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Tuchulcha Le Origini

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Un racconto lungo - che mischia l'horror con la stori - ambientato nel 79 d.C. a Pompei.

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Page 1: Tuchulcha Le Origini
Page 2: Tuchulcha Le Origini

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TUCHULCHA – Le Origini

Romanzo breve

Copyright © Enzo Milano

Prima edizione digitale, Settembre 2013

In copertina:

Illustrazioni di ~lonely~ e Adore © Fotolia.com,

rielaborate da Enzo Milano.

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3

TUCHULCHA

- Le Origini -

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Discesa

* * *

Primo passo:

Julia attraversò la trafficata via

dell’Abbondanza. Carri trainati da muli carichi di

merce, donne a passeggio per le botteghe, coppie

di guardie appiedate, bambini sfaccendati.

Viso tirato, stanco, madido di sudore. Le

profonde occhiaie scure non riuscivano

comunque a scalfire la sua naturale bellezza.

Occhi azzurro ghiaccio con taglio orientale, pelle

bronzea, lunghi e lisci capelli neri lucidi.

Si infilò in una stretta laterale. Non pioveva da

tempo, era tutto polvere e umidità che si

appiccicava alla pelle. Neanche il vicino mare

riusciva a mitigare il clima di un’estate rovente.

Il lupanare all’angolo era evidenziato da

un’insegna di forma fallica, su cui c’era scritto:

Ad Sorores III. Dalle tre sorelle.

Julia entrò nel soffocante androne trovando la

solita accoglienza. Clienti in fila sulle scale che

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conducevano alle stanze, e il lenore Lucius che

incassava il denaro gongolante.

«Lucius!» chiamò.

Il gestore del bordello si voltò, la vide e la

raggiunse a passo svelto.

«Dov’è tua madre?» ringhiò mollandole un

manrovescio.

Julia raddrizzò la testa, guancia destra rossa e

pulsante. «E’ malata,» sussurrò gonfia di fiele,

lacrime trattenute con l’orgoglio. «Dovresti

saperlo.»

«Io so solo che gli affari si sono dimezzati,»

ribattè duro Lucius, indicando alle sue spalle.

«Guarda quanti clienti che aspettano.»

Lo sguardo della giovane donna non cedette,

ma si addolcì. «Lei sta morendo. Mi serve del

denaro per farla curare.»

Il lenore spostò l’imponente mole da un piede

all’altro. «Ho molta stima di tua madre, è amata

da tutta Pompei.»

Lasciò in sospeso la frase senza concluderla.

Julia lo guardava perplessa, non si poteva mai

essere speranzosi con una persona del genere.

«Ma io posso solo offrirti di sostituirla,» disse

infine, sguardo lascivo che si perdeva sulle curve

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morbide della donna. «Sei giovane e attraente.

Nel giro di un mese potresti permetterti un buon

medico.»

«Nel giro di un mese mia madre sarà morta.»

«L’offerta di lavoro resta valida,» replica

istantanea.

Labbra serrate per Julia. Puro sdegno. Le

lacrime erano ancora lì, ma non scendevano, e

non sarebbero scese.

«Me la pagherai, maledetto.»

Lucius inclinò un angolo della bocca, sorrisetto

impudente. «La classica battuta di una meretrice

scontrosa.»

* * *

Secondo passo:

La caserma della Guardia cittadina era una

costruzione spartana accanto alla casa dei

gladiatori, situata nella zona nord della città, nel

Decumano Superiore.

Nel primo, torrido pomeriggio, l’attività dei

legionari era talmente ridotta da sembrare

assente.

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Julia superò l’ingresso e percorse il peristilio

senza essere fermata da nessuno. Da poco

lontano giungevano le grida e i rumori della lotta

d’allenamento dei gladiatori. Si distrasse un

momento per guardarli, affascinata, quando una

pesante mano le si posò sulla spalla.

«Posso esservi d’aiuto?» non c’era alcuna

gentilezza nella cortesia della domanda.

La donna si voltò, trovandosi al cospetto di un

legionario dal viso duro, riempito da poca barba e

molte cicatrici. «Cerco il Primus Pilus Flavio.»

Il soldato grugnì, mano tozza sul gladio alla

cintura. «Il comandante non può essere

disturbato.»

«E’ importante,» lo supplicò Julia, facendo il

meglio della sua personale versione degli occhi

dolci. Non era abituata a cose del genere.

«Se poteste almeno dirgli che lo cerca Julia, lui

capirebbe.»

Il legionario la squadrò dalla testa ai piedi. Un

fisico mozzafiato, imbastardito da abiti di poco

conto, consumati e sporchi. Una poveraccia.

Scosse il capo. «E’ meglio che ve ne andiate.»

Julia chinò il capò rattristata, quando una voce

nota congelò l’intermezzo.

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«Lascia stare, Caio. Ci penso io.»

Lei alzò gli occhi, colmi di speranza e nuove

lacrime. Dall’angolo sinistro giunse un uomo

tarchiato, dai corti capelli brizzolati e lunghi

baffoni a manubrio. Nonostante indossasse solo

una tunica leggera e sandali di cuoio, il carisma

del comandante che sgorgava dai grandi occhi

cerulei era immutato.

«Centurione Flavio,» disse Julia con un breve

inchino.

Il legionario fu congedato con un cenno del

capo. Flavio le posò una mano sulla spalla.

«Julia, cosa fai da queste parti?»

Occhi sempre troppo umidi. «Mia madre sta

morendo, e io non so,» voce rotta, turbata. «Non

so neanche se posso fare qualcosa.»

L’uomo d’arme sospirò. «Nessuno può far

niente, Julia, possiamo solo pregare nella

benevolenza degli Dei.»

«Gli Dei non sono benevoli con gente come

noi,» fiele, ora.

«Non dire eresie,» sbottò il comandante, mani

sui fianchi e spalle alte, come fosse in guerra. «Al

tempio della Venere Pompeiana troverai tutto il

conforto di cui hai bisogno.»

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La figura di Julia si rattrappì su sé stessa, fino

quasi a scomparire. Odiava elemosinare, ma era

proprio quello di cui aveva bisogno.

«Voi avete sempre voluto bene a mia madre

e…»

Flavio la interruppe bruscamente. Si guardò in

giro, sentendo solo i suoni provenienti dall’arena

dei gladiatori.

«Non parlare di queste cose qui.»

La donna giunse le mani in preghiera. «Ma è la

verità,» sussurrò. «So anche che dal vostro

amore…»

«Basta!» tuonò il comandante, occhi che

lanciavano fulmini come quelli di Giove.

«No,» reagì Julia, disperata. «Mia madre ha

bisogno di un medico. Può essere salvata. Non

abbiamo conio ma forse, con la vostra influenza

in città, si potrebbe fare qualcosa.»

Flavio deglutì amaro. «Nessun medico che si

rispetti verrebbe nel vostro quartiere.»

«Voi potete riuscirci!»

Altro lungo silenzio, difficile sapere a cosa

stesse pensando il comandante della Guardia.

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Alla fine, scosse il capo. Un altro muro. Non

l’ultimo per una come lei, ma sicuramente il più

duro e doloroso.

«Allora anche per voi è sempre stata solo una

zoccola,» Julia si voltò, e fece per andarsene.

«Julia!» la chiamò, mano aperta di fronte a sé.

La donna si fermò e si girò, parte del volto

nascosta dal velo. Flavio era pietrificato, incapace

di qualunque mossa, come se lo sguardo della

giovane fosse quello di Medusa.

Julia annuì. «Appunto, nulla,» e scomparve

nel solleone.

* * *

Ultimo passo:

Sera. Dall’ingresso del tempio della Venere

Pompeiana si dominava tutto il golfo di Napoli e

il tramonto. Il sole era un’accecante palla

arancione, il cielo era virato in un indaco

minaccioso e l’umidità sempre opprimente.

A quell’ora non c’erano più operai a lavorare

sulla sontuosa costruzione. Gli ingenti danni,

subiti a seguito del terremoto di diciassette anni

prima, erano ancora visibili.

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Julia si affrettò sull’ampia scalinata di marmo

dove fu bloccata da un obeso sacerdote, con la

toga pretesta chiazzata di sudore.

«Dove state andando, di grazia?» le chiese

afferrandola per un braccio. L’alito sapeva di

vino.

La giovane si liberò dalla stretta. «Padre, ho

bisogno d’aiuto.»

L’uomo guardò il cielo, allargando le braccia.

«E chi non ne ha, in questi tempi funesti?»

«Mia madre sta morendo,» disse in modo

tetro.

«Se questo è il volere degli Dei, nessuno ti può

aiutare,» annuì con fare teatrale. «Neanche io,

Loro umile servitore.»

«Io,» indecisione, nella voce di Julia. «Io ho

bisogno di essere certa che il suo viaggio

nell’Aldilà sia il migliore possibile. Se lo merita.»

Gli occhi porcini del sacerdote erano assenti, e

indugiavano troppo sul corpo della giovane. «E

quali sarebbero questi meriti?»

Julia deglutì, inghiottì un fardello troppo

grande. «Ha vissuto una vita troppo breve e

umiliante, solo per garantire un futuro alla sua

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unica figlia, e per evitare che facesse la sua stessa

fine.»

«E questa fine?» mera curiosità.

La giovane alzò lo sguardo e lo inchiodò in

quelli dell’uomo. «La meretrice.»

Sbuffo di vento torrido sulla collina deserta, e

null’altro. Il religioso si inumidì le labbra con la

lingua scura.

«Una meretrice da lupanare. Una forestiera

venuta a Pompei per deteriorare la già scarsa

moralità dell’uomo,» commentò dopo diverso

tempo.

«Ha fatto l’unica cosa che poteva permetterci

di vivere,» altra reazione dura, istintiva. «Con

dignità.»

«Ma certo,» annuì ironico il prete,

squadrandola con sospetto. «E ora, in punto di

morte, vuole redimersi dai suoi peccati cercando

il favore degli Dei.»

«Lei non vuole nulla,» ancora Julia, sempre

più coriacea. «Ve lo sto chiedendo io.»

Altro annuire del sacerdote, altre occhiate

equivoche alle morbide curve della giovane. Poi,

alla fine, l’inevitabile.

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«Va bene. Quindi, cosa faresti tu per questo

beneplacito?»

«Tutto ciò che è necessario.»

Sorriso untuoso sul volto lucido di sudore

dell’uomo. «Va bene,» si ripeté, guardandosi con

circospezione intorno. «Allora è necessario salire

nelle mie stanze, non c’è tempo da perdere.»

Julia annuì. «Potete davvero fare qualcosa per

lei?»

Il prete si avvicinò, le poggiò entrambe le mani

sulle spalle, le fece sentire per un attimo il sesso

già turgido. «Ma certo,» sussurrava ansimante.

«Tutto quello che vuoi.»

Lei si scostò all’istante con una smorfia di

disprezzo. «Che cos’avete intenzione di fare?»

«Ciò che è necessario,» le fece il verso,

avvicinandosi ancora.

Julia gli allontanò le mani pronte a ghermire

con uno schiaffo sonoro. «Non azzardatevi a

toccarmi!»

«Mia giovane donna,» ancora il prete,

compiacente. «Sei solo confusa.»

«Io non sono affatto confusa!» esclamò

furente. «Siete voi che avete frainteso le mie

richieste!»

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L’obeso sacerdote scosse il capo, gocce di

sudore si dispersero dai pochi capelli. «No, no…

tu non conosci le pratiche religiose. Dare per

ricevere. E’ così che funziona, da sempre.»

«Io me ne frego delle vostre pratiche

religiose,» continuò Julia, tenendosi alla larga.

«Non è in questo modo che salverò l’anima di

mia madre.»

«E come intendi fare?» altra derisione nella

voce dell’uomo. Sarcasmo nel momento

sbagliato.

Julia lo colpì con un pugno di forza

straordinaria mandandolo a terra, sedere lardoso

nella polvere. Il sacerdote le puntò un indice

ammonitore.

«Maledetta,» sibilò come un aspide. «Brucerai

negli Inferi con tua madre!» lanciò l’anatema,

sputacchiando bava, sangue e residui di vino.

La figura di Julia era stagliata contro il sole

calante. Un’ombra sottile, e minacciosa. «Voi

sarete tutti maledetti. Sfruttatori, ingordi,

meschini. Non si salverà nessuno.»

«Fuori dalla casa degli Dei!» inveì l’uomo, che

faticava a rialzarsi.

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«Non si salverà nessuno,» la voce riecheggiò

sotto il colonnato.

Quando il sacerdote riacquistò la posizione

eretta, si guardò intorno spaesato. La giovane

forestiera era scomparsa.

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Stasi

* * *

Notte fonda. La donna era sdraiata sul letto

sudicio, bagnato di sudore e umori infetti. Volto

pallido scavato dalla malattia, corpo rinsecchito

coperto da una tunica di lino, priva di maniche,

che molto tempo prima riempiva esaltando le sue

generose forme.

Julia arrivò nella stanza con un catino pieno

d’acqua e una veste pulita. Si sedette al capezzale

e le appoggiò un panno bagnato sulla fronte.

«E’ fresca, vero?»

La madre la guardò e annuì appena. «Grazie.»

La figlia sorrise. «Ho un cambio pulito, con

questo caldo i panni asciugano subito.»

«Stai facendo molto per me,» disse

riconoscente. Voce rauca, stopposa,

irriconoscibile.

Julia si bloccò, dalla strada giungevano i suoni

dello squallido quartiere dove abitavano.

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Prostitute, giocatori d’azzardo, contrabbandieri e

pirati che concludevano affari.

«Non sto facendo nulla.»

La mano scheletrica della madre si serrò

intorno al polso della figlia. Cuoceva più del sole

di quei giorni.

«Devi riposare, e pensare a te stessa. Quando

non ci sarò più…»

«Zitta!» la rimproverò Julia, pentendosene

subito. «Non è ancora finita.»

«Non troverai aiuto da Lucius o da Flavio,» la

gelò la madre. «Ora è tutto nelle mani degli Dei.»

La giovane reagì con un sussulto di stizza,

rovesciando il bacile. «Non c’è nessun Dio che ci

aiuterà, madre,» si alzò, raccogliendolo.

«Vado a prendere dell’altra acqua.»

* * *

Julia scese in strada, sulle scale scavalcò un

ubriacone addormentato. Con un brivido le tornò

alla memoria l’incontro con il perverso sacerdote.

Il cielo era scuro, carico di stelle. Nella stretta

porzione incorniciata tra i caseggiati non si

vedeva la luna.

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Si avvicinò alla fontana pubblica, posò il catino

sul bordo e si sciacquò vigorosamente il viso. Alle

spalle, giunse un’ombra.

«Scusatemi, signorina.»

Julia si voltò di scatto, occhi assottigliati. «Non

cerco niente. E voi?»

L’uomo, alto e magro, alzò le mani. «Non

volevo spaventarvi,» breve pausa. «E’ che, mio

malgrado, oggi ho udito il vostro battibecco al

tempio.»

«Avete una soluzione al mio problema?»

sorriso tagliente sulla labbra e tanta ironia per la

giovane.

L’uomo, espressione indefinibile nel

chiaroscuro, piegò la testa di lato. «Forse.»

«Il mio corpo non è merce di scambio,»

puntualizzò Julia, serrando i pugni lungo i

fianchi.

«Questo non m’interessa,» scosse il capo. «Il

mio nome è Rasenna. Non sono molto conosciuto

in città, soprattutto perché vivo nella casa del

Fauno,» disse quasi con imbarazzo.

Julia abbassò la guardia, interessandosi.

«L’abitazione più segreta dopo Villa dei Misteri.»

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«Segreta,» sorrise l’uomo. «In realtà è la gente

che ne sta ben alla larga, senza apparente

motivo.»

«Quindi?» andò subito al punto.

Rasenna sospirò. «Se avete già provato tutte le

altre strade, e siete sempre determinata

nell’adempiere il vostro dovere… allora sì,

potrebbe esserci una soluzione.»

Lungo silenzio tra i due. Alla fine, Julia parlò.

«D’accordo, cosa devo fare?»

«Niente di particolare,» disse l’uomo facendo

spallucce. «Quando e se vi sentirete pronta, mi

verrete a trovare. A casa. Da sola.»

«Non sono una sprovveduta,» sempre

battagliera la giovane. «Non vi converrebbe

dubitare di questo.»

Rasenna sorrise ancora, poi si produsse in un

breve inchino di congedo.

«Non lo farei mai.»

* * *

L’incappucciato si fermò dinanzi alla ricca

dimora. Sul marciapiede c’era incisa la parola

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have, benvenuti, ma nessun cittadino pompeiano

si sarebbe avvicinato tanto.

A piccoli e timorosi passi superò l’ingresso,

accedendo al vestibolo. Nitide lame di luce

filtravano dall’esterno, si prospettava un’alba di

fuoco.

Proseguì nell’ampio e scenografico atrio. Al

centro c’era un impluvium, una vasca di raccolta

dell’acqua piovana, con la statua di bronzo del

fauno danzante. I riflessi prodotti dalla luce

crescente creavano inquietanti giochi di

apparente movimento.

L’incappucciato deglutì, guardandosi intorno

circospetto. Era un luogo circondato da mille

leggende e dicerie, ma di certo l’accoglienza non

aiutava a mitigare i dubbi.

«Benvenuta, Julia,» disse il proprietario, che la

osservava da un angolo in ombra.

La giovane si abbassò il cappuccio, col mento

indicò la statua. «E’ a quella che deve il nome

questa casa?»

Rasenna sorrise. «E’ un ottimo modo per

sviare la verità.»

«Come fate a sapere il mio nome?»

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L’uomo si strinse nelle spalle. «Non c’è una

spiegazione per tutto, mia cara, e anche quello

che stai cercando non ne ha.»

Julia sospirò, avanzò fino al bordo della vasca

vuota. «Già. Forse è così.»

Rasenna si affiancò, mani legate dietro alla

schiena. «Sei quindi all’ultimo tentativo?»

«Li avevo già finiti prima di incontrarvi.»

L’uomo annuì, sempre con movimenti

essenziali, lenti. «Quello che succede tra queste

mura non è esattamente definibile come

razionale. Lo stesso Impero Romano ne ha

timore e, piuttosto che affrontarlo, preferisce

ignorare, lasciando il giudizio al tempo.»

Julia annuì a sua volta. «Qualunque cosa

succeda, non uscirà parola dalla mia bocca,

potete esserne certo.»

«Perfetto,» disse allontanandosi, verso uno

stretto passaggio che conduceva al lato orientale

della magione.

«Seguimi, ma è necessario che ti liberi del

gladio che nascondi sotto la mantella. Potrai

recuperarlo quando avremo finito.»

Julia serrò le labbra, lasciò l’arma su un

tavolino e gli andò dietro, dove le tenebre erano

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più fitte. Giunsero in un nuovo ma più stretto

atrio. Impossibile, se non per l’eccentrico

proprietario, scorgere la scalinata di pietra che

scendeva nel sottosuolo.

«Avanti, Julia.»

* * *

A ogni scalino fatto la temperatura scendeva e,

alle narici, giungeva sempre più pungente l’odore

di essenze da sottobosco, una varia mescolanza

dal puro sapore selvatico. Ai piedi della scala, la

fioca illuminazione proveniva da una torcia a

parete.

Si ritrovarono in una grotta dalle pareti di

solida roccia. Nell’aria si avviluppavano sottili

nuvole di fumo aromatico.

Julia non parlò, era stordita. Cercò la fonte del

fumo con gli occhi, finchè non inquadrò tre punti

fiammeggianti.

«Ma…»

Una risata leggera, come proveniente da molto

lontano. Due punti scomparvero per un attimo,

uno si spostò più in basso. Rasenna prese la

torcia e illuminò l’arcano.

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«Julia, ti presento il padrone di casa.»

La donna spalancò la bocca, incapace di

parlare. Gli occhi consapevoli di cosa stavano

guardando, ma il cervello non poteva

semplicemente accettarlo.

La creatura aveva la pelle pallida, nodosa. Le

costole fuoriscivano dal petto glabro, le dita

erano lunghe e sottili, come artigli. Dallo stomaco

in giù c’era un folto pelo scuro a foderare robuste

gambe con lo snodo del ginocchio a contrario, e

zoccoli da capra come piedi.

Julia alzò lo sguardo incredula, al volto. Un

insieme sgradevole. Piccoli occhi lucenti, guance

scavate e raggrinzite, due tozze corna sulla

fronte, che spuntavano da lunghi e folti capelli

scuri.

«Sai cosa stai guardando?» le chiese la

creatura con voce flatuata, mettendosi tra le

labbra un lungo sigaro che sapeva di erbe.

La giovane scosse il capo. «Sei un fauno.»

«Esatto,» annuì aspirando una lunga boccata.

«Il mio nome, pronunciabile per voialtri, è

Naba.»

Page 24: Tuchulcha Le Origini

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«Naba,» sussurrò cercando con lo sguardo

Rasenna, che era in un angolo in monito silenzio.

Non era lui il padrone, non lo era mai stato.

«Ma veniamo a noi Julia, il tempo è poco,»

proseguì la creatura, continuando a fumare

seduto sulla nuda roccia.

La donna raccolse tutto il coraggio che aveva.

«Sì, mia madre sta morendo, ma io devo poter

fare qualcosa per lei. Curarla o garantirle un

decoroso trapasso.»

«Troppo tardi per curarla. L’infezione

contratta a causa del duro lavoro si è diffusa

troppo, risalendo per tutto il corpo,» ammise

subito Naba. «Ma puoi ancora salvarle l’anima, o

l’ombra, se preferisci il termine.»

«Dimmi solo cosa devo fare.»

«Gli Dei romani non ti saranno di alcun aiuto, i

loro emissari in terra sono corrotti, perversi e

avidi. Chi ti può dare una mano adesso è il

pantheon etrusco,» disse Naba trovando la

donna d’accordo. Era come se le potesse leggere

nel pensiero. «Ci sarebbe qualche problema per

te?»

«Spiacente,» ammise Julia con un sorriso

beffardo. «Non sono una credente quindi,

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qualsiasi cosa possa aiutare mia madre, andrà

bene.»

Il fauno rise a sua volta. «Non credi, ma cerchi

la salvezza divina per tua madre. Una giovane

dalle mille contraddizioni.»

«Glielo devo,» ammise.

«Ottimo,» disse Naba, gettando in un angolo

buio il mozzicone e giungendo le mani in

preghiera davanti alla bocca. «Allora è necessario

che tu raggiunga la brughiera alle spalle della

Villa dei Misteri, per contattare il Dio-Lupo che

sarà ben felice di aiutarti.»

«Dio-Lupo?»

Naba si alzò sulle gambe da capra, era più alto

di qualsiasi uomo. Sollevò le scheletriche braccia

in aria.

«Aita, il Re dell’Oltretomba etrusco.

Dimenticato, abbandonato, schifato in favore

degli Dei romani,» spiegò come un diabolico

menestrello. «Metà uomo e metà lupo, egli può

attraversare Mundus, il portale del Regno dei

Morti, e vagare sulla Terra in attesa che

qualcuno,» rapido sguardo fiammeggiante.

«Abbia ancora bisogno di lui.»

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«Cosa mi chiederà di fare?» chiese sempre più

risoluta Julia.

Il fauno si bloccò, scrollando le magre spalle.

«Questo non ci è dato saperlo. Portagli quello

scrigno e sii sempre così determinata,» concluse

la frase in un sussurro. «Non si scherza mai di

fronte a un Dio.»

La giovane guardò Rasenna, in una mano la

torcia, nell’altra il cofanetto di legno. Si avvicinò,

lo prese, e fuggì fuori dalla casa del Fauno.

«Buona fortuna, piccola Julia.»

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3

Salto nel vuoto

* * *

Julia nascose lo scrigno sotto la mantella,

recuperò il suo corto spadino, più una daga che

un gladio, e uscì sotto il potente sole del mattino.

Diversi occhi si posarono su di lei, passanti

curiosi che la videro uscire da quella misteriosa

casa, ma lei si accertò che il cappuccio le coprisse

il volto e sparì nelle meno affollate viuzze laterali.

Con l’affanno raggiunse le mura a nord-ovest

della città, trovandosi di fronte alla maestosa

Porta Ercolano. Un infinito viavai di carri merci e

passeggeri, ma nessuna guardia a cui dover

rendere conto. Al di sopra delle mura, come un

gigante in attesa, il profilo a cono del Vesuvio e il

suo sottile ed eterno pennacchio di fumo.

Julia sgusciò fuori dai confini di Pompei,

affrontò la strada in salita e superò la Villa dei

Misteri, altra cupa matrona che pendeva sulla

città. Infine, guidata dall’istinto, abbandonò la

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via principale addentrandosi nel folto bosco

circostante. La brughiera.

Si tolse il cappuccio bagnato di sudore, estrasse

lo scrigno e si liberò della mantella, ridotta a uno

straccio sporco e umido. Aria fresca. Al riparo

sotto la galleria naturale che creavano le fronde

secolari, la temperatura si era decisamente

abbassata.

Proseguì a naso, senza avere una meta precisa.

Come avrebbe trovato quel fantomatico Dio-

Lupo lì in mezzo? Era una domanda che non

c’era stato tempo di porre. Sembravano tutti di

fretta, forse loro sapevano qualcosa che lei

ignorava.

Comunque non attese molto. Su quella che

sembrava una sterrata piuttosto battuta, le si fece

incontro un cavaliere. Julia si nascose tra folti

cespugli, non sapeva di chi si trattasse, ma

l’uomo, fermata la mastodontica cavalcatura, la

chiamò.

«Vieni fuori, Julia, non c’è nulla da temere.»

La donna uscì timorosa, una pulce di fronte a

quella visione. Il cavallo dal pelo nero lucido la

sovrastava. L’uomo in sella, dalla prorompente

barba brizzolata, la fulminò con occhi grigi, duri

Page 29: Tuchulcha Le Origini

29

come roccia. Sulle spalle indossava un pomposo

mantello di pelo, a dispetto della stagione.

Le allungò una mano, grande quanto il suo

viso. «Vieni con me, coraggio.»

Julia compì un primo passo in avanti. Quando

le dita di Aita la toccarono, cadde in uno stato

confusionale di cui non ricordò nulla in seguito.

* * *

Si svegliò, spaesata. Era in un ampio letto dalle

stoffe pregiate e profumate, in una stanza ancor

più sfarzosa. Al capezzale, in silenziosa attesa, il

Dio Aita. Sulle ginocchia teneva lo scrigno che le

aveva consegnato il fauno.

«Mi devi scusare,» disse lui. «Non ho spesso

contatti con gli umani, e a volte dimentico cosa

voglia dire.»

«Quanto tempo è passato,» si allarmò lei, non

ancora del tutto cosciente. «Devo tornare da mia

madre.»

Aita annuì, pur senza la mantella rimaneva un

omone dall’aria cupa ma affabile. «E’ il tramonto.

Ora ti mostro cosa contiene il cofanetto, poi sei

libera di andare.»

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30

Julia si mise a sedere sul letto. «D’accordo.»

Il Dio lo aprì e lo rivolse alla giovane donna.

«Questo è l’obolo necessario per pagare pegno a

Charun, il traghettatore di anime. Fai in modo

che tua madre l’abbia sempre con sé.»

«Questo è il medaglione di Tuchulcha, uno dei

più potenti Gran Demoni etruschi. Tienilo

sempre al collo. Non lo perdere e non te lo far

rubare. Diventa difficoltoso anche per me

recuperare uno dei miei accoliti in libertà.»

«Devo tenerlo io?» chiese stupita.

Aita non diede seguito e proseguì. «Questo è

un pugnale Xexanar, collegamento diretto con

l’Oltretomba. Ti è necessario per pagare il

tributo.»

Julia scosse il capo davanti a quell’arma dalla

particolare lama a vite, con guardia e manico

finemente intarsiati di rune.

«Quale tributo?»

Il Dio sorrise, gli occhi lampeggiarono. «Con

me non esiste indifferenza, lussuria, avidità. Cioè

tutto quello che ti sei trovata di fronte prima di

giungere qui,» breve pausa. «Io chiedo, tu esegui

e tutti ne saremo soddisfatti.»

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«Devo…» la giovane cominciava a capire.

«Devo uccidere qualcuno.»

«Non sei un’assassina, lo so,» concesse Aita.

«Il medaglione ti darà la forza necessaria per

agire e per dimenticare, in seguito,» altro breve

sorriso sornione. «Non dirmi che in tutta Pompei

non c’è qualcuno di cui ti libereresti volentieri.»

Lungo silenzio fra i due. La luce atmosferica

diminuiva lenta ma inesorabile. Julia si sentiva

come all’interno di una galleria senza più uscita.

Soffocata.

«E se…»

«Non lo fare, non lo dire,» la interruppe Aita.

«Non puoi più, ormai.»

Page 32: Tuchulcha Le Origini

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4

Sul fondo

* * *

Julia si svegliò accanto alla madre, ancor più

scossa e spaesata. Al collo portava il medaglione

di Tuchulcha, nella mano destra il pugnale. La

madre si voltò dalla sua parte.

«Julia, non ti ho sentito rientrare, stanotte.»

La figlia lasciò cadere il pugnale a terra, perché

non lo vedesse. Non rispose, non aveva proprio

nulla da rispondere.

«Vado a prendere dell’acqua fresca,» disse

dopo un po’. Con un calcetto fece sparire l’arma

sotto il letto.

Scese in strada con il bacile e, nel breve tragitto

per la fontana pubblica, la fermò una vecchina

gobba, con un lungo scialle che le copriva il capo.

Una loro vicina di casa.

«Julia, hai sentito?»

La giovane si bloccò, un lungo brivido gelato le

attraversò la schiena. «No, cosa?»

«E’ morto Lucius, l’hanno ucciso stanotte.»

Page 33: Tuchulcha Le Origini

33

Un violento giramento di capo quasi la mandò

a terra. «Ucciso?»

«Sì, sì. Un lago di sangue, pugnalate per tutto il

corpo.»

Julia lasciò cadere il catino e si portò entrambe

le mani alla bocca, scossa.

«Al lupanare c’è un sacco di confusione, io non

ci vado,» disse in ultimo la vecchina, prima di

proseguire. «Se vai tu, portami notizie.»

* * *

Julia si fece largo coi gomiti nella ressa,

sembrava che oltre tutta quella gente ci fosse uno

spettacolo indimenticabile, e forse era davvero

così. Arrivò a fatica nelle prime file, appena

tenute a distanza dagli scudi di un manipolo di

legionari rabbiosi e sudati.

Con lo sguardo cercò il suo unico contatto

valido: il comandante Flavio. Lo trovò in

compagnia delle due amiche di sua madre, le

prostitute del bordello. Come per un anomalo e

invisibile segnale, l’uomo voltò la testa verso di

lei, strinse gli occhi, poi abbaiò qualche ordine

indicandola.

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34

Una mano dura come marmo la afferrò per il

polso, la tirò oltre tutta la massa e la portò

davanti all’ingresso del lupanare, al cospetto del

comandante.

«Julia.»

«Comandante,» disse con un breve inchino.

«Cosa ci fai qui?»

«Zia Lucia mi ha detto che Lucius…»

Flavio annuì verso la porta. «Non è un bello

spettacolo, e il caldo non aiuta.»

«Si è capito cos’è successo?» chiese la giovane,

timorosa.

Il centurione gettò una fugace occhiata alla

folla, senza realmente vedere nulla. Troppi

pensieri nella testa.

«Sedici pugnalate tra il petto e lo stomaco. Non

stava dormendo, nonostante l’ora tarda, quindi è

presumibile che le prime gli siano state inferte in

piedi, di fronte, faccia a faccia con il suo

assassino.»

Julia deglutì, la gola era amara e secca.

«Non ci sono segni di lotta, quindi lo

conosceva e si fidava, visto il giro di denaro che

c’è in quella casa,» continuò atono. «E proprio la

nota dolente è che non credo manchi neanche

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35

una moneta, o comunque non una cifra tale da

giustificare un furto.»

«Un mistero,» sussurrò Julia, a un volume più

alto di quello che avrebbe voluto.

«Già,» ammise Flavio acquistando una posa

marziale. «La guerra per i clienti tra bordelli è da

escludere, vista la relativa quiete di questo

periodo. Lucius, inoltre, sapeva muovere bene le

proprie pedine, era più un diplomatico che un

criminale.»

«Non comunque un angelo.»

«No, difatti mi rimane la vendetta,» disse con

una certa durezza. Gli sguardi si incrociarono in

silenzio, e fu Julia la prima a distoglierlo.

«Qualcuno che aveva un conto in sospeso con

lui,» continuò mellifluo. «Anche solo per orgoglio

personale.»

La giovane indicò col mento le due colleghe

della madre. «Era il loro lavoro, lo facevano con

tutta la dignità di questo mondo. Perché

avrebbero dovuto ucciderlo?»

Flavio si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma

non posso escluderlo. Tua madre, a proposito,

come sta?»

«Ti interessa davvero?» reagì brusca.

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Gli occhi del centurione si addolcirono solo per

un attimo. «Julia.»

«Sono molti giorni che riesce a malapena ad

alzarsi dal letto. Ma tu non lo sai, o meglio, non

vuoi saperlo.»

«Tua madre ha contratto la malattia

lavorando.»

«E quindi? Cosa vorresti dire?» attaccò ancora,

accorgendosi di essere passata al “tu” in modo

del tutto spontaneo, guidata dalla troppa rabbia

repressa.

«Niente,» sbottò il comandante della Guardia,

offeso. «Ma è possibile che qualcuno venga a casa

vostra a dare un’occhiata, a fugare ogni dubbio.»

«Dubbio, certo,» replicò la donna. «Non sei

mai venuto quando ti ho implorato di farlo, ci hai

ignorato quando avevamo bisogno d’aiuto, del

tuo aiuto. Ma ora accorri come il perfetto

paladino della giustizia, per provare ad accusare

una donna in fin di vita di assassinio.»

«Julia,» perentorio. «Non pensavo a lei.»

Una cappa di gelo calò tra loro, spazzando via

tutta la calura di un mattino d’estate, che

tramutava le vie di Pompei nel più infimo limbo

dell’Ade.

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37

«Sai dove abitiamo,» disse la giovane, prima di

voltarsi per fuggire via. Non poteva e non

avrebbe mai pianto davanti a nessuno.

Non davanti a lui.

Flavio la bloccò, afferrandola per il polso come

una tenaglia. «Sei veramente sicura che non

troveremmo nulla di compromettente?» lei fece

per liberarsi, ma lui la trattenne ancora.

«Alcuni testimoni parlano di aver visto una

donna incappucciata di nero, con un enorme

lupo dagli occhi fiammeggianti al fianco. Aveva

uno strano pugnale in mano e, al collo, portava

un pendente, luminoso nella notte.»

Julia rispose con impeto. «Se hanno visto tutti

questi particolari, forse hanno visto anche di chi

si trattava.»

«Chi ti ha dato quel medaglione?» disse,

abbassando solo per un attimo lo sguardo a

quello strano oggetto. Non una moneta, non un

gioiello.

La giovane non rispose subito e il centurione,

alla fine, la lasciò andare.

«Me l’ha dato un amico,» disse in ultimo,

quando le prime inevitabili lacrime rigarono lo

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splendido volto. «L’unico vero amico che abbia

mai avuto a Pompei.»

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5

Consapevolezza

* * *

La donna in nero scivolava nella notte,

silenziosa come una pantera, rapida come un

serpente. Al suo fianco, un lupo di impossibili

proporzioni. Alto quanto lei, altrettanto furtivo.

Lo strano binomio attraversava quartieri

addormentati e strade pressoché deserte,

producendo un effetto ottico assimilabile a

un’unica sfuggente ombra.

Si ritrovarono al grande Foro. Intorno a loro, i

sontuosi templi di Giove, Apollo e Vespasiano, il

megalitico macellum, gli edifici pubblici e la

basilica centrale. Il cuore pulsante della città,

dove c’era sempre qualcuno, a qualsiasi ora del

giorno e della notte.

Quel qualcuno fuggì al ringhio troppo simile a

un ghigno dell’enorme animale. Proseguirono a

est, sul promontorio che dominava il dormiente

golfo di Napoli. Si fermarono solo davanti alle

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maestose colonne del tempio della Venere

Pompeiana.

I due si guardarono, scambiandosi uno

sguardo d’assenso e complicità. Uno con l’altro,

per l’altro, dentro l’altro.

Aggirarono la costruzione, puntando le

abitazioni dei sacerdoti. In quel momento poco

importava se il loro obiettivo fosse solo.

Comunque non lo era. Un insonne fu attirato

dal movimento, fece in tempo a mostrare un

volto terrorizzato prima che il lupo lo

sovrastasse, sbranandolo con pochi ma feroci

morsi.

Le grida dell’uomo svegliarono il piccolo

complesso. Altri preti in avvicinamento, facce

insonnolite e sorprese al tempo stesso. Il Dio-

Lupo se ne occupò.

La donna in nero avanzò nella struttura avvolta

di tenebre. Salì le scale, occhi e medaglione

fiammeggianti, pugnale Xexanar nella mano

destra, daga nella sinistra. Un servitore le si fece

sotto con una lampada in mano, lei gli tagliò la

gola da parte a parte, con un unico fluido

movimento.

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L’uomo cadde a terra gorgogliando, mentre da

una porta a doppio battente uscì l’obiettivo. La

donna si bloccò, alzò lo sguardo e sorrise.

«Ti ricordi di me?»

Il sacerdote era spaesato, si guardava intorno

come un topo chiuso nell’angolo. «Chi… chi sei?»

Lei si abbassò il cappuccio della mantella,

stasi. «Dimmi, prete, ora cosa sei disposto a fare

per la salvezza dell’anima di mia madre?»

L’uomo sgranò gli occhi, inverosimili palle

bianche nell’oscurità. «Io… tu…»

«Mi volevi nelle tue stanze, eccomi qui.»

«No… ecco…» cominciò a indietreggiare mani

in avanti. Terrore puro.

Julia avanzò, scavalcando il cadavere del

servitore. «Tu hai il favore degli Dei, non devi

temere la morte.»

Non si andò oltre. Da sinistra a destra, con un

fendente mortale, la giovane tagliò la gola anche

al sacerdote. Lui si portò entrambe le mani alla

ferita, come se con quel gesto potesse

interrompere, o perlomeno rallentare,

l’inevitabile.

Cadde in ginocchio, sputacchiando bava e

sangue dalle labbra grassoccie. Julia lasciò

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andare la daga, afferrò il pugnale con entrambe le

mani e glielò infilzò nel petto.

Rigirò più volte l’arma all’interno delle carni,

sotto lo sguardo soddisfatto del lupo gigante,

giunto alle sue spalle.

* * *

Una leggera scossa di terremoto la fece

risvegliare. Un’altra volta nel suo letto, accanto a

quello della madre, con il medaglione al collo e il

pugnale tra le mani.

«Julia,» sussurrò la donna, occhi spenti e

sorriso da teschio.

La giovane si voltò verso di lei, sorridente. «E’

tutto a posto, mamma.»

Sorrise a sua volta, con un pessimo risultato.

«Non ho paura dei terremoti, bensì di quello che

fai di notte, al posto di dormire.»

Julia fu colta alla sprovvista, aprì la bocca ma

non ne uscì nulla, neanche il fiato.

«Non ti sento uscire, non ti sento rientrare.

Dormi con quell’arma al fianco e quel

medaglione al collo. Cosa…» la voce le si spezzò.

«Cosa sta succedendo?»

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I dolci occhi della figlia si tramutarono in

pietra. «Tu devi solo pensare a riposare, il resto

non è un problema.»

Si girò verso lo scialbo comodino, dove

raccolse l’obolo di rame. Il pegno da consegnare a

Charun, il traghettatore infernale.

«Ma devi promettermi che, da oggi in avanti,

porterai questo sempre con te.»

La madre lo prese con mano tremante.

«Cos’è?»

«L’unico regalo che potrò mai farti.»

La donna si commosse, forse felice, o forse

spaventata. «Io…»

«Non c’è nulla da dire,» continuò Julia, fredda

e distaccata come mai. «Hai lottato tutta la tua

breve vita per me. Ora è il mio turno.»

* * *

Scese in mezzo alla strada, nella solita

chiassosa vita del mattino. Sole accecante,

polvere che bruciava in gola, umidità soffocante.

L’anziana vicina fu lesta ad avvicinarla e

prenderla per un braccio.

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«La Signora dei lupi ha colpito ancora,»

raccontò con foga. «Un sacerdote questa volta.»

Julia ridacchiò. «La Signora dei lupi?»

La vecchina fece il broncio, stringendosi nelle

ossute spalle. «In tanti l’hanno vista, e così

l’hanno nominata.»

«Carino,» piegò la testa di lato, pensierosa.

«Carino?» disse incredula l’altra. «E’ una

maledizione, Julia. E’ la fine del mondo. Hai

sentito la scossa stamattina?»

La giovane le appoggiò una mano sulla spalla.

«Zia Lucia, non c’è nulla da temere. Chi non ha

fatto niente di male, non ha proprio nulla da

temere.»

La lasciò così, confusa da quelle parole per lei

occulte. Fu comunque l’ultima volta che la vide.

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6

Fallimento

* * *

Corse alla casa del Fauno. Voleva rivedere

Rasenna e quella strana creatura che l’aveva

indirizzata, perlomeno, su una strada che si

potesse definire tale.

Si fermò davanti all’ingresso, guardandosi

intorno. Le orecchie le fischiavano, non aveva

messo la mantella, ma non la preoccupavano gli

sguardi della gente di passaggio.

Da un angolo della strada apparvero quattro

legionari in uniforme, la accerchiarono e

bloccarono all’istante, con esperienza.

«Cosa volete da me? Lasciatemi!» sbraitò

agitandosi come una serpe.

I cittadini si fermarono incuriositi, un’occhiata

veloce e via. Rasenna apparve dall’ombra del

colonnato a braccia larghe.

«Cosa succede?»

Arrivò anche l’ultimo attore di quella scena ben

preparata. Il centurione Flavio, comandante della

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46

Guardia di Pompei, segnò la gola dell’uomo con il

gladio teso. Lama scintillante sotto il sole.

«Non un altro passo, signore,» ordinò

imperioso. «Questa giovane viene via con noi,

nessuna spiegazione vi è dovuta.»

«Flavio!» ringhiò Julia.

«E’ altresì chiaro che,» continuò il soldato. «Se

dall’interrogatorio dovesse uscire qualcosa che vi

coinvolga, per quanto piccolo possa essere, io

tornerò a prendervi.»

Rasenna indietreggiò a mani sollevate, sguardo

languido. Flavio abbassò l’arma e fece un brusco

cenno ai suoi. Julia fu portava via sotto gli occhi

increduli, curiosi e anche irridenti della gente.

Una poveraccia di strada non interessava a

nessuno, così come qualsiasi cosa potesse avere a

che fare con la misteriosa casa del Fauno.

* * *

Nell’angusta stanza della caserma l’aria era

pesante, stantia e ancor più calda che all’esterno.

Dalla piccola finestra non c’era possibilità che

passasse un minimo di frescura.

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Il centurione Flavio e Julia sedevano da parti

opposte al tavolo centrale. Il primo maneggiava il

medaglione di Tuchulcha perplesso.

«Niente più tranelli,» disse l’uomo. «Voglio la

verità, adesso.»

«Di cosa stai parlando?»

«Di quello che stai combinando nelle ultime

notti.»

Julia si strinse nelle spalle. «Non ho nulla da

dire.»

«Ne hai eccome,» ribatté Flavio. «Eri tra le

sospettate già per la morte di Lucius, ma il

capolavoro al tempio della Venere Pompeiana ti

ha inchiodato definitivamente.»

«Ah, sì?»

Il comandante picchiò una mano aperta sul

tavolo. «Basta! Questa insolenza deve finire, ora!

Ti hanno vista e riconosciuta, in compagnia di un

lupo gigante,» sospirò furente. «Quale arte

occulta ti ha trasformato in un micidiale

assassino a sangue freddo?»

Julia sorrise di sbieco. «L’indifferenza di

Pompei.»

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Battuta d’arresto, come se un folata gelida si

fosse frapposta tra loro. Il centurione non si fece

cogliere alla sprovvista, comunque.

«Viene da quella maledetta casa.»

«No!» ribadì Julia, contratta dal nervoso.

«Viene dall’avidità di Lucius e dalla depravazione

del prete ma, come dicevo, soprattutto

dall’indifferenza,» breve pausa a effetto. «La

tua.»

Flavio indietreggiò dal tavolo, colpito. «Tutto

questo non salverà tua madre.»

La giovane rispose con una scrollata di spalle.

«Chi ti dato questo medaglione?» riattaccò il

soldato, tenendolo tra pollice e indice come fosse

incandescente.

«Domanda vecchia, risposta già data a suo

tempo.»

«E’ di quel Rasenna della casa del Fauno?»

«No.»

Flavio sospirò ancora, si massaggiò le tempie

sudate. «Sei stata vista andare in quella casa, poi

uscire dalle mura della città verso la brughiera.

Dopodiché, è iniziato tutto.»

«Interessante.»

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«E’ molto interessante, Julia,» ribatté il

centurione, alzandosi in piedi. Non aveva più

alzato la voce, non sarebbe servito.

«Resterai ospite delle nostre celle finché non ti

deciderai a darmi le necessarie spiegazioni. Io

sarò a tua disposizione in qualunque momento e,

nel frattempo, vedrò cosa posso fare anche senza

il tuo aiuto.»

L’uomo uscì dalla stanza rimirando il

medaglione, la giovane guardò fuori dalla finestra

pensierosa. Sperò vivamente che Flavio non

facesse qualche pazzia con quell’oggetto, che

nascondeva ben più di quello che mostrava.

Aita si sarebbe infuriato.

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7

Reazione

* * *

Cielo stellato su Pompei, la falce di luna visibile

era più efficace di qualsiasi altra illuminazione.

Un enorme destriero da guerra si fermò

davanti alla caserma della Guardia. Il legionario

di piantone avanzò, abbassando la punta della

lancia. Di risposta, la cavalcatura sbuffò

fiammeggiando dalle narici.

Il soldato arretrò.

Il cavaliere in nero fu a terra in un solo balzo.

Lunga mantella con il collo di pelo, spadone

brillante di un fioco azzurro. Elsa, impugnatura e

pomolo lavorati secondo un’arte che non era, di

sicuro, romana.

«Voglio la ragazza,» tuonò Aita avanzando.

Il legionario non tentò neanche una difesa,

rimase inerme all’avversario, catturato da quegli

occhi giallo pallido.

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Il Dio-Lupo dell’Oltretomba etrusco lo scagliò

lontano con un blando gesto del braccio destro,

come a scacciare una fastidiosa zanzara.

Il suo urlo, più di terrore che di dolore, allarmò

tutta la caserma. Il destriero s’impennò sulle

zampe posteriori, sfiammando altre lingue di

fuoco dalle froge. Aita lo acquietò con una

carezza sul muso.

«Calma, amico mio.»

Legionari in arrivo di gran carriera. Alcuni

indossavano solo parti di armatura o uniforme,

altri erano praticamente nudi. Tutti, comunque,

armati. Il Dio menò un fendente diagonale, dal

basso verso l’alto. Senza colpire nessuno, solo

con l’onda d’urto della potente arma, ne sdraiò

sei o sette, facendoli capitombolare sul polveroso

selciato.

I più coriacei continuarono ad avanzare e

arrivarono a contatto. La lama infernale guizzò

rapida, gladi spezzati, scudi frantumati, legionari

a terra con arti troncati di netto, cauterizzati dal

vaporoso azzurro che emanava.

Urla di dolore, adesso.

Se qualcuno dalle abitazioni intorno stava

assistendo a quella scena apocalittica, si

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guardava bene dal farsi notare. Cose strane

stavano accadendo a Pompei.

Cose maledette.

Aita fu dentro la caserma, la maggior parte dei

soldati superstiti fuggirono abbandonando le

armi.

«Julia!» chiamò. Voce che echeggiava tra le

pareti.

«Chi la cerca, se mi è concesso?» voce che

proveniva da un’ombra tra le ombre.

Il Dio-Lupo si voltò ringhiando. Colui che

aveva parlato emanava una forte aura. Occhi

brillanti, gladio in presa bassa a due mani,

medaglione luminescente al collo. Aita storse le

labbra, come sentisse dolore.

«In quale disgrazia avete fatto cadere quella

povera fanciulla?» continuò il centurione Flavio,

avanzando a piccoli passi.

«Voi state sfidando l’ignoto,» Aita, statuario,

parole dure come marmo.

«Io non sto sfidando nessuno, sto solo

difendendo l’ordine precostituito, quello per cui

ho giurato, molti anni fa.»

Aita sorrise. «Non con quel medaglione al

collo.»

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Flavio ricambiò. «Lui mi serve solo per sapere

esattamente cosa fare.»

«Non potrà consigliarvi nulla di buono, e io

sarei costretto a fermarvi.»

«Dalle mani di Julia volevate portare Pompei

sull’orlo della distruzione. Io non so chi siete, ma

la pagherete molto cara,» riattaccò Flavio, denti

digrignati e cuore che pompava fuori controllo.

«Non siete voi che parlate. Toglietevi quel

medaglione. Ora!»

Flavio attaccò con un affondo diretto, Aita parò

spostandosi di un passo. Scintille bluastre tra le

lame. Il Dio colpì col destro al volto, il centurione

finì in ginocchio, sangue dalle labbra spaccate.

Il soldato schivò il successivo colpo da

decapitazione, rotolando lontano con agilità

sorprendente per la sua mole. Flavio tornò

all’attacco come una furia, serie di rapidi colpi da

accademia di guerra, tutti parati dalla lama

infernale dell’antagonista.

Senza sapere come, il centurione si ritrovò

ancora nella polvere, spalla e braccio sinistro

intorpiditi da una botta che non aveva neanche

visto arrivare. Sulla pavimentazione della

caserma gocciolò sangue e sudore.

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Aita si massaggiò la prorompente barba,

ghignando. «Datemi quel medaglione, e io vi

lascerò Julia. Dopotutto, lei ha già fatto la sua

scelta.»

«E’ esatto!» dal corridoio, la giovane li

guardava con espressione feroce.

Sospensione della realtà per quel trio

impossibile. Il Dio etrusco dell’Oltretomba in

forma terrena, il comandante della Guardia di

Pompei, posseduto dal Gran Demone Tuchulcha,

e una rappresentante della plebe più indigente.

Flavio scosse il capo. «Tutto questo va

fermato,» guardò il pendente luminoso per

lunghi istanti poi, una luce nei suoi occhi, indicò

che aveva finalmente capito.

Anche Aita intuì, e gli puntò la spada addosso.

«Non ci pensare,» parole quasi incomprensibili,

tra i ringhi della frustrazione.

Il centurione fu più rapido di tutti, lanciò il

gladio addosso al Dio e fuggì all’esterno. Con una

mano, Aita deviò il colpo poi, in una sequenza di

raccapriccianti schiocchi, sibili e versi cominciò

la sua trasmutazione.

Grazie all’aiuto dei poteri del medaglione,

Flavio poté saltare in sella al diabolico destriero.

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Prese le redini e si tuffò nella notte verso nord,

sotto l’imponente figura del Vesuvio.

Dietro di lui, all’inseguimento, il gigantesco

lupo con la sua Signora in groppa.

* * *

La strada era buia, sterrata e in salita, si

correva attraverso un fitto bosco che, sotto gli

argentei raggi della luna, sembrava di ferro. Il

centurione guidava sicuro l’imponente

cavalcatura e, dietro di lui, Julia si reggeva a

stento al duro pelo del Dio-Lupo. L’aria puzzava

di zolfo ed era quasi irrespirabile.

«Tua madre ha con sé l’obolo?» le chiese Aita

che, pur in forma animale, aveva il dono della

parola.

«Sì,» balbettò la giovane, con la testa che le

vorticava prepotentemente.

Il Dio etrusco grugnì un assenso. «Bene.

Perché stanotte, al più domattina, accadrà

qualcosa.»

* * *

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Dopo un tempo che parve interminabile per

Julia, ormai in riserva di energie, arrivarono in

piano. La strada, la salita e la folle corsa erano

terminati.

Erano a un punto chiave, di non ritorno. Sul

bordo del cratere del Vesuvio. Se qualcosa di

irrazionale stava per succedere, era senz’altro

quello il luogo giusto.

Si fermarono tutti, in un triangolo ad alto

potenziale. Solo la terra non si fermò, c’erano

continue preoccupanti scosse che agitavano la

zona. Flavio, in sella al destriero, teneva il braccio

destro teso, con il medaglione penzoloni.

«Il fuoco purifica tutto,» disse con occhi

stralunati. «Questa è la fine che farà!»

«Smettila, soldato,» ringhiò Aita avanzando a

quattro zampe. Orecchie tese e sguardo

assassino. «Questo è quello che vuole lui, non

tu.»

«Lui chi?» disse sputacchiando bava e sangue.

Una lunga colonna di fumo si alzò da una

frattura tra le rocce. Vapori pestilenziali,

incandescenti. La luminosità in aumento,

proveniente dal cratere, sembrava davvero averli

gettati tutti nell’Ade.

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Nulla più era reale.

«Tuchulcha, Gran Demone etrusco

dell’Oltretomba,» rispose Julia, in difficoltà a

mantenersi in equilibrio.

Flavio la guardò perplesso, scosse il capo.

Quegli attimi di distrazione furono fondamentali

per Aita che, caricati i muscoli delle zampe

posteriori, gli saltò addosso trascinandolo tra le

pietre instabili.

Julia assistette a un combattimento feroce,

brutale. Ai morsi e alle artigliate del lupo, il

centurione rispondeva con colpi a mani nude di

una forza straordinaria. Quel medaglione aveva

poteri immensi.

La lotta si spostò sempre di più, poco alla volta,

verso il cratere. A un passo dall’oblio, dalla fine,

da quell’inferno in cui solo sua madre aveva un

valido lasciapassare.

La terra tremò di nuovo, ancora più forte. Un

rivolo di lava, come fosse uno sputo beffardo, salì

alto nel cielo luminoso come una cometa,

ricadendo vicino ai litiganti. Vomitevole puzza di

pelo e pelle ustionata.

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«Dobbiamo andare via di qui!» urlò Julia

allarmata, mani nei capelli sudati, unti e

appiccicaticci.

Nessuno la udì. I due guerrieri sovrumani

continuarono a lottare in precario equilibrio.

Fino alla scossa conclusiva.

Geometriche fette di pietra e terra si

staccarono dall’orlo, cadendo nel camino del

Vesuvio in tuoni terrificanti. Ormai la serie di

piccoli sussulti si era trasformata in un unico,

distinto terremoto.

Luce infernale proveniente dal cratere, mentre

sul golfo di Napoli si affacciava un’alba di

oricalco.

* * *

I due combattenti scomparvero nella nube

conseguente. Julia, contro ogni logica, avanzò

con le mani davanti alla bocca. Forse era

un’eruzione a tutti gli effetti, forse era solo causa

di uno scontro surreale.

Si arrampicò tra macigni irregolari, giunse a

pochi passi da loro, ma non li vide subito. Sullo

sfondo abbagliante del ribollente lago di magma,

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Flavio e Aita avevano smesso di combattere,

pensando a sopravvivere.

Con i piedi nel vuoto, i due cercavano di

risalire sul ciglio franato. Non potendo contare su

arti umani con pollici opponibili, il lupo era più

in difficoltà. Julia si sdraiò sulla terra rovente,

allungò entrambe le braccia.

«Forza!»

Un altro quarto di parete crollò nell’inferno,

per il Dio-Lupo Aita non ci fu più nulla da fare.

Con un lungo guaito rabbioso scomparve tra i

flutti fiammeggianti.

«Nooooooo…» urlò con tutta la forza Julia,

mentre lacrime scivolavano lungo le guance,

gocciolando nel cratere.

«Julia… aiutami…» gracchiò Flavio, stremato.

La giovane fu categorica. «Prima dammi il

medaglione.»

«Julia,» il centurione si scontrò con uno

sguardo che, in quelle condizioni, non poteva

assolutamente affrontare. «Io sono tuo…»

«Cauto con le parole,» pausa parossistica.

«L’atto di libido che ha generato questa vita

tormentata, non crea anche l’appellativo di

padre.»

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Neanche a quello Flavio poteva ribattere.

Puntandosi con i piedi riuscì a staccare una mano

dal costone, si tolse il ciondolo e lo porse verso

l’alto.

Julia afferrò l’oggetto e lo rimirò sorridente. La

battaglia tra Aita e Tuchulcha era terminata. Il

subdolo Gran Demone aveva sconfitto il Re

dell’Oltretomba. Il suo sovrano, il suo padrone, il

suo carceriere.

Si era liberato di lui, e ora poteva finalmente

dedicarsi a controllare e dominare gli uomini a

piacimento. Senza alcun vincolo.

Non era mai stata una lotta tra umani, quella.

«Ora aiutami!» disperato il centurione, mano

aperta verso di lei.

«Il fuoco purifica ogni cosa,» continuò la

giovane, già lontana con la mente. «Parole tue,

non mie.»

Flavio la guardò indossare il potente monile,

poi non vide più nulla.

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8

Apocalisse

* * *

Golfo di Napoli, 79 d.C.

L’eruzione del Vesuvio era giunta alla fase più

spettacolare e terrificante. L’immensa nube a

fungo sovrastava tutto il golfo, animata da

sinistre pulsazioni, bagliori e boati, mentre uno

sciame pressoché continuo di terremoti scuoteva

l’intera regione e sconvolgeva il mare.

Le quadriremi della classis misenensis erano

giunte per una missione di soccorso disperata.

Una pioggia di cenere, pomici e lapilli le

bombardava senza pietà.

Il prefetto romano della flotta, Gaio Plinio

Secondo, era determinato a evacuare quante più

persone possibili. Anche a costo di morire.

Vide le vele della Vittoria bruciare tra alte

fiamme, vide la Concordia inabissarsi per i troppi

danni subiti dallo scafo. Vide l’equipaggio della

Fortuna gettarsi in quelle infide acque per

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trovare scampo. Tutto quello mentre l’inesorabile

colata di lava sommergeva Pompei ed Ercolano.

Forse, da quell’inferno in terra, non ne sarebbe

uscito vivo nessuno ma, poco distante, i marinai

della quinquereme Foederis recuperarono dai

flutti, con lunghi uncini, una giovane donna

stremata.

Tra le braccia teneva stretto uno scrigno di cui

non voleva parlare, e l’equipaggio aveva

comunque ben altro a cui pensare.

La Foederis fu l’unica imbarcazione a far

ritorno a casa.

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Epilogo

Oggi

* * *

Marta Orsini era appoggiata con espressione

pensierosa al cofano caldo della sua Alfa Romeo

Mito, ferma sul bordo della strada qualche metro

prima del particolare ponte da cui si entrava a

Montecastello.

Non aveva voluto crederci, non poteva essere

possibile, ma quell’iscrizione che c’era sul

parapetto fugava già qualche dubbio: Mundus.

Sorrise tra sé, pensando con quale leggerezza

discutevano dell’argomento quei presunti esperti

d’archeologia su internet. Un forum di

discussione, scovato per puro caso, che come

gran parte dei luoghi d’incontro virtuali serviva

più che altro a procurarsi disponibile compagnia.

Se avessero davvero conosciuto la materia, non

avrebbero spifferato ai quattro venti il possibile

ritrovamento di un antico sito etrusco nelle

Marche. Non l’avrebbero pubblicizzato così

sapendo che gli etruschi, conosciuti anche come

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Tirreni, non giunsero mai in quella zona,

neanche al loro apogeo.

O almeno così si credeva.

Quando l’aveva letto si era fatta una grassa

risata, ma la diffidenza iniziale era stata presto

superata nel momento in cui Cicerone, uno dei

moderatori del forum, aveva cominciato a

inserire sul sito delle prove.

Fotografie dettagliate, scattate durante

un’escursione nell’entroterra marchigiano.

Immagini che avrebbero fatto diventare la sedia

bollente a più di uno storico.

Montecastello era davvero la testimonianza

vivente di un antico sito etrusco e, nel cuore del

suo impenetrabile bosco, nascondeva delle rovine

dal valore inestimabile, sconosciute al mondo

intero.

Marta non aveva perso tempo a fare i bagagli e,

dopo una notte insonne, era partita da Lucca e

aveva raggiunto il luogo che, sperava, avrebbe

rilanciato la sua carriera arenata da tempo, nello

squallido posto che occupava in un museo.

Sì, Montecastello poteva diventare la sua

personale pentola piena d’oro ai piedi

dell’arcobaleno.

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Travolta dai sogni di gloria, non si accorse

dell’automobile che aveva appena attraversato il

ponte in senso inverso, e si era fermata al suo

fianco.

«Tutto bene, signorina?»

La donna guardò quell’uomo gentile dalla

straripante barba bianca e sorrise.

«Tutto benissimo, grazie.»

In quel preciso momento, Marta Orsini stava

per entrare in una storia che non avrebbe mai

potuto immaginare.

Una favola oscura iniziata duemila anni

prima…

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Continua…

“Tuchulcha”

Romanzo

“Quel ponte era come una frattura tra Montecastello e il mondo intero.” Una guardia forestale trasferita da Milano, un’ereditiera in fallimento e un’ambiziosa archeologa devono attraversarlo. Ognuno per propri obiettivi e speranze, nessuno consapevole di cosa si celi in quella piccola località dell’appennino marchigiano. E, soprattutto, nel suo bosco, dove pare ci siano delle misteriose rovine risalenti alla civiltà etrusca.”

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L’Autore

Classe 1979, della provincia ovest di Milano.

Dal 2007 a oggi ha pubblicato narrativa di genere

(dal thriller al western, dalla fantascienza

all’horror) in eBook, antologie e riviste di settore,

per un totale di quattro romanzi e una ventina di

opere brevi. Nel 2012 ha vinto un concorso

nazionale di letteratura fantascientifica

(Kataris).

Il suo sito/blog, sul quale trovare biografia e

bibliografia completa, oltre che recensioni e news

letterarie è:

http://enzomilano.wordpress.com