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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA FACOLTÀ DI INGEGNERIA CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA GESTIONALE TESI DI LAUREA L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELL’INDUSTRIA DEL PNEUMATICO: L’ IMPATTO DEL PNEUMATICO RUN-FLAT E DEI NUOVI SISTEMI PRODUTTIVI Relatore: Ch. mo Prof. FRANCESCO LISSONI Correlatore: Ch. mo Prof. STEFANO BRUSONI Laureando: ELENA ANDREOLLI Matricola N. 037290 ANNO ACCADEMICO 2002/2003

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA FACOLTÀ DI INGEGNERIA … · 2015-10-01 · universitÀ degli studi di brescia facoltÀ di ingegneria corso di laurea in ingegneria gestionale

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA FACOLTÀ DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA GESTIONALE

TESI DI LAUREA

L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELL’INDUSTRIA DEL PNEUMATICO:

L’ IMPATTO DEL PNEUMATICO RUN-FLAT

E DEI NUOVI SISTEMI PRODUTTIVI

Relatore:

Ch. mo Prof. FRANCESCO LISSONI

Correlatore:

Ch. mo Prof. STEFANO BRUSONI

Laureando:

ELENA ANDREOLLI

Matricola N. 037290

ANNO ACCADEMICO 2002/2003

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Ai miei genitori,

Ines e Gianni,

per come mi hanno sempre saputo

stare vicino, supportare

ed indirizzare con il loro esempio.

“… Ma là m’intesi favellar pur anco d’un gran mondo di gloria e di dottrina; e per vederlo uscii da le mie rive…” G.Prati (Psiche)

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Ringraziamenti

Prima di presentare la mia tesi di laurea intendo ringraziare chi ha contribuito alla sua

riuscita.

Un ringraziamento particolare è diretto al prof. Francesco Lissoni per aver curato lo scambio

Erasmus con l’Università del Sussex e per la competenza e l’attenzione con le quali mi ha

seguito nel lavoro di tesi e al dott. Stefano Brusoni, mio punto di riferimento durante la

permanenza allo Spru, per l’aiuto e l’esperienza messi a disposizione.

Ringrazio tutti i professori, i ricercatori e gli studenti con i quali sono entrata in contatto allo

Spru: in modo particolare ricordo la dott.ssa Virginia Acha per la disponibilità e l’esperienza

nel seguire il mio lavoro e il prof. Nick Von Tunzelmann per i preziosi consigli.

Un altro grazie va alla Pirelli Spa di Milano Bicocca per aver permesso la realizzazione delle

interviste che sono diventate una parte significativa del lavoro sperimentale della tesi; sono

grata specialmente all’ing. Renato Caretta, all’ing. Giorgia Sgalari e all’ing. Thomas Ponta

per il tempo che mi hanno dedicato.

Inoltre, sono riconoscente all’Isu, l’Ufficio per il Diritto allo Studio dell’Università di Brescia,

per avermi offerto, con i servizi messi a disposizione agli studenti, la possibilità di affrontare

con serenità gli anni di università e di vivere in un ambiente stimolante nel quale ho potuto

conoscere nuove culture e stringere importanti amicizie.

Non da ultimo esprimo la mia più sincera gratitudine alla mia famiglia per il supporto ricevuto

in tutti questi anni.

Elena Andreolli

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Indice - 1

Indice

Pag.

Primo Capitolo: Introduzione……………………………………………………... 5

Secondo Capitolo: Classificazione delle innovazioni e teoria sul ciclo di vita del prodotto: letteratura di riferimento…………………………………….. 10

2.1 Alcune definizioni di “conoscenza” nella letteratura economica e organizzativa

recente……………………………………………………………………………….. 12

2.2 La diversificazione tecnologica…………………………………………………….... 14

2.3 La classificazione delle innovazioni…………………………………………………. 16

2.3.1 Innovazioni di prodotto o di processo?…………………………………….. 17

2.3.2 Innovazioni tecnologiche: impatto sulle imprese………………………….. 17

2.3.3 Innovazioni tecnologiche: impatto sulla struttura industriale (imprese

insediate vs nuovi entranti)……...…………………………………………. 22

2.4 Il ciclo di vita del prodotto…………………………………………………………... 27

2.4.1 Modelli di ciclo di vita del prodotto……………………………………….. 27

2.4.2 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura

dell’industria……………………………………………………………….. 30

2.4.3 Lo shakeout……………………………………………………………….... 31

2.4.4 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura del mercato.. 33

2.5 Conclusioni…………………………………………………………………………... 35

Terzo Capitolo: L’industria del pneumatico 1888-2003: eventi, tecnologia e concentrazione……………………………………………………………………… 37

3.1 I primi passi dell’industria del pneumatico……………………………………….…. 39

3.1.1 La nascita dell’industria e le prime innovazioni tecnologiche……………... 39

3.1.2 Lo shakeout nell’industria statunitense…………………………………….. 45

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Indice - 2

3.1.3 L’industria tra le due guerre mondiali……………………………………... 48

3.2 La rivoluzione radiale………………………………………………………………... 51

3.2.1 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Europa ed Asia……………………. 51

3.2.2 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Nord America……………………... 52

3.3 I cambiamenti più recenti……………………………………………………………. 60

3.4 Pirelli: 1872-2003……………………………………………………………………. 63

3.4.1 Uno sguardo alla storia della compagnia…………………………………... 63

3.4.2 Le forze che hanno guidato la compagnia…………………………………. 65

3.4.3 Pirelli oggi………………………………………………………………….. 67

3.5 Conclusioni…………………………………………………………………………... 70

Appendice 3.1: Il pneumatico………………………………………………………….. 72

Appendice 3.2: La tecnologia radiale………………………………………………….. 74

Quarto Capitolo: Gli oggetti dello studio: il pneumatico run-flat ed i nuovi sistemi produttivi……………………………………………………………... 77

4.1 Lo scenario competitivo……………………………………………………………... 79

4.1.1 Caratteristiche dell’industria……………………………………………….. 79

4.1.2 Le imprese del settore…………………………………………………….... 85

4.2 L’innovazione nell’industria del pneumatico………………………………………... 96

4.2.1 La ricerca e sviluppo nell’industria………………………………………... 96

4.2.2 Analisi dei brevetti…………………………………………………………. 99

4.2.3 Joint-venture ed alleanze…………………………………………………... 102

4.2.4 La soddisfazione del consumatore…………………………………………. 112

4.2.5 Pneumatici da competizione e ad alta performance……………………….. 114

4.3 Il pneumatico run-flat………………………………………………………………... 116

4.3.1 Introduzione del pneumatico run-flat: storia e strategie…………………… 116

4.3.2 Le tecnologie run-flat presenti sul mercato………………………………... 119

4.3.3 Le tecnologie correlate: i sistemi per il monitoraggio della pressione…….. 127

4.3.4 Il mercato dei run-flat……………………………………………………… 128

4.4 Il sistema produttivo………………………………………………………………… 136

4.4.1 Il sistema di produzione tradizionale……………………………………… 136

4.4.2 L’ Impact di Goodyear……………………………………………………. 138

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Indice - 3

4.4.3 Il MIRS di Pirelli…………………………………………………………… 139

4.4.4 Il C3M di Michelin………………………………………………………… 141

4.4.5 Altre tecnologie nei sistemi di produzione………………………………… 142

4.5 Gli impianti produttivi………………………………………………………………. 144

4.6 Analisi brevettuale …………………………………………………………………... 148

4.6.1 I dati relativi a Pirelli………………………………………………………. 149

4.6.2 Le classi tecnologiche di maggiore interesse per Pirelli…………………… 150

4.6.3 Brevetti di Pirelli relativi al pneumatico run-flat e al

MIRS………………………………………………………………………... 155

4.6.4 Uno sguardo all’attività innovativa dell’intera industria attraverso l’analisi

dei brevetti…………………………………………………………………. 157

4.6.5 Le classi tecnologiche di interesse per l’industria…………………………. 159

4.6.6 Allegati……………………………………………………………………... 165

4.7 Conclusioni…………………………………………………………………………... 183

Appendice 4.1: Tabelle riassuntive riguardo le tecnologie run-flat e i sistemi di

produzione presenti oggi sul mercato………………………………… 185

Quinto Capitolo: Il pneumatico run-flat ed i nuovi sistemi di produzione: analisi strategica……………………………………………………………………… 189

5.1 Il pneumatico run-flat e gli adottatori: azione sulle competenze esistenti…………... 191

5.1.1 La tecnologia, il relativo processo di acquisizione ed il rapporto con i

fornitori……………………………………………………………………... 193

5.1.2 Il sistema produttivo………………………………………………………... 198

5.1.3 La gestione dei clienti, la struttura distributiva e il mercato……………….. 199

5.1.4 Le tecniche di gestione ed organizzazione aziendale………………………. 200

5.2 I nuovi sistemi produttivi e gli adottatori: azione sulle competenze esistenti……….. 202

5.2.1 La tecnologia ed il rapporto con i fornitori………………………………… 204

5.2.2 Il personale: addetti alla produzione, tecnici e management..……………… 208

5.2.3 La gestione dei clienti e delle strutture logistica e distributiva…………….. 209

5.2.4 Le tecniche di organizzazione della produzione e la struttura aziendale…... 210

5.3 Il pneumatico run-flat e i nuovi sistemi produttivi…………………………………... 212

5.3.1 Le strategie che hanno guidato l’introduzione del pneumatico run-flat……. 212

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Indice - 4

5.3.2 Le strategie che hanno guidato l’introduzione dei nuovi sistemi produttivi.. 214

5.3.3 Analisi delle relazioni tra le due innovazioni………………………………. 216

5.4 Un confronto con le teorie del ciclo di vita del prodotto…………………………….. 219

5.4.1 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di

prodotto……………………………………………………………………... 219

5.4.2 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di

industria…………………………………………………………………….. 221

5.5 Conclusioni…………………………………………………………………………... 224

Appendice 5.1: Impatto del pneumatico run-flat su tecnologia/prodotti e

clienti/mercati secondo la metodologia proposta da Abernathy e

Clark (1985)…………………………………………………………… 226

Sesto Capitolo: Conclusioni……………………………………………………….. 228

Allegato 1 : Cronologia………………………………………………………………….. 234

Bibliografia………………………………………………………………………………. 240

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Primo Capitolo, Introduzione - 5

Primo Capitolo

Introduzione

Questa tesi di laurea si focalizza sullo studio dell’industria del pneumatico1 dal punto di vista

dell’innovazione tecnologica. Si tratta di un settore tradizionale che è stato caratterizzato, fin

dall’inizio, da una serie di eventi significativi e stimolanti per analisi più approfondite.

Attualmente il settore è tra i più concentrati: nel 2001 l’80% dei pneumatici venduti è stato

prodotto dalle 10 maggiori imprese. Questo elevato tasso di concentrazione ha permesso di

considerare nello studio solo l’attività delle cosiddette “top 10”.

Tradizionalmente l’innovazione nell’industria ha sempre seguito più le sollecitazioni della

domanda che l’iniziativa dell’offerta e si è manifestata più attraverso miglioramenti

incrementali di prodotti e processi produttivi esistenti che per mezzo di introduzioni di

un’entità tale da creare una sorta di rottura nelle competenze di produttori e consumatori.

Tuttavia, in questi ultimi anni, l’approccio delle maggiori compagnie del settore nei confronti

della tecnologia ha subito alcune modifiche: esse stanno diversificando il range delle loro

conoscenze tecnologiche verso campi non direttamente collegati al proprio, come quello

elettronico, meccanico, chimico e tessile. Facendo riferimento alla definizione usata da

Brusoni, Perencipe e Pavitt (2001), possiamo affermare che esse hanno assunto un ruolo di

system integrators, cioè, ampliando i confini delle proprie conoscenze tecnologiche, esse

possono gestire meglio i loro prodotti, che inglobano un numero sempre crescente di

tecnologie che vanno integrate con quelle già esistenti, e tutte le loro connessioni interne e con

gli altri elementi della catena del valore2.

Questo fenomeno ha avuto un significativo impatto sul prodotto che non ha più una natura a sé

stante ma è diventato un elemento di un sistema ben più ampio e complesso costituito dalla

ruota e dalle parti di ancoraggio al veicolo.

1 Per migliorare la leggibilità dello studio presentato si è scelto di preferire la forma “il pneumatico” a quella “lo pneumatico” dal momento che oggi risulta ampiamente utilizzata sia nella letteratura autorevole che giornalistica. 2 Per catena del valore di un prodotto si intende l’insieme delle attività (approvvigionamento, gestione delle risorse umane, produzione, R&S, marketing, distribuzione, logistica e servizi) che conferiscono valore al prodotto stesso, comprensive dei rapporti con fornitori e clienti.

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Primo Capitolo, Introduzione - 6

Il progresso tecnico3 è da considerarsi uno strumento di concorrenza fondamentale a

disposizione delle imprese, in quanto permette l’ottenimento di un vantaggio tecnologico che si

realizza in una posizione privilegiata in termini di costi e nella possibilità di diversificazione

del prodotto. In un settore come quello del pneumatico esso assume un’importanza ancora più

rilevante dal momento che il vantaggio sui concorrenti si fonda principalmente su questi due

elementi. Il progresso tecnico è derivato soprattutto da attività dedicate ed interne alle

organizzazioni attraverso le quali esse accumulano le conoscenze e le capacità necessarie per il

successo competitivo, come sottolineano Nonaka e Takeuchi (1999); esso, quindi, diventa una

variabile endogena che deve essere controllata e potenziata.

L’importanza del progresso tecnico in economia è supportata in modo particolare dagli

economisti evolutivi4 per i quali l’introduzione e la conseguente diffusione delle innovazioni

sono il motore fondamentale che guida, non solo il miglioramento della posizione competitiva

delle imprese, ma anche la crescita economica e lo sviluppo di intere industrie e paesi.

Il continuo cambiamento nella tecnologia, al giorno d’oggi, tende a caratterizzare l’ambiente,

sempre più complesso, in cui operano le organizzazioni che, di conseguenza, hanno assunto un

ruolo sempre più centrale nella produzione di conoscenza e innovazione con azioni pianificate

e deliberate che consentono di poter sfruttare questa importantissima arma competitiva.

Questo ruolo è ben visibile nelle innovazioni apparse nei primi anni’90, a cui la tesi è dedicata:

il pneumatico run-flat5 ed i nuovi sistemi produttivi altamente automatizzati e flessibili

introdotti dalla maggior parte delle prime dieci compagnie a livello mondiale.

Queste innovazioni appaiono particolarmente interessanti, essendo rispettivamente (per parere

unanime degli esperti) le più significative innovazioni di prodotto degli ultimi 40 anni e di

processo degli ultimi 80. Infatti, fino alla fine degli anni’80, il pneumatico presentava la

configurazione e le caratteristiche assunte attorno agli anni’50 in seguito alla rivoluzione

radiale ed il suo processo produttivo si basava sostanzialmente su macchinari, come il Banbury

Mixer o la Tire Building Machine, apparsi già prima degli anni’20.

3 Trovo utile chiarire i termini tecnica e tecnologia. Per tecnologia si intende la finalizzazione del sapere scientifico (conoscenza astratta e senza fini) verso obiettivi specifici. Per tecnica la materializzazione di scienza e tecnologia in progetti, macchine e prodotti. (Malerba, 2000). 4 L’economia evolutiva nasce convenzionalmente nel 1982 con la pubblicazione dell’opera “An Evolutionary Theory of Economic Change” da parte di R.R.Nelson e S.G.Winter e da allora ha incontrato un forte sviluppo. 5 Ritengo opportuno precisare che comunemente con il termine “run-flat” si indicano tutti i tipi di pneumatici che possono funzionare anche senza aria in pressione al loro interno (Kim, Chang, Kim, 1999). L’innovazione principale che hanno portato consiste nell’eliminazione della ruota di scorta, con diverse conseguenze positive, che verranno illustrate nel quarto capitolo, e nell’aumento della sicurezza di guida. Il primo esempio significativo di tecnologia run-flat è stato introdotto da Goodyear nel 1992 (EMT, Extended Mobility Tire Technology).

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Primo Capitolo, Introduzione - 7

Soprattutto, le due innovazioni esaminate dalla tesi non sono ancora state analizzate in modo

esauriente dalla letteratura economica e manageriale disponibile.

Lo studio di un’innovazione tecnologica può essere sviluppato secondo molti punti di vista e

percorsi di indagine; in questa tesi si è deciso di analizzare, in primo luogo, le strategie che ne

hanno determinato l’introduzione, in secondo luogo, il tipo di innovazione che essi

rappresentano ed, infine, l’impatto sulle teorie del ciclo di vita del prodotto.

Per determinare che tipo di innovazione siano il pneumatico run-flat ed i nuovi sistemi

produttivi è necessario valutare il loro impatto su competenze, conoscenze e abilità delle

imprese dell’industria. Infatti, in alcuni casi, per gestire un’innovazione tecnologica, le

compagnie devono apportare delle modifiche, anche di una certa entità, alla loro struttura e alle

loro procedure strategiche e di azione. Questo perché, alla luce delle trasformazioni del

concetto di organizzazione introdotti dall’economia evolutiva, esse operano secondo degli

schemi di azioni, definiti routines, derivati dalla loro esperienza passata ed incorporati ed

automatizzati nella loro struttura. In letteratura questo tipo di innovazioni vengono definite

radicali (Abernathy e Clark, 1985) o competence-destroying (Tushman e Anderson, 1986).

Il secondo percorso di indagine consiste nello stabilire gli effetti dell’introduzione delle due

innovazioni tecnologiche considerate sulla teoria del ciclo di vita del prodotto introdotta da

Utterbach e Abernathy (1975) e rifinita da Klepper (1996).

Secondo la teoria del ciclo di vita del prodotto di Utterbach e Abernathy (1975), le innovazioni

che introducono cambiamenti maggiori avvengono nella fase iniziale dello sviluppo del

prodotto, ed esse tendono a riguardare prima il prodotto stesso e poi il processo; lo stadio

maturo (definito dagli autori “sistemico”) dovrebbe essere caratterizzato da prodotto e processi

produttivi standardizzati e, quindi, da innovazioni incrementali. Rifacendosi alle caratteristiche

espresse dagli autori, il pneumatico è un prodotto ormai maturo, infatti, ad esempio, l’industria

presenta una struttura oligopolistica e i margini di profitto sono ridotti, quindi, non si sarebbero

dovute verificare innovazioni, sia di processo che di prodotto, implicanti una drastica modifica

nelle conoscenze e nelle competenze degli adottatori.

Relativamente al pneumatico run-flat è possibile ampliare ulteriormente la questione.

Attualmente esso sembra aver creato una nicchia di mercato soprattutto per macchine sportive,

di lusso o con una certa immagine, anche se alcuni produttori stanno allargando

l’equipaggiamento a veicoli relativamente più modesti (ad esempio Renault Scenic o Toyota

Sienna Minivan). Se così fosse si perderebbe la relazione biunivoca tra prodotto e ciclo di vita

poiché quest’ultimo sarebbe soggetto ad una ramificazione per seguire i vari sviluppi,

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Primo Capitolo, Introduzione - 8

tecnologici e di mercato, del prodotto. Allo stesso modo sorgerebbero problemi di congruenza

con la teoria di Utterbach e Abernathy anche se il pneumatico run-flat si configurasse come

futuro dell’industria, come sembrano supporre alcune compagnie leader (addirittura Goodyear

aveva previsto che nel 2003 il 75% della produzione di pneumatici sarebbe stata run-flat).

La tesi si concentra principalmente sul legame tra le due innovazioni, di prodotto e di processo,

in quanto dalla letteratura di settore sembra essere emersa la possibilità di una correlazione: ad

esempio Goodyear nel 2002 ha introdotto un nuovo sistema dedicato alla sola costruzione di

pneumatici run-flat, l’Rfsam, e Pirelli6 dichiara che risulta estremamente difficoltoso produrre

questo tipo di pneumatici con il sistema tradizionale. Lo studio, quindi, si propone di chiarire

se una delle due innovazioni considerate sia stata alla base dell’altra oppure se esse siano solo

accomunate dal fatto di essere entrambe parti di una strategia attuata dalle compagnie per

sopravvivere nel difficile ambiente competitivo in cui sono immerse. Dalla letteratura presa

come riferimento emerge come tra innovazioni di prodotto e di processo ci sia quasi sempre un

legame; è molto importante, però, analizzare obiettivamente e approfonditamente queste

connessioni per evitare di raggiungere risultati fuorvianti (Von Tunzelmann, 1995; Simonetti,

Archibugi ed Evangelista, 1995).

Prima dell’analisi empirica e per supportare le conclusioni che da essa derivano, è necessario

presentare la letteratura esistente a cui le domande di ricerca fanno riferimento e

successivamente fornire una panoramica di quali sono stati gli eventi, sia storici che riguardanti

l’ innovazione tecnologica, che hanno portato, dopo quasi due secoli di vita dell’industria,

all’introduzione del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi: a questo scopo sono

stati scritti il secondo ed il terzo capitolo. Nella quarta sezione vengono introdotte le

caratteristiche principali dell’industria e i due oggetti dello studio. Il quinto capitolo è dedicato

all’analisi dei dati e raccoglie un approfondimento conclusivo derivato sia dagli elementi

presentati nella sezione precedente che dal materiale ricavato attraverso le interviste in Pirelli.

Il sesto conclude il lavoro.

Gran parte del materiale di ricerca originale raccolto per la tesi riguarda le tecnologie, le

strategie e la storia di Pirelli, il principale produttore di pneumatici italiano ed uno degli

indiscussi leader mondali. Pirelli mi ha concesso la possibilità di effettuare alcune interviste

presso la sede centrale di Milano Bicocca, nel dicembre 2003, dove ho potuto entrare in

contatto con l’esperienza e la competenza dell’ing. Renato Caretta, responsabile del MIRS,

6 Fonte: www.pirelli.it.

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Primo Capitolo, Introduzione - 9

dell’ing. Giorgia Sgalari e dell’ing. Thomas Ponta. Le informazioni raccolte risultano

particolarmente significative in quanto la compagnia offre un valido esempio di produttore di

pneumatici run-flat e di adottatore di un nuovo sistema produttivo altamente automatizzato, il

MIRS, completato nel 2002 dal CCM per la gestione delle mescole. Inoltre, Pirelli è molto

attiva dal punto di vista dell’ innovazione tecnologica e, in questi ultimi anni, sembra avere

definito una propria strategia nello sviluppo di pneumatici run-flat, Pax-System7 e delle

tecnologie ad essi correlate, invece che adagiarsi ad un atteggiamento di attesa ed adeguamento

al trend dominante.

Quindi, la tesi si basa sia su conoscenze teoriche estrapolate dalla letteratura presa come

riferimento, comprendente la teoria alla base delle domande di ricerca e studi relativi

all’industria, che su un lavoro sperimentale. In molti casi la raccolta del materiale si è rivelata

difficoltosa poiché il pneumatico run-flat è un’innovazione recente che sta riscontrando un

discreto sviluppo solamente da qualche anno e data la reticenza nell’industria a divulgare

informazioni e strategie, specie per quanto riguarda i sistemi produttivi, per i quali la forma di

protezione maggiormente in uso risulta, appunto, la segretezza.

La maggior parte dell’analisi della letteratura di economia dell’innovazione utilizzata per

preparare il background teorico della tesi, così come la raccolta del materiale settoriale

internazionale è frutto del mio soggiorno presso lo SPRU (Science and Technology Policy

Research Unit) dell’Università del Sussex nel Regno Unito (Falmer, Brighton), nell’ambito di

uno scambio Erasmus semestrale. Lavorare allo SPRU è stato molto stimolante in quanto ho

potuto imparare molto da professionisti di grande esperienza nell’ambito della ricerca ed avere

accesso a molti dati e informazioni che difficilmente avrei potuto ottenere in Italia.

7 Come si vedrà in seguito, Pirelli è stata la prima impresa ad affiancare Michelin nello sviluppo del Pax-system nel 1999.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 10

Secondo Capitolo

Classificazione delle innovazioni e

Teoria sul ciclo di vita del prodotto:

Letteratura di riferimento

In questi ultimi decenni le imprese hanno preso sempre più coscienza dell’importanza

strategica dell’innovazione tecnologica per il loro successo competitivo; così hanno istituito

strutture e personale dedicati al suo sviluppo e potenziamento.

La gestione delle conoscenze tecnologiche si rivela un’operazione complessa: la loro completa

acquisizione ed integrazione nel sistema produttivo è lenta e difficile, inoltre, esse possono

richiedere modifiche, più o meno significative, alla struttura e alle strategie di comportamento.

Questo capitolo raccoglie i riferimenti estratti dalla letteratura economica ed organizzativa di

questi ultimi vent’anni, che costituiscono il supporto teorico utile ad indirizzare il lavoro di

ricerca verso il conseguimento degli obiettivi designati.

Prima di proporre una valutazione della variabili che agiscono nella determinazione

dell’impatto dei cambiamenti tecnologici sulle imprese, sul prodotto e sulla struttura delle

industrie (sezioni 2.3 e 2.4), ritengo importante presentare una definizione di conoscenza

tecnologica e valutare in che modo le compagnie si pongono di fronte ad essa. Un

approfondimento del concetto di conoscenza (sezione 2.1) aiuta a capire l’essenza dell’impresa

stessa: essa non è più un’entità guidata solo esclusivamente dalle forze del mercato, ma,

essendo formata prevalentemente da individui, rappresenta un sistema che risente fortemente

dell’esperienza passata, che agisce secondo regole predeterminate e che risulta profondamente

connesso agli altri elementi appartenenti al suo ambiente competitivo.

In questi ultimi anni è stato notevolmente approfondito lo studio delle modalità di accumulo

delle conoscenze tecnologiche e in molti settori, tra cui quello del pneumatico, si è riscontrato

il fenomeno della diversificazione tecnologica. Le imprese, cioè, tendono ad indirizzare la

ricerca e l’acquisizione di nuovo sapere verso molte classi tecnologiche anche non strettamente

legate, almeno in apparenza, alla loro produzione. Dal momento che nei capitoli successivi tale

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 11

fenomeno viene dimostrato empiricamente attraverso un’analisi dei brevetti, si è ritenuto

opportuno un approfondimento teorico (sezione 2.2).

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 12

2.1. Alcune definizioni di “conoscenza” nella letteratura economica e

organizzativa recente

La conoscenza, come leggiamo in Acha e Brusoni (2002), è l’input chiave delle attività

innovative e può essere definita come “la capacità di prendere decisioni sfruttando le

informazioni disponibili che sono a loro volta generate aggregando, strutturando ed elaborando

le loro strutture base, cioè i dati”.

Nelson (1998) divide la conoscenza in due componenti principali. Da una parte abbiamo il

body of understanding, ovvero le competenze in specifici ambiti tecnologici in cui

l’organizzazione brevetta e pubblica, che vengono realizzate attraverso personale specializzato.

Dall’altra c’è il body of practice che è rappresentato da una combinazione di esperienza e fatti

sperimentali. La prima è facilmente acquisibile e trasmissibile, mentre la seconda è incorporata

nelle routines dell’impresa, cioè in schemi di azioni ripetitive formati da procedure scritte o

convenzionali e tacite a cui i propri membri fanno affidamento per prendere delle decisioni.

Questo tipo di conoscenza, quindi, è dovuta principalmente alle esperienze effettuate dalle

organizzazioni e tende ad avere una natura tacita e spesso non completamente codificabile; per

questo si creano problemi di appropriabilità, soprattutto per quanto riguarda i benefici generati

dalla sua produzione. E’fondamentale che un’impresa sappia gestire le sinergie tra queste due

parti per ottenere il successo.

Nonaka e Takeuchi (1999) ampliano il concetto di conoscenza delle organizzazioni in modo

molto significativo ed efficace. Secondo gli autori il know-how di un’impresa si forma

attraverso l’interazione tra queste due forme di conoscenza e la loro continua conversione;

nello specifico da due processi che evolvono contemporaneamente nel tempo come una sorta di

spirale. Nel primo, detto “epistemologico”, si ha la continua trasformazione da tacita ad

esplicita mentre nel secondo, “ontologico”, da individuale a globale, cioè dell’organizzazione

stessa. In parole più semplici, secondo gli autori, la conoscenza si genera dalla ripetizione nel

tempo di un processo che parte dai singoli individui che, attraverso osservazione, imitazione e

pratica, acquisiscono una conoscenza ancora implicita e tacita che in seguito esternalizzano ed

esplicitano, sotto forma di metodi, modelli e regole e poi, in un terzo stadio, condividono con

gli altri membri del gruppo. A questo punto si ha nuovamente una fase di internalizzazione in

cui questa conoscenza, più estesa e condivisa, è incorporata nuovamente nei vari elementi

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 13

dell’organizzazione per la quale inizia una sorta di learning by doing1. E’importante che gli

individui, unici elementi in grado di produrre conoscenza, vengano lasciati liberi di agire e di

sviluppare anche informazioni ridondanti che risultano comunque utili per una visione più ricca

della realtà.

Dal momento che un’organizzazione elabora le informazioni e le innovazioni che acquisisce

durante la sua vita in base alle routines che possiede e, quindi, alla sua esperienza passata, il

cambiamento tecnologico può essere definito path-dependent. Quindi, diverse imprese

immerse nello stesso sistema giocano ruoli diversi nello sviluppo e nell’impiego di conoscenze

in base alla loro esperienza, capacità, abilità e mercati di interesse e in questo modo si

diversificano.

1 Il learning by doing è una forma di progresso tecnologico generata dall’apprendimento per mezzo dell’esperienza. Ciò implica un incremento dell’output cumulato e un decremento dei costi medi (Arrow, 1962).

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 14

2.2 La diversificazione tecnologica

Il fenomeno della diversificazione tecnologica è stato analizzato fin dai primi anni’90 (ad

esempio da Patel e Pavitt 1993 e 1994) ed è stato riscontrato in molti settori (elettronico,

meccanico,…), tra cui quello del pneumatico, anche senza una tradizione nell’innovazione,

come quello alimentare.

Essa aiuta le imprese ad operare meglio nei propri mercati, piuttosto che ad entrare in nuovi, in

quanto, per questo, servono anche altre capacità, come apparati di distribuzione, possibilità di

sfruttare economie di scala e scopo e basse barriere all’entrata. In molti casi, infatti, questo

fenomeno si accompagna ad una focalizzazione a livello di prodotto.

La possibilità di inglobare nei prodotti un numero crescente di nuove tecnologie induce un

aumento di performance e funzionalità in quanto, come affermano Gambardella e Torrisi

(1998), queste migliorano i prodotti esistenti e rendono il sistema produttivo più efficiente in

termini di risultati e di costi. La diversificazione tecnologica, quindi, porta verso una continua

crescita delle compagnie, dei loro investimenti in ricerca e sviluppo e dei contatti esterni legati

alle nuove tecnologie sotto forma di alleanze, joint-ventures ecc, attraverso cui possono anche

acquisire le capacità necessarie per entrare in nuovi mercati.

Granstrand, Patel e Pavitt (1997) propongono sostanzialmente due spiegazioni alla tendenza

delle imprese di diversificarsi sul piano tecnologico. La prima ragione può essere identificata

nelle interdipendenze sistemiche con la supply-chain: più essa è complessa più elevata è la

proporzione di risorse tecnologiche che le imprese devono conoscere, al di fuori delle loro

specifiche competenze, per gestire e coordinare tutte le attività relative al sistema integrato di

cui fanno parte. La seconda è dovuta al fatto che esse devono mantenere il passo con le

tecnologie emergenti per poter sfruttare le grandi possibilità che offrono; esse non sono chiare

immediatamente, quindi, risulta necessario mantenere un ampio portafoglio di conoscenze

tecnologiche, derivanti sia dalla ricerca interna che dall’acquisizione dall’esterno, per essere in

grado di cogliere tutti i possibili sviluppi futuri. Gambardella e Torrisi (1998) propongono

un’ulteriore causa di diversificazione, la convergenza tecnologica: essa è riscontrabile quando i

diversi segmenti di un mercato tendono a condividere le medesime tecnologie base

(naturalmente questa spiegazione risulta valida nei settori da essa caratterizzati, come quello

elettronico studiato dagli autori).

Pavitt (1998) approfondisce ulteriormente l’indagine affermando che in un ambiente di

diversificazione tecnologica c’è meno diversità nel livello e nel mix delle conoscenze

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 15

tecnologiche delle grandi imprese che producono beni simili e nei campi con un alto tasso di

cambiamento tecnologico (computer, farmaceutica,…). Nonostante queste conoscenze simili

esistono diversità e diversificazione a valle, nei prodotti; infatti, come più volte affermato, le

imprese sviluppano processi cognitivi elementari che partono da conoscenze già acquisite e il

cui verso è dato dalla ricerca di base, dalle caratteristiche e dalla storia delle imprese stesse.

E’opportuno sottolineare che i costi legati alla diversificazione tecnologica aumentano in modo

più che proporzionale rispetto al numero di competenze acquisite perché è necessario integrare

questo nuovo sapere con quello precedente e con l’organizzazione stessa: questa necessità

implica un’importante sfida per il management e richiede processi non certo semplici,

spontanei e veloci. Comunque le conoscenze acquisite possono risultare utili per la gestione di

più tecnologie, quindi, permettono la generazione di economie di scopo (Breschi, Lissoni,

Malerba, 2003).

Diversificandosi sotto il profilo tecnologico le compagnie si pongono come system integrators:

utilizzano l’outsourcing, sia produttivo che tecnologico, in modo da avere elevate possibilità di

incorporare un alto grado di innovazione nei loro prodotti, collaborando con imprese altamente

specializzate, e investono per mantenere al loro interno ampie conoscenze di base per sfruttare

al meglio le opportunità tecnologiche ed essere in grado di integrare efficientemente tutti i

componenti e di tenere in considerazione tutte le connessioni con gli altri elementi della catena

del valore.

Ciò porta una visione alternativa del significato dell’esistenza delle imprese, come sottolineano

Wang e Von Tunzelmann (2000): non sono più le “isole” immerse nel mercato, in cui

competono con meccanismi per lo più legati al prezzo, proposte da studiosi come Coase

(1937), ma, come le definiscono Nonaka e Takeuchi (1999), sono “islands of conscious

power”, “arcipelaghi” formati da imprese integrate orizzontalmente e verticalmente, cioè

esistono per sviluppare il processo di conversione della tecnologia nei prodotti. Ciò è

sottolineato anche da Pavitt (1998) che dichiara che in molti casi le imprese non falliscono

perché non riescono ad appropriarsi di nuovo sapere tecnologico, ma perché non hanno un

adeguato sistema di coordinazione e controllo che le porta a sviluppare con successo questi

processi di conversione partendo dalle opportunità offerte dalle conoscenze acquisite.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 16

2.3 La classificazione delle innovazioni

Risulta abbastanza complesso trovare delle definizioni e delle classificazioni univoche per

quanto riguarda l’innovazione tecnologica in quanto il progresso tecnico è formato da un

insieme di cambiamenti di varia natura che accadono in modo discontinuo e imprevedibile.

Essi possono influenzare una grande varietà di variabili e soggetti economici e, di

conseguenza, assumere molti significati diversi (Abernathy e Clark, 1985).

Dal momento che l’impatto delle innovazioni risulta decisivo per lo sviluppo di organizzazioni

ed industrie, si è reso necessario uno studio approfondito alla ricerca di caratteristiche

intrinseche comuni ai vari cambiamenti tecnologici che potessero determinare gli stessi effetti

sulle competenze delle organizzazioni e sull’ambiente nel quale esse operano. Lavori di questo

tipo sono stati sviluppati principalmente negli anni’80 e ’90 ma non hanno raggiunto un livello

di completezza decisivo per la chiarificazione del problema. Ciò è dovuto soprattutto a due

fattori: per prima cosa un’innovazione può essere analizzata da innumerevoli punti di vista

mentre uno studio deve limitarsi nella considerazione delle variabili in gioco. Secondariamente

le organizzazioni seguono percorsi di sviluppo e azione fortemente dipendenti dalla loro

esperienza e storia passata, quindi la stessa innovazione può avere un impatto molto differente

da un’impresa ad un’altra.

Come afferma Von Tunzelmann (1995), è difficile anche dare la definizione più immediata

quando si parla di innovazione, cioè se essa riguarda il prodotto o il processo. Ad esempio

perché, considerando industrie integrate verticalmente, un’innovazione di prodotto in una può

essere di processo in quella che la segue direttamente nella filiera.

Da ciò si può dedurre che un cambiamento tecnologico non deve mai venire estrapolato dal

contesto in cui si trova che comprende anche tutte le connessioni orizzontali e verticali con i

vari attori del sistema.

In questa sezione sono proposti i diversi punti di vista emersi finora in letteratura per cercare

un percorso di analisi che aiuti a definire in modo più completo le innovazioni tecnologiche

oggetto dello studio.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 17

2.3.1 Innovazioni di prodotto o di processo?

La distinzione tra innovazioni di prodotto e processo venne introdotta per la prima volta da

Schumpeter nel 19112. Le prime sono definite come l’introduzione di un nuovo bene, o

solamente di una caratteristica, non noto e familiare al consumatore, mentre le innovazioni di

processo si riferiscono ad un nuovo metodo produttivo del quale non si ha esperienza

nell’industria considerata.

In un contesto generale le innovazioni di prodotto e processo hanno la medesima importanza;

tuttavia per prodotti non assemblati tendono a giocare un ruolo centrale le prime, e viceversa

per quelli assemblati (Tushmann e Anderson,1986).

Le innovazioni di prodotto di solito agiscono, provocando incertezza, sul mercato mentre

quelle di processo su progettazione e produzione. Le prime sono più facilmente imitabili

(attraverso osservazione e reverse engineering, ad esempio), quindi viene prestata molta più

attenzione alla loro protezione, che avviene soprattutto attraverso i brevetti, a differenza delle

seconde per le quali si utilizza maggiormente il segreto industriale. Secondo la teoria del ciclo

di vita del prodotto illustrata da Utterbach e Abernathy (1975), la maggioranza dei

cambiamenti tecnologici riguardanti il prodotto sono introdotti nelle fasi iniziali di sviluppo di

un’industria, mentre quelli di processo man mano che essa diventa matura e le specifiche di

prodotto definite e stabili. Queste differenze tra i due tipi di innovazione sono, però, solamente

tendenze generali riscontrate dai singoli studi in quanto, nella grande maggioranza dei casi, le

innovazioni di prodotto hanno delle implicazioni a livello di processo produttivo e viceversa.

Ad esempio, un nuovo prodotto può richiedere investimenti e modifiche, anche sostanziali, nel

proprio sistema di produzione e, allo stesso modo, un nuovo processo può alterare le

caratteristiche di un prodotto in misura tale che questo possa essere considerato nuovo. A

testimonianza di questo può essere letto lo studio effettuato da Simonetti, Archibugi ed

Evangelista (1995) nel quale, dopo aver classificato varie innovazioni usando diversi criteri,

solo il 3,1% si è dimostrato essere inequivocabilmente di prodotto o di processo.

2.3.2 Innovazioni tecnologiche: impatto sulle imprese

In quasi tutti gli studi riguardanti la definizione delle innovazioni emerge una prima basilare

suddivisione dei cambiamenti tecnologici in base all’entità delle alterazioni che essi portano

alle conoscenze e competenze delle organizzazioni, al mercato e alle industrie stesse.

2 Schumpeter (1934) citato in Simonetti, Archibugi ed Evangelista (1995).

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 18

Già Dosi (1982), all’inizio degli anni’80, divide le innovazioni in continue e discontinue a

seconda che rappresentino solo delle nuove traiettorie di sviluppo che partono da un

paradigma3 esistente o che ne creino uno nuovo. In letteratura sono state utilizzate varie

denominazioni per definire i cambiamenti tecnologici a seconda che si servissero e

potenziassero le conoscenze e le abilità esistenti nelle organizzazioni o che ne richiedessero di

nuove. Oltre ai termini continuo e discontinuo proposti da Dosi, alcuni esempi sono

conservativo e radicale (Abernathy e Clark, 1985), incrementale e radicale (Henderson e Clark,

1990) o competence-enhancing e competence-destroying (Tushmann e Anderson, 1986).

A questo proposito uno dei lavori più significativi è stato effettuato da Tushmann e Anderson

(1986). Gli autori concepiscono l’evoluzione della tecnologia come una serie di cambiamenti

incrementali, puntuati da discontinuità, che possono sia distruggere che potenziare le

competenze delle imprese. Nello specifico, quando un’innovazione comporta dei

miglioramenti in prezzo e performance affidandosi alla tecnologia in possesso delle

organizzazioni, è definita competence-enhancing, mentre quando si basa su conoscenze e

abilità tecnologiche nuove che rendono obsolete quelle esistenti, competence-destroying.

Quest’ultimo tipo di innovazioni permette alla frontiera tecnologica di avanzare

significativamente. In genere i cambiamenti tecnologici competence-enhancing consolidano la

leadership di un’industria in quanto provocano un innalzamento delle barriere all’entrata

mentre quelli competence-destroying facilitano l’espansione e l’entrata di nuove compagnie

poiché spesso le esistenti sono fortemente vincolate nell’azione a causa delle routines, dei costi

affondati e dei vari legami con gli attori della supply-chain. In gran parte dei casi, come

sottolinea anche Dosi (1982), queste ultime innovazioni sono introdotte dalle nuove imprese

che, in questo modo, riescono ad accaparrarsi una fetta competitiva di mercato. In genere esse

sono imprese dette “schumpeteriane”, cioè con una vivace attività innovativa, con una crescita

eccezionale nei primi periodi di vita e poi soggette o alla scomparsa o all’integrazione in una

struttura oligopolistica.

Penso sia importante chiarire la differenza tra innovazioni incrementali e competence-

enhancing: queste ultime, come anche le competence-destroying, modificano in modo

significativo la relazione esistente tra prezzo e performance e, inoltre, creano una situazione di

incertezza in quanto le imprese devono gestire tecnologie, prodotti e processi più o meno nuovi

e, spesso, non completamente compresi.

3 Dosi (1982) definisce un paradigma tecnologico come uno schema di soluzione per determinati problemi tecnologici. Nuovi paradigmi rappresentano discontinuità nelle traiettorie del progresso definite dai paradigmi precedenti.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 19

Infatti, le discontinuità tecnologiche, in misura maggiore se competence-destroying, inducono

un periodo di fermento e incertezza poiché la tecnologia deve stabilizzarsi e devono essere

ridefinite e settate le relazioni esistenti tra prezzo e performance; inoltre, potrebbe rendersi

necessaria l’apertura di nuovi mercati per sopportare la crescita e i cambiamenti introdotti dalle

innovazioni stesse. Da ciò segue che esse comportano delle modifiche nell’ambiente produttivo

e competitivo; è importante che le compagnie possiedano skill manageriali adatti in quanto non

è necessario solo gestire l’innovazione ma anche i cambiamenti da essa apportati.

E’stato dimostrato che le organizzazioni che riescono a sfruttare i cambiamenti tecnologici fin

dall’inizio hanno tassi di crescita più elevati.

Secondo Tushmann e Anderson, l’evoluzione della tecnologia è pesantemente legata al ciclo di

vita del prodotto. Infatti le varie discontinuità si alternano ai cambiamenti incrementali soltanto

finché si ha l’emergere di quello che Utterbach e Abernathy (1975) chiamano dominant design,

cioè un prodotto standard con caratteristiche definite, che pone fine al periodo di fermento

tecnologico; nelle ultime fasi del ciclo di vita del prodotto, invece, avvengono solamente

innovazioni di tipo incrementale.

Ritengo sia importante sottolineare la differenza dell’azione di distruzione delle competenze

esistenti portata da un’innovazione sulla tecnologia e sui prodotti: normalmente tale distinzione

non viene contemplata ma gli effetti sono diversi e ritengo meritino un accenno. La tecnologia

è maggiormente legata ad un processo che può essere definito creative accumulation: cioè, in

genere, quando una tecnologia è sostituita da una nuova, si tende ad innescare un processo di

accumulazione delle conoscenze nuove con quelle presenti. Difficilmente le tecnologie

scompaiono del tutto dopo che sono state soppiantate ma riemergono nel tempo, magari per

applicazioni che si discostano da quelle originali. Invece, con un cambiamento a livello di

prodotto, si tende ad avere un processo di creative destruction, in quanto dal momento che i

prodotti operano nei mercati, essi sono soggetti ad una competizione più forte che difficilmente

permette delle integrazioni.

Come sottolinea Clark4 (1985), possono verificarsi dei cambiamenti tecnologici che non

introducono significative modifiche a competenze e conoscenze delle imprese, ad esempio

possono anche non essere brevettate, ma che causano un forte impatto sull’utilizzatore, per il

quale sono competence-destroying. Questo dimostra che per una comprensione più

approfondita delle varie innovazioni e dei loro effetti sul sistema nel quale vengono introdotte è

necessario estendere la considerazione ad un numero maggiore di variabili. In queste pagine

4 Citato in Simonetti (1991)

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 20

proponiamo i principali risultati ottenuti in letteratura che partono sempre dalla distinzione

base delle innovazioni tra incrementali e radicali.

E’importante considerare due precisazioni: innanzitutto le definizioni trovate non

rappresentano degli schemi rigidi e, in secondo luogo, esse non definiscono univocamente

un’innovazione, dal momento che ogni compagnia è differente dalle altre e presenta delle

reazioni diverse.

Abernathy e Clark (1985) valutano la capacità di un’innovazione di influenzare le risorse e gli

skill di un’impresa, cioè il fatto che essa sia conservativa o radicale (la definizione di

conservativo e radicale è del tutto simile a quella di Tushmann e Anderson di competence-

enhancing e competence-destroying), secondo due punti di vista: quello della tecnologia e dei

prodotti e quello dei clienti e dei mercati. Da ciò gli autori ritengono dipenda l’influenza dei

cambiamenti tecnologici sullo scenario competitivo.

Le innovazioni sono, quindi, raggruppate nella matrice in figura 2.1, chiamata Transilience

Map5.

Figura 2.1 La Transilience Map (Fonti: figura 1 di pag.8 di Abernathy e Clark, 1985)

Secondo gli autori è fondamentale che le organizzazioni si trovino a gestire tutti i quattro tipi di

innovazioni contemporaneamente e che diano spazio soprattutto a quelle architetturali, poiché

ridefinendo l’ambiente competitivo creano nuove opportunità, seguite dalle regolari, che hanno

un effetto di stabilizzazione e miglioramento.

Henderson e Clark (1990) riprendono la classificazione delle innovazioni in competence-

enhancing e competence-destroying introdotta da Tushmann e Anderson, denominandole

incrementali e radicali; secondo gli autori, però tale distinzione è incompleta. Infatti ci sono

5 Per transilience si intende la capacità di un’innovazione di influenzare risorse, skill e conoscenze esistenti delle organizzazioni.

INFLUENZA SU TECNOLOGIA E PRODOTTI Conservativo Radicale

Radi

cale

INNOVAZIONI DI NICCHIA

INNOVAZIONI ARCHITETTURALI

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INNOVAZIONI

REGOLARI

INNOVAZIONI RIVOLUZIONARIE

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 21

stati esempi di innovazioni apportatrici solo di miglioramenti di bassa entità sulla tecnologia

esistente, quindi apparentemente incrementali, che hanno causato importanti cambiamenti sullo

scenario competitivo, cioè si sono comportate da radicali6. Per spiegare questi fenomeni gli

autori propongono di concentrare l’attenzione sul modo in cui i cambiamenti tecnologici

influenzano i componenti di un prodotto e la sua architettura, cioè l’insieme delle connessioni

tra i vari elementi, come è illustrato a matrice in figura 2.2.

Figura 2.2 Classificazione delle innovazioni in base all’impatto sui componenti e sulle loro connessioni (Fonte: Figura 1 di pag.12 di Henderson e Clark,1990) Sono le innovazioni architetturali7 a rappresentare le opportunità migliori per le organizzazioni

ma esse risultano anche le più difficili da gestire. Per prima cosa possono venire facilmente

scambiate per incrementali, secondariamente esse richiedono la modifica di alcune delle

conoscenze esistenti dell’organizzazione. Le conoscenze relative all’architettura dei prodotti

tendono ad essere incorporate nella struttura dell’organizzazione, in quanto essa è sviluppata

attorno all’architettura del prodotto stessa, e quindi ad essere implicite. Anche le azioni dei

membri operanti nell’impresa sono legate alle conoscenze architetturali presenti poiché si

basano sulle routines che riflettono la struttura e la cultura dell’organizzazione. Risulta, quindi,

6 Un caso significativo è rappresentato da RCA e Sony. Verso la metà degli anni’50 RCA inventò un prototipo di radio a transistor portatile costruita essenzialmente sulle conoscenze esistenti che non venne mai introdotta sul mercato perché considerata inferiore a livello tecnologico. Sony, una piccola compagnia giapponese, prese in licenza la tecnologia e la sfruttò per entrare nel mercato americano in cui guadagnò una posizione competitiva centrale. RCA, nonostante fosse inventore e possessore della tecnologia, rimase sempre in una posizione di secondo piano offrendo prodotti inferiori 7 Il termine architetturale usato da Henderson e Clark (1990) si differenzia da quello di Abernathy e Clark (1985). Secondo quest’ultimo studio le innovazioni architetturali vengono definite tali poiché portano ad una ridefinizione dell’industria introducendo nuovi prodotti per nuovi mercati, in Henderson e Clark, invece, si fa riferimento all’architettura dei prodotti.

COMPONENTI (CONCETTI BASE) Rinforzati Modificati

Non

cam

b.

INNOVAZIONI INCREMENTALI

INNOVAZIONI

MODULARI

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INNOVAZIONI

ARCHTETTURALI

INNOVAZIONI

RADICALI

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 22

molto difficile definire le modifiche necessarie, a livello di architettura, e, in seguito,

realizzarle perché implicano modifiche nella struttura aziendale stessa; questo passo risulta,

però, necessario per avere la possibilità di sfruttare le grandi potenzialità di questo tipo di

innovazioni. In questa situazione i nuovi entranti possono trovarsi avvantaggiati in quanto non

hanno ancora una struttura fortemente dipendente dall’architettura dei prodotti.

Ritengo che uno dei punti fondamentali dello studio di Henderson e Clark sia quello di aver

sottolineato la diversità dell’impatto delle stesse innovazioni sulle diverse imprese e di averlo

fatto dipendere non da caratteristiche intrinseche alle innovazioni stesse, ma da fattori esterni

ad esse, concernenti l’organizzazione e l’ambiente competitivo, come la capacità a livello di

management di costruire una struttura flessibile in grado di cogliere le opportunità offerte dalle

varie innovazioni introducendo le modifiche opportune.

La radicalità o l’incrementalità dei vari cambiamenti tecnologici può anche essere definita a

partire dai clienti e dai mercati a cui sono rivolti. In genere, quando una nuova tecnologia è

stata concepita per servire una diversa tipologia di clienti, essa va ad intaccare l’insieme delle

competenze esistenti delle imprese (Christensen e Bower8, 1996). Benner e Tushmann (2003)

ampliano la questione definendo incrementali le innovazioni pensate per i bisogni dei clienti

attuali e basate su conoscenze organizzazionali esistenti, cioè aventi un carattere sfruttativo. Le

innovazioni radicali, invece, sono dette esplorative in quanto si basano su una nuova

tecnologia, sono state proposte per nuovi utilizzatori e mercati emergenti e si discostano dagli

skill posseduti dalle organizzazioni. Entrambe queste forme di innovazione, secondo gli autori,

sono essenziali per il successo di una compagnia che deve sapere sia migliorare la propria

efficienza sia innovarsi per il mantenimento del vantaggio competitivo.

2.3.3 Innovazioni tecnologiche: impatto sulla struttura industriale (imprese insediate vs

nuovi entranti)

Finora è stata esaminata l’influenza delle innovazioni tecnologiche su competenze, conoscenze

e skill in possesso delle imprese considerando, in particolare, l’impatto sui componenti e

l’architettura dei prodotti, sui mercati e sui clienti. Da ciò è emerso che quando un

cambiamento tecnologico intacca la struttura, le conoscenze e gli skill di un’organizzazione

(nello specifico richiede modifiche all’architettura dei prodotti, quindi alla struttura aziendale,

si rivolge a mercati emergenti o si fonda su un nuovo sapere tecnologico che si discosta

8 Citato in Benner e Tushmann (2003).

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 23

significativamente da quello esistente) le imprese già insediate in un’industria appaiono

svantaggiate rispetto a quelle emergenti e spesso intraprendono un processo di declino. Esse

risultano molto più propense, invece, ad introdurre e sviluppare cambiamenti incrementali,

anzi, in molti casi, tendono a fondare proprio su questo il loro vantaggio competitivo.

La letteratura ha offerto diverse spiegazioni, che si completano l’una con l’altra, riguardo la

difficoltà delle imprese esistenti nel gestire e adottare innovazioni competence-destroying.

Studi come quello di Henderson (1993) propongono un’ interpretazione economica basata sui

diversi incentivi che hanno le imprese esistenti ed emergenti nell’adozione di una nuova

tecnologia che induce cambiamenti nelle loro competenze. Nelle prime l’incertezza che deriva

da un cambiamento tecnologico ha un impatto molto più profondo in quanto esse operano già

con una tecnologia che spesso offre ritorni positivi, seguendo schemi di azioni testati e validati

da anni di esperienza. Esse sono disincentivate anche ad investire in tecnologie che potrebbero

creare condizioni di disequilibrio nell’ambiente competitivo stravolgendo il loro potere di

mercato.

Accanto alle motivazioni economiche ci possono essere delle spiegazioni che fanno riferimento

alla teoria dell’organizzazione ed, in particolare, all’inerzia organizzativa, cioè la forza che

rende le imprese lente ad ogni modifica e cambiamento che esula il normale procedere che fa

riferimento alle routines e alla rigidità della leadership. E’importante precisare che l’inerzia è

incorporata nelle organizzazioni stesse e può essere causata da diversi fattori. Una prima fonte

di inerzia è rappresentata dalle routines, in quanto spesso le imprese hanno costituito degli

schemi di azioni talmente forti e radicati da essere seguiti alla cieca, senza una valutazione

della loro efficacia o dei loro limiti. Un secondo elemento che genera inerzia sono le relazioni e

gli impegni che le compagnie sviluppano con gli attori dell’industria in cui competono come

clienti, fornitori, investitori e impiegati. Anche l’insieme dei valori che unificano ed ispirano i

membri delle organizzazioni non fanno altro che fossilizzare la struttura verso il passato e

verso tutto l’insieme di azioni e tecnologie che ne hanno determinato al crescita, lo sviluppo e

il successo ma che col tempo, inevitabilmente, diventano sempre meno efficaci.

Come sottolinea Sull (1999a), non sempre le compagnie esistenti si trovano in svantaggio

rispetto a quelle emergenti perché non agiscono ma perché non lo fanno nel modo appropriato.

Un esempio è dato da Firestone che, pur non essendo impreparata all’introduzione dei

pneumatici radiali sul mercato americano e pur avendo investito in nuovi impianti e nella

conversione di quelli esistenti, non seppe adottare nel modo corretto la nuova tecnologia e subì

pesanti perdite nel corso degli anni successivi, fino all’acquisizione da parte di Bridgestone. Il

fallimento della compagnia americana fu dovuto al fatto che i nuovi investimenti non furono

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 24

accompagnati anche da una cambiamento nel modo di agire e di approccio alla nuova

tecnologia.

Sull definisce questo fenomeno active inertia (“inerzia attiva”), allargando il concetto di

inerzia stessa; essa non è più soltanto la forza che rallenta ed inibisce lo sviluppo delle

organizzazioni verso una nuova tecnologia ma rappresenta anche una forza che rende difficile

il ritorno una volta imboccata una strada sbagliata. Le organizzazioni si stanno rendendo conto

che il loro principale nemico è la paralisi ma esse non devono pensare di sconfiggerlo

semplicemente con l’azione, ma con un’azione ponderata e mirata.

Anche le scelte manageriali delle organizzazioni stesse possono determinare la facilità o meno

incontrata nell’adozione di un determinato tipo di tecnologia. Un esempio è costituito

dall’applicazione del process management, ossia dell’organizzazione dell’impresa basata sui

processi9. L’organizzazione per processi ha preso piede in questi ultimi anni in quanto è uno

degli elementi che sta alla base del Total Quality Management (TQM) abbracciato da

moltissime compagnie attraverso le certificazioni ISO 9001 o Six Sigma.

Dal momento che l’organizzazione per processi si basa sulla ripetizione continua di attività,

essa stabilizza e rafforza le routines esistenti e i loro collegamenti. Inoltre il TQM è focalizzato

sui bisogni del cliente: in questo modo facilita le innovazioni incrementali e volte a mercati e

utilizzatori conosciuti mentre ostacola quelle radicali o che richiedono lo sviluppo di nuovi

mercati (Benner e Tushmann, 2003).

Già Henderson e Clark (1990), a differenza dei lavori precedenti, sottolineano l’importanza

della struttura manageriale nella determinazione dell’impatto delle innovazioni sulle

organizzazioni. Gli autori affermano come non sia detto che il passaggio verso una nuova

tecnologia più profittevole non avvenga ma spesso sia intrapreso con troppo in ritardo, con

spiacevoli conseguenze sulla posizione competitiva.

Foster (1988) propone una spiegazione alla capacità delle organizzazioni di saper gestire una

nuova tecnologia che fa riferimento alla loro cultura. Nella maggioranza dei casi, infatti, il

management è fortemente radicato alla tecnologia esistente, soprattutto se essa è profittevole,

in quanto rappresenta una fonte di sicurezza se comparata con l’incertezza associata ad una

nuova. Esso risulta fortemente limitato dal fatto di non sapere tenere in considerazione i limiti

della tecnologia posseduta, sovrastimando il suo range di miglioramento possibile, e di non

saper definire con precisione il mercato attuale e quello che creerebbe la nuova tecnologia.

9 Tale tipologia organizzativa è nata da una filosofia sviluppata verso la metà degli anni’80 (i maggiori sostenitori furono Ishikawa, Deming e Juran) per la quale un’organizzazione non è altro che un insieme si processi interrelati.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 25

Christensen e Rosenbloom (1995), partendo dai risultati raggiunti dalla letteratura precedente,

propongono un’altra spiegazione per le conseguenze diverse che un’innovazione può

determinare sulle varie imprese, che parte da considerazioni strategiche. Gli autori fanno

riferimento al concetto di value network, definito come il contesto in cui un’impresa opera e

risolve i problemi e le richieste dei clienti; i suoi confini e i suoi scopi sono stabiliti da ciò che

Dosi (1982) chiama paradigma tecnologico e dalle corrispondenti traiettorie10.

In un’industria si sviluppano quindi molti value network paralleli, ognuno attorno a diversi

paradigmi tecnologici. Le organizzazioni si impadroniscono di una tecnologia e si insediano e

sviluppano attorno al value network in cui essa ha più valore. Con il passare del tempo, però,

esse si adattano sempre di più alle competenze che esso richiede e accrescono le barriere alla

mobilità verso altri network. Quindi, la capacità di un’impresa già operante di adottare con

successo una determinata innovazione tecnologica dipende dalla sua posizione nel value

network e dal fatto che essa ricada nelle traiettorie di progresso di uno esistente o che richieda

la creazione di uno nuovo. In quest’ultimo caso l’organizzazione deve avere la capacità di

identificare i limiti del proprio value network e di modificare le strategie per entrare nel

mercato emergente proposto dalla nuova tecnologia.

In questi ultimi anni in letteratura si stanno rivedendo alcune assunzioni; autori come Hill e

Rothaermel (2003) sottolineano che c’è una variazione significativa nella performance delle

organizzazioni che si trovano a dover affrontare delle discontinuità tecnologiche. Questo

invalida il modello secondo cui le innovazioni tecnologiche radicali hanno un effetto disastroso

sulla competitività delle imprese già insediate in un settore mentre quelle incrementali

rafforzano la loro posizione aumentando le barriere all’entrata. Numerosi esempi hanno

dimostrato che le compagnie già operanti in un’industria possono riuscire ad adottare

un’innovazione radicale, a sopravvivere e a mantenere i livelli di performance del passato; in

molti casi, anzi, sono esse stesse gli introduttori di questi cambiamenti tecnologici.

Gli autori rilevano dei comportamenti che permettono alle organizzazioni di sopravvivere e

mantenere il loro successo nel caso di innovazioni radicali. Per prima cosa esse devono cercare

di evitare la morte prematura di tecnologie di potenziale successo, identificando le tecnologie

emergenti e valutando le loro possibilità di espansione futura. Le imprese devono sapersi

10 Christensen e Rosenbloom distinguono l’aggettivo competence-destroying da quello radicale. Un’innovazione competence-destroying distrugge le competenze esistenti delle imprese e comporta significativi cambiamenti nella tecnologia, nel sistema di produzione e nei mercati ma non è detto che richieda un nuovo value network, cioè la ridefinizione dell’intero sistema, che coinvolge anche altre industrie, in cui l’impresa opera, contrariamente ad una radicale.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 26

discostare dai modelli tradizionali di teoria degli investimenti secondo i quali il valore attuale

di un’innovazione incrementale è sempre maggiore di una radicale poiché quest’ultima

comporta una maggiore incertezza. L’organizzazione deve investire sia in ricerca di base che

applicata attorno alla nuova tecnologia. E’molto importante che queste due forme di ricerca

siano integrate orizzontalmente perché se no si rischia di non giungere alla

commercializzazione di gran parte delle idee sviluppate dalla ricerca di base e che l’applicata

non parta dalle considerazioni ottenute da quella di base.

In secondo luogo le organizzazione devono operare in modo da attenuare le forze di inerzia.

Tale processo è facilitato quando ogni individuo può godere di libertà di azione: anche nel caso

in cui le sue decisioni non aderissero perfettamente alla strategia comune, dovrebbero venire

comunque legittimate.

Un’innovazione radicale può anche necessitare di un nuovo sistema di business per essere

gestita. Le imprese, quindi, devono possedere al loro interno la flessibilità strutturale,

organizzazionale e culturale per far fronte a ciò; una struttura multidivisionale, in questo caso,

può essere molto di aiuto.

Inoltre, ogni innovazione radicale agisce sulla catena del valore delle imprese, diminuendo

inizialmente la creazione di valore, ad esempio influenzando il valore della R&S accumulata.

Se un’innovazione è definita radicale per il fatto che cambia la conoscenza di base, le

caratteristiche del prodotto e il sistema produttivo ma non altera la commercializzazione e le

attività a livello più basso della catena del valore, essa può essere acquisita e sviluppata

facilmente dalle imprese già operanti. Risorsa molto importante nella mani di queste ultime è la

possibilità di stringere alleanze con le nuove compagnie in modo da sfruttare le proprie

conoscenze in commercializzazione, vendite e marketing ed avere facile accesso alle nuove

conoscenze. Quando le innovazioni radicali interferiscono pesantemente sia sulla attività ad

alto che a basso livello della catena del valore, risulta molto difficile per le imprese insediate

sopravvivere (Benner e Tushmann, 2003).

Può risultare rilevante anche il tempo che intercorre tra l’invenzione e la commercializzazione

di un nuovo prodotto (gestation period): più esso è elevato, più le imprese esistenti hanno

probabilità di sviluppare con successo la nuova tecnologia dal momento che le loro azioni sono

sempre appesantite dall’inerzia. Anche la storia passata di un’organizzazione gioca un ruolo

importante, infatti se già si è saputo cogliere e sfruttare un’innovazione radicale sarà più facile

ripetersi anche in futuro (Benner e Tushmann, 2003).

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 27

2.4 Il ciclo di vita del prodotto

2.4.1 Modelli di ciclo di vita del prodotto

Il primo studio ad introdurre il concetto di ciclo di vita di un prodotto è quello di Utterback e

Abernathy (1975). Gli autori partono dalla rilevazione delle interdipendenze tra prodotto e

relativo processo produttivo e identificano tre fasi di sviluppo incontrate da un prodotto, dalla

sua ideazione e introduzione sul mercato fino alla maturazione. Lo studio non si limita a

sottolineare le relazioni tra prodotto e processo ma prende in considerazione un range più

ampio di variabili; filo conduttore dell’analisi è il processo innovativo che si snoda attraverso

gli stadi di sviluppo del prodotto e del suo sistema produttivo. Questi elementi, a loro volta,

contribuiscono a definire le strategie di competizione e crescita delle organizzazioni e le

caratteristiche dell’industria.

Come mettono in luce gli stessi autori, lo studio presenta delle limitazioni. In primo luogo

quello proposto non è un percorso obbligato: in alcuni casi il processo di sviluppo di un

prodotto e degli altri elementi ad esso connessi può fermarsi per lunghi periodi o, addirittura,

subire delle inversioni di tendenza. Secondariamente questa analisi è stata sviluppata più di

venticinque anni fa quando le caratteristiche dei processi di produzione, degli studi riguardanti

l’organizzazione aziendale e di molte altre variabili in gioco erano molto differenti da quelle

odierne.

In base al modello proposto da Utterback e Abernathy, la nascita di un nuovo prodotto avviene

in un ambiente competitivo caratterizzato da numerose imprese, alcune già insediate

nell’industria e altre nuove, che iniziano ad avvicinarsi ad una nuova tecnologia, rispondendo a

bisogni ed opportunità emergenti nel mercato. I prodotti proposti dai vari competitori

presentano caratteristiche molto diverse tra loro, la gara all’innovazione è aperta ed ogni

compagnia cerca di emergere. I cambiamenti tecnologici maggiori si concentrano a livello di

prodotto più che di processo: quest’ultimo risulta inefficiente e non presenta alcun tentativo di

automazione. Lo scopo delle organizzazioni è lo sviluppo della nuova tecnologia e la ricerca di

un avanzamento della sua frontiera di performance. Questo stadio è definito dagli autori

“unconnected” per sottolineare la flessibilità che caratterizza lo scenario competitivo che è in

grado di rispondere velocemente ai passi in avanti effettuati dalla tecnologia, ai differenti

bisogni del mercato e ai cambiamenti ambientali.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 28

A questo punto inizia ad emergere un dominant design, cioè il prodotto diventa sempre più

definito, le sue caratteristiche più standardizzate e i bisogni del cliente più precisi. Abernathy11

(1978) definisce il dominant design come un’architettura singola che stabilizza e domina una

classe di prodotto.

Dato che la tecnologia a livello di prodotto ha raggiunto un elevato grado di avanzamento,

l’innovazione si concentra maggiormente sul processo produttivo per il quale iniziano delle

forme di automazione. In questa fase, denominata “segmental”, si ricerca la stabilizzazione e la

diffusione della tecnologia, attraverso la massimizzazione delle vendite, e la competizione si

basa principalmente sul prezzo.

Man mano che procede lo sviluppo del prodotto l’incertezza che lo accompagna diminuisce.

Una volta raggiunta la maturità (stadio “sistemico”) le sue caratteristiche sono ormai

pienamente standardizzate, il processo di produzione definito e automatizzato e le innovazioni

si manifestano solo in forma incrementale. La struttura dell’industria tende ad essere

oligopolistica in quanto nelle fasi precedenti si è completato ormai il processo di selezione tra i

competitori. Dal momento che il prodotto diventa sempre più statico e fossilizzato nelle sue

caratteristiche, i concorrenti operano prevalentemente ricercando una continua riduzione dei

costi.

Ritengo che un limite del lavoro di Utterback e Abernathy sia quello di aver proposto un unico

ciclo di sviluppo per ogni prodotto. A questo proposito è presentato lo studio di Anderson e

Tushmann (1990) in cui viene eliminata la relazione biunivoca tra dominant design e prodotto.

In altre parole essi non fanno corrispondere un ciclo di sviluppo ad un determinato prodotto ma

ad un dominant design. In questo modo un prodotto, nell’arco della sua vita, può subire diversi

cicli di sviluppo, maturità e decadenza, ognuno relativo all’introduzione di una discontinuità

tecnologica che conduce alla nascita di un dominant design.

Secondo Anderson e Tushmann il cambiamento tecnologico è caratterizzato da una serie di

discontinuità che accadono stocasticamente in un ambiente caratterizzato da innovazioni

incrementali. Le nuove discontinuità, che possono avere un effetto sia di miglioramento e

stabilizzazione che distruttivo nei confronti delle conoscenze e delle competenze in possesso

delle imprese, appaiono in seguito ad eventi random riguardanti anche il contesto politico e

socio-culturale. Con l’emergere delle varie discontinuità tecnologiche, inizia una fase di

selezione delle tecnologie accompagnata da fermento ed incertezza fino alla formazione di un

dominant design. In seguito a questo evento termina il periodo di fermento ed inizia un

11 Citato in Anderson e Tushmann (1990)

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 29

processo di evoluzione incrementale dello standard, che, quindi, non ha alcun effetto sulla

frontiera prezzo-performance, fino ad un ulteriore avanzamento della tecnologia portato da una

nuova discontinuità che determina l’inizio di un nuovo ciclo.

Nel periodo di fermento si assiste a due principali forme di competizione: innanzitutto tra la

tecnologia presente e quella nuova, ma anche tra le varie versioni di quest’ultima emerse tra i

concorrenti. Gli impieghi della tecnologia proposti dai vari competitori tendono ad essere

diversi perché le nuove conoscenze non sono ancora state assimilate e comprese pienamente e

perché essi hanno interesse a diversificarsi. Addirittura possono emergere anche forme

applicative della stessa tecnologia incompatibili tra loro (un esempio è dato dallo sviluppo dei

primi computer nella seconda metà degli anni’60). Una discontinuità tecnologica non ha la

forza e il grado di sviluppo necessari a trasformarsi in un dominant design, quindi, questa fase

di competizione e di avanzamento lungo la curva di esperienza da parte delle organizzazioni

risulta necessaria. Il processo di selezione è molto lento, specie se la discontinuità da cui parte

è competence-destroying, fino alla dimostrazione della superiorità delle nuova tecnologia

rispetto a quella esistente.

La nascita di un dominant design è influenzata da diversi fattori. Le condizioni necessarie per

l’emergere di uno standard sono rappresentate da una domanda abbastanza elevata e dalla

presenza di competizione tra varie applicazioni della nuova tecnologia o del nuovo prodotto.

Quando ci si trova in una situazione di bassa appropriabilità, cioè l’imitazione risulta facile, è

più probabile che le imprese si orientino verso la formazione di un unico standard. Al

contrario, in condizioni di elevata appropriabilità, l’emergere di un dominant design dipende

dalle scelte strategiche delle imprese: esse dovrebbero cercare di utilizzare gli strumenti in loro

possesso, come brevetti e concessioni di licenze, per contribuire alla diffusione della loro

tecnologia. Esse dovrebbero anche estendere il loro potere di mercato, ad esempio trovando un

cliente strategico (come lo stato o l’esercito) che permetta una vasta acquisizione del proprio

standard. La variabile che gioca il ruolo più decisivo nello sviluppo di un dominant design è il

mercato: infatti, molte volte la tecnologia che emerge non è la migliore (un esempio è

rappresentato dall’adozione della tastiera “Qwerty” nei pc) ma presenta delle caratteristiche tali

per cui presenta un migliore grado di accettazione. Quindi, in genere, il dominant design non è

localizzato sulla frontiera della performance tecnica. Come puntualizzano Anderson e

Tushmann, esso è frutto di dinamiche socio-politiche e di compromessi tra gli attori del

sistema.

E’ solo dopo il suo sviluppo che la tecnologia inizia a diffondersi e che si hanno effetti e

cambiamenti sulla struttura dell’industria. Infatti, è solo a questo punto che le vendite

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 30

raggiungono l’apice in quanto inizia la diffusione di massa, poiché i possibili adottatori

aspettano che emerga lo standard prima di investire in esso.

Gli autori sottolineano che la fase di miglioramento incrementale conseguente lo standard è

determinante in quanto è qui che avviene il maggior contributo innovativo all’industria: essa va

intrapresa anche se contemporaneamente le compagnie stanno già lavorando a nuove

discontinuità tecnologiche.

2.4.2 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura dell’industria

Klepper (1996) allarga ulteriormente il concetto di ciclo di vita del prodotto valutando che il

processo innovativo, che ne è alla base, il fenomeno di entrata e uscita delle varie compagnie

dall’ambiente competitivo e la struttura del mercato seguono un percorso di sviluppo comune

partendo dall’introduzione di un nuovo prodotto. In questo modo Klepper fa dipendere

strettamente l’evoluzione e la struttura di un’industria dal ciclo di sviluppo di un nuovo

prodotto, o meglio di un dominant design nato da una nuova tecnologia.

Alla base di queste assunzioni stanno le regolarità trovate attraverso l’analisi empirica

dell’evoluzione di numerose industrie, tra cui quella del pneumatico per automobili negli Stati

Uniti.

Quando emerge una nuova tecnologia le conoscenze in possesso dei vari concorrenti sono

limitate, quindi entrano nel settore anche una serie di piccole compagnie con esperienze in

tecnologie correlate12. Il numero dei potenziali entranti è limitato in quanto essi devono operare

con elevati standard qualitativi e di performance e bassi costi medi per stare al passo con la

concorrenza (Klepper e Graddy, 1990).

La forza trainante questa prima fase è l’innovazione di prodotto volta al soddisfacimento dei

bisogni del cliente.

Man mano che il ciclo si evolve, l’output dell’industria cresce mentre il prezzo si abbassa e gli

adottatori di successo iniziano a rimpiazzare i rivali meno efficienti, soprattutto nell’imitazione

dei concorrenti (Klepper e Graddy, 1990).

A questo punto, in molte industrie, tra cui quella del pneumatico, si assiste ad un fenomeno che

Klepper definisce shakeout, cioè una consistente e rapida diminuzione del numero di imprese,

12 Nelle varie industrie non si è assistito ad un unico andamento delle entrate nel tempo: in alcuni casi, esse hanno iniziato a decrescere fin dall’inizio, in altri nei primi periodi il loro numero è aumentato per poi seguire un trend decrescente.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 31

che verrà analizzata in modo più approfondito in seguito. Di conseguenza le quote di mercato,

la struttura e la concentrazione dell’industria, l’output e il prezzo cominciano a stabilizzarsi.

L’innovazione tende a concentrarsi dapprima sul processo produttivo e poi a diventare

incrementale. Contrariamente ad Utterback e Abernathy (1975), Klepper (1996) precisa che

alcuni miglioramenti, anche sostanziali, al sistema di produzione avvengono anche prima

dell’emergere dello standard.

Le imprese che sopravvivono, secondo Klepper, sono quelle che appartengono al primo gruppo

di entranti, cronologicamente parlando, in quanto hanno subito elevati incrementi nel potere di

mercato e profitti oltre la media.

In quest’ultimo stadio le variabili che influenzano maggiormente le azioni competitive delle

imprese sono la loro dimensione e il potere innovativo. Secondo l’autore questo secondo

fattore è strettamente connesso al primo in quanto la capacità di svolgere ricerca e sviluppo e i

ritorni da essa derivati sono proporzionali alla grandezza dell’impresa.

Dal lavoro di Klepper e Graddy (1990) emerge che a determinare la velocità di questo processo

di sviluppo sono le opportunità tecnologiche offerte dai nuovi prodotti e i bisogni del cliente:

più c’è spazio per sviluppare la nuova tecnologia e più le richieste e le necessità degli

utilizzatori sono eterogenee e poco definite, più il ciclo risulta lento.

Come puntualizzano gli stessi autori (Klepper e Graddy, 1990 e Klepper, 1996), il modello

presentato è il risultato dell’analisi di regolarità comuni a molte industrie durante lo sviluppo di

un nuovo prodotto ma non va assunto come uno schema fisso e sempre valido. Infatti i cicli di

sviluppo delle varie industrie si differenziano a causa di fattori casuali ed endogeni tra cui il

grado di incertezza portato dalla nuova tecnologia e la capacità delle compagnie di appropriarsi

dei ritorni dell’attività innovativa, ad esempio tramite brevetti e concessione di licenze.

2.4.3 Lo shakeout

Come si è visto nel paragrafo precedente, dopo una crescita iniziale del numero di imprese,

molte industrie sperimentano uno shakeout nel quale si registra l’uscita anche del 90% delle

compagnie operanti articolata in un periodo di tempo relativamente breve (quindici-venti anni).

Si è deciso di approfondire lo studio sullo shakeout e le cause che lo determinano dal momento

che esso ha caratterizzato anche l’industria del pneumatico attorno agli anni’20 (Klepper e

Miller, 1995; Klepper, 1996; Klepper e Simon, 1997).

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 32

In questi ultimi anni sono state sviluppate diverse teorie esplicative, alcune basate sul

cambiamento tecnologico e altre su fattori non correlati all’aspetto tecnologico (ad esempio

processi di learning by doing).

Uno degli studi più significativi è quello proposto da Klepper e Simon (1997).

Prima di questo lavoro erano state sviluppate alcune teorie prevalentemente centrate sul

cambiamento tecnologico come forza determinante l’uscita della maggior parte delle imprese:

ne riportiamo due esempi.

Jovanovic e MacDonald (1994) sostengono che alla base di uno shakeout sta una discontinuità

tecnologica che dà origine ad un nuovo prodotto ed apre la strada a molte imprese emergenti.

Le varie compagnie sono fortemente condizionate nell’azione dalla loro esperienza passata,

quindi, quando inizia la fase di rifinimento e miglioramento dell’innovazione, per lo più

generata dalle imprese già insediate, non tutte sanno cogliere le opportunità offerte. Le imprese

che sfruttano questa fase di miglioramento incrementale espandono il proprio output e

rafforzano il loro potere di mercato, con una conseguente diminuzione del prezzo di vendita, le

altre escono, provocando lo shakeout. La rapida diminuzione del numero di imprese, quindi,

non è causata dall’innovazione in sé ma dai miglioramenti incrementali da essa richiesti. Se

questa fase risulta sufficientemente attrattiva, però, possono anche verificarsi delle ulteriori

entrate; in genere queste non sono troppo dilazionate nel tempo dal momento che si hanno

ritorni marginali decrescenti. Sono i nuovi entranti ad avere più probabilità di uscita visto che

hanno meno esperienza nell’industria.

Secondo Utterback e Suarez (1993), invece, lo shakeout è determinato dalla capacità o meno

delle imprese di adottare il dominant design emerso nell’industria. Esso, quindi, oltre ad essere

il perno centrale per il cambiamento e il progresso tecnologico, lo è anche per la sopravvivenza

delle organizzazioni. Con lo standard le entrate iniziano ad esaurirsi perché le innovazioni

tendono ad essere incrementali e, quindi, ad offrire meno opportunità.

Anche considerando la teoria di Utterback e Suarez gli ultimi entranti tendono ad essere più

svantaggiati dal momento che hanno meno familiarità con la tecnologia del dominant design.

In studi come Klepper (1996) e Klepper e Simon (1997) emerge un’altra visione dello

shakeout: esso è concepito come intrinseco al processo evolutivo delle industrie, che risulta

guidato dal cambiamento tecnologico. In altre parole la discontinuità incontrata dal numero di

imprese non viene più fatta risalire ad un evento esterno, come una particolare innovazione

tecnologica o l’emergere di un dominant design, ma ad uno interno.

Questo percorso di spiegazione si basa sul vantaggio delle grandi imprese, rispetto a quelle di

piccole dimensioni, nel produrre R&S, sia relativamente al prodotto che al processo.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 33

Le compagnie che entrano per prime in un’industria iniziano ad effettuare attività di R&S

ampliando le quote di mercato, dal momento che la ricerca di processo permette di abbassare i

costi di produzione ad esempio, innovano e il prezzo, di conseguenza, subisce una riduzione. I

nuovi entranti, con meno capacità innovativa, nella maggioranza dei casi, non hanno le

possibilità di competere in un contesto simile e vengono spinti fuori dando origine allo

shakeout. Con il decrescere del numero delle imprese, diminuiscono anche le versioni del

prodotto che circolano nel settore, e, quindi, le possibilità di imitazione in possesso delle

imprese; l’imitazione è vista dagli autori come uno strumento fondamentale per la

sopravvivenza.

2.4.4 Il ciclo di vita del prodotto come determinante della struttura del mercato

Il ciclo di vita del prodotto, oltre ad essere intimamente connesso con quello delle industrie,

presenta dei legami profondi anche con quello del mercato, come dimostrano Gort e Klepper

(1982).

Un’innovazione di prodotto si manifesta attraverso due fasi, l’invenzione prima e la

commercializzazione poi.

Quando un nuovo prodotto incomincia ad essere commercializzato, inizia un ciclo di sviluppo

del mercato stesso che accompagna il prodotto dalla fase espansiva fino alla maturità. L’ultimo

stadio di vita del prodotto si riflette sul mercato con una forte decadenza e contrazione.

Gort e Klepper propongono un modello di ciclo di vita del mercato che, a partire dalla

commercializzazione del prodotto, si snoda attraverso cinque fasi generali, che non vanno,

però, intese come passaggi fissi che devono essere necessariamente incontrati.

Questo ciclo, come anche gli altri approfonditi in questa sezione, è guidato dall’innovazione,

vista come processo continuo e non come collezione di eventi indipendenti.

La prima fase del ciclo di vita del mercato comincia con l’introduzione di un nuovo prodotto a

cui segue l’entrata dei primi competitori; la sua durata dipende dalla velocità con cui avviene la

comunicazione delle informazioni tecnologiche.

La seconda fase inizia con il pesante aumento del numero delle imprese per soddisfare la

domanda del nuovo prodotto. Le innovazioni provengono ancora principalmente dall’esterno

ed hanno un elevato impatto specialmente su costi e performance.

Con il terzo passo si ha una stabilizzazione tra entrate ed uscite dal settore.

A questo punto il processo innovativo inizia ad avere una fonte principalmente interna e ad

accrescere le barriere all’entrata. Nella quarta fase il numero dei competitori decresce a causa

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 34

di un aumento delle uscite per poi trovare un livello stabile nell’ultima che persiste finché il

prodotto non diventa obsoleto e una nuova discontinuità tecnologica di rilevante importanza dà

vita ad un nuovo ciclo.

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 35

2.5 Conclusioni

In questo capitolo è stata proposta una rassegna della letteratura, a livello teorico, al fine di

guidare lo studio verso una corretta definizione:

- del tipo di innovazione rappresentata dal pneumatico run-flat e dai nuovi sistemi produttivi,

- del loro impatto sulle teorie inerenti il ciclo di vita dei prodotti,

- della posizione del pneumatico run-flat nel ciclo di vita del pneumatico come prodotto

definito in senso ampio.

Riassumendo tutti i contributi offerti dalla letteratura presa in considerazione, possiamo

affermare che le innovazioni possono essere sostanzialmente divise partendo dai due estremi

seguenti. Da una parte quelle che introducono cambiamenti solo incrementali nelle conoscenze

delle organizzazioni, quindi che fanno riferimento e rinforzano la tecnologia, la struttura e le

competenze esistenti, che riguardano principalmente i componenti dei prodotti ed utilizzatori e

mercati conosciuti. Dall’altra i cambiamenti tecnologici che intaccano la struttura, le

competenze e le conoscenze in possesso delle imprese, ad esempio agendo sull’architettura dei

prodotti e concentrando l’attenzione su nuovi mercati.

Fin dallo sviluppo di queste teorie gli studiosi hanno sempre sottolineato come la prima

tipologia di innovazioni favorisse le imprese già insediate in un’industria, mentre la seconda

determinasse il loro declino in favore di nuove entità. Negli ultimi anni gli studi sull’argomento

hanno portato alla luce una nuova visione dell’impatto delle innovazioni sulle organizzazioni.

Un primo passo avanti è stato quello di dimostrare come esso non dipendesse da caratteristiche

intrinseche dell’innovazione, dal momento che una stessa tecnologia può avere effetti molto

diversi sulle varie imprese. Lavori come quello di Hill e Rothaermel (2003) hanno contribuito

ulteriormente ad una chiarificazione affermando che l’impatto di una determinata tecnologia

sulle compagnie non è già definito a priori, a causa di forze statiche incorporate in queste

ultime (rappresentate ad esempio dall’inerzia organizzativa o dalla posizione all’interno del

value network), ma dipende dalle azioni che esse intraprendono. Un’organizzazione, quindi,

deve dimostrarsi pronta all’adozione delle nuove tecnologie potenziando gli elementi che ne

permettono l’acquisizione ed avere al proprio interno la flessibilità necessaria per eventuali

cambiamenti organizzazionali e strategici.

Dallo studio effettuato emerge chiaramente come sia difficile e poco significativo fornire una

categorizzazione definita per ogni cambiamento tecnologico in quanto le conseguenze portate

dipendono pesantemente dal contesto nel quale essi avvengono e dalle caratteristiche di ogni

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Secondo Capitolo, Letteratura di riferimento - 36

adottatore. Il lavoro presentato nei prossimi capitoli, quindi, segue lo studio proposto da

Tushmann e Anderson (1986): cioè si prefigge di analizzare l’impatto delle innovazioni

considerate sulle competenze delle imprese adottatrici sottolineando le strategie intraprese per

l’acquisizione di nuove e per la loro gestione ed integrazione.

Il secondo filone di letteratura considerato è quello inerente il ciclo di vita del prodotto.

Come si è visto dalle pagine precedenti, questi due argomenti hanno dei legami profondi. Il

ciclo di vita del prodotto, infatti, è determinato dal cambiamento tecnologico, inteso come un

processo continuo e non come un insieme di innovazioni indipendenti.

Sintetizzando i lavori presentati sull’argomento, possiamo affermare che un’industria che

evolve nel tempo è caratterizzata dall’introduzione di diversi standard, ognuno dei quali

comporta lo sviluppo di un ciclo che non riguarda solo il prodotto ma anche la struttura

dell’industria stessa, il mercato e le strategie delle imprese.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 37

Terzo Capitolo

L’industria del pneumatico 1888-2003:

eventi, tecnologia e concentrazione

Questo capitolo propone una rivisitazione della storia dell’industria del pneumatico odierna,

dalla sua nascita, più di un secolo fa, fino all’introduzione del pneumatico run-flat, avvenuta

nei primi anni’90.

La presentazione del settore effettuata in queste pagine prende in considerazione tre variabili

principali: i singoli eventi storici, l’evoluzione della tecnologia e la crescente concentrazione

industriale. La combinazione di questi tre elementi conferisce all’industria quelle

caratteristiche originali che ne rendono interessante e stimolante lo studio.

In poco più di un secolo il pneumatico si è trasformato e con esso anche il suo processo di

produzione. Da prodotto con pesanti inefficienze che equipaggiava le prime biciclette ed

automobili, ha subito un lungo processo di miglioramento fino ad assumere delle caratteristiche

strutturali e di performance che possiamo definire standard, in quanto molto simili tra i vari

marchi. In questi ultimi anni il pneumatico è diventato un prodotto estremamente complesso,

con proprietà studiate e progettate dettagliatamente per rispondere alle elevate richieste dei

produttori di veicoli e degli utilizzatori finali. Durante questa fase di sviluppo del prodotto

anche il processo di produzione ha subito dei cambiamenti: in particolare si sono automatizzate

alcune fasi, come la formazione della mescola o l’assemblaggio dei vari elementi. La tendenza

dominante nella produzione al giorno d’oggi, tuttavia, consiste nel sostituire le vecchie linee

con sistemi altamente flessibili e automatizzati che permettono una notevole riduzione dei costi

e un innalzamento delle caratteristiche qualitative.

Il processo di evoluzione del pneumatico è stato accompagnato da un percorso analogo nella

struttura dell’industria. Se inizialmente essa era costituita da molte imprese di diverse

dimensioni e strategie, cioè più o meno diversificate nei prodotti, già verso gli anni’60 e ’70 ha

iniziato a delinearsi una struttura oligopolistica che si è consolidata sempre di più nel tempo ed

ha assunto un carattere globale.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 38

Ritengo che un aspetto peculiare di questo capitolo sia l’aver riunificato gli eventi che hanno

contraddistinto l’industria a livello mondiale. Questo è molto importante dato che oggi non è

possibile effettuare una distinzione a livello geografico dei mercati nei quali operano le

compagnie che trainano l’industria (cioè il gruppo di circa dieci imprese che si aggiudicano

quasi l’85% delle vendite). In passato la letteratura di settore si è dedicata in modo particolare

all’industria nord americana dal momento che ha affrontato fasi singolari, come vedremo in

seguito. Poca attenzione è stata, invece, attribuita a quella europea e asiatica. La prima è stata a

lungo dominata da un numero limitato di entità nazionali operanti per lo più a livello domestico

o in paesi limitrofi. Le compagnie orientali, principalmente giapponesi e coreane, sono entrate

in occidente solo in seguito all’espansione dei produttori di autoveicoli negli anni’70.

Le prime sezioni del capitolo sono, quindi, dedicate alla presentazione degli elementi che, nel

corso della storia, hanno avuto un ruolo determinante nel delineare l’industria del pneumatico

odierna.

La sezione 3.4 offre una presentazione di Pirelli sottolineando gli eventi salienti che ne hanno

caratterizzato lo sviluppo e hanno contribuito a determinare le sue azioni e strategie

competitive. Questo approfondimento permette di comprendere meglio la compagnia dal

momento che le conclusioni generali dello studio, tratte dell’analisi delle informazioni raccolte

sul settore, vengono supportate da dati ottenuti attraverso alcune interviste svolte all’interno.

L’Appendice 3.1 fornisce un conciso background conoscitivo utile ad una migliore

comprensione degli estratti più tecnici dello studio illustrando le proprietà principali del

pneumatico e le sue funzioni all’interno del sistema veicolo.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 39

3.1 I primi passi dell’industria del pneumatico

3.1.1 La nascita dell’industria e le prime innovazioni tecnologiche

Lo sviluppo della gomma, indispensabile per la nascita del pneumatico, è stato reso possibile

grazie all’interesse da parte di alcune imprese europee, agli inizi del XIX secolo, verso le

applicazioni industriali del caoutchouc1. Ben presto la sua lavorazione si espanse in Europa e

in Nord America, dove si conta che nel 1937 operavano una dozzina di compagnie (French,

1991). Così com’era, il settore offriva poche possibilità di espansione e miglioramento data la

bassa resistenza del prodotto, soprattutto alle variazioni di temperatura.

Un forte impulso al suo sviluppo venne portato nel 1839 da C.Goodyear che inventò il

processo di vulcanizzazione, tuttora determinante nella costruzione dei pneumatici. Si trattava

di un procedimento chimico in cui la gomma veniva fatta reagire con lo zolfo che provocava

una trasformazione da massa plastica a massa elastica, generando miglioramenti in termini di

flessibilità, impermeabilità e resistenza a varie temperature (Pirelli, 1997). Nel corso degli anni

questo processo divenne sempre più sofisticato, anche grazie all’aggiunta di nuovi additivi che

conferivano al pneumatico e al processo varie proprietà; si ricorda, ad esempio, il brevetto della

vulcanizzazione a freddo da parte di A.Parkes nel 1839.

Verso il 1870 nella nascente industria della gomma vennero introdotti due importanti

cambiamenti: lo spostamento della sede di alcuni produttori dalla costa orientale, tra New York

e il New Jersey, ad Akron, in Ohio, e l’introduzione della bicicletta, inventata in Francia che

creò un nuovo prodotto per l’industria, il pneumatico. Inizialmente le ruote delle biciclette

erano di legno foderato con acciaio ma risultavano molto rigide e poco manovrabili; un leggero

miglioramento fu portato dai pneumatici solidi di gomma, ma la vera innovazione fu introdotta

nel 1888 da Dunlop e consisteva in una struttura formata da tessuto di cotone gommato,

ricoperto da un battistrada di gomma, con all’interno una camera d’aria gonfiata attraverso una

valvola.

Grazie all’introduzione del pneumatico di Dunlop e all’incremento della domanda di biciclette,

l’industria incontrò un forte ampliamento. Entrarono molte imprese nuove dato che il mercato

offriva molto spazio poiché la maggior parte dei produttori già insediati, la cui produzione

constava principalmente di calzature ed oggetti in gomma, non aveva preso in considerazione il

pneumatico dal momento che non intravedeva nessuna particolare connessione con li propri

1 Una sostanza liquida ottenuta dalla corteccia di alberi (come la vite) in Sud America che veniva utilizzata dagli abitanti delle regioni amazzoniche per oggetti e calzature date l’elasticità e la resistenza all’acqua presentate.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 40

prodotti. L’industria del pneumatico, quindi, si sviluppò e si mantenne abbastanza indipendente

e slegata a quella della gomma.

Il mercato statunitense era formato da un gran numero di piccole imprese, tra cui molte

emergenti come Goodyear, ed era dominato da BFGoodrich e da Diamond Rubber. Le

compagnie provenivano sostanzialmente da due realtà: da una parte c’erano società, come,

appunto, Goodrich e Diamond Rubber, che lavoravano già nel settore della gomma, per cui il

pneumatico era solo una tra le tante linee produttive, dall’altra imprese, come Firestone e

Goodyear, che erano più giovani e avevano fatto della produzione del pneumatico il loro

business principale. Nonostante ci fosse questo divario di esperienze, mentalità e psicologia nel

gruppo, la forte crescita del settore tra il 1900 e il 1935 attuò un processo di omogeneizzazione

(Nelson, 1987).

In questi stessi anni si stava delineando anche l’industria europea con la nascita di Continental

in Germania, Pirelli in Italia, Dunlop in Gran Bretagna e Michelin in Francia, tra il 1871 e il

1889.

Alla fine del diciannovesimo secolo accadde un evento fondamentale nell’evoluzione

dell’industria del pneumatico: l’introduzione dell’automobile. I primi esemplari, mossi da

diversi tipi di trazione (a vapore, elettrica, a gasolio,..), erano equipaggiati da pneumatici solidi,

finché nel 1895 i fratelli Michelin presentarono e pubblicizzarono un pneumatico contenente

aria in pressione nella competizione automobilistica Parigi-Bourdeaux. L’attenzione di tutti i

produttori di pneumatici si rivolse, quindi, alla Francia, per carpire i segreti di questo nuovo

prodotto. Non poteva, infatti, verificarsi un pieno trasferimento di conoscenze dalla produzione

delle gomme per le biciclette in quanto le automobili erano molto più pesanti e veloci. Le due

sfide maggiori per i costruttori di pneumatici erano rappresentate dalla riduzione dell’attrito

interno e dal consentire lo smontaggio del prodotto per la riparazione assicurando

l’agganciamento alla ruota durante la marcia.

Ciò segnò il definitivo declino dell’era della bicicletta (negli Stati Uniti dal 1900 al 1904 il

mercato delle biciclette si ridusse ad un quarto) ma il suo sviluppo rimase determinante per

l’industria del pneumatico per veicoli, in quanto permise ai produttori di familiarizzare con la

tecnologia e di acquisire le competenze necessarie per affrontare il futuro con successo

(French, 1991).

Negli Stati Uniti all’inizio del 1900 il settore si espanse significativamente con l’entrata di

numerose imprese (più di 200 in cinque anni, dal 1904 al 1909), tra cui Firestone, alcune nel

settore dei pneumatici e altre in quello di calzature e altri accessori in gomma (French, 1991).

Di conseguenza molte compagnie iniziarono a diversificare la propria produzione (ad esempio

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 41

Goodrich cominciò a fabbricare palline da golf) anche se erano comunque protette da elevate

barriere all’entrata, rappresentate dai propri skill e conoscenze (infatti tutti i processi costruttivi

erano manuali), dai costi di produzione e dai prezzi che si abbassavano di continuo.

In questo modo l’industria iniziò a delinearsi maggiormente sviluppandosi soprattutto nella

zona di Akron in Ohio e legandosi maggiormente ai costruttori di autoveicoli, grazie alla

stipulazione di contratti di fornitura, dando vita alla segmentazione del mercato in

equipaggiamenti originali e ricambi.

All’inizio del 1900 molte compagnie erano talmente forti e radicate che decisero di espandersi;

l’esempio più significativo è rappresentato da Michelin che cercò di sfruttare il vantaggio

economico derivato dal primo pneumatico per automobili per entrare, non solo in industrie di

paesi limitrofi, come quella italiana, ma anche negli Stati Uniti, nel New Jersey, dove, però,

rimase meno di vent’anni.

L’industria americana del pneumatico tra il 1900 e il 1935 ebbe un tasso innovativo tra i più

alti del paese grazie a cambiamenti volti sia ad aumentare la performance del prodotto che

l’efficienza del processo costruttivo2 (Sull, 2002).

In seguito all’introduzione del pneumatico da parte dei fratelli Michelin e l’adozione della

tecnologia da parte di tutti gli altri produttori, cominciò la gara ai miglioramenti del prodotto;

essa fu dettata maggiormente da problemi di efficienza e di prestazioni che da un intento di

miglioramento della posizione competitiva. Tali innovazioni caratterizzarono sia l’Europa che

gli Stati Uniti dove favorirono l’emergere di compagnie inizialmente più deboli, come

Goodyear e Firestone.

Per prima cosa venne introdotto il battistrada disegnato in modo da aumentare la presa sul

terreno e, quindi, la possibilità di guidare a velocità maggiori e in condizioni atmosferiche

sempre più disagiate.

Nel 1910 fu inventato in Inghilterra il cosiddetto cord tire, un pneumatico nel quale venne

eliminato l’uso di fibre e filamenti incrociati di cotone, che costituivano la struttura di rinforzo

sotto il battistrada, grazie all’utilizzo di un tessuto senza trama, in modo da ridurre le abrasioni

generate tra le varie fibre e, così, incrementare la durata. Nonostante fossero molto costosi

vennero subito adottati da tutti i produttori che si adoperarono per raggiungere miglioramenti

alla ricerca di un prodotto sempre più adeguato alla funzione che doveva svolgere.

Inoltre, divenne standard il colore nero dal momento che si iniziò ad usare il carbone nero al

posto dell’ossido di zinco come rinforzante.

2 Sull (1999b) asserisce che l’industria era la seconda più innovativa degli Stati Uniti (utilizzando un indicatore costituito dal rapporto tra il numero di ricercatori sul totale dei lavoratori).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 42

Infine i pneumatici diventarono sempre più grandi dimensionalmente e meno gonfi.

Nel 1913 in Inghilterra venne anche brevettata la tecnologia radiale da parte della Palmer Tyre

Company che, però, non venne sperimentata per moltissimi anni.

Sempre in questo periodo Michelin introdusse sul mercato una ruota di acciaio smontabile che

diede vita all’utilizzo della ruota di scorta sul veicolo: questo rappresentò un notevole passo

avanti dal momento che fino a questo momento i pneumatici erano sempre stati cementati al

cerchione.

Accanto a queste innovazioni di prodotto comparsero anche i primi miglioramenti al processo

produttivo che riguardarono soprattutto la fase di assemblaggio, con la Cord Tire Building

Machine introdotta da Goodyear nel 1909 e la Drum Tire Building Machine brevettata da US

Rubber nel 1919, e la preparazione delle mescole, con l’invenzione del Banbury Mixer nel

1916. Queste macchine non consentirono agli inventori di accumulare un grosso vantaggio

competitivo; ad esempio, come riporta French (1987), la maggior parte delle compagnie,

soprattutto europee, sviluppò un sistema alternativo alla Cord Tire Building Machine proprio

per non dover pagare alcuna licenza a Goodyear. Possiamo già anticipare che questi primi

macchinari segnarono il processo produttivo per più di ottant’anni, con numerosi

miglioramenti, specie negli anni’60, fino alla comparsa dei primi sistemi automatizzati verso la

fine degli anni’90.

Dal 1910 negli Stati Uniti la domanda di pneumatici incontrò un trend crescente ma i prezzi di

vendita rimasero bassi; risultò, quindi, determinante per i costruttori investire per espandere il

proprio output e diminuire i costi di produzione ricercando innovazioni tecnologiche. Le

imprese di medie dimensioni e più specializzate nel settore pneumatici, come Goodyear e

Firestone, ebbero una forte crescita ed insediarono la posizione dei leader di settore come

Goodrich, Diamond Rubber o US Rubber, che, però, poterono mantenere il proprio volume di

vendite dato che le case automobilistiche si servivano da molti fornitori per tenere basso il loro

potere contrattuale. L’espansione di Goodyear e Firestone consolidò ulteriormente Akron come

centro dell’industria nord americana del pneumatico.

L’intensa attività di espansione e di multinazionalizzazione all’estero di Goodyear, dal 1910 al

1938, testimonia quanto affermato. La compagnia, partendo dal Canada, arrivò a costruire una

sede a Londra, che le permise di competere direttamente con i costruttori europei, come

Michelin e Dunlop, e raggiunse i mercati dell’Australia e di Java. Questo allargamento delle

frontiere della compagnia fu stimolato dalla prima guerra mondiale che rese più facile

l’espansione americana in molti settori, data la contrazione che si era verificata nei mercati

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 43

europei: si ricorda un trend simile nell’industria automobilistica, con in testa Ford (French,

1987).

In questi anni si assistette anche a profondi cambiamenti nelle attività di distribuzione con un

processo di estensione verticale che aumentò i livelli che il prodotto doveva affrontare per

raggiungere il cliente finale.

La prima guerra mondiale ebbe un impatto molto differente sull’industria europea e

statunitense, almeno durante i primi anni.

In Europa gli effetti del conflitto furono pesanti: ad esempio, vennero distrutti i mercati della

gomma.

Gli Stati Uniti non risentirono di questa situazione e furono in grado di superare la scomparsa

dei mercati europei aumentando l’uso di gomma riciclata, riuscendo, così, a contenere il prezzo

di questa fondamentale materia prima. La guerra, inoltre, permise un’espansione del mercato,

con un tasso di crescita del 40%, e numerose entrate, almeno fino al 1917 quando gli Stati

Uniti ruppero la neutralità. A questo punto le imprese specializzate che avevano riscontrato una

forte crescita negli anni precedenti si trovarono svantaggiate in quanto l’entrata in guerra

penalizzò la domanda di pneumatici in favore di altri prodotti di gomma, come maschere

antigas, taniche per il gasolio e mongolfiere da esplorazione.

Dal 1920 gli effetti del conflitto mondiale si fecero sentire in modo pesante anche negli Stati

Uniti. Il prezzo di materie prime come la gomma crollò infliggendo un duro colpo alle grandi

imprese, già colpite dalla contrazione del mercato del ricambio, che videro il valore dei loro

fornitissimi magazzini calare drasticamente e dovettero affrontare la crescita delle piccole

compagnie che approfittarono della facilità di accesso alle materie prime per guadagnare quote

di mercato.

Firestone e Goodyear accusarono molte perdite; in particolare, per la seconda la situazione fu

molto critica a causa della svalutazione ma, grazie ad una ristrutturazione, che durò fino al

1922, affidata ad una commissione esterna, riuscì a risollevarsi.

Secondo French (1991) questo periodo di forte recessione e difficoltà ebbe dei lati positivi in

quanto aiutò a sviluppare tecniche di gestione migliori, soprattutto a livello di magazzino.

Dal 1921 si aprirono nuove possibilità di crescita per il settore con lo sviluppo di nuovi

segmenti di mercato, come i pneumatici per bus e autocarri, che consentivano di generare

profitti più ampi.

In questo periodo negli Stati Uniti iniziò un processo di allargamento del divario tra le imprese

leader e le medie accentuato da questi nuovi segmenti di mercato, dalle innovazioni nella

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 44

produzione (ad esempio nuovi sistemi di trasporto nei reparti) e dall’integrazione verticale

delle grandi imprese che cominciarono ad acquistare piantagioni della gomma.

A causa di questa situazione iniziarono a diminuire le entrate: French (1991) riporta che nel

1921 gli impianti per la produzione del pneumatico erano 178 mentre nel 1937 calarono a 46,

mentre sia l’output che il numero di addetti aumentarono considerevolmente.

Dal 1920 ci furono dei cambiamenti nella domanda di automobili che abbandonò il trend

crescente e diventò ciclica per la nascita del mercato dell’usato: questo portò un ulteriore

beneficio all’industria in quanto diminuì la pressione della case automobilistiche sui costruttori

di pneumatici.

Gli anni’20 furono caratterizzati anche da numerose importanti innovazioni tecnologiche che

riguardarono soprattutto il prodotto. Esso divenne più resistente e sicuro grazie all’introduzione

dei pneumatici cross-ply e low-pressure. I primi erano caratterizzati da una carcassa rinforzata

da molti strati di tessuto sovrapposti. Nei secondi si riuscì a diminuire la pressione dell’aria con

un ampliamento delle sezioni ottenuto grazie ad una riduzione del diametro dei cerchi, con

molti benefici, come l’abbassamento del baricentro, la riduzione delle masse rotanti e una

guida più morbida e confortevole.

Nel 1923 venne introdotto il baloon tire da Firestone, basato su nuovo modo per impregnare le

fibre di gomma. Il pneumatico risultava più resistente e flessibile, tanto da permettere un

aumento delle dimensioni, e, quindi, della capacità di contenimento dell’aria, che permise di

ridurre notevolmente la pressione, il peso e la mole del battistrada. Dopo un avvio lento esso si

diffuse così rapidamente da provocare l’estinzione dei pneumatici in tessuto.

Nel 1928 Michelin brevettò il pneumatico tubeless nel quale la camera d’aria venne

rimpiazzata da un rivestimento interno di gomma integrato nel pneumatico. Essi richiedevano

un processo di assemblaggio più lungo ma permettevano di eliminare la produzione di tubi

interni, di diminuire la generazione di attrito e calore a causa delle interazioni tra i due tubi e di

aumentare la sicurezza, dal momento che non esistevano più problemi di scoppio in caso di

foratura.

Le innovazioni che permisero il rapido progredire dell’industria riguardarono anche il settore

chimico. Ad esempio, furono introdotti degli acceleratori che permisero di velocizzare il

processo di vulcanizzazione e sostanze antiossidanti che incrementarono la durata del

pneumatico, frenando la degradazione della gomma dovuta all’esposizione a gas atmosferici,

come l’ossigeno e l’ozono, alle radiazioni ultraviolette del sole, al calore e alle contaminazioni

metalliche presenti nella gomma stessa (Dick, jan.1981).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 45

Man mano che si realizzavano le innovazioni il pneumatico acquistava sempre di più la forma

e la struttura che oggi conosciamo (ad esempio l’aspect ratio che nel 1949 era mediamente 95,

nel 1970 era diminuita a 78).

In questi anni iniziò a formarsi anche l’industria giapponese nella produzione di oggetti di

gomma e di pneumatici: infatti nel 1909 era nacque Sumitomo e nel 1920 Bridgestone.

Prima di procedere nell’analisi degli eventi determinanti nello sviluppo dell’industria, ritengo

opportuno aprire una piccola parentesi per parlare dei profondi cambiamenti nella

concentrazione dell’industria americana a partire dagli anni’20

3.1.2 Lo shakeout nell’industria statunitense

Una delle principali caratteristiche dell’industria del pneumatico statunitense è quella di aver

avuto esperienza di uno shakeout, cioè di una rapida diminuzione del numero delle imprese,

attorno al 1922.

L’industria iniziò ad espandersi all’incirca a partire dal 1905 con un numero annuale medio di

entrate pari a 30 nel primi sei anni e al doppio dal 1911 al 1922 (Klepper e Simon, 1997). A

questo punto, come si può notare dalla tabella 3.1, tale processo cominciò a diminuire fino ad

arrestarsi attorno alla fine degli anni’20, quando le uscite iniziarono a prendere il sopravvento3.

Lo shakeout durò all’incirca trent’anni e il numero delle imprese iniziò a stabilizzarsi dopo la

fine del secondo conflitto mondiale, con valori molto più bassi rispetto a quelli degli anni’20:

Klepper e Simon (1997) riportano che all’inizio del 1960 le compagnie operanti nell’industria

erano meno di 23.

Durante il periodo precedente e seguente lo shakeout l’industria fu sempre dominata da quattro

compagnie, Goodrich, US Rubber (che poi divenne Uniroyal), Goodyear e Firestone, che

appartenevano al gruppo dei primi entranti, avendo iniziato la propria attività prima del 1900.

Queste compagnie guidarono anche le prime innovazioni di prodotto e di processo che

aiutarono a definire le caratteristiche principali del pneumatico e a migliorarne la produzione.

Tale primato non può essere spiegato con il fatto che esse erano avvantaggiate dalla possibilità

di sfruttare economie di scala, in quanto il settore non ne consentiva, né in produzione né in

distribuzione, e tanto meno dall’aver ricercato qualche processo di lock-in, in quanto le entrate

e le uscite continuarono e non vi erano gli strumenti necessari, come brevetti o clienti

estremamente potenti. Come sottolineano Klepper e Simon (1997), l’unica giustificazione a

3 L’ultima entrata risale al 1938 quando Ford Motor Company aprì un impianto di produzione di pneumatici a Detroit che, però, fallì in poco tempo (Dick, sept.1980).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 46

questa supremazia è che erano le uniche che, per via della loro dimensione, potevano

permettersi attività di R&S tali da operare sulla frontiera tecnologica. Infatti, secondo gli

autori, le variabili determinati per il mantenimento della propria condizione economica, anche

nel caso di shakeout sono tre: età, dimensione e posizione geografica. Inoltre, tutte le

compagnie leader (come anche un quarto delle compagnie esistenti all’inizio dello shakeout),

tranne US Rubber, risiedevano ad Akron o nelle vicinanze; in questo modo avevano un accesso

più facile alla tecnologia ed erano più spronate nella ricerca di continui cambiamenti.

Tabella 3.1 Andamento della concentrazione dell’industria del pneumatico statunitense dal 1919 al 19374 (Fonte: French, 1991, pag.48 Table 5.3)

Le modalità con cui si svolse lo shakeout nell’industria escludono le possibilità che esso sia

stato causato da un cambiamento tecnologico esterno o dall’emergere di uno standard, come

volevano le teorie di Jovanovic e MacDonald (1994) e di Utterback e Suarez (1993) esposte nel

secondo capitolo. Jovanovic e MacDonald ritengono il baloon tire e il Banbury Mixer come le

innovazioni tecnologiche che avrebbero potuto portare alla discontinuità nel numero delle

imprese. Entrambe le tecnologie, però, non ebbero un impatto così significativo da

rappresentare una sfida per gli adottatori e poi si diffusero in modo molto rapido, ampio e

facile.

4 Il trattino corrisponde a dati mancanti.

Anni Entrate Fallimenti Fus./Acquis. Tot.uscite Num.impianti Num.imprese 1919 44 1 0 1 200 190 1920 16 1 1 2 - - 1921 16 4 5 9 178 - 1922 11 13 3 16 - 166 1923 9 25 4 29 160 129 1924 4 18 4 22 - 111 1925 7 14 4 18 126 97 1926 1 18 2 20 - 93 1927 0 12 1 13 109 92 1928 2 16 2 18 - 78 1929 0 17 2 19 91 62 1930 0 6 5 11 - 50 1931 0 9 2 11 48 - 1932 0 3 0 3 - - 1933 0 2 0 2 44 35 1934 0 - - - - - 1935 0 - 2 2 42 - 1936 0 4 2 6 - - 1937 0 2 1 3 46 -

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 47

Se è vero che nell’industria ci fu un punto di passaggio abbastanza chiaro tra innovazioni di

prodotto e di processo, come richiede il processo di affermazione di uno standard, ci sono

molte altre caratteristiche che sottolineano come neanche l’emergere di un dominant design sia

stato la causa scatenante dello shakeout. Infatti le innovazioni di processo iniziarono attorno al

1909, cioè almeno un decennio prima dell’inizio dello shakeout e del picco delle entrate.

Klepper e Simon (1997), quindi, come già anticipato nel secondo capitolo, vedono lo shakeout

come guidato da un processo di cambiamento tecnologico continuo. Le innovazioni, per lo più

incrementali, che si susseguirono nel tempo provocarono un fenomeno di abbassamento dei

prezzi di vendita e di miglioramento degli standard qualitativi che scoraggiò le entrate e portò

all’uscita le imprese che non sapevano competere limitatamente a queste due variabili. Oltre al

cambiamento tecnologico in sé, giocò un ruolo fondamentale la possibilità di appropriarsi dei

ritorni che ne derivavano: in questo senso, come già esposto sopra, furono determinanti

variabili come la dimensione e l’età (Klepper e Simon, 2000).

Tra le molte interpretazioni dello shakeout, una teoria interessante è quella proposta da Knox5

(1963) che vede i cambiamenti nella distribuzione del prodotto, che comportarono la nascita di

un network di rivenditori sia indipendenti che non dai produttori, come l’evento scatenante la

discontinuità nel numero di imprese.

Anche Dick (sept.1980), nella sua analisi sulle innovazioni tecnologiche come determinanti

della struttura industriale, sottolinea il verificarsi dello shakeout a cui, però, fornisce una

spiegazione meno teorica facendo riferimento all’andamento della domanda. Secondo l’autore

la rapida crescita del numero delle imprese fu dovuta all’incremento della domanda a causa

delle richieste militari durante la guerra e al forte aumento della diffusione dell’automobile

negli anni immediatamente seguenti. La recessione dei primi anni’20, la grande depressione del

1929 e il conseguente rallentamento della domanda di automobili avrebbero, invece,

determinato la caduta drastica del numero di imprese.

Lo shakeout relativo all’industria del pneumatico, come sottolineano Horvath, Schivardi e

Woywode (2001), rivela caratteristiche simili a quelli verificatesi in altri settori, come quello

dell’automobile o delle imprese dedite alla preparazione della birra; tali proprietà, però, non

possono essere generalizzate per una descrizione dell’andamento di tutte le discontinuità nella

concentrazione industriale.

5 Citato in Klepper e Simon (2000)

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 48

3.1.3 L’industria tra le due guerre mondiali

Negli Stati Uniti il periodo di ripresa dalla recessione in seguito al primo dopoguerra non durò

molto a causa della grande depressione del 1929. Essa ebbe un effetto molto pesante sui beni

durevoli, come l’automobile, e di conseguenza anche sui pneumatici. Le imprese del settore

iniziarono a diversificarsi, sia cercando nuovi segmenti di mercato per il prodotto, come

pneumatici per l’agricoltura o per veicoli industriali, sia verso prodotti collegati, come gli

accessori per automobili.

La situazione, già di per sé difficile, fu amplificata anche da altri fattori. Prima di tutto nella

vendita di pneumatici entrarono le compagnie petrolifere che iniziarono a fare concorrenza agli

apparati distributivi delle principali compagnie produttrici. Secondariamente i lavoratori

iniziarono ad acquisire sempre più potere dando vita a delle unioni che iniziarono ad utilizzare

strumenti di manifestazione come lo sciopero.

In questi anni incominciò anche una significativa evoluzione nel campo dei materiali. I primi

pneumatici erano rinforzati con fasce di cotone; in seguito, alla fine degli anni’30, iniziò la

commercializzazione del rayon, una fibra sintetica più forte che conferiva al pneumatico una

maggiore uniformità ma che necessitava dell’aggiunta di una nuova fase al sistema produttivo

per un trattamento che ne migliorasse le proprietà di adesione. Nel periodo del secondo

conflitto mondiale emerse un’altra fibre sintetica, il nylon, la cui diffusione, però, ebbe bisogno

di massicce campagne pubblicitarie e di una significativa riduzione del prezzo a causa della

competizione con il rayon.

Nel 1937 Michelin sviluppò il metal tire, un pneumatico che utilizzava fibre di acciaio al posto

del cotone che lo rendevano molto più resistente alla temperatura, alle forature e al peso e che,

quindi, venne esteso all’equipaggiamento di veicoli pesanti. Il cotone, infatti, non era molto

resistente alle forature e, se si cercava di ovviare al problema usando strati troppo spessi, non

permetteva una corretta dispersione del calore generato subendo dei danneggiamenti. Questo

prodotto, a detta dei maggiori studiosi della tecnologia del settore, rappresentò un passo

fondamentale per lo sviluppo del pneumatico radiale.

Dopo la grande depressione del 1929 anche la seconda guerra mondiale segnò l’industria

statunitense. Gli attacchi del Giappone nel sud-est asiatico distrussero il sistema di fornitura

delle materie prime delle imprese americane che furono costrette a rivolgersi alle piantagioni

della Liberia e della California e ad utilizzare la gomma riciclata. Inoltre il governo sentenziò

la conversione di tutta la produzione dell’industria a scopi militari: gli unici prodotti che

mantennero un mercato furono i pneumatici per bus ed autocarri. Anche alla fine delle

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 49

restrizioni la produzione civile ebbe difficoltà a riprendersi perché la domanda di articoli

militari era ancora troppo elevata, a causa dello sbarco degli alleati in Europa.

Le restrizioni imposte dal conflitto rivelarono la necessità di trovare un sostituto alla gomma

naturale che godesse delle stesse proprietà in termini di flessibilità, resistenza e qualità.

Ricerche in questo senso vennero intraprese in Europa già dalla fine del 1800 e, attorno al

1930, portarono allo sviluppo del neoprene, un materiale che, però, aveva costi troppo elevati

per essere impiagato nella produzione di pneumatici. Più tardi prevalse il risultato ottenuto in

Germania durante la prima guerra mondiale, il Buna-S6; negli Stati Uniti i costi di produzione

vennero in gran parte assorbiti da uno speciale programma governativo7. Il butadiene, infatti,

era molto caro; solo Goodrich, pioniera della gomma sintetica, riusciva a contenere i costi dal

momento che era legata ad un suo produttore tramite una joint-venture (Blackford e Kerr,

1996).

Questo composto, però, non ottenne molto successo e il suo consumo, con la fine del conflitto,

si portò a livelli minimi; comunque, come sottolinea Dick (jan.1981,) la sua presenza servì a

mantenere basso il prezzo della gomma naturale.

Anche in Europa venne avviata la produzione di gomma sintetica: ad esempio nel 1939 in Italia

Pirelli formò un accordo con IRI per la sua produzione.

In questo periodo vennero sviluppate anche innovazioni di contorno alla mera produzione di

pneumatici che, però, incrementarono il volume produttivo dei vari impianti. Infatti, si iniziò

ad utilizzare un layout diverso nella costruzione degli impianti in modo da assicurare un flusso

continuo, dal ricevimento dei materiali fino alla movimentazione del prodotto finito, ad

esempio ricorrendo a strutture ad un unico piano, a sistemi di trasporto automatizzati, alla

diversificazione delle linee in base alla produzione e all’uso di computer, non appena furono

sviluppati, soprattutto nelle fasi di programmazione e registrazione di magazzino (Dick,

dec.1980).

In questi anni negli Stati Uniti si verificò anche il consolidamento delle relazioni privilegiate

tra produttori di autoveicoli e di pneumatici (si riportano gli esempi di Ford e Firestone o

General Motors e Goodyear) e nell’industria si configurò un quinto grande produttore, General

Tire (Sull, 1999b).

6 Composto formato da butadiene, più precisamente butadiene polimerizzato con un catalizzatore di sodio, e styrene (Michelin Corporation). 7 Al termine della guerra il governo statunitense cedette gli impianti per la produzione di Buna-S che possedeva alle quattro compagnie leader (Goodyear, Goodrich, Firestone e US Rubber).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 50

Grazie ai vari avanzamenti tecnologici il prodotto subì un processo di diversificazione e la

gamma offerta dai vari marchi si ampliò notevolmente, sia in termini di tipologie (invernali, ad

alte prestazioni,..) che di prezzi.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 51

3.2 La rivoluzione radiale

3.2.1 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Europa ed Asia

Il concetto su cui su basa il pneumatico radiale venne brevettato in Inghilterra nel 1913 da Grey

e Sloper della Palmer Tyre Company ma per la sua applicazione si dovette aspettare fino al

1946 quando Michelin, dopo molti decenni di ricerche, sviluppò il prodotto.

In termini di tecnologia di prodotto il pneumatico radiale rappresentò solo una diversa

applicazione di conoscenze, componenti e materiali esistenti; esso, però, richiedeva delle

modifiche non trascurabili al sistema produttivo.

Anche senza l’introduzione di nuovi materiali e componenti esso portò importanti

miglioramenti in termini di performance, durata ed economicità.

Per un approfondimento riguardante le principali caratteristiche tecniche dei pneumatici radiali

si rimanda all’Appendice 3.2, a fine capitolo.

Durante gli anni’50 e ’60 in Europa la produzione dei pneumatici radiali si diffuse

velocemente, soppiantando le tecnologie tradizionali, e dal 1960 essi iniziarono ad essere

adottati come equipaggiamento originale su tutti i veicoli. Una delle prime imprese a seguire

Michelin fu Pirelli che nel 1951 brevettò il Cinturato, un pneumatico radiale con delle fasce di

rayon che formavano una sorta di cintura inestensibile che riduceva le deformazioni cicliche

alternative a cui i pneumatici erano abbastanza soggetti.

Grazie al successo del prodotto Michelin, tra il 1960 e il 1972, aprì 26 nuovi impianti, 14 dei

quali al di fuori della Francia (Sull, 2002).

Nel 1968 ci fu un’alleanza tra i maggiori produttori europei, Pirelli, Continental e Dunlop,

volta alla ricerca di tecnologie che potessero facilitare la completa conversione ai pneumatici

radiali, contenendo i costi, per aumentare la propria forza competitiva nei confronti di

Michelin.

La tecnologia radiale raggiunse anche le imprese dell’estremo oriente infatti nel 1962

Bridgestone produsse il primo pneumatico radiale e quattro anni più tardi anche Sumitomo.

Il gruppo di compagnie si arricchì dopo il secondo conflitto mondiale con la nascita di Toyo

(1945), Kumho (1960) e Yokohama (1969).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 52

3.2.2 Lo sviluppo del pneumatico radiale in Nord America

Negli Stati Uniti l’adozione della tecnologia radiale non fu spontanea e veloce come in Europa

e, probabilmente, anche in Giappone, ma provocò dei profondi e singolari cambiamenti che nel

corso degli anni sono stati analizzati da numerosi studiosi.

Per capire meglio la situazione si illustrano brevemente le principali caratteristiche

dell’industria prima dell’introduzione dei pneumatici radiali e le modifiche che tale adozione

avrebbe richiesto.

Il settore del pneumatico statunitense era ormai stabilizzato per quanto riguarda la

concentrazione (nel 1960 era tra le sei industrie più concentrate del paese e dal 1935 al 1972 il

gruppo delle top8 si aggiudicava circa il 90% del mercato; Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997 e

Dick, sept.1980).

L’adozione della tecnologia radiale avrebbe richiesto ingenti investimenti, tutti a carico dei

costruttori, senza possibilità di divisione dei costi con chi beneficiava realmente dei

miglioramenti che essa offriva, come le case automobilistiche e gli utilizzatori finali. Gli

investimenti maggiori avrebbero riguardato i sistemi produttivi in quanto la costruzione dei

pneumatici radiali richiedeva delle modifiche sostanziali. Infatti, l’inserimento delle fasce

rinforzanti e del battistrada necessitava di una particolare attenzione e configurazione del

pneumatico e di un processo basato su due stadi produttivi, contrariamente all’unico della

produzione convenzionale. Nel 1970 General Tire annunciò lo sviluppo di una macchina in

grado di costruire pneumatici radiali con un solo stadio (venduta a 100.000$) ma l’insorgere di

problemi di uniformità ne limitò la diffusione (Dick, dec.1980). Sarebbe stato possibile

convertire gli impianti esistenti, come poi fecero molte compagnie, ma sarebbe anche potuto

risultare antieconomico in quanto bisognava migliorare l’ordine della linee produttive e spesso

essi non si trovavano in una posizione favorevole alla distribuzione e alla logistica del prodotto

e non godevano di molti servizi (Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997).

Con l’avvento della tecnologia radiale i profitti si sarebbero abbassati ulteriormente per varie

ragioni. Prima di tutto l’aumento della durata del prodotto avrebbe provocato una diminuzione

della domanda e una contrazione del mercato del ricambio, che era quello che permetteva

guadagni maggiori. Secondariamente si sarebbe verificato un significativo incremento dei costi

in quanto le materie prime costavano il 35% in più ed erano necessari un aumento del lavoro

dal 20% al 35%, tolleranze più strette, ispezioni più frequenti e un migliore controllo della

qualità (che probabilmente avrebbe rilevato il doppio di scarti e difetti rispetto al passato) (Sull,

Tedlow e Rosenbloom, 1997).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 53

Inoltre, la nuova tecnologia avrebbe costretto alla rottura di alcuni degli accordi e degli

impegni presi con clienti, fornitori, competitori, impiegati e comunità, in cui molti manager

identificavano loro stessi e la missione delle loro imprese (Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997).

Infine le compagnie avrebbero dovuto acquisire nuove conoscenze e skill inerenti la nuova

tecnologia; questo rappresentava, però, l’ostacolo più semplice da superare in quanto esse

potevano fare riferimento all’esperienza in merito delle loro consociate europee.

L’adozione della tecnologia presentava anche ostacoli non direttamente dipendenti dalle

imprese del settore: ad esempio era necessario che esse avessero il supporto della case

automobilistiche in quanto bisognava apportare alcune modifiche al sistema di sospensioni dei

veicoli equipaggiati.

Goodrich fu la prima compagnia che si buttò nella nuova tecnologia, attorno al 1965,

sfruttando le competenze delle affiliate europee, allo scopo di riguadagnare la predominanza su

Goodyear e Firestone che al momento avevano acquisito la leadership del mercato. La

compagnia era spronata dalla disponibilità mostrata dalla Ford e pensava di introdurre i

pneumatici radiali inizialmente nel mercato del ricambio per fare in modo che le case

automobilistiche si rendessero conto del loro valore (Blackford e Kerr, 1996). Il tentativo di

Goodrich si rivelò fallimentare dal momento che non ottenne l’appoggio dei produttori di

autoveicoli e a causa della campagna pubblicitaria diffamatoria messa in atto da Goodyear che

sottolineava solo i difetti del prodotto. Così nel 1981 si ritirò definitivamente dal mercato degli

equipaggiamenti originali per dedicarsi interamente a quello più profittevole del ricambio,

focalizzandosi soprattutto sulle linee ad alta performance. La compagnia subì una

ristrutturazione delle attività attuata da un management di outsiders, intraprendendo una

strategia che sarebbe risultata la più profittevole.

Nel 1967 Goodyear introdusse una soluzione alternativa ai pneumatici radiali, la tecnologia

bias-belted, che permetteva di migliorare la performance rispetto ai pneumatici esistenti, anche

se il target era sempre inferiore a quello dei radiali, con il grosso vantaggio di poter essere

prodotti sulle linee esistenti.

I pneumatici bias-belted avevano una struttura del tutto simile a quella tradizionale con la sola

differenza di fasce in fiberglass o in poliestere posizionate sotto il battistrada con un angolo di

circa 29° rispetto alla direzione di marcia. Essi permisero di incrementare la durata del

pneumatico da 12.000 Km a 24.000 Km ma, nonostante assicurassero un comportamento

migliore dei pneumatici radiali con un fondo stradale liscio e ben curato, erano decisamente

inferiori sul bagnato, in curva e in frenata (Rajan, Volpin, Zingales, 2000).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 54

La maggioranza delle imprese investì in questa nuova tecnologia ed entrò negli anni’70 in

buone condizioni economiche. Infatti, dal 1966 al 1978, molte compagnie continuarono ad

investire in nuovi impianti: quattro vennero avviati sia da Goodyear che da Firestone8, due da

General Tire e uno da Uniroyal (Rajan, Volpin, Zingales, 2000).

A partire dall’inizio degli anni’60 e per la prima metà degli anni’70 le maggiori imprese

dell’industria continuarono un processo di espansione che le portò ad acquisire compagnie

nazionali e a muoversi verso l’Europa. A causa di ciò e dell’entrata sul mercato europeo anche

di alcune compagnie giapponesi, Pirelli, Dunlop e Continental, supportate da Michelin,

cercarono di unirsi in un’unica compagnia, la Tires Europe, ma il progetto fallì perché Dunlop

stava attraversando una crisi finanziaria e a Continental interessò di più investire per

l’acquisizione di Uniroyal Europa (Pirelli, 1997). L’unica impresa americana a continuare

l’ondata di investimenti anche alla fine degli anni’70, nonostante le difficoltà finanziarie

dovute alla conversione alla tecnologia radiale, fu Goodyear e forse anche in questo risiede il

suo successo.

All’inizio degli anni’70, però, anche i maggiori produttori di autoveicoli, come Ford e General

Motors, cominciarono ad essere interessati ai pneumatici radiali. Nel 1973, inoltre, ci fu la

prima grande crisi petrolifera causata dall’embargo delle esportazioni da parte dell’Opac

(Organization of Petroleum Exporting Countries) verso i paesi che simpatizzavano per Israele

che provocò un aumento del prezzo del petrolio del 35%. Il mercato americano era minacciato

dalla possibilità di entrata di imprese europee che, grazie al nuovo prodotto, stavano

aumentando il loro potere (ad esempio Michelin stipulò un accordo con Ford nel 1970).

Questi fattori spinsero i produttori di pneumatici ad una conversione verso la tecnologia

radiale. Questo processo di adozione, che durò all’incirca quindici anni, stravolse l’industria

tanto che alla fine, su cinque compagnie che erano al vertice, Goodyear, Firestone, Uniroyal,

General Tire e BFGoodrich, solo la prima si mantenne indipendente. In tabella 3.2 possiamo

osservare il processo di integrazione dei pneumatici radiali nel mercato statunitense.

Goodyear fu l’unica impresa ad essere guidata da un management lungimirante, sebbene

formato da persone esterne all’industria, che seppe cogliere l’importanza di una conversione

veloce. Nonostante gli ingenti investimenti affrontati, a causa dei quali perse il 3% delle quote

nel mercato degli OE e il 2% in quello del ricambio, si espanse molto all’estero in modo da

8 Firestone fu una della compagnie più attive in questo processo di investimenti nel 1968 annunciò lo sviluppo di una macchina semiautomatica per la costruzione dei pneumatici bias-belted, chiamata Bead and Ply Assembly (BPA), con un investimento iniziale attorno ai 500.000$, che rimpiazzava sei dei convenzionali macchinari e richiedeva solo tre lavoratori (Dick, dec.1980).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 55

avere più forza per sopportare le spese per la conversione, in R&S e pubblicitarie. La

compagnia attuò la conversione prevalentemente modificando gli impianti esistenti (con la sola

eccezione dell’impianto di Lawton, in Oklahoma che venne costruito da zero).

Dopo l’adozione da parte di Goodyear fu chiaro che il pneumatico radiale sarebbe diventato lo

standard dell’industria americana: tutti gli altri produttori, quindi, dovettero adeguarsi (Rajan,

Volpin e Zingales, 2000).

MERCATO DEGLI OE MERCATO DEL RICAMBIO ANNO

TOT.PROD. % PN.RADIALI TOT.PROD. % PN.RADIALI PRODUZ.

AUTOMOBILI 1965 51.413 0 94.893 0 9.329 1970 37.535 0,3 129.608 2,1 6.545 1975 39.281 63,9 122.469 27 6.706 1980 34.932 80 106.912 50 6.373 1985 54.839 83,5 141.455 81,6 8.185 1990 47.199 87,6 152.251 96,7 6.076 1994 58.448 90 169.983 99,4 6.601

Tabella 3.2 Importanza del pneumatico radiale nel mercato degli OE e in quello del ricambio (Fonte: Rajan, Volpin e Zingales, 2000, pag.64 Table 2.3)

Firestone aveva investito molto nei pneumatici bias-belted quindi, a differenza dei concorrenti,

non apportò alcuna modifica agli impianti per la produzione dei pneumatici radiali.

Inizialmente sembrò ottenere un successo maggiore rispetto ai rivali ma ben presto emerse un

problema nel prodotto, causato, appunto, dalla non idoneità del sistema produttivo. La

compagnia subì pesanti perdite economiche e di immagine dal momento che il governo obbligò

il ritiro dal mercato dei pneumatici in questione (i “500 steel-belted radial”). Il fallimento di

Firestone era dovuto al fatto di aver reagito in modo sbagliato alla perdita di immagine e alla

diminuzione dei profitti. Infatti, invece che chiudere gli impianti inefficienti, investì

ulteriormente e si trovò in una situazione di ingente esubero di capacità produttiva (Sull,

1999b).

Uniroyal e General Tire videro nella conversione alla tecnologia radiale la possibilità di

guadagnare quote di mercato; gli investimenti troppo elevati, soprattutto nella costruzione di

nuovi impianti, però, le condussero verso pesanti esposizioni finanziarie. General Tire ebbe un

comportamento diverso rispetto ai rivali: investì soprattutto nel mercato degli OE, tanto che nel

1972 era il secondo fornitore di pneumatici radiali in questo segmento. Essa, però, mantenne

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 56

una gestione degli impianti sbagliata, creando una pesante situazione di esubero di capacità

produttiva (Sull, Tedlow e Rosenbloom, 1997)9.

L’avvento della tecnologia radiale ebbe un pesante impatto anche sul mercato e sull’industria.

Quest’ultima, essendo ormai matura, non offrì nessuna possibilità di ottenere vantaggio

competitivo ed, inoltre, data la maggior durata del prodotto e dato che ogni unità di produzione

tradizionale poteva essere convertita in una radiale, si creò un esubero di capacità produttiva

(Sull, 1997).

Date le condizioni finanziarie critiche in cui si trovavano la maggior parte delle compagnie

americane e date le basse opportunità di espansione e crescita offerte dal mercato si creò una

condizione favorevole alle acquisizione delle compagnie in difficoltà da parte di multinazionali

europee ed asiatiche.

Sarebbe stato impossibile attuare delle fusioni all’interno della stessa industria statunitense per

varie ragioni. In primo luogo tutte le imprese uscirono provate economicamente dal processo di

riconversione, quindi, non avrebbero avuto i mezzi necessari. In secondo luogo le case

automobilistiche si sarebbero opposte per evitare che i loro fornitori acquistassero un potere

contrattuale troppo elevato. Le compagnie americane avrebbero trovato anche l’opposizione

della FTC (Federal Trade Commission) che ostacolava le fusioni orizzontali per evitare

comportamenti monopolistici. L’unica fusione tra imprese statunitensi fu firmata tra

BFGoodrich e Uniroyal nel 1986 e fu possibile in quanto la prima aveva abbandonato il

mercato degli OE (Original Equipment). Le acquisizioni furono facilitate anche dal processo di

internazionalizzazione dei mercati delle imprese automobilistiche dovuto ai cambiamenti dei

gusti dei consumatori che si spostarono verso veicoli di dimensioni minori e che permettessero

un risparmio di carburante, soprattutto in seguito alla crisi petrolifera. Ci fu così un’espansione

nel mercato americano delle case automobilistiche europee e, soprattutto, giapponesi che creò

la necessità della presenza dei loro abituali fornitori di pneumatici, per i quali era necessario

assicurarsi un mercato del ricambio. Dal momento che il mercato non giustificava la creazione

di nuovi impianti, l’unica possibilità di insediamento risiedeva nell’acquisizione di compagnie

esistenti. Inoltre, nel corso dei decenni le compagnie statunitensi avevano perso peso nei

confronti di quelle europee, che stavano crescendo grazie alla tecnologia radiale, e asiatiche, il

cui vantaggio stava nella forza dei costruttori di autoveicoli ai quali erano legati.

9 Rajan, Volpin e Zingales (2000) riportano le spese in ricerca e sviluppo e in pubblicità delle cinque compagnie negli anni della tecnologia bias-belted e del passaggio ai radiali: eccetto Firestone, tutte investirono una percentuale sulle vendite dal 1,9% al 2,7%. Per quanto riguarda la pubblicità, le imprese ad investire meno furono Goodrich e General Tire.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 57

Il progressivo abbattimento della barriere geografiche del mercato del pneumatico rese

necessario per tutte le compagnie guadagnare quote di mercato nei paesi più competitivi, tra

cui gli Stati Uniti.

In questo modo si assistette alla fine dell’industria proprietaria statunitense: infatti mentre nel

1971 le compagnie americane possedevano il 59% delle quote di mercato a livello mondiale e

occupavano quattro posti tra le top5, vent’anni dopo la posizione di mercato diminuì al 17%

con una sola impresa, Goodyear, tra le top5 (Rajan, Volpin e Zingales, 2000).

Fu così che nel 1987 Continental comprò General Tire, nel 1988 Bridgestone acquisì Firestone

scavalcando Pirelli, che era sostenuta da Michelin e che l’anno dopo acquisì Armstrong Tire, e

nel 1990 Michelin divenne proprietaria di Uni-Goodrich, la società che nacque nel 1986 con la

fusione appunto di Uniroyal e Goodrich.

Come riportano Rajan, Volpin e Zingales (2000) è difficile trovare un’altra industria nella

storia che abbia subito un’ondata così potente di fusioni ed acquisizioni; si calcola, infatti, che

nel periodo 1982-1989 il 75% delle compagnie (che detenevano il 90% del mercato) subì un

tentativo di scalata o una ristrutturazione. In tre anni la configurazione dell’industria che aveva

dominato per circa tre quarti di secolo venne, quindi, completamente stavolta (Sull, Tedlow e

Rosenbloom, 1997).

Tali acquisizioni, però, come sottolineano Rajan, Volpin e Zingales (2000), non rimediarono

all’esubero della capacità produttiva in quanto non portarono una contrazione del numero di

impianti, ma, addirittura, un’espansione.

Tra il 1979 e il 1981 iniziò un processo di chiusura di molti impianti, anche situati ad Akron10.

L’industria del pneumatico risultava troppo matura per generare una serie di entrate al di fuori

delle acquisizioni per lo sfruttamento della nuova innovazione tecnologica; oltre a Michelin,

solo IRI si stabilì in US ma vi rimase solo per sei anni dal momento che non riuscì a scavalcare

la concorrenza della compagnia francese11. Attorno agli anni’70 anche Bridgestone iniziò ad

esportare pneumatici radiali negli Stati Uniti.

La letteratura ha offerto numerose spiegazioni al singolare destino incontrato dai produttori

statunitensi.

Rajan, Volpin e Zingales (2000) precisano che le acquisizioni non si verificarono perché i

produttori stranieri erano più efficienti, sia in termini di know-how che di strategie manageriali.

Infatti, con le acquisizioni non si verificarono incrementi nella capacità produttiva dei vari

10 Si ricordano sette chiusure per Firestone, sei per Goodyear e tre per Uniroyal. 11 Questo nonostante fosse l’unico produttore di un pneumatico radiale totalmente rinforzato in acciaio, l’Ironside, che ebbe un successo strepitoso sul mercato (Dick, sept.1980).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 58

impianti e le chiusure di alcuni stabilimenti, a causa di inefficienze, avvennero prima della

parte più intensa del processo delle acquisizioni.

Tra le tante teorie ipotizzate per la fine dell’industria proprietaria americana del pneumatico

emerge uno studio molto significativo di Sull (2002) che fa riferimento ai fallimenti che un

distretto industriale può incontrare a causa dell’inerzia insita nel concetto stesso di impresa.

L’industria del pneumatico statunitense poteva avere la connotazione di un distretto industriale

dal momento che quattro delle cinque maggiori compagnie avevano sede ad Akron, dove si

generava anche il 65% della produzione di pneumatici del paese. L’autore spiega come la

prossimità geografica offra molti vantaggi, almeno nei primi anni di vita del distretto, in quanto

si viene a formare una sorta di network attraverso il quale scorrono forme di conoscenza tacita

che generano un processo di innovazione incrementale, sia a livello di prodotto che di processo

produttivo. Con il trascorrere del tempo, però, questi benefici si riducono sempre di più poiché

i processi di condivisione della conoscenza iniziano ad essere incorporati in routines e tra i

membri si sviluppa una sorta di isomorfismo, in quanto si condividono gli stessi modi di

pensare e reagire, e il distretto tende ad assomigliare ad un’unica istituzione. Sull (2002) mette

in rilievo come questo processo di fossilizzazione progressiva dei distretti manifatturieri abbia

colpito anche quello di Akron e ne abbia determinato il fallimento. Infatti dal 1900 al 1930 il

distretto fu molto innovativo, basti pensare che la durata del pneumatico passò da 500 Km a

20.000 Km con una diminuzione del prezzo dell’80%, dovuta ad una produzione più efficiente.

Tra le compagnie esisteva una mentalità di assoluta apertura e cooperazione e procedevano

parallelamente anche perché in un territorio così ristretto i loro membri si ritrovavano a vivere

in strutture comunitarie comuni. In seguito, l’azione delle compagnie del settore all’avvento

della tecnologia radiale fu fortemente determinata dall’inerzia accumulata, che aveva portato

ad una visione falsificata della realtà, e, quindi, intraprese una strada sbagliata. Prima di tutto,

come riporta l’autore, le compagnie avevano troppa fiducia nei loro mezzi e nell’industria,

infatti, non valutarono attentamente in che cosa consisteva il nuovo prodotto ritenendolo

inferiore al proprio che migliorarono introducendo la tecnologia bias-belted. Inoltre, si illusero

che il settore avesse grandi possibilità di espansione e di crescita e mantennero attivi molti

impianti creando un esubero di capacità produttiva, pur essendo in una situazione finanziaria

molto critica a causa degli investimenti effettuati per la conversione. Un ulteriore passo falso fu

il mantenere la stretta dipendenza dai costruttori di autoveicoli che dettarono ogni loro passo

fin dalla comparsa del pneumatico radiale.

Si è discusso molto sui fattori che hanno determinato il diverso comportamento e destino delle

imprese europee e statunitensi.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 59

Per prima cosa la tecnologia radiale venne inventata in Inghilterra quindi, probabilmente,

l’accesso risultò più facile ad un’impresa europea come Michelin. Questa compagnia fu

avvantaggiata dal fatto di possedere Citroen12 e di detenere un’elevata quota di mercato (nel

1975 godeva del 75% di quote di mercato, contro il 12% dell’impresa che occupava il secondo

posto): in questo modo poteva appropriarsi interamente delle rendite derivate dall’investimento

e aveva assicurato un florido mercato del ricambio.

Gli altri concorrenti, principalmente anglosassoni, tedeschi e italiani, adottarono velocemente il

pneumatico radiale visto il grande successo di Michelin per paura che la compagnia

guadagnasse molto peso nei loro mercati domestici in cui possedeva molte filiali. Inoltre,

probabilmente il mercato in Europa aveva una struttura tale da facilitare la diffusione della

tecnologia, contrariamente a quello statunitense.

Grazie alla tabella 3.3 si ha una visione completa del destino dei maggiori produttori di

pneumatici al mondo in seguito alla rivoluzione radiale.

Compagnie/Anno 1971 1979 1986 1993 Goodyear 24 23 19 17 Firestone 17 14 7 - Uniroyal 8 5 6 - Goodrich 6 4 - - General Tire 4 4 - - Michelin 11 16 18 19 Dunlop 4 4 - - Pirelli 6 6 6 6 Continental 2 3 8 7 Bridgestone 3 7 6 18 Sumitomo - - 4 6 Yokohama - - 2 5 Toyo - - 9 3

Tabella 3.3 Quote di mercato dei maggiori produttori di pneumatici a livello mondiale dal 1971 al 1993. (Fonte: Rajan, Volpin, Zingales, 2000, Table 1 pag.37)

Come si può notare delle cinque maggiori compagnie statunitensi rimase indipendente solo

Goodyear. Significativi furono gli aumenti di quote di mercato di Continental e Bridgestone in

seguito all’acquisizione di General Tire e Firestone rispettivamente.

12 L’acquisizione avvenne negli anni’30 dal momento che la casa automobilistica non riusciva a pagare i debiti contratti.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 60

3.3 I cambiamenti più recenti

L’espansione verso l’America delle auto giapponesi si consolidò ulteriormente alla fine degli

anni’70, anche grazie alla seconda crisi petrolifera nel 1979.

In concomitanza e dopo l’introduzione del pneumatico radiale, le innovazioni continuarono.

Nel 1976 Goodyear introdusse un pneumatico radiale adatto in ogni condizione atmosferica,

chiamato “Tiempo”; così facendo riuscì a spiazzare e superare Michelin, nonostante fosse

partita in ritardo nell’acquisizione della tecnologia radiale.

Nel 1992 Michelin brevettò il cosiddetto “pneumatico verde” (green tire), chiamato così

perché permetteva un notevole abbassamento della resistenza al rotolamento che comportava

un decremento del consumo di carburante e, quindi, delle emissioni nocive nell’atmosfera.

Tradizionalmente l’agente rinforzante utilizzato era il carbone nero ma, nel corso degli anni,

venne introdotto un minerale derivato dal silicio che aveva, però, proprietà inferiori. Michelin

brevettò un composto in cui questo minerale veniva mescolato ad un elastomero sintetico

attraverso un agente legante che permise di ridurre notevolmente la resistenza al rotolamento,

di consentire una buona tenuta di strada e di ricreare le proprietà del battistrada di un

pneumatico rinforzato con il carbone nero.

Nel 1992 Goodyear introdusse l’Aquatread, un nuovo pneumatico che incrementava la trazione

in condizioni di terreno bagnato; esso inizialmente venne esteso solo al mercato del ricambio,

che aveva messo a disposizione nuovi canali. L’Aquatread era offerto con una garanzia di

60.000 miglia e il suo lancio venne valutato nel minimo dettaglio per non fare passi falsi e per

sconfiggere la concorrenza dei competitori: ad esempio Continental stava progettando il lancio

di un prodotto analogo, l’Aqua Contact più o meno nello stesso periodo.

Le varie compagnie stavano lavorando anche ad innovazioni nel processo produttivo, che

ancora si basava essenzialmente su macchinari introdotti poco dopo la nascita dell’industria.

Come riporta Dick (dec.1980), però, il principale problema incontrato nello sviluppo di sistemi

automatizzati era la poca flessibilità che li rendeva inefficienti per una produzione

caratterizzata da numerose varianti del prodotto, sia in dimensione che in tipologia. Nonostante

ciò, comunque, vennero fatti molti passi avanti, soprattutto per quanto riguarda il processo di

vulcanizzazione, ad esempio ricorrendo alla tecnologia delle microonde. Inoltre vennero

introdotti nuovi elementi di supporto alla produzione, come il posizionamento di nastri

trasportatori automatici lungo tutto il processo.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 61

In seguito alla rivoluzione radiale i materiali più diffusi per la costruzione del pneumatico

erano il poliestere, il nylon, il rayon e il fiberglass. Il poliestere, tuttora ampiamente diffuso

nell’industria, ebbe un notevole successo dato che il nylon poteva causare problemi di

vibrazioni, anche se, però, presentava una maggiore resistenza alle elevate temperature. Il

fiberglass emerse con l’introduzione dei pneumatici bias-belted; era già stato introdotto nel

1936 ma non si diffuse poiché generava abrasioni dovute al forte attrito tra gli strati.

Comunque neanche quando il problema fu risolto il materiale incontrò una grande espansione

a causa dell’avvento dell’acciaio. Paradossalmente l’acciaio venne accettato e diffuso

rapidamente grazie a questioni puramente di marketing dato che creava un’immagine di forza e

durata nella mente del consumatore. Il materiale, infatti, era inferiore ai precedenti, soprattutto

al fiberglass, in quanto era meno forte, aveva un peso e un costo maggiore, creava problemi di

adesione e necessitava investimenti per la sua gestione nei sistemi produttivi. L’ultima fibra

introdotta fu l’aramide che permetteva importanti miglioramenti nella stabilità e nella durata

ma rimase un materiale per il segmento dell’alta performance, dati i suoi elevati costi.

Tutti questi avanzamenti tecnologici nel campo dei materiali portarono ad una riduzione del

numero degli strati rinforzanti, da sei a due, generando molti effetti positivi: innanzitutto una

riduzione dei costi di produzione e dei materiali, ma anche un aumento della durata, dal

momento che gli strati di tessuto tendono a trattenere il calore sviluppato che degrada il

prodotto (Dick, jan.1981).

La gomma sintetica, introdotta su larga scala con la seconda guerra mondiale, non decollò mai

e nel corso degli anni venne sempre preferita quella naturale che forniva prestazioni maggiori.

All’inizio degli anni’80 Goodyear decise di diversificarsi nel settore del petrolio e del gas

naturale, per questo acquisì Celeron Corporation ma gli sforzi dell’investimento, la recessione

economica che caratterizzò quegli anni e i bassi proventi del settore pneumatici la portarono in

una situazione finanziaria molto critica. Fu così che nel 1986 subì una scalata da parte di

Goldsmith, una compagnia inglese, a cui riuscì a far fronte con una ristrutturazione.

I tentativi di acquisizione tra le varie compagnie a livello mondiale continuarono per anni: ad

esempio nel 1990 Pirelli tentò di acquisire Continental per paura di essere essa stessa vittima di

scalate e per superare meglio eventuali recessioni. Le trattative durarono più di un anno ma poi

non si concluse niente; Pirelli subì pesanti perdite economiche a cui fece fronte abbandonando

molte delle attività diversificate e con una ristrutturazione a livello manageriale.

In questi ultimi anni le compagnie hanno dovuto fronteggiare degli standard di qualità e di

sicurezza dei loro prodotti sempre maggiori. Ad esempio negli Stati Uniti la Nhtsa (The

National Highway Traffic Safety Administration) introdusse la possibilità di imporre il ritiro

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 62

dal mercato di tutti i pneumatici che presentassero dei particolari problemi di sicurezza.

Secondo Dick (feb.1981) questo avrebbe diminuito la disponibilità delle imprese ad introdurre

nuovi prodotti ed aumentato le barriere all’entrata.

Durante gli anni’80 e ’90 ci fu un profondo cambiamento nei metodi di gestione dell’industria

automobilistica che ebbero pesanti riflessi anche in quella del pneumatico. Per soddisfare una

produzione sempre più globalizzata si cambiarono i metodi di progetto e produzione; ad

esempio aumentò la necessità di una stretta collaborazione con i fornitori esterni di

componenti, tra cui i pneumatici, fin dalle attività di progetto e produzione e si iniziarono ad

utilizzare le tecniche just-in-time13. Questo rese sempre più necessaria la presenza dei

costruttori di pneumatici al fianco di quelli delle automobili e rese ancora più stretta la loro

relazione.

13 Il just-in-time è una tecnica di organizzazione della produzione di origine giapponese che fa parte delle tecniche pull o di gestione a scorta nelle quali, a differenza di quelle push o a fabbisogno, sono i reparti a valle che “tirano” la produzione di quelli a monte. Esso si propone il conseguimento di obiettivi da sempre ritenuti contrastanti, come alta qualità, flessibilità e produttività e bassi costi.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 63

3.4 Pirelli: 1872-2003

3.4.1 Uno sguardo alla storia della compagnia

Pirelli nacque nel 1872 a Milano affacciandosi sul mercato producendo cinghie di trasmissione,

tubi, valvole per pompe e condensatori ed elementi di ebanite e caoutchouc indurito per

apparecchi di telegrafia e ferroviari. Si avvicinò subito anche alla gomma, scoperta da pochi

decenni, impiegandola per il rivestimento dei cavi elettrici, sotterranei e subacquei.

Nel 1890 la compagnia entrò nella produzione di pneumatici per bicicletta14 iniziando a

costruire competenze e know-how che sarebbero stati alla base anche della produzione

indirizzata alle automobili e ad altri veicoli. In principio l’attività fu limitata alla sola Italia, in

quanto era molto difficile lavorare in Europa per le pesanti restrizioni causate dai brevetti

posseduti dai concorrenti. L’affermazione a livello europeo avvenne nei primi anni del 1900

grazie alla partecipazione in gare ciclistiche (come il Tour de France del 1907 o il Giro d’Italia

del 1909).

La produzione di pneumatici per automobili avvenne in ritardo, attorno al 1905, quando i

principali concorrenti europei, Michelin, Dunlop e Continental, già possedevano un commercio

su larga scala. Questa lentezza non dipese da Pirelli in sé ma dal ritardo dell’industria

automobilistica italiana15. L’avvio della produzione si rivelò lungo e difficoltoso per diverse

ragioni. In primo luogo il pneumatico non era ancora una commodity16, quindi, la marca

contava moltissimo. Inoltre la capacità di assorbimento di pneumatici del mercato italiano era

molto ridotta17. Infine, era molto difficoltoso ottenere delle informazioni sui processi produttivi

dei concorrenti.

La compagnia si addentrò subito nella ricerca di tecnologie che conferissero al pneumatico un

buon ancoraggio, facilità di smontaggio, resistenza e flessibilità. Il punto di maggiore interesse

nella ricerca relativa al prodotto erano i materiali, data la difficoltà di reperimento in territorio

italiano. Pirelli, supportata anche da programmi governativi, fu, infatti, una delle prime imprese

a cimentarsi nel settore della gomma sintetica (risale al 1939 l’accordo con IRI per la

produzione della gomma sintetica a Milano Bicocca) e ad applicare il rayon come materiale di

rinforzo per la carcassa al posto del cotone, sempre alla fine degli anni’30.

14 Ricordiamo che il pneumatico per bicicletta fu inventato nel 1888 da J.B. Dunlop. 15 E’proprio all’inizio del 1900, infatti, che nacquero Fiat, Itala e Isotta Franceschini. 16 Per commodity si intende un prodotto il cui uso risulta necessario per il consumatore, per il quale la competizione si basa essenzialmente sul prezzo (i marchi sono tra loro quasi perfettamente sostituibili). 17 In Italia nel 1929 la diffusione di automobili era pari a 1 ogni 230 abitanti, in Francia 1 ogni 37 abitanti e negli Stati Uniti 1 ogni 5 abitanti (Pirelli, 1997).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 64

La Grande Depressione del 1929 non creò pesanti rallentamenti alla compagnia che continuò

sempre sulla strada dell’espansione; un traguardo importante fu l’essere la prima società

italiana quotata allo Stock Exchange di New York, nel 1937.

Al contrario, la seconda guerra mondiale provocò una situazione di crisi a causa dei

bombardamenti che danneggiarono duramente gli stabilimenti e gli impianti di Milano e della

svalutazione della lira. Tale difficoltà fu facilmente superata negli anni a seguire grazie al

boom dello sviluppo di Vespa e Lambretta e alla ripresa economica che caratterizzò gli

anni’50, con un significativo aumento del reddito pro-capite e della domanda di automobili.

Pirelli fu in grado di seguire Michelin nel passaggio alla tecnologia radiale: nel 1951 brevettò

un particolare tipo di pneumatico radiale, denominato Cinturato, che grazie ad una cintura

inestensibile rinforzata in rayon, aumentava di molto la resistenza18 nel tempo. Il prodotto subì

un’importante evoluzione nel 1972 con l’uso di acciaio, come materiale rinforzante in due

cinture, e del nylon in una terza, disposta secondo la direzione di rotolamento (quest’ultimo

pneumatico venne chiamato P3).

Gli anni’60 di Pirelli furono caratterizzati da una particolare attenzione verso l’espansione

geografica e l’ampliamento delle quote di mercato. Ciò sembra sostanzialmente dovuto alla

necessità di poter destinare fondi maggiori alla ricerca e sviluppo19 (Pirelli, 1997).

Citiamo alcuni degli accordi più significativi intrapresi dalla compagnia. Risale al 1970

l’unione di Pirelli con Dunlop (l’impresa da essa derivata era di dimensioni comparabili a

quelle di Michelin o Goodyear). Tale partnership si concluse nel 1981 di comune accordo,

soprattutto a causa di alcuni esercizi chiusi in perdita da Pirelli di cui Dunlop non voleva

assumersi il peso e del sistema organizzativo a due capi che si rivelò difficile da gestire. Negli

stessi anni emerse anche l’idea, appoggiata dalla stessa Michelin, di costituire un’unica

compagnia a livello europeo, la Tires Europe, unendo Pirelli, Dunlop e Continental, per cercare

di contenere gli effetti dell’entrata di imprese orientali nei mercati europei e nordamericani.

L’ambizioso progetto fallì perché Dunlop stava attraversando una crisi finanziaria e

Continental aveva indirizzato tutte le sue risorse verso l’acquisizione di Uniroyal Europa.

Nel 1988 Pirelli cercò di comprare il settore pneumatici di Firestone ma Bridgestone offrì una

somma maggiore; in accordo con Michelin, rilanciò un’offerta per l’acquisizione di tutta la

compagnia ma di nuovo venne scavalcata da Bridgestone che propose un prezzo nettamente

superiore al valore di Firestone stessa. 18 Nello sviluppo del prodotto risultò determinante l’assunzione di Luigi Emanueli alla supervisione dei cantieri che rivoluzionò il modo di approcciarsi alle nuove tecnologie e di fare ricerca. 19 I leader di allora del mercato mondiale, Michelin e Goodyear, infatti, essendo di dimensioni maggiori rispetto a Pirelli, potevano destinare alla R&S una percentuale sulle vendite di 3-4 volte maggiore (Pirelli, 1997).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 65

Per Pirelli risultava necessario consolidare la propria posizione nel mercato americano, così

comprò Armstrong Tire, sempre nello stesso anno; tale strategia, però, in futuro, si sarebbe

rivelata poco profittevole.

Nel 1990 Pirelli organizzò un attacco a Continental spinta da diverse motivazioni. In primo

luogo avrebbe potuto raggiungere il gruppo delle leader mondiali limitatamente a volumi di

vendita, in secondo luogo, temeva attacchi di scalata da parte di altre compagnie ed, infine,

avrebbe resistito meglio a periodi di recessione20 (Pirelli, 1997). Continental respinse la

proposta di Pirelli dopo un anno di contrattazione causando alla rivale una crisi finanziaria,

aggravata anche dalla recessione presente sia nel mercato dei pneumatici che in quello dei cavi.

La compagnia si risollevò attuando una strategia allargata e multiobiettivo: ci fu una cessione

delle attività diversificate e la chiusura di alcuni impianti in Italia e all’estero, con lo scopo di

liberare risorse per le due attività principali, venne effettuata una re-ingegnerizzazione della

società, fu abbassato il numero dei dipendenti ed, infine, ci fu un’espansione impiantistica

verso l’est per ricercare zone di produzione a basso costo e mercati meno saturi.

Ora Pirelli appare principalmente focalizzata verso la produzione dell’alta gamma di

pneumatici: tale attenzione risale agli anni’70 quando vennero presentati i primi pneumatici

UHP ribassati e super-ribassati (come il P3), presagendo la tendenza del mercato verso un forte

sviluppo di questi segmenti (nel 1997 il mercato dei pneumatici ribassati rappresentava il 40%

del totale e dei super-ribassati il 10%).

I principali traguardi raggiunti da Pirelli negli ultimi anni sono stati: la joint-venture con

Michelin per lo sviluppo e la produzione del Pax-system del 1999, l’introduzione del MIRS nel

2000 a Milano, nel 2001 in Germania e nel 2002 in Inghilterra e Stati Uniti, completato dal

CCM (per la gestione delle mescole) nel 2002, e il lancio del pneumatico run-flat Eufori@ nel

2000.

3.4.2 Le forze che hanno guidato la compagnia

Addentrandosi nella storia di Pirelli emerge chiaramente come lo sviluppo della compagnia sia

stato trainato da tre forze principali che possiamo individuare nella tendenza a stringere

alleanze con i competitori, nel ricercare un’espansione multinazionale e nella grande

importanza attribuita all’innovazione tecnologica e, quindi, alla ricerca. 20La proposta prevedeva la fusione di Continental Tyres con Pirelli Tyre Holding (come conseguenza le due avrebbe detenuto circa il 16% del mercato). Continental avrebbe dovuto acquistare per contanti tutte le attività di Pirelli Tyre Holding ed essa avrebbe reinvestito in un aumento di capitale di Continental. Pirelli sarebbe diventata l’azionista di maggioranza e avrebbe detenuto il controllo.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 66

Il novecento vissuto da Pirelli, infatti, è stato caratterizzato da numerosi accordi con i

concorrenti, non solo europei ma anche nordamericani, ad esempio per la produzione di

gomma sintetica o il contenimento dei costi della rivoluzione radiale. Risultano significative

anche le alleanze stipulate negli ultimi anni tra cui ricordiamo quella con Dunlop, durata dal

1970 al 1981, con Cooper nel 1999 e l’entrata nel gruppo per lo sviluppo e la

commercializzazione del Pax-system nello stesso anno. Questi accordi hanno aiutato la

compagnia nella sua strategia di espansione territoriale.

Generalmente le organizzazioni utilizzano anche altri strumenti per allargare il loro raggio di

azione: uno di questi è l’acquisizione di imprese straniere. Da questo punto di vista l’attività di

Pirelli non ha visto una sorte molto positiva: si possono ricordare, infatti, il fallimento di

acquisizione di Firestone e Continental e l’investimento su Armstrong Tire rivelatosi poco

profittevole ed efficace.

Come dichiara la stessa Pirelli un’espansione all’estero risultava necessaria in quanto il

mercato interno non consentiva una produzione tale da poter portare i costi competitivi ad un

livello competitivo. Inoltre, la multinazionalizzazione ricopre una funzione di supporto

all’attività di R&S, dal momento che permette di ammortizzare maggiormente i costi

ripartendoli su un fatturato più ampio ed esteso.

Pirelli ha sempre avuto un’attività di ricerca molto vivace e attenta che nei momenti di crisi

non è mai stata sospesa: anzi è stato l’elemento su cui si sono basate le strategie di

risollevamento. La compagnia dichiara di avere sempre ricercato un rapporto proficuo con le

università, anche a livello internazionale. La ricerca non è stata rivolta solo al prodotto ma

anche ad un miglioramento delle tecnologie produttive; sono una dimostrazione l’attenzione

verso i sistemi computerizzati di ausilio alla progettazione (CAD/CAM) che hanno portato la

compagnia nei primi anni’90 a presentare il P6000, il primo pneumatico interamente generato

al computer.

Nel 2001 è nata una nuova società all’interno del gruppo, Pirelli Labs21, per promuovere la

ricerca. Il lavoro da essa effettuato ha portato a significativi risultati per il settore pneumatici,

come lo sviluppo della tecnologia CCM e del cyber tyre.

Nell’Annual Report relativo all’anno 2002 Pirelli dichiara che le spese in R&S sono state il

4,3% del fatturato e sono state rivolte soprattutto al MIRS, alla tecnologia CCM, alle soluzioni

21 Pirelli Labs è nata con lo scopo di effettuare la ricerca avanzata a supporto di tutte le attività produttive dell’azienda. Essa opera in due campi principali: la ricerca sui materiali, legata ai segmenti produttivi tradizionali, e quella relativa al campo dell’ottica, principalmente fotonica e telecomunicazioni (Pirelli Annual Report 2002, pag. 21).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 67

run-flat, con il perfezionamento di Euforia@ e lo sviluppo di nuovi cerchi per il Pax-system, e

alla tecnologia legata ai SUV.

3.4.3 Pirelli oggi

Dall’Annual Report 2002 della compagnia sono stati estrapolati alcuni dati interessanti che

vengono presentati in questo paragrafo.

Come si può notare dalla tabella 3.4, la compagnia ha concluso il 2002 in perdita: ciò è stato

causato da oneri di ristrutturazione, da svalutazioni e dalla partecipazione nella società Olimpia

Spa ed amplificato dalla crisi del mercato delle infrastrutture e delle telecomunicazioni (per cui

è in programma una ristrutturazione interna all’impresa), solo in parte compensata dalla

continua crescita del settore pneumatici. Sono visibili anche dati riguardo gli stabilimenti: si

può precisare che nel 2002 dei 79 stabilimenti 22 erano dedicati alla produzione di pneumatici,

con un impiego di 20.222 dipendenti sui 36.079 totali (gli impianti appartenenti al settore

pneumatici sono circa il 28% del totale e gli addetti il 56%).

2002 2001 2000 1999 1998 Vendite 6311 7509 7477 6482 5487 Margine Operativo Lordo 480 666 820 678 721 Risultati Operativi 117 295 437 331 412 Risultato Netto - 610 86 3262 305 276 Stabilimenti 79 84 87 87 73 Dipendenti (31 dic.) 36079 39127 41914 40103 38209 Tabella 3.4 Dati caratterizzanti la compagnia dal 1998 al 2002 espressi in milioni di euro (Fonte: Pirelli Annual Report 2002) Nel corso del 2002 le vendite di Pirelli sono state distribuite come mostrato dalle figure 3.1 e

3.2. Come si può notare il mercato principale è quello europeo e, nonostante l’alleanza con

Cooper volta a potenziare il mercato nordamericano, quello sudamericano risulta più attrattivo,

anche se di un solo punto percentuale22.

22 Pirelli riporta anche che in Europa il mercato degli OE si sta restringendo con un tasso del 1,7% mentre quello dei RT si sta espandendo del 2,7%. La situazione risulta ribaltata in Nord America dove il primo cresce del 5,3% e il secondo cala del 2,5% (Pirelli Annual Report 2002).

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 68

Per concludere in figura 3.3 è presentata la struttura del gruppo23 .

Figura 3.1 Distribuzione a livello geografico delle vendite di Pirelli nell’anno 2002 (Fonte: Pirelli Annual Report 2002)

Figura 3.2 Distribuzione a livello di segmenti di mercato delle vendite di Pirelli nell’anno 2002 (Fonte: Pirelli Annual Report 2002)

23Le principali società appartenenti al Gruppo Pirelli e produttrici di pneumatici sono: Pirelli Pneumatici Spa, Italia; Pirelli Reifenwerke Gmbh, Germania; Pirelli UK Tyres Ltd, Regno Unito; Pirelli Neumaticos S.A., Spagna; Metzeler reifenwerke Gmbh, Germania; Turk Pirelli Lastikleri A.S., Turchia; Pirelli Pneus, Brasile; Pirelli Tire Llc, Stati Uniti; Pirelli Neumaticos S.A.I.C., Argentina; Pirelli de Venezuela C.A., Venezuela (Pirelli Annual Report 2002).

Italia13%

Resto Europa42%

Nord America16%

Sud America17%

Africa/Asia/Pacif.12%

Pn. Vettura62%

Pn. Veicoli Indus.26%

Pn. Motovelo8%

Pn. Steel Cord4%

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 69

Figura 3.3 Struttura del Gruppo Pirelli24 (Fonte: Pirelli Annual Report 2002)

24 La struttura del gruppo è mostrata dopo la fusione del 2002 di Pirelli&C. Luxemburg S.A. e Pirelli Spa in Pirelli&C A.P.A.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 70

3.5 Conclusioni

In questo capitolo sono state analizzate le variabili che hanno portato alla formazione

dell’industria del pneumatico odierna che è caratterizzata da un elevato tasso di

concentrazione, da profitti ridotti e da una struttura oligopolistica a livello globale. Infatti, oggi

nel settore operano molte imprese multinazionali che dominano il mercato mondiale e

forniscono prodotti e usano strategie simili tra loro e nelle varie aree geografiche (French,

1991).

Nell’analisi si è prestata molta attenzione all’industria statunitense per varie ragioni. Prima di

tutto essa è stata caratterizzata da eventi molto originali, come lo shakeout, il fallimento

nell’adozione della tecnologia radiale e l’acquisizione dei quattro quinti delle maggiori

compagnie da parte di imprese straniere. In secondo luogo presentava caratteristiche peculiari,

come l’essere strutturata in modo simile ad un distretto industriale, dal momento che la

maggior parte delle imprese operava nella zona di Akron nell’Ohio (Sull, 2002). Questo

rendeva le compagnie troppo legate alla tradizione, infatti, molte delle ristrutturazioni più

efficienti, come quella di Goodyear nel primo conflitto mondiale e di Goodrich nelle scelte

strategiche che seguirono la conversione alla tecnologia radiale, vennero attuate da un

management esterno non solo al distretto di Akron, ma anche all’industria.

In Europa non si poteva parlare di un settore omogeneo sottostante a dinamiche ben precise

perché le imprese erano sostanzialmente legate ai loro mercati domestici tranne alcune, come

Michelin (Francia), Pirelli (Italia), Dunlop (Inghilterra) e Continental (Germania), che

incontrarono una maggiore espansione ed internazionalizzazione.

Si hanno scarse informazioni relative alle compagnie asiatiche anche perché, eccetto Sumitomo

e Bridgestone che nacquero all’inizio del ventesimo secolo, le altre si aggiunsero molti anni più

tardi.

Nel corso di più di un secolo vennero introdotte molte innovazioni tecnologiche riguardanti il

prodotto, che passò da una durata di 500 miglia all’inizio del 1900 ai 60.000 miglia del 1992, il

processo produttivo, i materiali, ma anche le tecniche di gestione delle compagnie con

miglioramenti nell’organizzazione della produzione, dei magazzini, del sistema distributivo e

delle strategie di investimento. La grande maggioranza di queste innovazioni venne sviluppata

dalle compagnie leader; secondo Klepper e Simon (1997) perché erano le uniche ad avere

dimensioni tali da permettere un’intensa attività di ricerca che le portava ad operare sulla

frontiera tecnologica.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 71

Dal 1974 la redditività del settore cominciò a diminuire soprattutto a causa delle innovazioni di

prodotto, come i pneumatici radiali, che aumentarono la durata del pneumatico e indussero la

contrazione del mercato del ricambio che era l’unico profittevole (Dick, feb.1981).

L’industria può essere definita capital-intensive dal momento che sono richiesti ingenti

investimenti per la produzione, la distribuzione e l’acquisizione di contratti con i fornitori. Su

questa caratteristica, più che sui cambiamenti tecnologici, si fondano le alte barriere all’entrata

che hanno fatto risalire gli ultimi ingressi a molti decenni fa.

Una considerevole parte del capitolo è stata dedicata alla presentazione del processo di

sviluppo, delle attività e delle caratteristiche di Pirelli relativamente a cui questo studio

presenta un interessante approfondimento.

Pur non occupando le prime posizioni nel gruppo delle top10 limitatamente alla quota di

mercato posseduta, la compagnia appare molto attenta all’importanza dell’innovazione

tecnologica come arma competitiva, infatti, è stata tra le leader dello sviluppo delle nuove

tecnologie. Nel corso degli anni, le altre forze che hanno spinto Pirelli a diventare uno dei

produttori più affermati a livello mondiale, oltre all’innovazione tecnologica, sono state la

ricerca verso la multinazionalizzazione e verso alleanze con i concorrenti, principalmente volte

alla condivisione di tecnologie e all’espansione dei mercati.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 72

Appendice 3.1 – Il pneumatico

Il pneumatico è l’unico elemento di contatto tra veicolo e strada e, attraverso una superficie

non più estesa di una cartolina, realizza diverse funzioni:

sopporta il peso del veicolo e i relativi incrementi che si verificano in situazioni di

accelerazione e frenata;

consente il movimento tramite l’azione di rotolamento e trasmettendo le varie forze che

lo regolano, come quelle motrice e frenante;

mantiene e devia la direzione annullando le forze trasversali che tendono a mutare la

traiettoria (tali forze sono principalmente causate dalle asperità del terreno);

assorbe, grazie alla sua flessibilità ed elasticità, le vibrazioni causate da ondulazioni e

ostacoli incontrati durante la marcia; in questo modo, anche con l’aiuto delle

sospensioni, filtra le vibrazioni meccaniche ed acustiche generate dal veicolo.

La variabile principale da tenere sotto controllo nei pneumatici è la pressione dell’aria interna

in quanto incorre facilmente in decrementi per via della porosità naturale della gomma, per

allentamenti delle valvole dovuti all’usura o a causa di microlesioni. Una corretta pressione

aumenta la sicurezza della guida, migliorando la risposta ai comandi impartiti dal veicolo, e

l’economicità, mantenendo ad un livello basso la resistenza al rotolamento, con benefici

positivi sul consumo di carburante e sulla durata del pneumatico stesso.

Il pneumatico è costituito da diversi elementi:

la struttura portante, denominata carcassa, che è rinforzata da fibre, principalmente di

tessuto e gomma, che permettono anche la ritenzione dell’aria;

il fianco che deve essere adeguatamente irrobustito poiché eventuali lesioni

risulterebbero particolarmente critiche, dato che su di esso grava la maggior parte del

peso del veicolo25;

il tallone che è la parte finale del fianco, costituito da fibre di acciaio molto duttili, a cui

spetta la funzione di ancoraggio al cerchione;

25 Sul fianco sono presenti tutte le informazioni che definiscono il pneumatico e permettono un suo migliore utilizzo, come il nome, il costruttore, i materiali usati e dati sui limiti di velocità, carico e temperatura. E’inoltre presente una dicitura che descrive le caratteristiche principali del pneumatico e, in particolare: la tipologia d’uso (per automobili, invernali,…), la larghezza del battistrada, il rapporto tra altezza del fianco e larghezza del battistrada espresso in percentuale, detto aspect ratio, modalità costruttive (radiale, bias-ply,…), diametro del cerchione e simboli inerenti alle capacità di velocità e carico. Queste informazioni sono essenziali in caso di ricambio poiché usare pneumatici non compatibili dimensionalmente pregiudica la sicurezza, oltre che la resa di guida.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 73

il battistrada, ovvero la parte a contatto con il terreno, opportunamente sagomata ed

incisa per aumentare l’aderenza;

tra la carcassa e il battistrada ci sono delle fasce, in genere di acciaio gommato, che

determinano il diametro del pneumatico e limitano le deformazioni causate dalle forze

generate dalle curve, dalle frenate e centrifughe.

Ad ogni pneumatico viene assegnata una classe in base alle velocità che può sostenere; in

questo modo si definiscono dei sottosegmenti di mercato che spaziano da quello di massa a

quello ad alta performance, come si può notare dalla tabella 3.5.

Mercato di massa Alta performance CLASSE DI VELOCITA’

M N P Q R S T H V(Z) W(Z) Y

VELOCITA’ MAX. (km/h)

130 140 150 160 170 180 190 210 240 270 300

Tabella 3.5 Categorie di velocità (Fonti: Michelin Fact Book2003)

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 74

Appendice 3.2 - La tecnologia radiale Il pneumatico tradizionale, in uso prima dell’avvento della tecnologia radiale, era formato dalla

carcassa, rinforzata da vari strati di tessuto gommato, posizionati diagonalmente, in modo

alternativo, formando un angolo che poteva variare dai 25° ai 55° rispetto alla direzione di

marcia, come si può vedere in figura 3.4; il loro numero dipendeva dalle applicazioni, dalle

dimensioni e dal carico del pneumatico stesso. In questa architettura, definita cross-ply o bias-

ply, il fianco e la corona26 avevano lo stesso numero di strati e tutti della medesima

dimensione.

Figura 3.4 Architettura cross-ply e relativo particolare

Nel pneumatico radiale la carcassa è formata da strati che si snodano lungo la circonferenza, da

tallone a tallone, con un angolo di 90° rispetto alla direzione di avanzamento, rinforzati da

fasce di tessuto di acciaio. Sopra questi sono posizionati altri strati rinforzati accavallati con

angoli diversi in base al tipo di pneumatico. Nella tecnologia introdotta da Michelin, per

irrobustire questi ultimi strati vennero inseriti dei filamenti di metallo ma ogni compagnia

propose soluzioni diverse: ad esempio Pirelli introdusse un radiale con fibre di rayon che

chiamò “Cinturato”.

Come si può osservare in figura 3.5, nel pneumatico radiale lo spessore di fianco e corona sono

differenti. Questo permette di avere un fianco meno rigido ed una corona inestensibile.

26 Per corona si intende l’area centrale del battistrada.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 75

Figura 3.5 Architettura radiale e relativo particolare Per capire i benefici portati dal pneumatico radiale osserviamo la struttura di fianco e corona

nelle due architetture, seguendo la figura 3.627.

Figura 3.6 Particolari della struttura del fianco e della corona di pneumatici cross-ply, a sinistra, e radiali, a destra Considerando la corona si può facilmente notare come la struttura base sia il rombo nei

pneumatici bias-ply mentre il triangolo in quelli radiali. L’applicazione di forze longitudinali

non causa nessuna deformazione in una struttura a triangolo, al contrario di quelle a rombo,

nella quali si genera attrito che causa perdite di energia, sottoforma di calore, che inducono il

deterioramento del prodotto.

Nell’architettura radiale gli strati del fianco sono indipendenti l’uno dall’altro in modo da

conferirgli una minore rigidità che permette di aumentare la superficie di contatto col terreno,

e, quindi l’aderenza, al terreno e di assorbire meglio le asperità. Al contrario nei pneumatici

bias-ply l’aderenza alla strada durante la marcia è minore perché il carico tende a fare rialzare

27 Nella figura per sidewall si intende il fianco e per crown, la corona.

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Terzo capitolo, Eventi, tecnologia e concentrazione - 76

la parte centrale della superficie di contatto. Inoltre, a causa delle forze impresse dalle

sospensioni quando si incontrano degli ostacoli, l’area di contatto non si mantiene costante ma

si rimpicciolisce e allarga continuamente provocando una forte perdita di energia con

un’incidenza negativa anche sulla durata.

Un fianco rigido è più soggetto a perdite di aderenza anche nel caso dell’azione di forze

laterali.

Grazie alle modifiche nella struttura viste, il pneumatico radiale permise un incremento della

durata da 12.000 Km a 40.000 Km e una riduzione di consumo di carburante del 5-10%.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 77

Quarto Capitolo

Gli oggetti dello studio:

il pneumatico run-flat

ed i nuovi sistemi produttivi

In questo capitolo vengono definiti in modo approfondito i due argomenti di indagine dello

studio, il pneumatico run-flat e i nuovi sistemi produttivi, quindi, le diverse strategie adottate

dalle compagnie del settore nella loro gestione e le loro eventuali relazioni, tenendo conto di

tutte le variabili che influenzano l’industria, come la sua struttura, le caratteristiche delle

imprese operanti e i connotati principali degli altri attori legati alla loro catena del valore.

Con questa sezione inizia la parte sperimentale del lavoro svolto nella tesi.

Il primo strumento di ricerca sono stati i siti web delle compagnie dell’industria di dimensioni

maggiori che hanno permesso una chiarificazione riguardo le caratteristiche delle stesse e del

settore; in seguito lo studio si è rivolto ad altri mezzi, sostanzialmente per poter garantire una

maggiore obiettività.

I dati sull’industria in generale, come vendite, quote di mercato e spese di ricerca e sviluppo,

sono stati estratti da numerose fonti: studi effettuati da compagnie come Michelin e Pirelli, per

i quali si sono sempre cercati dei confronti per ottenere una visione obiettiva, Annual Reports e

statistiche realizzate da giornali di settore (Tire Business e Modern Tire Dealer ad esempio).

Per le informazioni riguardanti i vari tipi di tecnologie run-flat presenti oggi sul mercato e i

sistemi di produzione innovativi, mi sono avvalsa soprattutto di pubblicazioni di settore, sia in

forma hardware che online (Tire Business, Modern Tire Dealer, European Rubber Journal,

Babcox.com, Tires-online.co.uk).

Uno strumento molto prezioso per la ricerca di informazioni e dati è stato il poter utilizzare le

risorse elettroniche messe a disposizione dalle biblioteche dello SPRU e dell’Università del

Sussex che mi hanno permesso di accedere ai cataloghi di tutte le biblioteche universitarie e

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 78

non del Regno Unito1. In questo caso mi sono avvalsa della ricerca per parole chiave

utilizzando i nomi delle compagnie, dei sistemi di produzione o, più in generale, parole come

“tire/tyre”, “tire/tyre industry”, “tire/tyre technology”, “run-flat tire/tyre”2 e loro combinazioni.

Dal momento che non è stato ancora pubblicato nessuno studio a livello economico riguardante

questi ultimi anni di sviluppo dell’industria del pneumatico, nella stesura di questo capitolo, a

differenza del precedente, non ci si è avvalsi da articoli tratti da riviste economiche

manageriali.

Nella raccolta del materiale ho incontrato alcune limitazioni. In primo luogo nell’industria la

segretezza assume un ruolo molto importante3: ad esempio informazioni dettagliate sui sistemi

produttivi introdotti da Goodyear e Michelin (Impact e C3M) sono state rese disponibili solo

una quindicina di anni dopo l’inizio del loro sviluppo. In secondo luogo molte imprese,

soprattutto quelle con sede in paesi asiatici, come Corea e Giappone, hanno meno obblighi

nella diffusione di dati ed informazioni, quindi spetta ad ogni compagnia adottare una strategia

più o meno aperta in questo senso.

Ho, così, trovato difficoltà a reperire dati dettagliati e completi inerenti alle varie tipologie di

pneumatici run-flat e alle caratteristiche dei nuovi sistemi produttivi adottati dalle varie

compagnie, ma anche informazioni a livello di settore, come le spese in ricerca e sviluppo.

Prima di affrontare un’analisi specifica dei due oggetti principali dello studio (sezioni 4.3, 4.4 e

4.5), si è ritenuto opportuno mostrare le dinamiche che caratterizzano l’industria al giorno

d’oggi e il ruolo dell’innovazione tecnologica (sezioni 4.1 e 4.2).

Nella sezione 4.6 è presentato uno studio dell’industria attraverso l’analisi dei brevetti

utilizzando dati estrapolati dal Database EPO-CESPRI (Università Bocconi, Milano). Tale

lavoro è centrato principalmente su Pirelli, senza, però, perdere il riferimento con le tendenze

generali dell’industria; esso ha lo scopo di approfondire la conoscenza, a livello tecnico, delle

tecnologie su cui si focalizza la tesi, di ampliare le informazioni riportate nella sezione 4.2

riguardo l’innovazione tecnologica nel settore e di verificare empiricamente una delle strategie

intraprese da molte imprese operanti nell’industria in questi ultimi anni, la diversificazione

tecnologica.

1 Ringrazio la dott.Virginia Acha (Research Fellow presso lo SPRU) per avermi permesso l’accesso ai suoi abbonamenti ai giornali di settore ed il personale della biblioteca dello SPRU per l’aiuto offerto nei prestiti interbibliotecari. 2 Nella lingua inglese il termine pneumatico può essere scritto in due modi diversi: tire e tyre. 3 La segretezza fa parte delle strategie di protezione delle innovazioni e di solito è usata in modo complementare ai brevetti ma può essere anche un’alternativa qualora non esistano le condizioni di brevettabilità o l’innovazione sia ancora in una fase di sviluppo.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 79

4.1 Lo scenario competitivo

4.1.1 Caratteristiche dell’industria

Una delle principali caratteristiche del settore del pneumatico è l’essere molto segmentato al

suo interno; esiste, cioè, una grande varietà di mercati, come si può notare in figura 4.1:

pneumatici per autoveicoli per trasporto passeggeri e autocarri leggeri, per camion, per veicoli

pesanti (come i veicoli industriali o per l’agricoltura), per auto da corsa, per biciclette, per

veicoli a due ruote e per aerei, per riportare alcuni esempi.

Figura 4.1 Il mercato mondiale del pneumatico per linee di prodotto (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”)

Come emerge dalla figura il segmento dei pneumatici per automobili e autocarri leggeri è il più

esteso ed è quello a cui si fa più riferimento nello studio. Al suo interno produttori possono

vendere attraverso due mercati: l’Original Equipment (OE) e il mercato dei ricambi (RT,

Replacement Market). Nel mercato degli OE i clienti sono rappresentati dai produttori di

automobili a cui si vendono set di pneumatici come primo equipaggiamento dei nuovi veicoli.

In quello del ricambio si commercia con i distributori (sia grandi catene distributive che piccoli

gommisti) attraverso i quali si realizza la vendita all’utilizzatore finale per la sostituzione dei

propri pneumatici usurati.

Statistiche affermano che nel 2002 il 48% degli automobilisti hanno rimpiazzato i pneumatici

rimanendo fedeli alla marca del set originale e tale percentuale ha avuto un trend crescente

negli ultimi 6 anni. Compagnie come Goodyear e Michelin affermano che nel loro caso questa

percentuale raggiunge addirittura l’85% e il 65% rispettivamente. Un’inchiesta riportata su The

Tyre Industry Market Report 2001 arricchisce questi dati asserendo che il consumatore sceglie

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 80

la marca dei pneumatici per il ricambio valutando principalmente il prezzo, i consigli dei

rivenditori e l’ esperienza precedente ma, in questi ultimi anni, un altro fattore di influenza è

rappresentato dall’immagine.

I maggiori produttori di pneumatici si concentrano sul mercato OE anche se quello dei ricambi

è più remunerativo. In questo modo si è certi di numerosi ordini di grandi dimensioni e,

ricercando la fidelizzazione del consumatore finale attraverso un continuo miglioramento di

prestazioni e qualità, si prospetta un futuro per il mercato dei ricambi, in cui si può vendere a

prezzi maggiori. Nel mercato degli OE è difficile la presenza dei piccoli produttori perché

lavorare con le imprese automobilistiche richiede un alto tasso innovativo, quindi possibilità di

elevati investimenti in R&S, catene distributive estese ed efficienti e capacità di assistenza

tecnica.

Il mercato dei ricambi, invece, è molto più diversificato e dà spazio anche ai piccoli produttori

grazie ai minori investimenti richiesti, soprattutto in pubblicità, dal momento che c’è una più

viva competizione tra i vari marchi.

Per avere un’idea dell’entità di questi due mercati riportiamo l’esempio di Michelin che

dichiara che il 70% dei pneumatici prodotti sono rivolti al mercato RT e il 30% all’OE; tali

percentuali diventano ancora più significative nel segmento dei pneumatici per autocarri

pesanti, 85% e 15% rispettivamente.

Come si può notare in questo contesto è difficile dare una definizione di cliente in quanto esso

può essere rappresentato sia dall’impresa automobilistica che dal distributore di pneumatici o

dall’utilizzatore finale. I clienti con maggiore potere contrattuale sono le imprese

automobilistiche. Nel corso della storia, infatti, molte compagnie sono state avvantaggiate dal

detenere rapporti speciali con i costruttori di autoveicoli (ad esempio sono note le alleanze tra

Ford e Firestone o tra Goodyear e Chrisler) che, comunque, hanno sempre cercato di mantenere

il più viva possibile la competizione tra i fornitori per ovvie ragioni di costo. Negli ultimi anni

essi hanno rivolto richieste sempre maggiori ai costruttori di pneumatici, come afferma Hocke

(1999). Questi ultimi sono diventati sempre più integrati verticalmente fino ad acquisire

competenze nella progettazione degli autoveicoli, necessarie al co-design, e reti distributive

sempre più estese, complesse ed efficienti. Le imprese del settore, quindi, hanno assunto in

misura sempre maggior il ruolo di partner dei produttori di autoveicoli che hanno lasciato loro

più spazio ricorrendo all’outsourcing di progetto, di attività di R&S e di problem-solving.

Al giorno d’oggi i costruttori di pneumatici non possono prescindere dalle esigenze dei

consumatori finali (pneumatici in grado di avere elevate prestazione con ogni condizione

atmosferica, con alta durata e bassa manutenzione). Infatti, in questi ultimi anni il pneumatico è

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 81

diventato una commodity4, quindi, i produttori puntano sull’aumento di qualità, affidabilità e

prestazioni e sulla promozione del proprio marchio per fidelizzare l’utilizzatore e cercare

elementi che portino una differenziazione del proprio prodotto dagli altri.

Dopo aver presentato i clienti delle imprese operanti nell’industria si accennano brevemente i

fornitori, sempre più coinvolti nei processi di progetto e sviluppo del prodotto. Come emerge

dal lavoro di Acha e Brusoni (2002) non risultano tra i fornitori le sole imprese operanti nel

settore chimico e della gomma sintetica, ma anche quelle legate all’elettronica, all’ingegneria

di precisione e al settore tessile; questo è indice del fatto che il pneumatico sta diventando un

prodotto sempre più complesso e componente fondamentale di un sistema ben più ampio dato

dalla ruota e dalle parti di ancoraggio al veicolo, come sottolineano gli stessi autori.

Il mercato dei pneumatici per autoveicoli è a sua volta molto segmentato: a questo proposito è

esaustivo lo schema proposto da Michelin in figura 4.2.

Figura 4.2 Il mercato dei pneumatici per autoveicoli da trasporto passeggeri e autocarri leggeri (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) In questi ultimi anni sono in forte crescita i segmenti dei SUV (Sport Utility Vehicle) e dei

pneumatici ad alta performance. Soprattutto negli Stati Uniti la diffusione dei SUV è un

fenomeno molto soggetto alla moda e, da veicoli impiegati principalmente in attività sportive o

in strade con determinate condizioni, hanno raggiunto un uso quotidiano richiedendo, quindi,

4 Per commodity si intende un prodotto il cui uso risulta necessario per il consumatore, per il quale la competizione si basa essenzialmente sul prezzo (i marchi sono tra loro quasi perfettamente sostituibili).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 82

sempre meno pneumatici per veicoli 4×4 e più ad alta performance. Oggi i pneumatici ad alta

performance non sono più usati per equipaggiare solo i modelli al top del settore delle auto

sportive ma quelli al top della quasi totalità dei segmenti di prodotto.

Accanto a tutti i mercati compresi nel settore va menzionato anche il cosiddetto retread o

remoulded market, cioè dei pneumatici con battistrada ricostruito. Oggi sono usati dei

componenti molto buoni che non provocano più un aumento della resistenza al rotolamento,

che comporta un invecchiamento accelerato e un maggior consumo di carburante. L’utilizzo di

un pneumatico ricostruito permette di diminuire il consumo di petrolio: infatti si impiegano

solo 26 litri contro gli 85 richiesti dalla costruzione di un pneumatico tradizionale. Esso, però,

rappresenta un mercato a sé e non viene preso in considerazione in questo studio.

Come si vede dalla figura 4.3 nel 2002 il mercato del pneumatico ha avuto una dimensione di

68,5 miliardi di US $ e la sua crescita in vent’anni è più che raddoppiata.

Figura 4.3 Ammontare del volume di vendite dell’industria dal 1983 al 2001 (in miliardi di US $). (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) I mercati del Nord America e dell’ Europa Occidentale sono ormai saturi; si ha crescita

solamente in quelli emergenti, come Asia, Sud America ed Est Europa, ai quali si stanno

interessando le maggiori compagnie del settore. Questa tendenza è dimostrata dalle numerose

acquisizioni di imprese dell’Est Europeo da parte di Michelin e dagli investimenti di

compagnie come Pirelli o la stessa Michelin nel potenziare gli impianti in Sud America,

specialmente in Brasile.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 83

In figura 4.4 possiamo osservare la distribuzione del mercato a livello geografico. Come già

anticipato nel terzo capitolo, l’industria non è più formata da realtà operanti principalmente nel

paese di appartenenza o limitrofi, come invece accadeva fino ad una ventina di anni fa, ma sta

assumendo sempre più un carattere globale.

Figura 4.4 Divisione geografica del mercato (2002). (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) Per riuscire a mantenere la propria leadership in ogni mercato geografico è stata molto

frequente la stipulazione di cooperazioni ed accordi tra imprese di cui si accennano due

esempi. Nel 1999 Pirelli, per far fronte alla debolezza dovuta alle scarse vendite in Nord

America, si accordò con Cooper impegnandosi a commercializzare il marchio del partner in

Sud America in cambio della distribuzione in Nord America del proprio. Nello stesso anno ci

fu anche la joint-venture tra Goodyear e Sumitomo avente, tra gli altri, lo scopo di consolidare

il marchio Goodyear in Giappone e quello Sumitomo in Occidente.

Nonostante la tendenza verso una globalizzazione dei mercati, la profittabilità dell’industria

resta comunque molto bassa se paragonata ad altri settori, soprattutto a quello automobilistico,

a cui è strettamente legata. Questo accade sostanzialmente perché i costi continuano ad

aumentare mentre i prezzi di vendita si mantengono stabili o, addirittura, soprattutto nel

mercato degli OE, diminuiscono: Maynard (2001) riporta che nel 1983 il prezzo mediamente

pagato per un pneumatico dall’utilizzatore era 63 US $ contro i 39 US $ del 2001. Inoltre, la

vita utile del prodotto è in continuo aumento (oggi ha quasi raggiunto i 50.000 km, come si può

vedere dalla figura 4.5), quindi, i ricambi sono sempre più ritardati nel tempo, se non

addirittura inesistenti.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 84

I costi per le materie prime rappresentano il 60-70% dei costi di produzione. I componenti

principali di un pneumatico sono gomma naturale, petrolio e componenti derivati (ad esempio

sostanze usate per il rinforzo). Come emerge dal Michelin Fact Book 2002, il prezzo della

gomma naturale è aumentato del 33% nel biennio 2001-2002 e anche il prezzo del petrolio è in

continua crescita dal 1999. Per quanto riguarda gli altri componenti, sono le fibre di nylon

usate per rinforzare la struttura del pneumatico che incidono maggiormente sul prezzo. Uno

degli obiettivi principali delle imprese operanti nel settore, quindi, è la riduzione dei costi

accompagnata, però, dal mantenimento di elevati standard in termini di qualità, affidabilità,

sicurezza e performance.

Figura 4.5 Ciclo di vita del pneumatico (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”)

Questa è una delle tante forze che, come si vedrà in seguito, ha spinto alla ricerca di nuovi

sistemi produttivi che permettono notevoli risparmi, soprattutto in energia, immagazzinamento,

manodopera e tempi di lavorazione. La riduzione dei costi è anche uno dei motori che

inducono le varie compagnie a stipulare accordi ed alleanze. In questo modo riescono a

stabilire rapporti privilegiati con clienti e fornitori e a risparmiare nelle attività distributive e di

R&S, infatti, si mettono a disposizione tecnologie e conoscenze evitando dispendiose

ridondanze, come verrà analizzato in modo più approfondito nella prossima sezione.

Nonostante la necessità di un costante impegno nella riduzione dei costi, le imprese continuano

ad investire in nuovi prodotti e tecnologie per cercare di togliere il pneumatico dalla categoria

delle commodity: innovazioni come il run-flat o il Pax-System, analizzate in questo capitolo,

testimoniano questa tendenza.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 85

Un’ulteriore peculiarità dell’industria in questi ultimi anni è l’interesse nell’impatto ambientale

della propria attività lavorativa. Compagnie come Michelin, Goodyear e Continental hanno

introdotto diversi modelli dei cosiddetti green tires, cioè pneumatici i cui componenti sono in

grado di diminuire la resistenza al rotolamento riducendo il consumo di carburante e, quindi,

l’emissione di gas di scarico nell’ambiente.

Particolare attenzione è data anche al riciclaggio, dato che i rifiuti rappresentati dai pneumatici

hanno un peso significativo. Una volta smessi, i pneumatici possono avere altri usi, come

barriere temporanee, limitanti per l’erosione del terreno, e, se riciclati, possono produrre

materia prima per la costruzione di pneumatici stessi ma anche per barriere sonore, mobili e

sistemi per l’irrigazione, ad esempio .

A questo punto, dopo aver fornito una panoramica generale sulle caratteristiche dell’industria e

su chi è coinvolto in essa, presento gli attori principali, cioè i produttori di pneumatici.

4.1.2 Le imprese del settore

L’industria del pneumatico è caratterizzata da un elevato tasso di concentrazione5. Ciò risulta

immediatamente chiaro andando ad analizzare le quote di mercato delle imprese produttrici,

come viene fatto in tabella 4.1 e nella figura 4.6 che è stata ottenuta graficandone i dati.

Le quote di mercato di ciascuna compagnia sono state calcolate dividendo il suo volume annuo

di vendita per le vendite totali dell’industria6. Come si può notare, nell’ultimo triennio

considerato le 10 imprese leader si sono aggiudicate un volume di vendita superiore all’ 80%

rispetto alla totalità del settore: ai sensi dello studio, quindi, non risulta limitativo prendere in

considerazione solamente queste compagnie.

Il settore è dominato da tre grandi compagnie, Bridgestone, Michelin e Goodyear, che nel 2001

hanno posseduto complessivamente più del 56% del mercato.

Un altro parametro in base al quale valutare la concentrazione è l’indice di Herfindal che nel

quindicennio considerato ha presentato un valore medio pari a 0,149. Se l’industria si trovasse

in una situazione di concorrenza, tale valore dovrebbe essere prossimo a 0,00677: cioè le quote

5 Un’industria si definisce concentrata quando in essa opera un numero ridotto di imprese che tendono ad avere grandi dimensioni. 6 Il periodo preso in considerazione parte dal 1987 fino al 2001 in quanto i dati del 2002 non erano ancora accessibili al momento della stesura dello studio. 7 Per un’analisi sulla concentrazione di un settore, l’Indice di Herfindal va confrontato con il valore 1/n dove n è il numero di imprese dell’industria. In questo caso considero n=150 in quanto tale valore è preso come riferimento nelle fonti usate per il calcolo delle quote di mercato.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 86

di mercato di ogni compagnia dovrebbero essere pari a circa lo 0,67% e le top10 dovrebbero

complessivamente raggiungere il 2%, valore che si discosta di molto da quello reale.

Tabella 4.1 Quote di mercato dal 1987 al 2001 delle imprese top 10 dell’industria Figura 4.6 Andamento delle quote di mercato delle 7 maggiori compagnie dell’industria dal 1987 al 2001

COMPAGNIE 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001Bridgestone 9,9 14,3 18,3 16,5 17,2 18,7 17,8 19 19 18,6 18,1 18,8 19,5 19,8 18,9Michelin 17,3 17,22 16,7 20,3 19,9 19,8 18,7 18,8 18,3 18,9 18,6 19,2 19,5 19 19,6Goodyear 18,1 17,4 17 16,5 15,6 15,4 16,6 16,1 15,1 16,9 17,3 16,9 16,6 18,3 18,2Continental 4,4 7,4 7,1 7,3 7,2 7,5 7 7,5 7,4 7 6,4 6,5 7,1 7,1 7,2Suumitomo 5,7 6 5,5 5,3 6,1 6,2 6,1 5,9 5,9 5,8 5,6 5,6 4,9 4 3,8Pirelli 5,7 6,3 5,8 5,8 5,5 5,4 5,2 4,6 4,5 4,3 4,4 4,5 3,9 3,7 3,7Yokohama 3,6 3,8 3,7 4 4,6 4,6 4,7 4,5 4,3 3,8 3,4 3,3 3,5 3,6 3,3Toyo 2,3 2,4 2,3 2,1 2,3 2,4 2,4 2,4 2,3 2 1,9 1,7 1,8 1,9 1,8Cooper 1,6 1,3 1,6 1,5 1,6 1,9 1,9 2 1,9 2 2 2,2 2,2 2,6 2,5Kumho 1 1 1,1 1,2 1,4 1,6 1,6 1,4 1,7 1,9 2 1,4 1,7 1,8 1,8Altri 30,4 22,88 20,9 19,5 18,6 16,5 18 17,8 19,6 18,8 20,3 19,9 19,3 18,2 19,2

C3 45,3 48,92 52 53,3 52,7 53,9 53,1 53,9 52,4 54,4 54 54,9 55,6 57,1 56,7HERFINDAL 0,176 0,148 0,148 0,148 0,143 0,141 0,141 0,143 0,145 0,147 0,150 0,152 0,152 0,153 0,154

Note:1. C3 è dato dalla somma delle quote di mercato dei maggiori 3 produttori. L'Indice di Herfindal è la somma del quadrato delle quote di mercato di ciascun produttore.2. Fonti: 1987-1997 European Rubber Journal Global Tire Report 1990-1997. 1998-2001 Tire Business Global Tire Company Rankings 2001 e 2002.

0

5

10

15

20

25

1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

Anno

Quo

te (p

erce

ntua

le)

Bridgestone

Michelin

Goodyear

Continental

Suumitomo

Pirelli

Yokohama

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 87

Analizzando la figura 4.6 si può notare come dal 1991 al 2001 in testa al settore, limitatamente

a dimensione di mercato, ci siano Bridgestone e Michelin. Dal 1987 al 1989 si assiste ad un

rapido aumento, pari a 8,4 punti percentuale, delle quote di mercato di Bridgestone dovuto

all’acquisizione di Firestone del 1988, che ha permesso alla prima di entrare a pieno titolo nel

mercato americano. Nel 1990 anche Michelin ha migliorato la propria posizione competitiva in

seguito all’acquisizione di Uni-Goodrich. Continental è diventata la quarta impresa del settore,

in termini di quote di mercato, grazie all’acquisizione nel 1987 di General Tire. Nel 1999 si

assiste ad un incremento della percentuale di mercato di Goodyear e ad una diminuzione per

Sumitomo: questo può essere dovuto al passaggio del controllo del marchio Dunlop in Europa

e America dalla seconda alla prima in seguito alla joint-venture stipulata dalle due compagnie

lo stesso anno.

Prima di presentare le dieci compagnie leader a cui, come si è visto sopra, è limitato lo studio,

penso sia utile riassumere i cambiamenti avvenuti all’interno del settore negli ultimi quindici

anni che hanno toccato soprattutto l’industria americana, nella quale tra 5 compagnie

indipendenti è rimasta solo Goodyear; a questo proposito è significativa la figura 4.7.

Dall’inizio degli anni’80 sono apparse in Occidente anche imprese asiatiche, nate per lo più in

Corea e Giappone, soprattutto in seguito alla precedente espansione in Europa e America delle

compagnie automobilistiche orientali. Come si può vedere in figura queste sono in genere

imprese giovani che hanno saputo raggiungere, e talvolta anche superare, sul mercato le grandi

società occidentali con una lunga tradizione alle spalle. In seguito alle numerose acquisizioni di

imprese minori, le leader hanno avuto la possibilità di ottenere il controllo di molti marchi

grazie ai quali hanno potuto più agevolmente imporre la loro presenza in tutti i numerosi

segmenti del mercato. In tabella 4.2 sono proposti i maggiori marchi posseduti da alcune tra le

imprese considerate8.

Le strategie di gestione dei marchi sono diverse tra le varie compagnie: ad esempio,

Bridgestone tende ad usare ogni marchio rilevante in una precisa divisione macroscopica del

mercato (Bridgestone per il top del mercato come pneumatici ad alta performance, Firestone

per i segmenti di medio livello e Dayton come marchio economico), mentre Goodyear o

Michelin tendono a sviluppare verticalmente i marchi per accedere ad ogni segmento del

mercato (ad esempio possiamo trovare pneumatici ad alta performance o run-flat sia Dunlop

che Goodyear).

8 Non si sono trovate informazioni in merito a Toyo e Yokohama

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 88

Figura 4.7 Dinamiche delle imprese del settore dal 1985 ad oggi

MICHELIN MICHELIN, BFGOODRICH, KLEBER, UNIROYAL (Nord America),GOODRICH, RIKEN, TAURUS, KORMORAU, SIAMTYRE, ICALLANTAS, TCI, EUROMASTER, PNEULAURENT, REAMIC, AMERICAN, CAVALIER, MEDALIST, NTB, REGUL, SEARS, TRIVANT, LAURENT, TYREMASTER

GOODYEAR GOODYEAR, DUNLOP (Europa e Nord America), FULDA, KELLY TIRES, DEBICA, SAWA, CO-OP, CORDOVAN, HALLMARK, JETZON, LARAMIE, MONARCH, REMINGTON, STAR, VANDERBILT

PIRELLI PIRELLI, ARMSTRONG, COURIER, CEAT, METZELER (pneumatici per motoveicoli)

BRIDGESTONE BRIDGESTONE, FIRESTONE, DAYTON, CORNELL, DURALON, FUTURA, PEERLESS, SEIBERLING, TRIUMPH

CONTINENTAL CONTINENTAL, GENERAL TIRE, UNIROYAL (Europa), SEMPERIT, BALUM, GISLAVET, MABOR, VIKING, MULTI-MILE, SIGMA

COOPER COOPER, AVON, BIG O, DEAN, DELTA, ELDORADO, MASTERCRAFT, ROADMASTER, STARFIRE, TACOMA, WINTERMASTER

KUMHO KUMHO, MARSHALL SUMITOMO SUMITOMO, DUNLOP, SRIXON

Tabella 4.2 Marchi principali appartenenti alle maggiori imprese del settore (Fonte: Modern Tire Dealer Statistics 2003)

COMPAGNIA PAESE INIZIO ATTIV.

ENTR. NDUST.

ACQUISIZIONI

GOODYEAR US 1898 1899 FIRESTONE US 1900 1900 Firestone 1988 scavalcando Pirelli UNIROYAL US Fusione con Goodrich nel 1986 (Uni-

Goodrich) e nel 1990 acquisite da Michelin

BF GOODRICH US 1870 1908 Fusione con Uniroyal nel 1986 (Uni-Goodrich) e nel 1990 acquisite da Michelin

GENERAL TIRE US Continental 1987 COOPER US 1914 1915 CONTINENTAL Germania 1871 1871 MICHELIN Francia 1889 1891 PIRELLI Italia 1872 1890 DUNLOP UK 1888 1888 Sumitomo 1998. Con la joint-venture del

1999 con Goodyear, il marchio in Europa e Nord America passa sotto il controllo di quest’ultima

BRIDGESTONE Giappone 1920 1928 SUMITOMO RUBBER

Giappone 1909

YOKOHAMA TIRE

Giappone 1969 1969

KUMHO TIRE Corea 1960 1960 TOYO TIRE AND RUBBER

Giappone 1945 1945

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 89

Per alcuni analisti è anche su questo che si fonda il considerevole vantaggio di Michelin su

Bridgestone, cioè nel non adottare una strategia multi-brand con un notevole risparmio nei

costi di gestione. La gestione dei vari marchi si trasforma spesso in un’arma competitiva: una

dimostrazione è offerta da Goodyear che usa il proprio marchio nel competere con Bridgestone

e quello Dunlop con Michelin. Oltre a Bridgestone, anche Continental offre un importante

esempio di strategia multi-brand controllando marchi forti ed affermati come Uniroyal Europa

e Semperit, oltre al proprio.

A questo punto si analizzano più in dettaglio le caratteristiche delle top10 avvalendosi anche di

informazioni sulle vendite (tabella 4.3 e figura 4.9) e sulla tire intensity (tabella 4.4 e figura

4.10). Per tire intensity di una compagnia in un determinato anno si intende il rapporto tra le

vendite effettuate in quell’anno in pneumatici e quelle totali, cioè derivanti da tutte le attività

dell’organizzazione; più tale valore si avvicina al 100%, più i pneumatici sono importanti nel

volume di vendite totali per l’impresa in considerazione.

Attualmente la posizione leader dell’industria è occupata alternativamente da Bridgestone e

Michelin. Le strategie della prima hanno come obiettivo principale il consolidamento della sua

posizione in Occidente, soprattutto in Europa, dove le vendite sono ancora ad un livello basso,

come mostra la figura 4.8, contrariamente a ciò che accade nel mercato nordamericano in cui è

entrata a pieno titolo a partire dal 1988 con l’acquisizione di Firestone.

Figura 4.8 Percentuale delle vendite nelle varie aree geografiche di 5 tra le maggiori compagnie nel 2001 (Fonte: Michelin Fact Book 2002. “The World Tire Market”)

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 90

Tabella 4.3 Vendite delle top10 dal 1987 al 2001 espresse in milioni di US$

Figura 4.9 Andamento delle vendite delle top10 dal 1987 al 2001 ottenuto graficando i dati in tabella 4.3

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

Anni

Vend

ite (m

il U

S$)

BridgestoneMichelinGoodyear ContinentalSumitomoPirelliYokohamaToyoCooperKumho

COMP./VEND. 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001Bridgestone 3972 6510 8471 8200 8688 9345 9472 11100 12740 12900 12320 12635 13500 13750 12950Michelin 6950 7838 7732 10095 10020 10500 9935 11000 12240 13100 12718 12916 13500 13200 13450Goodyear 7306 7927 7881 8188 7949 8167 8853 9428 10105 11705 11850 11311 11515 12750 12470Continental 1774 3367 3274 3625 3613 3980 3719 4415 4938 4866 4355 4334 4900 4955 4900Sumitomo 2307 2712 2732 2630 3050 3276 3223 3428 3976 4000 3800 3750 3414 2783 2958Pirelli 2300 2850 2955 2900 2756 2874 2748 2717 2987 3000 3020 3006 2725 2600 2530Yokohama 1436 1727 1734 1970 2320 2432 2523 2651 2860 2600 2343 2194 2408 2514 2272Uniroyal-Goodrich 1878 1825 1905 2025 2300General Tire 1271 1428 1345 1352 1323Kelly-Springfield 1242 1347 1440 1200 1250Toyo 922 1084 1061 1055 1194 1263 1295 1410 1524 1378 1283 1120 1255 1323 1248Cooper 640 598 722 744 830 1000 1015 1193 1267 1372 1449 1447 1557 1803 1705Kumho 405 466 523 585 703 843 876 847 1147 1355 1241 966 1195 1235 1247TOTALE 32403 39679 41775 44569 45996 43680 43659 48189 53784 56276 54379 53679 55969 56913 55730

Note:1. Fonti: 1987-1997 European Rubber Journal Global Tire Report 1990-1997. 1998-2001 Tire Business Global Tire Company Rankings 2001 e 2002.

2. Le fonti utilizzate riportano le vendite separate di Uniroyal-Goodrich, General Tire e Kelly-Springfield fino al 1991 ma il primo gruppo fu acquistato da Michelin nel 1990, General Tire da Continental nel 1987 e Kelly-Springfield fa parte di Goodyear già dal 1935.3. Le vendite di Bridgestone sono comprensive di quelle di Firestone dal 1988; nel 1987 queste ultime sono state di 2630 milioni di US$4. Dal 1987 al 1990 tra Cooper e Kumho vi erano altre 3 compagnie: Uniroyal-Englebart (Germania), Hankook (Sud Corea) e South Pacific Tyre (Australia). Nel 1994 Kumho non faceva parte delle top10: la decima posizione era occupata da Hankook (Sud Corea) con vendite pari a 997 milioni di US$.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 91

Tabella 4.4 “Tire Intensity” delle top10 dal 1987 al 2001 espressa in punti percentuale (Dati ricavati dalle stesse fonti della tabella 4.1)

Figura 4.10 Andamento della “Tire Intensity” delle top10 dal 1987 al 2001 ottenuto graficando i dati riportati nella tabella 4.4

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

Anni

Tire

Inte

nsity

(%)

BridgestoneMichelinGoodyear ContinentalSumitomoPirelliYokohamaToyoCooperKumho

COMPAGNIE 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 MED.Bridgestone 70 70 69 66 65 68 66 70 71 72 72 74 74 74 74 70,07Michelin 89 89 89 88 84 87 89 91 92 94 93 93 92 93 95 90,21Goodyear 74 73 74 73 72 70 76 77 77 84 85 85 85 85 88,7 77,86Continental 70 75 73 67 64 65 66 68 69 70 68 58 50 53 49 65,43Sumitomo 76 79 79 70 71 72 71 72 70 75 75 75 76 71 73 73,71Pirelli 42 46 38 85 85 85 90 90 90 45 46 49 40 38 39 62,07Yokohama 70 74 67 67 69 71 70 72 71 70 70 70 70 70 71 70,07Uniroyal-Goodrich 82 83 84 20 23 58,40General Tire 42 41 34 37 38,50Kelly-Springfield 17 17 18 15 16 16,60Toyo 60 59 59 59 58 58 57 58 57 57 59 60 60 59 61,5 58,57Cooper 80 80 83 83 83 85 85 85 85 85 80 77 71 52 54 79,57Kumho 83 80 95 77 79 80 80 80 83 89 89 91 59 54 60 79,93MEDIA ANNUA 67,75 66,69 66,85 61,85 62,00 74,10 75,00 76,30 76,50 74,10 73,70 73,20 67,70 64,90 66,52 70,05

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 92

Nei recenti anni la notorietà del marchio Bridgestone è aumentata notevolmente in Europa

grazie all’attività della compagnia nel Campionato del Mondo di Formula Uno e, in particolare,

al suo legame con la scuderia Ferrari, che rappresenta una parte fondamentale nella strategia di

promozione del marchio. Questo successo di immagine, però, è stato notevolmente limitato nel

2000 quando ha dovuto ritirare dal mercato 6,5 milioni di pneumatici Firestone per il SUV

Ford Explorer in seguito ad una serie di incidenti, anche con gravi conseguenze.

Michelin è l’impresa più focalizzata nel settore dei pneumatici tra tutte le top10 con una tire

intensity media superiore al 90%, come mostra la tabella 4.4. Essa risulta impegnata anche

nella produzione di telai per autoveicoli, di sensori di controllo, in servizi integrati per la

distribuzione e in servizi correlati alla mobilità e relativa assistenza (famose sono la Guide

Michelin, ad esempio). Attualmente è l’unica impresa ad operare in Formula Uno oltre a

Bridgestone.

Anche Goodyear, specialmente negli ultimi anni considerati, è una delle compagnie in cui il

settore dei pneumatici ha più importanza sulle vendite, ma opera anche nella produzione di tubi

per varie applicazioni (settore petrolchimico, alimentare, tessile, marino, distribuzione e sanità,

ad esempio), di nastri trasportatori, di trasmissioni di energia e di sospensioni per autoveicoli.

Goodyear ha avuto una lunga attività come fornitore di Formula Uno, interrotta nel 1998 per

gli scarsi riscontri in termini di profitto. E’ molto attiva nella ricerca, specie per quanto

riguarda lo sviluppo di nuovi materiali: ad esempio, sta collaborando con Amerityre

sull’uretano.

Goodyear è stata l’unica impresa statunitense ad uscire indenne dalla conversione ai

pneumatici radiali ed ha sempre mantenuto un alto tasso innovativo: è stata la prima ad

introdurre una soluzione efficiente di run-flat e si sta impegnando nello sviluppo sia di questo

prodotto che del Pax-System.

Nonostante ciò negli ultimi tre anni ha riscontrato pesanti perdite e alcuni analisti ipotizzano la

bancarotta come unica soluzione possibile alla situazione, come riporta Tire Business (Marzo

2003). La causa di ciò sarebbe l’eccessiva concentrazione della compagnia nel mercato degli

OE che offre bassissimi guadagni. Goodyear sta cercando di far fronte alla situazione

sovvertendo la propria struttura manageriale, strumento molto usato anche in passato (ad

esempio da Goodrich e Pirelli): con l’inizio del 2003, infatti, c’è stato un passaggio al vertice

da Gibara a Keegan.

Goodyear attualmente occupa il terzo posto nel settore limitatamente a vendite e quote di

mercato ma, se si considera l’organizzazione nata dalla joint-venture con Sumitomo del 1999,

raggiunge il primato.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 93

Sumitomo attualmente è la quinta impresa dell’industria e fa parte di un gruppo molto esteso e

diversificato le cui attività spaziano dai pneumatici alle palline da golf.

Il secondo gruppo in cui possiamo dividere le top10 in base a volume di vendita e posizione di

mercato, oltre a Sumitomo, comprende anche due imprese europee: Continental e Pirelli.

La strategia di Continental mira al raggiungimento della posizione di fornitore completo per

l’industria automotiva; la compagnia, oltre a pneumatici, soprattutto per auto e motoveicoli,

produce sistemi frenanti, sia idraulici che elettronici (ESP, ABS, TCS), e sistemi elettronici per

sospensioni. La divisione ContiTech, inoltre, costruisce componenti impiegati nella

costruzione di macchinari, in attrezzature per il lavoro in miniere e per l’industria del mobile e

della stampa. Dal 1998 con l’acquisizione delle divisioni dei sistemi freno e telaio dell’ ITT, è

diventata il primo fornitore mondiale di freni a disco e il secondo per l’ABS.

Pirelli attualmente è la società in cui i pneumatici hanno minor peso sulle vendite, come risulta

dal grafico in figura 4.10. Infatti accanto al settore pneumatici, ve ne sono altri due: cavi e

sistemi di energia e cavi e sistemi telecom (quest’ultimo da poco affiancato alle due divisioni

tradizionali). Pirelli è considerato il leader europeo nelle tecnologie per i pneumatici ad alta

performance, ma si sta espandendo anche negli Stati Uniti, grazie all’accordo con Cooper e

all’aver stabilito in Georgia nel 2002 il quarto stabilimento della compagnia funzionante con il

MIRS, l’innovativo sistema di produzione introdotto nel 2001. Grazie al MIRS, Pirelli ha

portato un alto livello innovativo nella tecnologia del settore mirando alla gestione online

dell’intero processo di sviluppo e produzione del pneumatico, dalle attività di ricerca al

progetto, dalla costruzione alla logistica, cercando un’integrazione con i produttori di

autoveicoli.

Quarta compagnia appartenente a questo secondo gruppo di imprese è la giapponese

Yokohama attiva i tutti i segmenti del settore, soprattutto in pneumatici per aerei, autobus e

veicoli industriali.

Il terzo raggruppamento è formato da Kumho, Toyo e Cooper.

Kumho fa parte di un gruppo industriale molto diversificato che comprende anche società

finanziarie, di gestione delle risorse umane e manifatturiere operanti nel settore dell’aviazione

e in quello chimico. L’impresa attribuisce molta importanza all’attività innovativa, infatti

possiede reparti dediti alla R&S molto attivi con centri tecnici di ricerca anche in Occidente (ad

Akron negli USA e a Birmingham nel Regno Unito) ed è stata la quarta impresa ad introdurre

il pneumatico run-flat (1999).

Le informazioni su Toyo sono molto scarse. Essa opera anche in altri settori ma strettamente

collegati ai pneumatici, come chimica, gomma, plastica e componenti per veicoli. Caratteristica

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 94

alquanto singolare è che non possiede basi produttive in Europa ed esporta tutto dal Giappone,

almeno fino al 1999.

Questa breve presentazione termina con Cooper. La compagnia ha la peculiarità di operare solo

nel mercato del ricambio e per questo è considerata l’impresa con redditività più elevata nel

settore, come si può notare dalla figura 4.11, anche se sembra si stia preparando per entrare nel

mercato degli OE. In questi ultimi anni Cooper ha aumentato la propria espansione in Europa

con l’acquisizione nel 1997 dell’inglese Avon Tire, impegnata nel settore dei pneumatici di

lusso e da corsa, e grazie all’alleanza con Pirelli nel 1999, rinnovata alla scadenza dopo due

anni. La società sta anche cercando di ampliare il proprio portafoglio di prodotti entrando nei

segmenti al top come i pneumatici ad alta performance.

Figura 4.11 Margine operativo di sei imprese tra le top10 (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”) Dopo aver offerto una panoramica generale sulle prime dieci imprese dell’industria, si propone

un breve commento ai grafici in figura 4.9 e 4.10.

Per quanto riguarda le vendite si possono riscontrare andamenti del tutto simili a quelli in

figura 4.6 rappresentanti le quote di mercato (cosa alquanto ovvia dato che queste ultime, come

spiegato, sono state calcolate basandosi sui dati di vendita stessi).

Gli andamenti della tire intensity, invece, presentano in molte discontinuità che, nella

maggioranza dei casi, non si è riusciti a spiegare. Toyo, Pirelli e Continental risultano le sole

tre imprese per cui i pneumatici rappresentano una percentuale sulle vendite minore rispetto

alla media (che è pari al 70,05%). In quattro compagnie su dieci, Cooper, Kumho, Continental

e Pirelli, si è riscontrata una significativa diminuzione della tire intensity a partire dal 1998.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 95

L’andamento più irregolare è quello di Pirelli (in color mattone in figura). Probabilmente lo

sbalzo dal 38% all’ 85%, avvenuto tra il 1989 e il 1990, è dovuto all’abbandono della maggior

parte delle attività diversificate per potenziare le proprie risorse economiche per affrontare

l’attacco a Continental del 1990.

La presentazione delle caratteristiche generali del settore e delle imprese che vi operano

effettuata in questa sezione ha come scopo principale quello di permettere di inquadrare e

capire meglio l’innovazione oggetto dello studio; sempre a tale fine ora propongo un’analisi

dell’industria dal punto di vista dell’innovazione tecnologica.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 96

4.2 L’innovazione nell’industria del pneumatico

Il progresso tecnico è frutto di attività dedicate interne alle imprese che si realizzano per lo più

nella ricerca e sviluppo, input delle innovazioni; quindi, per avere un’idea dell’attività

innovativa del settore bisognerebbe valutare, sia quantitativamente che qualitativamente, la

ricerca e sviluppo effettuata dalle imprese leader. Una misura quantitativa della R&S svolta è

data dai relativi investimenti realizzati dalle varie compagnie ma, come si è visto

nell’introduzione al capitolo, in un’industria dove la segretezza è molto importante, come

quella del pneumatico, è molto difficile reperire tali dati (solo Michelin, Goodyear,

Bridgestone e Pirelli riportano le spese in R&S nei loro Annual Reports). Al contrario sono

facilmente reperibili informazioni qualitative: le imprese forniscono una grande quantità di

notizie riguardo le strutture impiegate nelle attività di ricerca, molto probabilmente per una

strategia di marketing volta ad aumentare l’idea di affidabilità, qualità ed alte prestazioni dei

propri prodotti. Un’indagine a livello qualitativo riguardante la R&S può essere condotta anche

attraverso il modo in cui le imprese conducono le loro attività di ricerca: un esempio che ho

deciso di analizzare sono gli accordi e le joint-ventures effettuate, soprattutto negli ultimi anni,

a tale scopo.

Dal momento che risulta difficile un’analisi completa, specie a livello quantitativo, dell’attività

innovativa del settore analizzandone gli input, è opportuno aggirare il problema studiandone gli

output, partendo da uno studio dei brevetti, che sono la forma principale di protezione delle

innovazioni e forniscono un monopolio temporaneo che favorisce l’attività inventiva, e poi da

una valutazione di altri fattori: soddisfazione del consumatore, attività nel settore dei

pneumatici da competizione e nei segmenti al top del mercato, come i pneumatici ad alta

performance per elevate velocità.

In queste pagine, quindi, sono analizzati tutti questi elementi in modo da riuscire a trarre delle

considerazioni generali che amplino la conoscenza dell’industria in considerazione.

4.2.1 La ricerca e sviluppo nell’industria

Uno studio di Patel e Pavitt (1999) rivela che nella maggior parte dei paesi la R&S è

concentrata in imprese9 con più di 10000 dipendenti appartenenti soprattutto a settori come

9 Le imprese prese in considerazione provengono dall’elenco di grandi compagnie di Fortune e il gruppo è così suddiviso: 249 statunitensi, 17 canadesi, 143 giapponesi e 178 europee.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 97

quello chimico, dei veicoli e dei loro componenti (quindi anche del pneumatico), elettronico e

dei materiali. Inoltre, la maggior parte dell’attività innovativa sarebbe svolta nel continente di

appartenenza (in Europa si riscontra questa tendenza in misura minore rispetto a Nord America

e Giappone, in modo particolare nei Paesi Bassi e Scandinavi).

Michelin ha effettuato uno studio sulla quantità di R&S e il valore di mercato dei differenti

segmenti dell’industria che viene mostrato in figura 4.12. Dalla figura emerge, ad esempio, che

il segmento dei ricambi è quello a maggior valore e che, allo stesso tempo, richiede il minor

contenuto in ricerca e, quindi, investimenti relativamente bassi in tal senso: ciò va a dimostrare

ulteriormente la sua elevata redditività. Le aree di pneumatici ad alta performance sono ad

elevato contenuto di R&S, a conferma del fatto che il segmento può essere preso in

considerazione per una valutazione più generale delle attività innovative dell’industria.

Figura 4.12 Contenuto di R&S (ascissa) e valore di mercato di diversi segmenti dell’industria (ordinata). (Fonte: Michelin Fact Book 2002, “The World Tire Market”)10

10 Legenda della figura 4.12: Passenger RT, ST = pneumatici per automobili destinati al mercato del ricambio per le categorie di velocità ST; Bycicle = pneumatici per bicicletta; Bias Truck = pneumatici per autocarri costruiti con la tecnologia “bias”; Bias Motocycle = pneumatici per moto costruiti con tecnologia “bias”; Agricoltural = pneumatici per veicoli agricoli; Bias Aircraft = pneumatici per velivoli costruiti con tecnologia “bias”; Radial Truck = pneumatici radiali per autocarri; Passenger OE = pneumatici per automobili per il mercato degli equipaggiamenti originali; Passenger VZ = pneumatici per automobili per le categorie di velocità VZ; Radial Motocycle = pneumatici radiali per moto; Earthmover = pneumatici per veicoli che non viaggiano su strada; Radial Aircraft = pneumatici radiali per velivoli.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 98

La tabella 4.5 mostra le spese in R&S di nove compagnie tra le top10 dal 1993 al 2002 in

modo non completo, soprattutto per quanto riguarda le imprese asiatiche. Non è presente alcun

dato su Toyo, essendo l’impresa che divulga meno informazioni tra le dieci.

COMPAGNIE 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 GOODYEAR 320 341 369 374,5 384,1 420,7 448,2 423,1 375,5 380 percent.su vendite 0,034 0,029 0,027 0,027 MICHELIN 628,145 596,014 628,732 665,684percent.su vendite 0,043 0,042 0,044 PIRELLI 157 176 191 204,545 208,014 213,005 213,156 196,730 212,264 207,081percent.su vendite 0.031 0,031 0,036 0,031 0,028 0,032 tires 110,406 107,644 104,368 111,953 115,360percent.su vendite 0,038 0,039 0,039 0,044 0,043 BRIDGESTONE 463,176 475,597 percent.su vendite 0,029 0,03 COOPER 15,1 14,7 16 19,7 21,7 29,2 39,9 99,5 percent.su vendite 0,011 0,012 0,012 0,016 0,018 0,029 0,025 CONTINENTAL 217 255 286 268 267,1 398,815 386,347 495,3 491,2 percent.su vendite 0,0928 0,0965SUMITOMO 1062,57 YOKOHMA 125,168 115,028 105,442 116,906 107,90 percent.su vendite 0,035 0,033 0,033 0,029 KUMHO 1,781 2,057 2,278 1,455 Tabella 4.5 Spese in R&S11 (dati disponibili) dal 1993 al 2002 espressi in milioni di US $ (Fonti: Annual Reports delle varie compagnie e Michelin Fact Book 2000)

Dato che i valori sono così frammentati espongo alcune considerazioni solo sulla percentuale

degli investimenti in R&S in base alle vendite12, evidenziata in tabella, dal 1999 al 2002, dove

si riscontra una maggiore densità di dati.

Come si nota non ci sono grosse differenze tra le imprese: si distingue solo Continental che

negli ultimi due anni considerati presenta una percentuale superiore al 9%. Seconde a

Continental si trovano Michelin e Pirelli: per quest’ultima si osserva come la ricerca svolta nel

settore pneumatici sia ben maggiore di quella effettuata negli altri due segmenti (cavi e sistemi

11 I tassi per la conversione sono stati presi dall’Unione Consulenti Italiani (www.unioneconsulenti.it) “Medie cambi annuali” (2002: 0,9556 $/Є; 2001: 0,8956 $/Є; 2000: 0,9236 $/Є 107,7455 Y/$; 1999: 1,0658 $/Є 113,7668 Y/$; 1998: 1736,237 £/$ 130,8771 Y/$ ; 1997: 1703,43 £/$ 120,8397 Y/$ ; 1996: 1542,968 £/$). 12 Tale percentuale è calcolata dividendo le spese annuali in R&S per il volume di vendite sempre annuale. Per tutte le compagnie questi dati sono a livello di impresa mentre Pirelli è la sola a distinguere gli investimenti nel settore pneumatici da quelli generali.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 99

di telecomunicazioni). Cooper presenta i valori percentuali più bassi dal momento che lavora

solo nel mercato dei ricambi.

Le top10 possiedono strutture e laboratori dedicati alla ricerca nei paesi principali in cui

operano, soprattutto nella zona di Akron (Ohio) per il Nord America e Regno Unito e Paesi

Bassi per quanto riguarda l’Europa, alcuni anche gestiti in joint-venture (ad esempio Goodyear

e Sumitomo in Giappone), come è spiegato nella sezione successiva.

Sono assenti dati riguardanti Toyo; dal momento che, almeno fino al 1999, aveva solo

stabilimenti produttivi in Asia è altamente improbabile che abbia una rete di laboratori a livello

mondiale.

4.2.2 Analisi dei brevetti

I brevetti, che rappresentano la forma più consolidata di protezione delle invenzioni, sono

considerati il modo più stabile, universale ed accettato per misurare le competenze

tecnologiche delle imprese, come sostengono Granstrand, Patel e Pavitt (1997). Tale

misurazione, però, presenta dei limiti in quanto essi non sono l’unico modo per proteggere

l’attività inventiva e non possono essere applicati a campi che coinvolgono il software, dal

momento che non è brevettabile.

In genere non esiste una corrispondenza biunivoca tra brevetto e invenzione in quanto, le

organizzazioni si avvalgono di strategie di brevettazione, date dalla combinazione di brevetti, a

volte anche con altri sistemi, per una stessa invenzione, per godere di una protezione ancora

più efficace e, di conseguenza, di un maggiore ritorno economico. Ad esempio, una strategia

diffusa è quella del flooding (“inondazione”) che consiste nel brevettare tutti i possibili esiti di

un processo di ricerca, per avere la sicurezza di potersi appropriare di tutti gli sviluppi che

potrà avere in futuro, anche se in questo modo si creano una serie di brevetti, detti junk patents

(“brevetti spazzatura”), che non verranno mai sfruttati direttamente. Un aumento del ritorno

economico generato da un’invenzione può scaturire anche dalla sua concessione in licenza ad

altre imprese in cambio di denaro o dell’accesso ad altre tecnologie.

Anche un settore considerato tradizionale come quello del pneumatico è caratterizzato da

conoscenze di base che stanno diventando sempre più ampie e complesse. Come abbiamo

accennato brevemente nell’introduzione, le imprese hanno assunto un ruolo di system

integrators per l’industria, acquisendo ed integrando conoscenza proveniente da un vasto

numero di campi, come dimostra l’analisi effettuata da Acha e Brusoni (2002).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 100

Lo studio proposto dagli autori si basa essenzialmente sui dati di brevetto, provenienti dal

Derwent Global Database, attraverso una ricerca per parole chiave (“tire” o “tyre”), come

mezzo più completo ed accessibile per il tipo di analisi effettuata e date le limitazioni

incontrate nel raccogliere altri dati come le spese in R&S.

In particolare sono state valutate le classi di brevetti connesse al settore dei pneumatici ed

esaminata la relativa attività brevettuale delle dieci compagnie leader e di imprese operanti in

altri settori. Gli autori si sono avvalsi di due tipi di classificazione: il sistema Derwent, che

assegna il brevetto ad una o più classi in base alle sue possibili applicazioni, e la classificazione

IPC (International Patent Classification) nella quale si considerano la natura e le caratteristiche

strutturali dell’invenzione.

In un primo tempo lo studio esamina il periodo 1974-2000 dividendolo in tre sottoperiodi

(1974-1980, 1981-1990 e 1991-2000) secondo il sistema di classificazione Derwent. Si trova

che più del 60% (percentuale che arriva a superare il 70% dal 1991 al 2000) dei brevetti

depositati dalle dieci compagnie leader appartiene alle classi A95 (Polymers and plastics for

transport including vehicle parts, tyres and armaments) e Q11 (Mechanical engineering for

wheels, tyres and connections). In particolare la classe Q11 ha presentato nell’ultimo decennio

una crescita maggiore della A95 (2% vs 1%) a testimonianza del fatto, come spiegano gli

autori, che le compagnie sono passate da semplici fornitori di pneumatici a fornitori nell’intero

sistema formato dalla ruota e dalle parti di connessione al veicolo. Supporta questa tendenza

anche il fatto che siano aumentati i brevetti in classi legate alla meccanica, all’elettronica,

all’ingegneria di precisione, a discapito di quelle appartenenti al settore chimico, che per

moltissimi anni era stato quasi il solo legato all’industria.

Le medesime considerazioni emergono anche da una seconda analisi, a livello di impresa,

attraverso la classificazione IPC nel biennio 1999-2000. Le top10 brevettano anche nel campo

di sistemi di assemblaggio e fissaggio, come Cooper, Toyo, Bridgestone e Continental, in

sistemi di misurazione e precisione, ad esempio Kumho, Cooper, Goodyear e Continental;

Pirelli ha brevetti riguardanti i pneumatici anche in classi legate all’ottica e a sistemi di cavi ma

questo deriva probabilmente dal fatto che l’impresa è diversificata anche in queste attività e le

Giapponesi in sistemi di equipaggiamento per giochi.

Questi dati dimostrano che le compagnie del settore hanno conoscenze in un campo

tecnologico molto vasto e, quindi, l’ipotesi di partenza sul loro ruolo di system integrators

risulta verificata; ciò è riassunto in figura 4.13, dove vengono mostrate le interrelazioni tra i

costruttori di pneumatici e altre realtà appartenenti a diversi settori.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 101

Le imprese dell’industria, quindi, coordinano gli attori operanti nel loro business, clienti

chiave, fornitori e competitori, e ricercano una specializzazione nelle conoscenze possedute.

Quest’ultimo elemento è dimostrato da tutti i contributi distintivi nella tecnologia del

pneumatico portati da compagnie appartenenti ad altri settori, dal chimico al tessile,

dall’ingegneria meccanica all’elettronica, che brevettano in classi tecnologiche legate ai

pneumatici. Comunque, anche all’interno del loro ruolo di system integrators, le compagnie

utilizzano strategie differenti: Bridgestone e le altre Giapponesi possono essere definiti all-

rounders in quanto brevettano in un numero di campi molto ampio, mentre altre, come Pirelli,

Continental e Michelin, sono più focalizzate. Goodyear sta nel mezzo tra i due gruppi e Cooper

presenta un numero di brevetti molto basso: risultato non sorprendente dato che opera solo nel

mercato del ricambio (Acha e Brusoni, 2002).

Figura 4.13 Conoscenza di base nell’industria del pneumatico. (Figura 5.1 “The Tyre Industry Knowledge Base – Sources of Technological Capabilities” pag.15 di Acha e Brusoni (2002))13

13 Legenda figura 4.13: Automotive Companies = compagnie costruttrici di autoveicoli; Tire Manufacturers = produttori di pneumatici; Wheel Assembly = assemblaggio sistema ruota; Production System = sistema di produzione; Tire Development and Design = sviluppo e progetto del pneumatico; Components = componenti; Source materials = approvvigionamento materiali; Chemicals Synthetic Rubber Companies = compagnie operanti nel settore chimico e della gomma sintetica; Electronics Precision Engineering Companies = compagnie operanti nell’ingegneria dell’elettronica di precisione; Casting, Molding Spinning Cord Companies = compagnie di stampaggio, fusione, tessili e di fili elettrici.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 102

4.2.3 Joint-ventures ed alleanze

Una caratteristica interessante relativa all’industria è la grande quantità di partnership stipulate

tra le imprese leader e loro competitori, clienti e fornitori.

Innanzitutto bisogna precisare la differenza esistente tre queste forme di alleanze. La maggior

parte degli accordi sono semplici decisioni di cooperazione tra imprese ma esiste anche una

forma più complessa, la joint-venture, in cui si ha la costituzione di una nuova società. Per

un’analisi a livello quantitativo, generalmente, si considerano quasi esclusivamente queste

ultime, in quanto sono le uniche monitorabili, appunto attraverso la compagnia formata.

Una tendenza di questi ultimi anni è stata lo sviluppo di joint-venture di ricerca in cui le

imprese coordinano le proprie attività di R&S dividendosene i costi. Questo è stato possibile

anche grazie a nelle modifiche delle politiche dei vari governi, primo tra tutti quello

statunitense, che hanno reso meno restrittive le norme anti-trust: infatti, nell’avvicinamento di

imprese concorrenti per la ricerca si vedeva un espediente per nascondere attività collusive

volte alla formazione di potere monopolistico.

Le invenzioni nate dalle joint-venture devono comunque essere protette da brevetti contro le

imitazioni, ma sono utili poiché rafforzano le barriere all’entrata dell’industria: grazie alle

cooperazioni, infatti, le imprese esistenti acquisiscono una posizione e un potere di mercato

maggiori agli occhi dei potenziali entranti.

Non è ancora chiaro se una JV14 finanzi il numero ottimale di progetti di ricerca, tuttavia, porta

ad un beneficio a livello sociale in quanto evita l’inutile duplicazione di ricerche, con una

diminuzione dei costi globali. Esse sono diffuse soprattutto nelle industrie ad alta tecnologia in

cui si hanno costi di R&S molto elevati e dove la ricerca non risulta facilmente copiabile per le

altre organizzazioni esterne alla JV.

Non tutti gli accordi comunque sono delle JV e non tutti sono volti alla ricerca, come mostra la

tabella 4.6 che raccoglie le principali cooperazioni avvenute nel settore del pneumatico negli

ultimi sedici anni. Le compagnie intrecciano accordi anche per la distribuzione, soprattutto per

entrare in mercati dove hanno una certa debolezza, come hanno fatto Pirelli e Cooper o

Continental e Yokohama, o semplicemente per cercare una riduzione dei costi di produzione,

distribuzione e sviluppo.

14 JV è la sigla abbreviativa comunemente usata per il termine “joint-venture”.

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ANNO COMPAGNIE COINVOLTE TIPO E TERMINI DI ACCORDO 1987 Continental, Yokohama,

Toyo JV per la produzione di pneumatici per veicoli commerciali per il mercato nord americano con condivisione dell’impianto di Mt.Vernon (Illinois).

1988 Yokohama, General Tire/Continental e Toyo

JV (51% Continental; 33,4%Yokohama; 15,6% Toyo) con l’acquisizione di un impianto negli US per condividere tecniche di ricerca e per produrre pneumatici radiali per autocarri pesanti. L’accordo prevede anche la produzione da parte delle imprese giapponesi di pneumatici Continental e la loro vendita ai costruttori di automobili giapponesi e il reciproco da parte di Continental in Europa.

1989 Continental e Marbor Produzione di pneumatici a Lousado/Oporto (Portogallo). 1996 Michelin and Continental Produzione di pneumatici private-label per distributori

indipendenti. 1998 Pirelli e Trelleborg JV (40%Pirelli e 60%Trelleborg). Trelleborg si impegna ad

investire nell’impianto di Tivoli (Italia) di Pirelli dove si producono pneumatici per l’agricoltura e si incarica di produzione e vendita.

1999 Michelin e Pirelli Sviluppo del Pax-system: condivisione della tecnologia, produzione e commercializzazione.

1999 Goodyear e Sumitomo JV con istituzione di 4 compagnie: 1 in Europa, 1 in Nord America e 2 in Giappone, le prime 2 controllate da Goodyear e le ultime da Sumitomo. Goodyear si aggiudica il controllo di Dunlop in Nord America ed Europa (molti analisti vedono questo come un primo passo verso l’acquisizione dell’intera compagnia) e mette in condivisione il proprio marchio in Europa tranne Polonia, Turchia e Slovenia. Le JV occidentali riguardano anche lo sviluppo delle tecnologie mentre le giapponesi riguardano la vendita nel mercato degli OE di entrambi i marchi e del ricambio di Goodyear. Rimangono fuori dall’accordo le attività di entrambe in America Latina e Asia. Con questo accordo, iniziato con la produzione e distribuzione reciproca di pneumatici dal 1997, le 2 compagnie formano il produttore di pneumatici più grande al mondo. Uno degli scopi principali è l’eliminazione della ridondanza soprattutto nella tecnologia.

1999 Pirelli e Cooper Cooper distribuisce il marchio Pirelli in Nord America, dove è particolarmente debole, e Pirelli commercializza Cooper nel Sud America. Cooper sta anche aiutando Pirelli a sviluppare un range competitivo di pneumatici per autocarri leggeri. L’accordo è stato riconfermato alla scadenza nel 2002.

1999 Pirelli e Abe Shokey JV (51%Pirelli e 49%Abe Shokey). Pirelli può operare nel mercato giapponese e si impegna a supportare il partner con investimenti.

2000 Continental e Nisshimbo Sviluppo di sistemi frenanti e del telaio per il mercato giapponese e coreano.

2000 Michelin e Goodyear

JV (50-50) con sede in Olanda ma senza alcun impiegato. Michelin mette a disposizione le sue conoscenze sul Pax-system e Goodyear sulla tecnologia run-flat e sui sensori per il monitoraggio della pressione. Ricerca anche nello sviluppo di un nuovo standard run-flat (creazione della Global Runflat System Research, Development and Technology JV). (L’accordo non include la condivisione della tecnologia “ultra-tensile steel cord” usata da Goodyear per rimpiazzare il rayon).

2000 Michelin e Dow Chemicals Ricerca per lo sviluppo dell’anello di supporto del Paxsystem con la divisione sul poliuretano della Dow Chemicals.

2000 Michelin e Woco Accordo per ampliare le conoscenze tecnologiche di Michelin sui sistemi per le vibrazioni.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 104

ANNO COMPAGNIE COINVOLTE TIPO E TERMINI DI ACCORDO 2000 Pirelli, Continental, Cooper,

Goodyear, Michelin, Sumitomo, Bridgestone

Sviluppo di un sito web comune per facilitare la fornitura dei clienti.

2000 Goodyear e Phase IV Engineering

Goodyear aumenta le conoscenze tecnologiche utili allo sviluppo dei sensori per il monitoraggio della pressione dei pneumatici (TPMS, Tire Pressure Monitoring System) grazie all’attività di Phase IV nei sistemi radio e acquisisce il 20% del capitale azionario del partner.

2000 Goodyear e Cycloid Company Sviluppo di sistemi per il controllo a bordo dei veicoli dello stato del pneumatico a livello di pressione.

2001 Goodyear e Amerityre Sviluppo di un nuovo polimero di poliuretano per pneumatici che riduce i costi di produzione.

2001 Michelin e Sumitomo Sumitomo ottiene la licenza per la produzione e la commercializzazione del Pax-system e lo sviluppo e infrastrutture per assistere l’utilizzatore dopo la vendita e si impegna a collaborare con Michelin per il suo sviluppo.

2002 Bridgestone, Continental e per una parte anche Yokohama.

Sviluppo della tecnologia run-flat per pneumatici per autoveicoli passeggeri ed autocarri leggeri; ognuno sviluppa autonomamente la propria tecnologia che successivamente viene condivisa. Per quanto riguarda Continental, l’estensione vale solo per la tecnologia CSR. Yokohama entra alla fine dell’anno (l’accordo è invece iniziato all’inizio del 2002.

2002 Continental e Yokohama JV (50-50) per la distribuzione presso i costruttori di automobili giapponesi.

2002 Michelin e Bosh JV chiamata ISS (Integrated Safety System) per lo sviluppo di sistemi di assistenza al guidatore per quanto riguarda stabilità e dinamica. Le 2 compagnie hanno iniziato a collaborare due anni prima di questo accordo per combinare le rispettive conoscenza nell’elettronica e nei pneumatici.

2002 Sumitomo Rubber Industries (SRI) e Dow Polyurethanes Japan Ltd.

Accordo per migliorare la conoscenza della tecnologia legata al poliuretano impiegata nel Pax-system.

2003 Continental e Sima Derby (Malesia)

Produzione dei pneumatici Sima Derby in Malesia.

2003 Michelin e Hankook Michelin licenza la tecnologia legata al Pax-system e Hankook produce pneumatici per Michelin aiutandone l’espansione nei mercati asiatici. Michelin acquisisce il 10% delle vendite di Hankook.

Tabella 4.6 Principali partnership che coinvolgono le top10 dal 1987 al 2003. (Fonti: Siti web delle varie compagnie, European Rubber Journal, Modern Tire Dealer, Tire Business) Le joint-venture e le cooperazioni sono molto importanti anche a fini strategici, ad esempio per

costituire delle alleanze che facilitano la diffusione del proprio standard.

Ciò può essere riscontrato anche nel settore del pneumatico, come vedremo in seguito, in cui

sembrano essersi formati due gruppi legati alla diffusione di run-flat e Pax-system: da una parte

abbiamo Bridgestone, Continental e Yokohama e dall’altra Michelin, Goodyear, Pirelli,

Sumitomo e Hankook15.

15 Hankook non appartiene alle top10 ma vi ha fatto parte, come si vede dalle note alla tabella 4.3, e nell’ultimo triennio considerato occupa l’undicesimo posto limitatamente a vendite annue e quote di mercato.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 105

Possiamo dividere gli accordi legati alla R&S in due grandi categorie a seconda che

comportino un’integrazione orizzontale o verticale. Un esempio dei primi sono le alleanze tra

imprese concorrenti appartenenti all’industria nelle quali si mettono in comune le conoscenze

tecnologiche, come è avvenuto, ad esempio, per gli accordi per lo sviluppo e la

commercializzazione del Pax-system.

Altre cooperazioni comportano una sorta di integrazione verticale in quanto sono strette con

compagnie operanti in settori correlati per la condivisione di tecnologie, altamente specifiche e

specializzate, che altrimenti risulterebbero di difficile accesso, essendo estranee alle rispettive

industrie. Alcuni esempi sono dati dagli accordi tra Goodyear e Phase IV per i sistemi di

monitoraggio della pressione dei pneumatici o tra Michelin e Bosh per sistemi di assistenza

alla guida.

La maggioranza degli accordi (19 su 24) analizzati in tabella 4.6 sono stati stipulati negli ultimi

quattro anni, 8 (33%) sono joint-venture mentre i restanti 16 (67%) semplici cooperazioni. La

loro distribuzione è illustrata in figura 4.14 in cui sono divisi a seconda che abbiano uno o più

dei seguenti scopi: R&S, produzione e distribuzione. Il 62,5% delle cooperazioni (15 su 24)

coinvolge la ricerca, di cui 7 come forma di integrazione verticale con imprese appartenenti ad

altre industrie.

In figura 4.15 vediamo come sono distribuiti gli accordi tra le varie compagnie.

La maggioranza coinvolge Continental e Michelin (9 su 24), un terzo dei quali, per entrambe le

compagnie, stipulati con imprese esterne al gruppo delle top10 più Hankook: per Michelin

questi ultimi sono stati contratti con compagnie al di fuori del settore pneumatici, mentre per

Continental 2 su 3 con compagnie appartenenti al settore. Anche Goodyear e Pirelli sono state

abbastanza attive nel concludere alleanze.

Su 24 accordi 5 (2 stipulati da Pirelli, 2 da Continental e 1 da Goodyear) riguardano imprese

interne al settore ma fuori dalle top10 e sono volte principalmente alla produzione e

distribuzione, tranne l’alleanza tra Goodyear e Amerytire per lo sviluppo di nuovi materiali.

Gli accordi coinvolgenti imprese esterne all’industria (7 su 24, dei quali 3 siglati da Michelin, 2

da Goodyear, 1 da Sumitomo e 1 da Continental) sono inerenti la ricerca.

Le 8 JV coinvolgono principalmente Continental e Yokohama, con un valore di 3 per

compagnia, 2 sono state stipulate da Toyo, Pirelli, Michelin e Goodyear, 1 da Sumitomo e 3

riguardano compagnie esterne al gruppo (2 appartenenti all’industria e 1 no).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 106

0 1 2 3 4 5 6 7

NUM.ACCORDI

R&S, PRODUZ. EDISTRIB.

R&S E PRODUZIONE

PRODUZIONE E DISTRIB.

R&S E DISTRIBUZIONE

R&S

DISTRIBUZIONE

PRODUZIONE

Figura 4.14 Distribuzione degli accordi del settore per loro scopo

Figura 4.15 Distribuzione degli accordi per compagnia

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

NUM.ACCORDI

ALTRE EXT.ALSETT.ALTRE NEL SETT.

HANKOOK

SUMITOMO

BRIDGESTONE

GOODYEAR

MICHELIN

PIRELLI

KUMHO

COOPER

TOYO

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 107

Dopo queste considerazioni preliminari sui dati riguardanti le varie alleanze concluse dalle

imprese leader, è possibile effettuare anche un’analisi più approfondita valutando le JV firmate

nell’industria dal 1986 al 1998 rifacendosi ad uno studio condotto presso lo SPRU16.

In tabella 4.7 è illustrata la distribuzione delle JV tra le tredici compagnie considerate.

Compagnie Tot.JV Perc. Perc.cumulata Continental 27 16% 16% Pirelli 24 14% 30% BF Goodrich 23 13% 43% Bridgestone 21 12% 55% Goodyear 20 12% 67% Michelin 16 9% 76% Sumitomo Rubber 15 9% 85% Toyo Tire and Rubber 9 5% 90% Dunlop 5 3% 93% Kumho Tire 5 3% 96% Yokohama Tire 3 2% 98% Cooper Tire and Rubber 2 1% 99% Firestone 1 1% 100% Totale 171 100% Tabella 4.7 Distribuzione delle JV per compagnia

Come si nota l’85% degli accordi è stato stipulato dalle prime 7 compagnie figuranti in tabella

con in testa Continental, come risulta anche nelle osservazioni precedenti nelle quali, però, si

hanno Michelin e Yokohama più attive e meno Bridgestone e Kumho.

Il numero di JV nel periodo considerato è stato in crescita fino al 1995, tranne nel 1989,

quando poi ha iniziato a diminuire con un nuovo picco nel 1997.

E’importante valutare come si attua il trasferimento tecnologico negli accordi: in particolare se

i partners ricevono o forniscono tecnologia o entrambe le cose, come mostra la tabella 4.8. Solo

due compagnie, Goodrich e Toyo, sembrano concedere tecnologia nelle JV; nella maggior

parte dei casi (48%) si ha solo acquisizione di tecnologia mentre nel 41% sia acquisizione che

trasferimento all’esterno.

16 Lo studio in questione è stato svolto da Anabel Marin, PhD Student presso lo SPRU (University of Sussex, Brighton, UK) che ringrazio per i dati che ha messo a disposizione per questa tesi. Sono considerate le top10 più alcune delle compagnie da loro acquisite nel corso degli ultimi decenni: BF Goodrich (Michelin, 1990), Dunlop (Sumitomo, 1998) e Firestone (Bridgestone, 1988).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 108

Totale Ricevim. tecnologia

Entrambi Concessione tecnologia

JV % JV % JV % JV % Continental 26 2 17% Pirelli 20 5 42% BF Goodrich 17 3 21% 1 8% 2 67% Goodyear 19 2 14% 1 8% Bridgestone 17 4 29% Michelin 14 3 25% Sumitomo Rubber 16 Toyo Tire and Rubber 6 3 21% 1 33% Dunlop 5 Kumho Tire 4 1 7% Cooper Tire and Rubber 4 Yokohama Tire 2 1 7% Firestone 1 Totale 14 100% 12 100% 3 100% Tabella 4.8 Trasferimento tecnologico nelle JV distribuite per compagnie Negli accordi firmati le compagnie appaiono come operanti in diversi settori, si veda la tabella

4.9 costruita in base ai SIC code17 (di cui si considerano due cifre) attribuiti alle compagnie.

Principalmente esse risultano operanti nei campi della gomma e prodotti in plastica (107 JV su

180) ma anche nell’industria del metallo e degli equipaggiamenti per i trasporti

(rispettivamente 23 accordi su 180).

Un’analisi più approfondita, prendendo in considerazione 4 cifre dei SIC code, rivela che i 107

accordi sono stati firmati nel segmento tires and inner tubes (pneumatici e tubi interni), i 23 di

Pirelli nel settore meccanico nel segmento Drawing and insulating non-ferrous wire (fili

metallici non ferrosi tiranti ed isolanti) e le JV di Goodrich nei trasporti nel settore Aircraft

parts and auxiliary equipments (parti per i velivoli e accessori ausiliari). In 4 JV sulle 180

totali le imprese sono risultate operare nell’elettronica dove appaiono così suddivise:

Continental, Electronic components (componenti elettronici), Pirelli, Telephone and telegraph

apparatus (apparati per telefoni e telegrafi) e Kumho, Semiconductor and relative devices

(semiconduttori e relativi dispositivi). Il comportamento di Michelin risulta singolare, infatti, in

10 delle 17 JV stipulate, sembra produrre nel settore Pharmaceutical preparations (preparati

farmaceutici).

17 Ad ogni compagnia viene attribuito un codice in base al settore in cui figura appartenere nella JV; più cifre costituiscono il codice più la categoria risulta dettagliata. In genere si considera un dettaglio o di due o di quattro cifre per evitare troppa complessità.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 109

Rubber and miscellaneous plastic products

Primary metal industries

Transportation equipment

Chemicals and allied products

Electronic and other electrical equipments

Wholesale trade-non durable goods

Holdings and other investment offices

Totale

Compagnia

Tot Tot Tot Tot Tot Tot Tot Tot Continental 27 1 28 Pirelli 23 2 25 BF Goodrich 23 23

Goodyear 22 22 Bridgestone 21 21 Sumitomo Rubber 15 16 Michelin 3 10 17 Toyo Tire and Rubber

9 10

Dunlop 5 Kumho Tire 3 1 5 Cooper Tire and Rubber

3 4

Yokohama Tire 3 3 Firestone 1 1 Totale per settore 107 23 23 10 4 2 2 180

Tabella 4.9 Settore in cui operano le compagnie nelle JV in base al SIC code con 2 cifre

Le principali attività delle JV sono riportate in tabella 4.10 nelle prime due colonne: in

particolare i primi tre segmenti costituiscono il 66% del totale delle attività. Continental risulta

più attiva rispetto ai competitori nel segmento transportation equipment (attrezzatura per

trasporti), mentre Pirelli nel settore elettronico e meccanico.

Alcune imprese nell’arco di tempo considerato hanno stretto accordi con compagnie

appartenenti a molti settori diversi, specialmente Bridgestone, Goodyear, Goodrich e Pirelli; i

partners di Yokohama, Toyo e Kumho, invece, risultavano imprese operanti in un ristretto

numero di campi. Si vedano le ultime due colonne della tabella 4.10 per i settori di attività dei

partners nelle varie JV.

Più dell’82% delle JV18 è stato concluso negli Stati Uniti, Giappone, Germania ed Italia, con

compagnie che nel 50% dei casi provengono da questi stessi paesi.

18 E’indifferente che le JV vengano stipulate dalle imprese stesse o da loro conglomerate.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 110

ATTIVITA’ JV SETT.PARTNERS SIC code alleanze (2cifre) Tot. Perc. Tot. Perc.

Rubber and miscellaneous plastic products

68 38% 50 32%

Chemicals and allied products 25 14% 17 11% Transportation equipment 24 14% 12 8% Wholesale trade-durable goods 14 8% 8 5% Electronic and other electrical equipment and components

10 6% 15 10%

Primary metal industries 8 5% 8 5% Measuring analysing, and controlling instruments

6 3% 2 1%

Business services 5 3% 1 1% Wholesale trade- non durable goods 4 2% 3 2% Automotive dealers and gasoline services stations

3 2%

Fabricated metal products, except machinery

2 1%

Real state 2 1% 2 1% Holding and other investment offices 2 1% 10 6% Leather and leather products 1 1% Stone, clay, glass and concrete products

1 1% 5 3%

Altro 47 15% Totale 176 100% 180 100%

Tabella 4.10 Attività principale delle JV e settori di appartenenza dei partners

Una valutazione più dettagliata è mostrata in tabella 4.11 da cui emerge che, tranne per

Dunlop, la maggior parte degli accordi è conclusa nel paese in cui ha sede l’impresa stessa e

per Goodrich, Firestone, Cooper, Yokohama, Kumho, Toyo e Sumitomo, questa percentuale

raggiunge la totalità. I paesi di provenienza dei partners, invece, sono molto vari e per la

maggior parte delle compagnie, tranne Michelin, Kumho e Firestone, gran parte degli accordi

sono stretti con imprese statunitensi; elevata è anche la percentuale di JV concluse con partners

provenienti dallo stesso paese, tranne che per Michelin e Firestone.

Le JV dalla tabella 4.12.

Il 78% delle JV è effettuato al di fuori del gruppo formato dalle 13 imprese considerate;

nessuna delle JV stipulate con compagnie appartenenti al gruppo, però, ha riguardato la R&S.

Ciò dimostrerebbe una reticenza a condividere la tecnologia tra competitori che sembrerebbe in

controtendenza con i dati precedenti derivati dalla tabella 4.6 che, però, sono per lo più relativi

ad anni successivi al 1999.

Circa il 30% delle JV stipulate tra le 13 compagnie, sono accordi tra imprese appartenenti allo

stesso gruppo industriale e, in questo senso, l’attività maggiore è quella di Sumitomo che è

anche l’impresa ad appartenere al gruppo più ampio e diversificato.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 111

Grazie a questa analisi possiamo avere un’idea dell’attività innovativa di Toyo per il quale

non si poteva trarre nessuna conclusione da una semplice valutazione delle spese in R&S.

L’impresa sembra essere abbastanza attiva nello stipulare accordi: le JV hanno tutte sede in

Giappone ma con partners provenienti anche da altri paesi come Stati Uniti, Sud Corea, Russia

e Taiwan e, oltre al settore della gomma, coinvolgono anche quello dei trasporti e dei sistemi di

misurazione. Come si nota dalla tabella 4.12 non appare nell’elenco di imprese con JV al puro

fine della ricerca e sviluppo.

Continental Pirelli BF Goodrich

Goodyear Bridgestone Michelin Dunlop Compagnie

tot % tot % tot % tot % tot % tot % tot % Stati Uniti 4 14% 1 4% 23 100% 20 91% 1 5% 2 13% Giappone 1 4% 17 81% Germania 22 79% 1 5% Italia 21 84% Francia 10 63% NT 3 12% 1 5% Sud Corea Ungheria 3 19% Malesia 3 60%Polonia 1 5% 1 6% UK 1 20%Tailandia 1 5% Rep.Ceca 1 4% India 1 20%Australia 1 5% Tabella 4.11 Paesi dove gli accordi sono stipulati

Compagnie Frequenza Michelin 1 BF Goodrich 6 Goodyear 1 Continental 2 Pirelli 3 Cooper 1 Totale 14 Tabella 4.12 Distribuzione delle joint e R&S alliances per compagnia

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 112

4.2.4. La soddisfazione del consumatore

Il grado di soddisfazione del consumatore finale può essere considerato una misura della

performance di un’organizzazione e, dal momento che esso si basa essenzialmente su parametri

quali qualità, affidabilità e prestazioni, può fornire anche informazioni riguardo l’attività di

R&S insita nel prodotto. Le imprese non mirano soltanto alla ricerca di innovazioni di ampia

portata ma anche di quei piccoli miglioramenti che permettono un gradimento maggiore agli

occhi dell’utilizzatore.

Per quantificare un parametro come la soddisfazione del consumatore mi avvalgo delle

statistiche pubblicate da JDPower19 che si basano su interviste a possessori di automobili e

autocarri leggeri20 da uno a tre anni; tali dati sono relativi al 2000 (che è anche l’anno per cui si

hanno la maggior parte delle informazioni sugli investimenti in R&S).

La soddisfazione del consumatore viene misurata analizzando cinque fattori, ognuno con un

peso diverso: qualità di prodotto (numero e tipo di problemi, numero di ricambi,…) che conta

per il 39%, performance di lungo periodo (garanzia, affidabilità,…) per il 22%, performance

nella guida (caratteristiche sul bagnato e ad alte velocità, vibrazioni,…) per il 19%, design

(disegno del battistrada, forma del fianco, rapporto col design del veicolo,…) per il 14% e

guida nella stagione invernale, specialmente in caso di neve, con un peso del 5%.

In tabella 4.13 sono riportati i risultati di tali ricerche per il segmento degli OE con relativo

punteggio e aumento (o diminuzione) rispetto all’anno precedente; essi conferiscono il primato

a Michelin già da diverse stagioni.

OE automobili OE autoc. leggeri COMPAGNIE

Punt. Aumen.COMPAGNIE

Punt. Aumen. MICHELIN 115 +2 MICHELIN 108 +7 CONTINENTAL 110 -1 DUNLOP 104 +8 BF GOODRICH 108 +8 BF GOODRICH 103 -4 DUNLOP 105 +4 BRIDGESTONE 100 +9 FIRESTONE 100 +3 MEDIA SETTORE 104 MEDIA SETTORE 99

Tabella 4.13 Statistica JDPower sulla soddisfazione del consumatore nell’OE per automobili e autocarri leggeri

19 JDPower and Associates (Agoura Hills, California). In queste pagine si utilizza il 2000 OE/RT Tire Customer Satisfaction Study. Ringrazio Virginia Acha per avermi permesso l’accesso a questo materiale. 20 Nella categoria automobili sono compresi anche i compact vans mentre in quella degli autocarri leggeri: pickups, SUVs e fullsize vans.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 113

Come si vede le imprese che hanno una performance migliore a livello di prodotto sono

Michelin con il proprio marchio ma anche con BF Goodrich e Uniroyal21, Goodyear anche con

Dunlop e Kelly e Continental, però solo nel segmento degli OE per autoveicoli. L’unico punto

debole di Michelin, come riportano gli allegati alla classifica JDPower, è la performance nella

guida mentre il punto di forza di Continental, per cui è leader incontrastata, è la guida

invernale. Queste tre compagnie si sono distinte in quanto ad attività innovativa negli ultimi

dieci anni proponendo innovazioni come il Pax-System, il pneumatico run-flat e Continental

diventando leader dei sensori per il sistema ruota. Michelin e Goodyear risultano anche essere

le più focalizzate sul settore pneumatici con una tire intensity molto elevata. Guardando

all’intensità delle spese in R&S riportata in tabella 4.5 altre compagnie risultano avere valori

simili a quelli di queste tre ma occupare posti inferiori nella classifica di gradimento del

consumatore, come Pirelli e Bridgestone. Questo porta ad ipotizzare che, nonostante le tre

compagnie che riportano i risultati migliori presentino elevati investimenti nell’innovazione

che le hanno portate ad introdurre alcuni tra i prodotti più innovativi di questi ultimi anni, ci

devono essere altri fattori che incidono in modo determinante sulla performance, oltre alle

spese in R&S, come deducono anche Acha e Brusoni (2002). Probabilmente Pirelli non

compare nell’elenco perché nel 2000 non era ancora molto nota e radicata nel mercato

americano, infatti è soltanto in questi ultimi tre anni che essa ha rinnovato completamente il

modo di produrre pneumatici con il sistema MIRS che ha esportato anche negli Stati Uniti

nell’impianto di Rome in Georgia. E’singolare, invece, il fatto che Firestone risulti al quarto

posto nel segmento dei light truck, comprendente anche i SUV, e molto più indietro in quello

degli autoveicoli, dato il grande ritiro dal commercio di milioni di pneumatici montati sul SUV

Ford Explorer proprio nel 2000.

Nel segmento del replacement è sempre Michelin a detenere il primato da diversi anni seguita,

per le automobili, da Uniroyal, Kelly, Dunlop, Bridgestone e Goodyear, mentre per gli

autocarri leggeri da BF Goodrich, Cooper e Goodyear.

Ricerche di questo tipo sono molto utili anche alle compagnie, infatti, queste hanno sempre

dimostrato un impegno concreto nel cercare di migliorare i fattori nei quali risultavano

deficitarie; ciò risulta chiaro anche dal fatto che, tranne per Continental e BF Goodrich per i

pneumatici per autocarri leggeri, tutte le compagnie sono migliorate rispetto all’anno

precedente e in molti casi anche in misura significativa.

21 Si ricorda che il marchio Uniroyal US è controllato da Michelin mentre Uniroyal Europa da Continental.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 114

4.2.5 Pneumatici da competizione e ad alta performance

Le imprese tendono ad avere una vivace attività nel mercato dei pneumatici ad alta

performance e in quelli da competizione in quanto è possibile un trasferimento tecnologico

verso altri segmenti del prodotto; cioè, le conoscenza acquisite in questi campi possono essere

applicate anche ad altri tipi di pneumatici. Esiste un trasferimento di conoscenza anche tra i due

segmenti considerati, in particolare dai pneumatici da gara verso quelli HP. Come afferma

Goodyear, infatti, l’esperienza accumulata nel settore della competizione è molto utile

soprattutto in tre aree: forma e struttura del pneumatico, processi di costruzione e materiali.

A partire dagli anni’80 si è anche iniziato a dare lo stesso nome dei pneumatici da corsa agli

HP per aumentare la sensazione di affidabilità e alte prestazioni agli occhi dell’utilizzatore

(esempi sono dati dall’ “Eagle” di Goodyear o dal Bridgestone “Potenza”). Inoltre, la

produzione di pneumatici da gara e HP richiede studi sulla resistenza all’aria e sul

miglioramento della durata che aiutano anche nello sviluppo di pneumatici per autocarri e per

l’aviazione.

Un’attività stabile in questi segmenti, quindi, può essere indicatore di imprese molto attente

all’innovazione per la ricerca delle più avanzate tecnologie.

La possibilità di un trasferimento della tecnologia, però, non è l’unico fattore ad incidere sulla

presenza delle compagnie in questi settori. Esse sono spinte ad entrare nel segmento delle

competizioni da esigenze e strategie di marketing. Attualmente nella categoria al top, la

Formula Uno, operano solamente due imprese, Bridgestone e Michelin, che si dividono

equamente l’equipaggiamento delle dieci scuderie presenti22.

Questo è dovuto al fatto che gli investimenti richiesti sono elevatissimi e i ritorni poco

profittevoli e riconducibili solamente alla pubblicità.

Ciò che muove le compagnie a produrre pneumatici HP e UHP23 è la forte crescita di questi

mercati, in controtendenza rispetto all’andamento generale del settore, che permette di

incrementare gli scarsi profitti. Il notevole tasso di crescita è in parte dovuto all’aumento del

range di veicoli che fanno richiesta di questi prodotti: non più solo i modelli al top della

categoria delle auto sportive e di lusso ma anche i modelli intermedi e i SUVs. Pirelli fornisce

dei dati sul mercato dell’alta performance del 2002 che illustriamo in figura 4.16.

22 I Bridgestone “Potenza” equipaggiano Ferrari, Bar, Jordan, Sauber e Minardi, mentre Michelin è fornitore di Williams, McLaren, Renault, Toyota e Jaguar (stagione 2003). 23 Ricordiamo che i pneumatici HP sono caratterizzati dalla classe V,Z, quelli UHP da W,Y,Z, quelli “medium-performance” da H e il mercato di massa da S,T.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 115

Europa51%

America22%

Giappone15%

Asia/Pacif.10%

Africa/Medio Or.2%

Figura 4.16 Distribuzione geografica del mercato mondiale per i pneumatici ad alta performance

Si ritiene che la dimensione di questo mercato raddoppierà nel 2005 rispetto al valore del 2000

e che la crescita del segmento UHP sia addirittura tripla a quella dell’ HP. In particolare, come

si apprende da un’intervista a Continental svolta dall’European Rubber Journal (Maggio,

2001), il mercato dei pneumatici sembra in diminuzione, tranne in Europa dell’Est, in favore

di quello degli HP; quest’ultimo è ben consolidato nei paesi dell’Europa Centrale specie in

Germania, mentre si sta lentamente ampliando in Spagna, Italia, Francia e Regno Unito.

Pirelli ha segmentato ulteriormente questo settore in pneumatici ad alta performance per auto

sportive e per auto familiari creando due prodotti diversi: per il primo segmento il P7 che

punta sul divertimento nella guida e sulle alte prestazioni e per il secondo il P6 che offre

soprattutto sicurezza e comfort.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 116

4.3 Il pneumatico run-flat

Lo scopo principale di questo paragrafo è presentare la tecnologia run-flat, esaminare tutte le

variabili che possono risultare utili nel determinare il suo impatto sulle competenze delle

imprese che la hanno adottata e chiarire la sua posizione all’interno dei segmenti di mercato

che caratterizzano l’industria.

Quindi, dopo una breve illustrazione degli elementi che hanno determinato la nascita del

pneumatico run-flat, lo studio si focalizza su due punti: in primo luogo l’analisi degli esempi di

sviluppo del prodotto presenti oggi sul mercato, sottolineando le strategie intraprese dalle

diverse compagnie nell’adozione e nella gestione della nuova tecnologia. Secondariamente si è

cercato di presentare una valutazione del mercato del prodotto, poiché esso sembra aver creato

una nicchia di mercato (macchine sportive, di lusso o con una certa immagine) anche se gli

adotattori sono sempre stati propensi a vedere nel pneumatico run-flat il futuro dell’industria.

4.3.1 Introduzione del pneumatico run-flat: storia e strategie

Comunemente con il termine “run-flat” si indicano tutti i tipi di pneumatico che possono

funzionare anche senza aria in pressione al loro interno (Kim, Chang, Kim, 1999).

L’innovazione principale da essi portata consiste nell’eliminazione della ruota di scorta che

comporta diverse conseguenze positive. Prima di tutto gli automobilisti possono avere una

guida più rilassata, specialmente ad alte velocità, senza la preoccupazione di eventuali forature

che, oltre ad essere eventi antipatici, possono causare la perdita del controllo del veicolo ed

essere pericolosi, specie se accadono di notte, in zone isolate o in strade ad alto scorrimento.

Mancando la ruota di scorta si crea più spazio all’interno del veicolo: in questo modo i

progettisti possono introdurre nuove soluzioni o addirittura rivedere l’intera architettura del

veicolo. Gli automobilisti hanno, inoltre, la possibilità di scegliere tra una varietà più ampia di

pneumatici dal momento che essi non devono più essere compatibili con il ruotino di scorta.

I run-flat richiederebbero un diverso sistema di sospensioni perché quando si perde la pressione

dell’aria aumentano le vibrazioni che devono essere assorbite dal telaio. Secondo General

Motors bisognerebbe modificare l’intero design del veicolo in quanto questi pneumatici sono

più pesanti dei normali e il telaio deve essere in grado si sostenere al meglio l’extra-impatto e

di assorbire tutte le vibrazioni, in caso di perdita di pressione, per garantire il massimo comfort

di guida.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 117

Oltre a GM, altri costruttori di autoveicoli hanno posto delle resistenze allo sviluppo dei run-

flat, soprattutto perché aumentano i loro costi, sia perché richiedono una strumentazione come i

sensori per il controllo della pressione (che incrementano i costi di 250-300$) che perché

aggiungono da 100 $ a 500 $ ai costi di produzione di un veicolo, come afferma Begin (2003).

Statistiche24 mostrano che in Europa un automobilista fora mediamente ogni 5 anni o 70.000

km, mentre negli Stati Uniti ogni 4 anni o 77.000 km. L’improvvisa perdita di pressione dei

pneumatici è solo all’ottavo posto dei guasti che fermano la marcia dell’autoveicolo e, nella

grande maggioranza dei casi, tale calo è molto lento. Nonostante ciò sono necessari

miglioramenti in quanto 6.000 incidenti all’anno, metà dei quali con gravi conseguenze,

avvengono a causa dei pneumatici. Inoltre, ogni 10% di perdita di pressione porta ad un

aumento del 10% del consumo di carburante e, quindi, di emissioni dannose per l’ambiente.

Anche se i pneumatici run-flat sono sul mercato da più o meno dieci anni, il loro sviluppo è

dovuto ad una serie di miglioramenti che sono iniziati fin dall’introduzione del pneumatico

vero e proprio per automobili, cioè contenente aria in pressione, verso la fine del diciottesimo

secolo, come afferma Carley (1998).

Inizialmente ci furono delle strane invenzioni, come una pompetta inserita nel cerchione che in

caso di foratura ripristinava la pressione dell’aria. Un’altra soluzione proposta si basava

sull’inserimento di due pneumatici, uno dentro l’altro, in modo che, se necessario, quello più

interno potesse intervenire in sostituzione di quello esterno; il peso e i costi del sistema, però,

erano troppo elevati. Durante il ventesimo secolo vennero sperimentate moltissime tecnologie

con proprietà “run-flat”: iniezione di plastica preformata o di schiuma (quest’ultima soluzione

riscontrò un notevole successo per i pneumatici off-road) o uso di copertoni solidi senza aria al

loro interno. Il pneumatico con camera d’aria, che venne rimpiazzato nel 1928 con

l’introduzione del cosiddetto tubeless tire, incontrò un notevole sviluppo proprio per la sua

capacità di trattenere meglio l’aria.

Il primo tentativo serio fu effettuato da Goodyear all’inizio degli anni’60 con il Double Eagle,

un pneumatico che ne incorporava uno di riserva in modo da poter proseguire anche per 100

miglia in caso di perdita d’aria; questa tecnologia venne utilizzata per i pneumatici da

competizione Nascar fino al 1991.

Nel 1965 Firestone introdusse il Supreme, un pneumatico che conteneva al suo interno un

materiale sigillante di gomma che avrebbe riparato dall’interno un’eventuale foratura; il

problema di questa versione di run-flat era che il materiale riparante era troppo fluido e a causa

24 Dati provenienti da Continental AG e da Heilmann (TyreTech 1999).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 118

delle forze centrifughe generate dalla marcia si espandeva in tutte le cavità interne del

pneumatico (Dick, feb.1981). Anche altre compagnie si impegnarono nel trovare soluzioni che

conferissero proprietà run-flat al pneumatico; ad esempio Dunlop e Pirelli proposero una

soluzione basata su un fianco rinforzato, un battistrada più ampio e dei piccoli contenitori che

rilasciavano una sostanza lubrificante per rendere più agevole la marcia in caso di foratura. Il

principale difetto di questo prodotto consisteva nel fatto che richiedeva una ruota ed un

cerchione particolari che facevano lievitare i costi e i tempi di costruzione (Dick, feb.1981).

Uno dei maggiori problemi dati nel progetto di un run-flat era il mantenimento dell’ancoraggio

al cerchione in caso di mancanza di pressione; per far fronte a ciò negli anni’80 Continental

inventò un nuovo sistema di fissaggio nato dalla riprogettazione completa del tallone e

dall’utilizzo di un cerchione munito di flangie.

Nel 1978 Goodyear introdusse un run-flat self-supporting25 (Eagle GS-C SST) che poteva

resistere in caso di perdita di pressione per 40 miglia alla velocità di 40 mph.

Qualche anno più tardi anche Bridgestone sviluppò un run-flat (Expedia S-01 Run-flat A/M)

per la Porsche 959, costruito usando un materiale particolarmente resistente al calore, con una

particolare curvatura che garantiva l’aderenza al cerchione e un supporto per rinforzare il

fianco.

Nel 1992 Goodyear brevettò un pneumatico basato sulla nuova tecnologia EMT (Extended

Mobility Tire); esso rappresentò la miglior soluzione mai ottenuta, sia dal punto di vista dei

costi che della performance, e poteva essere montato su cerchioni e ruote convenzionali. Il

pneumatico conteneva un inserto rigido che supportava il peso del veicolo in caso di foratura

ed era dotato di un tallone particolare, pentagonale, per assicurare l’ancoraggio al cerchione,

specialmente in caso di curve, senza bisogno di riprogettare la ruota con una profilo arcuato per

tale funzione.

Anche Michelin fu attiva in questo ambito: inizialmente progettò un pneumatico run-flat

diverso a seconda del veicolo che doveva equipaggiare ed, in seguito, questa ricerca portò allo

sviluppo del Pax-system, un sistema ruota con proprietà run-flat che, però, richiede cerchione e

ancoraggio differenti dai convenzionali.

Anche Goodyear, nella seconda metà degli anni’90, stava lavorando ad un concetto simile al

Pax-system ma esso aveva costi proibitivi, soprattutto a causa del cerchione non standard.

Dopo aver visto i passi che hanno portato allo sviluppo del run-flat ritengo opportuno valutare i

fini strategici che hanno determinato la sua introduzione.

25 Come si vedrà più avanti la tecnologia self-supporting consiste in un pneumatico rinforzato che in caso di foratura riesce a sopportare il peso del veicolo e permette la marcia.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 119

Inizialmente esso è stato concepito per le auto sportive di gran lusso, come Porsche e Corvette,

in cui non c’era spazio per la ruota di scorta, poi il suo uso è stato esteso anche a veicoli non

sportivi come optional di lusso per aumentare il comfort e la tranquillità del guidatore. Negli

ultimi anni lo si vede come un elemento per la sicurezza del veicolo, al pari di ABS o airbag.

Secondo alcune statistiche effettuate da JDPower, gli automobilisti, specie i possessori di auto

di lusso e SUV, sono sempre più attenti alla sicurezza (da essa dipende molto il grado di

soddisfazione che essi attribuiscono ad un’automobile) e stanno approfondendo le loro

conoscenze riguardo i sistemi che possono aumentarla, come il pneumatico run-flat. Questi

pneumatici sono all’ottavo posto nella lista dei ventuno nuovi optional più desiderati dagli

automobilisti statunitensi. Attualmente solo il 5% degli intervistati li possiede ma il 56% di

questi dichiara di volerli adottare su veicoli futuri. I dati forniti da JDPower riportano anche il

loro prezzo medio che risulta pari a 200 $.

La situazione in Europa è mostrata dalla IRB European Consumer Survey 2002: il 18% degli

automobilisti dichiara che equipaggerà sicuramente i veicoli futuri con i run-flat, il 47% che

prenderà in considerazione questa possibilità mentre al 35% non interessano. I fattori che

spingono gli interessati all’adozione sono nel 60% dei casi la convenienza, nel 21% la

sicurezza, nel 10% motivazioni generali ed, infine, nel 9% il fatto di non avere preoccupazioni

durante la guida.

Per ora il pneumatico run-flat è stato sviluppato solo per le automobili e non risulta adatto a

tutti i segmenti di mercato come, ad esempio, quello degli equipaggiamenti per camion.

A questo punto, dopo gli accenni introduttivi al prodotto, ritengo necessario andare ad

analizzare in modo più approfondito la sua tecnologia.

4.3.2 Le tecnologie run-flat presenti sul mercato

I sistemi presenti oggi sul mercato con proprietà run-flat possono essere sommariamente divisi

in tre categorie:

- pneumatici convenzionali con cerchioni convenzionali che presentano dei componenti

rigidi (esempio anelli) aventi la funzione di supportare il veicolo in caso di foratura;

- pneumatici rinforzati che si autosostengono (self-supporting tire);

- sistemi ruota innovativi con un cerchione non convenzionale26.

26 Ci sarebbero anche pneumatici solidi, cioè senza cavità al loro interno, pneumatici riempiti di fluido e pneumatici doppi, con due camere, ma sono tecnologie che non vengono più prese in considerazione.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 120

All’interno di questi gruppi cadono le diverse soluzioni sviluppate dalle compagnie leader del

settore, sia singolarmente che attraverso alleanze.

Tra le top10, Toyo e Cooper non sembrano produrre run-flat; è abbastanza logico che

quest’ultimo non abbia sviluppato il prodotto in quanto esso non ha ancora raggiunto una

diffusione tale da sostenere un mercato del ricambio e, inoltre, i modelli prodotti dalle varie

compagnie fanno uso di tecnologie molto diverse le une dalle altre.

La tabella 4.14, nell’Appendice 4.1, è riassuntiva delle varie tipologie di run-flat introdotti

dalle imprese del settore e propone un’analisi basata su diversi parametri: anno di introduzione,

tipo di tecnologia (SST, Self Supporting Tire o RST, Ring Supporting Tire), impiego di sensori

per il monitoraggio della pressione, tipo di ruota su cui vengono montati, sistema di

ancoraggio, percorrenza e velocità massime a pneumatico sgonfio ed, infine, caratteristiche del

montaggio e della riparazione.

Attualmente solo Continental, Goodyear e Michelin con il Pax-System usano tecnologie ad

anello di supporto.

La prima soluzione run-flat ad offrire alti vantaggi in termini di costi, qualità e prestazioni,

come spiegato nella sezione precedente, è stata introdotta da Goodyear nel 1992 e si basa sulla

tecnologia EMT. Questo tipo di pneumatico presenta due anelli rigidi di gomma inseriti nel

fianco per sostenere il mezzo in caso di perdita d’aria. Il materiale di cui è costituito deve

essere molto resistente in quanto il fianco è la parte che sopporta il peso dell’intero veicolo ed

anche la più sollecitata dalle forze di curvatura cicliche che si innescano durante la marcia e

che formano una grande quantità di calore. I componenti e i materiali impiegati nella

costruzione di questo run-flat sono principalmente quelli dei pneumatici tradizionali con

l’aggiunta di ditiodipropionico alle particelle di carbone nero per diminuire l’attrito e, quindi,

la formazione di calore. Sotto il battistrada è inserita una spirale di aramide che ne impedisce la

deformazione e incrementa la performance ad alte velocità. Il pneumatico va montato su ruote

convenzionali ed utilizza un sistema di ancoraggio tradizionale: l’unica diversità sta nel tallone

pentagonale che assicura un aggancio migliore al cerchione.

Goodyear dichiara che questo run-flat può essere costruito con i sistemi tradizionali a patto di

qualche modifica che, però, non richiede un investimento ingente di capitale.

Continental ha ideato due tipologie di run-flat, una per il mercato degli OE e una per quello del

ricambio, la cui spiegazione è completata dalle figure 4.17 e 4.18.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 121

Il primo sfrutta la tecnologia CWS (Continental Wheel System) ed è costituito da un

pneumatico con un cerchione innovativo, ancorato alla ruota con un sistema diverso dal

convenzionale. Sul cerchione è montato in modo asimmetrico un anello di supporto, costruito

in gomma e tessuto rinforzato, che non necessita di venire sostituito quando si cambia il

pneumatico. La novità principale risiede nel fatto che il pneumatico presenta un fianco più

basso del normale e un tallone interamente di gomma che viene spinto in una dentellatura a

forma di C lungo tutta la circonferenza della ruota e fissato con un anello di gomma, senza

bisogno extra-spazio per il tallone e di un cerchione asimmetrico per le sole necessità di

montaggio. Tale anello svolge anche una funzione di antidetallonamento e nel montaggio viene

appositamente distrutto per assicurarne la sostituzione ad ogni ricambio per ragioni di

sicurezza. Il nuovo sistema di ancoraggio riduce di molto lo spazio richiesto per l’inserimento

del tallone nel cerchione permettendo una diminuzione della resistenza al rotolamento del

10%, con conseguente risparmio di carburante, e del peso del pneumatico, anche se esso

rimane comunque una variabile critica. Il sistema CWS è montato delle ruote convenzionali,

però, di diametro maggiore (in questo modo si possono inserire dei freni più potenti, ad

esempio).

Figura 4.17 Tecnologia CWS di Continental Figura 4.18 Tecnologia CSR di Continental

La tecnologia CSR (Continental Supporting Ring), invece, utilizza ruote e sistema di

ancoraggio convenzionali. Essa è costituita da due mezzi anelli di metallo su un supporto

flessibile di gomma messi in posizione dall’aria in pressione che assicura anche l’insediamento

del tallone. La sostituzione di questo tipo di pneumatici richiede personale specializzato:

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 122

possono essere, però, usate marche qualsiasi, sia di pneumatico che di cerchione (questa

tecnologia, infatti, è stata ideata per il mercato del ricambio).

La soluzione che si discosta maggiormente dai pneumatici presenti sul mercato è il Pax-System

che presenta un nuovo tipo di ancoraggio ed è montato su ruote diverse dalle convenzionali.

Esso è stato introdotto nel 1998 da Michelin e si basa sul concetto PAV (Pneu à Accrohage

Vertical) sviluppato già a partire dal 1994.

Come afferma la stessa Michelin, il Pax-system non è semplicemente un pneumatico con

proprietà run-flat ma un sistema ruota formato da quattro elementi: pneumatico, anello di

supporto, ruota e sensori per il monitoraggio della pressione. L’anello di supporto è realizzato

in elastomero o in poliuretano; ultimamente è stato preferito questo secondo materiale dato che

ha permesso di ridurre il peso del 75%. La ruota, di una lega di acciaio, ha differenti diametri

per permettere l’inserimento del supporto e una dimensione maggiore, rispetto a quelle

normali, (tale extra spazio può essere utilizzato, ad esempio, per inserire sistemi frenanti più

potenti).

L’innovazione principale portata dal Pax-system è che l’ancoraggio del pneumatico al

cerchione non è più pneumatico ma meccanico. Il primo tipo di ancoraggio si realizzava grazie

alla forza radiale dell’aria in pressione, ora invece, come si può notare dalla figura 4.19, si

creano appositamente delle forze meccaniche che inducono la tensione necessaria al fissaggio

del pneumatico nel cerchione. Questo sistema, solo in apparenza più debole, si rinforza quando

il pneumatico è stressato e in assenza di aria in pressione impedendo il detallonamento.

Figura 4.19 Sistema di ancoraggio meccanico usato nel Pax-system

Come si può vedere in figura 4.20, in un pneumatico tradizionale c’è una zona di transizione

necessaria al collegamento del fianco al tallone; essa scompare nel Pax-system dato che il

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 123

pneumatico è fissato direttamente al cerchione tramite il fianco. Questo riduce di molto la

dissipazione di energia, creata dalla resistenza al rotolamento e dalle forze di distorsione, con

benefici per il consumo di carburante e per l’integrità del fianco stesso.

Il fianco più corto e rigido rende il sistema paragonabile, per prestazioni, ad un pneumatico ad

alta performance.

Il Pax contiene un volume di aria minore rispetto ad un pneumatico tradizionale ma riesce a

supportare il medesimo carico: questo implica una minore risonanza e, quindi, un minore

inquinamento da rumore.

Figura 4.20 Pneumatico tradizionale vs Pax-system

Il quarto componente del sistema sono i sensori per il controllo della pressione che hanno un

funzionamento particolare rispetto a quelli comunemente usati, descritti in seguito. Sull’anello

di supporto ci sono delle piccole sporgenze, aventi anche una funzione di rinforzo, che, in una

situazione di perdita di aria, emettono delle vibrazioni ad una particolare frequenza; tali

vibrazioni vengono percepite dai sensori di un accelerometro collocato sul telaio, trasmesse al

computer di bordo e, quindi, al guidatore. Ora Michelin condivide questa tecnologia con

quattro concorrenti: Pirelli (1999), Goodyear (2000), Sumitomo (2001) ed Hankook (2003).

Come si è potuto notare, solo il Pax e la tecnologia CWS di Continental hanno portato un

cambiamento significativo del sistema di ancoraggio al cerchione. Queste due soluzioni

presentano delle similarità, come la riduzione della zona di ancoraggio (che ha indotto una

diminuzione della resistenza al rotolamento), dell’altezza del fianco e l’uso di ruote più grandi

del normale; tuttavia restano delle diversità sostanziali poiché il sistema di Continental fa uso

di ruote convenzionali, a differenza del Pax, ed utilizza un ancoraggio di tipo pneumatico.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 124

La tecnologia ad anello di supporto è in possesso anche di Bridgestone e Yokohama grazie

all’accordo stretto con Continental nel 2002 riguardante, però, solo la tecnologia CSR.

I pneumatici run-flat self-supporting non contengono nessun supporto ma hanno il fianco

rinforzato. Come afferma Kumho27, la sfida più grande per un costruttore è appunto trovare il

materiale appropriato per il fianco in quanto, con perdite di pressione, esso è soggetto ad un’

elevata forza deformante che causa anche problemi di detallonamento; inoltre, esso non può

essere troppo spesso per non renderne problematica la costruzione con i sistemi tradizionali. Lo

svantaggio nel comfort di guida dato da un fianco più spesso e rigido è compensato dal fatto

che questo tipo di run-flat possono essere montati sui cerchioni disponibili in commercio e

costruiti ed assemblati in modo più veloce. Essi sono anche dotati di elementi rigidi che

mantengono in posizione orizzontale, e quindi adiacente alla strada, il battistrada che,

mancando la pressione, tenderebbe a sollevarsi al centro.

Come si può osservare dalla tabella 4.14, tutti i run-flat autoportanti utilizzano ruote e sistemi

di ancoraggio convenzionali tranne Kumho che introduce delle modifiche nel tallone e nel

cerchione.

Kumho dimostra di essere molto avanzato nella tecnologia run-flat (è stata la quarta compagnia

al mondo ad introdurlo a sul mercato) che sviluppa da solo, anche con l’aiuto di metodi di

simulazione molto complessi. L’XRP ha il fianco irrobustito costituito da un nuovo materiale

molto resistente e che sviluppa poco calore; tali componenti rinforzanti non vengono aggiunti

nella fase di assemblaggio ma uniti all’amalgama fin dal primo stadio di produzione per

incrementare la compattezza e la qualità del prodotto. Il costruttore ha scelto la soluzione di un

fianco di spessore uniforme in quanto le zone più sollecitate, quindi da rinforzare

maggiormente, sono diverse da veicolo a veicolo ma risulta antieconomico produrre sistemi

diversi per ogni tipo di macchina (come aveva ipotizzato inizialmente Michelin). L’ancoraggio

è particolare in quanto usa un tallone scanalato, maggiormente angolato alla base, con un perno

di diametro minore; esso viene inserito sul cerchione con una flangia che, in caso di perdita di

pressione, entra in contatto con la ruota impedendo il detallonamento. Un’altro elemento da

sottolineare è che l’XRP utilizza sensori di temperatura oltre a quelli di pressione.

27 Kim, Chang e Kim (TyreTech 1999)

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 125

La soluzione proposta da Pirelli è caratterizzata da un pneumatico dal fianco irrobustito inserito

nella struttura di uno ad alta performance, con un cerchio antidetallonamento che incorpora un

sensore di pressione.

Michelin, oltre al Pax-system, produce anche un run-flat con il tradizionale sistema di

ancoraggio, da montare su ruote convenzionali; in questo modo può coprire una fetta più ampia

di mercato, anche se il Pax resta la soluzione migliore per performance, comfort di guida e

capacità di sostegno del peso dell’autoveicolo. Il fianco dello ZP è sostenuto da due fasce di

rayon, ha un’altezza dimezzata rispetto ad un pneumatico normale ed ha uno spessore

maggiore in corrispondenza del tallone.

Le informazioni riguardo la tecnologia run-flat utilizzata dalle altre compagnie sono molto

scarse e limitate a quello riportato in tabella 4.14. E’possibile aggiungere qualche nota

riguardo Bridgestone e Dunlop.

La prima compagnia è l’unica a non delegare all’esterno la riparazione dei run-flat che

sottopone a controlli molto approfonditi per la sicurezza futura. Dunlop ha sviluppato una

tecnologia che usa l’aramide al posto dell’acciaio come materiale rafforzante per ridurre il peso

e la rigidità della guida.

Oggi per rinforzare per i pneumatici run-flat è molto usato il rayon che garantisce una

performance nettamente maggiore rispetto agli altri materiali, come il poliestere ed il nylon,

che danno più stabilità ma sono troppo poco resistenti alle alte temperature o l’aramide che non

è competitivo in termini di costi. Esso è stato introdotto nel mercato da Goodyear per la

tecnologia EMT e subito apprezzato anche da altre compagnie che, ad esempio, lo hanno

impiegato nei pneumatici ad alta performance, che così possono essere costruiti con la carcassa

formata da un solo strato di tessuto anziché due. L’unico limite del rayon è che non esistono

produttori negli Stati Uniti; in Europa sono solamente tre (il terzo per dimensione è la Sicrem

Spa a Pizzighettone in Italia) e alcuni si trovano in India ma servono prevalentemente il

mercato domestico. In Nord America, quindi, il materiale non è ancora molto sviluppato e gli

si preferisce il poliestere, anche per ragioni di costo, in Europa possiede un mercato abbastanza

attivo mentre nell’Est deve ancora vincere la concorrenza del nylon.

Le compagnie che hanno aderito all’accordo per la commercializzazione del Pax-System hanno

costituito un network di centri di assistenza con una distanza massima tra due nodi di 200 Km

in modo da assicurare agli automobilisti la possibilità di riparare i propri pneumatici forati

prima di superare il chilometraggio limite consigliato. In particolare, come afferma uno dei

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 126

responsabili28 della distribuzione di Michelin Italia, la compagnia ha istituito un centro

specializzato in ogni capoluogo di provincia.

In queste pagine abbiamo presentato le due categorie di run-flat esistenti oggi sul mercato nel

modo più completo possibile, limitatamente ai dati disponibili; restano, comunque, dei dubbi

riguardo alla loro equivalenza.

Infatti, ad esempio, Bridgestone e Yokohama dichiarano di proporre solo delle tecnologie

intermedie che permettono loro di stare al passo con i competitori ma di stare studiando

soluzioni migliori, nel campo dei pneumatici con anello di supporto. Kumho afferma che tutti i

pneumatici self-supporting non riescono a soddisfare i requisiti di comfort nella guida richiesti

dai costruttori di autoveicoli (un minimo di 6,5/7 punti su 10) raggiungendo solo 5/5,5 punti,

contrariamente a quelli ad anello di supporto. Anche quest’ultima tecnologia non sembra

affatto in un momento di stasi, infatti, due leader come Goodyear e Michelin, hanno formato

una joint-venture per lo sviluppo di un nuovo run-flat chiamata, appunto, Global Runflat

System Research, Development and Technology.

Le top10 dell’industria hanno seguito strategie diverse nell’introduzione del prodotto:

Goodyear e Michelin, quest’ultima riguardo il Pax-system, hanno aperto il mercato ma anche

altre imprese, come Continental, Pirelli e Kumho, hanno saputo sfruttare le possibilità offerte

dalla tecnologia ed introdurre prodotti molto innovativi. Compagnie come Bridgestone e

Michelin, per quanto riguarda gli ZP, dichiarano, invece, di aver adottato una strategia wait and

see, cioè, di aver aspettato a valutare gli sviluppi del mercato e i movimenti dei concorrenti

prima di entrare nella produzione di questo tipo di pneumatici sviluppando una tecnologia non

innovativa ma che permettesse loro di non perdere terreno dal punto di vista competitivo.

Come è intuibile lo sviluppo dei pneumatici run-flat ha un grande impatto sui distributori

soprattutto a causa del fatto che la maggior parte dei sistemi richiede addestramento ed

attrezzature particolari per il montaggio e lo smontaggio, come si può vedere dalla tabella 4.14.

In caso di smontaggio di pneumatici, non per usura ma in seguito ad una foratura, la procedura

varia a seconda del costruttore. I run-flat prodotti da Bridgestone e Firestone sono tutti ritirati

in fabbrica dove sono riparati e, soprattutto, studiati per garantire un miglioramento continuo

del prodotto.

Michelin, per quanto riguarda gli ZP, e Goodyear, invece, affermano che i propri pneumatici

possono essere riparati come dei radiali normali se non sono avvenuti gravi danni interni o al

28 Fonte: intervista privata presso lo Stand Michelin durante l’Expo Valle del Chiese 2003.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 127

fianco (cosa che dovrebbe essere rara grazie alla segnalazione tempestiva dei sensori). I

pneumatici pesantemente danneggiati sono sostituiti, totalmente o parzialmente, dai costruttori.

Tutte le compagnie offrono vantaggi, peraltro molto simili, per il guidatore in termini garanzie

speciali che coprono la riparazione per molti anni e pneumatici sostitutivi durante i giorni in

cui gli originali sono ritirati.

4.3.3 Le tecnologie correlate: i sistemi per il monitoraggio della pressione

Come si può notare dalla tabella 4.14, la maggior parte dei sistemi necessita di sensori per il

monitoraggio della pressione; infatti, lo sviluppo dei pneumatici run-flat è successivo al 1988,

anno in cui essi vennero introdotti sul mercato.

Tenere sotto controllo la pressione dei pneumatici è molto importante perché più essa

diminuisce più aumenta il consumo di carburante e si creano problemi per la tenuta di strada.

Inoltre, oggi i run-flat sono molto ben costruiti, così potrebbe risultare difficile accorgersi di

una foratura (evento pericoloso in quanto se si superano le velocità e le percorrenze massime

consigliate a pneumatico sgonfio si possono verificare gravi danni al pneumatico stesso e alle

sospensioni del veicolo).

Come sottolinea Heilmann (1999), i sistemi di controllo della pressione devono essere

progettati nel modo giusto, infatti, devono essere in grado di distinguere le variazioni di

pressione causate da modifiche di temperatura.

Quest’anno negli Stati Uniti è stato dato un forte impulso allo sviluppo di queste tecnologie, e,

di conseguenza, anche dei run-flat, con il Tread Act29 che dichiara che a partire dal 2004 tutti i

nuovi veicoli dovranno essere equipaggiati di sensori per il controllo della pressione dei

pneumatici. Molte compagnie, quindi, già da diverso tempo si sono impegnate per la loro

produzione attraverso l’acquisizione dall’esterno delle competenze necessarie, come nel caso

di Continental, dell’accordo di Goodyear con la Phase IV Engineering o della joint-venture che

Michelin sta stabilendo con TRW, o attraverso condivisioni di tecnologie tra competitori (un

esempio è la joint-venture tra Goodyear e Michelin del 2000).

In base a quanto affermano Bridgestone, Continental e Michelin, ci sono due grandi sistemi di

sensori. Il primo, chiamato TPMS (Tire Pressure Monitoring System) o sistema diretto, è

formato da un’unità centrale (CPU) e da quattro moduli, attaccati alla valvola del cerchione, su

cui sono montati i sensori che rilevano la pressione in ogni ruota e la radiotrasmettono alla

29 La parola “Tread” sta per Transportation, Recall, Enhancement, Accountability and Documentation (White, ERJ 2001).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 128

CPU. Questo sistema ha il vantaggio di una misura diretta e in tempo reale della pressione ma

è molto complicato. La seconda tipologia di sensori, DDS (Deflaction Detection System) o

sistema indiretto, utilizza i sensori di velocità sulla ruota che fanno parte del sistema ABS, che

sono tarati sulla velocità delle quattro ruote. Se la pressione dei pneumatici diminuisce, anche

la circonferenza si riduce ed essi iniziano a ruotare più rapidamente: i sensori rilevano questa

variazione nella velocità e la trasmettono al guidatore attraverso il sistema ABS e il computer

di bordo. I questo caso i sensori usano componenti già disponibili sul veicolo con il grande

difetto, però, che la pressione non è misurata direttamente ma calcolata attraverso le differenze

nella velocità di rotazione. In figura 4.21 si possono vedere i principali produttori mondiali

delle due tipologie di sensori per il monitoraggio della pressione.

Figura 4.21 Principali produttori di sensori per il monitoraggio della pressione. (Fonte:Michelin Fact Book 2002, “The Passenger Car and Light Truck Tire Market”)

Secondo le considerazioni esposte da Michelin nel Fact Book 2003, in Europa sono più diffusi

i sistemi di misurazione diretta della pressione mentre in US, dove si mira soprattutto al ribasso

dei costi, quelli indiretti; il futuro, però, sembra puntare verso sensori inseriti direttamente nel

pneumatico.

4.3.4 Il mercato dei run-flat

Dopo aver presentato la tecnologia legata ai pneumatici run-flat, in questa sezione è esposta

una valutazione del loro mercato. Tale analisi risulta difficile in quanto, come già più volte

affermato, non si riescono ad ottenere informazioni dettagliate e, nonostante il prodotto sia

stato introdotto nel 1992, esso è stato sviluppato dalla maggioranza dei produttori e si è diffuso

solamente negli ultimi tre-quattro anni.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 129

La tabella 4.15 riporta alcuni modelli di run-flat presenti oggi sul mercato; si può notare che

sono stati trovati dati per 6 dei 10 marchi esistenti ma, con tutta probabilità tale portafoglio è

ben più ampio.

La quasi totalità dei modelli presenta caratteristiche di pneumatici ad alta performance, in

quanto sono progettati per cerchioni con un diametro maggiore di 16 pollici30; solo Kumho

produce pneumatici con diametri minori (la tipologia 205/60R15 ha, infatti, diametro di 15

pollici).

COSTRUTT. TIPO NOME CARATTER.STRUTTUR. VEL.E PERC.MAX

295/770R560 200 km – 80 km/h PAX 195-620 R420 A “Spacity” per l’estate e “Alpin” per l’inverno sulla Scenic

ZP Serie31 55 e 60: 50 miles e 55mph; Serie 40: 200 miles

MXV4ZP

Michelin

Run-flat

HX MXM4 ZP P235/50ZR18 Pirelli Run-flat

Eufori@ 205/45R17

225/45R17 (progettati 13 modelli)

150 km – 80 km/h

Goodyear Run-flat Eagle F1 GS EMT P245/45ZR17 P275/40ZR18

322 km – 90 km/h

Yokohama Run-flat AVS Sport Run-flat P245/45R17 P275/40R18

50miles – 55 mph

B380RFT P225/60R17 Bridgestone Run-flat Potenza RE050RFT

Kumho Run-flat ECSTA MX XRP 275/40ZR18 245/45R17 205/60R15

80 km – 80 km/h

Tabella 4.15 Caratteristiche specifiche di alcuni run-flat presenti oggi sul mercato32 (Fonti: Al Volante, Tire Business, Modern Tire Dealer)

Servendosi della tabella 4.16 è possibile valutare gli autoveicoli equipaggiati dai pneumatici

run-flat e dal Pax-system.

Le informazioni con cui essa è stata costruita provengono prevalentemente da siti web e da

giornali di settore ma risultano incomplete per diverse ragioni.

30 Per convenzione il segmento dell’HP parte dal diametro del cerchione di 16 pollici. 31 La serie è determinata dall’ aspect ratio del pneumatico (si veda il Capitolo 3). 32 La rivista “al Volante” riporta anche i prezzi dei pneumatici run-flat che spaziano dai 288 € del modello più economico di Goodyear agli 814 € del tipo più costoso di Bridgestone, a gomma (IVA inclusa).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 130

MODELLO VEICOLO COSTRUTTORE TIPO DI PNEUM. COSTRUTTORE ANNO Run-flat Goodyear 1994 Run-flat Yokohama (AVS

Sport) 1997

Corvette Chevrolet (GM)

Run-flat Kumho 2003 Scenic Renault PAX Michelin 2002 Pikes Peak (Concept car) Audi PAX Goodyear 2003 Nuvolari (Concept car) Audi PAX (2006) A8 luxury Audi PAX Michelin 2002 Phantom Rolls Royce (BMW) PAX Michelin 2004 Viper Dodge PAX Michelin Q 45 luxury Infiniti Run-flat Bridgestone

Run-flat Bridgestone 2001 SC 430 luxury Lexus Goodyear 2002

Plymouth Prowler Chrysler Run-flat Goodyear Run-flat Michelin

( HX MXM4) 2004 XLR 2-seats sport coupe Cadillac

PAX Michelin 2001 Evoque (Prototipo) Cadillac PAX Michelin 2002 S-Class Mercedes Run-flat Bridgestone 2002 E-Class Mercedes Run-flat Bridgestone 2002 7 Series BMW Run-flat Bridgestone 2001 740iL BMW Run-flat Goodyear

(EAGLE NCT5 EMT 235/55R17)

2000

750iL BMW Run-flat Goodyear (EAGLE NCT5 EMT 235/55R17)

2000

540i BMW Run-flat Goodyear 2000 540I BMW Run-flat Dunlop (Goodyear)

(DUNLOP SP Sport 2000 E DSST)

2000

Z3 BMW Run-flat Bridgestone Z8 Sport BMW Run-flat Bridgestone 1999 Z4 Roadster BMW Run-flat Bridgestone 2003

Run-flat Goodyear 2002 Mini BMW Run-flat Dunlop Goodyear

Mini Cooper BMW Run-flat Pirelli (eufori@) 2002 Continental Lincoln Run-flat Michelin Twingo 2 Renault PAX Michelin 1998

Run-flat Dunlop (Goodyear) 2004 Sienna Minivan Toyota Bridgestone 2003

Neospace Mazda PAX Michelin C3 Pluriel Citroen PAX Michelin C6 Lignage Citroen PAX Michelin C3 Lumiere Citroen PAX Michelin Freestyle FX Ford Run-flat Goodyear 2004 Mayback Mercedes Run-flat Continental The Osèe (Concept car) Disegnato da

Pininfarina su telaio Citroen

PAX Michelin

Edonis (Concept car) B-engineering PAX Michelin Tabella 4.16 Il mercato dei pneumatici run-flat

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 131

Innanzitutto i run-flat possono essere optional o standard di modelli di veicoli in particolari

paesi ma non in altri; ad esempio il Pax-system è di standard sulla Scenic in Francia ma

non in Italia, dove non compare nemmeno come accessorio opzionale33 (la vettura, inoltre,

monta pneumatici Continental e non Michelin). Secondariamente nel mercato dell’auto italiano

gran parte dei modelli presenti in tabella 4.16 non compaiono: può capitare, infatti, che da un

paese all’altro varino i nomi dei veicoli e che la produzione dipenda dalle caratteristiche di vita

della popolazione e del territorio. Ad esempio prima degli anni’80, quando si è verificata

l’entrata di compagnie dell’Est Asiatico, il mercato americano dell’automobile era

completamente diverso rispetto a quello europeo e giapponese vantando la presenza di veicoli

di grandi dimensioni con cilindrate elevate che non badavano al consumo di carburante.

Secondo quanto afferma Quattroruote a causa del rallentamento dell’economia e della

debolezza che ora ha il dollaro sull’euro, molte case automobilistiche americane mirano ad

entrare nel mercato europeo partendo da Chrysler, che vuole rilanciare il marchio Dodge,

seguita da General Motors e Cadillac.

Le compagnie più piccole sembrano avere poco peso nel mercato rispetto alle top3.

E’inverosimile, però, pensare che esse abbiano affrontato ingenti investimenti per entrare nella

produzione di questo nuovo prodotto, specie per quelle che hanno preso in licenza la tecnologia

Pax-system, con modifiche nell’uso dei materiali, nel sistema produttivo e distributivo, per poi

essere quasi assenti dal mercato. Possiamo ipotizzare, quindi, che esse operino soprattutto nei

mercati domestici oppure, come sembra il caso di Pirelli, che l’acquisizione della tecnologia sia

ancora troppo recente per essere già molto diffusa e competitiva.

Andiamo, quindi, ad analizzare i dai raccolti tenendo presenti i loro limiti.

Solamente in 3 casi su 35 la tecnologia run-flat è di standard: gli EMT di Goodyear sulla

Corvette a partire dal 1997, il Pax su due modelli (Fireway e Sportway) della Scenic in Francia

e sulla Phantom della Rolls Royce (primo veicolo provvisto di un pneumatico run-flat come

standard in Nord America).

Dalle informazioni riportate da Quattroruote non si riscontra la presenza né di pneumatici run-

flat né del Pax-system come optional di automobili in Italia; anche i sensori per il monitoraggio

della pressione dei pneumatici sono quasi totalmente assenti.

A questo punto esaminiamo il mercato dei run-flat per compagnia: dalla tabella 4.16

estrapoliamo dei dati, riassunti in tabella 4.17, riguardanti il numero di veicoli equipaggiati per

ogni produttore.

33 In questa sezione mi sono servita della rivista Quattroruote per ottenere informazioni sul mercato dell’auto italiano e per verificare i dati in possesso.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 132

COMPAGNIA PAX RUN-FLAT TOTALE Goodyear 1 8 9 Michelin 13 2 15 Bridgestone - 9 9 Pirelli 0 1 1 Yokohama - 1 1 Continental - 1 1 Kumho - 1 1 Dunlop - 3 3 Sumitomo 0 0 0 Firestone - 0 0 TOTALE 14+1 26 41 Tabella 4.17 Il mercato dei run-flat diviso per compagnie costruttrici. (Tabella ricavata dalla tabella 4.16)

Come si può notare il mercato di dimensioni maggiori sembra appartenere a Michelin, in 13

casi su 15 grazie al Pax-system. Cinque dei modelli di veicoli considerati sono definiti concept

car perché sono ancora in fase di progettazione; tra essi l’Audi Pikes Peak (SUV) e la

Nuvolari34 (sportiva di lusso) sono destinate sicuramente alla produzione di grande serie.

Bisogna sottolineare che quattro tra le automobili che montano il Pax sono Citroen; tra le due

compagnie esiste un rapporto privilegiato poiché la casa automobilistica è di proprietà del

gruppo Michelin, fin dagli anni’30. L’utilizzo del Pax sulla Scenic è significativo perché

rappresenta il primo caso di standard della tecnologia su un autoveicolo, anche se

limitatamente alla sola Francia

Al secondo posto troviamo sia Bridgestone che Goodyear; quest’ultima è attiva anche con il

Pax-system che, nel caso considerato, le è stato commissionato da Audi appositamente per la

Pikes Peak.

Dalla tabella 4.16 è possibile osservare che alcuni modelli, Corvette, Lexus SC 430, Cadillac

XLR e Mini, sono equipaggiati da run-flat prodotti da più costruttori. Sarebbe interessante

valutare il motivo e le implicazioni di questa situazione; ad esempio se i telai degli autoveicoli

sono prodotti su impianti diversi a seconda del tipo di run-flat o se sono necessarie solamente

delle operazioni di attrezzaggio. Molto probabilmente questo avviene per valutare la tecnologia

più affidabile, economica e adatta alle caratteristiche del veicolo.

Tra i costruttori di autoveicoli, invece, BMW risulta quello più aperto a questa nuova

tecnologia con ben 10 modelli ma anche Audi, Mercedes e Citroen sembrano essere

considerevolmente interessati.

34 La fonte di questa informazione è Quattroruote che, però, non riporta il nome del costruttore, come si può notare in tabella 4.16.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 133

Un’altra analisi che può essere effettuata a partire dalle informazioni presenti in tabella 4.16 è

la valutazione della tipologia di veicoli che fanno uso dei sistemi presi in considerazione. La

catalogazione dei veicoli è complicata perché bisognerebbe fare affidamento a procedure

universalmente riconosciute; dal momento che questa analisi può anche non essere

particolareggiata, ci affidiamo alle considerazioni proposte da Quattroruote e al buon senso.

Il rapporto tra pneumatici, run-flat e Pax, e categorie di veicoli risulta molto eterogeneo. Nella

grande maggioranza dei casi le automobili equipaggiate da pneumatici run-flat sono auto di

lusso che appartengono alla categoria delle berline superiori o grandi berline, come l’Audi A8,

la Phantom, la Lexus, le Mercedes e le BMW serie 7 e 5. Molti veicoli sono sportivi come la

Corvette, la Cadillac XLR e le BMW Z3, Z4 e Z8. Ci sono anche modelli appartenenti a

categorie, soprattutto di prezzo (le precedenti sono tutte superiori ai 40.000 €), molto più

accessibili; caso a sé sono la Mini e la Mini Cooper, che pur essendo definite piccole sono auto

con una certa immagine. Un esempio è dato da monovolumi come la Scenic o la Toyota Sienna

Minivan. Come più volte affermato, l’estensione del prodotto a questi veicoli, scelta che è stata

effettuata da entrambi i concorrenti per eccellenza del settore, Bridgestone e Michelin, può

essere vista come un passo per modificare l’idea del run-flat stesso: non più un optional di

lusso ma di sicurezza, quindi importante per le auto definite “familiari”, ma anche per veicoli

ad alte prestazioni (infatti, è progettato anche su un’auto sportiva estremamente veloce come

l’Audi Nuvolari).

Il run-flat equipaggia anche automobili più modeste, come la Twingo 2 o la C3 Pluriel,

appartenente alla categoria delle sportive dal prezzo accessibile (15.000 €).

A questo punto conviene valutare la relazione esistente tra le varie case automobilistiche e i

produttori di pneumatici, sia nel caso generale che considerando i soli run-flat, avvalendoci

della tabella 4.1835 che mostra le quote di mercato dei vari fornitori di pneumatici36 per ogni

costruttore di autoveicoli nel mercato Americano e Canadese.

Dalla tabella 4.17 emerge che Audi, Renault, Citroen e Cadillac nel mercato dei pneumatici

run-flat si affidano totalmente al Pax-System e, tranne per la Pikes Peak, sempre prodotto da

Michelin; la XLR utilizza anche agli ZP.

Mercedes e BMW, invece, hanno un rapporto più eterogeneo con i fornitori della tecnologia.

Quest’ultima, per cui considero anche i marchi Mini e Rolls Royce, è equipaggiata nel 42% dei

casi da Bridgestone, nel 25% da Goodyear, nel 17% da Dunlop e nell’ 8% da Pirelli; Michelin 35 Più in generale nel mercato nord americano le quote di mercato dei costruttori di pneumatici sono così suddivise: Goodyear 37,6%; Firestone 14,6%; Michelin 13,9%; General 13,7%; BFGoodrich 5,2%; Bridgestone 4,3%; Uniroyal 3,9%; Continental 3,6%eDunlop 3,1%. 36 In questo caso si considerano tutti i tipi di pneumatici.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 134

fornisce il Pax solo alla Rolls Royce dal momento che tutti gli altri modelli fanno uso di

normali run-flat.

Chrysler Goodyear Michelin

78% 22%

Mercedes Dunlop General Tire

65% 35%

BMW Michelin Continental Bridgestone Dunlop

75% 15% 6% 4%

Mazda Firestone Bridgestone BFGoodrich Michelin

50% 41% 8% 1%

Toyota Dunlop Bridgestone Michelin Goodyear Firestone General BFGoodrich

28% 20% 14% 13% 10% 10% 5%

Ford Goodyear General Michelin Continental BFGoodrich Firestone Uniroyal

39% 21% 20% 13% 3% 2% 2%

General Motors Goodyear Firestone General

34% 23% 18%

BFGoodrich Uniroyal Michelin Bridgestone

10% 10% 4% 1%

Tabella 4.18 Quote di mercato dei produttori di pneumatici per casa automobilistica. (Fonte: Modern Tire Dealer Statistics 2003: “2002 Brand Shares” e “US/Canadian OE light vehicle tire market shares”)

Goodyear dichiara di essere il fornitore dell’80% dei pneumatici delle Mini in Nord America.

Come si può notare dalla tabella 4.18 la situazione, considerando l’intera gamma di pneumatici

per automobili, è differente: BMW si rifornisce soprattutto da Michelin e in una percentuale

abbastanza consistente anche da Continental, Bridgestone possiede solo una piccola quota e

Goodyear non compare nemmeno nella lista. Nel mercato europeo, invece, uno dei fornitori

centrali è Pirelli con il P6, uno dei pneumatici ad alta performance introdotti recentemente.

Mercedes utilizza run-flat di Bridgestone e Continental; quest’ultimo risulta essere anche il

secondo fornitore nel mercato nord americano di pneumatici in generale con il marchio

General Tire. Anche in Europa Continental è uno dei maggiori marchi di pneumatici montati su

Mercedes assieme a Pirelli.

I legami tra marchio di veicoli e di pneumatici a livello generale e nel mercato dei run-flat non

sembrano avere molta corrispondenza: queste sono, però, osservazioni proposte per

completezza, in quanto, per trarre delle conclusioni, bisognerebbe avere dati più completi in

tabella 4.16 e le quote di mercato dei fornitori a livello mondiale.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 135

Dall’analisi effettuata emerge che Pirelli attualmente sta espandendo il proprio mercato con i

pneumatici ad alta performance (soprattutto P6) non solo in Europa, dove equipaggia marchi

come Volvo, Audi, Jaguar, Mercedes, BMW, Porsche e Ford, ma anche in Nord America

tramite accordi con Lincoln, Ford e Mercury, ad esempio.

Alcune case automobilistiche sembrano non avere preso in considerazione la tecnologia run-

flat ma è possibile che ciò risulti da informazioni incomplete o che esse operino in segmenti di

mercato diversi a cui il prodotto sta appena iniziando ad avvicinarsi. Questo fenomeno si

riscontra maggiormente con marchi asiatici37 come Honda, Izuzu, Subaru, Nissan, Mitsubishi,

Kia, Daewoo, ma anche in Occidente con VW, Rover, Land Rover, Aston Martin, Bentley,

Ferrari, Fiat, Peugeut, Opel e Seat.

Curioso è il caso di Porsche, una delle auto sportive di lusso per eccellenza, che negli anni’80

chiese dei run-flat per il modello 959 che vennero sviluppati da Bridgestone, ma ora non

sembra essere interessata alla tecnologia; per i suoi equipaggiamenti oggi si affida a Michelin,

Bridgestone e Pirelli.

Sul mercato, in caso di foratura, non c’è più solo la scelta tra ruota di scorta o pneumatici run-

flat poiché diversi veicoli, come la nuova Lancia Ypsilon, la Subaru Impreza, la VW Touran e

la Mazda RX-8, propongono un kit di riparazione.

37 Informazioni dei primi giorni di gennaio del 2004 rivelano che Bridgestone sta iniziando ad equipaggiare anche questi marchi (www.mtd.com).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 136

4.4 Il sistema produttivo

Dopo aver analizzato la tecnologia run-flat, ci concentriamo sul secondo oggetto dello studio: il

sistema produttivo.

Questi ultimi anni hanno visto l’introduzione di cambiamenti significativi nel modo di

costruire i pneumatici, da parte di almeno sei delle compagnie leader dell’industria, dopo

decenni in cui non si era quasi assistito a modifiche, come sottolinea Maynard (2001).

Il processo produttivo tradizionale risulta tuttora in uso nella maggior parte delle imprese dal

momento che, o i nuovi sistemi hanno solo la funzione di affiancare la tecnologia esistente per

particolari produzioni o non hanno ancora sostituito tutti gli impianti; come più volte

sottolineato, esso si avvale di macchinari introdotti ancora prima degli anni’20, come il

Banbury Mixer o la Tire Building Machine.

Le uniche modifiche sostanziali alla tecnologia dei sistemi di produzione sono state portate

dall’introduzione del pneumatico radiale negli anni’50 e’60.

Il paragrafo inizia con una descrizione il processo produttivo tradizionale, utile per valutare

dove sono stati introdotti cambiamenti e di quale entità.

4.4.1 Il sistema di produzione tradizionale

Differentemente dai costruttori di autoveicoli che partono dall’assemblaggio di componenti

acquistati dall’esterno, la produzione dei pneumatici inizia con la gomma grezza proveniente

direttamente dalle piantagioni e comprende la costruzione di tutti gli elementi necessari, dalle

corde rinforzanti alle forme usate in vulcanizzazione.

Il pneumatico è formato da quattro gruppi di componenti principali: la gomma con tutti gli

additivi, il tessuto gommato che costituisce il corpo, il tallone e le fibre metalliche per il

rinforzo; tutti questi elementi vengono prodotti in parti diverse dell’impianto e si incontrano

solo nella Tire Building Machine dove si va a costruire il cosiddetto green tire38.

Il processo inizia nel Banbury Mixer dove alla gomma si aggiungono oli, carbone, pigmenti,

antiossidanti e vari additivi, ognuno dei quali conferisce proprietà particolari, fino ad ottenere

un composto omogeneo grazie alle elevate pressioni temperature usate. Tale massa di gomma

viene lavorata da rulli per ottenere, per estrusione, i vari elementi di gomma del prodotto, come

fianchi e battistrada.

38 Con il termine green tire si indicano convenzionalmente i pneumatici non vulcanizzati.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 137

Il pneumatico viene assemblato in una forma molto simile a quella finale nella Tire Building

Machine: gli ultimi componenti aggiunti sono i fili di materiale metallico e il battistrada. A

questo punto tutti gli elementi vengono pressati insieme e si ottiene la prime versione del

pneumatico chiamato, appunto, green tire.

Il processo di vulcanizzazione, che dura in media 25 minuti, conferisce al pneumatico la forma

finale. Esso avviene in una specie di forno (ad una temperatura di circa 150ºC) in cui sono

anche presenti delle piastre che stampano i disegni sul battistrada e incidono le iscrizioni

imposte dalla legge e il marchio del costruttore sul fianco.

Dopo la vulcanizzazione il pneumatico passa all’ultima fase, l’ispezione, eseguita sia a mano

che con attrezzature specializzate. In genere questa fase non si ferma alla valutazione della

superficie esterna del pneumatico ma vengono prelevati alcuni campioni che vengono

sottoposti ai raggi X per scoprire eventuali debolezze o difetti interni; in alcuni casi essi sono

anche esaminati e sezionati dai progettisti.

Alcuni di questi processi nel corso degli anni sono stati automatizzati ma l’industria sembra

essere stata reticente ad installare robots e ad utilizzare tecniche di organizzazione della

produzione come il just-in-time, a differenza di ciò che è accaduto nella parallela industria

dell’automobile. Secondo molti analisti questo è dovuto al fatto che i costruttori di pneumatici

mirano maggiormente a sfruttare pienamente la capacità dei loro macchinari piuttosto che a

combinare nel modo più economico possibile tutte le variabili che intercorrono nel processo.

A questo punto si analizzano i nuovi sistemi produttivi che le maggiori imprese del settore

stanno sviluppando, sottolineando soprattutto in che cosa sono innovativi e si differenziano dal

processo tradizionale. Nella tabella 4.19, nell’Appendice 4.1 a fine capitolo, sono riassunte le

principali caratteristiche.

Le informazioni riportate in queste pagine sono state ottenute per la maggior parte da riviste di

settore, in particolare dall’European Rubber Journal. Sono riuscita ad ottenere dati abbastanza

significativi per tutte le imprese occidentali, anche per Michelin che tiene assolutamente

segreta la propria tecnologia (secondo la maggior parte degli analisti più per nascondere i

malfunzionamenti che per una protezione dall’imitazione); per Sumitomo e Bridgestone

riportiamo solamente le caratteristiche principali.

La tecnologia dei sistemi produttivi è stata sviluppata in casa dalle varie compagnie ricorrendo,

ovviamente, all’outsourcing dei vari macchinari integrati e robots.

Nel 1997, quando ormai tutte le imprese stavano già lavorando allo sviluppo dei propri sistemi,

la 3 Sears Group introdusse sul mercato un nuovo sistema di produzione, che pubblicizzava

come nettamente superiore a ciò che stava producendo Michelin, destinato ai produttori

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 138

indipendenti per aiutarli ad incrementare il proprio vantaggio competitivo. Esso non ebbe

successo perché sembrava avere dei problemi e perché la situazione del produttore era poco

chiara: l’ideatore era, infatti, un ex dipendente sia di Michelin US che di Pirelli US che aveva

ricavato l’idea dalla tecnologia sviluppata da Dunlop negli anni’80, da cui, tra l’altro, prende

spunto anche l’Impact di Goodyaer.

Attualmente le tecnologie produttive più complete e conosciute sono l’Impact di Goodyear, il

MIRS di Pirelli e il C3M di Michelin.

4.4.2 L’ Impact di Goodyear

Il sistema Impact nasce nel 1986, anno in cui vengono acquistati i diritti sull’innovazione

proposta da Dunlop, ma viene presentato al pubblico solo nel 2001. Il processo fa ancora uso

dei Banbury Mixer per la preparazione della mescola, anche se la compagnia si sta impegnando

a trovare una tecnologia sostitutiva. Il sistema si occupa della trasformazione del composto in

green tire e poi della vulcanizzazione.

Uno dei punti centrali del sistema è la Hot Former Calender, una macchina che estrude la

maggior parte dei componenti del pneumatico nella forma di composto continuo, che poi viene

tagliato in base alle caratteristiche del prodotto, riducendo costi, tempi e spazio occupato ed

aumentando qualità e precisione del prodotto. Questa macchina è formata da stazioni (7 per

pneumatici per autocarri e 4 per quelli destinati alle automobili), ognuna con due rulli

sagomati, dove avviene l’estrusione di 12 dei 23 componenti che formano la carcassa,

scegliendo estrusori e componenti differenti a seconda del tipo di prodotto.

Ultimamente l’Impact è stato completato con una Injection Moulding Machine, per ora

funzionante solo per alcuni elementi come il tallone e il battistrada. Oltre all’assemblaggio di

questi componenti la macchina inietta del calore in modo che questi vengano pre-vulcanizzati

dall’interno all’esterno, differentemente dal metodo classico che avviene partendo dall’esterno,

riducendo i tempi della vulcanizzazione vera e propria, anch’essa svolta con un sistema

diverso, senza presse.

Il principio seguito nella progettazione dell’Impact è stato lo sviluppo di macchinari che

potessero eseguire più lavorazioni e il raggruppamento di queste unità in celle produttive;

questa particolare organizzazione della produzione, infatti, è particolarmente adatta per bassi

volumi produttivi ed elevata flessibilità, caratteristiche necessarie per essere competitivi al

giorno d’oggi.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 139

Il sistema è stato creato per la produzione di qualsiasi tipo di pneumatico, anche se Goodyear

sta puntando molto sul segmento degli equipaggiamenti per autocarri pesanti, infatti

programma di sostituire tutte le linee tradizionali nel giro di quindici anni.

Una delle caratteristiche principali dell’Impact è proprio la facilità con cui può essere integrato

nella produzione tradizionale. Il sistema, però, è stato definito da alcuni ingegneri di Goodyear

stessa come un buon esempio di applicazione della tecnologia esistente più che qualcosa di

rivoluzionario (Davis, ERJ Ottobre 2002).

Goodyear non si affida all’Impact per trarne benefici immediati, infatti il progetto di diffusione

va avanti nonostante le difficili condizioni economiche dell’azienda, anzi è considerato un

primo passo verso il taglio dei costi e il miglioramento del prodotto; esso, quindi, rappresenta

soprattutto uno strumento competitivo.

Sui pneumatici non è presente alcun segno che permette di stabilire se è stato prodotto con

questo sistema proprio per proteggere la tecnologia dall’imitazione e per non diffondere

informazioni sulle frontiere a cui essa è giunta.

Goodyear ha sviluppato anche due altri sistemi produttivi, l’FmsII (Flexible Manufacturing

System) e l’ Rfsam (Runflat System for Automated Manufacturing), quest’ultimo dedicato solo

alla produzione di pneumatici run-flat e probabilmente un’ applicazione particolare del primo.

Sarebbe interessante valutare il loro rapporto con l’Impact e che cosa ne ha determinato lo

sviluppo, specialmente per quanto riguarda l’Rfsam, ma non si hanno informazioni in

proposito eccetto un comunicato stampa di Goodyear (6 marzo 2002).

4.4.3 Il MIRS di Pirelli

Il MIRS, introdotto da Pirelli nel 2000, ma iniziato a sviluppare a partire dal 1997, si basa

essenzialmente su un’idea che il progettista, Renato Caretta, aveva studiato negli anni’70, cioè

l’uso di uno stampo meccanico che contenesse il pneumatico oltre che durante l’assemblaggio

anche nella vulcanizzazione e che potesse essere adattato per tutti i tipi di pneumatici da

costruire, riducendo i lunghi tempi di intercambio stampi. Tale invenzione allora non decollò

perché il processo produttivo non era stato concepito per possedere una così elevata flessibilità.

Il sistema, protetto da 22 brevetti, è costituito da 8 robot e 12 estrusori, acquistati dall’esterno,

e consta di tre fasi, sviluppate ognuna in una cella produttiva. Nella prima, 4 macchinari che

terminano con degli estrusori si dedicano alla produzione di tutti i componenti: tessuto per la

carcassa, fibre metalliche per rinforzare, tallone e battistrada. Nella seconda cella avviene la

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 140

realizzazione del prodotto vera e propria con il solo uso di robot per la movimentazione dei

pezzi.

Il pneumatico è costruito attorno ad uno stampo toroidale formato da otto segmenti radiali che

servono per liberare il prodotto alla fine della vulcanizzazione: dell’invenzione di Caretta

rimane, infatti, l’idea di un unico stampo che accompagna il pneumatico in tutte le fasi della

produzione mentre si è trovato più economico utilizzare una forma diversa a seconda della

tipologia di prodotto da realizzare. Lo stampo è di alluminio e, ogni volta che inizia un nuovo

codice, viene scaldato ai raggi X in modo da effettuare una pre-vulcanizzazione. Mentre esso

continua a ruotare su se stesso sottoposto ad attenzioni particolari per evitare infiltrazioni di

aria, i robot estrudono i diversi componenti terminando con le parti di rinforzo, il fianco e il

tallone; come si può notare l’ordine dell’assemblaggio dei componenti rispecchia quello del

processo tradizionale.

Il processo termina con la stazione in cui avviene la vulcanizazzione (in 6 fasi di 15 minuti

ciascuna) dopo la quale un robot toglie il pneumatico dalle forme e un altro lo convoglia verso

le ispezioni.

Ogni pneumatico possiede un codice a barre contenente le istruzioni per la lavorazione che

viene letto dai robot; il sistema è, infatti, comandato da un software interamente gestito online

che fa a sua volta parte di uno più grande che controlla tutte le fasi produttive, partendo dal

progetto.

Il MIRS è altamente flessibile, può anche produrre moduli da un’unità per tipologia di

prodotto: per una compagnia come Pirelli tale caratteristica è centrale poiché si concentra

essenzialmente sul mercato dell’alta performance che è più profittevole ma richiede molta

qualità e volumi produttivi di piccole dimensioni con caratteristiche sempre diverse.

Esso ha permesso anche di migliorare gli standard qualitativi in quanto il prodotto è costruito

in un unico ciclo, quindi, senza più sbalzi di temperatura, trasporti nelle varie parti

dell’impianto e condizioni di vulcanizzazione non omogenee.

Il sistema accresce la capacità produttiva del 25% ma tale surplus va a coprire una nuova

domanda in modo da non richiedere chiusure di impianti e tagli nel personale: Pirelli, infatti,

non ha progettato il MIRS in sostituzione a tutti i sistemi tradizionali ma per un affiancamento

nella produzione di pneumatici, come quelli ad alta performance o i run-flat, che richiedono

elevata qualità e flessibilità.

Per ora è stata pianificata la collocazione in cinque impianti divisi tra Italia, Germania, Regno

Unito e Stati Uniti, dove già è stata realizzata, più un ultimo nell’Est. In seguito le unità MIRS

verranno installate in base alle esigenze del mercato: Pirelli ipotizza di posizionare gli impianti

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 141

direttamente nelle linee produttive dei costruttori di autoveicoli in modo da evitare sia i costi di

trasporto che il deperimento dei prodotti durante la movimentazione. Questo è possibile grazie

al fatto che le fabbriche MIRS occupano uno spazio ridotto, sono interamente gestite online e

non richiedono più di due addetti per turno.

Il nuovo sistema produttivo, come riporta Shaw (ERJ, Settembre 2000), ha modificato la già

complessa relazione esistente tra gli elementi produttivi e la performance del prodotto finale.

Infatti, gli ingegneri hanno dovuto ristudiare i collegamenti tra struttura del pneumatico e la sua

performance dopo che quest’ultima variabile reagiva in modo inaspettato a variazioni della

prima. Ciò ha richiesto del tempo e ha causato il temporaneo non soddisfacimento di alcune

specifiche imposte dalle case automobilistiche per i pneumatici HP.

Il MIRS ha permesso a Pirelli di guadagnare vantaggio competitivo nel segmento dell’alta

performance e di continuare a produrre nei paesi con costi elevati rappresentati dall’Europa

Occidentale e dagli Stati Uniti.

Nel 2002 il MIRS è stato completato con il CCM (Continuous Compounding Mixing), protetto

da 7 famiglie di brevetti. Il sistema si aggancia alla prima fase del MIRS, è impiegato per ogni

tipo di produzione e gestisce il controllo dei materiali in input. Tale operazione è piuttosto

complessa perché essi sono una quarantina e la loro quantità varia da prodotto a prodotto. Esso

ha permesso anche l’impiego di nuove sostanze che non erano adatte al processo produttivo

tradizionale date le elevate temperature e, soprattutto, i lenti tempi di processamento. Il CCM

assicura una qualità maggiore del pneumatico poiché diminuisce del 70% la variabilità delle

proprietà fisiche dei componenti.

4.4.4 Il C3M di Michelin

Per quanto riguarda il C3M si hanno più informazioni sulle sue caratteristiche e i benefici

portati che sul suo funzionamento; come tutta la tecnologia di Michelin, anche questo sistema è

avvolto nella segretezza (non si sa nemmeno per che cosa stia la sigla C3M o CMMM), ad

esempio il suo sviluppo venne reso noto solo nel 2001, quindici anni dopo la data di inizio.

Esso riunisce in un’unica linea produttiva le sette fasi del processo tradizionale. L’elemento

centrale del sistema, similmente al MIRS, è uno stampo toroidale attorno a cui il pneumatico

viene costruito. Il prodotto risulta avere delle proprietà migliori perché i vari componenti

possono essere aggiunti in parti differenti della lavorazione.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 142

Grazie al sistema di produzione modulare si può raggiungere una flessibilità molto elevata:

infatti il C3M è stato costruito per la produzione di pneumatici HP, per autoveicoli e SUV, e

per seguire le esigenze del cliente verso prodotti quasi personalizzati.

Le nuove linee produttive sono state progettate per affiancare e non per sostituire il processo

tradizionale dedicato alla produzione di massa; un’integrazione con le tecnologie esistenti non

sarebbe neanche possibile perché i concetti che stanno alla base dei due sono completamente

differenti.

Uno degli aspetti peculiari del sistema è la facilità di trasporto a seconda delle esigenze del

mercato (infatti può essere caricato su 2 camion o 2 container aerei); per questo Michelin lo

sta sfruttando per entrare in nuove aree geografiche, come il Brasile.

4.4.5 Altre tecnologie nei sistemi di produzione

Continental in questi ultimi anni ha sviluppato almeno quattro sistemi produttivi, MMP

(Modular Manufacturing Process), ESA (Single-Stage Builder), C+K (Automated Tire

Building Equipment) e SAV2000 per la costruzione dei pneumatici per autocarri; per i primi

due si hanno notizie più dettagliate, come si può leggere in tabella 4.19 in Appendice 4.1. La

strategia della compagnia non mira a costruire un processo produttivo che sostituisca quello

tradizionale ma ad automatizzarne le parti più critiche: in questo modo, però, riesce ad ottenere

una diminuzione dei costi ma non gli standard qualitativi raggiunti da concorrenti come Pirelli,

Michelin e Goodyear, come la stessa compagnia ammette.

L’introduzione principale di Continental è l’MMP, una macchina che svolge l’assemblaggio

del pneumatico, cioè l’inserimento di tutti i componenti e la vulcanizzazione che avviene

utilizzando il principio delle microonde.

Questo sistema aumenta di molto la flessibilità produttiva favorendo la strategia multi-brand

dell’azienda, in quanto permette ad esempio la consegna di lotti su ordinazione anche di

piccole dimensioni, fino a 100 pezzi, in 24 ore.

Sumitomo propone il sistema Taiyo che copre tutto il processo produttivo e l’intero portafoglio

di pneumatici e verrà esteso a tutti gli impianti della compagnia. La tecnologia è ancora in fase

di crescita: infatti è stata studiata una seconda generazione del sistema e per il 2004 ce ne sarà

una terza che permetterà la produzione di pneumatici run-flat.

Il Bird di Bridgestone è il primo sistema che estende l’automazione anche all’ispezione.

Esso è formato da tre componenti: Bridgestone's Automated Tire Manufacturing Synchronized

System che si occupa della costruzione del pneumatico e della vulcanizzazione, Automated

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 143

Inspection Modular System per l’ispezione automatica e il Flow Oriented Approach che

processa i dati necessari alla gestione dell’intero sistema.

Nel 1992 Bridgestone introdusse anche un sistema altamente automatizzato, capace di produrre

2500 pneumatici al giorno, nell’impianto di Tochigi in Giappone; non fu, però, esteso ad altre

linee produttive.

Tutti questi impianti innovativi hanno aiutato le compagnie a diminuire i costi di produzione e

ad aumentare le caratteristiche del prodotto e la flessibilità produttiva, tuttavia sono supportati

da strategie molto differenti.

Tutti i sistemi, tranne quelli di Continental, coprono l’intero processo produttivo: MIRS, Taiyo

e Bird anche la gestione dei componenti che formano la mescola e quest’ultimo si estende

anche alle ispezioni. L’Impact, però, sembra più come l’integrazione di tante macchine che non

un sistema integrato come gli altri; esso è anche l’unico, assieme all’MMP di Continental, a

non rappresentare un distacco dalla tecnologia tradizionale, ma a richiederne un’integrazione.

Comunque l’intero gruppo di impianti comprende la fase di assemblaggio, questo perché è

proprio qui che vengono conferite al prodotto la maggior parte (50-70%) delle caratteristiche

che ne determinano la performance. Sono state introdotte delle innovazioni anche nel processo

di vulcanizzazione: esempi sono dati dall’Impact che ha eliminato le tradizionali presse e da

Continental che, invece, usa le microonde.

Pirelli e Michelin sono le uniche a destinare i propri prodotti solo a determinate categorie di

pneumatici, e cioè quelli appartenenti a segmenti al top del mercato, come HP per moto e

automobili, run-flat e per SUV; per questo il MIRS e il C3M non sono stati progettati per

essere estesi a tutti gli impianti, a differenza degli altri.

Il MIRS e il C3M sono, quindi, i sistemi che sembrano assomigliarsi maggiormente anche

perché entrambi sono stati concepiti per essere spostabili a seconda delle esigenze del mercato,

anche se la flessibilità dell’impianto di Michelin in questo senso sembra essere maggiore.

A questo punto è interessante proporre delle considerazioni sugli impianti che le varie imprese

possiedono nel mondo per valutare la distribuzione sia dei nuovi sistemi produttivi che della

produzione del run-flat.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 144

4.5 Gli impianti produttivi

In tabella 4.20 sono riportate le linee produttive possedute dalle top10 evidenziando i casi in

cui se ne conoscono le caratteristiche, sia per quanto riguarda i sistemi produttivi che la

produzione.

COMPAGNIA IMPIANTO CARATTERISTICHE

Fulda, Germania RSFAM per run-flat e Pax (2002). Dal 2001 pneumatici per autoveicoli con IMPACT. Impianto focalizzato su HP

Luxembourg: Colmar-Berg

IMPACT (impianto pilota nel 2000). Dal 1999 Pneumatici per autocarri

Hanau, Germania Run-flat con RFSAM (2003). Anche DSST, Dunlop Self-Supporting Tire

Philippsburg, Germania IMPACT per automobili ed autocarri Lawton, Okla. Run-flat. RFSAM (2003) e anche IMPACT Danville (Virginia); IMPACT (impianto pilota nel 2000). Dal 1999 pneumatici per

autocarri Napanee (Ontario), IMPACT (impianto pilota nel 2000)

GOODYEAR

Altri impianti: Cina: Dalian; India: Hariana, Aurangabad; Indonesia: Bogor; Giappone: Tatsuno; Malesia: Selangor; Filippine: Manila; Taiwan: Taipei; Tailandia: Bangkok; Australia: Somerton, Thomastown, West Footscray; NZ: Wellington; Francia: Amiens, Montlucons; Germania: Fürstenwalde, Riesa, Wittlich; Italia: Latina; Polonia: Debica; Slovenia: Kranj; UK: Birmingham, Washington, Wolverhampton; Marocco: Casablanca; SA: Uitenhage; Turchia: Adapazari, Izmit; Canada: Medicine Hat (Alberta), Valleyfield (Quebec); Messico: Mexico City; US: Gadsden (Alabama), Huntsville (Alabama), Freeport (Illinois), Topeka (Kansas), Buffalo (New York), Fayetteville (North Carolina), Akron (Ohio), Lawton (Oklahoma), Union City (Tennessee), Tyler (Texas), Argentina: Buenos Aires; Brasile: Americana, Sao Paulo; Cile: Santiago; Colombia: Cali; Guatemala: Guatemala City; Perù: Lima; Venezuela: Valencia. Greenville (South Carolina),

C3M

Clermont-Ferrand (Francia)

C3M

Lille (Francia) C3M Kuingaiv (Svezia) C3M per “winter tires”. Chiuso in 2001 (uno dei primi ad

essere equipaggiato con il C3M data la produzione inefficiente)Reszende (Brazil) C3M Reno (Nevada), C3M. Aperto nel 1997 ma sta per chiudere

MICHELIN

Altri impianti: Cina: Shen Yang; Giappone: Tokyo; Filippine: Manila; Tailandia: Hong Khae, Laem Chabang, Bangkok; Francia: Bourges, Cholet, , Le Puy, Montceau/Mines, Poitiers, Roanne, La Roche/Yon, , St Priest, Toul, Tours, Troyes; Germania: Bad Kreuznach, Bamberg/Hallstadt, Homburg/Saar, Karlsruhe; Ungheria: Budapest, Nyiregyhaza; Italia: Alessandria, Cuneo, Turin/Stura; Polonia: Olsztyn; Spagna: Aranda de Duero, Lasarte, Valladolid, Vitoria; Svezia: Gothenburg; UK: Ballymena, Burnley, Dundee, Stoke-on-Trent; Algeria: Algiers; Nigeria: Port Harcourt; Canada: Bridgewater (Nova Scotia), New Glasgow (Nova Scotia), Waterville (Nova Scotia), Kitchener (Ontario); Messico: Queretaro, Tacuba; US: Dothan (Alabama), Opelika (Alabama), Tuscaloosa (Alabama), Fort Wayne (Indiana), Norwood (North Carolina),Mogadore (Ohio), Ardmore (Oklahoma), Lexington (South Carolina), Spartanburg (South Carolina); Brasile: Rio de Janeiro; Colombia: Bogota.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 145

Aiken Country, South Carolina, US

Automazione delsistema di costruzione dei pneumatici

Saga Prefecture 100000 run-flat. (Si prevede di produrne 1,5milioni entro 2005)

BRIDGESTONE

Altri impianti: India: Indore/Madhya; Indonesia: Bekasi-Jawa, Kerawan (West Java); Cina: Santai (Shenyang); Giappone: Amagi, Hikone, Hofu, Kurume, Nasu, Shimonoseki, Tochigi, Tokyo, Tosu; Taiwan: Hsin-chu; Tailandia: Nong Khae, Rangsit/Patoom-Thani; Australia: Salisbury; Nuova Zelanda: Christchurch; Francia: Bethune; Italia: Bari; Polonia: Poznan; Spagna: Bilbao, Burgos, Torrelevaga; Kenya: Nairobi; Turchia: Izmit; Sud Africa: Brits, Port Elizabeth; Canada: Joliette (Quebec); Messico: Cuernavaca, Mexico City; US: Bloomington (Illinois), Decatur (Illinois), Des Moines (Iowa), Wilson (North Carolina), Akron (Ohio), Oklahoma City (Oklahoma), Aiken (South Carolina), La Vergne (Tennessee), Warren County (Tennessee); Argentina: Buenos Aires; Brasile: Sao Paulo; Cile: Coquimbo; Costa Rica: San Jose; Venezuela: Valencia. Breuberg (Germania,1987)

MIRS. Run-flat per Mini Cooper. 2 milioni di pneumatici MIRS all’anno. MIRS moto (125.000 HP all’anno)

Milano Bicocca Impianto pilota per tutti i MIRS. 2002 MIRS moto Burton-on-Trent, UK 2 linee MIRS in funzione (HP and UHP) 2002 Rome, Ga, US MIRS 2002 (Sede della Pirelli Nord America). PZero (17 and

18; the 19-inch prodotto in Europa) Bahia, Brasile Per la distribuzione in Nord America Izmit, Turchia Pneumatici all-steal ad uso industriale Tivoli, Italia Pneumatici per l’agricoltura. 800 unità al giorno. In jv con

Telleborg Metzeler, Germania Pneumatici moto ad alte prestazioni (2002)

PIRELLI

Altri impianti: Italia: Bollate, Settimo Veicoli, Settimo Vettura; Spagna: Manresa; UK: Carlisle; Egitto: Alexandria; US: Hanford (California); Argentina: Buenos Aires; Brasile: Feira de Santana, Gravatai, Santo Andre, Sao Paulo; Venezuala: Valencia. Mount Vernon (Illinois) ESA Herstal (Belgio) Chiusa la produzione di pneumatici per autocarri per dare

spazio a quelli per autoveicoli prodotti con l’MMP Traiskirchen (Austria) MMP 2000 Korbach (Germania) Prototipo MMP

CONTINENTAL

Altri impianti: Pakistan: Karachi; Repubblica Ceca: Otrokovice; Francia: Clairoix, Sarreguemines; Germania: Aachen, Hanover-Stöcken; Portogallo: Lousada; Romania: Timosoara; Slovacchia: Puchov; Svezia: Gislaved; Marocco: Casablanca; Sud Africa: Port Elizabeth; Tanzania: Arusha; US: Mayfield (Kentucky), Charlotte (North Carolina), Bryan (Ohio); Messico: Guadalajara, San Luis Potosi; Ecuador: Cuenca. Shirakawa, Fushima (Giappone)

TAIYO. Pneumatici per autoveicoli. SUV e run-flat dal 2004

Nagoya TAYO prototipo

SUMITOMO

Izumi-Ohtsu TAIYO per run-flat and SUV KUMHO Cina: Changchung, Nanjing, Tianjin;

South Korea: Koksung, Kwangju. TOYO Cina: Kun Shan/Jian Su;

Giappone: Kuwana, Sendai, Tatsuno; US: Mount Vernon (Illinois).

YOKOHAMA Giappone: Hiratsuka, Mie, Mishima, Onomichi, Shinshiro; Philippines: Clark Econ. Zone; Vietnam: Ho Chi Minh City; US: Mount Vernon (Illinois), Salem (Virginia).

COOPER US: Texarkana (Arkansas), Albany (Georgia), Tupelo (Mississippi) Findlay (Ohio) UK: Melksham

Tabella 4.20 Impianti produttivi posseduti dalle top1039

39 Fonti per le caratteristiche dei vari impianti: Tire Business “Tire Production European Facilities 2002”e Modern Tire Dealer “Nord America Plant Capacities 2002”, nonché riviste di settore. Per le imprese giapponesi le informazioni sono incomplete.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 146

Il Modern Tire Dealer riporta che nel 2003 il 25,8% della produzione di pneumatici è avvenuta

negli Stati Uniti, il 17% in Giappone, il 7,1% in Cina e Sud Corea, il 6,7% in Germania e

Francia e solo il 3,4% in Italia. In questi ultimi anni sono aumentati anche gli investimenti

delle compagnie leader, specialmente Pirelli, Continental e Michelin, in Brasile (esso si è

infatti aggiudicato il 3,6% della produzione mondiale nel 2003): il fenomeno trova

probabilmente spiegazione nel fatto che il paese permette bassi costi produttivi e facilita, sia

dal punto di vista geografico che economico, i contati con il mercato nord americano.

Come avviene in gran parte dei settori, in molti casi le imprese produttrici tendono a collocare i

propri impianti nelle stesse zone geografiche dei diversi paesi: ad esempio Izmit in Turchia

ospita Pirelli, Bridgestone e Goodyear o Mt.Vernon negli Stati Uniti, Toyo,Yokohama e

Continental.

Come si può notare dalla tabella, la maggioranza dei sistemi innovativi sono stati insediati in

Europa, soprattutto in Germania, Francia e nei Paesi Bassi, e negli Stati Uniti; l’unico caso di

collocazione in Sud America è rappresentato dal C3M di Michelin a Rezende in Brasile. La

tendenza delle compagnie è di testare le nuove linee prima di tutto nel loro paese di

provenienza; Sumitomo addirittura non ha mai esportato il Taiyo al di fuori del Giappone.

Le strategie seguite dalle imprese nella scelta degli impianti in cui installare questi nuovi

sistemi sono diverse. Continental, ad esempio, ha collocato l’MMP nei suoi impianti di

dimensioni maggiori (eccetto quello di Otrokovick in Repubblica Ceca), nella maggior parte

dei quali è stata cambiata la produzione da pneumatici per veicoli industriali, OTR e autocarri,

a quelli destinati agli autoveicoli. Michelin, invece, non ha scelto una strategia di questo tipo:

infatti il C3M è presente in impianti enormi come quello di Clermont-Ferrand (16.200

dipendenti) ma anche molto piccoli come Kuingaiv in Svezia (poco più di 100 addetti).

Goodyear, a sua volta, ha collocato l’Impact in linee dedite per lo più alla produzione di

pneumatici per automobili, nel caso di Fulda ad alta performance, o per autocarri; l’azienda

intende sviluppare quest’ultima produzione, anche grazie al nuovo sistema produttivo,

soprattutto a Colmar-Berg in Lussemburgo.

La produzione dei run-flat avviene solo in particolari impianti, a testimonianza di una divisione

produttiva nei vari stabilimenti a seconda delle caratteristiche del prodotto: ad esempio

Beuberg e Milano Bicocca per Pirelli, Fulda, Hanau e Lawton per Goodyear e Saga Prefecture

per Bridgestone (delle altre imprese non si hanno informazioni).

Nel caso di Pirelli e Goodyear si può notare che in tutti gli impianti dove si producono i run-

flat sono installati i nuovi sistemi di produzione; si può, così, dedurre che ci sia un

collegamento tra le variabili ma resta da stabilire di che tipo.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 147

Risulta singolare la situazione di Michelin; 2 sui 6 impianti dotati del C3M sono stati chiusi:

questo può essere sintomo di difetti del sistema oppure di decisioni di investimento sbagliate

(motivazione, però, che sembra meno credibile).

.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 148

4.6 Analisi brevettuale

La ricerca riportata in queste pagine è basata sui dati di brevetto presenti nel database EPO-

CESPRI (Università Bocconi, Milano) che copre il periodo dal 1978 al 200140 e che si riferisce

ai brevetti depositati presso l’EPO, l’Ufficio Europeo dei Brevetti.

L’analisi effettuata è concentrata principalmente su Pirelli mantenendo, però, vivo il confronto

con le tendenze principali dell’industria, determinate attraverso uno studio meno

particolareggiato.

Come già anticipato nell’introduzione al capitolo, il lavoro presentato ha due scopi principali:

in primo luogo si propone di esaminare meglio le due tecnologie oggetto dello studio; in

secondo luogo, completa la conoscenza dell’innovazione nell’industria attraverso una

valutazione della consistenza delle conoscenze tecnologiche delle varie compagnie.

L’analisi ripercorre le tappe fondamentali dello studio di Acha e Brusoni (2002) dal quale,

però, si differenzia per due ragioni: quest’ultimo prende in considerazione i brevetti depositati

a livello globale, inoltre, utilizza la riclassificazione Derwent41 che raccoglie i brevetti in base

alle loro applicazioni (utilizzando questo secondo tipo di riclassificazione i dati a disposizione

risultano in numero maggiore).

Lo studio presentato in questa sezione, invece, fa riferimento alla classificazione IPC; essa si

basa su un sistema è gerarchico ed universalmente riconosciuto che associa ad ogni brevetto un

codice formato da 9 caratteri in base alla natura o alle caratteristiche strutturali

dell’invenzione42.

Prima di illustrare il lavoro svolto si accennano alcune limitazioni a cui risulta soggetto. In

primo luogo i dati riguardano le domande di brevetto depositate presso l’Epo, quindi, le

conclusioni estrapolate non possono avere una validità globale. Limitatamente a questo, però,

possiamo affermare che la maggior parte dei brevetti sono stati estesi in tutti i paesi principali e

40 E’utile precisare che la data associata ad ogni brevetto è quella corrispondente al deposito della domanda, da cui decorre la durata del brevetto stesso. Tale data è molto interessante perché decreta il momento dal quale l’impresa inizia ad utilizzare la nuova tecnologia; per quanto riguarda i processi produttivi ciò non corrisponde sempre alla reltà in quanto, grazie all’uso del segreto industriale, il brevetto può essere postumo all’introduzione (senza infrangere la condizione di novità necessaria alla brevettabilità in quanto questo gap temporale è difficilmente dimostrabile). 41 Esistono molti tipi di riclassificazione che partono dal sistema IPC; essi hanno principalmente lo scopo di facilitare analisi e studi da parte di imprese. Nelle interviste all’ing.Sgalari in Pirelli è emerso come, dal momento che la classificazione Derwent si basa sulle applicazioni delle invenzioni, il 20-30% dei brevetti rilevati nel settore del pneumatico non ha valore sia dal punto di vista economico che tecnologico. 42 A scopo chiarificatore riportiamo un esempio di codice basato sulla classificazione IPC, A01B001/02, dove A rappresenta la sezione, A01 la classe, A01B la sottoclasse, A01B001 il gruppo principale e A01B001/02 il sottogruppo. In particolare in questa analisi abbiamo utilizzato la settima edizione della classificazione IPC (in vigore dal 1 gennaio 2000) che consta di 8 sezioni, 120 classi, 628 sottoclassi e circa 69.000 gruppi.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 149

strategici in cui opera Pirelli e i maggiori concorrenti (cioè, oltre all’Europa, Stati Uniti e

Giappone). In secondo luogo i dati a disposizione riguardo Pirelli sono relativi al periodo 1979-

2000; è possibile, quindi, che le informazioni ricavabili riguardo le tecnologie oggetto dello

studio, il pneumatico run-flat Eufori@ e il MIRS, non siano complete dal momento che esse

sono state introdotte e perfezionate a partire dal 2000 stesso.

4.6.1 I dati relativi a Pirelli

Lo studio è iniziato ricercando tutte le imprese appartenenti al gruppo Pirelli aventi brevetti

nel settore pneumatici: nell’arco di tempo considerato sono state individuate 11 compagnie,

come si può notare dalla tabella 4.2143.

Queste imprese mostrano un’attività discontinua nello spazio temporale considerato: come è

possibile notare dalla tabella 4.22, molto probabilmente alcune sono state inglobate in altre

società del gruppo. Solo la società Pirelli Coordinamento Pneumatici ha depositato dei brevetti

in una porzione considerevole dell’arco temporale considerato; l’impresa ha anche offerto il

contributo maggiore relativamente al numero di brevetti prodotti (88). La compagnia al

secondo posto (con 65 brevetti), Pirelli Pneumatici, presenta, tra le 11, l’attività più continua

negli ultimi anni (cioè dal 1996 al 2000). Al terzo posto si trova Industrie Pirelli, molto attiva

negli anni’80, con 29 brevetti depositati. Le imprese al di fuori del gruppo formato da queste

tre compagnie hanno contribuito minimamente al portafoglio brevetti di Pirelli: infatti ben tre

imprese su 11 hanno depositato un unico brevetto.

Dalla tabella 4.21 risulta che i brevetti in possesso di Pirelli nei 22 anni considerati sono stati

204: in figura 4.22 è mostrata la loro distribuzione nei vari anni. Possiamo notare come il

numero di brevetti depositati abbia subito un incremento a partire dal 1996; il brusco calo, da

28 a 10, dal 1999 al 2000, non dipende da cambiamenti interni alla compagnia ma da problemi

del dataset44.

43 Esse sono state estrapolate attraverso una ricerca per parole chiave, estraendo dal database tutte le imprese che avessero nel nome la parola “Pirelli”, ed eliminando quelle per cui la parola tire o tyre non comparisse in nessun titolo dei brevetti. 44 Poiché occorrono da 6 a 18 mesi perché una domanda di brevetto sia pubblicata, le domande del 2000 presenti nei file del dataset che sono aggiornati alle pubblicazioni EPO del 2001, sono molto poche rispetto al totale delle domande effettive.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 150

4.6.2 Le classi tecnologiche di maggiore interesse per Pirelli

Pirelli ha brevettato in tutte 8 macrodivisioni tecnologiche, in 23 classi, 38 sottoclassi e 68

gruppi principali; nell’ allegato 1, a fine sezione, compare l’intero portafoglio brevetti della

compagnia, non limitato solamente ad una trattazione per classi ma per gruppi principali45, e la

divisione citata con relativa descrizione. Il maggior numero di brevetti appartiene alle società

Pirelli Coordinamento Pneumatici e Pirelli Pneumatici. La società al terzo posto, Industrie

Pirelli, presenta una strategia singolare in quanto possiede pochi brevetti nelle classi

tecnologiche di maggior rilevanza per la compagnia ed è l’unica ad aver brevettato in modo

consistente nel gruppo F, relativo all’ingegneria meccanica.

Compagnie Nazionalità Num.brevetti

Industrie Pirelli Italia 29 Pirelli Gran Bretagna 3 Pirelli Italia 2 Pirelli Coordinamento Pneumatici Italia 88 Pirelli Pneumatici Italia 65 Pirelli Pneus BR 1 Pirelli Reifenwerke Germania 6 Pirelli Tire Stati Uniti 1 Pirelli Tyres Gran Bretagna 1 Società Pneumatici Pirelli Italia 8 Totale 204 Tabella 4.21 Compagnie appartenenti al gruppo Pirelli con attività nel settore pneumatici dal 1979 al 2000 e rispettivo numero di brevetti depositati

1979

1980

1981

1982

1983

1984

1985

1986

1987

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

Industrie Pirelli * * * * * * * * * * * * Pirelli * * * * * * * * * Pirelli * * * Pirelli Coord.Pneum. * * * * * * * * * * * * * * * * * * Pirelli Pneumatici * * * * * Pirelli Pneus * Pirelli Reifenwerke * * * * * * * Pirelli Tire * Pirelli Tyres * Soc. Pneum. Pirelli * * * * * * * Tabella 4.22 Attività delle 10 compagnie all’interno del periodo considerato

45 Dall’allegato si può avere un’idea anche sulla suddivisione dei brevetti per ognuna delle 10 compagnie appartenenti al gruppo. Nelle celle della tabella compare l’anno in cui è stata inoltrata la domanda di brevetto e, in parentesi, il numero di brevetti relativi a quell’anno.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 151

Figura 4.22 Domande di brevetto depositate da Pirelli dal 1979 al 2000

Da ciò possiamo dedurre che la società si occupava (l’utilizzo del passato è d’obbligo in quanto

la compagnia sembra aver smesso la propria attività nel 1990) della progettazione delle

tecnologie relative al sistema di produzione; attività che oggi sembra appartenere soprattutto

alla società Pirelli Pneumatici e Pirelli Coordinamento Pneumatici, come vedremo in seguito.

La figura 4.23 propone una prima valutazione riguardo il numero di brevetti per ognuna delle

23 classi tecnologiche.

Come si può osservare dalla figura, solo 5 classi tecnologiche su 23 presentano un numero

considerevole di brevetti depositati: in esse è registrato l’84,8% dei brevetti totali di Pirelli

nell’arco di tempo considerato. Tali classi sono correlate all’attività della compagnia: infatti,

B29 è relativa alla lavorazione di plastica o di sostanze nello stato plastico, B60 ai veicoli in

generale, F16 all’ingegneria meccanica per la produzione di elementi per la costruzione di

macchinari o per mantenerne l’effettivo funzionamento, G01 riguarda misurazioni e test e C08

è inerente ai composti macromolecolari organici. La maggioranza dei brevetti depositati

relativamente alla classe B29 riguarda il processo di vulcanizzazione. Per quanto riguarda la

classe B60, invece, l’attenzione maggiore è stata rivolta a tecnologie per l’abbassamento della

resistenza al rotolamento.

In figura 4.24 esaminiamo l’andamento dei brevetti nel corso del tempo per le cinque classi di

maggiore interesse.

1

4

8

45

11 11

5 56

4

7

13

7

56 6

17

25

16

28

10

1

4

8

45

11 11

5 56

4

7

13

7

56 6

17

25

16

28

10

0

5

10

15

20

25

30

1979 1980 1981 1982 1083 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Anni

Num

. Bre

vetti

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 152

Figura 4.23 Distribuzione dei brevetti per classe tecnologica Figura 4.24 Andamento del numero di brevetti nelle cinque classi di maggior interesse per Pirelli nel tempo

2 1 2 1

47

3

89

13

9

1 24

1 2 1 2 1 2

12

1

16

10

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Classi tecnologiche

Num

.Bre

vetti

A47A61A62B22B29B32B60B64B65C08C22C23C25D07E02E04F03F04F15F16F24G01H02

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

anno

Num

.Bre

vetti B60

B29G01F16C08

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 153

L’attività di brevettazione della compagnia nelle due classi di maggior interesse risulta molto

oscillante nel tempo. La classe B60 è l’unica ad avere brevetti per tutto l’arco di tempo

considerato: essa ha riportato un picco centrato nel 1997 con una considerevole salita a partire

dal 1995 ed un’altrettanto forte discesa fino al 2000, l’ultimo anno considerato.

Le classi G01 e C08 presentano una copertura temporale molto simile: infatti, hanno fatto

un’apparizione solo in un anno (il 1980 per G01 e il 1991 per C08), per poi essere coinvolte

definitivamente nei brevetti della compagnia (come si può notare dalla figura, troviamo

brevetti nella classe G01 a partire dal 1992 e in C08 dal 1995).

La classe F16 compare solo tra il 1983 e il 1988; curioso è il fatto che in tutto il gruppo F (che

ricordiamo legato all’ingegneria meccanica) possiede brevetti solamente la società Industrie

Pirelli, tranne che per un brevetto nel 1996 nella classe F24 di Pirelli Tyres (GB), come si può

notare nell’allegato 1.

Dalla tabella riportata in allegato 1 riassumiamo che i gruppi principali di maggior interesse per

Pirelli sono quattro:

- B29D030 (34 brevetti) relativo alla produzione di pneumatici, anche solidi, o di parti di

essi;

- B60C009 (26 brevetti) relativo al rinforzo o alla disposizione degli stati di materiale nei

pneumatici;

- B60C011 (30 brevetti) relativo al progetto e alla costruzione del battistrada dei

pneumatici;

- G01M017 (9 brevetti) relativo ai test dei veicoli.

Delle 23 classi tecnologiche coinvolte nei brevetti di Pirelli dal 1979 al 2000, ne riscontriamo 8

senza un’apparente relazione con la produzione della compagnia. Le classi in questione sono:

- A47 (2 brevetti): mobili ed accessori domestici;

- A62 (2 brevetti): apparati salva-vita soprattutto contro il fuoco;

- E02 (2 brevetti): ingegneria idraulica;

- A61 (1 brevetto): igiene, scienze mediche e veterinarie;

- B64 (1 brevetto): aviazione ed aeronautica, specialmente apparati di emergenza;

- D07 (1 brevetto): funi e cavi (settore tessile);

- E04 (1 brevetto): costruzioni;

- H02 (1 brevetto): distribuzione di energia elettrica.

Come si può notare, solamente 11 brevetti sui 204 totali, e cioè il 5,4%, sono inerenti a classi

tecnologiche non strettamente correlate con la produzione; essi sono stati depositati entro il

1990, ad eccezione di quello relativo alla classe D07 che risale al 1996. Un’ulteriore

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 154

osservazione che emerge osservando i dati è che i due brevetti nelle classi D07 e H02 sono

relativi ai cavi, settore in cui Pirelli opera: probabilmente, però, il brevetto in D07 riguarda i

pneumatici poiché è classificato nel settore tessile.

Alcune delle classi in cui compaiono i brevetti di Pirelli si staccano dai campi più legati al

prodotto ma risultano facilmente collegati al processo produttivo; essi rappresentano una parte

importante del portafoglio brevetti, in quanto ogni impresa, per ragioni di segretezza e di

possibilità di imitazione, tende a produrre in casa le proprie linee. Le classi in questione sono

sette:

- B29 (47 brevetti): lavoro di sostanza plastiche;

- F16 (12 brevetti): mantenimento della funzionalità di macchinari ed impianti;

- B65 (3 brevetti): trasporto, immagazzinamento e uso di materiali sottili o filamentosi;

- F03 (2 brevetti): macchinari per trattare con liquidi e fluidi;

- F15 (2 brevetti): attuatori per la pressione dei fluidi;

- F04 (1 brevetto): macchinari per fluidi;

- F24 (1 brevetto): riscaldamento e ventilazione.

I brevetti relativi alle tecnologie necessarie alla produzione di pneumatici riguardano circa il

33% del totale.

Se si considera il primo gruppo di classi, Pirelli non sembra aver seguito, almeno fino al 2000,

una strategia completa di diversificazione tecnologica in quanto il portafoglio brevetti relativo

risulta troppo debole rispetto al totale; se, però, si valutano anche le tecnologie inerenti alla

costruzione dei macchinari da impiegare in produzione e i brevetti nella classe G01, relativi a

test e misurazioni sui veicoli, la situazione cambia e il peso delle tecnologie slegate al prodotto

aumenta al 46,6%.

Risulta interessante osservare che, con quest’ultima condizione, 3 delle 5 classi che possiedono

il numero più elevato di brevetti nell’arco di tempo considerato, B29, G01 ed F16, risultano

segno delle diversificazione tecnologica attuata dalla compagnia.

Analizzando le 8 macrosezioni in cui sono raggruppati i brevetti possiamo affermare che quello

più utilizzato da Pirelli è B e in particolare le classi legate al pneumatico; al secondo posto,

però, si può trovare F, che raccoglie le invenzioni riguardanti l’ingegneria meccanica. Solo al

terzo posto appare uno dei campi tradizionalmente più collegati al pneumatico, cioè la chimica

(contraddistinta dalla lettera C) per cui si riscontrano molti brevetti legati alla metallurgia.

Tramite una prima analisi sulle classi tecnologiche di interesse di Pirelli non è stato possibile

scoprire alcun brevetto immediatamente riconducibile alle nuove tecnologie oggetto di studio:

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 155

per questo l’indagine è stata ampliata prendendo in considerazione anche i titoli dei brevetti e

gli inventori.

4.6.3 Brevetti di Pirelli relativi al pneumatico run-flat e al MIRS

Lo studio relativo ai brevetti connessi alle tecnologie analizzate in questa tesi è stato condotto

seguendo vari passi:

- prima di tutto sono stati valutati i brevetti con un titolo significativamente collegato alle

due tecnologie in questione: sono stati trovati due brevetti, EP475258 e EP54225246.

Dopo aver identificato gli inventori dei due brevetti in questione è stato verificato se tra

tutti i loro brevetti ce ne fossero altri inerenti alle due tecnologie considerate, non

ottenendo alcun risultato.

- In secondo luogo la ricerca è stata direzionata verso tutti i brevetti in cui compariva

come inventore Renato Caretta, il progettista del MIRS, trovando 36 risultati.

- Dal momento che 21 di questi 36 brevetti risultavano avere anche altri inventori

assieme a Caretta, la ricerca è stata estesa anche a tutti i brevetti di questi altri inventori.

- L’ultimo passo è stato cercare tra tutti i brevetti di Pirelli titoli simili a quelli delle

invenzioni identificate nei passi precedenti.

La ricerca descritta sopra ha portato a 8 risultati riportati in tabella 4.23.

E’necessario precisare che tali risultati forniscono solo una limitata visione dei brevetti relativi

alle due tecnologie in quanto la stessa Pirelli dichiara che il MIRS è coperto da 22 brevetti

(Pirelli Fatti e Notizie, settembre 2000), già depositati nel 2000, mentre il CCM da sette

famiglie di brevetti, che, però, con tutta probabilità, successivi al periodo di tempo considerato

nell’analisi effettuata (Pirelli Fatti e Notizie, luglio 2002).

Oltre al pneumatico run-flat, per il quale risultano 4 brevetti e per il MIRS, per cui compaiono

2 brevetti, riportiamo anche i brevetti relativi ai sensori per il monitoraggio della pressione dei

pneumatici, dato che sono stati presentati nel quarto capitolo come tecnologie correlate a quelle

considerate.

In allegato 2 è possibile visualizzare l’intero contenuto di questi brevetti.

46 Ad ogni brevetto è associato un numero univoco al momento di pubblicazione della domanda, preceduto da una sigla di 2 lettere che ne indica l’estensione (EP, Europa; IT, Italia; JP, Giappone; US, Stati Uniti e WO, a livello globale).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 156

Cod. Tecnol. Compagnia Data Classe Titolo Inventori EP475258 Run-flat Pir.Coord.Pn. 1991 B60C017/00A Self-supporting carcass for motor-

vehicle tyres G.Ghilardi

EP542252 Run-flat Pir.Coord.Pn. 1992 B60C017/00A Self-bearing tyre for motor-vehicle wheels incorporating elastic-support inserts in the sidewalls

G.Ghilardi

EP695935 Sen.pres. Pir.Coord.Pn. 1995 G01L017/00A Device for detecting the distribution of a specific pressure in the ground contacting area of a motor-vehicle tyre, and detection method carried out thereby

F.Mancosu, C.Di Bernardo

EP875364 MIRS Pirelli Pneum. 1998 B29D030/00A Method and plant for producing a plurality of different tyres

R.Caretta

EP911359 MIRS Pirelli Pneum. 1997 C08K003/36A Continuous process for producing rubber material containing silica filler and tyres incorporating this material

R.Caretta, R.Pessina, A.Proni

EP919405 Run-flat Pirelli Pneum. 1997 B60C005/20A A tyre air tube and related manufacturing process

R.Caretta, F.Mancosu

EP1030789 Run-flat Pirelli Pneum. 1998 B60C005/20A A tyre air tube and related manufacturing process

R.Caretta, F.Mancosu

EP1057664 Sen.pres. Pirelli Pneum. 2000 B60C023/04A System for checking the air pressure in the tyres of a motor vehicle

R.Caretta, M.Cantu

Tabella 4.23 Informazioni relative agli 8 brevetti inerenti alle tecnologie oggetto dello studio

Dalla tabella 4.23 si può notare come la maggior parte dei brevetti sia stata richiesta a partire

dal 1997; le uniche eccezioni sono rappresentate dalle prime tre righe in tabella. Sono gli ultimi

cinque brevetti, però, a risultare più interessanti in quanto i primi tre si riferiscono a tecnologie

per veicoli a due ruote che possiamo ipotizzare precursori di quelle sviluppate

successivamente.

I brevetti mostrati in tabella sono stati tutti richiesti dalle 2 imprese più attive (l’attività della

terza impresa con un numero di brevetti degno di nota, Industrie Pirelli, infatti, risulta essersi

fermata al 1990 e aver avuto una continuità solo nel macrogruppo F, non strettamente correlato

alle tecnologie considerate). Inoltre, poiché anteriori cronologicamente, i primi tre brevetti

sono stati depositati da Pirelli Coordinamento Pneumatici, anziché da Pirelli Pneumatici che ha

iniziato la propria attività nel 1996.

I brevetti riguardanti le tecnologie run-flat appartengono tutti e 4 alla stessa classe tecnologica.

Per quanto riguarda il sistema produttivo e i sensori per il monitoraggio della pressione, invece,

la situazione appare differente. Nel primo caso la differenza è spiegabile notando che il

brevetto EP875364 risulta essere relativo ad un sistema di costruzione del pneumatico, mentre

l’EP911359 alla gestione dei componenti in ingresso che possiamo collegare, più che al MIRS

in sé, al CCM, il nuovo sistema di gestione delle mescole. Le due classi riguardanti il controllo

della pressione dei pneumatici sono solo in apparenza diverse, come appare subito chiaro

consultando l’allegato 1.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 157

Un’ultima considerazione proposta riguarda gli inventori: le tecnologie relative al MIRS

coinvolgono tutte Renato Caretta, che ne risulta anche l’inventore ufficiale in base alle

informazioni divulgate da Pirelli. L’innovazione connessa alle proprietà run-flat, invece, è

passata da Ghilardi a Caretta e Mancuso.

A questo punto si è ottenuta una conoscenza abbastanza approfondita dell’attività brevettuale

di Pirelli ma per trarre delle considerazioni a livello generale è necessario prendere in

considerazione anche le altre compagnie principali operanti nell’industria.

4.6.4 Uno sguardo all’attività innovativa dell’intera industria attraverso l’analisi dei

brevetti

Per i dati relativi alle altre imprese appartenenti al gruppo delle top10 si è utilizzato lo stesso

database da cui si sono ricavate le informazioni per Pirelli; in questa seconda indagine, però, le

osservazioni si sono limitate alle classi tecnologiche per una minore la complessità. Inoltre, si è

mantenuto sempre visibile il paragone con Pirelli, per avere modo di ampliare ulteriormente la

visione dell’attività innovativa della compagnia.

Nel database è stata effettuata una ricerca partendo dal nome di ogni compagnia; per ciascuna

sono state trovate diverse società tra cui sono state considerate solo quelle aventi almeno un

brevetto comprendente la parola tire o tyre nel titolo.

E’importante precisare che i dati raccolti per Kumho, Toyo e Cooper sono incompleti e poco

significativi: con molta probabilità questo dipende dal fatto che Cooper lavora solo nel mercato

del ricambio, prevalentemente americano, e che le due compagnie orientali sono le più

concentrate nei loro mercati domestici e con l’attività più debole in Europa al cui ufficio

brevetti l’indagine presentata fa riferimento.

La figura 4.25 riporta l’attività brevettuale del settore nel periodo di tempo considerato47

mentre la figura 4.26 scompone i dati mettendo in luce il contributo di ogni impresa.

L’andamento dell’attività innovativa dell’industria è sostanzialmente crescente, soprattutto dal

1997 (non si considera il pesante abbassamento relativo al 2001 in quanto per quest’ultimo

anno le informazioni risultano incomplete).

47 I dati relativi al 1978 e al 2001sono stati riportati per completezza ma non considerati perché non disponibili per tutte le compagnie incluse nell’analisi.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 158

Figura 4.25 Attività brevettuale dell’intera industria dal 1978 al 2001

Figura 4.26 Andamento dell’attività brevettuale dal 1978 al 2001 delle top10

1978

1979

1980

1981

1982

1983

1984

1985

1986

1987

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

1 7 728 29 36

65 6378

89

114

182 188

215235

194187 185

200

270

303

342

293

36

0

50

100

150

200

250

300

350

Num.Brev.

Anni

0

20

40

60

80

100

120

140

160

1978

1979

1980

1981

1982

1983

1984

1985

1986

1987

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

Anni

Nu.

Bre

v.

PirelliGoodMicheBridgContinSumitYokoKumToyoCoop

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 159

Tra le sette maggiori compagnie possiamo individuare delle attività molto differenti nel corso

degli anni. Per Michelin e Continental il processo di richiesta di brevetti sembra seguire un

trend crescente (ad eccezione di un picco per Continental dal 1982 al 1986). L’andamento del

numero di brevetti di Goodyear e Bridgestone risulta soggetto a diversi picchi anche se appare

crescere nel corso degli anni. L’attività di Pirelli e Yokohama risulta più o meno costante con

un picco nel 1997 e, per Pirelli, anche nel 1999. Sumitomo, invece, ha riportato un’intensa

attività brevettuale nei primi anni’90 con valori abbastanza elevati anche negli ultimi anni.

In alcuni casi nell’andamento del numero di brevetti delle varie compagnie nel periodo

considerato è possibile riscontrare gli effetti della loro attività di fusioni ed acquisizioni. Ciò

appare particolarmente chiaro nel caso di Bridgestone che, in seguito all’acquisizione di

Firestone (1988) passa da 39 brevetti del 1988 ad 80 nel 1989 (negli undici anni precedenti

l’acquisizione Bridgestone aveva accumulato 150 brevetti mentre negli undici seguenti 1084).

Nei brevetti di Bridgestone non sono contemplati quelli di Firestone; la differenza numerica

sottolineata, quindi, dimostra come la compagnia abbia saputo sfruttare maggiormente la

diffusione di Firestone in Europa.

4.6.5 Le classi tecnologiche di interesse per l’industria

In tabella 4.24 riassumiamo il numero di brevetti depositati dalle maggiori compagnie nel

corso dei 24 anni considerati e il numero di classi tecnologiche a cui essi fanno riferimento48.

Compagnie Tot.brev. Classi tec. Bridgestone 1342 53 Goodyear 1230 41 Continental 517 33 Michelin 514 30 Sumitomo 762 28 Pirelli 204 23 Yokohama 155 18 Cooper 13 9 Kumho 27 7 Toyo 17 5 Tabella 4.24 Attività brevettuale e classi tecnologiche relative alle 10 maggiori compagnie

48 Dall’intervista all’ing.Sgalari in Pirelli è emerso come i brevetti provenienti dalle varie parti del mondo vadano considerati e pesati in modo diverso perché, ad esempio, in Giappone si brevettano anche invenzioni a basso contenuto tecnologico e commerciale; questo è dovuto più a ragioni culturali che strategiche.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 160

La quantità di brevetti prodotti riflette sostanzialmente l’ordine di dimensione di mercato delle

varie compagnie (esposto nel quarto capitolo), con l’eccezione di Sumitomo e Michelin che

hanno richiesto rispettivamente un numero di brevetti superiore ed inferiore se confrontato con

la loro posizione nel gruppo delle top10 limitatamente a volume di vendite.

Come si può osservare le classi tecnologiche coinvolte nei brevetti dell’industria sono 78: esse

forniscono una dimostrazione del fatto che il settore sia diversificato a livello di campi di

provenienza del sapere acquisito dal momento che il numero totale di classi contemplate dalla

settima edizione della classificazione IPC è 120.

Le imprese più diversificate dal punto di vista delle conoscenze tecnologiche possedute sono

Bridgestone e Goodyear. I risultati ottenuti si differenziano in modo considerevole rispetto a

quelli dello studio di Acha e Brusoni (2002), nel quale, però, non sono stati considerati solo i

brevetti europei, avendo attinto alla World Intellectual Property Organisation (Wipo). In

quest’ultima analisi Bridgestone, Yokohama, Toyo e Sumitomo sembrano le imprese con la

più alta varietà in quanto a conoscenze tecnologiche se confrontate con Pirelli, Continental,

Michelin e Kumho, che presentano strategie di brevettazione più mirate; Goodyear risulta in

mezzo a questi due gruppi.

Come si può notare dalla figura 4.27, le compagnie dell’industria hanno depositato i loro

brevetti in tutte le 8 macro-sezioni alla base della classificazione IPC.

Le sezioni più utilizzate nei brevetti sono la B e la C che rappresentano dei campi, trasporti e

chimica rispettivamente, tradizionalmente collegati all’industria. Una discreta percentuale di

domande di brevetto riguarda anche le sezioni F (ingegneria meccanica) e G (fisica) mentre le

altre hanno una valenza puramente marginale.

Nella figura 4.28 emerge in modo più chiaro la situazione per ogni compagnia. Per tutte,

eccetto Kumho, la maggioranza dei brevetti è depositata in B: per Pirelli, Michelin, Continental

e Sumitomo tale maggioranza è notevole, mentre per Goodyear, Bridgestone e Yokohama

risulta molto importante anche la sezione C. Toyo e Cooper presentano un considerevole

numero di brevetti anche in F e Kumho e Cooper in G.

Come si può notare dalla figura, tra le top7 l’unica a presentare un congruo numero di brevetti

in A è Sumitomo: essi sono per lo più nella classe A63 relativa a sport e giochi, infatti,

appaiono legati alla produzione di palline da golf in cui la compagnia è produttivamente

diversificata. I brevetti in D, posseduti in particolare da Michelin, Goodyear e Bridgestone,

sono connessi alla produzione del pneumatico in quanto riguardano principalmente conoscenze

su fibre naturali (D01) e cavi e funi non per il trasporto di energia (D07).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 161

Figura 4.27 Percentuale di brevetti depositati per ognuna delle 8 macrosezioni (A, B, C, D, E, F, G, H) IPC

Figura 4.28 Percentuale di brevetti posseduta dalle varie compagnie nelle 8 macrosezioni

2%

1%

4%

1%

61%

5%

2%

24%

A

B

C

D

E

F

G

H

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Pirelli Goo Mich Brid Cont Sumi Yoko Kum Toyo Coop

HGFEDCBA

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 162

Solo Bridgestone risulta possedere un consistente numero di brevetti in E (macrosezione

relativa alle costruzioni) ed in particolare relativamente all’ingegneria idraulica (E02) e alle

costruzioni (E04): anche se tale attività della compagnia risulta poco spiegabile, è

probabilmente riconducibile a delle connessioni con lo sviluppo delle linee produttive.

Per quanto riguarda la sezione G, in cui possiedono brevetti tutte le compagnie tranne Toyo,

l’attività principale risulta nella classe G01 relativa a sistemi di misurazione e test, in

particolare sui veicoli.

Bridgestone, oltre a Kumho, è l’unica compagnia a possedere una discreta percentuale di

brevetti in H, nello specifico nelle classi H01 e H05 relative ad elementi elettrici di base e a

tecniche elettriche rispettivamente. Come abbiamo visto dall’analisi effettuata per Pirelli non è

possibile ricondurre l’interesse delle compagnie nei sistemi elettrici allo sviluppo dei sensori

per il monitoraggio della pressione dei pneumatici in quanto essi risiedono in altre classi di

brevetti (ad esempio per Pirelli B60 e G01).

In seguito all’analisi effettuata state individuate 7 classi tecnologiche con un importante

numero di brevetti, come si può osservare in tabella 4.2549.

Classe Descrizione Num.brev. Percent. B60 Vehicles in general 1940 40,57% C08 Organic macromolecular compounds 939 19,64% B29 Working of substancies in a plastic state 747 15,63% F16 Engineering elements or units 225 4,71% G01 Measuring, texting 145 3,03% C07 Organic chemistry 93 1,94% B65 Handling of filamentary materials 76 1,6%

Tabella 4.25 Classi tecnologiche con il maggior numero di brevetti depositati a livello globale

Nella figura 4.29 è presentato l’andamento nel tempo (considerando un arco temporale dal

1987 al 2000 raggruppato in sottoperiodi di due anni) delle 5 principali classi di maggior

interesse per l’industria.

Come si può notare F16 e G01 presentano un andamento sostanzialmente costante. B60 e C08

sono caratterizzate da uno sviluppo simile con un trend crescente, tranne nell’ultimo biennio

considerato.

49 La percentuale è espressa in base al numero totale di brevetti prodotte dalle 10 compagnie che risulta paria a 4782.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 163

Figura 4.29 Andamento delle 5 classi con il numero maggiore di brevetti dal 1987 al 2000 Figura 4.30 Percentuale di brevetti posseduti dalle varie compagnie nelle 7 classi tecnologiche di maggior interesse

0

50

100

150

200

250

300

350

400

87/88 91/92 93/94 95/96 97/98 99/00

Anni

Num

.Bre

v.

B60C08B29F16G01

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Pirelli Goo Mich Brid Cont Sumi Yoko Kum Toyo CoopCompagnie

B65

C07

G01

F16

B29

C08

B60

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 164

La classe B29, invece, ha mostrato un picco nel numero di brevetti nei primi anni ’90 e dal

1999 sembra in crescita.

La figura 4.30 riassume l’attività brevettuale di ciascuna compagnia considerata rispetto alle

classi tecnologiche presentate in tabella 4.25.

La divisione del portafoglio brevetti nelle classi tecnologiche di maggior interesse sembra

simile tra le varie imprese con l’eccezione di Kumho, Yoyo e Cooper.

Tale diversità nel comportamento, come è già stato precedentemente affermato, è spiegabile

dal fatto che Cooper si dedica solamente al mercato del ricambio mentre Toyo e Kumho sono

le compagnie orientali di dimensioni ed apertura minori nei confronti dell’occidente

appartenenti al gruppo delle top10. Dalla figura possiamo notare come Cooper non presenti

alcun brevetto in classi riguardanti la chimica ed i materiali a differenza di Kumho il cui

portafoglio è basato essenzialmente proprio sulle classi C07 e C08 relative al settore chimico.

Toyo brevetta principalmente nel gruppo delle 4 classi di maggior interesse per l’industria.

Tra le top7 possiamo distinguere delle strategie di brevettazione comuni a sottogruppi di

compagnie.

Ad esempio nei brevetti depositati da Pirelli e Continental è riscontrabile una considerevole

maggioranza delle classi B60 e B29 rispetto a C08. Michelin e Sumitomo hanno brevettato

principalmente nella classe B60 dando poco spazio ai brevetti al di fuori delle classi occupanti i

primi tre posti della lista e, quindi, alle tecnologie relative ai sistemi di produzione raccolte, in

gran parte, dalla classe F16. Goodyear, Bridgestone e Yokohama, invece, sembrano avere una

distribuzione del numero di brevetti più equilibrata; in particolare la prima impresa è l’unica,

oltre a Kumho, a dare spazio alla classe C07.

Dall’analisi effettuata emerge che tra le classi tecnologiche coinvolte nel processo di

brevettazione delle maggiori compagnie molte (circa il 41%) non risultano strettamente

collegate alla produzione di pneumatici. Una parte considerevole di queste risulta essere legata

allo sviluppo dei sistemi produttivi: è il caso delle classi appartenenti alle sezioni F ed H ma

anche B24 e B29, come risulta dall’analisi sui brevetti di Pirelli esposta sopra.

Alcune classi, però, sembrano completamente estranee alla produzione; esse sono: A41

(relativa agli accessori per l’abbigliamento), B41 (relativa alla stampa), C04 (relativa a

cemento e ceramica), C12 (relativa alla biochimica), E02 (relativa all’ingegneria idraulica),

E04 (relativa alle costruzioni) e G03 (relativa alla fotografia).

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 165

4.6.6 Allegati

Allegato 1: Gruppi principali coinvolti nel portafoglio brevetti di Pirelli dal 1979 al 2000

con relativa descrizione in base alla classificazione IPC50

50 Nella tabella seguente riportiamo il gruppo B29H017 che non ha alcuna corrispondenza nella classificazione IPC, probabilmente per errori interni al database utilizzato.

INDUST. PIRELLI PIRELLI PIR.COORDIN. PIRELLI PIR. PIRELLI P.T. P.T. SOCIETA'PIRELLI (GB) (IT) PNEUMATICI PNEUMATICI PNE. REIFEN. (US) (GB) PNEUM.P.

A47 C007 2 81(1); 84(1)A61 H001 1 89(1)A62 B009 1 88(1)

B018 1 84(1)B22 F003 1 98(1)B29 C033 3 86(1); 97(1) 99(1)

C035 5 92(1); 96(1) 00(1) 00(1) 83(1)C044 1 93(1)C047 1 98(1)C071 1 98(6)D030 34 83(1) 85(3);87(3); 97(3);98(1);99(7);

89(2) 90(3) 91(5); 00(2)93(1);94(1);95(1);97(1)

H017 2 80(1);82(1)B32 B003 1 90(1)

B015 1 92(1)B027 1 80(1)

B60 C001 2 96(1) 97(1)C003 7 87(1);96(1);97(1) 97(1);00(2) 85(1)C005 2 97(1);98(1)C007 1 84(1)C009 26 83(1);84(1);88(2); 96(1);97(5);98(2); 80(1);81(2)

89(1);91(2);93(1); 99(1)95(1);96(2);97(3)

C011 30 81(1);84(1);85(1); 97(1);98(2);99(4); 92(2);94(1);86(2);90(1);91(3); 00(1) 98(1)92(2);94(1);95(1);96(2);97(2);98(1)

C013 2 94(1) 97(1)C015 7 88(1) 98(2);99(4)C017 3 90(1);91(1);92(1)C019 4 94(1) 97(1);98(1) 86(1)C023 2 99(1);00(1)C029 1 98(1)G007 1 82(1)K005 1 84(1)

B64 D025 1 90(1)B65 G015 1 82(1)

H005 1 85(1)H075 1 84(1)

C08 J003 1 99(1)J005 1 91(1)K003 2 96(1) 97(1)K005 1 99(1)K009 1 91(1)L007 2 97(1) 98(1)L021 1 99(1)

C22 C001 1 99(1)C23 C018 2 95(2)C25 D003 2 96(1) 99(1)

D005 2 88(1) 99(1)D07 B001 2 96(1)E02 B007 2 81(2)E04 F013 1 81(1)F03 G001 2 81(1);85(1)F04 B045 1 96(1)F15 B001 1 83(1)

B007 1 84(1)

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 166

F16 C007 1 85(1)D003 1 84(1)F001 1 83(1)F003 1 84(1)F009 2 84(1);88(1)G001 2 85(1);87(1)G005 2 85(1);86(1)H007 1 85(1)L033 1 84(1)

F24 J003 1 81(1)G01 K001 1 80(1)

L017 1 95(1)M017 9 93(1);96(5)99(3)N003 1 99(1)N019 2 00(1) 97(1)N021 1 93(1)N033 1 00(1)

H02 G015 1 79(1)

Tabella 4.26 Richieste di brevetto di Pirelli dal 1979 al 2000 con dettaglio fino ai gruppi principali della classificazione IPC

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Legenda delle classi e dei gruppi principali apparsi in tabella secondo la classificazione IPC: A HUMAN NECESSITIES A47 Forniture, domestic articlesor appliances, coffee mills, suction cleaners in generals C007 Parts, details, or accessories of chairs or stools A61 Medical or veterinary science, hygiene H001 Apparatus for passive exercising; vibrating apparatus; chiropratic devices A62 Life-saving, fire-fightings B009 Component parts for respiratory or breathing apparatus B018 Breathing masks or helmets affording protection against chemical agents or use at high altitudes B PERFORMING OPERATIONS, TRANSPORTING B22 Casting, powder metallurgy F003 Manufacture of workpieces or articles from metallic powder characterized by the manner of compacting or sintering B29 Workings of plastics, working of substancies in a plastic state in general C033 Moulds or cores C035 Heating, cooling or curing C044 Shaping by internal pressuregenerated in the material C047 Extrusion moulding C071 After treatment or articles without altering their shape D030 Producing pneumatic or solid tyres or parts thereof B32 Layered products B003 Layered products essentially comprising a layer with external or internal discontinuites or unevenesses B015 Layered products essentially comprising metal B027 Layered products essentially comprising synthetic resin B60 Vehicles in general C001 Tyres charactreised by the chemical composition or the physical arrangement or mixture of the composition C003 Tyres charactreised by transvert section C005 Inflatable pneumatic tyres or inner tubes C007 Non-inflatable or solid tyres C009 Reinforcement or ply arrangement of pneumatic tyres C011 Tyre tread bands; tread patterns; Anti-skid inserts C013 Tyre sidewalls; protecting, decorating, marking,… C015 Tyre beads C017 Tyres characterised by means enabling restricted in damaged or deflating condition. (Accessories thereof) C019 Tyre parts or constructions not otherwise provided for C023 Devices for measuring, signalling, controlling, or distributing tyre pressure or temperature C029 Arrangements for tyre-inflating valves to tyres or rims and accessories G007 Pivotes suspension arms and accessories

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 168

K005 Arrangements or mounting of internal-combustion or jet propulsion units B64 Aircraft, aviation, cosmonauts D025 Emergency apparatus or devices, not otherwise provided for B65 Conveying, packing, storing, handling thin or filamentary material G015 Conveyers having endless load-conveying surfaces H005 Feeding articles separated from piles; feeding articles to machinery H075 Storing webs, tapes, or filamentary material C CHEMISTRY, METALLURGY C08 Organic macromolecular compounds, their preparations or chemical working up, compositions based thereon J003 Processes of treating or compoundling macromolecular substances J005 Manufacture of articles or shaped materials containing macromolecular substances K003 Use of inorganic ingredients K005 Use of inorganic ingredients K009 Use of pretreated ingredients L007 Compositions of natural rubber L021 Compositions of unspecified rubber C22 Metallurgy, ferrous or non-ferrous alloys, treatment of alloys or non-ferrous metals C001 Making alloys C23 Coating metallic material, coating material with metallic material, chemical surface treatment,… C018 Chemicals coating by decomposition of either liquid compounds or solutions of the coating forming compounds C25 Electrolytic or electrophoretic processes, apparatus thereof D003 Electroprating; baths thereof D005 Electroprating characterised by the process; pretreatment or after-treatment of work pieces D TEXTILE, PAPER D07 Ropes, cables other than electric B001 Constructional features of ropes or cables E FIXED CONSTRUCTION E02 Hydraulic engineering, foundations, soil-shifting B007 Barrages or weirs; layout construction, methods of, or devices for, making same E04 Building F013 Coverings or linings F MECHANICAL ENGINEERING, LIGHTING, HEATING, WEAPONS, BLASTING F03 Machines or engines for liquids, wind, spring, weight, or miscellaneous motors, producing mechanical power or a reactive propulsive thrust

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G001 Spring motors F04 Positive-displacement machines for liquids, pumps for liquids or elastic fluids B045 Pumps or pumpings installations having flexible working members and specially adapted for elastic fluids F15 Fluid pressure actuators, hydraulics or pneumatics in general B001 Installation of systemswith accumulators; Supplier reservoir or sumpl assembleis B007 Systems in which the movement produced is definitely related to the output of a volumetric pump; telemotors F16 Engineering elements or units, general measures for producing and maintaining effective functioning of machines or installations, thermal insulation in general C007 Connected-rods or like links pivoted at the both ends D003 Yelding couplings F001 Springs F003 Springs units consistings of several springs F009 Springs, vibration-dampers, shock absorbers, or similarly-constructed movement-dampers using a fluid G001 Driving-belts G005 V-belts H007 gearing for conveying rotary motion by endless flexible members L033 Arrangemets for connecting hoses to rigid members; rigid hose connectors F24 Heating, ranges, ventilating J003 Other production or use of heat, not derived from combustion G PHYSICS G01 Measuring, testing K001 Detail of thermometers not specially adapted for particular types of thermometer L017 Devices or apparatus for measuring tyre pressure or the pressure in the other inflated bodies M017 Testing of vehicles N003 Investigating strenghts properties of solid materials by application of mechanical stress N019 Investigating materials by mechanical methods N021 Investigating or analysing materials by the use of optical means or ultra-violet light N033 Investigating or analysing materials by specificmethods not covered by the proceading groups H ELECTRICITY H02 General, conversion, or distribution of electric power G015 Cables fittings

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Allegato 2: Documenti degli 8 brevetti individuati come correlati con il pnaumatico run-

flat, il MIRS ed i sensori per il monitoraggio della pressione51

51 Tali documenti sono stati estratti inserendo il loro punr dal sito http://it.espacenet.com.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 179

Allegato 3: Classi tecnologiche in cui hanno brevettato le top10 dell’industria dal 1978 al

2001

Pirelli Good. Mich. Bridg. Conti. Sumi. Yoko. Kum. Toyo Coop. Tot.clas.A01 0 2 0 2 0 0 0 0 0 0 4A41 0 0 0 1 0 2 0 0 0 0 3A43 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1A47 2 0 1 1 2 0 0 0 1 1 8A61 1 0 0 0 1 5 0 0 0 1 8A62 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2A63 0 0 0 0 0 61 0 0 0 0 61A 5 2 1 4 4 68 0 0 1 2 87BO1 0 3 0 4 2 1 1 0 0 0 11B02 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1B05 0 1 0 1 0 2 0 0 0 0 4B08 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 2B21 0 3 4 5 0 0 0 0 0 0 12B22 1 0 3 0 0 2 0 0 0 0 6B23 0 0 1 3 1 1 0 0 0 0 6B24 0 3 1 2 1 1 0 0 0 0 8B25 0 0 1 2 1 0 0 0 0 0 4B26 0 3 0 5 1 0 0 0 0 1 10B27 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1B29 47 146 81 254 105 92 17 0 3 2 747B30 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1B32 3 10 0 14 3 0 4 0 0 0 34B41 0 0 0 8 0 5 0 0 0 0 13B44 0 0 2 0 0 0 0 0 0 0 2B60 89 358 291 411 255 463 67 1 4 1 1940B61 0 0 0 0 2 0 0 0 0 0 2B62 0 4 4 23 3 0 2 0 0 1 37B63 0 0 0 2 0 0 1 0 0 0 3B64 1 0 0 1 0 0 1 0 0 0 3B65 3 25 2 28 12 6 0 0 0 0 76B66 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1B67 0 3 0 0 0 1 0 0 0 0 4B 144 561 391 765 387 574 93 1 7 5 2928C01 0 1 1 1 0 1 0 0 0 0 4C04 0 1 0 7 0 0 0 0 0 0 8C07 0 76 2 10 0 0 1 4 0 0 93C08 9 438 66 277 21 79 37 7 5 0 939C09 0 15 2 18 1 6 5 0 0 0 47C10 0 0 0 10 1 0 0 0 0 0 11C11 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1C12 0 1 0 2 0 0 1 8 0 0 12C21 0 2 9 0 0 0 0 0 0 0 11C22 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 3C23 2 2 0 1 0 1 0 0 0 0 6C25 4 2 0 1 0 0 0 0 0 0 7C 16 540 81 327 23 87 44 19 5 0 1142

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 180

D01 0 2 10 1 0 0 0 0 0 0 13D02 0 6 2 0 0 0 1 0 0 0 9D03 0 3 1 0 0 0 0 0 0 0 4D04 0 2 2 0 0 0 0 0 0 0 4D05 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1D06 0 2 1 3 1 0 0 0 0 0 7D07 1 13 5 24 1 3 1 0 0 0 48D 1 28 21 28 3 3 2 0 0 0 86E01 0 0 0 9 0 1 0 0 0 0 10E02 2 0 0 16 0 2 1 0 0 0 21E03 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1E04 1 0 0 16 0 3 0 0 0 0 20E05 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1E06 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1E21 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1E 3 1 0 43 1 6 1 0 0 0 55F01 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1F02 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1F03 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2F04 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 2F15 2 0 0 3 1 0 0 0 0 0 6F16 12 47 4 69 69 5 11 0 4 4 225F21 0 0 0 2 0 0 0 0 0 0 2F24 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 2F27 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1F 18 47 4 77 72 5 11 0 4 4 242G01 16 35 10 51 19 10 2 1 0 1 145G02 0 1 0 5 0 0 0 0 0 0 6G03 0 3 0 4 1 3 1 5 0 0 17G05 0 0 2 2 0 1 0 0 0 0 5G06 0 7 2 5 1 3 0 0 0 0 18G08 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1G09 0 2 0 1 0 1 0 0 0 0 4G10 0 1 0 4 3 0 0 0 0 1 9G 16 50 14 72 24 18 3 6 0 2 205H01 0 0 1 17 1 1 0 0 0 0 20H02 1 0 1 2 1 0 0 0 0 0 5H04 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1H05 0 1 0 7 0 0 1 1 0 0 10H 1 1 2 26 3 1 1 1 0 0 36Tot. 204 1230 514 1342 517 762 155 27 18 13 4782 Tabella 4.27 Brevetti richiesti dalle 10 maggiori compagnie dal 1978 al 2001 nelle varie classi tecnologiche della classificazione IPC

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 181

Legenda delle classi tecnologiche apparse in tabella secondo la classificazione IPC: A Human Necessities A01 Agricolture, animales,… A41 Wearing apparel A43 Footwear A47 Forniture A61 Medical orveterinary science, hygiene A62 Life saving, fire-fightings A63 Sport, games,… B Performing Operations; Transporting BO1 Physical orchemicals processes B02 Treatments for grain for milling B05 Spraying or atomishing B08 Cleaning B21 Mechanical metal working B22 Powder metallurgy B23 Metal working B24 Grinding, polishing B25 Hand tools B26 Hand cutting B27 Working on preserving woodor similar materials B29 Working of substances in a plastic state B30 Presses B32 Layered products B41 Printing B44 Decorative arts B60 Veichles in general B61 Railways B62 Land vehicles for travelling B63 Ships B64 Aviation, cosmonauts B65 Handling of filamentary materials B66 Lifting B67 Opening orclosing bottles C Chemistry; Metallurgy C01 Inorganic chemistry C04 Cement, ceramics C07 Organic chemistry C08 Organic macromolecular compounds C09 Natural resins C10 Petroleum C11 Animal or vegetable oils C12 Biochemistry C21 Metallurgy of iron C22 Ferrous, non-ferrous alloys C23 coating metallic materials C25 Electrolytic orelectrophoreticprocesses

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 182

D Textiles; Paper D01 Natural or artificial fibres D02 Mechanical finishing of yarns or ropes D03 Weaving D04 Lace-making D05 Sewing D06 Treatments of textiles D07 Ropes, cables rather than electricity E Fixed Constructions E01 Constructions of roads, railways and bridges E02 Hydraulic engineering E03 Water Supply E04 Building E05 Locks, Keys,… E06 Doors, windows,… E21 Mining F Mechanical Engineering F01 Machines or engines in general F02 Combustion engines F03 Machines or engineering for liquids F04 Pumps for liquids or elastic fluids F15 Fluid-pressure actuators F16 Engineering elements or units F21 Lighting F24 Heating, ventilating F27 Furnaces G Physics G01 Measuring, testing G02 Optics G03 Photography, electrography,… G05 Controlling, regulatinga G06 Computing, calculating G08 Signalling G09 Educating, display, advertising G10 Musical instruments H Electricity H01 Basic elements H02 Generation, convertion, distribution of electric power H04 Electric communication techniques H05 Eletric techniques

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 183

4.6 Conclusioni

In questo capitolo sono stati esposti tutti gli elementi necessari per ottenere delle risposte alle

domande di ricerca poste.

Innanzitutto è stato effettuato uno studio di settore, con particolare attenzione all’innovazione

tecnologica, di cui si propone un breve riassunto.

L’industria del pneumatico presenta una struttura oligopolistica; a livello di quote di mercato è

dominata da 3 imprese, Michelin, Bridgestone e Goodyear, ma considerando altre variabili,

come il contributo innovativo apportato, risulta significativo prendere in considerazione il

gruppo delle prime 10 compagnie.

Il mercato appare molto segmentato ed oggigiorno ha assunto un’estensione globale. La

tendenza principale delle imprese è rivolgersi, soprattutto per quanto riguarda la produzione di

massa, ai mercati dell’Est e dell’America Latina, in quanto quelli occidentali sono ormai saturi

e definiti “ad alto costo”. E’fondamentale, infatti, riuscire a contenere i costi produttivi poiché i

profitti sono molto ridotti, principalmente nel mercato degli equipaggiamenti originali: in

quest’ultimo caso, a causa dell’elevato potere contrattuale delle case automobilistiche. Un altro

trend dominante seguito dalle compagnie è la ricerca verso la fidelizzazione del consumatore

finale, dal momento che il prodotto può essere definito una commodity. In questi ultimi anni

l’attenzione delle imprese verso i segmenti dell’alta performance è aumentata notevolmente

dato che sono i soli a presentare un tasso di crescita elevato, a permettere un buon guadagno e

una certa competitività tra i marchi.

Le compagnie attribuiscono sempre più importanza alle attività di R&S a cui dedicano

personale ed attrezzature specifiche. Dal momento che gli investimenti in tal senso non sono

spesso noti, l’innovazione tecnologica è stata monitorata attraverso l’analisi dell’attività

brevettuale, le alleanze strette con competitori e altre organizzazioni, la soddisfazione del

consumatore e l’attività nei segmenti racing e dell’alta performance. Sono stati presentati due

studi interessanti riguardo le forme di partnership e l’attività brevettuale caratterizzanti il

settore. Si è potuto notare come tutte le compagnie siano coinvolte nel processo di alleanze,

molte delle quali strette con concorrenti: a questo proposito si può osservare come queste

ultime coinvolgano esclusivamente tecnologie di prodotto e mai di processo. Attraverso un

esame delle domande di brevetto depositate dalle dieci imprese considerate, riportato nella

sezione 4.6, si è confermato uno dei risultati peculiari dello studio di Acha e Brusoni (2002): il

settore è caratterizzato dal fenomeno della diversificazione tecnologica. Essa, come affermano

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 184

Granstrand, Patel e Pavitt (1997), è una delle forze trainanti delle industrie al giorno d’oggi in

quanto le imprese, espandendo le proprie conoscenze anche al di fuori dei settori strettamente

connessi alla loro produzione, possono operare sulla frontiera tecnologica ed intraprendere una

funzione di collegamento tra tutti gli attori appartenenti alla loro catena del valore,

assicurandosi un vantaggio competitivo consolidato nel tempo.

Nelle sezioni 4.3 e 4.4 sono state presentate in modo approfondito le due tecnologie oggetto

dello studio. E’possibile sottolineare come esse non siano ancora ben definite o standardizzate.

Per quanto riguarda il pneumatico run-flat le tecnologie possono essere raggruppate in due

grandi categorie, ad anello di supporto e self-supporting; tuttavia le imprese dichiarano di stare

lavorando ancora molto per sviluppare un prodotto più soddisfacente. Anche i sistemi

produttivi proposti fino ad oggi sembrano avere caratteristiche molto diverse. Ad esempio, le

soluzioni proposte da Goodyear e da Continental appaiono soltanto forme di automazione dei

punti critici dei processi tradizionali, se paragonati al MIRS di Pirelli ad esempio; i sistemi di

Sumitomo e Bridgestone sembrano possedere un alto tasso innovativo anche se sono ancora in

una fase di sviluppo.

A conclusione del lavoro, quindi, nel capitolo cinque si illustra un’analisi dei dati basata sulle

considerazioni emerse in questo capitolo e approfondita grazie alle informazioni ottenute

attraverso le interviste effettuate in Pirelli.

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Quarto Capitolo, Gli oggetti dello studio - 185

Appendice 4.1 – Tabelle riassuntive riguardo le tecnologie run-flat e i sistemi

di produzione presenti oggi sul mercato

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COMPAGNIA NOME ANNO SST RST SENSORI RUOTA ANCOR. CARATTERISTICHE MONT. E RIPAR.

CWS (Conti Wheel System)

1999 Facoltativo Convenzionale Nuovo 200km a 80Km/h Invariato. (Sostituz. Supporto ogni volta)

CONTINENTAL

CSR (Conti Safety Ring)

1999 Facoltativo

Convenzionale Invariato 200km a 80Km/h Procedura invariata ma con personale specializzato.

GOODYEAR EMT (Extended Mobility Tire)

1992 Fanno parte del sistema

Convenzionale Invariato 200Km a 90Km/h Addestramento e attrezzatura particolari. Procedura di riparazione invariata se non danni interni.

DUNLOP Dunlop SP Sport 2000 e DSST

1998

Convenzionale Invariato

ZP (Zero Pressure)

1998

Convenzionale Invariato 50 miglia a 55mph Addestramento e attrezzatura particolari. Procedura di riparazione invariata se non danni interni.

MICHELIN

PAX-SYSTEM

1998 Fanno parte del sistema

Diversa Nuovo 125 miglia a 50mph Addestramento e attrezzatura particolari.

BRIDGESTONE 1998 Facoltativo

Convenzionale Invariato Per la riparazione sono sempre rispediti alla fabbrica per un controllo accurato

FIRESTONE

Firehawk SH30RFT

Convenzionale Invariato

PIRELLI Eufori@ 2001 Fanno parte del sistema

Convenzionale Invariato 150km a 80km/h

KUMHO XRP (Xending Runflat Protection)

1999 Anche di temperatura

Convenzionale Diverso 200Km a 100Km/h Addestramento e attrezzatura particolari.

SUMITOMO

YOKOHAMA AVS Sport SST

Tabella 4.14 Caratteristiche dei pneumatici run-flat prodotti dalle imprese leader dell’industria

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SISTEMA PARTE DEL PROCESSO DATI TECNICI PRODOTTI IMPIANTI IMPACT (Integrated Manufacturing Precision Assembled Cellular Technology) Goodyear 1998

Copre tutto il processo produttivo tranne la parte di formazione delle mescole.

Riduzione fasi di produzione: 50%. Riduzione lead time: 70%. Incremento produttività: 135%. Aumento precisione: 43%. Riduzione lavoro diretto: 35%. Riduzione costi dei materiali: 15%. Riduzione magazzini di processo: 50%. Riduzione tempo per la vulcanizzazione: 20%. Riduzione consumo di energia elettrica e del tempo di trasporto nell’impianto.

Il sistema può essere applicato a tutti i tipi di pneumatici e verrà esteso entro 15 anni a tutti gli impianti. La tecnologia è molto avanzata per il segmento degli autocarri, potenziato a partire dal 1999.

Fulda e Philippsbourg (Germania), Lawton (Oklaoma, US), Colmar-Berg (Lussemburgo), Danville (Virginia, US) e Napanee (Ontario, Canada). Si sta progettando la costruzione di un nuovo impianto in Brasile.

RFSAM (Runflat System for Automated Manufacturing) Goodyear 2002

Non si hanno informazioni precise. Probabilmente deriva dal FMSII (Flexible Manufacturing System), un sistema produttivo totalmente automatizzato ed estremamente flessibile usato a Fulda (Germania) per la costruzione dei pneumatici HP.

Aumento della qualità e dell’integrità del prodotto. Sistema unico e completamente robotizzato.

Pneumatici run-flat e Pax-system. Risulta particolarmente adatto a produrre i cerchi asimmetrici del Pax.

Fulda (Germania) ma entro il 2003 anche negli altri 2 impianti di Goodyear che producono run-flat: Hanau (Germania) e Lawton (Oklaoma, US)

MIRS (Modular Integrated Robotized System) Pirelli 2000

Copre tutto il processo produttivo, dalla costruzione di tutti i componenti principali, alla vulcanizzazione.

Produzione continua a ciclo unico senza wip e magazzini intermedi, fermate e necessità di intervento umano. Riduzione lead time: da 6 giorni a 72minuti. Riduzione fasi di produzione: da 14 a 3. Riduzione costi: 25%. Aumento produttività: 80%. Tempo di set-up: da 6 ore a 20 minuti. 1 pneumatico ogni 3 minuti: 1 milione all’anno per impianto. Spazio occupato: 350 mq.

Pneumatici UHP (V/Z). A Milano Bicocca e Beuberg anche run-flat. Pneumatici per il segmento truck. Dal 2002 anche per moto solo a Milano e in Germania.

Milano Bicocca: ci sono 2 impianti (2000 e 2001) con il ruolo di unità pilota per lo sviluppo della tecnologia. Beuberg (Germania, 2001): per il 2005 completamento delle 13 unità progettate. Rome (Georgia, US, 2002):nel 2003 completo con i 5 moduli previsti. Burton-on-Trent (UK, 2001)

CCM (Continuous Compounding Mixing) Pirelli 2002

Controllo dei materiali in input al processo produttivo. Naturale completamento di un qualsiasi sistema MIRS.

Riduzione lead time: da 24 ore a 7,4 ore. Riduzione consumo energia elettrica: 20%. Riduzione della variabilità delle proprietà fisiche dei componenti: 70%. Riduzione nell’emissione di polveri. Produzione a regime: 1000 kg/giorno.

Milano Bicocca.

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SISTEMA PARTE DEL PROCESSO DATI TECNICI PRODOTTI IMPIANTI C3M Michelin 1992

Processo continuo che copre tutto il processo produttivo.

Spazio occupato: 325 mq. Riduzione del lead time: 85%. Riduzione del consumo di energia elettrica. Eliminazione di wip e magazzini intermedi. Miglioramento qualità del prodotto. Produzione: 1 pneumatico ogni 10-12 minuti.

Pneumatici UHP (nel 2002 il 20% della produzione effettuata con il C3M), per aerei (tranne il Concorde), per motocicli, per autocarri pesanti e dal 2002 anche “Colour Tires”.

Greenville (S.C. US, 1997), Rezende (Brasile), Lille e Clemond Ferrand (France), 2 C3M in US. L’impianto di Reno, però, sta per chiudere.

ESA (Single-Stage Building) Continental 1997

Per la sola costruzione del pneumatico verde che poi va vulcanizzato.

E’una macchina completamente automatizzata e molto complicata che produce un pneumatico ogni 30 secondi in un solo stadio produttivo.

Carlotte (NC, USA) e Mt.Vernon (Illinois, USA)

MMP (Modular Manufacturing Process) Continental 1997

Assemblaggio del pneumatico e vulcanizzazione. La formazione della piattaforma e la pre-vulcanizzazione sono eseguite da macchinari esistenti.

Elevata riduzione dei costi operativi e notevole incremento dei flussi di cassa per l’eliminazione dei magazzini intermedi e la migliore distribuzione. 400.000-500.000 pneumatici all’anno

Per lo più pneumatici standard (categoria di velocità H). Risulta molto adatto per i pneumatici invernali che hanno bassi volumi produttivi ma sono un prodotto dalle caratteristiche critiche.

Germania (Korbach). Traiskirchen, Austria (2000). San Fernando (Argentina). Timosoara (Romania, 2000). Herstal (Belgio). Programmi di diffonderlo in Brasile e in 3 anni conversione del 40% della capacità produttiva in Europa.

TAIYO (Automated Tire Production System) Sumitomo 2002

Cella compatta che si occupa di tutto il processo di costruzione partendo dalla preparazione dei componenti fino alla vulcanizzazione.

Aumento delle caratteristiche, specie ad alta velocità, e dell’uniformità. Pneumatici più leggeri ma anche più rigidi sul fianco. Riduzione dei magazzini intermedi e del consumo di energia elettrica. 1000 pneumatici al giorno di 8 misure diverse

Pneumatici per autoveicoli, per SUV e dal 2004 anche run-flat.In futuro anche pneumatici per motoveicoli e autocarri.

Prototipo a Nagoya. Shirakawa, Fushima (Giappone). Pneumatici run-flat and SUV a Izumi-Ohtsu (Ohtsu Tire). Programma di installare il sistema in tutti gli impianti sia giapponesi che esteri.

BIRD (Bridgestone Innovative and Rational Development) Bridgestone 2002

Copre l’intera sequenza del processo produttivo, dalla gestione dei componenti all’ispezione del prodotto finito.

Riduzione del consumo di energia elettrica e dello spazio occupato. Produttività raddoppiata.

Impianto pilota in Giappone ed entro il 2004 dovrebbe essere esteso a tutti gli impianti della compagnia nel mondo.

Tabella 4.19 Caratteristiche principali dei sistemi produttivi innovativi introdotti da alcune compagnie tra le top10

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 189

Quinto Capitolo

Il pneumatico run-flat

ed i nuovi sistemi di produzione:

analisi strategica

Questo capitolo considera come punto di partenza gli elementi esposti nelle sezioni precedenti,

nelle quali si sono descritte le caratteristiche strutturali dell’industria del pneumatico, le

strategie delle maggiori imprese, il comportamento degli altri attori rilevanti nel sistema

competitivo e le due innovazioni tecnologiche su cui si focalizza lo studio.

L’analisi presentata di seguito si propone di mettere in luce:

- l’impatto del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi sulle competenze delle

imprese adottatrici, sottolineando le strategie di introduzione e i punti di rottura con

l’esperienza passata;

- il legame tra le due innovazioni in quanto non risulta ancora chiaro se una abbia inciso

sulla nascita dell’altra o se la loro connessione sia limitata all’essere parte di una

strategia generale attuata dalle imprese per mantenere la loro posizione nel difficile

ambiente competitivo nel quale operano;

- la rilevanza delle due innovazioni per un riesame delle teorie del ciclo di vita del

prodotto, che sappiamo attribuire alla fase matura dei prodotti e delle industrie solo

miglioramenti incrementali alle tecnologie esistenti;

- l’impatto delle due innovazioni sull’industria e sullo scenario competitivo.

Le considerazioni esposte di seguito nascono da un esame critico del materiale raccolto nel

quarto capitolo e da alcune interviste effettuate in Pirelli. Queste ultime costituiscono un punto

fondamentale del lavoro in quanto consentono di incrementare il livello di profondità e

l’attinenza alla realtà dell’indagine. Pirelli si è rivelata un candidato ideale su cui effettuare un

approfondimento in quanto è il maggiore produttore di pneumatici italiano ma possiede un

mercato esteso a livello mondiale, figura adottatore di tutte le tecnologie considerate

(pneumatico run-flat, Pax-system, nuovi sistemi produttivi e sensori per il monitoraggio della

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 190

pressione dei pneumatici) e ha sempre riconosciuto nelle sue strategie il ruolo chiave

dell’innovazione tecnologica per il conseguimento di un vantaggio competitivo1.

1 Si precisa che i dati ottenuti dalle interviste in Pirelli riguardano principalmente il sistema produttivi MIRS poiché sono stati forniti per la maggior parte dall’ing. Caretta, ideatore e responsabile del nuovo processo produttivo.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 191

5.1 Il pneumatico run-flat e gli adottatori: azione sulle competenze esistenti Nella sezione 2.3 del secondo capitolo è stata proposta una rassegna della letteratura

riguardante la classificazione delle innovazioni. Si è visto come l’impatto di un’innovazione

non derivi solo dalle sue proprietà tecniche ma anche dal comportamento delle imprese

adottatrici, dai cambiamenti apportati a mercati e industria e da fattori casuali. Per questo si è

deciso di seguire la via proposta da Tushmann e Anderson (1986) che suggeriscono di valutare

un’innovazione tecnologica in base all’impatto sulle competenze degli adotattori.

In particolare si è scelto di concentrare l’attenzione su alcune delle principali competenze in

possesso delle imprese: conoscenze tecnologiche e relativi metodi di acquisizione, gestione dei

fornitori, sistema produttivo, gestione dei clienti, struttura di distribuzione, mercati e tecniche

di gestione ed organizzazione aziendale. Tale analisi permette anche di determinare eventuali

variazioni delle competenze relative ad altri attori del sistema, come fornitori, clienti, impiegati

e competitori.

Per determinare l’azione del pneumatico run-flat a livello di tecnologia, prodotto, clienti e

mercato si sono seguite le linee guida proposte dallo studio di Abernathy e Clark (1985), come

si può osservare in Appendice 5.12.

La sezione inizia con la figura 5.1 che riassume l’entità dell’impatto del pneumatico run-flat

sulle competenze considerate delle imprese adottatrici e i riflessi sui principali elementi

collegati alla loro catena del valore. L’intensità dei colori utilizzati rivela quella dell’impatto

dell’innovazione: il giallo chiaro è indice di un’azione conservativa mentre l’arancione di una

distruttiva. I paragrafi3 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3 e 5.1.4, spiegando i fattori che hanno determinato le

conclusioni sintetizzate in figura, hanno una funzione di approfondimento e di commento.

2 E’opportuno precisare che l’analisi del pneumatico run-flat in base alla metodologia offerta dallo studio considerato non è condotta per stabilire in quale delle quattro categorie proposte dagli autori rientra, ma per valutare se esso ha un impatto conservativo o distruttivo sulle competenze degli adottatori limitatamente alle due dimensioni valutate. E’stato scelto di ripercorrere lo studio di Abernathy e Clark (1985) poiché è l’unico, tra quelli presi in considerazione, che propone delle linee guida riguardo gli elementi significativi che consentono di stabilire l’impatto di un’innovazione su determinate competenze. 3 In alcuni casi l’azione dell’innovazione sulle competenze esposte (come gestione dei clienti, dell’apparato distributivo e dei mercati) è stata raggruppata in un unico paragrafo per le interdipendenze emerse dall’analisi.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 192

Figura 5.1 L’impatto generato dall’introduzione del pneumatico run-flat sulle competenze delle imprese adottatrici e sui principali attori del sistema

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 193

5.1.1 La tecnologia, il relativo processo di acquisizione ed il rapporto con i fornitori

Come emerge dalla figura 5.1 l’introduzione del pneumatico run-flat ha apportato dei

cambiamenti alle tre tipologie di competenze considerate nel paragrafo senza, però, una

significativa azione distruttiva rispetto al passato. Segue, per ognuna, un’argomentazione

approfondita avente lo scopo di chiarire le conclusioni esposte.

Dalla presentazione della tecnologia offerta nelle sezioni precedenti, è possibile dedurre che la

struttura base del pneumatico run-flat è rimasta sostanzialmente quella del prodotto

tradizionale. Ciò è confermato dall’approfondimento effettuato mediante lo studio di

Abernathy e Clark (1985) che mette in luce come l’innovazione abbia necessitato di un

allargamento del range delle conoscenze delle imprese ma attraverso più un processo di

accumulazione ed ampliamento, piuttosto che di distruzione, rispetto al sapere esistente (infatti,

il punteggio ottenuto, su una scala da 1 a 10, è stato di 5,66).

L’impatto dell’innovazione sulle conoscenze delle imprese ha riguardato soprattutto quattro

aspetti:

- la necessità di nuovi materiali per il rinforzo del fianco o per la costituzione dell’anello

di supporto (a seconda della tecnologia run-flat adottata), ricercando ottime prestazioni

in termini di sostegno del peso del veicolo, di resistenza ad usura e di una bassa

generazione di calore;

- le tecnologie di ancoraggio alla ruota, in quanto la marcia a pneumatico sgonfio induce

delle forze di elevata intensità che potrebbero causare il detallonamento dal cerchione (i

cambiamenti più importanti nei sistemi di ancoraggio sono stati introdotti in modo

particolare da Continental nella tecnologia CWS, da Kumho e da Michelin e le altre

imprese legate al Pax-system, come si vede dalla tabella 4.14 in Appendice 4.1);

- i sensori per il monitoraggio della pressione: si precisa che, nonostante essi siano un

elemento fondamentale e necessario in un pneumatico run-flat, un ampliamento in

questo senso delle conoscenze delle imprese è stato determinato anche da altri fattori,

come l’approvazione del Tread Act negli Stati Uniti, in seguito al quale è diventato

obbligatorio equipaggiare i nuovi veicoli con dispositivi di segnalazione al conducente

dello stato della pressione dei pneumatici (si prevede che tale tendenza sarà seguita

anche da altri paesi nel corso dei prossimi anni);

- la ricerca della compatibilità tra i nuovi materiali e tecnologie con quelli esistenti.

Sulla base dell’esame della letteratura di settore disponibile emerge che tra le varie soluzioni

run-flat, il Pax-system risulta quella che ha richiesto i maggiori cambiamenti a livello di

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 194

tecnologia: i punti principali di discontinuità rispetto al sapere posseduto dalle compagnie

risultano essere il nuovo sistema di ancoraggio e la ruota, che presenta una struttura

asimmetrica e dimensioni maggiori. Esso ha portato delle conseguenze anche alle competenze

delle case automobilistiche in quanto un veicolo, per poter essere equipaggiato con il Pax-

system, deve essere appositamente predisposto fin dalla fase di progetto. Nello specifico, ad

esempio, deve risultare dotato di un sistema di sospensioni rinforzato, date la presenza di ruote

diverse dalle convenzionali e le maggiori vibrazioni generate dalla marcia in assenza di aria in

pressione; inoltre, la maggiore dimensione delle ruote permette l’inserimento di sistemi

frenanti più potenti che si rivelano di grande utilità dato l’incremento in peso apportato.

Se il pneumatico run-flat ha determinato più un arricchimento che una distruzione delle

competenze delle imprese in termini di tecnologia, ha influito in modo più significativo sulle

sue modalità di acquisizione, come emerge dalla figura 5.1.

Il processo di accumulazione delle conoscenza tecnologiche è sostanzialmente guidato da due

fattori: il contenimento dei costi, che risultano una variabile fondamentale per la competizione

nell’industria, e l’influenza data dall’esperienza e la storia passate delle imprese (infatti esse

seguono traiettorie di progresso interdipendenti che, spesso, hanno radici molto lontane nel

tempo).

L’acquisizione delle competenze tecnologiche ha iniziato ad articolarsi in tre nuove modalità.

- La prima forma è la diversificazione tecnologica, ovvero, l’allargamento del sapere da

parte delle imprese verso campi non strettamente collegati alla produzione. Le nuove

conoscenze acquisite vengono incorporate nell’organizzazione e risultano utili per lo

sviluppo di tutto il portafoglio prodotti. Inoltre, la diversificazione tecnologica permette

alle imprese di accumulare le conoscenze necessarie per sviluppare proficuamente

forme di co-design e co-development con fornitori e clienti4.

- La seconda forma è rappresentata dalle partnership e dalle joint-venture instaurate sia

con imprese interne che esterne all’industria: si ricorda, infatti, che più del 62% degli

accordi analizzati nella sezione 4.2.3 coinvolge la R&S. Lo sviluppo della tecnologia

run-flat ha beneficiato in larga misura di questa seconda modalità di acquisizione di

conoscenza, infatti, il 50% degli accordi stipulati tra il 1987 ed il 2003, raccolti nella 4 Il fenomeno della diversificazione tecnologica è studiato principalmente attraverso un’analisi a livello di brevetto (in questo modo sono stati condotti sia il lavoro di Acha e Brusoni (2002) che quello presentato nella sezione 4.6). Ciò consente, però, di valutare solamente l’estensione del sapere verso ambiti non contemplati in precedenza; risulta, invece, molto difficile monitorare l’ampliamento delle conoscenze in alcuni campi, come quello dei materiali, dal momento che tradizionalmente fanno parte del gruppo di quelli strettamente legati all’industria.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 195

tabella 4.6, riguarda proprio tale tecnologia5. L’acquisizione di conoscenza mediante

partnership con altre compagnie sembra attuarsi attraverso due fasi. Inizialmente essa

avviene in modo verticale, stipulando accordi con compagnie esterne al settore (come è

avvenuto per Michelin e Dow Chemicals e per Goodyear e Phase IV Engineering, ad

esempio); in seguito si realizza uno scambio di conoscenze orizzontale, cioè con

compagnie appartenenti all’industria (come la formazione del network per la

produzione e la commercializzazione del Pax-system o l’accordo tra Continental,

Bridgestone e Yokohama). Molto probabilmente le imprese intraprendono anche questa

seconda fase poiché i benefici ottenuti dalla condivisione di conoscenze tecnologiche

sono molto superiori sia ai rischi che ai vantaggi di uno sviluppo privato. E’importante

sottolineare come tutti gli accordi siglati, sia con imprese interne che esterne

all’industria, riguardino tecnologie di prodotto e mai di processo (dove esiste un livello

di segretezza molto forte). Ciò induce a concludere che, dal momento che il pneumatico

appartiene alla categoria delle commodity, l’unico modo per diversificarsi e guadagnare

vantaggio competitivo è agire sui costi di produzione e sugli standard qualitativi e,

quindi, sulle tecnologie di processo.

- La terza forma di acquisizione della tecnologia si articola attraverso il trasferimento di

conoscenze dai segmenti dei pneumatici da gara e ad alta performance (si precisa che in

molti casi le stesse conoscenze tecnologiche proprie di questi segmenti di mercato sono

ottenute attraverso le due modalità esposte sopra). Il trasferimento di conoscenze

riguarda soprattutto la resistenza e la performance dei materiali, l’assorbimento delle

vibrazioni, la diminuzione della generazione del calore e la sua dispersione e la risposta

5 Si riassumono brevemente gli accordi che hanno riguardato l’acquisizione della tecnologia run-flat (il 50% del totale) estratti dalla tabella 4.6 del quarto capitolo:

Anno Compagnie coinvolte Descrizione

1999 Michelin e Pirelli Pax-system 2000 Continental e Nissimbo Telaio e sistema frenante 2000 Michelin e Dow Chemicals Poliuretano per supporto del Pax-system 2000 Michelin e Woco Sistemi per l’assorbimento delle vibrazioni 2000 Goodyear e Phase IV Engineering Sensori e sistemi di trasmissioni radio 2000 Goodyear e Cycloid Co. Sistemi di controllo a bordo del veicolo 2000 Michelin e Goodyear Pax-system e nuovo sistema run-flat 2001 Michelin e Sumitomo Pax-system 2002 Michelin e Bosh Elettronica e sistemi di assistenza alla guida 2002 Sumitomo e Dow Polyurethanes Poliuretano per supporto del Pax-system 2002 Continental, Bridgestone e Yokohama Tecnologia run-flat 2003 Michelin e Hankook Pax-system

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 196

alle alte velocità: i primi quattro fattori giocano un ruolo chiave nel progetto di un

pneumatico run-flat.

E’importante sottolineare che, attraverso tutti e tre i processi descritti, le imprese del settore

assumono un ruolo attivo nell’acquisizione di conoscenza, contrariamente a quanto

succederebbe affidandosi a metodologie di outsourcing passivo. In quest’ultimo caso, infatti,

rischierebbero di non acquisire gli skill necessari per sostenere la leadership nella tecnologia e

nei prodotti (Prahald e Hamel, 1990).

I cambiamenti a livello tecnologico richiesti dal pneumatico run-flat hanno determinato la

necessità di acquisire nuovi fornitori.

Il rapporto con i fornitori, nel corso degli anni, ha subito importanti modifiche (come si può

dedurre dalla figura 5.1): esso ha iniziato ad articolarsi attraverso forme di partnership e co-

design, potenziate dalla crescita delle competenze tecnologiche delle imprese verso campi

esterni alla loro produzione e dalla condivisione reciproca di conoscenze mediante alleanze e

joint-venture.

Attraverso gli studi a livello di brevetto illustrati nel quarto capitolo è possibile verificare

l’estensione delle competenze dei produttori di pneumatici e dei loro fornitori nei reciproci

ambiti operativi. L’ampliamento delle conoscenze delle imprese dell’industria del pneumatico

nei campi propri dei loro fornitori è testimoniato dall’analisi riportata nella sezione 4.6. Infatti,

considerando il portafoglio brevetti a livello di industria, la divisione F (in modo particolare

con la classe F16 che si è aggiudicata circa il 5% delle domande di brevetto totali) relativa

all’ingegneria meccanica ed, in particolare, ai componenti meccanici di collegamento con la

ruota e al sistema delle sospensioni, risulta il terzo campo in cui ricadono le domande di

brevetto presentate. Inoltre, anche diverse imprese operanti nel settore dell’elettronica, dei

sensori o della meccanica, ad esempio, hanno iniziato a brevettare in tecnologie estremamente

connesse al pneumatico (Acha e Brusoni, 2002).

Da alcune interviste emerge come Pirelli abbia sviluppato processi di co-development

soprattutto con i fornitori operanti nel settore chimico, relativamente al quale non possiede le

competenze necessarie per uno sviluppo interno alla compagnia (Intervista ing. Sgalari).

L’attività chimica dell’impresa, infatti, risulta molto limitata: questo spiega perché nell’analisi

mostrata nella sezione 4.6 la macrosezione C, relativa al settore chimico, appare solo al terzo

posto come intensità di attività brevettuale.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 197

In questo paragrafo sono stati spiegati in modo approfondito gli elementi che hanno

determinato l’entità dell’impatto generato dall’introduzione del pneumatico run-flat a livello di

tecnologia, delle sue modalità di acquisizione e della gestione dei fornitori.

La figura 5.2 ne riassume i punti principali e mette in evidenza le interdipendenze che si sono

create tra le tre tipologie di competenze considerate e con gli altri elementi appartenenti al

sistema competitivo delle imprese adottatrici (l’intensità del colore usato riflette quella

dell’impatto).

Figura 5.2 Azione del pneumatico run-flat sulle competenze esistenti inerenti la gestione della tecnologia, le relative modalità di acquisizione ed il rapporto con i fornitori e le implicazioni sul sistema competitivo

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 198

5.1.2 Il sistema produttivo

Dalla figura 5.1 si può notare come le competenze delle imprese relativamente al processo

produttivo abbiano subito essenzialmente un’azione di ampliamento.

La produzione del pneumatico run-flat, avendo introdotto alcune discontinuità nel campo dei

materiali e, in alcuni casi, l’inserimento di un anello di supporto o un nuovo sistema di

aggancio al cerchione, ha reso necessarie alcune variazioni a livello di processo di

fabbricazione ma, in sé, non ha determinato l’introduzione dei sostanziali cambiamenti

apportati in questi ultimi anni al processo produttivo per almeno due motivi. Innanzitutto i

nuovi sistemi non sono stati adottati da tutti i produttori di run-flat: non si hanno, ad esempio,

informazioni riguardo ad un’attività in questo senso di Yokohama e Kumho, anche se entrambe

risultano molto attive nello sviluppo del nuovo prodotto. In secondo luogo, la maggioranza dei

sistemi (le eccezioni sono rappresentate dal MIRS di Pirelli e dal C3M di Michelin) sono stati

progettati per essere diffusi in tutti gli impianti ed estesi a tutte le linee produttive.

Anche se si possiedono dati esatti solamente per Pirelli e Goodyear, è possibile affermare che

la produzione dei pneumatici run-flat avviene mediante i nuovi sistemi produttivi, qualora

disponibili. Ad esempio, nel caso di Pirelli, il MIRS si dimostra più adatto alla costruzione del

pneumatico run-flat Eufori@ in quanto, operando con delle strisce sottili di tessuto, rende più

facile lavorare il fianco, che possiede un ruolo determinante in un run-flat self-supporting, in

modo omogeneo e corrispondente alle specifiche (Intervista n.2 ing. Caretta). Allo stesso modo

Sumitomo ha sviluppato un’evoluzione del Taiyo (“Taiyo di terza generazione”, come è stato

chiamato dalla compagnia) e Goodyear ha introdotto l’Rfsam (Run-flat System for Automated

Manufacturing) (sfortunatamente, però, le informazioni riguardo quest’ultimo sistema sono

talmente scarse che non permettono un’analisi approfondita).

Sebbene non abbia determinato la nascita dei nuovi sistemi produttivi, la tecnologia run-flat ha,

comunque, influito sulle loro strategie di sviluppo. Il pneumatico run-flat, infatti, fa parte di

quella categoria di prodotti (come i pneumatici HP o per moto) caratterizzati da una domanda

irregolare, da un’alta variabilità nelle specifiche (fino ad arrivare in alcuni casi ad una sorta di

personalizzazione) e dalla necessità di elevati standard qualitativi e di performance.

Risulterebbe, quindi, difficile ottenere la precisione e la flessibilità necessarie a questo tipo di

produzione con i sistemi tradizionali.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 199

5.1.3 La gestione dei clienti, la struttura distributiva e il mercato

L’azione del pneumatico run-flat sulle competenze inerenti a clienti e mercati, determinata

anche grazie all’analisi effettuata in Appendice 5.1, si è rivelata abbastanza incisiva, come

emerge dalla figura 5.1.

Il nuovo prodotto non ha portato alla nascita di nuovi clienti ma ha indotto un rafforzamento e

delle modifiche nel rapporto con quelli esistenti, soprattutto in termini di comunicazione,

trasmissione di nuove conoscenze, soddisfacimento più ampio delle loro esigenze, gestione dei

canali di distribuzione e dei servizi post-vendita.

Non solo il pneumatico run-flat ha determinato cambiamenti nelle competenze delle imprese

adottatrici legate alla gestione dei clienti ma anche in quelle dei clienti stessi.

L’impatto della nuova tecnologia è apparso molto diverso a seconda della tipologia di cliente

considerata.

L’azione sugli utilizzatori finali e sulle competenze dei produttori relativamente alla loro

gestione è risultata la più conservativa. Gli automobilisti hanno ottenuto dei benefici

prevalentemente in termini di incremento della sicurezza di guida e di estensione della gamma

di prodotti tra cui poter scegliere. Essi, però, hanno riscontrato anche dei disagi in quanto, ad

esempio, la procedura di riparazione risulta più scomoda e lenta: infatti, bisogna trovare un

distributore abilitato ed attendere che vengano effettuati tutti i processi e le verifiche del caso.

Ciò ha determinato delle implicazioni nei produttori che hanno dovuto costruire dei sistemi di

garanzia e di messa a disposizione di pneumatici sostitutivi durante il tempo di riparazione.

La diffusione della tecnologia ha necessitato lo sviluppo di forme di collaborazione con le case

automobilistiche: l’incremento apportato a livello di peso e di sollecitazioni da un pneumatico

run-flat, infatti, richiede una revisione della struttura del veicolo, soprattutto al telaio e alle

sospensioni.

L’impatto dell’innovazione sui costruttori di automobili risulta più forte nel caso del Pax-

system: esso può equipaggiare solamente veicoli predisposti, inoltre, come già affermato nel

quarto capitolo, ha portato nuove sfide, ad esempio, per quanto riguarda il design. A causa

della pesante influenza sui costruttori di veicoli, oggi il Pax-system è diffuso solamente su

veicoli appartenenti ad uno dei marchi in cui partecipa Michelin (Renault o Citroen) o nei casi

in cui si è instaurato un processo di co-design tra case automobilistiche e costruttori di

pneumatici (come nel caso di Goodyear e Audi per la Pikes Peak).

I distributori sono i clienti più influenzati dalla tecnologia run-flat per due fattori. In primo

luogo essi hanno dovuto frequentare corsi di addestramento e dotarsi di attrezzature specifiche

per effettuare la riparazione del pneumatico run-flat, soprattutto a causa della presenza dei

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 200

sensori per il monitoraggio della pressione che richiedono attenzioni ed accorgimenti

particolari. In secondo luogo sono soggetti ad una riduzione delle loro mansioni in quanto, in

caso di danneggiamenti gravi causati da un’incauta guida a pneumatico sgonfio o operando con

particolari marchi, come Bridgestone, non vengono coinvolti nella procedura di riparazione che

è effettuata direttamente dal produttore.

I costruttori di run-flat, quindi, hanno dovuto investire nella formazione dei loro distributori e

nello sviluppo di competenze inerenti la fase di riparazione e, di conseguenza, in nuove

funzioni di assistenza al cliente.

Da quanto esposto sopra si può dedurre che il pneumatico run-flat ha indotto significativi

cambiamenti in una delle strutture principali di supporto alla produzione: la distribuzione.

Infatti, è necessario che ogni produttore si preoccupi di costituire un network di centri di

assistenza, con una distanza massima tra i vari nodi pari al numero massimo di chilometri che è

possibile percorrere in regime di sicurezza con una ruota sgonfia. Ad esempio, Michelin ha

risolto il problema dotando delle attrezzature e dell’addestramento necessari alla gestione delle

tecnologie run-flat e Pax-system almeno un distributore per ogni capoluogo di provincia.

La diffusione del prodotto, sia nella forma più semplice che in quella del Pax-system, è ancora

troppo ristretta per poter affermare che esso abbia creato un nuovo mercato. Tuttavia, sembra,

anche per quanto emerge dall’analisi effettuata in Appendice 5.1, aver configurato una nicchia

di mercato. Infatti, risolvendo uno dei punti di debolezza maggiori del prodotto, cioè l’essere

soggetto a forature, si è ottenuto il soddisfacimento di un’importante esigenza dei clienti finali.

Inoltre, il prodotto risulta diffuso su delle categorie ben precise di veicoli: cioè nei segmenti

delle berline o grandi berline di lusso, delle auto sportive o su veicoli detti “familiari” in cui la

sicurezza è una variabile di primaria importanza. La conclusione che il prodotto abbia portato

considerevoli cambiamenti a livello di mercato è supportata anche dalle modifiche che i

produttori hanno dovuto adottare a livello di distribuzione.

5.1.4 Le tecniche di gestione ed organizzazione aziendale

Concludendo, si sottolinea il fatto che tutti i cambiamenti generati dall’innovazione nelle

competenze considerate in possesso delle imprese hanno sicuramente influito anche su metodi

e tecniche di gestione aziendale, su skill e abilità che non sono stati trattati esplicitamente

perché non chiari senza un’analisi più approfondita.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 201

Nello studio è stato messo in evidenza l’impatto dell’introduzione del pneumatico run-flat a

livello del gruppo delle dieci imprese maggiori. E’importante accennare anche all’influenza

sull’intero range di competitori: probabilmente il prodotto ha contribuito ad accrescere il

divario esistente tra medie e grandi imprese. Gli adottatori, infatti, hanno potuto incrementare

ulteriormente il loro vantaggio competitivo, soprattutto a causa del rafforzamento del rapporto

con gli utilizzatori finali e le case automobilistiche, e del potenziamento nella struttura

distributiva.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 202

5.2 I nuovi sistemi produttivi e gli adottatori: azione sulle competenze

esistenti

In questa sezione si ripercorre l’analisi effettuata nella precedente focalizzando l’attenzione

sull’impatto dei nuovi sistemi produttivi sugli adottatori e sugli altri elementi appartenenti al

loro sistema competitivo. In particolare, sulla base delle informazioni emerse, lo studio è

orientato all’analisi delle competenze riguardanti la tecnologia esistente, i fornitori, il

personale, i clienti, la gestione degli apparati logistico e distributivo, le tecniche di

organizzazione della produzione e l’organizzazione della struttura aziendale.

In questa parte dello studio risultano determinanti le informazioni raccolte attraverso le

interviste effettuate in Pirelli in quanto, come più volte affermato, le imprese controllano

pesantemente, soprattutto mediante l’uso del segreto industriale6, la diffusione di dati relativi

alle fasi di produzione. Una delle compagnie a fare un maggior uso della segretezza è Michelin

(come è emerso anche nella descrizione effettuata nella sezione 4.4.4): ad esempio, per

proteggere i brevetti legati al C3M, la compagnia creò una società anonima (la costituzione

francese lo permetteva), la Sedepro, che figurava come titolare7 dei brevetti chiave inerenti la

nuova tecnologia (Intervista ing. Sgalari).

La figura 5.3 permette una visione generale dell’impatto determinato dall’introduzione dei

nuovi sistemi produttivi sulle competenze considerate e dell’influenza sui vari elementi

connessi alla catena del valore delle imprese adottatrici; per un approfondimento si rimanda ai

paragrafi successivi. Seguendo la stessa modalità di presentazione adottata per la figura 5.1, l’intensità dell’impatto risulta chiara dai colori usati (l’azzurro rappresenta un’azione

conservativa ed il blu distruttiva).

6 Il segreto industriale è uno strumento di protezione efficace a livello di processo produttivo in quanto le caratteristiche di quest’ultimo non sono riconducibili a quelle del prodotto. Il brevetto, in genere, è richiesto solamente in una fase avanzata dello sviluppo del processo: in questo caso non viene infranta una delle condizioni necessarie alla brevettabilità, la novità, in quanto è difficilmente dimostrabile l’eventuale gap temporale intercorso tra l’inizio dell’utilizzo della nuova tecnologia e la data di richiesta del brevetto. 7 Si precisa che un brevetto, oltre agli inventori, presenta anche un titolare legale (applicant) che in genere è rappresentato da una società.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 203

Figura 5.3 L’impatto generato dall’introduzione dei nuovi sistemi produttivi sulle competenze delle imprese adottatrici e sui principali attori del sistema

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 204

5.2.1 La tecnologia e il rapporto con i fornitori

Dall’approfondimento esposto nel quarto capitolo (sezione 4.4) riguardante i nuovi sistemi

produttivi introdotti in questi ultimi anni si può concludere come le soluzioni presentate siano

molto eterogenee tra loro, sia relativamente alla tecnologia che alle strategie di introduzione.

La tabella 5.1 propone un riassunto degli elementi più significativi caratterizzanti l’adozione

dei nuovi sistemi.

Fasi di produzione8

Sistemi produttivi Anno Prodotti Integrazione

linee esistenti

Strategie di diffusione

Trasporta_bilità C E A V I

IMPACT (Goodyear) 1998 Tutto Sì Totalità impianti No * * *

MIRS (Pirelli) 2000 Nicchia No In aggiunta Sì * * * *

C3M (Michelin) 1992 Nicchia No In aggiunta Sì * * *

MMP (Continental) 1997 Tutto Sì Totalità impianti No * *

TAIYO (Sumitomo) 2002 Tutto No Totalità impianti No * * * *

BIRD (Bridgestone) 2002 Tutto No Totalità impianti No * * * * *

Tabella 5.1 Riassunto delle caratteristiche strategiche dei nuovi sistemi produttivi9

Integrando le informazioni riportate nella tabella con quelle ricavate dalla presentazione della

tecnologia illustrata nel capitolo precedente, si possono effettuare alcune considerazioni.

Innanzitutto, tutti i sistemi introdotti coprono le fasi centrali e più critiche del processo

costruttivo, che resta, comunque, sempre basato sui quattro stadi fondamentali propri di quello

tradizionale. In secondo luogo, come mostra la figura 5.4, i sistemi presentano un diverso

apporto innovativo a livello tecnologico e possono essere sostanzialmente divisi in tre gruppi

per le similarità presentate nelle strategie di diffusione.

L’Impact e l’MMP consistono principalmente in un intervento di automazione delle fasi

critiche del processo tradizionale, infatti, sono gli unici che contemplano un’integrazione con le

linee produttive esistenti10. Gli altri quattro esempi hanno portato nel settore un grado di

8 C=gestione delle mescole; E=estrusione; A=assemblaggio; V=vulcanizzazione e I=ispezione. 9 Si precisa che la differenza tra Impact, MMP, Taiyo e Bird è che, sebbene siano stati tutti progettati per essere estesi a tutti gli impianti, i primi due sono aggiunti ed integrati alle linee tradizionali mentre gli ultimi le sostituiscono completamente. 10Le innovazioni che portano solo ad una ricombinazione della tecnologia esistente non hanno un valore minore o sono più facili da gestire. Nel secondo capitolo, infatti, si è visto come le organizzazioni tendono a sviluppare la propria struttura attorno a quella dei propri prodotti e alla sequenza produttiva che essi richiedono; una modifica dei legami tra queste variabili strutturali, quindi, può risultare pericolosa per le compagnie poiché influenza anche la loro stessa struttura che deve essere opportunamente adeguata.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 205

innovazione più elevato, ricorrendo ad un ricercato utilizzo dell’automazione, infatti, sono

sistemi integrati a flusso continuo.

Bird e Taiyo si differenziano da MIRS e C3M in quanto sono destinati alla produzione di tutte

le tipologie di pneumatici e, quindi, all’estensione a tutti gli impianti ed, inoltre, appaiono in

uno stadio di sviluppo parzialmente inferiore, in quanto il prototipo di entrambi è stato

introdotto nel 2002 (cioè due anni dopo il MIRS di Pirelli).

Sumitomo e Bridgestone hanno seguito un percorso di sviluppo simile a quello del MIRS,

infatti, a livello tecnologico si stanno muovendo in aree simili a quelle di Pirelli. Bridgestone

ha ideato una variante interessante del tamburo rigido che contiene il pneumatico lungo tutto il

processo di fabbricazione brevettando un tamburo rigido a lamelle che ha permesso di ottenere

miglioramenti nell’aderenza e nella ventilazione e l’assenza di sbavature11 (Intervista ing.

Sgalari).

Figura 5.4 Apporto innovativo e strategie di diffusione dei sei sistemi produttivi considerati

11 Anche Michelin sembra lavorare ad una tecnologia simile, probabilmente per migliorare alcune parti del C3M ideate, ormai, da più di dieci anni.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 206

A detta di molti analisti di settore, il C3M di Michelin, pur avendo rappresentato una

consistente innovazione rispetto al sistema produttivo tradizionale, presenta dei problemi a

livello di performance. Molti fanno risalire a questo la causa della chiusura di due impianti

dotati della tecnologia C3M (Kuingaiv in Svezia e Reno negli Stati Uniti); altri analisti la

attribuiscono ad un intento di riorganizzazione ed ottimizzazione della rete produttiva e

distributiva. Gli scarsi risultati conseguiti dal sistema sono in larga parte dovuti a delle

particolari politiche seguite dalla compagnia nelle fasi di ideazione e progetto del sistema.

Infatti, per lo sviluppo del C3M Michelin ha costituito un team di ingegneri creativi scelti da

vari settori e, quindi, senza specifiche competenze relativamente al processo tradizionale (al

contrario, il MIRS e il CCM sono stati sviluppati all’interno della funzione R&S dedicata al

processo tradizionale) (Intervista n.2 ing. Caretta). Inoltre, il sistema è stato progettato in parti

e tempi differenti; di conseguenza manca una completa integrazione e un software di gestione a

livello globale che non comandi solo la produzione ma sia esteso anche alle altre fasi coinvolte

nella costruzione del prodotto, come progettazione, organizzazione della produzione e

controllo qualità, ad esempio. Un altro punto a sfavore del C3M è il fatto di non aver preso in

considerazione un sistema di gestione delle mescole integrato e flessibile come il CCM: esso

risulta determinante in un impianto trasportabile in quanto la movimentazione delle mescole è

critica poiché esse possiedono una variabilità elevata rispetto alle condizioni in cui sono

trattate.

Dall’analisi dei dati effettuata e dal materiale raccolto in Pirelli emerge che il contributo

innovativo apportato dal MIRS si basa essenzialmente su tre fattori: lo stampo toroidale che

contiene il pneumatico durante tutte le fasi costruttive, il software integrato di gestione del

sistema e il CCM, ovvero il sistema per la gestione delle mescole ideato nel 2002 come

completamento dell’impianto.

Il CCM rappresenta l’unico esempio al mondo di produzione delle mescole in continuo, benché

non sia ancora implementato sui tre impianti MIRS impiegati per la produzione commerciale12.

Dalla presentazione offerta da Pirelli (Intervista n.1 ing.Caretta) emerge come esso sia frutto

dell’applicazione di tecnologie esistenti ma mai impiegate nell’industria13: l’innovazione,

quindi, si fonda principalmente su un processo di trasferimento tecnologico da vari settori

12 I tre impianti a cui si fa riferimento sono Beuberg in Germania, Burton-on-Trent in Gran Bretagna e Rome negli stati Uniti; si ricorda che l’impianto di Milano Bicocca è dedicato allo sviluppo delle nuove tecnologie (come si può osservare in tabella 4.20). 13Ad esempio, per il dosaggio dei granuli si utilizzano tecnologie tipicamente farmaceutiche e per la gestione delle polveri la posta pneumatica (Intervista n.1 ing. Caretta).

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 207

applicativi14. Pertanto per le imprese risulta rilevante possedere una flessibilità ed un’apertura

mentale tali da riuscire ad estrapolare una tecnologia dal prodotto o dal processo in cui è

incorporata per poterne considerare tutte le possibili applicazioni. Questo conferma ciò che è

stato spiegato nel secondo capitolo e cioè che, mentre i prodotti sono soggetti ad un percorso di

vita-morte, le tecnologie incontrano processi di creative accumulation: esse vengono

approfondite e migliorate ma non presentano alcun limite né spaziale né temporale di

applicazione.

In Pirelli l’acquisizione della tecnologia proveniente dai vari settori avviene soprattutto

attraverso forme di licenze ed outsourcing (Intervista ing. Sgalari): questo mostra che l’uso dei

brevetti per dimostrare il fenomeno della diversificazione tecnologica non offre una visione

completa della situazione, soprattutto a livello di singola compagnia.

Il CCM fa parte di una strategia più ampia a livello di impresa, infatti, è stato progettato anche

per la gestione delle mescole per il settore cavi.

Da Caretta (Intervista n.1) è emerso che la scelta di Pirelli di estendere il MIRS solo a

determinati impianti e all’alta gamma è stata dettata da motivazioni strategiche di riduzione dei

costi. Infatti, per la bassa gamma non risulta conveniente investire in un sistema come il MIRS:

la strategia più profittevole è quella di trasferire la fabbricazione in paesi definiti “a basso

costo” (come l’Est Europeo, il Sud America o alcuni paesi dell’Estremo Oriente15), in cui il

costo di manodopera incide all’incirca per il 3% sul prezzo finale, contro una percentuale pari

al 15% in Europa, anche se si hanno costi maggiori in termini di trasporto e stoccaggio16

(Intervista n.2 ing. Caretta).

Per mantenere il vantaggio competitivo creato sui principali concorrenti Pirelli sta sviluppando

una nuova versione del MIRS che, a pari investimento, permetterà un aumento dell’output del

30% circa e di costruire pneumatici di dimensioni maggiori, come quelli per l’equipaggiamento

dei SUV (Intervista n.2 ing. Caretta).

14 Per le tecnologie di punta, come MIRS, CCM e pneumatici ad alta performance, Pirelli si avvale di metodi di simulazione al computer, necessari soprattutto per monitorare dei parametri in zone difficilmente accessibili fisicamente. Non sono stati progettati software espressamente dedicati a questa funzione ma si utilizzano quelli commerciali (come Fluent, Poliflu e Sigma) (Intervista ing. Ponta): questo dimostra ulteriormente come l’innovazione possa derivare, oltre che da una specifica invenzione, anche dall’applicazione innovativa di tecnologie esistenti. 15 Pirelli produce la bassa gamma sostanzialmente in Turchia e Brasile. Queste strategie sono state rese necessarie soprattutto in seguito all’espansione in Occidente di compagnie cinesi e coreane. 16 Non si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di produrre anche l’alta gamma nei paesi “a basso costo” in quanto i clienti, per la maggior parte italiani, francesi e tedeschi, richiedono un’immagine del prodotto estremamente elevata.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 208

I nuovi sistemi produttivi sono stati sviluppati in casa dalle varie imprese che, quindi, hanno

dovuto instaurare contatti con nuovi fornitori (di componentistica e di parti meccaniche, ad

esempio).

I fornitori del MIRS sono all’incirca una quindicina: essi sono stati reperiti assieme alla

tecnologia e costituiscono un’importante barriera all’imitazione nei confronti dei concorrenti

(Intervista n.1 ing. Caretta). Grazie all’approfondimento dell’analisi reso possibile dalle

interviste in Pirelli, si è potuto sottolineare il ruolo chiave dei fornitori nelle strategie

competitive, dal momento che nello studio si è messa in risalto maggiormente l’importanza

strategica delle relazioni con i clienti.

5.2.2 Il personale: addetti alla produzione, tecnici e management

Come si può osservare in figura 5.3, l’introduzione dei nuovi sistemi produttivi ha

considerevolmente influenzato il personale, a tutti i livelli, e le competenze degli adottatori

nella sua gestione.

Dati l’elevato grado di automazione insito nei nuovi impianti e la gestione regolata tramite

software, gli addetti alla produzione hanno visto modificarsi i propri skill e la propria

mansione: ad esempio, hanno dovuto frequentare programmi di formazione e il loro ruolo è

passato da una partecipazione attiva nella costruzione del prodotto ad una funzione di

controllo. Nei casi in cui i nuovi sistemi sostituiscono le linee tradizionali potrebbero essere

state utilizzate politiche di taglio del personale addetto alla produzione, con conseguenti

problemi a livello sindacale17.

L’impatto nelle competenze degli addetti si è riflesso sulle imprese adottatrici che hanno

dovuto investire in training del personale ed affinare le relazioni con i sindacati e le

associazioni dei lavoratori.

Dal momento che gli impianti MIRS18 non sono stati progettati in sostituzione delle linee

tradizionali, non si sono verificate riduzioni del personale, anzi, la capacità lavorativa della

compagnia è stata ampliata: nel 2002 sono state assunte 229 persone per il supporto alle attività

produttive del MIRS nei 3 impianti funzionanti (Pirelli Annual Report 2002).

17 Ad esempio Sull (1997) riporta che Michelin ha dovuto affrontare questo tipo di problemi nell’introduzione del C3M. Essa fu ritardata per un conflitto tra gli shareholders che spingevano a favore ed il CEO che assumeva una posizione di attesa per la diminuzione del numero di lavoratori che si sarebbe verificata. 18 Una fabbrica MIRS come quella installata in Georgia necessita di circa sessanta addetti (Intervista n.2 ing. Caretta).

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 209

Da una discussione con alcuni ingegneri della funzione di R&S MIRS, emerge come, essendo

il sistema produttivo comandato da un software integrato, tutto il personale coinvolto nella

progettazione, nell’organizzazione e nella supervisione della produzione e nella gestione dei

sistemi informativi abbia dovuto ampliare le proprie conoscenze e competenze per avere una

visione chiara e preparata di tutti gli ambiti coinvolti dal sistema produttivo (ad esempio, sono i

progettisti di Milano Bicocca che comandano il software che permette il funzionamento, oltre

che del MIRS in sede, di quello di Rome in Georgia). Ciò si è riflesso sulla struttura aziendale

che ha dovuto modificarsi opportunamente per favorire lo scambio di conoscenze e

competenze a livello interno.

5.2.3 La gestione dei clienti e delle strutture logistica e distributiva

L’impatto più significativo dettato dall’introduzione dei nuovi sistemi altamente automatizzati

e flessibili a livello di cliente si è registrato nei costruttori di veicoli e nei distributori, come

emerge dalla figura 5.3; gli utilizzatori finali hanno sostanzialmente avuto il beneficio di

acquistare prodotti con standard qualitativi più elevati e con caratteristiche specifiche e molto

diversificate.

I cambiamenti nel sistema produttivo consentono agli adottatori di rafforzare il rapporto con i

costruttori di veicoli su tre livelli. Innanzitutto, l’elevato salto qualitativo e prestativo apportato

permette di difendersi maggiormente dalla minaccia delle case automobilistiche di integrarsi

verticalmente costruendo delle linee di produzione dei pneumatici private. Secondariamente,

l’aumento degli standard qualitativi consente di soddisfare maggiormente le specifiche imposte

e possibilmente anche di guadagnare un maggior potere contrattuale rispetto ai competitori.

Infine, la possibilità di integrazione nelle linee di fabbricazione degli autoveicoli (questo è un

punto fondamentale nella strategia di introduzione del MIRS di Pirelli) permette di reinstaurare

quelle relazioni privilegiate che caratterizzavano l’industria americana fino alla rivoluzione

radiale19; tale strategia di integrazione è volta anche verso una diminuzione dei costi, in questo

caso legati al trasporto e alla deperibilità del prodotto.

L’elevato grado di flessibilità apportato dai nuovi sistemi permette alle imprese di assorbire

meglio le variazioni della domanda: in questo modo è possibile by-passare i distributori

indipendenti, che erano stati istituiti principalmente per questo motivo. Come afferma uno

19 Oggi le case automobilistiche per il mercato di massa non seguono particolari politiche per il rifornimento dei pneumatici: esse comprano a stock dal produttore che in quel momento propone l’offerta più vantaggiosa.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 210

degli addetti alla distribuzione di Michelin Italia20, infatti, nell’industria c’è la tendenza a

sviluppare un rapporto più diretto con il cliente finale diminuendo l’importanza di alcuni

elementi della catena distributiva tradizionale.

I distributori hanno ottenuto anche dei benefici dall’introduzione dei nuovi sistemi: ad esempio

il notevole ampliamento nella flessibilità consente di effettuare ordini di dimensioni minori e

con variabilità elevata, con vantaggi soprattutto a livello di stoccaggio.

L’innovazione tecnologica a livello produttivo ha indotto dei cambiamenti alle competenze

logistiche degli adotattori poiché, tranne nel sistema di Continental, la produzione si sviluppa

in un flusso continuo senza scorte intermedie e necessità di movimentazione dei semilavorati

tra le varie zone del reparto. Inoltre, l’abbassamento dei volumi produttivi ha reso più facile lo

stoccaggio, l’assemblaggio degli ordini e, soprattutto, il trasporto (attività che arrecano un

parziale deterioramento del prodotto se non avvengono in tempi rapidi e nelle condizioni

idonee).

5.2.4 Le tecniche di organizzazione della produzione e la struttura aziendale

Nella descrizione dell’impatto dell’innovazione considerata sulla struttura aziendale degli

adotattori e sulle tecniche utilizzate per la sua gestione, si fa prevalentemente riferimento al

caso di Pirelli, data la possibilità di approfondimento offerta dalle interviste. Le osservazioni

presentate possono, comunque, essere generalizzate alla descrizione di tutte le imprese

adottatrici, in modo particolare le tre che hanno introdotto dei sistemi altamente innovativi.

Due tra gli obiettivi primari a cui la fase di produzione risulta soggetta sono la riduzione dei

costi e il saper rispondere efficientemente alle variazioni della domanda. Nel sistema di

produzione impiegato tradizionalmente questi obiettivi sono seguiti ricercando la massima

produttività istantanea dei vari reparti (in Pirelli sono 14) che, quindi, assumono una

configurazione di fabbriche autonome ottimizzate localmente, senza processi reciproci di

coordinamento e feedback. I nuovi sistemi, invece, incorporano una visione globale del

processo produttivo dal momento che tutte le fasi sono state automatizzate ed integrate in un

processo a flusso unico gestito da un software globale (Intervista n.1 ing. Caretta).

Ciò ha determinato importanti cambiamenti in alcune delle funzioni aziendali e sui loro legami:

ad esempio, si sono create nuove relazioni tra le funzioni di progetto e di fabbricazione. Nel

20 Responsabile della distribuzione di Michelin in Nord Italia, intervista del 7 settembre 2003.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 211

processo tradizionale esse avevano visioni ed obiettivi differenti ed i punti di contatto erano

limitati mentre con l’introduzione del MIRS esse hanno dovuto scambiarsi conoscenze,

competenze ed unificare i fini del loro lavoro (ad esempio è un progettista che inserisce le

specifiche di fabbricazione nel software).

Anche in questo caso l’innovazione non ha introdotto nuovi elementi ma ha apportato una

riconfigurazione diversa di entità esistenti; infatti, è possibile affermare che essa ha agito

sull’architettura dell’impresa.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 212

5.3 Il pneumatico run-flat e i nuovi sistemi produttivi

Il fatto che Goodyear nel 1992 abbia introdotto un nuovo sistema produttivo, l’Rfsam,

espressamente dedicato alla costruzione di pneumatici run-flat e che Pirelli dichiari come sia

molto difficile produrre run-flat utilizzando il sistema tradizionale induce ad ipotizzare

l’esistenza di una connessione tra l’innovazione a livello di prodotto, rappresentata dal

pneumatico run-flat, e quella nel processo produttivo, portata dai nuovi sistemi.

L’analisi approfondita effettuata in questo studio porta a confutare l’ipotesi di un eventuale

collegamento stretto tra le due innovazioni: in altre parole, il pneumatico run-flat né ha

richiesto una modifica così sostanziale al processo produttivo, né è stato una conseguenza

dell’introduzione dei nuovi sistemi altamente automatizzati e flessibili per diverse ragioni. In

primo luogo, come sottolineato in precedenza, non tutti i produttori che presentano il

pneumatico run-flat nel loro portafoglio prodotti hanno apportato innovazioni significative ai

loro processi produttivi (Kumho e Yokohama si affidano al processo tradizionale, mentre

Continental e anche Goodyear hanno lavorato solo ad automatizzare alcuni fasi critiche dei

sistemi convenzionali). In secondo luogo, lo sviluppo di entrambe le innovazioni ha radici

abbastanza lontane nella storia dell’industria: nel quarto capitolo si è visto come si stessero

cercando soluzioni con proprietà run-flat fin dall’inizio del ventesimo secolo (anche se gli

esempi caratterizzati da buone possibilità di realizzazione e da una certa sicurezza risalgono

agli anni’60) e come le innovazioni a livello di processo, seppure più recenti, siano cominciate

con gli anni’80.

Questa sezione si propone, quindi, di mettere in luce tutte le eventuali relazioni esistenti tra le

due innovazioni partendo da un’attenta valutazione delle loro strategie di introduzione.

5.3.1 Le strategie che hanno guidato l’introduzione del pneumatico run-flat

Alla base dell’introduzione del pneumatico run-flat sta la ricerca di un avanzamento sulla

frontiera prezzo-performance della tecnologia. Infatti, tutte le innovazioni di prodotto

introdotte a partire dal pneumatico radiale sono state volte verso una riduzione delle criticità,

tra cui, indubbiamente, l’impedimento della funzionalità a causa di foratura è la maggiore21.

21 Si ricordano il Season Tire (Goodyear, 1976) che ha permesso una guida sicura con ogni condizione atmosferica, il Green Tire (Michelin, 1992) che ha migliorato l’impatto ambientale e l’Aqua Tread (Goodyear, 1992) che ha introdotto notevoli miglioramenti nell’aderenza sul bagnato.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 213

Lo sviluppo di soluzioni run-flat efficienti negli anni’80 e nei primi anni’90 è stato determinato

dalle necessità delle auto sportive di lusso, come le Porsche e le Corvette, nelle quali non vi era

spazio per il ruotino di scorta. In un secondo tempo, l’applicazione della tecnologia ha iniziato

ad essere estesa ad automobili di lusso: nelle sezioni precedenti si è potuto osservare come la

maggioranza dei veicoli equipaggiati da pneumatici run-flat appartenga alle categorie delle

berline o grandi berline di lusso e delle auto con una forte immagine. In questi ultimi anni il

pneumatico run-flat ha visto la trasformazione in optional di sicurezza ed il suo utilizzo è stato

allargato anche a veicoli cosiddetti “familiari” (come la Renault Scenic o la Toyota Sienna

Minivan) in cui la sicurezza gioca un ruolo fondamentale; è proprio su questo punto che oggi i

vari produttori fanno leva per aumentare il grado di diffusione del prodotto.

Con buona approssimazione solo il primo adottatore, Goodyear, ha tratto dal lancio del nuovo

prodotto un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti, anche se di entità limitata data

la scarsa diffusione sul mercato.

Negli anni immediatamente successivi si è verificato un processo di allineamento della

consistenza del portafoglio prodotti tra le maggiori compagnie, che hanno sviluppato delle

proprie soluzioni run-flat; esso è stato promosso da Goodyear stessa stringendo delle alleanze

riguardanti la condivisione della tecnologia (la più nota è quella con Michelin del 2000).

Ciò rispecchia le conclusioni di Abernathy e Clark (1985) che sottolineano come le

innovazioni che aprono una nicchia di mercato siano facilmente imitabili, in quanto non

includono importanti cambiamenti a livello di tecnologia.

Il processo di imitazione a livello di prodotto verificatosi tra i maggiori produttori appare in

contrasto con le conclusioni dello studio di Benner e Tushmann (2003). Infatti, il pneumatico

run-flat ha avuto un impatto di intensità maggiore sulle attività a valle della catena del valore,

come la gestione dei clienti e la distribuzione, mentre gli autori segnalano come siano le

innovazioni che agiscono a livello di tecnologia ma lasciano intatte le competenze in vendite e

distribuzione ad essere più facilmente imitabili e, quindi, acquisibili e gestibili dalle imprese

già insediate.

Le dinamiche che si sono sviluppate a livello di industria, quindi, confermano l’assunzione

che l’unico strumento che permette di guadagnare un vantaggio competitivo è la riduzione dei

costi, attuata in modo efficace solo agendo sulle variabili caratterizzanti il processo

produttivo22. L’introduzione del pneumatico run-flat è concorde alle azioni intraprese negli

22 Anche i numerosi accordi stretti tra competitori a livello di tecnologie di prodotto, spinti dalle basse barriere all’imitazione, fanno parte delle strategie di contenimento dei costi, in particolare quelli di R&S (tali azioni generano un aumento del beneficio anche a livello sociale, in quanto limitano le ridondanze).

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 214

ultimi anni dalle imprese dell’industria che sono volte a concentrare l’attenzione verso i

segmenti di mercato che esulano da quello di massa, dal momento che sono gli unici ad offrire

possibilità di crescita e guadagno e a permettere una certa competizione tra i vari marchi: per

questo esso è stato ritenuto parte di una strategia di “de-commodizzazione” del pneumatico

tradizionale23.

5.3.2 Le strategie che hanno guidato l’introduzione dei nuovi sistemi produttivi

Integrando le considerazioni formulate dalla presentazione della tecnologia effettuata nel

quarto capitolo con le informazioni raccolte dalle interviste in Pirelli, si sono potute

individuare alcune forze determinanti nel processo di introduzione dei nuovi sistemi.

- Una delle variabili fondamentali ad influire sullo sviluppo delle nuove soluzioni

produttive è stata la necessità di diminuire i costi di prodotto finito e, quindi, di

produzione. Essa risulta possibile solo attraverso l’uso dell’automazione (Intervista n.1

ing. Caretta) e, come afferma Shaw (ERJ sept.2000), rappresenta l’unico strumento per

continuare a produrre nelle regioni definite “ad alto costo”, come l’Europa Occidentale

e il Nord America, soprattutto in seguito all’espansione in Occidente di compagnie

coreane e cinesi.

- Una seconda determinante può essere individuata nella crescita della diversificazione di

prodotto che ha modificato le caratteristiche della domanda: i grandi volumi produttivi

con specifiche altamente standardizzate non sono più adatti a soddisfare le esigenze dei

clienti. I nuovi sistemi permettono la flessibilità, sia a livello di caratteristiche di

prodotto che di variabilità nei volumi produttivi, e gli elevati standard qualitativi

necessari alla produzione nei nuovi segmenti di prodotto, come l’HP o i pneumatici

run-flat, su cui si stanno focalizzando le compagnie per incrementare i loro profitti;

inoltre, essi consentono di contenere i costi, in modo particolare quelli di set-up. Queste

osservazioni assumono un valore ancora maggiore per le cinque compagnie che

aderiscono all’accordo sul Pax-system, dal momento che la sua domanda è ancora

molto bassa, in alcuni casi anche pari a poche centinaia di unità l’anno.

23 Tutte le imprese hanno l’esigenza di abbassare i costi di produzione per rimanere competitive in paesi come l’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, ma la necessità di puntare sui segmenti più profittevoli come il gruppo appena descritto, a cui appartengono anche i run-flat, dipende dalle caratteristiche delle compagnie: imprese piccole come Pirelli hanno un bisogno più immediato rispetto a colossi come Bridgestone, Goodyear e Michelin che possono godere di economie di scala e scopo maggiori date le loro dimensioni e la vastità del loro portafoglio di prodotti.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 215

- I cambiamenti nel sistema produttivo consentono di rafforzare il rapporto con i

costruttori di veicoli, rispondendo in modo più efficiente alle loro specifiche ed

esigenze e sviluppando forme di collaborazione e di progetto integrato del veicolo e del

sistema ruota (fino alla possibilità di integrazione delle linee per la costruzione di

pneumatici in quelle degli automezzi, come propone Pirelli). Ciò induce la creazione di

un vantaggio nei confronti dei concorrenti ed un aumento delle barriere all’entrata

(anche se un’industria allo stadio maturo come quella del pneumatico non dovrebbe

essere caratterizzata da nuovi ingressi).

- Una quarta forza è data dalla necessità di apportare dei miglioramenti dal punto di vista

logistico per risolvere i problemi di movimentazione interna, di stoccaggio (soprattutto

per quanto riguarda i semilavorati) e di trasporto dei grandi volumi prodotti dal sistema

tradizionale (Intervista n.1 ing. Caretta).

- Un’ulteriore determinante è la possibilità di trovare un’applicazione alle conoscenze nel

campo della robotica, dell’automazione e del software (ad esempio nelle tecnologie

CAD/CAM), notevolmente ampliate nel corso degli ultimi anni (Intervista n.1 ing.

Caretta).

- I sistemi che sono progettati per sostituire tutte le linee produttive esistenti vanno ad

incidere sul numero di addetti alla produzione. La riduzione del personale impiegato

può essere una forza che ha spinto verso l’adozione delle nuove soluzioni produttive

soprattutto in Nord America dove le unioni dei lavoratori sono molto forti, potenti e

spesso fortemente limitanti per le compagnie.

E’ ragionevole supporre che tutti gli elementi presentati abbiano contribuito allo sviluppo

dell’innovazione di processo considerata ma le motivazioni più incisive appaiono la necessità

di contenimento dei costi e di risposta efficiente alle irregolarità della domanda.

Viste le strategie di diffusione riassunte nella tabella 5.1 si può affermare che il MIRS e il C3M

sono stati introdotti principalmente per rispondere meglio alla domanda di prodotti come i run-

flat, i pneumatici ad alta performance o per moto (le considerazioni esposte possono essere

estese anche all’Rfsam anche se non è stato trattato esplicitamente data la scarsità di

informazioni al riguardo); per Pirelli tale ipotesi assume un significato ancora maggiore dal

momento che la compagnia è focalizzata su questi segmenti produttivi. Al contrario, gli altri

sistemi, dal momento che sono stati progettati per essere introdotti in tutti gli impianti ed estesi

a tutta la produzione, sono stati sviluppati soprattutto per una riduzione dei costi ed un aumento

degli standard qualitativi.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 216

Si sottolinea come lo sviluppo di conoscenze rilevanti nel campo del software e della robotica

fosse avvenuto molti anni prima dell’inizio del processo di introduzione dei nuovi sistemi (tutti

apparsi a partire dalla fine degli anni’90, tranne il C3M). Ciò porta a concludere che

un’industria allo stadio maturo come quella del pneumatico presenta una sorta di inerzia

nell’acquisizione di nuove tecnologie: esse non sono state inglobate nel settore fin dalla loro

introduzione ma soltanto quando si è verificata una rottura nelle caratteristiche del sistema

competitivo, come la maggior pressione esercitata dalle case automobilistiche, l’aumento della

specificità delle richieste del consumatore finale e la concorrenza delle imprese provenienti da

paesi “a basso costo”, per far fronte alla quale queste tecnologie si sono rivelate lo strumento

più efficiente.

5.3.3 Analisi delle relazioni tra le due innovazioni

La figura 5.5 riassume i risultati ottenuti in questa sezione riguardo le strategie dominanti

nell’introduzione del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi ed il loro legame,

evidenziando anche il ruolo dell’innovazione nel settore e le strategie usate per la sua gestione.

Nell’industria, come emerge dalla figura, all’innovazione tecnologica è attribuito il ruolo di

strumento per il mantenimento della posizione competitiva posseduta; per ampliare il potere di

mercato, invece, si utilizzano altri mezzi, come lo sviluppo di joint-venture (che si ricorda

portano alla formazione di una nuova società), acquisizioni e fusioni. Una delle forze

fondamentali per conservare la propria posizione di mercato è la ricerca di un aumento dei

profitti che può essere generato in due modi: ampliando i ricavi e riducendo i costi di prodotto

finito. Alla base dell’introduzione del pneumatico run-flat sembra esserci la prima strategia:

infatti, nelle nicchie di mercato, data la possibilità di diversificazione tra i vari marchi e la

maggiore disponibilità all’investimento degli utilizzatori finali (il cui target è rappresentato da

automobilisti molto esigenti ed attenti alle prestazioni del veicolo), la competizione non si basa

solamente sul prezzo, sul quale, quindi, le imprese hanno un maggiore potere decisionale.

L’innovazione tecnologica a livello di sistema produttivo, invece, è l’unico strumento che

consente una riduzione dei costi (è, infatti, impensabile per le compagnie occidentali trasferire

l’intera produzione in paesi “a basso costo” per l’incidenza dei costi di trasporto e stoccaggio e

par la necessità di poter garantire l’immagine opportuna nei segmenti di prodotto che lo

richiedono).

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 217

Figura 5.5 Le strategie di introduzione e le relazioni esistenti tra le due innovazioni considerate

Le considerazioni esposte finora confermano come non ci sia un legame palese tra le strategie

di introduzione delle due innovazioni considerate, se non quello di fare parte di una strategia

globale intrapresa da tutte le maggiori imprese del settore per mantenere la propria posizione

competitiva.

Tuttavia, nella sezione 2.3.1 del secondo capitolo viene rilevato come nella maggioranza dei

casi le innovazioni di prodotto abbiano un’implicazione sul loro processo produttivo e

viceversa. A titolo esemplificativo si ricorda che i nuovi sistemi produttivi hanno reso più

facile la costruzione del nuovo prodotto (infatti, il pneumatico run-flat è prodotto sulle nuove

linee se presenti, come dimostra la tabella 4.20) e che esso ha, quindi, in parte, giustificato gli

ingenti investimenti effettuati in produzione.

Nel caso di Pirelli i significativi cambiamenti nel sistema produttivo sembrano aver avuto

implicazioni più importanti a livello di prodotto, a conferma delle assunzioni di Von

Tunzelmann (1995), Simonetti, Archibugi ed Evangelista (1995) e Simonetti (1991) riguardo la

difficoltà di stabilire un legame chiaro tra innovazioni di processo e prodotto. Inizialmente il

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 218

MIRS ha indotto una riconfigurazione dei legami tra prodotto e processo introducendo dei

cambiamenti inaspettati nella relazione, già di per sé complessa, tra elementi di progetto e

caratteristiche di performance del prodotto. Dal momento che è fondamentale conoscere su

quali elementi agire per ottenere determinate variazioni nella performance, i progettisti hanno

dovuto ristudiare tale legame, con un grande dispendio di tempo e l’impossibilità di soddisfare

per un certo periodo le specifiche imposte dalle case automobilistiche (Shaw, ERJ sept.2000).

Per Pirelli, quindi, l’introduzione del nuovo sistema produttivo si è configurata come

un’innovazione architetturale a livello di prodotto24.

24 Il termine architetturale usato in questo contesto fa riferimento alla definizione proposta da Henderson e Clark (1990). Si precisa che l’azione sull’architettura è rivolta a tutti i prodotti costruiti con il nuovo sistema e non solo ai pneumatici run-flat.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 219

5.4 Un confronto con le teorie del ciclo di vita del prodotto

5.4.1 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di prodotto

La consistenza delle innovazioni esaminate in questo studio risulta in accordo con le teorie del

ciclo di vita del prodotto, trattate ampiamente nel secondo capitolo, dal momento che non

hanno avuto un impatto completamente distruttivo sulle principali competenze degli adottatori.

Infatti, benché il pneumatico run-flat abbia aperto una nuova nicchia a livello di prodotto ed

abbia inciso in misura più significativa sul mercato, non può essere considerato, data anche la

sua scarsa diffusione, un prodotto tanto innovativo da aver creato un nuovo mercato ed una

sorta di segmentazione drastica, a livello di prodotto, rispetto al pneumatico tradizionale.

Tuttavia, le teorie del ciclo di vita del prodotto sottostimano l’importanza delle nicchie di

mercato; esse, in futuro, potrebbero avere una rilevanza tutt’altro che marginale dato che

stanno assumendo un peso crescente nelle strategie competitive dei maggiori produttori.

L’apporto innovativo a livello tecnologico incorporato nei nuovi sistemi produttivi, invece, ha

avuto dimensioni maggiori. Soprattutto il sistema MIRS ha rappresentato un considerevole

avanzamento rispetto al processo tradizionale, riducendo significativamente il lead time, il

numero di fasi produttive e i tempi di set-up (come si può notare in Appendice 4.1), ha portato

rilevanti miglioramenti nella logistica degli impianti, eliminando i semi-lavorati e i magazzini

intermedi, e in distribuzione, gestendo in modo efficiente le variazioni della domanda grazie

alla flessibilità incorporata, ha determinato l’integrazione della fase di produzione con le altre

ad essa connesse e, non da ultimo, ha presentato una combinazione innovativa, in modo

particolare nel CCM, di tecnologie provenienti da diversi campi applicativi. Comunque,

l’innovazione a livello di processo non è stata determinata da una volontà specifica delle

imprese del settore ma rispecchia un’azione provocata dagli importanti cambiamenti nelle

condizioni esterne contrassegnanti lo scenario competitivo, come l’avanzamento della

tecnologia nel campo dell’automazione e del software, la concorrenza dei paesi “a basso costo”

e il cambiamento delle caratteristiche della domanda. Era prevedibile che nell’industria si

configurassero dei cambiamenti significativi nei processi produttivi, dal momento che i

tradizionali erano basati su macchinari e tecniche che, seppur raffinati nel corso degli anni,

risalivano a prima del 1920.

Le considerazioni esposte in questo capitolo hanno permesso di confutare una delle ipotesi

considerate all’inizio dello studio sulla possibilità di una configurazione del pneumatico run-

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 220

flat come rimpiazzo del tradizionale25 (si ricorda che tale ipotesi era basata sulla previsione di

Goodyear che, entro il 2003, il 75% della produzione globale di pneumatici sarebbe stata run-

flat26).

Se il prodotto si fosse configurato come pneumatico del futuro, si sarebbe verificata una

contrazione del mercato pari al 20% a causa della mancata produzione della ruota di scorta;

tale restrizione avrebbe colpito in modo considerevole anche il mercato del ricambio (l’unico

in grado di generale guadagni consistenti).

Ciò avrebbe creato delle implicazioni negative soprattutto nei piccoli-medi produttori, senza la

forza economica o la possibilità di avviare la produzione del nuovo prodotto, aumentando

ulteriormente il divario, già pesantemente presente nel settore, tra grandi e piccole-medie

imprese.

Secondo quanto afferma uno dei responsabili della distribuzione di Michelin Italia27 risulta

estremamente improbabile che il pneumatico run-flat, in una qualsiasi delle sue forme, vada a

sostituire il tradizionale in quanto quest’ultimo rappresenta il miglior compromesso tra prezzo,

performance e qualità. L’ing. Caretta (Intervista n.2 ing. Caretta) conferma questo punto di

vista argomentando le dichiarazioni con varie spiegazioni. In primo luogo il prodotto, troppo

pesante a causa di masse non sospese, aggrava consistentemente il lavoro delle sospensioni,

incidendo sull’usura del veicolo; inoltre, i fianchi rigidi e difficilmente deformabili

diminuiscono il comfort di guida ed aumentano la resistenza al rotolamento e, quindi, il

consumo di carburante e l’impatto ambientale. Il Pax-system avrebbe ancora meno possibilità

di essere esteso a standard dell’industria in quanto, anche se non incide sulla resistenza al

rotolamento, induce un aumento significativo dei costi, una riduzione maggiore del comfort di

guida e può equipaggiare solo i veicoli predisposti all’uso fin dalla fase di ideazione e progetto.

Pirelli, pur essendo stata la prima compagnia ad entrare nella joint-venture con Michelin per la

produzione e la commercializzazione del Pax-system, non produce ancora il prodotto, dato che

esso non si è ancora affermato nel mercato degli OE, a cui è destinato. Per Pirelli, quindi,

l’accordo con Michelin è risultato molto importante più che per il contenuto, per la possibilità

di affiancare e sostenere quello che è ritenuto il leader mondiale, oltre che per quote di

mercato, per attività innovativa (Intervista n.2 ing. Caretta e Intervista ing. Sgalari).

25 La stabilizzazione del pneumatico run-flat come standard del futuro avrebbe portato ad un superamento della teoria di Utterbach ed Abernathy (1975) riguardo il ciclo di vita del prodotto in favore di quella di Anderson e Tushmann (1990) che eliminano la relazione biunivoca tra prodotto e dominant design, dando la possibilità di nascita a più standard, ognuno soggetto ad un proprio ciclo di sviluppo e decadenza, relativi ad un prodotto. 26Non sono disponibili dati sulla diffusione della produzione di pneumatici run-flat né a livello di compagnia, né in generale. 27 Responsabile della distribuzione di Michelin in Nord Italia, intervista del 7 settembre 2003.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 221

Risulta estremamente probabile che si diffonda all’equipaggiamento di tutti i veicoli una delle

tecnologie considerata come correlata al pneumatico run-flat, i sensori per il monitoraggio

della pressione; a questo proposito la spinta maggiore è stata data nel 2003 dall’approvazione

del Tread Act negli Stati Uniti.

5.4.2 L’impatto delle innovazioni sulle teorie del ciclo di vita a livello di industria

Le teorie sul ciclo di vita dell’industria presentate nel secondo capitolo, pongono in stretta

dipendenza l’evoluzione di un’industria e il ciclo di sviluppo di un nuovo prodotto, o meglio di

un dominant design, introdotto da una nuova tecnologia. Questi studi utilizzano come

indicatore del processo evolutivo dei settori che descrivono, tra cui quello del pneumatico, il

numero di imprese operanti28. Da questo punto di vista un’industria che da anni presenta una

configurazione oligopolistica e assenza di nuovi ingressi, come quella del pneumatico, appare,

contrariamente alla realtà, una struttura estremamente statica.

Le considerazioni esposte in questo lavoro, invece, portano a concludere come il numero delle

imprese operanti sia un indicatore limitante nell’analisi dell’evoluzione di un settore. Infatti,

anche se soggetta ad inerzia, l’industria del pneumatico presenta al proprio interno delle

dinamiche di considerevole importanza.

Innanzitutto, anche se dall’introduzione del pneumatico radiale l’apporto innovativo del settore

era rimasto ad un livello basso, a partire dai primi anni’90 sono state introdotte delle

innovazioni di entità significativa rappresentate dal pneumatico run-flat ed dai nuovi sistemi

altamente automatizzati e flessibili. L’attività innovativa dell’industria, specialmente in questi

ultimi anni, è risultata molto vivace: le imprese hanno ampliato il loro sapere anche al di fuori

dei settori di interesse tradizionali, hanno stretto rapporti di collaborazione nel progetto e nello

sviluppo di tecnologie con fornitori e clienti e hanno attuato processi di trasferimento

tecnologico da diversi campi applicativi.

In secondo luogo, in questi ultimi anni si è assistito a cambiamenti nell’apparato distributivo,

come la creazione di network di assistenza per i veicoli equipaggiati da pneumatici run-flat e la

ricerca di un rapporto più diretto col cliente finale, limitando la funzione dei vari elementi della

catena di distribuzione; ciò è stato in gran parte consentito dalla capacità dei nuovi sistemi

produttivi di far fronte alle variazioni nella domanda.

28 Tale variabile risulta soggetta ad una crescita finché la tecnologia si stabilizza, l’output aumenta e i prezzi si abbassano; a questo punto subisce una riduzione considerevole in tempi brevi (shakeout), per poi assumere un valore sostanzialmente costante a causa dell’estinzione del fenomeno di entrata.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 222

Inoltre, in seguito all’introduzione della tecnologia run-flat, tra le varie imprese leader

sembrano essersi attuate delle dinamiche volte alla ricerca della formazione di gruppi

competitivi che possono modificare gli equilibri al vertice, che, come si vede dalla figura 4.6,

da molti anni sono stabili. Infatti, indipendentemente dal fatto che il pneumatico run-flat

diventi o meno il futuro dell’industria, in questi ultimi anni la struttura della stessa è stata

influenzata da una sorta di battaglia per la diffusione dello standard.

Questa tendenza risulta lampante se si considerano tre fattori. In primo luogo non è stata ancora

sviluppata una tecnologia pienamente soddisfacente, come emerge dal quarto capitolo e,

secondariamente, l’intensa attività di ricerca e sviluppo dimostra che il margine di

miglioramento è ancora ampio. Infine, da un’analisi attenta dei rapporti tra le compagnie al

vertice risulta chiara la formazione di due raggruppamenti distinti. Da una parte si trovano

Michelin, Pirelli, Goodyear, Sumitomo ed Hankook29 (che assieme possiedono circa il 50% del

mercato), legate dall’accordo per lo sviluppo e la commercializzazione del Pax-system;

dall’altra Continental, Bridgestone e Yokohama, che condividono le rispettive conoscenze

tecnologiche e contribuiscono allo sviluppo della tecnologia CSR ideata da Continental.

Le strategie seguite dalle due parti appaiono diverse. Continental, Bridgestone e Yokohama

puntano a sviluppare un pneumatico run-flat che si discosti il meno possibile dalla tecnologia

del prodotto tradizionale, soprattutto dal punto di vista delle modifiche richieste sul veicolo e

sulla ruota. Il Pax-system, invece, rappresenta un prodotto più definito con prestazioni run-flat

maggiori e più sicure ma possiede un carattere più distruttivo sulle competenze delle imprese;

per questo tutti gli aderenti all’accordo, compresa Michelin, producono anche una tecnologia

più semplice e vicina a quella tradizionale.

Esistono due fattori necessari alla diffusione di uno standard: trovare alcuni clienti strategici e

stipulare delle alleanze con i concorrenti. Per le imprese dell’industria risulta difficile

realizzare la prima condizione poiché i clienti più potenti, cioè le case automobilistiche,

preferiscono affidarsi a numerosi fornitori per mantenere viva la concorrenza e basso il

prezzo30; al contrario le compagnie leader hanno cercato fin da subito di instaurare una rete di

29 Hankook non fa ora parte del gruppo delle top10 ma, comunque, occupa le posizioni immediatamente successive al decimo posto. 30 Nella sezione 4.3, infatti, si è visto come molti produttori di autoveicoli mantengano più fornitori anche nel caso dei pneumatici run-flat: ad esempio la Corvette è equipaggiata da Goodyear, Yokohama e Kumho, la Lexus SC 430 luxury da Bridgestone e Goodyear, la Mini da Goodyear, Dunlop e Pirelli e la Toyota Sienna da Dunlop e Bridgestone.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 223

accordi con i competitori31.

Lo sviluppo di un eventuale standard avrebbe considerevoli implicazioni sui maggiori attori del

sistema competitivo esaminato.

I distributori sono gli elementi collegati alla catena del valore dei produttori di pneumatici che

potrebbero risentire maggiormente della sorta di battaglia per la diffusione dello standard che si

è sviluppata, in quanto potrebbero subire dei processi di lock-in nei confronti della

distribuzione di una tecnologia piuttosto che di un’altra. Le case automobilistiche, che oggi si

affidano a più produttori, troverebbero beneficio nel non doversi continuamente adattare alle

specifiche delle diverse tecnologie; esse risulterebbero, però, svantaggiate dall’aumento di

potere contrattuale nelle mani dei loro fornitori. La libertà di scelta del consumatore finale

verrebbe diminuita: oggi infatti esso può scegliere tra molte soluzioni e rimane vincolato al

marchio del primo equipaggiamento solo nel 45% dei casi. Infine, un altro attore del sistema

che potrebbe essere avvantaggiato dalla diffusione di uno standard sono i piccoli-medi

competitori che potrebbero investire direttamente in una determinata tecnologia senza doversi

assumere il rischio di dover sviluppare, produrre e commercializzare autonomamente un nuovo

prodotto, come hanno dovuto fare in questi ultimi anni le otto compagnie che hanno proposto

una soluzione run-flat.

Tuttavia, da un’attenta analisi dei gruppi formatisi, sembra che le azioni intraprese siano

prevalentemente orientate verso l’ottenimento di un vantaggio competitivo nei confronti dei

concorrenti piuttosto che verso la diffusione di uno standard; infatti, le varie compagnie,

proponendo diversi esempi di tecnologia run-flat, sembrano attuare delle strategie di ostruzione

contro le soluzioni dei competitori.

Concordemente con le teorie dell’evoluzione industriale basate sul ciclo di vita del prodotto, la

struttura oligopolistica del settore è soggetta ad un processo continuo di consolidamento, dato

l’ampliamento del divario tra le imprese di dimensioni maggiori e i piccoli-medi produttori.

Ciò è dovuto a molti fattori tra cui si ricordano la riconfigurazione dell’apparato distributivo e

l’introduzione dei nuovi sistemi che permettono di guadagnare vantaggio competitivo

aumentando le barriere all’entrata e rafforzando la relazione con i clienti principali.

31 Questa tendenza è stata seguita principalmente da Michelin (la cui proposta di adesione all’accordo per il Pax-system è ancora aperta): molto probabilmente, come afferma uno dei responsabili della distribuzione di Michelin Italia (Intervista del 7 settembre 2003), la compagnia ha attuato un’inversione di tendenza in seguito ad un investimento del passato, il cerchio antidetallonamento TRX, che non è andato a buon fine proprio per la mancanza di appoggio da parte dei concorrenti.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 224

5.5 Conclusioni

In questa sezione si è cercato di valutare:

- l’impatto dell’introduzione del pneumatico run-flat e dei nuovi sistemi produttivi sulle

competenze delle imprese adottatrici;

- la natura del legame tra innovazioni di processo e di prodotto;

- l’utilità del caso analizzato per riesaminare le teorie del ciclo di vita del prodotto.

Si è concluso che, concordemente alla teoria del ciclo di vita del prodotto, le due innovazioni

considerate non rappresentano una drastica rottura con il passato: infatti, la tecnologia del

pneumatico run-flat rimane sostanzialmente quella tradizionale e l’innovazione portata dai

nuovi sistemi produttivi, in generale, è applicata alle fasi e alle modalità costruttive del

processo tradizionale.

Il pneumatico run-flat ha inciso maggiormente nelle attività a valle della catena del valore degli

adotattori, portando una più ampia soddisfazione delle esigenze di utilizzatori finali e

costruttori di veicoli e modifiche alla rete di distribuzione, in seguito alla costituzione di un

network di assistenza agli automobilisti. Esso, quindi, ha creato un nuovo segmento di mercato,

destinato a rimanere tale, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente da Goodyear,

soprattutto per problemi legati ai costi, al comfort di guida e alle implicazioni sulla struttura del

veicolo.

L’innovazione a livello di sistema produttivo, invece, si è manifestata in diverse forme: i

sistemi di Goodyear e Continental si sono fermati ad un’automazione delle fasi critiche del

processo tradizionale mentre quelli di Pirelli, Michelin, Bridgestone e Sumitomo contengono

un grado innovativo maggiore, soprattutto grazie alla gestione integrata a flusso unico di tutte

le funzioni connesse con la fase di costruzione. Questi ultimi sistemi hanno inciso sia sulle fasi

a valle, come gestione dei clienti, distribuzione e logistica, che su quelle a monte,

comprendenti la tecnologia, il rapporto con i fornitori e con il personale. La loro adozione ha

reso necessaria un’elevata flessibilità a livello di impresa: infatti, si sono dovuti riconfigurare

dei collegamenti tra alcune funzioni aziendali (come progettazione e produzione), dal momento

che il sistema coinvolge tutte le fasi legate alla costruzione del prodotto, ed è risultato

necessario, almeno per Pirelli, estendere il range delle tecnologie con una possibile

applicazione nell’industria.

L’analisi effettuata nel capitolo ha permesso di concludere come non si possa individuare una

relazione consequenziale tra le due innovazioni: entrambe fanno parte di una strategia attuata

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 225

da tutte le compagnie per sopravvivere nel difficile ambiente competitivo nel quale sono

immerse, che mira ad un aumento dei profitti. Tale scopo può essere ottenuto concentrandosi

sui segmenti di mercato (pneumatici ad alta performance, run-flat,…) che, soddisfacendo delle

particolari esigenze degli utilizzatori finali, permettono prezzi maggiori e la diversificazione,

seppur minima, tra i marchi e ricercando una riduzione dei costi. I nuovi sistemi rappresentano

uno strumento molto efficace per raggiungere quest’ultimo fine: essi portano ad un

abbassamento dei costi di produzione, di manodopera, di energia e di magazzino e

semplificano la struttura degli apparati logistico e distributivo. Inoltre, essi possiedono una

flessibilità, sia relativamente ai volumi produttivi che alle caratteristiche, tale da sostenere la

produzione delle nicchie di prodotto.

Anche se le due innovazioni considerate sono comparse dopo molti decenni in cui non si

verificavano modifiche sostanziali a livello di prodotto e di processo produttivo, l’industria ha

sempre attribuito una considerevole importanza all’innovazione tecnologica e, nel corso degli

anni, ha saputo adeguare le metodologie di approccio ad essa; si possono leggere in tale ottica

l’estensione delle conoscenze verso molti campi precedentemente non connessi all’industria,

attuata attraverso brevetti propri, licenze e accordi e le forme di cooperazione con clienti e

fornitori. Ciò dimostra che anche un’industria oligopolistica può possedere al proprio interno

delle dinamiche interessanti, soprattutto a livello innovativo.

L’osservazione approfondita dell’industria del pneumatico ha permesso di concludere che in

essa si sta consolidando ulteriormente il divario tra piccoli-medi e grandi produttori; anche al

vertice si sta assistendo a modifiche in seguito alla formazione di due raggruppamenti legati

alla diffusione della tecnologia run-flat.

Questo capitolo conclude lo studio sull’industria del pneumatico e sulle sue ultime importanti

innovazioni: il sesto conclude proponendo un riassunto dei principali punti sviluppati.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 226

Appendice 5.1 – Impatto del pneumatico run-flat su tecnologia/prodotti e

clienti/mercati secondo la metodologia proposta da Abernathy e Clark (1985)

Per l’analisi sull’impatto dell’innovazione su tecnologia e prodotti esistenti e su clienti32 e

mercati, utilizzo lo studio di Abernathy e Clark (1985)33.

La valutazione dell’impatto dell’innovazione sui vari elementi che definiscono le competenze

nelle due dimensioni considerate avviene assegnando un punteggio da 1 a 5 nel caso il

cambiamento sia conservativo e da 6 a 10 se distruttivo (il punteggio 1 rappresenta il grado

maggiore di conservatività, mentre il 10 di distruzione). Considerando lo stesso peso per tutte

le determinanti delle competenze, si è ottenuto un punteggio medio, per quanto riguarda sia

l’aspetto legato alla tecnologia e ai prodotti che quello connesso con i clienti ed i mercati,

semplicemente con una media aritmetica.

Questa analisi presenta due limiti: prima di tutto il metodo è molto soggettivo e, in secondo

luogo, non si ha avuto la possibilità di confermare le osservazioni proposte attraverso interviste

con tecnici del settore.

IMPATTO SU TECNOLOGIA E PRODOTTI Competenze Punteggio Descrizione Design e modalità di incorporare la nuova tecnologia

6 Ricerca della compatibilità tra i componenti.

Sistemi di produzione e strutture e procedure organizzative

6 I pneumatici run-flat non hanno richiesto direttamente cambiamenti significativi al sistema produttivo, tuttavia l’aumento di flessibilità e qualità hanno portato alla costituzione di nuove competenze.

Skill di lavoro, manageriali e tecnici 6 Necessità di nuovi skill soprattutto a livello tecnico. Fornitura di materiali e relazione con i fornitori

7 I pneumatici run-flat hanno richiesto nuovi materiali, soprattutto di rinforzo e per il supporto rigido. Il cambiamento maggiore, però, riguarda i sensori per il monitoraggio della pressione.

Richiesta di investimenti in capitale 2 Non strettamente e direttamente richiesta. Conoscenza ed esperienza in possesso delle imprese

7 Nuove conoscenze in materiali, nel sistema di aggancio il pneumatico al cerchione e per i sensori per il controllo della pressione. Tuttavia le conoscenze alla base del prodotto rimangono quelle del pneumatico tradizionale.

Punteggio finale 5,66

32 Come già affermato nel quarto capitolo i clienti dei produttori di pneumatici sono tre: case automobilistiche, distributori ed utilizzatori finali. 33 In particolare faccio riferimento alla tabella 2 presentata a pag.5 dello studio.

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Quinto Capitolo, Analisi strategica - 227

IMPATTO SU CLIENTI E MERCATI Competenze Punteggio Descrizione Relazione con il cliente e i mercati esistenti

9 Si instaurano modifiche nelle relazioni con tutti e tre i clienti: il prodotto tende a rafforzare il legame con gli utilizzatori finali che hanno un servizio aggiuntivo, con le case automobilistiche che possono offrire più tipologie di prodotto e hanno una pesante influenza sulla distribuzione.

Rapporto con la soddisfazione dei bisogni del cliente

7 Il prodotto soddisfa nuovi bisogni solo per quanto riguarda gli automobilisti ed in parte anche dei costruttori di automobili.

Canali di distribuzione e servizi post-vendita

9 Necessità di costruire un network di centri di assistenza e di dotare i distributori di macchinari ed addestramento particolari. Nel caso di forature particolari i produttori ritirano anche i pneumatici per una riparazione più accurata.

Conoscenze del cliente 7 I cambiamenti nelle conoscenze di maggior rilievo si presentano nei costruttori di autoveicoli, che devono modificare opportunamente i mezzi, e nei distributori.

Comunicazione con il cliente 8 Diventa più stretto il rapporto con i costruttori di automobili che si articola in forme di co-design. Anche le relazioni con i distributori cambiano per la necessità di avere centri di assistenza efficienti dislocati su tutto il territorio.

Punteggio finale 8

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Sesto Capitolo, Conclusioni - 228

Sesto Capitolo

Conclusioni

Questo capitolo conclude la presentazione del lavoro effettuato riassumendone i principali

risultati e conclusioni.

Lo studio si è proposto di analizzare le dinamiche innovative dell’industria del pneumatico,

concentrando l’attenzione sull’ultimo quindicennio, che è stato caratterizzato da due importanti

innovazioni, il pneumatico run-flat, a livello di prodotto, ed i nuovi sistemi produttivi, per

quanto riguarda il processo di fabbricazione. Esse appaiono particolarmente significative in

quanto da molti anni su entrambi i fronti, prodotto e processo, non si era assistito a

cambiamenti sostanziali: infatti, alla fine degli anni’80 il pneumatico presentava

essenzialmente la struttura assunta in seguito all’introduzione della tecnologia radiale ed il

processo produttivo era basato su modalità e macchinari che, seppur rivisti successivamente,

risalivano agli anni’20.

Nello specifico nello studio si sono seguite tre linee di indagine. In primo luogo sono state

esaminate le caratteristiche delle due innovazioni ed il loro impatto sulle imprese adottatrici e

su altri attori operanti nel loro sistema competitivo, come clienti, fornitori, personale e

competitori. Secondariamente si sono valutate le loro relazioni, prendendo spunto dagli studi

riguardanti le interdipendenze reciproche tra tecnologie di prodotto e processo. Infine, le due

innovazioni sono state analizzate alla luce di un riesame delle teorie del ciclo di vita del

prodotto in base alle quali le industrie mature, come quella del pneumatico, dovrebbero essere

caratterizzate solo da miglioramenti incrementali, sia a livello di prodotto che di processo.

La ricerca volta al conseguimento degli obiettivi proposti si basa sia su un attento esame della

letteratura disponibile, riguardante sia studi di economia dell’innovazione che casi inerenti

l’industria, che su un lavoro sperimentale di raccolta di materiale settoriale ed è stata per lo più

realizzata allo Spru (Science and Technology Policy Research Unit) presso l’Università del

Sussex (Falmer, Regno Unito) nell’ambito del programma Erasmus; le considerazioni derivate

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Sesto Capitolo, Conclusioni - 229

in seguito all’analisi effettuata sono state approfondite e rese più attinenti alla realtà dalle

informazioni raccolte attraverso alcune interviste in Pirelli.

Nel secondo capitolo, quindi, sono state esaminate le posizioni proposte dalla letteratura

esistente nell’ambito della diversificazione tecnologica, della classificazione delle innovazioni

e delle teorie sul ciclo di vita del prodotto.

Il terzo capitolo ha fornito una presentazione delle dinamiche che hanno determinato la

conformazione attuale del settore, ponendo in risalto la concatenazione degli eventi storici,

l’evoluzione della tecnologia, la concentrazione industriale e la storia di Pirelli.

Il settore del pneumatico ha assunto fin dalla nascita, alla fine del XIX secolo, un carattere

indipendente rispetto a quello della gomma al quale è sempre stato, comunque, profondamente

connesso: infatti, vi operavano sia imprese, come Goodyear, Firestone o Pirelli, altamente

focalizzate produttivamente che compagnie per cui il pneumatico era solo una delle tante linee

di prodotto, come Diamond Rubber o US Rubber.

Nel corso degli anni il pneumatico ha subito un processo di miglioramento continuo che ha

eliminato la quasi totalità delle pesanti inefficienze che avevano segnato i suoi primi anni di

sviluppo; pietra miliare di questo processo è stata l’introduzione del pneumatico radiale nel

1946 da parte di Michelin. Infatti, seppur basato su una diversa combinazione della tecnologia

esistente, il nuovo prodotto ha introdotto miglioramenti significativi nella performance ed ha

indotto dei profondi cambiamenti nella struttura dell’industria a causa delle difficoltà

riscontrate nella sua adozione da parte delle imprese americane.

Ora a livello di prodotto si possono sostanzialmente scorgere due linee di tendenza. In primo

luogo, accanto al pneumatico standard che da molti anni ha assunto una configurazione ben

precisa e delineata, si stanno formando delle nicchie di mercato che permettono una più

completa soddisfazione delle esigenze del consumatore (costituite, ad esempio, dai pneumatici

ad alta performance, per moto o run-flat). Secondariamente i produttori stanno estendendo la

propria attenzione a tutto il sistema ruota e alle connessioni con le altre parti del veicolo; le

aree di ingegnerizzazione e progetto, quindi, hanno assunto maggiore importanza e gran parte

del lavoro è svolto in collaborazione con clienti e fornitori.

Il processo produttivo, invece, si è sempre basato principalmente su modalità e macchinari

introdotti attorno agli anni’20. E’solamente a partire dagli anni’90 che, attraverso nuovi sistemi

altamente automatizzati, si sono potuti ottenere miglioramenti decisivi nei costi di produzione,

nella flessibilità e nella logistica degli impianti e si è potuta realizzare l’integrazione della fase

di fabbricazione con le altre ad essa collegate, come progettazione, sviluppo e distribuzione.

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Sesto Capitolo, Conclusioni - 230

Il processo di evoluzione del pneumatico e del relativo sistema produttivo è stato

accompagnato da un percorso analogo nella struttura industriale. Inizialmente essa era

caratterizzata da molte imprese di diverse dimensioni, più o meno diversificate

produttivamente, operanti per lo più nel mercato domestico o nei paesi limitrofi. Oggi il settore

presenta una configurazione oligopolistica ed è dominato da dieci compagnie che detengono

circa l’85% del mercato (il 60% è posseduto dalle tre maggiori). La restrizione della

concorrenzialità nell’industria è stata determinata da diversi fattori: lo shakeout avvenuto negli

anni’20 negli Stati Uniti, l’espansione multinazionale di molte imprese, la crisi dell’industria

americana proprietaria e le conseguenti acquisizioni e fusioni che hanno caratterizzato gli

anni’70 e ’80. Tale processo si sta ulteriormente intensificando a causa del considerevole

vantaggio competitivo acquisito dai maggiori produttori grazie all’adozione dei nuovi sistemi

produttivi, all’attività nelle nuove nicchie di prodotto e ai cambiamenti realizzati nella struttura

distributiva.

Nelle prime sezioni del quarto capitolo si sono presentate le caratteristiche peculiari

dell’industria, ponendo una particolare attenzione all’aspetto innovativo.

Essa appare contraddistinta da due proprietà fondamentali: l’alto tasso di concentrazione e

l’elevata segmentazione a livello di prodotto. Il segmento su cui si concentra maggiormente lo

studio è quello dei pneumatici per veicoli passeggeri (che comprende anche gli autocarri

leggeri) nel quale le imprese operano in due mercati, quello del ricambio e quello degli

equipaggiamenti originali. I principali produttori tendono a focalizzarsi su quest’ultimo, anche

se offre profitti minori a causa della forte pressione delle case automobilistiche, degli elevati

standard qualitativi richiesti, del prezzo in continuo calo, dell’incremento dei costi e del

considerevole aumento nella durata del prodotto.

Negli ultimi anni il mercato è stato segnato da due importanti fattori. In primo luogo si è

verificato un processo di globalizzazione, grazie soprattutto all’espansione delle imprese

orientali in Occidente e alle molte acquisizioni verificatesi negli anni’70 e ’80, in conseguenza

al quale le imprese hanno assunto caratteristiche ed atteggiamenti molto simili.

Secondariamente è stato caratterizzato dalla saturazione dei mercati definiti “ad alto costo”

come l’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, per far fronte alla quale è iniziato un processo di

trasferimento della produzione verso zone “a basso costo”, come l’Est Europeo o il Sud

America.

Infine l’industria presenta elevate barriere all’entrata che, dato il suo stadio maturo, si

configurano maggiormente come barriere all’espansione competitiva dei piccoli-medi

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Sesto Capitolo, Conclusioni - 231

produttori; esse sono determinate soprattutto dagli ingenti investimenti richiesti in produzione,

in distribuzione e nella gestione dei fornitori. Anche negli ultimi anni nell’industria l’innovazione ha continuato ad essere trainata dalla

domanda, o meglio da forze esterne, piuttosto che da determinanti interne. Infatti, dallo studio

effettuato emerge come le due innovazioni considerate siano state sostanzialmente determinate

dall’esigenza delle compagnie del settore di mantenere e consolidare la posizione competitiva

acquisita, in un contesto di continua modifica delle condizioni al contorno. Ad esempio, i

nuovi sistemi altamente automatizzati non sono stati introdotti appena il progresso tecnologico

nei campi della robotica, del software e dell’automazione l’avrebbe permesso, ma con un

considerevole ritardo.

Come già anticipato, quindi, in questi ultimi decenni lo scenario competitivo ha subito un

processo di continuo cambiamento. Il settore è stato caratterizzato da un costante aumento dei

costi, reso ancora più pesante dalla concorrenza di compagnie provenienti da paesi definiti “a

basso costo” sui mercati occidentali. I produttori di pneumatici hanno dovuto assecondare le

richieste dei consumatori finali, e, quindi, dei costruttori di veicoli, verso prodotti con maggiori

standard qualitativi e di performance (richieste non accompagnate, però, da una parallela

disponibilità ad incrementare il prezzo di acquisto), in quanto, essendo il prodotto una

commodity, la fidelizzazione del consumatore risulta una variabile di primaria importanza.

L’incremento del livello qualitativo si è reso necessario anche in seguito a delle disposizioni di

legge; ad esempio, negli Stati Uniti è stata introdotta la possibilità di obbligare i produttori al

ritiro dal mercato dei pneumatici ritenuti a rischio. Infine, come si è affermato sopra, l’industria

richiede elevati investimenti soprattutto nella gestione delle fasi produttiva e distributiva.

In accordo con le teorie del ciclo di vita del prodotto, le due innovazioni esaminate, pur avendo

introdotto un miglioramento abbastanza consistente rispetto al passato, non hanno rotto

l’equilibrio con la tecnologia e le competenze esistenti. I cambiamenti più significativi

apportati, soprattutto per quanto riguarda il pneumatico run-flat, riguardano le attività a valle

della catena del valore delle imprese adottatrici. Ad esempio, il nuovo prodotto ha reso

necessaria la costituzione di una rete di centri di assistenza con delle specifiche competenze ed

attrezzature per la fase di riparazione ed i nuovi sistemi produttivi, facilitando la gestione delle

variazioni della domanda (sia relativamente a volume d’ordine che alla variabilità delle

caratteristiche), hanno semplificato il rapporto con il cliente finale, con una diminuzione del

peso dei distributori indipendenti.

I cambiamenti nel processo produttivo, che rimane basato sostanzialmente sulle fasi principali

del processo tradizionale, hanno inciso anche a livello di tecnologia, di gestione del personale e

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Sesto Capitolo, Conclusioni - 232

dei fornitori. Essi potrebbero essere definiti una sorta di innovazione architetturale, facendo

riferimento allo studio di Henderson e Clark (1990), su due livelli. Infatti, dalle interviste

effettuate in Pirelli è emerso che essi hanno portato ad una rivisitazione dell’architettura della

compagnia, richiedendo una ridefinizione dei collegamenti tra alcune delle funzioni aziendali,

e di quella del prodotto, avendo agito sulla complessa relazione tra elementi di progetto e

parametri di performance del prodotto.

Lo studio dell’attività innovativa nel settore attraverso l’analisi integrata delle spese in R&S,

dei brevetti richiesti, degli accordi stipulati, della soddisfazione del consumatore e dell’attività

nei segmenti racing e HP, ha portato ad importanti considerazioni sul rapporto tra industria e

innovazione.

Innanzitutto, concordemente con la visione di impresa dell’economia evolutiva, il processo

innovativo risente dell’esperienza passata di ogni organizzazione: ad esempio, esaminando la

storia delle compagnie, emerge come Michelin si sia dedicata allo sviluppo della tecnologia

radiale fin dai primi decenni del 1900 e come Goodyear, fin dalla sua fondazione, abbia

investito risorse nella ricerca di una tecnologia efficiente con proprietà run-flat.

In secondo luogo le imprese hanno assunto un ruolo più attivo nell’acquisizione di tecnologia,

proveniente anche da campi non strettamente connessi all’industria, soprattutto attraverso

attività di sviluppo congiunto con clienti e fornitori, accordi e joint-venture, ricerca propria e

licenze; un outsourcing passivo porterebbe al mancato ottenimento delle conoscenze necessarie

per gestire in modo competitivo le tecnologie acquisite e renderebbe le compagnie troppo

dipendenti dai fornitori. Quindi, lo studio ha verificato come la diversificazione tecnologica sia

una delle forze principali per la competitività; nell’industria essa permette di rendere i prodotti

ed i processi più efficienti, attraverso l’uso di diverse tecnologie, di rafforzare il legame con gli

altri elementi della supply-chain, come i fornitori, e di ampliare il proprio campo di azione a

livello produttivo (ad esempio, Continental mira a diventare un fornitore completo per

l’industria automotiva). L’analisi effettuata ha portato alla conferma anche del ruolo dei

produttori di pneumatici di system integrators per l’industria: essi si occupano di integrare nel

prodotto delle tecnologie provenienti da un vasto numero di campi e di mantenere relazioni

strette, attraverso lo scambio tecnologico, con gli altri attori operanti nel loro sistema

competitivo.

La flessibilità a livello di organizzazione, quindi, si rivela una delle variabili fondamentali per

l’ottenimento di un vantaggio competitivo, come emerge da molti studi presentati nel secondo

capitolo. L’analisi realizzata ha dimostrato come la tecnologia ed il grado di innovazione

incorporati nei vari sistemi produttivi introdotti in questi ultimi anni siano piuttosto diversi: da

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Sesto Capitolo, Conclusioni - 233

ciò si può ipotizzare che il vantaggio o lo svantaggio incontrato nello sviluppo di questi nuovi

sistemi i possa essere determinato dal grado di flessibilità insito nelle varie imprese e che in

futuro possa portare ad incisive modifiche nel gruppo al vertice del settore. Infatti, molto

spesso le compagnie falliscono perché non sanno attuare il processo di trasferimento della

tecnologia nei prodotti, attività in cui è incorporata la definizione stessa di impresa secondo

Pavitt (1998).

Le teorie sul ciclo di vita dell’industria (direttamente discendenti da quelle del ciclo di vita del

prodotto) identificano la fase matura come un periodo di progressiva contrazione e decadenza;

al contrario, lo studio effettuato dimostra come le condizioni al contorno, che incidono

pesantemente sull’andamento del settore, siano in continua evoluzione e, di conseguenza, come

le imprese operanti abbiano sviluppato delle dinamiche evolutive ben precise che rendono

l’industria tutt’altro che statica.

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Cronologia - 234

Allegato 1

Cronologia

Inizio 19° secolo

Gli europei iniziano ad interessarsi al caoutchouc: sostanza liquida ottenuta dalla corteccia degli alberi e dalle viti in Sud America, usata dagli abitanti della foresta amazzonica per indumenti e protezione per i piedi.

1811 J.N Reithoffer inizia il commercio del caoutchouc in Europa. In US è conosciuto grazie ad un

mercante di Boston che inizia ad importare scarpe dal Sud America. Iniziano molti esperimenti per migliorarne le caratteristiche (problemi di cattivo odore e alta sensibilità alle proprietà termiche).

1839 C.Goodyear inventa il processo di vulcanizzazione che consiste nello scaldare la gomma con

solfuro e piombo bianco a 270 F in modo da renderla flessibile, impermeabile e resistente alle diverse temperature. In seguito A.Parkes brevetta un processo a freddo.

1846 R.W.Thomson brevetta l’ “aerial wheel”: gomma o gutta-percha gonfiata attraverso una valvola e

infilata in un fodero di cuoio ma non ebbe molta applicazione. 1870 Nasce negli Stati Uniti BFGoodrich. 1871 Nasce Continental in Germania. 1872 Nasce Pirelli in Italia. 1878 A. Pope introduce in US la bicicletta, nata in Francia. Inizialmente le ruote erano di legno col

cerchione contornato in ferro ma presto sorgono delle necessità di miglioramenti della sua comodità partendo dal contatto col terreno. Una prima soluzione è rappresentata dall’utilizzo di gomma solida.

1888 J.B. Dunlop (Dublino) inventa il pneumatico per la bicicletta, cioè una gomma con all’interno aria

in pressione. Seguono una serie di miglioramenti soprattutto per renderne più facile il ricambio. Nasce Dunlop in UK. 1889 In US gli impianti specializzati nella produzione della gomma crescono a 167 (nel 1959 erano 27).

Essa inizia ad avere impieghi anche nel nascente settore elettrico e in campo medico (dentale). Nasce Michelin in Francia. 1890 Pirelli inizia a produrre pneumatici per biciclette 1891 Michelin brevetta il primo pneumatico smontabile. 1895 In Francia Michelin inizia a creare pneumatici per automobili e a pubblicizzarli nelle varie

competizioni. I pneumatici solidi iniziano a scomparire. 1896 Goodrich fabbrica il primo pneumatico per automobili dando inizio all’industria dell’automobile in

US. 1898 Nasce Goodyear Tire&Rubber in US ad opera dei fratelli Seiberling e con essa tutta una serie di

nuove compagnie.

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Cronologia - 235

1900 Inizia a decadere la bicicletta e tutti cercano di concentrarsi sui pneumatici per automobili e simili con gli opportuni adattamenti. Entrano nuove imprese limitate dalla necessità di skill specifici data la rilevante presenza di processi manuali.

Nasce Firestone negli Stati Uniti. 1903 Goodyear brevetta il primo pneumatico tubeless, cioè senza camera d’aria interna. Primo pneumatico per aereo. 1904 Goodyear presenta il primo pneumatico con battistrada disegnato. 1905 Pirelli inizia a produrre pneumatici per auto in ritardo rispetto ai competitori europei dal momento

che è lenta anche la stessa industria automobilistica italiana. 1906 Michelin apre uno stabilimento in Italia, a Torino. 1907 Michelin entra nel mercato americano (New Jersey) ma vi rimane solo fino al 1930. 1908 Prime introduzioni di disegni sul battistrada per migliorare l’aderenza. Ford preme per avere fornitori di pneumatici fissi. 1909 Iniziano ad essere introdotte le prime macchine per la costruzione dei pneumatici, come la Core

Tire Building Machine per assemblaggio, brevettata da Goodyear. Questo segna l’inizio della produzione di massa.

Nasce Sumitomo Rubber in Giappone. 1910 Introduzione del cord tire per diminuire l’attrito e il surriscaldamento. Cambiamenti nel design del pneumatico: aumento delle dimensioni, diminuzione della quantità di

aria in pressione e adozione del colore nero rispetto al bianco-grigio precedente. Forte crescita del settore in US dove hanno la meglio Goodyear e Firestone che sono le imprese più

specializzate in pneumatici. Comunque inizia un abbassamento dei prezzi e dei profitti con conseguente potenziamento delle barriere all’entrata.

1912 Goodrich acquisisce Diamond Rubber. 1913 Grey e Sloper della Palmer Tyre Company (UK) inventano la tecnologia radiale ma bisogna

aspettare 30 anni per la commercializzazione. Michelin inventa la ruota di acciaio smontabile che permette così l’introduzione della ruota di scorta

sull’automobile. 1914 Nasce Cooper Tire in US. 1916 L’industria inizia a risentire degli effetti della prima guerra mondiale e della conseguente

recessione. In Europa vengono distrutte alcune piantagioni di gomma ma il mercato americano non ne risente. Si aprono anche nuovi spazi nel settore della gomma legati alla produzione militare. Ciò svantaggia compagnie come Goodyear e Firestone che sono altamente specializzate. La recessione causa una diminuzione dei prezzi delle materie prime: le piccole imprese cercano di trarne vantaggio per emergere mentre le grandi hanno molte perdite di valore nei magazzini. Goodyear è vicina alla bancarotta. Il settore, però, è trainato dall’aumento della domanda di automobili.

Brevettato il Banbury mixer per mescolare i componenti chimici da parte di F.H.Banbury dipendente di una fonderia di Birmingham dove si producevano macchinari anche per il settore del pneumatico.

1919 Brevettata la Drum Tire Building Machine per l’assemblaggio da parte della US Rubber. 1920 Introduzione del cross-play tyre e del low-pressure tyre. Iniziano a prevalere le grandi imprese sulle piccole dando inizio ad una competizione oligopolistica. Nasce Bridgestone in Giappone. 1923 Introduzione dei baloon tyre da parte di Firestone.

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Cronologia - 236

1928 Michelin brevetta i pneumatici tubeless. 1929 Le compagnie petrolifere entrano nella vendita al dettaglio dei pneumatici.

Grande Depressione che causa la diminuzione dei prezzi dei pneumatici, delle automobili e delle materie prime. Le compagnie iniziano a diversificarsi verso mercati collegati al settore della gomma.

1930 Michelin acquisisce Citroen incapace di pagare i debiti contratti nei suoi confronti. I lavoratori negli Stati Uniti iniziano ad organizzarsi in associazioni, ad esempio la URW (United

Rubber Workers). 1933 Viene inventata la gommapiuma. Accordo tra Pirelli, US Rubber e Dunlop per sfruttare i rispettivi

brevetti nel campo. 1935 Goodyear acquisisce Kelly Springfield. 1937 Michelin introduce il metal tire. Pirelli è la prima società italiana ad essere quotata allo Stock Exchange di New York. 1938 US Rubber (poi denominata Uniroyal) acquisisce Fisk Rubber Co. Pirelli inizia ad introdurre il rayon come materiale per le carcasse al posto del cotone. 1939 Accordo di Pirelli con IRI per la produzione di gomma sintetica a Milano Bicocca. 1945 Nasce Toyo Tire&Rubber in Giappone. 1946 Michelin brevetta il pneumatico radiale. 1947 Goodyear costruisce i primi pneumatici di nylon. 1948 Michelin introduce i pneumatici radiali sul mercato. 1951 Pirelli brevetta la sua versione di pneumatici radiali aventi le fasce di rayon (cinturato). Essi sono

introdotti sul mercato a partire dal 1953. 1956 Pirelli sospende la produzione di pneumatici da corsa. 1957 Goodyear introduce l’Air Spring, un pneumatico in grado di assorbire meglio le vibrazioni

trasmesse dal terreno. 1960 Continental inizia a produrre pneumatici radiali. I pneumatici radiali diventano standard come equipaggiamento originale di tutti i nuovi veicoli in

Europa. Nasce Kumho Tires in Corea 1962 Primo pneumatico radiale prodotto da Bridgestone, sia per automobili che per autocarri. 1963 Pirelli inizia a produrre in Germania dopo aver acquisito Weith Gummiwerke AG proprietaria

dell’impianto di Breuburg. 1965 Fallimento di Goodrich nel tentativo di produrre i pneumatici radiali. 1966 Primo pneumatico radiale per Sumitomo. 1968 Collaborazione tra Pirelli, Continental e Dunlop per la ricerca sui pneumatici. Alleanza che

permane fino al 1969 e punta a contenere i costi della rivoluzione tecnologica verso i pnaumatici radiali.

1969 Northwest Ind. tenta di acquisire Goodrich.

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Cronologia - 237

1970 Idea di Pirelli, Dunlop e Continental, supportate da Michelin, di formare un’unica compagnia, la Tires Europe, per contrastare l’espansione americana e giapponese nel mercato europeo. L’unione fallisce perché Dunlop è in crisi economica e Continental preferisce investire per acquistare Uniroyal Europa.

Unione di Pirelli con la Dunlop che dura fino al 1981. 1973 Prima crisi petrolifera. Inizio della conversione alla tecnologia radiale negli Stati Uniti. 1976 Michelin rientra nel mercato statunitense (South Carolina) e grazie alla tecnologia radiale ottiene

contratti con Ford che finora si era affidato solo all’industria americana. Goodyear introduce i season tyre adatti ad ogni stagione e condizione di terreno. Oltre a Michelin nell’industria americana entra un’altra impresa europea, IRI, grazie allo spazio

dato dalla tecnologia radiale; essa, però, dura solo 6 anni. 1976-1987 Chiusura di numerosi impianti da parte di Goodrich, Goodyear, Uniroyal, Firestone, General Tire. 1979 Seconda crisi petrolifera e dell’industria automobilistica americana a causa dello spostamento dei

gusti dei consumatori, in parte dovuto alla crisi petrolifera stessa, verso veicoli di minori dimensioni. Conseguente entrata di Giapponesi.

1981 Pirelli inizia l’impiego di tecnologie CAD/CAM per pneumatici. Goodrich esce dall’ OE. 1982 Accordo tra Firestone e Bridgestone per l’impianto di Lavergne (Tenn.). 1983 Goodyear e Pirelli annunciano un cerchione asimmetrico per tenere il pneumatico agganciato al

cerchione. Primo radiale per moto in assoluto, introdotto da Pirelli (MP7). Acquisizione da parte di Goodyear di Celeron Corporation. 1985 Sumitomo cerca di acquisire Dunlop. Attacco ostile anche ad Uniroyal da parte di C.Icahn. 1986 Fusione tra Goodrich e Uniroyal (possibile perché la prima era uscita dal mercato degli OE). Tentativo di scalata di Goldsmith a Goodyear. 1987 Continental Tires compra General Tires. Joint-venture tra Continental, Toyo e Yokohama nell’impianto di Mt.Vernon (Illinois) per la

produzione di pneumatici commerciali per il mercato Nord Americano che dura fino al 1991. 1988 Bridgestone acquisisce Firestone scavalcando Pirelli. Pirelli compra Armstrong Tire. Yokohama entra nella joint-venture tra General Tire e Toyo Tire nell’impianto di Mt.Vernon

(Illinois). 1989 Continental e la compagnia portoghese Marbor stipulano una joint-venture per la produzione di

pneumatici a Lousado/Oporto. 1990 Michelin acquisisce Uni-Goodrich e può espandere la produzione di pneumatici per il settore aereo. Pirelli cerca di attaccare Continental subendo un fallimento. Cooper compra l’impianto di Albany di Firestone. 1991 Goodyear lancia l’Aquatread. 1992 Goodyear introduce i pneumatici run-flat basati sulla tecnologia EMT per la Corvette. Michelin brevetta il green tire. 1993 Il run-flat di Goodyear è di standard sulla Chevrolet Corvette.

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Cronologia - 238

1994 Michelin introduce il PAV (Vertical Ancorage Tyre). 1996 Pirelli stabilisce a Beuberg, in Germania, la Flexy-minifactory, una sorta di predecessore del MIRS. Accordo tra Michelin e Continental per la produzione di pneumatici da vendere ai piccoli

distributori privati. 1997 Pirelli inizia a sviluppare il MIRS. Michelin introduce la sua versione di pneumatici run-flat. 3 Sears Group introduce un nuovo sistema di produzione con lo scopo di venderlo ai costruttori di

pneumatici, basato sulla tecnologia sviluppata da Dunlop negli anni’80. 1998 Michelin introduce il Pax-system. Goodyear introduce l’Impact. Sviluppo di un nuovo sistema di pneumatici out-of-road per il lavoro nelle miniere dotato di

particolari sensori. Bridgestone introduce la sua versione di pneumatici run-flat. Cooper acquisisce Avon Tire specializzata nella produzione di pneumatici per auto da gara e di

lusso. Dunlop è venduta a Sumitomo. Goodyear esce dal segmento della Formula Uno. Nel 1999 l’unico fornitore rimane Bridgestone. 1999 Partnership tra Pirelli e Michelin per lo sviluppo del Pax-system. Joint-venture tra Sumitomo e Goodyear riguardante anche la gestione del marchio Dunlop. Alleanza tra Cooper e Pirelli per usare un sistema multi-marca per espandersi geograficamente. Kumho introduce i pneumatici run-flat. Continental introduce i pneumatici run-flat. 2000 Joint-venture tra Michelin e Goodyear per il Pax-system e la tecnologia run-flat. Accordo tra Michelin e Foco. Pirelli, Continental, Bridgestone, Cooper, Goodyear, Michelin e Sumitomo sviluppano un sito web

per attività di rifornimento. Alleanza tra Goodyear e Phase IV Engineering. Joint-venture tra Goodyear e Cycloid Company. MIRS in uso a Milano Bicocca (l’annuncio di questo lancio risale al 1999). Primo pneumatico run-flat per Pirelli (Eufori@). Joint-venture tra Continental Tire e Nisshimbo. Massiccio ritiro dal commercio (6,5 milioni di unità) di pneumatici prodotti da Firestone-

Bridgestone che equipaggiavano il SUV Ford Explorer. Pirelli sviluppa il primo pneumatico al mondo progettato specificatamente per essere venduto sul

world wide web in Europa (P2500 Euro). 2001 Joint-venture tra Goodyear e AmeriTyre per lo sviluppo di un nuovo polimero. Accordo tra Michelin e Sumitomo per lo sviluppo del Pax-system. Pirelli acquisisce Olivetti attraverso SVA Olimpia. In novembre viene installato il MIRS nell’impianto di Beuberg in Germania. Fine del rapporto privilegiato di fornitura tra Ford e Firestone. Michelin ottiene il primo posto tra tutti i produttori mondiali di pneumatici, sia nel segmento OE

che in quello del ricambio, nella classifica stilata da JDPower inerente la soddisfazione del consumatore.

2002 Accordo tra Continental e Bridgestone per dividere le conoscenze sulla tecnologia run-flat. Alla fine

dell’anno anche Yokohama entra in questo accordo. Il MIRS viene installato all’impianto di Burton-on-Trent (UK) e in Nord America, nell’impianto di

Rome, in Georgia. Pirelli introduce il MIRS moto a Milano Bicocca e a Beuberg (Germania). Il Pax-system è di standard sulla Renault Scenic in Francia. Goodyear introduce negli impianti tedeschi il Rfsam per la produzione di pneumatici run-flat e Pax-

system. Pirelli introduce il CCM, un completamento del MIRS a Milano Bicocca.

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Cronologia - 239

Sumitomo introduce il Taiyo nell’impianto di Shirakawa in Giappone (lo sviluppo del prototipo era iniziato nel 1996 e terminato nel 2000).

2003 Annunciato che dal 2004 i run-flat costruiti da Bridgestone e Dunlop saranno di serie sulla Toyota

Sienna Minivan. Il Pax-system di Goodyear è scelto per equipaggiare la Audi Pikes Peak. Negli Stati Uniti è promosso il Tread Act che impone che dal 2004 tutti i nuovi veicoli siano

equipaggiati da sistemi di rilevamento della pressione dei pneumatici. Accordo tra Michelin e Hankook per lo sviluppo del Pax-system e per permettere alla compagnia

francese un’espansione in Asia. Goodyear e Michelin iniziano a lavorare in joint-venture allo sviluppo di un nuovo tipo di

pneumatico run-flat che sarà completato in 18 mesi. Joint-venture tra Continental e Yokohama. Goodyear inizia a produrre run-flat e Pax-system a Fulda, in Germania. Cambiamento al vertice di Goodyear: dal primo gennaio Gibara lascia il posto a Keegan.

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Ing. Ponta Thomas, Pirelli Labs, Milano 16 dicembre 2003

Ing. Sgalari Giorgia, Competitive Analyst, Milano 18 dicembre 2003