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LUISS LIBERA UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI GUIDO CARLI FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA POLITICA ECONOMICA PROF. DANIELA DI CAGNO L’ATTUALE CONTESTO DELLE LEGGI INTERNAZIONALI SULLA CONCORRENZA E LOPPORTUNITÀ DI UNAPPLICAZIONE DECENTRATA DELLA NORMATIVA DELL’UE SULLA CONCORRENZA Turrini Riccardo Matr. n. 048273 Anno Accademico 2004/2005

Tesina Politica Economica - Tesionline · Affinché vi sia concorrenza perfetta ... il capitolo sulla politica commerciale nell’Accordo ... di rafforzare la politica internazionale

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LUISS

L IBERA UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI

GUIDO CARLI

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA POLITICA ECONOMICA

PROF. DANIELA DI CAGNO

L’ ATTUALE CONTESTO DELLE LEGGI INTERNAZIONALI SULLA CONCORRENZA

E L ’OPPORTUNITÀ DI UN ’APPLICAZIONE DECENTRATA DELLA NORMATIVA DELL ’UE SULLA CONCORRENZA

Turrini Riccardo

Matr. n. 048273

Anno Accademico 2004/2005

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Indice

1. INTRODUZIONE..................................................................................................... 3

2. L’ ATTUALE CONTESTO DELLE LEGGI INTERNAZIONALI SULLA CONCORRENZA..... 4

2.1. Le origini: ITO e il GATT ........................................................................... 4 2.2. La necessità di rafforzare la politica internazionale della concorrenza ....... 6 2.3. Iniziative unilaterali, bilaterali e regionali dopo l’ITO ................................ 7 2.4. Gli impegni multilaterali ............................................................................ 11

3. L’OPPORTUNITÀ DI UN’APPLICAZIONE DECENTRATA DELLA NORMATIVA DELL’UE

SULLA CONCORRENZA............................................................................................ 13

3.1. Il Trattato di Roma e il Regolamento n. 17/62 .......................................... 13 3.2. Il principio di sussidiarietà e gli appelli al decentramento......................... 15 3.3. Metodi di decentramento............................................................................ 17 3.4. La posizione della Corte di Giustizia......................................................... 19 3.5. Conclusioni ................................................................................................ 21

Bibliografia ........................................................................................................... 23

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1. Introduzione

La concorrenza pura determina una situazione di ottimo per la collettività e da

ciò deriva che ogni deviazione da essa (monopoli o oligopoli) richiede interventi

correttivi da parte di poteri pubblici. Affinché vi sia concorrenza perfetta occorre

che sussistano una serie di condizioni che difficilmente si realizzano nella realtà.

La più rilevante è la presenza di numero molto elevato di imprese di piccole

dimensioni e di acquirenti in modo che nessuno sia in grado di influenzare il

prezzo. Vi è la possibilità di ingresso nel mercato per qualunque nuova impresa in

quanto le imprese presenti sono di piccole dimensioni e quindi non sono necessari

né grandi capitali, né particolari conoscenze tecniche. Affinché la situazione possa

conservarsi occorre che le imprese rimangano di piccole dimensioni. In regime di

concorrenza pura l’espansione della produzione non può avvenire a mezzo di

imprese di grandi dimensioni, ma attraverso la costituzione di nuove imprese.

L’osservazione della realtà però ha mostrato la tendenza al fenomeno delle

concentrazioni. Un’impresa quando espande la produzione è in grado di ridurre i

costi marginali e medi realizzando un’organizzazione più efficiente e una

maggiore divisione del lavoro rispetto ad un’impresa di piccole dimensioni.

Attraverso le operazioni di concentrazione però si riduce il numero di imprese

operanti sul mercato con la conseguenza che le imprese operanti possono

accordarsi per influenzare il prezzo dei beni prodotti e di adottare altri

comportamenti in virtù del notevole potere di mercato acquisito. La situazione che

si offre non è più di concorrenza, ma di monopolio o di oligopolio arrecando un

danno alla collettività.

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Prendendo atto di questa realtà inizialmente si è promulgata una legislazione

antimonopolistica. Successivamente si sono riconosciuti i vantaggi delle

concentrazioni in quanto consentono di generare economie di scala, ma al tempo

stesso danno all’impresa un maggiore potere di mercato. Quest’ultimo deve essere

quindi vincolato e controllato dallo Stato per evitare che venga usato a fini

egoistici. L’adozione e la formulazione di una legislazione antimonopolistica non

possono partire dalla premessa secondo cui la concorrenza atomistica è il sistema

più efficiente dal punto di vista della collettività. Fenomeni come le

concentrazioni e le pratiche commerciali restrittive che producono effetti negativi

sulla concorrenza comportano anche degli effetti positivi per cui non è possibile

vietarle in via generale, ma si dovranno prevedere per legge dei criteri di

ammissibilità che saranno applicati da un’autorità amministrativa o giudiziaria nei

casi concreti.

2. L’attuale contesto delle leggi internazionali sulla concorrenza

2.1. Le origini: ITO e il GATT

L’idea di una normativa internazionale sulla concorrenza nasce dopo la II

Guerra Mondiale attraverso un processo di creazione di istituzioni multilaterali

per la cooperazione e l’instaurazione di un’economia di libero scambio.

In particolare gli USA avviarono con la Gran Bretagna trattative bilaterali per

la creazione dell’Organizzazione Internazionale del Commercio (International

Trade Organization – ITO) prima ancora della fine della grande guerra. Dopo

diverse conferenze, si stilò nel marzo 1948 all’Avana la versione definitiva che

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prese il nome di “Carta dell’Avana”. Questa conteneva due categorie di norme:

norme regolanti il commercio interstatale e norme regolanti il controllo da parte

degli Stati. Il Capitolo V, concernente le pratiche commerciali restrittive,

prevedeva una limitazione per le imprese commerciali, sia private che pubbliche,

che, ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 46, <<frenavano la concorrenza,

limitavano l’accesso al mercato o favorivano un controllo monopolistico>>.

La decisione dell’Esecutivo statunitense a non ratificare la Carta dell’Avana,

nata, per altro, su impulso degli Stati Uniti, dissuase altri Stati dal ratificarla.

Quando fu chiaro che la Carta dell’Avana non sarebbe mai entrata in vigore si

cercò di inserire il capitolo sulla politica commerciale nell’Accordo Generale sulle

Tariffe e sul Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade). Il GATT

però riguardava esclusivamente il commercio interstatale di merci, mentre non

disciplinava in alcun modo il controllo statale delle PCR attuate da imprese

private negli scambi internazionali. Sebbene l’operazione di inserimento avesse

carattere provvisorio, il GATT rimase per 45 anni l’unica istituzione multilaterale

di disciplina del commercio internazionale.

Il GATT si fondava sul principio che il libero scambio tra nazioni genera una

situazione economica efficiente in cui il vantaggio relativo delle singole nazioni si

traduce nella massima produttività per tutti. Sebbene il principio di non

discriminazione, distinto nei due sotto – principi del trattamento generalizzato

della nazione più favorite e del trattamento nazionale, avesse un’enorme

importanza, il GATT lasciava irrisolto un grave problema: quello delle PCR

adottate dalle imprese private.

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2.2. La necessità di rafforzare la politica internazionale della concorrenza

Dopo otto round di negoziati all’insegna del GATT le barriere commerciali

risultano notevolmente diminuite e il commercio mondiale è divenuto il motore

dell’espansione economica con la conseguente globalizzazione e interconnessione

dei mercati. Tuttavia le leggi sul commercio internazionale sono ancora

inefficienti e spesso controproducenti per una disciplina del comportamento

anticoncorrenziale nell’economia globale, mentre le leggi interne sulla

concorrenza sono strumenti inidonei a proteggere il nuovo mercato globale.

Occorre che le autorità antitrust nazionali rivedano la propria politica che

risulta essere stata messa a punto quando non esisteva l’integrazione a livello

internazionale che c’è attualmente. Ciò è quanto emerge dal Rapporto del luglio

1995 della Commissione Europea sulla cooperazione internazionale in materia di

concorrenza.

Nello specifico si osserva che gli ostacoli in materia di concorrenza sul piano

internazionale, quali i cartelli internazionali, le pratiche restrittive in mercati che

per loro natura sono internazionali (trasporti aerei e via mare), le concentrazioni

su scala mondiale (per esempio BT – MCI) e l’abuso di posizione dominante

(caso Microsoft), difficilmente sono superabili tramite la politica nazionale di

concorrenza. A ciò si aggiungano le difficoltà incontrate dalle autorità antitrust

nazionali nell’ottenimento di informazioni circa i comportamenti tenuti all’estero.

L’applicazione extraterritoriale delle leggi nazionali sulla concorrenza può

provocare controversie tra le varie autorità antitrust nazionali. In questo caso poi

se si guarda ai Paesi in via di sviluppo, questi corrono il rischio, per carenze

legislative, di essere assoggettati all’applicazione extraterritoriale delle leggi sulla

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concorrenza di altri Paesi più progrediti. La disomogeneità di norme nazionali

sulla concorrenza rappresenta un grande ostacolo al commercio. Si pensi alle

procedure di decisione esistenti nei diversi Paesi europei che spesso variano

sensibilmente in ordine agli adempimenti richiesti, o duplicano gli impegni

facendo lievitare i costi per l’osservanza delle leggi. La presenza di leggi nazionali

sulla concorrenza più o meno favorevoli influisce sulle scelte degli operatori

economici distorcendole, limitando o impedendo l’accesso a certi mercati, mentre

se fosse consentito si instaurerebbe una concorrenza positiva per i consumatori.

2.3. Iniziative unilaterali, bilaterali e regionali dopo l’ITO

Diverse iniziative si sono prese da diversi Paesi per ovviare al fallimento del

progetto ITO, sia a livello unilaterale, che bilaterale, che regionale.

Le iniziative unilaterali consistono nell’applicazione di norme e principi della

politica nazionale della concorrenza a Stati o imprese operanti al di fuori del

territorio nazionale. Tale effetto di extraterritorialità delle leggi antitrust è

rinvenibile nell’ordinamento statunitense (legge sui cartelli con sede all’estero,

ovvero l’articolo 301 della legge sugli scambi). Nella Comunità Europea è

utilizzato lo strumento dalla politica commerciale per fare pressione sui terzi

affinché rinuncino a comportamenti anticoncorrenziali, ma tale strumento può

provocare anche ritorsioni da parte dei partners commerciali.

Nelle linee guida statunitensi sull’applicazione del diritto antitrust nelle

operazioni internazionali si fa riferimento alla dottrina degli effetti. Ad esempio

nel caso Pilkington, gli USA sono intervenuti in quanto, sebbene il

comportamento fosse realizzato in altri Paesi, esso produceva un effetto diretto,

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sostanziale e ragionevolmente prevedibile sull’esportazione dei beni e servizi

dagli Stati Uniti.

Il Trattato istitutivo della CE non affronta il problema dell’extraterritorialità

del diritto antitrust comunitario e per tanto la Commissione e la Corte di Giustizia

hanno dovuto elaborare in via interpretativa tale effetto. La Commissione ha

dimostrato l’intenzione di ampliare l’ambito di applicazione del diritto

comunitario come nel caso Materie Coloranti. Nello specifico la Commissione

faceva riferimento alla dottrina degli effetti per rivendicare la propria

giurisdizione. La Corte di Giustizia non ha avallato tale impostazione

argomentando che la controparte inglese e svizzera avevano operato all’interno

della Comunità mediante proprie sussidiarie e per il principio universale di

territorialità vi era competenza. Altro esempio è costituito dal caso Pasta di legno

dove la Corte di Giustizia non adotta in via esplicita la dottrina degli effetti

sebbene l’Avvocato generale Darmon sostenesse che la dottrina era applicabile

quando gli effetti del comportamento fossero diretti e prevedibili.

Nel diritto internazionale si opera una distinzione tra competenza per materia e

competenza nell’applicazione. Quest’ultima viene intesa come la capacità di uno

Stato di indurre o imporre l’osservanza o punire l’inosservanza delle proprie leggi.

Tale competenza ha generalmente portata territoriale ed in campo internazionale è

invalsa la prassi di assistersi reciprocamente nell’applicazione delle rispettive

leggi in giurisdizioni estere. L’eccessivo ricorso alla competenza applicativa

(come da parte degli Stati Uniti nel caso del cartello dell’uranio) può provocare

dure reazioni. Alcuni Paesi hanno adottato “regolamenti di blocco” sulla scorta

del modello britannico del 1980 che consente al Segretario di Stato di emanare

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ordinanze che vietano l’esibizione di documenti richiesti da un tribunale estero.

Altre volte il divieto di esibizione di documenti è previsto in via generale da leggi

sul segreto commerciale o sul segreto bancario (Svizzera, Paesi Bassi, ecc…).

Infine rileva il regolamento di blocco canadese per la sua ampia portata in quanto

la richiesta può essere bloccata ogni volta rilevi un interesse economico canadese

significativo, ovvero violi o possa violarsi la sovranità canadese.

Tra le iniziative bilaterali di maggior successo vi è l’Accordo CE / USA del

1995 con lo scopo di coordinare le rispettive attività antitrust. Cinque sono gli

elementi di grande rilevanza nell’accordo:

1.) la notifica: in base all’articolo II ciascun contraente è tenuto a

notificare all’altra parte i procedimenti che ha intenzione di attivare e

che potrebbero avere ripercussioni su importanti interessi della

controparte;

2.) lo scambio di informazioni: in base all’articolo III ciascun contraente si

impegna a fornire informazioni su comportamenti anticoncorrenziali

presenti sul proprio territorio alla controparte interessata o procedente

salvo che, per l’articolo VIII, la divulgazione non sia vietata da una

legge nazionale o sia incompatibile con interessi importanti. I

regolamenti 17/62 e 4064/89 in tema di concentrazioni prevedono che

le informazioni non possono comunicarsi alle autorità antitrust

statunitensi se non con il consenso di chi fornisce l’informazione. Di

particolare rilievo è stato il procedimento congiunto tra la Divisione

Antitrust USA e la Commissione CE nel caso Microsoft che accettò di

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rinunciare al proprio diritto alla riservatezza garantito da ambedue le

normative in vista di un accordo raggiunto, poi, nel 1994;

3.) il coordinamento: in base all’articolo IV si stabilisce in via generale

l’impegno a coordinare le proprie procedure al fine di evitare

duplicazione di iniziative;

4.) positive comity: in base all’articolo V si stabilisce il principio secondo

cui, se gli interessi importanti di una parte risentono delle PCR attuate

nel territorio della controparte in violazione delle leggi di questa, la

parte danneggiata può chiedere che venga avviato un procedimento.

Questo evita teoricamente una duplicazione di interventi. L’unico

inconveniente che si presenta a tale sistema è dato dal fatto che il

contraente che riceve la richiesta di avviare il procedimento non è

obbligato ad avviare un procedimento, mentre al richiedente non è

vietato avviare un proprio intervento;

5.) negative comity: in base all’articolo VI ciascuna parte è tenuta a

considerare gli interessi importanti della controparte durante tutte le

fasi del procedimento evitando conflitti di applicazione delle norme

antitrust.

Dal Rapporto presentato dal Gruppo per il miglioramento della cooperazione

internazionale e dell’applicazione delle norme sulla concorrenza emerge che la

CE ha stipulato un ridotto numero di accordi di cooperazione in materia a

differenza degli USA. Il Rapporto, oltre ad indicare carenze quantitative,

sottolinea che l’attuale contesto non dà garanzia per la circolazione di

informazioni e di cooperazione tra autorità antitrust a livello globale. I fattori di

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tale contesto sono i conflitti nell’applicazione extraterritoriale delle leggi antitrust

nazionali, l’assenza di disposizioni che assicurino lo scambio di informazioni

riservate e la mancanza di procedure di conciliazione o di arbitrato per le

controversie.

Iniziative regionali sono in ambito della politica di concorrenza comunitaria e

dei suoi partner commerciali europei. In tal senso è l’impegno comunitario ad

esportare il modello di concorrenza del Trattato CE nelle norme sulla concorrenza

dello Spazio Economico Europeo (SEE). È previsto il libero scambio di

informazioni tra l’Organo di Sorveglianza dell’EFTA e la Commissione europea

con la possibilità di esprimere opinioni in caso di procedimenti condotti dall’altro

organismo.

Altre iniziative regionali si registrano nell’ambito del NAFTA (North

American Free Trade Agreement). In esso sono contenute norme che esortano alla

cooperazione tra gli Stati membri per evitare l’esplicazione di comportamenti

anticoncorrenziali al di fuori del proprio paese. È inoltre istituito un comitato per

esaminare l’interconnessione tra politiche commerciali e della concorrenza.

2.4. Gli impegni multilaterali

La legislazione antitrust si è sviluppata nella gran parte degli Stati solo dopo la

II Guerra Mondiale. I firmatari del GATT hanno cercato di introdurre

nell’accordo misure contro le PCR mediante appositi emendamenti o per il tramite

del meccanismo di composizione delle controversie già esistente.

Nella metà degli anni 70, a seguito di importanti eventi come il Trattato di

Roma, si sono intensificati i tentativi di formulazione di principi internazionali per

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norme antitrust. Alla base vi erano presupposti di politica economica ben

differenti dall’antitrust statunitense. In primo luogo si è cercato di evitare i

conflitti tra normative nazionali tentando di creare un’armonizzazione mediante

principi internazionali. In secondo luogo, molti Stati, soprattutto in via di

sviluppo, hanno iniziato a vedere la legislazione antitrust come mezzo per

disciplinare le imprese multinazionali che venivano a disporre di poteri sociali,

economici e politici sempre più rilevanti.

Nel 1980, l’UNCTAD adottò un corpo di norme sul controllo da parte degli

Stati delle pratiche commerciali restrittive relative a beni e servizi basandosi sulla

Carta dell’Avana. Tali norme hanno come soggetti destinatari non solo gli Stati,

ma anche le imprese. Le norme in questione sono tuttora in vigore, ma non hanno

effetto vincolante, sebbene sia a disposizione degli Stati un Comitato

intergovernativo di esperti con funzioni consultive.

Nel 1993 un gruppo privato di esperti elaborò una bozza di proposta di

accordo internazionale, il Progetto di codice internazionale antitrust. La bozza si

incentrava su sei principi:

- applicazione esclusiva del Codice ai casi transnazionali

- incorporazione delle norme internazionali nell’ordinamento interno e loro

applicazione mediante organi interni

- attribuzione di una valenza internazionale a standard minimi delle norme

nazionali antitrust

- parità di trattamento tra norme internazionali e nazionali sulla concorrenza

- procedure di composizione delle controversie internazionali secondo le

norme della WTO (World Trade Organization)

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- integrazione del progetto nel sistema GATT – WTO

Nell’Uruguay Round (1994) il progetto di codice suddetto non trovò alcun

inserimento a differenza dei TRIPs, TRIMs e GATS. In quest’ultimo si sono

introdotte norme vincolanti per il controllo statale delle PCR. In particolare il

riferimento è all’articolo VIII (Monopoli e Fornitura esclusiva di servizi) e

all’articolo IX (Pratiche commerciali). Tutto ciò è assai peculiare se confrontato

con le norme sul commercio dei beni assolutamente prive di tali disposizioni. Si è

proceduto ad un recupero, almeno intenzionale, del duplice sistema di norme sul

commercio interstatale e sul controllo dello Stato di PCR nelle transazioni

internazionali.

3. L’opportunità di un’applicazione decentrata della normativa

dell’UE sulla concorrenza

3. 1. Il Trattato di Roma e il Regolamento n. 17/62

Sebbene nel Trattato istitutivo della Comunità Europea fossero contenuti

numerosi principi in tema di concorrenza, alle istituzioni comunitari è spettato il

compito di costruire un sistema della concorrenza. Dopo un quinquennio di

trattative tra Consiglio, Commissione e gli Stati membri venne adottato il

Regolamento n. 17/62. Lo scarso interesse del Consiglio dovuto alla

considerazione sulla marginalità della normativa antitrust sul piano comunitario

comportò che i poteri, concernenti la sua attuazione e l’elaborazione di politiche

idonee, fossero concentrati nelle mani della Commissione.

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Il Regolamento n. 17/62 secondo l’articolo 9 (1) stabilisce che solo la

Commissione può autorizzare le esenzioni ai sensi dell’articolo 81 (3) del Trattato

CE. L’articolo 9 (3) dispone che, quando la Commissione ha avviato un

procedimento, le autorità nazionali devono interrompere la propria attività

riguardo alla medesima fattispecie. È istituito un Comitato consultivo composto

da Stati membri, ma i suoi pareri non sono vincolanti per la Direzione

Concorrenza della Commissione. Il contenuto può essere sintetizzato come segue.

1.) Obblighi della Commissione nei confronti delle autorità antitrust nazionali

ai sensi del Regolamento n. 17/62:

a. obbligo di notificare alle autorità nazionali le fasi di una procedura

(articolo 10 (1)): nello specifico devono notificarsi le richieste di

informazioni, gli accertamenti e l’avvio del procedimento. Il

procedimento si intende avviato quando sussiste un atto vincolante

da parte della Commissione che dimostri l’intenzione di adottare

una delle decisioni previste agli articoli 2, 3 o 6 del Regolamento n.

17/62 (CGCE caso Brasserie de Haecht II).

b. obbligo di fornire informazioni (articolo 10 (1)): in particolare la

Commissione è tenuta a trasmettere alle autorità competenti le

segnalazioni, le notifiche e i documenti di cui dispone. In primo

luogo,tale potere consente di notificare alle autorità nazionali le

procedure antitrust comunitarie relative alle imprese site nel loro

territorio. In secondo luogo, le autorità antitrust nazionali hanno la

possibilità fornire osservazioni consentendo alla Commissione una

migliore valutazione.

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2.) Obblighi di cooperazione delle autorità nazionali con la Commissione ai sensi

del Regolamento n. 17/62:

a. obbligo di fornire tutte le informazioni previste dall’articolo 11 (1)

b. cooperare negli accertamenti (conformemente all’articolo 14 (5))

Gli Stati possono partecipare al Comitato consultivo mediante propri

rappresentanti. Ciò consente agli Stati di monitorare l’applicazione della

normativa comunitaria sulla concorrenza e di consentire agli stessi di contribuire

all’interpretazione e all’applicazione della predetta normativa.

L’articolo 10 sancisce il principio di cooperazione tra gli Stati membri e le

istituzioni comunitarie. Incomberà anche sulla Commissione, secondo quanto

stabilito dalla Corte di Giustizia, l’obbligo di una leale collaborazione nei

confronti delle autorità giudiziarie degli Stati membri, i quali sono tenuti ad

applicare e ad osservare la normativa comunitaria nel proprio ordinamento. Oltre

al rapporto Stati membri – Comunità, l’articolo 10 può essere considerato come

base per il rapporto di collaborazione tra rispettive autorità antitrust nazionali

degli Stati membri (cd. cooperazione orizzontale) secondo quanto è stato stabilito

dalla Corte di Giustizia nel caso Nikolaos Athanasopoulos – Bundesanstalt fiir

Arbeit.

3.2. Il principio di sussidiarietà e gli appelli al decentramento

A partire dagli anni ’80 si è iniziato un processo di mutamento radicale in

ambito della Comunità che ha raggiunto il culmine nel 1993 con l’unificazione del

mercato interno. Si ha che attualmente le autorità antitrust nazionali applicano con

maggiore efficacia la normativa comunitaria sulla concorrenza e sono meglio

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organizzate. Nella seconda metà degli anni ’80 la Corte di Giustizia ha allargato la

portata della normativa comunitaria antitrust tanto che oggi giorno sono poche le

transazione delle grandi imprese che rimangono fuori dall’ambito di applicazione

degli articoli 81 e 82. A fronte di un tale ampliamento della competenza della

Commissione in materia di concorrenza sono iniziate a nascere istanze per

un’applicazione decentrata della normativa antitrust. La Commissione,

disponendo di limitate risorse rispetto ad un territorio di tale vastità, si trova ad

affrontare un carico di lavoro eccessivo.

Il principio di sussidiarietà introdotto con il Trattato di Maastricht sull’UE

rappresenta la tendenza al decentramento (articolo 5). La Comunità può operare in

quei settori che esulano dalla propria competenza solo se l’obbiettivo, a causa

della sua larga rilevanza o degli effetti dell’azione prevista, può essere meglio

conseguito dalla Comunità che dagli Stati membri. Tuttavia nella Relazione del

1994 sulla politica della concorrenza la Commissione evidenzia come sia

incompatibile con tale settore il principio di sussidiarietà, non potendosi

richiedere che gli Stati controllino loro stessi o si controllino a vicenda.

Occorre però un approccio più flessibile. Il Regolamento sulle concentrazioni

stabilisce un criterio basato sul fatturato che consente di determinare se un caso

debba essere sottoposto alla Commissione per consentire uno one – stop shopping.

Nella Conferenza intergovernativa del 1996 si è proposto ad un abbassamento

delle soglie di fatturato comportando un aggravio di lavoro per la stessa

Commissione. A bilanciamento di ciò si è previsto un maggior ricorso all’articolo

9 per il rinvio dei casi alle autorità antitrust nazionali (cd. clausola tedesca).

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Con riferimento agli articoli 81 e 82, la ripartizione dei poteri tra la

Commissione e le autorità antitrust nazionali è nel senso di consentire a queste

ultime l’esercizio dei loro poteri, ad eccezione dei poteri di esenzione dell’articolo

81 (3), fintantoché la Commissione non decida di avviare un procedimento

(articolo 9 (3)).

3.3. Metodi di decentramento

Un primo metodo di decentramento consisterebbe nell’ampliamento dei

sistemi di concorrenza nazionali riducendo la portata degli articoli 81 e 82

mediante una revisione dell’interpretazione della Corte di Giustizia sulla nozione

di effetti sul commercio interstatale e un ampliamento della portata delle leggi

nazionali. Due sono gli ordini di problemi che una soluzione del genere solleva. In

primo luogo, essa obbligherebbe ad una maggiore convergenza delle politiche e

delle legislazioni nazionali in materia di concorrenza. In secondo luogo, l’assenza

di un controllo comunitario sulle decisioni delle autorità nazionali ostacolerebbe

un’applicazione convergente delle legislazioni antitrust nazionali.

Un secondo metodo di decentramento consisterebbe nel maggiore

coinvolgimento delle autorità antitrust nazionali in un ampio ambito di

applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato. In altri termini, la soluzione

prevede la possibilità per le autorità di applicare gli articoli 81 e 82 pur rimanendo

soggette al controllo giurisdizionale nazionale e comunitario. Ciò presenta

l’indubbio vantaggio di assicurare un’applicazione più ampia, efficace ed

uniforme.

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L’assegnazione alle autorità nazionali dei casi rientranti negli articoli 81 e 81

dovrebbe avvenire sulla base di criteri di attribuzione esatti ed adeguati. Tali

criteri sono stati elaborati dalla Conferenza dei Direttori Generali delle autorità

antitrust nazionali del 1994:

- gli effetti di un determinato comportamento devono prodursi all’interno di

uno Stato membro e non avere ripercussioni su interessi comunitari

- il caso deve importare una violazione dell’articolo 81 o 82 senza che siano

previste esenzioni

- ogni sistema nazionale deve prevedere un adeguato sistema di indagini,

provvedimenti e sanzioni

L’assegnazione dei casi avverrebbe su base bilaterale tra Comunità e autorità

nazionali. Soddisfatti i criteri di assegnazione quest’ultime avrebbero facoltà di

applicare la normativa comunitaria, nazionale o ambedue.

Con riferimento all’iniziativa riguardo ai singoli casi, ogni autorità nazionale

dovrebbe informare la Commissione dei procedimenti avviati ai sensi degli

articoli 81 e 82 e chiedere a questa di informare le altre autorità nazionali. In caso

di esame di accordo restrittivo disciplinato dalla normativa UE si potrebbe

chiedere l’opinione provvisoria della Commissione sulla probabilità di

un’esenzione. In virtù dell’articolo 9 (3) del Regolamento n. 17/62 la

Commissione può richiamare nella propria competenza procedimenti avviati in

precedenza dalle autorità nazionali. Occorrerebbe che un coordinamento nella fase

preliminare sia presente per un’efficace applicazione delle norme. In particolare la

Commissione dovrebbe emettere una decisione vincolante che attesti la volontà a

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non proseguire il procedimento rimettendo l’iniziativa nelle mani dell’autorità

nazionale.

Con riferimento all’applicazione delle norme, il sistema delineato non richiede

alcun emendamento a livello legislativo e di contro consente un decentramento ed

una ripartizione di compiti tra Commissione e autorità nazionali. Infatti, ad

esempio, se un’autorità nazionale che abbia avviato un procedimento secondo gli

articoli 81 o 82 o in base alle norme antitrust nazionali necessita di informazioni

da un’impresa di un altro Stato membro si rivolgerà alla Commissione che ai sensi

dell’articolo 11 del Regolamento n. 17/62 può ottenere tutte le informazioni

necessarie dalle altre autorità nazionali, dalle imprese o dalle associazioni di

imprese. In base all’articolo 23, la Commissione può chiedere che siano le autorità

antitrust di uno Stato membro, dove deve eseguirsi una certa indagine, a procedere

alla stessa. Ottenute tutte le informazioni necessarie, l’autorità richiedente potrà

essere ammessa alla loro consultazione presso la Commissione. Se nel corso

dell’attività di indagine secondo le norme comunitarie o nazionali l’autorità

procedente viene a conoscenza di un comportamento anticoncorrenziale svolto in

via parallela in un altro Stato membro, tale autorità procedente potrà informare

l’altra tramite la Commissione, che se lo riterrà opportuno potrà anche assumere

la direzione del procedimento.

3.4. La posizione della Corte di Giustizia

Le informazioni ricevute dalla Commissione su propria richiesta o su

iniziativa di un’altra autorità dovrebbero poter essere utilizzate per dimostrare la

violazione degli articoli 81 o 82, fermo il vincolo a non divulgare informazioni

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coperte da segreto professionale. Tuttavia nel caso Banche spagnole, la Corte di

Giustizia ha negato che tali informazioni possano essere utilizzate a tale fine,

sebbene il loro utilizzo sia consentito ai fini di una decisione di iniziare o meno un

procedimento. Sebbene l’articolo 10 (1) preveda la trasmissione delle

informazioni raccolte dalla Commissione alle autorità nazionali, la ratio di questa

disposizione è quella di consentire agli Stati membri di conoscere ogni

procedimento concernente le imprese site nei propri territori. La trasmissione di

tali informazioni non autorizza le autorità che le ricevono ad utilizzarle in

contrasto con il Regolamento 17/62 e con i diritti fondamentali delle imprese in

questione.

L’attenzione posta dalla Corte di Giustizia alla tutela dei diritti delle imprese e

alla coerenza e integrità del sistema comunitario della concorrenza non basta a

fornire un supporto alla conclusione della Corte secondo cui le indagini della

Commissione devono intendersi separate da quelle delle autorità antitrust

nazionali. La Corte sosteneva che l’uso delle informazioni della Commissione in

procedimenti antitrust intrapresi dalle autorità nazionali equivalesse ad un uso per

altri fini (articolo 20 Regolamento n. 17/62). È chiaro che tale interpretazione è

alquanto formalistica poiché le informazioni vengono comunque utilizzate per

applicare lo stesso gruppo di norme. La Corte giunge poi a sostenere, in modo

irragionevole, che i sistemi antitrust nazionali fornirebbero alle imprese una

minore tutela di quanto non faccia il sistema comunitario.

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3.5. Conclusioni

L’applicazione decentrata della normativa comunitaria in tema di concorrenza

secondo la suddetta soluzione presenta il vantaggio di non richiedere alcuna

modifica del Trattato e del Regolamento n. 17/62.

Diversamente all’opinione che vuole un emendamento della disciplina vigente

in ordine all’estensione alle autorità nazionali dei poteri di esenzione considerati

all’articolo 81 (3), la soluzione prospettata è coerente con la posizione della

Commissione che non propone alcuna modifica alla ripartizione di competenze

per l’applicazione degli articoli 81 e 82. In particolare si osserva come sia

opportuno che il potere di concessione di esenzioni rimanga nella sfera di

competenza della Commissione in quanto è richiesta una valutazione di situazioni

economicamente complesse alla luce dei principi del Trattato. Un’indebita

estensione in questo senso minerebbe l’applicazione uniforme delle norme

comunitarie. Affinché fosse possibile intendere un pieno decentramento, tenendo

conto delle esigenze delineate, la Commissione ha determinato una serie di

esenzioni di categoria che si affiancherebbero a quelle individuali.

Non ostante i tentativi della Commissione di incoraggiare una maggiore

collaborazione da parte degli organi nazionali, il persistere delle difficoltà ha

mosso l’organo comunitario ad avviare l’iter di riforma del Regolamento n. 17/62.

La proposta allo studio prevede di sostituire il meccanismo delle esenzioni con un

sistema di eccezione legale (liceità ab initio), mediante il quale, venendo meno

l’onere di notificazione preventiva alle imprese, la Commissione avrà la

possibilità di indirizzare l’attenzione solo sui casi effettivamente più importanti.

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Sarà consentito alle autorità antitrust e giurisdizionali nazionali di applicare

l’articolo 81 (3). A tutto ciò si aggiunge la previsione che, ove l’intesa sia

suscettibile di pregiudicare il commercio tra Stati membri, la normativa a trovare

esclusiva applicazione sarà quella comunitaria a differenza della situazione attuale

che ammette l’applicazione della normativa nazionale oltre a quella comunitaria e

non ostante la preminenza di quest’ultima.

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