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TRIMESTRALE | ANNO 1 | N. 2 AUTUNNO 2008 | € 7.00

UNDUETRESTELLA : l'uomo nero

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l'uomo nero

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Page 1: UNDUETRESTELLA : l'uomo nero

TRIMESTRALE | ANNO 1 | N. 2

AUTUNNO 2008 | € 7.00

Page 2: UNDUETRESTELLA : l'uomo nero

UNDUETRESTELLA Laboratorio di CartaTrimestrale | anno 1 - n° 2 | autunno 2008

c/o Manifatture KnosVia Vecchia Frigole, 34

73100 [email protected]

www.unduetrestella.org

DIRETTORE RESPONSABILE:

Osvaldo Piliego | [email protected]

REDAZIONE:

Andrea De Ferraris | [email protected]

Vito Greco | [email protected]

Antonietta Rosato | [email protected]

HANNO COLLABORATO:

Efrem Barrotta | [email protected]

Michele Bee | [email protected]

Philip Giordano | [email protected]

Laura Giorgi | [email protected]

Iroki | [email protected]

Marco Montanaro | [email protected]

Gianluca Moro | [email protected]

Donatella Neri | [email protected]

Manuela Piovesan | [email protected]

Emiliano Properzi | [email protected]

Francesca Quatraro | [email protected]

Giuliana Zeppegno | [email protected]

LE RECENSIONI SONO DI: Vito Greco, Antonio Miccoli, Josè Luis Molteni, Stefania Ricchiuto.TESTO QUARTA DI COPERTINA: Gianluca Moro

SI RINGRAZIA:

Il Prof. Livio Sossi per il sostegno e i preziosi consigli.

PROGETTO GRAFICO

Farm - Comunicazione e progetti culturaliwww.farm37.it

COPERTINA

Erik Chilly | [email protected]

EDITO E STAMPATO DA

Lupo Editorewww.lupoeditore.it

Unduetrestella - Laboratorio di Carta è un progetto nato

da un’idea di Cosimo Lupo, Paolo Guido e Alessandra Lani.

Abbonamenti | Tramite bollettino postale. Prezzo unico

annuale: € 28 per 4 numeri, da versare su c/c 65527681 in-

testato a Lupo Editore - Copertino. Causale: abbonamento

Unduetrestella 2008.

© Lupo Editore 2008 - Tutti i diritti riservati. Nessuna par-

te di questa rivista può essere riprodotta senza il preventivo

assenso dell’Editore.

Finito di stampare nel mese di settembre 2008.

S O M M A R I O

6

L’UOMO NERO VA IN PENSIONEPAROLE | Marco MontanaroILLUSTRAZIONE | Efrem Barrotta

4

16L’OMBRA DI MIO PADREPAROLE e ILLUSTRAZIONE | Francesca Quatraro

12LE BABBUCCE DELL’UOMO NEROPAROLE | Donatella NeriILLUSTRAZIONE | Laura Giorgi

14PRONTO... POLIZIA?PAROLE | Manuela PiovesanILLUSTRAZIONE | Iroki

18

STELLARIUMFRAMMENTI DI LIBRI E TEATRO

TESTI | Vito Greco, Josè Luis Molteni, Antonio Miccoli, Stefania Ricchiuto

10 POSTERILLUSTRAZIONE | Philip Giordano

8

PENNA & MATITADINO BUZZATIFOCUS | Giuliana ZeppegnoILLUSTRAZIONE D’AUTORE | Dino Buzzati

CHI HA PAURA DELL’UOMO NERO?PAROLE | Michele BeeILLUSTRAZIONE | Emiliano Properzi

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“Il babau simboleggia il sogno e il volo della fantasia che l’uo-mo perseguita in nome di un progresso cieco e spietato...” Così diceva Buzzati riguardo al suo bellissimo uomo nero. Figura an-tica dai contorni sfumati che da sempre accompagna la nostra immaginazione.

L’uomo nero è più vicino di quanto immagini. L’uomo nero è la paura, la nostra paura. Ogni giorno quando arriva la sera c’è un momento in cui le nostre ansie, le incertezze ci vengono a trova-re, proprio quando vorremmo spegnere il giorno e non pensare a niente. Ecco perché l’uomo nero resiste ai cambi di stagione, sempre lì ad aspettarci in un angolo del nostro armadio, con i nostri incubi ben stretti nella mano.

Fa parte della nostra vita, della nostra storia, ne abbiamo bisogno.

Sarà per questo che gli autori delle tavole e delle storie di questo numero di Unduetrestella hanno deciso di dipingerlo quasi sempre positivamente, quasi volessero tenerlo a bada.

Noi vorremmo proteggerlo, messo un po’ da parte da paure più grandi, da effetti speciali che spesso ci fanno dimenticare cosa realmente ci spaventa. L’uomo nero è un po’ come uno sguardo verso l’interno alla scoperta del nostro intimo più nascosto.

È bello, anche saper raccontare il buio, la parte più oscura delle cose. Non può fare altro che dare più luce al bello.

Numero strano, questo del nostro laboratorio. Rivoluzione di carta e, una rivista completamente diversa nelle vostre mani, sempre fedeli al filo della discontinuità. Un nuovo esperimento per vedere, come sempre, l’effetto che fa.

Buona lettura e... sogni d’oro.

PAROLE | Osvaldo PiliegoILLUSTRAZIONE | Erik Chilly

RACCONTAREIL BUIO

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Si era chiuso nell’armadio. È vero che qui c’è buio, pensava, ma lo spazio è poco e posso controllarlo. E se quel farabutto vuol venire, dovrà almeno bussare o forzare le ante.

Qualcuno bussò.

«Perché non vai a letto, Jan?»

Era la mamma.

Qualche minuto dopo Jan giaceva sotto le lenzuola come in un sarcofago. Guardava sua madre con gli occhietti che spun-tavano appena dall’ammasso di stoffa, buttando di tanto in tan-to uno sguardo alla lampada ai piedi del letto.

«Ora la spegniamo, eh, Jan?»

«No! La spengo più tardi, quando ho sonno!»

«Certo Jan, come ogni sera. Va bene, ma cerca di dormire subito.»

Jan tirò un sospiro di sollievo. Forse anche per quella not-te era salvo. Fuori dall’armadio, la sua unica speranza era la lampada con gli adesivi degli animali della giungla. Subito però il sospiro si trasformò in respiro affannoso. Era da solo in uno spazio troppo grande. L’ideale sarebbe stato montare una lampadina nell’armadio e dormire là. Poco spazio, facilmente controllabile. Jan pensò che il giorno dopo ne avrebbe dovuto parlare con sua madre con estrema fermezza: cara mamma, da oggi si dorme nell’armadio, anzi, consiglio a te e a papà di fare lo stesso. Potremmo trasferire la casa e l’essenziale negli armadi, scavare dei tunnel per comunicare direttamente da un armadio all’altro…

Mentre allungava la mano verso il bicchiere d’acqua vici-no alla lampada, Jan vide un’altra mano con dei lunghi artigli muoversi sul muro. Ritirò di scatto la sua e l’artiglio svanì nel nulla. Niente da fare, sentiva che quella notte non ce l’avrebbe fatta. Altro che armadio: quelle pareti così alte sembravano fat-te apposta per lasciarsi attraversare meglio dal suo arcinemico, l’Uomo Nero. La cosa peggiore era la natura di quest’Uomo. Era un bambino come lui a cui un altro Uomo Nero, cioè un altro bambino a cui probabilmente avevano negato di dormire nell’armadio, aveva mangiato il cuore. Nel mondo c’erano mi-lioni di bambini trasformati in Uomini Neri che azzannavano il cuore di altri fratellini.

Ogni sera era la stessa storia. L’Uomo Nero si appostava chissà dove in quella immensa stanza e aspettava di colpire il povero Jan. Ma lui si era fatto furbo e con la luce accesa rima-neva vigile cedendo solo alle lusinghe del sonno. Forse anche l’Uomo Nero si stancava e per questo non gli aveva fatto niente finora. Jan lo aveva visto più volte affacciarsi sui muri bianchi e avvicinarsi al letto, ma non ne era mai stato sfiorato.

Si fece coraggio. Se quei burocrati dei suoi genitori non vo-levano farlo dormire nell’armadio, doveva sbrigarsela da solo. Con lo sguardo deciso si mise seduto sul letto. Quello che vide fu terribile: parallela a lui una raccapricciante figura nera si le-vava sul muro. Jan ripiombò sotto le lenzuola col sudore freddo appiccicato sulla fronte. Si maledì per esser stato tanto impru-dente. Era una guerra che lo avrebbe logorato, s’immagina-va adulto che combatteva ancora nel letto contro il terribile Uomo Nero. Jan aveva due possibilità: lasciarsi consumare dal-la guerra con l’inutile fine di logorare anche il suo nemico, op-pure arrendersi. Ma sì: lasciarsi mangiare il cuore e diventare un Uomo Nero anche lui. In fondo si sarebbe potuto togliere qualche soddisfazione, come terrorizzare quel bambino che gli stava tanto antipatico. Senza neppure accorgersene, Jan era in piedi sul letto e muoveva le mani nell’aria mimando colpi netti e veloci. La vide di nuovo: l’ombra, immensa e spigolosa, era sul muro e sembrava avere una piccola spada tra le mani. L’Uo-mo Nero voleva tagliargli la testa.

Immediatamente Jan si ritrovò sotto le lenzuola col cuore che batteva forte. Sono proprio un coniglio, pensava. Aveva su-dato di nuovo e sentiva caldo, come se avesse la febbre. Così gli venne da starnutire, più volte, seduto sul letto, con la testa che faceva avanti e indietro. Notò qualcosa sul muro. Un’immensa ombra che faceva avanti e indietro con le mani sul naso proprio mentre lui starnutiva. Anche l’Uomo Nero era raffreddato, op-pure…

Non c’era dubbio: Jan era diventato l’Uomo Nero. Poi ci pensò meglio, controllandosi il petto: il cuore era al suo posto, quindi non era così. Allora… Sono proprio un coniglio, pensò ancora Jan, e compose la testa di un coniglio con l’indice e il medio e la vide allungarsi sul muro. L’Uomo Nero non era nient’altro che un’ombra. La sua.

Jan si tranquillizzò. Si sentiva un po’ scemo e un po’ di-spiaciuto perché non avrebbe più potuto terrorizzare nessuno. Fece ‘ciao’ verso il muro e l’Uomo Nero ricambiò il saluto. Poi spense la luce.

Nel buio pensò a una cosa che gli aveva detto suo cugino: altro che Uomo Nero, il vero arcinemico dei bambini è il Mo-stro Sotto il Letto! Jan sbarrò gli occhi e ricominciò a sudare freddo. Stavolta gli starnuti non lo avrebbero salvato.

PAROLE | Marco MontanaroILLUSTRAZIONE | Efrem Barotta

UNDUETRESTELLA | 5 |I RACCONTI

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PAROLE | Michele BeeILLUSTRAZIONE | Emiliano Properzi

Sorrideva il sole splendente in quel piccolo borgo disteso tra ruscelli, vallate e montagne innevate. Il falegname, il pescatore e il maestro elementare erano convinti, assieme a tutti gli altri abitanti del paese, di vivere nel più bel posto della terra. Gli uccellini fischiettavano, le signorine sorridevano e i contadini cantavano con le falci brillanti tra le spighe di grano.

Un giorno però venne una strana pioggia, fitta fitta, che non si vedeva ad un palmo dal naso. Fu in quella anomala mattinata di agosto che giunse chi turbò la pace del paese. Era arrivato, chissà da dove, uno strano figuro. Scuro come la pece, non vi era ombra sul suo viso tale da permettere di intravedere naso, zigomi, guance o narici. Nessuno infatti era in grado di rico-noscerlo. Al suo arrivo, tutti ebbero molta paura e nessuno gli si avvicinò per chiedergli alcunché.

Ben presto si sparse la voce che era stato cacciato dal proprio paese di origine. E così, se quell’uomo nero entrava a compra-re il pollo in macelleria, la cassiera gli regalava lunghi sorrisi come faceva con tutti i clienti, ma appena usciva in strada, un brusio cresceva nella bottega. Lo stesso accadeva appena l’uo-mo usciva dal negozio di alimentari o dalla lavanderia. Il ma-cellaio, un uomo dalla grossa pancia bianca e rossa, sosteneva di aver sentito dire che quell’uomo nero era un gran furfante, un ladro sfuggito alla legge.

Qualcuno disse che praticava una religione sconosciuta, mentre qualcun altro che doveva trattarsi sicuramente di uno zingaro pericoloso. Il fabbro, un omino magrolino con grandi occhialoni e mani ingrossate dal duro lavoro, diceva, quasi bi-sbigliando ad ogni avventore del suo laboratorio, di avere prove certe che a quell’uomo non piacevano le donne. E fu proprio tra le donne del paese che si sparse, veloce come un fulmine, la voce che il nuovo arrivato aveva l’abitudine di rubare i bambini e di mangiarseli vivi due alla volta. Fu così che le mamme non fecero più uscire per strada i loro bambini, i quali iniziarono a mal sopportare la presenza di quell’uomo dal volto e dalla voce sconosciuti: non potevano uscire di casa da soli, altrimen-ti l’uomo nero li avrebbe fatti sparire; dovevano mangiare tutta la minestra, altrimenti sarebbe venuto quell’uomo e li avrebbe mangiati come antipasto saziandosi poi con ciò che avevano lasciato nel piatto; non potevano più gridare come facevano di solito, altrimenti l’uomo nero si sarebbe accorto di loro e sarebbero state le prossime vittime. Insomma la vita divenne un inferno, il cielo sempre più grigio e quasi nessuno sorrideva più. Intanto, quell’omaccio scuro più del carbone se ne andava tranquillo gironzolando come se niente fosse.

Un giorno, però, accadde qualcosa che fece inalberare tutti gli abitanti del paese: qualcuno si era introdotto nottetempo in casa della vedova dell’arrotino, rubando tutta la preziosa argen-

teria che l’anziana donna custodiva come un tesoro. Fatto sta che la vedova, con il suo bernoccolo peloso al posto del naso, le lunghe sopracciglia sale e pepe e gli occhi spigolosi più degli angoli di una finestra, dichiarò solennemente e senza l’ombra di alcun dubbio di essere certa di aver riconosciuto l’uomo nero mentre scappava con il bottino dal retro del giardino. Allora gli abitanti del paese decisero di prendere delle contromisure. Ecco che quando l’uomo nero andava in lavanderia, trovava le lavatrici sempre occupate e quando andava a fare la spesa, il pane era finito proprio allora.

Giorno dopo giorno l’uomo nero non ebbe più nulla da mangiare e nessun vestito pulito con cui uscire di casa. Inol-tre, il maestro carpentiere, suo datore di lavoro, lo licenziò in tronco senza alcuna motivazione, sebbene questi avesse sempre lavorato più degli altri facendo anche i lavori più pericolosi. L’uomo nero si trovò così sempre più solo e stava ormai per morire di fame quando decise di abbandonare quel luogo così ostile. Riempì una saccoccia con le sue povere cose e la prima notte disponibile si mise nuovamente in marcia verso un luogo più ospitale.

Il giorno dopo nel paese ci fu una grande festa e tutti balla-rono e bevvero di gioia per la liberazione da quell’ombra fune-sta che per mesi aveva attanagliato la loro anima. Pranzarono tutti assieme in piazza, portando ciascuno da casa propria le sedie, i tavoli e le vettovaglie. La lavandaia prese da un cas-setto delle posate che non riconobbe e, presa dell’euforia, non si chiese affatto come fossero arrivate lì. Una forchetta capitò però nelle mani della vedova dell’arrotino, che a quella vista si mise a gridare a squarciagola. Quella posata faceva parte del suo piccolo tesoro! A quel punto andarono tutti a casa della la-vandaia, dove trovarono sotto un letto tutta l’argenteria rubata. Si scoprì che il ladro era stato il figlio della lavandaia, che non sapeva più come ripagare il macellaio, il quale gli aveva presta-to dei soldi volendone in dietro più del doppio.

Poco alla volta si venne a sapere che il figlio della lavandaia doveva quei soldi al sarto, il quale gli procurava sottobanco della merce illegale. Il sarto, a sua volta, era indebitato sino al collo debiti di gioco con il pescatore, il quale aveva bisogno presto di quel denaro per fuggire via con la moglie del fabbro, che voleva scappare dal marito violento e ubriacone. Mentre la moglie del fabbro e il pescatore scapparono la notte stessa con la loro povera barchetta, molte furono le malefatte che vennero alla luce in quei giorni.

Molto presto, però, il giornale del paese smise di parlarne, preferendo concentrarsi sul rischio dell’arrivo di un nuovo uomo nero che sembrava aggirarsi nei paesi vicini, creando già nuovi trambusti.

UNDUETRESTELLA | 7 |I RACCONTI

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Il Babau | DISEGNO ORIGINALE DI DINO BUZZATI. ©Copyright Eredi Dino Buzzati. Tutti i diritti riservati.

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Che cos’è il mostro che levita a mezz’aria sopra i tetti della città? È il babau, un gigantesco animale volante che discreta-mente si avvicina, di notte, ai letti dei bambini e penetra nei loro sogni per rimproverarli e spaventarli un po’. Apparentemente orribile, il babau ha invece, a guardarlo bene, un’espressione bonaria e occhietti rischiarati da un luccichio quasi affettuoso. Una notte il babau fa visita all’ingegnere Roberto Paudi, un uomo freddo e razionale che non crede alle favole e disprezza ciò che non capisce, forse perché ne ha paura. Ma l’ingegnere è un uomo potente, e riesce a convincere il consiglio comu-nale della sua città a sbarazzarsi del ‘mostro’: si organizza così una spedizione armata e in una notte di luna l’indifeso babau viene abbattuto dai colpi dei mitra e si dissolve senza lasciare traccia. L’uccisione del babau − ci dice Buzzati − è l’ennesimo colpo scagliato contro “le ultime rocche del mistero”: “buffo amico-nemico” dei bambini, il babau simboleggia il sogno e il volo della fantasia, che l’uomo perseguita in nome di un progresso sempre più cieco e spietato. Ma l’immaginazione, ridotta alla fuga, sopravvive nonostante tutto: tant’è vero che la ritroviamo, a distanza di anni, tra le pagine di racconti come questo e chi la sa riconoscere può vederla scintillare, qua e là, negli angoli più nascosti.

Oltre a descriverlo con le parole, Buzzati ha raffigurato più volte il suo babau, per esempio in questo dipinto (a pagina 8) del 1970. Considerato per lo più un grande narratore, fu in-fatti anche pittore e disegnatore, e si lamentò in più occasioni del “crudele equivoco” di essere ritenuto uno scrittore che ogni tanto si dedica alla pittura, mentre egli si considerava “un pittore il quale, per hobby (…) ha fatto anche lo scrittore e il giornalista”. Buzzati è autore di numerosi quadri, ma anche di libri composti di parole e immagini, come la favola illustra-ta dal titolo La famosa invasione degli orsi in Sicilia (1945) e lo straordinario Poema a fumetti (1969): i quadri e i racconti sono popolati spesso, come in questo caso, dagli stessi per-sonaggi, e in entrambi si respira un’identica, inconfondibile, atmosfera fantastica.

FOCUS | Giuliana Zeppegno

IL BABAU (Le notti difficili, 1971)

Autore versatile e curioso, Dino Buzzati si è cimentato, nel tempo, nei generi e nelle forme artistiche più svariate, dalla fiaba, al romanzo realistico, alla narrazione fantascientifica, al racconto, alla poesia, al teatro, all’opera, alla pittura e al fumetto: ciò che lo ha reso celebre e ne ha fatto conoscere l’opera anche all’estero è però, soprattutto, la sua produ-zione fantastica: tra le molte raccolte di racconti fantastici, ricordiamo I sette messaggeri (1942), Paura alla Scala (1949) e Il crollo della Baliverna (1954), oltre al volume Sessanta rac-conti (1958), dove l’autore ha voluto radunare tutte le sue storie più belle.

IL BUZZATI «FANTASTICO»

Dino Buzzati nasce a San Pellegrino, vicino a Belluno, il 16 ottobre 1906, nella villa dove la sua famiglia, che in inverno vive a Milano, è solita trascorrere le vacanze estive. Fin da ragazzino è un lettore avi-do e un grande appassionato di montagna, due amori che coltiverà per tutto il resto della sua vita. A soli ventidue anni viene assunto dal quotidiano il Corriere della Sera, dove svolgerà, nel tempo, le più diverse mansioni, da quella di cronista, a quella di critico musicale, di inviato speciale, corrispondente di guerra (è il 1940: l’anno d’inizio, per l’Italia, della seconda guerra mondiale), critico d’arte e redattore capo. Laureatosi in Legge, inizia a pubblicare i primi racconti, e nel 1940 esce il romanzo destinato a renderlo famoso in tutto il mondo, Il

deserto dei Tartari. Seguono le varie raccolte, la produzione teatrale e poetica, le prime mostre, lo sfortunato romanzo Un amore (1963), l’allora originalissimo e contestato Poema a fumetti. Se si escludono i viaggi che compie come giornalista, Buzzati vive a Milano per tutta la sua vita, in casa della madre fino a due anni prima della scomparsa di lei, che avviene nel 1961. All’età di sessant’anni sposa Almerina Anto-niazzi. Alcuni anni dopo si ammala gravemente, e muore a Milano il 28 gennaio 1972, poco dopo l’uscita della sua ultima raccolta di racconti (Le notti difficili).

VOLI DELLA FANTASIA

DINOBUZZATI

PENNA & MATITAB

IO

UNDUETRESTELLA | 9 |PENNA & MATITA

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ILLUSTRAZIONE | Philip Giordano

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PAROLE | Donatella NeriILLUSTRAZIONE | Laura Giorgi

L’altra sera zitta zittason salita su in soffittadove restano nascoste cose vecchie là riposte.

Su quei ripidi gradinicamminavo coi calziniper non fare del rumore,e batteva forte il cuore.

In quel grande polveroneio cercavo cose buonetra barattoli e cartacce,specchi rotti e brutte facce.

Un’immensa ragnatelami spegneva la candela,mentre ragni birbantellimi esploravano i capelli.

Vecchie sedie e scarpe rotte,un catino ed una bottein un angolo assai scuro si appoggiavano sul muro.

Sopra un brutto manichinoho intravisto un topolinoch’è scappato silenziosodentro un cesto polveroso,

ma ho sentito in quell’istanteil rumore un po’ agghiacciantedi un antico finestrinoche oscillava pian pianino.

Sotto il basso davanzalec’era un piccolo scaffalestorto, lercio ed azzoppato, tanto è stato caricato.

E lì accanto una gran cassae di lane una matassa,un armadio sgangheratodentro il quale io ho guardato!

Sotto gli abiti alle grucceho trovato due babbucce,un cuscino rattoppato,uno scialle ripiegato.

Mentre stavo per servirmiho sentito… come un vermecamminare sulle ditaed ho urlato inorridita!

Da quell’ombra allora è uscitoun lamento un po’ stizzito,una voce cavernosa…e una mano un poco ansiosa

mi ha afferrata per un bracciomentre udivo un gran versaccio!Io tiravo per scappare,ma non mi lasciava andare!

In quell’orrida aperturaabitava la paura,ma una voce finalmentemi ha parlato gentilmente.

“Qui da tanto son rinchiuso,come fossi fuori uso,mi hanno ormai dimenticato…voglio esser liberato!

Una volta i genitorimi trattavan con gli onori,ricevevo ogni premuraché sapevo far paura!

Ora sono qui smaltito,triste solo ed avvilito; senti quello che ti dico:Ho bisogno di un amico!”

“Ma chi sei, si può sapere?”gli domando assai severa.“Visto che ti ho detto il vero?Non conosci l’uomo nerooo ???!”

Ed in men che non si dicase n’è uscito con faticaun omino un po’ acciaccato,con gli occhiali e assai pelato.

Si è infilato la babbucciaper lasciare la sua cuccia,e si è messo sulle spallequel suo vecchio e brutto scialle.

Poverino, che tristezza!Lui mi ha fatto tenerezza,l’ho portato giù da mee gli ho fatto un bel caffè.

L’Uomo Nero pensionatoor si sente un po’ più amato;io lo curo con affetto…e mi dorme sotto il letto!

| 12 | UNDUETRESTELLA I RACCONTI

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PAROLE | Manuela PiovesanILLUSTRAZIONE | Iroki

Ero solo una bambina, ma me lo ricordo bene.

Succedeva in pieno giorno e ce lo ritrovavamo in casa all’im-provviso. Si chiamava Viurna. Non ho mai saputo se Viurna fosse il nome o il cognome, ricordo solo che, a sentirlo pronun-ciare, mi si contorcevano le budella per la paura.

Indossava un cappotto grigio scuro, quasi nero, che si tene-va incollato sulla pelle anche d’estate. Temevo che lo aprisse all’improvviso e tirasse fuori qualche trappola che aveva por-tato con sé. Una volta credo anche di aver visto un serpente spuntare da una delle tasche, perchè ricordo che mi si ghiacciò il sangue nelle vene.

Come se non bastasse, Viurna puzzava come un facocero e ti alitava in faccia sempre le stesse parole: “C’è niente per me?...Dài, tira fuori un po’ di pane…Ho fame!” E lo chiedeva inar-cando le sopracciglia. Si capiva che era pronto a tutto se non lo avessimo accontentato.

Non ho mai pensato che avesse fame per davvero, pensavo solo che fosse cattivo e che avrebbe potuto farmi del male. An-che mangiarmi, se solo lo avesse voluto.

Nonostante tutto, avevo una gran voglia di affrontarlo quando, per fortuna di rado, spuntava in casa all’improvviso. Se fossi stata un cane, forse avrei ringhiato, di sicuro avrei pun-tato alle caviglie. Le mie due sorelle, invece, si facevano scudo l’una con l’altra e tremavano come foglie.

Poi, quando Viurna se ne andasva, negavano tutto a una voce sola.

In fin dei conti, potevamo star tranquille, perché in casa c’era sempre la mamma. Nemmeno a lei faceva pena Viurna. Un giorno, lo affrontò decisa, con un coraggio che non le co-noscevo.

Lui era già in cucina…chissà come aveva fatto!

“Chi ti ha detto di entrare?” gli gridò. Viurna le rise in fac-cia e sputò sul pavimento. Roba da strangolarlo. Poi si passò un dito sui denti e lo asciugò su un fianco del suo lurido cappotto. Ci guardò tutte e quattro, momentaneamente in suo ostaggio, e sputò un’altra volta. Allora la mamma, viola in viso, prese la scopa dal bagno e la alzò su di lui che, con un braccio, la fer-mò. Poi Viurna sputò di nuovo, ma stavolta sul manico della scopa.

“Boia chi molla” sentii dire qualche anno più tardi e il pen-siero mi corse subito alla mamma che non si era mai arresa di fronte a Viurna. Nel frattempo, io mi ero fatta l’idea che questo losco figuro passasse attraverso le porte e che anche il giorno può essere carico di paura, non solo la notte.

Quel pomeriggio di gennaio, fu davvero un pomeriggio

stracarico di paura. No…no…meglio dire di terrore! Eravamo a casa da sole. Noi tre, senza la mamma. Quel giorno non sa-rebbe proprio dovuta uscire.

Stavamo facendo i compiti quando, come per una magia, Viurna apparve lì, in cucina. Aveva portato con sé una scia puzzolente e ci stava chiedendo da bere. Da dove poteva essere entrato? E perché la mamma tardava tanto?

Guardai le mie due sorelle di sventura, bianche come len-zuola appena lavate. Io avevo il cuore che ormai stava uscendo dal petto per andarsene in un posto più sicuro, ma non esitai. Fu un attimo. Mi avvicinai con passo veloce al telefono, senza voltarmi, e composi un numero a caso: “Pronto…Polizia? Par-lo proprio con la Polizia? Sì…il mio numero è 2089…”

Ce l’avevo fatta. Ero al settimo cielo! Tornai in cucina, ma Viurna non c’era più. Corremmo in cortile tutte e tre, per cer-care di capire come aveva potuto dileguarsi in un lampo. Era già lontano. Riuscimmo a scorgere solo due gambe nude e sec-che, radici di un albero avvizzito, che se lo stavano portando via.

Oggi penso che Viurna potrebbe avere più di cent’anni, ma non credo che sia ancora vivo. E’ rimasto solo dentro ai miei pensieri che hanno deciso, dopo tanto tempo, di tornare bam-bini. Soltanto per dirmi, che era lui l’uomo nero.

| 14 | UNDUETRESTELLA I RACCONTI

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PAROLE E ILLUSTRAZIONE | Francesca Quatraro

L’Uomo diventò nero quando chiuse il suo cuore nel rancore quando le sue labbra smisero di pronunciare parole d’amore quando le sue mani dimenticarono d’abbracciare suo figlio. L’Uomo diventò nero uno strato alla volta una carezza non data, uno strato di nero un bacio tradito, tre strati di nero dimenticare se stessi, dieci pesanti strati di nero E così ancora. E così sarebbe continuato. Invece. Il Figlio prima si spaventò di quello che suo padre era diventato. Poi ne ebbe compassione. L’abbracciò. E, come se fosse un rito magico, scrisse sul suo volto parole nuove. Scrisse canzoni affinché ballasse, scrisse poesie così che si commuovesse, e disegnò alberi, e fiori, e colori perché ricordasse di essere vivo.

| 16 | UNDUETRESTELLA I RACCONTI

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STELLARIUMFRAMMENTI DI LIBRI E TEATRO

LA VERA PRINCIPESSA SUL PISELLO

C’erano una volta le principesse dolci e belle, quelle che attendevano il principe del caso, il cavallo bianco annesso, il dettaglio di un castello. Tra notti insof-ferenti e giorni sospiranti, vivevano nell’ansia di una scelta non loro, docili soggette alla schiavitù di un sogno ripetuto, poco padrone di un destino ormai meccanico. Incantevoli creature certo, ma incapaci, di arrischiare una fuga per il solletico di un’illusione, di osare ribellione contro una storia incollata, di per-dersi nel bosco per non tornare più. Che fosse per il volere di un re padre severo, il sentimento di un pre-tendente sempre mantellato, l’invidia della sorellastra aspra perché racchia, l’arroganza di una strega solita zitella, poco importa: in ogni caso, le principesse dol-ci e belle sopportavano sempre che il cammino fosse indicato dagli altri, e boicottavano senza coscienza la luce buona della luna, mancando così gli approdi sconosciuti e differenti.

Octavia Monaco, briosa autrice francese, non ci sta a tutto questo e urla riscatto, e scuote il ritratto immo-dificabile di fanciulla aggraziata quanto indolente, e il paesaggio fisso e stanco fatto di torri merlate e pos-

senti! Prova così a narrare una principessa diversa, rubandola ad Andersen, ai guanciali e ai piselli, e do-nandole dose sana di dispetto ed energia. La “vera” principessa sul pisello, dopotutto, non conduceva affatto vita meravigliosa, e si agitava alquanto tra i sospetti di una suocera malfidata, e le assenze di un consorte distaccato. Non resta che ritrovarla, quindi, e alimentarla con il sacro cibo della rivolta giusta. Per farle scoprire che esiste la rabbia e che le mura di un maniero si possono anche scavalcare, e che una don-na non deve ridursi a un ruolo perfetto e senza grinza alcuna. Alla scoperta della propria identità selvaggia, la principessa rifiuta dimora, marito e tristezza, per accogliere nuovi orizzonti e soprattutto la libertà.

Magistrale fiaba femminista, l’ultima novità di Orec-chio Acerbo invita grandi e piccoli ad accettare le diversità di ognuno, a fuggire il più possibile dai con-formismi, e soprattutto a non sottovalutare mai i pi-selli sotto i materassi: i fastidi, infatti, vanno sempre ascoltati e capiti, per poterli trasformare in illuminanti verità.

AUTORE | Octavia MonacoCASA EDITRICE | Orecchio AcerboANNO | 2007

di Stefania Ricchiuto

AUTORE | Simone NuzzoILLUSTRAZIONI | Erik ChillyCASA EDITRICE | Lupo EditoreANNO | 2007

MAMMAFOBIA

Ma è sempre vero che “la mamma è sempre la mam-ma”? Curioso sarebbe chiederlo ai piccoli figli prota-gonisti di Mammafobia, opera di Simone Nuzzo dalle vivaci tinte noir.

Nei 5 racconti emergono delle figure materne piutto-sto singolari e volutamente estreme, ma a volte sor-prendentemente moderne e attuali: la mammaperfi-da capace di scherzi terribili, la mammapprensiva con le sue folli soluzioni, la mammasportiva che trasforma una festa in una gara massacrante, la mammadistratta che dimentica una figlia su una giostra e la mamma-magò dalle tante sorprese. Queste mamme riescono a mettere a dura prova i propri bambini che riescono sempre, fortunatamente, “a scamparla”, il tutto av-volto in un atmosfera simpaticamente horror.

Situazioni e ambientazioni atipiche per un testo per ragazzi, ma in realtà il vero e grande punto di for-za del libro. Nonostante la quotidianità grottesca in

questo paese senza nome, le mamme costituiscono sempre un punto fermo nella vita dei loro bambini che riescono sempre a comprendere le loro stram-berie e a prendersene quasi cura, tanto che anche loro sarebbero d’accordo nel dire che “la mamma è sempre la mamma”.

Con questo libro Simone Nuzzo si allontana dall’at-mosfera tra cielo e stelle del suo lavoro precedente, Il Cacciatore di Stelle, sempre edito da Lupo Editore nel 2006, e ci porta in un’atmosfera forse meno magi-ca, ma in una formula letteraria limpida e diretta che rende la lettura del libro davvero molto gradevole. Un libro per ragazzi ma anche per adulti; in quest’ul-timo caso un invito a sorridere un po’ di sé stessi.

di Antonio Miccoli

SAMARCANDA (libro + cd)

La casa editrice Gallucci pensa da sempre infinite copertine cartonate, incorniciate da cerchi continui e quasi smaltati, a far da custodia a storie disegnate nell’immenso.

Da un po’ di tempo, la scelta di narrare anche le can-zoni, intrecciandone il testo con i colori, e accompa-gnando il libro illustrato con un cd musicale, che fac-cia di lettura, visione e ascolto un incantesimo unico e potente.

Ne son passate tante da qui, di note conosciute, e tutte hanno rintracciato dei segni fedeli all’emozione originaria. Lo stesso accade, e forse di più, con questa “Samarcanda” ritrovata, capolavoro eccitato e impe-tuoso del Vecchioni migliore, finemente accolta dalle ombre in foglio dell’illustratrice Corallina De Maria.

L’artista ha di fatto ricamato il brano affidatole, ren-dendo tutti i ghirigori della trama, e gli arabeschi di una terra dai dettagli conosciuti ma lontani. Scorci, sapori, olezzi, tocchi, rumori: non c’è senso che sfug-ga all’arte maestra di un miraggio velato, perché si può, nell’incontro tra luce e buio, riunire tutti i parti-colari sfuggenti della storia che canta un paesaggio distante. Notevole l’effetto, non può che ammaliare.

Per grandi e bambini, insieme sedotti, che posson fare di un gioco di carta e pentagramma un esercizio di estasi e memoria, riconoscendo così un patrimonio musicale comune, ed abbattendo le barriere dell’età al suono/visione di una canzone illustrata.

AUTORE | Roberto VecchioniILLUSTRATRICE | Corallina De MariaCASA EDITRICE | I GallucciANNO | 2007

di Stefania Ricchiuto

| 18 | UNDUETRESTELLA STELLARIUM

Page 19: UNDUETRESTELLA : l'uomo nero

NEL PROSSIMO NUMERO: LO SPECCHIO INCANTATO

Il fascino perturbante del “doppio”, l’inquietante sensazione di non essere soli se in una stanza ce n’è uno, riproduzione fedele e inganne-vole al tempo stesso, perché bidimensionale e senz’anima, la percezione di un altro da noi, di una realtà al di qua e al di là dello specchio: ecco solo una piccolo quadro delle mille suggestioni che questo oggetto può evocare. A voi trovarne delle altre e imprimerle su carta...

Il termine ultimo per la presentazione degli elaborati è il 31 OTTOBRE 2008.

UNDUETRESTELLA | 19 |STELLARIUM

Un sogno, un incubo o forse un gioco. In un essenziale quadrato bianco, metafora di una stanza ideale si danno battaglia due per-sonaggi: un uomo in pigiama con palloncino bianco e la sua ombra travestita da morte. Il duello è ambientato tra l’interno della stanza del protagonista e un fuori carico di pericoli e paure.

Gli inseguimenti e gli scontri sono caratterizzati dall’uso del corpo attraverso un linguaggio a volte poetico e a volte clownesco con numerose gag esilaranti al ritmo di una costante colonna sonora suonata dal vivo. Oltre ai due attori un musicista con chitarra e vari effetti sonori colpisce non solo il ritmo ma anche lo spazio della scena. L’ambientazione va dai film muti alle comiche fino a diventare quasi un cartone animato con attori in carne ed ossa.

I due personaggi rimandano alle paure umane e soprattutto alla possibilità di guardare a quelle paure con uno sguardo leggero e ironico. Forse solo così quelle stesse paure possono trasformarsi in coraggio e voglia di crescere.

Lo spettacolo è rivolto ad un pubblico ampio, dai 6 ai 99 anni.

VOLO DI NOTTEPrincipio Attivo Teatro

TEATRO/ANTEPRIMA

Due compagni di viaggio: un piccolo mostro nero nero e un pipi-strello anch’esso nero nero.

Provo a chiudere gli occhi e immagino di fotografare tutto quello che penso, le immagini nascoste che vorrei far uscire fuori, quei co-lori che non vedo al parco e quell’amico sempre al mio fianco.

Immagino di fotografare anche il fondo del mare, contorni di pesci e piante, altri animaletti che non ho visto mai. Sono su di una barca costruita in fretta e furia e vedo isole di tanti colori.

Questo libro è un piccolo gioiello, una lettura dalle mille suggestioni impreziosita dalle tavole di Philip Giordano, che in queste pagine ci ha regalato le immagini nascoste nella fantasia di ogni bambino.

AUTORE | Davide CalìILLUSTRAZIONI | Philip GiordanoCASA EDITRICE | ZOOlibriANNO | 2008

L’ISOLA DEL PICCOLO MOSTRO NERO-NERO

RECENSIONE

MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE• per iscriversi è necessario compilare la scheda di

adesione scaricabile all’indirizzo www.unduetrestel-la.org. Non è richiesto alcun contenuto economico.

• i racconti e le illustrazioni possono appartenere a qualsiasi genere e stile purché inerenti al tema pro-posto;

• le opere devono essere inedite;• le illustrazioni (formato tiff/300dpi o formato carta-

ceo) devono avere esclusivamente dimensione di cm 30b x 45h per esigenze di impaginazione;

• i testi (formato rtf) non devono superare le 5.000 battute;

• l’autore concede la pubblicazione delle proprie opere in forma cartacea ed elettronica;

• la redazione, in caso di anomalie, può escludere un’opera dal concorso sottraendosi da ogni re-sponsabilità;

• tutte le immagini ed i testi presentati sono valutati da un’apposita commissione redazionale. Il giudizio della commissione è insindacabile;

• le opere non saranno restituite.

MODALITÀ DI SPEDIZIONE• in busta chiusa a: Unduetrestella - Laboratorio di

carta - c/o Manifatture Knos - Via Vecchia Frigole - 73100 Lecce

• via e-mail (solo testi) all’indirizzo: [email protected]

di Vito Greco di Josè Luis Molteni

Page 20: UNDUETRESTELLA : l'uomo nero

L’uomo nero non usa porte o fi nestre, e nem-

meno il camino per entrare. Non bussa, né

ti chiama con la voce grossa, chiedendoti di

aprire. È già lì che ti aspetta, nella casa, da

sempre, un tempo che non puoi ricordare

perché non eri ancora nato.