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Umberto Boccioni, Carica di lancieri, 1915.
•Forme di conflittualità organizzata caratterizzano, in varia misura, la quasi totalità
delle società conosciute;
•di tale conflittualità, il genere maschile ha costituito tendenzialmente il soggetto
attivo (uomo = guerriero);
•di tale conflittualità il genere femminile ha costituito tendenzialmente l’oggetto
passivo (donna=vittima).
Uomini-Guerrieri-Giusti Donne- Anime-Belle
La preda
Paris Bordone, Venere e Marte con Cupido,
1559
Sessualità e guerra Il “linguaggio dell’attacco
militare – assalto, impatto,
spinta, penetrazione – è
sempre stato fatto coincidere
con quello del rapporto
sessuale ma […] guerra e
sessualità sono legate in
modo assai più letterale. Fin
dagli inizi si è capito
benissimo che una
campagna militare vittoriosa
promette sia lo stupro sia il
bottino”. Paul Fussel, La Grande guerra e la memoria
moderna, Il Mulino, Bologna 1984, p. 345
Il ruolo femminile di preda è in grado di rilevare, forse con più chiarezza di qualsiasi altro
fenomeno, la concezione ancestrale del maschio in guerra. Per costui la donna (strappata
al nemico, violentata, schiavizzata) è un pegno di cruciale importanza, non solo per l’ovvia
gratificazione sessuale che ne deriva, ma anche e soprattutto per le cruciali implicazioni
sociali che il suo possesso riveste all’esterno e all’interno del gruppo. In alto: Clemente Tafuri, La tratta delle schiave, 1942.
“Quando arrivavano in qualche villaggio le donne venivano esibite come schiave nella
pubblica piazza, spesso fuori dalle finestre del palazzo del governo stesso, e ogni abitante
mussulmano era autorizzato a esaminarle e prenderne una per il proprio harem; i gendarmi
stessi avevano poi mano libera sulle altre e le obbligarono a dormire con loro la notte. Ci
furono atrocità ancora più orribili quando si giunse sulle montagne […]”
(A. Toynbee, A Summary of Arnmenian History up to and including the year 1915. The Deportation of 1915. The Procedure,
in B. Bianchi, La violenza conto la popolazione civile nella Grande Guerra. Deportati, profughi, internati, Unicopli, Milano
2006, pp. 393-399)
Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915
A parte una genuina umana preoccupazione per mogli e figlie amate, lo stupro
perpetrato da un vincitore è una prova inconfutabile della condizione
d’impotenza virile del vinto. La difesa delle donne è stata fin dalla notte dei
tempi un simbolo dell’orgoglio maschile, così come il possesso delle donne è
stato un simbolo del successo maschile. Lo stupro compiuto da un soldato
conquistatore distrugge tutte le residue illusioni di potere e di possesso negli
uomini della parte sconfitta. Il corpo di una donna violentata diventa un
campo di battaglia rituale, un terreno per la parata trionfale del vincitore.
L’atto compiuto su di lei un messaggio trasmesso da uomini ad altri uomini:
una vivida prova di vittoria per gli uni e di una sconfitta per gli altri.
Massimo
Minimo
Stupro
di massa
di gruppo
individuale
Prostituzione
Fraternizzazione
Scala della violenza di genere nelle relazioni sessuali in tempo di
guerra
“ Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il van-taggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia”
A. Manzoni, I promessi sposi, p.16.
http://bachecaebookgratis.blogspot.com/
Soldati
“Si sta come d’autunno sugli alberi le
foglie”
Giuseppe Ungaretti, bosco di Courton, 1918
Un nuovo, straordinario,
interesse
•1914: la Gran Bretagna istituisce il Commitee on Alleged German Outrages che pubblica il
suo rapporto finale l’anno successivo e il Times, nei mesi di aprile /maggio, lo rende
pubblico. Diffuso come opuscolo a basso prezzo e tradotto in trenta lingue, l’opuscolo
diventa un best-seller e da un’importante conferma alle voci che già da tempo si erano diffuse
sugli stupri compiuti dai tedeschi in Francia ed in Belgio. Nello stesso anno, anche la
Francia crea una Commissione simile a quella inglese, i cui rapporti saranno pubblicati da
tutti i quotidiani, con la medesima “attenzione” agli episodi di violenza sessuale.
•1915: viene pubblicato il libro bianco tedesco sulle atrocità commesse dai soldati russi nella
Prussia orientale e nella Galizia austriaca; il testo, pubblicato in varie lingue per influenzare
l’opinione pubblica di paesi ancora neutrali, ma non diffuso in Germania, riserva un ampio
spazio alle violenze di gruppo e agli atti di sadismo commessi dai Russi in quei territori.
Nello stesso anno, i Tedeschi pubblicano un altro rapporto intitolato La violazione del diritto
delle genti da parte dell’Inghilterra e della Francia attraverso l’impiego di truppe coloniali sul
teatro di guerra europeo; le descrizioni si concentrano sulle violenze delle truppe coloniali,
senegalesi in particolare, nei confronti delle donne tedesche fatte prigioniere in Francia.
Mamma sei tu?
“In Francia hanno iniziato ad apparire le pubblicazioni ufficiali sulle “atrocità tedesche”. Molti se ne compiacciono. Alcuni, tra i quali io stessa, ne sono disturbati. Mi sembra cosa inopportuna e temo che al momento attuale possa condurre a due risultati, [...] a terrorizzare la popolazione nelle regioni vicino al fronte, oppure, nel caso di una nostra invasione della Germania, a incitare i nostri soldati alle più orribili rappresaglie.
Al contrario, se tali pubblicazioni fossero state rinviate fino alla fine delle ostilità, avrebbero potuto essere utili, a condizione, però, che avessero conservato un carattere di verità. Le atrocità dovrebbero essere presentate in modo da non esasperare il clima di odio a livello internazionale, ma in modo tale da ispirare un salutare terrore per il flagello della guerra che inevitabilmente provoca tante inutili sofferenze e causa crimini vergognosi”
Nelly Roussel, in un articolo pubblicato su “La Pensée Libre International” il 6 febbraio, si legge in B. Bianchi, Militarismo versus femminismo. La violenza alle donne negli scritti e nei discorsi pubblici delle pacifiste durante la Prima guerra mondiale, in «(DEP). Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile», n. 10 (2009), p. 107.
… fuori dal coro
“ … il discorso pubblico e narrativo sugli stupri di guerra, la sua sistematicità, la sua diffusione, sarebbero impensabili senza considerare che alle spalle di quell’esperienza c’è un secolo di retorica nazional-patriottica che […] ha fatto delle narrazioni di stupro uno dei punti cardine della logica comunitaria. Gli stupri diventano visibili nel 1914 e negli anni seguenti, non solo per le ragioni che si sono appena ricordate (ndr: la “guerra totale”), ma anche perché gli intellettuali che li trattano hanno ormai un robusto allenamento che consente loro di identificare in quei gesti non tanto un’ineluttabile (e trascurabile) calamità bellica, com’è accaduto per secoli, quanto piuttosto una sventura che tocca il prezioso tesoro simbolico della nazione”
(A.M. Banti, L’onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra, Einaudi, Torino 2005, p. 357)
L’onore della nazione
“l’idea che la comunità nazionale abbia dei
confini sessuali, e una struttura interna
fondata sul matrimonio monogamico, sulla
discendenza e quindi sulla certa
individuazione della paternità, fa
dell’aggressione sessuale una concreta
minaccia al naturale scorrere dl lignaggio
nazionale, oltre che una prova della scarsa
capacità che gli uomini della nazione hanno di
difendere le proprie donne”
(A.M. Banti, L’onore della nazione. Identità sessuali e
violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla
Grande Guerra, Einaudi, Torino 2005, p. 245)
… un onore che gli uomini avrebbero
dovuto proteggere
La nazione: una personificazione al femminile
A. M. Banti, L’onore della nazione, Einaudi, Torino 2005, p. 358
A. M. Banti, L’onore della nazione, Einaudi, Torino 2005, p. 359
A ds , ritirata di Caporetto
(24-25 ottobre 1917)
Il caso è quasi interamente nuovo
« … il caso è quasi interamente nuovo. Non dico, con questo, che negli ordini di marcia ci fosse esplicitamente incluso di violare le donne: ma certo si lasciò fare e magari s’incoraggiò l’intraprendenza dei giovanili spiriti dell’armata […] In altri tempi certe cose si punivano ancora con la fucilazione: oggi no»
D. Angeli, I non desiderati, Il Giornale d’Italia, 23 febbraio 1915
I figli del nemico
«I figli nati da tali brutalmente forzati amplessi non
possono essere che dei deficienti e dei degenerati
pericolosi alla famiglia e alla società e quindi anche e
soprattutto alla nazione. Dico anche politicamente
dannosi alla nazione, perché non si può eliminare la
possibilità che il germe paterno nemico che fecondò
in momenti di odio non debba portare come tristo
riflesso nel figlio lo stesso odio» L. M. Bossi, La mia relazione alla R. Accademia medica di Genova, in Id, In dife=
sa della donna e della razza, Milano 1917, pp. 79-80.
Il terribile sospetto
Il sospetto gravante sulle donne in
tempo di pace, quello di non avere
opposto una convinta ed effettiva
resistenza alla violenza aleggiava
pesantemente sugli stupri di guerra con
delle implicazioni simboliche sempre
più gravi.
In tempo di guerra, quando il
comportamento sessuale diventava
parte integrante dello stesso sforzo
bellico e le donne erano chiamate ad
incarnare una moralità perfetta e
tradizionale, la maternità illegittima si
caricava della valenza simbolica del
tradimento del soldato e della patria,
rappresentando un vero e proprio
attentato alla nazione in guerra.
“La donna perfettamente normale preferisce uccidersi piuttosto che subire una violenza sessuale”
C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente. La prostituta e la donna normale, Torino, 1893
Alla fine del conflitto, con l’intento di sostenere la richiesta di danni dell’Italia alla conferenza di
pace di Parigi, l’Italia istituisce due Commissioni d’inchiesta.
•La prima, organizzata dall’Ufficio Tecnico di Propaganda Nazionale, conclude i propri lavori in
tempi assai rapidi, dal 4 al 14 novembre 1918, dando alle stampe un rapporto dal titolo Il martirio
delle terre invase, nel quale si raccontano anche gli stupri subiti dalle donne italiane.
•Contemporaneamente, il 15 novembre, il Decreto Legge n. 1711 istituisce una Regia
Commissione d’Inchiesta con lo «scopo di constatare le violazioni al diritto delle genti e alle
norme circa la condotta della guerra e al trattamento dei prigionieri di guerra, che siano state
commesse dal nemico, di accertare la consistenza e l’entità dei danni alle persone e alle cose, che
da tali violazioni sieno derivate, e di stabilire, in quanto sia possibile, le responsabilità individuali,
che vi sieno inerenti» (ACS, Fondo Presidenza del Consiglio dei Ministri, Circolare del 27
novembre 1918, busta n.3, fasc. 34).
La documentazione raccolta dalla Commissione sarà pubblicata in sette volumi tra il 1920 e il 1921
(Relazioni della Reale Commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commesse dal
nemico); il IV volume conterrà un intero capitolo dedicato ai “Delitti contro l’onore femminile”
“Il saccheggio vi fu sempre e quasi dovunque completo. Se si è salvato
qualche cosa è un accidente fortunato. Rari gli ufficiali che tentavano
di mettere un freno. Bisognava castigare l’Italia e perciò tutto era
permesso a quegli assassini […] tutta la città era a disposizione
dell’esercito; tutti saccheggiavano, compresi gli ufficiali, tutti volevano
dimostrare che per barbarie non la cedevano a nessuno. Peggiori i
germanici e poi i magiari. Terribili i bosniaci quando avevano fame, cioè
quasi sempre. Migliori i Tirolesi, i Salisburghesi, i Boemi”. Dal racconto del parroco della Cattedrale di Belluno, si trova in
ACS, Fondo Presidenza del Consiglio dei Ministri, Circolare del 27 novembre 1918, busta n. 3, fasc. 34.
Convenzione internazionale dell' Aja del 1907 su leggi ed usi della guerra terrestre
Art. 43
L’autorità del potere legale essendo passata di fatto nelle mani dell’ occupante, questi prenderà
tutte le misure che dipendano da lui per ristabilire ed assicurare, quanto è possibile, l’ordine
pubblico e la vita pubblica, rispettando, salvo impedimento assoluto, le leggi vigenti nel paese.
Art. 46
L’onore e i diritti della famiglia, la vita degli individui e la proprietà privata, come pure le
convinzioni religiose e l’esercizio dei culti, devono essere rispettati.
La proprietà privata non può essere confiscata.
Art. 47
Il saccheggio è formalmente proibito.
Nel codice penale Zanardelli allora in vigore, la violenza carnale era contemplata tra i delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie, consentendo la querela solo per l’azione della parte lesa.
L’esclusione della competenza d’ufficio (se non in casi estremi come quelli in cui derivava la morte della vittima) si fondava su quello che veniva definito il «rapporto di proporzionalità fra l’interesse pubblico e quello privato, il quale ci avverte che il procedimento d’ufficio arrecherebbe, il più delle volte, all’offeso e alla sua famiglia un pregiudizio assai superiore a quello prodotto dal delitto»
C. Bianchedi, Violenza carnale, in Digesto Italiano, vol. XXIV, Utet, Torino, 1914-1921, p. 1081 ss, p. 1118.
Cosa fare dei “figli della guerra”?
Per iniziativa di don Celso Costantini, nel dicembre del 1918 venne fondato a
Portogruaro un istituto denominato “Ospizio dei figli della guerra”.
L’istituto accoglieva:
•gli illegittimi delle terre liberate concepiti durante l’anno dell’occupazione nemica, ovvero nati da donne il cui marito, per le vicende di guerra, era stato assente almeno un anno prima della nascita del bambino.
•e, in seguito, anche i bambini nati nelle terre redente, anch’essi illegittimi, figli di ragazze e di vedove, nella maggior parte dei casi, frutto di unioni con soldati italiani durante il periodo di occupazione antecedente a Caporetto.
L’ente ospitò 327 bambini e cessò la propria attività nel settembre del 1928
Cosa fare dei ‘figli della guerra’?
•15 febbraio del 1915, l’avvocato (filofemminista) Luis Martin, pur se contrario in linea di principio all’aborto, aveva proposto la reintroduzione delle “ruote” e la depenalizzazione dell’aborto (comunque, non obbligatorio) per le donne che erano state stuprate nelle regioni occupate.
•La proposta di Martin (che aveva suscitato un vespaio di polemiche) veniva immediatamente insabbiata e, già il 24 marzo, il Ministero dell’interno pubblicava una circolare con le norme per l’aiuto alle donne violate e ai loro neonati.
•Il provvedimento prevedeva la possibilità di trasferire le donne gravide per stupro di guerra a Parigi dove avrebbero segretamente partorito; una volta nato il bambino, le madri potevano scegliere di tenerlo o abbandonarlo; in quest’ultimo caso, il neonato veniva assegnato ad un orfanotrofio.
Sulle sue origini doveva essere conservato il più assoluto dei segreti
“Ed un bel giorno l’ha abbandonata portandosi via le due bambine legittime; le ha portate
lontano, in un collegio, le hanno detto chi sa dove. La madre non lo sa, le cerca, le cerca,
ma l’Italia è tanto grande e il suo affannoso cercare è tanto grave! Per trovarle ha
abbandonato questa, la piccola sua e dell’ufficiale nemico, scomparso anche lui per
sempre […] Non ha più nessuno, perché questa, la creaturina inconsapevole senza
babbo […] non potrà riprenderla mai: Anche se il marito non pedona, i parenti non lo
permetteranno: è la tedesca”.
“Come accennai, il marito ritornò dall’America (e sul povero bambino) cadde l’incuranza
per non dire l’odio del capo famiglia – cui quel piccino innocente ricordava l’onta subita –
cadde sulla moglie ingiustamente ritenuta colpevole”.
“Speravo che morisse. Non gli ho dato il mio latte. L’ho nutrito con latte di scatola; ma è
così forte …”.
“Nel primo anno si vedeva ancora giungere, la faccia nascosta dal fazzoletto, qualche
donna che proprio non poteva quel figlio strapparselo dal cuore, e appena il marito se ne
era andato per due giorni a Udine o a Treviso, aveva a piedi fatto miglia e miglia e
supplicava sfinita: me lo lascino baciare. Come sta? Sta bene? E’ cresciuto?”.
Gli orfani dei vivi: voci
Gli stupri di massa in Serbia
“Avevamo ordini, espliciti e proferiti ad alta voce, di uccidere e bruciare tutto ciò che incontravamo
e di distruggere ogni cosa serba”
“ Se i soldati vengono da voi, non fuggite davanti a loro, nemmeno se doveste rimanere gravide,
perché ciò è bene. La Serbia è distrutta e non esiste più e noi uccideremo tutti i serbi perché solo i
bulgari devono vivere perché Dio ha affidato loro il dominio dei Balcani” (Discorso tenuto dal
vescovo bulgaro Mélentier, nel villaggio di Bogoumil nel settembre del 1916, deposizione di
Kadivka Malić-Uskoković, 13 anni)
“All’inizio si diceva che le donne erano state violentate, ma ora non se ne fa più menzione. Ciò
probabilmente dipende dal fatto che i contadini sono ansiosi di occultare fatti che considerano
gravemente lesivi del loro onore e del loro buon nome” (A. Reiss, Infringements of the Rules and Laws of War Committed by the Austro-Bulgaro-Germans. Letters of a Criminologist
on the Serbian Macedonian Front, London 1919, pp. 73, 74, 85)
All’interno di una tradizione religiosa e culturale che attribuiva esclusivamente all’uomo la capacità
di trasmettere l’identità etnica, il corpo delle donne era considerato suolo fertile per lo sviluppo della
nazione. Nella logica della pulizia etnica, al pari della distruzione delle chiese, delle biblioteche, dei
monumenti, lo stupro aveva lo scopo di cancellare la storia e la memoria di un popolo, di
rappresentarne simbolicamente l’annessione.
Le “marocchinate” «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa
battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è
dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all'ultimo uomo e
passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i
padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete,
nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete» (comunicato del gen. Alphonse Juin – comandante del corpo di
spedizione francese in Italia, Cassino 14 maggio 1944)
La violenza sessuale perpetrata contro le donne dell’etnìa avversaria
ha avuto varie declinazioni durante le guerre nell’ex Jugoslavia; è stata
usata:
• per umiliare i maschi della comunità nemica;
• per distruggere la personalità della vittima, inoculandole una sorta
di disprezzo per il proprio corpo e un malsano senso di colpa per non
essere stata in grado di sfuggire alla violenza;
• infine fu utilizzato come forma di pulizia etnica, obbligando
la donna a generare “figli del nemico”, al fine di diffondere l’etnìa del
violentatore e di creare nella vittima un ricordo perenne dello stupro
subìto.
Esma e le altre
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
Risoluzione n. 1820, 19 giugno 2008
Il Consiglio di sicurezza dell’ONU:
• afferma che la violenza sessuale, laddove praticata o incitata come tattica di guerra allo scopo di
colpire in modo deliberato i civili o come parte di attacchi sistematici contro le popolazioni civili può
esacerbare in modo significativo le situazioni di conflitto armato e impedire il ripristino di condizioni di
pace e di sicurezza;
• afferma che azioni concrete per prevenire e rispondere a tali atti di violenza sessuale possono
contribuire in modo significativo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Si dichiara
pronto, se necessario, a porre tali questioni all’attenzione del Consiglio e a porre in agenda azioni
appropriate in risposta alla violenza sessuale diffusa o sistematica;
• chiede a tutte le parti coinvolte nei conflitti armati di far cessare immediatamente e del tutto ogni atto di
violenza sessuale contro i civili;
• chiede che tutte le parti coinvolte in conflitti armati prendano immediate misure per proteggere le
popolazioni civili, incluse le donne e le ragazze, contro ogni forma di violenza sessuale,adottando
adeguate misure disciplinari nei confronti dei militari, sostenendo il principio della responsabilità di
comando, l’addestramento delle truppe sul divieto categorico di ogni forma di violenza sessuale contro i
civili, depotenziando i miti che sono all’origine della violenza sessuale, esaminando attentamente il
comportamento delle forze armate e delle forze di sicurezza con riferimento ai passati casi di stupro ed ad
altre forme di violenza sessuale e sull’evacuazione di donne e di bambini a rischio imminente rischio di
violenza sessuale;
• osserva che lo stupro e le altre forme di violenza sessuale possono rappresentare un crimine di
guerra, un crimine contro l’umanità, o comunque un atto che afferisce al genocidio. Sottolinea la
necessità di escludere i crimini di violenza sessuale dalle disposizioni di amnistia [… ]
La guerra senza stupri è possibile?
“Se domandiamo che tipo di ideologia spinga un uomo a violentare e uccidere una donna nel corso di
un conflitto armato, solitamente le argomentazioni sono:
- che la donna è un bottino di guerra come gli altri beni materiali, abusi e aggressioni sono incentivi
per i combattenti;
- che mettendo incinta la donna si distrugge l’identità della comunità nemica;
- che violentarle abbatte psicologicamente gli uomini nemici che resistono;
- che la guerra in sé è violare un altro territorio; violentare le donne sconfitte fa parte del rituale dei
festeggiamenti della conquista. Anche se se ne parla meno, nel rituale rientra anche lo stupro sugli
uomini;
- che è un “effetto collaterale” della guerra, un atto fisico naturale di un individuo privo di controllo
contro una donna “che stava lì”.
Eppure la storia ci insegna che non è sempre così. Nella forma di combattere di eserciti come quelli
del Tigri per la liberazione del Tamil, il Fronte Farabundo Martì o il Pkk kurdo non è mai entrato lo
strumento della violenza sessuale contro le donne nemiche. Ciò indica fino a che punto questo tipo di
violenza sia una questione ideologica. Dette formazioni, ma ce ne sono altre, nei loro programmi
politici annunciano il desiderio di fondare una società basata sulla giustizia sociale, l’uguaglianza e il
mutuo rispetto. Mostrando che è possibile – anche se al pacifista puro potrebbe suonar strano –
uccidersi l’un l’altro mantenendo la dignità della vittima”.
Nazanìn Armanian, in http://popoffquotidiano.it/2014/07/15/marines-jihadisti-e-stupri-di-guerra/