presenta una configurazione oligopolistica ed è dominato da dieci compagnie che detengono
circa l’85% del mercato (il 60% è posseduto dalle tre maggiori). La restrizione della
concorrenzialità nell’industria è stata determinata da diversi fattori: lo shakeout avvenuto negli
anni’20 negli Stati Uniti, l’espansione multinazionale di molte imprese, la crisi dell’industria
americana proprietaria e le conseguenti acquisizioni e fusioni che hanno caratterizzato gli
anni’70 e ’80. Tale processo si sta ulteriormente intensificando a causa del considerevole
vantaggio competitivo acquisito dai maggiori produttori grazie all’adozione dei nuovi sistemi
produttivi, all’attività nelle nuove nicchie di prodotto e ai cambiamenti realizzati nella struttura
distributiva.
Nelle prime sezioni del quarto capitolo si sono presentate le caratteristiche peculiari
dell’industria, ponendo una particolare attenzione all’aspetto innovativo.
Essa appare contraddistinta da due proprietà fondamentali: l’alto tasso di concentrazione e
l’elevata segmentazione a livello di prodotto. Il segmento su cui si concentra maggiormente lo
studio è quello dei pneumatici per veicoli passeggeri (che comprende anche gli autocarri
leggeri) nel quale le imprese operano in due mercati, quello del ricambio e quello degli
equipaggiamenti originali. I principali produttori tendono a focalizzarsi su quest’ultimo, anche
se offre profitti minori a causa della forte pressione delle case automobilistiche, degli elevati
standard qualitativi richiesti, del prezzo in continuo calo, dell’incremento dei costi e del
considerevole aumento nella durata del prodotto.
Negli ultimi anni il mercato è stato segnato da due importanti fattori. In primo luogo si è
verificato un processo di globalizzazione, grazie soprattutto all’espansione delle imprese
orientali in Occidente e alle molte acquisizioni verificatesi negli anni’70 e ’80, in conseguenza
al quale le imprese hanno assunto caratteristiche ed atteggiamenti molto simili.
Secondariamente è stato caratterizzato dalla saturazione dei mercati definiti “ad alto costo”
come l’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, per far fronte alla quale è iniziato un processo di
trasferimento della produzione verso zone “a basso costo”, come l’Est Europeo o il Sud
America.
Infine l’industria presenta elevate barriere all’entrata che, dato il suo stadio maturo, si
configurano maggiormente come barriere all’espansione competitiva dei piccoli-medi
Sesto Capitolo, Conclusioni - 231
produttori; esse sono determinate soprattutto dagli ingenti investimenti richiesti in produzione,
in distribuzione e nella gestione dei fornitori. Anche negli ultimi anni nell’industria l’innovazione ha continuato ad essere trainata dalla
domanda, o meglio da forze esterne, piuttosto che da determinanti interne. Infatti, dallo studio
effettuato emerge come le due innovazioni considerate siano state sostanzialmente determinate
dall’esigenza delle compagnie del settore di mantenere e consolidare la posizione competitiva
acquisita, in un contesto di continua modifica delle condizioni al contorno. Ad esempio, i
nuovi sistemi altamente automatizzati non sono stati introdotti appena il progresso tecnologico
nei campi della robotica, del software e dell’automazione l’avrebbe permesso, ma con un
considerevole ritardo.
Come già anticipato, quindi, in questi ultimi decenni lo scenario competitivo ha subito un
processo di continuo cambiamento. Il settore è stato caratterizzato da un costante aumento dei
costi, reso ancora più pesante dalla concorrenza di compagnie provenienti da paesi definiti “a
basso costo” sui mercati occidentali. I produttori di pneumatici hanno dovuto assecondare le
richieste dei consumatori finali, e, quindi, dei costruttori di veicoli, verso prodotti con maggiori
standard qualitativi e di performance (richieste non accompagnate, però, da una parallela
disponibilità ad incrementare il prezzo di acquisto), in quanto, essendo il prodotto una
commodity, la fidelizzazione del consumatore risulta una variabile di primaria importanza.
L’incremento del livello qualitativo si è reso necessario anche in seguito a delle disposizioni di
legge; ad esempio, negli Stati Uniti è stata introdotta la possibilità di obbligare i produttori al
ritiro dal mercato dei pneumatici ritenuti a rischio. Infine, come si è affermato sopra, l’industria
richiede elevati investimenti soprattutto nella gestione delle fasi produttiva e distributiva.
In accordo con le teorie del ciclo di vita del prodotto, le due innovazioni esaminate, pur avendo
introdotto un miglioramento abbastanza consistente rispetto al passato, non hanno rotto
l’equilibrio con la tecnologia e le competenze esistenti. I cambiamenti più significativi
apportati, soprattutto per quanto riguarda il pneumatico run-flat, riguardano le attività a valle
della catena del valore delle imprese adottatrici. Ad esempio, il nuovo prodotto ha reso
necessaria la costituzione di una rete di centri di assistenza con delle specifiche competenze ed
attrezzature per la fase di riparazione ed i nuovi sistemi produttivi, facilitando la gestione delle
variazioni della domanda (sia relativamente a volume d’ordine che alla variabilità delle
caratteristiche), hanno semplificato il rapporto con il cliente finale, con una diminuzione del
peso dei distributori indipendenti.
I cambiamenti nel processo produttivo, che rimane basato sostanzialmente sulle fasi principali
del processo tradizionale, hanno inciso anche a livello di tecnologia, di gestione del personale e
Sesto Capitolo, Conclusioni - 232
dei fornitori. Essi potrebbero essere definiti una sorta di innovazione architetturale, facendo
riferimento allo studio di Henderson e Clark (1990), su due livelli. Infatti, dalle interviste
effettuate in Pirelli è emerso che essi hanno portato ad una rivisitazione dell’architettura della
compagnia, richiedendo una ridefinizione dei collegamenti tra alcune delle funzioni aziendali,
e di quella del prodotto, avendo agito sulla complessa relazione tra elementi di progetto e
parametri di performance del prodotto.
Lo studio dell’attività innovativa nel settore attraverso l’analisi integrata delle spese in R&S,
dei brevetti richiesti, degli accordi stipulati, della soddisfazione del consumatore e dell’attività
nei segmenti racing e HP, ha portato ad importanti considerazioni sul rapporto tra industria e
innovazione.
Innanzitutto, concordemente con la visione di impresa dell’economia evolutiva, il processo
innovativo risente dell’esperienza passata di ogni organizzazione: ad esempio, esaminando la
storia delle compagnie, emerge come Michelin si sia dedicata allo sviluppo della tecnologia
radiale fin dai primi decenni del 1900 e come Goodyear, fin dalla sua fondazione, abbia
investito risorse nella ricerca di una tecnologia efficiente con proprietà run-flat.
In secondo luogo le imprese hanno assunto un ruolo più attivo nell’acquisizione di tecnologia,
proveniente anche da campi non strettamente connessi all’industria, soprattutto attraverso
attività di sviluppo congiunto con clienti e fornitori, accordi e joint-venture, ricerca propria e
licenze; un outsourcing passivo porterebbe al mancato ottenimento delle conoscenze necessarie
per gestire in modo competitivo le tecnologie acquisite e renderebbe le compagnie troppo
dipendenti dai fornitori. Quindi, lo studio ha verificato come la diversificazione tecnologica sia
una delle forze principali per la competitività; nell’industria essa permette di rendere i prodotti
ed i processi più efficienti, attraverso l’uso di diverse tecnologie, di rafforzare il legame con gli
altri elementi della supply-chain, come i fornitori, e di ampliare il proprio campo di azione a
livello produttivo (ad esempio, Continental mira a diventare un fornitore completo per
l’industria automotiva). L’analisi effettuata ha portato alla conferma anche del ruolo dei
produttori di pneumatici di system integrators per l’industria: essi si occupano di integrare nel
prodotto delle tecnologie provenienti da un vasto numero di campi e di mantenere relazioni
strette, attraverso lo scambio tecnologico, con gli altri attori operanti nel loro sistema
competitivo.
La flessibilità a livello di organizzazione, quindi, si rivela una delle variabili fondamentali per
l’ottenimento di un vantaggio competitivo, come emerge da molti studi presentati nel secondo
capitolo. L’analisi realizzata ha dimostrato come la tecnologia ed il grado di innovazione
incorporati nei vari sistemi produttivi introdotti in questi ultimi anni siano piuttosto diversi: da
Sesto Capitolo, Conclusioni - 233
ciò si può ipotizzare che il vantaggio o lo svantaggio incontrato nello sviluppo di questi nuovi
sistemi i possa essere determinato dal grado di flessibilità insito nelle varie imprese e che in
futuro possa portare ad incisive modifiche nel gruppo al vertice del settore. Infatti, molto
spesso le compagnie falliscono perché non sanno attuare il processo di trasferimento della
tecnologia nei prodotti, attività in cui è incorporata la definizione stessa di impresa secondo
Pavitt (1998).
Le teorie sul ciclo di vita dell’industria (direttamente discendenti da quelle del ciclo di vita del
prodotto) identificano la fase matura come un periodo di progressiva contrazione e decadenza;
al contrario, lo studio effettuato dimostra come le condizioni al contorno, che incidono
pesantemente sull’andamento del settore, siano in continua evoluzione e, di conseguenza, come
le imprese operanti abbiano sviluppato delle dinamiche evolutive ben precise che rendono
l’industria tutt’altro che statica.
Cronologia - 234
Allegato 1
Cronologia
Inizio 19° secolo
Gli europei iniziano ad interessarsi al caoutchouc: sostanza liquida ottenuta dalla corteccia degli alberi e dalle viti in Sud America, usata dagli abitanti della foresta amazzonica per indumenti e protezione per i piedi.
1811 J.N Reithoffer inizia il commercio del caoutchouc in Europa. In US è conosciuto grazie ad un
mercante di Boston che inizia ad importare scarpe dal Sud America. Iniziano molti esperimenti per migliorarne le caratteristiche (problemi di cattivo odore e alta sensibilità alle proprietà termiche).
1839 C.Goodyear inventa il processo di vulcanizzazione che consiste nello scaldare la gomma con
solfuro e piombo bianco a 270 F in modo da renderla flessibile, impermeabile e resistente alle diverse temperature. In seguito A.Parkes brevetta un processo a freddo.
1846 R.W.Thomson brevetta l’ “aerial wheel”: gomma o gutta-percha gonfiata attraverso una valvola e
infilata in un fodero di cuoio ma non ebbe molta applicazione. 1870 Nasce negli Stati Uniti BFGoodrich. 1871 Nasce Continental in Germania. 1872 Nasce Pirelli in Italia. 1878 A. Pope introduce in US la bicicletta, nata in Francia. Inizialmente le ruote erano di legno col
cerchione contornato in ferro ma presto sorgono delle necessità di miglioramenti della sua comodità partendo dal contatto col terreno. Una prima soluzione è rappresentata dall’utilizzo di gomma solida.
1888 J.B. Dunlop (Dublino) inventa il pneumatico per la bicicletta, cioè una gomma con all’interno aria
in pressione. Seguono una serie di miglioramenti soprattutto per renderne più facile il ricambio. Nasce Dunlop in UK. 1889 In US gli impianti specializzati nella produzione della gomma crescono a 167 (nel 1959 erano 27).
Essa inizia ad avere impieghi anche nel nascente settore elettrico e in campo medico (dentale). Nasce Michelin in Francia. 1890 Pirelli inizia a produrre pneumatici per biciclette 1891 Michelin brevetta il primo pneumatico smontabile. 1895 In Francia Michelin inizia a creare pneumatici per automobili e a pubblicizzarli nelle varie
competizioni. I pneumatici solidi iniziano a scomparire. 1896 Goodrich fabbrica il primo pneumatico per automobili dando inizio all’industria dell’automobile in
US. 1898 Nasce Goodyear Tire&Rubber in US ad opera dei fratelli Seiberling e con essa tutta una serie di
nuove compagnie.
Cronologia - 235
1900 Inizia a decadere la bicicletta e tutti cercano di concentrarsi sui pneumatici per automobili e simili con gli opportuni adattamenti. Entrano nuove imprese limitate dalla necessità di skill specifici data la rilevante presenza di processi manuali.
Nasce Firestone negli Stati Uniti. 1903 Goodyear brevetta il primo pneumatico tubeless, cioè senza camera d’aria interna. Primo pneumatico per aereo. 1904 Goodyear presenta il primo pneumatico con battistrada disegnato. 1905 Pirelli inizia a produrre pneumatici per auto in ritardo rispetto ai competitori europei dal momento
che è lenta anche la stessa industria automobilistica italiana. 1906 Michelin apre uno stabilimento in Italia, a Torino. 1907 Michelin entra nel mercato americano (New Jersey) ma vi rimane solo fino al 1930. 1908 Prime introduzioni di disegni sul battistrada per migliorare l’aderenza. Ford preme per avere fornitori di pneumatici fissi. 1909 Iniziano ad essere introdotte le prime macchine per la costruzione dei pneumatici, come la Core
Tire Building Machine per assemblaggio, brevettata da Goodyear. Questo segna l’inizio della produzione di massa.
Nasce Sumitomo Rubber in Giappone. 1910 Introduzione del cord tire per diminuire l’attrito e il surriscaldamento. Cambiamenti nel design del pneumatico: aumento delle dimensioni, diminuzione della quantità di
aria in pressione e adozione del colore nero rispetto al bianco-grigio precedente. Forte crescita del settore in US dove hanno la meglio Goodyear e Firestone che sono le imprese più
specializzate in pneumatici. Comunque inizia un abbassamento dei prezzi e dei profitti con conseguente potenziamento delle barriere all’entrata.
1912 Goodrich acquisisce Diamond Rubber. 1913 Grey e Sloper della Palmer Tyre Company (UK) inventano la tecnologia radiale ma bisogna
aspettare 30 anni per la commercializzazione. Michelin inventa la ruota di acciaio smontabile che permette così l’introduzione della ruota di scorta
sull’automobile. 1914 Nasce Cooper Tire in US. 1916 L’industria inizia a risentire degli effetti della prima guerra mondiale e della conseguente
recessione. In Europa vengono distrutte alcune piantagioni di gomma ma il mercato americano non ne risente. Si aprono anche nuovi spazi nel settore della gomma legati alla produzione militare. Ciò svantaggia compagnie come Goodyear e Firestone che sono altamente specializzate. La recessione causa una diminuzione dei prezzi delle materie prime: le piccole imprese cercano di trarne vantaggio per emergere mentre le grandi hanno molte perdite di valore nei magazzini. Goodyear è vicina alla bancarotta. Il settore, però, è trainato dall’aumento della domanda di automobili.
Brevettato il Banbury mixer per mescolare i componenti chimici da parte di F.H.Banbury dipendente di una fonderia di Birmingham dove si producevano macchinari anche per il settore del pneumatico.
1919 Brevettata la Drum Tire Building Machine per l’assemblaggio da parte della US Rubber. 1920 Introduzione del cross-play tyre e del low-pressure tyre. Iniziano a prevalere le grandi imprese sulle piccole dando inizio ad una competizione oligopolistica. Nasce Bridgestone in Giappone. 1923 Introduzione dei baloon tyre da parte di Firestone.
Cronologia - 236
1928 Michelin brevetta i pneumatici tubeless. 1929 Le compagnie petrolifere entrano nella vendita al dettaglio dei pneumatici.
Grande Depressione che causa la diminuzione dei prezzi dei pneumatici, delle automobili e delle materie prime. Le compagnie iniziano a diversificarsi verso mercati collegati al settore della gomma.
1930 Michelin acquisisce Citroen incapace di pagare i debiti contratti nei suoi confronti. I lavoratori negli Stati Uniti iniziano ad organizzarsi in associazioni, ad esempio la URW (United
Rubber Workers). 1933 Viene inventata la gommapiuma. Accordo tra Pirelli, US Rubber e Dunlop per sfruttare i rispettivi
brevetti nel campo. 1935 Goodyear acquisisce Kelly Springfield. 1937 Michelin introduce il metal tire. Pirelli è la prima società italiana ad essere quotata allo Stock Exchange di New York. 1938 US Rubber (poi denominata Uniroyal) acquisisce Fisk Rubber Co. Pirelli inizia ad introdurre il rayon come materiale per le carcasse al posto del cotone. 1939 Accordo di Pirelli con IRI per la produzione di gomma sintetica a Milano Bicocca. 1945 Nasce Toyo Tire&Rubber in Giappone. 1946 Michelin brevetta il pneumatico radiale. 1947 Goodyear costruisce i primi pneumatici di nylon. 1948 Michelin introduce i pneumatici radiali sul mercato. 1951 Pirelli brevetta la sua versione di pneumatici radiali aventi le fasce di rayon (cinturato). Essi sono
introdotti sul mercato a partire dal 1953. 1956 Pirelli sospende la produzione di pneumatici da corsa. 1957 Goodyear introduce l’Air Spring, un pneumatico in grado di assorbire meglio le vibrazioni
trasmesse dal terreno. 1960 Continental inizia a produrre pneumatici radiali. I pneumatici radiali diventano standard come equipaggiamento originale di tutti i nuovi veicoli in
Europa. Nasce Kumho Tires in Corea 1962 Primo pneumatico radiale prodotto da Bridgestone, sia per automobili che per autocarri. 1963 Pirelli inizia a produrre in Germania dopo aver acquisito Weith Gummiwerke AG proprietaria
dell’impianto di Breuburg. 1965 Fallimento di Goodrich nel tentativo di produrre i pneumatici radiali. 1966 Primo pneumatico radiale per Sumitomo. 1968 Collaborazione tra Pirelli, Continental e Dunlop per la ricerca sui pneumatici. Alleanza che
permane fino al 1969 e punta a contenere i costi della rivoluzione tecnologica verso i pnaumatici radiali.
1969 Northwest Ind. tenta di acquisire Goodrich.
Cronologia - 237
1970 Idea di Pirelli, Dunlop e Continental, supportate da Michelin, di formare un’unica compagnia, la Tires Europe, per contrastare l’espansione americana e giapponese nel mercato europeo. L’unione fallisce perché Dunlop è in crisi economica e Continental preferisce investire per acquistare Uniroyal Europa.
Unione di Pirelli con la Dunlop che dura fino al 1981. 1973 Prima crisi petrolifera. Inizio della conversione alla tecnologia radiale negli Stati Uniti. 1976 Michelin rientra nel mercato statunitense (South Carolina) e grazie alla tecnologia radiale ottiene
contratti con Ford che finora si era affidato solo all’industria americana. Goodyear introduce i season tyre adatti ad ogni stagione e condizione di terreno. Oltre a Michelin nell’industria americana entra un’altra impresa europea, IRI, grazie allo spazio
dato dalla tecnologia radiale; essa, però, dura solo 6 anni. 1976-1987 Chiusura di numerosi impianti da parte di Goodrich, Goodyear, Uniroyal, Firestone, General Tire. 1979 Seconda crisi petrolifera e dell’industria automobilistica americana a causa dello spostamento dei
gusti dei consumatori, in parte dovuto alla crisi petrolifera stessa, verso veicoli di minori dimensioni. Conseguente entrata di Giapponesi.
1981 Pirelli inizia l’impiego di tecnologie CAD/CAM per pneumatici. Goodrich esce dall’ OE. 1982 Accordo tra Firestone e Bridgestone per l’impianto di Lavergne (Tenn.). 1983 Goodyear e Pirelli annunciano un cerchione asimmetrico per tenere il pneumatico agganciato al
cerchione. Primo radiale per moto in assoluto, introdotto da Pirelli (MP7). Acquisizione da parte di Goodyear di Celeron Corporation. 1985 Sumitomo cerca di acquisire Dunlop. Attacco ostile anche ad Uniroyal da parte di C.Icahn. 1986 Fusione tra Goodrich e Uniroyal (possibile perché la prima era uscita dal mercato degli OE). Tentativo di scalata di Goldsmith a Goodyear. 1987 Continental Tires compra General Tires. Joint-venture tra Continental, Toyo e Yokohama nell’impianto di Mt.Vernon (Illinois) per la
produzione di pneumatici commerciali per il mercato Nord Americano che dura fino al 1991. 1988 Bridgestone acquisisce Firestone scavalcando Pirelli. Pirelli compra Armstrong Tire. Yokohama entra nella joint-venture tra General Tire e Toyo Tire nell’impianto di Mt.Vernon
(Illinois). 1989 Continental e la compagnia portoghese Marbor stipulano una joint-venture per la produzione di
pneumatici a Lousado/Oporto. 1990 Michelin acquisisce Uni-Goodrich e può espandere la produzione di pneumatici per il settore aereo. Pirelli cerca di attaccare Continental subendo un fallimento. Cooper compra l’impianto di Albany di Firestone. 1991 Goodyear lancia l’Aquatread. 1992 Goodyear introduce i pneumatici run-flat basati sulla tecnologia EMT per la Corvette. Michelin brevetta il green tire. 1993 Il run-flat di Goodyear è di standard sulla Chevrolet Corvette.
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1994 Michelin introduce il PAV (Vertical Ancorage Tyre). 1996 Pirelli stabilisce a Beuberg, in Germania, la Flexy-minifactory, una sorta di predecessore del MIRS. Accordo tra Michelin e Continental per la produzione di pneumatici da vendere ai piccoli
distributori privati. 1997 Pirelli inizia a sviluppare il MIRS. Michelin introduce la sua versione di pneumatici run-flat. 3 Sears Group introduce un nuovo sistema di produzione con lo scopo di venderlo ai costruttori di
pneumatici, basato sulla tecnologia sviluppata da Dunlop negli anni’80. 1998 Michelin introduce il Pax-system. Goodyear introduce l’Impact. Sviluppo di un nuovo sistema di pneumatici out-of-road per il lavoro nelle miniere dotato di
particolari sensori. Bridgestone introduce la sua versione di pneumatici run-flat. Cooper acquisisce Avon Tire specializzata nella produzione di pneumatici per auto da gara e di
lusso. Dunlop è venduta a Sumitomo. Goodyear esce dal segmento della Formula Uno. Nel 1999 l’unico fornitore rimane Bridgestone. 1999 Partnership tra Pirelli e Michelin per lo sviluppo del Pax-system. Joint-venture tra Sumitomo e Goodyear riguardante anche la gestione del marchio Dunlop. Alleanza tra Cooper e Pirelli per usare un sistema multi-marca per espandersi geograficamente. Kumho introduce i pneumatici run-flat. Continental introduce i pneumatici run-flat. 2000 Joint-venture tra Michelin e Goodyear per il Pax-system e la tecnologia run-flat. Accordo tra Michelin e Foco. Pirelli, Continental, Bridgestone, Cooper, Goodyear, Michelin e Sumitomo sviluppano un sito web
per attività di rifornimento. Alleanza tra Goodyear e Phase IV Engineering. Joint-venture tra Goodyear e Cycloid Company. MIRS in uso a Milano Bicocca (l’annuncio di questo lancio risale al 1999). Primo pneumatico run-flat per Pirelli (Eufori@). Joint-venture tra Continental Tire e Nisshimbo. Massiccio ritiro dal commercio (6,5 milioni di unità) di pneumatici prodotti da Firestone-
Bridgestone che equipaggiavano il SUV Ford Explorer. Pirelli sviluppa il primo pneumatico al mondo progettato specificatamente per essere venduto sul
world wide web in Europa (P2500 Euro). 2001 Joint-venture tra Goodyear e AmeriTyre per lo sviluppo di un nuovo polimero. Accordo tra Michelin e Sumitomo per lo sviluppo del Pax-system. Pirelli acquisisce Olivetti attraverso SVA Olimpia. In novembre viene installato il MIRS nell’impianto di Beuberg in Germania. Fine del rapporto privilegiato di fornitura tra Ford e Firestone. Michelin ottiene il primo posto tra tutti i produttori mondiali di pneumatici, sia nel segmento OE
che in quello del ricambio, nella classifica stilata da JDPower inerente la soddisfazione del consumatore.
2002 Accordo tra Continental e Bridgestone per dividere le conoscenze sulla tecnologia run-flat. Alla fine
dell’anno anche Yokohama entra in questo accordo. Il MIRS viene installato all’impianto di Burton-on-Trent (UK) e in Nord America, nell’impianto di
Rome, in Georgia. Pirelli introduce il MIRS moto a Milano Bicocca e a Beuberg (Germania). Il Pax-system è di standard sulla Renault Scenic in Francia. Goodyear introduce negli impianti tedeschi il Rfsam per la produzione di pneumatici run-flat e Pax-
system. Pirelli introduce il CCM, un completamento del MIRS a Milano Bicocca.
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Sumitomo introduce il Taiyo nell’impianto di Shirakawa in Giappone (lo sviluppo del prototipo era iniziato nel 1996 e terminato nel 2000).
2003 Annunciato che dal 2004 i run-flat costruiti da Bridgestone e Dunlop saranno di serie sulla Toyota
Sienna Minivan. Il Pax-system di Goodyear è scelto per equipaggiare la Audi Pikes Peak. Negli Stati Uniti è promosso il Tread Act che impone che dal 2004 tutti i nuovi veicoli siano
equipaggiati da sistemi di rilevamento della pressione dei pneumatici. Accordo tra Michelin e Hankook per lo sviluppo del Pax-system e per permettere alla compagnia
francese un’espansione in Asia. Goodyear e Michelin iniziano a lavorare in joint-venture allo sviluppo di un nuovo tipo di
pneumatico run-flat che sarà completato in 18 mesi. Joint-venture tra Continental e Yokohama. Goodyear inizia a produrre run-flat e Pax-system a Fulda, in Germania. Cambiamento al vertice di Goodyear: dal primo gennaio Gibara lascia il posto a Keegan.
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Ing. Ponta Thomas, Pirelli Labs, Milano 16 dicembre 2003
Ing. Sgalari Giorgia, Competitive Analyst, Milano 18 dicembre 2003