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ELETTROMAGNETISMO convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati Modulo 3 I FENOMENI ELETTROMAGNETICI Unità 7 L’induzione elettromagnetica 7.0 La scoperta del fenomeno dell’induzione elettromagnetica costituisce un episodio centrale nella storia dell’elettromagnetismo. Perché non rappresentò soltanto un passo importantissimo nel progresso delle conoscenze scientifiche, ma fornì anche le basi teoriche per la realizzazione dei generatori elettrici: quegli apparati che nelle centrali producono l’elettricità che noi utilizziamo comunemente e che è essenziale per la nostra società. Per rendersi conto dell’importanza della ricerca pura, rivolta al progresso delle conoscenze, in relazione ai progressi tecnologici a cui essa conduce, con le conseguenze che ne derivano poi per la società umana, conviene riflettere sul seguente, assai istruttivo, episodio, che riguarda proprio la scoperta dell’induzione elettromagnetica. William Gladstone, all’epoca ministro delle Finanze della Gran Bretagna, fu invitato a una dimostrazione dell’apparato di Michael Faraday's per generare l’elettricità, la più recente meraviglia scientifica. Faraday sistemò l’apparato e svolse l’esperimento, mentre Gladstone osservava freddamente. Al termine della dimostrazione Gladstone rimase in silenzio per un momento e poi disse a Faraday: "E’ molto interessante signor Faraday, ma qual è il valore pratico di ciò?" "Un giorno, signore, il governo potrà farne oggetto di una tassa." replicò Faraday. 7.1 Gli esperimenti di Faraday: la scoperta delle correnti indotte Esperimento 1. Spostando fra loro un magnete e una bobina si produce una corrente. Procuratevi un magnete e un tester, che utilizzerete come amperometro, usando la scala più sensibile. Collegate fra loro i puntali del tester e disponete i cavi di collegamento in modo da formare qualche spira. Introducendo il magnete all’interno delle spire l’amperometro segnalerà il passaggio di una debole corrente; estraendolo l’effetto sarà il medesimo ma il segno della corrente si invertirà. L’effetto sarà tanto più vistoso quanto più rapidamente sposterete il magnete. Verificherete poi che non vi è differenza fra spostare il magnete rispetto alle spire o le spire rispetto al magnete. Figura 1. Introducendo il magnete fra le spire, si osserva il passaggio di una debole corrente. (da fare: come nella didascalia.) Negli anni immediatamente successivi all’esperimento di Oersted ( Unità 6 §3, pag. xxx) del 1820 molti fisici si posero la domanda: “Se una corrente elettrica può generare un campo magnetico, un campo magnetico non dovrebbe generare una corrente?”. Alla base di questa idea c’è un principio di simmetria che spesso nella scienza si rivela fruttuoso. Ma tutti i tentativi fatti per generare correnti sottoponendo dei circuiti chiusi a campi magnetici più o meno intensi e variamente orientati condussero a un nulla di fatto. A una risposta positiva arrivò Faraday soltanto vari anni dopo, nel 1831, trovando però che la generazione di una corrente in un circuito avveniva non in presenza di un campo magnetico costante, ma di variazioni del campo, come avete osservato voi stessi eseguendo l’Esperimento 1. E che le correnti così prodotte non erano costanti nel tempo, cioè correnti continue, ma correnti intermittenti, variabili nel tempo. Notiamo però che queste correnti, in seguito, si rivelarono di eccezionale utilità pratica. Nel suo primo esperimento, descritto accuratamente nel suo quaderno di laboratorio alla data del 29 agosto 1831, Faraday utilizzò un anello di ferro dolce su due lati del quale avvolse delle bobine di filo di rame ben isolato ( Figura 2). Collegando una bobina a una batteria, costituita da dieci elementi in serie, e chiudendo l’altra mediante un conduttore disposto al di sopra di un ago magnetico utilizzato come rivelatore di corrente, egli osservò che quando si chiudeva il primo 1

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ELETTROMAGNETISMO convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati Modulo 3 I FENOMENI ELETTROMAGNETICI

Unità 7 L’induzione elettromagnetica 7.0 La scoperta del fenomeno dell’induzione elettromagnetica costituisce un episodio centrale nella storia dell’elettromagnetismo. Perché non rappresentò soltanto un passo importantissimo nel progresso delle conoscenze scientifiche, ma fornì anche le basi teoriche per la realizzazione dei generatori elettrici: quegli apparati che nelle centrali producono l’elettricità che noi utilizziamo comunemente e che è essenziale per la nostra società.

Per rendersi conto dell’importanza della ricerca pura, rivolta al progresso delle conoscenze, in relazione ai progressi tecnologici a cui essa conduce, con le conseguenze che ne derivano poi per la società umana, conviene riflettere sul seguente, assai istruttivo, episodio, che riguarda proprio la scoperta dell’induzione elettromagnetica.

William Gladstone, all’epoca ministro delle Finanze della Gran Bretagna, fu invitato a una dimostrazione dell’apparato di Michael Faraday's per generare l’elettricità, la più recente meraviglia scientifica. Faraday sistemò l’apparato e svolse l’esperimento, mentre Gladstone osservava freddamente. Al termine della dimostrazione Gladstone rimase in silenzio per un momento e poi disse a Faraday: "E’ molto interessante signor Faraday, ma qual è il valore pratico di ciò?" "Un giorno, signore, il governo potrà farne oggetto di una tassa." replicò Faraday. 7.1 Gli esperimenti di Faraday: la scoperta delle correnti indotte Esperimento 1. Spostando fra loro un magnete e una bobina si produce una corrente. Procuratevi un magnete e un tester, che utilizzerete come amperometro, usando la scala più sensibile. Collegate fra loro i puntali del tester e disponete i cavi di collegamento in modo da formare qualche spira. Introducendo il magnete all’interno delle spire l’amperometro segnalerà il passaggio di una debole corrente; estraendolo l’effetto sarà il medesimo ma il segno della corrente si invertirà. L’effetto sarà tanto più vistoso quanto più rapidamente sposterete il magnete. Verificherete poi che non vi è differenza fra spostare il magnete rispetto alle spire o le spire rispetto al magnete. Figura 1. Introducendo il magnete fra le spire, si osserva il passaggio di una debole corrente. (da fare: come nella didascalia.)

Negli anni immediatamente successivi all’esperimento di Oersted ( Unità 6 §3, pag. xxx) del 1820 molti fisici si posero la domanda: “Se una corrente elettrica può generare un campo magnetico, un campo magnetico non dovrebbe generare una corrente?”. Alla base di questa idea c’è un principio di simmetria che spesso nella scienza si rivela fruttuoso.

Ma tutti i tentativi fatti per generare correnti sottoponendo dei circuiti chiusi a campi magnetici più o meno intensi e variamente orientati condussero a un nulla di fatto. A una risposta positiva arrivò Faraday soltanto vari anni dopo, nel 1831, trovando però che la generazione di una corrente in un circuito avveniva non in presenza di un campo magnetico costante, ma di variazioni del campo, come avete osservato voi stessi eseguendo l’Esperimento 1. E che le correnti così prodotte non erano costanti nel tempo, cioè correnti continue, ma correnti intermittenti, variabili nel tempo. Notiamo però che queste correnti, in seguito, si rivelarono di eccezionale utilità pratica.

Nel suo primo esperimento, descritto accuratamente nel suo quaderno di laboratorio alla data del 29 agosto 1831, Faraday utilizzò un anello di ferro dolce su due lati del quale avvolse delle bobine di filo di rame ben isolato ( Figura 2). Collegando una bobina a una batteria, costituita da dieci elementi in serie, e chiudendo l’altra mediante un conduttore disposto al di sopra di un ago magnetico utilizzato come rivelatore di corrente, egli osservò che quando si chiudeva il primo

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circuito, in modo che fosse attraversato dalla corrente della batteria, si aveva “immediatamente un sensibile effetto sull’ago, che oscillava e poi tornava alla sua posizione originale”. Aprendo poi il circuito, si aveva “nuovamente un disturbo dell’ago.” Faraday precisò poi che la deflessione transitoria dell’ago avveniva in versi opposti quando si chiudeva oppure si apriva il circuito che collegava la batteria alla bobina, come mostrato nella figura 3.

Nel secondo esperimento, Faraday utilizzò una bobina di filo di rame avvolta su un cilindro di carta, anch’essa collegata a un conduttore disposto al di sopra dell’ago magnetico rivelatore. Introducendo un magnete all’interno della bobina, egli ottenne una breve deflessione dell’ago in un verso; estraendolo, una breve deflessione nell’altro verso. In entrambi gli esperimenti si manifesta il fenomeno chiamato induzione elettromagnetica, che consiste nella generazione di una corrente, chiamata corrente indotta, che scorre in un circuito dove non è inserita alcuna pila o altro generatore elettrico. In entrambi gli esperimenti, come del resto in tutte le variazioni sul tema che è possibile immaginare (nel secondo esperimento, spostare la bobina rispetto al magnete anziché il magnete rispetto alla bobina; nel primo esperimento, avvicinare o allontanare fra loro la bobina percorsa da corrente e quella collegata al rivelatore, variare l’intensità della corrente nella prima bobina, …. ) il circuito nel quale scorre la corrente indotta è immerso in un campo magnetico che subisce variazioni nel tempo. E la corrente indotta scorre soltanto quando tali variazioni hanno luogo. Figura 2. L’anello di ferro dotato di avvolgimenti, grazie al quale Faraday scoprì l’induzione elettromagnetica, è conservato presso la Royal Institution a Londra. L’anello ha diametro esterno di 6 pollici e spessore di 7/8 di pollice. (foto di magneti di forme diverse) Figura 3. Il primo esperimento di Faraday utilizza due bobine avvolte sui due lati di un nucleo di ferro dolce, che è un magnete temporaneo. Quando il circuito che collega la batteria alla bobina A è aperto o chiuso permanentemente, il rivelatore collegato alla bobina B non indica il passaggio di corrente (a). Chiudendo il circuito della bobina A, il rivelatore indica il passaggio di una breve corrente nella bobina B, sebbene non vi sia alcun generatore (b). Aprendo il circuito, il rivelatore indica il passaggio di una corrente in senso opposto a prima (c). Il passaggio della corrente nella bobina A genera un campo magnetico le cui linee, grazie alla sua elevata permeabilità magnetica del ferro, passano in gran parte attraverso la bobina B. La corrente nella bobina B viene dunque indotta dalle variazioni nel tempo del campo magnetico accoppiato alla bobina: la corrente scorre in un senso quando il campo aumenta, nel senso opposto quando diminuisce. (adattare da Delaruelle, vol. 3, pag. 247, a) con l’interruttore aperto e l’ago in posizione di riposo; b) con l’interruttore che si chiude e l’ago che si sposta a destra; c) con l’interruttore che si apre e l’ago che si sposta a sinistra) Figura 4. Il secondo esperimento di Faraday utilizza un magnete e una bobina collegata a un rivelatore di corrente. Quando si inserisce il magnete nella bobina il rivelatore indica il passaggio di una breve corrente (a). Quando si estrae il magnete, il rivelatore indica il passaggio di una corrente in senso opposto a prima (b). Anche qui si ha il passaggio di una corrente in assenza di generatori elettrici, che viene indotta dalle variazioni del campo magnetico accoppiato alla bobina, dovute allo spostamento del magnete. (adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 286, a) con il magnete che si muove per entrare nella bobina e l’indicatore, nello stesso stile della figura 3, che si sposta a destra, b) con il magnete che si muove uscendo dalla bobina e l’indicatore che si sposta a sinistra.) 7.2 Il flusso magnetico concatenato con un circuito Si trova sperimentalmente che l’intensità della corrente indotta in un circuito dipende sia dall’intensità del campo magnetico variabile sia da quanto il circuito è accoppiato al campo, ossia dalla superficie del circuito che è attraversata dal campo magnetico variabile. Cioè, in altre parole, dal numero delle linee del campo che attraversano il circuito, ricordando la proporzionalità fra densità delle linee di campo e intensità del campo. Questo concetto può essere formalizzato in termini di flusso magnetico concatenato con un circuito utilizzando la nozione di flusso del campo magnetico introdotta nell’Unità 6 ( pag.xxx).

Ricordiamo a questo proposito che avevamo definito flusso ΦS(B) del vettore campo magnetico B attraverso una superficie S la somma (scalare) dei contributi elementari attraverso le piccolissime areole piane ΔSi in cui possiamo immaginare di suddividere la superficie S, ciascuno

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dei quali dato dal prodotto di ΔSi per il prodotto scalare del campo BB

i al centro dell’areola per la normale ni all’areola: (1) ( )S ii

B = Bi iS nΦ Δ∑

E ricordiamo anche che nel caso di un campo uniforme normale a una superficie piana l’espressione precedente si riduce al prodotto del modulo di B per l’area S della superficie: (2) ( )S B = S BΦ .

Ora ciò che conta ai fini della generazione di una corrente indotta in un circuito sono le

variazioni del flusso magnetico concatenato con il circuito, cioè il flusso del vettore B attraverso la superficie delimitata dal circuito. Che è una grandezza dotata di segno, dato che il coseno dell’angolo fra la normale alla superficie e il campo può assumere qualsiasi valore fra –1 e +1 ( figura 5).

Il caso più semplice è quello di una spira di area S disposta perpendicolarmente al campo: in tal caso il flusso concatenato con la spira è dato dalla (2). E nel caso di un avvolgimento di N spire? E’ chiaro che i flussi concatenati con le spire si sommano sicchè il flusso concatenato complessivo è N volte maggiore e si ha quindi, sempre nell’ipotesi di campo uniforme e perpendicolare alle spire:

(2a) ( )S B = NS BΦ

Notiamo però che, in generale, le variazioni del flusso magnetico concatenato con un

circuito, che assumiamo come causa delle correnti indotte, possono aver luogo in vari modi. Semplicemente perchè il campo magnetico varia nel tempo; oppure perché il circuito si sposta nel campo, per esempio una spira che ruota in un campo; oppure anche perché il circuito si deforma, e quindi varia la superficie attraverso cui è definito il flusso concatenato. Proprio quest’ultimo caso ci sarà utile, nel prossimo paragrafo, per stabilire una relazione fra la variazione del flusso concatenato con un circuito e la corrente indotta che vi scorre.

Esempio 1. Calcoliamo il flusso magnetico concatenato con una bobina. Vogliamo calcolare il flusso magnetico concatenato con una bobina, costituita da N = 10 spire di raggio r = 3 cm, che si trova in un campo magnetico uniforme di intensità B = 0,05 T, sapendo che la normale alla bobina forma un angolo α = 30° rispetto alla direzione del campo. Chiamando S = 3,14×r2 = 3,14×0,032 = 2,83·10-3 m2 la superficie di una spira, la superficie equivalente della bobina ha area: N S = 10×2,83·10-3 = 2,83·10-2 m2. Introducendo questa grandezza nella formula (1) e tenendo conto dell’angolo noto fra la normale alla bobina e la direzione del campo nello sviluppo del prodotto scalare, abbiamo: Φ ⋅ . ( ) 2 3

S B = B cos 2,83 10 0,05 0,866 1, 23 10iN S n N S B Wbα − −= = × × × = ⋅

Esempio 2. Calcoliamo il flusso magnetico concatenato con una spira che ruota in un campo magnetico. Vogliamo calcolare il flusso magnetico concatenato con una spira di area S che ruota in un campo magnetico uniforme di intensità B con velocità angolare ω.

Il teorema di Gauss per il campo magnetico ( pag. xxx) stabilisce che il flusso di B attraverso qualsiasi superficie chiusa è sempre nullo. Però le superfici delimitate da un circuito non sono chiuse ma “aperte”. Sicchè il flusso magnetico concatenato con un circuito può essere diverso da zero.

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Il flusso concatenato con la spira, che supponiamo ruoti attorno a un suo diametro, dipende in generale sia dal tempo che dall’orientazione della spira rispetto al campo. Notiamo tuttavia che se l’asse di rotazione della spira è parallelo al campo, il flusso concatenato con la spira è sempre identicamente nullo. L’altro caso estremo è quello per cui l’asse di rotazione è perpendicolare al campo e allora il flusso varia fra il valore negativo –BS e il valore positivo BS con la seguente legge temporale: ( )S B = cosS B tωΦ , dove ωt rappresenta il

valore istantaneo dell’angolo fra la normale alla superficie della spira e la direzione del campo. B Figura 7. Il flusso concatenato con una spira che ruota a velocità costante in un campo magnetico varia continuamente con legge sinusoidale. Figura 5. Per attribuire un segno al flusso concatenato con un circuito occorre scegliere come positiva una delle due facce della superficie delimitata dal circuito: quella di cui si considera la normale con verso uscente. In tal caso il flusso è positivo quando le linee del campo escono dalla faccia positiva della superficie, e quindi il coseno dell’angolo fra la normale e B è positivo (a), altrimenti il flusso è negativo (b). (Adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 240, sostituendo le due scritte con ΦS(B) > 0 e ΦS(B) < 0. Figura 6. Il flusso concatenato con una spira in un campo magnetico dipende dalla posizione della spira rispetto alle linee del campo. Tale grandezza è infatti proporzionale al numero di linee del campo “intercettate” dalla spira. Per una spira piana di area S in un campo uniforme B si ha, a seconda dell’angolo fra la direzione del campo e la normale alla spira: (a) per una spira perpendicolare al campo: ΦS = BS; (b) per una spira la cui normale è a 45° rispetto al campo: ΦS = BS cos(45°)= 0,707 BS, (c) per una spira parallela al campo: ΦS = 0. (Adattare da il Mondo della Fisica, vol. B, pag. 430, ) 7.3 La legge di Faraday-Neumann. La forza elettromotrice indotta in un conduttore in moto in un campo magnetico Nel 1996 da una navetta spaziale in volo attorno alla Terra fu calato un satellite sospendendolo con un cavo conduttore lungo 19,7 km ( figura 8). Fra gli estremi del cavo di sospensione, in volo attraverso il campo magnetico terrestre, venne misurata una forte differenza di potenziale (3500 volt), evidentemente indotta nel cavo dal suo moto nel campo magnetico,. Per comprendere l’origine di questa tensione immaginiamo di spostare a velocità costante v un conduttore rettilineo in un campo magnetico uniforme B ; sicchè gli elettroni di conduzione del metallo, trovandosi in moto in un campo magnetico, saranno soggetti alla forza di Lorentz ( Unità 6, pag. xxx). Per semplificare il problema, scegliamo la geometria in modo che questa forza sia diretta lungo il conduttore: cioè il conduttore si muova parallelamente a se stesso in un piano al quale le linee del campo siano perpendicolari, come in figura 9 a), con verso entrante nel foglio. In tal caso la forza di Lorentz FB esercitata sugli elettroni, con intensità (3) FB = e v B tenderà a spostarli verso un estremo del conduttore, che quindi si caricherà negativamente, mentre l’altro estremo, dal quale sfuggono gli elettroni, si caricherà positivamente, come mostrato nella figura 9 b).

Questo squilibrio di cariche produce naturalmente un campo elettrico lungo il conduttore, il cui effetto sugli elettroni contrasta l’azione della forza di Lorentz. Più precisamente, si crea una situazione di equilibrio, per cui il campo elettrico è tale che la forza elettrica FE agente sugli elettroni sia uguale e opposta alla forza di Lorentz, cioè abbia intensità: (4) FE = eE = e v B

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Da questa uguaglianza si ricava l’intensità del campo elettrico lungo il conduttore, E = vB, e la quindi differenza di potenziale fra i suoi estremi: (5) V = vBL dove L rappresenta la lunghezza del conduttore. Questa tensione la chiamiamo forza elettromotrice indotta nel conduttore dal suo moto nel campo magnetico. E la corrente indotta? Non ne scorre alcuna per il semplice motivo che il conduttore non costituisce un circuito chiuso. La forza elettromotrice indotta in un circuito chiuso Possiamo però chiudere il circuito se immaginiamo di spostare il nostro conduttore mobile su un conduttore fisso a forma di U, in contatto elettrico con esso, come mostrato in figura 10. Qui, come nella figura 9, il campo magnetico B è perpendicolare al foglio, con verso entrante nel foglio, la velocità v del conduttore mobile è perpendicolare al campo e la parte fissa del circuito si trova nel piano. Ora la forza elettromotrice indotta (5) può far circolare una corrente indotta, la cui intensità è data dal rapporto fra la questa tensione e la resistenza totale del circuito, dato che nel circuito non vi sono altre forze elettromotrici. Ma il nostro scopo, come preannunciato, era quello di stabilire una relazione fra la corrente, o la tensione, indotta e la variazione di flusso concatenato che la provoca. Esaminando la figura 9, osserviamo che al moto del conduttore si accompagna una variazione del flusso concatenato con il circuito. Se il campo ha intensità B e il conduttore lunghezza L, nell’intervallo di tempo Δt lo spazio che esso percorre è Δx = vΔt, spazzando dunque un’area di superficie ΔS = LΔx = LvΔt. La corrispondente variazione del flusso è dunque: (6) ΔΦC = BΔS = B LvΔt Ricavando il prodotto BLv dalla precedente e sostituendolo nella formula (5), possiamo infine esprimere la tensione indotta nella forma seguente (7) V = ΔΦC /Δt e conseguentemente la corrente indotta avrà intensità i = V/R, essendo R la resistenza totale del circuito.

Tale risultato, ottenuto per un circuito di forma variabile in un campo magnetico uniforme costante, può essere generalizzato a tutti i casi nei quali il flusso magnetico concatenato con un circuito subisce variazioni nel tempo e nel circuito si manifesta conseguentemente una tensione indotta e una corrispondente corrente indotta. La formula (7) rappresenta la legge di Faraday-Neumann, secondo la quale la tensione indotta è data dal rapporto fra la variazione del flusso del campo magnetico concatenato con il circuito e l’intervallo di tempo in cui tale variazione ha avuto luogo, cioè dalla “velocità” di variazione del flusso concatenato.

Fu Faraday a scoprire il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, ma fu il fisico tedesco Franz Ernst Neumann (1798-1895) a esprimere in forma matematica la legge che governa tale fenomeno.

La legge di Lenz Nella espressione precedente (7) della tensione indotta non abbiamo precisato il segno. Esso è stabilito dalla legge di Lenz: la tensione indotta in un circuito genera una corrente indotta il cui effetto si oppone alla causa che l’ha prodotta. Notiamo innanzitutto che una corrente indotta, come qualsiasi altra corrente, genera un campo magnetico, e che questo campo si sovrappone al campo inducente. Ragionando in termini di flusso, la legge di Lenz afferma che la variazione del flusso concatenato con il circuito prodotta dalla passaggio della corrente indotta deve opporsi alla

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variazione di flusso che l’ha provocata, cioè deve avere segno opposto ad essa. Determinando così il senso della corrente indotta, e quindi il segno della tensione indotta, rispetto al segno della variazione del flusso.

Da ciò risulta che a un aumento del flusso concatenato con il circuito deve corrispondere una tensione indotta di segno negativo, sicchè riscriviamo la legge di Faraday-Neumann nella forma seguente (8) V = -ΔΦC /Δt Il valore istantaneo della tensione indotta si ottiene poi calcolando il limite del rapporto anzidetto quando la durata dell’intervallo Δt tende a zero, cioè la derivata temporale del flusso concatenato:

(9) ( ) ( )Cd tV t

dtΦ

= −

Esempio 3. Calcoliamo la tensione e la corrente indotta in una spira da un campo magnetico uniforme variabile nel tempo. Vogliamo calcolare la tensione e la corrente indotta in una spira rettangolare di lato L = 10 cm e resistenza R = 0,5 ohm in presenza di un campo magnetico diretto perpendicolarmente al piano in cui giace la spira, con verso uscente dal piano, a) quando l’intensità del campo magnetico varia di ΔB = 0,001 T nell’intervallo di tempo Δt = 0,1 ms; b) quando l’intensità del campo segue la legge temporale rappresentata nel grafico, con valore massimo positivo B+ = 0,01 T e valore massimo negativo B- = 0,005 T, in tal caso tracciando il grafico corrispondente dell’intensità della corrente indotta. Per calcolare la tensione indotta utilizziamo l’espressione (8) della legge di Faraday-Neumann; per calcolare la corrente indotta utilizziamo la prima legge di Ohm ( Unità 5, pag. xxx). Dato che il campo magnetico è perpendicolare alla spira, con area S = 0,12 = 0,01 m2, il flusso concatenato con essa è dato semplicemente dal prodotto ΦC = BS = 0,01 B Wb. a) Essendo ΔB = 0,001 T, e corrispondentemente ΔΦC = 0,01×ΔB =10-5 Wb, e Δt = 0,1 ms, si ha V = -ΔΦC /Δt = -10-5/10-4 = -0,1 volt. Si ha di conseguenza i = V/R = -0,1/0,5 = -0,2 A. Il senso di questa corrente è determinato dalla legge di Lenz: essa scorre nella spira in senso orario guardando la spira dall’alto (cioè in senso opposto a quello che determina un campo diretto nello stesso verso del campo inducente). Notiamo poi che la tensione indotta V e la corrente indotta i si manifestano soltanto durante l’intervallo di tempo Δt e sono nulle altrove. b) Per calcolare la tensione indotta dalle variazioni del campo magnetico rappresentate nel grafico possiamo seguire due strade: suddividere l’intervallo di tempo considerato in tanti intervallini (nel caso specifico Δt = 1 ms) durante ciascuno dei quali il campo è costante oppure varia nel tempo, applicando poi la legge (8) per ciascun intervallino, oppure applicare direttamente l’espressione (9) della legge di Faraday-Neumann, calcolando la derivata temporale del flusso concatenato con la spira.

Seguendo la prima strada, indichiamo con Δt1 = 1 ms l’intervallino fra 0 e 1 ms, con Δt2 = 1 ms l’intervallino fra 1 e 2 ms, e così via, e notiamo che gli unici intervallini durante i quali il campo varia sono Δt2, durante il quale si ha ΔBB2 = 0,01 T, e Δt4, durante il quale si ha ΔB4B = -0,005 –0,01 = -0,015 T, sicchè in tutti gli altri l’induzione elettromagnetica non si manifesta e quindi la tensione indotta e la corrente indotta sono entrambe nulle. Durante l’intervallino Δt2 sia ha ΔΦC2 = 0,01×ΔBB2

-0

B [T] 0,01

0,005

0 0 1 2 3 4 5 6 t [ms] ,005

6

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= 0,01×0,01 = 10 Wb, e quindi V-42 = -ΔΦC2 /Δt2 = -10 /10 = -0,1 volt , i-4 -3

2 = V2/R = -0,1/0,5 = -0,2 A. Durante l’intervallino Δt4 sia ha ΔΦC4 = 0,01×ΔB4B = -0,01×0,015 = -1,5·10-4 Wb, e quindi V4 = -ΔΦC4 /Δt4 = 1,5·10-4/10-3 = 0,15 volt , i4 = V4/R = 0,15/0,5 = 0,3 A. La figura riporta il grafico dell’andamento temporale della tensione indotta ottenuto utilizzando i dati precedenti, ammettendo che la tensione sia costante durante ciascun intervallino. Il grafico della corrente è ovviamente il medesimo a parte il cambiamento della scala verticale e della corrispondente unità di misura. Seguiamo ora la seconda strada, che utilizza l’espressione (9), notando che durante l’intervallo considerato il campo magnetico, e quindi il flusso concatenato con la spira, è costante oppure varia linearmente, cioè con pendenza costante. Ricordiamo ora che la derivata di una funzione lineare y(x) = ax + b è dy/dx = a. E quindi la derivata rispetto al tempo di una grandezza variabile linearmente è data dalla pendenza del grafico della grandezza rappresentata in funzione del tempo. Così

procedendo, concludiamo che la derivata ( )Cd tdt

Φ nell’intervallo di tempo considerato o è nulla

oppure è pari, a ciascun istante, alla pendenza ΔΦC /Δt. Che coincide, nei diversi intervalli di durata 1 ms, con quanto abbiamo già calcolato. Concludiamo che il calcolo svolto precedentemente è esatto e non approssimato, ma soltanto perché nel nostro caso il campo, e quindi il flusso variano linearmente. Se la legge di variazione fosse stata diversa, avremmo dovuto usare la (9), perché altrimenti, anche suddividendo ulteriormente gli intervallini, il calcolo sarebbe risultato approssimato.

V [volt] 0,2

0,1

0 0 1 2 3 4 5 6 t [ms]

-0,1

Approfondimento 1. La legge di Lenz e la conservazione dell’energia. Il fisico originario dei Paesi Baltici Heinrich Friedrich Emil Lenz (1804-1865) stabilì la legge che porta il suo nome nel 1835, sulla base dei risultati da lui stesso ottenuti eseguendo esperimenti sul fenomeno dell’induzione elettromagnetica. Ma questa legge si può dimostrare utilizzando il principio di conservazione dell’energia. Facciamone una dimostrazione per assurdo (in latino, reductio ad absurdum): a) supponendo che il flusso del campo generato da una corrente indotta non si opponga, come stabilito dalla legge di Lenz, ma si aggiunga al flusso del campo inducente; b) mostrando che così si arriva a un risultato assurdo, perché in contrasto con il principio di conservazione dell’energia; c) concludendo che se l’opposto della legge di Lenz è assurdo, e quindi falso, allora tale legge deve essere vera. Nella nostra dimostrazione consideriamo un magnete a sbarra il cui polo nord viene avvicinato a una spira chiusa, come mostrato nella figura 11. La corrispondente variazione del flusso attraverso la spira, induce in essa una corrente che, secondo la legge di Lenz, deve circolare nel senso indicato in figura dalle frecce rosse in modo da generare un campo che si opponga a quello inducente. Supponiamo ora, per assurdo, che la corrente circoli nel senso opposto, cioè quello indicato dalle frecce blu. In tal caso il campo magnetico generato dalla spira sarà diretto in verso opposto al magnete, cioè il polo sud della spira sarà rivolto verso il magnete creando così una forza attrattiva che risucchia il magnete, accelerando quindi il magnete nel suo moto verso la spira e poi accrescendo ulteriormente l’intensità della corrente indotta, la quale a sua volta …. E tutto ciò gratis, violando dunque il principio di conservazione dell’energia! Figura 11. (a) Avvicinando il magnete alla spira, in essa viene indotta una corrente, che circola nel senso delle frecce rosse, generando così un campo che si oppone a quello del magnete (Legge di Lenz) ed esercitando una forza repulsiva fra la spira e il magnete; (b) Se la corrente circolasse nel senso opposto (frecce blu), il campo da essa generato andrebbe

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a incrementare quello del magnete col risultato di accrescere l’intensità della corrente indotta e di esercitare una forza attrattiva fra la spira e il magnete accelerandone quindi il moto. Ma a spese di quale energia? (rifare adattando da Bergamaschini, Indagine del mondo fisico, Vol. E, pag. 213: a) una mano destra spinge il nord di un magnete a sbarra verso una spira circolare, con due frecce rosse che indicano il senso della corrente nell spira, come nella 2); b) la stessa ma con frecce blu dirette in senso opposto e con le freccette nere tratteggiate anch’esse dirette in verso opposto alla precedente ) Figura 8. Durante il volo del “satellite al guinzaglio” (Tethered Satellite System) avvenuto nel febbraio del 1996, fra la navetta spaziale e il satellite sospeso con un cavo si stabilì una differenza di potenziale di 3500 volt. Il cavo di sospensione, lungo 19,7 km, viaggiava attraverso il campo geomagnetico alla velocità di 8 km/s. (Adattare da Hecht, vol. II, pag. 729, immagini in rete per “tethered satellite”) Figura 9. (a) Quando il conduttore si sposta perpendicolarmente al campo magnetico, la forza di Lorentz FB agisce sugli elettroni del metallo creando un eccesso di carica negativa a un estremo, un eccesso di carica positiva all’altro; (b) Questo squilibrio di cariche crea un campo elettrico lungo il conduttore e una differenza di potenziale fra i suoi estremi.

B

(adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 241, fig. 11.8, sostituendo le scritte Florentz con FB, a) sostituendo i pallini neri con segni ×, capovolgendo la freccia rossa verticale e la posizione del cerchietto nero indicato con il segno - ; b) capovolgendo tutto) Figura 10. (Adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 241, fig. 11.8, modificata nello stesso stile della precedente, sostituendo la sbarretta con un filo cilindrico di piccola sezione e indicandone con L la lunghezza fra i punti di contatto con il conduttore nero sottostante, invertendo tutte le frecce associate alle scritte i, scambiando fra loro i segni + e – sulla sbarretta, disegnando in basso una freccia orizzontale con le scritte come a fianco) 7.4 L’origine dell’energia delle correnti indotte Qual è l’origine dell’energia che provoca il passaggio delle correnti indotte, e che queste sviluppano attraverso il circuito, per esempio riscaldandolo per effetto Joule? La risposta possiamo ottenerla considerando il caso di un conduttore in moto attraverso un campo magnetico B, trattato all’inizio del paragrafo precedente. Se il conduttore non è inserito in circuito chiuso, il problema non si pone, dato che nel filo in moto si sviluppa una tensione indotta, ma non scorre corrente.

Δx

Quando invece il conduttore fa parte di un circuito chiuso, come in figura 10, e allora vi scorre una corrente indotta i, per individuare l’origine dell’energia della corrente conviene considerare la forza magnetica agente sul conduttore ( Unità 6, pag. xxx). Questa forza, per un conduttore di lunghezza l, ha intensità (10) F = Bil

La forza magnetica agisce in generale su tutti i conduttori percorsi da corrente. Ma si hanno interazioni energetiche soltanto quando questa forza compie lavoro, cioè quando si sposta il conduttore su cui essa si esercita.

e ha la stessa direzione della velocità v del conduttore, ma verso opposto ad essa. Si tratta infatti di una forza frenante, che si oppone alla forza esterna che va esercitata sul conduttore per spostarlo, e che per il principio di azione e reazione è uguale ed opposta ad essa. Per ricavare l’energia fornita al sistema dalla forza esterna, calcoliamo il lavoro (positivo) che essa compie in un intervallo di

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tempo Δt, durante il quale il conduttore mobile si sposta di Δx = vΔt: (11) L = FΔx = B i l v Δt Per il principio di conservazione dell’energia, trascurando gli eventuali attriti, la corrispondente potenza meccanica PM = L/Δt = B i l v deve essere uguale alla potenza elettrica PE = Vi assorbita dal circuito. Si ha pertanto: (12) PE = Vi = B i l v

Questo risultato consente anche di ritrovare la legge di Faraday-Neumann. Dalla (12) si può ricavare infatti la tensione indotta nella forma: V = B l v, dove il termine a secondo membro rappresenta la velocità con cui varia il flusso concatenato con il circuito di figura 10. In generale, tutte le volte che scorrono correnti indotte, l’energia necessaria è fornita da una sorgente esterna: una forza esterna che vince la forza magnetica compiendo lavoro, oppure un circuito esterno che fornisce energia quando genera il campo magnetico variabile inducente, vincendo il campo, che ad esso si oppone, generato dalla corrente indotta. Ma dell’energia necessaria per stabilire un campo magnetico ci occuperemo più in dettaglio nel § 7.9. 7.5 Le correnti di Foucault. Che succede se un blocco di metallo si trova in un campo magnetico variabile? Il fenomeno dell’induzione elettromagnetica evidentemente non distingue fra conduttori filiformi, come quelli che abbiamo considerato nel paragrafo precedente, e conduttori massicci. Sicchè all’ interno di questi ultimi si sviluppano tensioni indotte e scorrono correnti indotte, che possono essere particolarmente intense data la bassa resistenza che esse incontrano. Queste correnti prendono il nome di correnti di Foucault o anche di correnti parassite, perché spesso producono effetti indesiderati.

Quando il campo magnetico esterno varia nel tempo queste correnti, costituite dagli elettroni liberi del metallo, scorrono in percorsi chiusi all’interno del conduttore, tutti nello stesso verso. Se i campi sono sufficientemente e variano rapidamente, le correnti di Foucault possono produrre, per effetto Joule, un forte riscaldamento del metallo, a cui si accompagna naturalmente una dissipazione di energia. Per questo nelle macchine elettriche di potenza, il cui funzionamento richiede intensi campi magnetici variabili, non si usa mai ferro massiccio, impiegando invece strati sottili di metallo, isolati uno dall’altro. Il calore sviluppato dalle correnti di Foucault trova però anche applicazioni utili, per esempio nei forni a induzione, largamente usati nell’industria.

Le correnti di Foucault possono anche produrre effetti meccanici, come nell’esperimento illustrato nella figura 12. Qui l’energia che le correnti indotte dissipano nel metallo in moto nel campo magnetico viene sottratta all’energia meccanica posseduta dal pendolo costituito dalla lastrina metallica oscillante. Il frenamento che subisce un corpo metallico che si muove in un campo magnetico trova impiego pratico nei freni elettrodinamici impiegati in vari tipi di veicoli, in particolare negli automezzi pesanti; un vantaggio di questa tecnica è che la forza di frenamento è proporzionale alla velocità, a differenza dei freni usuali basati sull’attrito meccanico. Ma i freni di questo tipo, secondo voi, possono bloccare un veicolo in una posizione fissa, come fanno i freni normali? Figura 12. Esperimento. Sospendete a un sostegno una lastrina di rame o di alluminio di qualche mm di spessore, in modo che possa oscillare parallelamente a se stessa. Noterete che quando la lastrina oscilla fra i poli di un potente magnete (dove non subisce attrazione o repulsione apprezzabile dato che si tratta di materiali non ferromagnetici) il moto di oscillazione viene smorzato assai più rapidamente che in assenza di campo magnetico. Noterete anche che, spostando rapidamente il magnete rispetto alla lastrina, questa a sua volta si sposta, in qualche modo “inseguendo” il magnete. Nessun effetto, d’altra parte, subisce la lastrina quando si trova in quiete. (adattare da Caforio, Nuova Physica 2000, pag. 252, fig. 22a).

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Figura 13. Il principio del freno elettrodinamico trova numerosi impieghi pratici, per esempio negli apparecchi per l’esercizio fisico. 7.6 La mutua induzione fra due circuiti Il fenomeno dell’induzione elettromagnetica si manifesta spesso come nel primo esperimento di Faraday ( §1), cioè quando le variazioni della corrente i1 che scorre in un circuito 1 generano una tensione indotta V2 in un altro circuito 2, accoppiato magneticamente al primo. Ciò che conta, come sappiamo, sono le variazioni del flusso ΦC2 concatenato al secondo circuito, beninteso il flusso dovuto al campo magnetico generato dalla corrente inducente i1. Per cui secondo la legge (8) si ha: V2 = -ΔΦC2 /Δt.

Si capisce che la grandezza chiave del fenomeno è il flusso magnetico concatenato ΦC2, il quale è direttamente proporzionale all’intensità del campo magnetico generato dalla corrente inducente i1, il quale a sua volta è direttamente proporzionale all’intensità di questa corrente. Sicchè possiamo scrivere in generale: (13) ΦC2 = M i1 dove il coefficiente di proporzionalità M prende il nome di coefficiente di mutua induzione o mutua induttanza fra i due circuiti 1 e 2. E quindi la tensione indotta nel secondo circuito si esprime nella forma: (14) V2 = - M Δi1/Δt Il significato fisico della mutua induttanza è chiaro: essa rappresenta l’accoppiamento magnetico fra i due circuiti. Tale grandezza nel sistema SI si misura in unità di henry (H); dalla (14) concludiamo che 1 henry = 1 volt × 1 secondo / 1 ampere cioè la mutua induttanza fra due circuiti è di 1 henry quando una variazione dell’intensità di corrente di 1 ampere in 1 secondo in un circuito induce nell’altro una tensione di 1 volt.

Ma perché nella definizione precedente abbiamo trascurato di distinguere il primo circuito (quello inducente) dal secondo (quello dove si genera la tensione indotta)? Il motivo sta nel fatto che l’induzione elettromagnetica fra due circuiti gode della proprietà chiamata reciprocità ( figura 13), per cui il flusso concatenato con il circuito 2 dovuto alla corrente nel circuito 1 è esattamente uguale al flusso concatenato con il circuito 1 dovuto alla stessa corrente nel circuito 2. Figura 14. La proprietà di reciprocità nell’accoppiamento magnetico fra due circuiti non è certamente ovvia a prima vista. Ma riflettendo bene…. Se si tratta di due spire identiche disposte come in a), non ci sono dubbi. Cosa cambia se ne spostiamo una rispetto all’altra (b)? E se un circuito è costituito da una spira e l’altro da N spire (c)? Provate a ragionare: è vero che la corrente nella bobina genera nella spira un campo N volte più intenso di quello che la stessa corrente nella spira genera nella bobina, ma il flusso concatenato nei due casi è lo stesso perché ………….. (a) due spire uguali disposte una sopra all’altra; b) due spire uguali disposte a piacere; c) una spira e una bobina di più spire disposte a piacere) 7.7 L’induttanza di un circuito o di un elemento Esperimento 2. Chiudendo un circuito di elevata induttanza la corrente aumenta gradualmente.

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Procuratevi una pila, una bobina avvolta su un nucleo metallico (per esempio un avvolgimento di un trasformatore) e un tester digitale. Disponete il tester come amperometro in serie alla bobina (Figura 15 a). Collegando il circuito alla pila, la corrente non si porta immediatamente al valore stabilito dalla legge di Ohm, ma lo raggiunge dopo una fase di crescita graduale. Il risultato dell’esperimento precedente è un po’ strano, dato che l‘intensità della corrente che attraversa la bobina non assume bruscamente il valore determinato dalla prima legge di Ohm (i = V/R), ma lo raggiunge solo gradualmente, con un certo ritardo (figura 15 b). Come se nel circuito vi fosse, oltre alla pila, un generatore di tensione di segno opposto, con valore via via decrescente fino ad annullarsi. In effetti questa tensione c’è davvero: è la tensione autoindotta nel circuito dalle variazioni del flusso, concatenato con esso, del campo magnetico prodotto dalla corrente che lo attraversa. In altre parole, diciamo che il fenomeno osservato è semplicemente una manifestazione dell’induzione elettromagnetica, solo che in questo caso la variazione del flusso non è prodotta da un campo esterno ma dal campo associato alla corrente che scorre nel circuito stesso. Notiamo che questo fenomeno è del tutto generale: esso si manifesta in qualsiasi circuito nel quale, per qualsiasi motivo, si abbia una variazione della corrente, mentre ovviamente non si manifesta quando la corrente è costante, e quindi il flusso non varia. Procedendo come nel caso nella mutua induzione, chiamiamo ΦC il flusso magnetico concatenato con un circuito generato dalla corrente i che vi scorre, ad essa proporzionale secondo la legge: (15) ΦC = L i dove il coefficiente di proporzionalità L rappresenta il coefficiente di autoinduzione o induttanza del circuito. Che descrive l’entità del fenomeno dell’autoinduzione nel circuito e naturalmente si misura anch’esso in henry. Sebbene qualsiasi circuito possieda sempre un certo grado di induttanza, valori elevati di induttanza sono caratteristici, come vedremo subito, di bobine a molte spire o meglio ancora di bobine avvolte su nuclei ferromagnetici. In tal caso l’induttanza del dispositivo, che si rappresenta con il simbolo grafico

Perché diciamo che qualsiasi circuito possiede induttanza, e quindi in esso si manifesta il fenomeno dell’autoinduzione? Semplicemente perché qualsiasi circuito, quando è percorso da una corrente, genera attorno a sé un campo magnetico e quindi anche un flusso magnetico concatenato con se stesso.

, ha in un circuito un ruolo importante, analogo a quello della resistenza di un

resistore o della capacità di un condensatore. E il dispositivo dotato di induttanza prende il nome di induttore. Il calcolo dell’induttanza è particolarmente semplice nel caso di un solenoide. Sappiamo infatti ( Unità 6, pag. xxx) che il campo magnetico all’interno della bobina è diretto secondo il suo asse ed è approssimativamente uniforme con intensità:

(16) B ≈ μ0 N i/l per un solenoide di lunghezza l costituito da N spire percorso dalla corrente i. E quindi il flusso concatenato con una spira è BS, dove S è la sezione delle spire. Ma dato che di spire ve ne sono N il flusso concatenato sarà N volte maggiore, ΦC = NBS. Ricavando l’induttanza come L = ΦC /i dalla formula (15) si ottiene infine:

(17) L ≈ μ0 N2S/l Ma l’induttanza di un solenoide può essere accresciuta grandemente, a parità di geometria, avvolgendolo su un nucleo di materiale ferromagnetico di permeabilità relativa μr. In tal caso infatti il campo magnetico, a parità di corrente, risulta μr volte maggiore, e con esso l’induttanza.

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Esempio 4. Calcoliamo l’induttanza di una bobina con nucleo ferromagnetico. Una bobina lunga 5 cm, costituita da N = 300 spire con sezione S = 0,5 cm2, è usata come antenna di un ricevitore radio ( figura A). In presenza di un campo elettromagnetico, la componente magnetica del campo induce una corrispondente tensione ai capi della bobina, che viene poi elaborata dai circuiti del ricevitore. Vogliamo calcolare l’induttanza della bobina quando essa è avvolta su un nucleo di materiale ferromagnetico con permeabilità relativa μr = 400. Calcoliamo l’induttanza della bobina utilizzando la formula (17), modificata introducendovi il fattore μr per tener conto del materiale su cui essa è avvolta:

2 2 47

0300 0,5 104 3,14 10 400 5,65 10

0,04rN SL H

lμ μ

−− × ⋅

≈ = × ⋅ × = ⋅ 2− . E notiamo che la stessa bobina,

senza nucleo magnetico, avrebbe un’induttanza μr volte minore, cioè 5,65·10-2/400 = 1,41·10-4 H. Entrambi i valori, tuttavia sono approssimati per eccesso, perché la formula che abbiamo utilizzata è stata ricavata per un solenoide di lunghezza infinita e sappiamo che in un solenoide di lunghezza finita l’intensità del campo decresce leggermente dal centro verso gli estremi. Un altro elemento di incertezza riguarda il valore della permeabilità magnetica del nucleo, che in generale è noto soltanto approssimativamente. Figura A. La fotografia rappresenta l’antenna di una radio portatile, costituita da una bobina avvolta su un nucleo di ferrite. Questo materiale, costituito da polveri pressate di ossidi di nichel e di altri elementi, si comporta come un isolante anziché come un conduttore. Qual è, secondo voi, il motivo di questa scelta? (fotografia come in Hecht, vol. II, pag. 739)

In generale, quando conosciamo l’induttanza L di un induttore inserito in un circuito, possiamo calcolare la tensione autoindotta nel circuito, che si manifesta ai capi dell’elemento, da una variazione della corrente che vi scorre: (18) V = - L Δi/Δt. Tale espressione è molto significativa. Essa indica innanzitutto che l’effetto di autoinduzione si manifesta, come già detto, soltanto in presenza di variazioni della corrente nel circuito, ed è tanto più vistoso quanto più tali variazioni sono forti e rapide. Il segno meno indica poi che la tensione indotta tende a opporsi a tali variazioni, col risultato che la corrente nel circuito può certamente variare, ma più lentamente che in assenza di induttanza. Nell’Esperimento 2, per esempio, il collegamento alla pila, in assenza di induttanza, avrebbe prodotto una brusca salita della corrente da 0 a V/R.

L’induttanza, in un circuito elettrico, produce un effetto “inerziale”, che si oppone alle variazioni della corrente, del tutto analogo a quello esercitato dalla massa di un corpo soggetto a una forza di intensità variabile nel tempo.

Esperimento 3. Aprendo un circuito si può generare una tensione di valore elevato. Procuratevi una pila da 9 volt, una bobina avvolta su un nucleo metallico (per esempio un avvolgimento di un trasformatore) e una lampadinetta al neon ( Unità 4, pag. xxx). Collegate questi elementi come indicato nella figura 16. Chiudendo l’interruttore, la corrente scorrerà attraverso la bobina, dato che la scarica nel gas della lampadinetta richiede ai sui estremi una tensione di un centinaio di volt, assai maggiore di quella della pila (e quindi finchè la scarica non s’innesca il dispositivo si comporta come un circuito aperto). Aprendo l’interruttore, osserverete che la lampadina emette un breve lampo di luce. Ripetete l’esperimento sostituendo la lampadina con un voltmetro disposto in parallelo alla bobina. Aprendo il circuito, osserverete che il voltmetro indicherà, seppur brevemente, una tensione molto maggiore di quella della pila.

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L’espressione (18) mostra che la tensione autoindotta può assumere valori anche assai elevati, che dipendono dall’induttanza del circuito e dalla rapidità con cui la corrente varia nel tempo. Questi fenomeni si verificano, per esempio, quando si apre un interruttore in un circuito in cui scorre corrente, come avete osservato voi stessi nel corso dell’esperimento precedente: la brusca variazione della corrente, dovuta all’apertura del circuito, ha generato infatti una tensione indotta di entità tale da provocare l’accensione della lampadina al neon. E del resto accade spesso che scocchi una scintilla fra i contatti di un interruttore che interrompe il passaggio di una corrente, con il passaggio di una corrente, intensa ma di breve durata, che viene chiamata extracorrente di apertura. Approfondimento 2. Ricaviamo la legge che descrive l’andamento temporale della corrente in un circuito induttivo. Vogliamo trovare la legge matematica che rappresenta l’andamento in funzione del tempo della corrente che scorre nella bobina del circuito di figura 15 a partire dal momento in cui si chiude l’interruttore, considerando in particolare il circuito di figura 17, nel quale abbiamo rappresentato separatamente la resistenza R e l’induttanza L della bobina.

Esaminando il grafico nella parte b) della figura 15, stabiliamo subito che il valore iniziale dell’intensità è zero, il valore finale V/R. L’andamento complessivo è assai simile a quello già osservato per la tensione di un condensatore, quando viene caricato attraverso una resistenza ( Unità 4, pag. xxx). Se così fosse davvero, allora potremmo scrivere per analogia la legge:

(A) i(t) = (V/R)(1 - e-t/τ) in cui figura la funzione esponenziale (ricordiamo che la costante vale e = 2,71828... ). Osserviamo subito che questa legge, qualunque sia il valore della costante incognita τ, la cosidetta costante di tempo del circuito, rispetta certamente le condizioni dette prima, e cioè: i(0) = 0, dato che e-0 = 1; i(∞) = V/R, dato che e-∞ = 0.

Prima di accettare questa ipotesi, però, vogliamo verificarla sulla base di considerazioni teoriche. Per far questo applichiamo la regola secondo cui la tensione V della pila deve essere uguale, a ogni istante, alla somma delle tensioni ai capi degli elementi di circuito ad essa collegati in serie. Nel nostro caso si ha: (B) V + VR(t) + VL(t) = 0 dove VR(t) = -Ri(t) è la caduta di tensione sulla resistenza R e VL(t) la caduta di tensione sull’induttanza L, cioè la tensione autoindotta nel circuito. Il valore di quest’ultima in un intervallo di tempo finito Δt è dato dalla formula (16), il valore istantaneo dalla corrispondente legge VL(t) = - L di/dt, che come sapete si ottiene facendo tendere a zero la durata dell’intervallino. Sostituendo nella formula (B) le espressioni di VR(t) e VL(t), otteniamo: (C) V – R i(t) – L di/dt = 0 Questa equazione è una equazione differenziale, così chiamata perchè in essa figurano sia le grandezze variabili, nel nostro caso la corrente i(t), sia le loro derivate, nel nostro caso la derivata prima di/dt.

Non avrete certamente ancora appreso come risolvere questo tipo di equazioni. Possiamo però verificare se la legge (A) che abbiamo ipotizzato prima sia effettivamente una soluzione dell’equazione differenziale del circuito, ed eventualmente ricavare una espressione per la costante τ. Sostituiamo allora nella (C) l’espressione (A) della corrente e quella della sua derivata prima rispetto al tempo, ottenuta dalla (A) ricordando la regola d/dt(ekt) = k ekt: (D) di/dt = (V/R) e-t/τ

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Così procedendo, otteniamo l’equazione (E) V + V(1 - e-t/τ) + (VL/Rτ) e-t/τ = 0 Questa è verificata quando la costante di tempo assume il valore τ = L/R e allora il primo membro si annulla, indicando che la legge (A) è una soluzione (che si può dimostrare unica) dell’equazione del circuito. E quindi la corrente segue effettivamente la legge (A) con τ = L/R.

Potrebbe però darsi che questo metodo di verifica matematica formale appaia insoddisfacente. Seguiamo allora un’altra strada, più intuitiva, considerando ciò che avviene durante l’intervallino Δt che segue immediatamente la chiusura dell’interruttore, chiamando Δi la variazione della corrente durante tale intervallino. A questa variazione corrisponde, in base alla (16), la tensione autoindotta - L Δi/Δt, che per quanto sappiamo si sottrae alla tensione V della pila, sicchè la corrente che scorre nel circuito al tempo t = Δt dovrà essere i(Δt) = Δi = (V - L Δi/Δt)/R. Ricavando Δi da tale espressione e scegliendo un valore di Δt molto minore di τ = L/R, si ha: Δi = (V/L)Δt. Che corrisponde al valore ottenuto dalla (A) sviluppando in serie l’esponenziale (ricordando che ex ≈ 1 + x). Il significato fisico di questo risultato è il seguente: negli istanti immediatamente successivi alla chiusura dell’interruttore la corrente (Δi) attraverso il circuito è debolissima perché la tensione autoindotta equilibra quasi esattamente la tensione della pila. Ci chiediamo infine quale sia l’andamento nel tempo della tensione autoindotta, cioè della caduta di tensione sull’induttanza VL = – L di/dt. Sostituendovi l’espressione (D) della derivata della corrente si ottiene: (F) VL(t) = di/dt = -V e-t/τ

Cioè la tensione autoindotta è inizialmente uguale e opposta alla tensione della pila, e infatti al tempo t = 0 la corrente è nulla, e poi decade verso zero con legge esponenziale, corrispondentemente al progressivo, ma via via più lento, aumento della corrente verso il valore finale V/R. Figura 15. (a) Una pila di tensione V è collegata alla bobina di resistenza R attraverso un interruttore. (b) Quando si chiude l’interruttore, la corrente cresce gradualmente fino a raggiungere il valore costante V/R. Questa crescita graduale, anziché brusca, è dovuta alla tensione autoindotta nel circuito dalle variazioni del flusso magnetico concatenato con il circuito stesso, generato dalla corrente che vi scorre. ( a) una pila, a destra, collegata a una bobina, a sinistra, attraverso un interruttore aperto, in alto; b) adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 247, fig. 11.14 a)senza la scritta riguardante l’interruttore, sostituendo la scritta istante t con tempo (t), aggiungendo un tratteggio orizzontale in corrispondenza del valore finale della corrente, indicato con la scitta V/R) Figura 16. Aprendo l’interruttore, la lampadina al neon si accende per un attimo. Il fenomeno è dovuto all’elevata tensione indotta che si produce nella bobina il circuito viene aperto. ( a) una pila, a destra, collegata a una bobina, a sinistra, attraverso un interruttore aperto, in alto; in parallelo alla bobina una lampadinetta al neon) Figura 17. Quando l’interruttore collega la bobina (rappresentata in figura indicandone separatamente la resistenza e l’induttanza) alla pila, la corrente non cresce bruscamente ma gradualmente. 7.8 Le applicazioni dell’induzione elettromagnetica Gli impieghi del fenomeno dell’induzione elettromagnetica sono numerosi e importanti, nella scienza come nella tecnica. I primi impieghi riguardarono soprattutto la generazione di tensioni di valore elevato, ottenute interrompendo bruscamente il passaggio della corrente in un circuito con elevato valore di induttanza. Questa tecnica, per esempio, venne impiegata negli esperimenti che

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condussero alla scoperta dell’elettrone e dei raggi X, nei primi esperimenti di Hertz sulle onde elettromagnetiche e in quelli successivi di Marconi; ma trova molti impieghi anche oggi, per esempio nel sistema di accensione dei motori a scoppio delle automobili ( Applicazioni tecniche 1.). L’induzione elettromagnetica fra due avvolgimenti avvolti su un nucleo metallico, cioè in una struttura analoga a quella usata da Faraday nei suoi esperimenti, è alla base del funzionamento dei trasformatori elettrici ( Unità 8, pag. xxx), dispositivi assai utili in pratica e perciò di larghissimo impiego. Sulle correnti indotte in una bobina da un campo magnetico variabile, o in una bobina ruotante in un campo costante, si basa invece il funzionamento di una vasta categoria di generatori elettrici ( Unità 8, §xx), fra cui gli alternatori che nelle centrali elettriche generano le correnti alternate che usiamo abitualmente. Ma gli impieghi del fenomeno dell’induzione elettromagnetica sono veramente innumerevoli: nelle testine dei giradischi, nei registratori magnetici ( Applicazioni tecniche 2.), nei dispositivi di memoria utilizzati nei calcolatori elettronici ( Applicazioni tecniche 3.), …

Applicazioni tecniche 1. Il sistema di accensione dei motori a scoppio. La figura A rappresenta lo schema del sistema di accensione di un motore a scoppio, detto anche spinterogeno (che significa “generatore di scintille”), che provvede generare un’alta tensione e applicarla in sequenza alle candele in modo da produrre l’accensione della miscela nei cilindri del motore. Il cuore dell’apparecchio sono due bobine accoppiate magneticamente. La prima è alimentata dalla batteria dell’auto tramite un interruttore, detto ruttore, che è azionato dal motore e apre e chiude periodicamente il circuito. La seconda bobina, dotata di un maggior numero di spire rispetto alla prima, genera impulsi di alta tensione in corrispondenza delle brusche variazioni della corrente nel primo circuito. Questi impulsi arrivano alle candele, in sequenza, tramite il distributore, costituito da uno speciale interruttore a più posizioni, azionato dalla rotazione del motore. La tensione degli impulsi (attorno a 10 kV) è tale da provocare una scintilla elettrica fra gli elettrodi delle candele, e quindi l’accensione della miscela aria-benzina contenuta nei cilindri. Figura A. L’alta tensione necessaria per l’accensione delle candele viene prodotta da una bobina accoppiata magneticamente a un’altra, nella quale s’interrompe periodicamente il passaggio della corrente prelevata dalla batteria. Il distributore provvede poi ad applicare in sequenza l’alta tensione alle candele del motore. (adattare da Il mondo della fisica vol.B, pag. 434, eliminando il condensatore; disegnando la bobina con due avvolgimenti separati: uno di poche spire collegato al circuito a sinistra e uno con più spire collegato al circuito a destra; provando a rendere comprensibili il funzionamento del ruttore e del distributore, aggiungendo le seguenti scritte: batteria, ruttore, bobina, distributore, candele)

Applicazioni tecniche 2. La registrazione e la riproduzione magnetica dei suoni. I registratori a nastro magnetico servono a registrare i suoni su un supporto di materiale ferromagnetico e poi a riprodurli. Il cuore di questi apparecchi è la testina magnetica, sotto la quale scorre il nastro magnetico, che è fatto di plastica con un sottile strato di ossidi ferromagnetici (di ferro e di cromo). La testina è costituita da un anello di materiale ferromagnetico con una sottile fessura dotato di una bobina.

La registrazione si compie inviando nella bobina una corrente elettrica la cui intensità è proporzionale, istante per istante, all’intensità del suono. In prossimità della fessura, che ha dimensioni piccolissime, le linee del campo magnetico raggiungono il nastro sottostante, in moto a velocità costante, magnetizzandone corrispondentemente la parte sensibile. A ogni istante, così, una determinata regione del nastro viene magnetizzata con l’intensità corrispondente alla corrente nella bobina e quindi il suono viene registrato permanentemente sul nastro magnetico.

La riproduzione si compie facendo scorrere il nastro sotto la testina (la stessa usata per la registrazione o un’altra apposita per la lettura): al campo magnetico variabile generato dal moto del nastro corrisponde un flusso concatenato variabile con la bobina, che vi induce una tensione di

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ampiezza corrispondente alla magnetizzazione. Questa tensione viene poi amplificata e trasformata nuovamente in suoni da un altoparlante.

Oltre che suoni, sui nastri magnetici si possono registrare immagini in movimento, cioè film, come avviene negli apparati VHS (Video Home System). In questo caso la quantità di informazioni è assai maggiore; al segnale video, che rappresenta le immagini, va accompagnato inoltre, istante per istante, il segnale audio che rappresenta il sonoro. Figura A. Il nucleo magnetico su cui è avvolta la bobina di una testina magnetica presenta una sottile fessura. In corrispondenza di questa, nella fase di registrazione, il campo magnetico si estende ad attraversare il materiale sensibile del nastro che vi scorre al di sotto; nella fase di lettura, il campo dovuto alla magnetizzazione del nastro si accoppia con la bobina, inducendovi una tensione variabile. (adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 250, modificata come segue: la sezione del nucleo piatta sulla parte superiore dove c’è la bobina; meno freccette nella parte a destra, sempre dirette verso il basso o l’alto, ma di lunghezza variabile gradualmente fra una regione e un’altra; eliminare le frecce blu e le scritte i; sostituire la scritta nucleo dell’elettromagnete con nucleo magnetico fessurato; aggiustare come nello schizzo il dettaglio delle linee curve blu in corrispondenza della fessura, sopra e sotto)

Applicazioni tecniche 3. Le memorie magnetiche dei calcolatori. La tecnica di rappresentazione e di registrazione dei segnali descritta in Applicazioni

tecniche 2. è basata sulla proporzionalità fra l’intensità del suono, l’intensità dei segnali elettrici, l’intensità della magnetizzazione del nastro, e per questo è chiamata analogica. Nei calcolatori si usa invece la tecnica chiamata digitale, che rappresenta le informazioni mediante opportune sequenze di “uni” e “zeri”, cioè di segnali, chiamati bit, che possono assumere soltanto due valori. Nei vari tipi di dischi magnetici usati nei calcolatori si utilizza dunque soltanto la magnetizzazione in un senso o nell’altro di determinate regioni della superficie di questi dispositivi.

Ricordiamo tuttavia che, prima della diffusione dei dischi magnetici, si sono usati per vari anni dispositivi di memoria impieganti degli anellini ferromagnetici. Ciascuno di questi veniva magnetizzato in un senso o nell’altro da un impulso di corrente nel filo che lo attraversava. E l’applicazione poi di un impulso di lettura permetteva di stabilirne, in base della tensione indotta in un secondo filo, in quale dei due stati di magnetizzazione l’anellino si trovasse. Ma è chiaro che questo metodo, che richiede un anellino per ciascun bit, non permette certamente di memorizzare grandi quantità si informazioni.

Le caratteristiche più importanti dei dischi magnetici sono la capacità di memoria, espressa generalmente in unità di byte (1 byte = 8 bit), e il tempo necessario ad accedere alle informazioni. Il tipico disco usato oggi ha capacità dell’ordine di 100 Gbyte (ricordiamo che G = 109) e tempo di accesso di circa 10 ms. Il disco è fatto di alluminio o di vetro, ricoperto da un sottile strato di materiale ferromagnetico, e generalmente è costituito da più piatti sovrapposti, come mostrato in figura, ciascuno dotato di una o più testine di scrittura/lettura il cui funzionamento è analogo a quello delle testine usate nei registratori magnetici. Ma si capisce che la precisione di posizionamento delle testine deve essere molto maggiore, per poter raggiungere correttamente ciascuna delle numerosissime minuscole zone, nelle quali è suddivisa la superficie sensibile del disco, ognuna delle quali immagazzina una informazione elementare nel verso della sua magnetizzazione. La testine, in questi dischi, sfiorano soltanto la superficie sensibile senza toccarla, sollevate da un cuscino d’aria mentre il disco ruota continuamente a velocità elevatissima (fra 50 e 120 giri al secondo). Figura A. Ecco cosa si vede guardando all’interno di un disco magnetico: una serie di piatti sovrapposti, ciascuno dotato di una o più testine magnetiche.

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Queste ne spazzano la superficie, muovendosi radialmente mentre il disco ruota velocemente. Figura B. La superficie di un disco magnetico è suddivisa in tante tracce (corone circolari) concentriche, ciascuna delle quali è a sua volta suddivisa in settori. Ognuno di questi è costituito di solito da una sequenza di 4096 minuscole aree elementari, in ciascuna delle quali, magnetizzata in un verso o nell’altro, rappresenta 1 bit d’informazione. 7.9 L’energia del campo magnetico Eseguendo l’Esperimento 3 abbiamo osservato che la lampadina si accende appena dopo l’apertura del circuito. Ma da dove proviene l’energia a ciò necessaria? Non certo dalla pila, che l’interruttore ha appena disconnesso dal circuito. La risposta sta nell’energia immagazzinata nel campo magnetico generato dalla corrente che scorreva nel circuito. Perché a un campo magnetico, come del resto a un campo elettrico, è associata energia. Che nel caso del campo magnetico generato da una corrente è tanto maggiore quanto maggiore è l’induttanza complessiva del circuito. Questa energia si libera quando s’interrompe il passaggio di una corrente, manifestandosi attraverso l’extracorrente di apertura (e accendendo la lampadina nel caso dell’esperimento citato sopra). Quando invece si chiude un circuito, stabilendo il passaggio di una corrente, la generazione del campo magnetico richiede una corrispondente quantità di energia, che viene fornita dal generatore di tensione, ritardando così la salita della corrente. Per studiare il fenomeno consideriamo il bilancio energetico di un circuito di induttanza L e resistenza R che viene collegato a una pila di tensione V ( fig. 17). Scriviamo l’equazione del circuito tenendo presente che la forza elettromotrice autoindotta –L Δi/Δt si oppone all’azione del generatore: (19) V – L Δi/Δt = Ri Moltiplicando ambo i membri per iΔt e portando al secondo membro il termine dove figura l’induttanza, otteniamo la seguente espressione per il bilancio energetico del circuito: (20) V i Δt = L i Δi + Ri2 Δt Il significato fisico di due dei tre termini è immediato: V i Δt rappresenta il lavoro elettrico complessivo compiuto dal generatore nell’intervallino Δt; Ri2 Δt rappresenta l’energia dissipata nella resistenza nello stesso intervallo di tempo. E il termine L i Δi? Questo rappresenta proprio l’energia che occorre, man mano che la corrente aumenta, per stabilire il corrispondente campo magnetico. E notate che questo termine si annulla quando la fase di crescita della corrente si è conclusa, e quindi Δi = 0. L’energia totale immagazzinata nel campo magnetico durante il processo che porta la corrente da zero a un determinato valore si ottiene evidentemente sommando assieme tutti i contributi L i Δi relativi ai diversi intervallini di tempo. Il calcolo esatto, che richiede di conoscere l’andamento nel tempo dell’intensità della corrente i(t) ( Approfondimento 2), conduce la seguente risultato:

Cosa avviene quando la bobina percorsa da corrente viene cortocircuitata ( fig.17)? Essendo ora V = 0, dalla (19) abbiamo: – L Δi/Δt = Ri, dove il termine – L Δi/Δt è positivo perché Δi è negativo dato che la corrente tende a diminuire: cioè la corrente continua a scorrere nel circuito, annullandosi solo gradualmente. Dalla (20) abbiamo poi: L i Δi + Ri2 Δt = 0, che mostra come l’energia immagazzinata nel campo magnetico venga gradualmente dissipata dalla corrente per effetto Joule.

(21) E = ½ Li2

Un calcolo approssimato, che tuttavia conduce anch’esso al precedente risultato esatto, si può fare tracciando un grafico del prodotto Li in funzione di i, dove l’energia relativa a ciascun intervallino di tempo è rappresentata dal rettangolino di base Δi e di altezza Li. Sicchè la somma delle aree dei

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rettangolini corrispondente alla corrente generica i è data approssimativamente dall’area del triangolo rettangolo di base i e altezza Li, che è data appunto dalla (21). Esempio 5. Calcoliamo l’energia immagazzinata in una bobina con nucleo ferromagnetico. Consideriamo una bobina lunga 20 cm, costituita da N = 1000 spire con sezione S = 4 cm2, avvolta su un nucleo di materiale ferromagnetico con permeabilità relativa μr = 100, percorsa da una corrente di intensità i = 10 A. Calcoliamo l’induttanza della bobina utilizzando la formula (17), modificata introducendovi il fattore μr per tener conto del materiale su cui essa è avvolta:

2 27

01000 4 104 3,14 10 200 0,502

0,2rN SL H

lμ μ

−− × ⋅

= = × ⋅ × =4

.

Per calcolare l’energia utilizziamo la formula (21): 2 21 0,502 10 50, 22

E Li J= = × =

Vogliamo ora porre in relazione l’energia del campo magnetico con l’intensità del campo. A questo scopo consideriamo un solenoide di grande lunghezza l con N spire di area S, all’esterno del quale il campo è nullo mentre al suo interno è uniforme con intensità B = μ0Ni/l. Ricaviamo i dalla precedente ottenendo i = lB/ μ0N, che sostituiamo nella espressione (21) dell’energia del campo, dove esprimiamo l’induttanza L come μ0 N2S/l utilizzando la formula (17). Otteniamo così:

22 2

2 0

0 0

1 1 12 2 2

N S l B l S BE Lil N

μμ μ

⎛ ⎞⎛ ⎞= = =⎜ ⎟⎜ ⎟

⎝ ⎠⎝ ⎠

Dividendo tale espressione per il volume lS all’interno del solenoide otteniamo infine la densità di energia del campo magnetico, cioè la sua energia per unità di volume:

(22) 2

0

12VOL

BEμ

=

Sebbene questo risultato sia stato ottenuto nel caso particolare del campo magnetico uniforme di un solenoide, si dimostra che esso è valido in generale, cioè anche quando l’intensità del campo dipende dalle coordinate spaziali. E’ dunque possibile immagazzinare nel vuoto energia magnetica, come del resto avevamo

trovato ( Unità 2, pag. xxx) per l’energia elettrostatica, con l’espressione 2

0

2VOLEE ε

= assai

simile alla (22). Vedremo poi nell’Unità 9 che l’energia dei campi può essere spostata attraverso lo spazio, come del resto avviene nel caso della luce o delle onde radio. Figura 18. L’energia immgazzinata nel campo magnetico di un circuito di induttanza L percorso da una corrente i si può calcolare sommando il lavoro elettrico compiuto dal generatore in intervalli di tempo successivi per portare la corrente da zero a i. Dato che il lavoro durante ciascun intervallo è LiΔi, rappresentato nel grafico dall’area del rettangolo di base Δi e altezza Li, il lavoro totale è l’area del triangolo di base i e altezza Li, cioè ½ Li2. Figura 19. (Adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 203, fig. 9.30.)

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Test di verifica

1) In un circuito chiuso NON scorre una corrente indotta quando Ο un magnete viene avvicinato ad esso o allontanato da esso Ο esso si trova in presenza di un intenso campo magnetico costante Ο viene inserita o disinserita una pila in un altro circuito nei pressi del primo 3) Vero o falso? V F - non è possibile generare correnti indotte in un campo magnetico costante O O- l’induzione elettromagnetica consiste nella magnetizzazione temporanea di un corpo ferromagnetico avvicinato a un magnete permanente O O- inserendo un magnete in una bobina chiusa, in essa scorre una corrente indotta O O - per ottenere una corrente indotta si può spostare un magnete rispetto a un circuito chiuso o spostare un circuito rispetto a un magnete O O- una corrente elettrica non può scorrere in un circuito nel quale non vi è un generatore O O

4) A seconda che allontaniamo o avviciniamo un magnete a un circuito chiuso, la corrente indotta differisce per Ο il verso Ο l’intensità Ο la velocità con cui varia 5) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente. Faraday ottenne una corrente continua indotta disponendo un circuito chiuso in un campo magnetico di opportuna intensità. Il campo era prodotto da un magnete permanente fisso oppure da un altro circuito, percorso da corrente continua.

6) L’intensità della corrente indotta in un circuito dipende O dalla tensione del generatore che vi è inserito O dalla rapidità delle variazioni del flusso magnetico concatenato con il circuito O dall’intensità del campo magnetico da essa generato

7) Raddoppiando la velocità con cui inseriamo un magnete in una bobina chiusa, l’intensità

della corrente indotta O si dimezza O si raddoppia O si quadruplica 8) Se raddoppiamo il raggio di una spira in un campo magnetico e raddoppiamo l’intensità del

campo, l’intensità della corrente indotta nella spira aumenta di un fattore O 2 O 4 O 8 9) Una bobina di 10 spire con raggio di 2 cm si trova in un campo magnetico uniforme diretto

secondo l’asse della bobina con intensità B = 0,1 T. Il valore del flusso magnetico concatenato con la bobina è

O 4·10-4 Wb O 4·10-3 Wb O 4·10-2 Wb

10) Un filo conduttore rettilineo aperto si sposta in un campo magnetico uniforme costante, perpendicolare al conduttore. Nel filo O scorre una corrente indotta O si sviluppa una tensione indotta O non si ha induzione

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11) Un filo conduttore rettilineo aperto si sposta in un campo magnetico uniforme costante, perpendicolare al conduttore

O gli elettroni liberi nel conduttore sono soggetti alla forza di Lorentz O Il moto del filo è frenato dalla forza magnetica O La corrente indotta nel filo genera un campo che si oppone a quello esterno 12) Una spira conduttrice disposta orizzontalmente si muove a velocità costante nel piano

orizzontale in presenza di un campo magnetico uniforme costante diretto verticalmente. Il flusso magnetico concatenato con la spira è O nullo O costante O variabile nel tempo

13) Una spira condutttrice disposta orizzontalmente si muove a velocità costante nel piano

orizzontale in presenza di un campo magnetico uniforme diretto orizzontalmente. La corrente indotta nella spira è O nulla O costante O variabile nel tempo

14) Una spira conduttrice ruota attorno a un suo diametro in un campo magnetico uniforme. La

corrente indotta nella spira è sempre nulla quando il suo asse di rotazione O è perpendicolare O è parallelo O è diretto a 45° rispetto alla direzione del campo. 15) Inserendo il magnete nella bobina, in essa scorre una

corrente O nel senso della freccia rossa O nulla O nel senso

opposto alla freccia rossa

16) L’anello metallico in figura si trova in un campo magnetico uniforme, con verso entrante nel foglio, che subisce un aumento. La corrente indotta nell’anello è

O nulla O diretta in senso orario O diretta in senso antiorario

17) Supponendo che fra le espansioni polari del magnete in figura il campo sia uniforme, nel conduttore rettilineo NON si sviluppa una tensione indotta quando esso viene spostato verso il punto

O A O B O C

18) Vero o falso? V F La tensione indotta in un circuito genera una corrente indotta il cui effetto si oppone alla causa che l’ha prodotta O O Il campo magnetico generato da una corrente indotta provoca una variazione del flusso concatenato che va a incrementare la variazione di flusso che ha indotto la corrente O OPerché possa scorrere una corrente indotta occorre compiere del lavoro O O In presenza di variazioni del campo magnetico un solido conduttore si riscalda O O Le correnti parassite trovano vari impieghi utili O O

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19) Un pendolo metallico viene fatto oscillare in presenza di un campo magnetico. Non è corretto dire che

O le oscillazioni del pendolo vengono smorzate dalle correnti parassite O il pendolo si carica elettricamente O il pendolo si riscalda 20) La legge di Faraday-Neumann, che mette in relazione la tensione V indotta in un circuito

con la variazione ΔΦC del flusso cancatenato con il circuito e l’intervallo di tempo Δt in cui tale variazione ha avuto luogo, si esprime con la formula: O V = ΔΦC Δt O V = ΔΦC /Δt O V = Δt/ΔΦC

21) La forza necessaria per inserire un magnete in una bobina aperta ha O la stessa intensità O intensità ninore O intensità maggiore di quella necessaria per inserirlo in una bobina chiusa 22) La mutua induttanza fra due circuiti rappresenta O l’effetto della corrente che scorre in un circuito sul flusso magnetico concatenato con un altro circuito O l’induttanza di un circuito quando un altro circuito è percorso ca una corrente O l’energia fornita da un circuito a un altro circuito accoppiato magneticamente al primo 23) L’induttanza e la mutua induttanza si misurano in unità di O tesla O henry O weber 24) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente. La mutua induttanza fra due circuiti è di 1 tesla quando una variazione della tensione di 1 volt in 1 secondo in un circuito induce nell’altro una corrente di 1 ampere.

25) Vero o falso? V F Tutti i circuiti possiedono induttanza O O L’induttanza di un circuito si manifesta nel rallentare le variazioni della tensione O O Le bobine avvolta in aria hanno induttanza maggiore di quelle avvolte su un nucleo di materiale ferromagnetico O OLa tensione autoindotta in un circuito è inversamente proporzionale alla sua induttanza O O Deformando una bobina percorsa da corrente, in essa si crea una tensione autoindotta O O

26) L’induttanza di un solenoide è O inversamente proporzionale alla O direttamente proporzionale alla O indipendente dalla sezione delle sue spire 27) L’induttanza di una bobina è data dal rapporto fra il flusso concatenato con essa e

l’intensità della corrente che vi scorre. Dove il flusso concatenato è quello O generato dalla corrente che scorre in un altro circuito

O generato dalla corrente che scorre nella bobina O totale, generato da qualsiasi corrente che produca un campo magnetico

28) L’induttanza di un solenoide è O direttamente proporzionale al O inversamente proporzionale al O direttamente proporzionale al quadrato del numero delle sue spire

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29) L’intensità del campo magnetico all’interno di un solenoide percorso da corrente è

direttamente proporzionale O alla sua lunghezza O al raggio delle spire O al rapporto fra il numero di spire e la lunghezza

30) Collegando a una pila di tensione V un circuito di resistenza R e induttanza L, il valore iniziale della corrente è

O nullo O V/R O V/L

31) Si apre l’interruttore che collega una pila di tensione V a una bobina di resistenza R e induttanza L. Nell’istante immediatamente successivo, nella bobine scorre una corrente

O più intensa O meno intensa di quella che vi scorreva prima, che è diretta O nello stesso senso di O in senso opposto a quella che vi scorreva prima,

32) Vero o falso? V F L’induttanza di una bobina è direttamente proporzionale alla corrente che vi scorre O OLa tensione autoindotta si oppone sempre alle variazioni della corrente in un circuito O O La tensione autoindotta in un circuito è sempre inferiore a quella del generatore che vi è inserito O O

33) L’energia immagazzinata in un induttore è O direttamente proporzionale alla O inversamente proporzionale alla O indipendente dalla sua induttanza

34) Il flusso del campo magnetico si misura in O tesla O weber O ampère 35) Si collega un generatore di tensione a una una lampadina disposta in serie a una bobina,

regolando la tensione in modo che, dopo il transitorio iniziale, la lampadina risulti ben accesa. Si introduce quindi un nucleo magnetico all’interno della bobina e, trascorso del tempo, si osserva che la lampadina

O brilla più intensamente O brilla come prima O brilla meno intensamente 36) Introducendo un nucleo magnetico all’interno di una bobina percorsa da corrente, l’energia

immagazzinata nella bobina O diminuisce O resta costante O aumenta

37) La densità di energia di un campo magnetico è direttamente proporzionale O alla O al quadrato della O al cubo della sua intensità. 38) 000

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Problemi e quesiti

1. Illustrate in poche righe tre diverse modalità che producono variazioni del flusso magnetico concatenato con un circuito.

Risoluzione. Tre possibili modalità sono le eseguenti: a) un circuito in presenza di un campo magnetico che varia nel tempo; b) una spira che ruota in un campo magnetico costante; c) un circuito la cui forma varia nel tempo in un campo magnetico costante. Un’altra possibilità riguarda il moto di un circuito in un campo magnetico non uniforme. 2. Calcolate il flusso di un campo magnetico uniforme diretto verticalmente di intensità B =

0,01 T concatenato con una spira quadrata orizzontale di lato l = 100 mm. Risoluzione. Dato che il campo è perpendicolare alla spira, il flusso si calcola utilizzando la formula (2), ponendo S = l2 = 0,01 m2: ΦC = BS = 0,01×0,01 = 10-4 Wb. 3. Due conduttori rettilinei OA e OB sono saldati in O, perpendicolarmente l’uno all’altro. Su

di essi è appoggiato un terzo conduttore rettilineo disposto a 45° rispetto alle loro direzioni, che si muove parallelamente a se stesso con velocità v = 0,595 m/s. Al tempo t = 0 tale conduttore si trova nel punto O. Il circuito si trova in un campo magnetico di intensità B = 0,1 T, diretto perpendicolarmente al piano, con verso uscente da esso. Calcolate il flusso concatenato con il circuito in funzione del tempo. Calcolate la tensione indotta media negli intervalli di tempo fra 0 e 10 ms, 10 e 20 ms, 20 e 30 ms. Stabilite il senso della corrente indotta.

B

· B v

O A

Risoluzione. Dato che il campo magnetico è perpendicolare al piano del circuito, il flusso concatenato con il circuito è dato dalla formula (2): ΦC(t) = BS(t), dove S(t) è l’area della superficie variabile racchiusa dal circuito. Questa superficie è quella del triangolo la cui altezza a dipende dal tempo con la legge a(t) = vt e la cui base b dipende dal tempo con la legge b(t) = √2 vt, per cui si ha S(t) = a(t)b(t) = √2 v2t2 = 1,41×0,5952 = 0,5t2 m2. Il flusso concatenato vale pertanto: ΦC(0) = BS(0) = 0 ; ΦC(10 ms) = BS(10 ms) = 0,1×0,5×0,012 = 5·10-6 Wb; ΦC(20 ms) = BS(20 ms) = 0,1×0,5×0,022 = 2·10-5 Wb; ΦC(30 ms) = BS(30 ms) = 0,1×0,5×0,032 = 4,5·10-5 Wb. Le variazioni del flusso negli intervalli successivi di durata 10 ms sono pertanto le seguenti: ΔΦ1 = ΦC(10 ms) - ΦC(0) = 5·10-6 Wb; ΔΦ2 = ΦC(20 ms) - ΦC(10 ms) = 1,5·10-5 Wb; ΔΦ3 = ΦC(30 ms) - ΦC(20 ms) = 2,5·10-5 Wb. I corrispondenti valori medi delle tensioni indotte durante gli intervalli anzidetti, ottenuti applicando la formula (24), sono: V1 = ΔΦ1/Δt = 5·10-6/0,01 = 5·10-4 V; V2 = ΔΦ2/Δt = 1,5·10-5/0,01 = 1,5·10-3 V; V3 = ΔΦ3/Δt = 2,5·10-5/0,01 = 2,5·10-3 V. Il valore istantaneo della tensione indotta in funzione del tempo si ottiene utilizzando la formula (9), dove ΦC(t) = BS(t) = 0,5Bt2 = 0,05 t2 Wb. Trascurando il segno e ricordando che la derivata di t2 vale 2t si ha: V(t) = 0,1×t2. La tensione indotta cresce dunque con legge parabolica. Il senso della corrente indotta si determina in base alla legge di Lenz. Tenendo presente che una corrente che scorre nel circuito in senso antiorario genera un campo con verso uscente dal foglio, si conclude che la corrente indotta scorre in senso orario, producendo così un campo magnetico che si oppone a quello che la genera.

4. Un campo magnetico uniforme diretto verticalmente verso l’alto con intensità B = 0,05 T

subisce nell’intervallo di tempo Δt = 0,2 s una variazione di intensità e verso assumendo B’ = 0,1 T come valore finale. Calcolate la tensione indotta in una bobina con asse verticale costituita da N = 100 spire di sezione S = 0,05 m2

Risoluzione. La variazione dell’intensità del campo, che mantiene la sua direzione ma inverte il verso, è ΔB = B + B’ = 0,05 + 0,1 = 0,15 T. Dato che il campo è perpendicolare alla bobina, il flusso concatenato con essa si calcola utilizzando la formula (2), introducendovi il fattore N per tener conto del numero delle spire. La variazione del flusso è: ΔΦC = N S ΔB = 100×0,05×0,15 = 0,75 Wb. Per calcolare la tensione indotta nella bobina utilizziamo la fornula (7), dato che il segno non è qui essenziale: V = ΔΦC /Δt = 0,75/0,1 = 7,5 volt.

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5. Individuate fra i grafici qui sotto quale rappresenta meglio l’andamento nel tempo della tensione indotta nella bobina del Problema 5, precisando inoltre quale ipotesi occorra per giustificarne la forma.

A B C V(t) V(t) V(t)

tempo tempo tempo

Risoluzione. La tensione viene indotta soltanto quando il flusso concatenato subisce una variazione, e quindi è diversa da zero durante l’intervallo Δt e non altrove. Ciò conduce a escludere il grafico A. Se la variazione del flusso avviene con “velocità” costante (cioè con legge lineare nel tempo) durante tutto l’intervallo Δt, la tensione indotta è costante durante tale intervallo e quindi è ben rappresantata dal grafico B. Il grafico C rappresenta invece il caso in cui la variazione del flusso avvenga con “velocità” prima crescente e poi decrescente durante l’intervallo, sicchè la tensione indotta cresce gradualmente, raggiunge il massimo quando la variazione del flusso nel tempo è massima, e poi decresce. Consideriamo dunque il grafico B come risposta al quesito, perché richiede di accettare l’ipotesi più semplice, come del resto in generale suggerisce il filosofo medievale Guglielmo di Occam.

6. Calcolate il flusso, attraverso una superficie cubica di lato l = 10 cm, di un campo magnetico

uniforme con intensità B = 1,5 mT diretto perpendicolarmente a due facce del cubo. Risoluzione. Per calcolare il flusso attraverso la superficie cubica utilizziamo la (6), sommando i contributi relativi alle sei facce del cubo, ciascuna di superficie S = l2 = 0,01 m2. La geometria del problema indica che il campo magnetico è perpendicolare a due facce opposte del cubo, parallelo alle altre quattro. Il flusso attraverso queste ultime è evidentemente nullo. Il flusso relativo alle prime è rispettivamente: Φ1 = SB = 0,01×1,5·10-3 = 1,5·10-5 Wb per la faccia dalla quale il campo “esce” (e quindi il prodotto scalare B n⋅ fra il campo e la normale alla superficie è positivo), e Φ2

= -SB = -0,01×1,5·10-3 = -1,5·10-5 Wb per la faccia nella quale il campo “entra” (e quindi il prodotto scalare B n⋅ fra il campo e la normale alla superficie è negativo). Sicchè il flusso complessivo Φ = Φ1 + Φ2 è nullo. Come del resto stabilisce in generale, per qualsiasi superficie chiusa, il teorema di Gauss per il campo magnetico.

7. Una spira di raggio r = 10 cm si trova in un campo magnetico di intensità B = 10 mT diretto perpendicolarmente alla sua superficie. La spira subisce in 1 ms una rotazione che la dispone parallelamente al campo. Calcolate il valore assoluto della variazione del flusso concatenato con la spira durante tale intervallo e della tensione indotta media nella spira.

Risoluzione. Nella posizione iniziale, il flusso concatenato con la spira è dato dalla formula (2): Φ = SB = 3,14×r2×B = 3,14×0,01×0,01 = 3,14·10-4 Wb. In quella finale il flusso è nullo dato che il campo è parallelo alla superficie della spira. Pertanto il valore assoluto della variazione media del flusso è ΔΦ = 3,14·10-4 Wb. La tensione indotta media, utilizzando la (7), è: V = ΔΦ /Δt = 3,14·10-4 / 0,001 = 0,314 V. Notiamo tuttavia che la variazione di flusso non è lineare nel tempo e quindi la tensione istantanea durante Δt sarà diversa da quella calcolata, che ne rappresenta il valor medio.

8. Una spira quadrata di lato l = 10 cm, nella quale è inserito un resistore di resistenza R = 10 Ω, riceve una martellata che in 2 ms ne riduce l’area al 60%. Calcolate l’intensità della corrente indotta dall’evento nella spira, che si trova in un campo magnetico di intensità B = 0,1 T inclinato di 30° rispetto alla normale alla sua superficie.

Risoluzione. Il flusso inizialmente concatenato con la spira di area S1 = l2 = 0,12 = 0,01 m2, utilizzando la (1), è: Φ1 = S1 B cos30° = 0,01×0,1×0,866 = 8,66·10-4 Wb. Il flusso concatenato finale, con S2 = 0,6 S1 = 0,006 m2, è: Φ2 = S2 B cos30° = 0,006×0,1×0,866 = 5,20·10-4 Wb. La variazione del flusso in valore assoluto è: Φ1 − Φ2 = 8,66·10-4 - 5,20·10-4 = 3,46·10-4 Wb. Pertanto la tensione indotta, utilizzando la (7), è: V = ΔΦ /Δt = 3,46·10-4 / 0,002 = 0,173 V, e la corrente indotta ha intensità: i = V/R = 0,173/10 = 17,3 mA.

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9. Una bobina di 20 spire di area 0,005 m2 si trova in un campo magnetico uniforme parallelo

al suo asse, la cui intensità varia nel tempo come segue: B cresce linearmente da 0 a 0,5 T nell’intervallo di tempo fra t = 0 e t = 10 ms; resta costante fino a t = 20 ms; poi decresce linearmente fino ad annullarsi per t = 50 ms. Tracciate il grafico che rappresenta l’andamento nel tempo del flusso concatenato con la bobina. Calcolate quindi la tensione indotta nella bobina e tracciate un grafico del suo andamento nel tempo.

Risoluzione. La relazione fra il flusso concatenato con la bobina e l‘intensità B del campo magnetico è data dalla formula (2a): ΦC = NSB = 20×0,005×B = 0,1B Wb. Il flusso varia pertanto linearmente da zero a 0,05 Wb nell’intervallo fra t = 0 e t = 10 ms, poi resta costante e infine nell’intervallo fra t = 20 ms e t = 50 ms decresce linearmente fino ad annullarsi. Il suo andamento è rappresentato nel grafico in alto. La tensione indotta nella bobina, che è diversa da zero soltanto negli intervalli di tempo in cui il flusso concatenato varia, è data dalla formula (8). Nell’intervallo Δt1 = 10 ms fra t = 0 e t = 10 ms, la corrispondente variazione del flusso è: ΔΦ1 = 0,05 Wb; nell’intervallo Δt2 = 30 ms fra t = 20 ms e t = 50 ms, la corrispondente variazione del flusso è: ΔΦ2 = -0,05 Wb. Le tensioni indotte nei due intervalli sono pertanto: V1 = - ΔΦ1/Δt1 = -0,05/0,01 = -5 V; V2 = - ΔΦ2/Δt2 = 0,05/0,03 = 1,67 V. L’andamento della tensione è rappresentato nel grafico in basso.

. B -2a -a 0 a asse x

a 2a

10. Una spira quadrata di lato a giace in un piano orizzontale, dove si sposta a velocità costante nella direzione e nel verso dell’asse x, raggiungendo e attraversando la regione di larghezza 2a dove è presente un campo magnetico uniforme diretto verticalmente con verso uscente dal piano. Tracciate un grafico del flusso concatenato con la spira e della tensione indotta nella spira in funzione dell’ascissa del centro della spira.

Risoluzione. Il flusso concatenato con la spira è nullo fino a che il suo centro raggiunge l’ascissa x = -1,5a. Da quel punto in poi il flusso cresce linearmente fino a raggiungere il massimo, per x =-0,5a, quando tutta la spira è inserita nel campo magnetico. Il flusso concatenato è costante fino a che il centro della spira raggiunge l’ascissa x = 0,5a. Da quel punto il flusso concatenato diminuisce linearmente , fino ad annullarsi per x = 1,5 a. Nella spira viene indotta una tensione soltanto quando il flusso varia, cioè per x compreso fra –0,5a e 0,5a, e fra 1,5a e 2,5a, nei due casi con segni opposti ma con lo stesso valore assoluto.

ΦC(t) -2a -a 0 a x

V(t)

-2a -a 0 a x

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11. Un aereo con apertura alare L = 60 m vola a 900 km/h perpendicolarmente alla direzione del campo magnetico terrestre, che in quella regione ha intensità B = 0,04 mT. Calcolate la differenza di potenziale fra le estremità delle ali.

Risoluzione. Considerando le ali dell’aereo come un conduttore rettilineo, calcoliamo la differenza di potenziale fra i suoi estremi indotta dal suo moto nel campo utilizzando la formula (5). Esprimendo la velocità in unità SI, cioè v = 900×1000/3600 = 250 m/s, si ha: V = vBL = 250×4·10-5×60 = 0,6 V.

12. Valutate l’intensità del campo magnetico nella regione dove si è svolto il volo del satellite sospeso alla navetta spaziale ( figura 8), sapendo che quando il cavo conduttore di sospensione, di lunghezza L = 19,7 km, spazzava il campo geomagnetico con velocità v = 8 km/s, la tensione indotta fra i suoi estremi era V = 3500 volt.

Risoluzione. La forza elettromotrice indotta fra gli estremi di un conduttore rettilinea in moto uniforme attraverso un campo magnetico è data dalla formula (5) quando la sua velocità v è perpendicolare a) alla retta dove giace il conduttore, b) al campo. La condizione a) è certamente verificata data che il cavo che sospende il satellite è (almeno in prima approssimazione) diretto verticalmente mentre il sistema navetta/cavo/satellite viaggia su un’orbita ad altezza costante rispetto alla Terra. Non sapendo invece se la condizione b) è verificata, possiamo stimare soltanto l’intensità B’ della componente del campo geomagnetico perpendicolare alla velocità e al cavo di sospensione. Questa si ricava dalla (5): B’ = V/vL = 3500/(8000×19700) = 2,22·10-5 T. 13. Spiegate brevemente cosa s’intenda per correnti parassite e citatene due applicazioni utili.

Risoluzione. Le correnti parassite, o correnti di Foucalt, sono le correnti indotte da un campo magnetico variabile all’interno di un conduttore massiccio. Esse possono molto intense data la bassa resistenza che incontrano. Le correnti parassite trovano impiego utile nei forni a induzione, largamente usati nell’industria e nei freni elettrodinamici, dove l’energia cinetica di un veicolo viene dissipata in calore.

14. Discutete brevemente le differenze fra i freni usuali degli autoveicoli e i freni elettrodinamici.

Risoluzione. I freni usuali degli autoveicoli esercitano la loro azione utilizzando l’attrito meccanico per dissipare l’energia cinetica del mezzo in moto. Al termine della frenata, essi bloccano il veicolo. I freni elettrodinamici esercitano la loro azione utilizzando invece la generazione di correnti parassite in un solido metallico in moto in un campo magnetico e la conseguente dissipazione di energia per effetto Joule. La loro azione tuttavia dipende dalla velocità del moto del corpo metallico, sicchè non sono in grado di bloccare il veicolo.

15. In un circuito di induttanza L = 0,05 H, la corrente varia linearmente da 0,8 A a 1,1 A

nell’intervallo di tempo Δt = 10 ms. Calcolate il valore della tensione autoindotta. Risoluzione. Utilizzando la formula (18) si ha: V = -L Δi/Δt = -0,05×0,3/0,01 = -1,5 volt. 16. Una bobina di resistenza R = 1 Ω e induttanza L = 1 H viene collegata a un generatore di

tensione con forza elettromotrice Veff = 10 V e resistenza interna Rint = 0,8 Ω. Calcolate l’intensità della corrente nel circuito a) immediatamente dopo la sua chiusura; b) dopo che è trascorso un tempo sufficientemente lungo.

Risoluzione. a) Nell’istante immediatamente successivo alla chiusura del circuito la corrente che vi scorre è nulla, perché la tensione autoindotta è uguale e opposta a quella del generatore. b) Quando è trascorsa la fase di crescita graduale della corrente, cioè dopo un tempo grande rispetto alla costante di tempo L/R = 1 s, l’intensità della corrente che scorre nel circuito è data, per la prima legge di Ohm, dal rapporto fra la forza elettromotrice del generatore e la resistenza totale del circuito: i = Veff/(Rint + R) = 10/(1+0,8) = 5,56 A.

17. Una bobina di resistenza R = 10 Ω e induttanza L = 0,1 H viene collegata a un generatore di tensione con forza elettromotrice Veff = 6 V e resistenza interna Rint = 2Ω. Calcolate l’energia immagazzinata nella bobina.

Risoluzione. L’intensità della corrente che scorre nel circuito è data, per la prima legge di Ohm, dal rapporto fra la forza elettromotrice del generatore e la resistenza totale del circuito: i = Veff/(Rint + R) = 6/(2+10) = 0,5 A. L’energia immagazzinata nella bobina è data dalla formula (21\): E = ½ Li2 = ½ 0,1×0,52 = 0,00625 J.

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18. Quando nel circuito 1 scorre una corrente di intensità i = 250 mA, il flusso del campo prodotto da questa corrente concatenato con il circuito 2 è ΦC = 0,02 Wb. Calcolate il coefficiente di mutua induzione fra il circuito 1 e il circuito 2.

Risoluzione. Il coefficiente di mutua induzione, o mutua induttanza, fra due circuiti è il rapporto fra il flusso magnetico concatenato con un circuito e l’intensità della corrente che lo produce attraversando l’altro circuito ( formula (13)). Tale grandezza gode della proprietà di reciprocità ed ha pertanto il medesimo valore scambiando fra loro i due circuiti. Nel caso considerato il valore del coefficiente è: M = ΦC2/i1= 0,02/0,25 =0,08 H.

19. Vogliamo minimizzare l’accoppiamento magnetico fra due bobine cilindriche. Fornite

qualche suggerimento al riguardo Risoluzione. Il suggerimento più efficace, peraltro ovvio e dunque banale, è quello di disporle il più lontano possibile l’una dall’altra. Se però devono trovarsi vicine per motivi di spazio, converrà disporne gli assi perpendicolarmente l’uno all’altro. Un'altra possibilità consiste nel separarle con un foglio di materiale ferromagnetico, in modo che le linee del campo prodotte da ciascuna di esse passino attraverso il foglio, sfruttandone l’elevata permeabilità magnetica, senza raggiungere apprezzabilmente l’altra bobina. 20. Calcolate l’induttanza di un circuito nel quale il flusso magnetico concatenato vale ΦC = 0,1

mWb quando è attraversato da una corrente di intensità i = 100 mA. Risoluzione. Ricordando la definizione di induttanza, dalla formula (15) ricaviamo L = ΦC /i = 1·10-4/0,1 = 10-5 H.

21. Due bobine di induttanza L1 = 0,1 H e L2 = 0,2 H sono disposte in serie. Calcolate

l’induttanza complessiva dei due elementi. Risoluzione. Precisiamo innanzitutto che l’induttanza totale dei due elementi è data dal rapporto fra il flusso magnetico totale concatenato con il circuito, prodotto dalla corrente che lo percorre, e l’intensità di questa corrente. Se fra le due bobine non vi è accoppiamento magnetico, allora l’induttanza totale è la somma delle due induttanze. In tal caso, infatti, il flusso magnetico concatenato con la prima bobina dipende soltanto dalla corrente che percorre tale bobina e lo stesso avviene per l’altra (essendo cioè Φ1 = L1i, Φ2 = L2i). E allora l’induttanza totale del circuito è la somma delle due induttanze, ciascuna delle quali rappresenta appunto il flusso concatenato con una data bobina dovuto alla corrente che la percorre: L = L1 + L2 = 0,1 + 0,2 = 0,3 H. Le cose cambiano quando le due bobine sono accoppiate magneticamente, cioè fra esse vi è una mutua induttanza M non nulla. In tal caso, infatti, al flusso concatenato con la prima bobina contribuisce anche la corrente che attraversa la seconda, e lo stesso avviene per l’altra bobina. Dato che le due bobine sono attraversate dalla stessa corrente i, il flusso concatenato con la prima è: Φ1 = (L1 + M)i, quello concatenato con la seconda: Φ2 = (L2 + M)i, e quindi, essendo il flusso totale Φ = Φ1 + Φ2, l’induttanza totale è L = L1 + L2 + 2M. Il segno di M dipende tuttavia da come sono disposte le bobine, cioè se il campo generato dall’una incrementa il campo dell’altra (M>0) oppure si oppone ad esso (M<0). Notiamo infine che si può dimostrare che il valore assoluto di M è sempre minore o uguale a √(L1L2).

22. Si piega in due un filo conduttore dotato di

rivestimento isolante e lo si avvolge su un cilindro di sezione S = 2 cm2 formando N = 10 spire. Calcolate l’induttanza della bobina così ottenuta.

Risoluzione. La bobina presenta induttanza trascurabile. Infatti i conduttori, percorsi dalla stessa corrente diretta in sensi opposti, scorrono affiancati sicchè il campo magnetico generato da uno di essi è circa uguale e opposto a quello generato dall’altro. Da ciò consegue che il campo complessivo da essi generato è trascurabile, e trascurabile è anche il corrispondente flusso concatenato con il circuito e quindi la sua induttanza. 23. Nella tecnica, si utilizzano vari accorgimenti per proteggere i contatti degli interruttori nei

quali scorrono correnti intense quando i circuiti sono fortemente induttivi. Spiegate brevemente perché.

Risoluzione. In un circuito fortemente induttivo percorso da una corrente intensa è immagazzinata una considerevole quantità di energia, come espresso dalla formula (21). Una manifestazione di questa energia, che si libera all’apertura del circuito, è la tensione autoindotta che può provocare scariche fra i contatti dell’interruttore, danneggiandoli.

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24. Valutate approssimativamente le dimensioni dell’area elementare della superficie di un disco magnetico dotato di 3 piatti con diametro di 3,5 pollici e capacità di 100 Gbyte.

Risoluzione. Il numero di bit che il disco può memorizzare, e quindi il numero di aree elementari magnetizzabili separatamente sulla superficie dei piatti del disco, è N = 100×109×8 = 8×1011. La superficie totale del disco, ricordando che 1 pollice = 2,54 cm, è S = 3×3,14×0,02542 = 6,07·10-3 m2. E quindi la superficie di un’area elementare è approssimativante: S/N = 6,07·10-3/8×1011 =7,6·10-15 m2 .

25. In un apparecchio NMR (risonanza magnetica nucleare) per diagnostica medica è necessario

disporre di un campo magnetico uniforme molto intenso. A questo fine si utilizza una bobina di N = 2000 spire, con raggio r = 20 cm e lunghezza l = 60 cm. Calcolate: a) l’intensità della corrente per ottenere un campo magnetico di intensità B = 0,7 T; b) l’induttanza della bobina; c) la densità di energia del campo magnetico all’interno della bobina; d) l’energia immagazzinata nella bobina.

Risoluzione. a) Supponendo che la bobina si comporti come un solenoide infinitamente lungo, utilizziamo la formula (16) per ricavare l’intensità della corrente necessaria per ottenere B = 0,7 T: i = l B/(μ0 N) = 0,6×0,7/(4×3,14·10-7×2000) = 167 A, che è un valore assai elevato. b) L’induttanza della bobina, di sezione S = 3,14×r2 = 3,14×0,22 = 0,126 m2, è data dalla formula (17) L = μ0 N2S/l = 4×3,14·10-7×20002×0,126/0,6 = 1,06 H. c) La densità di energia all’interno della bobina è data dalla formula (22):

2 25

70

1 0,7 1,95 10 /2 2 4 3,14 10VOL

BEμ −= = = ⋅

× × ⋅3J m . d) L’energia immagazzinata nella bobina si ricava dalla

formula (21): E = ½ Li2 =1,06×1672/2 = 1,48·104 J. Notate che i risultati di tutti i calcoli precedenti sono stati espressi con tre cifre significative, come abbiamo sempre

fatto altrove, sebbene alcune delle formule utilizzate, come l’espressione del campo nella bobina e l’induttanza della bobina, rappresentino in questo caso soltanto delle approssimazioni, dato che la bobina non è certamente di lunghezza infinita, e neppure molto più lunga del suo diametro.

26. Per realizzare la bobina considerata nel Problema precedente possiamo seguire due strade: utilizzare un conduttore di rame oppure un filo superconduttore che, come sapete ( Unità 4, pag. xxx) presenta resistenza nulla quando viene portato a una temperatura sufficientemente bassa. Nel primo caso occorre un conduttore di grande sezione, data l’elevata intensità della corrente, che tuttavia presenterà una resistenza elettrica non trascurabile, sviluppando calore per effetto Joule. Nel secondo caso occorre un apparato che mantenga a bassa temperatura il filo superconduttore e occorre inoltre valutare la possibilità che esso subisca una rapida transizione dallo stato superconduttore a quello normale. a) Calcolate la sezione del conduttore e la resistenza totale della bobina, supponendo di realizzarla utilizzando un conduttore di rame con resistenza specifica ρspec = 1,7·10-3 Ω/m. b) Calcolate la tensione del generatore necessario ad alimentare la bobina e la potenza termica sviluppata nella bobina per effetto Joule. c) Supponendo di realizzare la bobina con una filo superconduttore, valutate la potenza che si sviluppa nel caso in cui la resistenza del filo si porti bruscamente, per qualche motivo, da zero a 2 Ω, tenendo presente ( Approfondimento 2) che la costante di tempo del circuito è data dal rapporto fra l’induttanza e la resistenza.

Risoluzione. a) La lunghezza LCu del conduttore di rame è data dal prodotto del numero delle spire per la loro circonferenza: LCu = 3,14×r×N = 3,14×0,2×2000 = 1,26·103 m. E quindi la resistenza della bobina è: R = ρspec LCu = 1,7·10-3×1,26·103 = 2,14 Ω. La sezione S del conduttore si ricava conoscendo la resistività del rame ρ = 1,7·10-8 Ωm, e tenendo presente che la resisistività specifica, cioè la resistenza di 1 m di filo è ρspec = ρ/S ( seconda legge di Ohm, Unità 5, pag. xxx): S = ρ/ρspec = 1,7·10-8/1,7·10-3 =10-5 m2 = 0,1 cm2. b) Per alimentare la bobina occorre un generatore di tensione di forza elettromotrice Vfem = Ri = 2,14×167 = 357 V. La potenza termica sviluppata per effetto Joule nella bobina durante il funzionamento è: P = i2R = 1672×2,14 =5,97·104 W = 59,7 kW = 14,3 Cal/s; si nota che tale valore è assai elevato e non è accettabile in pratica. c) Realizzando la bobina con un filo superconduttore, la cui resistenza è nulla quando è mantenuto al di sotto di una temperatura caratteristica del materiale, non si ha dissipazione di potenza per effetto Joule nel normale funzionamento. Se però per qualche motivo, per esempio un guasto del refrigeratore, il superconduttore transisce nello stato normale, l’energia immagazzinata viene dissipata nella resistenza in un tempo dell’ordine della costante di tempo del circuito: τ = L/R

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= 1,06/2 = 0,53 s. La potenza media corrispondente duramte tale intervallo di tempo è: P ≈ E/τ = 1,48·104 /0,53 = 2,79·104 W. 27. Calcolate la corrente che deve attraversare un induttore di induttanza L = 0,2 H per

immagazzinare l’energia equivalente a quella che riscalderebbe di 1°C 5 grammi di acqua. Risoluzione. Ricordando che la Caloria è definita come la quantità di calore che riscalda di 1°C 1 litro d’acqua ( pag. xxx) e che 1 Cal = 4187 J, si conclude che per riscaldare di 1°C 5 grammi di acqua occorre l’energia E = 1/200 Cal = 4187/200 J = 20,9 J. Ricaviamo la corrente necessaria a immagazzinare questa energia nell’induttore dalla formula (21):

2 2 20,9 9,140,5

Ei AL

×= = =

28. Un conduttore rettilineo di grande lunghezza è percorso da una corrente di intensità i = 0,5

A. Calcolate la densità di energia del campo magnetico alle seguenti distanze dal conduttore: d1 = 10 cm, d2 = 1 m, d1 = 10 m.

Risoluzione. La densità di energia del campo magnetico è data dalla formula (12); l’intensità del campo magnetico generato da un conduttore rettilinea a distanza d dal conduttore è data dalla formula (9) dell’Unità 6. Sostituendo l’espressione dell’intensità del campo in quella della densità di energia si ha:

2 22 7 230 0

2 2 20 0

1 1 4 3,14 10 0,5 9,85 10 /2 2 2 8 8VOL

i iB 6

E J md d d d

μ μμ μ

− −⎛ ⎞ × ⋅ × ⋅= = = = =⎜ ⎟

⎝ ⎠. Si ha pertanto: a d = 0,1

m, EVOL = 9,85·10-6/0,12 = 9,85·10-4 J/m3; a d = 1m, EVOL = 9,85·10-6/12 = 9,85·10-6 J/m3; a d = 10 m, EVOL = 9,85·10-6/0,12 = 9,85·10-8 J/m3.

29. In una regione di spazio vi è un campo elettrico con intensità unitaria E = 1 V/m. Calcolate

l’intensità B di un campo magnetico con densità di energia uguale a quella del campo elettrico.

Risoluzione. Uguagliamo la densità di energia di un campo magnetico, data dalla formula (22), con la densità di

energia di un campo elettrico: 2

0

2VOLEE ε

= . Otteniamo così 22

0

0

12 2

EB εμ

= da cui ricaviamo:

7 120 0 4 3,14 10 8,85 10 3,33 10 9B E Eμ ε − −= = × ⋅ × × = ⋅ T− .

30. Esaminate

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